Il pensiero nell'uomo... Rudolf Steiner - copertina

Testo originale tedesco:

Der Gedanke im Menschen und im Weltall

(Archiati Verlag e K., Bad Liebenzell)

Traduzione di Giusi Graziuso e Pietro Archiati

PD

L'editore e il redattore non esercitano diritti

sui testi di Rudolf Steiner qui stampati.

ISBN 3-938650-71-0

www.liberaconoscenza.it

Rudolf Steiner

Il pensiero

nell'uomo e nel mondo

Dodici modi di pensare, sette modi di vivere

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Indice

Prefazione di Pietro Archiati

Quattro conferenze di Rudolf Steiner

tenute a Berlino dal 20 al 23 gennaio 1914

Prima conferenza

L’uomo senza pensieri

Molti oggi considerano realtà solo la materia – e del pensiero conoscono solo la parola

Si possono disegnare singoli triangoli – ma cos’è il triangolo?

Cento talleri possibili sono non meno di cento talleri reali – ma solo per chi quelli reali non li ha

Un corso d’acqua è un’unità originaria oppure un’integrale di infinite particelle d’acqua

Seconda conferenza

Dodici percezioni del mondo a pari diritto

Jakob Bohme e il mondo-stivale

La Trinità di Dio: tre divinità?

Anche se molti gatti si chiamano Mufti, Mufti non è un concetto paragonabile a gatto

Esistono singoli numeri ma non il numero

Dodici concezioni del mondo per superare ogni unilateralità

1. Materialismo

2. Spiritualismo

3. Realismo

4. Idealismo

5. Matematicismo

6. Razionalismo

7. Psichismo

8. Pneumatismo

9. Monadismo

10. Dinamismo

11. Fenomenismo

12. Sensismo

Terza conferenza

Sette disposizioni dell’anima

Le dodici concezioni del mondo e lo Zodiaco

Le sette disposizioni dell’anima

1. Gnosticismo

2. Logicismo

2. Volontarismo

4. Empirismo

5. Misticismo

6. Trascendentalismo

7. Occultismo

Zodiaco (12) e Pianeti (7): microcosmo e macrocosmo

Sole + Luna + Terra = Teismo + Intuizionismo + Naturalismo

Antropomorfismo come condizione di base

La parte fisica e quella eterica del cervello

Quarta conferenza

Ogni uomo è un pensiero dell’universo

Il destino di Nietzsche: dall'idealismo al dinamismo attraversando il razionalismo

Lo specchio "produce" l'immagine riflessa altrettanto poco quanto il cervello produce i pensieri

Il pensare umano lavora sul cervello, il pensare cosmico crea il cervello

Venerazione per il pensiero: «Io penso il mio pensiero»; «Io sono un pensiero pensato dagli spiriti del mondo»

A proposito di Rudolf Steiner

Prefazione

Le presenti conferenze vertono sulla ricerca della verità. Sempre più esseri umani, oggi, si considerano sostenitori illuminati della tolleranza e giudicano intolleranti coloro che affermano l’esistenza di una verità oggettiva, valida e definitiva per tutti. Però vi sono anche coloro i quali osservano rigidamente i dogmi della tradizione, o che sulla base di poche scarse astrazioni ritengono di aver trovato la verità definitiva.

Queste conferenze spiegano che è possibile evitare da un lato il rigido dogmatismo, dall’altro il misero relativismo. Esse descrivono lo sviluppo interiore attraverso cui l’uomo supera entrambi gli estremi, intuendone la loro povertà spirituale: la povertà del dogmatico è il difetto dell’unilateralità, che consiste nel vedere solamente alcuni elementi della realtà, generalizzandoli. La povertà ancora più misera del relativista è quella di ritenere assolutamente vero un solo dogma, è cioè che niente è vero in assoluto.

E come si trova quella ricchezza che fa superare ogni povertà? La vita si arricchisce se l’uomo, nell’anelare alla totalità, diventa un instancabile ricercatore della verità. A ciò è sufficiente, in fondo, la convinzione che ciascuna singola cosa o fenomeno – per non parlare della totalità del mondo – sia inesauribile e che, se osservata dai fronti più diversi, sia sperimentabile nei modi più svariati.

Comprendere veramente qualcosa significa smettere di macchinare teorie o definizioni astratte, per guardare alla realtà da punti di vista sempre nuovi e sperimentare sempre a nuovo il mondo. Significa fare proprio un modo di osservare descrittivo, illustrativo, persino narrativo. Non c’è da meravigliarsi che in Platone il ricercatore della verità Socrate usi la forma del dialogo nella relazione con i suoi allievi. E neppure c’è da stupirsi se qui abbiamo a che fare con conferenze, e non con scritti.

E la meraviglia più grande consiste forse nel fatto che allo stesso tempo si possa anche praticare la vera tolleranza, anziché predicarla solamente – agli altri. Poiché trovarsi sempre in cammino verso il pensare universale significa imparare a saper dare ragione ad ognuno – a ragion veduta, sinceramente. Ciascuno guarda al mondo dal suo punto di vista, e un punto di vista non è giusto o sbagliato, ma semplicemente un frammento di realtà. Ogni uomo sperimenta il mondo a suo modo, ed ogni tipo di esperienza è una parte della realtà non meno obiettiva delle altre.

Il guaio del dogmatico consiste nel fatto che può dar ragione ad uno solo, e cioè a se stesso. Il vicolo cieco del relativista è che, per trattare tutti con uguale tolleranza, non vuole dar ragione a nessuno. L’instancabile ricercatore della verità sa dare ragione a tutti perché per sé rivendica solamente il diritto di rimanere sempre in cammino. Egli sente come pienamente giustificato, e allo stesso tempo unilaterale, ogni punto di vista del pensiero, ogni tipo di esperienza umana, e gli sorge il desiderio di scoprire il lato successivo e quello ancora seguente della realtà. Il rimanere sempre in cammino come ricercatore della verità diventa per lui il diritto più sacro della libertà, il dovere più caro dell’amore.

La moderna scienza naturale è un fenomeno umano di dogmatismo unilaterale dalle proporzioni inimmaginabili. Le leggi che spiegano l’azione del mondo sensibile-materiale vi vengono generalizzate in modo settario, vengono assolutizzate in maniera totalitaria. Lo spirito, tutto quanto è soprasensibile o animico, viene dichiarato non reale. Allo spirito e all’anima umani viene proibito ogni diritto all’esistenza, ogni anelito allo sviluppo di sé.

La scienza dello spirito di Steiner non è una teoria o una visione del mondo supplementare rispetto alle molte altre che già possediamo. Non è una verità, ma una via verso la verità, non fa dell’uomo un possessore della verità, bensì un ricercatore della verità. Per questo essa ha, nell’umanità moderna, un compito unico, il compito della vera - come la chiama Steiner - “fondazione della concordia”, divenuta così urgentemente necessaria. Gli uomini potranno sperimentare sempre più pace e concordia quanto più si comprenderanno e rispetteranno reciprocamente lungo il cammino mai concluso nella ricerca della libertà e nell’anelito verso la completezza.

Pietro Archiati

(primavera 2006)

Prima conferenza

L’uomo «senza pensieri»

Berlino, 20 gennaio 1914

Miei cari amici!

Nelle quattro conferenze che terrò per voi nel corso nella nostra assemblea generale, vorrei parlarvi della relazione dell’uomo con il cosmo secondo un certo punto di vista. E vorrei indicare tale punto di vista con le seguenti parole.

L’uomo sperimenta in sé ciò che noi possiamo chiamare il pensiero, e nel pensiero l’uomo si può percepire come qualcosa di immediatamente attivo, come qualcosa che può esercitare la propria attività.

Quando osserviamo un certo oggetto esteriore, ad esempio una rosa o una pietra, e ci rappresentiamo questo oggetto esteriore, qualcuno può dire, a ragione: «In fondo, non puoi mai sapere quanto veramente possiedi della pietra o della rosa, nel momento in cui te le rappresenti. Vedi la rosa, il suo essere esteriormente rossa, la sua forma, la disposizione dei singoli petali, vedi la pietra con il suo colore, i suoi vari spigoli, ma devi sempre dirti: intimamente può esserci ancora qualcosa che all’esterno non ti si presenta. Non sai quanto, nella tua rappresentazione, sia veramente presente della pietra o della rosa.»

Ma quando qualcuno ha un «pensiero», è egli stesso che lo produce. Si potrebbe dire che egli sia entro ogni fibra del suo pensiero, e per questa ragione in tutto il pensiero egli è partecipe della sua attività. Sa che quanto si trova in quel pensiero, lo ha pensato lui così, e che quanto lui non vi ha immesso, nemmeno vi può stare. Io abbraccio tutto il pensiero. Nessuno può affermare che, quando rappresento un pensiero, potrebbe esservi contenuto un tanto in più, come nella rosa o nella pietra, perché io stesso ho prodotto il pensiero, vi sono presente, e dunque so cosa vi è contenuto.

Realmente il pensiero è quel che più ci appartiene. Se troviamo la relazione del pensiero con il cosmo, con l’universo, troviamo anche la relazione tra quel che è più intimamente nostro ed il cosmo, l’universo. È sicuramente un punto di vista fecondo, quello di osservare per una volta la relazione dell’uomo con il cosmo partendo dal pensiero. Faremo, dunque, questa riflessione, ed essa ci condurrà ad altezze notevoli dell’osservazione scientifico-spirituale.

