VANGELO DI GIOVANNI
Seminario tenuto da
PIETRO ARCHIATI
Rimini, dal 16 al 20 Febbraio 2005
Fascicolo 8
dal capitolo 15,26 al capitolo 17,28
15, 26 – I discepoli e il mondo
17, 18 – La preghiera di Gesù
Indice
Prima Conferenza Mercoledì 16 Febbraio 2005, sera
Seconda Conferenza Giovedì 17 Febbraio 2005, mattina
Terza Conferenza Giovedì 17 Febbraio 2005, pomeriggio
Quarta Conferenza Giovedì 17 Febbraio 2005, sera
Quinta Conferenza Venerdì 18 Febbraio 2005, mattina
Sesta Conferenza Venerdì 18 Febbraio 2005, pomeriggio
Settima Conferenza Venerdì 18 Febbraio 2005, sera
Ottava Conferenza Sabato 19 Febbraio 2005, mattina
Nona Conferenza Sabato 19 Febbraio 2005, pomeriggio
Decima Conferenza Sabato 19 Febbraio 2005, sera
Undicesima Conferenza Domenica 20 Febbraio 2005, mattina
A proposito di Pietro Archiati
Mercoledì 16 Febbraio 2005, sera
vv. 15,26 – 16,2
Benvenuti a tutti, buonasera a tutti!
Nell’ultimo incontro eravamo arrivati alla fine del capitolo quindici e avevamo appena iniziato il capitolo sedici.
Dico solo un paio di parole d’introduzione, rivolgendomi in particolare a quelli che sono già stati qui: facciamo sempre di nuovo l’esperienza che questo Vangelo è così ricco, in ogni versetto, in ogni frase, che non c’è bisogno di fare grosse costruzioni architettoniche. Allora queste le lasciamo a ognuno. Voglio dire che se io mi mettessi (e si potrebbe anche fare) a riflettere sulla strutturazione delle varie parti, non troveremmo abbastanza tempo per immergerci in ogni versetto. Il Vangelo di Giovanni manifesta al massimo la sua fecondità quando ci si attiene alle parole che vi sono scritte. Ogni sua frase si può usare per almeno un mese intero come frase di meditazione, e quindi basta, ogni volta, rituffarvisi dentro.
Sappiamo già che il Logos universale – il Logos!, da cui viene la parola “logica” – è l’Essere spirituale, l’Io dell’umanità, è lo Spirito dell’umanità, lo Spirito del Sole. È lo Spirito che abbraccia tutta la logica, tutte le connessioni di sapienza e di amore, e ne è l’intreccio organico. Dove vediamo logica cristallizzata? Cioè senso, significato alla massima potenza? In un organismo.
Per capire cos’è il Logos pensiamo a tutto il sistema solare, a tutto il mondo in cui viviamo, come a un organismo di Esseri spirituali. Questo è il Logos: un’infinità di Esseri spirituali, però organizzati in un modo pieno di significato. Il modo in cui gli occhi sono in interazione con la bocca, con il naso, è tutto logico, no? C’è qualcosa di non logico nel corpo umano? Sarebbe la malattia! Cos’è una disfunzione se non un andare contro la logica, contro il senso, contro la funzione che tu, membro del corpo, hai, perché è quella che ha senso per l’evoluzione di tutti gli altri membri? Il Logos universale ha questo significato, questa armonia così complessa, sia a livello di pensiero sia nel favorirsi a vicenda: un organismo non esiste soltanto a livello teorico ma è proprio un concreto favorirsi a vicenda.
Per tre anni il Logos si è espresso attraverso la corporeità, il corpo di un uomo, Gesù di Nazareth. Se Lui ha potuto esprimersi attraverso il Gesù di Nazareth e con la pretesa di farsi capire da questi Dodici, che ci rappresentano tutti, significa che i misteri del Logos, i misteri dell’organismo spirituale in cui noi viviamo sono accessibili ed esprimibili a livello di pensiero umano.
Nel Vangelo di Giovanni, che è proprio quello del Logos, addirittura abbiamo, per interi capitoli, i cosiddetti discorsi di commiato. Come si chiamano in italiano?
Intervento: Dell’Ultima Cena.
Archiati: I discorsi dell’Ultima Cena. In tedesco li chiamano discorsi di commiato, perché avvengono prima della sua morte, sono una specie di testamento. Ciò vuol dire che, già in partenza, il Vangelo di Giovanni ci dice: sta’ attento!, che qui trovi una summa del Logos universale, dell’Essere che è la somma totale della sapienza e dell’amore cosmico, che… tira le somme prima di morire; perché poi, una volta morto, con la bocca fisica non parla più e con le orecchie fisiche non lo si sente più.
In un certo senso potrebbe farci rabbrividire sapere che queste parole, questi pensieri del Logos siano proprio stati espressi da una bocca fisica e siano stati uditi da orecchie fisiche. Noi ci riteniamo svantaggiati, sfortunati per non aver udito direttamente i Suoi discorsi. Prima di tutto può darsi che qualcuno di noi ci fosse ma, se anche non ci fossimo stati, c’è qualche essere umano svantaggiato rispetto a coloro che fisicamente hanno sentito e visto? No, perché le sue parole sono state tramandate e quindi sono ugualmente percezioni per noi, né più né meno che se ci fossimo stati.
Paradossalmente, si potrebbe fare l’esempio di Pietro, che ha sempre dimostrato di partire per la tangente, ha sempre dimostrato di capire quasi nulla. Il bravo Pietro, cosa ha capito di tutti questi discorsi? Lo dimostrerà poi!, lo vedremo man mano che incontreremo gli eventi della morte e della resurrezione. Già all’Ultima Cena, quando si ribella al fatto che il Cristo gli lavi i piedi, c’è un oscuramento di coscienza in Pietro, che rappresenta e preannuncia l’oscuramento di coscienza dell’umanità petrina, cioè dei 2160 anni successivi alla venuta del Cristo. Quindi per consolazione nostra potremmo dire, e con un’affermazione fondata, che all’Ultima Cena Pietro era svantaggiato rispetto a noi!, perché, poverino, aveva molte meno possibilità di capire quel che gli diceva il Cristo rispetto a quelle che noi abbiamo oggi. Perché il Cristo ha accompagnato l’umanità per duemila anni, ha lavorato nello spirito di ogni essere umano per renderlo capace, oggi, di capire a tutt’altri livelli quello che Lui ha detto duemila anni fa.
Quindi non pensiamo di essere svantaggiati o sfavoriti nei confronti di coloro che erano presenti allora e hanno sentito, le sue parole sono qui, le abbiamo! Possiamo anche pensare che il Cristo, pieno d’amore, conceda a Pietro, a Tommaso (quello che voleva mettere il dito), di ritornare sulla Terra e quindi di poter capire sempre meglio ciò che Lui allora disse.
Il senso del ritornare è di comprendere sempre meglio e di far proprio, a livelli sempre più profondi, l’archetipo dell’umano. Questi si è manifestato sulla Terra perché è qui che l’uomo vive la sua evoluzione: non c’è evoluzione umana senza le condizioni terrene. Quando noi moriamo tiriamo le somme di quel che abbiamo fatto della vita passata e pianifichiamo l’evoluzione che vogliamo per il nostro ritorno. L’evoluzione vera e propria – quindi l’esercizio della libertà, dell’amore e del pensiero – per lo spirito umano può avvenire soltanto nello stato incarnato. Se potessimo evolverci anche nel puro spirito saremmo Angeli, non saremmo uomini, e di Angeli ce n’è abbastanza!, mica stanno ad aspettare che gli facciamo concorrenza noi. L’uomo è uno spirito incarnato, e lo è lungo tutta la sua evoluzione.
Un cristianesimo che non ha ancora colto questo pensiero della fedeltà alla Terra, della fedeltà al corpo del Logos, a tutte le condizioni necessarie, imprescindibili per l’evoluzione umana, è un cristianesimo che non ha fatto neppure i primi passi! E non si poteva pretendere di più dal cristianesimo di Pietro. Arriva però una soglia dell’evoluzione, dove lo spirito di ognuno è chiamato a rendersi conto che adesso bisogna veramente fare un passo avanti.
Il pensiero che dice «Una volta sulla Terra basta e avanza!», non è cristiano, non ha ancora colto il peso morale della Terra come condizione, come totalità di condizioni evolutive dello spirito umano. Cristo è venuto per fare della Terra il Suo corpo. Quindi lo spirito umano, l’essere umano, può incontrare e far proprio lo spirito del Cristo soltanto vivendo qui. Diciamo sulla Terra però questo significa tantissime cose. Noi pensiamo a quello che avviene sulla Terra come interazione fra gli esseri umani, però è compreso anche tutto ciò che chiamiamo ecologia, e cioè l’essere alle prese con i destini della Terra.
Il protocollo di Kyoto, per esempio: è stato firmato e tutti vogliamo vedere se anche l’America si adeguerà a quei regolamenti. Il grosso quesito però è che l’evoluzione dello spirito umano comporta anche la responsabilità morale nei confronti dei tre regni di natura che si sono fatti da sostrato per la nostra evoluzione. Un sacrificio cosmico immane!, che dura millenni, di tutte queste creature che si fanno da fondamento e che vorrebbero che l’essere umano ricambiasse, con amore, il loro enorme sacrificio d’amore.
Questo tipo di evoluzione, anche nell’amore per la natura, può compiersi soltanto sulla Terra. Voglio dire: se questi discorsi dell’Ultima Cena, di commiato, il Cristo li avesse potuti fare anche nel mondo spirituale non ci sarebbe stato bisogno di farli quando ancora aveva una voce terrena, a delle orecchie terrene! Quelle parole sono il testamento del Cristo incarnato, sulla Terra, cioè là dove gli esseri umani compiono il loro cammino evolutivo.
Riprendiamo dagli ultimi due versetti del capitolo 15:
15,26 «Quando verrà il Consolatore, che Io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi darà testimonianza»;
15,27 «e anche voi mi darete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio».
Il Paraclito, παράκλητος (parácletos). Dicevo già l’ultima volta che παράκλητος è un’istanza interiore che conforta, è il confortatore, il consolatore, ma anche il consigliere. Paraclito significa consolatore e consigliere. Consolatore rispetto al passato, e qual è la consolazione del passato? La consolazione del passato è sempre il futuro, è quando io mi rendo conto che il passato, comunque sia stato, è sempre la base di quello che io posso ancora fare. E ce n’è da fare! Le vie sono aperte per ogni essere umano.
Consola, proprio consigliando, nel senso che lo Spirito Santo è la voce interiore del tutto individualizzata che dice: «In questa situazione, ti comporti così». Nessun essere umano ha bisogno che gli si dica da fuori cosa deve fare, perché ogni essere umano ha il Cristo in sé, e il Cristo vuole comportarsi in modo diverso in ogni persona! Questo Cristo dentro di noi, questo Spirito Santo, però va attivato, non si impone da fuori, ma ognuno ce l’ha. Nessun essere umano può dire: non sono capace, non so cosa devo fare, oppure, sono indeciso, non sono sicuro se questa sia la scelta giusta o no.
Stai attento: se non sei sicuro, prima di tutto mettiti in testa che lottare interiormente per trovare la soluzione giusta è il più bello della vita! Quando mi interrogo su come devo comportarmi con la tal persona, questo rovellio non è brutto, mi fa crescere. Questa ricerca conoscitiva è il più bello della vita. Perché voglio avere subito una risposta, se invece cresco di più cercandola per un mese o per due mesi?
Perché spesso le persone vogliono avere una risposta subito? È poltroneria interiore, nient’altro. Perché il fatto di lottare per trovare una soluzione comporta di attivare maggiormente il proprio processo di pensiero. Allora il Cristo cosa fa? Non è che ti dia la risposta da fuori, ti dice: hai dentro di te tutto ciò di cui hai bisogno, però attiva questa energia e sii contento quando devi cercare qualcosa e non ti viene dato subito, perché questo cercare ti porta avanti. Una cosa non la capisci? Leggi una conferenza di Steiner e dici che è difficile? Bello! Finalmente qualcosa di difficile, dove c’è un po’ da masticare. Se non mastichiamo mai, come facciamo ad andare avanti con la nostra testa? Che cosa mi dà una lettura dove capisco tutto?, allora la potevo scrivere io.
Lo spirito umano cerca! La consolazione dello Spirito Santo, e anche il consiglio, è di fare sempre di nuovo l’esperienza – ma la devo fare proprio io – che ho dentro di me tutto ciò di cui ho bisogno! È mai concepibile un essere umano a cui manchi qualcosa? Dovremmo fare un rimprovero al Padreterno che ha fatto delle creature manchevoli. Non esiste, ogni essere umano ha tutto quello di cui ha bisogno, e quello che non ha non lo riguarda, ce l’hanno gli altri. Un essere umano che avesse tutto sarebbe proprio indigeribile, a tutti i livelli; io scapperei via, ci mancherebbe altro. Ognuno ha tutto quello di cui ha bisogno e ciò che non ha, significa che non lo riguarda. Ho sempre detto: perché le persone vogliono fare quello che non possono fare? Per avere una scusa per non fare niente!
Per esempio, l’ho detto diverse volte e sono pensieri che vanno sempre pensati e ripensati così ogni volta scopriamo cose nuove, quante persone vorrebbero migliorare il mondo? Tante, è una cosa bella migliorare il mondo, no? Questa umanità che sta andando a rotoli, santa pace!, partiamo in quarta a cambiarla, perché non va, non funziona. E dopo – a seconda di come sono veloci a capire che il mondo non si lascia migliorare per forza –, dicono: «Ho fatto di tutto ma non c’è niente da fare, l’umanità non si lascia migliorare!». Nel frattempo quale pensiero non è stato pensato? Di migliorare se stessi. Perché? Perché è l’unica cosa che funziona, però bisogna farlo!
Una prospettiva di questi discorsi dell’Ultima Cena, se vogliamo essere concreti e onesti con noi stessi, è la domanda che ognuno può farsi: «Ma io, in ventiquattro ore (ognuno di noi conosce la sua giornata standard e, da quanto mi risulta, consta di ventiquattro ore per tutti), quante ne dedico a coltivare la qualità del mio spirito, della mia anima?».
Questo significa, come minimo: spegnere la radio, anzi, spegnere la televisione, sbattere fuori dalla stanza tutti quanti e chiudere la porta; e poi si spera che ognuno si occupi di qualcosa che gli nutra lo spirito e gli nutra l’anima. Ventiquattro ore sono tante! Non possono tornare i conti se noi lo spirito non lo coltiviamo mai, e non prendetelo come un rimprovero.
Adesso noi possiamo permetterci questo lusso in un albergo, per tre-quattro giorni, con uno qui davanti che sproloquia; il che va benissimo, ma quando tutto è finito? Conta ciò che avviene nel ritmo quotidiano. Se lo spirito non viene coltivato nel ritmo quotidiano, questi sproloqui che io faccio qui servono a ben poco.
Perciò dicevo che soprattutto questi discorsi dell’Ultima Cena sono fatti per dare a ogni spirito umano la possibilità di ritornarci ogni giorno! È disumana una vita in cui non troviamo il tempo di occuparci dello spirito, è disumana; e da fare ce n’è sempre, non soltanto in Italia ma anche in Germania.
Uno potrebbe dire: beh, sì, bello!, ora vorrei ritirarmi, sparire per un’ora, però c’è questo da fare, quest’altro, e poi quell’altro. E tutto diventa più importante che non il nostro spirito.
Squilla il telefono! Cosa succede se lo lascio squillare, finisce il mondo? Tante persone non sono capaci di lasciarlo squillare, è “egoista” non rispondere? Se non abbiamo nessuno che ha il coraggio di amare se stesso nessuno viene amato, e amare se stessi significa decidersi a offrire qualcosa che valga quando s’incontra l’altro. Ma devo prima costruirlo dentro di me. E quando poi si viene a sapere chi aveva telefonato, ci si dice: meno male che non ho alzato la cornetta!
Quando verrà il Paraclito, lo Spirito Santo? Quando viene?
Intervento: Quando lo cerco.
Archiati: Quando lo cerco! E quando lo cerco, lo trovo; cercarlo significa trovarlo. Ogni volta che si accende un frammento di spirito in me è una venuta dello Spirito Santo. Ogni volta che si accende una fiammella d’amore in me è una venuta dello Spirito Santo. È Spirito di saggezza, quindi di conoscenza e di amore. Ogni volta che si accende la conoscenza, e si riscalda l’amore, è lo Spirito Santo.
15,26 «Quando verrà il Consolatore, che Io manderò a voi dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi darà testimonianza», qui abbiamo tutta la Trinità, lo dicevamo già l’altra volta. E perché poi parla dello Spirito della verità, perché non dice: lo Spirito dell’amore? È una domanda non da poco! Penso per esempio alla classica suora cattolica, che risponderebbe: mah, la verità è una cosa un po’ rarefatta…, l’amore ha più peso. Tanti cristiani tradizionali direbbero che l’amore ha più peso che non la verità: la verità si può discutere, ognuno ha le sue idee!, ma l’amore è importante.
L’amore sfocia negli atti. L’amore che non sfocia nel comportamento non è vero amore. C’è un amore dato per natura, per esempio nel bambino piccolo, dove non c’è ancora la capacità di pensiero. Nella fase infantile si potrebbe dire che l’amore ha più peso perché la capacità di verità ancora non c’è. Prendiamo adesso l’adulto: un amore non libero è forse vero amore? No, l’amore è vero soltanto quando è libero. Che cosa fa libero l’amore? Rende libero l’amore il fatto di amare a ragion veduta. È questa la verità: il pensiero.
In altre parole, quando l’uomo ha la verità ha anche l’amore, altrimenti non è verità. Invece, da piccolo, può avere l’amore senza la verità. Ecco perché, in effetti, la parola verità ha più peso, perché li comprende tutti e due. Adesso arriva uno che dice: ma che cosa stai ad arzigogolare sulla verità, tutte queste teorie… l’importante è l’amore! Cosa gli rispondiamo?
Intervento: Che io non posso amare ciò che non conosco.
Archiati: E l’altro, mica l’altro non ha argomenti!, ti risponde: ma il cuore ha intuizioni di sentimento che la testa non arriva ad avere. Quindi tu non puoi dire che il cuore da solo non basta perché lui ti dice che il cuore va per intuizione. E che gli diciamo a quel punto?
Intervento: Che bisogna capire cos’è l’intuizione, a quel punto.
Archiati: L’intuizione del cuore, del tuo cuore, è un frammento di te, è un frammento di autogodimento, legittimo, ma non esci da te stesso. Per uscire da te stesso devi conoscere l’altro, in quanto altro. Questa è la conoscenza. In altre parole: io l’altro non lo conosco per intuizione mia, lo vengo a conoscere soltanto per percezione del suo essere. Devo espormi continuamente alla sua percezione. E cosa significa? Provocare il pensiero, provocare il concetto.
Perciò vi dicevo che io sarei felice se, finito il Vangelo di Giovanni, facessimo La filosofia della libertà, perché ne è proprio la continuazione. La filosofia della libertà di Rudolf Steiner è, per quello che io conosco dell’umanità di oggi, la fenomenologia dell’esperienza dello Spirito Santo più pura che si possa immaginare: una più bella non la conosco! E lì si capisce perché il Cristo dice lo Spirito della verità, non raccorciato in lo Spirito dell’amore, perché l’amore è conseguenza della verità, e non viceversa.
Intervento: Perché la verità è amore. È il discorso che stavi facendo, perché se la percezione mi è estranea, una volta che io sono arrivato a cogliere l’essenza di questa percezione che è estranea, io ho amato quella cosa che prima mi era estranea. Quindi, più amore di questo…
Archiati: Allora: l’amore di cui spesso si parla è un amore soggettivo e il pensiero, la verità, è l’amore oggettivo.
Replica: Infatti, dice: Viene dal Padre.
Archiati: «Viene dal Padre» è l’oggettività del reale.
Lo Spirito rende testimonianza di Lui, lo Spirito rende testimonianza dell’Io. Ve lo dicevo prima a proposito di «egli renderà testimonianza di me», ogni volta che il Cristo dice: «Di me, con me, credete in me» ecc., parla sempre dell’Io, l’Io singolo; questo ἐγώ εἰµι (egò eimi) è il nome esoterico del Cristo: Io Sono. Lo Spirito testimonia del Cristo, cioè lo Spirito testimonia del fatto che il Logos è immanente in ogni essere umano.
Conoscete un essere umano non capace di verità? Non capace di pensiero proprio? Non sarebbe un essere umano. In altre parole, lo Spirito della verità testimonia del fatto che ogni essere umano è un Io pensante che gestisce la verità in proprio, autonomamente. L’altro fenomeno è che qualcuno dica qualcosa e noi gli crediamo. Che vuol dire credere? Naturalmente, le persone che sono qui mi conoscono e sanno che io alcune volte picchio diretto, lo faccio per creare provocazioni per il pensiero; altrimenti, se mettessi tutte le sfumature, sarebbe tutto così diluito che non salterebbe fuori niente. Credere significa non capire!, perché se io capisco quello che l’altro mi dice non ho bisogno di credere. Che vuol dire ti credo? Che credo al guru, che credo a qualcun altro? Significa che non capisco. No? Non ci siamo? È troppo forte la botta? Giusto, io guardavo da quella parte lì e dicevo: come la mettiamo con gli apostoli della fede, che credono? Fede significa credere.
Intervento: Ma, infatti, si usano questi infiniti: credere, pensare, sperare; e si usano a volte l’uno per l’altro e all’imperfetto: «Ma io credevo… ma io pensavo…».
Archiati: Pensavo, credevo, certo, certo. Qui il nostro compito è di essere un pochino più rigorosi, soprattutto trattandosi dei misteri dello Spirito Santo.
Intervento: Però c’è anche l’accezione di aver fiducia. Nel credere c’è quel significato che dici tu, giustissimo, però c’è anche l’accezione nel senso di avere fiducia, che è l’opposto.
Archiati: No, andiamo piano a dire che è l’opposto.
Replica: Cioè, non è un atteggiamento passivo, in questo senso dico l’opposto.
Archiati: Vogliamo analizzarlo un pochino? Dal latino fides, sia la fede, sia la fiducia vengono da questa radice, quindi è chiaro che fede e fiducia hanno qualcosa in comune. La parola fede è stata riservata maggiormente – correggetemi se ho perso un po’ il contatto con la lingua italiana – all’ambito teologico-religioso. La fiducia invece ha un significato più vasto che riguarda il sociale, il modo in cui gli esseri umani hanno a che fare gli uni con gli altri.
Chiediamoci: cosa vuol dire avere fiducia? Accanto a fede e fiducia mettiamoci un altro paio di diciture, per esempio: «Mi fido» o «ti credo». Credere c’entra con il dare credito, significa avere fiducia, dargli i soldi: lui ha un debito e io ho un credito, perché ho fiducia che lui me li ridarà. La tua domanda era: che cosa vuol dire avere fiducia?
• Per il bambino piccolo l’aver fiducia vale per il livello intellettuale, perché non è ancora capace di pensare, e per il livello della volontà, del comportamento: il bambino è ancora dipendente in tutto e per tutto dai genitori.
• Per l’adulto avere fiducia nell’altro dovrebbe riferirsi soltanto agli impulsi volitivi, cioè, per esempio: ho fiducia che l’altro si comporti in modo umano.
Aver fiducia, nell’adulto, non dovrebbe servire per il livello del pensiero. Siccome io non capisco, siccome non ho voglia di fare uno sforzo per capire, ho fiducia in quello che tu dici. Ma questo è disumano!, questa è dipendenza dallo spirito di un altro.
La fiducia giusta, di cui veramente abbiamo bisogno, è al livello dell’attività, è al livello della volontà, che è l’altro polo. Se ognuno gestisce la propria libertà, io non posso sapere come l’altro si comporta, la fiducia è la decisione di non interferire negli impulsi volitivi dell’altro: dargli fiducia. Il Cristo dà fiducia al Giuda che sta per suicidarsi, che sta per tradirlo. Cosa vuol dire che il Cristo gli dà fiducia? Caro Giuda, gli dice, tu passi per questa cruna dell’ago dell’evoluzione che è l’autodistruzione, di cui ogni essere umano, in qualche modo, deve fare l’esperienza, altrimenti lo si costringe dal di fuori a non farlo. Invece soltanto se ha fatto quest’esperienza, poi, per libera volontà non si distruggerà più.
Allora, in che cosa consiste la fiducia del Cristo nei confronti di Giuda? «Giuda, falla quest’esperienza! Ho fiducia che il Padreterno, mio e tuo, ti ha creato in modo tale che tu imparerai la giusta lezione, ne farai tesoro e trasformerai perfino quest’ultimo abisso dell’evoluzione, in qualcosa di positivo».
Intervento: Cioè farà un processo di conoscenza, cioè conoscerà la verità.
Archiati: Nel senso positivo, capirà per esperienza propria che cosa è positivo e capirà che cosa è negativo per l’uomo. Se non lo fa per esperienza propria, deve credere a qualcun altro e resta dipendente, e resta un bambino. È un male morale essere un adulto che è ancora bambino?
Intervento: È un’occasione perduta.
Archiati: Non solo, ma è, come dire, un favorire direttamente il potere. È quello che rende possibile il potere, perché una persona che è dipendente è manipolabile in assoluto! C’è un risvolto morale enorme, proprio enorme, nel fatto di omettere il cammino della conoscenza, il cammino del pensiero. E di manipolazioni subdole o non subdole è pieno il mondo, basta che guardiamo la stampa. Io ormai leggo i giornali, e li leggo molto volentieri, in diverse lingue, quasi soltanto per vedere come vengono manipolati gli esseri umani, non per vedere cosa è successo veramente.
15,27 «E allora sarete capaci anche voi di dare testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio». Nella misura in cui c’è un’interiorizzazione dello Spirito Santo, quindi di gestione autonoma individuale dello spirito, del Cristo in me, l’essere umano testimonia di che cosa? Dello spirito umano, pieno di sapienza e pieno di amore. Di che cosa dà testimonianza l’uomo? Dell’umano, di più e di meglio non c’è. Però, se l’umano non lo capisco io, e se non lo esprimo a partire da me, non sono io a dare testimonianza dell’umano, sarà qualcun altro!, ma non io.
Io divento testimone dell’umano nella misura in cui so darne ragione, nella misura in cui mi sono convinto e sono capace di articolare in proprio quanto è bello, quanto è pieno di significato e quanto è armonioso questo essere umano nella compagine delle nove Gerarchie Angeliche (V. schema delle Gerarchie a p. 410). C’è l’umano come decima Gerarchia dello spirito, poi ci sono le Gerarchie di sotto, cioè gli animali, le piante, le pietre, e infine ci sono anche i regni di sotto-natura. La cosa non termina a livello della natura.
La testimonianza dell’uomo, che l’uomo dà, consiste nel fatto che fin dall’inizio, fin dalla creazione, fin dall’inizio della cosmogenesi, l’uomo è immanente nel Logos e il Logos è immanente nell’uomo: «Perché voi, fin dall’inizio siete con me». Essere uomo significa avere inabitato il Logos ed essere stato inabitato da Lui, fin dall’inizio della creazione. Quel bel romanzetto di cui vi parlo spesso, La Scienza occulta di Rudolf Steiner, descrive proprio che l’essere umano è presente fin dall’inizio
Capitolo sedicesimo
16,1 «Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi».
«Queste cose vi ho detto perché non v’inciampiate nell’ostacolo». Σκάνδαλον (scandalon), lo scandalo, da cui viene scandalizzarsi. L’origine dello scandalizzarsi è la pietra d’inciampo, l’ostacolo. Cos’è più interessante, cos’è più bello: una corsa senza ostacoli o una corsa a ostacoli?
Intervento: Per chi guarda non è nulla, ma chi deve saltare l’ostacolo fa una fatica…, ma comunque hai ragione tu: è più interessante superare l’ostacolo!
Archiati: È anche giusto quello che dici tu, che è una fatica. Diciamo, perché i fenomeni vanno analizzati, e analizzandoli le cose divengono concrete, diciamo che tutti e due gli atteggiamenti sono possibili. È possibile dire: se è una strada, che sia una strada!, perché è piena di ostacoli? È possibile avere un atteggiamento interiore che dice: ma non sarebbe meglio avere la strada un po’ più appianata? Ed è altrettanto possibile l’altro atteggiamento che dice: che bello! Così posso un po’ saltare, sennò sarebbe noioso, tutto uguale.
La risposta alla mia domanda, quando ho chiesto cosa è meglio, sarebbe: a seconda di come la libertà la prende! Perché se non ci fosse la possibilità di prenderla storta o di prenderla dritta, riguardo agli ostacoli che ci sono, non ci sarebbe la libertà. L’uomo è libero. Di fronte all’ostacolo si può arrabbiare, è libero!, nessuno glielo impedisce. E di fronte all’ostacolo, può gioire, chi glielo impedisce? Nessuno, sono affari suoi.
Intervento: Però c’è chi dice che non vuole l’ostacolo, perché dice che questo lo rallenta.
Archiati: Dice che non vuole l’ostacolo e ne dà pure la ragione, dice che l’ostacolo ritarda la sua evoluzione!
Intervento: Cos’ha detto la signora? Non l’ho sentita.
Archiati: Lei diceva, se ho capito bene, altrimenti correggimi, diceva: tu Pietro hai presupposto che uno dica male dell’ostacolo soltanto per pigrizia, invece può darsi che sia una persona che dice: «No, quest’ostacolo non favorisce la mia crescita, io crescerei meglio se non ci fosse». È questo che dicevi, vero? L’ostacolo dell’altro, per me è meglio che non ci sia; ma l’ostacolo che mi piglio io, me lo piglio soltanto perché è meglio che ci sia, se no non ci sarebbe.
In altre parole, la persona che dice che la sua crescita andrebbe meglio senza questo ostacolo, si mette in testa di essere più saggia del karma! Che cos’è il karma? È lo Spirito Santo incarnato nella vita di quella persona. Se al posto della parola karma usiamo un termine cristiano, il karma è lo Spirito Santo all’opera nella mia vita! Che altro? È lo spirito del Cristo individualizzato nella mia vita.
Lo Spirito Santo all’opera nella mia vita è quel Cristo che mi dà soltanto gli ostacoli di cui io ho bisogno per continuare a camminare. Ostacoli negativi non ce ne sono mai stati. È possibile un ostacolo negativo? Sto facendo una corsa a ostacoli, ora arriva un ostacolo di due metri che io non posso saltare: è un ostacolo? No, non è un ostacolo, perché non lo devo saltare, ci devo fare un giro intorno! Datemi un esempio di un ostacolo negativo. Non esiste!, proprio non esiste. E se c’è una cosa che io non sono capace di fare, non mi riguarda, basta che decida di fare qualcos’altro.
16,1 «Vi ho detto queste cose», il senso delle cose che il Cristo ci dice è di generare in noi la forza che supera ogni ostacolo, «affinché voi non vi lasciate ostacolare», affinché viviate l’ostacolo come rafforzamento delle forze di volontà, non come indebolimento.
Intervento: Come è potuto diventare scandalizzarvi, nelle traduzioni? Non ha senso.
Archiati: Lo dicevo all’inizio che il cristianesimo petrino è andato dietro a Pietro, e non possiamo pretendere che il povero Pietro duemila anni fa capisse queste cose come le possiamo capire noi. Tu hai la traduzione del cristianesimo petrino, te l’ho detto; perciò è importante pulire un po’ i pensieri. La frase del Cristo «Vi ho detto queste cose perché non vi scandalizziate», ha senso soltanto se letta con determinate chiavi di lettura. Prendiamo la traduzione corrente ufficiale, che vuol dire? Nulla. Che significa dire alla gente “non vi scandalizzate”?
Intervento: Scandalizzarvi di che?
Archiati: Scandalizzarvi di che? Tra l’altro, il manoscritto sinaitico, non ha questo non. Nel manoscritto sinaitico c’è, e te lo dico testualmente: «Vi ho detto queste cose affinché vi scandalizziate», il µὴ (mè) non c’è, questo µὴ di negazione non c’è. Il codex sinaiticus, che è uno dei più autorevoli, non ce l’ha. Vogliamo tradurre la frase senza il non? «Vi dico queste cose affinché vi scandalizziate», che poi è lo stessa affermazione, se noi capiamo che cos’è l’esperienza individualizzata, interiorizzata del Cristo. Lo Spirito Santo è il Cristo interiorizzato e individualizzato da ognuno, quindi il Cristo in quanto parla e agisce, pensa e agisce, in un modo del tutto individuale e diverso in ogni essere umano. Con o senza questo non – se capiamo il significato di scandalo, pietra d’inciampo, corsa a ostacoli –, è lo stesso!
Vi dico queste cose affinché vi godiate tutte le pietre d’inciampo che ci sono, e ne facciate occasioni per crescere! Il problema è che questa immagine, così neutra, dell’ostacolo, della pietra d’inciampo, è stata tradotta in categoria morale, tra l’altro moraleggiante. Che vuol dire scandalizzare?
Intervento: La pietra d’inciampo, s’era già presentato lui come pietra d’inciampo...
Archiati: Certo, certo.
Replica: E quindi in qualche modo «affinché vi scandalizziate» assume proprio già dall’Antico Testamento la valenza di compenetrazione con questo Cristo.
Archiati: In altre parole dice: «Sono venuto a portarvi una serie di sberle conoscitive, di svegliarini, ma di quelli!». Il problema è il significato della parola scandalo: scandalizzare è altra cosa rispetto al significato greco, che è l’ostacolo.
Replica: L’aveva già detto: «Importanti sono gli scandali».
Archiati: L’ostacolo che cosa genera nell’essere umano? A livello di pensiero l’attenzione, gli dice che deve fare attenzione, che non può dormire, deve stare attento. E, a livello della volontà, genera maggiore volontà perché deve superarlo. L’ostacolo è proprio, per eccellenza, ciò che favorisce l’evoluzione del pensiero, perché devo essere attento, e l’evoluzione della volontà. Traduciamo ostacolo, σκάνδαλον, in termini di scienza dello spirito?
Intevento: È la controforza.
Archiati: La controforza. Tutte le conferenze di Steiner ne sono piene. Cos’è la controforza? Σκάνδαλον. Se togliamo via Mefistofele dal Faust di Goethe, che ci resta? Una dormita dall’inizio alla fine! Perciò il Padreterno tira fuori il Mefistofele, che c’è già all’inizio. Nel Prologo in Cielo, così comincia il Faust, il Padreterno, non un pinco pallino qualsiasi, chiama il Mefisto dall’inferno e gli dice: «Ho bisogno di te sulla Terra!», perché senza il diavolo che fa il diavolo a quattro gli uomini poltriscono e basta. E se ne stanno senza ostacoli.
Il Mefisto dice: bello questo ruolo! Mi piace questa parte, mi va proprio bene. Vuoi vedere, Padreterno, che ti abbindolo? Che te lo porto via l’essere umano? E hanno fatto una scommessa, e su cosa? Che se l’essere umano smette di evolversi e dice a un momento della sua esistenza: «fermati!, che sono stanco di camminare», ha vinto il diavolo.
Le conferenze di Steiner sono tutte corse a ostacoli, sono difficili! Se fossero state facili ve le avrei lasciate, non me ne sarei occupato per trent’anni. Ma è proprio lì il gusto, nel fatto che c’è da masticare! È straordinario questo, cioè, nel Vangelo di Giovanni – col concetto tradizionale che si ha del Vangelo, roba per anime pie! –, trovare questa metafisica dell’umano così pulita, così universale. È una cosa veramente straordinaria!, frase per frase.
«Vi dico queste cose»: quindi i pensieri, le parole del Logos servono per la corsa a ostacoli, per godere l’eterno misurarsi della forza e della controforza. Che categoria linguistica c’è per dire il godere della forza e della controforza? La categoria linguistica, che tutti conoscete, dice che il godere della forza e della controforza è il gioco!
Oggi in Germania ricorrono i duecento anni dalla morte di Schiller (1805-2005), Schiller ha scritto le sue Lettere sull’educazione estetica dell’uomo proprio con questo pensiero fondamentale: che l’essere umano è sommamente umano giocando, in questo movimento tra forza e controforza. È il primo versetto del sedicesimo capitolo!, tale e quale.
«Vi dico queste cose affinché facciate della vita un favorire l’umano attraverso il misurarsi della forza con la controforza». Rudolf Steiner, in tante conferenze, descrive la forza cristica come forza centrale; non è che il bene sia di qua e il male sia di là, l’ho detto diverse volte che questo pensiero è sbagliato. Virtus stat in medio, il bene, la virtù sta nel mezzo.
DIS. 1
Abbiamo il signor Lucifero qua, a sinistra, e abbiamo di qua, a destra, il signor Arimane, voi chiamateli come volete, e l’umano è in questo movimento. Ecco lo σκάνδαλον, la controforza.
16,2 «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio».
Vi scacceranno dalla sinagoga, faranno di voi ἀποσυναγώγους ποιήσουσιν ὑµᾶς· (aposynagogus poièsusin umàs) degli esseri via dalla sinagoga, e viene l’ora in cui ognuno che vi uccide – ἀποκτείνας ὑµᾶς (apocteinas umàs) – penserà di rendere onore a Dio.
Questo secondo versetto ci dice che la somma della controforza non è nel confronto dell’uomo con la natura, ma è nel confronto con gli altri uomini. Non c’è scritto che verranno dei Demoni, o che gli animali, le piante, la natura, vi minacceranno, ma saranno gli uomini! Traduce la controforza, l’ostacolo, come qualcosa che viene dagli uomini e non in chiave economica o politica, ma in chiave religiosa, cioè nella ricerca del divino.
La religione tradizionale vi sbatterà fuori, dice questo. Non dice che verrà un tempo in cui il denaro sarà così importante, che avrete le vostre azioni in borsa e poi non varranno più nulla. E non mi dite che è soltanto perché il religioso duemila anni fa era più importante di oggi. Il Cristo ha il diritto di parlare soltanto di cose che sono sempre valide. Chiediamoci allora: che cosa significa che pone al centro della controforza la controversia tra gli esseri umani sul religioso?
Vi dichiareranno fuori dalla sinagoga, vi dichiareranno eretici. Supponiamo che tanti di noi dicano: ma chi se ne frega? In chiesa non ci vado da decenni, non m’importa nulla che quelli mi dicano che sono eretico; magari lo dicessero! Cosa vorrebbe dire questo? Vorrebbe dire che non prendiamo il religioso sufficientemente sul serio. Vediamo se mi riesce di tirare giù questa riflessione ancora di un gradino, in modo che approdi a terra, però vi avverto che vi do di nuovo una bottarella… Quale categoria linguistica viene usata per un’umanità dove questo dichiarare eretico l’altro non esiste più?
Intervento: Rifai la domanda?
Archiati: Quale categoria culturale è invalsa – e intendo una delle più importanti, non m’interessano fenomeni di margine, perché qui il Vangelo va sempre al sodo, all’essenza – nell’umanità di oggi per far sì che questa virulenta, appassionata disamina della verità e dell’errore nel religioso non ci sia più nell’umanità? La tolleranza! Tolleranza significa: ma chi se ne frega!, vogliamo essere gentili gli uni con gli altri.
In Germania c’è una corrente adesso, nel mondo antroposofico, questo Abouleisch, forse qualcuno di voi l’ha sentito, dice che Maometto è un grande portatore dello Spirito del Cristo! Il Corano dice che Allah non ha Figli? Non ha importanza! E chi prova a dissentire, chi dice che no, che così non va, che così l’umanità va a rotoli, è un intollerante! Archiati, per esempio, è un intollerante, un dogmatico, un fanatico!
Intervento: E ti buttano fuori dalla Sinagoga.
Archiati: Magari ci fosse la Sinagoga! Quello che sto dicendo è che io vorrei che ci fosse la Sinagoga, in modo da sapere chi c’è dentro. Il discorso è: ma chi te lo fa fare? Che ti scaldi a fare? Cioè la povertà più grande è l’indifferenza. A che ci serve allora questa parola del Cristo «Vi cacceranno fuori dalla Chiesa»? Traduciamo tranquillamente la Sinagoga con la Chiesa, che è la nostra matrice. Cosa dice oggi, a chi lo legge, questo Vangelo cristiano?
Intervento: Nulla.
Archiati: Se uno è dentro rimane dentro, non lo cacciano fuori, se uno è fuori è già fuori. In altre parole il Cristo sta dicendo: fate di tutto perché non sorga, non invalga nell’umanità l’indifferenza nei confronti dello spirito del religioso.
Intervento: Indifferenza vuole anche significare la non capacità di discernere, quindi, dello spirito della verità.
Archiati: Non solo, ma che a loro non interessa. La capacità di discernere è l’interesse a livello conoscitivo, ma che qualcosa mi interessi è legato al cuore, al livello morale, proprio a livello della vita.
Intervento: Vi scacceranno dalle sinagoghe, non potrebbe anche significare: non sarete più disposti a credere passivamente?
Archiati: Certo.
Replica: Di creare quindi scandalo a chi crede?
Archiati: Sì, naturalmente ogni frase contiene infiniti significati. Adesso, quello che tu dicevi ci fa evidenziare l’episodio della pecorella smarrita. C’è un gregge di cento pecorelle, una si stacca e va fuori dal gregge. «Vi cacceranno fuori dalla Sinagoga» significa: nella misura in cui voi darete testimonianza del Cristo – del Logos, dello Spirito gestito in libertà, a partire dal di dentro –, tutto ciò che è anima di gruppo vi vivrà come una minaccia.
Intervento: E quindi anche la famiglia, in qualche modo?
Archiati: Il Vangelo di Luca – faccio un piccolo excursus in via eccezionale – che è il Vangelo dell’amore, il Vangelo della misericordia, al capitolo quattordicesimo (14,26) ha questa frase: «Chi non odia il padre, la madre… non può essere mio discepolo». Cioè devo odiare la comune dipendenza dal sangue perché soltanto ricusando, soltanto rifiutando di essere gestito dal sangue, respingendolo, posso amare mio padre, mia madre e i miei fratelli, in quanto esseri umani, in quanto spiriti, e non in quanto sangue mio.
In altre parole, devo vincere, cioè devo essere sbattuto fuori dall’affinità di sangue, in quanto elemento determinante. Soltanto quando il sangue termina di determinare gli esseri umani, questi possono amarsi nella libertà. Odiare mio padre e mia madre, in quanto sangue comune, è il presupposto per amarli in quanto spiriti.
Replica: Cioè abbandonare l’amore istintivo per trovare quell’amore che parte dalla conoscenza.
Archiati: Dalla libertà. E la domanda sarebbe: non si può avere tutti e due?
Intervento: No, cioè sì, si recupera; si recupera l’amore per il padre e per la madre, ma in quel modo lì che dici tu.
Archiati: Non in quanto padre, in quanto madre, ma in quanto spiriti umani uguali a tutti gli altri. L’affinità di sangue naturalmente c’è in tutti noi e anche l’affinità spirituale, quando noi ci chiediamo se non possiamo averle tutte e due, la risposta è sì. La domanda si riferisce a quale delle due ha la guida, quale delle due è determinante. Certo che si possono avere tutte e due! Se però è determinante l’amore libero, non è che il sangue sparisca però si fa da strumento. Un conto è vivere tutto ciò che è di sangue, di tradizione e di gruppo come strumento per far emergere ciò che è individuale: tutto ciò che è di natura, compreso il sangue, ben venga!, ci vuole, perché senza il sostrato di natura non c’è nulla dell’uomo. Un conto è però che l’uomo si riduca a questo fatto di natura e non abbia altro, non costruisca altro, e un altro conto è se su questa natura costruisce tutto un mondo, che è quello della libertà. Allora è quest’ultimo fattore a essere determinante.
«Chi non odia il padre e la madre» significa: se tu non termini di lasciarti determinare dal sangue, dalla natura, non puoi trovare un’altra dimensione che sia quella dominante nel tuo essere. Per avere come dimensione dominante lo spirito libero che ama nella libertà, devi far smettere al dato di natura di determinarti! Anziché farti determinare ne fai uno strumento, il fondamento per l’evoluzione dello spirito che ama nella libertà, e allora ama anche suo padre e sua madre dentro all’organismo di tutta l’umanità.
Merita più amore mia madre che non tutti gli altri esseri umani? Sarebbe come voler amare gli occhi più degli orecchi. O amo mia madre nell’organismo dell’umanità, e allora la amo veramente perché la amo nel contesto di ciò che le dà vita, oppure non amo né l’umanità né mia madre.
DIS. 2
Poi posso anche dirmi che non posso, con le mie mani, con gesti concreti, compiere opere d’amore ugualmente per tutti gli uomini. Però attenti che le opere d’amore sono la concretizzazione dell’amore, ma non sono l’amore! L’amore è la forza, la capacità di amare tutti gli esseri umani in modo uguale.
Questo amore all’organismo dell’umanità poi si manifesta corporalmente solo in un certo punto, così come quando il medico interviene precisamente su un organo perché non può lavorare su tutto l’organismo contemporaneamente. Significa forse che non ama tutto l’organismo? Ciò che dà la qualità di amore al gesto più piccolo, che io posso compiere soltanto nei confronti di una persona, è che io vedo questa persona per ciò che è in tutto l’organismo dell’umanità. Nel cuore, nella mente e nello spirito questo gesto viene compiuto nei confronti di tutti gli uomini oppure non viene compiuto neanche nei confronti della persona che lo riceve. In altre parole, nessuno di noi è isolato.
In epoca di materialismo lo sguardo si rivolge quasi soltanto ai gesti, cosiddetti, concreti: il fatto che io cucini un pasto soltanto per queste tre/quattro persone e non per tutti quanti. Materializziamo anche l’amore e pensiamo che amare significhi fare qualcosa esteriormente. E se io cucino dicendo peste e corna delle persone per le quali cucino? Quindi l’amore non è neanche nelle azioni. L’amore è nello spirito, nel cuore, nella mente, e le azioni portano il carattere, l’impronta di ciò che è l’essere umano nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti.
Intervento: Riguardo al padre e alla madre: non è in fondo la porta attraverso cui noi scegliamo di nascere ogni volta? Quindi non c’è un’affinità maggiore rispetto al resto dell’umanità? Cioè il vedere i genitori come uguali al resto dell’umanità non va a tradire quella che è la scelta che si fa prima di scendere?
Archiati: Certo che è giusto quello che tu dici. Prendiamo l’analogia dell’organismo, l’umanità come un organismo, se no se restiamo soltanto sulla teoria diventa troppo difficile. Supponiamo che tu dica: gli occhi hanno una maggiore affinità con i nervi e col cervello che con lo stomaco. È vero, e con ciò?
Replica: Intendevo dire che la scelta prima che noi facciamo, la facciamo quando ancora siamo indipendenti da quello che è il corpo che ancora non abbiamo preso, è come se lo facessimo a livello spirituale.
Archiati: Sì.
Replica: E allora indipendentemente da quello che poi saranno i genitori per noi, anzi, lo facciamo proprio perché saranno quelli che ci creeranno forse più ostacoli.
Archiati: Certo, anche quello. Supponiamo che io, che ognuno di noi, abbia scelto i suoi genitori in base al fatto oggettivo che erano le due persone con le quali, in secoli e millenni passati, ha avuto a che fare più che con altri esseri umani. Bene. Il consanguineo, i parenti di sangue sono persone con le quali ho avuto più a che fare nel passato che non altre. Benissimo! Cosa vuol dire questo? Che adesso è ora che metta le altre in primo piano!
Intervento: A parte che se io li scelgo come genitori, per forza di cose ho a che fare molto con loro.
Archiati: Gioco forza.
Replica: Sto molto a contatto con loro per tutta la vita, per cui, come dici tu, è una ragione di più per dire che ci vuole un distacco.
Archiati: Ci vuole un distacco, ma la direzione finale qual è?
Replica: La direzione finale è che tu devi uscire dal fatto di amare perché sei stato generato; evidentemente ti sei incarnato lì perché percepisci l’umanità come totalità, per cui i tuoi genitori finiscono di essere i tuoi genitori e sono due esseri umani che ti hanno accompagnato finché eri un bambino, ma poi, a un certo punto, tu li riconosci come umani.
Archiati: In altre parole, il senso dell’evoluzione è di estendere sempre di più un rapporto privilegiato, quindi profondo, a tutti!
Replica: Non c’è una quantità dell’amore, questo l’avevi detto, ed è vero che l’amore non ha una quantità. Cioè tu puoi amare tutti, perché non è che se amo i genitori non amo gli altri.
Archiati: Se non amo gli altri non amo neanche i genitori, perciò l’analogia dell’organismo è importante, altrimenti facciamo teorie. O io amo tutto l’organismo o non amo nessun membro. Io non posso amare l’occhio disattendendo, o ignorando il resto dell’organismo, perché l’occhio muore.
Intervento: A quel punto sono tutti mio padre e mia madre, posso dirlo questo? E cioè se io amo veramente mio padre e mia madre amo tutti.
Archiati: Nel Vangelo di Luca (ma tu sei una lucana?), in Luca (11,27-28) una donna, della folla, dice: «Beata colei che t’ha nutrito!», e Cristo risponde: «Beato piuttosto chi ascolta la mia parola», quelli sono mio padre, mia madre, mia sorella. (V. anche Mc 3,32-35)
Replica: Beh, però ci vuole un po’ per arrivarci.
Archiati: Perciò ci vengono dati un paio di millenni di evoluzione. Ed è questo che stiamo facendo.
Intervento: In fondo si potrebbero considerare i genitori, di volta in volta, il miglior strumento, che mi permette di ampliare, appunto, la mia umanità nel corso dell’evoluzione.
Archiati: Torniamo all’inizio di questa sera. Che cosa sono i genitori? Lo scandalo più bello che ci sia, l’ostacolo! È una brutta cosa? Si può prendere così e si può prendere in quest’altro modo, e i conti tornano, i conti tornano veramente. La dipendenza dal sangue è la controforza necessaria che va superata, ma se non ci fosse una controforza non avrei nulla da superare. Però guardate che ho detto dipendenza dal sangue. Noi viviamo in un’umanità dove tante persone sono ancora a un livello evolutivo dove impiegano tutte le forze di una vita nel sangue, e guai se uno gli tocca il fatto che ha accudito il papà e la mamma fino a novant’anni!
Intervento: Fino a centouno!
Archiati: Fino a centouno, e guai a chi glielo tocca. Sto parlando di gradini di evoluzione della coscienza, e la legge dell’evoluzione c’è nel Vangelo: quando un uomo cresce deve lasciare padre e madre, trovarsi una moglie o un marito e fondare un’altra famiglia. Cosa vuol dire questo? Vuol dire: delle forze del sangue devi fare un fondamento per costruire qualcosa di tuo.
Se una persona in tutta la vita, in campo religioso, ha accolto con fede, con tutta la buona volontà, con tutte le migliori intenzioni, ma in realtà si è fatto soltanto una… bacinella che ha accolto in sé unicamente quello che la Chiesa gli ha detto, a che gli è servita tutta questa vita? Gli è servita soltanto a imbarazzare il Padreterno quando muore, perché il Padreterno gli dice: dove ti metto? Non hai mai avuto un pensiero tuo, ci metto la Chiesa all’inferno o in paradiso, ma te? Torna sulla Terra, fatti un paio di pensieri tuoi, che dopo vedremo se valgono qualcosa o se non valgono niente. Il sangue è la più grande pietra d’inciampo per l’evoluzione!
Vi auguro una buona notte!
Giovedì 17 Febbraio 2005, mattina
vv. 16,3 – 16,13
Avevamo cominciato ieri il sedicesimo capitolo, dove parla il Cristo, cioè l’Essere spirituale che noi chiamiamo così, perché non è che il termine Cristo subito evochi ciò che corrisponde a questo Essere. La parola in sé è diventata quasi inutilizzabile! In coloro – e in Italia sono molti – che si sono culturalmente, o psicologicamente in qualche modo distaccati dalla cosiddetta religione cristiana, questa evoca piuttosto antipatia o avversione. Altre persone, rimaste in un certo rapporto col cristianesimo – e ci sono anche loro – non reagiscono in un modo negativo di fronte a questa parola, la reazione è positiva. È una reazione dell’anima però… e nella testa c’è ben poco.
In questo senso è importante che non partiamo dal presupposto che la parola Cristo sia in partenza piena di significato, o che sia tutta positiva, va riconquistata!, e il testo ci serve proprio per ritrovare l’accesso a questo Essere spirituale. Una delle cose che allora dobbiamo fare è di “tradurre” continuamente e quindi usare altre metafore, trovare caratterizzazioni sempre nuove in modo da capire sempre meglio di chi si tratta, capire chi è questo Cristo.
Già ieri ho dato alcuni contributi per difendere questa Entità, che è di enorme portata! La parola Cristo è un’immagine, significa Unto sia in ebraico che in greco. Χριστός significa l’Unto. In greco χρ…ω significa ungere e Χριστός ne è il participio. Venivano unti i sacerdoti, i profeti e i re. E che cosa rappresentano queste tre categorie?
DIS. 3
• I sacerdoti mantengono viva la tradizione del passato.
• I re gestiscono la vita sulla Terra nel presente.
• I profeti anticipano il futuro dell’evoluzione.
Naturalmente noi siamo qui apposta per capire che le tre caratteristiche di essere sacerdote, re e profeta sono proprie di ogni essere umano. Questi signori allora hanno il diritto di essere tali soltanto se in loro si esprime, anticipandolo in qualche modo, ciò a cui è chiamato ogni spirito umano, altrimenti non ci servirebbero a nulla. Io stesso mi corono e mitrio, Dante esprime questo concetto nella Divina Commedia.
La chiamata di ogni essere è di diventare sempre più sacerdote, nel senso di cogliere la sacralità di tutto il passato – della conduzione divina dal di fuori, dell’operare della grazia – come fondamento per il sopravvenire della libertà. Quindi ogni uomo diventa sacerdote nella misura in cui rende sacro il passato.
Ogni essere umano è chiamato a diventare sempre più profeta, nella misura in cui sa anticipare conoscitivamente ciò che ognuno è chiamato a diventare nella volontà, nell’attuazione, nella vita.
Quindi l’uomo, portando in sé l’equilibrio di tutto il passato e di tutto il futuro, sa instaurare da re un presente sociale sulla Terra, anche in chiave economica, che sia consono ai tempi e adatto a questa evoluzione dello spirito umano.
Cosa vuol dire che queste tre caratteristiche fondamentali dell’umano venivano unte? Venivano imbevute di forze solari, perché l’olio è la rappresentanza più pura delle forze del Sole sulla Terra, lo capiamo anche dal suo colore. La pianta dell’ulivo infatti cresce soltanto dove c’è tanto Sole, dove fa troppo freddo non può vivere. Da sempre l’umanità ha usato l’ulivo per indicare le forze spirituali e animiche del Sole, quindi queste tre categorie venivano unte, come per dire loro: «Guarda che tu devi rappresentare l’Essere del Sole!, lo Spirito del Sole sulla Terra. Altrimenti non hai il diritto di chiamarti così, non saresti né un vero sacerdote, né un vero re, né un vero profeta».
E che cos’è lo Spirito del Sole? È la chiamata di ogni uomo a essere un Io autonomo nel pensare, nell’amare e nel volere, nell’agire. Il Cristo allora è la perfezione dell’essere umano in quanto essere solare che diventa lui stesso sacerdote, re, profeta. È il Cristo in me, il Cristo in ogni persona.
Se rispolveriamo e approfondiamo in questo modo la parola che lo definisce, solo allora ci serve!, e così la possiamo recuperare, perché culturalmente non giova che delle parole, ancora piene di significato per tante persone, vengano gettate via. È meglio recuperarle, se si riesce, però a un livello più profondo e più universalmente umano.
Il punto di partenza della cultura attuale, in modo particolare in Italia dove il cristianesimo ufficiale ha avuto un peso maggiore, è che il cristianesimo diffusosi negli ultimi duemila anni è proprio quello di Roma, ed è un fatto che Roma stia in Italia. La Germania non ha avuto un fenomeno come Roma, e questo ha permesso che presso di lei sorgesse – questo per fare un esempio, ma si possono prendere anche altre nazioni – un’alternativa al fenomeno cattolico-romano. Il fenomeno protestante è un’alternativa di quelle potenti, per cui queste due forze si sono mantenute un pochino più vivaci a vicenda e questa sana concorrenza è giovata a entrambe.
È chiaro che qui in Italia c’è lo Stato Pontificio e quindi c’è il fattore del cattolicesimo romano, della Santa Sede che si è insediata là dove c’era il potere di Roma. L’imperatore Costantino – che ha reso il Cristianesimo religione di Stato – oltre a essere un fenomeno del cristianesimo che riguarda tutta l’umanità, ha un risvolto culturale particolare per l’Italia. E quindi dobbiamo, in Italia, essere capaci di una maggiore attenzione e di una maggiore sensibilità nei confronti di questa parola, tenendo conto che è stata, non dico usurpata, ma è stata un po’ usata come proprietà privata dalla Chiesa cattolica.
Questo ci spiega perché gli altri, i cosiddetti appartenenti alla sfera laica, si siano sviluppati in chiave di opposizione. Sono tutti compiti culturali che ci spettano e non è che le cose si risolvano ignorandoli. Oppure supponiamo che alcune persone, poche, pochissime, coltivino la scienza dello spirito di Rudolf Steiner, però in salotto, in privato o in cerchie ristrette: non serve a nulla!, perché l’umanità non va avanti.
Il cammino si fa nel dialogo con la cultura, con tutti gli esseri umani, perché questo cammino ci riguarda tutti. Penso allora che capirete perché io cerco di tradurre queste parole e di non darle per scontate, perché non sono da dare per scontate!
Per esempio, l’anno scorso ho cercato una tribuna per portare un pochino più ampiamente in Italia i libri di Rudolf Steiner, che adesso stampiamo sempre di più, e anche i miei testi. Nel dialogo con Macroedizioni un quesito era: «Sì, signor Archiati, bella questa scienza dello spirito!, però che c’entra Cristo?», si giunge subito a questo nodo! Queste domande arrivano subito, e allora io onestamente devo dire: «Guardi, lei è libero, ma io sono libero. Come informazione le devo dire che in quello che io faccio la figura che gli esseri umani chiamano Cristo – e sarebbe meglio se avessimo un altro nome che non creasse confusione – per me è fondamentale, perché lo ritengo il cardine di tutta l’evoluzione. Che poi mi sforzi e faccia di tutto per trovare un linguaggio universalmente umano, questo glielo dimostrano i miei libri, però se lei onestamente non vuole favorire libri che mettono questa figura spirituale al centro, allora salutiamoci e ognuno vada per conto suo!».
L’altro potrebbe dirmi: a me non interessa Cristo o non Cristo, a me interessa il mercato, se vendo o se non vendo. E io infatti cerco un distributore!, non un antroposofo. Mi porta i libri in tutta Italia? Benissimo!, perché poi le persone che comprano il libro hanno la possibilità di prendere posizione con la propria testa, ma non possono se non hanno neanche la percezione che il libro esista. C’è gente che dice: ma come!, Archiati va a distribuire i suoi libri con la Macroedizioni, ma quelli sono New Age... E allora, per avere a che fare con persone tutte pulite, bisognerebbe andare a vivere sulla Luna!, perché là non c’è nessuno.
Voglio dire che la questione del cristianesimo in Italia non è facile (in tutta l’umanità, ma particolarmente in Italia) e non interessarsene, cari amici, non è meglio, perché praticamente significa non interessarsi del fattore spirituale! Non dico religioso perché anche questa parola è usurata! Come reagiscono tanti italiani alla parola religione? No grazie!, non m’interessa.
Ieri sera avevamo già accennato a questo vi ostracizzeranno, vi metteranno fuori dalla sinagoga, e vi dicevo: se prendiamo questa affermazione nel suo significato più vasto e fondamentale viene fuori che la disamina, non dico sul religioso ma sullo spirituale, consisterà nel fatto che colui che è convinto e vuol fare di tutto perché lo spirito sia una realtà, anzi la realtà più sacra, verrà ostracizzato, scartato, messo fuori combattimento da coloro che hanno la posizione opposta nei confronti dello spirito. Non dico nei confronti del religioso perché noi il religioso l’abbiamo un po’ ristretto, l’abbiamo limitato alla prassi religiosa. Invece il concetto di religione in senso più vasto è il rapporto con lo spirituale: la religio, come il verbo religare, indica il ricongiungimento con ciò che è lo spirituale e quindi è l’intento di vivere da spiriti.
Intervento: Qual è la spiegazione della parola religare?
Archiati: Religare significa ri-legare, ricongiungere. La religione è nata in base alla percezione che iniziarono ad avere gli uomini, soprattutto dopo il diluvio. Ripetiamo e riassumiamo per chi è un pochino nuovo, gli altri già conoscono queste cose: dire che l’umanità è caduta significa che ha cominciato a vivere sempre di più la realtà materiale come unica realtà, a vivere sempre meno la realtà spirituale, a sentirsi spaesata e a sentire nostalgia della patria spirituale. E nel momento in cui è sorta la nostalgia, la solitudine, la tristezza o, soprattutto nell’antica cultura indiana, il senso di aver perso il contatto immediato con lo spirituale, è sorta la religione come cammino di ricongiungimento con quel mondo.
Chi non ha ancora masticato il mio libro Maschere di Dio volti dell’uomo, lo faccia! L’ho scritto apposta per descrivere tutto il cammino religioso dell’umanità. Il titolo è un po’ troppo forte, nella seconda edizione lo cambierò, pensavo che ci fossero più persone spassionate, invece si pigliano tutte uno shock davanti alle parole “maschere di Dio”. Comunque il libro descrive l’evoluzione del fenomeno spirituale religioso nell’umanità, il cammino dell’umano in quanto spirito.
Intervento: È uno dei libri che ho trovato più interessanti.
Archiati: Dici? Molti vedono il titolo e dicono: per carità! Il titolo è un po’ uno scandalo, un ostacolo.
Rileggiamo 16,2: «Vi scacceranno dalle sinagoghe, anzi verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio». Viene l’ora in cui, ἔρχεται ὥρα (èrchetai ora), ognuno che vi uccide penserà di rendere onore, di venerare Dio. Anche questa frase è fondamentale! Possiamo partire dal presupposto che ha tanti aspetti e io qui non posso che tirarne fuori uno o due, lasciando poi a ognuno di aggiungerne degli altri.
Avrete notato che nel commento, alcune volte, su un verso ci resto anche mezz’ora, però quella mezz’ora crea dei fondamenti magari anche più universali, più vasti, e possiamo poi andare più veloci su altri versetti, e senza diventare troppo astratti.
Un aspetto di questa affermazione del Vangelo è la frase di Karl Marx: «La religione è l’oppio del popolo». Se noi consideriamo l’aspetto che intendeva Marx, in un certo senso è vero che la religione, non in toto ma in una certa misura, è stata usata dai poteri costituiti per tener buono il popolo, è vera l’affermazione. Chi ritiene che la religione sia l’oppio del popolo allora pensa di onorare lo spirito umano uccidendo questo tipo di religione che uccide l’uomo. La tua religione ti aliena e io favorisco l’umano soltanto se la uccido!, se la elimino.
Prendiamo un altro aspetto: la religione costituita. È sempre un fenomeno di gruppo perché vive della tradizione, vive di un’identità comune. Di fronte alla pecorella che esce fuori dal gregge, di fronte al singolo che lascia ogni elemento di chiesa perché vorrebbe considerare tutto ciò che è di gruppo come fondamento per costruirci sopra l’individuale, come reagisce il gruppo? Pensa di dare gloria a Dio uccidendo, annullando l’individuo, perché gli dice: guarda che se tu ti tiri fuori dalla Chiesa ti perdi, e quindi io do gloria a Dio annullando questo elemento di individualità, di unicità e riportandoti nel gregge, perché soltanto nel gregge ti salvi.
Questa struttura mentale di credere di dare onore a Dio, di dare gloria a Dio uccidendo ciò che è individuale, è diffusissima nell’umanità.
Intervento: A cominciare dalla religione nostra, il cattolicesimo.
Archiati: Sì, è la mentalità del cattolicesimo.
Replica: Però vale un po’ per tutte.
Archiati: Perciò ho detto che è un esempio e ho preso prima il marxismo, per non assolutizzare gli esempi, cioè vale a tutti i livelli. Chi vede il bene morale nella coerenza del gruppo vuole uccidere ciò che è individuale e unico, l’emergenza dell’individuo, pensando di dar gloria alla divinità che si esprime nel gruppo. Perché lui è convinto che la divinità si esprima in questa forza di gruppo.
Intervento: È già uno scandalo iniziale, cioè si è già inciampati in un errore, c’è un travisamento nel capire, nel pensare il religioso come fenomeno di gruppo e invece di avvantaggiare l’emergenza dell’Io, schiacciarla e ucciderla
Archiati: E a chi si dà gloria uccidendo la libertà individuale?
Intervento: Allo spirito del gruppo.
Archiati: Al Dio onnipotente. In altre parole, colui che crede di dar gloria a Dio uccidendo l’emergenza del singolo, con la sua libertà, ha un concetto di Dio che è un Allah onnipotente. Quindi ogni emergenza della libertà umana viene, fraintendendola, capita come concorrenza all’onnipotenza divina. O veneriamo l’onnipotenza divina e allora dobbiamo uccidere la libertà individuale, oppure, se emerge la libertà individuale terminiamo di dar gloria a Dio.
In altre parole, è la matrice, è la grande tentazione del pensare umano che il Creatore dell’uomo abbia inteso di dominarlo in eterno, e che l’uomo possa dar gloria a Dio soltanto sottomettendosi a coloro che lo rappresentano. Dio non lo vede nessuno, quindi è chiaro che si presenta sempre qualcuno in suo nome dicendo: io rappresento Dio!, e tu puoi onorarlo soltanto sottomettendoti a me.
La libertà individuale, l’esperienza dello Spirito Santo, richiede una completa coerenza morale! Chi non ha la coerenza morale di essere fedele alla libertà dell’individuo fino in fondo, dovrà vedere la libertà dell’individuo come il male morale, e penserà, deve pensare, di rendere gloria a Dio uccidendo ciò che è individuale.
Intervento: I falsi re e i falsi profeti.
Archiati: Sì, i falsi re e i falsi profeti. Però l’altro ti dice: tu sei falso re e falso profeta! È nella matrice dell’evoluzione di andare sempre di più verso una radicalizzazione del discernimento degli spiriti e ognuno deve scegliere: o va di qua o va di là. Arriva un punto dell’evoluzione in cui non si può più servire due padroni, finché si è al centro si può un po’ barcamenarsi, senza prendere posizione, ma poi l’evoluzione si radicalizza sempre di più. Nei versetti dall’otto al dieci che vedremo tra poco, si dirà che lo Spirito Santo porta una decisione e quindi una cesura definitiva nell’umanità.
16,3 «Faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me».
Ciò faranno perché non conoscono né il Padre né me. Coloro che vogliono uccidere lo spirito individuale per dar gloria all’onnipotenza di Dio, hanno frainteso Dio Padre e quindi non conoscono né Lui né il Figlio. Perché è il Padre che manda il Figlio come presupposto della libertà individuale, dello spirito individuale degli uomini! Anzitutto un Padre deve avere un Figlio (se no non è Padre) e se lo conoscessero, lo saprebbero!, che manda il Figlio.
È un Padre che ha, da sempre, fatto un progetto evolutivo che prevede il Figlio in ogni uomo. Quindi non sanno che lo Spirito divino ha pianificato fin dall’inizio di volersi rendere gestibile a livello individuale, singolo di ogni uomo. Coloro che uccidono l’individuale pensando di dar gloria a Dio non hanno capito nulla di Dio!, non conoscono Dio. Né il Padre né il Figlio.
Il cristianesimo tradizionale non è molto più avanti di questo stadio, in cui ciò che ho chiamato l’emergere dell’individuale è visto come un male. Coloro che lo vedono così, come una superbia o un’arroganza, sono la maggioranza delle persone anche nel cristianesimo tradizionale. E quindi rispetto al cristianesimo vero – di questo tipo di spirito che vediamo senza nessun compromesso, o inesorabilmente, espresso in questo testo –, dobbiamo dirci, se siamo onesti, che siamo veramente agli inizi! Io ho una sorella suora e un fratello prete e vi ho già accennato diverse volte a cosa pensano: sono convinti che darebbero gloria a Dio se questo mio cammino potessero abolirlo, e sono sinceri!
Questo terzo versetto, «Queste cose faranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me», alcuni manoscritti non ce l’hanno, forse perché lo ripete altre volte, oppure perché a qualcuno dava fastidio. Ho cercato, balbettando però, di far capire in che cosa consiste la problematicità di questa affermazione, ma sono cose enormi!
16,4 «Ma io vi ho detto queste cose affinché, quando viene l’ora, ve ne ricordiate, che io ve le ho dette. Né vi ho detto queste cose fin dall’inizio perché io ero con voi».
Io vi ho detto queste cose affinché quando viene l’ora. La loro ora, l’ora di queste cose.
Intervento: C’è o non c’è quel loro?
Archiati: Alcuni manoscritti non ce l’hanno, la storia dei manoscritti è interessantissima, è una cosa intricatissima, ancora più di un giallo!
Questo quarto versetto dice: «Io però queste cose ve le ho dette affinché quando viene la loro ora vi ricordiate che ve le ho dette», questo vorrebbe dire che la loro ora non era allora. Vuol dire che la loro ora viene subito dopo la sua morte? Non necessariamente!
Intervento: È un’ora evolutiva.
Archiati: È un’ora evolutiva. Il Cristo adesso sta per fare l’esperienza della morte, questa è proprio il centro dell’evoluzione: l’Essere divino che passa attraverso l’esperienza della morte umana. Morire umanamente, come spiriti divini è il senso totale dell’evoluzione umana! Umanamente muore il corpo, e che cosa risorge? Lo spirito divino dell’uomo. Nel fenomeno della morte del Cristo c’è l’archetipo dell’umano: morire nella materia, quindi tutta la vita, vivendo da spirito! E quindi apparentemente è un morire ma non è una vera morte, è soltanto una maggiore forza dello spirito di fronte all’ostacolo della materia. Questo per tornare alla categoria dello scandalo, dell’ostacolo.
Quando l’Essere divino – ogni essere umano lo è, però qui ci riferiamo all’Essere divino del Cristo, che riassume in sé tutte le forze divine e umane dell’evoluzione in cui siamo – passa per la porta della morte, quello è il centro di tutta l’evoluzione. Non ci potrà mai essere un evento più micidiale, nel senso che riassume tutto, abbraccia in sé tutto, ed è successo duemila anni fa, storicamente una volta sola.
Dopo questo evento storico, cosa avviene? Una dopo l’altra, sono tutte ore in cui siamo confrontati in misure sempre più radicali, sempre più severe e sempre più universali con questa ora centrale. Ognuna è un’ora di confronto con l’ostacolo, con le forze della morte, per darti l’occasione di risorgere ancora più forte.
Allora Lui dice: io vi presento, vi articolo a livello di conoscenza l’archetipo dell’umano, affinché ogni ora che viene in cui c’è questo confronto tra forze e controforze, voi capiate di che si tratta. Perché o uno si orienta in ciò che avviene sempre e ovunque, con dei nodi particolari naturalmente, oppure è perduto!
A un livello culturale più vasto, l’ora in cui viviamo ai nostri tempi, la nostra vita, il passaggio tra il ventesimo e il ventunesimo secolo è un’ora particolare rispetto ad altre? Sì, perché è la prima ora, la prima in tutta l’evoluzione, dove è sorta una scienza dello spirito! Quindi l’ora di cui il Cristo parla c’è sempre, tutte le ore sono sue, però culturalmente noi viviamo in un tempo in cui quest’ora di cui parla assume un carattere particolare. Non di piccoli passi, ma come di un salto evolutivo, per cui una persona che vive oggi, un uomo che oggi vive dormendo, cioè ignorando, omettendo il cammino evolutivo dello spirito umano che gli è consentito attraverso una scienza dello spirito, non coglie una delle ore più importanti dell’evoluzione.
E in che cosa consiste l’ora? Consiste nel fatto che questa scienza dello spirito – è un esempio, sono tutti esempi che io faccio – è considerata dalla religione che per cultura è religione ufficiale, come qualcosa da annullare. Come reagisce la Chiesa cattolica di fronte alla scienza dello spirito di Rudolf Steiner? La combatte, se si potesse estinguere sarebbe meglio!, e pensa di rendere servizio a Dio uccidendo questo fattore.
Nella seconda metà del quarto versetto il Cristo dice: «Queste cose non vi ho detto fin dall’inizio perché ero con voi». Cioè in questo capitolo, sempre di più, dice delle cose che hanno valore di testamento, perché sta per lasciare fisicamente gli apostoli.
La differenza tra Lui prima che muoia e lo Spirito Santo è che il Cristo è lo Spirito Santo visibile, percepibile. C’è una bella differenza se io vedo il Cristo, cioè lo Spirito Santo, a livello di percezione esterna, oppure se la percezione esterna dello Spirito del Cristo sparisce! Che cosa è meglio, averne la percezione esterna o non averla?
Tra poco darà la risposta dicendo: «È meglio per voi che io sparisca, se no lo Spirito Santo non può venire». La percezione fisica è l’ostacolo che va superato. E quindi queste cose, che sono l’esperienza dello Spirito Santo, Lui non le poteva dire finché era presente fisicamente. Adesso finalmente le può dire perché sta per andarsene.
16,5 «Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: dove vai?».
Ora vado al Padre, verso colui che mi ha mandato, vado nella morte. Detto in un modo semplice per noi: «Ora è giunta l’ora in cui io terminerò di essere fisicamente percepibile, fisicamente udibile», il Cristo, in quanto conduzione dal di fuori, come istanza esterna all’uomo, finisce di essere.
Questo quinto versetto lo vogliamo masticare bene: «e nessuno mi chiede: dove vai?». Abbiamo visto nel tredicesimo capitolo che questa domanda: «Dove vai?» era stata posta, da Simon Pietro.
Supponiamo adesso che il Cristo, nei discorsi dell’Ultima Cena, abbia portato agli apostoli un insegnamento esemplare che accompagna il cammino della coscienza umana. Dopo tutto quello che il Cristo ha detto, siamo ora a un punto in cui la coscienza è a un livello più alto, e il fatto che la coscienza umana abbia fatto altri passi avanti viene espresso col terminare di chiedere. Gli apostoli non chiedono più dove vai?, ed è un passo in avanti se adesso non lo chiedono più.
Questa è la domanda sulla meta finale ed è una delle astrazioni più grandi che ci siano!, che non serve a nulla, serve soltanto a far andare in brodo di giuggiole. La meta dell’evoluzione è di andare nella casa del Padre. Quando uno muore va nella casa del Padre, e che vuol dire questo? Goduria animica e nebbia nel pensiero! Mica c’è da qualche parte un Padre con la barba bianca e la casetta, e tu vai a casa sua.
Peraltro, se si lascia da parte la domanda su dove si va a finire, sul fine ultimo e ci si occupa soltanto della via, la meta rischia di diventare astratta per chi è ancora lontano. A occuparsi soltanto della via, nel senso che so soltanto quale passo sto facendo e quale sarà il prossimo, manca l’orientamento!
Quindi essere uomini significa trovare sempre il giusto equilibrio tra un’anticipazione della traiettoria dell’evoluzione – per sommi capi, però, perché uno non c’è ancora evolutivamente – e i passi che vanno fatti di volta in volta. Un conto è conoscere la direzione dell’evoluzione e un conto è voler sapere, mentre non ci sono ancora, in tutto e per tutto cosa si vivrà, quale sarà lo stato di coscienza interiore ecc., quando sarò a quel punto lì.
Il giusto equilibrio tra il non avere la minima idea di dove si va e il voler sapere in tutto e per tutto qual è il fine ultimo, è di chiarirsi sempre di più la direzione in cui si cammina. Supponiamo che uno voglia andare in una città che non ha ancora visitato, se non c’è mai stato è inutile che voglia farsi idee su come è fatta nei particolari, ci deve andare per sapere com’è fatta! Però, ci arriverà mai se non sa neanche verso dove si deve muovere? Perché se va in direzione opposta non ci arriva.
L’umano è il giusto equilibrio fra perdersi nel passo concreto e andare in brodo di giuggiole pensando di essere già alla fine, l’umano si vive compiendo un passo dopo l’altro, guidati da un pensiero che conosce la direzione.
Intervento: Quando parliamo della visione del mondo, è un’astrazione?
Archiati: Certo, se non la vedi concreta è un’astrazione. La scienza dello spirito è proprio una visione panoramica enorme e complessa!, e Steiner la rende concreta dicendoti: di questi periodi culturali, dopo la catastrofe atlantica, ne sono passati finora cinque. Ti porta al quinto passo e poi dice: tu ora sei qui! E dove ti descrive ciò che è consono ai nostri tempi, ti parla dei passi concreti che vanno compiuti adesso.
Ecco perché è così salutare questo Vangelo, perché gioca sempre tra una visione d’insieme, che però da sola sarebbe soltanto un’astrazione, e una concretizzazione, proprio minuta, di ciò che significa oggi coltivare le forze dell’anima cosciente (per usare la terminologia della scienza dello spirito) e lì diventa molto concreto. Conosci i passi da fare e la direzione in cui vai, e allora si cammina!
16,6 «Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore».
Ma siccome vi ho detto queste cose la tristezza ha riempito il vostro cuore. Il Cristo, con la sua morte, finisce di essere fisicamente percepibile, e da dove viene la tristezza? Dal materialismo, cioè dall’incapacità dello spirito umano caduto di vivere ciò che è spirituale come altrettanto reale, se non ancora di più, rispetto a ciò che è materiale.
È una brutta cosa il materialismo? No, è l’ostacolo più grosso e più salutare che si possa immaginare!, nel senso che questa incapacità di partenza di vivere e di esperire ciò che è spirituale come una realtà assoluta, fa fare all’essere umano l’esperienza di essere lasciato solo. Gli fa fare l’esperienza della solitudine e gli fa fare l’esperienza che gli manca qualcosa. E soltanto partendo dalla posizione del materialismo la realtà dello spirito può diventare una conquista propria, perché chi lo spirito ce l’ha già non lo può conquistare.
Allora il Cristo dice: siccome io vi ho detto che lo spirito del Cristo termina di essere presente, di essere dato tramite la percezione, finalmente è sorta nel vostro cuore la tristezza!, perché così farete di tutto per superarla. La tristezza e lo sparire sono il presupposto perché ognuno di voi possa individualmente, e a partire dalla propria libertà perché nessuno lo costringe a farlo, riconquistarsi la realtà dello spirito. E il discorso si capisce, lo vedete, queste sono tutte affermazioni fondamentali sull’umano.
16,7 «Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; invece se me ne vado lo manderò a voi».
Ma io vi assicuro che per voi è meglio se io me ne vado, perché se non me ne vado, non verrà da voi lo Spirito che vi difende, invece, se me ne vado, ve lo manderò. «Ma io vi dico la verità», adesso sta per fare un’affermazione sulla verità dell’uomo. La verità sull’uomo l’ho già un po’ anticipata, qual è? Che può conquistarsi liberamente soltanto ciò che non ha, perché se ce l’ha già non se lo può conquistare liberamente. È una verità da poco? No, è enorme!
«Vi dico la verità che vi conviene, vi giova, dalla quale avete vantaggio»; συµϕέρει (symferei), συµ è un cum, cioè con, vi aggiunge la cosa più importante, vi mancherebbe la cosa più importante di tutte, che è la libertà. Però la libertà presuppone che uno non ce l’abbia già, così che possa farsi autonomamente le proprie conquiste, perché se la libertà non ha nulla da conquistarsi non può esercitarsi!
Allora, letteralmente la frase dice: «Ma io vi dico la verità» ἀλλ᾽ ἐγὼ τὴν ἀλήθειαν λέγω ὑµῖν (ell’egò ten alètheian lego umin), la verità sull’uomo, sulla natura umana, «è giovevole per voi, vi conviene, è meglio per voi che io vada via, che io sparisca – ἳνα ἐγὼ ἀπέλθω (ina egò apèltho)».
È per il vostro vantaggio che io debba sparire, sarebbe uno svantaggio, anzi sarebbe una catastrofe se io restassi fisicamente presente, e lo spiega: se io non vado via, se io non termino di essere fisicamente percepibile, lo Spirito Santo, il Paraclito, non può venire a voi.
La percezione esteriore del Cristo e la sua esperienza interiore si escludono a vicenda: o l’una o l’altra. O ho una guida dal di fuori o ho una guida dal di dentro, non si può averle tutte e due. La guida dal di fuori è necessaria, giusta e ci vuole finché l’essere umano non è capace di guidarsi dal di dentro, e deve altrettanto sparire quando l’essere umano ha le forze per diventare autonomo. Cioè: il senso di ogni conduzione dall’esterno è di rendersi superflua, altrimenti non è stata buona. Qual è il senso di ogni pedagogo, di rendersi necessario per omnia secula seculorum? La mamma che ha una figlia di quattordici anni, ma diamogliene pure venti o venticinque, vuole ancora tenerla sotto le gonne? Economicamente magari è accettabile, ma a tutti gli altri livelli?
Intervento: Purtroppo spesso sì, specie qui in Italia.
Archiati: Adesso non prendetela come una polemica, ma la Chiesa cattolica, un esempio fra tanti altri, che si è sempre detta mamma, e lo è stata, che cosa ha fatto per rendersi superflua? Ha sempre predicato che è necessaria per tutti i secoli dei secoli!
D’altra parte abbiamo il diritto di fare questo discorso sulla realtà di gruppo soltanto se il singolo, se ognuno di noi si chiede: che cosa ho fatto io finora per costruire una conduzione dal di dentro? Perché se io, di fatto, ho ancora bisogno di una guida dal di fuori è inutile che dica peste e corna di qualcosa di cui mi servo e che mi fa comodo!
Allora il Cristo dice: se io non vado, il Paraclito non può venire presso di voi. Se io vado, allora sì che ve lo mando! Il ritirarsi della conduzione dal di fuori è il presupposto perché possa nascere la conduzione dal di dentro e possa diventare sempre più forte e responsabile.
Adesso prendiamoci cinque minuti di aria fresca e poi riprendiamo.
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Trattandosi di una questione fondamentale prima di continuare vorrei fare una precisazione: la guida dal di fuori significa sempre qualcosa di costituito, un’autorità (una guida è un’autorità) come punto di riferimento per diverse persone, e quindi è sempre anche un fenomeno di gruppo.
Non è però che con l’esperienza dello Spirito Santo, con ciò che abbiamo chiamato l’emergenza dell’individuo, sparisca il fenomeno del gruppo o della comunità, questo non sparisce! Il nuovo che sorge è che nella fase dello Spirito Santo tutti gli esseri umani sono uguali. Questo è il nuovo! Non è che non possano costituire comunità, gruppi o istituzioni, ma sono tutti messi sullo stesso piano. Questo è il concetto fondamentale, non ci sono più autorità esteriori e ognuno è, in modo uguale, un’autorità, in quanto è Spirito.
La comunità o la solidarietà non per questo finiscono di esistere, anzi!, soltanto sul presupposto di spiriti umani liberi, tutti ugualmente autonomi, sorge la vera comunanza. L’altro tipo non è comunanza, è dipendenza, che non crea comunità, crea piuttosto intruppamento e potere in questo mondo. La vera comunità degli spiriti umani si crea sul presupposto della pari dignità in quanto spiriti pensanti, che liberamente decidono come si vogliono comportare e che si assumono la responsabilità delle proprie azioni.
Quindi, il concetto fondamentale dello Spirito Santo non è l’atomizzazione degli esseri umani, ma è che tutti portiamo in noi la potenzialità di tutta l’evoluzione dello spirito umano, in un modo uguale. Non c’è uno spirito umano che sia più spirito di un altro, e non ce n’è uno che lo sia di meno.
L’individuo può omettere l’evoluzione resa possibile al suo spirito, ma quanto a potenzialità evolutiva siamo tutti assolutamente uguali. Il Papa della Chiesa cattolica non è neanche un centesimo più spirito umano degli altri, e non un centesimo in meno. Ogni spirito umano è una potenzialità assoluta a tutto ciò che è umanamente possibile.
Sia nell’umanità, sia nell’individuo, la fase infantile è la fase iniziale dove il singolo non è ancora in grado, non ha ancora le forze per gestirsi dal di dentro. Lo vediamo bene nel bambino, che non è capace di decidere da solo quello che deve fare, però è nella natura della fase infantile di terminare. Questo vuol dire che c’è in ogni uomo, in ogni bambino, la potenzialità a diventare sempre più autonomo, ed essere un buon genitore significa gioire nel coltivare questa potenzialità!, far sì che salti fuori, e poi tirarsi indietro e fare posto.
Il Cristo dice che questo è il fenomeno puro dell’amore: gioisco io per primo di potermi ritirare come autorità esterna, perché questa è la prova che la mia conduzione dall’esterno è stata buona, perché si rende superflua! È bene per voi, è meglio per voi, sumfšrei (symferei), vi giova che io mi ritiri. Lo Spirito Santo è il Cristo reso interiore dall’individuo e quindi reso diverso in ogni uomo, questa è la dimensione del tutto nuova. Il Cristo vuole dare un contributo all’umanità, un contributo diverso attraverso te, attraverso me, lui, o lei! Se il Cristo desse all’umanità lo stesso contributo, un solo contributo da parte di tutti gli uomini, avremmo un’uniformità assoluta, un cimitero, una totale povertà. Quindi l’esperienza dello Spirito Santo è, diciamo, l’inesauribilità dello Spirito del Cristo che si manifesta nella pluralità infinita degli esseri umani.
Intervento: Se all’inizio la Chiesa era necessaria in quanto l’umanità era piccola, infantile, ci sarà stato un momento in cui l’umanità era pronta per essere lasciata crescere. Il momento in cui la Chiesa doveva cambiare e non l’ha fatto, è un momento storico oppure vive in maniera diversa in ognuno di noi?
Archiati: La risposta a questa domanda complessa la puoi dare soltanto se prendi ciò che è analogo nella vita, quando le cose diventano complesse a maggior ragione dobbiamo ritornare alla realtà della vita. C’è un’età umana uguale per tutti: la pubertà, o diciamo fra i quindici e i venticinque anni, grosso modo, dove noi diciamo che tutti gli esseri umani sentono sorgere una nuova dimensione, che è quella dell’aspirazione alla propria autonomia.
Questa affermazione sulla natura umana che riguarda certi anni della vita non è un’affermazione in toto sul singolo, perché uno può sentire questa aspirazione molto prima, un altro molto dopo. Però, se è un essere umano, non la sentirà per la prima volta a ottant’anni, perché allora i conti non tornano; e non potrà neanche sentirla a cinque anni, no?
Usiamo l’analogia e trasportiamola dalla vita del singolo alla biografia dell’umanità, in quanto evoluzione. Allora dobbiamo dire: ci saranno alcuni secoli storici in cui l’umanità, in quanto tale, diventerà quindicenne, però si tratterà di secoli, non sarà un anno o un giorno. Allo stesso modo per l’età della vita non puoi dire: quel giorno lì la mamma non ha visto che doveva tirarsi indietro. Il tirarsi indietro non avviene in un giorno, sono processi molto lunghi e complessi.
Poi, in questi secoli in cui nell’umanità maturano culturalmente i presupposti per dare all’individuo gli strumenti all’autonomia, c’è il singolo o c’è il popolo che è maggiormente ritardatario: c’è chi arriva prima e chi ci arriva dopo.
In questa chiave di lettura, che dovrebbe convincere chiunque perché mi sembra letta dalla natura dei fatti più evidenti che vediamo davanti a noi, la scienza dello spirito di Rudolf Steiner dà un contributo ancora maggiore. Diventa ancora più concreta e ci dice che esistono dei periodi culturali che, con lo stesso ritmo del Sole che passa da un segno zodiacale al successivo, hanno ognuno una durata di 2160 anni. Naturalmente i trapassi sono graduali, però, nell’insieme, ogni 2160 anni, lo Spirito del Sole crea sulla Terra, di volta in volta, condizioni di evoluzione – la flora, la fauna, il calore ecc. –, e anche culturali del tutto diverse. Vengono date all’umanità, a tutti gli uomini, ogni volta delle condizioni nuove per compiere un nuovo passo, poi uno nuovo e poi un altro.
Per esempio, l’ultimo periodo prima di noi è cominciato nel 747 avanti Cristo, nell’epoca culturale in cui il Sole sorgeva a primavera nella costellazione dell’Ariete – pensiamo all’agnello, al vello d’oro che è in tutti i miti che si riferiscono all’Ariete – ed è durato fino al 1413 dopo Cristo. Se sommate 747 a 1413, avrete 2160. In quel periodo di cultura sono state date all’umanità le condizioni per fare dei passi ben concreti, ben specifici dello spirito umano. Per esempio, uno dei compiti fondamentali per l’ebraismo di allora era di venire alle prese col mistero della morte. Il compito fondamentale del nostro periodo, che è quello successivo in cui siamo ancora, è di confrontarci col mistero del male: tutto un altro compito culturale!
Se è giusto quello che dice la scienza dello spirito, significa che fino al 1413, grosso modo fino al quindicesimo secolo – e non si tratta di una mezza giornata –, la conduzione dal di fuori era necessaria. E il Cristo lo dirà subito, tutte le sue frasi vanno intese anche in questo senso, nel versetto 16,12 dice: ho ancora molte cose da dirvi, ma non potete capirle ora! Perché siete in questo periodo di cultura (Steiner lo chiama quarto periodo post-atlantico) dove non ci sono ancora i presupposti per una vera e propria autonomia del singolo spirito.
Adesso lo dico in termini cristiani: chi crea i presupposti per la venuta dello Spirito Santo? Il Cristo!, ma gli vogliamo dare almeno un periodo in cui può lavorare negli esseri umani per mandare lo Spirito? L’essenza del cristianesimo petrino, dei circa duemila anni passati, è il lavoro del Cristo nelle profondità dell’animo umano per mandare lo Spirito Santo. Questo è il cristianesimo della fede ed è annunciato dalle parole del Cristo a Pietro: «Tu devi venire subito dopo di me» (Gv 21,19). L’altro discepolo, che è il discepolo del cristianesimo dello Spirito Santo, deve aspettare «quando io ritorno» (Gv 21,22), così dice il Cristo.
L’umanità, a partire dal quindicesimo secolo e di secolo in secolo sempre di più, si trova di fronte alla chiamata all’autonomia del singolo. Il Cristo ha creato i presupposti per mandare lo Spirito Santo, e quindi ogni conduzione dal di fuori, soprattutto a partire dal quindicesimo secolo, diventa sempre più anacronistica. E lo vediamo che è così.
Allora non si può rispondere alla domanda dalla quale siamo partiti dicendo che c’è stato un anno preciso in cui si dovevano cambiare le cose, però siamo in questo periodo di transizione. Altrimenti non potremmo avere tanti esseri umani che dicono che questa conduzione che c’è stata finora non basta più, ma ne avremmo tanti che invece si trovano a casa loro.
Replica: Non è quello il periodo della controriforma? E quindi del Rinascimento?
Archiati: Cosa ti dice Martin Lutero? Il Vangelo me lo voglio leggere io!
Intervento: Quindi compaiono dei segni esteriori che provano che qualcosa è cambiato.
Archiati: Il terremoto del protestantesimo è avvenuto allora, subito dopo. E vi dicevo che il problema è che in Italia quasi non c’è stato.
Intervento: La scienza dello spirito è un altro grande passo: Rudolf Steiner.
Archiati: Certo, sì, però quanti antroposofi credono al guru Steiner, a tutto quello che dice, senza masticarlo col pensiero? Perché, che uno assuma quanto dice Steiner facendone una credenza, o creda ai dogmi della Chiesa cattolica, o del buddismo, non cambia nulla se crede soltanto! Quindi siamo agli inizi, siamo agli inizi dei misteri dello Spirito Santo.
Allora il problema non è la legittimità o meno di una conduzione dal di fuori. Per essere concreti: la Chiesa cattolica avrà nei cosiddetti paesi del Terzo Mondo una grande missione ancora per lungo tempo. Il problema morale sorge quando la sinagoga pensa di rendere gloria a Dio uccidendo lo spirito individuale, quello è il male morale!, ma finché l’individuo chiede questa conduzione è legittimo dargliela. Male morale è dove viene ucciso lo spirito individuale che si fa sentire e che vorrebbe coltivarsi, ed è di questo che parla Cristo.
Intervento: Scusa Pietro, non capisco bene. Quando il Cristo dice: «Vi uccideranno pensando di dare gloria a Dio» e poi dice: «Io vi dico queste cose perché non è ancora giunta l’ora». Ne parlavamo ieri o stamattina e mi allaccio al discorso che stai facendo ora, sembrerebbe che ciò che hanno fatto a Lui duemila anni fa allora fosse legittimo, in un certo qual modo, perché anche Lui dice: «Non è ancora giunta l’ora perché comprendiate questa azione». Cioè la sinagoga, la conduzione dal di fuori a quei tempi funzionava ancora. Per cui, «non potete comprendere se mi sbattono fuori, mi uccidono e pensano di dar gloria a Dio», in un certo qual modo è giusto, però no, perché già allora funzionava così, cioè Lui ha rotto un potere costituito e l’hanno fatto fuori, dicendo che l’hanno fatto per glorificare Dio. Ecco, non mi tornano bene i conti.
Archiati: Allora rimettiamo a fuoco, questo schema ci servirà anche più avanti, e supponiamo che l’evoluzione sia, grosso modo, fatta così:
DIS. 4
Ci sono tre fasi fondamentali: c’è la caduta, c’è la fase di svolta, che dura secoli, se non millenni, poi c’è chi va più veloce e chi va più lentamente. La fase di svolta dura parecchio tempo, nel senso che ci devono essere anche delle forze ritardatarie, come necessarie controforze.
Questa a sinistra (V. Dis. 4) è la fase della caduta – uso ora termini evangelici, cristiani, religiosi – e questa al centro è la fase della svolta. Uno degli aspetti della cosiddetta caduta è la conduzione dal di fuori, l’essere determinato dalle leggi di natura, per esempio. Cadere nella materia significa lasciarsi determinare dalle leggi della natura, è una conduzione dal di fuori il determinismo, cioè l’essere umano è determinato dall’autorità costituita, dalle leggi o dalle forze di natura.
La svolta consiste nel fatto che ognuno di noi, ogni bambino che cresce, prima o poi – mentre prima la conduzione del genitore non veniva neanche notata, quindi non poteva venire messa in discussione – arrivi a un confronto, e il suo senso è una sempre maggiore autonomia dell’individuo. Al centro della figura è la crisi, il Vangelo usa il termine χρίσις (crisis), spartiacque, perché si deve anche poter andare giù, e questa fase a destra la chiama δικαιοσύνης (dicaiosynes), la giustizia.
Vengo alla tua domanda. Il Cristo dice: alla svolta, al centro dell’evoluzione, non c’è nessuna possibilità, nient’altro è possibile che uccidere l’individuale, perché non sono ancora nate le forze per non ucciderlo! Quindi in questo punto della svolta l’uccisione dell’individuale pensatela come necessaria e inevitabile.
Quando l’uccisione dell’individuale avviene tale e quale duemila anni dopo, avviene perché qualcosa è stato omesso, perché una certa evoluzione che sarebbe stata possibile – resa possibile da Lui – è stata omessa. Quindi, nel punto in cui siamo adesso, non possiamo dire che sia ugualmente inevitabile. Dobbiamo renderci conto che, duemila anni dopo, se l’individuo singolo non c’è o non emerge, o viene ucciso, questo diventa un male morale, non è più qualcosa di inevitabile, diventa male morale nel senso che qualcosa di bene è stato omesso. E più si va avanti e più sarà così.
Replica: È un po’ come dire: perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).
Archiati: Oggi non vale più quella frase, perché dovrebbero sapere e hanno omesso di sapere. Solo nel momento della svolta era vero, non potevano sapere. Lui è venuto a portare lo Spirito Santo, che significa capire le cose. E se Lui viene sparendo fisicamente crea i presupposti per lo Spirito Santo.
Replica: Perché prima non c’era conoscenza e quindi non potevano capire.
Archiati: Sì, ma non puoi presupporre che ci sia subito, in due ore.
Intervento: Infatti, dirà: «ve lo manderò».
Archiati: Ve lo manderò è al futuro, perché ci vuole tempo, le cose non avvengono in un attimo.
Intervento: Si parla di Spirito Santo anche prima di Cristo però.
Archiati: No, dove?
Replica: Nei testi dell’Antico Testamento.
Archiati: No, si nomina lo Spirito di Jahvè, di quello che vuoi, ma quello non è lo Spirito Santo. Dello Spirito Santo nell’Antico Testamento parlano profezie e profeti, ma è solo preannunciato.
Replica: Quindi è l’annuncio dell’interiorizzazione del Cristo.
Archiati: Del Messia.
Replica: Quindi com’era il concetto di Spirito Santo prima di Cristo?
Archiati: È preannunciato che verrà, perché se il Messia venisse per condurre gli esseri umani dal di fuori come ha sempre fatto suo Padre… ma stia da suo Padre, no? La conduzione dal di fuori ce l’abbiamo già, che viene a fare? È chiaro che, per i profeti, il concetto di Messia era che questi crea i presupposti della svolta da una conduzione dal di fuori a una conduzione dal di dentro per gli esseri umani.
Questa è la grande profezia sull’evoluzione, perché se non c’è questa profezia non c’è nulla di nuovo. La concezione dell’evoluzione dell’islam, del Corano per essere più precisi, è che non c’è mai nulla di nuovo perché c’è solo l’onnipotente Allah, che c’era fin dall’inizio.
Replica: Non c’è nessun Figlio.
Archiati: Non c’è nessun Figlio. Man mano che andiamo avanti il testo si fa sempre più preciso e ci chiarisce le cose. Il versetto 16,7 si conclude così: «Se io vado, posso mandarlo, lo manderò a voi». Il verbo è giustamente al futuro perché è un processo che riguarda tutto il futuro dell’evoluzione. Non è che lo mandi di colpo e tutto in una volta, è un processo evolutivo che riguarda tutta la seconda metà dell’evoluzione.
16,8 «E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio».
E Colui, venendo, nel suo venire che è sempre in atto, convincerà – ἐλέγξει (elènxei) – il mondo di tre cose, che sono le tre cose che vi ho scritto qui alla lavagna (V. Dis. 4):
• del peccato,
• della giustizia,
• e del giudizio, della crisi, crisis.
Che termini avete nelle vostre traduzioni?
Dal pubblico: Peccato, giustizia, giudizio.
Archiati: Per la teologia tradizionale non è semplice, ve lo dice uno che ha fatto dieci semestri di studi alla Gregoriana di Roma. Non è facile capire, ci sono discussioni, libri di esegesi, dove viene detto: significa questo, significa quest’altro. Che vuol dire peccato? Che vuol dire giustizia? Che vuol dire giudizio? Non è semplice!
Io offro i miei spunti di pensiero allo spirito di ciascuno di voi, ma l’unica cosa che m’interessa è di offrirli come stimolo, e poi ognuno ne fa quello che vuole. Un convincimento, un’esperienza mia è che con le chiavi della scienza dello spirito di Rudolf Steiner, posti di fronte a questa frase fondamentale, questa diventa così intuitiva, così giusta che uno dice: ma è chiaro, è così semplice!
Perché allora la teologia fa fatica? Perché non ha in mano strumenti conoscitivi adatti, degni dell’epoca dello Spirito Santo, che devono essere molto più scientifici, molto più precisi. La teologia tradizionale, in chiave di fede, era bella, perché la fede ci deve essere nella prima fase del cristianesimo, però dove si tratta di capire il testo a livelli più scientifici serve dell’altro. Noi studenti dicevamo: ma spiegami, io lo voglio capire più chiaramente, queste tre parole devono significare qualcosa di preciso! Non è chiaro quello che tu dici, professore. Alla fine i professori si arrabbiavano e dicevano: tu sei venuto qui da studente, sei studente, non sei professore! Devi imparare le cose a memoria e poi quando passi l’esame tutto è a posto.
Allora, lo Spirito Santo convince, e va capito il significato di questo convincere – ἐλέγξει (elenxei). Convincere è un dimostrare, quale dev’essere il modo di dimostrare dello Spirito Santo? Dice qualcosa per autorità, e io gli devo credere?
Intervento: Ci dà una possibilità di comprendere, è un pensiero, una possibilità di pensiero.
Archiati: E qual è il pensiero che gestisci in proprio? Dove hai la percezione tua. Quindi, lo Spirito Santo ha soltanto il diritto di mostrarmi qualcosa e, nel mostrarmelo, la presa di posizione del mio pensiero diventa una di-mostrazione. Perché se me lo dimostra Lui a livello di pensiero allora vuole trapiantare il suo pensiero dentro di me, e non è lo Spirito Santo, è una conduzione dal di fuori!
Lo Spirito Santo mostra a ogni essere umano, a livello di percezione, rende percepibili, in modo che il pensiero di ognuno possa prendere posizione, tre cose e in quest’ordine: rende percepibile il peccato, cioè la caduta, poi la giustizia e per ultimo il giudizio, cioè la crisis.
È percepibile lo spirito caduto?, e dove? Basta che ognuno di noi faccia un minimo di introspezione, e avrà la percezione assoluta dello spirito caduto! Che cosa percepisco in me? Uno spirito che dello spirituale non capisce nulla, non lo vive come reale e vive come tali solo le cose materiali. Se non è percezione questa!
La prima esperienza che lo Spirito Santo allora ci dà è di percepire la caduta dello spirito umano, perché se non la percepiamo non ci convinceremo mai che questo va redento! In altre parole, il primo dono dello Spirito Santo è l’onestà interiore. Ditemi voi se ci può essere un testo più pulito di questo Vangelo, più fondamentale.
La seconda cosa che ci mostra – e se noi la percepiamo veramente diventa una dimostrazione per il nostro spirito –, è la giustizia. La sequenza della dicitura non è quella storica, della caduta, della crisi (o giudizio) e della giustizia. Ma dice, in quest’ordine: caduta, giustizia e crisi.
Il secondo passo di questa conversione interiore è che allora devo percepire l’inversione della caduta, che è la redenzione dello spirito, il far giustizia allo spirito. La caduta è un’ingiustizia fatta allo spirito, un’autonegazione, più ingiusto di così! E qual è la giustizia dello spirito? L’autoaffermazione. Il futuro dell’evoluzione è di dare giustizia allo spirito e quindi viverlo come realtà, la più sacra che ci sia. L’umano caduto è ingiusto nei confronti dello spirito perché lo nega, lo ignora o addirittura lo soffoca. E per passare dalla caduta dello spirito al rendere giustizia, all’essere giusti nei confronti dello spirito, bisogna invertire la marcia.
Ecco la crisi, la conversione, l’inversione di marcia, la svolta!, dall’andar giù al cominciare ad andare su, è quello che in termini religiosi si chiama redenzione.
Intervento: Perciò il giudizio è…
Archiati: “Giudizio” è una traduzione fuorviante, in greco c’è crisis. Ma cosa significa giudizio?
Intervento: Separare...
Archiati: Però il concetto di crisis viene sfocato.
Intervento: Avviene una separazione
Archiati: Sì, avviene una separazione, però il concetto viene confuso.
Intervento: Nel testo però c’è prima giustizia e poi giudizio.
Archiati: La sequenza storica è: prima la caduta, poi la crisi e poi la giustizia. Ma nella sequenza conoscitiva è diverso, tu devi prima sapere dove vai per fare la svolta!
Replica: Per cui c’è prima la giustizia.
Archiati: Certo. E lo Spirito Santo cosa ti porta? Non ti porta i passi che devi fare tu, ti porta la conoscenza, e perciò te li mette in sequenza conoscitiva. Ci siamo capiti o lo devo ripetere? La sequenza di esecuzione storica, la sequenza di esecuzione evolutiva, e quindi volitiva, che deve compiere ognuno, è che: prima c’è la caduta, poi c’è la svolta, quindi crisis, giudizio, e infine c’è la giustizia. Questa è la sequenza evolutiva.
Qual è invece la sequenza conoscitiva? Prima devo rendermi conto della caduta, poi devo rendermi conto che questa caduta va invertita – quindi, in secondo piano, deve venire la conoscenza della meta, della direzione –, e come terzo passo conoscitivo dico: «Allora, se devo andare a finire lì, devo invertire la marcia». Questo è il terzo passo, è dirsi: sto andando nella direzione sbagliata!
Intervento: Il Vangelo di Giovanni è conoscitivo.
Archiati: Certo, è il Vangelo del Logos. E adesso insiste dove si tratta dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo non ti costringe a fare i passi, te li fa conoscere, ti fa capire in che tipo di evoluzione ti trovi.
Intervento: Ecco perché nella frase di prima Lui, al centro dell’evoluzione, dice: «Vi dico queste cose affinché quando sarà giunta l’ora…».
Archiati: Adesso si capisce meglio anche quella frase lì, no? Cioè: la conoscenza può anticipare, noi ci diciamo queste cose perché la conoscenza anticipa, però i conti li farete quando arriverà l’ora, i conti reali, volitivi e operativi. In altre parole, la conoscenza va più veloce dell’evoluzione morale.
Intervento: Il percepire è immediato, il fare è poi un’azione che richiede tempo.
Archiati: Capire è un lampo, il fare è una trasformazione interiore che ha bisogno di tutti i secoli dell’evoluzione. La mente dice: «Devo!, il senso del mio cammino è di amare il prossimo mio come me stesso». La mia testa è già alla fine dell’evoluzione e adesso io sono così amante che amo il prossimo mio come me stesso, subito! Questo è un esempio di come la mente ci arriva subito, non è che lo capisca in tutto e per tutto, ma perlomeno come concetto ce l’ha, perché un concetto o lo capisci o non lo capisci. Per la trasformazione interiore che ci vuole, altro che anni!, occorrono diverse vite. E se uno non perde colpi, tra l’altro, perché si possono anche perdere colpi.
Adesso siamo nei misteri dello Spirito Santo, Lui porta alla coscienza, convince. Convince significa porta a coscienza, ed è una coscienza mia, dicevo, soltanto se tu mi dai l’elemento di percezione, però poi il processo di prendere posizione pensante è mio!
Adesso nel Vangelo ci sono tre frasi: la prima frase è sulla caduta, la seconda frase è sulla giustizia, la terza frase è sul giudizio. In chiave conoscitiva: per capire il carattere della caduta, per capire il carattere dell’ascesa, della redenzione, e per capire il carattere della svolta. È interessantissimo, eh? Perciò vi dicevo che, veramente, soprattutto nei discorsi dell’Ultima Cena, ogni versetto è una frase di meditazione su cui si possono scoprire sempre cose nuove, infinite, perché qui è compresa tutta l’evoluzione. Allora:
16,9 «Quanto al peccato, perché non credono in me».
16,10 «Quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più».
16,11 «Quanto al giudizio, perché il Principe di questo mondo è già condannato».
Il versetto nove è sul peccato, su quello che noi chiamiamo peccato, il dieci è sulla giustizia e l’undici è sulla crisi, sul giudizio. Proprio sistematico il Vangelo! Di queste tre cose lo Spirito Santo convincerà, dimostrerà, mostrerà al pensiero umano, in modo che questo mostrare diventi, per noi pensanti, una dimostrazione.
Quanto al peccato, quello che noi traduciamo in italiano con peccato: ὃτι οὐ πιστεύουσιν εἰς ἐµέ (oti ù pistèuousin eis emè) «perché non hanno creduto in me». L’essenza della caduta, del peccato, è non credere nell’Io o perdere coscienza dell’Io, vivere con l’elemento di natura, con la conduzione divina, perdere di vista la libertà del singolo.
La parola greca che noi traduciamo con peccato, cosa dice? Tra l’altro, peccato è una brutta traduzione; l’italiano, quando sente la parola peccato, suscita nel suo animo delle cose che, pur essendo tutte legittime, non hanno nulla a che fare con la parola ᾁµαρτία (amartìa).
Intervento: Vuol dire che l’uomo si è troppo articolato nel corpo…
Archiati: Brava! Dovendo spiegare questa parola in Germania, ero andato a fare degli studi in Omero, perché in lui ci sono proprio le origini della lingua greca. Risaliamo al nono, decimo secolo prima di Cristo, ancora prima del 746 e, secondo me, si può evincere, studiando l’Iliade e l’Odissea, che l’origine della parola greca ᾁµαρτία è: ¤µα (camà) che in latino è simul, che significa insieme, e ἄρτιος (artios) cioè arto. Come a dire che l’anima umana si è inserita dentro agli arti del corpo: questo è il peccato!, che i processi psicologici sono diventati sempre più dipendenti dalla fisiologia.
Intervento: Scusa, ma questo potrebbe intendersi anche adesso con il materialismo?
Archiati: Certo, questo è il materialismo. In Germania, ma di sicuro anche in Italia, c’è proprio una lotta durissima, non passa settimana che sui giornali, sulle riviste, non ci siano articoli e discussioni feroci. Di solito c’è uno scienziato conosciuto, un teologo o qualcun altro (l’ultimo che ho letto era di un giurista) che parla della libertà: se c’è o non c’è.
La scienza naturale che cosa ti dice? Che sono i geni a decidere che cosa pensi e i sentimenti che provi! L’anima umana, cioè i fenomeni psichici, sono un epifenomeno, sono una funzione di ciò che avviene nella realtà corporea.
Intervento: È quello che dicono anche nella medicina del Sud, i grandi medici del Sud dicono che è tutta una questione di DNA.
Archiati: Cosa intendi con “medici del Sud”? Dimmelo perché io non lo capisco.
Replica: Intendo la classe medica pugliese, lo dico perché questa è la mia esperienza.
Archiati: Soltanto in Puglia?
Dal pubblico: Dappertutto!
Archiati: Io avevo l’impressione che non fosse un fenomeno pugliese, avevo proprio l’impressione che fosse un fenomeno umano, dell’umanità di oggi.
Replica: Scusa ma io speravo, siccome Milano io la conosco dal 1971, e praticamente l’ho vista solo dal punto di vista del lavoro, come un’enorme macchina per far soldi, speravo che nel Sud fossero più illuminati.
Archiati: Ma guarda che a Milano non ci sono marziani, ci sono uomini anche a Milano. Tutta l’umanità è in uno stato di caduta, altrimenti non avremmo nulla da fare. E lo stato di caduta dell’umanità oggi è ancora più definitivo che non duemila anni fa.
Il Cristo doveva venire un’ora prima del punto infimo dell’evoluzione, perché se fosse venuto al punto infimo dell’evoluzione non avrebbe avuto nessuna possibilità di essere notato e il Suo venire non sarebbe servito a nulla. Quindi è venuto un’ora prima e ha detto a Pietro: io ti chiamo Pietro perché devi accompagnare l’umanità in quel periodo di cultura dove ci si identificherà con ciò che è morto, con le leggi di natura morte, così da negare in tutto e per tutto lo spirito. Questa è la grande profezia che il Cristo fa a Pietro.
Replica: Aspetta, ma allora, siamo ancora più giù? Cioè adesso, nel 2005, non dovremmo essere su?
Archiati: No.
Replica: Siamo ancora giù?
Archiati: Siamo ancora più giù che duemila anni fa. Sta attenta, la cosa è molto semplice: una possibilità di negare la realtà dello spirito come c’è ora, culturalmente, non c’è mai stata prima! Duemila anni fa era impossibile negare la realtà dello spirito con la stessa intolleranza, con lo stesso potere di questo mondo come si sta facendo oggi, quando chi afferma la realtà dello spirito non ha nessuna voce in capitolo.
Replica: Perché adesso la scienza si è sviluppata in senso materialistico, cioè si è ancora più sotto.
Archiati: E ci troviamo a questo punto. Per questo il Cristo dice: «Quando l’ora verrà». Perché questa profezia vuol dire che l’ora più buia dell’umanità non è ancora venuta. È il mistero dell’uomo che si uccide, di Giuda che come individuo ha anticipato – Giuda è un precursore dell’evoluzione – di duemila anni il punto evolutivo in cui si trova tutta l’umanità di oggi. Cos’è il materialismo? Suicidio al cento per cento dello spirito umano!
Dobbiamo vedere tante cose di duemila anni fa in chiave profetica. Quanto a evoluzione storica, l’uccisione del tutto reale dello Spirito del Sole incarnato è avvenuta allora, mentre a livello di coscienza avviene duemila anni dopo. A livello storico è avvenuta duemila anni fa, a livello di coscienza umana avviene oggi, nei tempi in cui diventa possibile il ritorno del Cristo a livello spirituale. Dove diventa possibile l’esperienza spirituale del Cristo deve essere possibile, per la prima volta, anche la Sua uccisione spirituale, non soltanto quella materiale. Noi viviamo nel tempo della possibilità di uccidere spiritualmente il Cristo e quindi, in un certo senso, l’evoluzione si divarica sempre di più.
Allora diciamo: lo Spirito Santo – ed è quello che stiamo cercando di fare, pur balbettando – convince, cioè fa capire allo spirito umano che cos’è la caduta. Cioè che lo spirito umano si identifica, diventa sempre più dipendente dalla fisiologia, dagli arti del corpo, da tutte le forze della natura presenti nell’uomo, fino al punto da negarsi come istanza a parte.
Intervento: E Omero intendeva questo con quella parola?
Archiati: È nella lingua, è l’Arcangelo della lingua greca.
Replica: Io intendevo dire: quando Omero ha usato quella parola intendeva questo?
Archiati: Fino a che punto Omero l’abbia capita è un’altra questione. Omero all’inizio dice: «Cantami o musa l’ira funesta del pelide Achille». Oppure di Odisseo ecc... Questo significa: i contenuti non sono miei!, sono di ispirazione divina.
Intervento: Cioè dice che lui dipende dalla musa?
Archiati: Certo, certo, non è farina del sacco di Omero, te lo dice subito all’inizio. Siamo a mille anni prima di Cristo, è la rivelazione divina. Vuoi pretendere un Omero già imbottito dello Spirito Santo, già individualizzato? Però l’Arcangelo che ha coniato questa parola, lui sì che sapeva cosa faceva!, altrimenti non formava una parola del genere. È un inarticolarsi dell’anima nel corpo.
Intervento: Cioè la caduta.
Archiati: Però caduta non è intesa come qualcosa di moralmente cattivo, ma avvenuto come necessità evolutiva. Se noi prendiamo l’immagine dell’anima di Platone e poi quella di Aristotele, che differenza c’è? In Platone l’anima è ancora indipendente dal corpo, perché usa l’immagine dell’auriga e del carro con i cavalli. L’auriga può scendere dal carro e lascia andare i cavalli, è indipendente, sono due realtà distinte. Tant’è vero che la morte consiste nel fatto che cavalli e carro se ne vanno per conto loro e l’auriga se ne va per conto suo. Arriva poi un Aristotele (che l’avete studiata a fare la storia della filosofia?), neanche un paio di decenni dopo, e dice: «L’anima è la forma del corpo». Afferma che non può esistere senza corpo!
Intervento: Quindi Aristotele è scivolato ancora più giù? Perché se l’anima è la forma del corpo…
Archiati: Ma scusa, man mano che l’umanità va avanti cade sempre di più, no? I conti non tornerebbero se Aristotele fosse stato prima di Platone. La caduta non è fatta soltanto di scivolamenti continui, ogni tanto c’è anche…
Intervento: Un tonfo!
Archiati: Un tonfo, brava, grazie degli aiuti! Ogni evoluzione è fatta sia di continuità sia di salti. Steiner dice: tra Platone e Aristotele c’è come un Rubicone, un salto. Ed è interessantissimo studiare, leggere i testi di Platone e Aristotele proprio con queste chiavi di interpretazione, ci trovate dappertutto una conferma assoluta, una dimostrazione dello Spirito Santo, di quello che dice la scienza dello spirito.
Allora, abbiamo capito cos’è la caduta? Ci siamo? e adesso passiamo alla giustizia. Rendere giustizia è essere giusti nei confronti dell’uomo. La caduta è una grande ingiustizia all’uomo, perché, scusate, diventare dipendente in tutto e per tutto dal DNA rende giustizia allo spirito umano? È l’ingiustizia più grande che ci sia! Ed è anche la più grande fortuna che ci sia mai successa, perché soltanto partendo da questa ingiustizia, che grida vendetta al cospetto di Dio, posso riconquistarla io la giustizia.
E come la descrive il Vangelo? Al versetto 16,10: «Quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più». La frase sulla giustizia è la più lunga delle tre: περὶ δικαιοσύνης (perì dikaiosynes), «Sulla giustizia», convincerà, dimostrerà, quindi mostrerà a livello di percezione, in modo che noi, percependo questa giustizia, dimostriamo al nostro spirito che le cose stanno così. E che cosa dimostra? ὅτι πρὸς τὸν πατέρα (oti pròs ton patèra) ὑπάγω καὶ οὐκέτι θεωρεῖτέ µε· (upàgo kai ucheti theoreite mè), «che io vado al Padre e non mi vedrete più». La giustizia nei confronti dello spirito umano è l’accesso al Cristo puramente spirituale e non più per percezione sensibile. Puramente spirituale perché Lui sparisce e se ne va al Padre. E qual è l’accesso al Cristo puramente spirituale? Dove deve diventare attivo il nostro spirito?
Intervento: Nel pensiero?
Archiati: No, il pensare è la giustizia, ma l’accesso? Ogni percezione sensibile!, quello è il Padre, il Padre è ogni percezione sensibile. Di fronte a ogni percezione sensibile, cosa facciamo noi? Creiamo il concetto, questa è la giustizia dello spirito umano: ricreare tutta la creazione a partire dallo spirito umano; e il presupposto è che il Cristo vada al Padre. I concetti ritornano nascosti in tutte le percezioni, come sono sempre stati. Però il Cristo è venuto a dirci: «Datti una mossa!, il Logos si è fatto carne perché tu lo spiritualizzi dentro di te».
Va bene anche il secondo punto? Adesso, naturalmente, viene dimostrata anche la terza affermazione. Una volta capita la piombata in giù e il carattere del ritornare su, in che cosa consiste la crisi? Consiste nel fatto che bisogna creare i presupposti per la risalita, sennò non c’è libertà.
Quindi l’evoluzione apre due direzioni fondamentali che prima non c’erano, prima della svolta dovevano tutti andare in un’unica direzione, non c’era altra possibilità. Nella crisi l’evoluzione crea un’alternativa fondamentale per rendere possibile la libertà.
E come lo dice il Vangelo? Περὶ δὲ κρίσεως (Peri de criseos) «sulla crisi, perché il principe di questo mondo viene giudicato», si apre la possibilità di lasciarsi prendere, avvinghiare dai determinismi di natura.
Il principe di questo mondo è il determinismo di natura, è il DNA, e guai se l’uomo non avesse la possibilità di lasciarsi andare ai geni, non sarebbe libero. Se io non esercito la creatività dello spirito, non lo fa nessuno per me, il DNA non perde mai colpi! Io posso perdere colpi, ma non lui, perché la natura opera secondo il determinismo, di necessità. Qual è il peccato contro lo spirito? L’omissione. E l’operare della natura, è un male? No, è necessario!
Intervento: Fino a ora il determinismo di natura non era il mondo del Padre?
Archiati: Certo, lo è, lo è.
Replica: E adesso è il mondo del principe di questo mondo?
Archiati: Se ti riduci a quello, se l’uomo si riduce a quello; e deve avere la possibilità di ridursi a quello, se no non sarebbe libero.
Replica: Non vedevo il punto di congiunzione.
Archiati: Il Padre dei Cieli, per renderti possibile la libertà deve crearti anche la trappola, no?
Intervento: Siamo in Mefistofele.
Archiati: Siamo in Mefistofele. Ma attento: quel Padre di cui tu parli, è un Padre che manda il Figlio o che non vuole il Figlio?
Risposta: Che manda il Figlio.
Archiati: E allora cosa vuol dire il fatto che però Lui resta Padre? Metti insieme i vari pensieri, con la tua testa. Cioè: Lui è il Padre, è lo spirito del determinismo di natura, ma allora, vuole ridurre l’uomo a natura o manda il Figlio?
Replica: Rinuncia al suo potere e manda il Figlio.
Intervento: Crea i presupposti.
Archiati: Dà a ogni essere umano tutte e due le possibilità, altrimenti non c’è libertà. In quanto Padre, gli dà la possibilità dell’onnipotenza della natura, in quanto Figlio gli dà la possibilità della libertà, capisci? Il Padreterno deve rendere all’uomo le due vie della libertà ugualmente possibili.
Intervento: Indubbiamente.
Archiati: Bene, bene. Non restano più aree di ombra nel pensiero?
Replica: Adesso mi hai dato quest’impulso nuovo e devo rivedere il mio pensiero in base a questo impulso.
Archiati: Certo. Perché noi, in fondo, siamo abituati a pensare che anche di fronte a queste due strade della libertà, questo Padreterno, la natura, ci deve dare una spinta, invece non la dà! Ti mette davanti due strade e a scegliere sei tu.
Intervento: Tu però, a proposito di questa scelta, proponi due parole nella stessa frase, che sono: crisi e giudizio. Sulla crisi: è giudicato il principe di questo mondo.
Archiati: No, in greco c’è soltanto crino.
Intervento: Puoi darci la traduzione?
Archiati: «Riguardo alla crisi: poiché il principe di questo mondo viene giudicato», viene messo in crisi.
Intervento: Il tradurre crisis con giudizio, mi mette in uno stato quasi di allarme e di attenzione rispetto a questa possibilità delle due vie. Con la parola giudizio si scivola più in un aspetto moralistico, quindi è diverso.
Archiati: Lascia perdere la traduzione e cerchiamo di capire cosa dice il Vangelo greco. Torniamo alla domanda di prima. Che cosa significa: «Il principe di questo mondo viene giudicato»? Questa è la frase che vogliamo capire un pochino di più. Significa che prima della venuta del Cristo non era stato giudicato. Allora, cosa è avvenuto di nuovo nei confronti del principe di questo mondo?
Intervento: Si è capito il ruolo del determinismo di natura.
Archiati: Che il determinismo di natura, fino a quel punto lì, non poteva discriminare gli uomini, perché non c’era alternativa. Ora sorge un’alternativa, e quindi sorge il giudizio nei confronti del principe di questo mondo. Lo ripeto: prima della venuta del Cristo non c’era alternativa alla conduzione dal di fuori, al determinismo, alle forze di natura nelle quali opera il Padre, quindi il principe di questo mondo non poteva venire giudicato buono o cattivo. Ora il principe di questo mondo, in quanto pretesa di determinare l’uomo, viene giudicato come rovina dell’uomo, perché il senso della seconda metà dell’evoluzione è di fare della natura un sostrato per l’emergere della libertà.
Intervento: È di nuovo il discorso che non era ancora giunta l’ora.
Archiati: In altre parole, prima del Cristo non si poteva discriminare tra natura e libertà, perché c’era solo la natura.
Intervento: Cosa vuol dire esattamente principe?
Archiati: Determinismi di natura.
Intervento: Ma perché principe?
Archiati: Il principe è uno che determina e governa l’uomo. Ἄρχων (Archon) è il principio della causalità, causante in assoluto, e quindi viene giudicato come ingiusto nei confronti dell’uomo, ma viene giudicato ingiusto nella seconda metà dell’evoluzione, non nella prima. Si capisce meglio adesso l’affermazione?
Intervento: Nella prima metà, non è Dio Padre il principio?
Archiati: Ma guarda che Dio Padre e natura sono la stessa cosa!
Replica: E dopo diventa Satana?
Archiati: No, dopo Cristo la natura continua a essere neutra, però nella seconda metà lo spirito umano ha due possibilità: può ridursi a natura, e questo è un male morale perché perde la sua libertà, o può usare la natura per esercitare la libertà. La libertà non si esercita “per aria”!
Intervento: Usando la natura.
Archiati: Usando la natura, questo è il criterio; il criterio del bene e del male dopo Cristo è la libertà umana. E questo criterio giudica anche il principe di questo mondo.
Intervento: Allora posso dire che posso ridurmi a essere solo istinto, oppure…
Archiati: Certo, questa è la scelta della libertà. E adesso, usando le tue parole, che vuol dire: mi riduco a puro istinto?
Intervento: Lasciar spazio a tutto…
Archiati: Ometto la dimensione dello Spirito Santo. E deve essere omissibile, perché altrimenti non sarei libero. I grandi peccati dopo la venuta del Cristo sono i peccati di omissione. Manca la giustizia nei confronti dello spirito. Cos’è il mancare? È un’omissione. Tanto è vero, ve l’ho detto tante volte, nel cosiddetto giudizio universale (Mt 25,31) in chiave di spirito cristiano ci sono solo peccati di omissione: potevate fare questo cammino del vostro spirito, potevate fare questi passi evolutivi e non li avete fatti!
C’era da dar da mangiare all’Io e non gli avete dato da mangiare, l’Io aveva sete e non gli avete dato da bere. L’Io ha fame nel suo corpo fisico, e avete omesso tutta l’evoluzione del corpo fisico. L’Io ha sete nel suo corpo eterico, e questo riguarda l’evoluzione del corpo eterico. «Ero nudo e non mi avete rivestito», significa: avete omesso anche tutta l’evoluzione del corpo astrale. Tutto questo è omettere di rendere giustizia allo spirito umano, e la giustizia dello spirito umano è di essere creatore, altrimenti non è spirito.
Intervento: Noto, se il mio testo è giusto, che i tre verbi delle tre frasi sono al presente. Prima hai detto «non hanno creduto», ma in verità sono tutti e tre al presente, o sbaglio?
Archiati: Vediamo: sono i versetti dal nove all’undici. Per il peccato, prendiamo la traduzione tradizionale: «In quanto non credono in me» Óτι οὐ πιστεύουσιν εἰς ἐµέ· (oti ù pistèuousin eis emè). Questo οτι (oti) noi lo traduciamo con perché ma significa anche in quanto.
Nel versetto dieci, circa la giustizia dice: Óτι prÕj tÕn patšra Øp£gw (oti pròs ton patèra upago) «perché Io vado al Padre» è tutto al presente. Sparisce alla vista «e non mi vedrete più», non ci sarà più, questo implica che non c’è una seconda venuta del Cristo a livello fisico.
Nel versetto undici, circa la crisi: «Poiché il principe di questo mondo viene giudicato».
Sì, sono tre presenti, i presenti eterni dell’evoluzione. Però la possibilità di vederlo fisicamente non ci sarà più, perché Lui sta per sparire, e allora lì c’è il futuro: «Non mi vedrete più». Il fatto che viene giudicato è al presente perché viene sempre giudicato, cioè: questo discernimento degli spiriti è sempre in corso, che l’essere umano se ne renda conto o no.
Perché sottolineavo che i grandi peccati sono di omissione? L’omissione più grande è di non notare ciò che è in corso e di dormire. Ma il fatto che io dorma non significa che non sia in corso: è in corso! Una persona che dorme potrebbe dire, potrebbe mettersi in testa: non ho fatto niente di male. Un momento!, “dormire” è il male più grande dello spirito perché è omissione su tutta la linea.
Cosa vuol dire questo? Che la responsabilità morale più grande di tutte è coltivare lo spirito, perché se non lo coltivo se ne va a ramengo. Lo spirito non resta uguale: o va avanti o va indietro, perché se potesse restare uguale non ci sarebbe la libertà. Nella libertà, o vai avanti o vai indietro, anche se non te ne accorgi.
Intervento: Quel «vado al Padre» è riferito al fatto che morirà, oppure c’è un qualche correlato col mondo della natura, per cui Lui si nasconde dietro al mondo della natura, che deve essere fatta risorgere attraverso lo spirito?
Archiati: Certo. È la seconda ipotesi, chiaramente, perché la prima non avrebbe senso, se la pensi fino in fondo. Per chi di noi mastica Steiner, sono le conferenze di Kassel (O.O. 112), il titolo del libro è Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca. Nelle ultime conferenze di questo ciclo, ma proprio in un modo massiccio, Steiner descrive cosa significa la frase «Io vado al Padre». Significa: entro nella morte e faccio della Terra il mio corpo. Quindi il Cristo si trova soltanto nella percezione dei sensi, perché soltanto lì il pensiero può prendere posizione liberamente. Quello è l’andare al Padre.
Intervento: Quindi risponde anche alla domanda di prima. Il Padre, come determinismo di natura, sembrava fosse in contrasto con questo processo dell’operare del Figlio, invece adesso vediamo che nell’operare del mondo della natura possiamo trovare anche lo spirito del Figlio.
Archiati: Soltanto lì! Dove vinco il determinismo di natura? Standone fuori o standoci dentro? Se sono fuori non lo posso vincere, sarei un Angelo! Prendiamo un’immagine che abbiamo commentato a lungo, quella dell’adultera, che poi è un’immagine dell’anima umana diventata adultera nei confronti dello spirito. La portano davanti a Lui, la vogliono lapidare, la vogliono uccidere. Cosa fa il Cristo? Scrive nel mondo della percezione, sulla Terra, gli atti degli uomini.
Cos’è il karma? Cosa mi viene incontro nel mio karma? Le mie azioni rese percepibili ai sensi esterni dall’Essere dell’amore, perché le ha scritte nella Terra. Le azioni da me compiute mille anni fa le ha scritte tutte nella Terra; io non so cosa oggi vivrò – ma nulla mi capita a caso – e nel corso della vita mi succede tutto ciò che Lui mi porta incontro, perché l’ha scritto nella Terra. E mi deve portare le mie azioni passate in forma di percezione sensibile: se devo incontrare una persona ma non la vedo, a che mi serve?
«Io vado al Padre» significa: caro essere umano, mi trovi in ogni percezione sensibile, soprattutto in quelle percezioni che hanno a che fare non con la natura uguale per tutti, ma che hanno a che fare con il tuo karma! Quando studio le ali di una farfalla, non hanno a che fare particolarmente con me perché sono elementi della natura uguali per tutti. Ma quando sono alle prese con una persona proprio… impossibile!, quella non è una percezione che hanno tutti. Non è anche questo un frammento del Cristo che va al Padre? Eccome se lo è!
Allora, i farisei vorrebbero fare un linciaggio, una giustizia sommaria e lapidare l’adultera, che livello di coscienza è? E il Logos che fa? Due volte si china e scrive sulla Terra. Per fare un adulterio, a quanto mi risulta, ci vogliono due persone, ci vuole anche il maschietto, no?, e ogni realtà karmica ha il suo pareggio. Ora siamo ancora a metà dell’evoluzione, quindi in ogni azione che compiamo c’è ancora una somma infinita di egoismo. Il karma ci porta incontro, proprio a livello di percezione, le circostanze che ci permettono di confrontarci con tutto ciò che dobbiamo pareggiare, e ognuno di noi ha tantissimo da pareggiare perché siamo tutti pieni di egoismo.
Allora la domanda è: in che modo il Cristo, pieno d’amore, porta incontro a queste due persone l’occasione per pareggiare la somma di egoismo, che c’è in tutti, con l’amore? In che modo lo deve fare? Se questo pareggiare deve essere un esercizio della libertà, lo deve fare attraverso una percezione sensibile in modo che abbiano la possibilità di non accorgersi di nulla.
Per cui questa donna, mille anni dopo, vive di nuovo sulla Terra, e anche l’uomo con cui ha compiuto adulterio si reincarna. Supponiamo che il Cristo un bel giorno li faccia incontrare, perché il karma è fatto così. Dov’è la libertà? Che tutti e due possono dire: gli incontri avvengono a caso! Oppure può anche darsi che si riconoscano: ma ci siamo visti mille anni fa a Gerusalemme!, tu perché eri un maschietto sei scappato, però io, perché ero donna, stavo per venire uccisa. Per fortuna c’è stato il Cristo che ha detto loro: «Ma no!, non è così che si fa la giustizia». Come si fa la giustizia? Adesso ritorniamo a un livello molto profondo, qual è la giustizia del karma? Dare l’occasione del pareggio, però senza costringere, altrimenti non ci sarebbe la libertà.
Intervento: Sarebbe interessante vedere quale sarebbe in questo caso il pareggio.
Archiati: Sì, però come linea di principio è molto semplice, qual è il pareggio dell’egoismo?
Dal pubblico: L’amore.
Archiati: E quando l’amore mi costa, cosa vuol dire?, che c’è stato più egoismo. Se amare una persona mi costa di più, vuol dire che lì c’è stato più egoismo che altrove. E quindi va bene metterci più amore. Basta farlo volentieri e goderlo. Quindi le persone più difficili sono le nostre più grandi fortune, perché sono le occasioni più grandi di pareggio. I conti tornano. Suona paradossale alla coscienza umana caduta, ma se noi ci riflettiamo un momentino, dobbiamo onestamente dirci: sì, non può essere che così.
Intervento: E perciò Socrate andava d’accordo con Santippe.
Archiati: Andava d’accordo con chi?
Replica: La moglie, era la sua occasione di pareggio.
Archiati: E lui se l’è goduto il pareggio. Anzi non è mica tanto finita in pareggio, forse è andata a finire due a uno, tre a uno, così che poi resti anche a Santippe qualcosa da fare, avrà poi l’occasione lei di pareggiare. Vuoi rendere un po’ interessante il gioco, o no?, mica vuoi pareggiare tutto subito? Se le cose vanno in pari troppo alla svelta è noiosa, la cosa.
Replica: Un momento, non è noiosa perché almeno si elimina quel karma, ci sono tanti altri karma da eliminare.
Archiati: A te interessava mettere a posto solo quello di Santippe?
Replica: È che più cose mettiamo a posto nella nostra vita meglio è.
Archiati: Ma il giocare non è fatto per mettere a posto, è fatto per il godimento dello spirito. La giustizia nei confronti dello spirito è il godimento del creare. I nostri concetti e le nostre categorie sono troppo punitivi, moralistici. Non c’è niente da mettere a posto!
Replica: Ho capito, sono reduce da un’impostazione troppo meccanicistica.
Archiati: Sì, t’hanno detto che non sei a posto e che devi metterti a posto. Invece il Cristo, che è propositivo, ti dice: ma ci sarebbe tanto da godere, da creare, fai, crea! E i grandi peccati sono omissioni, non sono perché non sei “a posto”.
Allora, vogliamo fare anche i versetti dodici e tredici?
16,12 «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso».
16,13 «Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future».
Questi due versetti tirano un po’ le fila del discorso. Molte delle domande che abbiamo fatto si riferiscono al fatto che Lui, il Cristo, sta spiegando la fenomenologia di tutta l’evoluzione in questa triade. Omne trinum est perfectum, quindi strutturare qualcosa in senso trinitario va bene nel senso che se vediamo una dimensione sola mancano le altre due, se ne vediamo due abbiamo una polarizzazione senza possibilità di trapassi, quando ne abbiamo tre, basta. Più di tre non esiste, e cominciano altre trinità.
Pensare con la struttura del tre – come gli scolastici, come Hegel – significa pensare in totalità. Nella fenomenologia dello Spirito Santo, dove il Cristo dice: «Lo Spirito Santo convincerà», di quante cose convince? Tre!, perché per lo Spirito Santo è convincente. Se capisce le cose si rende conto che il tre è quello più fruttuoso. Pensare nella chiave del tre è il pensare più fecondo, perché ti fa tuffare nella realtà del tutto.
Siccome a livello conoscitivo li abbiamo tutti e tre, però a livello evolutivo di esecuzione siamo a metà, adesso aggiunge: «Ho tante altre cose da dirvi, ma non le potete portare ora – ἀλλ’οὐ δύνασθε βαστάζειν ἄρτι· (all’u dùnasthe bastàzein arti)», perché non ci capireste nulla, o, casomai, vi schiaccerebbero perché vi farebbero paura.
Commentando il Vangelo di Giovanni in Germania ho portato le traduzioni in tedesco, traduzioni moderne. Martin Lutero era l’ultimo coscienzioso, però andiamo indietro di quattrocento anni, lui aveva ancora una venerazione tale nei confronti del Testo Sacro che non si permetteva di cambiarlo. Martin Lutero traduce: «Ho molte cose ancora da dirvi». Le traduzioni moderne dicono: «Avrei tante altre cose da dirvi». Le vostre traduzioni italiane cosa dicono?
Dal pubblico: Ho, ho.
Archiati: Ce n’è almeno una che traduce con avrei?
Dal pubblico: Sì.
Archiati: In greco c’è ho. Naturalmente chi traduce avrei, prima di tutto bara, perché il testo greco è chiaramente ἔχω (echo), senza nessuna variazione, è così in tutti i manoscritti. Bisogna stare attenti in queste piccole cose, perché se noi le leggiamo nei minimi particolari, vi vediamo sintomi di tutta l’evoluzione, basta che li capiamo e abbiamo conferme a non finire. Proprio lo Spirito Santo ci dimostra, però bisogna percepirle le cose. Cos’è questo avrei? I traduttori intendono dire che le avrebbe ma non le ha dette. E se non gliele ha dette?
Intervento: È perché non sono importanti.
Archiati: Ci ha rinunciato. Che razza di Cristo è uno che dice: avrei molte cose da dirvi, ma poi non le dice? O le ha queste cose da dire o non le ha. Non è capace di dirle? Se Lui le può dire soltanto adesso e loro non le sanno portare, deve proibirsi di dirle, è un’umiliazione dire: ho un sacco di cose da dirvi ma voi siete stupidi e non ci capite nulla.
Allora, le dice o non le dice?
Intervento: Le dirà lo Spirito Santo a ognuno, piano piano, dopo, quand’è l’ora sua.
Archiati: Col Cristo l’evoluzione si sforbicia. Oggi, duemila anni dopo, la cultura è andata ancora più giù, e questo è il materialismo.
DIS. 4 (bis)
Il materialismo è per il singolo proprio la possibilità di ricominciare ad andare su. Lo spirito però è conquista dell’individuo singolo, quindi affinché l’individuo conquisti lo spirito è essenziale questo passaggio nel materialismo. Se la cultura fosse spirituale l’individuo non avrebbe nulla da conquistare. Vedete che i conti tornano su tutta la linea.
«Ho molte altre cose da dirvi, ma non le potete portare ora». Uno degli elementi fondamentali del materialismo della cultura e del materialismo del cristianesimo, in quanto fatto di cultura, è che duemila anni fa è stata chiusa la bocca al Cristo. Tutto quello che aveva da dire l’ha detto allora e la rivelazione cristiana si è conclusa col Nuovo Testamento. La cultura materialistica ha decretato che Lui non ha più nulla da dire, che non ha più il diritto di dire nulla.
Questo è uno degli elementi più importanti del materialismo della cultura. Si è materializzata perfino la concezione del Cristo, cioè che Lui può parlare soltanto in quanto parlante fisicamente e non può farlo in quanto Spirito Santo. Il convincimento che il Cristo parla ancora più ad alta voce come Spirito Santo non può esserci nella cultura materialistica, può soltanto essere convincimento dell’individuo.
Per l’individuo che si apre allo Spirito Santo oggi il Cristo dice le cose che lo Spirito umano può capire e portare oggi, e che non poteva capire e portare allora. Il ritorno del Cristo sono le cose che Egli dice ai giorni nostri all’individuo singolo, alla sua libertà. Però, il ritorno del Cristo avviene nella libertà e nella coscienza di ognuno, e il presupposto di cultura è il materialismo che il singolo deve vincere dentro di sé.
In altre parole, tutte le cose più grandi che deve dire – l’abbiamo già visto, dice: «Farete cose più grandi» –, più profonde, le può dire soltanto in quanto Spirito Santo. È possibile che il Cristo, in quanto voce materiale e in quanto istanza esteriore all’uomo, possa dire le cose più profonde? No, perché l’estrinsecità non è la dimensione più profonda dello Spirito, la dimensione più profonda dello Spirito è l’immanenza.
Le cose più profonde le dice nell’immanenza dello Spirito, però non le può dire mentre è fisicamente presente. Vi traduco in chiave di scienza dello spirito questa affermazione: «Le cose più profonde che ho da dirvi, e se ho cose da dirvi ve le dirò, ve le dirò come Spirito Santo quando ritornerete sulla Terra».
Questa frase del Cristo, e anche tante altre, pensata fino in fondo proprio con coscienza morale nei confronti delle parole del Cristo, porta a questo. Lui dice che ha da dirle, queste cose, quindi le dirà. Le dice agli apostoli nello spirito o le dice agli apostoli incarnati?
Intervento: Agli apostoli incarnati.
Archiati: Perché?
Replica: Perché si reincarneranno.
Archiati: Perché se il Cristo potesse raggiungere lo stesso risultato dicendo le cose più profonde dell’evoluzione a spiriti umani escarnati, la sua incarnazione non sarebbe stata necessaria, che è venuto a fare? E anche l’incarnazione dello spirito umano non sarebbe stata necessaria. Questa è una dimostrazione delle ripetute vite terrene? No!, perché una dimostrazione dal di fuori non è più possibile. Quando diventa, per me, un convincimento assoluto, una certezza, allora io sono convinto!, ma non lo posso dimostrare a un altro, perché sarebbe una lesione della sua libertà.
Intervento: Però non tutti gli spiriti umani erano incarnati quando il Cristo era incarnato. Quindi le sue parole…
Archiati: Le sue parole dette con bocca fisica…
Replica: Devono valere anche per chi non era incarnato, sennò c’è una discriminazione.
Archiati: Già ieri abbiamo detto che sono state tramandate e quindi le abbiamo anche noi, nella percezione. Però Lui dice che ha altre cose da dire, oltre a quelle che ha detto e che abbiamo a disposizione anche noi. Quali sono le altre cose? Finché il Cristo è lì, visibile, parla allo stesso modo e dice le stesse cose alle dodici persone, gli apostoli che rappresentano tutta l’umanità. Tutte le altre cose, che non può dire quando parla in modo uguale per tutti, sono le cose che dice diversamente in ogni spirito umano! Quelle sono cose che non può dire dal di fuori! E a partire dallo spirito di ognuno, il Cristo dice tantissime cose che non sono valide per tutti! E sono queste le cose fondamentali che il cristianesimo tradizionale non può capire, perché è il cristianesimo di Pietro.
Intervento: Infatti, si servono delle apparizioni della Madonna.
Archiati: Adesso è morta la terza dei pastorelli di Fatima, mi pare sia Lucia. Vi ho detto, ero sul lago di Como quando è cominciato il fenomeno Medjugorje: sacerdoti cattolici prendono il pullman e vanno fin là. Io dicevo: ma il Vangelo di Giovanni non gli dice niente?
Il Cristo non solo ci dice queste belle cose, che già sono così piene di contenuto, fondamentali, forti, ma poi aggiunge: ne ho tante altre da dirvi! E a Medjugorje cosa viene detto?, quelli che vanno là cosa sentono? Dovete far digiuno e dovete essere buoni.
Quando diciamo che il materialismo della cultura riguarda anche il cristianesimo non è per fare polemica, è un appello alla coscienza dell’individuo: guarda che se non vai oltre questo materialismo non fai giustizia allo spirito! E solo l’individuo può farlo. L’individuo che fa giustizia allo spirito sente il Cristo che gli dice tante altre cose che non può dire al gruppo, dove deve parlare in modo uguale per tutti. In altre parole, il Cristo incarnato, il Cristo percepibile esteriormente ha detto le cose che valgono per tutti. Il Cristo interiorizzato, in quanto Spirito Santo, dice tante altre cose in più, che valgono per ciascuno, soltanto per il singolo.
Intervento: Però qui fa anche riferimento al perché, allo stato evolutivo di quel momento, dal momento che dice: perché non siete in grado di portarne il peso.
Archiati: Di portarle ora. E che vuol dire portarne il peso?
Replica: Vuol dire: perché a questo vostro momento evolutivo non le potete capire.
Archiati: E perché non lo possono capire? Perché non c’è ancora l’esperienza dello Spirito Santo.
Replica: Certo.
Archiati: Allora?
Replica: Ho capito, ma tu hai messo in rilievo il fatto che le cose da dire sono il fattore individuale, ma qui invece si fa riferimento a uno stato di coscienza generale.
Archiati: Ma è lo stesso. Appunto, proprio perché l’individuale non è ancora sorto non potete né capirle né portarne le conseguenze morali. È la stessa cosa, tu la dici in un modo e io in un altro, ma è la stessa cosa. O no? Ripeti il tuo pensiero.
Replica: Io dico che quello che Lui in quel momento non dice è riferibile anche a tutta l’umanità, non solo all’individuo, dal momento che i dodici ci rappresentano tutti. E ai dodici dice: non siete capaci di portarne il peso, cioè di capirmi.
Archiati: Perché lo Spirito Santo, cioè l’individualizzazione, era ancora ben lontano dall’iniziare ad agire.
Intervento: Io però, adesso, faccio un po’ la parte del diavolo, potrebbe essere un po’ pericolosa questa posizione.
Archiati: Come prima cosa ripeti la posizione, gli scolastici chiedevano sempre di ripetere la posizione.
Replica: Tu hai detto: allora il Cristo ha parlato davanti ai Dodici.
Archiati: No, a tutta l’umanità.
Replica: A tutta l’umanità, ma rappresentata dai dodici, e tutti lo hanno potuto udire, le sue parole erano inequivocabili, per tutti i dodici, quelle erano le parole. Domani, in futuro, dice, vi parlerà lo Spirito Santo, vi istruirà. Se allora tutti hanno ascoltato le stesse parole, nessuno poteva dire: ha detto questa o quest’altra cosa. Perché erano valide per tutti. Adesso, quando opera lo Spirito Santo, che parla all’interno di ognuno di noi, quello che dice non è ascoltato dagli altri, e quindi ognuno di noi può dire: questo mi proviene dallo Spirito Santo! E magari Ibrahim Abouleisch può dire di Maometto che è lo Spirito del Cristo che parla. Questo è il pericolo che ci vedo io.
Archiati: Certo, certo. Un’individualizzazione e una libertà senza pericoli non esistono. Sarebbe come il genitore che dice: quando i figli arrivano alla pubertà diventa tutto più pericoloso. È vero!, ma pericoloso non significa negativo.
Replica: È il prezzo della libertà.
Archiati: È il prezzo della libertà. Perché quando eravamo noi alla pubertà non eravamo d’accordo che fosse negativo il fatto di aspirare all’autonomia. Però la tua riflessione ci fa introdurre un altro momento di complessificazione. I fenomeni non sono semplici, noi cerchiamo di ridurli all’osso, come fa il Vangelo, però, poi, attraverso le domande si mette sull’osso anche un po’ di carne, capisci? Bisogna stare attenti che mettendoci la carne le cose diventano di nuovo complesse e potrebbero diventare difficili.
Ciò che il Cristo ha detto allora, chi lo sa? Anche se sono state udite certe parole, mica significa che siano quelle che Lui ha detto. Queste parole non sono state tramandate da tutti e quattro gli evangelisti, ma soltanto da uno. In altre parole: il contenuto di ciò che Lui ha detto viene capito a seconda dei livelli di evoluzione della coscienza del singolo.
Giovanni Lazzaro non è che avesse gli orecchi migliori degli altri, aveva la testa migliore degli altri. Giovanni, di tutta la miriade di cose dette dal Cristo – in tre anni ne avrà dette di cose!, ma non tutte le sue parole fisiche sono state tramandate, sarebbe impossibile –, ha preso una parte. E come avviene la scelta? A seconda del livello di coscienza dell’evangelista. E il Vangelo di Giovanni è quello più essenziale. Però, chi te lo dimostra che è quello più essenziale? O te lo dimostra il tuo pensiero, nel senso che te ne rendi conto, oppure non te lo dimostra nessuno.
Io cerco di spiegarvi perché, secondo il mio pensiero, questo Vangelo è quello più essenziale. Le parole pronunciate durante l’Ultima Cena ci sono anche negli altri vangeli, ma sono ridotte all’osso. Allora: ha detto molto o ha detto poco?
Oggi abbiamo la percezione di quattro vangeli, e la presa di posizione pensante nei loro confronti non è questione di percezione, è il pensiero che dice a me che chi ha scritto questo testo ha colto l’operare del Cristo – le parole del Cristo e le percezioni esterne che erano accessibili a tutti – a un livello diverso dagli altri.
Intervento: E allora capisco le parole di Steiner, quando dice che i vangeli andrebbero riscritti leggendoli nella cronaca dell’Akasha.
Archiati: Sì, perché lì ci sono i livelli più essenziali. Ma lui come ha fatto la sua interpretazione? Leggendo l’essenziale. Perché poi ci sono le complicazioni, sulle parole che il Cristo ha detto ci saranno quattro o cinquemila manoscritti. E cosa ti salva? Soltanto il pensiero! Di fronte al pensiero non viene fatta ingiustizia a nessuno, perché ognuno ha, sulle spalle, una testa che sa pensare e la sua libertà sta nell’usarla o nel perdere colpi.
Adesso però non vogliamo perdere colpi nel mangiare e quindi vi auguro un buon appetito!
Giovedì 17 Febbraio 2005, pomeriggio
vv. 16,14 – 16,17
I versetti dall’otto all’undici che abbiamo visto questa mattina sono belli e fondamentali, e vi è in essi la triplice testimonianza, la triplice dimostrazione dello Spirito Santo. Leggevo in questi giorni una conferenza tratta dal terzo dei sei volumi dei Nessi karmici, i cicli di conferenze che Steiner ha tenuto verso la fine della sua vita: sono cose molto belle e profonde! In questo terzo volume si parla anche del karma di coloro che coltivano la scienza dello spirito, che è un karma particolarissimo, che coinvolge anche l’evoluzione degli Angeli. San Paolo nelle sue lettere lo esprime con queste parole: Tuus Angelus crinum. Dice cioè che noi siamo lo spartiacque, diventiamo il giudizio, un discernimento degli spiriti anche negli Angeli.
Questo significa che l’evoluzione degli esseri umani nella libertà, sia che questa vada su o che vada in giù, decide anche, o meglio, partecipa a come si evolve l’Angelo. E in questo contesto, una cosa molto bella che Steiner descrive e che appartiene alle affermazioni più profonde della scienza dello spirito è che… il materialismo ha ragione! Il materialismo non è un’interpretazione del mondo sbagliata, per cui si tratti di convincere il materialista che è in errore – che, per esempio, non è vero che è il DNA a decidere ciò che avviene nella psiche, nel mondo delle emozioni –, perché per la maggior parte degli uomini di oggi è proprio così!, è una realtà.
Se lo spirito umano non fosse dipendente, necessitato dall’elemento fisiologico, non ci sarebbe la libertà, quindi lo spirito umano può soltanto avere la possibilità di rendersi sempre più indipendente dall’elemento biologico. Ma questa possibilità, questa potenzialità nessuno è costretto ad attualizzarla. Se uno omette di rendere il suo spirito sempre più indipendente, quindi sempre più forte e autonomo nei confronti della fisiologia, del fatto biologico, diventa, da questo, sempre più dipendente, perché anche tale possibilità della libertà deve essere aperta.
In questo contesto così fondamentale Steiner pone la questione se il materialismo abbia ragione, perché chi dice che è il DNA a decidere quali pensieri sorgono, se per lui è così, ha ragione! E allora come si vince il materialismo? Come si dimostra al materialista che oltre a questo dato di fatto secondo il quale la biologia determina lo spirituale c’è un’altra possibilità? Ossia che lo spirituale può ugualmente determinare – non in tutto, in misura sempre maggiore – come si compagina il dato biologico? Non si può dimostrarglielo a livello teorico!, bisogna mostrarglielo. E questo fa parte proprio di quello che il Cristo dice qui sullo Spirito Santo: che mostra, cioè dà la percezione, la triplice percezione di cui abbiamo parlato, e di fronte alla percezione ognuno si convince in base al proprio pensiero.
Qual è la percezione di cui ha bisogno il materialista per vincere la sua posizione materialista? Bisogna che sorga nell’umanità, ed è l’unica salvezza, un tipo di individuo umano – non importa quanti siano quantitativamente, ma importa che ci siano –, degli uomini che coltivino lo spirito in un modo tale che questi diventi sempre più forte. Questo si può fare soltanto giorno dopo giorno. E che possano mostrare, tali uomini, che è lo spirito a determinare il corpo. Per questo occorrono diverse incarnazioni, però si comincia, si deve cominciare ora.
A che serve dimostrare se non lo puoi far vedere? Va mostrato!, perché il materialista lo convinci soltanto se gli dai la percezione di qualcosa. Allora è nella logica dell’evoluzione che dovranno sorgere in modo sempre più netto due razze morali. E due razze morali significa:
• una che chiameremo razza del bene, perché proprio questo è il bene umano, quegli esseri umani nei quali lo spirito diventa sempre di più causante rispetto alla materia;
• e un’altra costituisce gli esseri umani nei quali la materia diventa sempre più causante nei confronti dello spirito, e anche questo si deve poter cogliere a livello di percezione.
L’unico modo di dimostrare all’uomo che il principe di questo mondo viene a portare l’essere umano in basso – e a dimostrare che la giustizia, la δικαιοσÚνης nei confronti dello spirito lo porta in alto –, è rendersi conto che lo si può dimostrare soltanto mostrando questa forza dello spirito. E nei confronti della biologia, che è per natura micidiale, nel senso che non perdona e non perde colpi, questo tipo di forza si genera soltanto coltivandola quotidianamente.
Riflettendoci, uno si rende conto di quale peso morale acquisti una scienza dello spirito come strumento quotidiano di creatività, crescente creatività dello spirito, e che è l’unica salvezza per l’umanità. Nominatene voi un’altra, non ce ne può essere un’altra. A che ci servono le teorie sullo spirito creatore, forte ecc. se lo spirito diventa sempre più debole nella realtà delle cose? E che lo spirito, se viene omesso, diventi sempre più debole di fronte al DNA, di fronte ai geni, lo constatiamo dappertutto, perché la natura non diventa debole, è retta da determinismi. Però un conto è fare della natura il sostrato per un cammino dello spirito, che è libero, e quindi non deve essere ma può essere, e un conto è ridursi a dato di natura. Eventualità che deve essere anche questa possibile, se vogliamo essere liberi.
Adesso capiamo meglio anche il versetto dodici, dove il Cristo dice: «Ho ancora molte cose da dirvi ma non le potete portare ora», non le potete portare conoscitivamente perché non siete in grado di capirle, e non le potete portare moralmente perché non avete ancora la forza di realizzarle. E quali sono, in fondo, le cose che il Cristo ha ancora da dire? Come possiamo riassumerle? È l’evoluzione possibile dello spirito umano; però se è espressa in chiave puramente teorica, senza poter mostrare nulla di essa, è solo una pura teoria! Allora il Cristo dice: camminiamo insieme, aspettiamo un momentino a parlare di certi livelli dell’evoluzione, finché ci arriviamo.
Questo significa che il Cristo rimane sempre nell’umanità, rimane sempre in interazione, in colloquio con l’umanità. E man mano che si presentano passi evolutivi, Lui – come risorto, come colui che ritorna nella coscienza dell’individuo –, è proprio lì per spiegarci il compito che ci incombe di volta in volta e anche per darci le ispirazioni necessarie a compiere questi passi, questi cammini dello spirito. È lì per consolarci di fronte alle difficoltà, perché lo Spirito Santo è consigliere e consolatore, il suo è un accompagnare il cammino umano, e pieno d’amore non precorre i tempi, non cerca di spiegare prima quello che sarà comprensibile soltanto duemila anni dopo. Nei discorsi dell’Ultima Cena è compreso questo accenno al fatto che l’umanità è in cammino, e il Cristo dice: ci sono delle cose che voi, rappresentanti dell’umanità, dodici apostoli, capirete più tardi!, adesso non le potete portare, non le potete capire.
Accennavo questa mattina che tale affermazione del Cristo mette in crisi, cioè proprio ci induce, onestamente e sinceramente, a porci la domanda: ma allora, come la mettiamo con l’affermazione della teologia tradizionale che dice che la rivelazione del Cristo è conclusa con il Nuovo Testamento? Non si concilia con questa affermazione, perché se il Cristo dice che le cose che ha ancora da dire non le possono comprendere, non le possono portare ora, questo significa che ciò che ha intenzione di dire lo dirà più tardi.
Lascio a voi l’altra domanda: come mai allora il cristianesimo tradizionale ha fatto sorgere il pensiero che il Cristo abbia detto tutto quello che doveva dire duemila anni fa? In fondo, se uno ci riflette, si rende subito conto che devono essere stati fattori di potere di questo mondo a volerlo, perché un fenomeno concluso è gestibile in chiave di Chiesa, in chiave di tradizione. Se invece è ancora aperto a tutti, l’intera umanità ha l’accesso a questo fenomeno. Come spiriti umani siamo tutti uguali di fronte al Cristo che parla spiritualmente e che, di epoca in epoca, dice le cose che nell’epoca prima non si potevano capire, perché non erano consone ai tempi, non spettavano ancora allo spirito umano.
Quando lo Spirito viene, dice il versetto tredici – con l’irrompere dello Spirito della libertà e dell’amore individualizzato nell’uomo, del Cristo individualizzato –, tÕ pneàma tÁj ¢lhqe…aj (to pneuma tes aletheias) è «lo Spirito della verità», e abbiamo spiegato già ieri perché lo chiama così, perché è la capacità di comprendere in proprio la verità che ci rende liberi. Se io sono dipendente dalla mente di un altro, in fatto di verità, non posso essere libero. La libertà comincia nel pensiero e il pensiero è l’organo della verità. Spirito della verità tradotto in italiano significa: la capacità del singolo di pensare.
Quando colui viene vi condurrà – Ðdhg»sei Øm©j (odeghèsei umàs) – vi farà da pedagogo, da guida in tutta la verità. Questo «in tutta la verità» in greco è dativo, e alcuni manoscritti ne hanno fatto un accusativo. Da un punto di vista scientifico spirituale, questo dativo «vi condurrà nella verità, in tutta la verità», è molto bello perché la verità è, per esempio, tutto il mondo eterico, o regno delle madri come lo chiama Plutarco e come lo chiama Goethe nel suo Faust. Il Regno dell’eterico, dove ci sono tutti i pensieri divini, è un mondo entro il quale lo Spirito ci conduce.
Presenta lo spirito, il pensiero del singolo, come una bussola che si orienta dentro al mondo eterico dello spirito. Una bussola di orientamento. Quindi noi saremmo, in senso fisico, fuori dalla verità e lo Spirito Santo ci conduce dentro la verità? No, noi siamo sempre dentro la verità e lo Spirito Santo ci conduce nella verità, entro i suoi confini dove siamo già. Lo Spirito Santo è sempre un organo di orientamento, che è la capacità di trovare i nessi fra i vari pensieri!
Da un pensiero si va a un altro pensiero, è come essere in Italia e orientarsi, però nell’Italia ci sei, non è che entri nell’Italia da fuori, allo stesso modo essere spirito pensante significa essere nel mondo della verità. Però ciò che ci manca, e che lo Spirito Santo ci dà, è la bussola d’orientamento. Dobbiamo saperci orientare e allora sappiamo fare i nessi: ah!, questo mi porta qui, l’altro mi porta là e ha a che fare con quello; questo poi favorisce quello, che è contro quell’altro ancora. Fare i nessi è un sapersi orientare!
Intervento: Nella mia traduzione c’è: vi guiderà alla verità. È più esatto?, è quello che stai dicendo dell’orientamento?
Archiati: No, no, no. Se uno sente: «Vi guiderà alla verità», in italiano uno pensa che tu sei fuori e Lui ti porta dentro la verità, come dire che tu sei fuori Roma e lui ti porta a Roma. Invece è: vi guiderà nella verità, vi servirà da orientamento dentro la verità. Questa è la traduzione migliore: vi farà da guida dentro al mondo della verità. Lo spirito umano è dentro al mondo della verità, non è che ci debba entrare da fuori, però gli manca l’orientamento perché non vede i nessi, non vede come le cose abbiano a che fare le une con le altre.
Prendiamo un altro esempio, una metafora: una persona è in una stanza e la luce è spenta, c’è buio pesto. Cos’è la luce? La luce introduce nella stanza?, no, nella stanza la persona c’è già, la fa orientare dentro la stanza. Lo Spirito Santo è questa luce. Noi, nella stanza, nel mondo dello Spirito ci siamo sempre, però si accende una luce che ci fa orientare dentro questo mondo nel quale siamo già, da sempre. L’altra traduzione, che ci ha messo l’accusativo, è quella materialistica, come se l’uomo fosse fuori, non fosse uno spirito, ed entrasse dentro al mondo dello spirito.
Vi condurrà, vi orienterà in tutto il mondo della verità, nella verità intera, «infatti, non parlerà da sé», non dirà cose sue, farina del suo sacco, ¢ll' Ósa ¢koÚsei lal»sei (all’osa acusei lalèsei), «ma dirà le cose che sente, e vi annuncerà le cose che stanno per venire».
Anche questa bella frase è, se volete, triarticolata:
• Le cose che ha udito sono quelle del passato. Lo Spirito Santo è la forza sacerdotale dentro ogni uomo, che considera sacro il passato come fondamento necessario per ogni evoluzione.
• Le cose che succederanno, ciò che avverrà, è il futuro. Lo Spirito Santo è il profeta, la forza profetica dentro ogni uomo.
• E al presente c’è sempre questa illuminazione, questa intuizione regale dello Spirito, che mette insieme, che vede in che modo il passato è necessario e si fa da fondamento per il futuro.
Leggendo, comprendendo rettamente il senso della caduta e il senso della svolta – quindi non senza connessione col presente e col passato, come dinamismo immanente di tutto il passato e della svolta dell’evoluzione – si può annunciare ciò che avverrà.
DIS. 5
«Vi annuncerà le cose che stanno per venire, le cose che verranno» – t¦ ™rcÒmena ¢naggele‹ Øm‹n (tà erchòmena ananghelei umìn). Chiediamoci adesso, più concretamente: quali sono le cose che verranno? Se è vero che lo Spirito Santo ce le annuncia e se è vero che ognuno di noi, per quanto balbettando, dopo duemila anni vuole fare onore allo Spirito Santo dentro di sé, che è il suo spirito, deve essere in grado di cominciare a prevedere quali sono le cose che verranno.
Intervento: Le azioni morali che fanno gli uomini?
Archiati: Però quelle non le puoi prevedere. La libertà del singolo non è prevedibile, se no non sarebbe libero. Che cosa è prevedibile del futuro?
Intervento: Che qualcuno andrà su e qualcuno andrà giù.
Archiati: Benissimo, sono prevedibili tutte le condizioni necessarie per l’esercizio della libertà, e perché sono prevedibili? Perché sono necessarie, perché ci devono essere!
Uno degli aspetti fondamentali dell’esperienza dello Spirito Santo è che ci fa comprendere, ci annuncia le cose che avverranno nel senso che ci fa capire sempre meglio quali sono le condizioni necessarie, conditio sine qua non, dell’esercizio della libertà, perché queste ci devono essere. Adesso tu dici che le condizioni necessarie sono duplici: che ci devono essere tutte le possibilità per far sviluppare sempre di più la creatività dello spirito umano; e che ci deve essere la possibilità di omettere l’evoluzione dello spirito, quindi ci devono essere le condizioni necessarie per farlo, allora ci devono essere le controforze.
Ci serve a qualcosa il fatto che lo Spirito Santo ci annunci questo?
Intervento: A essere preparati…
Archiati: E che vuol dire? Vuol dire sapere che non soltanto l’ostacolo ci deve essere ma che è la cosa più importante che ci sia, perché senza l’ostacolo non potremmo esercitare la libertà. Quindi, anche questa evoluzione che va verso il basso viene vista come positiva, perché necessaria, perché fa parte di quello che lo Spirito ci annuncia come necessario all’evoluzione.
Intervento: In fondo non è questo il problema del male? Il nostro problema?
Archiati: Certo, certo. Ma lo spirito cosa dice rispetto al futuro? Ci dice: sta attento, che se tu chiami questa via il male trovi la scusa per poltrire, perché questo non è il male. Qual è il male?
Replica: È non fare quello che ti porta su.
Archiati: E questo è la conseguenza! In altre parole, l’essenza dell’annuncio profetico dello Spirito Santo: vi annuncerà tutto ciò che avverrà, è che nella misura in cui l’essere umano omette l’evoluzione in positivo – e ci deve essere la possibilità di cadere, altrimenti non sarebbe libero – necessariamente si riduce, come conseguenza, al dato di natura.
Che significa omettere il dato di libertà? Significa ridursi ad avere in sé soltanto il dato di natura, e questo è un male? Il dato di natura non è male, è male avere omesso ciò che è libero! Non è da poco quello che lo Spirito ci anticipa, se lo cogliamo nella sua essenzialità.
Questo tipo di riflessione che abbiamo fatto adesso – balbettando magari, ma non importa, lo Spirito Santo è sempre tale, anche quando balbettiamo e il Cristo non ci fa torto, ce lo dà lo Spirito! – non è forse un orientarsi dentro tutta la verità? Non abbiamo fatto affermazioni sul tutto? Tutti i particolari, tutti i singoli elementi fanno parte di quello che abbiamo detto.
In altre parole, la funzione profetica dello Spirito Santo dentro di noi è di farci capire in senso globale, in toto la natura dell’evoluzione, anche futura, come dev’essere strutturata nei suoi elementi fondamentali, e quindi non è soltanto una conoscenza parziale ma è una conoscenza essenziale che ci fa orientare dentro tutta la verità. Ci dice come deve essere strutturato il futuro per rendere possibile l’evoluzione nella libertà.
È proprio quello che dice il testo: sarà per voi come una bussola che vi farà orientare nella totalità della verità, anche sul futuro! È chiaro che queste affermazioni sul futuro, sulle dimensioni necessarie del futuro per rendere possibile la libertà, non dicono nulla sul modo in cui il singolo eserciterà la propria libertà, perché queste sono solo le condizioni necessarie per dargli la possibilità di esercitarla.
Intervento: Ma colui che sceglierà di omettere sarà cosciente? Cioè, chi sceglie di lasciare l’altra possibilità è cosciente?
Archiati: Vario la tua domanda per renderla più accessibile. Il Cristo duemila anni fa, alla svolta storica, ha detto al Padre di perdonare gli esseri umani perché non erano in grado di capire quello che facevano. Oggi, duemila anni dopo, se una persona non sa che sta perdendo colpi, questo non sapere è ugualmente perdonabile, tale e quale come duemila anni fa? No, è imputabile, perché egli avrebbe potuto sapere, mentre duemila anni fa non era possibile. Il non sapere di oggi è imputabile perché il non sapere oggi certe cose significa aver omesso un’evoluzione di coscienza che si aveva la possibilità di prendere in mano.
Replica: È come dire: la legge non ammette ignoranza.
Archiati: Questa domanda è fondamentale e quindi cerchiamo di analizzarla. Supponiamo che una persona muoia, si presenti al Padreterno e dica: ma io non sapevo che ci fosse la possibilità di coltivare lo spirito! In fondo la domanda, così come l’hai posta tu, come esercizio va bene, però presa sul serio è un sofisma, in senso oggettivo. Perché: o il Padreterno ha fatto la natura umana in modo tale che si accorge quando perde colpi nel cammino di coscienza, oppure l’ha fatta in modo che non se ne accorge, e allora non può imputargli questo non accorgersi.
Quindi: o è nella natura dell’uomo di rendersi conto che poteva fare qualche cosina in più, e allora lo sa che poteva darsi da fare, e sa di aver omesso, e non può dire non sapevo!, oppure la colpa è del Padreterno che ha creato una natura umana senza darle un minimo di anelito alla conoscenza, per cui a uno che non capisce nulla non manca nulla.
Intervento: O anche se lo so e l’ho fatto lo stesso…
Archiati: No, no, lui poneva la domanda sul non sapere. Era una questione puramente di coscienza, proprio di conoscenza. La sua domanda non era: so che non fa bene però sono troppo debole e non ce la faccio. La sua domanda era: ma se uno proprio non si rende conto delle possibilità evolutive della coscienza e del pensiero umano?
Intervento: È una domanda che viene spontanea guardandoci attorno, oggi come oggi, in pieno materialismo, la gente manco s’immagina che…
Intervento: Sono tante omissioni, che sono cominciate tanto tempo prima, poi arrivi a un punto in cui non ti rendi più conto che stai omettendo delle possibilità, perché le hai omesse da troppo tempo, e ti sei anche dimenticato delle possibilità che avresti. Questo è vero: non fai, non fai, non fai, arrivi a un certo momento in cui ti sei proprio dimenticato che avresti potuto fare.
Archiati: Noi adesso non stiamo tenendo conto di un fattore evolutivo fondamentale. Uno dei più importanti che lo Spirito ci annuncia perché ci deve essere, e che non avevo evidenziato prima, ma che adesso la tua domanda ci fa notare, è: quando un bambino perde colpi, perde colpi, e perde colpi, non fa, non impara quel che dovrebbe imparare, non si evolve, cosa fanno i genitori? Gli danno una certa misura di sofferenza. Cioè, noi stiamo facendo i conti dell’evoluzione della coscienza senza considerare il fattore di quali sofferenze enormi la Provvidenza, o chiamatela come volete, ci dà, proprio per risvegliarci.
Allora, la persona che si presenta al Padreterno dopo la morte e dice non lo sapevo, non ha scuse! Perché il Padreterno le risponde: «Ma come?, se t’ho mandato lo tsunami nell’Est dell’Asia, ti ho mandato una guerra ecc.: era tutto per farti svegliare!».
Intervento: Si può dire che ci sono come dei segni?
Archiati: Lo dici tu, però quello ti può rispondere: e a me non è bastato per farmi svegliare. È nella dinamica della linea che va in giù, che più scende e più diventa difficile risalire.
Intervento: Ma tu parlavi anche di una direzione, e quanto ci vogliamo direzionare, quanto ci diamo questa possibilità di scegliere la direzione, quanto insistiamo o quanto cediamo.
Archiati: Per quanto riguarda te stesso lo puoi decidere soltanto tu, nessun altro può decidere per te.
Ma torniamo alla domanda di prima, è una domanda fondamentale, che si presenta con tante sfumature. Uno si presenta al Padreterno e dice che non sapeva. L’unica risposta è: ma come?, s’è fatto di tutto per aiutarti a svegliarti, non ti sei svegliato, nessuno ha il diritto di romperti la testa, perché rompendoti la testa non è che ti svegli meglio.
Intervento: Non è la stessa domanda del Giudizio Universale, che dice: «E quando t’ho visto?».
Archiati: Sì, è proprio questo. Allora diciamo che l’omissione dell’evoluzione della coscienza è l’elemento tragico dell’evoluzione, perché se il Padreterno ci togliesse questa possibilità ci toglierebbe la libertà.
Intervento: Ci sono uomini che soffrono molto per questo. Io ho parlato con persone che soffrono perché rifiutano il mondo spirituale, e con un pensiero molto lucido e anche molto circostanziato. Per cui non è che non soffrano, soffrono ma non accedono, perché dicono che non esiste.
Archiati: Cosa risulta per noi, se così posso dire, da queste riflessioni? Che la scienza dello spirito diventa responsabilità morale del singolo nei confronti di tutta l’umanità. Proprio questo risulta. Perché il primo abisso dell’evoluzione non è quello morale, la morale è sempre la conseguenza dell’evoluzione intellettuale. Il primo abisso dell’evoluzione è l’oscuramento dell’intelletto, della coscienza, è la negazione dello spirito. Il resto è una conseguenza.
Vi dicevo che in questo versetto tredici c’è di nuovo tutta la Trinità: «Quando colui verrà, lo Spirito Santo», quindi lo Spirito del Padre e lo Spirito del Figlio, però individualizzato in quanto Spirito Santo, e Santo significa non gestibile, non toccabile dall’esterno perché è lo spirito della libertà del singolo. Colui – ™ke‹noj (echèinos) –, lo Spirito della verità vi condurrà, vi farà da orientamento, vi darà la capacità di orientarvi dentro al mondo della verità, che è il mondo in cui viviamo. Vi aiuterà a capire la fenomenologia del mondo, dell’evoluzione in cui si trova l’uomo.
«Infatti, non parlerà da sé», avulso dal passato, che è il mondo del Padre, avulso dalla svolta, che è il mondo del Figlio, ma quello che dirà, che annuncerà rispetto al futuro lo prende dalla svolta che il Cristo crea continuamente nella coscienza umana, lo prende dal compito creato dalla caduta dello spirito umano dentro la materia, come presupposto per la redenzione dello spirito umano.
In altre parole, annuncerà la redenzione dello spirito umano: t¦ ™rcÒmena ¢naggele‹ Øm‹n (tà erchòmena ananghelei umìn) «vi annuncerà le cose a venire», annuncerà la redenzione dello spirito umano perché questa redenzione la sente, la ascolta in sintonia assoluta con l’operare del Figlio e con l’operare del Padre. Si tratta, in aspetti sempre diversi, di comprendere il carattere globale dell’evoluzione umana.
16,14 «Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annunzierà»
Colui darà gloria a me, poiché prenderà del mio e ve lo annuncerà. In un certo senso si potrebbe dire che il Cristo crea la conoscenza dell’Io e lo Spirito Santo è la realizzazione dell’Io. Il Logos crea in noi la coscienza dell’Io e il Logos interiorizzato, moralmente fatto nostro, messo alla base di tutte le azioni, realizza l’Io. Questa è una delle prospettive, non è che sia soltanto così, allora che cosa intende quando dice che lo Spirito Santo glorifica l’Io? Significa che porta a realizzazione lo spirito individualizzato, individualmente responsabile, cosciente e amante nel singolo; quindi dà gloria all’Io, al Cristo in ogni uomo, perché lo porta a vita, lo porta a splendore. Poiché prende dall’Io, attinge dalle forze dell’Io, che sono le forze di tutta l’evoluzione terrestre.
DIS. 6
Adesso, solo come accenno, vi metto:
1. L’evoluzione saturnia della Terra, che ha posto le basi del corpo fisico;
2. l’evoluzione solare che ha posto le basi del corpo eterico;
3. l’evoluzione lunare che ha posto le basi del corpo astrale, che è l’anima;
4. e l’evoluzione terrestre che ha posto le basi dell’Io.
L’evoluzione dell’Io è il tutto della quarta incarnazione planetaria della Terra. Lo spirito dell’Io che si realizza in ogni singolo uomo prende, attinge, dalle forze dell’Io di tutta l’umanità, dalle forze dell’Io dentro tutta la Terra, e le corrobora, le rafforza in ogni Io umano.
Colui glorificherà l’Io in ogni uomo perché dall’Io prende, e ciò che prende dall’Io, che è il Cristo, lo annuncia – come proposta conoscitiva e come proposta morale – a ogni essere umano, a ogni Io umano. Tradotte in un linguaggio moderno, e con un minimo di basi di scienza dello spirito, sono belle e modernissime queste frasi. Non soltanto sono moderne ma annunciano tutto ciò che avverrà, quindi precorrono il tutto dell’evoluzione terrestre perché sono affermazioni sul tutto. Sono un orientamento assoluto, non riguardano soltanto un segmento dell’evoluzione ma il tutto dell’evoluzione.
Quando uno ha uno sguardo d’insieme su un organismo, a maggior ragione capisce dove si colloca poi il singolo elemento, può capire il compito specifico di questo periodo, e quale sarà quello del successivo, e qual è stato il compito del periodo prima di noi. È questa la bussola che ci fa orientare nella verità, nel contenuto di verità evolutiva di tutta l’evoluzione terrestre.
Ho già chiacchierato un’ora e mezza? Quanto vogliamo lunga la pausa? Facciamo un quarto d’ora italiano.
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Stavamo commentando il versetto quattordici, che dice: «Colui mi glorificherà», colui è lo Spirito Santo, il Cristo interiorizzato e individualizzato. È il comportarsi nello Spirito della libertà, che sa che l’uomo può essere libero soltanto nella conoscenza e nell’amore – perché nell’egoismo non c’è libertà, nell’oscurità della coscienza non c’è libertà – è lo Spirito che ci fa capire che si fa l’esperienza della libertà vera nel momento in cui si vedono chiaramente le cose. Si è liberi quando ci si orienta nel mondo e si capisce cosa comporta un certo comportamento e cosa comporta un altro. Allora:
• La prima dimensione della libertà è la chiarezza nel pensiero che ci concede di scegliere liberamente, a ragion veduta;
• e la seconda dimensione della libertà è di carattere maggiormente morale, più che conoscitivo. Questa seconda dimensione la chiamiamo da sempre amore, in quanto vittoria sull’egoismo.
Naturalmente si potrebbero fare delle riflessioni sulla domanda: perché l’egoismo è non-libertà? Soltanto nella misura in cui comprendiamo sempre di più che l’egoismo non è libertà, capiamo che l’egoismo non va bene per la natura umana. Sentirmi dire che non devo essere egoista, che devo superare l’egoismo, senza che mi facciano capire che nell’egoismo non sono libero, non mi convince!, perché l’elemento di moralità è la libertà.
Moralmente buono è tutto ciò che rende l’essere umano più libero e moralmente non buono è tutto ciò che rende l’essere umano meno libero. Se il cosiddetto egoismo è qualcosa di negativo lo è unicamente perché diminuisce la libertà. Si tratta di capire sempre meglio e minutamente (e questo è il cammino di conoscenza) in che modo l’egoismo – la chiusura in se stessi, il pensare soltanto a se stessi e non agli altri – diminuisca la libertà della persona, e in che modo il cosiddetto amore favorisca la libertà della persona.
Lo Spirito dà gloria, fa evolvere in piena libertà l’Io che vive in ogni persona perché prende dalle forze dell’Io e preannuncia tutti i gradini successivi aperti all’evoluzione della libertà, all’evoluzione dello spirito singolo.
16,15 «Tutto quello che il Padre possiede è mio; e per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annunzierà».
Tutte le cose che il Padre ha sono mie – Πάντα ὄσα ἔχει ὁ πατὴρ ἐµα ἐστιν· (panta osa èchei o patèr emà estin). Tutte le cose che fanno parte della natura sono dell’Io, appartengono al Figlio. Il senso del mondo della natura, del mondo del Padre è di creare le condizioni per l’evoluzione dell’Io, di favorirla, quindi tutte le cose del Padre sono una faccenda dell’Io. Tutti i fattori del mondo li comprendiamo come condizioni necessarie per l’evoluzione dello spirito umano, in quanto Io singolo.
Tutte le cose che sono del Padre sono in vista dell’emergere del Figlio dentro ogni essere umano (e qui siamo alla seconda parte del versetto quindici), «perciò vi ho detto che lo Spirito Santo prenderà dall’Io», poiché tutto ciò che ha l’Io viene dal Padre, cioè tutte le cose del Padre appartengono all’evoluzione dell’Io, e se lo Spirito Santo prende dall’Io del Cristo, prende anche, indirettamente, dal mondo del Padre.
Abbiamo allora a che fare con tre livelli evolutivi del mondo in cui viviamo, come sono tre le dimensioni dell’essere umano. Sono cose che abbiamo già detto, ma che vanno sempre riviste, proprio come ogni giorno ci nutriamo, e come la meditazione si ripete ogni giorno. Non dobbiamo essere restii a rifare sempre di nuovo gli esercizi fondamentali, non allo stesso identico modo, ma sempre con variazioni.
• Il livello del corpo, che è la natura. Il corpo fisico è il sostrato di natura, il suo senso è di essere strumento, condizione necessaria per l’evoluzione dell’anima.
• L’anima è la potenzialità alla libertà, la capacità di libertà; l’anima è il Regno del Figlio, dell’Io in quanto Figlio.
• Lo Spirito Santo, lo Spirito non è soltanto potenzialità, capacità di creazione libera, l’esperienza dello Spirito Santo è l’attualizzazione della creazione libera. Quindi è l’intuito nel pensiero, è la fantasia morale, in quanto dedizione morale alla propria evoluzione e a quella di tutti gli uomini.
Se il mondo corporeo è il mondo del Padre, il mondo dell’anima è il mondo del Figlio e il mondo dello Spirito è il mondo dello Spirito Santo, come stanno l’uno rispetto all’altro il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo? Sono queste le categorie che il Cristo usa, però potrebbe usarne anche altre. Tra l’altro, nel suo parlare del Padre non era così facilmente comprensibile per i suoi ascoltatori, perché loro conoscevano Jahvè, conoscevano Elohim, abbiamo già visto che gli scribi e i farisei reagiscono dicendo: ma chi è questo Padre di cui parli?
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, allora, come stanno gli uni agli altri?, c’è forse una contraddizione? No!, tutto ciò che fa parte di uno, fa parte dell’altro e fa parte anche dell’altro. E qual è l’elemento che ce li fa capire tutti? È lo Spirito! L’esercizio attuale della libertà ha bisogno di prendere dal Figlio la potenzialità dell’anima alla libertà e ha bisogno di prendere dal mondo del Padre tutto ciò che è di natura come strumento della libertà.
C’è una consonanza assoluta, su tutta la linea, tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo prende tutto dal Figlio!, perché ci preannuncia il possibile compimento di ogni potenzialità dell’anima. E in che modo lo Spirito e il Figlio prendono tutto dal Padre? Perché il compimento di ogni potenzialità dell’anima è la liberazione di tutto ciò che è di natura, nella libertà dello Spirito.
Cosa significa essere Spirito libero? Liberare la natura. Quando noi pensiamo, infatti, trasformiamo una percezione, che è un frammento del mondo del Padre, in Spirito. Quindi, questi tre mondi si corrispondono su tutta la linea in modo assoluto: il mondo del Padre è il mondo del redimibile, è il mondo dello spiritualizzabile. Il mondo dell’anima è la capacità di spiritualizzare tutto il mondo. Il mondo dello Spirito è la spiritualizzazione.
Il mondo del Padre è lo spiritualizzabile, perché è materia. E come chiama il cristianesimo questo passaggio dal Padre allo Spirito, tramite il Figlio? La transustanziazione del mondo. Nella percezione mi pare, mi sembra che la sostanza del mondo sia materia, ma nello Spirito mi rendo conto che la vera sostanza del mondo è lo Spirito, e allora transustanzio il mondo.
Qual è la vera essenza di tutto ciò che vediamo attorno a noi? Il Logos fatto carne. La vera essenza della cosiddetta materia è lo Spirito. Però devo vivere dentro di me, nel mio pensiero, il cosiddetto Spirito, come sostanza del mio essere, e allora transustanzio il mondo. Questo è anche resurrezione, è anche redenzione, sono tutte categorie eminentemente cristiane, che però rappresentano questo passaggio di corrispondenza, questa trasformazione di ciò che è determinismo di natura in ciò che è esperienza della libertà dello Spirito.
Cos’è l’essenza di una pianta, la sua vera sostanza? Un pensiero divino che c’è sempre, anche quando l’apparenza materiale, che è una parvenza peritura, sparisce. Quando il pensiero divino di una pianta diventa più reale, più sostanziale nel mio pensiero che non la pianta materiale, transustanzio la pianta!
Intervento: Tu usi sostanziale ed essenziale come intercambiabili?
Archiati: La sostanza di una cosa è l’essenza di una cosa. Tu che differenza ci vedresti? Se avessimo qui una scuola di filosofia e fossimo già al quinto semestre, certo che potremmo discernere meglio; fare distinzioni, a questo livello qui, confonderebbe solo le idee, però, come piccolo esercizio lo possiamo fare: distingui fra sostanza ed essenza.
Replica: Lo faccio con un’analogia: la sostanza mi sembra più vicino a ciò che è materia, l’essenza più vicina a quella che è la forza.
Archiati: Ci sei cascato, vedi? Mettere insieme il concetto di sostanza e il concetto di materia è dimostrare la caduta dello spirito umano! È sostanziale la materia?
Intervento: No, ma il problema nasce dall’uso corrente nel linguaggio. Per esempio, in chimica, il sale è una sostanza. Nel linguaggio corrente la sostanza è qualcosa di materiale.
Archiati: Ma io ti sto evidenziando che quello che tu chiami il linguaggio corrente è il linguaggio dato per scontato dallo spirito umano caduto. Però tutto dipende dal fatto che ci rendiamo conto che è uno spirito caduto, capisci?
Intervento: La materia non è sostanziale perché è impermanente, transeunte.
Archiati: È quello che dicevo prima, pensavo che mi passasse liscia ma non me l’avete fatta passare liscia, e giustamente, perché questo ci fa fare un bell’esercizio. Io avevo affermato che la materia è non-sostanziale, che ora c’è e dopo non c’è. E lui dice: ma come!, per l’uomo d’oggi la materia è quanto di più sostanziale esista. Io lo sapevo bene che per l’uomo d’oggi è così, però non è ancora cristiano, e comincia a essere cristiano quando compie la transustanziazione. La transustanziazione presuppone che il punto di partenza è come dici tu, certo, altrimenti non posso transustanziare.
Il punto di partenza della transustanziazione cristiana è una matrice di pensiero per la quale ciò che è materiale è la sostanza vera del mondo, e diventa cristiano – cioè fa la svolta dell’evoluzione del suo pensiero, della sua coscienza –, nel momento in cui dice: no, è proprio l’opposto! Ciò che io chiamo materia è massimamente non sostanziale e lo spirito è massimamente sostanziale.
Però non basta che lo dica come bella teoria, devo farne l’esperienza, è allora che faccio l’esperienza dell’interiorizzazione del Logos. L’esperienza dello Spirito Santo è l’esperienza reale, non è soltanto teoria, che lo Spirito mi diventa realmente più sostanziale che non la materia. Prima di questa transustanziazione è proprio come dici tu, certo, e il linguaggio ce lo documenta, ci mancherebbe altro! Siamo agli inizi dell’evoluzione cristica dell’uomo e lo vediamo in tutti gli aspetti della cultura. Quando uno, nel mondo d’oggi, dice che lo spirito è più sostanziale della materia, la maggior parte della gente dice: ma quello è mezzo matto! Certo, il mondo in cui viviamo lo conosciamo bene.
La filosofia della libertà di Rudolf Steiner, per dire un’altra caratteristica, è come un metodo per imparare a suonare il piano, o l’armonium, o l’organo. A cosa serve il metodo? A fare esercizi, poi uno acquisisce una certa facoltà e diventa capace di fare una cosa. La filosofia della libertà di Steiner è una serie di esercizi. Uno poi li dimentica, non è che si impari a memoria il metodo, dimentica gli esercizi però impara a suonare! Se vengono fatti bene senza mollare, tenendo duro, perché uno si può anche stancare, man mano che fa questi esercizi dopo cinque o dieci volte, lo spirituale gli diventa più sostanziale che non la materia. Però prima devo fare gli esercizi, la facoltà complessiva mi viene esercitando tutto il metodo, magari due, tre volte, e alla fine so suonare.
Lo scopo, l’intento di questi esercizi della Filosofia della libertà è di arrivare al punto, che è l’esperienza dello Spirito Santo, lo Spirito del Cristo, del Logos, che ciò che è spirituale – non come teoria, ma nell’esperienza propria – diventa veramente più sostanziale che non la materia. Però è un processo di trasformazione interiore fatto di passi, di esercizi ripetuti metodicamente.
Intervento: Scusa, vorresti per favore tornare alla differenza fra i concetti di sostanza ed essenza? Perché stavamo parlando di sostanza e non abbiamo parlato di essenza.
Archiati: Ho uno studio di filosofia alle spalle e, se volete, posso un po’ approfondire anche questioni filosofiche, come aggiunte collaterali però, perché il Vangelo è la fenomenologia della svolta dell’evoluzione; La filosofia della libertà invece si rivolge maggiormente all’evoluzione dello Spirito Santo, quindi questi esercizi li facciamo un pochino in chiave di eccezione.
Il genere di filosofia che ho studiato io è la corrente aristotelico-tomistica e in fondo è quella più cristiana che esista. La filosofia tomistica non distingue tra sostanza ed essenza, distingue tra essenza ed esistenza, in latino essentia ed existentia.
Adesso uso la terminologia della scienza dello spirito, altrimenti avremmo bisogno di più tempo: l’essenza di una cosa è l’essenza eterica, l’essenza della rosa, per esempio, è la rosa eterica. L’esistenza della rosa è la rosa eterica intrisa di materia minerale che la rende visibile. Però è visibile finché c’è dentro la materia; quando la materia va fuori, diventa di nuovo eterica, cioè resta eterica.
La sostanza si distingue non da essenza, ma da accidente. In latino: substantia e accidens. Substantia, guardatela bene la parola: sta sotto!, è il sostrato costante; accidens è una cosa che ci aggiungi ma non fa parte della sostanza, è accidentale. La sostanza è essenziale all’essere, non può mancare, se va via la sostanza, va via l’essere. Invece l’accidente ci può essere e ci può non essere. Per esempio: alcune rose sono rosse, altre rose sono rosa, il colore è accidentale o sostanziale? È accidentale, la sostanza della rosa non cambia quando cambia il colore. Però la struttura in base al cinque è sostanziale o accidentale alla rosa? È sostanziale perché se andiamo nella matrice del sei non abbiamo più la rosa, abbiamo magari un altro fiore.
Allora, una delle cose fondamentali – tra l’altro Steiner in quasi tutti i suoi testi lo riporta –, uno dei cammini più importanti dello spirito umano è di saper distinguere, a tutti i livelli dell’essere, tra ciò che è essenziale o sostanziale e ciò che è accidentale.
Intervento: La forma viene dall’essenza. Io ho un ricordo di una frase: la sostanza è un processo interrotto.
Archiati: La sostanza è un processo interrotto? Però questo non viene dalla filosofia, viene dalle scienze naturali, quindi non ci siamo. Aristotele ha diverse categorie polari, una, l’abbiamo vista, è tra sostanza e accidente; l’altra è tra potenzialità e attualizzazione della potenza, cioè potenza e atto; e un’altra polarità ancora è tra materia e forma. Quindi tu, in chiave aristotelica, per capire cos’è la forma devi metterci il concetto di materia, e la cosa in Aristotele è molto complessa, avremmo bisogno di tutt’altre basi per entrare in questo merito!
La sostanza di una cosa è ciò che non può mancare perché se manca, manca la cosa, a differenza degli accidenti, che possono mancare perché non fanno parte della sostanza.
Intervento: Nell’esempio della rosa la materia è sostanziale o no?
Archiati: No, perché mancando la materia non manca la rosa.
Intervento: Questo è proprio un discorso non materialistico.
Archiati: Beh, certo! In una scuola di pensiero aristotelico-tomistico farebbe parte del primo semestre, dei primi esercizi, perché tu ti devi chiedere: in una rosa che cosa è substantia (che, se c’è, c’è la rosa e se non c’è, la rosa non c’è) e che cosa è accidentale? La materia fa parte della sostanza? Il materialista ti dice di sì, perché ti dice: sparisce la materia, sparisce la rosa. E tu come gli dimostri che non è vero?
Intervento: Dicendogli che non è vero?
Archiati: Per lui è vero, perché lo spirito non è sostanziale per lui.
Intervento: Vabbè, ma la rosa è un processo continuo, cioè non è che di punto in bianco esista la rosa: la rosa è seme, la rosa è…
Archiati: Sì, ma, ti dice il materialista, tutto il processo è dovuto alla materia, e quando non c’è materia, non c’è processo.
Replica: Anche quello non è che sia tanto facile da dimostrare.
Archiati: Dimostrami tu che la rosa esiste senza la materia!
Replica: Però siamo uno a uno, nemmeno lui può dimostrare a me che è come dice.
Archiati: È quello che ho detto all’inizio di questa sera. Lo spirito non si può dimostrare, lo si deve mostrare.
Allora, io dicevo che la transustanziazione del mondo avviene quando per me, per la mia esperienza, lo spirito è più sostanziale della materia, ma non posso vendere a un altro questa mia esperienza interiore, perché lui magari non ce l’ha. E prima di andare a vendere la transustanziazione cristiana agli altri devo io essere sicuro di averla. Rendiamoci conto: non è una trasformazione interiore da poco! Bisogna lavorarci quotidianamente, veramente, non barando, non per teoria astratta, per arrivare a dire che lo spirituale, per esempio un pensiero, sia più sostanziale nella mia esperienza reale che non un pezzo di materia; perché poi, quando vado a tavola, davanti alla bistecca, che vedo, mi dico: questa è più reale del mio pensiero. E devo ricominciare da capo la trasformazione interiore!
La transustanziazione è un cammino perenne della coscienza umana, del pensiero umano, dello spirito umano. E la trasformazione perenne dello spirito umano è come una serie di esercizi di pianoforte dello spirito umano per rendere attraverso questi esercizi – nell’esperienza reale dello spirito – ciò che è spirituale più sostanziale, più reale, più causante del cosiddetto materiale. Ma è questione di esercizio quotidiano.
16,16 «Ancora un poco e non mi vedrete più, un poco ancora e mi vedrete».
Ancora un po’ e non mi vedrete: un altro pochino, un micron, e non mi vedrete, non mi guarderete, non mi contemplerete più. E poi «ancora un po’ e mi vedrete». A un livello semplice è che ora Lui dice: ora mi vedete fisicamente, tra un po’ non mi vedrete più. E poi (in base alla trasformazione dello spirito umano di cui stavamo parlando poco fa), nella misura in cui la presenza spirituale del Cristo diventa sostanziale, mi rivedrete di nuovo nello Spirito.
Il Cristo materiale scompare, qual è la prima cosa che succede? Se la prima cosa che succede fosse che Lui è già presente spiritualmente la sostanzialità dello spirituale sarebbe automatica e non sarebbe conquista della libertà. Se la sostanzialità di ciò che è spirituale deve essere conquista della libertà, ci deve essere un momento di vuoto! Il Cristo sparisce fisicamente poi segue un momento di vuoto, a evidenziare il fatto che la sostanzialità della sua presenza spirituale può essere soltanto una conquista della trasformazione libera del proprio spirito.