Ma oggi dovremo preparare una base, che a qualcuno di voi potrà forse apparire un poco astratta. Tuttavia, nei prossimi giorni vedremo che essa ci occorre, e che senza di essa possiamo accostarci solo superficialmente agli scopi elevati che ci prefiggiamo con queste quattro conferenze. Ciò che è stato appena detto ci fa sperare che, se l’uomo si attiene a quel che ha nel pensiero, può trovare un’ intima relazione della sua natura con l’universo, con il cosmo.

Ma se ci vogliamo collocare entro questo punto di vista, la cosa presenta una difficoltà, una grossa difficoltà – non intendo che esista una grossa difficoltà per la nostra osservazione, ma per l’oggettivo dato di fatto. Essa consiste nel fatto che è pur vero che si vive entro ogni fibra del pensiero, e pertanto, quando lo si possiede, si deve conoscere il pensiero più intimamente di tutte le rappresentazioni.

Ma, – c’è un ma: la maggior parte degli uomini non ha pensieri! E solitamente non si considera con la dovuta profondità il fatto che la maggioranza degli uomini non possiede pensieri. E normalmente non lo considera approfonditamente poiché per far questo bisogna, per l’appunto, avere pensieri!

Occorre innanzitutto far notare una cosa: quel che impedisce agli uomini di avere pensieri negli ambiti più estesi della vita è che gli uomini, nella vita ordinaria, non sempre hanno la necessità di spingersi fino al pensiero, e, anziché del pensiero, si accontentano della parola.

La maggior parte di quel che nella vita ordinaria si chiama «pensare», trascorre infatti nei nomi, si esaurisce nelle parole. Si pensa per nomi, per parole – si pensa per nomi molto più di quel che si creda. E quando chiedono spiegazioni di qualcosa, molti uomini si accontentano che si dica loro un qualche termine dal suono conosciuto, il quale rammenti loro questo o quello. E così considerano una spiegazione quel che provano in presenza di un tale vocabolo, e credono a quel punto di avere il pensiero.

Sì, quel che ho appena detto, ha portato, in un certo periodo dell’evoluzione della vita spirituale umana, a far emergere una visione condivisa ancora oggi da molti che si ritengono pensatori. Nella nuova edizione delle mie Concezioni del mondo e della vita nel diciannovesimo secolo ho tentato di trasformare radicalmente il testo, premettendovi una storia dell’evoluzione del pensiero occidentale, a partire dal sesto secolo prima di Cristo fino al diciannovesimo – e aggiungendo nella conclusione, rispetto a quel che vi si trovava nella prima pubblicazione, una descrizione che chiamerei della vita spirituale del pensiero fino ai nostri giorni. Anche il contenuto originario è stato per molti aspetti trasformato.

Ho tentato di mostrare come il pensiero inizi a sorgere effettivamente in una determinata epoca. Si potrebbe dire che inizi a formarsi veramente attorno al sesto - ottavo secolo a . C. Prima le anime umane non sperimentavano assolutamente ciò che nel vero senso della parola si può chiamare «pensiero». Cosa sperimentavano prima di allora le anime umane?

Prima di allora sperimentavano immagini, tutta l’esperienza del mondo esteriore avveniva in immagini. L’ho già espresso molte volte sotto diversi punti di vista. Questo sperimentare immagini è l’ultima fase dell’antica esperienza chiaroveggente. Successivamente, nell’anima umana l’immagine si trasforma in pensiero.

In quel libro ho inteso esporre questo risultato della scienza dello spirito seguendo per una volta il puro sviluppo filosofico. Rimanendo sul terreno dello sviluppo prettamente filosofico viene mostrato che il pensiero è nato un tempo nell’antica Grecia, emergendo dall’antica esperienza simbolica del mondo esteriore entro la vita animica umana. Successivamente ho cercato di illustrare come questo pensiero proseguisse in Socrate, Platone ed Aristotele, come assumesse determinate forme, continuasse a svilupparsi per poi, nel Medioevo, condurre a quel che oggi voglio menzionare.

Lo sviluppo del pensiero conduce al dubbio se possano esistere nel mondo quelli che vengono chiamati pensieri universali, concetti universali – al cosiddetto Nominalismo, la concezione filosofica per cui i concetti universali possono essere solo nomi, quindi solo ed esclusivamente dei termini. Per questi concetti universali esisteva dunque persino la concezione filosofica – e molti ancora oggi la possiedono –, secondo cui i concetti universali possano essere solo dei termini.

Per chiarirci quel che abbiamo appena detto, proviamo a prendere un concetto facilmente rappresentabile, sebbene generale: prendiamo il concetto di «triangolo» come concetto generale. Supponiamo che ora venga un sostenitore del nominalismo, il quale non riesce a superare quanto si è andato formando come nominalismo nel periodo tra l’undicesimo ed il tredicesimo secolo, e parli all’incirca così: «Disegnami un triangolo!» Bene, allora io gli disegnerò un triangolo, per esempio uno così:

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«Bene», dirà, «questo è un triangolo particolare, specifico, con tre angoli acuti, che esiste. Ma io te ne disegnerò uno diverso.» E disegnerà un triangolo con un angolo retto, ed uno con un cosiddetto angolo ottuso.

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Così chiameremo il primo un triangolo acutangolo, il secondo un triangolo rettangolo, il terzo un triangolo ottusangolo. Allora quella persona dirà: «Hai ragione: c’è un triangolo acutangolo, uno rettangolo ed uno ottusangolo. Ma tutti questi non sono certo il triangolo.»

Il «triangolo universale» deve contenere tutto quel che può contenere un triangolo. Il primo, il secondo ed il terzo triangolo devono tutti rientrare nel concetto generale di triangolo. E tuttavia non vi può essere un triangolo che sia contemporaneamente acutangolo, rettangolo ed ottusangolo. Un triangolo acutangolo è un triangolo particolare, non generale. E altrettanto particolari sono un triangolo rettangolo ed uno ottusangolo.

Non può quindi esistere un triangolo generale. Il triangolo generale è un nome che contiene i triangoli particolari. Ma non esiste il concetto generale del triangolo: è solo un vocabolo che riassume i casi particolari.

La cosa, naturalmente, non si ferma qui. Supponiamo che qualcuno pronunci il nome «leone». Ora, colui che fa suo il punto di vista del nominalismo, dice: «Nel giardino zoologico di Berlino vi è un leone, come anche in quello di Hannover ed in quello di Monaco. Esistono i leoni particolari, ma un leone generale, che dovrebbe avere a che fare con con tutti e tre, quello di Berlino, di Hannover e di Monaco, non esiste. È semplicemente un nome che riassume i leoni particolari. Vi sono solamente cose particolari», dice il nominalista, «e al di fuori delle cose particolari vi sono solo parole che riassumono le singole cose.»

Come ho detto, si è venuta a formare questa concezione. Acuti esponenti della logica la sostengono ancora oggi. E chi riflette un poco su quanto è stato or ora esposto, dovrà anch’egli, in fondo, ammettere che qui siamo effettivamente in presenza di qualcosa di singolare. Non posso arrivare immediatamente all’effettiva esistenza del «leone in generale» o del «triangolo in generale», poiché non li vedo.

Se ora venisse veramente qualcuno e dicesse: «Guarda, mio caro amico, posso concederti di mostrarmi il leone di Monaco, quello di Hannover o quello di Berlino. Ma se sostieni che esista il leone in generale, allora mi devi condurre in qualche luogo dove il ‹leone in generale› stia di casa. Se mi mostri solo il leone di Monaco, di Hannover e di Berlino, non mi hai dimostrato che esista il leone in generale.»

Se venisse qualcuno con questa concezione e pretendesse che gli si faccia vedere il leone in generale, ci si sentirebbe innanzitutto alquanto in imbarazzo. Non è così semplice rispondere dove si debba condurre quella persona a cui si deve mostrare il leone in generale!

Ebbene, non vogliamo ancora arrivare a quel che la scienza dello spirito ci fornisce – sicuramente ci arriveremo. Vogliamo per ora rimanere al pensare, a quel che con il pensiero si può raggiungere. E dovremo dire a noi stessi: se vogliamo rimanere su questo terreno, non è possibile condurre un qualsiasi scettico a vedere il leone in generale. Davvero non è possibile. Qui sta una delle difficoltà che si è semplicemente costretti ad ammettere. Poiché, se nel campo del pensare ordinario non si vuole ammettere questa difficoltà, ciò significa esattamente non ammettere la difficoltà del conoscere umano.

Restiamo al triangolo, poiché, in fondo, per la cosa in generale è indifferente spiegare la questione tramite il triangolo, il leone o altro ancora.

Innanzitutto appare senza speranza disegnare un triangolo generale che contenga tutte le caratteristiche di tutti i triangoli. E dato che non solo appare senza via di uscita, ma per il pensare umano ordinario lo è davvero, tutta la filosofia esteriore si imbatte qui in una linea di confine. E sarebbe suo compito dire una buona volta a se stessa che, come filosofia esteriore, si trova ad una linea di confine.

Ma tale limite è solamente quello della filosofia esteriore. Vi è la possibilità di oltrepassare questa linea, ed ora vogliamo conoscerla.