Una delle due feste che evidenziano il vuoto del Cristo – che materialmente è sparito e spiritualmente ancora non c’è –, è l’Ascensione al cielo, in cui lo perdono di vista. Steiner parla di quei dieci giorni, dicendo che non c’è mai stata un’esperienza di perdita così grande come in quell’occasione, quando non hanno più visto la parte fisica del Cristo. L’ascensione al Cielo è il Cristo che diventa onnipresente nella Terra, e quindi non lo si può più vedere nel mondo eterico a Gerusalemme o in Palestina. Perdendolo di vista sentono un vuoto, un sentirsi orfani, e Steiner descrive questa sofferenza immane che è proprio l’incitamento, l’invito a far rinascere il Cristo da dentro.
L’altra festa che evidenzia il vuoto del Cristo, riferita a «un altro poco e mi rivedrete» è la Pentecoste, dove il Cristo viene visto con l’occhio dello spirito.
Intervento: Scusa, i due verbi sono diversi, c’è un senso in questo?
Archiati: Sì, sì. Il primo verbo è θεωρεῖτέ (theoreite), cioè non mi vedrete, e il secondo verbo è ὄψεσθέ (opseste), da ὁράω (orao). Il primo verbo indica il processo di formare un concetto in base alla percezione sensibile, questa è la teoria. La teoria che tutti conosciamo è la riflessione che facciamo in base alla percezione sensibile. Lui dice: fra poco terminerete di vedermi sensibilmente e di farvi concetti su di me in base alla percezione sensibile, quindi questa sparirà. Dopo un po’ mi… Ôyesqš (opseste): è il concetto che si forma in base alla percezione nello spirituale.
Intervento: Il problema è che la parola sperimentazione si usa anche per l’altro.
Intervento: Sono due modi di vedere diversi: uno è rivolto…
Archiati: No, percezione è percezione, soltanto che una percezione è esterna, e una è nell’anima.
Replica: Non fisica, non della fisicità delle cose.
Archiati: Benissimo. Nella Filosofia della libertà di Rudolf Steiner c’è la fenomenologia di queste due interazioni tra percezione e concetto. La percezione sensibile la conosciamo tutti, è quella che abbiamo sempre, e lì formiamo i concetti. Questo è il primo, quello di cui Cristo dice che finirà, perché il mondo sensibile, prima o poi, finirà.
Cos’è l’altra percezione che fa nascere l’Ðr£w (orao)? È la percezione del pensiero, del pensare. Il pensare sul pensare è un percepire il pensare, che viene creato da noi, e farci i concetti sul pensare che esercitiamo. Il pensare è al contempo un percepito, una percezione interiore, però formiamo anche lì il concetto su ciò che pensiamo.
Propongo una semplificazione, per aiutare nel pensiero. Prima c’è il mondo del Padre, il corpo fisico, la percezione sensibile. Le percezioni sensibili, cosa creano nell’anima? Il Logos, il Cristo, i concetti.
Come passiamo dal Cristo allo Spirito Santo? Facendo in modo che divenga una percezione, per noi, questo cerchio centrale del concetto. Aristotele lo chiama pensare sul pensare, νόησις νοησεως (noesis noeseos), cioè percepire la propria attività pensante. La propria attività pensante è il Cristo in noi, però se io la percepisco, la porto a coscienza, questo è lo Spirito Santo. Pensare il pensare, costruire il concetto del pensare significa che io ho il pensare ordinario come percezione.
DIS. 7 - rosa fisica, concetto di rosa
Intervento: E questa è pura creazione, però nello stesso tempo è l’attività.
Archiati: È l’attività in actu. Anche questo vi fa vedere la parentela strettissima tra il Vangelo di Giovanni e La filosofia della libertà. Tutto il terzo e il quinto capitolo di questa è sul portare a coscienza il pensare, quindi devo fare del pensare la percezione. Però facendo del pensare la percezione creo il concetto del pensare.
Qual è il concetto del pensare? Che cos’è il pensare? Il pensare è la creazione dello spirito individuale dell’uomo. Per fare questa affermazione, per creare questo concetto del pensare, devo percepire il pensare. E questo percepire il pensare è una percezione esterna? No.
Replica: Non si potrebbe chiamare anche sintesi questo lavoro?
Archiati: Sì, certo, perché nella misura in cui le percezioni esterne si trasformano in contenuti dell’anima spariscono, hanno assolto la loro funzione. Cielo e Terra passeranno, che è come dire «ancora un po’ e non mi vedrete», perché tutto viene interiorizzato. Una volta che il Cristo viene interiorizzato, devo percepirlo, devo percepire che il Cristo in me è potenzialità allo spirito. E lo spirito? Ne faccio l’esperienza soltanto nel momento presente. Ciò che è pensato è il passato dello spirito, cioè l’anima; l’anima è il passato dello spirito.
Tommaso d’Aquino e Aristotele ci dicono che lo spirito è attualità assoluta, presenza di spirito assoluta, dove non c’è passato, è tutto nel presente, infatti noi usiamo l’espressione: presenza di spirito.
Intervento: Quindi la percezione fisica ci serve per crearci concetti sovrasensibili.
Archiati: Prendiamo l’esempio della rosa: qui, del primo cerchio (V. Dis. 7) abbiamo la rosa che si vede, la rosa fisica. Cos’è qui, nel cerchio centrale, la rosa? Il concetto di rosa.
Replica: Il concetto di rosa, quello che io chiamavo percezione interiore, ci serve per esercitare sempre di più la percezione di noi in atto.
Archiati: Bene. Dov’è che la rosa è massimamente reale, massimamente eterna? Qui dove c’è la rosa fisica no, perché sparisce; lo è qui al centro, nel concetto di rosa?
Dal pubblico: Quando la porto a coscienza, quando divento cosciente del pensiero.
Archiati: Tutti i concetti che noi abbiamo spariscono quando ci addormentiamo! Penelope, nell’Odissea è l’anima di Ulisse, tornando allo schema, l’anima è qui (V. Dis. 7, cerchio centrale). Penelope tesseva il panno con la scusa che non voleva sposare uno dei Proci, non voleva rinunciare a Ulisse che stava tornando, ne aspettava il ritorno, sperava che tornasse perché il suo vero sposo era lui, Odisseo.
I Proci invece dicevano: ma Ulisse ormai non torna più!, sono già passati vent’anni, sposa uno di noi, no? Va bene – diceva lei – quando avrò finito di tessere il panno per il funerale di mio padre sposerò uno di voi. E cosa faceva la furbetta? Di giorno tesseva il panno e di notte lo disfaceva.
Nella parola Penelope, la terminazione in -lope è in greco data dal verbo λείπω (leipo), che significa disfare, lei disfaceva il panno. È l’anima umana che di giorno tesse rappresentazioni, tesse i concetti che non hanno nulla di reale, tant’è vero che quando ci addormentiamo, sparisce tutto. Allora: la rosa che abbiamo in testa c’è di giorno e sparisce di notte. Dov’è massimamente vera la rosa?
Intervento: Quando io divento cosciente di questo mio concetto.
Archiati: Quindi è tutto un altro livello avere il concetto della rosa ed essere coscienti che è un concetto transeunte, perché questa coscienza non è transeunte.
Intervento: È l’intuizione della rosa.
Archiati: È l’intuizione della rosa, come dimensione immanente ed eterna dello spirito.
Replica: È la vera rosa.
Archiati: La vera rosa. È la dimensione immanente ed eterna dello spirito del macrocosmo e dello spirito del microcosmo.
16,17 «Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: che cosa è questo che ci dice ancora un poco e non mi vedrete, e un po’ ancora e mi vedrete e questo perché vado al Padre?»
Intervento: Nel mio testo è al versetto sedici che trovo «perché me ne vado al Padre».
Dal pubblico: Io ce l’ho al diciassette. Io al sedici.
Archiati: Alcuni manoscritti hanno questa frase sia alla fine del versetto sedici, oltre che al versetto diciassette, invece altri non ce l’hanno. Dobbiamo di nuovo rifare la domanda: che cos’è il Padre?, perché dobbiamo farci il concetto del Padre. La percezione del Padre, il lato di percezione del Padre è il mondo visibile. E qual è il concetto di tutte le cose visibili? Sono i pensieri divini, quindi il Padre è la somma dei pensieri divini che hanno creato il mondo. Il Padre è la somma dei pensieri divini che sono la realtà delle percezioni che vediamo.
La rosa che vedo è la vera rosa? E ritorniamo sempre a fare questo esercizio, è come il metodo per imparare a suonare l’armonium: quando arriviamo al terzo, quarto esercizio che diventa troppo difficile, si ricomincia da capo. Il Padre, a livello illusorio, è il mondo della percezione, a livello di realtà sono i concetti delle cose, perché il concetto delle cose è l’essenza delle cose. «Io vado al Padre» significa che il Figlio, il Logos, si nasconde dietro a ogni percezione. E perché si nasconde dietro al Padre?
Intervento: Per darci la possibilità di…
Archiati: Di riscoprirlo noi. Infatti la parola greca, il concetto greco di verità – la verità è il concetto delle cose, l’essenza vera – è ἀλήθεια (aletheia) cioè devo togliere via il velo della percezione. Λανθάνω (lanthano) significa nascondere, dimenticare, ἀ−λήθεια (aletheia) significa togliere via il velo. La percezione sensibile vela la realtà delle cose per dare la possibilità allo spirito umano di creare lui i concetti, in base alla percezione.
Il Cristo allora sta dicendo: per un po’ mi avete visto. Ma guai se restassi così!: è ora che mi ri-nasconda di nuovo, perché altrimenti voi scambiate la mia essenza con ciò che vedete. L’essenza delle cose è ciò che gli occhi non vedono, è ciò che lo spirito vede. Quando una mamma diventa essenziale? Quando muore! Allora resta soltanto ciò che è essenziale. Ed è questo che trafigge il cuore, perché è diventata essenziale, e non ci si può più appigliare agli ammennicoli e agli accidenti, resta l’essenziale.
Lo spirito è l’essenzialità delle cose. Quante volte noi ci lamentiamo e diciamo: ma non mi capisci! Cosa intendiamo dire?, che ti appigli a questo aspetto di me, o a questo altro aspetto, ma sono tutti accidenti, vorrei che tu mi cogliessi nell’essenziale. E allora, per diventare essenziale, devi sparire… E quando sparisci, cosa rimane? Il ricordo, allora entra davvero nel cuore, cor, cordis: il ri-cordo è essenziale!
Per fare in modo di non sparire troppo alla svelta, auguro a tutti buon appetito!
Giovedì 17 Febbraio 2005, sera
vv. 16,18 – 16,24
Questo capitolo sedicesimo è pieno di tesori spirituali, di conoscenza e di proposizioni evolutive offerte allo spirito umano, soprattutto perché si tratta dello Spirito Santo! Riassumiamo qui ciò che abbiamo già detto: lo Spirito Santo rappresenta tutto il futuro, l’avvenire dell’evoluzione umana, come il Padre è maggiormente il passato – quanto è stato creato come fondamento di natura – e così il Figlio rende possibile allo spirito umano questa trasformazione nel presente: la transustanziazione di ogni cosa in realtà dello spirito. Questa è l’esperienza dello Spirito.
Premettiamo che il Vangelo di Giovanni va spiegato anche psicologicamente, altrimenti rimane una bella teoria, e noi non ci riuniamo per diventare degli esperti esegeti: il Vangelo di Giovanni è vita ed è giusto allora che lo affrontiamo da diversi punti di vista. A questo punto chiediamoci: qual è il problema del materialismo in cui tutti viviamo? Quando uno parla di spirito, dice: lo spirito è fatiscente, invece la materia è qualcosa di reale! Una bicicletta è reale, un motorino, un’automobile sono realtà… mica vado in macchina sui pensieri, i pensieri non mi spostano da un posto all’altro.
Questa reazione spontanea della gente ha le gambe corte, perché in fondo non è giusta. Prendiamo due persone che provano ciò che chiamiamo l’amore, è un’esperienza che facciamo, così come sappiamo che è un tutt’altro tipo di esperienza quando in un rapporto ci si dice peste e corna a vicenda! Se allora due persone si vogliono bene, quell’energia – per l’amore ora uso questa categoria di transizione tra materia e spirito –, quella specie di energia che mi dà gioia, che mi fa stare bene in un tipo di rapporto e che mi fa stare male in un altro, è materia? No, non è materia. Ed è importante nella vita? È importantissima!, e quindi siamo stupidi quando diciamo che la materia è la sola realtà che esista, bariamo con noi stessi perché non corrisponde all’esperienza che, di fatto, viviamo.
Gli agganci per questa transustanziazione del mondo, per trasformare, per vivere ciò che è invisibile come realtà vera, li abbiamo proprio nella vita quotidiana, e basterebbe rafforzarli, basterebbe renderci conto sempre di più che quella è la vera realtà. In un rapporto, cosa vivo io?, vivo la materia dell’altro? No, mi resta estrinseca, quindi la materia dell’altro è per me un’astrazione, non la vivo dentro di me, ma l’atteggiamento del suo animo nei miei confronti, quello sì che entra dentro di me!, lo vivo davvero quindi è più reale, più sostanziale.
Intervento: Ma ti rispondono che tutto è determinato da secrezioni ormonali.
Archiati: Sì, però, ciò che le secrezioni ormonali causano non è già più materia; ammettiamo pure che l’origine sia lì, ma si tratta solo dell’origine.
Replica: Il prodotto non lo tocchi.
Archiati: Esatto. Una volta che l’emozione c’è, a te non interessa soltanto da dove venga, ti interessa anzitutto che è una realtà, o di che tipo è, e il fatto che tu la vivi più fortemente rispetto a un pezzo di materia.
Intervento: Però loro ti dicono che è legata al tuo corpo fisico, nel senso che nel momento in cui questo non c’è più, sparisce anche quel sentimento lì.
Archiati: Non è vero, perché il ricordo, quando uno è morto, c’è e vive in me.
Replica: Però non c’è più il sentimento che lui aveva per te.
Archiati: Il sentimento che lui aveva per me sono affari suoi, io parlo della mia esperienza. Affermare che ciò che io vivo dell’altro, la materia dell’altro, mi sia più reale della non-materia è un barare! Non è un’affermazione vera.
Intervento: Il pensiero stesso che dice che lo spirito non esiste…, non è che lo puoi pesare sulla bilancia, è una cosa immateriale lo spirito, no?
Archiati: Sì, è un pensiero.
Replica: È un pensiero, e lo viviamo a ogni battuta di lingua.
Archiati: Certo, quindi il cosiddetto materialismo è, in fondo, un barare, perché non è una descrizione oggettiva di quello che l’essere umano veramente vive. Con questo, non voglio dire che convincerò e dimostrerò al materialista la realtà dello spirito, basterebbe che mi convincessi io che in fondo sono belle bugie che si dicono. Un sentimento non è un pezzo di materia.
Prendiamo l’amore, per esempio, o la gioia. Il fatto di dire da dove provengono non mi basta per conoscere l’essenza del fenomeno, perché l’origine è soltanto un suo aspetto. Ammettiamo pure che siano prodotti dalle secrezioni ormonali, ma io non vivo le secrezioni ormonali!, vivo i risultati che producono, come le emozioni, e queste non sono più materia.
Diciamo invece che l’uomo di oggi, dove si tratta di venire alle prese con ciò che non è quantificabile né pesabile, è poverello! Non ha mai avuto una formazione che lo rendesse capace di affrontare i fenomeni della psiche e i fenomeni dello spirito con un minimo di scientificità e di discernimento, come invece ha imparato ad affrontare scientificamente i fenomeni del quantificabile, di ciò che ha peso e misura. Se diciamo così, allora siamo onesti con noi stessi.
Possiamo comprendere questo versetto sedicesimo come una affermazione sull’evoluzione: ci sarà un momento in cui non mi vedrete più fisicamente e così avrete l’impressione che io sia sparito. In altre parole dice che ci sarà il materialismo, un passaggio necessario per l’evoluzione dello spirito umano. Il materialismo è l’autonegazione dello spirito fatta dallo spirito. E a che serve? Per risvegliarsi e dirsi: ma che bella buggerata!
Però, come tutte le cose, anche l’inganno del materialismo si può vincere soltanto nella misura in cui ci si passa, nella misura in cui c’è. Nel momento in cui mi accorgo che è errata l’affermazione che soltanto la cosiddetta materia è una realtà e che lo spirito non lo è, questo Logos, che era sparito dalla vista per un po’ di tempo, ritorna a essere visibile: «e dopo un po’ mi rivedrete». Ma non sarà più a livello fisico!
In un certo senso è la riscoperta – ma non per teoria, per esperienza propria, attraverso una trasformazione interiore, un cammino interiore – della realtà di ciò che noi chiamiamo lo spirituale. Che poi lo chiamiate Cristo o Krishna non importa, l’importante è capirsi sulle realtà, perché avendo perso di vista la realtà dello spirituale gli esseri umani si accapigliano sulle terminologie.
Se uno usa la parola Cristo ti dicono peste e corna, perché loro, invece, parlano di Krishna, ma è solo un’altra parola per indicare ciò che è spirituale. E allora intendiamoci, cioè riportiamo il discorso sui fondamenti, facciamo un discorso sullo stato, sullo statuto di realtà di ciò che è materiale e sulla densità di realtà di ciò che è spirituale. E poi, a proposito di ciò che è spirituale, dei pensieri divini che sono alla base della creazione di tutte le cose, ci diciamo: quando parlo con te ci mettiamo d’accordo di chiamarlo Krishna, però siamo intesi di che cosa parliamo!, e quando parlo con un altro lo chiamo Cristo.
Nella fase del materialismo, dello spirito è rimasta soltanto la terminologia e allora gli esseri umani si azzuffano sui termini! Vi farebbe problema parlare del cosiddetto Cristo senza chiamarlo così, ma usando unicamente la parola Messia? Avreste qualcosa in contrario? È la stessa cosa!, letteralmente la stessa parola: Mesciah in ebraico significa Unto, e Cristόj (Christos), in greco, significa Unto. Perché deve essere meglio chiamarlo in greco piuttosto che in ebraico? Perché non ci siamo mai decisi a usare la parola italiana? L’Unto! Questa sarebbe la parola italiana.
Intervento: Ci sarebbe un concorrente… c’è già qualcuno che lo usa!
Archiati: Chi è, chi è? In Italia c’è qualcuno che lo usa?
Intervento: Si è autodefinito così.
Archiati: Ma chi è?
Intervento: Il Primo ministro.
Archiati: Addirittura? Oh, poverino... In Germania, i tedeschi aspettano soltanto che l’Italia ne trovi un altro. Beh, se la parola Unto qui è problematica, lasciamola perdere! Comunque è grottesca la cosa, per esempio, lo saprete, in Germania la parola Führer non si può più utilizzare, ed è una catastrofe enorme per la lingua se adesso, a causa del nazismo, cinque o dieci parole fondamentali non si possono più usare.
È quindi importante che noi difendiamo il linguaggio, non possiamo permettere che venga usurpato perché diventiamo schiavi dei poteri di questo mondo se perdiamo la piena libertà di usare il linguaggio che abbiamo a disposizione. Mantenerlo libero in tutte le direzioni è molto importante, fa parte della nostra libertà, perché la libertà del nostro spirito, del nostro pensiero, si esprime nel linguaggio. Guai se vi creiamo aree di non libertà!
Intervento: E che vuol dire Führer?
Archiati: Il duce, colui che conduce, ma siccome l’hanno usato per quel tipo là, che t’ha creato un disastro che non finisce più…
Replica: È avvenuta la stessa cosa in Italia per la parola duce.
Archiati: Sì, però questa non è così diffusa nel linguaggio italiano, è una parola un po’ d’eccezione, se vuoi. Invece Führer è normalissima.
Intervento: Vuol dire conduttore, no?
Archiati: Sì, significa condurre, a tutti i livelli.
Replica: Vale anche per te, che sei il Führer del seminario!
Archiati: Certo. Ma scusate, chi parla fa una Führung, führen è una parola comunissima in tedesco, perciò dico che è una cosa brutta non poterla più usare, specialmente in certi contesti. Comunque è importante tenere il linguaggio aperto, non imprigionarlo, togliere la libertà di linguaggio è un potere che si esercita sugli esseri umani, è una cosa terribile.
Allora, dicevo: il breve tempo in cui il Logos sparisce e poi si ripresenta è il lasso di tempo tra la percezione e il concetto: la percezione fa perdere di vista il Logos e il concetto te lo ripresenta. Queste frasi del Cristo si riferiscono proprio all’umano nei suoi aspetti fondamentali, oltre ad avere un significato storico: adesso, per alcune ore, ancora mi vedrete fisicamente – siamo al Giovedì Santo e Lui è morto il giorno dopo – e poi non mi vedrete più.
Eravamo arrivati al versetto diciassette. «I discepoli si dicevano fra loro: cos’è questo che dice a noi – tί ἐstin toῦto ὃ lέgei ἡmῖn (ti estin tuto o leghei emin): un breve tempo e non mi vedrete e di nuovo un breve tempo e mi osserverete, mi vedrete? E cosa intende quando dice: Io vado al Padre?».
16,18 Dicevano perciò: «Che cos’è mai questo un poco di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
Si dicevano dunque: che cosa intende quando dice breve tempo, mikrὸn (micron)? Non sappiamo cosa intenda. A un livello umano più semplice si potrebbe dire che mai più avrebbero pensato che dopo un giorno Lui non ci sarebbe stato più. Come potevano sapere che solo due ore dopo sarebbe arrivata la coorte, i cento soldati, Giuda gli avrebbe dato un bacio, lo avrebbe tradito e quelli lo avrebbero catturato? Non potevano saperlo! Quindi pongono la domanda a partire da questo semplice punto di vista psicologico.
16,19 Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «Andate indagando fra voi perché ho detto ancora un po’ e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete?»
Gesù è il portatore del Cristo. Ci siamo già detti che specialmente il Vangelo di Giovanni ci tiene a sottolineare, come gesto di risposta alla gnosi, che Cristo si esprime a livello incarnato, percepibile, attraverso Gesù. Questo perché tutta la corrente gnostica aveva – riguardo al Cristo, al Logos e alla Sofia cosmica – un concetto così sovrano, così alto da non riuscire a immaginare che il Logos potesse incarnarsi in un uomo. Allora questo Vangelo vuole sottolineare che si tratta di Gesù, ma non nel senso che non sia il Cristo, è il Cristo attraverso Gesù.
«Gesù sapeva che volevano chiedergli e disse loro: vi dibattete fra voi per il fatto che io ho detto un breve tempo e non mi vedrete più, e di nuovo per un breve tempo e mi vedrete ancora?» Non mi vedrete più a livello fisico e mi vedrete di nuovo a livello spirituale. Questo lo diciamo noi, e adesso, però loro si chiedevano quale fosse il significato di quelle parole.
16,20 «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia».
«Ἀmὴn ἀmὴn (amen amen) –, dico a voi…», l’Essere dell’Io dice a ogni Io umano: «piangerete e vi rattristerete», diciamo che il piangere è del corpo fisico e il rattristarsi è del corpo eterico, «e il mondo gioirà, festeggerà, banchetterà. Voi sarete tristi – ὑmeῖς lupeqήsesqe (umeis lupethèsesthe) –, ma la vostra tristezza, il vostro dolore si cambierà in gioia».
Porta poi l’esempio del generare della madre che quando viene l’ora del parto soffre per le doglie, però quando il bambino viene generato vive la gioia. C’è chi se la gode e c’è chi tribola! Il Cristo in sostanza dice: chi se la gode, gode meno di chi tribola, perché chi tribola, dopo questo sforzo ha una gioia più grande di chi non si è sforzato.
Questa è un’altra affermazione fondamentale sulla struttura dell’evoluzione umana! L’evoluzione umana, essendo nel tempo, dove c’è il prima e il dopo, non è un essere nell’eternità dove c’è la compresenza del tutto. La legge del prima e del dopo è che la libertà è fatta di conquiste, che si possono anche omettere.
Analizziamo questa legge fondamentale del divenire, questa legge fondamentale della libertà: se la libertà è fatta di conquiste, che non sono costretto a fare ma che potrei anche non fare, in che cosa consiste l’omettere? Nell’illusione di potersi godere il non conquistare! L’omettere è l’illusione di poter godere il già conquistato, e quindi ometto di conquistare di nuovo.
Perché la chiamo illusione? Sono riflessioni psicologiche fondamentali, e a me interessa andare ai fondamenti dell’esistenza, perciò ci riuniamo in questi seminari, perché il Vangelo di Giovanni ci porta proprio ai fondamenti dell’esistenza. Omettere una nuova conquista significa che preferisco godere ciò che ho già conquistato. Cosa mi dice il Cristo? Che affermazione mi fa il Logos? Che cosa mi dice la logica?
Intervento: Che il godere è nel conquistare.
Archiati: E cosa avviene quando io voglio godere il già conquistato?
Intervento: Temo di perderlo.
Intervento: Non godo più.
Archiati: No, mi piglio una buggerata! Perché il già conquistato non si può godere, si può godere soltanto il conquistare.
Intervento: Come il gioco.
Archiati: È come per il gioco. In altre parole, sommamente godibile è il dinamismo del restare in evoluzione. Nel momento in cui una persona si siede ha finito di godere, intristisce il suo spirito, perché vive di rendita. È la tristezza, la sterilità dello spirito: si vive di rendita quando si è vecchi, da giovani non si può perché la rendita non c’è ancora.
Il Cristo prende due matrici fondamentali dell’umano: una la chiama «il mondo» e l’altra la chiama «i discepoli del Logos». Il mondo è l’essere umano in quanto pigro, che cioè si lascia andare alle forze della natura che sono il mondo, il cosmos. Che cosa vuol dire omettere le conquiste possibili offerte alla libertà? Significa lasciarsi andare, ridursi alle forze di natura già presenti nell’essere umano, quello è il mondo, e l’uomo che si riduce a mondo vorrebbe godere subito, nel presente, senza conquistarsi un godimento maggiore. Allora il Cristo dice: c’è l’illusione del mondo, di godere subito, però è un godimento illusorio perché non ci si rende conto che c’è un altro godimento, molto maggiore, che passa attraverso la cruna dell’ago della sofferenza: è lo sforzo. La sofferenza è lo sforzo, è questo chiamare a raccolta tutte le forze della libertà e dare il massimo.
In una giornata ci sono tante forze coalizzate, costituite, che fanno di tutto perché io non trovi un momento di libertà da dedicare al mio spirito. Se però io genero questa forza di respingerle tutte e di crearmi almeno un’ora, uno spazio in cui veramente coltivo il mio spirito, questa sofferenza, questa lotta – perché mi costerà sofferenza magari rintuzzare qualcuno che vorrebbe una mezz’ora di dialogo, di conversazione – creerà però un generare spirituale (come la madre che genera il bambino) che mi darà una gioia maggiore.
Il mondo è la categoria umana che vuole godere lasciandosi andare; ed essere discepolo del Logos vuol dire cercare un tipo di godimento maggiore, che passa attraverso lo sforzo, la sofferenza…, chiamatelo come volete ciò che è difficile! Il godimento facile non costa nulla e non vale nulla. Il godimento difficile costa di più e vale di più. Una lettura pulita di questa categoria della sofferenza, se togliamo ogni moralismo, in sostanza dice: il difficile ti dà più gioia che non il facile!
Sorge una domanda: è stata una bella pensata quella del Creatore che ha creato la natura umana in modo tale che il difficile dia più gioia del facile? Non poteva farci in modo tale che il facile ci desse più gioia del difficile? Sarebbe possibile?
Intervento: Mancherebbe l’esercizio della libertà.
Archiati: Ciò che è facile viene da solo, quindi mancherebbe l’esercizio della libertà. E allora tu dici: non è possibile avere gioia dove non c’è libertà. È questo che dici?
Replica: Sì, manca la conquista della libertà.
Archiati: Manca l’esperienza della libertà, perché la libertà è conquista, perché se non c’è conquista è qualcosa che ti dà la natura, e allora non è qualcosa di libero. In altre parole, una natura umana alternativa non è pensabile, sarebbe un altro essere!, ma non l’uomo.
L’uomo è strutturato in modo tale da godere massimamente ciò che si conquista liberamente, perché gode massimamente la libertà. L’essere umano è l’essere della libertà nel mondo della materia, non al di fuori di essa, come sono gli Angeli. Quella degli Angeli è di sicuro una libertà, se c’è, del tutto diversa e non ci compete parlarne, però in fatto di libertà umana siamo competenti, perché siamo uomini.
Immaginiamo un tipo di educazione della gioventù – noi come generazione un pochino più avanti ci facciamo dei pensieri responsabili rispetto ai bambini –, un tipo di formazione dell’essere umano che gli presenti questa lettura pulita, non moralistica, della natura umana e gli dica: datti da fare! Ma non: datti da fare perché altrimenti vai all’inferno… E neanche: datti da fare perché c’è un comandamento che te lo dice o perché devi ubbidire alle autorità religiose.
Immaginiamo una formazione – che è convincente perché corrisponde alla natura umana – che dica: datti da fare perché dandoti una mossa farai sempre di nuovo l’esperienza che hai molta più gioia di quando ti lasci andare. Immaginate che tipo di mondo avremmo? Mille volte più bello di quello che abbiamo!, perché il darsi da fare, lo sforzarsi, in che chiave è stato predicato finora? Devi! È da menti bacate, e poi non funziona, perché quando l’essere umano arriva a un certo punto dice: ma io non sono mica fatto per dovere, dovere, dovere!
Se vuoi godere la vita a piene mani – e lo vuoi se sei un uomo – devi sforzarti, e se non ti sforzi non potrai godere la vita! Questo discorso così pulito lo fa il Vangelo di Giovanni, e pone due categorie dell’umano: il mondo e i discepoli del Logos. Il mondo sono le forze di natura, che troviamo nei minerali, nei vegetali e negli animali. Se ti lasci andare alla natura avrai le gioie piccole dalla vita, o forse neanche le briciole. Vuoi le gioie grandi? Devi conquistartele!
Di nuovo sorge la domanda: ma il Padreterno che ci ha creati non poteva riempirci di gioia anche senza sforzarci? No, non esiste questo essere, non è l’essere umano. «Però io mi stufo di sforzarmi…» Una persona che dice così non si è sforzata mai, perché chi lo fa davvero gusta la gioia di quello che si conquista! Si è sforzato per andare in paradiso, per evitare l’inferno, perché deve…, ma quello non è uno sforzarsi.
Questi pensieri, pensati fino in fondo, fanno sorgere un dinamismo tutto positivo, che però è dinamismo; non si può godere l’umano a piene mani poltrendo, non esiste! Per quello che io chiamo “sforzo”, il linguaggio italiano dovrebbe avere parole molto più belle, e pulite, ma non le abbiamo perché siamo vissuti di moralismi fino a ora.
Intervento: Impegno?
Archiati: Sì, però impegno è una categoria un po’ moraleggiante. È stato tutto inquinato dal moralismo. Forse la parola più neutra è ancora la parola sforzo.
Intervento: Spregiudicatezza.
Archiati: No, spregiudicatezza è una categoria maggiormente mentale. Di quello che il greco chiama lύph (lupe), il dolore, ci mancano le parole che fanno vedere l’esito tutto positivo di questo dinamismo evolutivo: devo coalizzare tutte le forze dentro di me!
Generare un figlio cosa significa?, io non sono una donna che ha avuto figli, però qui ce ne sono e possiamo domandarlo a loro. La gioia sta in questo: vengono coalizzate tutte le proprie forze. È quello che il greco chiama lÚph, parola che noi traduciamo con dolore, sofferenza. «Avrete sofferenza» è un coalizzare le forze, impegnarsi, mettercela tutta! Però ci è difficile trovare nel linguaggio categorie che non siano state inquinate da moralismi.
Intervento: Beh, nello sforzo non c’è moralismo.
Archiati: Infatti. Anche lo sforzo però è visto come negativo da tanti, è considerato una fatica.
Intervento: È un mettercela tutta.
Archiati: Però siamo abituati a mettercela tutta solo in cambio del guadagnare tanti soldi. Il concetto della gioia, del godimento assoluto nel mettercela tutta nell’evoluzione dello spirito non c’è, va creato.
Adesso entriamo nell’analogia della madre che genera il figlio: l’esperienza dello Spirito Santo. Nella tradizione dell’esoterismo la nascita dell’Io superiore viene sempre presentata attraverso la categoria di una nascita interiore: nasce un Uomo Nuovo che deve venire generato dall’io che ci dà la natura. È proprio una generazione, di un nuovo tipo di essere umano intriso di forze dello Spirito Santo.
Quindi il Cristo in noi ci dà la capacità di creare dentro di noi l’esperienza dello Spirito Santo e questo generare viene paragonato allo sforzo, alla sofferenza, alle doglie di una madre che partorisce. Naturalmente il Cristo prende sempre l’analogia dal mondo della percezione sensibile. Che cosa sono le doglie del parto? Mi rivolgo alle donne, alle mamme presenti: che fenomeno è? Doglia è imparentato con dolore, ma che tipo di dolore è?
Intervento: Fisico.
Archiati: No, non è soltanto fisico, la mente con la coscienza accompagna questo fenomeno, non è fatto soltanto di movimenti del corpo, è fatto anche di sentimenti, di emozioni.
Intervento: Dai alla luce una vita nuova.
Archiati: È un’anticipazione del più bello che ci sia al mondo! Il chiamarlo soltanto «doglie» è un barare, non dice il tutto del fenomeno; perché se fosse soltanto così nessuna donna vorrebbe partorire. La vita che viene generata attraverso questo dolore, attraverso questo sforzo, è molto più forte, è molto più importante e la vince sul dolore, altrimenti nessuna donna vorrebbe partorire se il dolore l’avesse vinta sulla gioia.
Letteralmente dice: «La donna, quando genera, dà alla luce un figlio – ἡ gunὴ Ótan tίkiῃ (e gunè otan tikte) – ha dolore, sofferenza – lύph (lupe)». Sarebbe bello avere un linguaggio che avesse almeno dieci parole per questa categoria, se abbiamo soltanto dolore e sofferenza è un po’ pochino, è troppo materialistico.
Intervento: Afflizione.
Archiati: Afflizione viene dopo.
Intervento: Travaglio.
Archiati: Travaglio non lo usiamo più, io anni fa usavo la parola travaglio, ma mi hanno chiuso la bocca dicendomi: non si usa più! Però ci calza.
Intervento: Perché la parola travaglio ti fa pensare al lavoro.
Archiati: Ma lo sai da dove viene?
Replica: No.
Archiati: Da tripalium, che era uno strumento di tortura dove uno veniva appeso a tre pali.
Intervento: Ma in italiano si usa dire: doglie del parto.
Archiati: Sì, stiamo constatando insieme che duemila anni di materializzazione dell’umanità hanno materializzato anche il linguaggio. È chiaro che, andando verso una spiritualizzazione dell’umanità, lo arricchiremo di tante parole e tanti concetti che sono maggiormente spirituali.
16,21 «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo».
La donna, quando genera, ha dolore – lύphn ἔcei (lupen echei) – poiché è giunta la sua ora. L’ora di sacrificarsi per un altro essere umano, perché dà la sua vita a un altro e per lo meno adesso, in questo momento, prende per sé sofferenza e dolore.
Descrive proprio nei particolari questo fenomeno: «perché è giunta la sua ora, l’ora delle doglie. Ὅtan dὲ ghnnήsῃ tὸ paidίon (otàn de ghennese to paidion), quando è nato, è stato generato, il bimbo, il bambino piccolo, – oὐkέti mnhmoneύei tῆj qlίyeoj (ucheti mnemoneuei tes thipseos) – mai più, giammai ricorda l’afflizione». Adesso c’è la parola afflizione, o tribolazione. «Grazie alla gioia – diὰ tὴn carὰn (dià ten charan) – che un uomo, uno spirito umano, è stato generato dentro al cosmo visibile, si è incarnato». L’incarnazione di uno spirito umano dà alla madre che l’ha reso possibile – tramite lei s’è reso possibile – una gioia tale che mai più ricorda la sofferenza passata.
Intervento: È il Consolatore, in un certo modo, è il discorso del Paraclito.
Archiati: Che consola e fa superare l’afflizione.
Replica: La donna, quando ha le doglie, può sentire di più la gioia per ciò a cui va incontro, rispetto al dolore presente.
Archiati: Prendiamo le doglie del parto conoscitivo che è una delle forme del generare più importanti dello spirito umano. Uno si trova di fronte a qualcosa di difficile, prendiamo l’esempio classico, che qui molti di noi conoscono: Rudolf Steiner. Tante persone si lamentano che è difficile, e che vuol dire? Che leggendolo devono fare uno sforzettino. Come la mettiamo? È come un parto, se tu leggi qualcosa che capisci già in partenza come ti può dare gioia? Non impari nulla!, quando hai finito di leggerlo non sei niente di meglio di quel che eri prima di leggerlo. Che noia! Che tipo di parto avviene nella conoscenza? Che generazione è?
Intervento: Hai acquisito dei nuovi concetti.
Archiati: È un dare alla luce, usiamo questa immagine, questo modo di dire: così come la madre dà alla luce un bambino, noi diamo alla luce il capire.
Intervento: Non è anche dare forma a un pensiero che altrimenti non sarebbe stato espresso?
Archiati: Dare forma a un pensiero che altrimenti non sarebbe stato espresso? Sì, ma perché il Cristo usa le categorie del dolore e della gioia più grande?
Replica: Perché prima non c’era, e adesso c’è, è qualcosa di nuovo che si mette al mondo.
Archiati: Sì, ma l’altro ti dice: e chi te lo fa fare? Goditi la vita!
Replica: Beh, perché mi piace.
Archiati: Ah, sì?
Replica: Ho conosciuto questa gioia, e la ripeto anche!
Archiati: Ma l’altro ti dice: chi te lo fa fare?, se ti lamenti che questo Steiner è così difficile, lascialo perdere! Come rispondiamo?
Intervento: Testimoniamo di questa gioia che abbiamo avuto.
Archiati: Glielo dimostri?
Intervento: Posso mostrarglielo ma non dimostrarglielo.
Archiati: Non glielo puoi dimostrare. E poi qual è la cosa importante, dimostrarla a lui?
Intervento: Glielo fai capire.
Archiati: No, neanche farglielo capire. O me lo godo, lo sforzo, o sono perduto io! L’unica soluzione è godermi veramente lo sforzo, altrimenti non continuerei, mollerei. Convincente è soltanto l’esperienza di godersi lo sforzo; ma come faccio a non barare? Facendo l’esperienza che lo sforzo mi porta veramente la generazione più grande che ci sia: il generare qualcosa di nuovo. Però quest’esperienza devo davvero farla!
Intervento: Con questa metafora del parto del bambino dice che conoscitivamente si può compiere la stessa cosa se noi veramente andiamo in fondo.
Archiati: Cosa intendi dire con «andare in fondo»? Traduci questa immagine.
Replica: Poter completare questo parto del pensiero, della comprensione di un pensiero.
Archiati: Adesso sei a metà di una conferenza di Steiner, che è difficile, che vuol dire andare fino in fondo? Dimmelo concretamente.
Replica: Vuol dire che sarò anche costretta: stringo i denti e vado avanti. È l’esperienza del rileggere e rileggere sempre, con maggiore delicatezza anche, con maggiore comprensione.
Archiati: Ecco, adesso sei diventata, secondo me, più concreta; adesso hai tradotto l’astratto, che per me era nell’immagine «andare fino in fondo», in un modo più concreto, con la categoria del non mollare. Questo è concreto, dire: caro essere umano, devi sapere che una delle leggi fondamentali per avere le grandi gioie della vita è la forza di non mollare davanti all’ostacolo.
Ed esseri umani che crescono con queste idee così chiare lo sanno che il bello succede quando ho questa forza di fronte all’ostacolo. Lo dicevamo stamattina: di fronte all’ostacolo che scelte ha la libertà? O lascio perdere, e allora è finito lo spasso, oppure ho capito attraverso le esperienze già fatte che il bello è nel non mollare. Quindi, i grandi goditori della vita sono coloro che tengono duro. In fondo, torniamo all’analogia che il Vangelo ci dà; perché tante donne – ed è vero, perché lo dicono sinceramente – quando c’è un aborto se la passano brutta? Perché sanno di aver mollato di fronte a una sfida che è una delle più grandi che ci sia, e quindi fanno l’esperienza che il mollare è un tradire l’umano.
Con questo non voglio dire che tutte le gravidanze siano previste nel karma, non è questa l’affermazione. È che l’essere umano è stato creato in modo tale che ha le gioie più grandi solo quando, di fronte all’ostacolo, trova la forza di non mollare. E lo dicevamo, io lo traducevo dicendo: la gioia è la capacità di godersi anche l’ostacolo, e soprattutto quello, perché si sa in partenza che quando me lo godo e non mollo, saltano fuori gioie e conquiste sempre più grandi. Più grande è l’ostacolo e più grande è la conquista, ovviamente. Uno scalatore di quelli che si rispettano non va a scalarti l’Appennino, che gusto c’è?, lo sanno fare tutti!
Quando la donna partorisce ha dolore perché è venuta la sua ora, quando poi viene generato il bambino, mai più ricorda, rammemora e pensa alla sua afflizione, alla sua sofferenza, per via della gioia. Questa è così grande che lei non può pensare alla sofferenza, grazie alla gioia che un essere umano, quindi l’umano, è stato generato. Nella conoscenza c’è sempre un generare parziale dello spirito umano, ogni conquista conoscitiva è un generare, un rigenerare se volete, parziale, ma parziale è faccenda quantitativa dello spirito umano.
Intervento: Ma vale anche nel caso di una partoriente, perché se la sofferenza fosse più forte della gioia una donna non darebbe alla luce un altro figlio, non ripeterebbe l’esperienza.
Archiati: È quello che dicevo prima, certo, ma non farebbe mai neanche la prima, perché ci sarebbero abbastanza donne a dirle: no, non ti ci mettere neanche!
16,22 «Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia».
«Così anche voi – kaὶ ὑmeῖj oὖn (kai umeis un) – ora avete sofferenza nῦn mὲn lύphn ἔcete· (nun men lupen echete) –, ma di nuovo vi vedrò». Adesso non dice «vedrete me», ma Io vi vedrò, quindi il Cristo si presenta sempre di nuovo, le occasioni di crescita si presentano sempre di nuovo, perché il Logos bussa sempre alla porta dello spirito umano. «E voi gioirete, il vostro cuore gioirà – kaὶ carήsetai ὑmῶn ἡ kardίa (kai charesetai umòn e cardia) –, e la vostra gioia nessuno potrà togliere da voi», nessuno potrà portarvi via la gioia. Cioè: dice che la gioia dello spirito, del generare delle forze di conoscenza e delle forze d’amore, è così immanente all’uomo che nessuno te la può portare via dal di fuori! Il lavaggio del cervello può portare via il processo pensante ma non lo può cambiare, non può disporre del processo di pensiero. Può sottrarre il sostrato fisiologico, biologico che lo porta a coscienza ma non può entrare nel processo di pensiero, perché è puramente spirituale.
Lo spirito umano non è gestibile dal di fuori e nessuno può toglierci le conquiste evolutive che ognuno partorisce, sono una gioia e una gratitudine eterne, una dimensione dello spirito che non si cancella mai. Una cosa capita è capita per sempre, per tutta l’eternità, perché è un passo evolutivo del pensiero, della coscienza umana, e non si può più tornare indietro. Nessuno ha mai detto: quella cosa lì, quel quesito lì, l’ho capito fino a sei mesi fa e poi non l’ho capito più… Non esiste!, si capisce sempre di più e non sempre di meno.
Intervento: Questo vale anche da una vita all’altra?
Archiati: Sì, lo spirito è generatore per natura, creatore per natura, diventa sempre di più, mai di meno. Si può diventare di meno soltanto omettendo lo spirito. La legge immanente dello spirito è l’esuberanza, la creatività e quindi la gioia. Avevamo visto la categoria della gioia nel tredicesimo e nel quattordicesimo capitolo, e qui ritorna.
Mi pare di avere già accennato che in greco la gioia è imparentata con l’amore, con la grazia, cάrij (charis) vuol dire caritas in latino, e vuol dire amore-grazia, è la grazia gratuita, gratis et amore dei. Ciò che si dà gratuitamente, e non con un pensiero di tornaconto, è amore. E la gioia è carά (chará). La parola che sta per amore, cάrij (cháris), e la parola che sta per la gioia carά (chará), sono imparentate perché la gioia è l’esuberanza dell’amore. Se l’amore non gioisce non è tale. E l’amore è fare l’esperienza che ognuno di noi, ogni essere umano ha forze in esubero, non soltanto forze che bastano per lui, ma ha forze in esubero per gli altri, così come ogni membro dell’organismo non ha soltanto forze per se stesso, ma le fa rifluire tutte nell’intero organismo.
Fare l’esperienza che ognuno di noi non ha soltanto forze che bastano appena per pensare a se stesso, ma ha forze in esubero che può donare, distribuire gratis et amore dei, è una grande gioia! La gioia della conoscenza e la gioia dell’amore è nel constatare che nello spirito si è miliardari! Anche di euro, perché la legge dello spirito è: creare, creare e creare! Generare, a livello della conoscenza e a livello dell’amore. E questa esuberanza infinita è la gioia, la gratitudine. Perché uno si dice: è proprio bello vivere così!, non c’è niente di più bello.
Che tipo di mondo ha instaurato il materialismo? Un mondo di tirchi, che sta lì a misurare quanto tocca a te e quanto spetta a me. Dove sono le persone che dicono: io sono miliardario! Sono miliardaria!, chi ne vuole? Io ho sempre detto dappertutto: studiare la scienza dello spirito di Steiner significa essere miliardari, non milionari, miliardari! E i soldi, quelli materiali, devono essere giusto il necessario per nutrire bene lo strumento fisico – che deve essere bello sano per servirci nel nostro cammino – ma non di più, tutti i soldi in più sono grane!, problemi, scocciature.
In altre parole, leggendo questo testo ci rendiamo conto che possiamo permetterci un minimo di esuberanza, perché siamo spiriti intrisi di forze che creano nella conoscenza e nell’amore. Perché ci stiamo a lamentare continuamente che i soldi non bastano, che ci vorrebbero due macchine anziché una, o che ci vorrebbero due case anziché una? Viviamo da poveri diavoli quando potremmo vivere da gran signori!, non sto esagerando, è questo il nostro materialismo, è la paranoia eretta a sistema culturale.
La legge evolutiva dell’umano è esuberanza, creatività, è un generare al livello della conoscenza, dell’amore; e più si dà, più si distribuisce e più c’è gioia. Dare dà più gioia che non avere. Avere dà soltanto grane, uno ha paura che glielo rubino, no? Devi po-ssedere! Po, in tedesco significa deretano: devi sedertici sopra perché altrimenti te lo portano via!
16,23 «In quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità io dico a voi: se chiederete qualcosa al Padre nel nome mio, egli ve la darà».
«In quel giorno» nel giorno del parto, quel giorno può essere ogni giorno della vita, può essere ogni ora della vita. Però quel giorno del parto – in cui genererete il Cristo dal di dentro, in forma di Spirito Santo, ogni volta che viene quel giorno, quell’ora –, «non avrete più nulla da chiedermi» perché le risposte vengono dallo Spirito Santo che è dentro. Non vado più in cerca dell’autorità esterna per chiedere: senti, spiegami un pochino, com’è che hai inteso questa cosa? Lo saprò da me!
In altre parole, l’esperienza dello Spirito Santo è la capacità di porsi delle domande da soli e di trovarsi le risposte da soli. Non è meglio trovarsi le risposte da sé che andare dal guru a chiedergli: dammi tu la risposta? Quando le persone vengono a farmi una domanda, io non lo dico ma lo penso sempre: trovatela tu la risposta, la risposta che ti dai tu è per te molto più valida e ti dà più gioia di quella che ti do io, perché questa magari vale per me, ma come faccio a sapere se vale anche per te? E se lui risponde: «Sì, ma io le risposte non le ho»? E allora sforzati!
Intervento: E se uno, pur sforzandosi, non ci riesce?
Archiati: Come non ci riesce?
Intervento: Si dà pure il caso di uno sforzo che non approdi…
Archiati: No.
Replica: Come no?
Archiati: Non esiste, nello sforzo è la conquista! Tu continua a cercarla. Perché sennò come lo spieghi questo «e in quel giorno non mi chiederete più nulla»?
Allora, adesso arriva un’altra affermazione di quelle micidiali: «In verità in verità vi dico – ἀmὴn ἀmὴn (Amen amen)». Amen in ebraico significa: costruire sulla roccia. Quando il Cristo, il testo evangelico fa precedere un’affermazione del Cristo da «ἀmὴn ἀmὴn (amen amen)», significa che ciò che segue è un’importante legge evolutiva che riguarda i fondamenti di tutta l’evoluzione terrestre! Non è un fenomeno della periferia, un fenomeno passeggero che vale soltanto per quei tempi, ma fa parte delle basi di tutta l’evoluzione terrestre.
L’evoluzione terrestre può essere questa: (V. Dis. 8)
Terra 1: evoluzione saturnia
Terra 2: evoluzione solare
Terra 3: evoluzione lunare
Terra 4: evoluzione terrestre
In tutta la fase Terra quattro c’è l’evoluzione dell’Io, è il costruire l’esperienza dell’Io a tutti i livelli in ogni essere umano; poi arriveranno Terra cinque, Terra sei e Terra sette, dove le cose continueranno ad altri livelli.
DIS. 8
Quando il Cristo dice «ἀmὴn ἀmὴn» esprime una legge evolutiva che vale dall’inizio alla fine, poiché riguarda i fondamenti di tutta l’evoluzione terrestre. Che quindi accompagna l’Io per tutte e tre le fasi che dicevamo: sia nella prima fase di caduta, sia nei misteri della svolta, ed è un’affermazione che comprende anche tutta la seconda parte dell’evoluzione.
Questo amen amen ti mette in guardia, ti anticipa: sta attento, nella frase che segue, a dare un’interpretazione che abbracci tutta l’evoluzione! Quindi non leggerla in chiave ristretta, come se riguardasse un aspetto particolare.
«Amen amen, io dico a voi», l’Io dell’umanità, l’Io della Terra, l’Io del Sole, lo Spirito del Sole dice all’Io di ogni uomo… perché l’Io di ogni uomo è un frammento dell’Io del Cristo: «ἄn ti aἰtήsete tὸn patέra (an ti aitésete tòn patéra), qualsiasi cosa chiederete al Padre – la prima parte dell’evoluzione, la natura – nel nome dell’Io, (qui al centro del disegno, V. Dis. 8), ve la darà – nella seconda parte dell’evoluzione».
Ogni bussare alla porta del mondo della natura viene esaudito!, perché è possibile a ogni spirito umano trasformarlo tutto in esperienza dell’Io intriso di pensiero, intriso di conoscenza e di amore.
Quando noi abbiamo una percezione – e chiediamo: cos’è quella cosa lì? –, bussiamo alla porta del Padre, perché il mondo della percezione è il mondo del Padre. E tutto quello che chiediamo al Padre nel nome dell’Io, cioè per trasformarlo in sostanzialità dell’Io, ci viene dato, ogni nostra richiesta viene esaudita.
In altre parole: tutto il mondo, tutta la creazione è trasformabile in un frammento di conoscenza dello spirito umano e in un frammento d’amore del cuore umano. Tutto!, qualsiasi cosa chiederete al Padre, in nome del diventare sempre più un Io libero conoscente e amante dell’essere umano, vi sarà dato.
Intervento: Qualsiasi cosa? Perché la mia traduzione dice «qualche cosa».
Archiati: No, ἄn ti (an ti), significa qualsiasi cosa; checchessia sarebbe una traduzione ancora più letterale.
Intervento: Quanto.
Archiati: No, non è “quanto”, ti è qualunque cosa, qualsiasi cosa. Se non è incoraggiante un’affermazione del genere…!
Intervento: È stimolante.
Archiati: Stimolante, proprio ti dà gioia, ti dice: guarda che tutto il mondo è stato creato perché tu bussi alla porta del Padre, e Lui te la apre sempre! Qualsiasi cosa tu chieda nel nome dell’Io – nel desiderio di diventare sempre di più un Io responsabile, che gode la conoscenza e l’amore – tutto ti viene dato, nulla ti verrà rifiutato.
Intervento: Ma questo non vorrà dire che cambieranno le leggi di natura.
Archiati: Che cosa sono le leggi di natura?
Replica: Quelle alle quali tutti noi siamo sottoposti dal momento in cui entriamo in un corpo fisico.
Archiati: Qual è l’affermazione fondamentale del Cristo sulle leggi di natura? Cielo e Terra passeranno, tu ti sei mai immaginata che le leggi di natura siano eterne? Sarà eterno il fatto di restare sulla Terra? Se fosse eterno, il Cristo dovrebbe dire l’opposto: qualsiasi cosa chiederete al Padre nel nome dell’Io, non vi darà nulla. Allora sarebbe giusto quello che tu dici. Ma la sua affermazione è: ogni legge di natura, ogni determinismo di natura è trasformabile in esperienza della libertà. E questo è il senso del determinismo di natura.
Qual è il senso del determinismo di natura? Dare all’essere umano la gioia infinita di trasformare tutto ciò che non è libero in libertà. Però bisogna chiedere nel nome dell’Io, cioè nel nome della libertà. Bisogna affrontare la natura con l’intento di liberarla da questo incantesimo della forma fissa che la imprigiona in una manifestazione passeggera di caducità. La creazione, che forma ci presenta? Una forma di caducità, che è ingannevole perché la realtà della creazione è di diventare sostanza dello spirito umano in eterno. Nella misura in cui la creazione diventa sostanza dello spirito umano viene resa eterna, perché lo spirito è eterno.
«Cielo e Terra passeranno», anche il Cielo in quanto pezzo di materia che vediamo orbitare nello spazio, tutta la creazione che noi vediamo diventa eterna nello spirito umano, ma può farlo soltanto trasformandosi in spirito! E diviene spirito soltanto sparendo come realtà esterna all’uomo.
«Tutto ciò che chiederete al Padre nel nome dell’Io, ve lo darà», lo darà all’Io, e potrà diventare sostanza spirituale pensante e amante nell’Io. È proprio quello che facciamo ogni giorno in piccolo, magari omettendo molto di quello che potremmo fare, ma essere uomini significa pensare e amare, cos’altro? E pensare e amare vuol dire trasformare la creazione da qualcosa di esterno in qualcosa di interno all’uomo. Ciò che io amo, penso e capisco fa parte di me, ciò che non capisco o non amo mi è fuori. Capire e amare significa interiorizzare il mondo. Più gioia di così! È diventare tutte le cose.
Intervento: Pietro, scusa, mi mette un po’ in difficoltà il fatto che anche il Cielo passerà.
Archiati: Il Cielo?
Replica: Perché di solito col Cielo si fa riferimento alla spiritualità, alle gerarchie, eccetera.
Archiati: Intende dire anche i corpi celesti.
Replica: Appunto, la materialità anche dell’intero cosmo.
Archiati: Certo, ma è soltanto quella che può sparire, si capisce, no? Tant’è vero che noi parliamo di corpi celesti e, in quanto corpi, spariranno, spero bene! Se ce ne fossero che rimangono in eterno i conti non tornerebbero, allora sarebbero spiriti. Avete mai visto un corpo che rimane in eterno? È un’assurdità, un controsenso assoluto. Corpo significa perituro, oppure non è un corpo.
Questa è una frase sulla quale si può meditare per tutta una vita: Amen amen, Io dico a voi. L’Essere dell’Io dice, confida all’Io di ogni uomo: Qualsiasi cosa chiederete al Padre nel nome dell’Io, in nome dell’evoluzione di ogni essere umano verso l’Io, ve la darà. Tutto!, ἄn ti, qualsiasi cosa. È un’affermazione contro ogni tentativo di sancire i limiti della conoscenza. Siccome siamo diventati poverelli spiritualmente non discutiamo più di queste cose, ma ai tempi di Steiner si faceva ancora. Allora c’era il kantismo – e Kant è ancora in auge in Germania – che aveva avuto questa bella pensata: la conoscenza umana ha dei limiti!, ci sono limiti al conoscere.
Intervento: La conoscenza a priori era impossibile.
Archiati: Il limite alla conoscenza, diceva, sta nel fatto che tu la cosa in sé non la puoi conoscere.
Intervento: Però c’è.
Archiati: La questione è complessa: c’è una cosa in sé, tu però non la puoi conoscere, conosci soltanto la tua rappresentazione delle cose. Questa bella pensata magari può andare bene anche a certe chiese che vogliono gestire lo spirito umano, naturalmente, e che dicono: guarda che è superbia, è illusorio pensare che lo spirito umano possa comprendere tutto; no, la conoscenza umana ha dei limiti ben precisi! Che tipo di pensata è quella che afferma che il conoscere umano ha dei limiti?
Intervento: È contro la libertà?
Archiati: È oggettiva l’affermazione? Non è mica facile smontare questa affermazione.
Intervento: Io che ne so, finché non l’ho superato? Se una cosa non la so mi manca, però se posso andare oltre lo so solo io.
Intervento: È come una potenzialità.
Intervento: È un’affermazione che si nega da sola.
Intervento: Lo prendi per te, ma per me, che ne sai?
Archiati: Esatto. Ogni affermazione di non possibilità non è verificabile, quindi non è scientifica. Il Cristo fa l’affermazione opposta: tutto è pensabile! Qualsiasi cosa chiederete al Padre a nome mio, ve la darà, non ci sono limiti allo spirito umano.
Qui vi faccio soltanto notare che nell’umanità moderna c’è un’affermazione che sta bene a tanti poteri costituiti, c’è questa grande affermazione che per intimorire gli esseri umani dice: stai attento che lo spirito umano non è lo spirito divino, ha dei limiti ben precisi nella conoscenza, e poi ci vuole la fede, per aiutare lo spirito in quelle cose che non può capire. Dove lui arriva ai limiti della conoscenza, gli viene incontro la rivelazione che gli dice quelle cose che il pensiero umano non può capire.
Io volevo soltanto sottolineare il fatto che nel Vangelo di Giovanni troviamo, e come affermazione assoluta, l’affermazione contraria: non esistono limiti al pensare umano, qualsiasi cosa chiederete al Padre, nel mio nome, ve la darà.
Intervento: Forse l’interpretazione di questo passo da parte di una teologia tradizionale sarebbe completamente diversa.
Archiati: No, la spostano in chiave morale, non di conoscenza, capito?
Intervento: In chiave di Provvidenza anzi: più hai fede e più Dio provvede.
Archiati: Sì, certo.
Intervento: Per me la fede è proprio questo: «qualsiasi cosa chiedi, ti è data».
Archiati: Fede nel senso di fiducia.
Replica: Esatto.
Archiati: Ma fiducia in chi? In qualcuno fuori di te o nel tuo spirito?
Replica: Dentro di me.
Archiati: È questa la differenza. Però il concetto tradizionale di fede è di credere a una rivelazione, che non è qualcosa di fabbricato dal mio pensiero, è qualcosa che mi viene dal di fuori. Allora lascia perdere la parola fede, perché la categoria è fuorviante, e parla piuttosto del pensare.
Intervento: Posso parlare anche di immaginazione.
Archiati: L’immaginazione come categoria è accessibile soltanto a chi è studioso della scienza dello spirito. In fatto di linguaggio, bisogna stare attenti a usarne uno in cui ci capiamo! Se ognuno comincia a usarne uno suo la comprensione reciproca diventa difficile. Per me, una delle cose più difficili, soprattutto quando sto qui in Italia, è proprio lo sforzo di trovare un linguaggio con categorie che siano, più o meno, accessibili a tutti, e non è facile. Se usassi categorie della scienza dello spirito per me sarebbe più facile, però non sarebbero comuni a tutti, non potrei presupporre una comunanza.
E il Vangelo è ciò che più abbiamo in comune, in una cultura che è invalsa da duemila anni. L’ultima generazione l’ha messo un po’ da parte, però non dimentichiamo che sono testi che hanno vissuto profondamente nei nostri antenati, nei nostri genitori e progenitori – per duemila anni! Quindi costruiamo su qualcosa che è patrimonio comune, della cristianità perlomeno.
Ci sono state persone che hanno passato tutta una vita sul Vangelo di Giovanni e non hanno quasi letto nient’altro, l’hanno meditato per tutta una vita, soprattutto nel Medioevo o nei primi secoli del cristianesimo; e tutte quelle forze conoscitive sono qui, sono con noi, sono una realtà spirituale e ci accompagnano mentre ci sforziamo di comprendere questo testo.
16,24 «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete perché la vostra gioia sia piena».
Finora non avete chiesto nulla nel nome dell’Io, certo!, perché l’Io non c’era ancora, non era ancora venuto. Questo allora non è un rimprovero, finora non c’erano i presupposti, perché le forze dell’Io non erano ancora entrate nella Terra. Quindi il Cristo dice: l’Io entra nella Terra per dare a ogni essere umano la capacità di chiedere, in nome dell’Io, al Padre, tutte le cose che vuole, e tutte gli vengono date.
Qui si riferisce di nuovo al carattere di svolta – l’amen amen di prima vale anche per le affermazioni di questo versetto –, adesso caratterizza la prima metà dell’evoluzione: «Finora non avete chiesto nulla nel nome dell’Io». La seconda metà dell’evoluzione è: «Chiedete e riceverete – aἰteῖte kaὶ lήmyesqe (aiteite kai lempsesthe)».
Nella prima metà non c’erano i presupposti per desiderare di generare l’Io perché non c’era ancora la coscienza dell’Io, non c’era ancora il concetto dell’Io. Nella seconda metà nasce il desiderio, il godere lo sforzo di generare l’Io: chiedete e vi sarà dato. Questo chiedere è il dinamismo dell’evoluzione, è lo sforzo della conoscenza, è l’impegno di amare.
Se la conoscenza venisse da sola, non ci darebbe gioia, sarebbe automatica e non sarebbe libera. Se l’amore venisse da solo, sarebbe un operare della natura, non sarebbe una conquista della nostra libertà; e non ci potrebbe dar gioia, perché non sarebbe un’autorealizzazione dell’Io.
Autorealizzazione dell’Io è soltanto quello che compiamo in libertà, e ciò può soltanto avvenire se non ce lo dà la natura. E come avviene? Con ciò che noi chiamiamo lo sforzo. Però vi ho detto che questa dello sforzo – e probabilmente andando avanti nell’evoluzione creeremo altre parole – è una realtà molto sfaccettata, ha tanti e tanti aspetti e ci mancano i termini per esprimerla in tutta la sua ricchezza. Il Cristo prende la sfumatura fondamentale del chiedere. Che vuol dire chiedere? Oppure parla di bussare…
Intervento: Quando uno vuole qualcosa chiede.
Archiati: Sì, ma che esperienza è il chiedere?
Intervento: Insistere.
Archiati: Insistere, non mollare, chiedete, chiedete! E se uno dicesse: ma perché non me lo dà senza dover sempre chiedere? Cosa gli direste? È perché non ci sarebbe gusto, perché non me lo sono conquistato. Il chiedere quindi è il conquistarlo.
Intervento: Perché poi, se uno ti dà una cosa che tu non chiedi, puoi anche rifiutarla.
Archiati: Non t’interessa, se non la chiedi non t’interessa. Chiedete significa «interessatevi a tutto, e allora vi sarà dato», perché solo ciò che m’interessa ce l’ho. Ciò che mi interessa ce l’ho perché interessandomi fa parte di me. Ognuno ha tutto ciò che gli interessa, e ognuno non ha tutto ciò che non gli interessa. La legge fondamentale della libertà è di interessarsi a tutto; quando io mi interesso di una cosa ce l’ho, subito, perché interessarmi significa farla mia. Di meglio non c’è, di più non c’è.
«Chiedete e vi sarà dato», i sinottici dicono «bussate e vi sarà aperto», è lo stesso. O «Chi cerca trova», si può trovare senza cercare?
Intervento: Alle volte si trova senza cercare.
Archiati: Allora non è un trovare! Se tu trovi una cosa senza averla cercata non è un trovare, bisognerebbe usare un’altra parola.
Intervento: È un incontrare.
Archiati: È un incontrare, un imbattersi in qualcosa, non è un trovare.
Intervento: Magari lo scopro, quando mi sono imbattuta in questa cosa, vi pongo l’attenzione e dico: ah, sì, questa è…
Archiati: Sì, la sorpresa, la sorpresa. Ma che esperienza c’è nel cercare?, è questo che m’interessa. Che poi il cercare sfoci nel trovare… il trovare poi è la fine dello spasso.
Intervento: Metto in moto delle forze cercando, comunque.
Archiati: Il bello è nel cercare! I sogni sono belli finché non si realizzano, quando si realizzano è finito lo spasso. Ritorniamo: che esperienza facciamo nel cercare, è un’altra categoria dello sforzo, del dinamismo, che vuol dire cercare?
Intervento: Voler conoscere.
Archiati: Voler conoscere, che tipo di esperienza animica è?
Intervento: Di entusiasmo.
Archiati: Ma chiedere, che tipo di esperienza animica è?
Intervento: Vivere una mancanza per cui vuoi reintegrare quello che senti ti manca.
Archiati: La metti in chiave negativa, mettila in chiave positiva. È l’esperienza: ce la faccio! Ce la faccio! Ce la faccio! Nel momento in cui mi convinco che non ce la faccio termino di cercare. Invece se penso: la trovo, la trovo! Quella è la gioia, quella è la gioia del dinamismo, del dinamismo evolutivo.
Qualsiasi cosa chiederete, ve la darà, la gioia del cercare è il convincimento intrinseco – di cui neanche ci accorgiamo perché intrinseco all’essere umano –, è dire: ce la faccio! Altrimenti uno rinuncia a cercare. È stupido cercare se già in partenza so che non trovo.
Intervento: Si potrebbe dire che non faremmo neanche la domanda.
Archiati: Non faremmo neanche la domanda, certo. Chi di noi ha studiato matematica? C’è un problema di matematica, un’equazione e hai un libro dove ci sono i risultati, fino a quando uno non molla? C’era un tempo in cui non c’erano, poi hanno aggiunto anche le soluzioni. Allora uno ha già il risultato, però deve fare tutti i passaggi. Ho già provato tre, quattro volte, e che cosa mi induce a non mollare?
Intervento: Il fatto che ce la vuoi fare e hai la fiducia di potercela fare, perché se hai il convincimento che non ce la fai, molli.
Intervento: Poi sai anche che quando vai a vedere il risultato non sei soddisfatto, sei deluso di te se sei andato già a vederlo. Non lo fai perché sai che non ti soddisfa questa cosa.
Archiati: No, ci sono problemi in cui se anche hai già visto il risultato, le prime quattro o cinque volte ti salta fuori sbagliato. Quindi non è che il vedere il risultato ti porti via lo sfizio, lo sfizio c’è, perché tu vuoi arrivare a quel risultato, che sai che è quello giusto. Torniamo a quello che dicevi prima, la soddisfazione di…?
Replica: Di farcela, di fare il percorso per arrivare al risultato, è quello che mi piace.
Archiati: È la fiducia che ce la faccio. Se ci è arrivato un altro, perché non ci devo arrivare io? L’altro non è un superuomo, deve avere fatto tutto il processo per mettermi lì il risultato. E se l’ha fatto lui, lo posso fare anch’io!
Intervento: Uno però può essere più intelligente di un altro.
Intervento: O può avere più talento.
Archiati: E perché non posso essere io più intelligente di lui?
Intervento: Perché io conosco i miei limiti.
Archiati: Domanda: perché sottolinei i limiti?
Replica: Perché se non riesco a fare un esercizio di algebra e io provo, e riprovo, e non riesco. L’altro l’ha fatto in cinque minuti, allora devo ammettere che lui è più in gamba di me.
Archiati: In quell’esercizio lì! E quante volte hai provato? Naturalmente noi adesso stiamo parlando di campi in cui una certa persona è meno dotata, quindi è chiaro che, in quel campo lì, non avrà le più grandi gioie della vita.
Noi stiamo parlando delle infinite cose di cui ogni essere umano è capace, però ognuno ha una serie di infinità diversa: le cose di cui ognuno è capace sono innumerevoli!, ma questa infinità non è che debba comprendere tutto ciò che sanno fare gli altri.
Ripeto il concetto: non c’è un limite alle cose che ognuno sa fare, però ognuno ha infinità diverse, e questo non significa che tutte le cose che io so fare debbano comprendere tutte quelle che un altro sa fare e un altro ancora sa fare. Basta che le cose che io so fare siano infinite, e basta che io resti nel campo delle cose che so fare, ma non c’è limite! Perché ci dovrebbe essere? Sarebbe una mortificazione, il Padreterno che mortifica l’essere umano: voglio confrontarti col tuo limite. «Tutte le cose che chiederete al Padre in nome dell’Io, ve le darà». Tutte! Qualsiasi cosa.
Intervento: Magari non subito.
Archiati: Non dice: ve le darà subito. Ci sono delle cose così grandi che è nella loro natura che non ti diano soddisfazione se vengono subito, perché allora avvengono automaticamente e non hai l’esperienza della conquista. La gioia è nell’esperienza della conquista, e la conquista deve essere in proporzione con ciò che vuoi conquistare.
Intervento: Può anche essere molto prolungata la cosa.
Archiati: A seconda della consistenza! Se tu vuoi conquistare la soddisfazione di essere un bravo padre di famiglia, questa non viene in un giorno, non lo si diventa in un giorno. Come fai a saperlo? È nella natura della cosa, quindi bisogna capire la natura di un certo tipo di conquista.
Ci sono certe conquiste che durano cinque giorni e ti valgono la gioia di quei cinque giorni. Ci sono conquiste che richiedono una vita intera, e la gioia è corrispondente a tutto il tempo di conquista. Ci sono certe conquiste che richiedono quattro incarnazioni: e tu datti da fare per quattro incarnazioni!, però guarda che la gioia e la gratitudine è quadruplice rispetto alle conquiste di una vita sola.
Ritorniamo alla domanda: dove sono i limiti dell’evolvibilità dello spirito umano? Non ci sono! Lo spirito non conosce limiti, o non è spirito.
Vi auguro una buona notte, non illimitata nello spazio e nel tempo.
Venerdì 18 Febbraio 2005, mattina
vv. 16,25 – 16,26
Auguro una buona giornata a tutti! Riprendiamo la parabola di ieri sera, della donna che partorisce, perché fra poco il Cristo dirà: finora vi ho parlato in parabole, invece d’ora in poi vi parlerò direttamente. Una parabola è una similitudine, in latino è similitudo, in greco paroimίa (paroimia). Il termine «qualcosa di simile» è parά oἶ moj (parà oimos), perché quando partoriamo qualcosa nella nostra testa non generiamo un bambino come realmente fa la madre, però compiamo un processo analogo, non è un parto fisico ma è, similmente, un parto.
Le similitudini vanno prese dalla parte dove non zoppicano, nel senso che, se è un paragone, non può essere uguale a tutti i livelli, altrimenti sarebbe la stessa identica cosa! L’arte del paragonare i fenomeni della vita sta nel trovare gli elementi giusti, nel distinguere quelli che sono paragonabili, e lasciar da parte quelli che non lo sono.
L’arte della similitudine è l’arte stessa del partorire: come si fa a distinguere tra gli elementi paragonabili e quelli che non lo sono? Bisogna partorire la distinzione!, e anche il distinguere è un parto intellettuale. Il Cristo usa questo paragone fondamentale come categoria dell’esperienza dello Spirito Santo, perché sta parlando dello Spirito Santo che Lui manda. Dice: io sparirò, conviene a voi che io sparisca – e da duemila anni fisicamente non lo si vede più – perché soltanto scomparendo come istanza esterna potete vivermi dal di dentro, nella forma dello Spirito Santo.
Sono comparabili lo Spirito del Cristo che parla in carne e ossa, e lo Spirito del Cristo interiorizzato? Sì, però bisogna prendere la similitudine dal lato in cui calza. Non è paragonabile nel senso fisico, perché l’uno è opposto all’altro: c’era quando era presente, e poi non c’è più. E in quanto presenza spirituale? Quando c’è fisicamente, c’è solo fisicamente?
Intervento: No.
Archiati: No, dice delle cose che vanno capite, ha dei pensieri e dei sentimenti, che non sono materia. Quindi in quanto presenza non soltanto sensibile, ma spirituale e animica resta presente, non sparisce dal mondo.
L’evoluzione intellettuale, conoscitiva allora viene paragonata al parto, quale altra evoluzione viene paragonata al parto? Il cammino dell’uomo ha un secondo livello fondamentale, che è l’evoluzione morale. Il capire va più veloce, normalmente e se non si perdono colpi, però il trasformare tutto il proprio essere avviene più lentamente. La dimensione morale è la trasformazione reale dell’essere, non soltanto il capire quello che dovrei o potrei diventare, ma il diventarlo. Questo parto morale dove io do alla luce un po’ alla volta un altro essere – me stesso in quanto essere migliore!, in cui faccio nascere in me l’Io amante, l’Io superiore, l’Io cristico, lo Spirito Santo pieno d’amore – è un processo più lento.
La categoria, la similitudine del parto è la più feconda, se vogliamo, per capire l’evoluzione nel tempo. Nella natura c’è evoluzione nel tempo? Sì e no! Se noi guardiamo alle religioni orientali che sono sorte prima di Cristo, lì non c’era ancora nell’essere umano l’idea dell’evoluzione nel tempo, perché è il Cristo che ha portato l’esperienza dell’archetipo umano che conquista in conoscenza e conquista come cammino morale. La parola Cristo intendetela sempre tra virgolette: noi ci siamo accordati che usiamo questa parola, ma se avessimo qui dei non cristiani dovremmo usarne altre. Voi mi permettete di usarla ma non nel senso pio, tradizionale, perché intendiamo il Cristo come archetipo dell’umano. In tutte le religioni orientali allora c’è un’immagine dell’eternità piuttosto che dell’evoluzione nel tempo, proprio perché si guardava ai cicli della natura.
Nel ciclo di una pianta, che è la classica immagine di ciò che avviene nella natura, c’è vera evoluzione? No, si ripete sempre uguale, non è che la pianta successiva porterà elementi nuovi rispetto alla pianta precedente, ripete tale e quale lo stesso ciclo. Quindi non c’è evoluzione vera e propria nella natura.
Intervento: Ma i semi di una pianta che fa frutto sono già diversi nella pianta sia maschile che femminile che li ha generati, che si adatta all’ambiente, quindi l’evoluzione c’è. A meno che non intervenga l’uomo a moltiplicare la pianta madre per mezzo di una talea, o di un innesto, che allora dà piante geneticamente identiche a quelle di partenza.
Archiati: Naturalmente, ogni volta che noi vediamo la ripetizione della stessa cosa, questa non è mai uguale in tutto e per tutto, però bisogna distinguere se i fattori di variazione sono accidentali o se sono essenziali.
Prendiamo un leone: il suo istinto non è che cambi ogni dieci anni, però lo stesso leone, che ha compiuto un determinato ciclo di operatività finché l’ambiente era in un certo modo, può cambiare. Improvvisamente a causa di una catastrofe naturale, per esempio uno tsunami, si comporta in modo un po’ diverso: invece di fare il suo solito tragitto, dove adesso c’è acqua, passa un po’ più in là. È cambiato qualcosa nella natura del leone? Nulla!, è un fattore puramente esterno.
Questa capacità del pensiero, lo dicevamo già ieri, di distinguere fra ciò che è essenziale e ciò che è accidentale, è una delle cose più importanti. Se tu invece dicessi: però all’inizio della creazione e alla fine dell’evoluzione della Terra le leggi fondamentali di natura sono diverse. Allora sì!, ma è proprio questo che non concedono gli scienziati, perché questo gli scombussola tutto quanto.
Gli scienziati prendono in considerazione il mondo dopo il big bang, quando tutte le leggi di natura all’improvviso iniziano a esserci, e presuppongono che esse restino uguali per milioni e milioni di anni. Difatti noi, nell’arco di una vita, non vediamo cambiare le leggi di natura nella loro essenzialità e quindi l’uomo, durante la sua vita, posto di fronte alla natura deve prendere posizione col suo io individuale.
Queste riflessioni sono importanti perché il Cristo continua a parlare del Padre, che è il mondo della natura, quindi il rapporto col mondo della natura in questi versetti è centrale. Perché lo Spirito Santo è l’Io umano singolo che dal Figlio, dal Cristo, è stato reso capace di prendere posizione individualmente nei confronti della natura.
Allora lasciamo perdere le astrazioni, le speculazioni sull’inizio, su come e quando siano cominciate le leggi di natura (lì ci tocca speculare perché non siamo all’inizio del mondo), lasciamo da parte anche le speculazioni sull’entropia, su come finirà la Terra, e prendiamo in considerazione l’arco della nostra vita: in tutto questo periodo di mezzo dell’evoluzione umana, è un fatto che la natura è il sostrato costante.
Se noi parliamo di evoluzione, di cambiamento sostanziale nelle leggi di natura, probabilmente è perché omettiamo l’evoluzione vera e propria di cambiamento nella sostanza dello spirito che è possibile nel fattore umano. È questa l’evoluzione vera e propria, dove di giorno in giorno sorge qualcosa di sostanzialmente nuovo nel mondo umano, ed è specificamente dell’uomo!
Intervento: Questo periodo da dove lo fai cominciare? Dall’inizio dell’evoluzione terrestre?
Archiati: Da quando sei nata a quando morrai, ti basta? È il periodo di evoluzione che ti è accessibile alla percezione, perché se cominci a dirmi: sì, però, nella vita precedente, o nella fase evolutiva precedente…, le cose erano diverse. Lì però ti tocca speculare perché non ne hai la percezione. Ecco l’importanza della percezione.
Il mondo della natura, in quanto ci è accessibile alla percezione, è un mondo di ripetizione, è un’immagine dell’eterno che rimane uguale a se stesso. Se invece lì guardo a ciò che cambia – che è puramente esterno e del tutto inessenziale – perdo di vista l’essenziale che sono le leggi formanti del minerale, le leggi della vita del vegetale, le leggi dell’emotività, dell’animicità dell’animale. Queste leggi restano uguali!, non cambia nulla nell’arco di una vita nostra, dove abbiamo le percezioni degli animali, delle piante e delle pietre.
Questo distinguere fra ciò che è essenziale all’essere e ciò che è puramente accidentale è importantissimo!, è una delle distinzioni che Aristotele ha posto alla base della sua filosofia, che poi gli scolastici hanno ripreso nel Medioevo. Se il pensiero non fa questa distinzione l’uomo è perso, se non sa distinguere fra ciò che è essenziale e ciò che è accidentale – che non fa parte dell’essere – crea confusione in tutto il suo spirito.
Intervento: Ti fermi all’animale o ci metti anche l’uomo?
Archiati: No, parlo dell’animale, non dell’uomo.
Replica: È diverso dal discorso che si faceva una volta, dei quattro regni, quando si parlava dei quattro regni.
Archiati: No, non sono quattro. Il discorso di questa mattina è che sono quattro a livello accidentale, mentre a livello sostanziale sono tre e uno! La distinzione è tra l’uomo e i tre regni “infraumani”, uso questa parola in senso neutro, cioè non nel senso che sono inferiori ma nel senso che sono al di sotto, fanno da fondamento all’umano.
Uso qui una categoria un pochino forte, però mi capirete, è perché sia più efficace, vivendo in tempi di pensiero impoverito dobbiamo avere il coraggio di affrontare le cose un po’ frontalmente. Nei tre regni di natura, che non sono il regno umano – l’uomo non è un essere di natura: ha la natura –, la differenza essenziale rispetto al regno umano è che nei regni di natura ciò che è costante e si ripete sempre uguale è l’essenza, e ciò che varia è accidentale. Nell’uomo è l’opposto: tutto ciò che resta uguale nell’uomo non è la sua essenza, mentre tutto ciò che in lui cambia, che si evolve, è l’essenza dell’uomo.
Questa è l’essenza della libertà, questo è il senso della libertà: nell’uomo è essenziale solo ciò che compie liberamente, e quindi è nuovo perché non glielo dà la natura. E ciò che gli dà la natura, nell’uomo non è essenziale perché è di natura. L’umano è essenziale nell’uomo, non il naturale! In altre parole, l’elemento di natura per l’uomo è strumento, è una condizione necessaria, però lo strumento non fa parte dell’essenza.
Questo mistero dell’umano il Cristo lo presenta con la parabola del parto. La gioia del parto è che nasce sulla Terra un nuovo essere che prima non c’era, quindi è il nuovo che dà questa gioia. E la sofferenza, quella che noi chiamiamo così, è il travaglio necessario per non ridursi a natura, perché nel caso contrario è la natura che opera in me e non devo sforzarmi. La sofferenza è lo sforzo proprio di questo dinamismo del creare qualcosa di nuovo, che se non lo creo io non c’è.
Prendiamo, per esempio, un’esperienza che abbiamo fatto tutti, ognuno a modo suo e al suo livello: in una persona sorge questo giubilo dello spirito che dice: ho capito! Che esperienza è? Tutto il mondo che è rimasto uguale non conta nulla, è il presupposto! E certamente ci deve essere, perché se non ci fossi in carne e ossa, con un cervello ben nutrito che sa pensare, non arriverei a questo intuito del pensiero. Però, in quel momento lì, cosa è essenziale a quest’esperienza? Non è tutto quello che già c’era: l’essenziale è il nuovo! Questa è la creazione, questo è il parto, l’immagine, la similitudine del parto.
Se io ho uno strumento musicale, che è necessario per far risuonare la musica, ma non suono e non vivo la musica, a che mi serve lo strumento? Certo, senza il violino non potrò suonare, ma lo strumento che non viene usato per produrre, per creare, è un controsenso. La natura, tutte le leggi di natura sono condizioni necessarie, strumento necessario per le creazioni dell’uomo, sia come evoluzione di pensiero, sia come evoluzione morale. E in tutte e due l’essenziale è il nuovo, altrimenti non sarebbe evoluzione.
Nella natura, per quanto riguarda l’arco intero di una nostra vita, non c’è evoluzione. Noi la immaginiamo così solo perché estrapoliamo, facciamo astrazioni: speculiamo su come sia stato all’inizio, su come tutto sia cambiato e poi su come sarà la fine. Ma nel corso della nostra vita – quindi nel mondo che ci è accessibile alla percezione, senza speculare – tutto ciò che è di natura nella sua essenza si ripete sempre uguale, e il fattore di cambiamento è accidentale rispetto all’uomo. Nell’uomo avviene proprio l’opposto: tutto ciò che resta uguale è accidentale e il nuovo è essenziale. Quando l’essere umano omette il nuovo allora omette l’essenziale!, omette di essere uomo e si riduce a essere di natura, perché questo non è omissibile, procede secondo leggi deterministiche e lì non c’è la libertà.
C’è un modo specifico di intendere le parabole che il Cristo usa – e tipico del Vangelo di Giovanni è di non averne –, però il Cristo dice: anche questi discorsi dell’Ultima Cena, in fondo, lo sono, perché annunciano in via di similitudini, di paragoni, soprattutto questo della madre, del parto, un’esperienza che ognuno deve fare in proprio, e quando la realizzi non è più una parabola.
In un certo senso allora si potrebbe anche dire che il Figlio è una parabola dello Spirito Santo perché ci rende capaci di farne l’esperienza in proprio, e il Figlio parla di questo. Ma capiamo cosa il Cristo volesse dire nella misura in cui facciamo l’esperienza dello Spirito Santo e quindi lo si può preannunciare come possibile soltanto in forma di parabola, perché passa alla realtà solo quando ne faccio l’esperienza.
La parabola dice: sta attento che l’esperienza dello Spirito Santo è un partorire, un generare dal di dentro un essere nuovo!, pieno di luce dove prima c’era tenebra, nel pensare, e pieno d’amore dove prima c’era egoismo, nell’evoluzione morale. E questo parto, questo generare può avvenire ogni giorno, in ogni momento.
Intervento: Sarebbe il Figlio dell’uomo?
Archiati: Certo, il Figlio dell’uomo, proprio questo: l’uomo partorisce dentro di sé il Figlio.
Ieri sera eravamo arrivati ai versetti 16,23 – 24: «Amen amen, dico a voi: qualsiasi cosa chiederete al Padre nel nome mio, ve la darà». A partire da ciò che il Padre, che la natura ci dà noi poi partoriamo, generiamo, una cosa del tutto nuova dentro l’essere umano.
Quest’esperienza viene scissa in due per farci capire l’articolazione dell’evoluzione nel tempo: la sofferenza, le doglie, la categoria della sofferenza, prima; e la gioia, dopo.
Gioia è carά (chará), e sofferenza è lύph (lupe). Una volta in Germania ho fatto uno studio sui tre termini che ci sono nella Bibbia di Ulfila, scritta in gotico antico, le tre parole che si usano per indicare la sofferenza sono:
• klaύsete (clausete): la sofferenza del corpo astrale,
• frhnesete (frenesete): del corpo eterico e
• luphneiete (lupeneiete): del corpo fisico.
Sono parole difficili da tradurre, il greco le usa tutte e tre e sono termini diversi. Quindi in chiave di scienza dello spirito è chiaro che uno li riferisce subito a queste tre tipologie: fisico, eterico e astrale. Affrontando il testo evangelico a livelli più precisi è una bella cosa scoprire che c’è anche questa dimensione ancora più scientifica.
C’è una tensione, un tipo di sofferenza nel partorire che è propria del corpo fisico. Per esempio: se voglio rendermi capace di partorire intellettualmente e moralmente, la “sofferenza” è la capacità di partorire, e quindi devo portare il corpo fisico, l’eterico e l’astrale, tutti e tre, a essere capaci di partorire. Qual è questa sofferenza specifica del fisico? È il mangiare in modo sano, per esempio, è fare di tutto per tenere sano il corpo fisico, e questa disciplina comporta una sofferenza, un sacrificio, una rinuncia…, esprimetelo come volete, una volta compreso il fenomeno nella sua essenza possiamo poi usare i diversi vocaboli che abbiamo nel linguaggio. Si tratta di praticare quella disciplina specifica del corpo per renderlo capace di questo parto, perché se il fisico non è consenziente non è adatto a un parto intellettuale, non tutti i tipi di corpo consentono una mente lucida. Se uno strumento musicale, un violino, ha le corde troppo allentate o troppo tirate non salta fuori la musica giusta.
Avere uno strumento fisico sempre bello preciso, accordato, è un’ascesi. Per l’essere umano che deve sempre avere la controforza – come, per esempio, la tendenza a lasciarsi andare, a farsi una bella mangiata ecc. – questo richiede una sofferenza, una vittoria su di sé che comporta una misura di sforzo e di dolore.
Ci rendiamo conto che il Vangelo, soprattutto il Vangelo di Giovanni, affronta il fenomeno umano nei termini più scientifici e fondamentali che ci siano, basta spolverarlo dai sentimentalismi, dai pietismi e andare veramente a quello che c’è nelle parole greche.
Vi dicevo che il Vangelo usa tre termini: klaÚsete (clausete) che si riferisce maggiormente al corpo astrale; frhnesete (frenesete) che è un dolore del corpo eterico e luphneiete (lupeneiete) del corpo fisico. Naturalmente sempre guardando a che cosa serve questo dolore, perché un macerarmi, un soffrire a livello fisico che poi non mi porta a nessun parto sarebbe una bella fregatura!
Intervento: Quale può essere la sofferenza del corpo eterico?
Archiati: Allora: nel corpo fisico abbiamo la salute e la malattia e la sofferenza, a questo livello, è nel tenerlo sano. Il corpo eterico è la vita, e il contrario di vita è morte.
La differenza di difficoltà sta nel fatto che il corpo fisico è per noi tutti accessibile a livello di percezione sensibile. Invece il corpo eterico non lo è immediatamente e quindi ti devi studiare una scienza dello spirito che ti presenta delle percezioni immaginative, in modo che cominci a conoscere sempre di più anche il corpo eterico. Non dico in modo paragonabile a tutta la fenomenologia che noi conosciamo a livello del fisico, ma sempre di più. Ecco perché sorge la necessità di una scienza dello spirito, altrimenti diventa tutto astratto.
Quindi l’eterico è vita e morte, e l’animale? L’anima?, cerchiamo l’essenza del fenomeno.
Intervento: Prima hai posto le polarità, salute-malattia e vita-morte, per cui bisogna trovare un opposto anche per l’astrale.
Archiati: È l’insensibilità. Tutti fenomeni di insensibilità animica sono la morte dell’anima. Quindi: la sofferenza del corpo fisico è la malattia, quella del corpo eterico è la morte e quella del corpo astrale è l’insensibilità. Queste però sono indicazioni, sono categorie, tutto dipende da come le si usa e da ciò che uno ne tira fuori.
Intervento: Però mi rimane sempre la difficoltà di capire come faccio a evitare la morte del corpo eterico. Per il corpo fisico devo evitare la malattia, e questo mi è chiaro, ed è chiaro anche quello che riguarda l’anima, ma cosa posso fare per il corpo eterico, come posso tradurlo nel vissuto?
Archiati: Faccio un piccolo accenno, però essenziale rispetto a questo. Tutto ciò che è vitale è fondato sul ritmo, viene allora vitalizzato se io rispetto questo ritmo, oppure lo devitalizzo se rompo i ritmi.
Allora, la tua domanda chiede in modo concreto: qual è uno dei modi fondamentali per aumentare le forze vitali del corpo eterico? Meditare ogni giorno alla stessa ora, per esempio, aumenta enormemente le forze del corpo eterico, proprio quelle specifiche del corpo eterico, così come le aumenta anche rispettare il ritmo nei pasti. Perché il corpo fisico resta sano soltanto se è vivente, non sono separati il corpo fisico e il corpo eterico. E quindi, come lo mantengo sano? In quanto coltivo e rafforzo le forze vitali con un ritmo anche nel nutrirmi.
Steiner descrive tutte queste cose nei trecentocinquanta volumi dell’Opera Omnia, e noi, l’umanità di oggi, sappiamo tantissimo sul corpo fisico; disattendendo però il corpo eterico e il corpo astrale non tutte le cose che si sanno sono veramente scientifiche. L’intento di conoscere sempre meglio il corpo fisico va bene, però una scienza dello spirito – che ci aggiunga tutta la fenomenologia del corpo eterico e del corpo astrale – è più completa perché comincio a concepire l’essere umano nella sua interezza. La scienza dello spirito è un partorire una conoscenza scientifica, non soltanto a livello del fisico, di ciò che fisicamente si vede, ma a livello dell’eterico, a livello dell’astrale e a livello dello spirituale.
Intervento: E ciascuna delle tre condizioni si riflette anche sulle altre?
Archiati: Certo, non sono separate le une dalle altre. Immagina l’anima di una persona gravemente ammalata: può essere piena di gioia? Quindi questi tre elementi sono intimamente connessi fra loro, però non significa che non siano distinguibili.
Per esempio, seguendo le traduzioni gotiche tedesche di queste tre parole greche capiamo questo:
• la sofferenza a livello del corpo fisico è la fame: «Beati quelli che hanno fame»;
• la sofferenza a livello del corpo eterico sono le lacrime: «Beati coloro che hanno sete o che piangono»
• e la sofferenza a livello del corpo astrale è la preoccupazione.
Ecco le doglie del parto, spiegate un pochino più scientificamente: la fame cerca di saziarsi, vuole saziarsi; il pianto vuole asciugare le lacrime, però deve trovare motivi per non piangere più; e la preoccupazione vuole sfociare nella fiducia. Sono nella preoccupazione quando non capisco una cosa che devo capire, per esempio quando sto sostenendo un esame: se capisco supero l’esame e allora trovo un posto di lavoro, se non capisco sono pre-occupato!
Come si vincono la fame, il pianto e la preoccupazione? Come avviene il parto? Facendo l’esperienza che l’essere umano ha a disposizione tutte le forze necessarie per trasformare ogni fame in sazietà, ogni pianto in riso e ogni preoccupazione in occupazione. Non gli manca nulla! Deve soltanto attivare tutte le forze che ha dentro di sé.
Se le attiva si rende conto che la triplice natura dentro di lui – fisico, eterico e astrale – sono strumenti musicali, sono condizioni necessarie, però l’essenziale è il nuovo che lui stesso crea con questi strumenti. Ed è capace di farlo, e lo può fare sempre perché è uno spirito umano, perché è uno spirito! La sua essenza non è il fisico, non è il vitale, non è l’animico: questi sono strumenti. La sua essenza è la creazione spirituale di ciò che è nuovo, ed essendo tale la sua essenza, ne è capace. A questo punto si ripropone la domanda: ma allora, perché non avviene da sé questa creazione del nuovo?
Intervento: Perché non è di natura, lo si deve decidere di fare.
Archiati: Ma perché? Perché è meglio che sia di libertà e non venga da solo? E perché molti si lamentano: ma, santa pace!, bisogna sempre sforzarsi?
Replica: Saremmo nel paradiso terrestre o nel limbo.
Archiati: Saremmo come bambini, dove mamma natura fa tutto. E allora dobbiamo di nuovo chiederci: preferirei veramente essere come un bambino piccolo, da adulto? Che svantaggi ci sarebbero? Ci sarebbero forse degli svantaggi a voler essere un bambino piccolo quando si è adulti? Se non mi trovate degli svantaggi non mi convincete.
Intervento: C’è sempre qualcuno sopra.
Archiati: Avrei tutti gli altri che mi usano come strumento! E questo non mi procurerebbe gioia, non è una cosa che mi andrebbe bene, è impossibile che mi vada bene. In altre parole, vorrei dimostrarvi che non c’è bisogno di comandamenti morali: devi, devi, devi, basta il «ti conviene!», perché se non mi conviene a che mi serve il devi? È nella tua natura, e se vai contro la tua natura te ne pentirai perché starai molto male, tant’è vero che gli esseri umani ci provano sempre di nuovo, poi si lamentano di non stare bene. E tu allora prova qualcos’altro, no? A questo punto poniamo di nuovo la domanda: perché sono stati predicati i comandamenti morali, finora?
Intervento: Perché era il periodo infantile.
Intervento: Perché s’è fraintesa la natura dell’uomo.
Archiati: O non la si è capita. Funzionano i comandamenti per degli adulti? Sono duemila anni che si predicano cose come «devi essere un buon cristiano», e i risultati? Disastrosi! E queste riflessioni non hanno nulla a che fare con la polemica, sono così fondamentali che ci fanno capire che l’umanità si trova a un punto evolutivo tale da dover proprio fare un passo avanti, ma lo deve fare con la testa.
L’evoluzione avviene prima nella coscienza e poi le forze della volontà si muovono, altrimenti andiamo contro la libertà dell’uomo. È nella coscienza che io sono libero, quando una cosa la capisco e mi convince la faccio! E la faccio perché voglio e non perché devo o per evitare l’inferno. Cos’è l’inferno?
Intervento: La perdita di tutta la libertà, cioè quando tu sei assolutamente in balia di qualche altra forza.
Archiati: Sì, ma l’inferno tradizionale?
Intervento: Il nulla?
Archiati: Magari!
Replica: Vendetta, minaccia, ricatto.
Archiati: La mazza di ricatto morale del potere, che ti dà una bastonata per tenerti sotto. Ma oltre alla mazzata l’inferno non è nulla, il resto è pura invenzione. La mazzata però, se uno la piglia e se la porta a casa, quella sì che c’è!, ma non c’è altro.
Cominciando da Giuda per esempio, il Padreterno perché avrebbe creato l’inferno se poi non ci mette neanche Giuda, suicida e traditore? E se uno ci riflette e pensa all’amore del Cristo, all’amore del Padre, a tutte queste frasi del Vangelo, il fatto che Giuda venga messo nell’inferno eterno proprio non ha senso. Allora uno dice: ma allora non esiste realmente questo inferno eterno, è esistito nella fantasia di coloro che ha impaurito. E questo intendeva dire in fondo Karl Marx nell’affermare che la religione è l’oppio del popolo, perché questa frase ha anche il suo lato di verità, non è soltanto falsa.
Intervento: E Dante? L’Inferno di Dante?
Archiati: Le scene dell’Inferno di Dante sono stati di coscienza che il materialismo umano ha cosificato: sodomia o avarizia sono stati di coscienza. E Dante ti dice che se tu vivi da avaro vivi nell’inferno, se vivi da iracondo vivi nell’inferno.
Intervento: Ma l’abisso dell’Apocalisse, per esempio, dove si perdono, non può un pochino assomigliare a un inferno?
Archiati: No, non si perdono, nessun uomo si perde.
Intervento: Non è più un uomo.
Archiati: No, non sono uomini coloro che precipitano nel punto più basso.