Pensiamo non di disegnare semplicemente il triangolo dicendo: ora ti ho disegnato il triangolo, ed eccolo qui:

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A ciò potrà sempre venir obiettato: «Questo è appunto un triangolo acutangolo, non è un triangolo generale!»

Infatti il triangolo può essere disegnato anche in altro modo – in verità non lo si può, ma vedremo subito la relazione tra questo potere e non potere. Supponiamo di disegnare questo triangolo in modo che sia possibile ad ogni suo lato di muoversi in qualsivoglia direzione. Permettiamo, cioè, ad ogni suo lato di muoversi a diverse velocità, di modo che, in un momento successivo, i lati possano, ad esempio, assumere questa posizione:

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Questo lato si muove in modo da assumere questa posizione nell’attimo seguente, quest’altro in modo da assumere quest’altra. Uno si muove molto più lentamente, l’altro più velocemente, e così via. Ora la direzione si inverte.

In breve, ci dirigiamo verso la scomoda rappresentazione che ci fa dire: «Non voglio disegnare solo un triangolo e lasciarlo stare così com’è, voglio invece richiedere qualcosa alla tua rappresentazione. Devi pensare che i lati del triangolo siano in continuo movimento. Se sono in movimento, dalla forma e dal movimento contemporaneamente può scaturire un triangolo rettangolo o un triangolo ottusangolo – o un altro qualsiasi.»

In questo campo si possono fare, ed anche desiderare, due cose. La prima cosa che si può desiderare è di rendersi la cosa ben comoda: si disegna a qualcuno un triangolo, esso è compiuto e si sa che aspetto ha. Ora si può tranquillamente riposare nei propri pensieri, avendo quel che si desidera. Ma si può anche fare l’altra cosa: considerare il triangolo quasi come un punto di partenza e far sì che ogni lato possa ruotare con diverse velocità ed in diverse direzioni.

In questo caso occorre eseguire dei movimenti nei propri pensieri, il che è alquanto scomodo. Ma in compenso vi si ottiene veramente il concetto generale di «triangolo». Non lo si può ottenere se si vuole liquidare il tutto con un triangolo. Il concetto generale di triangolo è presente se si ha il pensiero in continuo movimento, se esso è «versatile», mobile.

Poiché i filosofi non hanno fatto ciò che io ho or ora illustrato – far muovere il pensiero –, essi si trovano necessariamente ad una linea di confine e sostengono il nominalismo. Vogliamo adesso tradurre in una lingua a noi nota, nota da lungo tempo, quel che ho appena detto.

Se dobbiamo risalire dal concetto particolare al concetto generale, ci è richiesto di portare nel movimento il concetto particolare, cosicché il concetto in movimento è il concetto generale che scivola da una forma all’altra.

Dico «forma», ma più propriamente il tutto è in movimento. Ed ogni singola cosa risultante dal movimento è una forma in sé compiuta. Prima ho solamente disegnato forme particolari – un triangolo acutangolo, uno rettangolo ed uno ottusangolo. Ora disegno qualcosa – in realtà, come ho già detto, non lo disegno, ma lo si può immaginare –, qualcosa che deve suscitare l’immaginazione che il concetto generale sia in «movimento» e arrestandosi produca le forme particolari, e dico «forme».

Vediamo allora che i filosofi del nominalismo, i quali necessariamente si trovano ad un limite, si muovono in un determinato regno, nel regno degli «spiriti della forma». Entro il regno degli spiriti della forma, che sta attorno a noi, dominano le forme. E poiché vi dominano le forme, in questo regno vi sono cose particolari, rigorosamente delimitate. Da qui potete vedere che i filosofi che io intendo non hanno mai deciso di uscire dal regno delle forme, per cui nei concetti generali non possono vedere altro che parole, semplici nomi.

Se uscissero dal regno delle cose particolari, cioè delle forme, entrerebbero in una rappresentazione che è in continuo movimento, il che significa: richiamerebbero nel loro pensiero il regno degli «spiriti del movimento», la gerarchia superiore successiva. Ma la maggior parte dei filosofi non fa concessioni in questo senso.

E quando, in tempi recenti del pensiero occidentale, uno è stato pronto a pensare in questi termini, costui è stato poco compreso, sebbene molto si parli e fantastichi di lui. Si vada a vedere quel che Goethe ha scritto nella sua Metamorfosi delle Piante, quel che egli chiamava la «pianta primordiale», si vada poi a vedere quel che egli chiamava l’«animale primordiale», e si troverà che ci si farà una ragione di questi concetti – «pianta primordiale», «animale primordiale» – solo se li si pensa in movimento.

Se si accoglie questa mobilità della quale Goethe stesso parla, non si ha un concetto definito, delimitato nelle sue forme, ma si ottiene quel che vive nelle sue forme, ciò che «serpeggia» attraverso l’intera evoluzione del regno animale o del regno vegetale, ciò che in questo serpeggiare si trasforma, – altrettanto quanto il triangolo si trasforma in acutangolo o ottusangolo – e che ora può essere «lupo», ora «leone», ora «coleottero», a seconda di come si orienta la mobilità, così che le qualità si modificano nel trapassare attraverso le singole cose.

Goethe portò il movimento nei rigidi concetti della forma. Questa fu la sua grande e principale azione. Questo fu ciò che di significativo egli introdusse nell’osservazione naturalistica del suo tempo.

Vedete con questo esempio come quella che chiamiamo scienza dello spirito sia effettivamente adatta a condurre gli uomini fuori da ciò a cui oggi sono costretti ad aderire, pur essendo filosofi. Poiché senza i concetti ricavati tramite la scienza dello spirito non è proprio possibile, volendo essere onesti, ammettere altro se non che i concetti generali siano semplici nomi. Questa è la ragione per cui ho detto: la maggior parte degli uomini non possiede pensieri. E costoro si rifiutano di parlare di pensieri.

Quando si parla di concetti agli uomini? Quando si dice, ad esempio: gli animali e le piante hanno «anime di gruppo». Che si dica «concetti generali» oppure «anime di gruppo», per il pensiero è lo stesso. Vedremo nel corso delle conferenze che relazione vi sia tra le due cose. Ma l’anima di gruppo non è comprensibile, se non pensandola in movimento – in costante movimento esteriore ed interiore, poiché altrimenti non si giunge all’anima di gruppo. Ma gli uomini lo rifiutano, e così rifiutano anche l’anima di gruppo, dunque anche il concetto generale.

Per la conoscenza del mondo manifesto, visibile, non sono necessari i concetti! È necessario solamente ricordarsi di ciò che si è visto nel regno delle forme. Solo questo è quel che la maggior parte degli uomini sa: quel che ha visto nel regno delle forme. Allora i concetti generali rimangono semplici nomi. Perciò ho potuto dire che la maggior parte degli uomini non ha pensieri, poiché i concetti generali rimangono per gli uomini dei semplici nomi.

E se tra i diversi spiriti delle «gerarchie superiori»[1] non vi fosse anche il genio della lingua, che forma i nomi generali, o universali, per i concetti generali, – gli uomini stessi non lo farebbero. Dunque proprio dalla lingua gli uomini ricevono innanzitutto i loro concetti universali, e nemmeno posseggono molto altro che i concetti universali conservati nella lingua.

Ma vediamo da qui che vi deve pur essere qualcosa di particolare nel pensare pensieri veri. Che vi debba essere qualcosa del tutto particolare lo possiamo capire dal fatto che è veramente difficile per l’uomo far chiarezza nel campo del pensiero.

Così nella vita esteriore, quotidiana, forse si affermerà spesso, volendosi vantare un poco, che il pensare sia facile. Ma non è facile. Poiché il vero pensare richiede sempre l’essere sfiorati intimamente, ed in certo senso inconsciamente, da un soffio proveniente dal regno degli spiriti del movimento. Se il pensare fosse così semplice, non si farebbero sbagli tanto colossali nel campo del pensare, e non ci si affannerebbe così a lungo con ogni sorta di problemi ed errori.

Infatti, ora ci si affanna da più di un secolo con un pensiero che ho già spesso citato, e che Kant ha espresso.

Kant voleva eliminare la cosiddetta «dimostrazione ontologica dell’esistenza di dio». Anche questa dimostrazione dell’esistenza di dio proviene dai tempi del nominalismo, nel quale si diceva che per i concetti universali esistono solo nomi, che non esiste nulla di universale che così corrisponda ai singoli concetti, come le rappresentazioni corrispondono alle singole cose.

Voglio addurre questa dimostrazione ontologica dell’esistenza di dio per esemplificare come si «pensa». All’incirca dice così: se si ipotizza un dio, egli deve essere l’entità più perfetta di tutte. Se è il più perfetto, non deve mancargli l’essere, l’esistenza, poiché altrimenti vi sarebbe un’entità ancora più perfetta che possiede tutte le qualità che si pensano, e che inoltre esiste. Dunque occorre pensare l’essere più perfetto come esistente. Non si può dunque pensare dio altrimenti che esistente, se lo si pensa come l’essere più perfetto. Il che significa: dal concetto stesso si può evincere che, secondo la dimostrazione ontologica di dio, dio deve esistere.