Intervento: Sono animali.
Archiati: Ma non sono uomini… Fai attenzione a quello che ti dico, altrimenti non ti arriva: questa linea discendente la devi prendere passo per passo. E in che cosa consiste? Nel fare il male?
Replica: Nell’omettere sempre di più.
Archiati: E alla fine cosa ti resta? Nulla! L’abisso dell’evoluzione non è costituito da uomini cattivi, è la vanificazione dell’umano, che è più abissale ancora. Finché resta qualcosa dell’umano non è ancora precipitato.
Intervento: Perché l’abisso è un’immagine di un vuoto.
Archiati: Un vuoto. Però dobbiamo dirci che, per diventare omissione, carenza su tutta la linea, non basta una vita sola. Abbiamo un cristianesimo tradizionale veramente bambino, dobbiamo cominciare a pensare pensieri più sostanziosi! L’evoluzione umana, le potenzialità dell’umano sono infinite.
Ieri sera dicevamo che non ci sono limiti alla conoscenza, le potenzialità positive sono infinite, e quindi le possibilità di omissione sono ugualmente infinite. Come può un essere umano, nell’arco di una sola vita, in cui ha a disposizione un paio di decenni, se tutto va bene, come fa a realizzare tutte le potenzialità dell’umano per andare in paradiso? Paradiso significa “perfetto”. E come fa a omettere tutte le potenzialità dell’umano per nullificarsi su tutta la linea? È assurdo! Ma è perché non siamo ancora arrivati al punto da pensare i pensieri più fondamentali, e perciò ci viene data, in questo scorcio di millennio, una scienza dello spirito per cominciare a usare un po’ la testa di cui siamo stati dotati. La religione tradizionale è piena di affermazioni infantili, bambine.
Intervento: Per questo le religioni sono diventate una noia.
Archiati: Lo si vede, no?
Allora siamo sempre al versetto 16,24. «Finora non avete chiesto nulla in nome dell’Io», il bambino, in questa fase della sua vita, non può chiedere nulla in nome dell’Io, della libertà individuale, perché gli mancano le forze, gli mancano i presupposti per capire di che si tratta. Finora non c’erano le condizioni perché l’essere umano chiedesse qualcosa, chiedesse a tutte le forze, del fisico, dell’eterico e dell’astrale, di farsi strumenti in nome dell’Io. Il Cristo, il fenomeno Cristo, ci dà la capacità di chiedere a tutto ciò che è fisico, a tutto ciò che è vitale e a tutto ciò che è animico, di farsi strumento per le creazioni dell’Io, dello spirito. Finora, nella fase bambina, prima del Cristo non avete chiesto nulla al mondo del Padre, al triplice mondo del Padre, in nome dell’Io. Ora lo fate.
Il fenomeno Cristo è l’uomo che diventa capace – il Cristo gli conferisce questa capacità – di chiedere, di comprendere che questa triplice potenzialità di natura può sfociare nella libertà. Che cos’è una potenzialità? Un chiedere, un chiedere di realizzarsi.
Queste tre sfere di natura nell’uomo quindi chiedono, sono nella sofferenza del parto, per generare l’elemento di evoluzione, di libertà, l’elemento individuale dello spirito. Il fisico, l’eterico e l’astrale chiedono di sfociare nell’elemento dell’Io spirituale.
«Finora non avete chiesto nulla nel nome dell’Io», in nome dello spirito umano singolo che si evolve nella libertà, nel quale ciò che è nuovo, ciò che viene partorito di nuovo, è l’essenziale e tutto ciò che già c’era diventa accidentale, diventa strumento, condizione necessaria.
«Chiedete e riceverete», la traduzione corretta non è «vi sarà dato», e non è meglio «riceverete» perché lamb£nw (lambano) significa prendere! Il chiedere è la dimensione intellettuale che capisce, e il prendere è la dimensione morale che realizza.
Che cosa significa che io chiedo a ciò che è fisico, a ciò che è eterico e a ciò che è animico? Cosa vuol dire che mi rivolgo a questi per chiedere? Significa che capisco intellettualmente che il senso di questi tre elementi di natura è ciò che io, in quanto spirito umano, chiedo loro in nome dell’Io. E nella misura in cui intellettualmente chiedo al dato di natura di farsi da strumento per ciò che è libero, lo prendo!
«Chiedete e prenderete». Questo l»myesqe (lempseste), che in greco è il futuro di lambano, viene di nuovo tradotto, manipolato in «riceverete». Prendere è attivo, ricevere è passivo, quindi le traduzioni non hanno un minimo di comprensione del testo e lo stravolgono. Il gattino riceve tutto da mamma natura, ma l’essere umano è fatto per prendere, se riceve tutto è un essere di natura anche lui. Lambano è prendere, afferrare, e suppongo che la maggior parte delle traduzioni che avete dica riceverete.
Replica: Otterrete.
Archiati: Otterrete. Faccio la petizione all’autorità politica e ho il protocollo, ottengo il favore?
Intervento: Se prendo, significa che ne ho il diritto, invece ricevere è più umile.
Archiati: Devi star sotto, devi dipendere da me! Rendiamoci conto che tradurre con ricevere un verbo che significa prendere, crea enormi problemi.
Intervento: È sbagliato anche «ti sarà dato».
Archiati: Certo che è sbagliato, è ancora peggio di riceverete.
Intervento: Il meno peggio è «otterrete», perché uno può ottenere anche da se stesso: ho ottenuto un buon risultato, è qualche cosa che ho fatto io, non è passivo.
Archiati: È solo un pochino meglio.
Intervento: E, «bussate e vi sarà aperto», o «cercate e troverete»? Sono le altre due espressioni di cui si era parlato ieri.
Archiati: Sono nei sinottici, e sarebbero meno precise: se busso, deve aprire chi è dentro.
Replica: Quindi, «vi sarà aperto» è inevitabile.
Archiati: È inevitabile, e per questo il Vangelo di Giovanni non lo usa.
Replica: E il cercare e il trovare invece sono giusti.
Archiati: No, è giusto il prendere!
Uno si potrebbe chiedere: perché di tutte queste categorie il Vangelo di Giovanni usa «chiedete e prenderete» – lempseste è futuro –, e di tutte le altre non si serve? Perché le altre categorie hanno almeno un po’ di passività. Quando uno trova qualcosa che era nascosto, significa che era già lì, non è che lo crei lui, quindi in questo trovare resta una componente di passività.
Le due categorie che massimamente sono attive sono quelle che usa il Vangelo di Giovanni: chiedete!, perché il cercare o il chiedere è tutto attivo, perché c’è soltanto quello che ci metto io; e prenderete. È molto bello scoprire queste cose sempre di nuovo nel Vangelo di Giovanni.
«Affinché la vostra gioia sia piena», finché io faccio l’esperienza del dato di natura – che c’è e ci deve essere perché è necessario – e finché penso che sia essenziale al mio essere, la mia gioia non è piena! È piena quando io faccio l’esperienza che ciò che creo di nuovo, che partorisco io di nuovo è essenziale al mio essere, e tutto ciò che c’era già, dato per natura, è accidentale. Allora la gioia è piena perché non sono minimamente passivo nell’essenza del mio essere, neanche minimamente.
Lo strumento musicale non fa parte del mio essere, neanche un pochino, è uno strumento! E la mia essenza non è nello strumento, e quindi questo aggiungere la vostra gioia sarà piena, è proprio il fare l’esperienza che la mia essenza in quanto essere umano sta su un altro piano, non ci entra dentro nulla della natura. Neanche l’uno per cento del triplice sostrato di natura entra nell’essenza dello spirito umano, perché il sostrato di natura è strumento.
L’affermazione opposta di tristezza è quella dello scienziato naturale di oggi che dice: altro che uno o dieci per cento!, nel tuo cosiddetto spirito hai soltanto effetti, è causante in tutto e per tutto il triplice sostrato di natura. Il Vangelo di Giovanni allora direbbe: la vostra tristezza sarà piena! Perché è un totale annullamento dell’essere umano, l’essenza dell’umano viene cancellata in tutto e per tutto, perché non è causante, per nulla.
Quale delle due cose è vera? Tutte e due devono essere possibili se vogliamo che ci sia la libertà. Deve essere possibile abdicare a questa sfera di creazione spirituale, e allora restano soltanto gli altri tre. E quando uno lo fa di vita in vita, e sempre di nuovo ecc., alla fine non ha neanche più la potenzialità verso lo spirito.
L’Apocalisse – scritta dallo stesso autore del Vangelo di Giovanni – distingue tra la prima e la seconda morte, di cui parla anche Francesco d’Assisi: affinché la secunda morte non le faccia male. La prima morte è l’omissione della libertà: finché l’uomo omette la libertà è una tragedia, però c’è sempre la speranza, perché la capacità, la facoltà gli resta.
Intervento: La può ancora esercitare.
Archiati: Una potenzialità, una capacità che non si esercita, non si esercita e non si esercita, rimane illesa? No, si dissolve! Il livello dell’animale, il livello della bestia, non è l’omissione della libertà, è che si è annullata la potenzialità della libertà; perché l’animale non è capace di libertà, non è che ometta la libertà.
Adesso ditemi voi se è possibile in una vita sola disfare, distruggere tutta la potenzialità di libertà insita nello spirito umano! È un pensiero assurdo. Eppure è nella dinamica della libertà di lasciare aperte tutte e due le vie: esercitando – in chiave tomistico aristotelica si direbbe attualizzando – sempre di più questa potenzialità, la si conferma sempre di più; omettendo di attualizzarla, e omettendo sempre di più, alla fine sparisce la facoltà, mi perdo la potenzialità.
L’essenza dell’animale non è l’omissione della libertà, è l’assenza di facoltà di libertà, l’assenza di potenzialità della libertà. Se l’animale fosse un essere che omette la libertà sarebbe un uomo cattivo, non un animale. L’abisso ultimo dell’evoluzione è non poter più essere liberi, quindi l’umano non c’è più. Non vengono esclusi esseri rimasti umani.
Basterebbe riflettere su queste cose così fondamentali per vedere l’assurdità del pensare che all’uomo sia dato di vivere una volta sola, che con questa potenzialità di evoluzione infinita gli vengano dati solo un paio di decenni sulla Terra.
Poi, tra l’altro, come la mettiamo con gli esseri umani che nascono morti o che muoiono da bambini? Dove li mette il Padreterno? In paradiso o all’inferno? Non hanno fatto nulla per arrivarci! Dove li mette? Avevano inventato il limbo, un po’ un’area di parcheggio, ma non si sa bene a che cosa serva.
Intervento: Che poi dovrebbe essere eterno come gli altri, no?
Intervento: Dovrebbero stare lì anche tutti gli esseri umani prima di Cristo?
Archiati: Certo. E anche quelli potrebbero dire che è ingiusto.
Intervento: Sono nel limbo, no?
Archiati: Sì, nella Divina Commedia sono nel Limbo. Ma queste persone nate prima di Cristo potrebbero dire: ma non è giusto!, siete più belli voi solo perché siete nati dopo? Ci sono tante cose da pensare che nel cristianesimo tradizionale non sono state pensate, sono state proibizioni di pensiero.
Intervento: Ma il fatto che noi adesso siamo in questa svolta e possiamo scegliere di vivere o da una parte o dall’altra, vuol dire che nella realtà attuale ci sono tutte e due le figure: persone che stanno omettendo e persone che tentano di non omettere. E quando s’incontrano, queste persone?
Archiati: Allora succedono scintille più o meno grosse, lo viviamo continuamente.
Intervento: Ognuno di noi omette, in parte omette.
Replica: Sì, però dicevo, nella misura in cui una persona non omette e quindi realizza…
Archiati: No, non esiste un non omettere su tutta la linea o un omettere su tutta la linea, quello arriva soltanto alla fine.
Replica: No, la mia domanda è questa: per poter omettere uno deve fare sempre una scelta, di omettere.
Archiati: No, basta lasciarsi andare, quella è la differenza. È per non omettere, che devi scegliere! Per non omettere ci devi mettere una decisione di volontà, invece per omettere basta che tu non faccia nulla. È quella la fregatura, a omettere non ti devi sforzare!
Uno ti chiede di andare a prenderlo alla stazione, tu non ne hai voglia e vorresti omettere di fare un atto d’amore: ti costa mandarlo al Padreterno? Gli dici «non ho voglia» e resti a casa, è facile! Che cosa è più difficile? Il dire: salto in macchina e lo vado a prendere! È lì che ti dai una mossa. Ma per restare nella stanza non ti devi dare una mossa, non ti muovi, resti nella stanza. Invece per andare alla stazione devi muoverti, ti devi dare una mossa. È così ovvio! Per attualizzare la libertà devi darti una mossa, perché se venisse da sola non sarebbe libera, però il non libero, siccome non è libero, viene da solo. Il lasciarsi andare viene da solo: tant’è vero che non si dice farsi andare, ma si dice lasciarsi andare.
Intervento: L’aumento delle malattie depressive…
Archiati: È questo, è proprio questo! Questa struttura dell’evoluzione dell’essere umano è che la gioia avviene soltanto dopo la sofferenza, questa è la struttura. Ora, la depressione è, in fondo, il meccanismo psicologico di avere la gioia senza la sofferenza.
Intervento: Sì, ma la depressione è anche lei una grossa sofferenza.
Archiati: No, non è vero. Il fenomeno della depressione è molto più complesso. La depressione non è un fenomeno morale ma è un fenomeno di coscienza, è non aver capito la struttura dell’evoluzione dello spirito umano. È, in fondo, l’inganno di coscienza che vorrebbe star bene senza darsi una mossa. E perché è difficile convincere un depresso?
Intervento: Perché non vuole essere convinto.
Archiati: No, perché non vuole darsi una mossa.
Intervento: Ma c’è anche il fatto che un depresso è anche molto arrabbiato…
Archiati: Perché non vuole darsi una mossa! E guai se tu gli dici: guarda che tu ti devi dare una mossa e poi la depressione va via. Lui non vuole farlo.
Intervento: Anche perché in fondo pensa che la gioia ci possa essere senza la sofferenza, ma in realtà non è gioia quella, probabilmente.
Archiati: L’essere depressivi non è gioia. L’unica cosa che ci salva è di sperare che non stia bene più di tanto! Perché quando non gli va più di non star bene cambierà le cose, ma finché si gode la depressione non c’è nulla da fare.
Intervento: Però normalmente si distribuiscono le colpe, cioè si dice: non sto bene perché quella persona mi guarda così, o perché quello là….
Intervento: Quando subentrano gli psicofarmaci allora le cose peggiorano ancora, no? Penso, perché quando c’è uno stato passeggero te lo gestisci.
Archiati: Cosa fanno gli psicofarmaci?
Intervento: Addormentano la coscienza.
Archiati: Adesso andiamo per sommi capi, perché sono fenomeni che andrebbero considerati in modo più minuto, però come orientamento fondamentale diciamo che gli psicofarmaci sono fatti apposta per protrarre la depressione il più a lungo possibile. E come raggiungono lo scopo? Attenuandola, apparentemente. E siccome apparentemente si attenua diventa più lunga, è così! Sarebbe meglio invece se si eliminassero gli psicofarmaci e se diminuissero i contentini delle persone attorno. Arriva il momento che uno dice: eh, no, non ci trovo più gusto! E solo quello funziona, la convinzione che dice: non ci trovo più gusto. Allora è finita la depressione perché la depressione è autogodimento.
Intervento: Sembra un controsenso.
Archiati: Nessuno di noi può vivere senza autogodimento, però ce ne sono alcuni un po’ più intelligenti e altri un po’ meno. La depressione è uno dei tipi di autogodimento meno intelligenti che ci siano!, però vai a spiegarglielo tu…
Intervento: Stai affermando che il depresso gode della sua depressione?
Archiati: Certo, altrimenti ne uscirebbe fuori subito.
Intervento: E perché certi si uccidono?
Archiati: Perché hanno paura che questo godimento termini. Lui si mette in testa che se termina, prima di tutto si deve ricredere e deve capitolare di fronte agli altri, perché deve dimostrargli che funziona bene anche senza essere depresso. Già questa capitolazione, di fronte al «finalmente ti sei dato una mossa!» degli altri, non tutti sono capaci di mandarla giù. Poi si immagina di poter vivere soltanto così e di non poter vivere in altro modo, come uno che sta bene ed è contento, e si toglie la vita.
Intervento: E così non vive più.
Archiati: Sì, però non dà neanche la soddisfazione agli altri.
Intervento: Ma tu non hai mai avuto a che fare con un depresso?
Archiati: Ce ne sono dappertutto, scusa.
Replica: Voglio dire che io i depressi li ho visti soffrire tantissimo.
Archiati: Ci sono persone che più soffrono e più godono la sofferenza: il fenomeno è complesso!
16,25 «Queste cose ve le ho dette in similitudini, ma verrà l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre».
Queste cose ve le ho dette in immagini – in similitudini, in paragoni, in parabole –, viene l’ora in cui non ve le dirò più così, ma parrhs…v (parresìa) apertamente. Questo nome deriva da p©n ·Áma, pan vuol dire tutto, e rema è la parola. L’immagine è questa: che la parabola non te la dice tutta perché usa un paragone, e un paragone calza per certi elementi e non calza per altri.
Viene l’ora in cui non parla più per parabole, per paragoni, dove alcuni elementi sono esclusi, ma viene il tempo in cui ce le dice tutte (pan rema), direttamente le cose, senza usare paragoni.
Intervento: Come dire: vi dirò la verità sulla natura.
Archiati: Cioè, il Cristo genera in noi la capacità di andare all’essenza delle cose, e l’essenza ce la dice tutta! Invece nel paragone devo sempre distinguere fra ciò che è essenziale e ciò che invece è accidentale. Le fiabe che raccontiamo al bambino piccolo sono immagini: cosa avviene nel passaggio dall’immagine al concetto? Nell’immagine c’è l’essenziale unito all’accidentale, il concetto è la capacità dello spirito di cogliere l’essenza.
Facciamo un esempio, la parabola classica è quella del seminatore. Il seminatore va a seminare… perché è una parabola? Perché vuol dire qualcosa d’altro, tant’è vero che agli apostoli spiega: il seminatore è il Logos che semina la parola, lo fa seminando le percezioni, perché le parole percepibili sono concetti seminati nel mondo visibile. Il campo, i quattro campi – ci sono quattro tipi di campo, e uno solo è buono – sono l’anima dell’uomo: la pietra è l’animo chiuso, che non accoglie questa parola; il campo dove il seme cresce è il cuore, l’animo umano che accoglie la parola, le dà tutto il necessario e questa cresce, come una pianticella.
Che differenza c’è tra il parlare per immagini e il parlare in concetti?
Intervento: Nell’immagine prendiamo anche il sentimento?
Archiati: Sì, prende tutto e non distingue nulla, il concetto invece va all’essenza. Nel seminatore vedo l’immagine di uno che semina. Agli apostoli dice che il seminatore è il Logos. Cosa ho adesso?
Intervento: Il concetto.
Archiati: Che cosa è sparito del seminatore? Tutto ciò che è esterno, accessorio, accidentale.
Intervento: Io dal concetto posso fare mille immagini, mentre alla base dell’immagine c’è un solo concetto.
Archiati: Certo, quindi il concetto deve essere molto più preciso dell’immagine, però è più povero, l’immagine è più ricca.
Replica: Però dal concetto nasce un’infinita possibilità di immagini.
Archiati: Adesso parlo per semplificazioni: l’immagine è la dimensione dell’anima e il concetto è la dimensione dello spirito. Se noi ci chiediamo che cosa è meglio poniamo la domanda sbagliata, perché l’uomo è fatto di tutti e due: l’uomo sano, l’uomo completo sa oscillare tra questi due mondi, è proprio come un’altalena, sa vivere sia nel mondo del concetto sia nel mondo dell’immagine.
Ci sono certe cose che ci giova di più esprimere in immagini – perché magari sono troppo complesse o perché non abbiamo ancora una scienza dello spirito così minuta da poter concettualizzare tutto –, e allora è meglio se siamo capaci di tradurre tutto quello che c’è anche in immagini. E ci sono altri passi evolutivi, altre cose per le quali ci serve meglio il concetto. Cosa è meglio? Saper fare tutti e due!, sapersi muovere, e sapere quando va meglio l’immagine e quando va meglio il concetto. Quando i concetti diventano troppo rigidi o troppo astratti non si risolve continuando a martellare sui concetti, e bisogna ritornare all’immagine. E quando le immagini diventano troppo sfocate, bisogna avere il coraggio di tuffarsi nei concetti.
Una delle polarità fondamentali, le due matrici di pensiero, di espressione dell’umano che sono alla base della cultura occidentale, poi divenuta cristiana, sono: Platone, che si esprime in immagini, e Aristotele, che si esprime in concetti. Anche quando Platone sembra esprimersi in concetti, se uno va a vedersi il testo greco scopre che sono tutte immagini, perché Platone si muove nelle immagini, tant’è vero che per lui anche tutto il mondo sensibile è un’immagine del mondo spirituale.
Invece Aristotele procede di concetto in concetto, deve distinguere, distinguere, distinguere… tra: potenza e atto; forma e materia; sostanza e accidente. Deve sempre distinguere! In una mela, per esempio, che cosa è sostanziale, essenziale, e che cosa è accidentale?
Quando arriviamo al punto da togliere tutta la sostanza della mela per cui diciamo che non è più mela? Perché finché togliamo ciò che è accidentale resta mela. Quand’è che sparisce la mela? Perché quando sparisce la mela ho tolto la sostanza della mela! Non pensiate di risolverlo in mezzo minuto, sarebbe un esercizio di ore, bisognerebbe passare in rassegna una trentina di attributi, o aspetti, e distinguerli. È un esercizio di pensiero molto complesso che sarebbe da fare se il nostro intento fosse quello di una scuola di pensiero, però vi garantisco che non è una cosa facile. Una volta l’abbiamo fatto sulla sedia: quante gambe sono essenziali perché sia una sedia? Ne basta una?
Intervento: Basta una, pensa allo sgabello…
Archiati: Ma allora è uno sgabello, non è una sedia! Perché il linguaggio crea un altro concetto? E in fondo poi concludiamo che il risultato di questo tipo di esercizi non serve a sapere chi ha ragione, in fondo tutti potrebbero averla, perché si potrebbe anche dire: però lo sgabello è un tipo specifico di sedia. Quindi, il senso di un esercizio che discerne fra ciò che è essenziale e ciò che è accidentale non è di arrivare a un risultato preciso per cui l’uno ha ragione e l’altro ha torto, no, non è possibile, il risultato è che si impara a pensare meglio!, questo è il vero risultato e questa è la gioia che ne risulta.
Aristotele e Tommaso d’Aquino ci dicono che la persona che sa pensare meglio è quella che è capace di dar ragione a tutti a ragion veduta. Sa trovare l’aspetto sotto il quale…, sì, potrebbe essere giusto come lo dici tu, però devo trovare sotto quale aspetto è giusto e sotto quale altro aspetto non è giusto.
Intervento: Ma questo non significa essere tolleranti?
Archiati: Sì, è questa la tolleranza.
Replica: Allora, da questo punto di vista, non è sempre un male la tolleranza, da questo punto di vista è un bene.
Archiati: Ora però mi devi dire cosa è essenziale alla tolleranza e cosa è accidentale. Me lo dici?
Replica: L’essenziale è evitare lo sbranamento reciproco.
Archiati: No, è del tutto accidentale! Hai tirato in causa un fattore morale e questo, alla tolleranza, è del tutto accidentale, perché la tolleranza è una categoria del pensiero, non morale. L’essenza della tolleranza è la capacità di considerare ogni fenomeno da tutti i punti di vista che ci sono. E allora li tollero tutti perché sono capace di immedesimarmi in ognuno. La tolleranza letta in chiave morale è un comandamento di ricatto, perché manca l’altra parte.
Replica: Non posso farle camminare insieme?
Archiati: No, la tolleranza intellettuale comprende quella morale, perché se io vedo e capisco il punto di vista dell’altro, questo comprenderlo è il punto massimo di tolleranza morale, perché lo faccio mio. Invece se non lo comprendo e lo tollero, sono disonesto: faccio finta, lo faccio per amor di pace, per rendere la vita comoda, ecc. Ma non vado avanti come cammino di coscienza.
Se io so considerare le cose dal punto di vista dell’altro, allora posso dirgli: guarda che quanto tu dici è giusto, se lo guardi soltanto da questo punto di vista, però non sarebbe male se tu ti spostassi anche un pochino, e allora daresti ragione anche a quello; spostati un pochino e allora darai ragione anche a quello e a quell’altro. La tolleranza non è dar ragione a uno, la tolleranza è dar ragione a tutti contemporaneamente. Perché dar ragione a uno per volta è non dar ragione a tutti gli altri.
In altre parole, la tolleranza è la mobilità assoluta dello spirito umano. Però è contemporanea, altrimenti ogni volta tollero uno perché ne vedo uno e gli altri non li tollero. Poi devo aspettare un’ora, o un giorno, per mettermi in un’altra posizione, ma allora divento intollerante rispetto a quello che ho tollerato il giorno prima! La tolleranza è l’atteggiamento interiore che dice: tutti hanno ragione dal loro punto di vista. E che cos’è l’intolleranza? Avere un solo punto di vista, quindi è la parzialità, e la tolleranza è averli tutti.
Replica: Allora è difficile dar ragione ai fondamentalisti islamici.
Archiati: No, non si tratta di dargli ragione.
Intervento: Abbiamo detto che si tratta di capire.
Archiati: L’unica cosa che non va tollerata è l’intolleranza. Il problema non è di dar ragione al loro punto di vista, è di vedere se riusciamo ad aiutarli a far propri altri punti di vista. Ma come lo posso fare? Facendolo io, sennò faccio la predica e dico agli altri di fare quello che io non faccio. L’unico modo legittimo per aiutarci a vicenda è il contagio, in senso positivo. Perché è contagiante il parto? Perché il risultato finale è la gioia, è convincente!
Le persone che sanno muoversi senza diventare relativiste diventano convincenti nella misura in cui sanno guardare il mondo e la vita dai più vari punti di vista, e noi, guardandoli, vediamo che lì salta fuori tanta gioia, emerge la pienezza, e in questo modo invogliamo sempre più persone a muoversi, muoversi, muoversi con lo spirito. E allora sorge sempre più tolleranza.
Il fondamentalista non è un intollerante per ciò che ha, è intollerante per ciò che gli manca, perché ciò che ha va bene, se ce l’ha è legittimo, tutto quello che ha è lì, è legittimo. I problemi sono i buchi, sono i peccati di omissione. Tu sei musulmano? Hai l’ottica di Allah? Va benissimo, hai mai provato a metterti nell’ottica del Cristo? Datti una mossa! Quindi non è il suo discorso su Allah che non va bene, è che gli manca tutta un’altra parte che fa parte dell’umano. Però, come fai a portarlo ad aprirsi ai misteri del Cristo se noi cristiani non ci abbiamo ancora capito nulla? Abbiamo addirittura detto l’opposto di quello che è, lo stiamo vedendo continuamente.
Ora facciamo una pausa e poi finisco il capitolo sedici.
*******
C’è qualcuno tra di voi che mi ha appena riferito della sua esperienza con le madri che partoriscono, e che sempre più donne chiedono un parto indolore. Sarebbe molto utile per tutti noi sentire questa sua esperienza – se questa persona lo fa, e s’è dichiarata disposta – perché è proprio il paragone che il Cristo usa nel passo del Vangelo di Giovanni che abbiamo appena sentito. Io dicevo: se il Cristo utilizza questa parabola del parto, proprio del parto fisico biologico, se il Logos si serve di questa analogia è perché deve essere profondamente feconda per il pensiero umano. La struttura di quest’analogia è la struttura di ogni morte e resurrezione: la sofferenza è una forma di morte e la gioia è una forma di resurrezione.
La struttura dell’evoluzione nel tempo è sempre una struttura di interazione tra sofferenza e gioia. Sforzo e conquista!, altrimenti non ci sarebbe evoluzione nel tempo e sarebbe tutto uguale: il prima e il dopo avvengono soltanto se ci sono polarità che si distinguono. Se non c’è una distinzione fra la sofferenza e la gioia, se io voglio un parto indolore, cioè la stessa cosa che c’è dopo la voglio anche prima, allora non ci sono più il prima e il dopo e annullo il tempo.
Intervento: Volevo intervenire perché ho visto un imponente studio condotto in Emilia Romagna su questo argomento. Le donne extracomunitarie, soprattutto africane ma anche orientali, che in patria partoriscono quasi tutte con un parto naturale, dopo pochissimo tempo che sono in Europa, magari anche solo un anno, raggiungono quasi le percentuali delle donne europee come desiderio di un parto indolore.
Intervento: Essendo una ginecologa ho notato questa differenza, che, per lo meno in Emilia, la donna cosiddetta emancipata chiede sempre di più il parto indolore. Perché se il taglio cesareo viene fatto in situazioni particolari di sofferenza fetale del bambino ecc., il parto indolore si può fare ed è richiesto, per cui viene anestetizzata la parte inferiore e quindi la donna non è più consapevole neanche del momento in cui il bambino nasce da lei. Che cosa succede dopo?
Archiati: È questo l’importante, adesso arriviamo al dopo.
Prosegue: Certo, hai un momento di gioia perché vedi il bambino, e addirittura lo vedi come un estraneo, perché quando lo hai seguito nel processo lo vivi, sei un tutt’uno con lui e te lo vedi davanti. In questo modo invece ti… manca un pezzo, perché proprio non ti senti più la parte fisica del corpo, no? In più, dopo, la depressione post partum, come viene chiamata, sta aumentando vertiginosamente.
Archiati: Questo è il fatto fondamentale!
Prosegue: Quello che in parte mi ha illuminato, è proprio questo motivo per cui l’evitare la sofferenza ti porta dopo a una depressione che non puoi assolutamente curare con farmaci o altro. E come diceva l’intervento di prima, adesso il fenomeno delle immigrate ci porta a considerare il parto in modo diverso, perché la donna, per esempio peruviana, se partorisce da sola senza aiuto è una donna con la sua dignità, lei non vuole che nessuno la aiuti. Sempre più spesso avviene invece che, venendo nella nostra cultura, anche queste altre donne chiedono il parto indolore. Quindi è un fenomeno di imitazione, però in altre regioni, come la Lombardia, c’è una riflessione all’inverso, per cui c’è una richiesta del parto a domicilio, più naturale. Abbiamo queste due tendenze da considerare, ma secondo me, la cosa importante è proprio questa: la depressione viene nel caso della donna che ha partorito senza provare dolore.
Archiati: La conclusione del discorso è: qual è la conditio sine qua non della gioia? La sofferenza! E solo la sofferenza, non i farmaci, questo dice il Vangelo. “Sofferenza” tra virgolette naturalmente, cioè io ho cercato di tradurlo con lo sforzo, col dinamismo evolutivo ecc, dico sofferenza come categoria di impegno, di tenacia, è un non mollare. Però, per avere un’esperienza di liberazione devo prima passare per una strettoia! Se non passo per una strettoia non posso fare un’esperienza di liberazione, perché non c’è nulla da liberare.
Intervento: Basta pensare a uno scalatore, a un rocciatore, per lui la gioia è arrivare in vetta, immaginiamoci se ci arrivasse con un elicottero che lo cala giù, è la stessa cosa?
Archiati: Però adesso, posti di fronte a questo fenomeno possiamo chiederci come mai sempre più donne vogliono un parto indolore.
Intervento: Per la paura di soffrire.
Archiati: Attenti: significa che i livelli di omissione diventano sempre più grandi, perché non omettere significa affrontare la cruna dell’ago, affrontare la sofferenza, affrontare lo sforzo. Abbiamo sempre più persone sempre meno disposte ad affrontare lo sforzo, questa è l’omissione. Si omette sempre di più lo sforzo.
Intervento: Ma perché? Voglio un figlio a tutti i costi, però non m’importa dello sforzo. Non si vede che il processo è tutto nel divenire, ma si mira solo al risultato. Questo è quello che voglio… è il materialismo più puro.
Archiati: Sì, ma a me adesso interessava la metafora e come trasportarla nella vita. E sottolineo di nuovo: omettere lo sforzo è più facile, basta non fare nulla e lasciarsi andare. Invece per non ometterlo devo farlo, uno sforzo. E l’unica cosa che ci salva, in chiave conoscitiva, è di presentare agli esseri umani: guarda che quando ometti lo sforzo ometti la gioia! E questo, soltanto questo può dare loro la… forza di volere lo sforzo, solo questo. Se io voglio assolutamente questa gioia, la trovo, questa forza. Finché noi predichiamo lo sforzo come comandamento morale non c’è più nessuna persona che si lascia convincere.
Quel tipo di argomentazione non ha futuro, proprio non esiste, ed è giusto che non esista perché una persona intelligente vuole essere convinta, e l’unica cosa convincente, che genera in me le forze per volere quanto affronterò di impegnativo è di aver capito, di aver sperimentato che altrimenti non ho la gioia che voglio avere. E allora trovo la forza di volere lo sforzo, altrimenti mi lascio andare. Se il parto indolore producesse la stessa gioia sarebbe stupido non volerlo.
Intervento: Si privano di una parte dell’esperienza di essere madri, cioè è l’esperienza del partorire che si tolgono.
Archiati: Che è la parte più bella.
Intervento: Mi piace che lo diciate voi uomini…!
Intervento: Le donne si rendono conto di perdere questa cosa, e, quando si avvicinano a una medicina naturale recuperano questa parte, prendono coscienza, perché se non c’è la coscienza…
Archiati: Fare qualcosa perché c’è un’autorità che ti dice che tu devi non funziona più, e per fortuna non funziona più, perché quello vale per i bambini.
Intervento: Dopo il 1950 c’è stata l’ospedalizzazione del parto, la donna non fa più niente in casa, tanto ci pensa l’ospedale. A maggior ragione il parto indolore: ci pensa l’ospedale con l’anestesia, oppure, sempre nell’ambito del minore sforzo, quando ci è troppo faticoso è meglio fare parti cesarei. Statisticamente i parti cesarei, specialmente in Italia, sono altissimi rispetto agli altri paesi.
Archiati: Ma il discorso era: come mai saltano fuori le depressioni post partum? Quella è la domanda, perché se tutto andasse bene…, e queste depressioni non sono facili da risolvere, perché se è mancata la conditio sine qua non… Come si risolve una depressione post partum?
Intervento: C’erano anche prima, anche in seguito a un parto naturale.
Archiati: Ma non è un esito naturale, il fenomeno naturale del parto te lo dice il Vangelo: una donna, l’abbiamo visto ieri parola per parola, quando nasce il bambino dimentica il dolore, altro che depressioni, e la sua gioia è piena.
Intervento: Sto dicendo che la depressione non è soltanto dovuta al parto indolore.
Archiati: Ci sono tanti altri fattori.
Intervento: Certo che se nella Bibbia c’è «partorirai nel dolore» ci sarà un motivo profondo, no?
Archiati: Il motivo è che non ci può essere la gioia senza passare per il dolore. Ma il motivo del dolore è la gioia, altrimenti è assurdo il dolore. Però la struttura dell’evoluzione ti dice: puoi avere gioia soltanto in proporzione allo sforzo, al dolore. È un assunto semplice, no?, facciamo tutti l’esperienza che una cosa che non mi costa nulla, mi dà ben poca gioia. Una cosa che mi è costata, è chiaro che mi dà più gioia. E abbiamo un mondo pieno di persone che vorrebbero avere gioia senza che costi nulla. È sbagliato pensarlo!
Intervento: Ma non è detto però che il costare debba significare sofferenza.
Archiati: Perciò dicevo “sofferenza” tra virgolette, e dovremmo avere un vocabolario molto più sfumato su questa fenomenologia, che è molto complessa. Perché noi, ed è questo l’impoverimento dell’umanità, negli ultimi secoli abbiamo visto la sofferenza soltanto come categoria negativa. Questo è il problema, ma è un problema di coscienza. Cosa dice Francesco sulla sofferenza?
Intervento: «È tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto».
Archiati: Certo, ma allora è sofferenza o è diletto? È la struttura di morte e resurrezione. Adesso sta venendo la Pasqua, tra l’altro, e la conferenza di Steiner Cosa vuol dire «risurrezione»?[1] dice proprio questo. Che una coscienza umana povera scinde questi due fenomeni, e una coscienza umana più evoluta li mette insieme, perché vede che si appartengono a vicenda. Nel corso esterno dei minuti, l’uno dopo l’altro, quando sono nella sofferenza non sono nella gioia, e quando sono nella gioia non sono nella sofferenza. A quale livello posso averli tutti e due insieme? Nel pensiero.
Camminare a livello di coscienza significa avere compresenti alla coscienza la sofferenza e la gioia, perché l’una non può essere senza l’altra. «Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto», perché mi è diletto la pena? Perché ho già presente nella mia coscienza il diletto della resurrezione. La materializzazione del cristianesimo sta nell’aver scisso, separato l’uno dall’altro il Venerdì Santo e il giorno di Pasqua. Due momenti che, nel tempo esterno, sono uno dopo l’altro, la coscienza umana è fatta apposta per metterli insieme!, perché uno non può essere senza l’altro.
Abbiamo un protestantesimo che ha tanto sottolineato il Venerdì Santo – e il cattolicesimo non è molto meglio – perché lì c’è l’uomo del dolore, e lo vedi, mentre il Risorto è puramente spirituale. Al Venerdì Santo le chiese protestanti sono piene, nella Domenica di Resurrezione sono mezze vuote. Che cristianesimo è? Macerazione senza gioia: ma questo è anticristianesimo. Perché il senso del Venerdì Santo è la Pasqua, e se non salta fuori la Pasqua a che mi serve il Venerdì Santo? Se non c’è una resurrezione, qual è il senso della morte? È un controsenso.
Evolversi a livello di coscienza significa che questi due momenti – che il tempo scinde, perché nel tempo sono uno dopo l’altro –, nella coscienza so articolarli uno dentro l’altro, e allora trovo la forza di volere questa sofferenza. Tant’è vero che, ve l’ho detto diverse volte, Francesco d’Assisi era un tale godereccio dello spirito che il suo corpo non l’ha trattato mica bene. Passava mesi e mesi nell’umidità dei boschi, addirittura d’inverno, sappiamo che le sue ossa erano diventate friabili al punto da non potersi conservare, ma per lui era tutto godimento spirituale.
La salvezza sta nel capire, nel portare a coscienza che esteriormente, nel tempo, vengono uno dopo l’altro, ma mica devono essere uno senza l’altro. Se io vivo la sofferenza senza la gioia sono un poveraccio! Quando nella mia coscienza vivo la sofferenza contemporaneamente alla gioia? Quando so perfettamente nella mia coscienza che la sofferenza è la conditio sine qua non della gioia.
Intervento: Questo ci spiega perché molte persone che sono prodighe, fanno sacrifici per gli altri, e vanno verso gli altri, sono al contempo serene.
Archiati: Piene di gioia, non soltanto serene.
Replica: …e sono lo stesso così serene, invece la spiegazione è lì.
Archiati: No, non sono lo stesso così serene, è proprio per questo che lo sono.
16,26 «In quel giorno chiederete nel mio nome e Io non vi dico che pregherò il Padre per voi».
In quel giorno, chiederete nel mio nome e non vi dico che chiederò al Padre per voi, perché sarete in grado sempre di più di chiedere voi direttamente. Questo versetto sottolinea un altro aspetto: l’evoluzione della coscienza umana prevede lo scomparire di ogni mediazione. Il comandamento che ti dice che devi soffrire è una specie di mediazione finché tu arrivi a capire da te che la cosiddetta sofferenza è la condizione necessaria per arrivare alla gioia.
Quando io lo capisco da solo, a livello di coscienza, non ho più bisogno dell’intermediario che mi dica cosa devo fare. Lo so io cosa voglio, perché capisco sempre meglio come funziona la natura umana, quali sono le condizioni della gioia e come è la struttura del divenire.
Perché non può procurare gioia lasciarsi andare agli elementi di natura? Perché l’uomo si perde, in quanto creatore. Si lascia andare, si esaurisce, abdica all’elemento creativo e si riduce a natura. Può essere pieno di gioia, può essere realizzato, può essere contento l’essere umano che manca? Perché se si riduce a essere di natura manca come essere umano! E perché ci sia, per poterne godere perché c’è, cosa bisogna fare? Bisogna mettercelo, perché non viene da solo altrimenti sarebbe natura.
Che cosa vuol dire pensare ogni giorno questi pensieri, fare ogni giorno questo cammino di coscienza e ripeterlo, anche proprio come un ritmo nella meditazione, qual è il senso? Genera forze evolutive, crea una struttura interiore per cui, di fronte all’ostacolo, alla sofferenza, alla difficoltà, uno sente gioia: ah, è qui che salta fuori di più! E questa è una gran bella cosa, perché camminare con rassegnazione è la cosa più brutta che ci sia, la rassegnazione è l’anticamera della depressione. De-pressione è qualcosa di passivo: una gomma è depressa quando manca aria, è l’opposto di com-pressa che è attivo. Depresso e compresso sono due immagini. Che tipo di animo è quello depresso? Gli manca l’aria, è sgonfio.
Intervento: Senza vita.
Archiati: Sgonfio, senza energie. La compressione è energia, quindi la grande domanda è: come si genera questa energia? Facendo di nuovo e sempre di più l’esperienza della gioia: la rivoglio, la rivoglio! E quando uno omette di fare quest’esperienza che porta alla gioia, qual è l’aiuto migliore che c’è per invogliarlo? Come lo aiutiamo? Mettendoci qui una delusione, una depressione, soltanto quello lo può aiutare. Che lui dica: «No, non lo voglio, non lo voglio!». E allora è messo in un’altra condizione.
Intervento: Si rende conto che è una via sbagliata.
Archiati: Che non si vuole, la categoria di sbagliato non mi interessa. Che significa sbagliato?
Replica: Che non gli dà gioia, che alla fine è depresso.
Archiati: E se lui lo vuole, essere depresso?
Replica: Non è umano voler essere depressi.
Archiati: Funziona soltanto quando arriva al punto da non volerlo. E come si aiuta un depresso ad arrivare al punto da non volerlo più? Avendo il coraggio di arrivare a non dargli troppa corda, sennò se la gode troppo. E questo coraggio morale non è facile. Avere la forza interiore di non dargliela, perché il dargli corda lo aiuta ad avere ragione e continua a ricattare. Invece bisognerebbe dirgli: sei depresso? Te la vuoi godere? Prego!
Una volta in Germania ho fatto un convegno sulla depressione con un paio di psicologi, che hanno disprezzato i miei “oracoli”. Poi alla fine la gente ha detto che gli sono servite di più le cose che ho detto io che non le cose che dicevano i due psicologi.
Intervento: Ci credo.
Archiati: Il depresso va in cerca di alleati. E gli alleati migliori per lui sono quelli che gli dicono: «poverino, poverino, poverino», quelli lo aiutano meno di tutti a uscirne fuori!
Intervento: Hai scritto qualcosa sull’argomento?
Archiati: C’è Guarire ogni giorno, lì c’è parecchio anche sulle depressioni.
Allora, 16,26 dice: «In quel giorno che chiederete nel mio nome, e io non vi dico che chiederò al Padre per voi».
Intervento: Io ho «pregherò».
Archiati: Ἐrwt£w (erotao) significa chiedere, e anche pregare.
Intervento: Va bene anche pregare, allora.
Archiati: Sì, ma cosa vuol dire allora pregare? Che Lui prega il Padre, che cosa vuol dire?
Intervento: Che intercede, chiede.
Archiati: Però il verbo greco è più complesso. Conosciamo l’italiano, no?, è la nostra lingua: se io traducendo uso la parola chiedere è più pulita, più neutra, è una categoria maggiormente conoscitiva e pregare è una parola inquinata all’infinito. Mi fa venire in mente la preghierina che quando ero piccolo facevo all’Angelo custode. Era bello, da piccolino, sapevo che sulla spalla destra avevo l’Angelo custode e sulla spalla sinistra avevo il Diavolo, però la cosa andava bene quando avevo quattro anni! Voglio dire: come reagisce l’animo italiano davanti a «pregherò il Padre»? È una categoria molto più nebulosa rispetto a chiedere. Perché per poter chiedere non hai più bisogno di un intermediario: diventerete capaci voi di rivolgervi al Padre.
Intervento: C’è sudditanza nel pregare.
Archiati: Per dirla in un’immagine è un inginocchiarsi, si prega in ginocchio con le mani giunte, e si chiede in piedi.
Intervento: Ogni volta che il Cristo dice «nel mio nome», Lui è l’Io, noi sostituiamo con «nel nome dell’Io», no?
Archiati: Nel nome dell’Io, sì.
Replica: Allora non mi torna più questo discorso, perché dice: in quel giorno chiederete nel nome dell’Io e non sarà l’Io che chiederà al Padre?
Archiati: Non sarà l’Io dal di fuori, perché l’Io sarà interiorizzato.
Replica: Ah, ecco!
Archiati: Quindi, non sarò più io come Cristo fuori, perché avrete interiorizzato l’Io. Qui devi distinguere, vedi?
In altre parole, la guida, il cosiddetto intermediario esterno viene interiorizzato, tant’è vero che continuiamo a dire: lo Spirito Santo è lo Spirito del Cristo. Ma è il modo di gestirlo che diventa diverso, ed è una diversità da non sottovalutare. C’è un elemento di continuità, perché è lo stesso Spirito: lo Spirito dell’amore, del pensiero, del Logos; però questo stesso Spirito, il Cristo, per me c’è una gran differenza se mi viene dato dal di fuori (devi fare, stai attento ecc.) o se lo gestisco io dal di dentro! Cosa abbiamo? Di nuovo un elemento di continuità e allo stesso tempo un elemento di assoluta novità, e l’uno non contraddice l’altro, bisogna distinguerne gli aspetti!
Lo Spirito Santo non è qualcosa di diverso dallo Spirito del Cristo, ma è il nostro modo di esperire questo spirito che è del tutto diverso se io sento la voce del Cristo dal di fuori che mi dice qualcosa – e non è un processo mio di pensiero –, o se invece questo Spirito lo gestisco io dal di dentro. Però è lo stesso spirito, lo spirito dell’Io autonomo.
Il pedagogo buono, cosa vuole? L’autonomia dell’allievo! In altre parole, se resta coerente col suo spirito deve cambiare tutto e lui deve sparire. Resta coerente con lo spirito del portare all’autonomia cambiando tutto, ecco il paradosso, cioè: l’evoluzione va per paradossi perché viviamo in un mondo di polarità. E il pensiero è fatto apposta per orientarsi nelle polarità, e non per farsi confondere.
Lo Spirito Santo è il Cristo, ora, il Figlio e lo Spirito Santo sono la stessa cosa e non sono la stessa cosa, cioè è lo stesso Spirito ma il modo umano di viverlo è del tutto diverso! In quanto Cristo, in quanto Figlio, è un’istanza, è un pedagogo esterno, in quanto Spirito Santo ho interiorizzato – fatto mio perché l’ho capito, m’ha convinto e sono convinzioni mie, e allora lo voglio a partire da me – tutto quello che il maestro mi ha detto.
Lo Spirito Santo è il maestro interiorizzato, è il Cristo interiorizzato: è lo stesso e non è lo stesso. E questo paradosso, il versetto ventisei lo esprime così: voi chiederete a nome mio, però non ci sarò io come intermediario. Rimangono tutti e due gli elementi: c’è la continuità perché continuiamo a chiedere nel nome del Cristo, del Figlio, dell’Io, però a partire da noi stessi. E non con un intermediario: caro Figlio, per favore, chiedi tu al Padre perché io non sono capace di parlare direttamente a Lui.
«In quel giorno, nel nome mio, chiederete – a„t»sesqe (aitesesthe) – e non vi dico che io chiederò al Padre per voi». Se volete, entrando nel merito di questo versetto – è legittimo e importantissimo fare questi esercizi – ci sono due verbi che esprimono il chiedere: il primo è aitesesthe, il futuro del verbo a„tšw (aiteo), «chiederete a mio nome»; quello che invece non avverrà è che Lui chieda per noi, e qui c’è ™rwt£w (erotao).
L’elemento di continuità è che voi continuerete a chiedere, a bussare alla porta del Padre, a bussare alla porta di tutte le forze di natura chiedendo, implorando le forze di natura che si facciano da sostrato, da strumento per l’emergenza dell’Io, e quello che non avviene è che Lui chiederà al Padre per noi. Sono uguali i due chiedere? No, il testo ti dice: guarda che sono due modi diversi di chiedere perché se fossero uguali allora resterebbero tutti e due. Siccome l’uno resta e l’altro sparisce, devono essere diversi. Allora, come vogliamo rendere in Italiano questi due verbi diversi?
A„tšw: elemento di continuità = continuiamo a chiedere
Ἐrwt£w: ciò che non avviene = smette di pregare
L’istanza esterna diventa un pregare, che va bene per bambini e per l’adulto deve terminare. Però presuppone che nella spiegazione concettuale distinguiamo tra questi due livelli di chiedere. Quando noi, in quanto esseri umani, richiediamo alla natura che si faccia da strumento per la libertà è una richiesta alla quale abbiamo il diritto. Io chiedo qualcosa perché ne ho il diritto, è una richiesta, richiedo qualcosa. Il pregare?
Intervento: Dipende dall’altro, se te lo vuol concedere o meno.
Archiati: E quindi va bene per il bambino: il chiedere resta e il pregare finisce.
Adesso andiamo al greco – il greco è qualcosa di straordinario! –, a„t…a (aitia) significa causa, quindi io ho tutto il diritto di chiedere, di richiedere al dato di natura, che rispetti… la propria natura, cioè di essere non la causa, ma la sorgente di tutto l’elemento della libertà. Rivolgo io una preghiera all’elemento di natura? Se gli rivolgessi una preghiera lo tratterei come qualcosa di libero. E questo pregare deve terminare.
Intervento: Perché la natura quello che fa, lo fa già…
Archiati: Lo fa già, e non può non farlo.
Intervento: Ma non ha senso pregare per quelle persone che non hanno gli strumenti? Faccio un esempio: un malato mentale…
Archiati: Il malati mentali sono persone a posto, vanno bene così come sono! Sono solo diversi da noi cosiddetti normali. Cosa c’è che non va in un malato mentale?
Replica: Intanto dipende anche dalla malattia mentale.
Archiati: No, tu sei partita dal presupposto che ci sia qualcosa che non va, e io ti ho detto che non c’è nulla che non va. Per te, cosa c’è che non va?
Replica: Per esempio l’incapacità di fare appello al proprio io.
Archiati: E perché ci dovrebbe essere?
Replica: Perché il Vangelo presuppone che uno faccia appello alle proprie forze interiori.
Archiati: Ma in ogni vita c’è un tratto molto lungo, l’infanzia, dove non c’è questa coscienza del proprio io. Rudolf Steiner ci descrive un essere umano reale che, in tutta una vita, in base alle vite precedenti, aveva avuto un’evoluzione tale da permettersi tutta una vita da demente, o da malato mentale, come diciamo noi. Questo perché tutta questa vita sarebbe stato il presupposto – attraverso la sofferenza, l’incomprensione degli altri che l’avrebbero trattato come uno non normale, e attraverso il sacrificio di tutte le persone a lui connesse karmicamente –, affinché nella vita dopo diventasse un portento quanto a virtù umane. Per questo volevo dire: andiamoci piano col dire che non è normale, l’evoluzione è molto lunga!
Replica: Ma io dicevo se ha un senso la preghiera rispetto a queste persone.
Archiati: Sì, ma prima di rispondere alla domanda dovevo precisare il fatto che c’è un problema nel dire che non sono normali.
Replica: Adesso ci sono tanti ragazzi che vengono chiamati borderline perché hanno problemi soprattutto nel comportamento, che non hanno la volontà, e si nota proprio in questi ragazzi l’incapacità di imporsi qualcosa che non sia il soddisfacimento del proprio istinto al momento. Si sente proprio una carenza delle loro potenzialità.
Archiati: Il problema è che l’umanità è un organismo unico, quindi non possiamo considerare un fenomeno nell’isolamento. Adesso io evidenzio un altro aspetto, e non lo voglio assolutizzare ma è un altro aspetto reale: e se questo comportamento fosse l’unico modo, disperato, di questi esseri che si incarnano per dimostrarci l’assurdità del materialismo? Se significasse che non vogliono questo mondo, perché non gli corrisponde in quanto esseri umani? Allora è l’umanità che ha un problema, non loro!, loro te lo evidenziano soltanto.
Il problema è complesso, non si tratta solo di dire che in loro c’è qualcosa che non va. Dobbiamo sempre guardare a tutta l’umanità, all’insieme dell’umanità, perché siamo un organismo. Cioè, uno spirito che s’incarna nel mondo di oggi, e che vorrebbe dare un contributo a svegliare gli uomini da questo assoluto nonsenso del materialismo, come fa? A che cosa deve ricorrere? L’unica cosa che gli resta sensatamente è di mettersi lì, come un pazzo, per evidenziare che siete voi i pazzi, un’altra possibilità non ce l’ha, che cosa deve fare?
Questi sono spiriti che s’incarnano ben sapendo cosa vogliono fare! L’interpretazione che dice che sono smidollati è un’interpretazione nostra, quindi andiamoci piano, non è così semplice la cosa. Perché il problema è di chiederci cosa portiamo noi, in quanto cultura, a questa pianta che cresce sul nostro terreno.
Replica: La mia domanda però era: ha un senso pregare anche per gli altri, o no?
Archiati: A questo punto qui, o preghiamo per tutto l’organismo dell’umanità o non preghiamo per nessuno. E, certo, se migliora l’umanità miglioreranno anche le condizioni per questi esseri umani. Questa è la prima risposta, volevo soltanto allargare un pochino la prospettiva. A questo punto qui ti devo chiedere: cosa intendi per preghiera? Perché dire che la preghiera non serve a niente sarebbe un’affermazione del tutto sbagliata. E dire che la preghiera serve è un’affermazione che non dice nulla, perché prima dobbiamo intenderci su che cosa intendiamo per preghiera.
Faccio un esempio: una mamma prega perché la figlia passi un esame. Sa che la figlia non ha studiato – supponiamo, è un caso che ci può essere –, però la madre pia prega veramente perché la figlia passi l’esame. È comprensibile, è umano. Però, se passa l’esame è un disastro per la società perché ottiene un posto di lavoro e di responsabilità per il quale non ha i requisiti necessari per svolgerli in un modo favorevole agli esseri umani. Tu poni la domanda: serve questa preghiera? A che serve? Cosa risponderesti adesso alla tua domanda? Che bisogna guardare a che cosa si chiede. Perché gli esseri umani sono capaci di chiedere cose che fanno bene, e sono capaci anche di chiedere cose del tutto egoistiche, che fanno male all’umanità e a loro stessi. E come si fa la distinzione? Camminando nella coscienza, nel pensiero.
Intervento: L’idea di pregare per togliere la sofferenza crea poi una possibilità di involuzione.
Archiati: E quindi fai nascere la depressione.
Intervento: Si può pregare perché ci sia più coscienza…
Archiati: Il Cristo dice: se tu vuoi che ci sia più coscienza, e preghi perché ci sia, fai di tutto perché non ci sia! Perché il più di coscienza non si crea pregando, Lui smette di pregare perché il più di coscienza si crea facendolo, non pregando!
Voglio dire: se noi vogliamo che gli esseri umani facciano dei passi avanti nel loro pensiero, e supponiamo, ci diciamo che le conferenze di Rudolf Steiner sono esemplari proprio per questa possibilità, a che mi serve che io preghi che gli esseri umani progrediscano però nessuno legge le cose che lo fanno camminare nel pensiero? A che serve questa preghiera? Lasciamo perdere la preghiera e facciamolo!
Detto paradossalmente: la preghiera è l’esercizio dei pigri, che pregano di ricevere quel che non vogliono fare.
Intervento: Beh, possono fare l’uno e l’altro.
Archiati: Vi ho avvertito che lo dicevo paradossalmente, quindi i paradossi non vanno assolutizzati, servono nella misura in cui sono una provocazione al pensare, però, se siamo onesti, dobbiamo dire che l’ottanta o il novanta per cento del pregare è un poltrire, perché se io le faccio, le cose, a che mi serve pregare? E il Cristo lo dice qui, «smetterò di pregare per voi», perché non ha più il diritto di farci poltrire.
Intervento: Tiriamoci su le maniche e avverrà quello che vogliamo.
Archiati: Perché tu ce le avevi ancora giù, le maniche?
Replica: No, no. Non parlo per me.
Archiati: Quelle degli altri non sai se sono su o giù.
Intervento: Se fossero tutte su saremmo già arrivati, per cui presumere che siano giù non è sbagliato.
Archiati: Non era un contraddire, era soltanto un intento mio di dare un contributo positivo, cioè che la preghiera è stata veramente usata, a enormi livelli, per poltrire. Questo è un fatto. Che poi ci sia un altro modo di capire la preghiera, questo senz’altro!
Ogni parola ha tante aree semantiche, la preghiera per il bambino va benissimo, il bambino deve vivere di preghiera. E quello che tu intendevi, cioè il pregare per un altro, tu lo intendevi di sicuro nel senso positivo, cioè di augurare tutto il bene possibile all’altro e chiedermi cosa posso fare per dargli il mio contributo, ma senz’altro! La tua domanda comprendeva: possiamo influenzare positivamente l’altro? Certo che lo possiamo! E io dicevo: non sottovalutiamo l’altro lato della preghiera – nella nostra cultura, nell’evoluzione del cattolicesimo –, enormemente vistoso, di assoluta poltroneria, non lo sottovalutiamo!, altrimenti i risultati non sarebbero così disastrosi.
Aspettandoci tutto dal Padreterno e dalla Grazia Divina non abbiamo fatto nulla finora. Dov’è che si è preso in mano il pensiero per cominciare a pensare con la testa propria? Dove? Vedevamo ieri, oggi, che riguardo alle cose fondamentali, agli assunti fondamentali che andrebbero capiti abbastanza presto nella vita, ancora non ci siamo. E se abbiamo un tipo di autorità religiosa che continua a dire: risolvi i problemi pregando!, andiamo a rotoli. Nella persona adulta non risolviamo i problemi con la preghierina… intesa in un certo senso naturalmente.
Intervento: L’interpretazione degli evangelici americani della frase che abbiamo visto prima, «qualsiasi cosa chiederete nel nome dell’Io, nel mio nome», è un chiedere al Padre nel nome di Gesù. Cioè loro dicono: dammi questo, fammi quello, nel nome di Gesù. Che senso ha?, e perché devo chiederlo nel nome di Gesù?
Archiati: Perciò abbiamo distinto fra un chiedere che è molto più attivo e un pregare, visto che il linguaggio ci dà queste sfumature. E vi dicevo che il greco gioca proprio su aree semantiche diverse del linguaggio. Dove Lui dice «continuerete a pregare» usa a„t»sesqe (aitèsesthe) e dove dice: «smetterò di pregare» usa ™rwt»sw, (eroteso). C’è un tipo di chiedere che continua e c’è un tipo di preghiera che deve smettere, deve finire, altrimenti l’essere umano resta bambino.
Intervento: Chiedere una grande pioggia dopo un periodo di siccità, per esempio, è un chiedere al Padre, in questo caso, legittimo…
Archiati: Analizziamo questa cosa, lo dici troppo alla svelta che è legittimo! Sta attento: se Lui aspetta un’altra settimana a far piovere fa qualcosa di illegittimo, perché tu dici che sarebbe legittimo se facesse piovere adesso. Come fai a saperlo?
Intervento: È legittimo chiedere, così ha detto lui.
Archiati: No, sta attento, che significa: è legittimo chiedere? È legittimo che i bambini chiedano? Certo, è legittimo partendo dal presupposto che siano bambini. Che vuol dire: è legittimo chiedere?
Intervento: Nel senso che il singolo non ha la possibilità di far piovere.
Archiati: E allora?
Replica: E allora si rivolge al Padre invocando il suo aiuto.
Archiati: No, perché se il Cristo intervenisse significherebbe che deve piovere. Sono quaranta giorni che c’è siccità, va bene? O è meglio per gli esseri umani che continui per altri dieci giorni o è meglio che smetta. Se è meglio che i quaranta giorni di siccità smettano, allora piove! Perché il Padreterno le ha in mano, le redini del piovere o non piovere... Se invece continua a non piovere è perché è meglio per gli esseri umani che continui la siccità. E ora tu gli chiedi: falla terminare!
Hai affrontato il centro del fenomeno Elia (prima hai detto di aver letto il mio libro Maschere di Dio, volti dell’uomo), Elia non diceva: preghiamo perché la siccità termini. Diceva invece: questa siccità più dura a lungo e più genera forze di resistenza nell’Io!, e di fedeltà. È l’atteggiamento opposto a quello che dicevi tu; cioè pregare perché termini la siccità e piova, è da bambini, è dar consigli a Dio, e la maggior parte della preghiera, l’ho già detto una volta, è dire a Dio quel che dovrebbe fare.
Intervento: Dar consigli, hai detto.
Archiati: Certo: fammi questo, fammi quest’altro. Perché Lui non lo sa cosa deve fare? Glielo devo dire io?
Intervento: E quello che dall’altra parte della strada chiede che continui la siccità?
Archiati: Certo, perché ha l’uva e magari ha bisogno di altri cinque giorni di sole. Ma è possibile mai che questo Padreterno sia così a corto di intuizioni e non sia capace di vedere che esiste una staccionata fra i due campi? Fa piovere qui, e là fa venire il sole, ma non c’è ancora arrivato? E poi dicono che è onnipotente, ma uno che ha bisogno dei nostri consigli… ma andiamo noi a fare il Padreterno, che lo facciamo meglio, no? Perché noi ci siamo già arrivati: lì ci vuole la pioggia, e qui ci vuole il sole!
Dicevo, la struttura interiore, mentale della maggior parte di ciò che noi chiamiamo preghiera, ma non voglio essere assoluto, è questo: ritenersi più intelligenti del Padreterno, sapere meglio di Lui che cosa va fatto, e dire: ti prego, ti prego, ti prego.
Intervento: E i gruppi di preghiera per esempio, che ottengono delle guarigioni?
Archiati: I gruppi di preghiera che ottengono guarigioni?
Replica: Beh, ce ne sono tantissimi oggi.
Archiati: Tu dici che ottengono delle guarigioni, come lo sai? Una persona va dal medico e il medico le fa un’operazione, come fai a sapere se è guarita grazie al medico o nonostante il medico? Come fai a saperlo? È un’interpretazione dire che quel tale è guarito grazie al medico, perché forse è guarito nonostante il medico, perché se ci fosse stato soltanto il medico sarebbe morto. Come fai a saperlo? Che cosa significa: preghiere che ottengono delle guarigioni? Nebbia in Val Padana nel pensiero!
Replica: Personalmente non ho avuto quest’esperienza, ma…
Archiati: Ma come te lo immagini tu il fenomeno? Come te lo immagini? Quelli pregano…
Replica: Non lo so… chiedono, se si può dire, la grazia, però forse è troppo grande, la guarigione per una persona.
Archiati: No, quello che lei voleva dire, quello è giusto, che se ciò che noi chiamiamo preghiera serve a generare energia interiore il risultato è positivo, quello guarisce, e non è il Padreterno che fa qualcosa perché io l’ho pregato.
Il pregare giusto è generare dentro di sé energie in esubero, e io in questi giorni mi sto scalmanando a dire: qual è il processo che genera al massimo energie in esubero? Il pensare! E il pregare è poverello rispetto a questo, però, per certe persone, genera energie.
Mia cognata va a Lourdes, prega la Madonna e torna a casa con più energie. Il fenomeno non è che la Madonna le ha fatto qualcosa perché ha esaudito la sua preghiera, questa è un’interpretazione sbagliata del fenomeno. È che lei ha generato dentro di sé – ecco il Cristo dentro di noi – delle forze che prima non aveva. E avere più forze anziché averne meno è sempre legittimo. E al massimo si generano forze col pensiero, perché una convinzione, capire qualcosa ed esserne convinti è il massimo della forza interiore. Essere convinti di una cosa è il massimo di energia interiore, tutto il resto è di meno.
Intervento: Scusa, ma non è quello che diceva Gesù? La tua fede ti ha salvato, non io t’ho fatto il miracolo, sei tu, sei tu.
Archiati: È una delle affermazioni fondamentali dei sinottici: la tua p…stij (pistis) ti ha salvato, non io da fuori. Se io ti faccio qualcosa da fuori, come faccio a salvare te? Sono bravo io, non tu! L’ho detto mille volte, noi lo traduciamo con fede, ma la fede è un atteggiamento puramente passivo, mentre pistis è tutto l’opposto, pi-s-tis (il relatore pesta i piedi sulla pedana [NdR]) è la saldezza dell’Io fondato su se stesso!
L’abbiamo tradotto con fede!, abbi fede significa: poltrisci su tutta la linea, tanto fa tutto Lui. «Jesus saves me», Gesù mi salva, perché Lui è così bravo e mi ha salvato. E che t’ha fatto? Non si può neanche dire che t’ha rincretinito perché lo eri già, e nessuno ti può rimbambolire da fuori se non lo sei già dentro. Però, in America ci sono persone che vanno in giro e dicono «I’m saved», sono salvo! Che cosa vuol dire? Che qui, nella testa, non c’è niente, zero!
L’unica cosa che vi salva è che è ora di andare a pranzo. Però non sono io a salvarvi, sono i vostri denti!
Venerdì 18 Febbraio 2005, pomeriggio
vv. 16,25 – 16,32
Eravamo arrivati alla seconda parte del bellissimo capitolo sedicesimo, al versetto venticinque: «Queste cose vi ho detto, con parabole…». Tra il parlare per similitudini e il parlare concettualmente c’è una differenza simile a quella che passa tra il livello dell’anima e il livello dello spirito. Il livello dell’anima è più un affrontare le cose col sentimento – e questa base del sentimento è importantissima – e il livello dello spirito è un aggiungerci il pensiero, l’ordine dell’oggettività, dell’oggettività pulita. L’essere umano è composto di tutti e due, è un gioco continuo fra l’elemento dell’anima e l’elemento dello spirito.
L’elemento dell’anima vive maggiormente nelle immagini, nel sano sentimento, che è molto importante perché, a questi livelli evolutivi, non sappiamo ancora capire tutte le cose in modo lucidissimo. Allora più aggiungiamo alla dimensione dell’anima questa luce solare oggettiva, spassionata – l’anima è appassionata per natura, l’altro però non ha le mie passioni! – e più incontriamo l’altro, perché per farlo dobbiamo considerare gli elementi oggettivi e validi per tutti dei fenomeni di cui si parla. L’essere umano è fatto di questo gioco continuo tra i due: l’elemento dell’anima è il regno in cui opera il Cristo, il Figlio, che la rende sempre più capace di spirito. Aprendosi a questo non perde il carattere soggettivo, che ha tutto il diritto di essere e che deve esserci, vi aggiunge anche la dimensione oggettiva dello spirito.
Queste cose le ho dette in parabole, in similitudini, «viene l’ora in cui non più, mai più – oÙkšti (ucheti) – parlerò a voi in similitudini ma dicendovela tutta – parrhs…v (parresìa) –, apertamente», cioè in modo oggettivo, a livello del pensiero, dove l’individuo deve proprio mettere tutte le forze del suo spirito. «Vi annuncerò le cose che riguardano il Padre» che sono i destini della Terra, della natura e che sono i destini dell’uomo – in quanto questi riassume nel suo essere, come dato di natura, sia il minerale, sia il vegetale, sia l’animale –, e tutta questa natura è la potenzialità alla libertà.
Che cosa significa fare l’esperienza della libertà? Liberare tutte le forme fisse!, l’incantesimo del vegetale, liberare tutto il mondo muto dell’animale, e rendere tutta la creazione pensante nell’uomo, renderla parlante e capace di muoversi in lui, attraverso di lui.
Questo è l’annuncio della triplice evoluzione possibile all’essere umano: rendere tutta la creazione camminante! Abbiamo detto diverse cose sulla struttura dell’evoluzione nel tempo, dei passi da fare, del rapporto tra la sofferenza, l’impegno, lo sforzo che deve precedere il generare e la gioia della realizzazione. Tutta la creazione aspira a camminare, a evolversi attraverso l’uomo; anela a parlare, a essere capace di esprimere all’esterno un’interiorità, e aspira a essere capace di pensare, di cogliere a livello di spirito l’essenza di tutti gli esseri, di tutte le cose.
16,26 «In quel giorno…» Ogni volta, ogni ora e ogni minuto in cui l’essere umano si esperisce in quanto spirito, diventa adulto e fa l’esperienza dell’autonomia interiore. Allora che cosa succede? Avviene la svolta dell’evoluzione dove la conduzione dal di fuori si trasforma, anzi si inverte in una conduzione dal di dentro.
Questa svolta tra il Cristo esteriormente presente – che è l’ultima, è proprio il pedagogo che ci rende capaci di conduzione dall’interno – e l’esperienza dello Spirito Santo, che è l’autonomia nel pensare e nel volere morale, viene espressa con diverse categorie. «In quel giorno chiederete nel nome dell’Io», che significa: il giorno dell’esperienza dello Spirito Santo è quando tutto ciò a cui si aspira – e questo è il chiedere – trova la sua unità nel desiderio, nell’aspirazione a diventare sempre di più un Io. Essere un Io significa essere un centro di creazione dal nulla, pensante e amante.
«Chiedete nel nome mio, nel nome dell’Io, e non vi dico che Io pregherò il Padre per voi», non ci sarà una preghiera impotente, una supplica che qualcun altro fa per me perché io non sono capace di fare niente. Questo supplicare impotente, tipico e giusto per il bambino, cessa, non ci sarà più. Nell’evoluzione ci sono anche delle cose che smettono di esserci, la dipendenza e le autorità devono cessare!, bisogna arrivare al punto in cui siamo tutti uguali in quanto spiriti liberi e pensanti.
16,27 «Il Padre stesso vi ama poiché avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio».
Poiché il Padre stesso vi ama, non ho bisogno di convincerlo, di intercedere presso di lui. Non è che se io non intercedessi Lui non si curerebbe di voi, non è così, il Padre vi ama!
Significa che tutta la natura aspira all’umano, non è nella sua natura di opporvisi, non lo osteggia, non fa resistenza, tende tutta verso l’umano. Detto in altre parole, un essere umano che omette di usare tutto il dato di natura come strumento che ama e favorisce la libertà, non ha mai la scusa o il diritto di dire: è accaduto perché la natura è stata troppo forte in me. Può accusare soltanto la sua poltroneria spirituale!, è una pura omissione, non può mai accusare la natura di essere contro l’uomo.
Non dice che il Padre non ha nulla contro di voi, dice proprio «vi ama»: la natura ama l’uomo, è stata fatta per l’uomo, apposta per farsi strumento della libertà. Ciò che fa la scienza naturale di oggi allora è un barare in assoluto, è la dichiarazione di principio di impotenza dello spirito umano di fronte al DNA. È una lettura sbagliata, errata, è un pensare bacato, questo!, è il pensare della caduta intellettuale dell’umanità.
Sarebbe come dire che natura e libertà sono l’una contro l’altra, allora, bisognerebbe dire che la natura umana è una contraddizione assoluta. Se la natura fosse contro la libertà, e l’uomo sente tuttavia questa aspirazione alla libertà, dovremmo dire che la natura umana è stata creata come una contraddizione assoluta e dovremmo scagliarci contro il Padreterno. È l’essenza della natura di concorrere a farsi da strumento per la libertà!, però non impone la libertà, altrimenti non sarebbe libertà. Quando l’uomo non afferra la libertà e non la vive, ha soltanto se stesso da accusare e la sua pigrizia, il suo omettere. E commette un peccato contro natura quando accusa la natura.
È bello e liberante avere dei testi sacri cristiani a questi livelli, così fondamentali, però è ora che ci svegliamo! Il Padre vi ama: vogliamo tradurla e capirla o non vogliamo capirla un’affermazione del genere? Tutte le scienze naturali di oggi fanno l’affermazione opposta, e siccome hanno il potere di questo mondo – in Germania in tutte le cattedre universitarie, ma penso sia lo stesso anche in Italia –, hanno la possibilità di farti sembrare un dilettante, uno stupido qualsiasi, perché tu ti permetti di dire il contrario di quel che dicono loro, che vengono pagati dallo Stato e quindi quello che loro affermano deve essere giusto.
Noi, umanità moderna, spiriti emancipati, siamo a questo punto di supino imbambolamento a livello di società generale! È raccapricciante, è una cosa sconvolgente, e non crediate che stia esagerando; noi queste cose ce le lasciamo fare!, ci lasciamo manipolare, ma se non ci ribelliamo di fronte a questi poteri costituiti non difenderemo la libertà. E poi ci lamentiamo perché lo spirito umano omette i passi evolutivi che gli vengono offerti, tutte le catastrofi che saltano fuori per aiutarci a svegliarci non servono a nulla, e continuiamo a lamentarci e basta. Ma non abbiamo il diritto di farlo se continuiamo a dormire.
«Ὁ pat¾r file‹ Øm©j (o Pater fìlei umàs), il Padre ama voi uomini», e perché? Ci dice anche il perché: «perché voi, in quanto esseri umani, siete stati costituiti come amanti dell’Io», la natura ama l’uomo, perché l’uomo è amore della libertà e dell’autonomia dell’Io. L’uomo è per natura amore allo spirito autonomo e perciò la natura ama l’uomo! Come si può avere un testo più essenziale, più bello! O sono soltanto io a trovarvi queste cose?
Intervento: No.
Archiati: No, è così, e lo riferisce anche al passato: il Padre, la natura, ama l’uomo perché voi uomini avete amato me. Tutto il senso del passato è che l’evoluzione umana è stata, da sempre, amore verso lo spirito individuale, voi avete amato me! Magari anche senza saperlo, perché l’uomo non ha bisogno di sapere per che cosa è stato creato, è nella sua natura. Però arriva un punto in cui la cosa funziona soltanto nella misura in cui si rende conto di questo.
«Il Padre ama voi perché voi avete amato me e avete creduto – kaˆ pepisteÚkate (kai pepistèukate) – che l’Io, l’Essere dell’Io, viene dal Padre», l’Essere dell’Io non è contro il Padre ma sorge proprio dalla natura. Il Figlio proviene dalla natura del Padre, da sempre, tutta la creazione, tutta la natura è stata creata per sfociare nel Figlio.
Il Corano è nato sotto l’ispirazione dell’Arcangelo Gabriele – che è rimasto a prima del Cristo, è rimasto veterotestamentario –, che ispira questa frase fondamentale: Dio Padre, Allah, non ha Figlio. È chiaro che questa affermazione è la necessaria controforza, ma in senso centrale!, all’impulso dell’Io autonomo, libero, responsabile e pensante in proprio.
Qui, il testo cristiano dice l’opposto: il Padre, da sempre, ha creato tutto il mondo perché sfociasse nel Figlio, perché il Padre, il mondo della natura, senza il fattore umano è assurdo!, sarebbe come creare uno strumento che non suona mai.
Vi leggo bene i passi di questo versetto ventisette, «il Padre ama voi» è una prima affermazione, «poiché voi avete amato me, e avete creduto, avete compreso, vi siete confermati in questa convinzione che Io, l’Essere dell’Io, sono venuto dal Padre, sono stato mandato dal Padre», non c’è né un rapporto di parallelismo, di indipendenza, né un rapporto di contraddizione, ma un rapporto di continuità, in un certo senso, assoluta.
Il senso della natura è la libertà, così come il senso di uno strumento musicale è di suonare. Cosa sono i determinismi di natura? La somma del liberabile!, sono tutte sfide alla libertà umana. La natura è la somma del compito della libertà. Essere liberi non significa mai essere liberi, la libertà è sempre una liberazione, è un continuo processo di superamento, l’abbiamo visto: c’è l’ostacolo, la difficoltà e c’è l’impegno per superarlo. Ci deve essere sempre un frammento di natura, di determinismo, di pesantezza, un frammento di inerzia che si oppone, e l’esperienza della libertà è nel superamento. L’amore che viene da solo non è amore, quando viene spontaneo, senza sforzo, è amore di sé. Va bene l’amore di sé? Certo, nessuno può vivere senza amore di sé.
Intervento: Ma non basta, ci vuole anche l’altro.
Archiati: Perché ci vuole anche l’altro? Perché non basta?
Replica: Perché è unilaterale, non è completo.
Archiati: Dice, nel versetto ventiquattro, «la vostra gioia sarà completa», quindi il valore morale supremo è la gioia piena, buono è vivere in pienezza, e la natura umana è buona quando c’è il dato di natura e quando c’è, in più, la libertà. Quando ci sono tutte e due le dimensioni, l’essere umano si sente realizzato e questa autorealizzazione in pienezza dà gioia piena. L’amore di sé è una gioia a metà, perché te lo dà la natura. Una gioia a metà è una cosa brutta? No, la gioia piena è meglio!, e avviene quando ci aggiungo l’altra metà, l’amore dell’altro, che non mi dà la natura ma che mi conquisto con la libertà.
Io mi accorgo di amare l’altro quando mi costa un pochino, quando non mi costa nulla va bene lo stesso, ma è amore di me, perché fa parte della mia natura. E va bene, nel senso che nessuno di noi a questi livelli dell’evoluzione può sempre, in ogni momento, avere la gioia piena, perché altrimenti saremmo alla fine dell’evoluzione. Però, la gioia a metà ci aiuta ad avere il desiderio di rendere, sempre di più, piena questa gioia, ma allora ci devo mettere l’altra metà, che non viene da sola, che mi devo conquistare e che c’è soltanto nella libertà. E questo è l’amore per l’altro.
Tante persone si chiedono: come faccio io a sapere se è amore di me stesso o se è amore per l’altro? Semplicissimo: tutto quello che ti viene spontaneo è amore di te, e tutto quello che ti costa è amore per l’altro. Il testo non moraleggia, non ti dice che l’uno è bene e l’altro è male, no, ti dice che uno, quello che ti dà la natura, è metà del tuo essere, e ti dà metà gioia, quello che ti dà la libertà è ben di più! Parliamo di metà e metà ma, in effetti, bisognerebbe dire un terzo e due terzi. Comunque, vivi la gioia piena, la pienezza del tuo essere quando, a ciò che ti dà la natura automaticamente, aggiungi quello che c’è soltanto perché lo metti tu liberamente.
Una persona ha qualcosa da dirmi, supponiamo che mi impegni per una mezz’ora, se io sono curiosissimo di sapere quello che mi dice, va bene, non c’è niente di male. È amore per l’altro? No, perché mi interessa. Se invece mi devo sforzare per ascoltarlo con attenzione, anche o proprio perché non mi interessa, questo sforzo è amore per l’altro.
Il criterio è molto semplice, però devo sapere che quando ho ascoltato un altro per mezz’ora perché mi interessava ciò che aveva da dirmi, la mia gioia sarà quella che sarà, quando invece lo ascolto con interesse del cuore, mi interesso a lui, dopo quella mezz’ora la mia gioia sarà molto più forte e più grande. Perché avrò dimostrato a me stesso di non essere soltanto egoista. Dover constatare di essere egoisti rende tristi!, perché l’uomo è fatto così, è la sua natura e l’egoismo non gli basta.
Intervento: Però ha due aspetti, perché l’importante è che l’altro si senta davvero ascoltato.
Archiati: Quelli sono affari suoi, io non sono responsabile del fatto che l’altro debba sentirsi ascoltato. La qualità del mio cuore sta a me saperla, io so che quello che mi sta raccontando non mi interessa proprio, ma so che mi sto sforzando, per quanto posso, di interessarmi a lui. Che lui sia d’accordo o no… costringerlo a essere d’accordo è un po’ troppo.
Replica: Quello che fa la qualità dell’ascolto è lo sforzo...
Archiati: Sì, ma non c’entra nulla col giudizio che l’altro fa del mio comportamento.
Replica: Ma questo va bene, cioè quando senti lo sforzo che l’altro fa.
Archiati: No, il giudizio morale sull’altro lascialo perdere, non ti compete, è proprio lì che pasticciamo i rapporti continuamente, perché ci arroghiamo un giudizio morale sull’altro. La qualità del mio cuore sono affari miei, e lui parli del suo cuore, non del mio!
Intervento: Però l’altro lo coglie, per forza, cioè se c’è questa empatia non può non coglierla.
Archiati: È vero, però vivere a livello del sentimento la dedizione all’altro e fare un giudizio morale sull’altro, sono due cose diverse. E quello che lei diceva andava in direzione di un giudizio morale dell’altro, perché allora lo costringi a difendersi, a dire: no, no, quello che è dentro di me lascialo a me!, non sindacare su di me.
Intervento: Scusa, questo «avete creduto che io sono venuto da Dio…» è anche un riferimento all’origine divina dell’essere umano.
Archiati: Certo, che l’Io è stato…
Replica: Un frammento del Divino.
Archiati: No, che era nel piano del Dio Padre sin dall’inizio, cioè era il senso del tutto.
Replica: L’origine divina dell’essere umano.
Archiati: Sì, ma che vuol dire: origine divina dell’essere umano? La musica, che tu poi vivi, era prevista nel costruire il violino o hai costruito il violino senza pensare alla musica?
Replica: Il violino è in funzione della musica.
Archiati: La natura è in funzione dell’uomo.
Replica: No, voglio dire, in questa frase, oltre al fatto che la natura è in funzione dell’uomo, si sottolinea anche l’origine divina dell’uomo, che viene da Dio, che è un pensiero di Dio.
Archiati: No, la seconda affermazione dice molto meno che la prima.
Replica: Ma io non voglio mica scartare la prima, dico che vanno bene tutte e due, anzi, voglio arricchire la prima.
Archiati: No, la seconda impoverisce la prima, questo ti volevo dire. Perché quando hai detto che il senso della natura è di sfociare nella libertà dell’uomo, di più non si può dire, il resto è di meno.
16,28 «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».
Tracciamo una linea divisoria tra lo spirito e il mondo della materia. Vi do un piccolo aiuto, una specie di parabola – quando si fanno delle immagini, sono parabole, che poi vanno tradotte in concetti –: tutta la creazione, quindi anche il Cristo, viene dal Padre, e questo è il paradiso iniziale, viene nel mondo, poi lascia di nuovo il mondo e ritorna al Padre. Il Cristo ha aspettato fino alla metà dell’evoluzione per incarnarsi, s’è incarnato una volta sola, e l’umanità è arrivata qui, a metà. Anche Lui s’è incarnato, viene dal Padre nel mondo e adesso accompagna l’umanità, e di nuovo dal mondo ritorna al Padre.
DIS. 9
Lui, individualmente risorge qui al centro ed è presente spiritualmente nell’umanità, l’accompagna in questo cammino di ritorno al Padre. A questo punto uno potrebbe chiedere: ma se tutto va a finire di nuovo nel mondo spirituale, dove eravamo all’inizio, non valeva la pena restare là? No, non è che si ritorni indietro.
L’immagine sulla lavagna evidenzia un aspetto molto importante, che l’evoluzione, arrivata a metà, non torna indietro, ma va avanti. Tutta la creazione della Terra, la natura, il fattore umano ritorna nel mondo spirituale, però porta nel mondo spirituale l’Io singolo, lo spirito singolo in quanto conseguito, che una volta conseguito resta eternamente.
All’inizio c’era un Adamo che non era costituito di esseri umani individualizzati, tant’è vero che la parola ebraica Adam indica l’umanità come unità. Non è un nome singolo di persona, è l’umanità iniziale nel grembo divino senza individualizzazione. Questa umanità unitaria si frammenta e nascono tante individualità. Allora all’inizio c’è una unilateralità, unità senza individualità; a metà dell’evoluzione c’è l’altra unilateralità: individualità, frammentazione, egoismo, e perdita della comunione. Tutto questo per sommi capi, naturalmente.
Quale sarà il compito di ogni evoluzione futura? Di averle tutt’e due, di costruirle entrambe: costruire un organismo dove la dimensione della comunione e la dimensione dell’individualità si favoriscono a vicenda, non al cinquanta per cento, ma al cento per cento tutt’e due. In che modo si diventa massimamente unici?
Intervento: Quando si è diversi.
Archiati: E lo si può diventare soltanto nel servizio agli altri. Ogni comunità diventa tanto più profonda quanto più variopinta è la diversità degli individui, altrimenti non è una comunità ma una povertà comune; se vuole costruire la comunione a scapito della ricchezza individuale di ognuno diventa sempre più povera e tutti hanno solo voglia di scappare via!, quindi distrugge la comunione. Allora si tratta di capire che la dimensione dell’individualizzazione, del diventare sempre più unici, diversi da tutti gli altri, e la dimensione di ri-organazione, del diventare membra gli uni degli altri, non possono che favorirsi a vicenda quando sono genuine, oppure si distruggono a vicenda.
Pensare che ci possa essere più comunione diminuendo, tirando indietro l’individualità è un grosso errore di pensiero. E pensare che ci possa essere più spicco, più autonomia individuale riducendo la comunione è l’altro grosso errore di pensiero. Il dinamismo dell’evoluzione è fatto in modo tale che la comunità vera si approfondisce aumentando l’autonomia di ogni singolo, e l’autonomia del singolo si approfondisce aumentando la comunione. E l’uomo può essere massimamente individuale e libero solo nell’amore. Che è vero amore soltanto quando ama la libertà del singolo.
Prendiamo queste due categorie: la libertà, in quanto mistero del singolo, autonomia del singolo e l’amore, in quanto intima unione di solidarietà tra gli esseri umani. L’unico amore vero, l’unica comunione vera è l’amore per la libertà di ognuno, e l’unica libertà vera è la libertà dell’amore. Cosa troviamo nell’umanità di oggi? Sempre nuovi tentativi di mettere questi due valori supremi dell’evoluzione umana uno contro l’altro: più c’è libertà e meno c’è amore, più c’è amore meno ci può essere libertà.
Sono i due più grandi errori del pensiero, le due più grandi manipolazioni, i due più grandi ricatti dei poteri. Il potere costituito, cosa fa? Dice: amore significa dedicarsi alla causa comune, al noi, rinunciando a fette di libertà. Cos’è questo fenomeno? Ricatto del potere!, il potere che ricatta il singolo. Allora il singolo si difende saccheggiando la comunità e pensa di essere libero soltanto mandando a ramengo tutti quanti gli altri. Il potere vuole schiacciarlo e come risponde il singolo? Sfruttando la comunità!, pensa di difendere la sua libertà sfruttando la comunità, e questo è il primo grosso sbaglio. Il potere pensa di diventare sempre più coesivo, sempre più potente sopprimendo l’individuo: e così vengono uccisi sia la libertà sia l’amore. La libertà diventa egoismo perché saccheggia, sfrutta la comunità e non è più libertà ma è egoismo o libertinismo; e questo cosiddetto amore del dedicarsi agli altri non è vero amore, ma è soltanto un venire ricattati come strumenti del potere.
Intervento: Tu intendi il potere come espressione di qualcosa di gruppo?
Archiati: Sì certo, il potere nasce quando un essere umano si serve di un altro o di tanti altri come strumento, quella è l’essenza del potere. Il potere del denaro, qual è? Tu non hai bisogno di lavorare, non hai bisogno di impegnarti, di mettere i tuoi talenti a disposizione degli altri. Siccome hai denaro costringi l’altro a lavorare per te, e lo paghi. Lui ti dà le sue energie e tu gli dai i soldi. Nella conferenza di Steiner Gli uni per gli altri si affronta proprio questo mistero di come libertà e amore stiano fra loro, a livello sociale, a livello dell’economia mondiale nella quale viviamo oggi.
Intervento: Allora nell’esempio dell’organismo: l’organo, nell’organismo, come può rappresentare l’individuo?
Archiati: L’immagine dell’organismo va bene, perché ogni organismo ti dimostra concretamente a livello di immagine, di parabola, il modo in cui amore e libertà si favoriscono a vicenda, e adesso te lo spiego meglio. Supponiamo che gli organi si mettano in testa di dire all’occhio: tu non devi succhiare tutte le forze dell’organismo per trasformarle in occhio, perché sei egoista!, mettiti piuttosto al servizio dell’organismo e quindi lascia perdere il tuo essere occhio. Se l’organismo chiedesse all’occhio di diminuire, di tirare indietro la sua unicità di occhio, ne avrebbe dei vantaggi? No.
Intervento: Avremmo la cecità.
Archiati: Sarebbe un organismo cieco. Allora, l’essere membra gli uni per gli altri avviene soltanto se tutti fanno di tutto perché ognuno sia diverso, specifico.
Intervento: Qui partiamo già dall’idea di un organismo perfetto, nel senso ideale.
Archiati: No, parliamo di un organismo che funziona da solo, che se l’uomo non lo rovina è sano per natura. E l’organismo umano? Se anche l’organismo dell’umanità fosse sano per natura, cosa avrebbe da fare la libertà? La natura mantiene sano l’organismo naturale, quanto all’organismo dell’umanità invece, o lo fa funzionare sanamente la libertà degli esseri umani oppure è malattia dall’inizio alla fine!
L’organismo dell’umanità viene mantenuto sano soltanto dalla libertà dell’uomo, però questa consiste anche nel capire le leggi di questa sanità. La legge fondamentale è che la specificità, la funzione specifica del singolo membro e la comunione, che è libertà e amore, o si favoriscono a vicenda o si distruggono a vicenda. Ci dimostra questa legge anche l’immagine, la similitudine dell’organismo naturale. Se la funzione specifica, unica, di un dato organo viene diminuita, con la scusa di essere maggiormente al servizio del tutto, è una brutta pensata, è la malattia.
Pensiamo a come nel sociale siamo ancora a dei livelli in cui, continuamente e dappertutto, si vedono progetti dove degli individui partono in quarta per difendere la libertà, e pensano di difenderla soltanto picchiando, dando botte all’essere gli uni per gli altri. Poi ci sono altri che partono in quarta – vogliamoci bene!, i cattolici –, per essere gli uni per gli altri e pensano di potersi dedicare agli altri soltanto mandando a ramengo la libertà. Questo cosa vuol dire? Che c’è un lavoro di coscienza da fare!, perché è il pensiero che deve capire la struttura di questi due valori fondamentali, e se il pensiero non li capisce continueremo ad andare a naso e a fare sbagli.
Lo ripeto: il sottolineare l’amore, la dedizione gli uni agli altri a scapito della libertà, se fosse veramente soltanto a scapito della libertà, uno direbbe: ebbene…, abbiamo perso la libertà ma almeno abbiamo l’amore. Invece no, è a scapito anche dell’amore!, questo è il bello. E lì bisognerebbe veramente rendersi conto che adesso li abbiamo persi tutti e due! Allora bisogna capire che, o si favoriscono tutti e due o si perdono tutti e due, non ci sono alternative: è un’illusione che possano agire l’uno a scapito dell’altro. Non ci può essere più amore con meno libertà e non ci può essere più libertà con meno amore.
Questo assunto che io vi metto lì, in modo un po’ filosofico, o metafisico, è da verificare: è proprio questo che va fatto. Io qui vi metto soltanto la pulce nell’orecchio, ma verificarlo a tutti i livelli della società è importante!, perché salta fuori se è vero o non è vero. Verificarlo a tutti i livelli ci dà una misura di forza interiore, di convinzione interiore che è tutt’altra, perché allora mi rendo conto veramente degli sbagli di coscienza che facciamo, e genero in me la forza di evitarli. Facendo questi esercizi mi accorgo prima degli sbagli che facciamo!
La grossa tragedia dell’evoluzione umana non è il peccato morale, le grosse tragedie sono i buchi nel pensiero, lì è l’origine di tutto. I grossi peccati di omissione non avvengono nel morale; e poi, cos’è il morale? Sono le forze di natura che ci sono o che non ci sono. I grandi peccati di omissione avvengono nel pensiero, nel cammino della coscienza, e tutto il resto è una conseguenza.
Abbiamo tanti poteri costituiti, chiese comprese, che fanno di tutto per tenere imbambolate le persone, che non contribuiscono in nulla a che il pensiero umano, la testa di ogni persona, vada avanti e capisca le cose. Però tocca al singolo rendersi conto, al singolo che cerca di più, che vuol capire di più le cose, che vuole cibo un po’ più sostanziale per la sua testa. E allora legga le conferenze di Steiner, le studi, le mastichi, ci sono! Ci diamo un gran daffare, nella casa editrice Archiati, a tradurle in italiano, però ci sono, questo pane c’è. Se non coltiviamo la coscienza non andiamo avanti a livello morale, e non abbiamo poi il diritto di lamentarci che l’umanità deve soffrire e succedono pasticci, succedono disastri.
Se l’umanità dorme, il Padreterno che cosa deve fare per farci svegliare? Mandarci uno tsunami!, e dopo il disastro, invece di capire la lezione tanti dicono: questa è la prova che Dio non c’è. Perché se ci fosse non permetterebbe una cosa del genere. Allora è un Dio assassino. Lo stesso essere umano che si picca di essere illuminato e moderno, sfodera questa bambinesca struttura mentale!, e di fronte a un fenomeno del Padre di questo tipo qui – che è fatto apposta per svegliarci un pochino –, sprofonda nel sonno più assoluto: ci vedono la prova che Dio non c’è! Questi livelli di stupidità mentale non ci sono mai stati nell’umanità.
La situazione è seria, scusate. Abbiamo centinaia di migliaia di esseri umani che offrono la loro esistenza entrando nella morte per dare un contributo a svegliarci, e noi rispondiamo con queste baggianate, con questi livelli di stupidità assoluta, di ottusità mentale! È tragica la situazione dell’umanità! Lo spirito umano non è mai stato così ottuso, altro che moderni! Un Tommaso d’Aquino era eoni più avanti di noi, degli uomini d’oggi, nell’evoluzione del pensiero. E poi queste sono le persone che magari hanno in mano il potere, e se tu ti fai sentire ti danno contro.
Intervento: Stanno confezionando la pillola contro il sesto senso, per evitare gli omicidi, è notizia di oggi. Dicono che la pillola contro l’omicidio è ancora lontana, però con questa si potranno prevenire i comportamenti a rischio…
Archiati: L’ultima volta che ci siamo visti mi pare ci fosse sui giornali che avevano trovato il gene della fedeltà coniugale. Era sui giornali! E chi ha quel gene lì è fedele al marito, o alla moglie, e chi non ce l’ha non può essere fedele. Allora facciamo una pillola dove c’è quel gene lì, e tu prendi la pillola e sei a posto. L’importante è che le vendano!
16,29 Gli dicono i suoi discepoli: «Ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini».
Il versetto non è facile, i suoi discepoli gli dicono: ecco, ora parli apertamente e non dici nessuna similitudine, nessuna parabola. Prima ha detto loro: «Io sono venuto dal Padre, sono entrato nel mondo, adesso lascio il mondo e torno al Padre». Allora essi dicono: finalmente ce la dici chiara!
Intervento: Sembra semplice.
Archiati: Sembra semplice.
16,30 «Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio».
Ora sappiamo, ora comprendiamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che qualcuno ti chieda qualcosa. C’è l’affermazione del Cristo che l’Io umano, in ogni essere umano, l’Io dell’umanità, viene dal Padre, entra nel mondo, poi lascia il mondo e ritorna al Padre. In quest’affermazione c’è, in effetti, il tutto dell’evoluzione. «Ora ce la dici tutta», è giusto, nel senso che ci dice il tutto, e il particolare, l’elemento singolo, ha senso soltanto nel tutto. Lo dicevamo prima a proposito del membro singolo, la libertà del singolo ha senso soltanto nel contesto dell’organismo, se non c’è questo contesto non può esercitare nessuna libertà, non può avere nessuna specificità, nessuna unicità.
Allora, dicendo «ora ce la dici tutta» intendono dire che, avendo uno sguardo d’insieme, possiamo capire sempre meglio anche i particolari, perché li possiamo collocare. Significa forse che loro hanno un intuito, un primo intuito del movimento globale? Questo è fatto di tre parti o, se vogliamo, è fatto di due metà con una svolta: la prima è venire dal Padre ed entrare nel mondo, la seconda è lasciare il mondo e tornare al Padre.
In questo versetto gli apostoli, che rappresentano l’umanità, hanno una prima intuizione del piano d’insieme e il loro giubilo è dato dal cogliere già, pur trovandosi alla svolta – è un giorno prima che il Cristo muoia e tre giorni prima che risorga –, il senso di questa svolta che il Cristo è venuto a portare. All’improvviso capiscono il tutto!, la struttura del tutto.
Questo intuito, per quanto embrionale, riempie di gioia, perché uno dice: ora non mi manca più nulla!, si tratterà soltanto, di volta in volta, di riempirlo sempre più di contenuti concreti. Ma non manca nulla a questo intuito, perché vede il tutto. Si tratterà di vederlo sempre di più nei particolari, ma non salterà fuori una dimensione fondamentale nuova, che non avevo visto, perché altrimenti non ci potrebbe essere questa gioia.