Kant tentò di confutare questa dimostrazione, volendo mostrare che da un concetto non si può assolutamente dimostrare l’esistenza di una cosa. E precisamente, a tal fine, coniò il famoso detto che anch’io ho spesso indicato: cento talleri reali non sono niente più e niente meno che cento talleri possibili, solo immaginati.

Vale a dire: se un tallero ha trecento centesimi, allora per cento talleri reali occorre calcolare trecento centesimi ciascuno – e ugualmente per cento talleri possibili occorre calcolare trecento centesimi ciascuno. Quindi, cento talleri possibili contengono altrettanti centesimi che cento talleri reali. Ciò significa che non fa nessuna differenza pensare cento talleri reali o cento talleri possibili. Perciò, dalla semplice idea dell’essere più perfetto non si può far uscire l’esistenza, poiché il concetto di un dio solamente possibile ha le stesse caratteristiche del concetto di un dio reale.

Ciò appare molto intelligente! E da un secolo gli uomini si affannano intorno alla questione dei cento talleri possibili e dei cento talleri reali.

Ma prendiamo un punto di vista ovvio, quello della vita pratica. È possibile, da questo punto di vista, dire che cento talleri reali non contengono nulla più che cento talleri possibili? Si può affermare che cento talleri reali contengono esattamente cento talleri in più che cento talleri possibili!

È ovvio: cento talleri possibili da una parte e cento reali dall’altra – c’è una bella differenza! Dall’altra parte ci sono esattamente cento talleri in più. E nella maggior parte dei casi della vita pare proprio che contino i cento talleri reali.

Ma la questione ha anche un aspetto più profondo. Si può infatti porre la domanda: che importanza ha la differenza tra cento talleri possibili e cento reali? Chiunque ammetterà che per chi può avere i cento talleri, esiste indubbiamente una differenza tra cento talleri possibili e cento reali!

Pensate, infatti, di aver bisogno di cento talleri, e qualcuno vi lascia scegliere se darvene cento possibili o cento reali. Se potete ottenerli, la cosa fa certo una bella differenza. Ma supponete di essere nella situazione per cui non potete ottenere i cento talleri reali. Potrebbe allora essere estremamente indifferente per voi che i talleri che qualcuno non vi dà siano cento possibili o cento reali. Se non li si può avere, allora cento talleri reali e cento possibili contengono esattamente lo stesso!

Ma questo significa qualcosa: significa che Kant ha parlato di dio come poteva essere fatto solo in un tempo nel quale l’esperienza animica umana non poteva più avere dio. Poiché non era più raggiungibile come realtà, il concetto del dio possibile e del dio reale era proprio identico, così come lo è il fatto di non poter avere cento talleri reali o cento possibili. Se per l’anima non vi è alcuna via verso il dio reale, allora non vi giunge di certo neppure quello sviluppo di pensiero contenuto nello stile di Kant.

Vedete allora che la questione ha anche un lato più profondo. La cito solo perché con essa volevo rendere chiaro che se si pone la domanda sul pensare occorre scavare un poco più a fondo. Poiché gli errori di pensiero si insinuano attraverso gli spiriti più illuminati, e a lungo non ci si accorge di dove sia insita la fragilità di un pensiero, come ad esempio quella del pensiero kantiano dei cento talleri possibili e dei cento reali. Nel pensare è sempre importante considerare anche la situazione nella quale il pensiero viene concepito.

Ho cercato di mostrarvi, partendo dapprima dalla natura del concetto generale e poi, nel particolare, dalla presenza di un errore di pensiero come quello kantiano, che i percorsi del pensare non possono essere pienamente osservati senza un approfondimento nelle cose. Voglio ancora accostarmi alla questione a partire da un terzo aspetto.

Supponiamo che ci sia qui un monte o una collina, con a lato un erto pendio. Da questo pendio scosceso sgorga una sorgente che precipita verticalmente, come una vera cascata. Più in alto si vede un’altra sorgente nelle stesse identiche condizioni. Quest’ultima vuole fare esattamente lo stesso dell’altra, ma non lo fa. Infatti non riesce a precipitare come una cascata, bensì scorre graziosa verso il basso in forma di ruscello o di fiume.

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L’acqua possiede nella seconda sorgente forze diverse che nella prima? Ovviamente no. Infatti la seconda sorgente farebbe esattamente come la prima se il monte non la ostacolasse, mandando verso l’alto le forze del monte stesso. Se le forze di trattenimento del monte, le forze che il monte manda verso l’alto, non fossero presenti, anche la seconda sorgente precipiterebbe come la prima.

Due sono, allora, le forze da considerare. La forza di gravità della terra, per mezzo della quale l’una delle sorgenti precipita, è altrettanto presente nell’altra, poiché si può dire: c’è, io vedo come attira verso il basso la sorgente. Se ora qualcuno fosse scettico, potrebbe negare questo fatto nel caso della seconda sorgente, e dire: «Qui dapprima non si vede niente, mentre nella prima sorgente ogni particella d’acqua viene trascinata giù.» Nella seconda sorgente bisogna dunque aggiungere in ogni punto la forza che si oppone alla forza di gravità terrestre: la forza frenante del monte.

Supponiamo ora che venga qualcuno e dica: «Non credo molto a quel che mi racconti della forza di gravità, e nemmeno credo a quel che mi dici della forza frenante. In quel caso, sarebbe il monte la causa per cui la sorgente prende quella via? Non ci credo!»

Si potrebbe ora chiedere a quest’uomo:: «A cosa credi allora?» Potrebbe rispondere: «Credo che in basso vi sia una parte di acqua, esattamente come anche sopra via sia una parte di acqua, e sopra ancora un’altra parte e così via. Credo che l’acqua che sta sotto venga spinta giù dall’acqua che sta sopra, e che quella sopra sia a sua volta spinta giù da altra che la sovrasta. Ogni parte d’acqua sopra spinge verso il basso quella che le sta davanti!»

Questa è una differenza notevole. La prima persona sostiene che la forza di gravità attira verso il basso le masse d’acqua. La seconda dice invece che vi sono quantità d’acqua le quali sempre spingono giù quelle che stanno sotto di esse e, spingendo, l’acqua sovrastante sempre tiene dietro.

Veramente, sarebbe ridicola quella persona che parlasse di una simile serie di spintoni. Ma supponiamo che non si tratti di un torrente o di un fiume, bensì della storia dell’umanità, e che una persona come quella caratterizzata per ultima dicesse: «L’unica cosa in cui ti credo è questa: Ora viviamo nel ventesimo secolo, si sono svolti determinati avvenimenti. Essi sono stati l’effetto di quelli dell’ultimo terzo del diciannovesimo secolo, questi ultimi, a loro volta, causati da quelli del secondo terzo del diciannovesimo secolo, e questi ancora da quelli del primo terzo.»

Questa viene chiamata «storia pragmatica», nella quale si parla di cause ed effetti nel senso che gli eventi seguenti si spiegano sempre partendo dai relativi precedenti. Come qualcuno può negare la forza di gravità e dire: «Ogni quantità di acqua spinge sempre l’altra», lo stesso avviene quando qualcuno fa storiografia pragmatica e spiega le condizioni del diciannovesimo secolo come una conseguenza della rivoluzione francese.

Certamente noi diciamo: no, vi sono forze diverse oltre a quelle che spingono da dietro – le quali propriamente nemmeno esistono. Infatti, quanto poco quelle forze «spingono» nel fiume da dietro, altrettanto poco gli eventi retrostanti spingono entro la storia dell’umanità, poiché giungono sempre nuovi influssi dal mondo spirituale – così come la forza di gravità sempre continua ad agire nella sorgente. Ed essi si incrociano con altre forze, come la forza di gravità si incrocia nel fiume con la forza frenante del monte. Se fosse presente solo l’una forza, vedresti la storia scorrere in modo del tutto diverso. Ma non vi vedi le singole forze, non vedi quel che è nell’ordine fisico del mondo e quel che è stato descritto come effetto dell’evoluzione di Saturno, Sole, Luna e Terra.[2] Non vedi quel che ininterrottamente accade alle anime umane, le quali vivono nel mondo spirituale e di nuovo tornano sulla terra. Questo tu lo neghi semplicemente.

Ma oggi abbiamo un’idea della storia che appare come chi si presentasse con le idee appena descritte – e non è una concezione così rara. Persino nel 19° secolo è stata considerata come enormemente geniale.

Ma cosa potremmo dire al riguardo sulla base del punto di vista appena acquisito? Se qualcuno affermasse per il fiume la stessa cosa che afferma per la storia, sosterrebbe un’assurdità totale. Ma cosa accade se costui sostiene la stessa assurdità sulla storia – ma non se ne accorge? La storia è molto complicata, e non ci rendiamo conto che quasi ovunque essa viene presentata in questo modo come «storia pragmatica» – solo non lo si nota.

Ma da ciò vediamo che la scienza dello spirito, il cui compito è di procurare principi sani per la comprensione della vita, deve operare negli ambiti più diversi della vita – vediamo che effettivamente è necessario imparare innanzitutto a pensare, a conoscere le intime leggi e gli impulsi del pensare. Altrimenti ci può capitare ogni sorta di esperienza grottesca.

Così, ad esempio, uno oggi può inciampare, incespicare, zoppicare proprio sul problema «pensiero e lingua». È il caso del famoso critico linguistico Fritz Mauthner, che ora ha anche scritto un ampio dizionario filosofico. La corposa Critica della lingua di Mauthner è già alla sua seconda edizione, è dunque divenuta un’opera famosa per i nostri contemporanei. Vi è contenuto molto di geniale, ma vi si trovano anche cose grottesche.

Vi si può trovare, ad esempio, lo strano errore di pensiero – e in esso si incespica quasi ogni cinque righe –, per cui il buon Mauthner mette in dubbio l’utilità della logica. Poiché, secondo lui, il pensare non è altro che parlare – e dunque non ha senso fare logica, si fa solo grammatica. Inoltre egli afferma che, poiché non vi può essere alcuna logica, anche i logici sono stati tutti degli imbecilli.

E aggiunge che nella vita ordinaria dai sillogismi discendono i giudizi, e solo dai giudizi le rappresentazioni. Così fanno gli uomini! A che serve allora una logica, se gli uomini fanno discendere i giudizi dalle conclusioni, le rappresentazioni dai giudizi? Ciò suona altrettanto geniale che se qualcuno dicesse: a cosa serve la botanica? L’anno scorso e due anni fa le piante sono comunque cresciute!

Ma una simile logica si trova in chi condanna la logica. Ed è ben comprensibile che la condanni. Si trovano molte cose ancora più strane in quest’opera particolare che, riguardo alla relazione tra pensare e parlare, non porta chiarezza, ma confusione.

Ho detto che ci occorre una base per le cose che ci devono condurre alle altezze dell’osservazione spirituale. Una base come quella oggi accennata può apparire un poco astratta a qualcuno, ma ci servirà. E ho cercato di rendere la cosa semplice, così da poter essere chiara.

Vorrei, in particolare, insistere sul fatto che già attraverso queste semplici osservazioni ci si può fare un’idea di dove stia il confine tra il regno degli spiriti della forma ed il regno degli spiriti del movimento. Ma avere quest’idea è strettamente connesso al poter ammettere i concetti generali piuttosto che poter ammettere solo rappresentazioni o concetti di singole cose. E dico espressamente: potere ammettere.

Essendo un poco astratte, non aggiungo altro a queste premesse, sulle quali vogliamo continuare a costruire domani.

Seconda conferenza

Dodici concezioni del mondo
a pari diritto

Berlino, 21 gennaio 1914

Miei cari amici!

In fondo, occuparsi della scienza dello spirito rende necessario che la vita pratica si affianchi sempre alle questioni spirituali. È in verità impossibile chiarire appieno le cose dette ieri, se non si cerca di padroneggiare le questioni attraverso una sorta di comprensione vivente degli aspetti della vita spirituale – in particolare anche della vita del pensiero.

Perché, infatti, nella vita spirituale accade, ad esempio, che proprio presso i filosofi di mestiere regni confusione riguardo alla relazione tra le idee universali – tra il triangolo in generale – e le rappresentazioni particolari dei singoli triangoli? Da dove giungono quelle questioni che impegnano interi secoli, come l’esempio citato ieri dei cento talleri kantiani possibili e dei cento talleri reali?

Da dove deriva il fatto che non si rifletta minimamente, laddove sarebbe necessario, per comprendere che non vi può essere qualcosa come una storiografia «pragmatica», secondo la quale ciò che segue è sempre derivabile da ciò che precede? Come mai non si apre quella riflessione che susciterebbe perplessità riguardo al modo impossibile, e largamente diffuso, di concepire la storia umana? Da dove derivano tutte queste cose?

Dal fatto che veramente, anche laddove si dovrebbe, non ci si sforzi a sufficienza di imparare ad esaminare in modo preciso gli aspetti della vita spirituale. Nel nostro tempo chiunque vuole certo legittimamente poter pretendere almeno questo, vuol poter dire: «Pensare – naturalmente lo si può fare!» E si inizia a pensare.

Vi sono molte concezioni del mondo, molte filosofie sono esistite. Si nota che uno ha detto questo, l’altro ha detto quello. E vi sono state persone più o meno assennate, che avrebbero potuto far notare molte delle contraddizioni che si riscontrano in loro. Su questo non si riflette, a questo non si pensa. Ma tanto più si è orgogliosi di saper pensare.

Si può dunque riflettere su ciò che le persone hanno pensato, convinti di trovare da sé quel che è giusto. Perché oggi non vi può essere nulla per autorità, ciò contraddice la dignità della natura umana! Bisogna pensare da sé. Nel campo del pensare si reputa assolutamente che sia così.

Non so se le persone abbiano riflettuto sul fatto che in tutti gli altri ambiti della vita non la pensano così. Ad esempio, nessuno si sente abbandonato alla fede nell’autorità o alla dipendenza dall’autorità se si fa fare la giacca dal sarto o le scarpe dal calzolaio. Non dice: è al di sotto della dignità umana farsi fare le cose da coloro che, si sa che sono esperti del mestiere. Magari si ammette pure che queste cose vadano imparate.

Riguardo al pensare, nella vita pratica non si ammette che anche le concezioni del mondo si debbano ricevere da chi ci ha insegnato a pensare, e magari qualcos’altro ancora. Oggi lo si ammette in pochissimi casi.

Questa è una cosa che domina ampiamente la nostra vita, e senz’altro contribuisce a far sì che il pensiero umano nel nostro tempo non sia un prodotto molto diffuso. Mi pare che possa anche sembrare comprensibile.

Ammettiamo infatti che tutti gli uomini dicessero ad un certo punto: «Imparare a fare gli stivali è una cosa da tempo indegna per l’uomo. Ci mettiamo tutti a fare stivali!» – non so se ne uscirebbero molti stivali fatti a regola d’arte. Ma in ogni caso gli uomini del presente partono per lo più da questa premessa per quanto riguarda il formarsi pensieri giusti nella concezione del mondo.

Questo è un aspetto che contribuisce a dare maggior profondità alla frase che ho pronunciato ieri: e cioè che il pensare è certamente quella cosa in cui l’uomo è, per così dire, completamente inserito, e che pertanto egli può abbracciare nel suo intimo, ma che non è così diffuso come si vorrebbe pensare.

A questo si aggiunge, nel nostro tempo, anche una presunzione assai particolare, la quale potrebbe gradualmente finire per offuscare completamente ogni chiarezza relativa al pensiero. Dobbiamo occuparci anche di questo. O almeno volgervi una volta l’attenzione.

Ipotizziamo quanto segue: vi è a Görlitz un calzolaio di nome Jakob Böhme. E quel calzolaio di nome Jakob Böhme ha imparato il mestiere del calzolaio, ha imparato bene l’arte di ritagliare suole, di dar forma alla scarpa, di conficcare i chiodi nelle suole e nel cuoio, e così via. Supponiamo che abbia chiaro il procedimento e sappia fare bene il mestiere.

Ora, questo calzolaio di nome Jakob Böhme si presenta e dice: «Adesso voglio vedere come è costruito il mondo. Suppongo che all’origine del mondo vi sia una grande forma da scarpa. Sopra questa forma un tempo è stato posto il cuoio del mondo. Poi si sono presi i chiodi del mondo, e la suola del mondo è stata unita al rivestimento di cuoio del mondo tramite chiodi del mondo. Poi si è preso il lucido da scarpe del mondo e si è lucidata tutta la scarpa-mondo. Così mi posso spiegare che al mattino faccia chiaro, dato che splende il lucido da scarpe del mondo. E quando questo lucido da scarpe mondiale alla sera viene offuscato da varie cose, allora non splende più. Perciò suppongo che qualcuno di notte si dia da fare per lucidare a nuovo lo stivale del mondo. E da qui deriva la differenza tra il giorno e la notte.»

Supponiamo che Jakob Böhme abbai escogitato una tal cosa. Certo, voi ridete, poiché Jakob Böhme non ha certo fatto questo, ma ha invece fornito alla cittadinanza di Görlitz delle scarpe a modo, utilizzando a tal fine la sua arte di fabbricare scarpe. Ma egli ha pure sviluppato i suoi grandiosi pensieri, con i quali voleva costruire una concezione del mondo: allora è passato a qualcos’altro.

Ha detto a se stesso: «I miei pensieri di calzolaio non sarebbero sufficienti. Infatti, se voglio avere pensieri sul mondo, non posso applicare all’edificio del mondo i pensieri con i quali fabbrico scarpe per la gente!» Così è giunto ai suoi sublimi pensieri sul mondo. Dunque, quel Jakob Böhme che ho dapprima costruito per ipotesi, non è esistito a Görlitz, mentre è esistito l’altro che sapeva il fatto suo.

Ma quegli ipotetici Jakob Böhme, che sono come coloro dei quali avete riso, oggi esistono ovunque. Troviamo ad esempio fisici, chimici che hanno imparato le leggi secondo cui si uniscono e si separano le sostanze nel mondo. Poi ci sono zoologi che hanno imparato come si analizzano e descrivono gli animali. Poi ci sono i medici e fisiologi, che hanno imparato come si devono curare il corpo fisico umano e quel che loro chiamano l’«anima». Cosa fanno costoro?