È, naturalmente, importante aggiungere che sono stati esposti direttamente alle parole del Logos, ed è chiaro che ogni essere umano, quando si apre veramente – quando ama il Logos, quando gioisce del pensiero, quando vuol veramente capire le cose –, ha questo aiuto in più del Cristo che aiuta a cogliere in un intuito, in un lampo, la struttura del tutto. Il fatto che loro capiscano, lo dobbiamo anche all’aiuto del Cristo che pone le cose in modo tale che diventino comprensibili. Quante volte noi ci lamentiamo e diciamo: non ti capisco per come ti sei espresso! Cioè, il fatto di poter capire delle unità totali dipende anche dalle nostre capacità di articolazione a livello di Logos, perché se non c’è chiarezza nel pensiero non lo possiamo neanche esprimere con chiarezza.
Quando noi stessi facciamo l’esperienza nel parlare con un altro o viceversa, oppure quando leggiamo delle cose che vengono portate a un livello di organicità e di chiarezza tale per cui c’è uno sguardo d’insieme, allora avviene un’esperienza privilegiata di gratitudine e di gioia dello spirito, e viene da dire: adesso capisco! Finché non ho uno sguardo d’insieme, per quanto embrionale, non posso capire nulla.
Se io non ho uno sguardo d’insieme di un quadro, di un dipinto, e se c’è una cortina, o un qualcosa che me lo fa vedere a sprazzi, non posso capire nulla, posso capire i particolari soltanto quando c’è questo sguardo d’insieme. Supponiamo allora che il velo che c’è davanti me lo tirino via soltanto per due o tre secondi, e poi lo rimettano di nuovo...
Intervento: È già qualcosa però.
Archiati: È già qualcosa, se io ho visto di che si tratta non me lo porta via nessuno: l’ho visto. Ah!, è una Trasfigurazione. Adesso è sparita di nuovo però io lo so che cos’è, ora viene mossa la tenda e vedo là sotto. Sì, sì: quelli erano gli apostoli in fondo alla montagna, e là, sopra, coperto, c’è il Cristo. Quindi, questo squarcio, questo sguardo, anche se è embrionale, è fondamentale che sia uno sguardo d’insieme.
Che cos’è allora lo spirito? È la facoltà dello sguardo d’insieme. Lo spirito, il pensare, o afferra l’unità o non afferra nulla. O afferra l’unità e allora dentro all’unità capisce i particolari, o non afferra nulla. Un concetto cos’è? Il concetto della rosa, quante rose comprende? Tutte, più complessivo di così!
Noi sottovalutiamo il pensiero, lo coltiviamo troppo poco e ci lamentiamo che non abbiamo gioia. La gioia dello spirito è rituffarsi ogni giorno nello sguardo d’insieme!, questo sguardo sovrano che ti dà una certezza perché sai che sei dentro a un piano che è bello, pieno di significato, che nessuno può distruggere. E tutti i particolari acquistano significato, compresa la sofferenza, compreso l’ostacolo, compreso quel tizio lì che manderei volentieri a farsi benedire. Tutto quanto diventa sensato, ma può acquisire senso soltanto nell’insieme.
Meditare significa vedere il mondo dall’alto, nello sguardo d’insieme. Alla frammentazione ci pensa il vivere quotidiano. La giornata quotidiana è una continua frammentazione, questa ce la dà la natura, viene da sola, invece lo sguardo d’insieme è un fattore di libertà: ce l’hai soltanto se lo coltivi!, ce l’hai soltanto se ti crei dei momenti per dedicarti al tuo pensiero, però proprio perché c’è solo nella misura in cui ci lavori, ti dà una gioia piena.
Ditemi voi, ci può essere una gioia più grande che capire sempre, e profondamente!, non per comandamenti, che tutto ha un significato? Tutto! E ha il significato di concorrere alla pienezza umana. Trovatela voi una gioia più grande. Però il significato va conquistato, perché il significato del particolare lo trovi soltanto nello sguardo d’insieme. Per esempio, quella passata difficile di una persona, la devi guardare nell’insieme della sua vita, e allora vedi che cinque o dieci anni dopo, proprio grazie a quella esperienza, è saltato fuori qualcosa di bellissimo. Magari lui non se ne rende conto, ma quella cosa bellissima non ci sarebbe stata senza quella passata.
Lo sguardo d’insieme è la capacità di vedere la connessione universale tra causa ed effetto, che è molto complessa, non è così semplice come la pensa la scienza naturale, la quale afferma che le cose che vengono immediatamente prima sono la causa di quello che avviene immediatamente dopo, come le palle del biliardo che si urtano a vicenda l’una dopo l’altra! Come se le cause degli eventi dell’inizio del millennio fossero tutte e solo da trovare in ciò che è avvenuto alla fine dell’altro secolo. E quello che è avvenuto un secolo fa? O due secoli fa? E l’ultima volta che noi eravamo incarnati?
Cosa ci dà lo sguardo d’insieme, in grado di vedere addirittura la connessione di causa ed effetto di vita in vita? L’amore del Logos! Nella misura in cui ci innamoriamo del Logos, ci intridiamo delle sue forze. Ma le forze del pensiero non s’impongono a noi, vogliono essere amate, perché possono essere soltanto libere. Il pensiero non lo dà la natura, lo dà la libertà.
Se il pensiero, addirittura il pensiero dello sguardo d’insieme, il pensiero profondo, ce lo desse la natura, sarebbe noioso, perché ce l’avremmo tutti quanti e non costerebbe niente. È già molto se la natura ci dà la salute del corpo fisico, se non lo roviniamo, come strumento per coltivare noi il pensiero, nella libertà.
Perché ci sono tante persone che godono di più una bottiglia di chianti che una bella pensata? Facciamoci un pensierino, che fenomeno è? Che i gusti sono gusti. Giusto, questa è la tolleranza. E l’intolleranza è dirgli: tu devi. E l’altro non può che rispondere: tu sei matto! Che cosa devo? Torniamo alla constatazione che i grandi peccati dell’evoluzione sono peccati di omissione. Supponiamo che il Padreterno voglia farsi venire in mente qualcosa per aiutare quel tizio lì, per fargli capire che c’è qualcosa di meglio. È intollerante il Padreterno? No, lo fa per amore, ma che deve fare?
Intervento: Gli fa venire la cirrosi.
Archiati: O gli manda una depressione specifica che si chiama depressione post chiantum! In altre parole, c’è soltanto da sperare e da aspettare che non gli basti, e funzionerà soltanto quando si accorgerà che non gli basta, e allora si guarderà intorno. Ma finché gli basta, gli basta!
Ho spiegato allora il conoscere tutte le cose del versetto trenta traducendolo con questo sguardo d’insieme. Naturalmente ha tanti significati, però mi premeva far capire quanto lo sguardo unitario sia fondamentale per il cammino della coscienza umana. Cioè l’Io, la forza pensante dell’Io è la forza di vedere le cose nell’insieme, di vedere le cose in unità complete, nell’unitarietà dove ogni particolare trova il suo significato in qualcosa dell’insieme.
Tante volte, nelle sue conferenze, Steiner fa l’esercizio di pensiero chiedendo per esempio: una rosa è un’unità conchiusa in se stessa? È un essere conchiuso in se stesso? No, no, una rosa recisa che avessimo qui non è una realtà perché sfiorisce; la rosa è una rosa soltanto se è nella Terra e quindi fa parte di tale organismo. Capisco la rosa soltanto comprendendo tutto l’organismo vivente della Terra. Uno dei compiti più importanti del pensiero è sempre di chiedersi dove ho un elemento parziale e dove ho un’unità conclusa.
«Ora sappiamo che tu conosci tutto e non hai bisogno che qualcuno ti chieda, attraverso questo – ™n toÚtJ (en tuto) – noi crediamo – pisteÚomen (pisteuomen) –, riceviamo il convincimento che tu sei venuto da Dio». La percezione dell’Io, dell’esperienza dell’Io dentro l’uomo, è comprendere che viene dalla natura, che è il risultato di tutto il cammino della natura. L’Io viene dal Padre, cioè: la creazione saturnia della Terra che ha posto le basi minerali; poi la seconda creazione, la creazione solare, che ha aggiunto le forze vegetali della vita; poi c’è stata la creazione lunare – stando alla terminologia di Steiner, ma se ne può usare anche un’altra – dove si è aggiunto il terzo elemento di natura, che è quello animale. Gli apostoli dicono: ora comprendiamo che l’Io emerge, e la conclusione è la direzione evolutiva di tutti e tre i passi della natura. E questi tre sarebbero senza senso, incompiuti, non ci sarebbe il loro coronamento se non sfociassero nell’esperienza umana di essere un Io pensante e amante nella libertà, nell’autonomia.
Ci rafforziamo nel convincimento (è ciò che noi traduciamo con crediamo) che tu sei venuto da Dio, quindi che l’Io cristico, il Logos umano è il risultato di tutta la creazione paterna, di tutto il dato di natura.
16,31 Rispose loro Gesù: «Adesso credete»?
Rispose loro Gesù: ἄrti pisteÚete (arti pisteuete) ora qui – ἄrti –, a metà dell’evoluzione voi credete – pisteÚete –, pensate di credere? A questo punto si apre uno squarcio di luce, e la risposta del Cristo dice: certo!, quando si è a metà dell’evoluzione, la mente può essere già alla fine, ma non la trasformazione morale. E la trasformazione morale dove si trova? Nell’atomizzazione più assoluta dell’egoismo. La mente è già arrivata alla fine, la mente coglie il termine di tutta l’evoluzione, però da dove si parte? Dalla misura piena di egoismo.
16,32 «Ecco viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me».
Considera, guarda – „doÝ (idù) –, viene l’ora, ed è già venuta – kaˆ ™l»luqen (kai elèluthen) –, che ha lo scopo di disperdervi – †na skorpisqÁte (ina scorpisthete). In greco non è: l’ora in cui sarete tutti dispersi. Ma è: l’ora che fa sì che siate tutti atomizzati nell’egoismo.
SkorpisqÁte indica le forze dello Scorpione, il pungiglione dell’individuo che vuole succhiare tutto dall’umanità, per se stesso, e che uccide l’organismo dell’umanità. Si può diventare individui senza passare per la cruna dell’ago dell’egoismo, che vuole tutto per sé senza dar nulla agli altri? No. E perciò il Cristo dice al Giuda, che rappresenta le forze dello Scorpione, le forze dell’egoismo: «quello che devi fare fallo presto». Perché ognuno deve passare attraverso questa cruna dell’ago dell’egoismo, dell’essere gli uni contro gli altri, del pungiglione dello Scorpione dove noi crediamo di vivere dandoci morte a vicenda. E l’aiuto del Cristo, la frase del Cristo è: •O poie‹j po…hson t£cion (o poeis poieson tachion) (Gv 13,27). Ciò che tu fai fallo presto, con queste forze dello Scorpione non ci restare troppo a lungo, impara il più presto possibile a cosa servono.
A cosa serve l’egoismo? A dare all’amore tanto da fare, ognuno può amare soltanto tanto quanto è egoista, perché amare significa invertire ogni frammento di egoismo. Una persona che non avesse egoismo da superare non potrebbe amare. Perché amare significa vincerlo, è semplice, la cosa. Pensate ai moralismi della religione tradizionale che ha detto dell’egoismo soltanto peste e corna. Teste bacate!
L’ora, dice, è già venuta – a maggior ragione oggi, duemila anni dopo –, affinché vi disperdiate, ognuno a casa sua – e„j t¦ ‡dia (eis ta idia). È la stessa espressione che c’era nel Prologo, è l’individuo isolato nel suo egoismo, ‡dioj (idios).
Intervento: Vuoi dire la giusta traduzione di «vi disperderete», per favore?
Archiati: Scorpizo, e perciò ti parlo dello Scorpione, perché la parola greca che significa atomizzarsi, è skorp…zw (scorpizo).
Allora, quali sono i due grandi peccati dell’evoluzione? All’inizio l’amore era contro la libertà, c’era tanto amore ma non c’era la libertà, ma allora non era neanche amore. Visto che le cose non potevano restare così siamo piombati giù, e adesso cosa abbiamo? La libertà contro l’amore, e quindi non è neanche libertà. Si capisce il discorso? Allora? Ci dobbiamo dare una mossa e capire che, o li mettiamo insieme, o non abbiamo né l’uno né l’altro. Qual è il presupposto necessario, qual è la cosa più importante per strutturare la libertà in modo che favorisca l’amore?
Intervento: Vincere l’egoismo.
Intervento: Il servizio.
Archiati: È che nel punto di partenza sia contro, perché se la libertà è già a favore dell’amore, non c’è più nulla da fare.
Intervento: Più si scende e più si sale?
Archiati: No, non automaticamente, si può anche restare giù, ma non si può salire senza essere scesi. O, in altre parole, l’ho sempre detto anche in un altro modo – è l’uovo di Colombo, ma queste cose vanno ripetute come una meditazione, ogni giorno –, qual è la cosa più importante, necessaria per vincere l’egoismo? È che ci sia.
Intervento: Però, come dice il Cristo, non restarci troppo; cioè c’è anche questa frase, è vero che uno deve andare giù ma non è necessario che arrivi proprio… fino in fondo.
Archiati: No, in fondo ci siamo!, Lui dice: l’ora è già venuta. Fino in fondo ci siamo, nessuno può diventare più egoista di quanto già siamo. Le due alternative sono: o di vincere l’egoismo, o di restare nell’egoismo. Però io sto dicendo soltanto che, se lo voglio vincere bisogna che ci sia, altrimenti non ho materiale su cui lavorare. Si può omettere di superare l’egoismo, certo, e si resta nell’egoismo. Tu dici, giustamente (adesso mi pare di capire il tuo pensiero), che si può andare anche più giù del punto più basso, ma questo non è aumento di egoismo, è un aumento di autodistruzione.
Intervento: Il senso di restarci poco è che se ci stai tanto perdi la possibilità di uscirne.
Archiati: Certo, ma non nel senso che diventi più egoista, nel senso che diventi meno umano. Perché dopo la svolta i fenomeni si invertono: o vai in su o vai in giù, non puoi diventare più egoista, puoi solo diventare meno umano o più umano. Vogliamo fare una breve pausa?
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Il capitolo sedicesimo si conclude con una specie di drammaturgia, prima che il Cristo, nel capitolo successivo, si rivolga al Padre. Essere testimoni del modo in cui il Figlio della Trinità divina colloquia col Padre – in un colloquio eterno, sub specie aeternitatis – è il momento più sublime che si possa immaginare!
Prima di questo, la drammaturgia della fine del sedicesimo capitolo ci dice che il momento presente è sempre il momento di svolta. Vivere nella presenza di spirito significa trasformare la necessità di natura in un’occasione di libertà, avvalersi di tutto ciò che è di natura, il cervello fisico, per esempio, per creazioni di pensiero che la libertà compie! La svolta avviene sempre quando lo spirito umano si attiva a invertire la prima parte (in cui si è sempre di più inserito nella materia), e fa risorgere la materia dentro allo spirito umano.
DIS. 10
Nella struttura della svolta, a livello di tutta l’evoluzione, c’è questo: duemila anni fa, nell’anno zero – adesso siamo nel 2005, un pochino dopo l’anno zero – abbiamo la drammaturgia della fine del discorso del Cristo.
Dopo, il Cristo non ha più nulla da dire agli esseri umani, non ha più la possibilità di rivolgersi al popolo o ai dodici. Ci sono alcune parole con Pilato nella passione, dopo la cattura, ma il discorso vero e proprio, cioè un’articolazione dei messaggi che il Logos ha da darci, termina col sedicesimo capitolo.
La fine di questo capitolo crea allora la dinamica drammatica della mente, del pensiero, che coglie il tutto dell’evoluzione, il senso globale dell’evoluzione. Con la mente, in chiave conoscitiva l’uomo può essere già alla fine, nel senso che coglie la direzione dell’evoluzione, e nel momento in cui c’è il giubilo conoscitivo che dice «adesso capiamo!, adesso ce la dici tutta», il Cristo deve dare il contraccolpo che dice all’essere umano: sta attento però che l’uomo non è fatto soltanto di capire, deve diventare ciò che capisce.
Voi avete capito, supponiamo che abbiate capito, dice il Cristo, che il senso dell’evoluzione è la trasformazione di ogni frammento di egoismo in amore, la trasformazione di ogni frammento di oscurità di pensiero in chiarezza. Aver capito questo non significa averlo già trasformato! Siccome la mente vola e la volontà… va a piedi, il Cristo dice: pensate di aver capito tutto? Va bene, però adesso cominciate a farlo!
E da dove si comincia? Si comincia al punto infimo della dispersione assoluta, e quindi dal punto massimo delle forze di egoismo. Può l’uomo invertire la marcia, prima di essere diventato egoista in tutto e per tutto? La parabola del Figliol prodigo dice che decide di ritornare, rientra in sé, quando è al punto in cui peggio non può essere. Perché non può avvenire prima, la svolta? Perché bisogna arrivare al punto in cui peggio non potrebbe andare?
Intervento: Perché lo capisce solo a quel punto.
Archiati: Lo capisce per esperienza fatta! Perché non è una teoria e l’essere umano inverte la marcia quando non sopporta più la direzione che ha seguito finora, non ne può più.
Intervento: Hai bisogno di toccare il fondo.
Archiati: Ecco!
Intervento: Sì, ma è un fondo che è personale.
Archiati: Perché, cosa potrebbe condurre una persona a invertire la marcia prima di arrivare al punto in cui non ne può più? Se non è ancora arrivato al punto dove non ne può più, continua, no?
La parabola del Figliol prodigo dice che torna quando peggio di così non si può: va meglio persino ai salariati nella casa del padre mio che non a me che sono il figlio, che non ricevo neanche le ghiande che si danno ai porci! Allora, arrivano quelli che moraleggiano che dicono: eh, però è un motivo egoistico quello di ritornare, non torna per amore, perché vuol bene al padre, torna perché peggio di così non gli può andare. Ma un motivo migliore non esiste!
L’amore di sé è così ideale, così pulito che è sempre stato dato come un modello per l’amore dell’altro: ama il prossimo tuo come te stesso. Allora vuol dire che il modo in cui amo me stesso è perfetto, altrimenti non si potrebbe porre a modello da imitare per amare l’altro. Il problema, l’elemento di caduta dell’egoismo, non è l’amore di sé, ma è la mancanza di amore per l’altro.
L’amore di sé, che c’è, è giusto, è proprio l’elemento su cui costruire, è la parte più sana che ci sia, mentre l’egoismo è carenza, omissione dell’amore verso l’altro. Come si risolve l’egoismo? Cessando di amare se stessi? È l’errore di pensiero più micidiale che si possa immaginare!, perché allora mi anniento e non c’è più nessuno che possa amare gli altri. Che vantaggio ne hanno gli altri, e io, quando mi annullo?
La vittoria sull’egoismo è di moltiplicarlo: cominciare ad amare una seconda persona, una terza persona, dieci, trenta, tutti gli esseri umani!, come me stesso, perché di più non si può. Ognuno ama se stesso perfettamente, trova tutti i pensieri che si possano immaginare per farlo, in modo pieno di ingegnosità e di inventiva, in un modo così perfetto da divenire modello per l’amore verso l’altro. E perché omettiamo l’amore verso l’altro? Perché l’amore per se stessi ce lo dà perfetto e compiuto la natura, non è un fattore di libertà, nessuno può farne a meno; e chi pensa di non amare se stesso, bara! Invece l’amore per l’altro c’è soltanto nella misura in cui mi sforzo.
Che cosa ci dà più gioia? L’amore di sé, che ci dà la natura, quello non ti costa nulla, non ti può dare gioia! Dà più gioia l’amore per l’altro perché te lo devi conquistare, e conquistandolo, qual è la cosa specifica che ti dà gioia? L’esperienza della libertà: oh, ma guarda!, ho dentro di me delle forze in esubero, che vanno al di là di quelle che mi dà la natura. La natura mi dà l’amore di me, e io posso raddoppiare, addirittura moltiplicare questo amore, liberamente!, amando un altro, un altro e un altro.
Allora, dicevo, la mente, l’evoluzione della coscienza coglie con uno sguardo d’insieme la direzione del tutto, però il cammino di trasformazione interiore per amare sempre più esseri umani, fino ad amare tutto l’organismo dell’umanità, è un cammino che ha bisogno dei secoli e dei millenni, che ha bisogno di diversi ritorni sulla Terra. Diciamo questo se ci parliamo in un modo aperto e coraggioso, aggiungendo categorie alla cultura ufficiale, anche quella cristiana iniziale, e sono passi da fare!
Riassumendo, al versetto ventinove e trenta i discepoli gli dicono: ecco che ora parli apertamente e non usi più nessuna metafora, nessuna parabola. Ora sappiamo che tu comprendi il tutto, che l’evoluzione dell’Io non è parziale ma è il tutto dell’evoluzione umana. Le forze dell’Io sono il tutto dell’evoluzione terrestre. Ora sappiamo che tu conosci tutto e non hai bisogno che qualcuno ti chieda o ti preghi o ti domandi, in questo ci rafforziamo, acquisiamo fiducia del fatto che sei venuto dal Padre.
Al versetto trentuno il Cristo risponde: «Ora credete?». Credere significa convincersi, e questo è l’elemento di coscienza, di conoscenza, ma credere è anche rafforzarsi, dar fiducia a queste forze, che è, allora, la trasformazione morale. Avete lo sguardo conoscitivo d’insieme, che vi convince e perciò ci credete? Però, allora, dovete rendervi conto del fatto che questo sguardo d’insieme che vi convince, questa totalità tutta positiva per l’Io dell’evoluzione, va compiuta a livello morale. A livello di trasformazione di tutte le forze dell’anima. E non lo si fa in un momento o in un lampo conoscitivo, ma lo si fa in un lungo cammino, con colpi e contraccolpi: dove ci sono lo sforzo, la sofferenza e la gioia, dove ci sono la morte e la resurrezione.
Ora credete? Ecco che viene l’ora – e sono le ore, non tutte insieme, ma una dopo l’altra –, anzi è già venuta l’ora infima dell’evoluzione, nel mezzo dell’evoluzione, in cui vi frammenterete, vi disperderete, vi vivrete isolati gli uni dagli altri, gli uni contro gli altri – skorpisqÁte (scorpisthete) – (scorpizo è questa atomizzazione degli esseri umani, l’egoismo, l’isolamento dell’egoismo), ognuno chiuso in sé, e„j t¦ ‡dia (eis ta idia).
Prendiamo il lato intellettuale di questa chiusura in sé, oggi dicevamo che la tolleranza è metà dell’amore, ma qual è l’altra metà dell’amore? Ancora più tolleranza!
Ci sono allora dodici punti di vista:
DIS. 11
Qui abbiamo i dodici apostoli, il Cristo sta parlando loro, naturalmente ora semplifichiamo un po’ le cose: ognuno ha un punto di vista, per esempio dello Scorpione, o del Leone (ve lo ricorderete, questo è il punto di vista del sensismo).
Che cosa vuol dire: ognuno chiuso in sé? È l’incapacità di uscire dal proprio orizzonte, di uscire dal proprio punto di vista – che è legittimo, perché è la casa in cui mi trovo –, per far proprio il punto di vista altrui. Questo è l’isolamento a livello intellettuale, a livello conoscitivo. I grandi peccati del pensiero sono peccati di parzialità, di unilateralità. Qual è la cosa più importante per vincere l’isolamento dei diversi punti di vista? Che ci siano!
La parzialità è la cruna dell’ago evolutiva del pensiero umano. La parzialità dell’ottica è la caduta della coscienza umana, come presupposto per vincerla. Cosa vuol dire redimere il pensiero? Renderlo così vivace, così vivente che è capace di acquisire, di far suo e non soltanto far finta, ma realmente, tutti e dodici i punti di vista, i modi di guardare al reale. Il pensiero vivente è la capacità di dar ragione a tutti, a ragion veduta, perché ogni punto di vista è legittimo, è reale. Il problema di ogni punto di vista non è quello che c’è, sono i punti di vista che mancano!, e torniamo alla stessa affermazione che avevamo fatto poco fa in chiave morale sull’egoismo.
Il peccato originale, la caduta della coscienza umana non è il punto di vista che uno ha, sono quelli che mancano, e quindi la redenzione del pensiero è di aggiungere, aggiungere, aggiungere, tutti i punti di vista, tutti i modi di considerare il reale che mancano. Quanti pensieri si possono pensare sulla realtà? Infiniti! Redimere il pensiero significa pensarli tutti, non si possono pensare tutti in una volta, è un cammino, un’evoluzione che non finisce mai.
Viene l’ora, ed è già venuta, dice, in cui vi disperderete, ognuno nella sua casuccia, la… casella intellettuale è il punto di vista, come la casella morale è l’egoismo. L’isolamento conoscitivo è il punto di vista e l’isolamento morale è l’egoismo. Tutti e due presupposti necessari, per fortuna ci sono!, se non ci fossero non ci sarebbe nulla da fare, non ci sarebbe nulla da integrare. Se avessimo tutti i punti di vista già dati non avremmo nulla da conquistare intellettualmente, a livello di evoluzione del pensiero, e se avessimo anche l’amore per gli altri non avremmo nulla da conquistare a livello morale.
Adesso arriva il solito che dice: ma chi me la fa fare questa sfacchinata? E quest’altro punto di vista, anche quest’altro pensiero, non è una faticaccia? Stavo così bene quando pensavo a me stesso, c’era già abbastanza da fare, adesso mi devo fare una stufata anche per pensare a tutte queste altre cose. E chi me lo fa fare? Il Vangelo dice che è gioia, gioia, gioia!, e dove? Io vedo solo la sfacchinata…
C’è tanta gente che dice così, e noi che rispondiamo loro?
Intervento: Se sei contento così, se ti basta questo…
Archiati: Io non sto parlando del discorso che lui ti fa quando dice che sta bene così, ma di quando vorrebbe presentarti ciò di cui tu gli parli sotto un aspetto negativo, che ti porta soltanto sofferenza, altro che gioia. L’unico modo di salvarsi e di rispondergli è dirgli: ci hai provato? Se dici così è perché non ci hai provato!
Intervento: O ci ha provato male.
Archiati: No, non l’ha proprio fatto e vuole proteggersi dal contagio, vuol trovare scuse per non provare. Resta il fatto che non lo si può convincere a livello intellettuale su cose che sono esperienziali!, è quello il punto fondamentale. Se sono cose esperienziali come lo posso convincere intellettualmente del fatto che gli porta gioia? Provaci! Resta a me di essere convinto che se veramente ci si prova salta fuori la gioia, non la sfacchinata soltanto.
Supponiamo, se vogliamo essere onesti fino in fondo, che ci provi veramente e invece di provare gioia provi una faticaccia e basta. Che cosa è successo? Che allora o non è giusto quello che dice il Cristo, o pensa di aver provato ma non ha provato. C’è stato uno sbaglio di interpretazione, oppure è sbagliata la teoria che stiamo esponendo.
Le cose sono serie, bisogna essere veramente onesti perché il Vangelo che stiamo studiando è una lettura della natura umana. La lettura che ci propone il Cristo, che è il fenomeno primigenio dell’umano, l’archetipo dell’umano, dice: la natura umana è fatta così che la struttura della libertà, di ciò che non ti dà la natura comporta uno sforzo, comporta una sofferenza, il partorire parte dal lato dello sforzo però approda sempre alla gioia! E noi ci riserviamo di appurare se è vero!, perché mica vogliamo soltanto credere alla teoria che un altro ci propina su una lettura della natura umana. La voglio provare io.
Allora, signori e signore, di vita ne abbiamo alle spalle!, guardiamo a quello che abbiamo vissuto finora, come stanno le cose? Quando ho lottato con qualcosa che non capivo, magari volevo passare un esame perché mi interessava andare avanti negli studi, o quando ho sofferto, ho lottato per risolvere un problema e ci sono riuscito, cosa è saltato fuori? Inevitabilmente: soddisfazione e gioia! È inutile che vogliamo barare, oppure non mi sono sforzato. È così? Sì, è così. Questo punto però è fondamentale: c’è qualcuno che vuole provare a dire «no, non è così»?
Intervento: Ci sono delle prove che durano tanti anni…
Archiati: E poi?
Replica: E poi non so come sarà.
Archiati: Prendiamo l’esempio di un’ingiustizia che dura tutta una vita: uno si è sforzato, si è sforzato, è sempre stato sfortunato; all’altro, che è un farabutto, è andato tutto bene. La gioia dov’è?
Intervento: Nella prossima vita.
Archiati: Devono esserci abbastanza fattori, nella nostra esperienza reale, dove l’arco di tempo tra le doglie del parto e la gioia del partorire avviene in una vita. Se ce ne sono abbastanza in una vita, questo è convincente in assoluto perché ogni volta che c’è una doglia del parto, faccio esperienza che questa sfocia sempre nella gioia.
Se è così, cosa devo dire di una doglia che dura tutta una vita? Che ci deve per forza essere un’altra vita dove salta fuori il parto e la gioia del parto, perché la struttura dell’essere umano è sempre così, non fallisce mai. Allora, se c’è una sofferenza, qualcosa che resta aperto, che è uno sforzo che dura tutta la vita, deve, quando non ti so dire, ma deve sfociare nella gioia, perché fa parte della natura umana.
Questi sarebbero esercizi di pensiero che conducono la mente umana alla convinzione, non alla dimostrazione teorica, ma alla convinzione fondata delle ripetute vite terrene, proprio perché ci sono certe doglie del parto che durano tutta la vita.
Intervento: E perciò è vero anche il contrario, nel senso che abbiamo certe cose fortunate in questa vita che non ci siamo meritate, io ammetto di averne avute.
Archiati: Bravo, bravo…
Replica: E non me le sento come un merito perché non ho fatto nulla per meritarle.
Archiati: Le vivo soltanto dalla parte della gioia del partorire, e cosa dico? Che ci deve essere stata da qualche parte la doglia del parto! Vedi? E se non c’è stata in questa vita c’è stata prima. È la stessa struttura mentale evidenziata dall’esperienza. Io prima l’ho fatta verso il futuro, tu adesso l’hai fatta verso il passato, ma se è valida è valida in tutte e due le direzioni. Un talento di una persona..., cos’è un talento?
Intervento: Una facoltà.
Archiati: È un parto avvenuto, dove la doglia di questo parto era prima della vita, perché sono nato così, e allora, dov’è la doglia? O mi dico che ci sono dei parti senza la doglia del parto, o mi dico: allora la doglia deve esserci stata prima!, prima della mia nascita.
Intervento: Ma siamo partiti tutti dallo stesso livello? È stata uguale la partenza?
Archiati: Beh, rispondi alla tua domanda, che ce l’hai a fare una testa?
Intervento: Oppure uno ha rallentato.
Archiati: Le Sacre Scritture, le mitologie dell’umanità ti parlano del grembo divino, e il peccato originale è il taglio ombelicale. Questa immagine del partorire è una delle più universali proprio perché è universalmente umana. All’inizio eravamo nel paradiso, che è il grembo dell’umanità: lì c’erano già persone più dotate e meno dotate? Come potevano esserlo? E allora da lì siamo partiti tutti uguali, per forza, altrimenti sarebbe un’assoluta ingiustizia.
Noi abbiamo quattro vangeli, faccio un excursus sugli altri. Il Vangelo di Giovanni è tutto in chiave di Logos, però gli altri vangeli aggiungono un sacco di cose, c’è per esempio la parabola dei talenti, che riguarda la domanda che tu hai posto. La parabola dei talenti è interessantissima perché Luca la racconta in un modo e Matteo in tutt’altro modo. Ve le ricordate?
In Luca 19,11 è la Parabola del nobiluomo, o dei dieci servi: sono dieci persone, e ognuna riceve all’inizio un talento dal padrone che se ne va.
Schema 1.
Quando ritorna, uno di essi da uno ne ha fatti dieci, un altro ne ha fatti cinque, e l’ultimo, l’unico che aveva l’ha nascosto, cioè lì la libertà non ha aggiunto niente. L’uno è quello che ti dà la natura, e ciò che fai in più è quello che ci aggiunge la libertà.
Matteo 25,14 la racconta in modo diverso: uno dei servi riceve cinque talenti, l’altro ne riceve due e l’altro ancora uno. Ma questo non è ingiusto? Quello che riceve soltanto un talento potrebbe dire: perché mi ha trattato ingiustamente? Perché quello là ha ricevuto cinque volte più di me?
Intervento: Bisogna vedere a che punto dell’evoluzione siamo.
Schema 2.
Archiati: Matteo racconta questa parabola dei talenti nella prospettiva di una vita, questa vita; Luca racconta la stessa parabola nella prospettiva di tutta l’evoluzione, dall’inizio fino alla fine. Quindi, all’inizio abbiamo ricevuto tutti lo stesso patrimonio, altrimenti sarebbe una cosa assurda.
Matteo li ritrae in questa vita, dopo che ognuno ne ha già avute diverse. E il quadro di partenza descritto da Matteo è questo: un servo ne ha ricevuti cinque perché di vita in vita ha fatto tanto che da uno è passato a cinque, è stato libero di farlo; quest’altro che ne ha due è passato di vita in vita da uno a due; quest’ultimo da uno è rimasto a uno.
Schema 3.
Sempre Matteo mostra poi i possibili risultati di una vita: quello che aveva cinque ne porta dieci, quello che ne aveva due ne porta quattro, e quello che ne aveva uno porta zero. Questo che ne aveva uno alla fine è passato a zero, cioè ha perso anche quello che aveva, perché il potenziale di libertà diminuisce sempre di più.
Il raddoppiare è la prospettiva di una vita sola, invece il decuplicare di cui parla Luca si può soltanto in parecchie vite. Quindi già questa scuola pitagorica dei numeri – se uno li sa leggere, tutta la Kabbalah ebraica è fondata sui numeri – fa capire che le due parabole del Cristo, dei talenti, sono fatte apposta l’una per farti capire l’evoluzione che è possibile dentro una vita e l’altra per aprirti la prospettiva di tutte le vite terrene.
Luca dice chiaramente che all’inizio si parte tutti uguali, non c’era nessuna individualizzazione, non c’era nessuna libertà, le differenziazioni sorgono col passare del tempo, e a seconda delle omissioni. Chi arriva con dieci non ha omesso nulla, ha fatto tutto il possibile; chi arriva con cinque ha omesso di più, però ha omesso molto meno di chi arriva con due; chi arriva con zero rappresenta il mistero dell’omissione su tutta la linea, che deve essere possibile perché il talento si può sotterrare, nessuno ti costringe a usarlo, a farlo fruttare. E come si fa fruttare il talento?
Intervento: Mettendolo al servizio degli altri.
Archiati: Certo, il talento del polmone lo si può esercitare soltanto mettendolo al servizio dell’organismo. Allora dove lo nascondo? Dove sparisce il talento, quello che poi non ha fruttato nulla? In Luca viene messo nel sudario, che è il fazzoletto del sudore, e in Matteo viene seppellito nella terra.
Se uno mette il talento – che era una moneta, tra l’altro –, nel sudario, se usa il fazzoletto che dovrebbe usare per il sudore per metterci dentro il suo talento, vuol dire che non suda, non fatica, e quindi non fa niente per gli altri. È quello che ha i soldi e fa lavorare gli altri, è il capitalista.
L’altro invece è quello che dice: il soldo è una cosa pericolosa, perché ormai con la borsa che va su e giù, è meglio investire… nell’immobiliare. E lo mette nella terra.
Vangeli cristiani che ci presentano i misteri dell’economia mondiale: sono proprio i più moderni che si possano immaginare! L’uno sfrutta l’umanità in quanto possidente di immobili, l’altro sfrutta tutta l’umanità in quanto possidente di denaro, che non suda in proprio, fa sudare gli altri. Dove trovate voi parabole più moderne, o più giuste? E il tutto avviene in questo mistero, sia della struttura immanente di ogni vita singola, sia, nella prospettiva di Luca, di tutte le vite.
Infatti mentre la genealogia in Matteo è più ristretta, risale fino ad Abramo, la genealogia in Luca risale fino a Dio, ritorna fino all’inizio. Sono prospettive diverse che vengono rispettate dall’inizio alla fine dai vangeli, e studiarli in chiave di scienza dello spirito è una cosa meravigliosa, è un fecondare il pensiero all’infinito!
Se ci troviamo già così diversi a questo punto dell’evoluzione, oggi che siamo un pochino dopo la svolta, vuol dire che ne è già stata fatta di strada! L’evoluzione è l’esercizio della libertà, che è lasciato a ognuno. E c’è chi la prende a piene mani e c’è chi perde colpi, poi c’è chi ne perde di più e chi ne perde di meno.
La pienezza non avviene a metà strada, lo dice proprio il Cristo: la pienezza salta fuori soltanto alla fine. Nel mezzo dell’evoluzione, dove ci troviamo adesso, ogni essere umano che è onesto con se stesso, deve dirsi: ma quante cose avrei potuto fare e non ho fatto! Perché soltanto con questa struttura interiore si cerca veramente di perdere il meno possibile di quello che si potrebbe perdere, ma a questo livello dell’evoluzione, nessun essere umano può dire: ho fatto tutto quello che si potrebbe. Perché allora sarebbe alla fine dell’evoluzione.
Intervento: Volevo dire, prima del Golgota, all’inizio siamo tutti uguali perché partiamo tutti da uno. Nella prima parte dell’evoluzione, le differenze di posizione non possono essere determinate dall’omissione dell’esercizio della libertà, perché non c’è ancora. Allora vanno rapportate ai comandamenti di Mosè le differenze evolutive che si sono create tra gli esseri umani?
Archiati: No, le differenze sono differenze di funzione nell’organismo dell’umanità, date dalla natura, date dalla divinità.
Replica: Cioè, non c’è responsabilità individuale di quelle differenze?
Archiati: Non c’era la libertà; finché non c’è la libertà, no.
Replica: Allora non c’è, allora se siamo diversi è colpa di Dio?
Archiati: No, non è colpa… cioè, un organismo non esiste senza differenziazione.
Replica: Sono differenze funzionali?
Archiati: Esatto, e poi vengono prese in mano dalla libertà.
Replica: Praticamente sono differenze necessarie.
Archiati: Certo, sono differenziazioni. Nel libro che ho scritto, Maschere di Dio e volti dell’uomo, ho voluto proprio fare una sintesi dell’evoluzione dell’umanità, cosa che non è semplice. Nel capitolo sulla missione del giudaismo ho cercato di spiegare che lì c’è un primo inizio di responsabilità dell’individuo, come preparazione alla venuta del Cristo. Così all’individuo vengono presentati dei comandamenti morali, viene reso responsabile moralmente. In tutto il mondo pagano, circostante il popolo ebraico, non c’era l’elemento morale, quindi le differenziazioni le faceva la natura.
I comandamenti di Mosè dicono: ora l’essere umano comincia a diventare responsabile della sua evoluzione. Questo è l’elemento specifico del giudaismo, la nascita della dimensione morale, però è un inizio. Sarebbe come dire: nel bambino che cresce, fino a quale giorno fa tutto la natura? E a partire da quale giorno c’è la libertà? È più complessa, la cosa.
Ora auguro a tutti un buon appetito!
Venerdì 18 Febbraio 2005, sera
vv. 16,32 – 16,33
16,32 «Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me».
Ripetiamo sempre che in un testo come il Vangelo di Giovanni noi troviamo gli archetipi dell’umano, in questo senso è più interessante che mai! Sono presenti i cosiddetti apostoli, i dodici, le dodici matrici dell’umano, compreso Giuda – che però non c’è mentre queste parole vengono dette, è uscito, quindi sono undici con… un buco – e c’è il discepolo che Lui amava.
Abbiamo visto questa parabola dell’evoluzione: lo spirito umano, il fattore di evoluzione umano è partito dal grembo divino. Tutte le religioni e tutte le culture concordano, pur usando terminologie diverse, nel dire che c’è stata proprio come una nascita, poi il cosiddetto peccato originale, la cacciata dal paradiso, è il taglio ombelicale iniziale e dopo l’uomo si è inserito sempre di più nel mondo della materia.
Il fenomeno di duemila anni fa – a parte il fatto che bisogna distinguere fra il fenomeno in sé e quello che gli esseri umani ne hanno capito, come è stato recepito culturalmente – rappresenta una svolta dell’evoluzione, altrimenti non ci interesserebbe. E perché ci deve essere una svolta?
Tutte le culture orientali prima di Cristo avevano una concezione lineare, o ciclica dell’evoluzione, per cui i cicli si ripetevano sempre uguali senza nulla di nuovo. Col giudaismo, per la prima volta, è sorta un’interpretazione della storia progressiva: c’è un inizio, un procedere e poi c’è una fine. Se vogliamo evitare di speculare a vanvera e attenerci alla realtà, dobbiamo attenerci alla percezione. Allora dove abbiamo l’evoluzione a livello di percezione, in modo da poterci confrontare col percepito? Il percepito è come se ci dicesse: hai guardato bene?, perché ognuno può speculare a modo suo. Dove abbiamo l’evoluzione percepibile in modo oggettivo, per tutti?
Intervento: Nella vita dell’uomo.
Archiati: Perché la vita dell’uomo o è una ripetizione in piccolo del fenomeno umano, oppure, se non lo è, non ci serve a capire l’evoluzione più vasta. Quindi, trattandosi dello stesso essere umano è chiaro che la percezione della sua dinamica deve essere valida per l’interpretazione di tutta l’esistenza. E, in effetti, la vita dell’uomo dimostra in modo chiarissimo – a meno che uno proprio non capisca nulla – una svolta. Nella prima fase c’è una conduzione dal di fuori – il maestro, l’educazione, i genitori – perché il bambino non è capace di gestirsi da solo, e questa è una questione oggettiva: immaginiamo forse dei bambini di cinque anni che vogliano essere autonomi? Poi è nella dinamica della vita oggettiva, proprio percepibile, che il fenomeno si inverta, che il senso di questa conduzione dal di fuori sia proprio di invertirsi e di trasformarsi in una conduzione dal di dentro, in quella che chiamiamo l’autonomia, la libertà. Si può usare la terminologia che si vuole, però questa lettura è oggettiva, è così.
Evolversi in quanto spirito umano significa passare sempre di più alla libertà, perché questi passaggi sono infiniti. Gli aspetti sotto i quali io prima venivo gestito dal di fuori, e gli aspetti dell’umano che sempre di più posso gestire dal di dentro, sono infiniti. Quindi questa trasformazione interiore dal farsi guidare dal di fuori al guidarsi dal di dentro è sempre in corso.
Però, se mi si parla di un evento nell’evoluzione dell’umanità in quanto totalità, di un evento di svolta, mi interessa e mi convince soltanto se mi confronto con coloro che hanno percepito, che hanno tramandato i gesti compiuti, e perciò ci servono questi testi. In che senso è convincente? Nel senso che riconosco, in questo evento centrale, la fenomenologia della svolta che c’è nella vita di ogni uomo.
Se colui che viene chiamato “Cristo” – tra virgolette, perché gli si possono dare altri nomi, non importa il nome – mi parla di un’umanità che fino a questa svolta è stata condotta da Dio Padre – anche questo chiamatelo come volete, dalla natura, dalle forze di natura –, e Lui adesso, nei discorsi dell’Ultima Cena, dice: ora le cose devono cambiare!, il Padre, che è l’onnipotenza divina, si ritira, fa posto al Figlio, perché questi è venuto per mandare, per dare lo Spirito Santo.
Il Figlio è il trapasso dalla conduzione dal di fuori alla conduzione dal di dentro e l’esperienza dello Spirito Santo è l’autonomia interiore. Una persona che arrivi a quindici, o a quaranta anni, e non sentisse mai l’aspirazione, il desiderio di capire le cose lui stesso…, lo immaginiamo un essere umano così?, non sarebbe un essere umano! Chi mai a trent’anni ha detto: ah!, mi piace di più quando capisci tu che non quando capisco io. Nei fumetti, la gioia non c’è quando la lampadina si accende cinque metri più in là, c’è quando la lampadina si accende da me.
DIS. 12
Allora: il Padre, il cosiddetto Padre, è la conduzione dal di fuori e lo Spirito Santo è l’autonomia, la capacità di pensare in proprio e di amare perché si vuole amare, non perché si deve per comandamento. Il Figlio, che fa da passaggio, che cos’è? Se lo Spirito Santo è l’esperienza della libertà, dell’autonomia e il Padre è la conduzione della natura che si fa sostrato per la libertà, allora il Figlio è l’amore. Amare significa sempre mettere a disposizione dell’amato tutti gli strumenti che lo rendono capace di essere autonomo.
Per amare l’uomo si può amare soltanto la libertà, se non si ama la sua autonomia non lo si ama veramente, perché l’autonomia interiore è la sua essenza. Il Cristo, il Figlio, crea tutti i presupposti, fa dell’anima umana una potenzialità allo spirito, ama la libertà, e ci può amare soltanto amando la nostra libertà, quindi dandoci, mettendoci a disposizione tutti gli strumenti per essere autonomi. Detto con altre parole, Dio, in quanto Figlio, rinuncia liberamente all’onnipotenza per permettere la libertà umana, altrimenti non può amare l’uomo.
In immagini cristiane, dove si manifesta questo tirare indietro l’onnipotenza? Poi, fino a che punto il cristianesimo tradizionale abbia capito queste cose è un’altra faccenda, però noi vogliamo capirle in modo pulito, in modo essenziale. Il paradosso dell’amore di Dio che ama al di sopra di ogni cosa la libertà dell’uomo, lo si vede nel guardare questo tizio che si dice Figlio di Dio, che è lì che non si può neanche muovere perché le sue mani sono inchiodate, i piedi sono inchiodati. E quelli che passano gli dicono: ma Dio dovrebbe essere sapienza! Ma che scemo, hai fatto tanto per gli altri, ma per te stesso? Hai detto di essere il Figlio di Dio, mostra la tua potenza, scendi dalla croce, combina qualcosa…
Amare l’uomo significa rinunciare a gestirlo dal di fuori e rinunciare a voler sapere meglio di lui cosa gli va bene. Un Dio che ama l’uomo deve essere un Dio che rinuncia alla sua onnipotenza e si fa impotente per permettere la libertà dell’uomo, e si fa pazzo, folle! Perché Dio è sapienza infinita, e se però non sa cosa combinerai domani, finisce la sua sapienza! Quindi può essere infinita sapienza e può essere infinita provvidenza soltanto se sa già quello che tu combinerai domani, ma se lo sa già, come fai a essere libero? Deve farsi folle.
Intervento: Di più, deve affacciarsi sull’abisso della libertà che dona all’uomo, che è un coraggio cosmico! La nostra esperienza, per esempio, di genitori…
Archiati: Immaginiamo rispetto a tutta l’umanità…
Replica: È una cosa che non si riesce neanche a immaginare talmente è grandiosa, è un atto d’amore immenso.
Archiati: Allora, gli ultimi versetti del capitolo sedicesimo presentavano i dodici che dicevano: adesso abbiamo capito la struttura dell’evoluzione! Il Cristo dicevamo che è manifestazione di amore verso la libertà di ogni uomo, che è un fattore individuale, perché non si può essere liberi in un gruppo. La libertà è l’autonomia del singolo che sa pensare con la propria testa e sa decidere con la volontà propria. Il Cristo allora dice loro: sì, la mente coglie il senso del tutto, però, come evoluzione morale siamo a metà dell’evoluzione. I passi per vincere l’egoismo e per vincere la tenebra, l’ottenebramento, la caduta, il peccato originale intellettuale, vanno fatti uno dopo l’altro. Quindi ci sono due dimensioni dell’esercizio della libertà: la libertà dell’evoluzione della coscienza, del pensiero e la libertà dell’evoluzione morale, nel diventare sempre più pieni di amore.
Che cosa vuol dire amare sempre di più, anche per noi uomini di adesso? Significa gestire l’altro sempre di meno finché avremo la forza di non gestirlo per niente: la tua vita è tua. C’è un amore più grande che lasciar libero l’altro? No, però fa parte dell’amare, non posso amare la libertà dell’altro senza far di tutto per mettergli a disposizione gli strumenti necessari, perché la libertà non si esercita senza di essi. L’amore mette a disposizione gli strumenti necessari, ma non gestisce la libertà.
C’è un certo Rudolf Steiner, della cui esistenza io ti do la percezione, l’informazione, ma non gestisco la tua presa di posizione. Però farti sapere che c’è fa parte dell’amore verso di te, perché se non c’è nessuno che ti ama e ti fa sapere che c’è, tu forse non lo noti, allora ti presenti dopo la morte al Padreterno e dici: non ho saputo che c’era, nessuno me l’ha fatto sapere… Però c’è una bella differenza fra dire «guarda che questo c’è, vedi un po’ tu» , e invece volere che quello lo compri e lo legga!
Noi siamo sensibili nei confronti della libertà, siamo talmente sensibili che, così come facciamo fatica nei confronti dell’altro, siamo invece proprio pulitissimi quando si tratta di noi: ci accorgiamo subito quando l’altro ci mette a disposizione delle informazioni e ci accorgiamo subito quando fa un minimo tentativo di gestirci. L’organo della libertà ce l’abbiamo!, e affinato al massimo perché siamo intrisi, fatti di libertà, e questa sensibilità che abbiamo nei nostri confronti possiamo esercitarla sempre di più nei confronti dell’altro. Perché ho bisogno io che l’altro faccia qualcosa? Perché non sono libero io!, altrimenti l’altro mi sta bene così com’è. È una persona impossibile con cui non si può vivere? Vado a vivere altrove! Ma non ho mai bisogno di cambiarlo, basta che mi sposti io. Qualcuno dirà: sì, ma non è sempre così facile! Sì, ma perché deve essere facile? Abbiamo sudato in questi giorni a dire: più è difficile e meglio è, e più c’è gusto!
Allora prendiamo adesso parola per parola il versetto trentuno, il precedente. «Rispose loro Gesù…», Gesù è il portatore del Cristo, quindi le parole fisiche vengono dette da Gesù: «”Arti pisteÚete (arti pisteuete) ora credete? Vi pare che adesso ci siamo capiti?». Poi aggiunge, versetto trentadue: «Ecco che viene l’ora, ed è già venuta, affinché vi disperdiate – †na skorpisqÁte (ina scorpistete)», sono le forze dello Scorpione, che uccide tutte le forze di amore, che atomizza, disperde, frammenta.
«Ciascuno nella sua casa – e„j t¦ ‡dia (eis ta idia)». È proprio l’isolamento assoluto di ogni essere umano, la solitudine, il non capirsi. Ciascuno nella sua casa significa che ognuno percepisce soltanto il proprio corpo. Se usiamo la terminologia della scienza dello spirito, che diventa sempre più familiare a molti di noi, diciamo: ognuno vive soltanto nel suo corpo fisico, nel suo corpo eterico, delle sue forze vitali, ognuno vive soltanto la sua anima. E di ciò che avviene nel corpo fisico dell’altro, di ciò che avviene nel suo corpo vitale e nella sua anima non ha la più pallida idea. Pensiamo a quale profonda osmosi di forze c’è invece tra la madre e il bambino, dove c’è una profonda comunione.
Il Cristo evidenzia con queste parole che le necessità evolutive prevedono che nel punto infimo dell’evoluzione gli esseri umani siano separati massimamente dalla realtà spirituale, la maggior parte degli uomini oggi ne nega addirittura l’esistenza. I cosiddetti pensieri non sono che un prodotto del DNA, dei geni, quindi l’unica realtà è la materia. E a questo punto infimo, a questa svolta dell’evoluzione c’è la posizione del massimo egoismo, della massima chiusura in se stessi: ognuno nella sua casa.
«E mi lascerete solo – k¢mὲ mÒnon ¢fÁte (kame monon afete)». C’è un risvolto storico in ciò che è accaduto duemila anni fa: ciò che è avvenuto storicamente allora è ciò che è archetipico nell’umano, che si ripete sempre. Che cosa hanno fatto? Quando hanno visto che le cose cominciavano ad andare male si sono tutti dispersi, sono scappati via e l’hanno piantato in asso. Storicamente l’hanno lasciato solo. Se ci fossimo stati noi non è che ce la saremmo cavata meglio, io non ci giurerei.
Trasponiamo questo fatto storico a un livello più meta-storico, di ciò che avviene sempre. Quando gli esseri umani si chiudono nell’egoismo, l’Io, le forze dell’Io vengono abbandonate, il Cristo, come Essere dell’Io, viene lasciato solo. Questo vuol dire che chiudersi nell’egoismo significa abbandonare, staccarsi, allontanarsi dalle forze dell’Io, perché di queste si fa l’esperienza soltanto nell’amore. Quindi, più si diventa egoisti e più ci si stacca, si pianta in asso l’Io vero dell’uomo. «E l’Io, lo lascerete solo».
Il versetto trentadue continua: «E io non sono solo – kaˆ oÙk e„mˆ mÒnoj (kai ouk eimi monos)», non sono monos, non sono una monade, un monaco, non è monastico, il Cristo « Óti Ð pat¾r met' ™moà ™stin (oti o pater met’ emon estin) – poiché il Padre è con me».
Gli uomini scappano via, si disperdono, lo lasciano solo quanto a livello umano, però lui non è solo perché il Padre è con lui. Il Padre è l’elemento di natura, può la natura abbandonare le forze dell’Io? Mai! Perché tutta la natura è un desiderio, una aspirazione a diventare Io dentro l’uomo, quindi la natura non può mai piantare in asso l’Io. L’uomo, tentando di scappare via, si accorgerà che fugge da se stesso, e poi ritorna. Non trovando soddisfazione, non trovando perfezione del proprio essere prima o poi ritorna, perché la natura non può lasciare, non può distaccarsi dall’Io.
Dicevamo oggi che l’aspirazione di tutte le pietre è di diventare viventi, l’aspirazione di tutte le piante è il diventare senzienti, l’aspirazione di tutti gli animali è divenire parlanti. Dove diventano viventi, senzienti e parlanti? Nell’uomo! Quindi il Padre, il mondo della natura, non può mai abbandonare l’aspirazione verso l’Io che pensa, parla e cammina, nei confronti delle pietre che non si muovono, delle piante che vivono però non sentono, perché non hanno emozioni, e nei confronti degli animali che hanno emozioni e sensazioni, però non possono parlare, non possono esprimersi.
16,33 «Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo».
Quest’ultimo versetto è come una specie di riassunto. «taàta lel£lhka Øm‹n †na ™n ™moˆ e„r»nhn œchte: (tauta lelàleka umìn), queste cose vi ho detto – †na ™n ™moˆ e„r»nhn œchte (ina en emoì eirenen echete) – affinché troviate la pace in me, la pace nell’Io. Nel mondo troverete afflizione – ™n tù kÒsmJ ql‹yin œcete: (en tò cosmo thlipsin echete) –, avrete sofferenza, ma, coraggio – ¢ll¦ qarse‹te (allà tharsèite)». Questo significa proprio: su, prendete le forze del coraggio!, dell’ardimento, «io ho vinto il mondo».
Queste sono le ultime parole che il Cristo dice agli esseri umani sulla Terra. Il senso di tutte queste parole è di trovare la pace, e„r»nh (eirene), ciò che noi traduciamo con pace, ma è un termine un po’ poverello, significa in realtà l’armonia dell’essere, di tutte le forze dell’essere umano.
Se consideriamo l’uomo, per sommi capi, abbiamo: il corpo, l’anima e lo spirito. Il concetto di e„r»nh indica che c’è un’armonia tra le tre parti. Quando il corpo, l’anima e lo spirito sono in disarmonia? Quando il corpo va in una direzione che non piace allo spirito, e quando lo spirito vuole cose che non piacciono al corpo, e quindi c’è una disarmonia, una specie di lotta interiore. Quando sono in armonia tra loro?
Intervento: Quando collaborano insieme.
Archiati: Quando collaborano. E fuori immagine?
Intervento: Quando l’uomo sa che la direzione è allo spirito. Quando l’anima tende allo spirito, e il corpo serve allo spirito per avere sentimenti buoni e pensieri saggi.
Intervento: Quando il corpo è strumento dello spirito.
Archiati: Quando il corpo è strumento per lo spirito è contro natura? Che cosa vuole il corpo?
Intervento: Essere spiritualizzato.
Archiati: E se uno dice: ma il corpo vuole mangiare bene, vivere bene, dormire bene, star bene. Se ti metti a studiare Steiner deperisci, deperisci, deperisci, come la mettiamo?
Intervento: Non mi sembri deperito…
Archiati: Come? Vado bene? Può darsi che abbia studiato meno Steiner negli ultimi tempi. Comunque non è semplice la cosa, è complessa, non si risolve con degli slogan.
Intervento: Ma lì è presente, c’è il Cristo, è il Logos che parla. La pace è anche la presenza con Lui, in quel momento è anche la sua presenza fisica.
Archiati: Parlami del corpo, fai un discorso più concreto: cosa vuole il corpo? Cosa fa? Permettetemi di essere concreto: prendi il corpo di un maschietto, lui vorrebbe, insomma, una femminuccia, una diversa ogni settimana. Quello vuole. Esistono questi tipi di corpi o li sto inventando io?
Dal pubblico: No.
Archiati: Soltanto nei maschietti, vero?
Dal pubblico: No.
Archiati: Il quesito è molto concreto, come la mettiamo? Lo soddisfiamo o non lo soddisfiamo? Perché se noi gli andiamo contro, altro che armonia: è lotta!, è guerra.
Intervento: Ma dice: la pace come ve la do Io, non come ve la dà il mondo.
Archiati: Sì, certo, sono d’accordo che l’Io coordina tutto, è un’affermazione così papale!, ma come la mettiamo in concreto? Come lo fa? Io adesso ho bisogno, il mio corpo ha bisogno, di trovare un’altra bella donna… E tu mi dici: l’Io coordina tutto, ci pensa lui a trovare quella giusta! Facciamo grosse astrazioni, io non ho niente contro il fatto che l’Io coordini tutto, ma c’è modo e modo di coordinare…
Intervento: Però l’Io è libero di coordinare tutto, può fare delle scelte, siamo nella fase morale.
Archiati: Parla chiaramente, esprimi il tuo pensiero, cosa stai dicendo?
Replica: Che abbiamo, sì, queste parti, ma che c’è anche una prevalenza di questo Io che decide in base a delle scelte morali, che liberamente può fare in un senso o nell’altro. Per cui farsi le femminucce o i maschietti, così, può essere un piacere a livello corporeo, ma non collima e non dà armonia ad altri valori che l’Io dentro sente e ha.
Archiati: Guarda che sei nella stratosfera!, perché quello lì ti dirà che è soddisfatto solo dopo che ci è andato, con la sua bella.
Intervento: Allora facciamo la sperimentazione…
Archiati: Non ti preoccupare che la sperimentazione è già in corso da parecchi millenni!
Intervento: È lui che vuole fare la sperimentazione.
Archiati: Ah, vuoi fare la tua, di sperimentazione!, e hai bisogno del nostro permesso? Da che mondo è mondo ognuno se la fa, la sperimentazione, senza chiedere permessi. Al massimo poi se la va a confessare per mettersi a posto la coscienza, così la lavagna è bella pulita e tutto è a posto.
Stavamo parlando dell’armonia, della pace come la dà il Cristo. C’è un tipo di pace che pacifica il corpo però va a danno dello spirito, mette in pace le brame del corpo, perciò il Vangelo distingue tra pace e pace. Però c’è una pace, un tipo di armonia, che non mortifica lo spirito. È importante la dinamica concreta, non le affermazioni generali, perché quando le affermazioni sono troppo generali e non si vede il cammino concreto saltano fuori i comandamenti: non devi!, è proibito, fai male. Oppure: poi vai all’inferno, lascia perdere le donne perché vai all’inferno, è peccato mortale ecc.
C’è un tipo di cammino che si può fare liberamente, e che quindi è offerto a ognuno – però è un cammino, non avviene dall’oggi al domani –, per cui non si tratta di mortificare quello che il corpo vorrebbe. Se io parto volendo mortificare le aspirazioni del corpo le rendo ancora più forti perché ci metto l’accento e mi fisso su quelle. Un esempio classico in tutta la formazione cristiana, soprattutto nei monasteri, era scacciare i cattivi pensieri e allora saltava fuori una fissazione su questi pensieri. Bisognava dargli la caccia, e così diventavano sempre più forti, perché c’erano soltanto quelli e diventavano sempre più ossessionanti.
L’unico modo di farli scomparire da soli, i cattivi pensieri, è di trovare quelli buoni, perché, se sono veramente cattivi, quelli buoni sono migliori, no? In altre parole, l’unico modo di portare il corpo a non mortificare più lo spirito è di coltivare lo spirito, l’unica soluzione è di godere!, godere sempre di più di ciò che noi chiamiamo lo spirito, il cammino di conoscenza, di amore, come volete.
Nella misura in cui una persona non si castiga, non si costringe a coltivare lo spirito, ma lo gode, lo gode e lo gode, non ne può più fare a meno! E allora, quando il corpo dovesse fare una mossa per impedirglielo, lui gli dice: no, eh! Allora, o l’essere umano è strutturato così per natura – e rispettare la natura è armonia, mentre se andiamo contro la natura è disarmonia –, cioè che i piaceri del corpo siano i piccoli piaceri della vita perché te li dà la natura e i piaceri dello spirito siano quelli grossi perché te li dà la libertà, oppure l’uomo non è strutturato così. Ma nella misura in cui una persona fa l’esperienza reale dei piaceri grossi della vita e vede che quando il corpo cerca quelli piccoli si preclude questa via qui, allora decide che basta, non li vuole più: non sia mai che mi perdo il meglio della vita!
Intervento: E l’anima? L’anima è dilaniata in tutto questo?
Archiati: No, l’anima è il luogo del piacere, perché guarda, un cadavere non ha mai avuto piacere…
Intervento: Anzi è lei che lo vive.
Archiati: Certo, quando noi parliamo di piaceri, questi sono dell’anima. Quindi la struttura della libertà è che l’anima può desiderare sia i piaceri del corpo sia i piaceri dello spirito, fa l’esperienza che i piaceri del corpo te li dà la natura, e fa l’esperienza che i piaceri dello spirito te li devi conquistare per libertà. Quali piaceri piacciono di più all’anima? Qui la frase evangelica dice: io vi do la pace, la mia pace, la pace dell’Io, non come il mondo la dà. La pace che cerca il mondo è il tentativo di pacificare, rappacificare o soddisfare i piaceri del corpo. La categoria mondo nel Vangelo di Giovanni è la natura. La pace che dà il mondo della natura è una pace degli istinti di natura, è quel tipo di pace e di armonia che ha l’animale dove il fattore della libertà non c’è. Ritorno alla mia domanda: quali piaceri fanno più piacere all’anima umana?
Perché se uno mi dice: devi cercare i piaceri dello spirito, anche se ti piacciono di meno, però devi cercarli perché moralmente stanno più in alto, ti dico: no, tieniteli tu!, io cerco il meglio, cioè quello che mi soddisfa di più, perché se il Padreterno ha creato una natura umana che deve essere buona facendo ciò che non le piace si è sbagliato Lui. Il valore supremo della moralità è l’autorealizzazione, è il vivere in pienezza. Ritorno alla domanda, però non crediate che sia facile rispondere: quali piaceri fanno più piacere all’anima? Quelli del corpo o quelli dello spirito?
Dal pubblico: Dello spirito, tutti e due…
Archiati: Spiegami perché, dirlo è facile, spiegami perché.
Intervento: Perché se la mia anima è sempre presa dai piaceri del mondo è chiaro che uno ha più piacere nel corpo.
Archiati: Allora le piace di più quello del corpo, tu mi hai detto il contrario!
Replica: No, io ho detto che dipende: se quest’anima è attratta semplicemente dai piaceri del mondo è chiaro che l’anima si soddisfa coi piaceri del corpo; se l’anima è stata coltivata per avere più piacere nello spirito tenderà ad avere…
Archiati: Allora: se si omettono questi piaceri piacciono più quegli altri, è l’unica alternativa che resta, perché rimanere senza nulla è da stupidi, no? Se uno i piaceri dello spirito, di cui parla certa gente bacata, non sa neanche dove stiano di casa, prenda almeno quelli del corpo, perché se rinuncia anche a quelli è proprio un poveraccio. C’è stata, c’è!, questo tipo di morale che non ha la minima idea dei piaceri dello spirito, della gioia dello spirito, e mi vuole proibire quelli del corpo, ma che mi dà? Nulla! La vita è fatta in modo che tu devi vivere un inferno sulla Terra per andare in paradiso dopo la morte!
Intervento: Ti posso portare un ragione terra terra, proprio pratica? Che i piaceri dello spirito durano di più, è una conquista, un godimento che si protrae nel tempo, mentre il piacere del corpo è molto più effimero.
Archiati: E se uno ti dicesse: ma te lo sei inventato!
Replica: Eh, no: prova, se non provi, se non hai esperienza non puoi fare nessuna affermazione, non puoi convincere l’altro con le parole. Prova!
Intervento: Però l’anima si muove fra i due estremi, non è possibile anche in questo caso che l’armonia sia il fatto che l’anima si sposti fra questi due tipi di piaceri, senza che l’uno possa escludere per forza l’altro?
Archiati: Questo era il punto dove volevo arrivare. Nel mio libro Il mistero dell’amore[2] c’è un capitoletto proprio su questo. Perché non deve essere possibile goderseli tutti e due?
Torniamo al testo: il Vangelo parla di pace, che è armonia del proprio essere. L’armonia è l’equilibrio delle forze. Ci sono forze corporee, questo è indubitabile, forze dell’anima, senza dubbio, e forze dello spirito. Basta considerare i pensieri che stiamo esprimendo adesso: sono cose spirituali, non sono emozioni o pezzi di materia o impulsi istintivi del corpo. Il quesito che ci stiamo ponendo è quello della pace. E il Cristo dice: ci sono due tipi di pace: c’è il tipo di pace che ti dà il mondo e c’è un tipo di pace che ti dà l’Io, l’esperienza dell’Io. Il tipo di pace che ti dà il mondo, e che perciò non è quella che ti voglio dare, è ingannevole, non è una vera pace.
Io direi che il tipo di pace che il mondo, la natura ci dà è il tentativo di avere tutti e due: di vivere sia assecondando le forze di natura, sia da esseri liberi.
Replica: Però tu ieri hai detto che il substrato per una vita spirituale è anche un corpo che funziona bene, per cui il piacere del corpo non è solo una cosa negativa per forza, cioè il fatto che anche nel mantenere il tuo corpo normale, sano e vitale tu abbia un piacere non è una cosa moralmente sbagliata. Cioè c’è tutta una gamma, come sempre, di intensità, però c’è il fatto che il tuo corpo lo devi mantenere sano.
Archiati: È un piacere?
Replica: No, però…
Intervento: L’uomo ha bisogno di trovare il piacere, se non lo ha trovato ancora nel mondo dello spirito, è giocoforza che lo vada a cercare dove…
Archiati: Ma il suo pensiero è un altro, il suo pensiero è: perché non posso averli tutti e due?
Intervento: Il tuo corpo ha un piacere anche nella sua fisicità e non preclude il fatto che tu possa… Cioè: il violino, che è anche bello, è tenuto bene, è lucido, è un piacere anche quando non suona. Voglio dire: perché è vero, c’è dentro una bellezza in questo strumento, questo non è che ti porti a venerare soltanto lo strumento, però non negarlo, insomma…
Archiati: Allora dovresti dire che c’è una persona meno bella di un’altra. Una persona che magari è costretta a vivere su una sedia a rotelle vale meno di un’altra?
Intervento: No.
Archiati: Però è quello che consegue dal suo discorso. La categoria del violino perfetto non c’entra nulla col bello.
Intervento: Che funziona bene.
Archiati: Ma allora è diverso dall’essere bello, la categoria del bello non c’entra.
Intervento: Ma lo Spirito Santo, il Consolatore, non ci fa sentire quello verso cui ci sentiamo trasportati?
Intervento: Ma lo Spirito Santo non è mica un automatismo.
Intervento: Ma non c’è di mezzo il discorso della libertà?
Archiati: Certo che c’entra.
Continua: Nel discorso del corpo non c’è la libertà, no?
Archiati: Faccio di nuovo una proposta, conoscitiva naturalmente, tenendo conto della complessità che è stata creata dai vari contributi. Nella misura in cui il corpo diventa strumento musicale per il cammino dello spirito, soltanto allora ho il criterio e potrò sapere come trattare il corpo, perché so per esperienza a che cosa serve.
Nella misura in cui non c’è o viene omessa, o c’è soltanto embrionalmente l’esperienza di ciò che è spirituale, il corpo diventa giocoforza fine a se stesso. Quindi va tutto male, non perché io tratto il corpo nel modo sbagliato, ma perché è fine a se stesso. Non si possono considerare isolatamente i modi di trattare il corpo senza porsi la domanda: a che cosa serve il corpo? Perché soltanto quando so a che cosa serve saprò in concreto, di situazione in situazione, come trattarlo.
Intervento: Quindi dici che si tratta di aggiungere il concetto alla percezione, in pratica.
Archiati: Certo, è quello che facciamo. Adesso prendiamo una persona, una persona che non si castri o che si costringa a denti stretti, ma che sinceramente gode sempre di più di quella che chiamiamo l’evoluzione dello spirito: il modo in cui userà, tratterà il suo strumento corporeo è del tutto individuale, un altro non glielo può dire! Perciò io ho sempre portato l’esempio di Francesco d’Assisi, che il corpo l’ha veramente strapazzato. L’ha trattato male? È andato contro le leggi dell’armonia, della pace tra corpo anima e spirito? No, è un fattore individuale.
Nessuno, nessun altro può dire a te come tu devi trattare il tuo corpo, però in quanto persona singola, ognuno di noi sa, deve sapere, che ci sono due possibilità fondamentali. Metto in primo piano l’evoluzione dello Spirito, allora godrò nella misura in cui uso il corpo come strumento e allora ho tutto un altro criterio per sapere individualmente come tratto il mio corpo. L’altra possibilità fondamentale della libertà è di omettere questa evoluzione, allora le leggi del corpo, fini a se stesse, diventeranno sempre più forti perché non vengono finalizzate a qualcosa d’altro, e l’affermazione che l’umanità ha sempre fatto è che io diventerò sempre più schiavo del corpo.
Intervento: Anche perché poi il piacere mosso dal ricercatore spirituale è molto più grande del piacere del corpo, della persona che ha ancora bisogno di vivere il dato di natura ed è evidente che il corpo, assoggettandosi così allo spirito godrà fortemente di questi piaceri dello spirito che sono molto più grandi.
Archiati: Non è il corpo che gode, è l’anima che gode.
Replica: Sì, l’anima, ma il corpo non ha più quell’esigenza che aveva di piccoli piaceri, ed essendo al servizio dello spirito, i piaceri si possono considerare invece come grandi piaceri, perché sono dello spirito.
Archiati: Allora, a questo punto si ripresenta la sua domanda: perché non si possono avere tutti e due?
Replica: Si possono avere tutti e due perché nel momento in cui il corpo è al servizio dello spirito il corpo si compiace. Cioè, voglio dire, prova i piaceri che non sono piaceri basati esclusivamente sulle esigenze del corpo fisico, ma bensì di una richiesta spirituale, perché appunto il corpo si è messo al servizio dello spirito.
Archiati: Allora, se capisco bene, lei sta dicendo che quando si arriva a un certo punto dell’evoluzione non c’è più il problema di averli tutti e due, perché non si vogliono avere tutti e due.
Replica: Cioè, se quel maschietto che se ne cerca sempre una nuova fa un salto qualitativo, se al posto dei piaceri piccoli riesce a sostituirli col grande piacere…
Archiati: … il piccolo non lo vuole più.
Replica: No, non è che non lo voglia più, il corpo si appaga di altri piaceri che non sono più di natura, fisici…
Intervento: Ma non è il corpo, è l’anima.
Archiati: È l’anima. Questo risponde alla domanda, o no?
Intervento: Non ho capito: ma quelli del corpo, però, li vuole ancora o no?
Risposta: No, secondo me li esclude.
Archiati: Ha raggirato la domanda. Lei, in fondo, sta dicendo che il desiderio di incontrare una donna, a un certo livello, non c’è più, questo sta dicendo. Invece la domanda era: posso averli tutti e due?
Intervento: Sono risposte che vengono da un certo piano, se uno sta a un certo piano dice: perché non li posso avere tutti e due? Se uno invece è orientato più verso lo spirito, il corpo passa in secondo piano.
Archiati: No, diventa strumento di qualcosa d’altro.
Replica: Sì, ma non è più imperante quella parte biologica più istintiva.
Intervento: Ripetutamente in questi giorni ci siamo detti che i tre regni di natura tendono, anelano, aspettano di essere spiritualizzati, quindi hanno questo naturale, connaturato, anelito all’Io.
Archiati: All’umano.
Replica: Esatto. Ora, la natura nell’uomo avrà, condividerà lo stesso tipo di anelito, quindi corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale tenderanno lì. Poi si è ripetutamente detto che l’anima nella quale si esperisce il piacere, minore o maggiore, gode di una gioia tanto più piena – l’abbiamo espresso con l’immagine del travaglio e del parto –, quanto più le proviene da un’attivazione, da un esercizio verso la dimensione spirituale piuttosto che verso l’uso della dimensione di natura, quindi del corpo. In più, aggiungo, pare proprio che nell’uomo ci sia questa particolarità, unica sulla Terra, di avere in sé l’Io, lo spirito.
Allora, la mia domanda, che dopo tutti questi giorni continuo a farmi è: perché con queste premesse pare che ci sia così difficile un travaglio, che però sembra essere connaturato a noi in quanto esseri umani, in quanto alberganti quindi direttamente l’Io, in germe, se vuoi. L’Io dello spirito umano libero è in germe, però c’è, e quindi come tale è una potenzialità che non aspetta altro che di attuarsi e in quanto, sempre come uomini, condividiamo con la natura questi tre regni. Mi sembra che dovrebbe essere un anelito adesso così forte, così connaturato, quello di muoverci in questo travaglio, e invece, d’altro canto, è esperienza che è difficile.
Archiati: La risposta a questa domanda non è in una frase, ed è che è nella natura del rapporto tra la natura e la libertà che questo rapporto sia per natura paradossale. È paradossale!, perché cercare lo spirito è la cosa più naturale dell’uomo, però per farlo deve andare contro la natura, perché deve creare la libertà. Le cose più profonde della vita si possono dire soltanto in paradossi. Allora il paradosso, o uno lo capisce, e quando ha dei barlumi dice: sì, è per forza così!, oppure nel momento in cui non lo capisce più è una contraddizione.
Ciò che l’uomo ama più di tutto lo teme più di tutto, perché gli porta via la goduria della natura, gli porta via la comodità, però non può vivere in pace con sé stesso senza anelare allo spirito. Cosa vuol dire paradosso? Paradosso è una categoria di conoscenza, e a livello morale, cos’è? La tensione!, il parto, proprio quello, e se non ci fosse questa tensione non avremmo la struttura della libertà.
C’è un tipo di pace che ci dà il rappresentante dello spirito e c’è un tipo di pace che ci dà il mondo, la natura. Il tipo di pace che ci dà la natura sono le sirene di Odisseo che gli dicono: lasciati andare, è così facile! Se non ci fosse questa tentazione non ci sarebbe la libertà, non ci sarebbe nulla da vincere. La libertà si vive nel paradosso fra l’io inferiore e l’Io superiore, sono tutte e due istanze che fanno parte della natura umana ma vanno in direzione opposta.
Replica. Quindi, allora, quest’altra frase che dice «non sono venuto a portarvi la pace» (Mt 10,34), sta in questa premessa dell’armonia…
Archiati: Esatto: sono venuto a portarvi le doglie del parto.
Replica: Come premessa.
Archiati: Come premessa. Sono venuto a portarvi la morte come premessa per la resurrezione. Però, nel momento in cui io il paradosso non lo capisco più diventa una contraddizione, e allora uno ti obietta: ti contraddici!, prima hai detto così e poi hai detto l’opposto.
Come, per esempio: «i primi saranno gli ultimi, gli ultimi saranno i primi», le cose più profonde della vita si possono dire soltanto in paradossi! La libertà è la cosa più contro natura che esista e la libertà è la cosa più naturale, che più fa parte della natura umana; però puoi essere libero soltanto andando contro la natura. E andando contro la natura assecondi l’anelito più profondo della natura. Ecco il paradosso.
Intervento: Non è che lo spirito possa poi adoperare il corpo in una maniera del tutto diversa da quella con cui lo subiva all’inizio.
Archiati: Ma certo, è proprio questa la pace che dà Lui.
Replica: Cioè lo scopo è che la natura viene scoperta sempre di più e usata sempre più prettamente.
Archiati: Sì, ma la sua domanda era: ma questo è andare secondo natura o contro natura?
Replica: Tutte e due le cose.
Archiati: Ecco.
Intervento: Il problema è: chi è che muove l’Io superiore? In fondo l’Io superiore è mosso dall’io inferiore, e lì c’è lo scontro, perché uno tira da una parte e uno tira dall’altra. È lì il paradosso.
Archiati: Uno tira da una parte e uno tira dall’altra. Diventa un po’ più concreto: che cosa vuole l’uno? Che cosa vuole l’altro? Se diventiamo concreti, se vogliamo essere onesti, è anche questione di onestà intellettuale, di essere onesti con se stessi. Porto un esempio concreto, l’esempio migliore che io conosco è di godermi una conferenza di Steiner dieci o quindici volte, e dico: ma è una cosa straordinaria!, ci provo un gusto che non finisce più. Nel mio caso è vero, io vado in brodo di giuggiole quando studio Steiner, e sono trent’anni, sono fatto così.
Supponiamo che io faccia questa esperienza: se io prima di studiare una conferenza che mi dà un gusto che non finisce più, che mi dà una gran gioia, bevo due bicchieri di chianti, mi rendo conto che questa gioia, questo godimento mi viene diminuito, per quanto poco, però mi viene diminuito, cosa dico a quel punto? No, basta con questo chianti, non lo voglio più! E se uno mi viene a dire: ma perché non li puoi avere tutti e due? È perché ho constatato che il chianti mi diminuisce di un pochino quel godimento che io vorrei avere. E se uno mi viene a dire che non è così, che il chianti non mi cambia nulla? Allora io gli dico: no, tu devi avere un’altra natura, io ho una natura così fatta che il chianti mi diminuisce la facoltà di capire, l’alcool è fatto apposta per diminuirti, anche se di poco. E nella misura in cui io non voglio che mi si diminuisca la possibilità di godere di certi contenuti, non lo bevo.
Intervento: Allora, è quello che avevo detto io, che in questo momento il tuo corpo sta godendo dei più grandi piaceri che dà lo spirito.
Archiati: Sì, ma non lo vuole più il chianti.
Replica: Certo, ma infatti io dico: per questo non posso godere tutti e due nello stesso modo, d’altra parte il tuo corpo non gode più del chianti ma gode di Steiner, ma il tuo corpo gode lo stesso, non c’è niente da fare.
Archiati: No, gode di più!, per quanto mi riguarda.
Replica: Cioè, voglio dire, gode. Non è che se tu godi lo spirito poi il corpo smette di godere, no, se il corpo è veramente al servizio dello spirito gode di più perché il piacere è più grande.
Archiati: Sì, ma la domanda era: perché non si possono godere a piene mani sia il piacere del corpo sia il piacere dello spirito? Questa era la domanda. E la risposta non è semplice, non la risolvi con una frase. Il fatto che si escludano a vicenda non lo puoi dimostrare per teorie: puoi solo farne l’esperienza, e allora è una faccenda di esperienza. Allora tu dici all’altro: vuoi averli tutti e due? Provaci! Gli riesce? Tu che hai da dire?
Replica: Che è un essere superiore, senz’altro…
Archiati: Vi faccio presente che abbiamo finito il sedicesimo capitolo, domani cominciamo il diciassettesimo, che è bellissimo! Vi auguro una buona notte piena di pace e di armonia nel corpo, nell’anima e nello spirito.
Sabato 19 Febbraio 2005, mattina
vv. 17,1 – 17,3
Con il sedicesimo capitolo si concludono anche i discorsi dell’Ultima Cena, quando il Cristo si rivolge agli esseri umani, e con i versetti che leggeremo ora inizia a rivolgersi al Padre dei Cieli.
Il capitolo si conclude con il versetto che ci ha tenuti occupati ieri sera, che riguarda la pace, noi in italiano traduciamo così, però ci rendiamo conto che non va benissimo come traduzione, ci porta un po’ fuori strada. La parola greca e„r»nh (eirene) è l’armonia dell’essere, si potrebbe anche tradurre con felicità, andrebbe bene! La parola felicità è un po’ inflazionata, però il linguaggio ci dà anche queste possibilità.
Per noi la domanda più importante è: cos’è il meglio della vita? La pace, la felicità è il meglio della vita, il punto massimo di autorealizzazione, è il meglio dell’umano!, perché ognuno di noi vorrebbe avere il meglio. È chiaro che ognuno vuole il meglio che c’è, e il meglio comprende anche il fatto che è possibile, perché se non è possibile non è il meglio. Abbiamo affrontato la domanda: che cos’è il meglio della vita? C’è un’altra categoria, un’altra indicazione di pensiero che il testo ci ha proposto, ci ha detto che ci sono due possibilità, due interpretazioni fondamentali della pace: la pace che ti dà il mondo e la pace che ti do Io.
Sono tutte terminologie da capire, però il testo ti dice che devi scegliere, se scegli la pace che dà il mondo non hai la pace che dà l’Io, questo perché Lui dice: «Io vi do la pace non come la dà il mondo». Oppure scegli la pace come la dà il Cristo, l’esperienza dell’Io, della libertà. Non si possono avere contemporaneamente l’una e l’altra!, e quindi ci scontriamo di nuovo con la categoria della scelta.
Che cos’è la scelta? Che fa parte della natura umana di non essere pura natura, perché se la natura, l’essenza dell’uomo è la libertà, lui deve poter scegliere. Allora torniamo di nuovo su questo concetto della scelta, graficamente però! Adesso faccio un’immagine, una similitudine di linguaggio, che ritrae il momento in cui la strada si divarica, e bisogna scegliere: Edipo al bivio!, la strada non è più unica.
Quando sorge la capacità di libertà la strada non può essere a senso unico, altrimenti non si è liberi. E siccome questa immagine della scelta, della libertà, abbraccia il tutto dell’umano, è un mistero inesauribile, ed è inesauribile anche per il pensiero!
DIS. 13
Ogni volta che il pensiero si mette a interpretare sempre di nuovo l’umano, è un capire, sempre più vastamente e profondamente, la struttura dell’interazione tra la pace che dà il mondo e la pace che dà l’esperienza della libertà, dell’Io. «La pace che vi do Io» è il tipo di armonia che sorge attraverso l’esperienza di essere un Io sovrano, signore, che decide liberamente e che vive in libertà.
Uno degli esercizi che abbiamo fatto ieri sera è stato di chiederci: e perché non si possono avere tutte e due? Perché avere tutte e due significa non scegliere, e non funziona!, ci puoi provare ma ti toccherà fare l’esperienza che non si può. E, in fondo, il volerle avere entrambe significa lasciarsi andare alla natura, perché se uno sceglie la libertà ed esercita la libertà, ci deve mettere lo sforzo. Libertà significa creatività nel pensiero, significa creatività morale nel comportamento nei confronti degli altri, e quindi non soltanto interpretare il bene umano nel nostro modo di trattare l’ecologia, di trattare l’ambiente ecc. ma di farlo, farlo e farlo con intuizioni morali sempre più fantasiose.
Nella misura in cui questa cosiddetta libertà viene esercitata costruendo un mondo che esula dalla natura, il modo di trattare lo strumento naturale cambia completamente: da tutto ciò che potrebbe essere, diventa strumento, sempre strumento per i cammini della libertà nel pensiero e nella morale. Se invece questo cammino di creazione libera viene omesso resta soltanto l’altro, quello che c’è di necessità, che c’è per natura.
Allora si ritorna alla domanda: perché non potrei trovare la pace, la felicità, lasciandomi andare alla natura? La natura è saggia, se la natura mi dà il gusto di questa bottiglia di chianti, perché non affidarmi a lei? Fa parte della saggezza del mio corpo, la natura è saggia, è stata creata dal Padre dei Cieli, è il Suo mondo. Non vai contro natura se ti neghi ciò che la tua natura desidera? Le conosciamo queste argomentazioni, ci sono, eccome! Perché ti metti contro il biologico? Vuoi essere più intelligente, o più saggio del biologico?
Intervento: O del transgenico.
Archiati: O del transgenico, come vuoi, bisogna vedere se è natura, però, o se è contro natura. Stiamo parlando di assecondare, di lasciarti guidare dalla saggezza della natura, perché questa argomentazione si impone nel mondo d’oggi. Vuoi essere più saggio della natura? A quel punto lì abbiamo visto che i moralismi fanno arrabbiare ancora di più, e giustamente! Perché o troviamo il modo di leggere, di interpretare oggettivamente la natura umana, per cui possiamo dare una risposta convincente, nel senso di far vedere cosa succede quando ci si abbandona unicamente alle forze della natura, oppure c’è il comandamento che dice: sì, la natura è saggia, però c’è una morale che dice: «devi, devi, devi». E una persona intelligente rintuzza questo tipo di ricatto, perché quella è una morale di ricatto, non è una morale propositiva.
Mi convince il fatto di non abbandonarmi soltanto alla natura solo se tu mi proponi qualcosa di meglio. Perciò ho tradotto la categoria di pace anche con questa categoria: il meglio che c’è. Perché il meglio è convincente, che poi il “meglio meglio” costi un pochino di più del meglio, questo senz’altro, e perciò è… meglio!
Se riusciamo ad articolare il pensiero in un modo tale che sia convincente – perché è oggettivamente vero che c’è qualcosa di meglio che essere pura natura –, allora l’essere umano sempre di nuovo sperimenta, sa, che quando si riduce in tante piccole cose, ogni volta che si lascia fare dalla natura vive un aspetto che non è il suo meglio.
Chi di noi in tutto e per tutto usa la natura come strumento per la libertà? In tanti aspetti siamo ciò che la natura crea in noi. Però è un altro conto vivere con un livello di coscienza che sa che quando, in qualsiasi atto di pensiero o di comportamento, decide lui come usare tutta la natura, si sta adoperando per il meglio di se stesso. E allora capisce che quando si lamenta di non avere il meglio dalla vita, che la vita è un po’ miserella, sa che questo è dovuto al suo lasciarsi andare un pochino troppo, al suo omettere, al suo aver creato troppo poco del meglio che c’è. E lo sa, se ha fatto questo cammino di pensiero. E questo orientamento di pensiero è fondamentale, perché i comandamenti che ti dicono cosa devi fare e ti mettono la paura dell’inferno non dicono più niente a nessuno, per fortuna.
Quel tipo di comandamento non va bene, tra l’altro, neanche per i bambini. Uno dei cardini della pedagogia steineriana – stiamo per pubblicare due libretti fondamentali sulla pedagogia[3] – è che è dannosissimo presentare al bambino dei comandamenti morali prima dei quattordici anni, uccide in lui delle forze fondamentali!
Il bambino in un certo senso è pura natura, perché non è ancora capace di libertà; se noi adulti non andiamo contro la natura dell’essere umano, al bambino, anche nella fase scolare tra i sette e i quattordici anni, dovremmo presentare il bene morale esclusivamente per contagio. Prendendo per esempio figure storiche, dovremmo presentarglielo in modo tale che lui diventi talmente entusiasta di questo bene morale da innamorarsi di ciò che è bene, perché è bello e perché l’adulto lo presenta come bello. Presentare al bambino il fattore morale, il bene morale, in chiave di dovere uccide forze fondamentali nel bambino, perché significa: non hai in te le forze di farlo con entusiasmo, con pienezza, con creatività e quindi devi fare ciò che non vorresti.
Che cosa vuol dire che non vorresti, ma devi? Se io lo voglio non lo devo, non lo faccio perché devo, lo faccio perché lo voglio! Il dovere è una castrazione della natura umana, presuppone che sia stata creata dal Padreterno in modo tale da essere così snaturata e incapace di volere con entusiasmo il bene, che quindi bisogna imporglielo. Una bestemmia nei confronti di Dio che peggio di così non si può immaginare! Il bene morale è bene soltanto se lo voglio liberamente, se lo devo perché non lo voglio è male, non è bene, perché non corrisponde alla mia natura.
Se questi presupposti sono veri, immaginiamo noi, con la nostra pedagogia, quante forze togliamo nei bambini e nella gioventù! E poi ci lamentiamo che abbiamo adulti incapaci di volere ciò che è bene, la pienezza dell’umano, con entusiasmo, è perché non sanno vivere altrimenti! I comandamenti non funzionano, e perché? Perché non corrispondono alla natura umana, se corrispondessero alla natura umana funzionerebbero.
Intervento: In uno dei vangeli, il Cristo cita i comandamenti: non uccidere…
Archiati: No, dove? «Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri», il comandamento dell’amore.
Intervento: Mi pare sia in uno dei sinottici.
Archiati: No, è questo il passo che tu dici, di quando uno scriba gli ha chiesto: Rabbi, che devo fare per avere la vita eterna? E Lui gli dice: ma guarda che io non sono mica venuto a inventare una natura umana nuova!, sono qui per leggere quella che c’è. Allora, siccome c’è da sempre, tu prendi la tua Scrittura, che ti avrà insegnato a leggere la natura umana, e che cosa ti dice? Cosa ti dice che devi fare per avere la vita eterna (Mt 19,16; 20,16; Mc 10,31; Lc 13,30)?
Ci arriveremo subito, perché qui, al capitolo diciassettesimo, ripete la questione della vita eterna. Il leguleio risponde: nella mia Torah c’è scritto che devo amare Dio e devo amare il prossimo. Il rabbino di Nazareth allora dice: non ti basta? È troppo poco? Amare Dio con tutte le tue forze, con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, e amare il prossimo tuo come te stesso? Che altro vuoi? Questo passo è in Luca, il Vangelo dell’amore. Il leguleio s’è preso una botta che gli ha chiuso la bocca, ha fatto una figuraccia di fronte alla povera gente che c’era lì…, e allora cosa fa per salvare la faccia? Nella Torah – noi lo chiamiamo Antico Testamento – c’è il concetto di amare il prossimo tuo come te stesso. Però lui per giustificarsi, per fare bella figura lo stesso, o per averla vinta, dice: io non so chi sia il mio prossimo. Chi è il mio prossimo?
Pensate che il rabbino di Nazareth non trovi una risposta a questa domanda? Lui sapeva bene che per i giudei di allora – e le cose non sono cambiate dopo duemila anni, la natura umana non cambia ogni mille anni – il prossimo era il consanguineo, era un giudeo, e tutti gli altri non erano prossimi. Quindi il giudeo amava il giudeo, ma gli altri? Loro la interpretavano così, non è che la Torah dicesse questo, che il tuo prossimo sono soltanto gli ebrei, non lo diceva, era la loro interpretazione, perché l’egoismo fa parte della natura umana, mi pare, così mi pare d’aver capito.
A quei tempi tutti sapevano che i giudei non consideravano i samaritani, perché erano stranieri, e quindi non erano il loro prossimo, e il rabbino di Nazareth – mica era l’ultimo arrivato, noi lo conosciamo un pochino che tipo era –, non gli fa una lezione metafisica, o di filosofia su chi è il prossimo, non sarebbe servito a nulla, era un leguleio! Essere leguleio significa avere sempre ragione, è la sofistica, la casistica. Il rabbino allora gli racconta una storiella.
«C’era un uomo che andava da Gerusalemme a Gerico…», Gerusalemme è il luogo geograficamente più alto, perché, se racconta una storiella, deve essere intelligente, cioè le immagini che usa devono essere calzanti. Gerusalemme era, per il giudeo di allora, e lo è tuttora, il luogo più alto anche perché sta su un monte, Gerico era il luogo più basso perché il Mar Morto è 400 metri sotto il livello del mare, e il Giordano è proprio come una crepa nella Terra.
DIS. 14
Il Cristo dice «un uomo andava da Gerusalemme a Gerico», Gerusalemme è il luogo più alto, Gerico è il più basso, allora quest’uomo rappresenta l’umanità, è ogni uomo che è partito dal paradiso, bello in alto, poi accade il peccato originale, viene cacciato dal paradiso e scende giù, sempre più in basso, così che a metà dell’evoluzione si trova mezzo morto. Tutti noi, siamo tutti noi a essere mezzi morti, perché significa che siamo vivi soltanto al mondo della materia e per quanto riguarda il mondo dello spirito siamo morti e sepolti. Perché il mondo dello spirito non lo si conosce, non lo si vede, non ci si capisce nulla e lo si nega, si fa come se non ci fosse.
«L’uomo sta lì, sulla strada, mezzo morto. Passa per caso un prete…» la parola greca significa “per karma”, perché il karma è il caso. Un prete: pensate forse che al seminario ce l’abbiano raccontata così la parabola? Io adesso mi permetto di non barare, ve la dico com’è, ma allora non ce la dicevano così!
Il prete, vi traduco quello che c’è in greco: «kaˆ „dën aÙtÕn ¢ntiparÁlqen: (kai idon auton antiparelthen) lo vede e passa dall’altra parte della strada», perché se si fosse avvicinato e la sua ombra l’avesse toccato, sarebbe diventato impuro. Prima di celebrare il servizio divino alla sinagoga sarebbe stato un gran guaio! Allora per restare puro passa dall’altra parte e tira dritto. Il sacerdote è il servo di Dio e dice: devo andare a prestare il servizio divino, quindi non posso occuparmi di questo pinco pallino qualsiasi e devo solo stare attento a scansarlo. Il servizio, l’amore a Dio viene visto come opposto, escludente l’amore al prossimo, siccome devo dedicarmi a Dio, non ho tempo per gli esseri umani. Che poi siano i Suoi figli è una cosa secondaria, l’importante è che io mi dedichi a Dio! Quindi, come comprensione dell’amore non siamo neanche all’inizio, lui, il prete, ha la scusa che deve servire Dio, quindi non può servire l’uomo. Sarebbe come dire che c’è una mamma con un bambino appena nato, e siccome io voglio dedicarmi alla mamma devo dimenticare il bambino, non posso fare nulla per il bambino.
«Poi arriva il levita…» il levita non è il servo di Dio ma il servo del servo di Dio, quello ha una scusa ancora più grossa, perché dice: se il mio capo non si ferma, a maggior ragione non posso fermarmi io! Quindi le categorie sono: il servo di Dio e il servo del servo di Dio. Il Papa si è sempre chiamato servus servorum dei, noi siamo tutti servi di Dio, lui è il servo dei servi di Dio (che poi ogni tanto si chiami anche il vicario di Cristo in Terra, adesso non importa, lasciamolo da parte). Allora, il levita dice: io devo correre dietro al prete perché quando arriva a Gerusalemme si deve mettere i paramenti ecc., e se non ci sono io come fa? «…così anche lui passa dall’altra parte della strada – kaˆ „dën ¢ntiparÁlqen (kai idòn antiparelthen)».
Queste due categorie di persone rappresentano la coscienza umana che non comprende il peso morale nell’evoluzione umana di ciò che noi chiamiamo, con espressione inflazionata, l’amore al prossimo. Perché senza dedizione all’umano non c’è evoluzione umana, questa è dedizione all’umano per capirlo sempre meglio e favorirlo sempre meglio nella sua evoluzione. Se io voglio amare Dio senza creare nell’umano le forze d’amore, questa è una astrazione assoluta, è un pensare illusorio. Una volta poste queste due categorie: di colui che in nome di Dio ignora l’uomo e di colui che in nome del servo di Dio ignora l’uomo, non c’è bisogno di altro, perché lì c’è tutto. O ignoro l’uomo perché devo dedicarmi a Dio, oppure ignoro l’uomo perché devo aiutare colui che si è dedicato a Dio. Altre categorie non ci sono. E con questo finisce la parte che riguarda i giudei.
Adesso nella storiella ci mette un samaritano, uno straniero, un extracomunitario. Il rabbino di Nazareth non era l’ultimo arrivato, e lo vediamo continuamente che le parabole del Cristo sono fecondissime. Se noi, nelle università, o in tutto il nostro percorso di studi, avessimo una formazione di pensiero, prenderemmo le parabole di questi testi perché sono i più fecondi, i più precisi, non sgarrano minimamente! Questa parabola ci dice anche che i due, che avrebbero avuto tutta la possibilità di fermarsi, non soltanto sono consanguinei, e in quanto giudei avrebbero potuto parlare la loro lingua con quello lì mezzo morto, ma vanno a piedi, cioè hanno tutto il tempo.