Dicono: «Se si vuole imbastire una concezione del mondo, basta prendere le leggi apprese nella chimica, nella fisica o nella fisiologia.» – non ve ne devono essere altre –, «e da qui ci si costruisce la propria concezione del mondo.» Queste persone fanno esattamente come avrebbe fatto il calzolaio ipotetico testé descritto, se avesse escogitato lo stivale-mondo. Ma oggi non si nota che, dal punto di vista del metodo, le concezioni del mondo sorgono esattamente come quell’ipotetico stivale-mondo.

Certo pare alquanto grottesco immaginarsi la differenza tra il giorno e la notte in base all’usura del cuoio per scarpe e alla lucidatura che avviene durante la notte. Però di fronte ad una logica reale è, in via di principio, esattamente lo stesso che se si volesse realizzare un edificio del mondo con le sole leggi della chimica, della fisica, della biologia e della fisiologia. È esattamente lo stesso principio!

È l’immane presunzione del fisico, del chimico, del fisiologo, del biologo, i quali altro non vogliono essere che fisici, chimici, fisiologi e biologi – e tuttavia vogliono spacciare giudizi sul mondo intero.

Si tratta in ogni caso di approfondire le cose, di fare chiarezza – riconducendo le cose alla loro vera forma, proprio laddove esse non siano tanto evidenti. Se dunque si considera tutto ciò da un punto di vista metodologico, non occorre meravigliarsi che molti tentativi attuali di concezioni del mondo non sortiscano altro che lo «stivale-mondo».

Questo può rimandare ad occuparsi di scienza dello spirito e di questioni pratiche di pensiero, il che può suscitare l’interesse per «come» è necessario pensare, al fine di riconoscere dove nel mondo siano presenti delle inadeguatezze.

Vorrei citare un altro fatto, per mostrare dove siano radicati i numerosi equivoci riguardo alle concezioni del mondo.

Quando ci si occupa di concezioni del mondo, non si riscontra forse continuamente che ognuno afferma una cosa diversa dall’altro? Uno difende una cosa con ragioni talvolta buone, un altro quell’altra, con altrettante buone ragioni – poiché a tutto si trovano «ragioni». Ed uno confuta altrettanto bene una cosa, come l’altro, con buone ragioni, confuta l’altra.

Nel mondo si formano seguaci non primariamente per il fatto che l’uno o l’altro sia «assolutamente» convinto di quel che viene insegnato qua o là. Prendete, ad esempio, le vie che devono percorrere gli allievi di grandi personaggi per giungere a questo o quel «grande uomo», e vedrete che qui vi è certamente qualcosa di importante riguardo al karma, al destino. Tuttavia, secondo le idee oggi esistenti nel mondo esteriore, si afferma: se uno ora diventa bergsoniano o heackeliano o altro ancora, in fondo, come detto, non dipende esclusivamente dalla profondissima convinzione con cui si aderisce ad un ideale – tuttavia la comune concezione del mondo non riconosce certo la realtà del «karma».

Si combatte su tutti i fronti. E ho detto ieri che una volta c’erano i «nominalisti», sostenitori del fatto che i concetti universali non avrebbero alcuna realtà, sarebbero solo dei nomi. Questi nominalisti ebbero degli oppositori: a quel tempo gli oppositori dei nominalisti erano chiamati «realisti» – il termine aveva allora un significato diverso da oggi. Questi sostenevano che i concetti universali non sono solamente nomi, flatus vocis, bensì si riferiscono ad una ben precisa realtà.

La questione «realismo o nominalismo?» fu, nel medioevo, molto scottante, in particolare per la teologia – in un campo che oggi non occupa minimamente i pensatori. Poiché nel periodo in cui affiorò la domanda «nominalismo o realismo?» – dall’undicesimo al tredicesimo secolo –, la questione più importante del credo confessionale umano era quella delle tre persone divine, il Padre, il Figlio e lo Spirito santo, che formano una entità divina, ma che devono pur essere tre persone reali.

Ed i nominalisti sostenevano che queste tre persone divine esistono solo individualmente – il «Padre» indipendente dal «Figlio», e questo indipendente dallo «Spirito Santo». E quando si parla di un «dio» comune, che le abbracci tutte e tre, quello è solo un nome. Così il nominalismo eliminò l’unità nella Trinità. E nei confronti dei realisti, i nominalisti non solo dichiaravano assurda l’unità dal punto di vista logico, ma reputavano persino eretico quel che sostenevano i realisti – e cioè che le tre persone dovevano formare un’unità non solo pensata, ma anche reale.

Nominalismo e realismo erano dunque in lotta fra loro. E veramente, chi si immerge nella letteratura che è scaturita dal nominalismo e dal realismo nei secoli indicati, ricava una visione approfondita di quel che può riuscire a produrre l’ingegno umano. Infatti, sia per il nominalismo che per il realismo sono state prodotte le argomentazioni più ingegnose.

Certo, a quel tempo era più difficile far sfoggio di un simile pensiero, poiché non esisteva ancora l’arte della stampa e non era per niente facile prendere parte a quelle dispute, come accadeva tra nominalisti e realisti. Colui che vi partecipava doveva essere, nel senso del tempo di allora, molto meglio preparato di quanto lo siano oggi coloro che prendono parte alle dispute. È stata espressa una gran quantità di acume per difendere il realismo, ed un’altra gran quantità di acume per difendere il nominalismo. Da dove deriva ciò?

È desolante che vi sia una tal cosa! Riflettendoci meglio, bisogna dire che è desolante che vi sia una tal cosa. Poiché, pensando più a fondo, ci si può dire: «A cosa ti serve essere intelligente? Puoi essere intelligente e difendere il nominalismo, e puoi essere intelligente e confutare il nominalismo.» Si finisce per confondersi con tutta questa intelligenza! È desolante anche solo stare a sentire quel che si afferma in queste dispute.

Vogliamo ora contrapporre a quel che è stato appena detto qualcosa che, forse, non è neppure così acuto come molto di ciò che fu espresso dal nominalismo o dal realismo, ma che magari, al confronto, presenta un vantaggio: quello di puntare direttamente alla meta, che è trovare la direzione nella quale occorre pensare.

Provate a immaginare di trasferirvi nel modo in cui si formano i concetti universali, in cui si combinano fra loro una quantità di particolari. Si può mostrare con un esempio il duplice modo in cui è possibile combinare dei particolari.

Uno è quello dell’uomo che lo applica nella propria vita: va a zonzo per il mondo e vede una serie di animali di un certo tipo che hanno pelo di tipo setoso o lanoso, sono di diverso colore, hanno i baffi e in certi momenti eseguono una strana attività che ricorda il lavarsi umano, che mangiano topi e così via. Si possono chiamare «gatto» quegli esseri che si è osservato essere così. Allora ci si è formato un concetto universale. Tutte le creature che si sono viste essere così, hanno qualcosa a che fare con ciò che si chiama gatto.

Ma ipotizziamo ora che si faccia quest’altro. Qualcuno ha vissuto una vita ricca: in particolare, una vita che lo ha portato ad incontrare molti padroni di gatti, e a riscontare che un gran numero di costoro ha chiamato «Mufti» il suo gatto. Avendolo riscontrato in numerosi casi, riassume con il nome «Mufti» tutte quelle creature che ha visto chiamare Mufti.

Abbiamo osservato dall’esterno il concetto universale «gatto» ed il concetto universale «Mufti». Abbiamo lo stesso dato di fatto: il concetto universale. E ad entrambi i concetti universali appartengono numerosi esseri singoli. Tuttavia nessuno affermerà che il concetto universale «Mufti» abbia lo stesso significato del concetto universale «gatto». Qui è la realtà che fa la differenza.

Voglio dire: quel che si è fatto quando si è creato il concetto universale «Mufti», che è solamente una sintesi di nomi con valore di nome proprio, è stato di orientarsi, a ragione, verso il nominalismo. Mentre creando il concetto universale «gatto» ci si è orientati, non meno a ragione, verso il realismo. Nel primo caso è giusto il nominalismo, nell’altro il realismo. Entrambi sono giusti. Solo che queste cose vanno applicate entro i loro giusti limiti.

E se ambedue le cose sono giuste, allora non occorre meravigliarsi se si possono addurre buone ragioni sia per l’una che per l’altra. Ho solo utilizzato un esempio un po’ strano parlando del nome «Mufti». Ma potrei citarvene uno molto più significativo, e adesso voglio proprio dedicarvi l’attenzione.

Esiste un intero ambito della nostra esperienza esteriore in cui il nominalismo – e cioè l’idea che ciò che sintetizza è solo un «nome» – è pienamente giustificato. Esiste «uno», esiste «due», esiste «tre», «quattro», «cinque» e così di seguito. Ma è impossibile che chiunque guardi allo stato delle cose possa trovare nell’espressione «numero» qualcosa che abbia realmente esistenza. Il numero non ha esistenza. «Uno», «due», «tre», «cinque», «sei» e così via, questo esiste.

Ma quel che ho detto ieri, e cioè che per trovare il concetto universale bisogna far mettere in movimento il concetto in questione, non è praticabile nel caso del concetto «numero». Infatti l’uno non trapassa mai nel due: bisogna sempre aggiungere uno per avere due.

Nemmeno nel pensiero l’uno trascorre nel due, né il due nel tre. Esistono solo singoli numeri, non il numero in generale. Il nominalismo ha assolutamente ragione per quel che è presente nei numeri; per quel che riguarda il singolo animale rispetto al suo genere, ha assolutamente ragione il realismo.

Infatti è impossibile che esista un cervo, e un altro cervo, ed un altro ancora, senza che esista il genere cervo. «Due» può esistere autonomamente, «uno», «sette» e così via possono esistere autonomamente. Il numero è una realtà nella misura in cui è una qualità, e l’espressione «numero» non possiede una qualche esistenza. Vi è una differenza rispetto alle cose esteriori nella loro relazione con i concetti universali: una cosa deve essere trattata nello stile del nominalismo, l’altra nello stile del realismo.

In questo modo, dando semplicemente ai pensieri la giusta direzione, arriviamo a qualcosa di completamente diverso. Ora iniziamo a capire perché esistono al mondo così tante dispute sulla concezione del mondo: quando hanno compreso una cosa, gli uomini non sono generalmente inclini a comprendere anche l’altra.

Se un tale ha compreso ad un certo punto che, in un determinato ambito, tutti i concetti universali non hanno esistenza, costui generalizza questa conoscenza e la estende a tutto il mondo e ai suoi ordinamenti. La frase: «I concetti universali non hanno esistenza», non è sbagliata, essendo vera nell’ambito che quella persona ha osservato. Solo che è sbagliato generalizzare.

Se ci si vogliono formare delle idee riguardo al pensare, è dunque essenziale chiarirsi che la verità di un pensiero all’interno del suo contesto non dice ancora nulla sulla validità universale del pensiero stesso. Un pensiero può essere assolutamente giusto nel suo ambito, ma nulla è con ciò stabilito riguardo alla sua validità in generale. Se mi si dimostra questo o quello per quanto tassativamente si voglia, è impossibile che quanto dimostrato si applichi ad un campo al quale non appartiene.

È necessario allora che chi voglia occuparsi seriamente dei percorsi che conducono ad una concezione del mondo, si familiarizzi innanzitutto con l’idea che l’unilateralità è il peggior nemico di ogni concezione del mondo, e che più di tutto è necessario evitare le unilateralità.

Dobbiamo evitare le unilateralità: questo è ciò a cui oggi voglio fare particolare riferimento: a quanto sia necessario che evitiamo le unilateralità.

Volgiamoci ora a considerare quel che verrà spiegato dettagliatamente nelle prossime conferenze, cercando di ricavarne per ora uno sguardo d’insieme.

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Possono esserci persone predisposte in modo che sia per esse impossibile trovare la via verso lo spirito. Sarà difficile dimostrare mai lo spirito a queste persone. Esse si fermano a ciò di cui hanno qualche conoscenza, a ciò che sono predisposte a conoscere. Diciamo che si fermano a quel che fa su di loro l’impressione più grossolana: la materia. Tale persona è un materialista, e la sua concezione del mondo è il materialismo.

Non occorre considerare sempre insensato quel che i materialisti hanno addotto a difesa, a dimostrazione del materialismo, in quanto sono state scritte molte cose acute in questo ambito. Quel che è stato scritto, vale innanzitutto per l’ambito materiale della vita, vale per il mondo della materia e le sue leggi.

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Possono esservi altre persone che una certa interiorità predispone da subito a vedere nella materia solo la manifestazione dello spirito. Naturalmente costoro sanno bene, tanto quanto i materialisti, che esiste l’esteriore-materiale, ma dicono: «La materia è solo la manifestazione, la rivelazione dello spirituale che vi sta a fondamento.»

Magari tali persone non si interessano particolarmente del mondo materiale e delle sue leggi. Forse, mentre muovono in se stessi tutto quel che può dar loro rappresentazioni dello spirituale, vanno per il mondo con la coscienza che il vero, l’alto, ciò di cui bisogna interessarsi, che veramente possiede realtà, è solo lo spirito. La materia è solo illusione, fantasmagoria esteriore.

Questa sarebbe una posizione estrema, ma può esistere, e può condurre ad una totale negazione della vita materiale. Di queste persone dovremmo dire: ben riconoscono quel che certamente è la cosa più reale, lo spirito, ma sono unilaterali, negano il valore della materia e delle sue leggi. Molto ingegno si applicherà per sostenere la concezione del mondo di queste persone. Chiamiamo spiritualismo la loro visione del mondo.

• Si può dire che gli spiritualisti hanno ragione? Sì, le loro affermazioni potranno rivelare cose straordinariamente giuste per lo spirito. Tuttavia, forse sapranno rivelare poche cose importanti riguardo alla materia e alle sue leggi.

• Si può dire che le affermazioni dei materialisti siano giuste? Sì, riguardo alla materia e le sue leggi potranno forse rivelare cose straordinariamente utili e valide. Ma se parlano dello spirito, forse esprimeranno solo sciocchezze.

Dobbiamo dunque dire: i seguaci di queste concezioni del mondo hanno ragione nei loro ambiti.

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Ora, ci possono essere persone che dicono: «Che nel mondo del vero vi sia solo materia o solo spirito – al riguardo non posso sapere granché, la capacità conoscitiva umana non può affatto applicarvisi. Solo una cosa è chiara, e cioè che esiste e si dispiega un mondo intorno a noi. Non so se vi sia alla base quel che i chimici e i fisici, quando diventano materialisti, chiamano atomi della materia. Ma io riconosco il mondo che si dispiega intorno a me. Lo vedo, posso farmi dei pensieri al riguardo. Se in più vi sia o non vi sia uno spirito alla base, non ho particolari motivi per fare supposizioni al riguardo. Mi attengo a quel che si dispiega intorno a me.»

In base alle riflessioni fatte prima riguardo ad un’altra visione del mondo, queste persone si possono chiamare «realisti», dando un significato un poco diverso a questo termine da come l’ho usato in precedenza – e realismo è la loro concezione del mondo.

Proprio come si può applicare un enorme ingegno a difesa del materialismo e dello spiritualismo; come possono dire molte cose ingegnose sullo spiritualismo e le più grandi insensatezze riguardo alla materia; come, d’altro canto, si può parlare acutamente della materia e insulsamente dello spirito – altrettanto si possono produrre le ragioni più acute a favore del realismo, che non è né spiritualismo, né materialismo, ma ciò che ho testé descritto.

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Ma possono anche esserci altre persone che dicono all’incirca: «Intorno a noi vi sono la materia ed il mondo dei fenomeni materiali. Ma il mondo dei fenomeni materiali è, in realtà, privo di senso in se stesso. Non ha un senso vero, se in esso non è insita quella tendenza che lo fa procedere in avanti, se da questo mondo, dispiegato attorno a noi, non può sorgere qualcosa che non risiede in esso e a cui l’anima umana si può orientare.»

Secondo la visione di queste persone deve trovarsi entro il processo del mondo il fattore ideale. Costoro ammettono i processi reali del mondo, e pur ammettendo la vita reale, non sono realisti, ma sono dell’idea che la vita reale debba essere compenetrata dall’ideale, e solo allora acquisisce un senso.

In uno slancio di questo stato d’animo, Fichte disse una volta: «Tutto il mondo che si dispiega attorno a noi è il materiale che serve all’adempimento del dovere.» I rappresentanti di una siffatta concezione del mondo, per la quale tutto è solo un mezzo per le idee che compenetrano il processo del mondo, possono chiamarsi «idealisti» – e idealismo la loro concezione del mondo.

A difesa di questo idealismo sono state prodotte cose belle, grandiose e splendide. E nell’ambito che ho appena descritto, in cui conta mostrare come il mondo sarebbe senza scopo né senso, se le idee fossero solo una fantasia dell’uomo, e non realmente fondate entro il processo del mondo: in questo ambito l’idealismo trova il suo pieno significato.

Ma, ad esempio, con questo idealismo non si può spiegare la realtà esteriore dei realisti. Per questo bisogna distinguere dalle altre una concezione del mondo che può essere chiamata idealismo.

Abbiamo già la coesistenza di quattro concezioni del mondo legittime, delle quali ciascuna ha il suo valore entro il suo particolare contesto.

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Dal materialismo all’idealismo vi è un certo percorso. Il materialismo grossolano – lo si può ben osservare nel nostro tempo, sebbene oggi sia già in contrazione – consisterà nello sviluppo estremo del detto kantiano – Kant stesso non lo attuò –, secondo cui nelle singole scienze vi è tanta vera scienza quanto vi si trova di matematica.

Il che significa che da materialisti si può diventare contabili dell’universo, non facendo valere altro che il mondo riempito di atomi materiali. Gli atomi si scontrano, volteggiano alla rinfusa, e poi si calcola come essi girano qua e là. Si ottengono risultati molto interessanti, a testimoniare che questa concezione del mondo è pienamente legittima. E così, ad esempio, si ottengono le frequenze di oscillazione del blu, del rosso, e via dicendo. Tutto il mondo diventa una specie di apparato meccanico ben calcolabile.

Ma di questa faccenda si può anche dubitare. Ad esempio, ci si può dire: sì, ma se si ha una macchina, per quanto complessa, e per quanto complicato sia il suo movimento, da essa non potrà mai risultare qualcosa che sia percepibile come «blu», come «rosso» e così via. Se dunque il cervello è solo una macchina complessa, dal cervello non può discendere quel che si sperimenta in termini di sentimento dell’anima.