«Il samaritano arriva a cavallo…», quindi è in viaggio, avrebbe avuto meno tempo, e poi, essendo a cavallo avrebbe potuto non vederlo, e avrebbe avuto una scusa in più per non fermarsi. Arriva a cavallo, gli esegeti discutono se fosse un cavallo o un mulo, io lo lascio a voi, perché l’umanità a quei tempi non era ancora al livello della nostra scientificità biologica.
«…e vede l’uomo». Samaritano significava straniero, abbiamo visto nel Vangelo l’episodio della samaritana, quando nel dialogo tra lei e il Cristo viene chiaramente detto che i giudei non hanno proprio nulla a che fare con i samaritani, non hanno feste né tradizioni in comune, proprio non si parlano, sono due mondi a sé stanti. La parola più importante di tutta la parabola è che questo samaritano ™splagcn…sqh (esplagchnisthe): noi traduciamo ebbe pietà, provò compassione, invece la parola greca significa che tutta la sua parte centrale, l’intestino, gli si rivolse nel vedere uno mezzo morto. La natura umana sana, nella sua stessa fisiologia è intrisa di forze d’amore, di compassione, e quindi non amare l’altro significa andare contro natura, o ucciderla.
Preso da queste forze di compassione scende giù da cavallo, gli si avvicina e gli dice: cosa è successo? L’uomo risponde: i ladri mi hanno pestato, mi hanno portato via i soldi ecc. E il samaritano: meno male che sei solo mezzo morto, dai, dai!, che ce la facciamo ancora. Gli versa olio e vino sulle piaghe, poi lo prende sul suo cavallo e lo porta in un albergo, siccome lui doveva veramente continuare il suo viaggio lo porta… in un ostello della gioventù e dice al locandiere: io adesso devo andare, però ti pago il soggiorno in anticipo e quando ritorno ti pagherò tutto quello che ancora ti sarà servito per prenderti cura di lui, non sia mai…
Immaginiamo adesso, a questo punto del racconto, il leguleio! Ma il rabbino di Nazareth non ha ancora finito, è furbo e vuole rispondere alla domanda tendenziosa: chi è il mio prossimo? Dopo aver raccontato la storiella chiede, non soltanto a lui ma anche alla gente – non lo voleva umiliare, però le cose vanno dette come sono –: chi fra questi tre, il prete, il diacono (oggi diremmo così, il levita è l’equivalente del diacono) e il samaritano è diventato il prossimo per l’uomo che era mezzo morto? Prossimo significa il più vicino, se tutti i lumi della lingua italiana non mi hanno ancora lasciato, prossimo significa vicinissimo. Il Cristo dice: ognuno a cui tu ti avvicini, perché se non ti avvicini non è prossimo.
Se un altro essere umano mi fosse prossimo, se fosse già il mio prossimo, non resterebbe nulla da fare all’amore. Amare significa avvicinarsi, prendere a cuore l’altro, nessun uomo mi è prossimo già in partenza se io non divento il suo prossimo, avvicinandomi. Allora possono diventare tutti il mio prossimo!, basta che io vada loro vicino.
Poter leggere i vangeli, i testi sacri, in questo modo così essenziale è proprio uno dei doni più belli di una scienza dello spirito consona ai nostri tempi. La teologia, l’esegesi tradizionale, con tutta la buona volontà, non ha a disposizione gli strumenti di pensiero per andare all’osso della questione, e allora ti fanno tutta una disquisizione sul perché il prete non si è fermato, perché il levita… ecc.
Il Cristo inverte la domanda, l’altro aveva chiesto: chi è il mio prossimo? E Lui chiede: chi dei tre è diventato il prossimo di chi era mezzo morto, chi si è fatto prossimo. E questo è un processo, un cammino evolutivo: io divento prossimo, vado sempre più vicino alla libertà, vado sempre più vicino all’amore, per cui ho sempre più forze in me per farmi prossimo di ognuno: esercitandole!
Queste forze dell’amore e della compassione non saltano fuori in un attimo, perché gli altri due non le hanno, e uno è prete, tra l’altro. Per cui uno si chiede: a che gli è servito tutto il servizio di Dio, tutte le sue liturgie, se non gli sono serviti neanche a diventare prossimo di ogni uomo? Un altro uomo è carne della mia carne, ossa delle mie ossa, è l’essere del mio essere!, siamo membra di un unico organismo.
Riassumendo il discorso della pace, della felicità, del meglio, della pienezza dell’essere: la pienezza è una categoria che a me piace molto perché mi sembra feconda per il pensiero e il bene morale è vivere questa pienezza. Il che vuol dire che il male morale è sempre una forma di mancanza, essere meno che pieni, il male non è mai qualcosa che c’è, è sempre un bene che manca, e questo è importante. Perché l’essenza della moralizzazione è di presentare il male come se fosse qualcosa di brutto, ma non c’è, non esiste nulla di brutto, nulla è brutto!, ciò che è male è male soltanto perché preclude una pienezza maggiore. Ma di brutto in sé non c’è nulla.
Intervento: Non esiste nel Vangelo un altro termine per indicare una pace meno piena? Tu hai messo in una polarizzazione, e„r»nh e….
Archiati: Troviamola, va cercata insieme. Il mondo, quella è la categoria che viene usata, e noi l’abbiamo tradotto con: il dato di natura…
Replica: Ho ripensato alle domande di ieri sera sul fatto di conciliare il piacere derivante dal corpo, il dato di natura, e la pienezza, la pace, il meglio, la gioia piena derivante dall’esercizio della libertà. E più di uno si domandava perché non si debbano conciliare, e collegavo questa domanda, questa istanza, che è un’istanza dell’anima, credo…
Archiati: Che ci porta al paradosso più grande della natura umana.
Prosegue: …con un’altra premessa che abbiamo fatto ripetutamente in questi giorni e cioè che comunque mai nulla va contro natura. Allora ho pensato che molti dei piaceri a cui ci riferiamo, e non ultimo il bicchiere del chianti, in verità non è derivato da un dato di natura.
Adesso ricordo quello che sta scritto in Teosofia, La scienza occulta, e altrove, cioè: l’essere umano ha impegnato tutte le sue forze pensanti e volitive e la sua anima razionale – fino a oggi comunque, e in gran parte lo facciamo ancora – per utilizzare o ricavare dal dato di natura ben più piaceri di quelli che per natura ne deriverebbero. Per esempio: se ascoltassi la saggezza del mio corpo mangerei un pochino, e poi appena fossi giunta alla sazietà, smetterei. Siccome ascolto gli appetiti dell’anima, escogito di tutto e di più per continuare a prolungare il più possibile il piacere del mangiare, che va già contro natura.
Archiati: L’unica differenza è che tu picchi un tantino di più di quello che ho fatto io. Dieci anni fa partivo anch’io in quarta così, adesso sono diventato un pochino meno forte. Conoscitivamente, cioè da un punto di vista oggettivo le cose sono così, però il materialismo – tu hai adesso ricamato sul materialismo, ma è una categoria riassuntiva –, il materialismo è proprio questo. Portare al parossismo quello che si può spremere dalla natura, andandole contro perché non la si fa sfociare in ciò per cui dovrebbe essere strumento. Però, nonostante voi mi sentiate ancora bello pepato, sono diventato più cauto perché, in effetti, il problema è la mancanza di coscienza e la mancanza di esperienza di ciò che uno si perde. E allora la domanda è molto più complessa: cosa si può fare per suscitare, per stuzzicare questo appetito? Quello è un compito non soltanto più arduo ma molto più importante che non descrivere questa fenomenologia che hai portato tu.
Replica: Ma io partivo da questo per dire che non sono inconciliabili. La natura del corpo con la natura dello spirito non possono essere inconciliabili.
Archiati: Sì, ma avendo lì, per esempio, uno che aveva già spezzato una lancia per il bicchiere di chianti, capisci che…
Intervento: Secondo me invece c’è un punto che ancora non è chiaro, e ve lo ridico: perché non puoi portare la coscienza e lo spirito nel goderti quel tozzo di pane?
Archiati: Vedi? Era questa la sua argomentazione di ieri sera. Stiamo attenti che non è semplice venire alle prese con questo tipo di argomentazioni…
Replica: E adesso te ne dico un’altra, perché ci ho pensato anch’io stanotte! Continuiamo a parlare di parto, la partenza del parto è un atto d’amore fra un uomo e una donna, e allora questo ti dà anche un’idea che c’è qualcosa in più da capire, forse. E non sto parlando del lussurioso che tutte le sere vuole una donna nuova, sto parlando di un atto d’amore, l’unione fra uomo e donna, che è alla base della nostra vita comunque, no? Se siamo qui siamo partiti tutti da lì. E perché tu non puoi portare una coscienza, in un atto di amore?
Sto parlando d’amore, o del godere il tuo corpo che nuota nel mare, cioè di un qualcosa che fa parte della tua fisicità ma che però non è per forza un estremo, è una cosa naturale: il tuo corpo funziona bene e tu te lo godi perché funziona bene. È bello, mi godo un paesaggio, mi godo una musica, mi godo un’opera d’arte. Continuiamo a parlarne come di qualcosa che ottunde la coscienza, ma io sto parlando di una cosa che la tua coscienza si gode con uno spirito, con un’intensità profonda. Non sto parlando degli estremi, dell’ubriaco, sto dicendo anche solo un pezzo di pane con un goccio di olio: che te lo possa godere è una cosa meravigliosa!
Archiati: Su queste cose è giusto che ci soffermiamo, altrimenti a che ci serve essere diventati più sapienti esegeticamente sul testo? Il testo ci serve come punto di partenza e ci propone questi quesiti fondamentali in ogni frase. Allora, adesso riprendo io, perché quello che tu hai detto, per me è tutt’altro che l’ultima parola!
Replica: Beh, forse io esagero un po’.
Archiati: No, non è questione di esagerare, quando io ho esplicato un processo di pensiero, naturalmente, di nuovo l’altro può replicare. Dove troviamo la matrice archetipica dell’amore reciproco? Nel fecondarsi a vicenda nel pensiero, nei dialoghi di Platone. E ne sono l’archetipo perché, in questo scambio delle persone che sono in dialogo, ognuno poi, alla fine, ha fatto dei passi in avanti nella sua capacità di pensare.
E la legge di questo dialogo è che ognuno espone il suo punto di vista e l’altro gli dice: sì, sì, hai ragione… però, però… E poi l’altro, di nuovo: sì, hai ragione anche tu, però… E quello che ha ragione in assoluto è soltanto Socrate, perché sa fare suoi tutti i punti di vista. Questi giovanotti trovano difficile dire a Socrate: però tu hai dimenticato questo, questo e questo. Perché è sempre lui a dire: è giusto quello che hai detto ma ci manca, ci manca, ci manca...
Questa è la sola differenza fra Socrate e gli altri, che sono anche più giovani, e quindi concediamo loro di poter imparare ancora qualcosa! In questo spirito stiamo dialogando. Adesso io spezzo una lancia a favore di quello che diceva lei, perché secondo me è più giusto, molto più giusto di quel che dicevi tu, ma questo è un anticipo della fine del discorso.
Parto dalla tua affermazione che il concepimento è un atto d’amore: non è vero! Non è vero in ciò che avviene come esperienza di forze della natura. Il concepimento, dove donna e uomo si uniscono, non c’è bisogno di descriverlo, sappiamo tutti bene di che si tratta, è la decisione – se tutto va bene, se non manca nulla di ciò che ci può essere in senso positivo – presa prima di abbandonarsi per un’ora, parlo per sommi capi, alle forze di natura, quindi di rinunciare alla propria sfera di libertà dentro a quell’ora, per amore di uno spirito che si può incarnare soltanto in quel modo.
In quel momento in cui ci si abbandona alle forze di natura, lo si può fare per amore di colui che s’incarna, ma in quel momento non è possibile né vivere la coscienza, né vivere l’amore, perché si è abbandonati alla forza assoluta della natura. È come una sbornia: io posso avere tutti i motivi che voglio per prendermi una sbornia, anche per amore, per avere la possibilità di non incavolarmi con quella persona lì, perché se fossi sobrio mi arrabbierei a non finire! L’intenzione che c’è a monte è una cosa diversa dalla sbornia in sé, io non posso dire che questa sia un atto d’amore, il vivere la sbornia è un eliminare la coscienza, la coscienza non c’è. E questo vale in un modo fortissimo per i momenti in cui le forze di natura – e quelle di generazione sono le più forti, le più irresistibili che ci siano – sono in corso.
In altre parole, l’umano si incarna nella natura con la decisione di obnubilare la coscienza, reincarnarsi significa obnubilarla, e quindi lo fa anche ciò che ne crea il presupposto. Il significato di questo obnubilare la coscienza è ben preciso: senza non avverrebbe l’incarnazione, e senza l’incarnazione non avverrebbe l’evoluzione dell’umano ecc, ecc, questo senz’altro. Però considerare l’obnubilamento di coscienza come lo stato archetipico dell’umano, no, questa è un’interpretazione errata. Nessuno di voi mi dimostrerà che nell’orgasmo c’è il massimo di lucidità di coscienza, non credo proprio.
Intervento: C’è una parte di me che si ribella, ma fortemente, violentemente, intrinsecamente e profondamente a quello che stai dicendo.
Archiati: Certo, certo, me lo aspetto!
Replica: La coscienza, in un atto d’amore, per me è talmente presente nel valutare certe cose, nel ringraziare il cielo che funzionino certe cose, nel parteciparvi con tutta la mia anima, che per me è un ringraziamento al Padre, allo Spirito.
Archiati: Cosa intendi tu per atto d’amore? L’accoppiamento?
Replica: Beh, sì, anche, perché non è soltanto la parte fisica sessuale, è un atto proprio di vita. E se uno lo sa vedere come vita in mille sfaccettature, è un canto, ma è un canto alla divinità.
Ecco perché mi sto ribellando, probabilmente sento, dietro quello che stai dicendo, come impostazione, un’impostazione della istruzione religiosa che mi fu data e che mi fece scappar via dalla Chiesa, perché era fredda.
Archiati: Certo, la conosco bene questa contro-argomentazione, e me l’aspetto, perché il materialismo di cui parliamo è proprio questo. Allora, adesso arriva il contraccolpo: quello che noi chiamiamo natura… perché guarda che è giusto quello che dici tu, però sta attento che io ti aggiungo qualcosa che ti creerà un problemino… Ma io, aggiungendoti qualcosa, non ti dico che non è giusto quel che hai detto.
Replica: E io ti ringrazierò sinceramente!
Archiati: Può darsi! Stiamo a vedere, però ti avverto che quel che tu hai detto è sacrosanto. L’ho detto che i dialoghi di Platone sono proprio il modo migliore per andare avanti nella conoscenza, ed è questo che stiamo facendo. Tu pensavi che io adesso non avrei saputo cosa dire, invece adesso ti devo dire: no, no…
Replica: Tu pensa per conto tuo che io penso per conto mio.
Archiati: Volevo soltanto dirti, come premessa, che non ti sto dicendo che non è vero o non è giusto quello che tu dici. Io ci aggiungo qualcosa, però. Quando tu hai un elemento e ci aggiungi qualcosa, quello che c’era prima rimane lo stesso o cambia?
Replica: Tutti e due.
Archiati: Tutti e due, rimane lo stesso perché c’era e rimane quello che era. Però, acquisendo un contesto del tutto diverso, cambia. Ecco il paradosso: rimane lo stesso, ma cambia! Adesso io ti pongo la natura, di cui tu hai parlato, e la natura è bella, eh? Vuoi che io ti dica che la natura non è bella? Tu hai fatto un canto alla natura intrisa di amore, di forze divine che sono forze d’amore per l’uomo, quindi ti dico: è vero, tu hai descritto il godimento della natura, la gratitudine per ciò che è di natura, che è così bello, l’hai descritto.
L’essere umano, oltre che vivere questa gratitudine, questa bellezza – che può accattivarci a un punto tale che poi noi non vediamo che questo è solo uno dei due mondi –, ha la possibilità (non si deve, però si può, fa parte della libertà), che tutto questo mondo di natura venga inserito in un altro mondo, dove si godono tante cose in più di quel che tu hai detto, e allora questo godimento non è che sparisca. Rimane lo stesso e non rimane lo stesso.
Qui allora, per l’altra dimensione, uso un altro colore, rosso per lo spirito e blu per la natura.
DIS. 15
In altre parole, se io ho soltanto, godo soltanto ciò che è di natura, ho un tipo di godimento; se godo tutto ciò che è di natura, l’atto d’amore per esempio, in quanto è presente in me tutto un altro mondo, mi dico: no, non ho più voglia di ridurmi solo a questo. Però chi non conosce quest’altro mondo dice: tu stai facendo un discorso di ascesi, di mortificazione, solo perché mi vuoi sminuire questo. Ma è perché non si è aperto quest’altro orizzonte!, chiamiamolo spirito, libertà o come vuoi.
Intervento: Non esclude il primo.
Archiati: Però diventa diverso.
Intervento: Lo trasforma.
Archiati: Lo trasforma.
Intervento: Scusa Pietro, però lui ha detto anche un’altra cosa a cui non stai rispondendo e cioè che secondo lui non è vero che, per esempio, nel rapporto d’amore tra uomo e donna ci sia un obnubilamento di coscienza, anzi la coscienza è molto presente. Io ho capito così.
Archiati: No, non è entrato nel merito di questo.
Intervento: Hai detto questo, vero Giorgio? Ha detto proprio questo.
Intervento: Tu hai detto che è soltanto un piacere fisico.
Archiati: Io non ho detto che è un piacere fisico soltanto, il quesito è: in quale stato c’è il massimo di godimento di coscienza? Questa è la domanda.
Intervento: Tu introduci il tema della creazione di una gerarchia dei piaceri, dei desideri, perché finché tu conosci solo il desiderio del piacere fisico, per te quello è il massimo. Una volta che puoi accedere a qualche cosa di più elevato, chiamalo spirito, tu capisci che devi mettere questo piacere che è fisico in rapporto a quell’altro, e allora lì si crea appunto una gerarchia di valori, di piaceri, chiamali come vuoi, e un po’ alla volta stabilisci una definizione…
Archiati: Ma guarda che lui diceva esattamente l’opposto di quello che stai dicendo tu.
Intervento: Integriamo i concetti di quello che stiamo dicendo e salta fuori qualcosa di estremamente lieto, sereno, ricco, fertile, ma in mille direzioni. Non so se riesco a spiegarmi, probabilmente no, non è soltanto un piacere fisico ma una partecipazione a qualcosa che… è una grazia, questo volevo dire.
Archiati: Ma io ti ho detto fin dall’inizio che hai ragione, te l’ho detto fin dall’inizio e man mano che ne aggiungi ti dico che hai ragione.
Ritento da un altro lato: da dove viene questo bisogno di giustificazione?
Replica: Il mio?
Archiati: Sì.
Replica: Dal fatto che mi sembra che tu non abbia capito quello che invece Luciana sembra abbia capito, anche se io e Luciana non abbiamo mai parlato di questo argomento.
Archiati: Sì, articola, devi riarticolare.
Replica: Sì, riarticolo: altre volte nel tuo rispondere a noi ho colto una cosa, prima era un sospetto poi è diventato quasi una certezza, che non cogli l’intimo delle osservazioni, delle domande che ti facciamo.
Archiati: Questa è un’affermazione molto grossa, se è vero, questo è molto importante. In che cosa consiste questo non capire?
Replica: Il capire nel vissuto, tu capisci, ovviamente, anche perché sei lì e devi fare questo…
Archiati: Intellettualmente, ma manca il vissuto.
Replica: Ma mi sembra che tu non capisca quello che c’è dietro di noi, dietro di me in questo caso, come vissuto umano, nelle sue diverse sfaccettature, su questo argomento che stiamo trattando. E allora tu giustamente vai avanti, ma non ti sentirò mai dire: sì, capisco quello che stai dicendo. Questo è il metodo tuo, però mi farebbe tanto piacere ogni tanto udire, sentirti dire a noi: bene, questo l’ho vissuto anch’io, lo capisco, andiamo avanti.
Archiati: Che t’interessa cosa io ho vissuto?
Replica: È nella verità di quello di cui stiamo discutendo.
Archiati: No, sta attento: se tu hai pensato che io abbia mai detto delle cose senza il vissuto, hai pensato sbagliato, io parlo soltanto di cose che ho vissuto al cento per cento, altrimenti non ne parlo.
Però devi interrogarti tu come mai nel modo in cui l’altro ne parla non ci vedi il vissuto, perché io ti sto dicendo che c’è, non ne parlerei, altrimenti. E questo non vedere il vissuto dell’altro, sai cos’è? È un modo di proteggersi. Avendo la scusa che quello lì è stato un prete, quindi parla di cose che non ha vissuto e quindi ho ragione io perché lui non sa di cosa parla, uno si protegge, è un modo di proteggersi, secondo me.
Intervento: Ma non sarà che Giorgio parlava del vissuto dell’anima mentre fa un atto d’amore con una donna? Cioè, vive nella sua anima tutte quelle bellissime cose che ha detto. Invece tu sembra che salti dalla natura allo spirito, e l’anima che fa? Ecco, questo dicevo.
Archiati: No, io parlo dell’anima, io parlo di quello che viviamo. Di quello che avviene nel corpo senza che noi lo viviamo non ne possiamo neanche parlare.
Intervento: L’anima può vivere nella maniera migliore possibile ciò che avviene nel corpo soltanto quando è talmente trasparente e pulita da far sì che non impedisca che lo spirito possa comunicare correttamente col corpo, solo in quella maniera si esalta e c’è un’espansione del godimento di cui si parlava prima.
Qualora invece l’anima, non essendo pulita e trasparente, riesce soltanto a deformare e ad alterare quello che essenzialmente c’è nell’oggettività sia del corpo che dello spirito, nasce quella bramosia, quella brama, quell’aspetto deteriore del godimento che non è il massimo dell’equilibrio, dell’armonia.
Archiati: In teoria siamo d’accordo, siamo tutti d’accordo in teoria; dove lui, secondo me, ha difficoltà è quando tu usi categorie come pulita ecc. perché lui le ritiene, giustamente, categorie moraleggianti. Che cos’è un’anima non pulita? È sporca, non pulito è sporco, e lo sporco cos’è? La natura non può essere sporca.
Replica: È sporca quando ci metto del mio.
Archiati: No, quando ci manca lo spirito. Quindi le uniche categorie moralmente pulite sono le categorie che presentano il male come assenza del bene. Però l’assenza del bene, se uno non ha l’esperienza del bene, non capisce di che si tratta, e prende questa interpretazione del male come un’affermazione su ciò che ha, che glielo presenta come sporco. Lì è il fraintendimento.
Siccome si fa fatica a capire di che si parla, se non abbiamo l’esperienza, in fondo il male è soltanto la mancanza di quel che ci potrebbe essere. Se mi dice male di ciò che io ho, allora sta dicendo che è male in se stesso, allora è sporco, allora non è pulito. E questo non è vero perché la natura non è sporca, la natura è natura, è puro mondo del Padre.
Replica: Io pensavo che l’errore potesse essere nell’anima, mai nel corpo né, ovviamente, nello spirito.
Archiati: Certo, però per carenza.
Replica: Per carenza.
Archiati: Sì, ma voglio dire: guarda che è un tutt’altro modo di articolare il pensiero se tu presenti il male come carenza o se lo presenti come sporco. Perché lo sporco è qualcosa, mentre la carenza è un vuoto, è tutta lì la differenza. E le riflessioni che vengono fatte hanno profondamente ragione e lui ha ragione anche quando parla della Chiesa cattolica. Tenete presente che mi ha scomunicato; tra l’altro, io sono l’unico, qui, che ha l’onore di essere ufficialmente scomunicato dalla Chiesa cattolica!, quindi non mi mettere in quella cassetta lì.
Intervento: Nero su bianco?
Archiati: Sì, certo, te la devono dare per decreto, un prete lo devono scomunicare, di un fedele qualsiasi non si preoccupano più di tanto. Quello lì va dietro a Steiner, che è l’arcidiavolo, e quindi ha abdicato, è diventato apostata nei confronti della fede cattolica, non cristiana ma cattolica. Quindi io non ci sono dentro.
Però è giusto il tuo discorso, prendiamo, per esempio, Giuseppe: se il Cristo si vuole fare uomo, vuole nascere, e se ha un minimo di rispetto per suo Padre, che è Dio Padre, rispetterà almeno le leggi fondamentali del biologico!, perché se non le rispetta non può pretendere d’essersi incarnato come essere umano. E le leggi fondamentali, quelle più importanti del biologico, vogliono, perché nasca un bambino, che si uniscano l’uomo e la donna. La Chiesa cattolica, non il cristianesimo – questo è anticristianesimo –, ha visto lì lo sporco, vedi? E allora l’ha messo da parte! Biologicamente Giuseppe non ha nulla a che fare con la nascita del Cristo, e come è nato allora questo bambino?
Intervento: Spirito Santo!
Archiati: Ogni essere umano nasce dallo Spirito Santo, però si serve del dato di natura di mamma e papà che si uniscono. Quindi, il tuo discorso è vero, che se non si presenta il male come carenza di un bene possibile, si umilia la natura chiamandola sporca. Però non è il discorso che faccio io, ma è il discorso che fa la Chiesa cattolica, e lì hai ragione, altrimenti non saremmo arrivati a questo assurdo di materialismo, di vedere il male nel modo in cui, secondo leggi divine, il maschile e il femminile si uniscono perché nasca un bambino, di vedere lì il male morale e quindi di escluderlo per la nascita del Cristo. Che poi deve essere nato, come uomo, come tutti gli altri. Il che è un’assurdità assoluta, quindi il male è stato attribuito alla natura.
Che cosa vuol dire? Che s’è perso di vista tutto quello che potrebbe esserci, che però non deve esserci, perché è libero, e il male morale è soltanto l’omissione di questa positività, solo quello è il male morale. La natura è in ordine, la natura è piena di saggezza, è quello che dicevi tu. Quindi io non ti sto smontando nulla di quello che tu dici sulla natura.
La domanda che io faccio è: ci rendiamo conto che c’è tutto un mondo aperto alla libertà umana e che il male morale è non vederlo e non realizzarlo? Non vederlo come cammino di conoscenza e non realizzarlo come cammino morale. Solo quello è il male, e perché è male?
Intervento: Perché è un’omissione, è un’omissione che riguarda la natura dell’uomo.
Archiati: E perché è un male l’omissione?
Intervento: Perché non raggiungiamo il meglio che dicevi tu prima.
Archiati: Perché se le cose stanno così non ci può soddisfare pienamente. Quindi il bene morale è la felicità, è la pace, e se la mancanza di questo non mi dà la felicità è un male, perché soltanto la felicità è un bene morale, la pienezza dell’essere, la piena misura.
Intervento: La misura quindi è la cartina di tornasole che mi permette di giudicare la strada che ho percorso e risponde a tutte le domande sul perché è bene, perché è male.
Archiati: Ritorniamo adesso al punto finale dove si tirano le somme, generalmente lo chiamiamo giudizio universale (Mt 25,42): «Avevo fame…», c’era fame dell’Io, dell’esperienza dell’Io, che è l’esperienza della libertà e della creatività, «…e non avete dato da mangiare all’Io». «C’era sete dell’Io e non avete dato da bere all’Io». Come rispondono le persone che si presentano al cospetto divino? «Come? Dove? Quando? E dovrebbe essere questo il male? Ma come?».
L’unico male morale che esista è essere meno di quello che si potrebbe essere, altri mali morali non ce ne sono. E vi ripeto la domanda: perché dovrebbe essere un male morale essere meno di quello che potrei essere? Perché mi costringo a non essere felice. In questo tipo di riflessioni evitate, secondo me, tutti i moralismi, tutti i moraleggiamenti. Ogni altro tipo di riflessione che si aggiunge per la tangente, moraleggia, e sono ricatti!
Una persona che ti dice: a me basta quello che ho! Allora o il Padreterno si dà una mossa, perché tocca a Lui, e fa sì che prima o poi non gli basterà, oppure gli basta, e va bene. Però il Padreterno si deve muovere: se ha fatto una natura umana tale che questa metà non gli basta, quello non potrà in eterno dire che gli basta. Dovrà arrivare al punto di dire: eh, però non sono felice! E allora datti una mossa!
Questo tipo di discorso, secondo me, è la via di mezzo tra i due discorsi che si facevano. Il tuo spezzava – uso categorie mie, non mi fraintendete – maggiormente una lancia per la natura, che è giustissimo, ma ci mancherebbe altro! L’altro spezzava una lancia maggiormente per la realtà dello spirito. Tutte e due vanno bene, però il giusto equilibrio è la propria esperienza, il proprio vissuto, è la felicità di una persona. Quel criterio lì è pulito perché è l’equilibrio tra le due posizioni: la natura è bella, no? Si, però lo spirito è ancora meglio! E quindi la pienezza è il meglio.
Intervento: Sì, però la pienezza è poi questa cosa di riuscire ad arrivare alla natura con una coscienza, cioè a quella che è la tua natura, senza perdere lo spirito, questo è ciò che penso. Cioè non è che uno si abbandoni alla natura totalmente, ma porta la sua totalità, la sua anima e il suo spirito nel vivere anche una parte di quella che è la sua natura; è questo che io vivo come una cosa che non riesco a separare, e non capisco perché ci vuole una separazione per forza.
Archiati: È un cammino di coscienza, di pensiero, no? L’elemento morale, della libertà è sorto maggiormente attraverso il giudaismo, prima di Cristo. Invece la mitologia greca, intrisa di saggezza, naturalmente, ti presenta le cose in modo più vicino alla natura. Tutto il mondo pagano, cosiddetto pagano, era una immane perorazione in favore della natura. Quindi quando si tratta di rivalutare la natura basterebbe tornare a una storiella, a una parabola greca.
Prima ho citato una parabola cristiana che porta il giusto equilibrio, la pace fra questi due fattori fondamentali, invece la parabola greca spezza sempre una lancia in favore della natura. Il mito greco racconta: Zeus ha creato gli esseri umani e s’è accorto che alcuni gli erano venuti più piccoli, insomma, con l’argilla non li poteva creare tutti uguali, un minimo di fantasia l’ha avuta. Alcuni erano più lunghi, altri erano più corti, lo vediamo, no? Dopo la creazione Zeus si chiede: e adesso che faccio? Ho un sacco di botti piene di saggezza, quanta gliene do? Ve lo ricordate il mito? Allora li ha riempiti tutti.
Solo che, a chi si presenta con una damigiana ne dà di più, a chi ha un… bicchierino ne dà di meno. Il mito dice che Zeus non ha fatto torto a nessuno perché poi sono tutti ugualmente pieni, ne dà loro una misura piena. Uno si presenta con un solo bicchierino: ecco, te lo riempio! L’altro porta una damigiana e lui riempie anche quella!
DIS. 16
Chi è più pieno dei due? Nel mito greco Zeus si è trovato di fronte al problema di mettere insieme l’uguaglianza con la diversità, e l’ha risolto subito: li riempio tutti, perché sono già diversi.
Intervento: Democratico.
Archiati: Democratico però al contempo anche differenziato, ma lui non ha fatto torto a nessuno. Il mito naturalmente è fatto per essere meditato sempre di nuovo. I miti antichi sono pieni di saggezza perché sono stati ispirati, non sono stati inventati, quindi contengono tanti risvolti. È come per il testo sacro, e man mano che uno ci medita scopre sempre aspetti nuovi. Secondo me, quello che tu volevi dire è questo: la natura è piena, è pienezza, in un certo senso non manca nulla a nessuno, è questo che tu volevi dire, però resta la domanda: mannaggia!, io ho solo un bicchierino e quello lì una damigiana… È possibile allargare la propria capienza? Perché nel momento in cui allargo la mia capienza Zeus è costretto a colmarla.
Quindi, un’altra categoria pulita e che non moraleggia è che questo coltivare lo spirito è un allargare la propria capienza. A quel punto arriva qualcuno che dice di nuovo: e chi me lo fa fare? Paolo, a quel punto lì cosa gli dici? Essere un bicchierino è una cosa così bella! È ovvio, no? Lo posso portare in giro dappertutto, per una damigiana invece c’è bisogno di due persone…
Intervento: Però Pietro, questo contrasta con quanto dice alla fine del capitolo sedicesimo: il mondo vi dà tribolazione. Il piccolino che è pieno di se stesso e si accontenta, quello non sembra che triboli.
Archiati: Sì, perciò dicevo: dieci anni fa io picchiavo di più, come fa il Vangelo. Adesso, man mano che ho vissuto l’esperienza con gli uomini, mi sono accorto che il Vangelo ci presenta punti di arrivo. Però è importante, quando abbiamo a che fare gli uni con gli altri, che dialoghiamo anche sui passi concreti che portano lì. Lei insisteva sulle tribolazioni, insisteva sul fatto: no, no non ti dà la felicità. Il suo discorso è giusto, però lui diceva: sì, catapulti l’essere umano a uno stadio evolutivo avanzato, ma i passi per arrivarci…? Questo era, secondo me, il travaglio che abbiamo messo in moto. E il grande quesito ora è: che cosa si può fare, per se stessi e per gli altri, per far venire voglia di avere più capienza? Perché finché uno non ne ha voglia…
Intervento: Ma nella domanda: «Chi te lo fa fare?» è implicito: chi vuole. E quando valuto la bontà, la giustezza e la consistenza di ciò che io voglio, nessuno me lo fa fare da fuori, ma io lo voglio fare e lo faccio.
Archiati: L’affermazione è un’altra, dice: chi te lo fa fare a sbuffare? Non sei capace di godere la vita. Questo è un po’ quello che diceva lui. Lui ti sta dicendo: non sei capace di goderti la vita! E siccome non ne sei capace vai ad arrampicarti sugli specchi. Goditi la vita! E a quel punto lì che gli dici?
Replica: Io non sono d’accordo, ho questa domanda interiore di farlo, è la mia domanda interiore, la mia esperienza.
Archiati: Però ti accorgi che il pensiero lo articoli poco, ti rendi conto, vedi? Che stai…
Replica: Io ne ho bisogno e lo decido io, lo decido io perché è una mia necessità, perché non sono felice in pieno.
Intervento: Direi che la cosa importante è non dimenticare di percepire la nostra insoddisfazione, non eliminare i sintomi di malessere e di insofferenza sia fisici che morali, questi non vanno anestetizzati.
Archiati: Questo è un discorso concreto! Certo, il concreto è sempre la mediazione tra lo stato attuale e lo stato di perfezione, sono i passi concreti da fare.
Replica: Meno male che non stiamo bene, in un certo senso.
Archiati: Certo. E quando stiamo troppo bene ci arriva uno tsunami, vedi? Quando un bambino si sta danneggiando, e lui non se ne accorge ma si sta danneggiando, la mamma che deve fare? Deve scuoterlo, lui magari la interpreta come punizione perché non capisce, ma trent’anni dopo lo capirà che era tutt’altro che punizione, però un po’ di sofferenza ci vuole, altrimenti si rovina del tutto.
D’altra parte, detto in modo sommario, di una persona che si lascia andare alle forze di natura e dice che è felice, dire che bara è di nuovo un moralismo. Perché se lui lo vive così bisogna aspettare che non gli basti più, che non gli basti più veramente nel vissuto, non perché un comandamento gli dice che così non va bene. E arrivare al punto in cui non gli basta più non è semplice. Io vi riporto alla complessità dell’umano, vi riporto sempre a quella perché noi partiamo, seguiamo un filo, poi ne seguiamo un altro, sono tutti legittimi ma la complessità va vista in tutto il suo insieme.
Intervento: Mandela ha fatto un discorso nel 1994.
Archiati: Quando era ancora al Governo.
Replica: In cui cominciava dicendo: «La nostra più profonda paura non è l’oscurità, la nostra più profonda paura è la luce che abbiamo dentro di noi». Quindi molte volte le persone si rendono conto che si potrebbe fare di più, però questo implica un cammino, anche di sofferenza, rinunciare a tante cose, però secondo me è giusto quello che diceva il signore, e cioè che la gente un po’ se ne rende conto, ha un uccellino qua di fianco che glielo dice, però poi di fatto…
Archiati: Certo. O contiamo sulla natura umana che è soddisfatta solo in un certo tipo di pienezza, oppure ha un altro tipo di pienezza. La fiducia ultima è quella nella natura umana che, finché non ha tutto quello a cui aspira, non può essere veramente felice. Però non hai il diritto di dirglielo dal di fuori. Ne farà l’esperienza, se fa parte della natura umana.
Intervento: O si può dire che ci arriverà quando è il momento giusto.
Archiati: Sì, però il male morale è l’omettere. Tu adesso stai dicendo che l’omettere non esiste, perché quando arriva il momento giusto ognuno lo fa. L’omettere però c’è!, e omettere significa: adesso sarebbe il momento giusto e non lo faccio. E questo complica le cose.
Dal pubblico: Ci deve arrivare quella persona…
Archiati: Perché l’omissione è possibile solo quando sarebbe possibile fare una cosa, altrimenti non è omissione.
Intervento: E come facciamo a giudicare quella persona? Non si può giudicare la persona…
Archiati: No, basta che ognuno guardi se stesso. Chi di noi può dire: «Ho fatto tutto quello che potevo»? Ci mancherebbe altro!
Pausa di un quarto d’ora e dopo nessuno apre più bocca, fuorché io, naturalmente.
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Vi accorgerete di come, ogni volta che si fa un processo di pensiero impegnativo, onesto – quindi con l’attenzione a sentire tesi e contro-tesi, applicando già in partenza il metodo che ognuna ha la sua giustificazione e che si tratta di comporre in un quadro d’insieme tutti i punti di vista possibili – l’esperienza che faremo, ve lo garantisco, è che, ogni volta, ci troviamo con un recipiente di pensiero un po’ più allargato. E qualsiasi testo affrontiamo lo capiamo un po’ meglio: adesso lo vedremo col capitolo diciassette. Vedrete che in base all’esercizio di pensiero fatto prima, il livello di comprensione di qualsiasi cosa ci venga presentata è aumentato, si è approfondito.
Capitolo diciassettesimo
17,1 Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al Cielo, disse: «Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te».
«Taàta ™l£lhsen 'Ihsoàj (tauta elàlesen Iesùs), queste cose disse Gesù. E alzati i suoi occhi…» gli occhi del Cristo sono la forza pensante intrisa di forze cristiche, non sono occhi qualunque ma i Suoi occhi, «… al Cielo disse: Padre è giunta l’ora, glorifica il tuo Figlio affinché il Figlio glorifichi te». Sto traducendo per ora con le parole che abbiamo nel linguaggio italiano.
17,2 «Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato».
«Come hai dato a lui la potestà – ™xous…an (exusìan)…» potestà è una categoria angelica, Exusiai è la stessa parola, è la potestà totale a cui non manca nulla, «su tutta la carne – p£shj sarkÒj (pases sarcòs)»
Intervento: Io ho: hai dato potere sopra ogni essere umano.
Archiati: Sto traducendo alla lettera, e in greco c’è: «p£shj sarkÒj (pases sarcòs) su tutta la carne, affinché, tutto ciò che hai dato a lui, dia a loro la vita eterna».
17,3 «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo».
«In questo consiste la vita eterna, questa è la vita eterna: che conoscano…» quindi il Vangelo di Giovanni affronta la pienezza – la vita eterna è la pienezza dell’essere, se volete – a partire dalla categoria della conoscenza. Questo è sempre il cammino, a partire dal pensiero, perché poi la morale, il bene è una conseguenza del pensiero, se io non capisco a livello di pensiero cos’è bene e cos’è male non posso comportarmi bene o male.
È importante constatare che il Vangelo di Giovanni, parlando delle due dimensioni della pienezza dell’umano: la dimensione del pensiero, della conoscenza e la dimensione del comportamento – quella che noi chiamiamo morale –, mette prima sempre il pensiero! Perché il comportamento senza pensiero è quello di natura, è quello del gatto, del bambino piccolo; però per l’adulto il primo fattore morale, la prima responsabilità è nei confronti del pensiero.
Allora, ricominciamo daccapo, dall’inizio del versetto uno: «alza gli occhi al cielo». Naturalmente è chiaro che questo non significa una azione fisica, non è che prima guardasse giù e adesso guarda su. No, ha davanti allo sguardo spirituale il Padre, colloquia col Padre in quanto realtà spirituale che intride delle Sue forze tutto il mondo della Terra. Parla direttamente da Spirito a Spirito con Lui.
Questo diciassettesimo capitolo, nell’evoluzione dell’umanità, ha un posto di assoluta eccezionalità, perché? Il Padre è la natura, parlo per abbreviazioni naturalmente, il Figlio è il mondo della libertà, c’è allora un colloquio spirituale archetipico tra il Padre e il Figlio.
Cosa possiamo attenderci da questo colloquio? Che venga articolata in modo essenziale l’interazione tra natura e libertà! Il Figlio è l’esperienza dell’Io, dell’autonomia dello spirito singolo, la forza interiore di fare il bene morale, di cercare la pienezza a ragion veduta, altrimenti non si è liberi. Altrimenti, se lo faccio perché sono costretto e se lo faccio perché non so quello che faccio, non è morale.
Ci aspettiamo quindi che questo colloquio tra il Padre e il Figlio, tra la natura e la libertà, articoli l’essenza dell’umano, che è interazione tra natura e libertà. Detto in una parola, però in questa parola c’è tutto! C’è una complessità infinita, e l’abbiamo vista stamattina, perché abbiamo fatto un esercizio minimo, piccolo, di un’ora e mezza, però è stato un esercizio di complessità.
Se per tutto un capitolo c’è questo colloquio è chiaro che le cose vengono articolate, questa interazione viene espressa nei suoi aspetti fondamentali.
«Disse: Padre…», la prima cosa che dice è Padre, il Cristo chiama Padre l’altro elemento fondamentale con cui è in relazione. Padre significa anche Madre, siccome era una cultura patriarcale, del genitore prende l’elemento paterno, però questo non fa parte della sostanza del discorso, l’elemento paterno è una contestualizzazione culturale. In realtà quello che s’intende per Padre è il generatore, e genitori sono tutti e due. Se fossimo nella cultura indiana diremmo Madre, la cultura ebraica, che è di stampo paternalistico, dice Padre, che comunque è colui che genera.
Il Padre è genitore, e quindi la natura è generatrice. L’esperienza del Figlio dell’uomo si rivolge a ciò che Le sta di fronte, e lo chiama generante. Quindi la domanda è: cosa genera? Genera il Figlio, altrimenti non è Padre; quindi abbiamo a che fare col generante e col generato. Genitum non factum, nel Credo cristiano il Figlio è generato e non fatto, non creato, tutte le altre cose sono state create ma il Figlio, cioè l’elemento della coscienza libera dell’individuo umano, non può venire fatto, non può venire creato, viene generato, viene a vita. Questo sulla categoria del Padre, poi tutto il resto lo lascio a voi, potremmo fermarci anche tutto un giorno su questa parola, però non andremmo mai avanti col testo.
«È giunta l’ora», qui c’è un riferimento alla dimensione del tempo, dell’evoluzione, parla di un tempo che prima non era giunto e ora è giunto, l’ora che prima non c’era e adesso c’è. Questa categoria è feconda all’infinito perché ti dice che il fenomeno umano è un fenomeno in evoluzione, in cui una delle cose più importanti è capire quando giunge l’ora di questo, di quello e di quell’altro.
E come si fa a sapere quando è l’ora di qualcosa? Sapere quando è l’ora giusta per qualcosa appartiene alle cose più importanti dell’essere uomini!, e sbagliare l’ora appartiene ai peccati di omissione. Fare la cosa giusta all’ora sbagliata significa fare la cosa sbagliata.
La madre dice al figlio di venticinque anni: ma sbrigati da solo! Gli dice la cosa giusta? Sì, perché è ora che lo faccia. Questa cosa giusta, detta vent’anni prima è sbagliata. Uno dice all’altro: è ora che ti dia una mossa! Ma come fa lui a sapere se è giunta l’ora? È il mistero dell’ora, del momento giusto.
Qui, alla svolta c’è questa categoria metafisica, per il pensiero umano, per capire quando giunge l’ora, di qualsiasi cosa. Cosa è comune a tutte le ore giuste? Che cosa fa di un’ora l’ora giusta? Detto in un modo semplice, è il suo venire quando tutte le condizioni necessarie perché qualcosa possa avvenire ci sono. Perché a quel punto lì, se io non acchiappo questa ora, ometto qualcosa. Quindi, quando viene l’ora di qualcosa? Quando tutte le condizioni necessarie per fare quella cosa ci sono.
«È giunta l’ora perché il Figlio…». Il Cristo intende dire: è giunta l’ora che io entri nella morte, è giunta l’ora di trasformare la morte in resurrezione. Perché sia giunta questa ora, che cosa ci deve essere? Ci devono essere nell’essere umano tutte le capacità, tutte le forze di trasformare ogni esperienza di morte in resurrezione.
L’altra categoria di pensiero per dire l’ora giusta è «la pienezza dei tempi», una categoria che ricorderete: il Cristo, o il Messia è venuto nella pienezza dei tempi. Questa pienezza, l’ora del Cristo, della morte, della svolta, non deve avvenire troppo presto né troppo tardi. Se avviene troppo presto, perché non va bene? Perché si forzano fattori che ancora non consentono una certa cosa. Ma il far forza è sempre un male perché c’è una costrizione. E quando si fa troppo tardi, perché è male?
Dal pubblico: Non ci sono più le condizioni, sono passate.
Archiati: Ma è anche perché sono più vuoto di quanto avrei potuto essere.
Intervento: È perché c’è stata un’omissione.
Archiati: Ecco, questa è l’importanza del momento giusto, c’è stata un’omissione, sono più vuoto di quanto avrei potuto essere, meno pieno di quanto potrei essere.
Intervento: E lì ci può essere una grande insoddisfazione.
Archiati: Tieni presente l’esercizio che abbiamo fatto prima, l’altro ti risponde: ma io sto bene, non mi manca nulla! Perché noi siamo abituati a volare, volare, arriviamo subito alla fine di un processo, ma i passi? Poiché l’altro continua a dirti che non gli manca nulla, a quel punto lì bisogna smettere di fare il missionario! Non serve a nulla, perché a un certo punto l’altro, se è un bravo toscano, ti dice: abbozzala!, finiscila!
Quella che noi abbiamo chiamato la svolta, la categoria di pensiero della pienezza dei tempi è quando tutte le condizioni necessarie per l’esercizio della libertà ci sono. Quello è il tempo pieno, non c’è più da aspettare, perché finché mancano alcune delle condizioni per l’esercizio della libertà bisogna ancora aspettare. Nella vita, nella biografia di ogni uomo, come abbiamo tradotto la pienezza dei tempi, l’ora che è giunta? Non è un’ora singola però, è un nodo biografico. È quando la conduzione dall’esterno si trasforma in una conduzione dall’interno. Quando giunge questa ora? Quando ci sono tutte le condizioni necessarie, tutti gli strumenti per gestirsi dal di dentro.
Ma come faccio io a sapere quando ci sono tutte queste condizioni? In base a teoria? No, in base all’esperienza! Quando vedo che so pensare sempre meglio con la mia testa e so decidere sempre meglio con la mia volontà, dico: eh, mi pare di vivere sempre di più nella pienezza dei tempi perché tutte le condizioni necessarie per l’autonomia interiore le vedo, le vivo, le ho! Se invece ho ancora bisogno del padre spirituale, del guru ecc., questa pienezza non è ancora venuta.
Pienezza dei tempi significa che tutti gli strumenti necessari, tutte le condizioni sine qua non per l’esercizio della libertà, ci sono!, e nessuno può più lamentarsi che gli manca la possibilità. E nell’evoluzione umana quando viene questa pienezza? Parliamo degli adulti naturalmente, perché il bambino ripete tutta l’evoluzione fino ad arrivare in quel punto in cui l’evoluzione si trova. Nell’umanità è quando possiamo dire: oggi, ogni essere umano – e questo non valeva quattromila anni fa – vive in sé la facoltà, la potenzialità della libertà.
L’alternativa sarebbe che noi trovassimo una persona che a trent’anni ci dicesse che non sa pensare con la propria testa. Non esiste! Non parlo di individualità che hanno deciso di non inabitare il corpo, quelli che noi chiamiamo ritardati mentali sono individualità che, questa volta, hanno deciso così, ma parliamo di persone che inabitano il corpo come spiriti. Queste allora possono omettere di esercitare la facoltà di pensare con la propria testa, ma una testa che sa pensare ce l’hanno tutti! Quattromila anni fa invece non l’aveva nessuno, perché l’ora non era giunta.
Intervento: Perché ci sono anche delle condizioni oggettive che devono maturare.
Archiati: Sì, culturali.
Replica: Forze che vengono immesse.
Archiati: Certo, per esempio: ci sarà uno spirito umano che non ha passato almeno un’incarnazione masticandosi la mitologia greca? Noi l’abbiamo dimenticata, ma ci siamo passati, tant’è vero che quando vi ho parlato di Zeus che ha riempito tutte le damigiane vi siete detti: sì, tornano i conti. E come fate a saperlo? È chiaro che sono passi di evoluzione del pensiero che abbiamo compiuto, li abbiamo già recepiti dentro di noi e li riconosciamo subito. Perché duemila anni fa, o tremila anni fa, ai tempi di Omero eravamo incarnati, in qualche modo, e abbiamo fatto questi passi. Le mitologie sono passi pregressi della coscienza umana, tutte le mitologie lo sono.
Intervento: Ma Ulisse pensa con la sua testa, anche se poi chiede sempre quello che vogliono gli dèi? Mi sembra già di sì.
Archiati: Nel mio libricino sull’Odissea[4], una delle cose che spiego è che c’è una grande differenza tra l’Iliade e l’Odissea. Achille è il protagonista dell’Iliade, che non è basata su una persona umana ma su di un impulso, Omero dice: «Cantami o musa l’ira di Achille». Non cantarmi Achille, ma cantami di questo impulso divino, di natura, dell’ira che lo trascina. Quindi l’Iliade parla di un operare di natura dentro ad Achille.
Quando invece comincia l’Odissea dice: «Cantami o musa l’uomo Odisseo astuto», ecco che comincia a giungere l’ora!, cominciano a esserci le condizioni perché l’individuo umano pensi con la propria testa. È questa la grande differenza tra Achille e Ulisse: Ulisse pensa con la propria testa! Achille ha a che fare con Mercurio, Ulisse ha a che fare con Pallade Atena e naturalmente sono due mondi infiniti.
Già nella caverna di Polifemo Ulisse imbastisce ben due piani di guerra: il primo è quello di ammazzarlo, e poi dice: se lo ammazziamo, però, chi ci toglie il macigno all’entrata della caverna? Non usciamo più! Allora questo piano lo mette da parte: con Odisseo giunge l’ora del raziocinio, del pensiero che sa valutare e soppesare le diverse possibilità.
Allora, in chiave di libertà dello spirito umano, vediamo un Achille che viene travolto dall’ira mentre con Odisseo, che è già capace addirittura di scegliere tra diversi piani di guerra, è chiaro che ci avviciniamo all’ora del Logos, in cui ogni spirito umano ha a disposizione, in quanto spirito umano singolo, tutti gli strumenti del pensiero. Il pensiero umano appartiene interamente a tutti da quando il Logos ha portato nell’umanità tutte le sue forze. L’ora è venuta, cioè tutte le condizioni necessarie per rendere capace ogni essere umano di gestire la logica universale con la sua testa, ci sono.
E se una persona si lamenta di non essere capace di farlo è perché in qualche modo – sono già passati duemila anni da questa pienezza – ha perso dei colpi. Tutti sanno pensare, quando uno dice che non sa pensare dice una bugia. Allora Odisseo arriva a dire: no, questo qua lo dobbiamo accecare! L’uomo deve perdere l’antica chiaroveggenza, perché soltanto perdendola acquista i due occhi che fissano, che guardano, non soltanto che vedono tutto.
Vedere tutto contemporaneamente significa non vedere nulla, significa essere in brodo di giuggiole, significa essere un elemento dentro la natura. I due occhi simmetrici, che sostituiscono il singolo occhio di Polifemo, creano la coscienza dell’Io, perché i due fasci degli occhi si incontrano e si toccano. La coscienza dell’Io, quindi la coscienza di gestire lo spirito a livello individuale, inizia col fatto di auto-sentirsi, di sentirsi un io. E negli occhi è questo che avviene, quando i due fasci si incontrano mettendo a fuoco. Quindi questo occhio di ciclope, – KÚklwf (kyklops) significa occhio che sa vedere circolarmente, quindi panoramico – vedeva tutto ma non guardava nulla, non si focalizzava su nulla.
Il pensiero discorsivo invece fa la corsa, distingue un elemento dopo l’altro. Per mettere insieme un elemento dopo l’altro, devo guardare i contenuti del mondo uno dopo l’altro. Come metto insieme quello che mi dice quel Paolo là con quello che mi dice la Beatrice qua? Non mi serve a nulla avere lo sguardo ciclopico che dice: ah, ma è tutto uguale! Non mi serve a nulla, bisogna distinguere, e quindi bisogna considerare prima ciò che dicono i diversi elementi e poi cucirli, legarli insieme. Il pensiero di Ulisse allora è maturo per dire: ora Polifemo dobbiamo accecarlo!, e poi lega i suoi sei compagni sotto i montoni. Da ultimo viene l’ariete, che di solito usciva per primo. Infatti Polifemo dice: ma come, tu ariete, che esci sempre per primo, eri quello che conduceva le pecore, e questa volta esci per ultimo?
Supponiamo adesso che questo sia l’ariete che esce, sulla copertina del mio libro c’è Ulisse aggrappato sotto l’ariete mentre escono fuori dalla caverna. Polifemo lo tasta per non far scappare Ulisse e i suoi compagni e non si accorge che sotto c’è Ulisse col bastone col quale lo aveva accecato e che porta via con sé (V. Dis. 17).
DIS. 17
È l’ora dell’agnello di Dio, dell’Ariete, è giunta l’ora. Guardate il mito greco: nel disegno che cosa c’è sopra il Sole? L’ariete!, e a livello del sistema planetario, subito sotto c’è l’essere umano, il Figlio dell’uomo intriso di forze solari. Quindi sopra c’è il mondo del Padre, dello Zodiaco, dove però c’è l’Ariete. Sotto lo Zodiaco e il Sole c’è la Terra, qui, in basso.
È un’immagine, ma è impressionante nella sua bellezza, nella sua cristianità, se volete.
Qui c’è la Terra e c’è il Figlio dell’uomo che cammina sulla Terra, e c’è questo bastone, verticale, tra l’altro, che rappresenta la spina dorsale dell’essere umano. Ci sono tutti i tre livelli del cosmo in cui viviamo: quello sopra è lo Zodiaco, però in quell’epoca, in quell’ora della svolta della storia, il Sole era nell’Ariete. Poi, tra lo Zodiaco e la Terra, al centro, c’è il sistema solare cioè Odisseo intriso di forze del Logos. È un’immagine bellissima del Cristo come Essere del Sole, che cammina sulla Terra, compie i passi evolutivi sulla Terra.
Uno dei commenti più belli alla prima frase, che il Cristo rivolge al Padre, è proprio questa immagine. Perché? Quando giunge l’ora in cui il Figlio comincia ad aggiungere al mondo del Padre tutto il mondo della libertà, della creatività dello spirito umano? Questa ora giunge quando il Sole è nella costellazione dell’Ariete, perché prima non c’erano i presupposti: dovevano nascere i pensatori, i filosofi greci! La filosofia greca è la dimostrazione che l’ora è giunta, che adesso ci sono le forze, e chi le ha portate? L’Essere del Sole, il Logos, altrimenti chi?
Cioè, in tempo di materialismo noi siamo abituati a vedere soltanto questo animale che esce fuori, con Ulisse sotto e Polifemo che non vede nulla. Questa descrizione di Omero è invece una immaginazione grandiosa; bisogna ingrandirla a livello cosmico e allora si vede che l’ariete rappresenta le forze dello Zodiaco, però una di dodici: il Sole è nell’Ariete. Poi la sfera di mezzo tra lo Zodiaco e la Terra è questo elemento del Sole, rappresentato da Odisseo.
Tra l’altro l’immagine che trovate sulla copertina del libro riproduce un vaso greco della pinacoteca di Monaco, lo sfondo è rosso e dipinti in bianco risaltano tre elementi del pensiero: le corna dell’ariete sono in bianco, la testa di Ulisse è in bianco e così la cima della spina dorsale, quindi il cervello è in bianco. Il cervello è nell’estremità inferiore del bastone, capovolto perché si riferisce alla Terra, è l’intelligenza cosmica che diventa intelligenza umana singola.
Le corna dell’ariete che si ripiegano su se stesse rappresentano le forze dell’autocoscienza, dell’essere coscienti di sé. Nell’Ariete, la cosa più importante sono le corna che si ricurvano. Agostino parla del cor curvatum in se ipsum, la coscienza dell’amore che si ricurva su se stessa, l’amore di sé come presupposto per l’amore all’altro. Poi c’è la testa, cioè il pensatoio di Ulisse, e il cervello in cima alla spina dorsale come strumento per rendere cosciente il pensiero. Il pensiero di Ulisse, non è nel cervello ma è libero dal corpo, per questo è sul palo, e il cervello, che è l’estremità della spina dorsale, serve a rendere cosciente il pensiero.
Quindi, anche nel vaso, i greci hanno evidenziato questi misteri: tutto il resto è scuro, ma le corna dell’ariete che si ricurvano su di sé, e sono bellissime, sono bianche, nella testa di Odisseo le forze del pensiero sono ugualmente in bianco, e nel palo le forze del pensiero sono in bianco.
Intervento: E hanno a che fare proprio con la sostanza bianca fisiologica?
Archiati: Il bianco è la saggezza, il pensiero s’intride, coglie la saggezza, che cosa vuol dire pensare? Significa con-capire, concepire il Logos, la Sofia.
Intervento: Quindi per il fatto che sia un ariete, c’è anche la forza generativa maschile? Il maschio greco insomma.
Archiati: Forze generative della conoscenza, però.
Replica: Della conoscenza, sì.
Archiati: Dunque: il bianco esprime l’evoluzione del pensiero, poi c’è un’altra evoluzione, che è quella dell’amore; quella è sempre rossa, il sangue, sul vaso c’è molto rosso, però l’essere umano non può evolversi nell’amore se non sa quello che fa. E perciò il Vangelo di Giovanni mette sempre prima la conoscenza, la verità, parla dello spirito della verità, non dice lo spirito dell’amore, perché è la verità che ti rende capace di amare liberamente. E la conoscenza, la saggezza è bianca, infatti in tedesco Weisheit è la saggezza e weiß significa bianco.
Intervento: È il bianco del pane e il rosso del vino?
Archiati: Sì, certo. La saggezza è il corpo del mondo e l’amore è il sangue del mondo.
Non è un’immaginazione bellissima? Io, in passato, quando studiavo, mi dicevo sempre: il Vangelo di Giovanni, e anche gli altri vangeli, quelli sì che dicono belle cose! La mitologia greca invece è pagana, è roba del diavolo! Invece trovatemi voi qualcosa di più cristico!
Il Sole che è nell’Ariete fa questo momento del cammino sulla Terra e il gigante Polifemo dice: è vero!, mi era stato annunciato. C’era stata una profezia che mi diceva: verrà l’ora in cui apparirà un nanerottolo che ti accecherà. Che cos’è il nanerottolo? Poco di natura e parecchio di spirito; allora cos’è il gigante? Parecchio di natura e poco di spirito; se avesse capito la profezia sarebbe stato Odisseo, non Polifemo. E dice: eppure mi era stato detto, perché sono stato così scemo? Perché se scemo sei, scemo resti, altrimenti non saresti Polifemo. E per noi, cosa vuol dire?
Significa che questa ora, la svolta, non può saltar fuori all’improvviso, deve essere stata messa in conto fin dall’inizio. La profezia, cioè, significa che l’evoluzione è stata pianificata nel suo insieme, gli stadi necessari all’emergere della libertà umana, dello spirito umano, sono ben stabiliti, non sono arbitrari. Però Polifemo deve dire: adesso è giunta l’ora di Ulisse e termina quella di Polifemo.
Intervento: Anche Polifemo viene aiutato a progredire?
Archiati: No, Polifemo eri tu quando eri bambina, eravamo tutti noi quando eravamo bambini. Che cosa è avvenuto a quella bambina di vent’anni fa, cosa è avvenuto? C’è ancora o non c’è più?
Replica: No, non c’è più.
Archiati: No, c’è ancora; c’è e non c’è, ecco il paradosso. Il Polifemo, c’è o non c’è in Ulisse? Se non ci fosse stato Polifemo come avrebbe fatto Ulisse a fare tutti questi passi? I passi fatti sono il Polifemo interiorizzato. Lo sto dicendo da quattro giorni!, perciò vi dico che ne bastano tre, di giorni.
Intervento: No, scusa, se non l’abbiamo capito in quattro giorni ce ne vorranno sei e non di meno.
Dal pubblico: È il paradosso!
Archiati: È il paradosso, cioè noi sgarriamo col pensiero quando facilitiamo le cose, vediamo un lato come giusto e perdiamo di vista l’altro, poi vediamo che l’altro è interessante, e allora consideriamo l’altro e abbiamo perso di vista il primo.
Intervento: Anche perché, per accecarlo, il Polifemo deve esserci.
Archiati: Certo, fa parte di questa esperienza, l’esperienza resta, è la sostanza del cammino, del conquistato a livello di coscienza e di amore, di Ulisse. Cioè è assurdo dire che il bambino che ero io quando avevo dieci anni è sparito. In realtà c’è, e vorrei bene che ci fosse, però non è rimasto uguale!
Noi allora commentiamo il Vangelo prendendo a piene mani dappertutto, perché ci parla di tutta l’evoluzione, nella sua totalità. Se il Cristo venisse a portarmi soltanto alcuni elementi e non ci fossero altri elementi, io direi: no, no, no, io voglio il tutto, perché allora mi muovo meglio, perché io sono un essere umano e ho tutto dentro di me. Cosa giustifica il nostro intento, la nostra decisione di occuparci di un testo di questo tipo anziché di un altro? La convinzione che questo testo sia più completo che non tanti altri, altrimenti saremmo stupidi a non prenderne un altro.
Però ci rendiamo conto che l’Odissea non è da meno!, è un testo sacro dell’umanità perché parla per totalità. È una parzialità questa immagine? In questa immagine c’è tutto, tutto, addirittura ci sono le tre dimensioni fondamentali del cosmo: lo zodiaco, che è l’eterno; il Sole che passa di segno in segno, quindi il tempo e l’evoluzione morale, la Terra, i passi compiuti sulla Terra, la volontà.
Pensiero, sentimento e volontà: non manca nulla! Perciò è un testo sacro, il profano è il parziale, profana l’uomo perché disattende, ignora aspetti che sono sacri. Massimamente sacro è ciò che comprende tutto e profano è ciò che lascia fuori delle cose che invece andrebbero prese tutte insieme. Il profano è il parziale, il sacro è il totale. Il profano sono i peccati di omissione, di parzialità, di unilateralità, il sacro è integrare e integrare. Quindi sacro è ciò che è integrale, è ciò che non disdegna nulla e che prende tutto nelle sue mani.
Ritorniamo ai versetti. «È giunta l’ora…» e adesso dice che cos’è questa ora: «glorifica il Figlio tuo». Abbiamo il Padre e il Figlio: è nella natura della natura di glorificare il Figlio. DÒxasÒn, (doxason) significa glorifica, dà gloria. Traduciamo in modo un po’ meno profano, perché la gloria è profana, rendiamo sacra questa parola. DÒxa è la pienezza del pensiero e dell’amore, glorificare è vivere nella pienezza creante nel pensiero e nell’amore. È giunta l’ora di esprimere, di far sprigionare dall’essere umano questa duplice pienezza che è la creazione dell’uomo, di saggezza e di amore. Sono i pensieri e gli atti d’amore. Ci sono tutte le condizioni, l’ora è giunta, per cui l’essere umano ha a disposizione tutto ciò di cui ha bisogno per glorificare il Figlio dell’uomo, il Cristo dentro di sé, l’Io dentro di sé. È l’irraggiare dall’interno, il manifestarsi splendente dell’interiorità verso l’esterno, l’irraggiare di luce di conoscenza e di calore d’amore.
Glorifica il Figlio, che è l’uomo, attraverso il suo irraggiare di luce e irraggiare di amore, questo è il significato di dÒxa: far promanare dall’essere raggi di luce, che è il pensiero che crea, e onde d’amore.
L’ostensorio, come è fatto? Vediamo se mi riesce di disegnarlo bene, ve lo ricordate l’ostensorio?
DIS. 18
C’è la lunetta – pensate alla donna dell’Apocalisse che sotto i piedi ha la luna – e poi c’è l’ostia, che è il Sole. Il Sole è l’elemento cristico nell’uomo. Quando la luna è uno spicchio il resto della luna è il negativo del Sole. Poi, gli ostensori che si rispettavano avevano raggi bianchi, dritti, alternati a onde rosse.
Intervento: Erano rosse?
Archiati: Erano colore dell’oro, perché il rosso è più difficile farlo, però sarebbe più giusto il rosso, che è l’amore. Il cuore, il sangue, è rosso, non è oro. Però sono forze solari, perciò va bene anche l’oro.
Ecco, è giunta l’ora per cui l’essere umano, adesso intriso di forze dell’Essere cristico, irraggia luce nel suo pensiero e calore nel suo amore. Perché la luce è un raggio dritto? Perché l’intuito va dritto, se io ci metto dieci minuti a capire qualcosa vuol dire che non ho capito; e perché l’amore va per vie traverse? Perché ci vuole più tempo, il percorso morale va più lento, è una corsa a ostacoli, bisogna vincere l’ostacolo dentro di sé.
Che ostacolo deve vincere la luce? La tenebra, ma la vince subito!, basta che si metta lì e la tenebra è sparita. La tenebra si vince immediatamente, basta avere la luce, invece l’egoismo non si vince in un sol colpo, perché se tutte e due le dimensioni dell’evoluzione si facessero di botto saremmo già tutti arrivati, o per lo meno andremmo molto più veloci.
Intervento: In questo caso la forza della volontà è dentro anche questi due.
Archiati: Certo, è la capacità di non mollare dove le cose vanno piano. «Sì, ho capito che potrei gustare di più l’Odissea se bevessi un po’ meno vino, però, mannaggia! Adesso è arrivato mio fratello che mi ha portato di nuovo dai Colli Romani il vino migliore d’Italia…». E le cose non vanno così velocemente. Intendevo aggiungere, come commento: c’era una cosa ben pensata e hanno fatto sparire anche quella, voi ne avete visti negli ultimi tempi di ostensori?
Intervento: Sì, come no?
Archiati: In sacrestia.
«Glorifica il Figlio tuo». Il senso della natura è di consentire, di dare all’uomo tutti gli strumenti per irraggiare luce e amore, «affinché il Figlio glorifichi te», non soltanto il Padre glorifica il Figlio, questo l’avevamo visto, adesso però inverte l’affermazione: affinché il Figlio glorifichi te.
Era ciò di cui discutevamo prima, io non l’avevo pianificata questa botta finale, però ce la fornisce il testo: la libertà è l’unica glorificazione vera della natura! E senza la libertà la natura è mortificata, la libertà è il senso della natura, e una natura senza libertà è un controsenso, non ha luce (Rm 8,22).
Intervento: La saggezza va anche riscaldata, con l’amore che ritorna.
Archiati: Sì, però né l’uno né l’altro te li dà la natura, te li dà tutti e due la libertà, sono il compimento di tutto ciò che è la natura. In altre parole, la gloria, la bellezza della natura più bella che ci sia, è la libertà, e senza la libertà la natura è brutta, oscura, buia.
Intervento: «Affinché il Figliolo glorifichi te» è poi la resurrezione.
Archiati: Sì, certo. Stai attenta, perché non serve a nulla buttar lì categorie, devi articolare il pensiero. Ogni percezione è un piccolo buio, è la natura senza gloria, senza luce, come le dai la luce? Come dai tu gloria a questa percezione? Col concetto: il concetto è una piccola resurrezione nel pensiero e la percezione è la morte. Però devi articolarle le cose e portarle a livello di quello che viviamo continuamente. Quando io guardo una cosa e non capisco, è la natura che non trova ancora la sua luce. Trovo il concetto e capisco, allora è il Figlio, l’essere umano, che dà gloria, trova il senso del dato di natura. Questi sono la percezione e il concetto a livello di cammino del pensiero.
Adesso tu lo volevi a livello di cammino morale, maggiormente dell’amore? Uno sta all’ospedale, lo so che sarebbe importante per lui che lo andassi a visitare, però sono stufo e non ho voglia, c’è il calore dell’amore? No, è freddino, è il freddo dell’egoismo, quindi la natura in me è il freddo dell’egoismo. Come nasce il calore dell’amore? Dicendo: ci vado! E dicendo ci vado, cosa sottintende? Non m’importa niente di essere stanco!, e poi per strada la stanchezza gli passa, non c’è più.
Intervento: Magari continua a restare stanco.
Archiati: No, guarda che è un’astrazione quella che fai, guarda che non cali nel vissuto reale. Il vissuto reale va veramente analizzato. Invece no, la stanchezza sparisce se veramente ha deciso. Se lui invece va per comandamento morale, perché ha paura di andare all’inferno, allora quello non è amore. Ma se è sorto l’amore, la stanchezza scompare.
E lo dimostro con un esempio che vi ho portato diverse volte, perché le cose vanno portate a livello dell’esperienza concreta. Tempo fa vi ho descritto di quel tizio, o una tizia, non cambia nulla, che alla fine di una giornata, dove ha sbuffato, ne ha fatte di tutti i colori, è stanco morto. Sta lì sul sofà come morto, non ce la fa neanche a togliersi i pantaloni, o la gonna, per andare a letto, tant’è stanco. Chiaro? Poi arriva uno, bussa all’uscio: gli porta una lettera del suo migliore amico che non si è fatto vedere per tanto tempo! Una lettera… ma come, ma come? Si siede sul sofà, o sta in piedi, è una lettera lunga, per mezz’ora legge, legge, legge… e tu dici: magari continua a essere stanco. No, è bello fresco!, pieno di energie, concentrazione assoluta, è così.
La conoscenza e l’amore sono i due fattori più grandi di trasformazione dell’essere. L’amore trasforma l’egoismo, non c’è più!, l’amore trasforma la stanchezza, trasforma la pesantezza in levità, ma realmente. Dove c’è la luce, la tenebra continua a esserci? No, non c’è più, è sparita, perché se continuasse a esserci l’esperienza reale della stanchezza, il tizio non si muoverebbe dal divano!
Intervento: Però, scusa una cosa, la reazione di quel tale che legge la lettera potrebbe essere uguale anche se le notizie fossero brutte.
Archiati: No, il fattore che fa sparire la stanchezza è l’interesse, non il contenuto, l’aspettava da due anni questa lettera. Che poi il corpo non possa andare avanti settanta ore senza dormire, questo è un altro fattore. Questo esercizio serve a dirci che noi prendiamo la scusa di essere stanchi, ma è perché ci manca l’entusiasmo, perché ci manca l’interesse, perché ci mancano altre forze, quindi il nostro problema è sempre quello che ci manca, non quello che c’è.
Perché se ci fossero certi interessi saremmo capaci di coalizzare due volte di più, tre volte di più di forze, e ci sarebbero, ma le crea l’interessamento. Interessarsi a qualcosa significa raddoppiare le forze che abbiamo a disposizione, altrimenti non c’è interesse, perché un interesse puramente intellettuale non è interesse; quello vero raddoppia le forze di impegno per qualcosa.
Stiamo dicendo insomma che la natura umana è uno strumento musicale passibile di infinite variazioni, non è una realtà fissa, ne può infinite, solo che noi ne usiamo poche, magari. Ci sono libri, lo sapete, su come si può usare il potenziale della mente ecc., e qualcosa di vero c’è. Siccome abbiamo tanto da fare, tanto da fare, ci occupiamo troppo poco di tutto quello che potremmo essere, diventare nel nostro essere. Perdiamo colpi, tanti, perché diamo più importanza a quello che si fa che non a quello che si diventa.
«Affinché il Figlio glorifichi Te», non soltanto la natura dà gloria all’elemento della creatività dello spirito umano, ma la creatività dello spirito umano è la gloria della natura, che sarebbe buia e insensata se non sfociasse in questo elemento. È importante che il testo inverta il «Glorifica il Figlio tuo», poi le traduzioni che abbiamo sono un pochino inflazionate perciò la ricchezza infinita dei termini greci va recuperata: affinché il tuo Figlio glorifichi te, glorifichi il mondo del Padre, il mondo della natura.
Intervento: Hai detto dÒxa, vero?
Archiati: Certo, dÒxasÒn sou tÕn uƒÒn, †na Ð uƒÕj dox£sV sš (dòxason sù tòn uiòn ina o uiòs doxàse sé) glorifica il Figlio tuo affinché il tuo Figlio glorifichi te. Il verbo usato è lo stesso, dox£zw.
Ma, avete già chiacchierato fino a ora? Leggiamolo almeno di seguito questo versetto due: «Come hai dato a Lui la potestà su tutta la carne, affinché tutto ciò che tu hai dato a Lui lo dia a loro, e cioè la vita eterna». L’hanno un po’ pasticciato i manoscritti, perché la frase è talmente ricca, ci mette talmente elementi che alcuni ne hanno tirato fuori una proposizione, altri ne hanno tirato fuori un’altra.
Vi faccio ora la traduzione del testo recepito, che è quello della maggior parte dei manoscritti, però è una traduzione che in italiano non ha pieno senso, è per dare di più un’idea di quello che c’è in greco, però non in tutti i manoscritti.
«Kaqëj œdwkaj aÙtù ™xous…an (kathòs édocas autò exusìan) così come hai dato a Lui la potestà – p£shj sarkÒj (pasès sarcòs) – di tutta la carne, affinché tutto ciò che hai dato a Lui – †na p©n Ö dšdwkaj aÙtù (ina pan o dedokàs autò) –, al Figlio, lo dia a loro – dèsV aÙto‹j (dose autòis)», al plurale, che sono la pluralità degli individui singoli, degli uomini. Hai dato a Lui affinché dia a loro, il Figlio è uno, ma lo Spirito Santo è il Figlio moltiplicato negli uomini. «Hai dato a Lui affinché dia a loro – zw¾n a„ènion (zoèn aiònion) – la vita eterna». Vi ho detto che in italiano non ha senso più di tanto, le interpretazioni ce le dovete mettere voi, le dovete cucire voi!
Buon appetito, ci vediamo oggi pomeriggio.
Sabato 19 Febbraio 2005, pomeriggio
vv. 17,4 – 17,9
Alla fine del capitolo sedicesimo c’era un inciso, e qualcuno mi ha chiesto se l’ho saltato apposta, invece l’ho accennato di sfuggita per cui alcuni non l’hanno notato. Dice: «Abbiate coraggio: Io ho vinto il mondo». L’Io vince il mondo, il fattore di libertà vince sul mondo; forse l’interessante può essere dire una mezza parola sulla categoria del vincere.
Intervento: Sembra che sia riferito al Padre.
Archiati: Il mondo non è il Padre.
Intervento: Siccome il mondo è identificato col Padre…
Archiati: No, non è identificato! Una donna e una madre sono una persona sola ma non sono identificate, sono due dimensioni diverse. Il termine tecnico mondo indica tutte le forze della natura in quanto resistono alla libertà. E questo elemento di resistenza ci deve essere, altrimenti non ci sarebbe esercizio della libertà. In quanto poi, attraverso la forza dell’Io, le forze della natura vengono redente dentro alla libertà – quindi trovano gloria vera, il loro significato vero –, salta fuori che l’essenza più profonda della natura è il Padre.
La natura può quindi essere vissuta sia come luogo di sepoltura della libertà, nel senso che l’uomo si riduce a meccanismi di natura, sia come luogo di resurrezione della libertà. In quanto le forze di natura fanno di tutto per resistere, per fare opposizione, in quanto ostacolo alla libertà, vengono chiamate “mondo”. Invece in quanto fin dall’inizio destinate a rafforzare la libertà, e proprio grazie all’ostacolo, vengono chiamate Padre. Ecco un altro aspetto del paradosso del fenomeno umano.
Intervento: Sono mondo quando ancora non si è alzato il velo.
Archiati: Sono mondo in quanto Mefistofele, e sono il Padre in quanto è il Padre dei Cieli che dà a Mefistofele il ruolo di porre il bastone fra le ruote all’uomo.
Intervento: Lutero scrive affermazioni che danno, secondo me, più l’idea di superare l’ostacolo che di vincerlo, perché con il vincere si pensa più a un nemico.
Archiati: Però in greco c’è vincere, in questo caso viene usato nik£w (nikao), c’è la categoria della lotta, e n…kh (nike) è la vittoria: «™gë nen…khka tÕn kÒsmon (egò nenikeka ton cosmòn)».
Questa riflessione si aggancia direttamente al versetto due del capitolo diciassette, dove eravamo questa mattina: «come tu hai dato al Figlio…». Il Cristo parla col Padre, mica col mondo!, col mondo non si può parlare. Come tu hai dato a Lui, al Figlio, ogni potestà su tutta la carne, così ogni realtà, e quindi anche ogni essere umano che tu dai a lui, darà a loro la vita eterna.
Cosa vuol dire che il Padre dà al Figlio potestà su tutta la carne, quindi su tutto il mondo? Mondo e carne sono due categorie più o meno uguali. Il mondo è la natura in quanto extra umana e la carne sono le forze della natura dentro all’uomo; sono termini tecnici del Vangelo di Giovanni, ma una volta che uno capisce come vengono usati si orienta.
«Tu hai dato a Lui, hai dato al Figlio, potestà su tutta la carne», vuol dire che fino alla svolta dei tempi l’Io umano, l’essere umano, era impotente, era senza potestà sulle forze di natura, perché? Perché il Cristo non era ancora venuto, il Figlio non aveva ancora portato le forze di vittoria sulla natura e non c’era ancora la possibilità di gestire, a livello di pensiero e a livello di volontà, le forze di natura.
La potestà sulle forze di natura è stata data al Figlio, che significa, tradotto in termini che noi possiamo capire: il fenomeno Cristo, l’evento del Golgota, chiamatelo come volete, significa che l’Essere solare (ricordiamo Odisseo che sta sotto la pancia dell’ariete) quando il Sole era nell’Ariete, duemila anni fa, ha portato nella Terra – ha inserito in tutte le pietre, in tutte le piante e in tutti gli animali, e ha immesso dentro ogni essere umano, in ogni anima umana – forze tali per cui tutte le forze di natura non sono più, di necessità, cogenti.
Ha reso possibile all’essere umano di vincere sulle forze di natura. Questa è la potestà su tutta la carne, però è una potestà, una potenzialità, una possibilità, perché se ci facesse vincere automaticamente sarebbe di nuovo un operare di natura dentro di noi.
Il Cristo ha fatto della Terra il suo corpo significa che ha introdotto in essa delle forze cristiche. Dobbiamo immaginarcele proprio reali queste forze:
DIS. 19
Abbiamo la Terra, il corpo della Terra, e l’entrare delle forze cristiche è una cosa reale, soprasensibile ma reale. Tutte le forze della Terra – le forze formatrici delle pietre, le forze del vitale, le forze di ciò che è animico, animale – sono state intrise, nel renderla suo corpo, di forze cristiche. Per cui a tutte le forze di natura è stato tolto il pungiglione (1Cor 15,55) di cogenza, di irresistibilità, per il quale prima di Cristo l’uomo era impotente di fronte alle forze di natura.
Con Cristo, con queste forze nella Terra, Lui toglie a tutte le forze minerali, a tutte le forze vegetali, a tutte le forze animali, ogni possibilità di sopraffare l’uomo. L’uomo non è più impotente di fronte alle forze di natura! Questo è l’evento cristico, questa è l’essenza del fenomeno Cristo. Però il fatto che abbia la possibilità di vincere sulle forze di natura non significa che sia costretto a farlo, perché altrimenti non sarebbe libero. E un essere umano che dice che lo spirito umano, l’uomo, è impotente di fronte alla natura e che la natura è onnipotente, vive prima di Cristo! Sarà un bravo musulmano ma del cristianesimo non ha capito l’essenza.
L’Essere del Sole, l’Io del Sole, che poi è l’Io dell’umanità, lo Spirito del Sole, è diventato lo Spirito della Terra, e in quanto tale intride tutta la Terra di queste forze, grazie alle quali nessun uomo è più impotente di fronte alle forze della natura. E se è impotente, lo è per omissione, omettendo forze che avrebbe la possibilità di attivare e che non è che arrivino tutte in una volta: ci sono nella misura in cui vengono esercitate. Però è possibile, a tutti. È questo che intendo dire quando parlo di potenzialità di libertà.
Il corporeo sono determinismi di natura, è il Padre, e Cristo, il Figlio, fa dell’anima una potenzialità di libertà, le rende possibile la libertà, così che l’uomo non è più impotente di fronte all’onnipotenza della natura, e l’esperienza dello Spirito Santo è l’attualizzazione, al momento presente, di questa potenzialità.
Intervento: Scusa, ma questa azione sulla Terra, sul regno minerale, vegetale, animale, mi è chiara detta così, però poi contestualmente ha fatto qualcosa sullo spirito umano, no?
Archiati: Su tutto, non sullo spirito umano.
Replica: Su tutto, ma sembrerebbe, così almeno lo recepisco io, che sia un’azione fatta su questi tre regni.
Archiati: Ma l’uomo li ha tutti e tre, l’uomo è la somma di questi tre regni. In altre parole, il mangiare prima di Cristo era più cogente che non il mangiare dopo Cristo.
Replica: Adesso ho capito.
Archiati: Altrimenti non sarebbe successo nulla.
Intervento: Naturalmente per Terra intendi tutto il cosmo, tutto il visibile, tutta la natura, tutte le influenze celesti.
Archiati: Tutto il minerale, tutto il vegetale e tutto l’animale, che cosa ti manca? Cosa ho lasciato fuori?
Replica: Il cosmo. Io volevo dire che non è solo il nostro pianeta, è tutto il visibile.
Archiati: No, è la Terra, il Cristo ha lasciato il Sole. Ci sono conferenze in cui Steiner descrive la delusione, la tristezza degli Angeli, degli Arcangeli ecc. che erano abituati a vivere l’Essere del Sole con la Sua dimora, con il Suo corpo, nel Sole, e Lui è andato via. Nei secoli prima di Cristo, Egli si allontanava sempre di più dal Sole e vedendolo andare verso la Terra dicevano: se vogliamo trovare queste forze le dobbiamo cercare e trovare nella Terra e negli uomini. È il mistero della Terra! L’unica alternativa è, posti di fronte a questa affermazione, quella di dire: ma sono baggianate quelle che stai dicendo! Bene, però chi le chiama baggianate è lui povero, perché non mi presenta un’alternativa.
E il decreto, il dogma, o chiamatelo il fanatismo della natura che dice che l’uomo è impotente di fronte ai determinismi di natura, si può dimostrare? Se sei impotente tu, al massimo mi puoi dire che constati la tua impotenza, ma farne un’impotenza di principio in tutti gli uomini è una cosa non scientifica, perché non la puoi mai provare. Però vedete che, benché io stia balbettando, sono tentativi di dire l’essenza del fenomeno, perché è ben essenziale, è fondamentale l’affermazione!
Questo ci dice che i primi 2160 anni – dopo l’Ariete sono venuti i Pesci, perciò sono i pescatori quelli che hanno accompagnato questo periodo –, il senso di questi duemila anni era che il Cristo, venuto nella Terra, creasse dentro agli animi umani sempre di più questa potenzialità di libertà. Lui è venuto duemila anni fa nella Terra per mandare lo Spirito Santo a livello veramente di coscienza, perché lo Spirito Santo, il ritorno di Cristo in forma di Spirito Santo, è un fenomeno di coscienza. Quindi, la seconda venuta di Cristo è possibile soltanto oggi, a partire dai nostri tempi, e non era possibile duemila anni fa. Allora doveva cominciare a creare i presupposti per mandare lo Spirito Santo. E la Pentecoste è un preannuncio di quello che nel corso del tempo sarebbe avvenuto.
Stando alla scienza dello spirito di Steiner – che legge la fenomenologia dell’umanità di oggi dopo quattro secoli di scienza, di pensiero scientifico – è proprio oggi, in questo scorcio, in questo inizio di millennio in cui viviamo, il tempo della seconda venuta del Cristo in forma di Spirito Santo. È il nostro tempo questo, e perciò abbiamo una scienza dello spirito, per la prima volta nell’umanità, che comincia ad articolare il fenomeno Cristo, il mistero del Cristo, in termini di evoluzione di coscienza umana.
In fondo la grande lotta che è in corso, ma proprio senza quartiere, è la lotta tra i poteri costituiti – che vorrebbero continuare a impaurire l’essere umano, a propinargli il dogma feroce che lo spirito umano è impotente di fronte ai meccanismi di natura, così ne fanno loro quello che vogliono –, e il coraggio spirituale del singolo che dice: no, lo spirito umano vince il mondo! Vince, cioè ha tutte le forze per usare tutto il dato di natura come strumento per conquiste della libertà.
Ma scusate, se l’uomo fosse, come gli animali, risultato di leggi di natura…, quand’è che la finiamo con questo fariseismo della morale? Ma siamo stupidi? Ma come ci permettiamo di parlare di morale se non siamo liberi, se è la natura a decidere, a determinare tutto quel che avviene in noi? Ma è da stupidi, è da imbambolati proprio, però noi ci rendiamo conto che non siamo neanche ancora al punto di pensare questi pensieri semplici, fondamentali, puliti. Non ci siamo ancora!, stiamo appena cominciando. Perché poi, i poteri costituiti che dicono che l’uomo è impotente di fronte alla natura, vorrebbero mantenere altrettanto anche la morale con i comandamenti! Così la natura ti dà una botta da una parte, la morale ti impaurisce con l’inferno, in modo che tu, pigliandoti due botte, stai bello zitto!, stai bello tranquillo.
Parlare di morale, con le scienze naturali che abbiamo oggi, è da stupidi. Sono i geni, è il DNA a decidere cosa pensa e cosa non pensa una persona, se uccide o non uccide? E se è il DNA, che c’entro io? Metti in prigione il DNA, no? È lui che ha compiuto il male morale, non io. E la giurisprudenza che abbiamo? Chi condanna?
Intervento: Cerca il gene dell’infedeltà, va in quel senso lì, perché dice: non è l’uomo infedele ma trova il gene.
Archiati: Certo, in Germania però avevo sentito che avevano scoperto il gene della fedeltà, invece in Italia sono più avanti, hanno scoperto il gene dell’infedeltà.
Intervento: Vedi un italiano come recepisce la notizia?
Archiati: È più furba la cosa! Eh, se dipende dai geni, almeno mi gusto il gene dell’infedeltà, ma scusa, vado a prendermi il gene della fedeltà? Vado a farmi fregare apposta, per scelta mia? Nonostante tutto il nostro illuminismo siamo pieni di contraddizioni, abbiamo una cultura piena di contraddizioni. Però c’è il pensiero che dice: l’evento cristico ha immesso nella Terra e in tutte le forze di natura, le ha proprio intrise di forze dell’Io, di forze di luce, di conoscenza, di forze di amore!, per cui ogni spirito umano che cerca questa luce, che cerca questo calore dell’amore può vincere sul mondo, sulla carne. E accanto a questa affermazione c’è sempre l’altra affermazione che può essere possibile omettere questa vittoria, non saremmo liberi altrimenti. E per omettere basta lasciar fare tutto alla natura, la natura non perde colpi, o non sarebbe natura.
Intervento: Quando hai fatto l’esempio questa mattina dell’uomo stanco che doveva andare in ospedale a trovare l’amico, quando poi decide di andare vince il mondo?
Archiati: Certo, è una piccola vittoria sul mondo. Quali fattori gli dicevano: non ce la faccio, non ce la faccio?
Replica: La pigrizia…
Archiati: Del corpo fisico.
Continua: …l’inerzia.
Archiati: Del corpo eterico. Le forze minerali, le forze vegetali e le forze animali di lui. E chi dice: «lo faccio»? È lo spirito, l’Io. Più lo fai, più lo ripeti, più lui diventa forte! Più ometti, capitoli, e più diventa debole.
Intervento: Farlo volendolo nella libertà, però. E se lo fa perché ci sono il padre e la madre che gli dicono vai?
Archiati: Lì si raddoppia la stanchezza, raddoppia i motivi per non andarci.
17,2 «Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato».
Riprendiamo questo secondo versetto: «Così come hai dato a Lui, al Figlio…», alle forze dell’Io, al Cristo – che è l’insieme dell’esuberanza creatrice della conoscenza e l’insieme dell’esuberanza creatrice dell’amore – «…potestà su tutta la carne», su tutte le forze dei determinismi di natura «affinché ogni essere umano», tutto ciò che si mette in connessione, si intride delle forze del Cristo, delle forze dell’Io, «tutto ciò che tu hai dato a Lui, dia a loro la vita eterna».
La vita eterna è l’essere vivi quando il corpo muore, il corpo è perituro, non è eterno. La vita eterna è ciò che l’essere umano può compiere indipendentemente dal corpo e che quindi c’è, sussiste anche dopo la morte, senza il corpo.
Torniamo all’affermazione di tanti scienziati naturali (non voglio essere estremo, ci sono anche eccezioni, che hanno poi i loro problemi) che dicono: non c’è nulla nell’uomo – pensieri, sentimenti o atti di volontà – che non sia prodotto dal fatto biologico. Quando l’uomo muore, cosa resta? Se uno è onesto deve dire che non resta nulla, altro che vita eterna!
Intervento: E così era prima del Cristo.
Archiati: E così era prima del Cristo, non c’era l’immortalità individuale, perché non c’era ancora l’individualità, e qui si parla della vita eterna dell’individuo, non la vita eterna del Padreterno, quella ce l’aveva già.
Intervento: E prima di Cristo, quando uno moriva, che succedeva?
Archiati: Non era uno che moriva, era una compagine animica che restava tale e quale, ma non era uno spirito.
Replica: Però la compagine animica rimaneva.
Archiati: Sì, ma non era uno spirito. Ma anche l’animale è la stessa cosa. Quando un cagnolino muore, l’anima di gruppo resta tale e quale, resta illesa.
Intervento: Non era cosciente di sé.
Archiati: Sì, non era un io individualizzato.
Intervento: Voglio dire: la parte soprasensibile dell’essere umano…
Archiati: Allora era anima, non era spirito.
Replica: Ho capito, quella parte lì continuava a vivere anche prima di Cristo, dopo la morte fisica…
Archiati: Spero bene, soltanto il corpo fisico si decompone. Ma lo stesso vale anche per il corpo eterico.
Intervento: Per questo c’era la memoria nei secoli, quella dei patriarchi, no?
Archiati: È il ritornare nel seno di Abramo: anima di gruppo.
Intervento: Non c’era la coscienza, ma le reincarnazioni prima di Cristo riguardavano l’anima.
Archiati: No, non c’era la coscienza individualizzata.
Replica: Però le reincarnazioni riguardavano lo spirito.
Archiati: No, prima del Cristo non c’era la reincarnazione dello spirito, perché non c’era lo spirito individualizzato, tant’è vero che in Platone, in tutta la tradizione greca, trovi la parola metempsicosi. Psykhé è l’anima, metempsykhosis è l’anima che passa da un corpo all’altro, ma è sempre l’anima, non lo spirito.
Replica: Ma quei personaggi prima di Cristo che noi diciamo che si sono reincarnati?
Archiati: L’anima s’è reincarnata, anzi si è reincorporata, non lo spirito.
Intervento: Ma l’anima si è reincarnata.
Archiati: Sì, ma non lo spirito!
Replica: È per capire, dobbiamo capire il processo reincarnatorio com’è.
Archiati: Sì, ma guarda che ogni volta che nasce un cagnolino l’anima del cane si reincarna. Tutto sta a vedere se è un’anima – quindi sempre uguale, nello stesso tipo di cagnolini –, o se è uno spirito individualizzato, per cui un cane dice: io. E all’altro cane dice: no, tu non sei io!
Replica: Per cui il nostro karma ha inizio solo dopo il Golgota? Non abbiamo karma prima del Golgota?
Archiati: Lo dicevamo già ieri sera, c’è una differenziazione che è avvenuta per conduzione divina, di necessità, e l’essere umano la prende in mano quando ne prende coscienza.
Replica: È karma di cui non siamo responsabili.
Archiati: Di cui non siamo responsabili, certo, perché è karma di gruppo. Tenendo presente però che questa svolta di cui parliamo continuamente non è fatta di due secondi, è molto complessa. Il bambino che cresce, in effetti, vive un periodo in cui viene condotto dal di fuori, perché non ci sono condizioni per un’autonomia individuale. Dieci anni o vent’anni dopo si gestisce da solo, però i trapassi dall’uno all’altro periodo sono molto complessi.
Così è anche per l’umanità e quello che nella vita del singolo abbraccia degli anni, nell’umanità abbraccia per lo meno dei secoli. Le cose sono complesse però il fenomeno è lo stesso, e nella sua essenza è ben comprensibile, perché c’è un’inversione. Quando aveva cinque anni non era capace di pensare in proprio, di gestirsi da solo, quando ne ha venticinque ne è ben capace. Come è successa questa svolta? Piano piano, nel corso del tempo, però è un’inversione assoluta!
Prima di Cristo l’essere umano non era un io individuale che potesse dire: non m’importa niente di Mosè, la Legge di Mosè, per me, è soltanto sostrato della mia libertà individuale, io decido! Perché non c’erano queste forze. Duemila anni dopo Cristo ci sono, o cominciano a esserci, e lo vediamo che sono appena cominciate. Come è avvenuto questo cambiamento? Piano piano, è complessa la cosa, però nella sua essenza è altrettanto chiaro che una svolta è avvenuta.
Nella misura in cui l’essere umano diventa un io singolo, uno spirito, che risponde delle proprie azioni, dei propri pensieri, parliamo di reincarnazione dello spirito, nella misura in cui abbiamo a che fare con un essere umano bambino, che viene condotto dal di fuori dalla mamma Chiesa, dal papà Stato, dobbiamo parlare di metempsicosi, di…
Intervento: Di reincarnazione dell’anima.
Archiati: No. Di trasmigrazione dell’anima, che sono due fenomeni ben diversi.
Intervento: Quindi la coscienza di sé nel post mortem è possibile solo in relazione alla reincarnazione dell’io. Se l’uomo non omette di esercitare la coscienza di sé durante la vita terrena.
Archiati: Certo, ed è questo di cui parla a proposito della vita eterna.
DIS. 19 bis
Allora: l’essere umano muore e questo, l’immagine della farfalla che esce fuori, è il suo spirito. Se nel suo spirito ci sono soltanto i comandamenti della Chiesa, le leggi dello Stato ecc., è in grado di dire «io»? No, non c’è nulla di io, non c’è nulla di individuale. Se invece, nella vita, questo elemento se l’è pensato lui, quest’altro elemento se l’è deciso lui, questa responsabilità se l’è presa lui, resta un Io! Avrà un sacco di cose di cui dirà: questi non vengono né da Mosè né dalla Chiesa né dallo Stato, vengono da me.
Questa è la vita eterna del singolo, perché la vita eterna dell’umanità ce l’ha sempre, mica l’umanità sparisce dall’oggi al domani. In altre parole, di ognuno di noi resta, dopo la morte, tanto quanto ognuno ha costruito di individuale. La natura fa in me durante la vita? Quando io muoio resta la natura in me, non io. La Chiesa fa in me? Allora in me resta la Chiesa, non io!
Intervento: Questi sono i talenti.
Archiati: I talenti individuali, e vanno fatti fruttare!, vanno movimentati.
Replica: Se ho avuto dieci talenti e ne rendo dieci, io rendo ciò che non è mio.
Archiati: Sì. Sta attento, e perciò la parabola dice che quello che ne ha avuti cinque ne porta dieci. Quello che ne ha ricevuto uno, non era contento perché era troppo poco, e cosa ha fatto? L’ha sepolto. L’ha sepolto con l’intenzione di riportargli il suo, e gli viene detto: no, tu hai zero, perché conta soltanto quel che ci aggiungi.
Intervento: Quindi, nell’esempio sopra, se io ne ho 5 e gli altri 5 li ho aggiunti, mi rimangono; se ne ho avuto uno e ne rendo uno ho zero.
Archiati: Esatto. E perciò gli si dice: non mi va bene che tu porti solo quello che io ti ho dato, perché la Grazia non è per farti poltrire, ma vuol farsi da sostrato per ciò che tu ci aggiungi nella libertà. Se non ci aggiungi nulla, vanifichi il suo senso. Qual è la somma della Grazia? La natura! Chiamatela natura, chiamatela Grazia, è la stessa cosa, è quello che il buon Dio ci dà. Però se serve a poltrire, vanifico il suo significato, perché è fatto per farsi da sostrato, per mandare il Figlio. Il Padre ha un senso soltanto se manda il Figlio. Se non manda, se non genera il Figlio, è un Padre? No.
Nella misura in cui comprendiamo le cose, e nella loro essenza, i conti devono tornare. Perché ci troviamo adesso a una soglia del divenire dove ci incombe il capire i fondamenti dell’evoluzione umana nella loro essenza, nel caso contrario siamo perduti! Perché i poteri costituiti che vogliono far di tutto per sommergerci nell’onnipotenza di Jahvè, nell’onnipotenza di Allah, nell’onnipotenza del DNA, quelli sì che sono forti, quelli non perdono colpi. E l’unico modo di salvarci è di svegliarci!
Intervento: E questa è fede, no? Pistis è l’esercizio della nostra potenzialità.
Archiati: Sì, però usi una categoria che è stata inquinata in assoluto, perché, che significa fede? Fidati di lui, siccome tu non puoi nulla, fidati di lui… vedi?
Replica: Invece è il contrario.
Archiati: È il contrario, però stai attento a usare queste categorie, come se tu adesso tutto all’improvviso potessi far dire loro tutto il contrario di quello che hanno detto per duemila anni.
Intervento: Ci dai la traduzione di questa frase così balorda, per favore?
Archiati: Quale?
Replica: Quella che avevi detto stamattina, che era così contorta.
Archiati: «Come hai dato a Lui la potestà su tutta la carne» (e abbiamo sbuffato finora per capire un pochino cosa significa), gli hai dato questa potestà «affinché» qui è espressa la finalità, «tutto ciò che hai dato a Lui» tutto ciò che la natura espone all’umano, e l’intera natura viene esposta al fenomeno umano, «dia a loro», il Figlio – il Cristo, l’esperienza dell’Io, le forze solari di creatività a livello intellettuale e a livello morale – dia a loro «la vita eterna». Però la vita eterna dell’Io singolo, dell’uomo, non la vita eterna del gruppo o della Chiesa.
Replica: Qui c’è scritto: «a tutti coloro che gli hai dato», cioè agli esseri umani che il Padre ha affidato al Figlio. Il Padre ha permesso che il Figlio raggiunga tutti gli esseri umani.
Archiati: Sì, ma non soltanto però, perché indirettamente ci sono tutti gli spiriti della natura.
Intervento: A tutti coloro che gli hai dato.
Archiati: No, non è «a tutti coloro», è p©n (pan), che significa “tutto”, è di genere neutro.
Replica: Ah, bene.
Archiati: Il testo fa delle affermazioni assolute, perché l’evento cristico coinvolge tutto, perciò vi dicevo che le forze del Cristo intridono il tutto della Terra, il tutto. A che servirebbe se il Cristo intridesse tutti gli uomini delle forze cristiche però lasciasse l’onnipotenza alle forze di natura? Sarebbe una buggeratura. Deve cambiare anche le forze di natura, deve togliere loro il pungiglione di onnipotenza, di cogenza assoluta. Dopo Cristo – grazie all’inabitare dello Spirito del Cristo nella Terra, che è diventata il Suo corpo – toglie a ogni forza di natura la capacità di costrizione nei confronti dello spirito umano. E se l’essere umano la vive come cogente è perché abdica ad attivare in sé la sua forza cristica.
Sono affermazioni fondamentali, questi sono i cardini dell’esistenza umana. Se noi facciamo dei compromessi su queste affermazioni, abbiamo almeno l’onestà intellettuale di svendere la morale e smettere di parlare di bene e di male! Se sono impotente di fronte all’onnipotenza di Allah o della natura, come mi si può imputare una responsabilità nei confronti della mia impotenza? Non ci posso fare nulla!
Intervento: Ma perché se usa p©n dopo però usa aÙto‹j (autois) cioè usa un plurale? Questo si riferisce a quanto del pan è già divenuto individuale?
Archiati: No, il Cristo intride il tutto; e questa azione crea i presupposti perché sorga l’individualizzazione, e nell’aÙto‹j sono individualizzati. Però il Cristo crea la potenzialità, non lo fa Lui, non crea direttamente Lui gli aÙto‹j, li rende possibili. Il testo è preciso in ogni minimo particolare, e deve esserlo.
Intervento: Ho una domanda che si pone a questo punto: questa cogenza viene tolta anche a ciò che della natura viene alterato da parte dell’uomo? Per esempio la natura transgenica, gli OGM?
Archiati: Pensa, continua a pensare il pensiero che hai avviato, perché ti fermi e aspetti l’imbeccata da me?
Replica: Io mi sono già dato la risposta, per me siamo fuori dal regno del Padre, siamo in mano a un’altra divinità, chiaramente. Vorrei avere la conferma da te, ma per me è così.
Archiati: Le forze di natura sono intrise dello spirito del Padre, più, a partire da duemila anni fa, dello spirito del Figlio, del Cristo. Adesso noi ci mettiamo dentro lo spirito dell’uomo, perché i pensieri che combinano questi geni sono pensieri umani. La domanda è: di che tipo è questo spirito dell’uomo?
Perché abbiamo all’opera: fino all’evento del Cristo opera il Padre nella natura; a partire da duemila anni fa operano il Padre e il Figlio; a partire dal ritorno del Cristo in forma di Spirito Santo operano nella natura: Padre, Figlio e Spirito. Ma siccome lo spirito è per natura libero, diversamente sarebbe anima, può essere sia Spirito Santo sia spirito diavolo.
Allora, lo spirito umano, lo spirito dell’umanità – lo Spirito Santo è lo spirito negli uomini, in quanto fattore umano – partecipa alla formazione delle forze di natura, ma che cosa rende Santo questo spirito?
Replica: Che è intoccabile.
Archiati: No, che è intriso delle intenzioni di far sì che tutto ciò che noi facciamo alla natura sia massimamente favorevole alla libertà. Oppure possiamo essere intrisi di uno spirito che vuol far di tutto per manipolare le forze di natura in modo tale da fare più soldi possibile, o esercitare il più possibile il potere sugli uomini. Allora è un altro spirito! Se lo spirito che interviene sulle forze di natura non è santo…, i risultati sono quelli che sono. Però una partecipazione dello spirito umano alle forze formanti della natura è prevista, se no che ci sta a fare questo spirito?
Lo spirito umano trascinerà con sé la natura nell’abisso, o la porterà con sé nella resurrezione. È quello che ci diciamo sempre. Il cristianesimo ha questi termini tecnici, però ora li dobbiamo riconquistare in chiave di scienza dello spirito, prima c’era solo il cristianesimo della fede, giustamente, non si poteva avere altro.
Il termine tecnico è resurrezione, non soltanto dell’uomo, resurrezione della carne, del mondo, della natura. Resurrezione della natura significa che lo spirito umano, in questo processo di liberazione, di spiritualizzazione del suo essere, spiritualizza tutte le leggi e tutte le forze del minerale, tutte le leggi e tutte le forze del vegetale, tutte le leggi e tutte le forze dell’animale.
Oppure deve avere la possibilità di precipitare se stesso e tutta la natura nell’abisso.
Intervento: Senti, allora in questa maniera vanifica l’azione risanatrice delle forze del Cristo sull’azione cogente della natura?
Archiati: Sì, certo, e allora ti chiedo: questa possibilità ci deve essere o non ci deve essere?
Replica: Ci deve essere.
Archiati: Diversamente non saremmo liberi. Il Cristo non ti può imporre la Sua opera, è un’affermazione che continuiamo a fare; adesso da un altro punto di vista, di nuovo, te la offre come possibilità evolutiva, però hai la possibilità di vanificarla.
Per quanto ci riguarda la libertà umana è il rischio cosmico più immane della creazione! Sono categorie umane che usiamo, perché quali rischi la divinità abbia compiuto nell’evoluzione degli Angeli non lo sappiamo. Per quanto riguarda l’evoluzione umana il rischio più grosso è quello della libertà umana: è, diciamo così, una scommessa. Sono categorie umane, perché Padre e Figlio non è che stiano lì a scommettere, però ci capiamo! Essendo uomini dobbiamo usare antropomorfismi, l’importante è che teniamo conto che usiamo queste categorie umane per parlare del Padre e del Figlio. Se però ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza le affermazioni che facciamo sull’uomo devono avere, di riflesso, una qualche validità anche per il Padre di cui siamo figli.
17,3 «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo».
Il capitolo non finisce qui, non è che dobbiamo spiegare o capire tutto con i primi due versetti, va avanti la questione! «Questa è la vita eterna: affinché conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato: Gesù Cristo». L’unico Dio vero è quello che manda il Figlio. C’è una cosa cui Steiner accenna nelle sue conferenze (da trent’anni sono innamorato di Rudolf Steiner, e la situazione peggiora di giorno in giorno, anzi migliora…): negli antichi misteri, nelle scuole dell’esoterismo prima di Cristo c’erano due correnti fondamentali. C’era una corrente misterica che conosceva soltanto Dio Padre e che ignorava i misteri del Sole, non sapeva che l’Essere del Sole stava per venire sulla Terra. Ne facevano parte anche i misteri dell’ebraismo e del mohammedanismo, erano le scuole misteriche micidialmente monoteistiche: c’è un Dio solo!, perché, se salta fuori un Figlio sono già due...
Poi c’erano altre scuole misteriche, altre tradizioni che avevano già una conoscenza a livelli più profondi del nostro cosmo – i misteri di Zarathustra per esempio –, quindi erano iniziati che sapevano che non soltanto c’è un Padre, cioè una natura, ma che è previsto l’emergere della libertà dello Spirito umano grazie al Figlio di Dio Padre, che stava per lasciare il Sole. È Colui che sta per venire, e questi iniziati che preannunciavano i misteri del cristianesimo parlavano dell’Essere del Sole che stava venendo sulla Terra.
È una distinzione, una differenza fondamentale, che ci fossero questi due tipi di misteri. I primi – è terribile la cosa – venivano iniziati alla realtà eterna del Padre, del Divino, senza la possibilità di coscienza di vedere quest’altra seconda dimensione. Che è la sola che dà significato a tutto ciò che è di natura!, che è quella dell’emergere della libertà, della creatività dello spirito umano, grazie al Figlio.
I giudei avevano allora una Sacra Scrittura che era a metà strada, era una specie di compromesso tra l’esoterismo e qualcosa da dare a tutto il popolo. I profeti facevano un po’ da tramite tra l’esoterismo ebraico, però di stampo rigidamente monoteistico, e il popolo. Noi abbiamo visto che in tutte le cosiddette diatribe, in questi discorsi lunghissimi nel Vangelo di Giovanni – e adesso capiamo il perché – qual è la grossa difficoltà? Che arriva uno che si presenta come Figlio e parla del Padre, del Padre che ha un Figlio, e loro non hanno la minima idea di cosa parli, il loro Jahvè è l’onnipotenza della natura che non ammette discussioni, che non ammette libertà, richiede solo sottomissione.
Però, questi dodici e alcune altre persone, attraverso il candore, la semplicità del cuore umano, hanno sentito una tale attrattiva verso questo fenomeno del Figlio che hanno capito, in fondo hanno intuito a livello del cuore, che la moralità, se non c’è libertà, non ha senso. E hanno sentito un’attrattiva nei confronti di questo Figlio.
Allora dice: «Questa è la vita vera, la vita eterna, che conoscano il Padre», ma questo in un certo senso c’era già, è la seconda parte che è fondamentale: che conoscano il Padre, e in più, il Figlio, «e colui che tu hai mandato». Il Dio vero è il Dio che rinuncia alla sua onnipotenza nel Figlio, che Lui manda ad amare gli esseri umani.
Un altro Dio vero non c’è. Tutti gli altri dèi, o ogni Dio Padre, che non rinunci alla propria onnipotenza è falso, non è il Dio vero. Io ho annunciato loro il Dio vero, quello che manda il Figlio. E mandando il Figlio rinuncia, non vuole più essere onnipotente, lo era finora ma d’ora in poi non vuole più esserlo nei pensieri degli uomini gestendoli Lui, prevedendo già in partenza cosa loro penseranno, perché pensa Lui dentro di loro. Non vuol più essere onnipotente negli atti di volizione degli esseri umani, si ritira, rinuncia alla sua onnipotenza per far posto alla libertà umana. Questo è il Dio vero.
17,4 «Io ti ho glorificato sulla Terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare».
Io ti ho glorificato sulla Terra – ™pˆ tÁj gÁj (epì tes ges) sulla Terra, non nel cosmo – portando a compimento l’opera che tu mi hai dato affinché io la compia – †na poi»sw (ina poièso). L’opera del Cristo è di creare tutte le condizioni necessarie per la libertà umana. Quali sono le condizioni per la libertà umana? La capacità, la forza di trasformare ogni morte, ogni impotenza, in resurrezione! Questo è l’operare del Cristo: la forza dello spirito umano di trasformare ogni tentativo della natura di mortificarmi con la sua cogenza, di annullarmi in quanto spirito libero, è la forza di vincere e di risorgere come spirito, ancora più forte e ancora più libero.
L’opera eterna del Figlio è di passare attraverso la morte da vittorioso, emergendo più forte, risorgendo più forte. È l’affrontare tutte le leggi di natura rafforzando la libertà dello spirito, però nessuno ti può costringere, sei libero di non farlo. Possibile però lo è, e lo ha reso possibile facendolo Lui, entrando dentro a tutte le forze della morte, vanificando la loro onnipotenza.
17,5 «E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse».
E ora, glorificami Tu, o Padre, presso di Te con la gloria – con lo splendore, con le forze di resurrezione – che Io avevo presso di Te prima che il mondo fosse. La Terra, tutte le forze di natura della Terra sono state create dopo che è stato deciso di crearle per la resurrezione dello spirito umano. Prima è stato deciso: ci deve essere la resurrezione dello spirito umano!, e poi, allora, gli dobbiamo creare un luogo di morte, un luogo di forze sulle quali può vincere.
Glorificami con la gloria che io avevo presso di te, prima ancora che la Terra fosse creata come condizione, strumento necessario per l’evoluzione dello spirito umano. Quindi, prima è stato creato, è stato concepito lo spirito umano vittorioso su tutto ciò che è determinismo di natura e poi gli sono state date le controforze necessarie, non viceversa, perché sarebbe un’assurdità. Cosa facciamo quando vogliamo rafforzare i muscoli? C’è prima il muscolo e poi la molla per rafforzarlo o il contrario? Prima c’è ciò che va rafforzato e poi si cerca il mezzo giusto per rafforzarlo.
Intervento: La molla adatta.
Archiati: La molla adatta. Se non bastano tali affermazioni a darci coraggio, a infonderci forza, che vogliamo di meglio? Noi siamo stati concepiti prima di tutto ciò che c’è nella Terra, e tutto è stato creato per renderci più liberi, più forti, più sovrani, più creatrici e più creatori.
Replica: Cioè siamo stati creati prima che avvenisse la caduta, quindi la caduta è la controforza, è venuta dopo per darci la possibilità di…
Archiati: Come strumento. Prima c’è il fine, e il fine è all’inizio e poi ci sono gli strumenti per arrivarci.
Replica: Anche per rispondere a quello che si diceva prima: ma la caduta ci doveva essere o non ci doveva essere?
Archiati: Traduci la categoria di caduta, cos’è?
Replica: È l’incarnazione dello spirito nella materia.
Archiati: L’entrare nella controforza.
Replica: Per esercitare le forze che servono a liberarti…
Archiati: Ecco, puoi rafforzare una forza senza misurarti con la controforza? No, ci resta di nuovo da dire che il concetto di caduta è stato inquinato del tutto perché è stato moralizzato, e il peccato originale è stato presentato così come se fosse un peccato morale.
Qui si tratta di fare un cammino di pensiero, ci sono tanti pensieri non pensati, tutti sbagliati, intrisi di moralismi. La cosiddetta caduta è l’individualizzazione: materia principium individuationis, era un adagio della Scolastica. Come potremmo essere individualizzati, ognuno a sé stante, se non ci fossimo inseriti nella materia? I nostri pensieri qua, non è che si taglino a fette: allora i tuoi pensieri arrivano fino a questo punto, ma a partire da lì poi ci sono i miei… Quindi guai a te se oltrepassi quel punto!
Replica: Però Steiner dice che se non fosse avvenuta la caduta nel modo che sappiamo, con la tentazione, all’uomo sarebbe stata data ugualmente la possibilità, a metà dell’epoca atlantidea, più o meno, di compiere questo lavoro di individualizzazione per trovare la dimensione della libertà.
Archiati: Non ti capisco, proprio non ho capito, sono il solo?
Replica: Nella scienza dello spirito ci sono queste affermazioni di Steiner, riguardo alla caduta, il tema è la caduta. Sappiamo che è avvenuta attraverso la tentazione luciferica, ma è avvenuta anzitempo, dice, rispetto a quanto era stato previsto dalla divinità.
Archiati: No, ecco, è lì – adesso ho capito –, è lì lo sbaglio. Semplifico, sarebbe troppo complesso. Quando hai detto divinità, allora ho capito dove sta il problema. E questo ci fa capire perché l’esoterismo ebraico difatti non aveva coscienza dei misteri del Figlio. Comincio in modo semplice e poi lo rendiamo più complesso andando avanti.
Le due istanze nel paradiso sono: Jahvè/Elohim e il serpente. Tu hai detto che Jahvè è la divinità più alta, no, non è vero: Jahvè/Elohim sono Spiriti della Forma, e ci sono ancora quattro o cinque gradini prima di arrivare alla Trinità Divina. Allora: qui c’è la Divinità, il capo supremo, di cui l’ebreo normale non aveva la minima idea, e perciò non capisce quando il Cristo parla di Padre e Figlio, perché conosceva Jahvè, che è a livello dello Spirito della Forma.
Gli Elohim sono una Gerarchia angelica che è responsabile di portare avanti la creazione, che prima era spirituale, poi è diventata animica, poi è diventata vitale, e loro sono quelli che hanno portato la creazione dal gradino tre al gradino quattro. In quanto Spiriti della Forma hanno dato le forme fisiche.
In questa fase la Divinità si rivolge a Jahvè e al serpente, a Lucifero.
Divinità
Padre
Jahvè/Elohim/Spiriti della Forma Lucifero/serpente
Jahvè non è la divinità più alta, riceve dalla Divinità il compito di pianificare un’evoluzione senza libertà. E ci vuole pur qualcuno che faccia questo!, che ci provi se no non ci sarebbero le controforze della libertà, e Lucifero, il serpente, ci mette la libertà.
Se Jahvè, che dice «non devi mangiare dell’albero», fosse la divinità suprema sarebbe una divinità che non vale nulla!, perché tutta l’evoluzione gli va fuori mano e va nel senso del serpente e non nel suo senso… E allora, che divinità è? Vedi che basterebbe questo pensiero? Alcune volte uno si dice: arriva questo Steiner che ti mette le cose in un modo così convincente… ma è mai possibile che siano stati così scemi in tutta la teologia? Leggiamo la Bibbia all’inizio. Dio creò e Dio disse: non si deve mangiare da questo albero ecc, ecc, e poi l’evoluzione va come vuole il serpente, e non come vuole Dio. Ma che Dio è?
Intervento: Allora questo spiega anche l’affermazione di Steiner che dice: la caduta è stato il frutto di una lotta tra gli Arcangeli e Jahvè, gli Spiriti della Forma.
Archiati: Certo, e là sopra chi c’è? C’è chi dice: se non c’è forza e controforza non salterà mai fuori la libertà! Allora dice a Mefistofele: Mefisto, a te do l’incarico di mettere i bastoni fra le ruote, questo è il tuo compito. E a Faust dà il compito di dargli contro! Però ci vogliono tutti e due.
Allora: il mangiare dall’albero della conoscenza è successo contro la volontà di Dio? Che volontà è se la volontà dell’uomo di mangiare è più forte della volontà di Dio?
Intervento: Quindi, in questo senso, a questo livello è stato deciso il fine dell’evoluzione, come dicevi, prima è stato deciso lo spirito umano libero e poi sono state messe le condizioni perché si potesse generare.
Archiati: Certo, e per la libertà la condizione di ogni condizione è la controforza…
Replica: Ti faccio questa domanda perché nella Filosofia della libertà c’era stato un punto, che mi aveva colpito, in cui Steiner dice appunto che il creato è compiuto, a eccezione di una creatura, diciamo così, che è lo Spirito umano libero, che è stato affidato alle mani dell’uomo.
Archiati: Sì, ma questo fattore qui salta fuori all’improvviso senza che sia stato previsto, o è stato previsto? È per questo che dice: «prima che il mondo fosse».
Replica: Come potenzialità.
Archiati: Certo, altrimenti non è libertà. Però la domanda è: è stata messa in conto fin dall’inizio o il povero Dio s’è trovato di fronte a una sorpresa che non aveva calcolato? Ed è questa l’affermazione: «la gloria che tu mi hai dato prima della creazione del mondo», perché il mondo è stato creato per dare alla libertà la possibilità di esercitarsi. E una Terra che dà all’uomo la possibilità di esercitarsi deve essere piena di tutte le controforze necessarie, perché senza un confronto tra forza e controforza non ho scelta di libertà.
Intervento: Ma che differenza c’è fra l’impulso di libertà portato dal Cristo e quello portato da Lucifero? Ci sarà una differenza…
Archiati: È come se tu dicessi: che differenza c’è fra il bambino di cinque anni e l’uomo di venti? Ci sarà pure una differenza. Devo dirlo in una frase? Me lo dici tu che differenza c’è?
Replica: Che a cinque anni è un bambino e viene condotto dal di fuori, l’uomo a venti è pronto per iniziare il cammino di libertà.
Archiati: Si spera!
Replica: Si spera, certo.
Archiati: Il testo sacro non ti dà affermazioni soltanto metafisiche o astratte, ma, soprattutto usando delle immagini, ti dà la possibilità di riprendere tutte queste immagini – la vite, il buon pastore ecc. – per tradurle in concetti. Cioè nell’epoca dello Spirito Santo noi riceviamo le forze, come la scienza dello spirito, per farlo. Che immagini ci sono nella Genesi? C’è l’albero con le mele, il pomo d’Adamo, al maschio è rimasto qui, nel gozzo, invece le femmine se lo sono trangugiato, il pomo…!
La mela, in latino malum. La pianta magica che Ermete, cioè Mercurio, dà a Ulisse per vincere la maga Circe si chiama mîlu, mòlu. Sono tutti misteri, questi, che si riferiscono alla forza e alla controforza.
Allora, arriva il serpente, questa è Eva, Adamo lo mettiamo un po’ più in là, è lei che dà la mela a lui! Furbetta è stata la donna, non l’uomo, il maschio ci è arrivato solo dopo.
DIS. 20 – Eva, il serpente, la pianta.
Questi esercizi vanno sempre rifatti. Guardate che vi sto traducendo in termini di pensieri il Testo Sacro, l’inizio della Genesi. Capendo l’inizio della Genesi è chiaro che poi capiamo il fenomeno della svolta, va tutto insieme: o capiamo il tutto o non capiamo nulla, d’accordo?
Allora, il serpente le dice: ma, di tutti gli altri alberi hai mangiato il frutto, e lo sai perché Jahvè ti ha detto di non mangiare da quell’albero lì? Perché quello è il meglio che ci sia! E lui ha paura perché se tu mangi quella mela lì, ti si apriranno gli occhi (è la percezione dei sensi) e saprai distinguere il bene dal male (alla percezione saprai aggiungere il concetto). Ma questa è Filosofia della libertà pura! Il serpente fa a Eva una filosofia della libertà...
È proprio così! «Vi si apriranno gli occhi» significa che l’uomo diventa capace di percezione, e così diventa poi capace anche di concetto. «Conoscere il bene e il male» è il pensiero che si appiccica alla percezione, però la somma di tutti e due, di essere capaci di percezione e di concetto è – e qui casca l’asino – diventerete come dèi. Ed Eva pensa: allora ho capito perché Jahvè non vuole che la mangi, è perché ha paura della concorrenza!
Intervento: Sì, però il serpente non gli ha aggiunto che se la mangiate morirete…
Archiati: Ah! Ma scusa, che venditore è se gli va a dire il lato negativo della merce? Chi glielo dice il lato negativo? Jahvè, che non vuole che la mangino. Il serpente dice: eh, certo che ti doveva dire così, perché non vuole che tu diventi come Dio.
Intervento: Come Lui.
Archiati: Certo, «Diventerete come dèi», come Lui, è chiaro. Sta attento, però: siccome non vuole che l’uomo mangi, questo Jahvè non può essere la divinità più alta!, perché quest’ultima vuole che l’uomo mangi, altrimenti non lo farebbe. Jahvè invece non vuole perché non ti vuole libero, l’impulso della libertà non è il suo compito. Il suo compito è la creazione in quanto fatto di natura, dove non c’è libertà. Allora: chi ha ragione, il serpente o Jahvè?
Intervento: Tutti e due.
Archiati: Tutti e due! L’albero della conoscenza è ancora in mezzo al paradiso, eh!, l’abbiamo visto nel mito di Ulisse, l’albero della conoscenza è la spina dorsale, qualche volta anche con un cervello sopra… per lo meno il cervelletto c’è, poi, se c’è anche un cervello, ancora meglio. Quello è l’albero della conoscenza.
Congiungendosi col corpo – inabitando il corpo, identificandosi con questo –, nasce l’esperienza della morte. «Voi morirete» significa che l’uomo comincia a fare tante esperienze che deve al corpo, per cui ha sempre più paura che, quando va via il corpo, vada via tutto.
L’esperienza della morte è in relazione col fatto di inabitare il corpo, di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza. Però congiungendo le forze dell’anima col fisiologico – è questa l’¡mart…a (amartìa), l’inarticolare l’anima dentro al corpo – si ha la capacità di percezione e di concetto, che è la capacità di pensiero e di autonomia spirituale: «diventerete come dèi».
Intervento: Almeno potenzialmente, perché poi se l’uomo non…
Archiati: Piano, piano, il serpente è il commesso che deve rendere appetibile la cosa, quindi ti deve presentare tutti i lati positivi e ti deve nascondere tutti quelli negativi. Jahvè invece, che non vuole che tu mangi, fa l’opposto, ti presenta tutti i lati negativi, ti dice che muori, ma non ti dice i lati positivi. Che cosa fa parte di ciò che il serpente deve nascondere?
Intervento: Che ci vuole tutta l’evoluzione per arrivare fino in fondo.
Archiati: Lui fa come se, mangiando il frutto, subito diventassero come Dio, non ha detto che ci vogliono un paio di millenni. Perché può darsi che se glielo avesse detto Eva avrebbe ribattuto: ma chi me lo fa fare?
E il Cristo, qualche millennio dopo, cosa dice? «Voi siete dèi» (Gv 10,34), è la stessa affermazione, con una piccola differenza di tempo. Quando di un bambino di tre anni dico: sei uno spirito autonomo… Per fortuna non capisce nulla!, ma è falsa l’affermazione? No, non è falsa, ma non è neanche del tutto giusta. Dopo venticinque anni si spera che sia un pochino più giusta.
Intervento: A che si riferiva quella citazione che ha detto lui, della discesa prematura… cosa intendeva dire?
Archiati: Ho tergiversato un pochino perché la domanda era complessa e poi ho dovuto fare un po’ di giro per rispondere. La sua domanda era: è prematuro ciò che ha fatto Lucifero, o no? Il tentatore deve presentarti la cosa prematuramente, per rendertela appetibile. In altre parole, una delle dimensioni fondamentali della tentazione è di trarti in inganno dicendoti che sei capace, o che c’è una possibilità, prima che ci sia realmente. Perché allora tu ometti di creare le condizioni necessarie. Ecco la tentazione: di fare come se fossi già capace e quindi ometto di creare le condizioni necessarie per essere veramente capace. Lui ti fa credere: dai che sei capace! Dai che sei capace!
Intervento: L’inganno è questo.
Archiati: Sarebbe come dire: io voglio essere autonomo, spiritualmente, senza diventarlo; quella è la tentazione, il prematuro. Sei autonomo soltanto nella misura in cui lo diventi! Lo poteva capire Eva? Il testo biblico cosa dice? Quale fu la reazione dell’animo umano – Eva è l’anima umana – di fronte a questa bella mela dopo che il serpente le ha lodato la merce? Il testo dice che la mela le apparve bella agli occhi e irresistibile, e non poté fare a meno di prendersela e mangiarsela, per fortuna nostra!
Intervento: Però, nasce prima… ritornando al discorso di Jahvè, nell’umanità nasce per prima cosa il concetto di Jahvè, perché il concetto della Divinità che possa avere il Figlio è una conquista della libertà umana.
Archiati: No, la Divinità fa il piano di tutto, e questo è il Padre. Jahvè, di questo Padre qui, forse ci capisce qualcosa e forse non ci capisce nulla, Jahvè è a livello di Spirito della Forma e dopo gli Spiriti della Forma vengono addirittura gli Spiriti del Movimento, della Saggezza, poi addirittura i Troni, i Cherubini, i Serafini, e poi arriviamo alla Divinità. E il povero Jahvè cosa vuoi che…
Replica: Però, nella coscienza dell’umanità, il cammino è inverso, nel senso che l’uomo, inizialmente, comprende soltanto le cose più basse.
Archiati: No, inizialmente l’uomo, l’anima umana, Eva quindi, non lo Spirito ma l’anima umana, sente un’attrattiva irresistibile verso questa mela. E l’unica domanda pulita è: chi l’ha messa questa attrattiva assoluta? Lui, la Divinità, e chi se no? La mela si doveva mangiare.
Replica: Io però volevo dire questo: nella storia, nasce prima, nella Bibbia, il concetto di Javhè nell’ebraismo, mentre nasce dopo, col Cristo…
Archiati: No, l’affermazione che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza viene prima. La caduta, la cacciata dal paradiso, viene dopo. Prima viene il piano del fenomeno umano, il progetto dell’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Poi l’uomo deve diventare, nel corso della sua evoluzione, a immagine e somiglianza, quindi creatore a livello di pensiero e creatore a livello di amore e di volontà.
La domanda successiva è: che condizioni ci vogliono per far sì che l’uomo diventi sempre più a immagine e somiglianza di Dio? Diventi sempre di più un creatore a immagine e somiglianza del Creatore che l’ha creato? Bisogna che ci siano – perché creatori lo si è soltanto nella libertà –, forza e controforza! Jahvè cosa ti dice? Non mangiare, se no muori! E il serpente dice: no, no, è la cosa più bella che ci sia!, sei stupido se non mangi. Allora, voi l’avreste mangiata o non l’avreste mangiata?
La caduta intellettuale della coscienza umana è manifesta nel fatto che è la fortuna più grande che ci sia mai stata, che invece di chiamarla bonum l’abbiano chiamata malum! Perché? Per darci la possibilità di capire che questa è una grande stupidata, e che è il caso di farci una bella pensata noi, perché, se la bella pensata ci fosse già, non avremmo la possibilità di farla.
Intervento: Però Lucifero se n’è approfittato perché Adamo dormiva? Si è approfittato di Eva?
Archiati: Per te la donna è soltanto un fattore di approfittamento? Ma lo spirito non c’era, scusa, lo spirito nasce soltanto se mangi la mela. Adamo rappresenta lo spirito, in quanto dormiente, e si capisce, no? Lo spirito in quanto potenzialità, e questa potenzialità si attualizza nella misura in cui apri gli occhi, eserciti la percezione e apri il pensiero. In base alla percezione conosci, fai un cammino di conoscenza del bene e del male, e diventi sempre di più un essere divino. Perciò millenni dopo – nel centro della storia, nel momento di svolta –, il Cristo può dire: voi siete dèi! Siete veramente capaci di gestire lo spirito in un modo autonomo, libero e responsabile.
Intervento: Per quello inizia «una nuova creazione»? E Cristo viene chiamato il nuovo Adamo?
Archiati: Certo, è così, ma… se proprio non c’è una mela che ci aspetta là fuori, almeno un caffè…
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17,6 «Ho fatto conoscere il Tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno conservato la Tua parola».
Ho manifestato il nome Tuo agli uomini che hai dato a me dal mondo. Prima del Cristo, prima che venga il Figlio, gli uomini non sanno del Padre, quindi è Lui che manifesta il Padre.
Il nome è l’essenza, duemila anni fa il nome significava ancora l’essenza di una cosa. «Ho manifestato il Tuo nome» significa: ho portato, ho risvegliato la coscienza della tua natura di Padre proprio presentandomi come Figlio. Così che noi, vedendo il Figlio, conoscendolo, comprendiamo che il Figlio presuppone un genitore. Padre o madre è la stessa cosa, ci dicevamo, non è “Padre” nel senso che esclude la madre.
Ho manifestato agli uomini il Tuo nome di Padre e, manifestando loro che Tu sei il Padre, gli uomini capiscono che Tu sei tale soltanto se generi in ogni uomo il Figlio di Dio. Il Figlio dell’Uomo come Figlio di Dio. E gli uomini a cui il Cristo manifesta, fa comprendere, fa capire il Padre, vengono tratti dal mondo, si sollevano dal mondo. Terminano di ridursi, di essere soltanto dato di natura, e cosa salta fuori dal mondo? Si aggiunge la figliolanza.
Non si è soltanto l’operare del Padre, ma l’operare del Padre si fa da fondamento per generare ciò che è il Figlio. Quindi dal mondo del Padre, nasce, viene tratto l’elemento del Figlio, dell’Io, l’elemento del Cristo. Quindi il dato di natura, da tutto che era, diventa lo strumento, la base, il fondamento per il fattore di libertà.
Ho manifestato il Tuo nome agli uomini «che hai dato a me», che hai affidato alle forze dell’Io, che hai dato in mano all’Essere del Sole, allo Spirito del Sole che diventa Spirito della Terra per creare dentro a ogni essere umano la facoltà di essere creatore nel pensiero, di essere pieno di fantasia morale nell’evoluzione dell’amore. Quindi agli uomini che hai dato a me, dal mondo, affinché l’elemento di natura trovasse il suo compimento, il suo coronamento. Proprio facendosi da sostrato per tutto l’elemento specificamente umano, della creazione nella libertà sia a livello conoscitivo, sia a livello morale.
Rileggiamolo tutto, questo versetto sei: «Ho manifestato il Tuo nome agli uomini che hai dato a me dal mondo – ™k toà kÒsmou. (ec tu còsmu), soˆ Ãsan k¢moˆ aÙtoÝj œdwkaj (soì èsan kamoì autus edokas) – erano tuoi e li hai dati a me, e hanno conservato la Tua parola – kaˆ tÕn lÒgon sou tet»rhkan (kai tòn logon sù tetèrekan)».
Intervento: Conservato…
Archiati: Tet»rhkan (tetèrekan)
Intervento: Io ho: «osservato», ma è tutta un’altra cosa.
Archiati: Ah, santa pace!, è tutto svolto in chiave di osservanza della legge.
Conservare dentro di sé le forze del Logos – altro che soltanto osservare! – è creare, è custodire, thršw (tereo), loro hanno custodito, come il tesoro più prezioso da non farsi scappare, le forze del Logos, in quanto potenzialità a una creazione nel pensiero e a una creazione nell’amore. Se noi traduciamo con osservare, tutto questo sparisce!
Però, insomma, diamo atto di avere alle spalle un cristianesimo che ancora deve cominciare a essere cristiano. Perché qui siamo all’osservanza della legge di Mosè, siamo al vecchio Testamento!
«Erano Tuoi» significa che gli esseri umani erano anima, come gli animali, erano inseriti nella realtà della natura, per questo erano tuoi. «…e Tu li hai dati a me», li hai affidati a ciò che è più che natura, a ciò che è fattore di libertà.
Quindi, il passaggio dal Padre al Figlio è il passaggio dalla natura alla libertà. Gli esseri umani erano un elemento di natura e tu, Padre, affidandoli al Figlio li hai consegnati al fiorire della libertà, dell’elemento di libertà. Sono belle queste frasi, sono proprio i cardini dell’evoluzione umana. Se poi il greco usa categorie culturali giudaico-cristiane non c’è niente di male, si deve far capire in qualche modo, no? Basta che noi le traduciamo in categorie, se vogliamo, più moderne, più universalmente umane, e per l’umanità di oggi sono di una pulizia, di un’essenzialità che ci libera in un modo assoluto! Allora, in questo sforzo ci accorgiamo che “osservare” non calza, proprio stride.
Intervento: Perché c’è «la Tua parola»?
Archiati: Il Cristo è il Logos, tÕn lÒgon sou (ton logon su), il Tuo Logos.
Replica: Perché il Logos fa parte del Padre, no?
Archiati: Sì, ma è Figlio del Padre.
Replica: Sì, ma «la Tua parola» vuol dire la parola del Padre.
Archiati: Certo.
Replica: In quanto il Figlio è la parola del Padre, giusto?
Archiati: È senza genitore questa parola? Ti sei fermata?
Replica: Che devo dire?
Archiati: Questa Tua parola è una provocazione a continuare a pensare, e tu ti sei fermata.
Replica: Ho pensato già tutto: la Tua parola.
Archiati: Perché hai rinunciato. Continua!
Replica: Se la parola è il Logos, se il Logos è il Figlio del Padre per cui è la parola del Padre… Che devo dire di più?
Archiati: È necessario che sia la parola del Padre o non è necessario?
Intervento: Se lui è il Figlio è necessario che sia la parola del Padre.
Archiati: Senza natura non puoi avere la libertà! Perciò è il Logos del Padre, perché senza Padre non puoi avere il Figlio.
Qui si tratta della gratitudine a tutti coloro che ci generano: la libertà ha una paternità, il Figlio ha una paternità. L’esperienza di affrancarci, l’esperienza di vincere le leggi di natura, a chi la dobbiamo? Al fatto che ci sono, e guai se dimentichiamo di ringraziare ogni giorno! Questo è il senso di «la Tua parola», altrimenti noi partiamo in quarta nella libertà e siamo ingrati a chi la genera. Altrimenti abbiamo una libertà campata per aria e non diventiamo concreti. Libertà è liberazione da… Se non ci fossero gli animali, le piante e le pietre, cosa saremmo noi? Nulla!
Intervento: È libertà dagli spiriti e non negli spiriti.
Archiati: Sì, ma se non hai il punto di partenza l’esperienza non c’è. Perciò ti dico che la categoria della libertà è un’astrazione, quello che di fatto c’è è l’esperienza della liberazione, un processo di liberarsi da. Però questo te lo concede soltanto ciò da cui ti liberi, e guai se non te ne rendi conto e se non ringrazi.
Replica: Adamo libera le cose create ed è riconoscente dando a ognuna un nome.
Archiati: Sì, allora: il nome è un concetto. Il concetto cos’è? Cosa presuppone il concetto? La percezione. Se non hai la percezione il concetto non salta fuori! Allora, la vuoi ringraziare la percezione, sì o no? Perché senza la percezione non avresti il concetto.
In altre parole, il peccato originale del pensiero sono le parzialità, quando pensiamo alla libertà dimentichiamo il suo Padre. E quando pensiamo al Padre dimentichiamo il Figlio. Crescere nel pensiero significa articolare le cose, pensare organicamente. Il futuro del pensiero è pensare organicamente in modo che io quando guardo a un membro dell’organismo non dimentico l’organismo, e quando guardo all’organismo nel suo insieme non faccio una grande astrazione, ma lo concretizzo nel singolo elemento. Il pensiero è un movimento continuo tra analisi e sintesi, ma è continuo!, non ci si deve mai fermare.
DIS. 21
A livello del Cosmo, l’analisi è il Sole che passa i dodici segni dello Zodiaco uno dopo l’altro, è un movimento analitico, però lo sguardo del Sole li abbraccia tutti e dodici insieme, perché soltanto tutti insieme fanno la realtà.
Nel gesto di analisi c’è la dispersione, si diventa unilaterali, ci sono troppi elementi e non si trova più il nesso unitario. È l’atomizzazione: la scienza moderna è un’unilateralità di analisi in senso assoluto, perché la forza di sintesi non c’è più nel pensiero, abbiamo miliardi e miliardi di percezioni, una somma infinita!, ma la sintesi che comprende l’insieme non c’è più. La teologia fa grandi astrazioni ma manca l’analisi, non le riempie di contenuti concreti. La scienza dello spirito di Steiner è proprio l’elemento sano, questo respiro sano, continuo, di diastole e sistole.
Leggete una conferenza di Steiner, fatene l’esperienza, è una cosa sovrana!, descrive i fenomeni diventando concreto, analitico, poi si rende conto che uno a questo punto non si raccapezza più, e fa un riassunto, uno sguardo d’insieme. Nel presentare uno sguardo d’insieme rischia di diventare di nuovo un po’ rarefatto, un po’ astratto, e allora si tuffa di nuovo nei particolari!
E io scommetto che lo studio della scienza dello spirito addirittura contribuisce a rendere l’organismo fisico sano, perché aiuta proprio anche la respirazione a non diventare unilaterale. In una giornata – questo avviene, ed è anche causa di molte malattie –, ci sono esseri umani che espirano più di quanto inspirano, non in senso quantitativo ma in senso di tempo, più a lungo, hanno questa paura per cui tirano fuori, espirano. Altri invece inspirano più di quanto espirano, e l’organismo diventa malato. Uno dei fondamenti della salute fisica è il giusto equilibrio tra l’inspirazione e l’espirazione. E il respiro del pensiero è il passaggio continuo tra l’analisi e la sintesi.
Da dove eravamo partiti? Adesso ho dimenticato…
Dal pubblico: La Tua parola.
Archiati: Ecco, intendevo dire, nella Tua parola sono compresenti tutti e due, sono compresenti il Padre e il Figlio. Se invece dicessi (non per voler avere ragione), solo la parola, che cosa avrei? È un’enorme differenza, perché di due elementi ne ho uno solo. Ma se ho soltanto il Figlio perdo anche il concetto di Figlio, perché se non ho il Padre non ho neanche il Figlio.
Queste riflessioni ci portano continuamente al convincimento che questi testi sono di una precisione veramente impressionante, e perciò sono così fecondi. Perché uno, meditandoli tutta una vita, scopre cose sempre nuove e si rende conto che non sgarrano mai, l’unico problema sono i pasticci che sono successi nella traduzione.
Finché non arriveremo al punto da leggere nella cronaca dell’Akasha, allora leggeremo il testo com’era all’inizio, come l’ha imbastito Giovanni Lazzaro. Perché se vi mostro tutte le varianti nei vari manoscritti, insomma, sono circa 4/5000, e ne hanno fatti di pasticci! Però, se uno va a suon di pensiero le cose devono essere logiche, quindi più o meno i pensieri fondamentali saltano fuori.
Ho manifestato il Tuo nome agli uomini che hai dato a me dal mondo, erano Tuoi e li hai dati a me, e hanno custodito, hanno conservato la Tua parola. Essere uomo significa conservare, custodire, mantenere dentro di sé, non perdere la parola, il Logos, tutte le forze di creazione nel pensiero e tutte le forze di creazione nell’amore. Che vuol dire che conservano questa parola? Che ci deve essere la possibilità di fartela scappare, o non sei libero. Allora, di fronte al Logos, alla Logica, alle forze di pensiero, di saggezza e di amore, ci sono due possibilità: una possibilità è quella di conservarle e l’altra è quella di perderle.
Vogliamo tradurre conservare? Come si conservano? Esercitando il pensiero!, se non lo eserciti lo perdi. L’abbiamo detto tante volte: una facoltà – perché il pensiero, il Logos, è una facoltà, una potenzialità, una potenza, direbbe Aristotele –, o la metti in atto, la usi, la eserciti, allora la rafforzi e la conservi. Se invece perdi i colpi, non la usi, non la eserciti, non la attualizzi, non la metti in atto, direbbe sempre Aristotele, la perdi. Tutto questo che vi sto dicendo, il Vangelo ve lo pone in un modo più semplice: «l’hanno conservata».
E in che modo? Esercitandola. In che modo si conserva il Logos?
Intervento: Esercitandolo.
Archiati: Mi pare! Mica mettendolo nella scatola della conserva, perché lì evapora, prima o poi. L’unico modo di conservarlo è di esercitarlo. Bello! Il testo è pulito, i conti tornano e devono tornare, perché si tratta del Logos.
17,7 «Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te»,
«Ora…» ecco, è giunta l’ora! Sono state create nel corso di tutta la prima metà dell’evoluzione, nel corso dell’evoluzione prima di Cristo, tutte le condizioni necessarie.
«Nàn œgnwkan (nun égnokan) – ora hanno riconosciuto, hanno capito», perché le condizioni per potere capire adesso ci sono, «che tutto ciò che tu hai dato a me è presso di te – Óti p£nta Ósa dšdwk£j moi par¦ soà e„sin: (oti panta osa dèdokas moì parà sù eisin)». Hanno compreso che la natura non può dare alla libertà se non ciò che ha.
In altre parole: la natura è la somma del liberabile. Dove lo prendiamo il liberabile se non da ciò che non è ancora libero? Ora hanno riconosciuto che tutte le cose che hai dato a me sono le cose passibili di liberazione: il Logos si è fatto carne.
Che cos’è il percepibile? È il pensabile! La somma del percepibile, il Padre, la Natura, è il pensabile. Tutto ciò che è presso di te l’hai dato a me, che cosa passa nella libertà? La natura, oppure, se è già libera, non c’è nulla da liberare.
La frase è bella, eh? Dice: «Ora hanno riconosciuto che tutto ciò che hai dato a me si trova nell’origine presso di te». Pensabile è solo il percepibile. È pensabile qualcosa che non è percepibile?
Intervento: È un’astrazione.
Archiati: È un’astrazione, e quindi non è una realtà. Questa è una delle cose che dice La filosofia della libertà, che quando tu vuoi pensare qualcosa senza che ci sia la percezione non hai la realtà. Allora, tutto ciò che hai dato a me – tutto ciò che diventa concetto, che diventa pensabile, che diventa creazione della libertà nel pensiero – è presso di Te, nella sua origine è percezione. Altrimenti non è nulla. Magari avessi studiato questo testo quando facevamo filosofia!, ci hanno detto un sacco di fandonie e non si capiva nulla. Qui le cose sono più semplici, più profonde e più chiare.
Ora hanno intuito che tutte le cose che hai dato, affidato all’Io, alle forze cristiche nell’uomo, alle forze del Logos che le gestisce autonomamente, individualmente, creativamente, con gioia e con gratitudine, «tutte queste cose sono presso di Te», in origine sono nel mondo della percezione.
17,8 «poiché le parole che hai dato a me, Io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da Te e hanno creduto che Tu mi hai mandato».
Prima diceva tutte le cose, ora dice le parole, t¦ ·»mata (ta remata).
Prima erano le cose, erano le percezioni, adesso sono i concetti. Ogni parola che noi diciamo, la rosa, il tulipano o la giraffa, è un concetto. «Le parole che Tu hai dato a me io le ho date a loro» sono i concetti della creazione, che abbiamo nella percezione.
Il versetto sette dice che ora hanno capito che tutte le cose che hai dato a me sono presso di te, e nel versetto otto spiega, concretizza questa affermazione. Tutte le cose le traduce con “parole”, il Logos cos’è? La totalità dei concetti concepibili.
Questa totalità del concepibile per il pensiero Lui l’ha data agli uomini, ci ha messo a disposizione tutto questo che ha ricevuto dal Padre dicendoci: concepisci, concepisci, un concetto dopo l’altro, forza…! E il concetto? È il risultato di un concepimento. Come la mettiamo qui con le nostre donne? Non c’è soltanto il concepimento che conosciamo, e come si chiama quest’altro? È il concepimento immacolato, perché è puramente spirituale. Generare un concetto è un concepimento immacolato, perché è una creazione puramente spirituale. Altro che scartare Giuseppe!, dicendo che non c’entra nulla nel concepimento fisiologico, questa è una terribile materializzazione del cristianesimo.
Poiché le parole, che sono i concetti, che hai dato a me in quanto Logos – il Padre, il Creatore gli ha dato tutti i concetti – «Io le ho date a loro», li ho resi capaci, li ho resi una potenzialità senza limiti di Logos, di concepimento di concetti. Bello…! è una cosa straordinaria. «E loro le hanno accolte», kaˆ aÙtoˆ œlabon (kai autoi élabon), le hanno ricevute. Tutte le parole che tu hai dato a me io le ho date a loro che le hanno accolte, le hanno fatte proprie, «e hanno capito, riconosciuto veracemente che io sono venuto da te».
Come fa l’uomo a capire che il Logos viene dal Padre? Lo capisce soltanto se vede che i concetti corrispondono alla percezione! Allora il Logos viene dal Padre. E come faccio a sapere se i concetti corrispondono alle percezioni? Devo accoglierli in me, devo capire io, farli miei.
È una cosa straordinaria! Poiché le parole che tu hai dato a me io le ho date a loro, e loro stessi – kaˆ aÙtoˆ (kai autoì) – le hanno accolte e hanno compreso, riconosciuto veracemente, cioè nella veracità, nell’oggettività delle cose, che io sono uscito da te, «e hanno creduto, hanno acquisito la certezza assoluta che tu mi hai mandato nel mondo», che il senso della creazione paterna è la generazione del Logos nello spirito umano.
17,9 «Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi».
Questo è un versetto che ha dato del filo da torcere agli esegeti, alla teologia, perché ci ripresenta il mistero della libertà e quindi della possibilità, che ci deve essere, di andare sia nel senso del Logos, sia di imboccare la via del controsenso, del non-senso, altrimenti non ci sarebbe libertà.
«Ἐgë perˆ aÙtîn ™rwtî: (egò perì autòn erotò) Io prego per loro, intercedo per loro, non prego per il mondo». Se il Cristo chiedesse al Padre che la controforza smettesse di essere tale sarebbe finito lo spasso! Non sia mai che preghi anche per il mondo, cioè: la natura deve restare la controforza.
Non ti chiedo – dice –, o Padre, di far sparire il mondo della percezione, del buio come presupposto di illuminazione. Non ti chiedo di far sparire il mondo dell’egoismo, come condizione necessaria per la purificazione, per la trasformazione in amore, prima che tutti gli esercizi di illuminazione del buio e di purificazione dall’egoismo siano avvenuti. Altrimenti l’evoluzione non avverrebbe, ci sarebbe tutto automaticamente.
Il Cristo crea le condizioni della libertà umana, non chiede, non prega che la controforza diventi la forza, perché la controforza deve restare tale.
Intervento: Al versetto sette dice: «loro hanno capito che sono venuto da te…». Mette il verbo al passato, cioè quando è avvenuto questo capire?
Archiati: Tre anni, se vogliamo essere precisi è avvenuto in tre anni. Hanno avuto tre anni di percezione: visiva, perché hanno visto quello che Lui ha fatto, e uditiva, hanno sentito le Sue parole. Se non hanno capito nulla finora, Lui cosa deve fare?, ci aggiunge altri tre anni?
Le percezioni date all’umanità, quelle sensibili del Logos incarnato, sono finite, e ciò che è stato pensato in base a queste percezioni è già stato pensato. Il Cristo dice: ora ritorno a Te, ora ridivento spirituale, non sarò più percepibile. In questi tre anni c’è stata una fenomenologia del Logos, si è presentato come percezione sensibile. Se il Logos si presenta per tre anni come percezione sensibile, che cosa deve avvenire negli esseri umani? Che, se c’è la libertà, ci devono essere degli uomini che appiccicano alla percezione il concetto giusto – questi sono coloro che hanno conosciuto il fenomeno – e ce ne devono essere altri che attribuiscono a queste percezioni i concetti sbagliati, e sono quelli che non l’hanno riconosciuto.
Se la percezione ci costringesse a trovare il concetto giusto non ci sarebbe libertà. Quindi: qual è la massima potenzialità di libertà? Che cosa massimamente provoca la libertà? La percezione, perché la presa di posizione di fronte a ogni percezione è puramente questione della libertà di ognuno, e ognuno lo fa secondo la sua testa, che se ne renda conto o no, anche quando la testa è vuota la presa di posizione è sua!
Intervento: Ma quindi ci sono concetti giusti e concetti sbagliati, o piuttosto concetti più completi e meno completi?
Archiati: La tua domanda ci porta a rifare un piccolo esercizio di pensiero sull’errore. Che cos’è l’errore?
Dal pubblico: Un buco, un vuoto, l’errore è errare.
Intervento: Attribuire un concetto sbagliato alla percezione, non dare una corrispondenza tra il Padre e il Figlio
Archiati: Questi esercizi vanno rifatti sempre. Nel mio libro Il mistero del male [5] c’è la fenomenologia dei simboli del male, che sono carenza o assenza di bene, a livello dell’Io; impurità, sporco, macchia (immacolato significa senza macchia), a livello del corpo astrale o anima. Anima impura significa sporca, un vetro sporco non è trasparente, e il problema qual è? Basta che tu pulisca, perché poi sotto c’è il vetro giusto.
Allora quando c’è la carenza devi riempire il buco e ci devi mettere qualcosa; di fronte alla macchia devi togliere lo sporco. Poi c’è una terza categoria, simbologia o similitudine del male, che è perdere la strada, l’erranza, l’errore, a livello del corpo eterico. Errare significa che tu sei partito, ti trovi a Rimini e vuoi andare a Bologna, sei partito per la tangente e hai sbagliato strada, e c’è da dire: ho sbagliato strada!, c’è un errore, che si fa?
Intervento: Si cerca di ritornare sulla retta via.
Archiati: Ritornare sulla retta via, va bene? Quindi vedi che la lingua ti complessifica il fenomeno del male? È complessa la cosa, e uno dei fenomeni è l’accorgermi di essere andato per la strada sbagliata e se continuo su questa strada sbagliata non arrivo là dove vorrei arrivare. E infine c’è la distruzione, la morte a livello del corpo fisico. La tua domanda era: esistono concetti sbagliati? Lo sbaglio è un’immagine della svista. Cos’è una svista? Perché c’è la vista e la svista.
Dal pubblico: Non vedere l’insieme, vedere una cosa per un’altra, una vista sbagliata, prendere una cosa per un’altra, fischi per fiaschi, lucciole per lanterne.
Archiati: Lucciole per lanterne, fischi per fiaschi.
Intervento: Confondere.
Archiati: Sì, ma descrivi l’esperienza che si fa, che cosa avviene quando io ho una svista?
Intervento: La vista non va a cogliere la cosa giusta ma quella sbagliata.
Archiati: Cos’è?
Intervento: Un abbaglio.
Archiati: Che tipo di esperienza è? È una diluizione delle forze di attenzione. Le forze di attenzione, invece di essere concentrate, sono diluite e non ho visto bene. Allora, come si creano i concetti giusti?
Intervento: Con l’attenzione.
Archiati: Guardando con attenzione. Questa è una categoria intellettuale, e qual è la categoria morale? Guardare con interesse. Dove il cuore si interessa la mente non sbaglia. Sbaglia la mamma sul bambino? Perché non sbaglia?
Intervento: Perché gli vuole bene.
Archiati: Perché è piena di interesse. Adesso possiamo rispondere molto più concretamente alla tua domanda. Ci sono concetti sbagliati? C’è la possibilità, perché siamo liberi, di diluire l’interesse, e allora prendiamo lucciole per lanterne.
Intervento: Ci sono anche i fischi per fiaschi.
Archiati: Sta attenta che il linguaggio ti dà dei compiti abbastanza complessi, perché significa scambiare la percezione visiva con quella uditiva!, perché i fischi sono per gli orecchi e i fiaschi sono per l’occhio. Ce ne vuole, eh!, per scambiarle. Come arriva l’Arcangelo del linguaggio a dirti che scambi i fischi per fiaschi? Che bisogna essere veramente distratti.
Replica: Ma io non conosco neanche la qualità dei miei sensi.
Archiati: No, sai cos’è il fischio e sai cos’è il fiasco, sei distratto. Cos’è la distrazione? Le forze conoscitive, che potrebbero essere concentrate, vengono dis-tratte, tirate in direzione opposta! Io sto guidando, invece di essere concentrato sulla macchina ho problemi miei, sono distratto, e invece di vedere rosso ho visto verde! Com’è successo che non ho visto il rosso?
Intervento: Eri sovrappensiero.
Archiati: Ero sopra il pensiero, invece di esserci dentro ci ero sopra. È una diluizione delle forze dell’attenzione, sono stato distratto, perché se io mi fossi concentrato veramente a guardare il semaforo avrei visto che era rosso.
Questa preghiera di Cristo al Padre, lo vedete, parla continuamente dei misteri del Logos. Ora, l’esercizio delle forze pensanti è l’esercizio quotidiano della concentrazione. Se non ci decidiamo a fare ogni giorno esercizi di concentrazione nel nostro Logos, nel nostro spirito, diventiamo distratti, le forze pensanti vengono tirate in tante direzioni che, di settimana in settimana, di anno in anno, diventiamo sempre meno capaci di attenzione, di focalizzare, e quindi i nostri concetti diventano sempre più diluiti.
L’amore al Logos è la decisione di esercitare la concentrazione, come esercizio quotidiano, altrimenti non c’è crescita nelle forze del Logos. Non vengono da sole!, perché sono un fattore di libertà in assoluto. E meditare significa concentrare la mente, perché se io penso di meditare lasciando andare la mente in tutte le direzioni, essendo distratto, quella non è meditazione.
A proposito di questo amore delle forze del Logos che si rafforzano soltanto concentrandole, vi ricorderete del nostro amico Carlos nell’America Latina, che aveva visto il cavallo del missionario e, insomma, desiderava tanto avere il cavallo. Il missionario gli dice: Carlos, te lo do se dici un Padre Nostro senza distrarti. Cioè concentrato, con tutte le forze del Logos. E Carlos dice: ma come, è tutto quello che devo fare? La conoscete la storiella? No? E allora lui, siccome non era abituato a concentrarsi nella mente, si raccoglie tutto in se stesso e inizia: Padre Nostro… però mi dai anche la sella, vero?
E il missionario gli dice: ti avevo detto di dire tutto il Padre Nostro senza distrazione e sei già alla sella? Cioè, non esiste concentrazione senza esercizio quotidiano.
Se volete, non è che io voglia propinarvi Rudolf Steiner per forza, l’offerta è libera, ma non conosco nulla di meglio come esercizio di concentrazione delle forze del Logos che le conferenze di Steiner, ma veramente! Se conoscessi qualcosa di meglio, per quanto mi riguarda, ve lo direi, perché ve lo dovrei nascondere? Per me il senso proprio di amore al Logos inabitante in noi delle conferenze della scienza dello spirito di Steiner, se ha un peso morale, lo può avere soltanto se ci aiuta veramente a coltivare le forze del Logos.
Il Vangelo è ancora meglio, però è troppo distante da noi, la lingua è diversa, e a duemila anni di distanza dobbiamo tradurre, facendo salti mortali. Il Vangelo di Giovanni sarebbe ancora meglio di Steiner, se volete, però Steiner ci è più vicino. Il senso di questa scienza dello spirito è coltivare le forze del Logos! E chi te lo fa fare? Lo fai perché la vita è più bella!
C’è il Cristo che dice: «ho manifestato il Tuo nome agli uomini, che hai dato a me, dal mondo, erano Tuoi, e li hai dati a me e hanno conservato, tenuto stretto, il Logos Tuo! Ora hanno capito che tutte le cose…». E a quel punto, sul più bello, arriva uno che dice: ma che si scalda a fare?, andiamo a farci una mangiata che è meglio!, ma cosa sta dicendo? E voi a questo punto cosa gli volete dire? Non sa cosa si perde…
«Ora hanno capito, hanno compreso, che tutte le cose che hai dato a me, da te vengono, poiché le parole che tu hai dato a me le ho date a loro, e loro le hanno accolte – le hanno prese in mano, le hanno fatte proprie, se ne sono appropriati –, e hanno riconosciuto veracemente che io sono venuto da te, e si sono rafforzati nella certezza assoluta che tu mi hai mandato nel mondo. Io prego per loro, ma non per il mondo».
Guai se la controforza sparisse! Non ci sarebbe più nulla da fare. Guai se il Mefisto si lasciasse convertire, sarebbe un diavolo che non vale nulla, perché un diavolo deve essere un diavolo! Può mai essere che il Cristo, il Logos, preghi per la conversione del Mefisto? Il Padre dovrebbe tirare le orecchie al Figlio e dirgli: guarda che l’ho chiamato io dall’inferno, gli ho dato io il ruolo di fare il diavolo, e tu lo vuoi convertire? Che Figlio sei? Lasciagli fare il diavolo, no?
In altre parole, vi dicevo che questo versetto dà filo da torcere agli esegeti perché dicono: ma perché il Cristo non prega per tutti? Perché non sanno che cosa vuol dire il mondo. Non può pregare per tutti perché allora dovrebbe costringere tutti ad andare in una certa direzione.
Intervento: E addio libertà.
Archiati: E sparirebbe la libertà. «Ma prego, intercedo», offro vie, apro le vie della libertà «a coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi». Qui allora il mondo in un certo senso rappresenta tutto ciò che è regno di natura, quindi gli animali, le piante, le pietre, e il Cristo dice: non è a loro che offro la libertà, non è a loro che posso offrire le forze del Logos. Perché queste devono venire inserite dentro di loro attraverso l’uomo, non direttamente dal Cristo, altrimenti l’uomo non avrebbe più nulla da fare.
Se il Cristo stesso, se il Figlio inserisse direttamente, pregasse il Padre direttamente anche per gli animali, le piante e le pietre, toglierebbe all’uomo il compito della libertà.
Quindi affida all’uomo tutta la natura, al cammino della libertà dell’uomo! E deve esporre gli animali, le piante e le pietre alla possibilità che se l’uomo va nell’abisso con la sua libertà, li porti con sé nell’abisso. E questo il Figlio non ha il diritto di impedirlo, perché distruggerebbe la libertà. Questo è il cosmo, il mondo.
Buon appetito.
Sabato 19 Febbraio 2005, sera
vv. 17,10 – 17,11
Interpreto il vostro… devoto silenzio come un’esortazione a terminare il diciassettesimo capitolo! Penso senz’altro che lo condurremo a termine, anche se ogni versetto è pieno di significati e constatiamo che nel Vangelo di Giovanni non ci sono cose secondarie, è tutto essenziale. Soprattutto questo eterno colloquio, queste cose che da sempre, e sempre, il Padre e il Figlio si dicono.
Quando diciamo il Padre e il Figlio usiamo termini religiosi cristiani, e sarebbe bello se una scienza dello spirito contribuisse a renderci inventivi anche nel linguaggio, in modo da avere delle alternative a questo Padre e a questo Figlio, perché il discorso è un po’ poverello. Natura e libertà è un’alternativa, però la botta è un po’ troppo forte, ci vorrebbe qualcosa di intermedio, sta a noi creare una nuova terminologia, perché sono sicuro che, per esempio in Italia, tante persone sentendo parlare del Padre e del Figlio dicono: no, grazie!
Se ci sta a cuore anche l’evoluzione della dimensione religiosa – del rapporto con lo spirituale, col divino, l’evoluzione delle forze del Logos, quindi del pensiero nell’umanità –, è importante creare delle terminologie più differenziate, più universali. E non avere a disposizione sempre e soltanto questi termini che nel corso di duemila anni hanno ricevuto dei connotati spesso un po’ moralistici, un po’ stretti, che vanno aperti. E li possiamo aprire soltanto trovando nuove parole, creandole.
Pensate alla parola “fede”, per esempio, o alla grazia. La grazia viene pensata da tanti come opposta alla libertà umana. Invece, è grazia per l’uomo soltanto ciò che lo aiuta, che gli dà strumenti per la libertà, altrimenti è una dis-grazia! E l’uomo dice grazie soltanto a ciò che lo aiuta a essere libero. Per quello ringrazia, perché è fatto per prendere in mano la libertà. Il concetto tradizionale di grazia invece è l’opposto: fa tutto Lui, io Lo prego e Lui mi fa la grazia.
E questo ci fa capire perché, in Italia per esempio, chi coltiva la scienza dello spirito ha in partenza e da sempre rinunciato ad avere un dialogo con la cultura ufficiale. Lo si capisce, perché gli abissi sono talmente incolmabili da rendere difficile questo dialogo, e poi magari rischiano essi stessi di coltivare la scienza dello spirito in chiave dogmatica o settaria. Perciò i ponti da gettare sono notevoli, e va fatto, altrimenti non raggiungiamo le persone così come sono.
È un po’ anche l’intento di questa casa editrice di rendere accessibile a tutti la scienza dello spirito però, sottolineo, senza annacquare. Perché se noi adesso iniziamo a stampare Steiner non possiamo dire che la scienza dello spirito venga annacquata, è proprio la sorgente cristallina. Cerchiamo allora di stampare le conferenze fondamentali, le più importanti, in modo che i lettori abbiano accesso ai fondamenti, e poi il resto se lo possano costruire, ognuno a modo suo.
17,9 «Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi».
Eravamo arrivati al versetto nove: Io prego, Io intercedo per costoro – perˆ aÙtîn (perì autòn) – per loro, cioè per i dodici rappresentanti dell’umano.
In effetti, se vogliamo essere ancora più precisi sono undici, perché poi farà eccezione per il figlio della perdizione, il Giuda è uscito, e non c’è. Quindi, dei dodici – senza parlare di Giovanni Lazzaro che rappresenta il settenario del Sole, le forze del sistema planetario – ne sono rimasti undici.
Lui sta parlando a undici dei dodici perché Giuda è uscito, e questo ci fa capire che Lui non può redimere tutto, costringere tutto a essere dentro, perché allora non ci sarebbe la libertà. Uno dei quesiti più importanti anche per la teologia è la domanda: come mai l’evoluzione in senso negativo viene rappresentata da uno solo e invece, nell’evoluzione in senso positivo, coloro che ascoltano la parola del Cristo e la fanno propria sono undici? Ve lo siete fatti un pensierino su questa domanda? Come mai il male è uno solo e il bene sono undici? Anzi poi viene sostituito il Giuda da Mattia e ritornano dodici!
Intervento: Giuda è arrivato alla cruna dell’ago…
Intervento: Forse perché se il male è una omissione, di assenze ce n’è solo di un tipo.
Archiati: Non c’è articolazione, non c’è differenziazione nel male.
Intervento: Ne basta poco…
Archiati: No, il buco, il vuoto è da sempre vuoto, non ci sono diversi tipi di vuoto, perché se ce ne fossero di diversi tipi sarebbero dei contenuti diversi.
Intervento: Quindi: tipi di vuoto ma non gravità di tipi di vuoto…
Archiati: Come?
Intervento: Tipi di vuoto più che gravità di vuoti.
Archiati: Non ci sono diversi tipi di vuoto!
Intervento: Lui voleva dire: il vuoto è di un solo tipo, però si chiedeva: ci può essere, oltre che vederlo dal lato della tipologia che è una, invece, vederlo dalla categoria di gravità. C’è un vuoto più grande o un vuoto più piccolo? Questa era la domanda.
Archiati: No, ci può essere un’omissione più grave e una meno grave?
Intervento: No, non c’è scelta.
Archiati: No, in effetti, no: perché se è omissione è omissione. In altre parole, il male umano è la monotonia, perciò Giuda solo basta. Tradisce l’inesauribile multiformità dell’umano, e per tradire, per uccidere – Giuda è l’archetipo dell’umano che si uccide –, come si uccide la molteplicità dell’umano? Riducendolo all’uniformità. E qual è l’uniformità dell’umano? La natura! Le leggi di natura sono uguali per tutti.
Invece, quando aggiungiamo al dato di natura ciò che la libertà crea, sorgono creazioni infinitamente diversificate, e quindi, per rappresentare la carenza, l’omissione, il vuoto, basta uno dei dodici. A livello di pensiero è giusto che l’evoluzione in negativo dell’umano sia presentata da uno solo, invece l’evoluzione in positivo è rappresentata dai dodici, per cui quando viene a mancare uno bisogna metterci il dodicesimo, bisogna sostituirlo. Tant’è vero che poi loro, gli undici, si riuniscono insieme e trovano il Mattia che sostituisce Giuda.
E tra poco viene il discorso su Giuda. Il Cristo dice: li ho salvati tutti, ho creato la possibilità della libertà, quindi della creazione multiforme in tutti, fuorché nel figlio della perdizione. È una categoria negativa il perdere? Non è qualcosa di brutto che c’è: perde il bello, perde il buono, perde il vero, rientra nella categoria propria dell’omettere, dei peccati di omissione.
«Io prego per costoro, non per il mondo» (questo l’abbiamo già visto) «ma per coloro che hai dato a me, perché sono Tuoi». E anche su questo rapporto tra il Padre e il Figlio abbiamo già detto diverse cose, no?
17,10 «Tutte le cose mie sono Tue, e tutte le cose Tue sono mie, e Io sono glorificato in loro».
«kaˆ t¦ ™m¦ p£nta s£ ™stin (kai tà emà panta sà èstin) – tutte le cose che sono mie sono tue, e le cose tue sono mie e Io sono stato glorificato in loro». Tutte le cose del Padre sono del Figlio e tutte le cose del Figlio sono del Padre. C’è una corrispondenza perfetta a livello proprio di elementi singoli – perché non è il tutto, ma tutte le cose – fra il mondo del Padre e il mondo del Figlio.
Come a dire che la corrispondenza fra il fenomeno e il noumeno, direbbe Kant, cioè la corrispondenza fra il percepibile e il pensabile, è perfetta: tutto ciò che è pensabile è percepibile e tutto ciò che è percepibile è pensabile. Niente è pensabile che non sia percepibile, perché non è una realtà, e niente è percepibile che non sia pensabile altrimenti non sarebbe una percezione. Questo a livello dell’evoluzione del pensiero.
E nella morale? Ogni frammento di egoismo ha un corrispondente atto di amore. E ogni atto di amore può essere compiuto soltanto vincendo il corrispondente egoismo. Quindi, la somma dell’egoismo nell’umanità è la somma, perfettamente la stessa somma, del trasformabile in amore. Ci può essere soltanto tanto amore, quanto egoismo c’è da trasformare. È consolante, la cosa! Più egoismo c’è e più c’è materiale da trasformare in amore. Vogliamo fare qualcosina perché ce ne sia un po’ di più, di egoismo…? Vi è venuto questo pensiero?
Allora c’è subito la risposta: il concetto di svolta è che più di così non si può. Se c’è un essere umano che pensa che potrebbe diventare più egoista è un essere umano che non si conosce, perché se si conosce bene deve dirsi: no, più egoisti di così non si può! La misura dell’egoismo trasformabile in amore è piena – magari è successo che abbiamo perso alcuni colpi, abbiamo perso alcune possibilità di trasformare –, ma la misura del trasformabile è piena, di più non può essere. Però viene visto nel suo lato positivo perfino l’egoismo.
«Tutte le cose Tue…» del mondo della natura, dove l’uomo si è perso, è diventato egoista, perché il mondo della natura è il mondo corporeo, è il mondo della materia. E nel mondo della materia ognuno è chiuso in se stesso, e dice: tutto questo mondo della chiusura di ognuno in se stesso, che è il mondo del Padre, appartiene al Figlio, e il Figlio non può pigliarsi di più di quello che dà il Padre. Perché il Figlio non può avere nulla oltre a quello che gli dà il Padre: «tutto ciò che è Tuo è mio, e tutto ciò che è mio è Tuo».
Nessuno dei due ha qualcosa che l’altro non abbia. Tutta la misura di chiusura in se stessi, di isolamento, di essere gli uni contro gli altri è esattamente la misura dei compiti dell’amore. Una corrispondenza perfetta. Su questo grafico che ora disegno alla lavagna vedete il percorso per ritornare, a che cosa corrisponde la seconda metà? Perfettamente alla prima!, c’è una corrispondenza perfetta.
La scienza dello spirito di Steiner, alcuni di voi lo ricorderanno, divide il percorso in sette gradini, ci sono l’uno, il due e il tre, e poi c’è sempre – a tutti i livelli, sia nelle sette incarnazioni della Terra, sia nei vari periodi di cultura ecc. – il quarto, lì c’è una svolta, poi il quinto è sempre una ripetizione del terzo a un livello più alto; il sesto è una ripetizione del secondo a un livello più alto, e il settimo è una ripetizione del primo a un livello più alto.
DIS. 22
Tutto ciò che è del Padre appartiene al Figlio, e il Figlio non può avere altro che le cose del Padre, c’è una corrispondenza perfetta tra ciò che è di natura e ciò che viene trasformato in libertà. Ora l’ho svolto in chiave morale, in chiave conoscitiva era più facile: io non posso trasformare in concetto ciò che non è una percezione, perché non avrei nulla da trasformare. Posso trasformare in concetto solo ciò che ho come percezione, questa non è intesa soltanto come esteriore, può essere anche un’introspezione, però devo percepirla.
«Tutto ciò che è mio è Tuo, e tutto ciò che è Tuo è mio». Se uno legge La scienza occulta di Steiner vi trova proprio questa continua corrispondenza perfetta fra l’andata e il ritorno, c’è il porre i fondamenti della natura come materiale dell’evoluzione nella libertà, sia come spirito conoscente sia come spirito amante.
Il culto cristiano esprime questo mistero a Pasqua, con una bella trovata: O felix culpa! Cioè: o colpa che ci fa beati, che ci fa felici… perché? La colpa, tutto l’inserirsi nella natura, sono le occasioni, la somma delle occasioni di liberazione, di esperienza della libertà. Che cos’è la caduta?
Intervento: La condizione necessaria per risalire.
Archiati: È il percorso di risalita. C’è una differenza? Troviamo nei frammenti dei Presocratici – sono scritti di Anassimene, Anassagora ecc. – un detto famosissimo: la via che va giù e la via che va su è la stessa.
Intervento: Era Eraclito?
Archiati: Eraclito, sì. È la stessa strada. Tu vai giù, se vuoi tornar su fai un’altra strada? No, è la stessa. È più faticoso tornar su?
Intervento: Eh, non basta lasciarsi andare…
Archiati: E perciò il testo ci ha già avvertito, dicendo: guarda che più forti sono le doglie del parto e più grande è la gioia. Se andar giù è facile, dà meno gioia; se andar su è più difficile, dà più gioia.
Ritorna adesso la categoria della gioia, il Cristo la mette addirittura al centro del suo discorso col Padre. È interessantissimo come la categoria della gioia giochi un ruolo centrale nel Vangelo di Giovanni, addirittura entra nel discorso tra il Figlio e il Padre, qui all’Ultima Cena. Ci arriviamo, se non stasera domani, è al versetto tredici.
Intervento: L’andare giù è uguale per tutti, sto parlando del Giuda, del dodicesimo, dell’omissione, cioè: il modo di andare giù è uguale per tutti, c’è solo un modo.
Archiati: Giuda è l’uomo che omette di risalire – sono tutte immagini che usiamo, sono tutti aspetti –, si siede, resta qui, al centro, alla svolta. Ci sono mille modi di camminare, ma non mille modi di sedersi e di star fermi. Ci sono modi diversi di star fermi? No, posso strutturare il movimento in tanti modi, ma se mi fermo… sono pensate bene le cose!, perché se noi mettessimo una diversificazione nel mistero del male, cosa faremmo? Moraleggeremmo. Dovremmo allora dire che il male consiste in qualcosa e quindi in diverse cose, e quindi metteremmo l’accento sul male di commissione e non di omissione. Perciò vi dicevo che i buchi, in quanto buchi, sono tutti uguali, perché nel momento in cui cominciano a essere buchi diversi allora c’è qualcosa, non è più un buco.
Ripeto la domanda: ci sono diversi tipi di vuoto?
Intervento: No.
Archiati: Stando all’immagine, il buco può essere più grande o più piccolo, ma in quanto vuoto è vuoto. Per fare una differenziazione ci devo mettere un contenuto, allora non è più il vuoto. Il Giuda in ognuno di noi, il tradire l’umano in ognuno di noi consiste in ciò che io non divento là dove potrei diventare qualcosa, e non creo dove potrei creare; e questo Giuda è sempre uguale, è il non fare. Ci sono modi diversi di non salutare?
Intervento: Basta non salutare.
Archiati: Pensateci un po’, ci sono modi diversi di non salutare qualcuno? Ci sono modi diversi di ignorare qualcuno? Ci sono modi diversi di esprimere l’ignorare, ma non di ignorare. E Giuda è uno, un gran mistero, Giuda è uno, annulla la molteplicità.
Intervento: È il contro-spirito.
Archiati: È il contro-spirito. Ci sono diversi modi di non capire qualcosa?
Intervento: No.
Archiati: Non capire è non capire! Supponiamo che nessuno di noi sappia la lingua cinese, e qualcuno ci parli in cinese: ci sono diversi modi di non capire? No, se non capiamo non capiamo. Quindi il male è povertà, uniformità, monotonia, noia. Belle categorie, pulite, senza moraleggiamenti, che ti fanno venire voglia di dire: no, ci metto qualcosa!, facciamo subito qualcosa. Il male morale umano è il vuoto.
«Tutto ciò che è mio è Tuo e tutto ciò che è Tuo è mio, e sono stato glorificato in loro». Qualcuno prima chiedeva: perché parla al passato? Sono stato glorificato in loro.
Intervento: Io ho: io sono glorificato in loro.
Archiati: No, ancora deve andare nella morte, deve ancora avvenire la resurrezione!, come mai dice: «sono stato glorificato in loro»?
Intervento: Però qui c’è: Io sono glorificato in loro.
Archiati: Sì, però in greco c’è un tempo al passato.
Intervento: Anche io ho vinto il mondo è al passato, ma ancora non l’ha realizzato.
Archiati: Ci sono diversi verbi al passato. Svolgiamo il pensiero al passato, supponiamo che il Cristo intenda dire: sono stato da sempre glorificato in loro. Quindi la gloria, la pienezza del Figlio di Dio avviene nell’uomo. Quando avviene? Da sempre. Perché il bambino non è un essere umano che ancora deve venire, è potenzialità, al pensiero e alla volontà libera.
Da che uomo è uomo si glorifica nell’uomo la potenzialità, l’aspirazione, la tendenza, l’intenzionalità verso la creatività dello spirito nel pensare e nell’amare. È l’essenza dell’uomo, la natura stessa dell’uomo. Quindi, la natura dell’uomo è una glorificazione, è un portare a irraggiamento le forze della libertà. Da sempre. È il passaggio tra la potenzialità e la realizzazione, tra potenzialità e attualizzazione.
Il fatto che l’attuazione della potenzialità avvenga nella seconda parte dell’evoluzione non significa che questa natura intrinsecamente rivolta alla creatività sorga soltanto nella seconda parte, no, è stata creata così fin dall’inizio.
17,11 «Io non sono più nel mondo, essi invece sono nel mondo e io vengo a te. Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi».
«Mai più sarò nel mondo – kaˆ oÙkšti e„mˆ ™n tù kÒsmJ (kai ucheti eimi en tò cosmo)», l’affermazione essere nel mondo è l’essere incarnato in un corpo fisico. Il Cristo si incarna in un corpo fisico soltanto per tre anni, nel centro, nel fulcro della storia, poi mai più, oÙkšti (ucheti).
Perché anche nel cristianesimo c’è stato il dubbio sul fatto che Cristo si ripresentasse di nuovo in carne e ossa... Invece l’asse, il perno di tutta la storia, di tutta l’evoluzione umana sono quei tre anni di incarnazione, proprio dell’inabitare del Logos cosmico nella carne di Gesù di Nazareth; e alla fine di questi tre anni dice: mai più sarò dentro al mondo in quanto realtà corporea, incarnato.
«Ma loro sono nel mondo, nel cosmo», intende forse dire: Io ora vado, entro nella morte però, loro, ci devono stare ancora un paio di annetti… È questo che intende dire? No di certo, intende dire che l’incarnazione del Verbo, del Logos avviene una volta sola al centro della storia; mentre loro restano nel cosmo fino alla fine dell’evoluzione. Allora sì che la frase ha senso! Perché se la frase significasse soltanto che loro, cioè Pietro, Matteo, Bartolomeo ecc. loro, poveretti, hanno ancora un paio d’anni da passare qui sulla Terra, sarebbe banale perché una differenza di un paio d’anni non è una differenza metafisica, non è una differenza sostanziale.
Allora diciamo che il fenomeno archetipico della svolta è il fenomeno che anticipa, che comprende in sé tutta l’evoluzione umana. Ma l’evoluzione umana, che cos’è? È una svolta, è un risvoltare, un rovesciare tutto ciò che è di natura in esperienza della libertà. Questo trasformare, far risorgere tutto ciò che è di natura in un’esperienza della libertà nel pensiero e nell’amore, il Logos lo compie archetipicamente una volta, ma lo fa per noi, non è che Lui abbia bisogno di tre anni per farcela. Mette lì tutta la fenomenologia, e questa fenomenologia della svolta, di trasformazione del mondo del Padre in un mondo del Figlio dove tutto si corrisponde, è la fenomenologia del tutto, perché il tutto è porre la prima fase e poi trasformarla tutta.
L’evento della svolta è allora l’archetipo di tutta l’evoluzione, perché il tutto dell’evoluzione umana è trasformare tutto ciò che è materia, tutto ciò che è natura in una resurrezione dello spirito. Ciò che il Verbo compie al centro, gli esseri umani lo compiono nel corso di tutta l’evoluzione.
Intervento: È lo stesso motivo per cui, sulla croce, il Cristo dice: tutto è compiuto?
Archiati: Certo, perché è l’archetipo del compimento. Lui si trova al centro della storia, dove noi ci troveremo, se l’evoluzione la compiamo in bene, alla fine dell’evoluzione.
Capiamo che siamo in questa evoluzione di trasformazione di tutto ciò che è pesantezza di natura in frammenti di creatività, di liberazione, di libera creazione dello spirito umano e dell’amore umano, dove deve essere possibile questa realizzazione frammento per frammento. E deve essere possibile anche l’omettere frammento per frammento, con possibilità di cadere sempre più giù e con tentativi di ritornare su che diventano sempre più difficili.
C’è un costituirsi sempre più definitivo nella via del bene, della realizzazione dell’umano, o un costituirsi sempre più definitivo, sempre più irrevocabile, realmente irrevocabile, nella sola via dell’omissione dell’umano. E, per realizzare sia l’uno che l’altro, l’uomo ha bisogno di tutto il tempo dell’evoluzione. Quanto dura l’evoluzione? L’evoluzione dura tanto quanto l’uomo ha bisogno per realizzare tutto l’umano o per ometterlo.
Quanto ci mette l’uomo a realizzare tutto ciò che è umanamente realizzabile? Non lo può sapere in partenza, altrimenti sarebbe il Logos, perché il Logos è già alla fine. Man mano che ci prova dice: ce n’è ancora da fare!
E la curva, proprio geometricamente – e queste sono anche forme del pensiero umano –, cosa dice questa curva? Dice che è nella struttura del tempo che c’è un accelerazione, finché si ricurva e diventa un cerchio dell’eternità (V. Dis. 23).
Perché c’è un’accelerazione?
Intervento: Perché i mutamenti sono più veloci.
Archiati: Perché? Deve essere così?
Replica: Effettivamente sì, adesso però non so spiegare il perché.
Archiati: Provaci, provaci.
Replica: Perché è sempre un di più che c’è, c’è sempre più un’attività, la velocità… non è un’inerzia, è un moto accelerato.
Archiati: Perché per natura è accelerato?
Intervento: Aumentano le forze…
Archiati: Non buttarlo lì, spiegalo.
Intervento: Perché si rinforza in se stesso.
Archiati: Prendiamo l’esempio dell’apprendere una lingua: quando si impara una lingua, l’imparare va sempre alla stessa velocità? Arriverà un punto in cui comincio a saperla così bene che diventa sempre più veloce. È nella natura della cosa.
DIS. 23
Nell’evoluzione del pensiero è lo stesso, se uno coltiva il pensiero si rende conto che, in effetti, migliora! – mica uno si deve vantare, è oggettiva la cosa, gioiamo anche del cammino del pensiero di un altro, non soltanto di noi stessi – perché è nella natura che più cose capisco e più sono veloce nel capire, altrimenti non ho fatto progressi nel pensiero.
Allora, cosa ci dice questa linea che parte verticale all’inizio, prende questa direzione e poi diventa sempre più un cerchio?
La coscienza divina ha tutto presente. L’evoluzione va dall’inizio alla fine, ma la coscienza divina ha tutto presente: quello che per noi è passato, presente e futuro. La coscienza umana è chiamata a diventare sempre più divina, sempre più creatrice, quindi il cammino della coscienza è di abbracciare contenuti sempre più vasti, e quando, di un tipo di evoluzione si arriva ad abbracciare l’inizio e la fine, non sono più uno prima e uno dopo, sono compresenti.
Cos’è l’eternità? L’eternità è una velocità dello spirito tale da essere contemporaneamente all’inizio e alla fine. E quando si è contemporaneamente all’inizio e alla fine? Quando l’intuito abbraccia la struttura globale di una unità. Quando noi diciamo: evoluzione dell’Io, a parte il fatto che è embrionale il concetto, però, in quanto concetto, dov’è? All’inizio, alla fine o a metà? Tutto: l’evoluzione dell’Io abbraccia tutta questa evoluzione, tutto.
DIS. 24
E più lo riempio di contenuti e più non c’è un prima e un dopo: è tutto insieme. Però è un tutto insieme non sfocato, la coscienza divina ha l’unità e tutti gli elementi contemporaneamente presenti: unità e infinita ricchezza. La sintesi di tutte le sintesi è contemporaneamente l’analisi di tutto l’analizzabile. È vertiginosa la cosa! Però il cammino del pensiero è proprio questo. È un crescere geometricamente in ricchezza, una ricchezza che però non si atomizza, la struttura unitaria non si perde di vista. E perché dà gioia questo?
Intervento: Perché non manca niente.
Archiati: Perché ti fa sentire a casa tua, non c’è più nulla di estraneo, che ti faccia paura, perché vedi il senso del tutto, lo scopo del tutto: da dove vieni, dove vai. Nulla dà più gioia all’essere umano, nulla realizza l’essere umano più della conoscenza. E amare significa far di tutto per aiutare l’altro a crescere come spirito. L’amore più grande è l’amore per la conoscenza. Cosa sarebbe l’amore senza conoscenza? C’è un amore indipendente dalla conoscenza?
Intervento: No, abbiamo detto di no.
Archiati: L’amore umano, per natura, si riferisce all’evoluzione dello spirito, è un amore verso l’evoluzione dello spirito.
Intervento: E mi sembra che più si vada avanti verso il bene e più aumentino le difficoltà, ma aumentano anche le forze che hai per vincere le difficoltà.
Archiati: Certo.
Replica: L’immagine speculare è quella di Dante che sale nel Purgatorio.
Archiati: Il Paradiso è un forma rotonda, una rosa. Perché una rosa e non un cerchio? Perché la rosa è tutti e due: è un cerchio, ma diversificato. C’è il cerchio, però ha i diversi petali, tutti e due ci sono, entrambi. La rosa del Paradiso dantesco è un’immagine bellissima di compresenza di unità e di molteplicità delle forme…
DIS. 25
Intervento: È perché il cerchio è totalmente la rosa, non è un cerchio, il cerchio vero non è solo la forma esteriore della circonferenza, è la rosa.
Archiati: È la rosa. Infatti, ti ho detto che non è un cerchio. Il pensiero arriva a questo, non si scappa, perché vive di sintesi, di unità e di analisi, di differenziazione infinita. Come nell’organismo, come nell’immagine dell’organismo.
Allora: «Io non sono più nel mondo e loro sono nel mondo», su questa parte del versetto undici mi ero fermato a dire che loro sono nel mondo fino alla fine della Terra in quanto elemento fisico, in quanto elemento di interazione tra percezione e concetto. A livello morale è tra la pesantezza dell’istinto egoistico, dell’essere riferiti solo a sé, e il superare questo riferimento solo a sé, aprendosi verso l’altro. L’istinto da superare in chiave morale lo trovo soltanto restando nel mondo fino alla fine dell’evoluzione, e la percezione da trasformare in concetto la trovo soltanto restando nel mondo fino alla fine, fino alla fine della Terra.
Io non sono più nel mondo, loro sono nel mondo «e io vengo a te, vengo verso di te», il Figlio ritorna al Padre, si rende di nuovo spirituale, si rende di nuovo invisibile. E quindi, questo andare al Padre, ritornare al Padre, l’abbiamo tradotto dicendo: fa della Terra il Suo corpo.
L’opera omnia 112, le conferenze tenute a Kassel – forse ve lo ricordate, l’ho già detto un paio di volte –, è Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca. Nelle ultime conferenze di questo ciclo, a lungo e in modo molto profondo, Steiner descrive che questa espressione esoterica, andare al Padre, significa entrare nella morte per trasformare ogni elemento di morte in un’esperienza di resurrezione.
Il Cristo si trova, spiritualmente, dovunque ci sia da morire, per portarci incontro le forze che trasformano ogni morte in resurrezione. E ci siamo sempre detti che il pensiero muore nella percezione, perché la percezione è un frammento di oscurità, è mancanza di concetto – è il vuoto, il buco del concetto –, e il Logos è lì nella percezione che mi porta incontro il concetto, mi aiuta a trovarlo, a mettere la luce dove c’è la tenebra della percezione.
E dovunque c’è la pesantezza dell’egoismo, del pensare solo a se stessi, le forze del Logos – che intridono ciò che mangiamo, l’aria che respiriamo ecc. – tolgono la cogenza, e rendono tutte le forze della natura non più deterministiche, in modo che noi possiamo trasformarle in un’esperienza di libertà. Dove prima dicevamo «non posso, non ce la faccio», grazie all’incontro col Cristo possiamo dire: sì, è possibile, sì, ce la faccio! Si tratta di esercitarlo, si tratta di non omettere le occasioni che ci si presentano.
Intervento: Nel libro che hai tradotto da poco in italiano, Introduzione alla scienza dello spirito,[6] c’è qualcosa che io non avevo ancora trovato, una spiegazione così chiara proprio di questa relazione tra pensiero e morte, e di tutto ciò che è anche esercizio, proposto come esercizio di concentrazione. E subito nella prima conferenza si arriva con questa proposta, che trovo molto generosa, e sono contenta che ci sia, perché fino a ora in un modo così aperto ed esplicito non c’era.
Archiati: In effetti, non posso che darti ragione. Sono conferenze che abbiamo pubblicato in tedesco nelle edizioni Archiati, e ho curato io la redazione. Adesso stavamo parlando dell’esperienza dello Spirito Santo, del Logos e di quello che possiamo omettere, no? Steiner ha tenuto queste tre conferenze pubbliche a Basilea, con l’intento di fare per un vasto pubblico, quindi per tutti, una introduzione ai fondamenti della scienza dello spirito.
Io ritengo – ma non prendete questo come ricatto, mi fareste un torto, perché non è vero – che i grandi peccati di omissione avvengono là dove questa scienza dello spirito, che è proprio l’incarnazione dello Spirito Santo, dei misteri della venuta del Cristo nella coscienza umana, viene ignorata. I peccati di omissione li evitiamo soltanto se abbiamo migliaia e migliaia di individui, migliaia di piccoli gruppi che conferenze come queste, che sono per tutta l’umanità, per tutti gli spiriti umani, le prendono in mano e le masticano! Altrimenti omettiamo il cammino dello spirito. E io vi devo dire che soffro tremendamente nel vedere che restano lì.
Quelle tre conferenze, tu dici che la prima l’hai appena letta, no? Io le ho masticate trenta o quaranta volte perché ci ho dovuto lavorare: non esiste leggere una volta sola!, ma non esiste, piuttosto lascia perdere. Se uno la legge con attenzione si dice: o questa la studio dieci volte, oppure sono disonesto con me stesso.
Intervento: Tutti i libri di Steiner sono…
Archiati: Ma non tutte sono conferenze che ha tenuto come introduzione alla scienza dello spirito. Se tu onestamente dici: io ho masticato tanto, di Steiner, per cui ora sto studiando veramente altre cose, allora va bene. Però parliamo di un’umanità che non ha ancora neanche l’accesso, che l’introduzione non ce l’ha, non ha fatto il cammino d’introduzione. L’introduzione è un cammino.
Replica: E non è neanche facile.
Archiati: Capite che c’è anche un elemento drammatico in questi peccati di omissione perché li vediamo, li vediamo. I peccati di omissione si compiono nell’epoca dello Spirito Santo dove una scienza dello spirito, in questo amore per gli esseri umani propone addirittura dei gradini introduttivi!, per entrare dentro, e viene omesso, non viene fatto, abbiamo altre cose da fare, un sacco di cose da fare.
Se la difficoltà fosse nei dieci euro che costano queste tre conferenze… a parte che il discorso vale anche tale e quale per le conferenze singole, le conferenze singole costano due euro, quindi non si può dire che il problema siano i soldi. Noi stampiamo soltanto conferenze fondamentali, ma finché non abbiamo migliaia e migliaia di persone che ci lavorano, che le macinano, che le studiano cinque, dieci volte, è omissione, omissione, omissione, a meno che troviate qualcosa di meglio, allora sì, ci mancherebbe altro!
Come vi suona questo discorso? Perché per me è veramente un problema di coscienza! Mi interesserebbe sentire un paio di voci. Ripeto, non importa che sia l’Archiati Verlag a pubblicarle, se non lo fa nessun altro lo facciamo noi, ma non lo fa nessun altro. Secondo me, correggetemi se non è vero, il modo in cui gli antroposofi… – con tutto il rispetto, io rispetto tutti quanti –, però l’impressione per me chiara, è che la scienza dello spirito sia stata coltivata troppo all’interno e con uno spirito settario, non sia stata resa accessibile a tutti.
Adesso hanno pubblicato, in concorrenza alla scienza dello spirito che editiamo noi, un’introduzione all’antroposofia, con un sacco di testi che valgono soltanto per chi l’ha studiata già da quarant’anni, e la chiamano Introduzione all’Antroposofia, ma non si tratta di pane per gli esseri umani comuni.
C’è qualcuno che vuol dire una parola su questo quesito? Come la mettiamo con questa scienza dello spirito?
Intervento: Di questa realtà che dicevi, ti riferivi soltanto al nostro paese o anche alla Germania, alla Francia o…
Archiati: No, vale in genere.
Intervento: C’è una resistenza incredibile…
Archiati: Nella cultura.
Intervento: Pensa che… sai il tuo libretto sul pensiero, mi sono detta: sono poche pagine, riusciranno a leggerlo… Invece ti dicono: ma è così difficile! Allora, per le persone, per esempio, noi cerchiamo di dare i tuoi libri perché è una porta un pochino meno difficoltosa che leggere direttamente Steiner, e trovano difficili anche i tuoi. Questa è la mia esperienza.
Intervento: Tanti rifiutano tutto ciò che è spirituale, appena si parla di spirito lo rifiutano.
Intervento: Con questi libri, per forza bisogna pensare, e la gente non vuole perché si fa fatica e perché dovrebbe mettere in discussione un sacco di cose.
Archiati: E allora? Bisogna riunirsi in piccoli gruppi, una volta alla settimana, in piccoli gruppi. Allora: qualcuno all’inizio non c’era, e dopo qualche settimana anche quello ci dice: provo anch’io, vengo anch’io una volta?
Intervento: E questa è la cosa che funziona…
Intervento: Contagio…
Archiati: Piccoli gruppi, lì vive la scienza dello spirito.
Intervento: Posso dire una cosa? Io personalmente seguo Steiner da quattro anni, dieci anni fa venni a conoscenza dei libri di Steiner, non li compresi affatto, però li lasciai lì. Nel tempo sono maturata, e riprendendo i libri di Steiner li riconobbi. Io penso che sia anche, oltre che una spiegazione, anche… cioè uno legge qualcosa e lo tocca dentro, e poi però ci vuole anche il tempo di assimilarlo; per alcune persone ce ne vuole tanto, io, per esempio, ho impiegato dieci anni. E per comprendere piccoli concetti, oggi, quando lei parla, la comprendo, col mio cuore e con la mia testa, però c’è voluta la maturazione. Ecco, questo volevo dire. Che alle volte, sì, le spiegazioni vanno bene, ci si può anche documentare, però poi ognuno deve fare un lavoro, una riflessione personale.
Archiati: Va bene, è papale la cosa. E non è la prima volta che mi sento dire che sono impaziente, perché è vero.
Replica: No, non l’ho detto a lei.
Archiati: Sì, l’hai detto implicitamente, ma è vero: bisogna dare alle persone il tempo di cui hanno bisogno. Però, per non perdere colpi bisogna anche non andare all’estremo opposto da non proporre nulla. È sempre una questione di giusto equilibrio.
Intervento: Più facile è e più appetibile è per tutti.
Intervento: Ma non è vero…
Archiati: Sì, però non è la cosa che ti fa andare avanti, e poi non è vero che più è facile e più è appetibile, non è vero.
Intervento: C’è anche un’altra cosa: la reincarnazione blocca.
Archiati: La reincarnazione blocca, quindi bisogna trovare categorie mentali per sminuzzarla, per renderla accessibile.
Replica: Io ho fatto leggere Arrivederci alla prossima vita, sono rimasti molto toccati, come se si fossero spaventati.
Archiati: Va bene, andiamo bene.
Siamo arrivati a metà del versetto 17,11 dove dice, adesso, all’improvviso: «Io non sono più nel mondo, e loro sono nel mondo, io vengo verso di te». E ora che ritorna, ridiventa spirituale, non più percepibile sensibilmente, dice: «Padre Santo… – P£ter ¤gie (Pater aghie)».
Il mondo della natura è la somma del sacro, perché non c’è null’altro di santificabile se non il mondo della natura. Oltre al mondo della natura non si può santificare nulla, perché trasformare ogni percezione in concetto significa rendere sacra e santa, come frammento dello spirito umano e quindi religiosa, ogni percezione.
Trasformare ogni pesantezza dell’egoismo in leggerezza, in generosità dell’amore, è un santificare il mondo dalla parte della moralità. In che modo è sacro il mondo del Padre? Perché è la totalità delle condizioni per sacralizzare l’essere umano. L’essere umano può diventare sacro tanto quanto materiale ha da rendere sacro. E il materiale che ha da rendere sacro è il mondo del Padre.
Questo è il mondo, lavorando nel quale, pensando e amando, l’essere umano diventa sempre più sacro, sempre più divino nel suo spirito. Che cosa è profano allora? L’omissione. È un omettere di sacralizzare, di rendere puro lo spirito, di rendere divino l’essere umano. Profano è l’essere umano in quanto è meno di quanto potrebbe essere come spirito. Lo spirito è sacro, non esiste nulla di più sacro dello spirito. Dio, il divino, è spirito. Quindi sacro è ciò che si trasforma in spirito, profano è ciò che resta estrinseco, esterno, refrattario allo spirito, per omissione, perché nulla è per natura esterno allo spirito, resta tale per omissione di sacralizzazione. Un’altra domanda: dove trova l’essere umano il divino?
Intervento: Dappertutto, nel mondo.
Archiati: Non soltanto dappertutto, ma solo nel mondo della materia! Nel cosiddetto “puro spirito” non c’è nulla di divino perché non c’è nulla di reale. Nel cosiddetto puro spirito c’è pura non sacralità, perché non c’è nulla di reale. Reale è soltanto ciò che l’uomo trasforma, da percezione in concetto, da egoismo in amore. Quindi il cosiddetto puro spirito è una profanazione dello spirito umano, perché fa astrazioni ed esce dalla realtà dello spirito.
Intervento: Paradossalmente verrebbe da dire che il materialismo è puro spirito.
Archiati: Sì, intendi dire che è puro non spirito.
Replica: Sì, nel senso in cui stai dicendo tu, che è pura astrazione.
Archiati: Quindi è puro non spirito; il materialismo è profanazione assoluta dello spirito umano perché svuota lo spirito umano di ogni contenuto, perché il contenuto dello spirito lo si ha soltanto dove c’è la percezione da trasformare in concetto. Lo spirito umano diventa sacro soltanto confrontandosi con la percezione, trasformandola in concetti. Diventa sacro soltanto confrontandosi con l’egoismo, che viviamo unicamente nel mondo incarnato, e trasformandolo in amore.
Quando l’essere umano cerca il puro spirito al di là del mondo della percezione e al di là delle pesantezze dell’egoismo, vanifica, rende profano tutto il suo essere, perché non ha più nulla di reale. E se mi permettete di dirlo in modo un po’ più forte – però verace –, la maggior parte della religione tradizionale è puro autogodimento animico, nulla di realtà dello spirito.
Intervento: Però anche la religione tradizionale permette un minimo della conoscenza della dimensione dello spirito, delle Sacre Scritture. Bisogna anche dare atto che il cristianesimo, nei secoli, entro certi limiti, ha mantenuto la tradizione viva, almeno nella dimensione che parte dalle Sacre Scritture. Anche perché nei secoli le persone hanno percepito in base ai limiti storici qualche cosa del cristianesimo.
Archiati: Se io volessi essere remissivo ti direi che in fondo hai ragione. Un altro modo di rispondere è di essere verace fino alla fine, allora dovrei concedere all’altro la forza di accettare il contraccolpo che gli dice: queste Scritture di cui tu parli, le hai avute veramente o si è avuto un fantoma delle scritture?
Quello che voglio dire è che nel cristianesimo tradizionale – però stiamo parlando un po’ per sintesi, quindi le affermazioni che faccio sono un pochino assolute, questo va messo in conto –, il Cristo, in fondo, finora non c’erano i presupposti per averlo. Finora è stato capito come colui che ha portato la dottrina migliore su Dio Padre, ma che nel Figlio si manifesti una dimensione del tutto nuova del divino non c’erano i presupposti dello spirito per capirlo. Quindi siamo agli inizi.
Il ritorno del Cristo a livello spirituale è l’inizio di una comprensione della Sua realtà, e finora c’era soltanto la fede nel Cristo, che è l’adesione del cuore, del bambino. Il bambino ce l’ha o non ce l’ha la realtà dell’umano? L’essenza dell’umano è pensare autonomamente ed essere responsabile delle proprie azioni, il bambino non può né l’uno né l’altro, però potenzialmente ce l’ha.
Io direi: per necessità evolutive il cristianesimo finora poteva avere il Cristo tanto quanto il bambino piccolo ha l’umano: potenzialmente. Se noi scambiamo l’avere qualcosa potenzialmente con l’averlo a livello di attuazione di questa potenzialità, però, non distinguiamo più tra potenza e attuazione.
Intervento: Oltretutto tu hai sempre detto che fino all’umanità bambina, il cristianesimo tradizionale, come è andato andava benissimo, però a un certo punto…
Archiati: Prima non poteva essere altrimenti.
Replica: Perciò, praticamente, quello che ha detto lui lo hai sempre condiviso anche tu nelle tue affermazioni, solo che però a un certo punto, come il bambino cresce, anche l’umanità è cresciuta, e allora ci vuole un passo in avanti. Ma quello che ha tramandato è andato bene.
Archiati: In altre parole la domanda è: il rapporto dell’anima col Cristo – che c’era, c’è stato senz’altro, lo chiamiamo cristianesimo della fede – paragonato al rapporto dello spirito umano col Cristo, è lo stesso? È un salto qualitativo!
Per cui uno si dice: nella misura in cui sentiamo la responsabilità di affrontare il Cristo a livello della realtà dello spirito, perché lo spirito è una realtà, allora il rapporto dell’anima col Cristo ci appare così bambino (malgrado la fase infantile sia necessaria) che è piuttosto un’auto-esperienza dell’anima, ma non è ancora il Cristo.
Il Cristo reale ce l’hai quando hai la realtà spirituale. Quando hai il rapporto animico col Cristo hai l’aspirazione al Cristo, che è bellissima e ci deve essere come preparazione, hai l’anelito al Cristo, hai la tensione verso il Cristo, ma non hai ancora il Cristo reale. Il Cristo reale è Spirito, e per averlo devo fare l’esperienza della realtà dello spirito. Nei duemila anni precorsi non c’erano i presupposti di coscienza, di cammino di coscienza, per fare l’esperienza della realtà dello spirito; se non teniamo conto di questo non cogliamo passi ben specifici, è come se l’evoluzione fosse tutta uguale.
Se noi mettiamo la realtà del Cristo – che siamo chiamati a vivere come realtà del Cristo alla seconda venuta –, sullo stesso piano della realtà del Cristo che eravamo in grado di vivere alla prima venuta, allora non c’è una differenza sostanziale tra le due, e quindi dobbiamo smettere di parlare di due venute sostanzialmente diverse.
Nella prima venuta il Cristo viene vissuto nella realtà dell’anima, e nella seconda venuta il Cristo viene vissuto nella realtà dello spirito. Sono due dimensioni del tutto diverse, perché l’animico è per natura soggettivo, e lo spirito è per natura oggettivo. Dove c’è stata nel cristianesimo tradizionale una conoscenza oggettiva della realtà spirituale del Cristo?
Intervento: Solo alcuni santi l’hanno percepita…
Archiati: No, prendi Francesco d’Assisi, è una purezza d’amore tale che la conoscenza spirituale non l’ha neanche sfiorato.
Replica: Padre Pio sì.
Archiati: No. Quando parliamo così non abbiamo un’idea, neanche il concetto dello spirito, lo spirito è pensiero puro! Il nostro problema è che quando parliamo di pensiero puro pensiamo che sia una cosa così profana, così evanescente che non è nulla.
Intervento: È il discorso dell’io inferiore e dell’Io superiore.
Archiati: Sì, però la terminologia andrebbe spiegata.
«Padre Santo, – t»rhson aÙtoÝj ™n tù ÑnÒmat… sou (tèreson autùs en tò onomatì sù) – conservali nel Tuo nome», tienili ancorati al Tuo nome. Il nome del Padre, l’essenza del Padre è l’aspirazione di tutta la natura a umanizzarsi, e l’essenza dell’uomo è l’aspirazione di tutto l’uomo a cristificarsi. Allora: l’essenza del mondo del Padre, della natura, è la potenzialità a diventare umano; l’essenza dell’umano è la potenzialità a cristificarsi e quindi, attraverso la cruna dell’ago dell’uomo, tutta la natura, tutto il mondo del Padre si cristifica e si trasforma in spirito.
Il punto di riferimento tra l’uomo e la natura è che le piante, i minerali e gli animali aspirano a essere redenti nell’umano, perché è per l’umano che si sono sacrificati per secoli e millenni, per farsi da fondamento per l’evoluzione umana. E questa aspirazione di tutta la creazione a umanizzarsi nel pensiero, nella parola e nel cammino umano, è perché la creazione sa, il Padre sa, che attraverso l’uomo entra nel dinamismo dell’uomo. E l’aspirazione dell’uomo è di cristificarsi, di intridersi di forze di sapienza del Logos e di amore del Logos.
«Custodiscili nel Tuo nome, che hai dato a me affinché siano uno, come noi siamo uno». L’unificazione dell’infinita varietà della natura è l’uomo, nell’uomo la natura diventa una, si unifica, e l’unificazione dell’infinita varietà di tutti gli uomini è il Logos, il Cristo. Affinché siano uno, come noi siamo uno: noi sono il Padre e il Figlio. Padre e Figlio sono uno, in quanto percezione e concetto sono uno, devono combaciare perché il concetto mi dice l’essenza della percezione.
«Così come il Padre e il Figlio sono uno, così gli esseri umani diventano uno», e come diventano uno? Unificandosi sull’oggettività dello spirito. Ciò che ci unifica non è il soggettivo, che è diverso in ognuno, ciò che ci unifica è l’oggettivo. L’anima ci diversifica – e ci vuole, la varietà ci vuole –, lo spirito ci unifica, e ci vuole, perché ci vuole l’unità.
Il Cristo non dice che, diventando uno, terminano di essere molti, questo non lo dice, molti si è perché l’anima c’è già, ci viene data per natura, la molteplicità c’è già. L’unificazione è conquista della libertà, ma non dice che si perde la molteplicità delle forme: la varietà resta, però si aggiunge l’altra dimensione.
Essere umani significa muoversi continuamente tra l’uno e il molteplice: l’infinità degli echi animici del mondo, del vissuto di ognuno che si espone al mondo, e l’unità dell’oggettività dello spirito, che troviamo nel pensiero. E l’amore crea l’unità a livello morale, perché amore significa diventare membra gli uni degli altri, significa che l’operare dell’uno favorisce in tutto e per tutto l’evoluzione dell’altro. E dove tutti favoriscono l’evoluzione di tutti diventiamo uno!, come le membra di un organismo.
Domani mattina ci ritroviamo per portare a termine tutto il capitolo diciassette…
Domenica 20 Febbraio 2005, mattina
vv. 17,12 – 17,18
Verso la fine della sua vita sulla Terra il Cristo ha combinato qualcosa… Che cosa?
Perché quello che il Cristo fa è un conto, quello che gli uomini ne fanno è un altro paio di maniche! Quello che Steiner ha fatto è una cosa – questo vale per tutti noi naturalmente – e quello che gli uomini ne hanno fatto è un’altra. Ecco perché, per non darvi subito la mia interpretazione del Convegno di Natale,[7] cerco di mettervi in mano una chiave di lettura. Nella cosiddetta Ultima Cena ci sono i discorsi che noi adesso abbiamo visto, negli altri vangeli ci sono altre cose, che cosa ha combinato lì il Cristo? Ai dodici ha detto: «fate questo in memoria di me», ha detto al pane «questo è il mio corpo» e ha detto al vino «questo è il mio sangue». Questo è successo. Nel Vangelo di Giovanni non c’è manco questo, c’è proprio poco, l’istituzione dell’Eucarestia nel Vangelo di Giovanni, direttamente, non c’è.
Che cosa ne ha fatto la Chiesa cattolica? Ha detto: «quella sera il Cristo ha fondato la Santa Chiesa Cattolica!». Quindi il «fate questo in memoria di me» non l’avrebbe detto a tutti, ma solo ai preti, ai Dodici, ai dodici vescovi che poi hanno consacrato tutti gli altri. Attraverso la successione apostolica ogni sacerdote che si è consacrato alla Chiesa cattolica risale senza interruzione agli apostoli. Quindi, quest’istituzione, la Chiesa, ha un carattere sacro perché è stata fondata da Cristo.
Riassumo, però sono cose reali, che nella mia fanciullezza sono state importanti, che per mio fratello sacerdote e mia sorella suora sono ancora i fondamenti della vita. L’ho detto con parole mie, voi lo direte con parole vostre, però questa è la sostanza, cioè, che gli esseri umani non sono tutti uguali di fronte al Cristo, non hanno tutti ugualmente l’accesso al Cristo, ma l’accesso al Cristo passa per la Chiesa, passa per il suo tramite. Questo è il concetto. Altrimenti saremmo tutti uguali, perché il pensatoio l’abbiamo tutti.
Io aggiungo, ma è un’aggiunta, un’interpretazione mia questa: l’affermazione che dice che il Cristo ha congiunto il suo destino nell’umanità, in modo particolare, con un’istituzione è un pensiero intrinsecamente anticristico, perché significa fare dei privilegi. E far dei privilegi in linea di principio, in base a cariche, in base a gerarchie, è proprio l’opposto del fatto che il Logos, dando una facoltà pensante a tutti noi – perché questa è l’essenza dell’umano – ci rende chiaramente l’accesso a Lui immediato, a tutti noi.
Perché è successo questo? Perché ogni forza ha bisogno della controforza. E la controforza – questa è un’altra legge dell’evoluzione – non può venire dal di fuori, perché una controforza che viene dal di fuori è una controforzina! Un Giuda che non facesse parte dei Dodici sarebbe un “Giudino”. Se uno ci pensa fino in fondo, sono tutti compiti del pensiero, questi, si rende conto che una controforza degna della forza, cioè che sia corrispondente, deve sempre venire dal di dentro.
Ora, la controforza si esprime sempre là dove, per principio, per istituzione, per cattedre, per Sante Sedi ci si ritiene ufficialmente, ex cathedra, ex officio rappresentanti di un impulso. E non per evoluzione individuale libera! Quella è la controforza in forma pura, perché o hai l’accesso al Cristo in quanto evoluzione individuale, libera del singolo spirito, oppure per grazia ricevuta della… sedia su cui si sta seduti.
La controforza è cattiva? No, è necessaria, non è né buona né cattiva. Il modo in cui il singolo affronta la controforza sarà per lui buono o cattivo, nel senso che lo farà andare avanti o lo farà dormire, quindi è fondamentale il modo in cui il singolo prende posizione nei confronti della controforza.
Salta fuori un Rudolf Steiner… Supponiamo – io lo so per esperienza, dico così per lasciare libero l’altro –, supponiamo che Rudolf Steiner sia una manifestazione abbastanza genuina, abbastanza pura dello Spirito del Cristo, in questo caso si deve ripetere la stessa fenomenologia. Deve fare un Convegno di Natale, che sarebbe il corrispondente dell’Ultima Cena, dove l’affermazione «fate questo in memoria di me» è l’abolizione di ogni privilegio, è il mettere gli esseri umani tutti uguali nei confronti del Logos. E ci mancherebbe altro!, se no si contraddice lo Spirito del Cristo.
Il Convegno di Natale è stato il tentativo di Steiner di abolire tutto ciò che è istituzionalmente terreno. Ci sono stati degli esseri umani, – e ci dovevano essere, perché fa parte del fenomeno – che l’hanno interpretato all’opposto! Hanno detto: «Ha fondato un’istituzione terrena» e quindi questa istituzione ha un rapporto, un accesso privilegiato alla scienza dello spirito.
Così come la Chiesa cattolica mi diceva, e lo dice tuttora: se sei fedele alla Chiesa sei fedele al Cristo, e puoi essere fedele al Cristo soltanto restando fedele a lei, così la Società antroposofica mi ha detto, e non sempre gentilmente: o sei fedele alla Società antroposofica, e allora resti fedele anche a Steiner, oppure non sei più fedele alla società, se addirittura ne esci non sei più fedele a Rudolf Steiner.
Come arrivano gli esseri umani a interpretare un fenomeno all’opposto di quel che è? La Chiesa, secondo me, eh!, voi la potete pensare come volete, ha interpretato l’Ultima Cena all’opposto di quello che è. Nella misura in cui gli esseri umani hanno bisogno della Santa Istituzione, perché lo Spirito è troppo poco, è solo spirituale. E se io devo avere accesso al Cristo solo nello Spirito, non è un Cristo, se ho la Chiesa, allora sì che ho qualcosa. Mia sorella suora mi dice: che cos’hai tu del Cristo? Le tue belle teorie, hai del Cristo…
Intervento: Ti dice così lei?
Archiati: Che altro deve pensare? E io cosa le dico? E tu non hai neanche quelle! L’ultima volta gliel’ho detto dieci anni fa, poi mi sono accorto che ci rimaneva troppo male, e non gliel’ho detto più.
Ho riassunto, poi ognuno la può pensare come vuole. È tragico il fatto? È tanto tragico e tanto non tragico quanto la necessità del Giuda. Serve a qualcosa dire che il fenomeno Giuda è tragico? No, è necessario. Se non c’è la possibilità dell’abisso o dell’oscuramento della coscienza, di interpretare un fenomeno anche svisandone completamente il senso, non c’è la libertà.
Prendete la frase cardine di tanti antroposofi, per loro è proprio il cardine della loro fedeltà, della loro adesione del cuore, per la persona sono cose importanti queste. Si tratta di capirle, non di giudicarle o disprezzarle, si tratta di capire il fenomeno. Questi antroposofi fanno dire a Steiner che Steiner ha congiunto il suo karma con questa società, attraverso il Convegno di Natale, fondando la Società antroposofica. Non è vero, perché poi quando uno chiede loro: fammi vedere dove l’ha detto, non lo trovano!
Tra l’altro, adesso, quattro gruppi di soci hanno fatto causa in Germania e in Svizzera alla Società antroposofica – vi riassumo cose che sono molto complesse, e poi torniamo al Vangelo di Giovanni, per nostra fortuna –, dunque: due o tre anni fa, siccome volevano rivitalizzare la Società del Convegno di Natale, hanno fatto questa causa. Adesso hanno già fatto la seconda istanza, e non vanno in cassazione in Svizzera, perché lì il capo della cassazione è quello che fin dall’inizio aveva detto che la Società antroposofica non esiste. Quindi, due volte, il giudizio di prima istanza e il giudizio di seconda istanza hanno decretato che la Società antroposofica dal 1925 in poi non è mai esistita.
Intervento: Chi ha fatto causa a chi?
Archiati: Quattro gruppi di soci, alla Società antroposofica.
Replica: Quali erano le due posizioni?
Archiati: Hanno fatto causa dicendo: tu hai disposto, hai escluso persone, hai ricevuto dei lasciti da gente ricca ecc. senza essere costituita come istituzione, perché non esisti.
Replica: Sono i gruppi che hanno fatto causa.
Archiati: E allora, siccome c’era l’associazione per la costruzione del Goetheanum – quella era un’istituzione, però era di tipo commerciale – e nel 1925, quando Steiner stava per morire, Albert Steffen e altri dissero: questo muore, e a noi cosa resta? Nulla! Dobbiamo rendere giuridica questa istituzione, l’hanno fusa con l’associazione della costruzione del Goetheanum e fondendola l’hanno fatta sparire. Quindi, la presidenza di Dornach, da un punto di vista giuridico, amministra un’impresa edile. E alla Società antroposofica adesso sono disperati perché non sanno come fare, perché dicono: «Noi non esistiamo». L’unica cosa che gli resta è che la presidenza dell’associazione commerciale e la presidenza del Convegno di Natale è la stessa. Quindi la presidenza resta, la presidenza dell’impresa edile, però. E la Società antroposofica, a partire dal 1925, non è più esistita.
Io volevo aggiungere, e poi torniamo al Vangelo di Giovanni, che interpretano ciò che Steiner ha fatto e ha detto: fondando la Società antroposofica, dicono, ha congiunto il suo karma con questa società.
Intervento: E questo non si sa dove sta scritto?
Archiati: Ma anche se lo trovassero, noi cosa abbiamo fatto in questi giorni? Prendiamo le affermazioni e ci chiediamo: che contenuto c’è? «Steiner congiunge il suo karma con la Società antroposofica», che affermazione è? È un’affermazione essenzialmente anticristica per natura!, perché significa che non ha congiunto il suo karma con tutti gli altri esseri umani. È l’opposto dello Spirito del Cristo.
E se diciamo che il Cristo ha congiunto i suoi destini con la Chiesa cattolica, pronunciamo una bestemmia contro il Cristo perché intendiamo dire che non ha congiunto il suo destino con quelli che sono fuori dalla Chiesa. In altre parole diciamo che il Cristo ripudia tutti gli spiriti umani che ne sono fuori. Una bestemmia peggiore contro il Cristo non ci può essere! E gli antroposofi fanno la stessa affermazione.
Intervento: Su che base l’hanno fatta?
Archiati: Su qualcosa che ha detto Steiner. La Chiesa cattolica, su che base ha affermato che lei…
Replica: Perché a Pietro disse: su questa pietra, su questa base, costruirò la mia Chiesa. Allora su quale affermazione di Steiner viene basata la Società antroposofica?
Archiati: Che ha fondato e che lui è diventato presidente di questa società. Però era una società che abbracciava tutta l’umanità, questo non l’hanno capito. Tutto quello che è stato detto attorno al Convegno di Natale è complesso, non posso riassumerlo ora. Tu adesso, in riferimento alla Chiesa, dici: tu sei Pietro… ma questo non bastava, la Chiesa ti cita molto di più, ti cita il fate questo in memoria di me, quando all’Ultima Cena ha istituito il sacerdozio cristiano. E i sacerdoti sono solo alcuni, quelli che consacra la Chiesa, e gli altri non sono sacerdoti. Non è tanto quell’affermazione a Pietro.
Replica: No, io l’ho appena citato, ma mi chiedevo: la Società antroposofica, su quale affermazione di Steiner…
Archiati: Sono tante!, sono tante e vanno interpretate. Questa, testuale, che ha congiunto il suo karma, non può averla detta, no, perché è intrinsecamente anticristica. E significa che chi gliela mette in bocca non ha capito nulla dello spirito di cui si tratta. Però vi ripeto che la natura umana è tale che la controforza ci vuole sempre.
Io vedo, nel fenomeno romano, la controforza necessaria, nella sua essenza, all’impulso del Figlio, e vedo, nel fenomeno di Dornach, nella sua essenza, la controforza all’impulso dello Spirito Santo. Però è il mio modo di leggere le cose. Tenete presente che, forse, sono l’unica individualità esistente sulla Terra nel cui karma c’è stato di fare una passata, una trafila proprio micidiale in tutte e due queste Sacre Istituzioni! Amici, intendiamoci bene, di altre sacre istituzioni, oltre a queste due, nell’umanità non ce ne sono.
L’impulso del Padre non ha bisogno della controforza perché è natura, l’impulso del Figlio e dello Spirito Santo, siccome hanno a che fare con la libertà – il Figlio è la potenzialità della libertà e lo Spirito Santo ne è l’attualizzazione –, per questi due impulsi ci deve essere la controforza, o non c’è la libertà.
Un partito comunista, per esempio, non è un fenomeno paragonabile, perché non dice: io agisco a nome del mondo spirituale! Istituzioni che, in quanto cariche, in quanto seggiole, si arrogano il diritto di agire a nome del mondo spirituale sono soltanto la Chiesa cattolica e la Società antroposofica.
Intervento: E tutte le altre confessioni?
Archiati: La Chiesa protestante non ha mai detto: io come Chiesa rappresento il mondo spirituale, mai.
Replica: E tutti gli altri? Tutte le altre chiese, dico: anglicani, ortodossi…
Archiati: Sì, ho capito, lo so che ci sono, ma, oltre a quella di Roma, non c’è mai stata nessun’altra Santa Sede nell’umanità: dimmene una!
Non c’è mai stato nessuno, oltre che a Roma e a Dornach, che abbia affermato di rappresentare il mondo spirituale in quanto istituzione. Tu hai accesso al Cristo, non attraverso il Papa o il vescovo, ma soltanto attraverso la Chiesa!, e hai accesso a Steiner soltanto se diventi socio della Società antroposofica. E se non sei socio, non rappresenti l’antroposofia, e non hai capito nulla dell’antroposofia. E Archiati che non è socio e che addirittura è uscito, lo si vede che non è antroposofo…
Intervento: Fai collezione di scomuniche!
Archiati: La controforza è fatta per rafforzare la forza… le spalle non è che mi siano cadute.
17,12 «Quand’ero con loro, io conservavo nel Tuo nome, quello che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura».
«Mentre ero con loro, li ho conservati nel Tuo nome…», c’è un primo conservare, un primo restare col Cristo, che è il Suo operare dal di fuori, che poi si ripete. Il Logos che ci viene dato dal di fuori, l’educazione, per esempio, si ripete in ogni vita, si ripete in tutte le cose in cui ci avvaliamo di un aiuto esterno.
Il senso di un aiuto esterno, che può essere anche una Chiesa, il senso buono, che non si oppone alla forza vera, è di far di tutto per diventare non più necessaria come istanza esterna e condurre lo spirito umano, ogni spirito umano singolo, a essere sempre più autonomo. Quindi in che modo il Cristo conserva lo Spirito singolo di questi dodici apostoli che rappresentano tutta l’umanità? Non è che li conservi nella dipendenza, ma li conserva nel senso che coltiva la forza del Logos insita in ogni essere umano. In modo tale da rendere ogni uomo capace di trasformare, sempre di più, la voce del Cristo – che dal di fuori mi conserva, mi preserva nella mia forza pensante – fino a interiorizzare questo Cristo e farne l’esperienza come Spirito Santo del mio spirito.
Santo significa intoccabile, non gestibile dal di fuori. I peccati contro lo Spirito Santo non possono essere perdonati (Mt 12,31). Significa che i peccati contro lo Spirito Santo sono i peccati di omissione del mio spirito. Le omissioni del mio spirito posso recuperarle soltanto io. Può qualcun altro fare ciò che è stato omesso da me? Nessun altro può farlo! Ognuno, soltanto lui stesso, può recuperare ciò che ha omesso. È chiaro: se l’altro fa un passo, non l’ho fatto io il passo. Questa affermazione particolare sullo Spirito Santo dice che i peccati contro lo Spirito Santo sono i peccati di omissione.
Intervento: L’omissione è peccato mortale?
Archiati: Beh, il peccato mortale è omissione nel senso che fa morire qualcosa dentro di te che potrebbe vivere. È mortale su tutta la linea? Tu adesso usi una terminologia tradizionale, come se potessimo, così, d’un salto, rispolverarla e metterla lì pulita. Un peccato mortale in senso assoluto, che mi fa morire veramente, non può avvenire in una vita sola, ci vuole una lunga evoluzione, e ci vuole un sistematico omettere, omettere, omettere, e alla fine sei morto, su tutta la linea. A questo livello dell’evoluzione ognuno di noi è vivo a tantissimi livelli ed è morto a tantissimi livelli, fa tantissime cose e ne omette tantissime; si tratta di diventare sempre più svegli e di omettere sempre di meno.
«Finché ero con loro… – Óte ½mhn met' aÙtîn (ote emen met’ autòn)» il passaggio dal Figlio allo Spirito Santo è che il Cristo termina di essere con noi per essere in noi. C’è una bella differenza! Finché ero con loro, ci dice, ho fatto di tutto per aiutarli dal di fuori, è la fase in cui il pedagogo è con l’allievo e l’allievo col pedagogo e il senso dell’essere con, è di essere dentro, di interiorizzarlo, il maestro. Perché se io non faccio miei i pensieri posti alla base dell’evoluzione resto dipendente dall’altro.
Chiediamoci un’altra volta: che cos’è che non va nell’essere dipendente dallo spirito di un altro? Perché non dovrebbe andare bene? Che c’è di male nel rivolgersi allo spirito di un altro? Che c’è di male?
Intervento: Che rimaniamo bambini.
Intervento: Che non esercitiamo la libertà.
Archiati: Che c’è di male? Voglio dire, noi impieghiamo troppo poco tempo, non ci prendiamo del tempo quotidianamente per argomentare le cose, buttiamo lì una parolina e pensiamo di… no, le cose vanno articolate, il pensiero va articolato!
Allora, la suora mi dice: «Tu sei superbo, vuoi pensare solo con la tua testa, rivolgerti al Papa è più umile, no? è più cristiano!»
Beh, non avete niente da dire? Ci tocca ammettere che non siamo abituati ad articolare il pensiero, non è mica semplice dare una risposta che metta in moto un processo di pensiero che arrivi a una convinzione, perché poi l’altro si protegge e tu devi essere veramente allenato ad articolare il pensiero. Che c’è di male nel rivolgerti al tuo padre spirituale che ti dice cosa fare?
Intervento: Ometti la tua libertà, per cui alla fine, secondo quello che è stato detto l’altro giorno, la tua gioia sarà molto più bassa molto inferiore, perché non è un tuo percorso! Gli obiettivi che raggiungi sono obiettivi di qualità molto inferiore.
Archiati: Lo dici tu, io che mi rivolgo al padre spirituale sono pieno di gioia, e invece tu che sei indipendente ti vedo sempre a sbuffare, dov’è la gioia?
Intervento: Demandi a un altro il pensare, al posto di pensare tu con la tua testa e non con la sua.
Archiati: E perché è meno bene?
Intervento: Perché gli dai un potere su di te.
Archiati: No, perché se quello lo fa per amore non è un potere.
Intervento: Stai rinunciando all’essere ed è male perché ti annulli sempre di più.
Archiati: E se l’altro fosse illusione?
Replica: Che significa «se l’altro fosse illusione»?
Archiati: Quello di essere quello che tu ti credi di essere, tu dici: stai rinunciando all’essere. E se questo essere di cui parli fosse un’illusione?
Replica: Se io respiro e dico «sono», se rinnego me stesso non lo so, è un’assurdità per me.
Intervento: Tu puoi solo mostrare la tua esperienza.
Replica: Posso mostrare i miei limiti ma non rinunciare.
Intervento: Mostrare che la tua è un’esperienza diversa, ciò che tu puoi ottenere, puoi far capire che fai un percorso… puoi suggerire, puoi dare la percezione che lui può fare in modo diverso. E lui lo dice a te.
Archiati: Tutto quello che dite mi convince, non è quello il problema, voglio dire: il senso di una scienza dello spirito in chiave della seconda venuta del Cristo in forma di Spirito Santo, il Logos interiorizzato, è che studiandola, mettendo insieme tre o quattro persone una volta la settimana, salta fuori una capacità di articolare il pensiero che arriva a livelli molto più convincenti che non buttar lì una frase. La frase convince me perché lo so già, ma tutto dipende dai livelli ai quali siamo capaci di articolare il pensiero. E questo sorge soltanto in base all’esercizio, all’esercizio, all’esercizio.
Intervento: Però, se io dovessi pensare di rimanere in dipendenza da un altro spirito, dentro di me sorgerebbe una ribellione a questo.
Archiati: Sì, ma la suora di cui stiamo parlando dice: io non sono dipendente, lo faccio liberamente. Lo vedi che sei subito spiazzato? Perché tu questa obiezione non l’hai esercitata cento volte. Una volta che tu l’hai fatta tua cento volte, studiando tre o quattro conferenze insieme con qualcun altro succede che l’obiezione ti viene fatta una prima volta e vieni un po’ spiazzato. Non credere mica che sia perché sono Archiati, eh? Te l’ho buttata lì perché io le conosco, le obiezioni. Ti arriva una seconda volta, ti arriva una terza volta, e quando ti sei confrontato cento volte con questa obiezione ti meraviglierai di come hai imparato ad articolare il pensiero. Perché l’altro ti dice: io dipendente? Sei tu dipendente, dal tuo egoismo!
Intervento: Perché vuoi far essere dipendente me? Quello non è umile se mi dice: vai da un altro.
Archiati: Come?
Replica: Non è umile lui, se mi dice: vai da un altro perché così sei più umile. Questa è l’obiezione che potrei fargli io.
Archiati: No, lui dice: vai da qualcun altro, e in questo modo eserciti l’umiltà.
Replica: Mi sta dicendo di essere umile.
Archiati: Sì, ma anche tu gli dici di essere indipendente, quindi anche tu gli fai la predica.
Replica: No, io non ho detto niente, gli ho detto: perché mi dici così?
Archiati: Ma guarda che l’altro te lo dice come risposta, perché tu gli predicavi di essere indipendente.
Replica: Ah, ecco, non ci avevo pensato.
Archiati: Non ci avevi pensato, vedi?
Intervento: Ma l’Io non è Io se non me lo faccio da solo.
Archiati: È come dire: il polmone non è polmone se non fa tutto da solo.
Intervento: Ognuno dà il suo contributo, perché in fondo siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio, che è dentro di noi.
Archiati: Questo comincia già… però vedi che hai accennato a tutto un processo di pensiero che evidenzia il contributo indispensabile e unico che ognuno deve dare, però l’hai solo accennato. Il compito di pensiero, di renderlo evidente al pensiero è di sottolinearlo come essenza della moralità; e che l’essenza dell’immoralità è l’uccidere o impedire questo contributo unico che ogni membro deve dare all’organismo. Quindi si tratta di articolarlo, articolarlo in modi sempre nuovi, in situazioni sempre nuove, con variazioni all’infinito. Perché tu adesso hai accennato a un tema, un tema fondamentale, però la sinfonia non ce l’hai se ripeti cento volte il tema, sono le variazioni che contano!
17,12 «Mentre ero con loro li ho conservati nel nome Tuo, che hai dato a me, e li ho custoditi», ci sono conservare e custodire. Conservare si riferisce all’elemento positivo nel quale li aiuta a restare; e custodire si riferisce alle controforze dalle quali li protegge. C’è un conservare e un proteggere. Si riferisce al modo in cui li aiuta ad ancorarsi sempre di più nella forza del bene, che è lo spirito che diventa sempre più individuale, e l’amore che diventa sempre più libero, e questo avviene al contempo creando una forza di confronto sempre più decisa con la controforza.
Ci sono due controforze: la controforza del Logos è la stupidità, il controsenso, l’errore, e la controforza morale è l’egoismo. Come si viene alle prese con la controforza? Combattendo coi guantoni e dando pugni?
Il Cristo dice: «li ho custoditi dal male», per l’uomo il male è duplice: il male del pensiero è la tenebra e il male della moralità è l’egoismo. Come avviene questo custodire? Un po’ di lotta ci vuole, perché la controforza, se tu non la respingi, ti ingolfa, vieni sopraffatto. Come vince la luce? Dobbiamo tornare alle immagini fondamentali: luce e tenebra e calore dell’amore e freddo dell’egoismo. Poi dalle similitudini passiamo ai concetti, va bene?
Come fa la luce a vincere la tenebra? Le dà delle botte? S’accende! quindi la tenebra non è qualcosa da sbaragliare, è mancanza di luce. Analogamente è col freddo: l’egoismo è un cuore freddo, non promana calore; quindi cos’è il freddo? Non è qualcosa, è mancanza di calore. Il freddo non è qualcosa d’altro, non è una realtà opposta al calore. Invece a forza di omettere il calore… ho il freddo! Ma non è che ci devo mettere qualcosa d’altro, di opposto al calore per avere il freddo, perché non c’è.
E allora, il calore come vince il freddo? Come viene vinto il freddo? Mettendoci calore, generando calore, con la stufetta, per esempio. La stufetta non va mica a fare a pugni col freddo, genera calore e il freddo non c’è più. C’è il caldo, diventa caldo. Fin qui è facile perché c’è il supporto della similitudine. Adesso lasciamo da parte la similitudine, come avviene l’intuito? La luce è l’intuito, il pensiero, come funziona? Quando non capisco è il buio, però adesso lasciamo da parte la similitudine. Quando non capisco, come arrivo a capire qualcosa?
Intervento: La attivo, mi sforzo di fare.
Archiati: Che significa la attivo? Che faccio? Come faccio?
Replica: Ho una questione, un problema, lo guardo, mi concentro e comincio a pensare, sbaglierò, però piano piano entro con la controforza del problema, mi interesso e faccio tutto quel che posso.
Archiati: Sto leggendo una conferenza di Steiner un po’ difficile: buio, non capisco… come s’accende la luce?
Intervento: All’improvviso.
Archiati: Sì, ma qual è la conditio sine qua non perché eventualmente sorga all’improvviso la luce? È semplice la cosa: che io non smetta di leggere!, che io non molli.
Intervento: Leggere solamente?
Archiati: Non mollare, lei lo diceva: se non mollo, prima o poi salterà fuori! Oppure mi dovrò dire che non sono uno spirito. Se sono uno spirito pensante, e se ho un quesito per me, per la mia mente, un po’ difficile, si tratta di continuare a insistere, e insistere. Il Regno di Dio, il mondo dello spirito patisce violenza, e solo i violenti lo prendono, cioè lo afferri soltanto nella tua libertà perché lo vuoi, vuoi tu. Se aspetti che ti venga, che te lo si dia, sei ancora il bambino che aspetta che glielo si dia da fuori. Gli intuiti del pensiero vanno conquistati!
Intervento: Comunque anche il pensiero, in qualche maniera, tutto quello che è stato pensato su questa cosa mi viene incontro.
Archiati: Ti viene incontro, c’è.
Replica: È più debole l’ostacolo a quel punto.
Archiati: Intendi dire che la tenebra è più debole della luce?
Replica: È più facile che mi arrivi la luce se insisto.
Archiati: La tenebra è debolezza! L’unica fortuna della tenebra è quando la luce non c’è, ma appena viene, lei sparisce. Quindi il problema non è se la forza è sufficiente o no, il problema è che la forza la si può soltanto omettere, o quando c’è vince. La controforza c’è, ci deve essere, e la forza per vincere la controforza la posso omettere perché è libera, ma nel momento in cui io non ometto, vince subito, così come quando accendo la luce la tenebra sparisce.
Si potrebbe dire, per paradosso, che tutto ciò che ancora non capisco è la somma della mia pigrizia intellettuale. Per paradosso, però è vero, è quello dove ancora mi devo dare una mossa. Però se mi do una mossa ci riesco, perché sono uno spirito e non ci sono limiti alla conoscenza. Teniamo presente che abbiamo un passato culturale dell’umanità dove, nel nono secolo, è stato decretato che l’essere umano non è fatto di corpo, anima e spirito, ma è stato decretato che è fatto di corpo e anima. E negli ultimi tempi abbiamo mandato a ramengo anche l’anima.
L’anima, per la maggior parte della gente, soprattutto i benpensanti, è una funzione del corpo; e poste queste premesse culturali, è chiaro che ce n’è da fare, con questi peccati di omissione: lo spirito lo abbiamo messo in cantina e l’anima l’abbiamo mandata a ramengo! Però sono tutti peccati di omissione che vanno recuperati. La scienza dello spirito parla di pareggio karmico, il pareggio karmico di un’omissione qual è? Fare la cosa che ho omesso.
Il mese scorso mi ero ripromesso di dedicare un paio di ore a studiare una conferenza di Steiner e non l’ho fatto: lo faccio adesso! Per fare un esempio, ognuno ha i suoi, di esempi, ma il pareggio dell’omissione ci è sempre a disposizione. Non ho trovato il tempo la settimana scorsa per farmi aggiustare un dente, prima o poi lo devo aggiustare. Lo faccio adesso.
«E li ho custoditi, e nessuno di loro si è perduto… – kaˆ ™fÚlaxa, kaˆ oÙdeˆj ™x aÙtîn ¢pèleto (kai efùlaxa kai udèis ex autòn apòleto)», si è disfatto, è caduto nel nulla o è stato omesso.
«… se non il figlio della perdizione, affinché la Scrittura si adempisse». La Scrittura, la Sacra Scrittura è la fissazione sulla carta della Sacra Dicitura, perché prima di diventare scrittura deve essere stata una dicitura. Prima c’è il Logos, e quando il Logos si fissa sulla carta è Scrittura. I profeti dell’Antico Testamento avevano parlato. Poi, nelle sinagoghe, svolgevano il rotolo della pergamena e leggevano: il profeta Isaia, il profeta Geremia, ha detto… Era la Sacra Scrittura, era scritta, però prima c’è la rivelazione divina, orale, e in seguito questa rivelazione divina viene scritta.
«Affinché si adempisse la Scrittura» significa: affinché si adempisse la dicitura, la rivelazione divina, il Logos divino. La Scrittura contiene il Logos divino, il Logos divino cosa contiene? Il senso dell’evoluzione, o non è Logos, cioè parola divina.
Il Logos è il piano globale dell’evoluzione umana, del pensiero umano e dell’amore umano; cos’è compreso in questo Logos, in questa Sacra Dicitura che poi diventa Sacra Scrittura? Tutto ciò che è necessario all’evoluzione umana. Se comprende tutto ciò che è necessario è una Scrittura, è una dicitura che deve compiersi, deve essere compiuta, perché finché manca qualcosa non c’è il tutto. Quindi «affinché la scrittura si compisse» significa: affinché non manchi nulla di tutto ciò che fa parte dell’evoluzione umana.
In altre parole, la cosiddetta controforza, l’esperienza dell’autodistruzione, la possibilità di impiccarsi a un palo con la cintola dei calzoni – dicono alcuni –, la possibilità di tradire il Logos fa parte dell’evoluzione umana. Nessun essere che non abbia fatto l’esperienza dell’autodistruzione può costruirsi liberamente, perché se non sa che cosa vuol dire distruggersi non sa cosa voglia dire costruirsi.
Dalla cruna dell’ago dell’autodistruzione, dal mistero di Giuda, ogni essere umano in un modo o in un altro e prima o poi nella sua evoluzione ci deve passare, perché la Scrittura deve compiersi, e non ci deve mancare nulla. Cosa vale un essere umano che non ha mai fatto a nessun livello l’esperienza di ciò che veramente lo distrugge? Non vale nulla, perché su ciò che lo costruisce deve credere a un altro, per comandamento, perché non ne ha l’esperienza.
Mettiamo che ho passato due, tre, quattro mesi proprio ignorando ogni evoluzione spirituale, non ho fatto nulla per la mia anima, nulla per il mio spirito: c’era tanto da fare… – tutto comprensibile, naturalmente –, dopo tre mesi sento la mancanza, il vuoto. Bello! Bello! Perché adesso cerco il pieno per libera volontà, perché lo voglio, non perché me lo dice il padre spirituale. Qual è la cosa necessaria, indispensabile per sentire il vuoto?
Intervento: Che ci sia.
Archiati: Che ci sia. Luciana, sei diventata veloce adesso, le prime volte ci mettevi mezz’ora quando io arrivavo con l’uovo di Colombo, ora ci arrivi subito. Quindi il vuoto ci vuole, l’esperienza del vuoto ci vuole, ma la mia però, per quanto mi riguarda, non quella di un altro, perché se faccio l’esperienza del vuoto, mia, veramente, allora sì che saltano fuori le forze per evitarlo, perché non voglio più trovarmi in quella situazione così disperata. Dico: no, basta, non lo voglio più! E allora mi occupo di vedere cosa va fatto per non arrivare più in quel buco lì, e le forze saltano fuori.
Intervento: Scusa Pietro, per come si esprime qui «si adempisse la scrittura» è come se fosse l’avverarsi di una profezia, nel Vecchio Testamento c’è qualche affermazione a questo proposito?
Archiati: Certo: il Figlio dell’uomo, il Messia, verrà tradito dagli uomini, morirà per tradimento.
Replica: A quello lui si riferisce?
Archiati: Ma anche se non ci fosse un profeta che l’ha detto, può essere altrimenti?
Replica: No, ma volevo sapere se c’era.
Archiati: Ma certo, altrimenti non sono profeti, o sono profeti che non valgono niente. Se non ti profetizzano le leggi evolutive, immanenti all’evoluzione, che profeti sono? O forse ti stai chiedendo: che cos’è una profezia?
Replica: Un’anticipazione.
Archiati: Di che cosa?
Replica: Di un evento futuro.
Archiati: No, non basta.
Replica: Beh, aggiungi tu.
Archiati: No, dai, vedi che molli subito…
Replica: La profezia è l’anticipazione di un evento che si dovrà compiere nel futuro.
Archiati: Sì, ma le parole più importanti sono che si dovrà, che non può mancare, perché fa parte intrinseca, immanente, necessaria dell’evoluzione. Se invece è la profezia di un evento che può darsi che avvenga, o può darsi anche non avvenga, è una profezia da poco!
Replica: Ma io cosa ho detto? È un evento che si dovrà compiere in un futuro.
Archiati: L’hai detto dopo, quando io t’ho detto di non mollare, prima non c’era il «si dovrà».
Replica: Ah, ho capito.
Archiati: Un evento che deve avvenire, perché appartiene alle condizioni necessarie dell’evoluzione. Quindi, l’assunto che il traditore ci vuole, che il suicida ci vuole è una profezia, perché l’evoluzione umana non è possibile, non avviene, senza l’esperienza del suicidio e senza l’esperienza dell’omicidio. E il tradire se stesso e l’altro è una forma di omicidio.
Intervento: Speriamo di averle già fatte!
Archiati: Ti compro un paio di occhiali, casomai! Perché così ti servono per vedere in che modo noi questo lo compiamo sempre e dovunque! Perché tu, con la scusa che l’abbiamo già compiuto, vorresti risparmiarti di vedere in che modo si compie ora e dappertutto.
Perché se tu dici «io i buchi nell’umano, il fare il vuoto dell’umano, l’ho già fatto» significa che tu ora non perdi più nessun colpo. La profezia dice: il Giuda dentro a ogni essere umano non ha il diritto di scomparire finché è finita l’evoluzione, altrimenti non avremmo nulla da fare. Disoccupazione ce n’è già abbastanza… Perciò ci sono i due libricini Cristo ricambia il bacio,[8] lo restituisce al Giuda che vive in ognuno di noi.
Intervento: Allora il figlio della perdizione in questo caso potrebbe essere Giuda?
Archiati: Il Giuda in ogni uomo, in quanto mi perdo, mi perdo un frammento di me, un altro frammento di me che potrei conquistarmi, lo perdo perché ometto. Il figlio della perdizione è tutto l’umano, tutto il Figlio dell’uomo che invece di realizzarsi va perduto.
Bello, è bello, il concetto è così pulito! Il figlio della perdizione. In noi l’io inferiore è il figlio della perdizione perché continua a perdere colpi, o non sarebbe l’io inferiore; invece l’Io superiore è l’Io… troviamo una categoria corrispondente alla perdizione. l’Io della “vincizione”! Perdere e vincere, vincere è la vittoria. Però tutte queste parole sono inquinate, il vocabolario non si può più usare a livello, diciamo, di pensiero filosofico, metafisico, però quello che stiamo dicendo è chiaro.
Il figlio della perdizione ci deve essere? Certo, oppure non ci sarebbe la libertà. Quindi, il Cristo salva tutto ciò che non si perde ma non può salvare il figlio della perdizione, o ci toglierebbe la libertà. Quindi Lui è responsabile per tutto ciò che si realizza:
Ecco, realizzazione, forse questo termine è più pulito. Lui è presente, aiuta, facciamo l’esperienza del Cristo in tutto l’umano che si realizza, ma Lui non può salvare ciò che noi perdiamo, aiuta tutto eccetto il figlio della perdizione.
In altre parole, quando io mi tiro via dal Cristo, Lui non mi corre dietro: gli scappo via! Finché resto con Lui, mi imbeve di forze di pensiero e di amore, ma se io gli scappo via Lui non mi costringe, perdo Lui ma sono perso io. Il «figlio della perdizione» è una categoria che usa. Sono tutte categorie e dal greco le dobbiamo tradurre in italiano ma – se le traduciamo in un modo pulito, a livello di pensiero, di universalità umana –, queste categorie, essendo giuste, sono di una fecondità infinita per il pensiero.
C’è il Figlio del Logos, che realizza il Logos, e il figlio della perdizione, che perde il Logos, la Scrittura dice che ci devono essere tutti e due e dice che il Figlio non può salvare il figlio della perdizione perché dovrebbe infrangere la sua libertà, e non lo fa.
17,13 «Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia».
«Ora ritorno, vengo a te, – nàn d prÕj s œrcomai (nùn dè pros sè érchomai)». Questo «ritorno» significa andare nella morte, significa consegnarsi alla morte, significa sparire come percezione sensibile e diventare percepibile soltanto a livello puramente spirituale.
«Ora vengo a te e queste cose dico nel cosmo, affinché abbiano…» e qui ritorna una categoria che aveva usato prima. Il Logos, che è la parola complessiva, dice queste cose, articola, sminuzza i vari elementi del Logos cosmico, dice queste cose, quindi ci mette a disposizione le parole del Logos e adesso deve dirci qual è il senso di tutto questo.
Il senso non è che siano né buone, né illuminate ecc. ma il senso è la gioia. Il Vangelo di Giovanni, in questo parlare del Cristo al Padre, di tutte le categorie del bene che si potrebbero usare per indicare la pienezza dell’umano, dell’essere umano cristificato – a livello di Logos, di pensiero, di illuminazione, di unificazione a livello dell’oggettivo e a livello della pienezza morale, dell’amore – prende la categoria della gioia.
Il criterio del bene e del male è la gioia – t¾n car¦n (ten charan) –, è il criterio più complessivo di tutti, perché naturalmente, sminuzzando questo criterio, vediamo che ha tanti aspetti, infiniti aspetti. Ed è una cosa molto bella, secondo me estremamente liberante, constatare che addirittura parlando col Padre cosmico, parlando della pienezza nella quale il Logos conduce ogni essere umano, venga data la precedenza, venga preferita la categoria della gioia.
E poi dice: la mia gioia. «Affinché abbiano la gioia, la mia, piena in se stessa – peplhrwmšnhn ™n ˜auto‹j (pepleromenen en eautois)», parla di una gioia sua e di una gioia che è destinata a diventare piena, a venire interiorizzata in pieno, senza che manchi nulla, nell’uomo. Piccola parentesi: mettete un’affermazione del genere accanto all’affermazione fondamentale, pronunciata anche onestamente, della Chiesa cattolica che ti dice: devi passare per la Chiesa per andare al Cristo. È una contraddizione assoluta! Qui l’accesso alla pienezza della gioia del Cristo è immediato per ogni essere umano. Dove sono i mediatori? Dov’è il mediatore necessario? Dov’è il Convegno di Natale che ti fonda la Società antroposofica?
«Queste cose dico nel mondo affinché abbiano la mia gioia, piena in se stessa», questa gioia, questa pienezza è duplice, è una realtà unitaria, ma la articoliamo. In che modo la articoliamo?
Il primo modo è di distinguere due polarità fondamentali, poi si articola ulteriormente distinguendo in ognuno dei due poli tanti e tanti aspetti. Però, il primo passo per scendere da una grande astrazione in cui parliamo della gioia e della pienezza del Logos, il primo modo di diventare più concreti è di distinguere le due polarità. Le due polarità fondamentali che conosciamo, perché sono le due polarità dell’umano, sono: l’evoluzione intellettuale e l’evoluzione morale.
Qualcuno propone un’altra articolazione? È evidente di per sé questa polarità, no? Perché ognuno di noi la esperisce. C’è la testa: il pensare, evoluzione intellettuale. E il fare delle mani e delle gambe: l’agire, evoluzione morale.
C’è subito chi dice: però a me manca il cuore in mezzo! Certo, e allora? Dopo aver distinto due elementi fondamentali, come procede la distinzione? Arriva al tre, e il tre è sempre la mediazione tra i due.
DIS. 26
Quindi c’è l’amore, che è amore alla conoscenza e amore alle azioni. Tra la testa e gli arti che agiscono c’è il cuore. La categoria unitaria che usa il Vangelo, della pienezza, ma soprattutto della gioia, di fatto è questa: la gioia del pensare e la gioia dell’amare o la gioia dell’agire, del fare. La gioia del pensare intrisa di Logos e la gioia dell’agire intrisa delle forze d’amore del Logos.
Intervento: Del realizzare.
Archiati: Realizzare, è pericoloso però il termine. Perché il pensiero è una realizzazione a livello intellettuale, ma il materialismo parla di realtà solo nel fare. Perché un pensiero non è reale? Abbiamo un linguaggio tutto inquinato. Realizzare il pensiero, realizzarsi nel pensiero come spirito pensante e realizzarsi nell’amore come spirito amante.
La categoria della gioia è proprio al centro, è mediana, cioè: come faccio a sapere se il pensiero è consono alla natura umana? Come faccio a sapere se il pensiero è un esercizio di pienezza dell’essere o se sono tutti acchiappanuvole che non hanno nulla di realtà?
Intervento: Se mi dà gioia.
Archiati: Se mi dà gioia! Il criterio della pienezza è la gioia, perché la gioia è un’esperienza convincente per chi ce l’ha, tutto il resto si può discutere. In altre parole, meglio della gioia non c’è.
Intervento: Bisogna distinguere la gioia dal piacere.
Archiati: Parliamo della gioia, non del piacere. Altrimenti mi costringi a dire – già con certe botte che ho mollato in questi giorni ho quasi rischiato di venir linciato – che il piacere è la fine della gioia. Però vi ho avvertito che è un’altra botta, tanto ormai siamo in conclusione, e poi scappo via!
Perché queste provocazioni? Perché in temperie di materialismo tante persone vivono in questo inganno, che il piacere sia la forma suprema della gioia. Ma perché? Perché non conoscono altro. E quindi non è facile dimostrargli per teoria che c’è una forma di gioia più profonda, più piena che non il piacere, perché non la conoscono; e ti dicono: ma sei matto? Sei stupido? Ti castri tu e costringi a castrarsi anche gli altri? Godi un po’, no? E a quel punto lì… si beve una birra insieme. E, se uno dei due è antroposofo…, una birra analcolica!, naturalmente.
Senza far pesare all’altro che lui beve la birra vera… perché ne ha il diritto, no?
17,14 «Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo».
«Io ho dato loro il Logos tuo – ™gë dšdwka aÙto‹j tÕn lÒgon sou (egò dèdoka autois ton logo sù)», il Cristo dà, mette a disposizione di ogni uomo il Logos del Padre, e come lo fa? Essendosi fatto carne. Il Logos si è fatto carne e allora in ogni percezione il Figlio ci dà il Logos del Padre.
Intervento: I pensieri che ha pensato.
Archiati: I pensieri che ha pensato il Padre, perché la percezione è la provocazione al concetto, e nel concetto ho il Logos del Padre, ciò che il Padre ha detto, ha espresso di sé. La parola è un’autoespressione dello Spirito. Es-pressione: preme fuori, ma tu puoi premere fuori solo quello che hai dentro, perché quando l’arancia è già tutta spremuta non serve a nulla continuare a spremere, la spremi finché c’è dentro qualcosa.
Il Logos è l’es-pressione del Padre. Cosa esprime il Padre? I pensieri che pensa, e finché ne ha dentro li esprime! Quand’è che non ne avrà più? Ogni volta che ne esprime uno ne pensa cinque di nuovi, altro che iperbole: lo Spirito è l’inesauribilità creativa. E non è che al Padre nell’esprimere il Logos vengano meno i pensieri perché li ha espressi tutti, man mano che li esprime ne saltano fuori di nuovi.
Intervento: È sorgente d’acqua pura…
Archiati: È sorgente d’acqua pura. Saltano fuori, saltano fuori… e voi vi siete fermati lì. Facciamo un passo avanti: da dove saltano fuori? Il Padre che esprime i suoi pensieri è uno, e nell’umanità si moltiplicano all’infinito, nelle teste umane! Lui ne pensa uno e sono miliardi.
La legge dello Spirito, a tutti e due i livelli del pensiero e dell’amore, è inesauribilità fantasiosa, è inesauribile. Ma cosa s’è dovuto far saltare in mente per creare tutto il creato in cui noi viviamo? Ce l’avremmo avuta noi una fantasia del genere? È senza fine! Però ce l’ha squadernata e noi la possiamo fare nostra, fare nostra, fare nostra.
«Io ho dato a loro il Logos tuo e il mondo li ha odiati», il mondo porta incontro tenebra e porta incontro freddo. Per fortuna! Se la luce e il calore già ci fossero sarebbe interessante? No. Allora, cosa vuol dire «il mondo li odia»?
Il mondo odia l’Io, la natura odia l’Io, deve opporsi, deve opporre l’ostacolo o non c’è libertà. Se no non c’è gusto, diciamo noi italiani. Io gioco a tennis e se l’altro non mi oppone la giusta resistenza dico che non c’è gusto. E il gusto è parente di chi? È il marito della gioia. Il gusto è maschile perché i maschietti sono un pochino più poverelli, e la gioia è femminile perché le donne sono più ricche. Allora il maschio dice «no, non c’è gusto», e il femminile dice «non mi dà gioia», però sono parenti, marito e moglie. E quando c’è gusto, nel giocare?
Intervento: Quando c’è l’opposizione dell’altro.
Archiati: Capito? Quando mi rimanda la palla in modo tale che devo stare molto attento a prenderla, altrimenti gli dico: guarda, è meglio se andiamo a berci una birra!
Intervento: Perché «li» ha odiati?
Archiati: Li ha odiati, i singoli uomini, l’umanità non è una pappa omogeneizzata tutta uguale. Ha odiato i singoli uomini, ogni singolo, non in toto, perché se il mondo odia l’umanità, io vado bene… Ogni singolo, lo ha odiato da sempre perché è nella sua natura, lo deve fare. Perché il mondo è l’elemento di non libertà, odia, e quindi si oppone alla libertà dell’individuo? Perché la libertà dell’individuo non proviene da lui, non appartiene al mondo. In altre parole, la libertà non viene data dalla natura, va costruita liberamente.
È molto metafisica, filosofica, la frase: «Io ho dato loro il mio Logos, la mia parola e il mondo li ha odiati poiché non sono dal mondo». L’Io singolo, libero, non viene generato ™k toà kÒsmou (ec tu cosmù) dal mondo; il pensare libero non viene generato dal DNA nel senso che quest’ultimo ne è la causa, quindi questo “dal” introduce la causa. La libertà non è causata dalla non libertà, la causa della libertà è immanente allo Spirito umano, però sorge soltanto rintuzzando il non libero.
Intervento: Però abbiamo detto anche che tutto il mondo anela all’umano, all’Io. Da un lato è un ostacolo alla realizzazione dell’Io.
Archiati: In quanto natura.
Replica: Dall’altro lato però anela, quindi in teoria, come posso dire…
Archiati: È paradossale.
Replica: Cado sempre qui…
Archiati: No, non è un cadere, è un constatare che il pensiero è un esercizio che va sempre ripetuto e l’intuizione di cinque minuti fa non mi aiuta adesso, la devo creare di nuovo, devo rifare sempre il processo. E così come il pasto di cinque ore fa non mi serve cinque ore dopo: devo rimangiare.
Il processo di pensiero non vive di rendita, ciò che noi abbiamo imparato, il sapere, sono gli elementi morti del pensiero. Il sapere, al massimo, se lo usiamo bene, è una delle condizioni necessarie per il pensare. Però è una base per il pensare, ma il pensare non ha nulla a che fare con il sapere.
Una cosa che ho saputo, significa che l’ho intuita due ore fa come accensione alla fine di un processo, dopo essermi arrovellato, e soltanto se ripeto il processo questo parto si ripete, c’è questa accensione che si ripresenta. Devo ripetere la sofferenza, la morte, per avere la resurrezione. Ma come, tre ore fa ero risorto, l’avevo capito! Perché prima c’era stata la morte. Se riesci a rifare l’esperienza della morte rifai l’esperienza della resurrezione. Però la tentazione sarebbe di rivolere adesso la resurrezione senza la morte, senza lo sforzo.
Intervento: Quindi per lo spirito esiste soltanto un continuo presente.
Archiati: Sì, proprio. Tant’è vero che per lo Spirito usiamo l’espressione presenza di spirito. Perché non esiste presenza di anima? Perché l’anima non è pura presenza di spirito. E non diciamo passato di Spirito ma presenza di Spirito. In italiano sono tre parole – presenza di spirito –, il tedesco ne ha una sola: Geistesgegenwart.
Intervento: È un po’ lunga!
Archiati: È per darti il tempo che la botta ti arrivi, no? O ti passa accanto come la palla da tennis e non l’hai neanche vista.
Se posso dare un altro piccolo contributo: questo ™k toà kÒsmou, il concetto greco di ™k (ec), da, in latino ex, è il concetto di causa. Ora, la libertà non può venire causata dal determinismo di natura. Il determinismo di natura è la conditio sine qua non, la controforza necessaria, ma il determinismo non produce, non causa libertà. La libertà non può mai essere effetto della non libertà.
L’ho detto diverse volte, l’esercizio di distinguere tra causa e condizione necessaria bisogna farlo sempre e di nuovo. Qual è la causa di una macchina che cammina?
Intervento: L’automobilista.
Archiati: L’automobilista? No.
Intervento: Dove voglio andare.
Archiati: No, perché tu puoi avere l’idea di andare da qualche parte e te ne stai sdraiato sul letto e non ti muovi. Proviamone un’altra: si può andare in macchina senza benzina? No, siccome non si può, allora la benzina è la causa dell’andare in macchina?
Intervento: No, la benzina ce l’hai anche quando la macchina è parcheggiata.
Archiati: Voi vi ritenete forse più intelligenti della maggior parte dei professori universitari? Che dicono: siccome senza il cervello non si può pensare, allora il cervello è la causa del pensiero! È la stessa stupidaggine di dire che la benzina è la causa. Eppure la si dice dappertutto.
Oppure: senza la macchina si può andare in macchina? No, allora la macchina è la causa dell’andare in macchina! Quasi tutta la scienza naturale, la scienza di oggi, è fondata su questa assurdità, su questa assurdità del pensiero umano che non distingue tra condizione necessaria e causa. Quando ci sono tutte le condizioni necessarie per andare in macchina ma manca la causa non succede nulla! La macchina c’è, è nel garage, la benzina c’è, il serbatoio è pieno, l’autista c’è, è seduto sulla macchina nel garage, ma non succede nulla! Il concetto di causa è che quando la causa c’è, l’effetto avviene necessariamente!, altrimenti non è la causa. La causa, causa di necessità, necessariamente, o non è causa. Cos’è che causa di necessità l’andare in macchina? Perché la causa, se non ha l’effetto non è la causa dell’andare in macchina.
Intervento: L’intenzione.
Archiati: Non basta l’intenzione.
Intervento: La decisione di andare!
Archiati: La decisione della volontà di andare in macchina, e allora avviene, l’effetto viene di necessità. Se l’individuo non si muove ad andare in macchina vuol dire che la decisione non c’è stata.
Intervento: Allora la decisione è come un voler volere?
Archiati: Abbiamo dovuto sbuffare per arrivare a questo punto qui, e adesso tu vuoi complicare ulteriormente la cosa? Tu adesso ti metti nella testa dell’omino che è nel garage, seduto in macchina e che si dice: voglio o non voglio? Avrei voluto il volere ma non riesco a volere il volere…! Lasciaci arrivare fino a quel punto lì, no? Perché vuoi smontare tutto il processo di pensiero che è stato fatto? O decide o non decide. Se decide parte, e la macchina si muove.
Il mondo di cui parla è la conditio sine qua non della libertà, non la causa, la libertà dell’individuo non viene dal mondo. Il determinismo di natura non è la causa della libertà, però è una condizione necessaria, perché io posso esercitare la libertà soltanto vincendo il determinismo di natura, che quindi ci deve essere.
Intervento: Ora ci vuole un caffè…
Archiati: Me ne torno in Germania… dopo essermi tanto scalmanato mi sono detto: adesso sì che abbiamo raggiunto qualcosa! Invece mi sento dire: il caffè. Buon caffè.
*******
Il versetto sedici dice: «non sono dal mondo», gli uomini non provengono dal mondo in chiave di causalità, perché il dato di natura non ha il compito di generare la libertà, ma di essere la condizione necessaria per la libertà, è l’ostacolo, è la tentazione, è la possibilità di imboccare la strada sbagliata. Se la strada sbagliata non c’è mi tocca per forza prendere quella giusta, ma allora non è quella giusta… è l’unica che c’è!
Ritorniamo sempre allora alla struttura immanente della libertà, che presuppone come condizione necessaria che ci siano almeno due possibilità fondamentali, che sono:
• ridursi, lasciarsi andare, fare in modo che ci sia in me soltanto l’elemento di natura, e quello non sgarra perché c’è sempre, c’è di necessità, sono meccanismi che non possono non esserci;
• oppure, l’altra possibilità della libertà è di costruire liberamente – perché lo voglio, perché se non lo voglio non c’è – un mondo di creazione a livello di pensiero.
E un mondo di creazione può essere individualizzato, perché i contenuti di pensiero del cosmo sono oggettivi, però i contenuti che io faccio miei sono miei. La sequenza, i nessi che io colgo, le sequenze dei contenuti oggettivi del cosmo e i nessi che si possono fare sono individualizzabili all’infinito, e quindi godibili all’infinito. Ecco la gioia.
La gioia dello spirito pensante è che i percorsi di pensiero sono come una corsa a ostacoli, gli oggetti del pensabile sono i pensieri divini, sono oggettivi per tutti, le percezioni in sé sono oggettive, però i percorsi di pensiero, la velocità, i nessi, i passaggi ecc. sono individualizzabili, variabili all’infinito. Ed è questo il godimento del pensiero: che non c’è limite a quali nessi, a quali passaggi si possono creare. «Da qui io vado là, invece tu da qui vai là», e non c’è contraddizione: «basta che poi, da là, tu faccia il nesso con quest’altro!». Il testo ci riassume questa inesauribilità, questa sorgente che non si esaurisce mai, con la categoria della gioia. Tra l’altro, rispetto a un cristianesimo vecchio di duemila anni che ha moraleggiato su tutta la linea, in questo Vangelo troviamo invece un cristianesimo che più pulito, più liberante di così non potrebbe essere.
La categoria della gioia viene messa al centro dell’umano nel colloquio fra il Logos, il Figlio, la chiamata dello spirito umano alla libertà, e il sostrato di natura che è il Padre. Nel colloquiare tra loro il Figlio dice al Padre: di che si tratta qui, in questa evoluzione dell’umanità? E il Padre dice al Figlio: di che si tratta? Si tratta della gioia dello Spirito creatore!
La gioia è il valore morale supremo del mondo in cui viviamo. Il peccato morale è sempre una forma di carenza di gioia, di pienezza. L’altra categoria che usa, però non a livello di sostantivo ma a livello di verbo, è «affinché la gioia sia riempita – peplhrwmšnhn». Riempire la gioia significa rendere la gioia sempre più piena, sempre di più!, e non c’è limite.
Se io una cosa l’ho capita, o così mi sembra, cinque giorni fa, non è che l’abbia capita per sempre; ho vissuto un frammento di gioia, ed è un pensiero sbagliato dire: ma come, se l’avevo capita dovrei capirla di nuovo… Devo rigenerare la gioia, e la rigenero rifacendo il percorso, tutto il travaglio per arrivare fin lì. Quindi non si tratta di ricordarmi quello che ho goduto allora, si tratta di ri-capirlo, e soltanto se lo capisco di nuovo sento la gioia. Se io ricordo quello che ho imparato ieri, cosa avviene? Una ripetizione dell’uguale. Se io invece rifaccio il percorso, il cammino, tutti i nessi che faccio saranno esattamente gli stessi di ieri? È impossibile. E queste variazioni fanno sorgere la gioia.
Intervento: Paganini non ripete.
Archiati: Paganini non ripete.
«Non sono dal mondo…» quindi non è il determinismo di natura che genera, che causa la libertà. Non sono dal mondo, però siamo nel mondo. Un conto è essere dal mondo, che significa che il mondo, il determinismo di natura causa la libertà, che è un’assurdità assoluta, e un conto è dire che siamo nel mondo, cioè in interazione. La libertà è sempre un fattore di liberazione.
La luce c’è soltanto dove c’era una tenebra, se non c’è mai stata una tenebra non c’è luce. E come avviene la luce? Facendo sparire la tenebra. Quindi si deve sempre ripresentare la tenebra: cosa?, non capisco… come? Ah! Adesso capisco!
L’illuminazione, l’intuizione è la lampadina che si accende. E che cosa è avvenuto della tenebra quando la lampadina si accende? Che non c’è più! E lì capisco che la tenebra non è qualcosa, perché se fosse qualcosa non potrebbe sparire! La tenebra non era qualcosa, e l’unico problemino è che mancava la luce, perché una volta che c’è la luce salta fuori che la tenebra non era nulla, era il nulla della luce. La tenebra è il nulla di luce: se ci metto luce non c’è più il nulla di luce. L’egoismo è il nulla di amore, ma non è qualcosa. Se io, nel nulla di amore, ci metto qualcosa di amore, che cosa avviene al nulla dell’amore? Diventa pieno, è sparito.
Intervento: Però varia l’intensità della luce, cioè quella che fa un fiammifero non è la stessa che fa uno spot da mille watt.
Archiati: Così come dicevamo ieri, che il mito greco ti dice che un bicchierino è un po’ diverso da una damigiana. Però se è pieno… è più piena una damigiana che non un bicchierino?
Replica: D’accordo, però se io accendo un fiammifero nell’oscurità non mi dà la stessa intensità di luce che mi darebbe un faro.
Archiati: Molto di più! Perché il fiammifero lo noti subito, il faro non lo noti.
Dal pubblico: È il contrasto dal buio, ti acceca...
Archiati: Vivi di più il contrasto: ma come, un affarino così…? Prima non vedevo nulla, e adesso se lo tengo vedo quasi tutto nella stanza! Se ci fosse stata la lampadina, beh, non avremmo fatto fatica.
Tu vorresti dire: un signorino come Steiner, quello sì che è luce, io leggo le sue conferenze e non ci capisco nulla… Non è vero, perché se lui dice tutte queste cose senza sforzo, valgono quello che valgono; se io invece arranco, arranco e arranco e poi, all’improvviso: «Ho capito!» Questa luce qui vale mille volte di più della luce che c’è già.
La luce non vale nella misura in cui c’è, perché quella che c’è già non la notiamo. Il valore della luce, il valore massimo è nel momento in cui si accende! E a quel punto lì non cambia se è un faro o se è un fiammifero, si accende, e il buio è sparito. Perché se tu sei capace di accendere un fiammifero vuol dire che sei capace di accenderne un secondo e un terzo, capito? E poi la candela… col fiammifero accendo la candela ecc., stando alla similitudine che tu hai usato.
Forse conoscete la storiella di quel ragazzo… La mamma aveva comprato una scatola di fiammiferi, una volta una scatola di fiammiferi valeva qualcosa, a differenza di oggi, e gli ha detto: provali un po’ se sono buoni. Dopo un’ora arriva il ragazzo e dice: mamma li ho provati tutti e vanno tutti bene!
Intervento: Scusa Pietro, La teoria dei colori di Goethe dice che i colori sono un’interazione tra luce e tenebra. E con questo a me pare d’aver capito che intende dire che la tenebra è qualcosa di reale.
Archiati: È una realtà spirituale, una potenza spirituale.
Replica: E in questa interazione agisce come uno Spirito? Quindi non è che non esista.
Archiati: Il nulla non è niente, è il nulla. Se tu sfogli la Scienza della logica di Hegel, lui comincia con la prima triade, che è: l’essere, il nulla e il divenire.
Però se il nulla fosse niente, lui non avrebbe nulla da dire, invece scrive una pagina intera sul nulla, quindi deve essere qualcosa. Ricordo sempre di quella bambina che ha trovato la definizione più bella – per una bambina però – del buco, perché il nulla è un buco, e il buco che cos’è? «È un niente con qualcosa intorno», non basta dire «è un niente», perché se non c’è qualcosa intorno non è un buco.
Intervento: Non si può neanche dire.
Archiati: Non si potrebbe neanche dire. Ci sono certi paradossi, certi livelli essenziali dove un pensiero che è al punto infimo della caduta deve accettare di lavorare con le similitudini, perché fa pure astrazioni se vuol lasciare l’aiuto della similitudine. Quindi dobbiamo accettare di lavorare, parlando del nulla, della tenebra, avvalendoci di similitudini, di immagini. Se fossimo Zarathustra ne parleremmo forse in un altro modo, ma oggi non capiremmo più il suo linguaggio.
Il Cristo le usa prima, le parabole, e dopo dice: d’ora in poi dovete imparare a fare sempre più a meno delle similitudini. Dove il pensiero non arriva però le usiamo ancora.
Allora io aggiungevo: il freddo non è soltanto un nulla di calore, è un’esperienza animica; al livello dello spirito può darsi che sia un nulla di calore, ma l’esperienza animica è reale. Quando i denti battono, non è un nulla, è un’esperienza reale. Quindi bisogna vedere che cos’è la tenebra – il male, il buco, la mancanza – nel mondo dello Spirito e che cos’è nel mondo dell’anima.
Il nulla, che cos’è nel mondo dell’anima?
Dal pubblico: È sempre qualcosa, l’indifferenza…
Archiati: No, sento la mancanza, la privazione, che cos’è la privazione? È nulla o è qualcosa? Sento la mancanza, ma se manca come faccio a sentirlo?
Intervento: Sentivo quando c’era.
Intervento: Perché sai che cos’è.
Archiati: Ti manca qualcosa, vedi che a livello dell’anima il mistero del male in quanto carenza diventa più accessibile, perché è un’esperienza animica.
Intervento: Quindi è qualcosa, perché è un’esperienza.
Archiati: Certo, l’amico mi manca, ma se è via è un nulla, quindi non dovrebbe esserci il problema. Se ti manca non hai qualcosa che non va: non c’è nulla, quindi non c’è qualcosa che non va, perché non c’è nulla. Che cosa vuol dire: mi manca?
Intervento: Lo sai quando ce l’hai, perché percepisci questo contrasto tra quando c’è e quando non c’è.
Archiati: Allora qual è la realtà della carenza?
Intervento: I bisogni.
Intervento: Una minor gioia?
Archiati: No. Attenti, il Vangelo ci ha dato la categoria della realtà della presenza, e ci ha detto: guarda che la realtà della presenza, del Logos, dell’amore, è la gioia. E qual è la realtà del vuoto, la realtà della carenza? La tristezza! Quella è reale.
Il colore è un’esperienza animica, non è una realtà oggettiva. La realtà oggettiva è la realtà spirituale dell’essere, che è luce, e del non essere, che è il nulla. A livello animico vivo i colori, la loro interazione. Quindi il colore è un vissuto animico, non una realtà spirituale. La realtà spirituale è: la realtà spirituale della luce e la sua mancanza, che noi chiamiamo tenebra.
Intervento: Quindi i differenti gradi di mancanza provocano i differenti colori?
Archiati: Certo, i differenti gradi di assenza e di presenza di luce. Più manca la luce e più i colori sono scuri, più è presente la luce e più i colori sono chiari. È evidente. E poi si arriva al punto in cui, nella trasfigurazione di Raffaello, il Cristo è pura luce, e lì deve finire il quadro, perché la pura luce non la puoi esprimere, è puramente spirituale. I colori li puoi esprimere, ma la pura luce? Il bianco è il limite del colore, perché? Perché va nella luce. E il nero è il limite del colore dalla parte della tenebra, perché oltre il nero c’è l’assenza assoluta di luce.
La teoria dei colori di Goethe è un’opera immensa, sono i cammini futuri dell’umanità; tra l’altro Goethe, come disposizione testamentaria, aveva proibito di pubblicare la sua diatriba con Newton, e Steiner l’ha pubblicata ugualmente dicendo che nessuno ha il diritto di sottrarre all’umanità questo tipo di contributo.
DIS. 27
Perché Goethe si arrabbia, diventa proprio furibondo, contro Isaac Newton? Perché Newton dice: i colori sono contenuti nella luce. E lo spiega: se io faccio passare la luce – la luce è bianca, è senza colori – attraverso un prisma saltano fuori i colori. Quindi i colori devono essere dentro la luce. E perché Goethe si arrabbia? Dice: quest’affermazione è una bestemmia contro Dio! È come dire che la luce consta di sette sporcizie, di sette modi di ottenebramento, la luce consta di sette tipi di tenebra.
Nella luce non ci sono i colori, i colori saltano fuori quando la luce viene a contatto con la tenebra. Se faccio passare un fascio di luce attraverso un prisma, il fascio non può mai ridurre la dimensione della larghezza, quindi deve passare per più tenebra o per meno tenebra.
Il prisma è materia, quindi è maggiormente tenebra rispetto all’aria, e a seconda che la tenebra abbia una partecipazione maggiore o minore saltano fuori i colori. Quindi i colori sorgono attraverso l’interazione, l’incontro tra luce e tenebra, non sono dentro la luce.
Intervento: E l’esperimento di far ruotare i sette colori e far vedere che viene un disco bianco?
Archiati: No, non viene bianco, viene grigio. Allora: tu hai una lastra con sette colori in sequenza, poi metti un’altra lastra davanti con un solo buco, quindi tu vedi soltanto attraverso questo buco ciò che c’è dietro, fai girare la lastra colorata e, attraverso il foro, i colori non li vedi separati uno dall’altro, li vedi tutti insieme, e che colore salta fuori?
Intervento: Grigetto, bianco sporco.
Archiati: Sì, ma che tipo di percezione è? Che cosa viene percepito? Una mistura, cioè un’adulterazione assoluta dove nessun colore è puro, viene alterato dalla simultaneità, perché l’occhio non ha la possibilità di andare così veloce. E questo tipo di mistura nella percezione, che cos’è a livello del pensiero? La percezione è il fenomeno di mistura… e nel concetto? Come chiamiamo noi la mistura a livello di pensiero? Confusione, è lo stesso fenomeno a livello del concetto, a livello del pensiero.
In altre parole, cosa vedo io in fatto di colori quando gira così veloce? Non vedo nulla, non vedo proprio nulla, è una mistura. Tra l’altro, se è un cavallo, con sette colori diversi io vedrò un cavallo? No, non vedo un cavallo, se gira veloce non vedo neanche il cavallo, quindi cosa vedo? È l’inganno a livello di percezione.
Intervento: Tra tutte le cose che lui ha scritto, Goethe nelle conversazioni con Eckermann dice proprio di essere soddisfatto, ma in senso pieno e senza esagerare, di avere scritto e lasciato al mondo una cosa che solo lui è stato in grado di vedere fino in fondo.
Archiati: Sì, ma è più precisa l’affermazione, dice: «che io abbia scritto il Faust non è una cosa importante…». Il Faust è l’epopea più profonda che ci sia nell’umanità moderna! «…per me la cosa più importante è che mi pare di essere stato l’unico ad aver pensato i pensieri giusti sulla luce e sulla tenebra, sui colori». Goethe è l’unico che ha accolto in sé i pensieri del Logos in fatto di luce e di tenebra in forma pura: questo è cristianesimo ai livelli più sublimi che si possano immaginare.
17,15 «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno».
17,16 «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo».
17,17 «Consacrali nella verità. La tua parola è verità».
«Non prego affinché tu li tiri via dal mondo», altrimenti sarebbe finito lo spasso, no? E quindi: «non chiedo – oÙk ™rwtî (uk erotò) – che tu li porti via, li sollevi fuori dal mondo, ma affinché tu li custodisca dal male». L’interazione col mondo ci vuole, è una condizione necessaria per fare l’esercizio della libertà. Da che cosa ci custodisce, ci preserva il Logos? Dal male! Il male non è il mondo, il male è caderci dentro, è ridursi a meccanismi di natura.
L’interazione col dato di natura ci vuole, quindi non sia mai che ci tiri fuori, che ci porti via da questa interazione. Tra l’altro, «non chiedo di toglierli dal mondo» significa che chiede che ci reincarniamo sempre di nuovo, perché? Perché il pensiero che noi, quando moriamo, ci traiamo fuori definitivamente dal mondo è proprio l’opposto di ciò che Lui dice; quindi non è questo che chiede.
Dobbiamo ritornare sempre nel mondo, altrimenti non c’è l’interazione con la controforza, non ci sono le condizioni necessarie per l’esercizio della libertà, a livello del pensare e a livello dell’amare. Quello che chiede è di custodirci, quindi di preservare l’uomo. La forza del Logos ci preserva dal cadere nel mondo. È come con il tentatore: può mai pregare di portarcelo via? Di sottrarci alla tentazione? Se ci toglie dalla tentazione non ci resta più nulla da fare: la controforza ci vuole! Però, da che cosa dobbiamo preservarci, da che cosa ci preserva il Cristo? Dal caderci dentro.
E ci siamo già detti diverse volte che nel cristianesimo iniziale – che non poteva essere ancora in chiave di Spirito Santo, di Logos, in chiave di scienza dello spirito –, questa petizione del Padre Nostro non ci indurre in tentazione, in fondo tantissimi, non dico tutti ma la maggior parte, l’hanno intesa così: «risparmiaci la tentazione». Ma allora tanto valeva restare in paradiso, nel paradiso iniziale.
Tutta l’evoluzione è la grande tentazione, per fortuna, oppure non ci sarebbe nulla da fare. E infatti nel Padre Nostro greco (Matteo 6,13) c’è due volte il «caderci dentro», dentro è espresso da e„j (eis): kaˆ m¾ e„senšgkVj ¹m©j e„j peirasmÒn (kai me eisenenkes emas eis peirasmon) «e non ci in-durre dentro la tentazione». Per non caderci dentro, che cosa è necessario? Che la tentazione ci sia, quindi proprio non lo si è capito, neanche a livello di teologia universitaria.
E qui in Giovanni la frase lo dice chiarissimamente: «non ti chiedo di toglierli dal mondo», o addio evoluzione! Quello che ti chiedo è di custodirli dal caderci dentro, dal ridursi a fatto di natura. E il ridursi a fatto di natura è il male morale. Il ridursi però, non l’essere esposto alla tentazione. Non l’avere la possibilità di vanificarsi ma il vanificarsi, questo è il male. Il vanificarsi in quanto essere libero, questo è il male morale umano.
Nel versetto sedici in fondo ripete, tant’è vero che questo versetto tanti manoscritti non ce l’hanno.
«Non sono dal mondo, così come io, l’Essere dell’Io, non può venire, non può venir causato dal mondo». L’Essere dell’Io, le scintille singole dell’Io degli uomini non provengono, non vengono causate dal mondo, dal dato di natura, così l’Io dell’umanità, l’Essere dell’Io non può venire causato dal Padre. Viene generato dal Padre ma non fatto dal Padre. Fatto vorrebbe dire causato in tutto e per tutto. Generato significa che ti dà la possibilità di fare qualcosa in proprio.
La madre fa il figlio o lo genera? Che differenza c’è? La categoria del fare è che ciò che io faccio lo determino e lo decido in tutto e per tutto, invece a ciò che genero do una partenza, un inizio, e poi è nella natura di ciò che viene generato, è nella natura del bambino che acquisisca una fisionomia propria. Invece una statua che faccio è un prodotto mio in tutto e per tutto. L’essere umano, l’essere della libertà non viene fatto dal Padre, ma viene generato dal Padre.
Dal latino genitum non factum, generato non creato, così dice il «Credo», quindi anche i dogmi dei primi secoli si possono recuperare con significati molto profondi, ma vanno riconquistati a livello di pensiero. Tutti eccetto gli ultimi tre, dell’ultimo secolo e mezzo in cui il cristianesimo è piombato nel materialismo: l’infallibilità del Papa, l’ascensione di Maria, anima e corpo in Cielo e l’immacolato concepimento.
Cioè: i misteri della nascita sono stati oscurati dall’immacolato concepimento, i misteri della morte sono stati oscurati dall’ascensione di Maria, e il mistero della vita dell’Io è stato oscurato attraverso il dogma dell’infallibilità del Papa che dice: c’è soltanto uno che ha il telefono diretto, e gli altri devono telefonare a Roma.
Intervento: Adesso ho capito una cosa, ho capito perché gli italiani dicono sempre: faccio questo, faccio quello, faccio quell’altro. Il fare è diffusissimo nel linguaggio perché è una forma di materialismo.
Archiati: Certo, certo. Adesso riferiamo questa categoria così inflazionata del fare al pensiero. Un pensiero, si fa? No, si genera, vedi? Un pensiero non lo puoi fare. Il fare è un operare materiale; il generare è un creare animico-spirituale.
Intervento: Anche al di là del tempo? Al di fuori della categoria.
Archiati: Dello spazio e del tempo. Una siesta si genera o si fa?
Intervento: Si fa.
Archiati: Perché? Perché ci si lascia andare, si fa, perché ci si lascia andare; una doccia? Si fa.
Intervento: Un prodotto artistico può essere soltanto generato?
Archiati: Una statua, si fa o si genera?
Intervento: Tutt’e due.
Archiati: Tutt’e due. L’artista meno dotato fa la statua, l’artista più dotato la genera. A Michelangelo non è bastato aver fatto il Mosè, era un Mosè che aveva fatto ma non gli pareva d’aver generato il Mosè. L’essenza del Mosè la si può soltanto generare nel pensiero. Allora ciò che aveva fatto l’ha distrutto perché non era sufficientemente vicino a ciò che lui aveva partorito, generato nel suo pensiero. Quindi il fare è maggiormente materiale, il generare è essenziale.
Intervento: Nel generare ci sono dentro delle categorie come la verità.
Archiati: Certo.
Replica: La differenza fra il generare e il fare è la differenza che c’è tra lo spirito e la materia.
Archiati: Se raccorci il discorso, non avendo il tempo di articolarlo per almeno tre quarti d’ora, dici che è la differenza tra spirito e materia. Nello spirito non c’è un fare, e nel mondo della materia parliamo di fare. Il costruire una casa è un fare: tu la casa non la generi, la fai. Il linguaggio ci dà queste categorie che si tratta di distinguere sempre di più.
17,17 dice: «Santificali nella verità – ¡g…ason aÙtoÝj ™n tÍ ¢lhqe…v: (aghìason autous en tè alethèia)», quale cristiano cattolico metterebbe insieme la categoria della santità con la verità? Direbbe: ma che ha a che fare la verità con la santità? Invece nel Vangelo di Giovanni il Figlio che parla col Padre dice: c’è soltanto un modo di santificare l’essere umano, è di intriderlo di luce, di verità.
L’essere umano è sacro in quanto Logos. Ci può essere qualcosa di più sacro del Logos? Sacra è l’essenza, ogni elemento accidentale è un elemento di impurità. Cogliendo l’essenza delle cose nel pensiero, nella verità, consacriamo il nostro essere. Essere sacri vuol dire diventare essenziali, e la zavorra va via. Non dice: rendili santi con i comandamenti, o rendili santi con l’amore. Sarebbero tutte vie devianti, dice nella verità.
La verità sull’uomo, qual è? Che l’essenza dell’uomo è la libertà. E la libertà cos’è? Il pensiero, qualcosa che colgo col pensiero. Se io non colgo nel pensiero la libertà come verità essenziale dell’uomo non posso rendere l’uomo essenziale, e quindi non posso santificarlo.
Intervento: Per darci la qualità della verità, per darci la possibilità di percepire la verità.
Archiati: E allora diventi luce: più sacro di così non c’è, più santo di così non c’è. Perché che cos’è la luce? È l’esclusione di ogni tenebra, è pura. Nel passato, in un’umanità più bambina, ci sono stati tanti tentativi di essere “santi”, santi tra virgolette, senza verità. Si diceva: a che servono tutte queste teorie? Fai qualcosa! Si doveva essere santi facendo le opere buone.
Il Vangelo ti dice: puoi essere santo soltanto pensando la verità. Allora, cosa bisogna fare per essere santi? Pensare, pensare, pensare. E poi ancora meglio, e più essenzialmente, e poi con ancora più luce, ancora più luce, e tutto il resto viene da solo, viene da sé.
L’amore è conseguenza inevitabile della verità, ma la verità non è conseguenza inevitabile del cosiddetto amore. In altre parole, la verità non ci viene data grazie a qualcosa d’altro, la verità ci viene data soltanto per conquista libera. Quindi la verità è l’unica cosa che viene accesa dalla nostra libertà, tutto il resto ci viene dato con la verità.
Santificali nella verità, questo vuol dire che nella verità non manca nulla. Accendersi di verità significa infiammarsi d’amore, creare un dinamismo tale per cui anche tutte le azioni concrete, che noi chiamiamo concrete, seguono di necessità.
«Il tuo Logos è la verità», questo versetto diciassette si potrebbe scrivere a lettere d’oro: ¡g…ason aÙtoÝj ™n tÍ ¢lhqe…v: (aghiason autus en te aletheia) è «santificali nella verità», la verità è il Logos, è il Figlio, e la cristificazione dell’uomo è diventare Luce della Sua Luce.
Santificali nella verità, la Tua parola, il Tuo Logos è verità, tutte le percezioni sono la verità, e gli uomini che sono accanto a noi sono percezioni. Che cosa mi si avvicina quando incontro un’altra persona? Un pensiero divino. Posso amare io questo pensiero divino se non lo capisco? Devo cogliere quale verità il Logos esprime, quale frammento di luce esprime in questo essere umano che mi sta accanto, per poter contribuire a santificarlo nella verità.
Che tipo di luce sei tu? Quale aspetto della luce esprime in te il Logos, che è verità? Questo frammento di luce lo colgo a livello di percezione e cerco il concetto. Quindi la forma suprema di amore è di santificarci a vicenda nella verità.
17,18 «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo»
«Così come hai mandato me nel mondo, così io ho mandato loro nel mondo», Dio ci fa potenzialità di verità. Il mondo è la potenzialità della verità. La percezione è potenzialità di verità perché ogni percezione può venire trasformata in concetto.
Allora: perché il Figlio viene mandato dal Padre nel mondo e Lui imita il Padre mandando tutti gli uomini nel mondo? Li tuffa nella totalità della verità, che è il verbo fatto carne, il Logos fatto carne, per riaccendere ogni frammento di tenebra, che è la percezione, in un’esperienza di luce dentro al pensare umano, che è il concetto. Chi mi ama di più? Chi mi vuol bene o chi mi capisce?
Formulo la domanda in un modo diverso: quando mi sento più amato? Quando l’altro mi dice ti capisco o quando l’altro mi dice ti voglio bene?
Intervento: Quando sono compreso.
Archiati: Quando mi sento più amato? Finché lui mi vuole bene… va bene, eh, ma insomma: vuole bene a se stesso, gode del suo volermi bene. Quando lui mi vuol bene è incentrato in me o in se stesso? In se stesso. Quando lui si sforza di capirmi, allora sì che arriva al cuore! La forma più profonda dell’amore è il capire, un amore più grande non c’è, non c’è mai stato. E allora il materialista di oggi dice: ma come, basta il capire? È tutto lì? Ditemi voi cosa si può aggiungere al capire?
Intervento: Col cuore e con la mente.
Archiati: Con la mente sola non è un capire, si capisce con tutto l’essere. Questo lo presupponiamo, no? Manca qualcosa? Capire l’altro significa amarlo così com’è. Se non lo capisco lo voglio diverso, e questo non è amore. Se non lo capisco ho in mente un’altra persona.
Intervento: Vorrei che fosse diverso.
Archiati: Vorrei che fosse diverso. Quando uno dice: vai bene così, non dice resta così, perché quella è la paura che abbiamo. Noi abbiamo paura a dire: «mi stai bene così», abbiamo paura perché pensiamo che l’altro la prenda come scusa per restare così. Ma amare significa: vai bene così, perché sei così. E così come l’altro è, è la sua verità.
Il materialismo ha praticamente spostato la morale, l’ha tirata giù, col buonismo, a livello delle azioni, del fare, del fare, del fare, che è tutto materialismo. Dobbiamo risollevare la morale al livello proprio del comprendere, tant’è vero che, avendo posto la domanda, ognuno di noi sinceramente deve dire: mi sento più amato quando l’altro mi capisce che non quando dice «vorrei fare tutto per te». Perché quando l’altro dice così, l’interessato risponde: «lasciami in pace!» perché non è che si senta massimamente amato. Quando l’altro dice ti comprendo io sento che una forma maggiore d’amore, di conferma del mio essere, non c’è.
«Ti capisco» significa: ti confermo in tutto e per tutto, così come sei, e non ho paura che tu la prenda come scusa per non diventare migliore, perché se continui tre giorni a essere così va bene lo stesso, perché sarà la tua verità. Di volta in volta ognuno è ciò che è, e perciò la verità è la categoria somma del morale.
Intervento: Per te capire e comprendere sono la stessa cosa?
Archiati: Fai tu la differenza tra capire e comprendere. Il linguaggio ti dà due parole diverse, quindi il fatto che siano due, anche se sono sinonimi, ti fa sospettare che certe sfumature siano differenti. Come si colgono le sfumature delle categorie del Logos che si esprimono nelle parole? Tornando alle similitudini. Comprendere significa “prendere con”, capire viene da capio, è solo un prendere. Quindi questo è un semplice acchiappare, l’altro è un acchiappare insieme: cum prendo.
Traduciamo adesso le similitudini, perché cum prehendere è un prendere insieme, e questa è un’immagine. Traduciamo a livello di esperienza spirituale, cosa vuol dire comprendere? Vuol dire che ti vedo nel nesso universale dell’organismo, del corpo mistico di Cristo, che è l’umanità, non ti comprendo nell’isolamento, questo non è un comprendere, ti comprendo soltanto nel contesto del tuo organismo spirituale.
Intervento: «Ti capisco» allora è più limitato?
Archiati: Certo, è l’inizio, è il desiderio di comprendere. Il comprendere invece è il cogliere la verità dell’occhio in quanto occhio, e può essere occhio soltanto dentro all’organismo. Quando mi sento dire: «nell’umanità questo è il tuo compito che nessun altro può svolgere», allora sì che mi sento compreso! Ma finché non colgo quel frammento di luce che soltanto io posso immettere nel corpo mistico del Cristo non ho compreso il mio essere, non ho compreso l’intuizione morale della fantasia dell’Essere del Logos.
Ogni essere umano è un’intuizione morale della fantasia del Logos, e la fantasia del Logos, quando ha fatto accendere la verità specifica, unica di un individuo umano, che cosa ha pensato? Ha pensato a quella funzione nel corpo mistico del Cristo, che è corpo di luce del Logos, che può svolgere soltanto questo essere umano. Questo vuol dire comprendere un uomo. Si può fare “di botto”?
Con quel tipino lì bisogna viverci insieme, viverci insieme, viverci insieme, e, a forza di dimestichezza salta fuori l’intuizione morale di chi tu sei, di come sei stato pensato dentro al corpo mistico del Cristo. Colui che mi ama è colui che mi comprende sempre più profondamente. E questo comprendere è un confermare, è un santificare: una santificazione più grande di questa non c’è!
Ci siamo capiti o ci siamo compresi?
Che sia l’uno o che sia l’altro vi auguro un buon appetito, un buon ritorno a casa, e soprattutto grazie per la vostra pazienza!
[1] R. Steiner, Cosa vuol dire «risurrezione»? – Ed. Archiati
[2] P. Archiati, Il mistero dell’amore – Ed. Archiati
[3]R. Steiner, Arte dell’educare, arte del vivere – Ed. Archiati
R. Steiner, Che cosa ne sarà di mio figlio e L’educazione per l’uomo – Ed. Archiati
[4] P. Archiati, L’Odissea, il cammino di ogni uomo – Ed. Archiati
[5] P. Archiati, L’uomo e il male, un mistero di libertà – Ed. Archiati
[6] R. Steiner, Introduzione alla scienza dello spirito – Ed. Archiati
[7]Convegno internazionale che si tenne a Dornach dal 24 dicembre 1923 al primo gennaio 1924. In quei giorni Steiner comunicò ai presenti, ma destinata all’umanità nel suo insieme, una serie di versetti meditativi noti come La pietra di fondazione.
[8]P. Archiati, Cristo ricambia il bacio, parte 1 e 2 – Ed. Archiati