Però si può anche dire, come disse una volta Du Bois-Reymond: se si vuole spiegare il mondo solo con la matematica, non si potrà certo dar ragione della più semplice sensazione. Ma se non ci si vuole fermare alla spiegazione matematica, allora si diventa non scientifici, si esula dalla scienza.

Il più goffo materialista direbbe: «No, io non faccio nemmeno calcoli, poiché questo presuppone già una credenza, la fede che ammette delle cose ordinate secondo misura e numero.» E chi ora si eleva al di sopra di questo materialismo grossolano, diventa una mente matematica e fa valere come vero solo quello che può essere ricondotto a formule matematiche.

Da questo risulta una concezione del mondo che fa valere esclusivamente la formula matematica. La si può chiamare matematicismo.

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Ora qualcuno può riflettere oltre e, dopo essere stato matematicista, dire a se stesso: «Non può essere una superstizione il fatto che il blu abbia un certo numero di oscillazioni. Il mondo è pur ordinato matematicamente. Perché, se nel mondo si trovano realizzate idee matematiche, non vi si possono trovare realizzate anche altre idee?».

Costui suppone che nel mondo siano all’opera le idee. Ma fa valere solo le idee che trova lui, non quelle che coglierebbe dalla sua interiorità, ad esempio attraverso una certa intuizione o ispirazione. Dà valore solo a quelle idee che coglie dalle cose esteriori sensibili, reali.

Una tale persona diviene «razionalista», e la sua concezione del mondo è il razionalismo.

Se, oltre alle idee che uno trova, fa valere anche quelle che ricava dalla sfera morale e da quella intellettuale, è già un idealista. Questa è una via che dal materialismo grossolano va all’idealismo passando per il matematicismo ed il razionalismo.

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Ma l’idealismo si può incrementare. Nel nostro tempo si trovano alcune persone che cercano di rafforzare l’idealismo. Si trovano idee nel mondo: se si trovano idee, allora nel mondo deve anche essere presente una entità nella quale le idee possano vivere. Le idee non possono certo vivere facilmente in qualcosa di esteriore.

E nemmeno le idee possono, per così dire, penzolare nell’aria. Nel diciannovesimo secolo vi è stata, in effetti, la credenza che le «idee» dominassero la storia. Ma si trattava solo di una cosa confusa, poiché le idee in quanto tali non hanno la forza di agire, e pertanto non si può parlare di idee all’opera nella storia.

Chi si rende conto che le idee per esistere, devono essere legate ad un essere che può, per l’appunto, avere idee, non sarà più un semplice idealista, ma passerà alla convinzione che le idee siano congiunte a degli esseri. Egli diverrà uno «psichista», e la sua concezione del mondo è lo psichismo.

Anche lo psichista, che può a sua volta modificare una gran quantità di acume per la sua concezione del mondo, giunge a questa concezione solo attraverso una unilateralità, che forse gli vien fatto di notare.

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Devo subito aggiungere una cosa, a questo punto: tutte le concezioni che metterò nella parte superiore hanno dei corifei, e questi fautori sono per lo più testardi, accolgono cioè l’una o l’altra concezione del mondo in virtù di qualche condizione di base che hanno in sé – e ad essa si fermano.

Tutto quel che si trova invece sotto la linea orizzontale ha dei seguaci, i quali più facilmente capiscono che le singole concezioni del mondo guardano alle cose solo da un certo punto di vista, e passano più facilmente dall’una all’altra.

Se uno è psichista e, essendo un uomo di conoscenza, ritiene che il mondo sia da osservare in senso contemplativo, giunge a dire a se stesso di dover presupporre in esso qualcosa di psichico, di animico.

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Ma nel momento in cui costui non è solo un uomo di conoscenza, ma prova nella stessa misura una simpatia per ciò che ha carattere di attività, azione, volontà nella natura umana, dirà a se stesso : «Non basta che vi siano esseri che possono solo avere idee. Questi esseri devono anche avere qualcosa di attivo, devono anche poter agire. Ma ciò non è pensabile senza che questi esseri siano esseri individuali.»

Il che significa che costui si eleva dalla visione di un mondo animato a quella dello spirito o degli spiriti all’opera nel mondo. Costui non sa ancora se deve ipotizzare uno o più esseri spirituali, ma si eleva dallo psichismo allo pneumatismo, alla teoria dello spirito.

In verità, se uno è diventato pneumatista, può certo accadere che si renda conto di quanto ho detto oggi riguardo al numero: che in relazione ai numeri è fuorviante parlare di un’unitarietà. Allora arriva a dire: «Allora crea solo confusione parlare di uno spirito unitario, di un ‹pneuma› unitario.» E così arriva lentamente a formarsi una rappresentazione degli spiriti delle diverse gerarchie. Diventa allora un autentico «spiritualista», così che da questo lato vi è un passaggio diretto dallo pneumatismo allo spiritualismo.

Tutte quelle che ho segnato alla lavagna sono concezioni del mondo che nei loro ambiti hanno una legittimità. Poiché vi sono ambiti per i quali lo psichismo è chiarificatore, e ambiti nei quali lo è lo pneumatismo.

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Ma se si vuole andare a fondo nella spiegazione del mondo, come abbiamo cercato di fare noi, bisogna arrivare allo spiritualismo, agli spiriti singoli delle gerarchie. Allora non ci si può fermare allo pneumatismo, poiché fermarvisi significherebbe in questo caso quanto segue:

Se siamo spiritualisti può capitarci che le persone dicano: «Perché così tanti spiriti? Perché applicare il numero? Vi è solo uno spirito unitario!» Chi si approfondisce nella cosa, sa che questa obiezione vale quanto dire: «Tu affermi che qui ci siano duecento moscerini. Ma io non vedo per niente duecento moscerini, io vedo un solo sciame di moscerini.» Allo stesso modo si comporterebbe il seguace dello pneumatismo, del panteismo, nei confronti dello spiritualista. Lo spiritualista vede il mondo ricolmo degli spiriti delle gerarchie, lo pneumatista vede un solo sciame, vede solo lo spirito totale unitario. Ma ciò si basa solo su un’osservazione imprecisa.

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Ora c’è un’altra possibilità: uno non giunge all’azione degli esseri spirituali per la via che abbiamo cercato di percorrere, giunge tuttavia a supporre che ci siano degli esseri spirituali primari del mondo. Una persona simile fu, ad esempio, Leibniz, il famoso filosofo tedesco.

Leibniz aveva superato il pregiudizio per cui nel mondo possa esistere solo qualcosa di materiale. Egli cercava il reale e lo trovò – più esattamente l’ho descritto nel mio libro Gli enigmi della filosofia. Egli riteneva che esista un essere che possa generare in sé l’esistenza, come ad esempio l’anima umana. Ma non si fece ulteriori idee al riguardo, si disse solamente che vi è un tale essere in grado di creare in sé l’esistenza, che trae da sé stesso delle rappresentazioni. Questo è per Leibniz una «monade».

E si disse: devono esserci molte monadi, e monadi di diversa lucidità. Se ho qui una campana, vi sono dentro molte monadi – come in uno sciame di moscerini –, ma sono monadi che non raggiungono neppure la coscienza di sonno, monadi quasi prive di consapevolezza, che però sviluppano in sé le più oscure rappresentazioni. Vi sono monadi che sognano, vi sono monadi che sviluppano in sé rappresentazioni deste, in breve, vi sono monadi dei più diversi gradi.

Un tale individuo non giunge a rappresentarsi la concretezza delle singole entità spirituali come fa lo spiritualista. Riflette sullo spirituale nel mondo, ma lo lascia indistinto. Lo chiama «monade», cioè si preoccupa solo del suo carattere di rappresentazione, come se si dicesse: «Sì, nel mondo vi è lo spirito, vi sono spiriti. Ma io li descrivo solo dicendo che sono esseri con diversa facoltà di rappresentazione. Metto in evidenza in loro una caratteristica astratta.»

Si forma allora questa concezione unilaterale del mondo, a favore della quale si può addurre tutto ciò che seppe addurre il geniale Leibniz. Così si forma il monadismo. Il monadismo è uno spiritualismo astratto.

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Ma possono esservi persone, le quali non si elevano fino alla monade, le quali non sanno ammettere che ciò che esiste sono esseri con diversi gradi di facoltà rappresentativa, ma nemmeno si accontentano di riconoscere semplicemente quel che si dispiega nella realtà esteriore: costoro affermano, invece, che quanto si dispiega nel mondo esteriore è ovunque dominato da «forze».

Se, ad esempio, un sasso cade sulla terra, essi dicono: «Qui agisce la forza di gravità!» Se un magnete attira della limatura di ferro, dicono: «Qui c’è la forza magnetica!» Non si accontentano di dire semplicemente: «Qui c’è un magnete», ma dicono: «Il magnete presuppone che la forza magnetica sia presente in modo sovrasensibile, invisibile, e che si estenda ovunque.»

Si può formare una tale concezione del mondo che ricerca ovunque le forze per quel che accade nel mondo, e la si può chiamare dinamismo.

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Chi poi dice: «No, credere alle forze è superstizione», ciò viene esemplificato nel libro di Fritz Mauthner Critica del linguaggio, dove si descrive estesamente come il credere alle forze sia una superstizione. In questo caso si resta fermi a quel che di reale si dispiega intorno a noi. Su questa via giungiamo dallo spiritualismo di nuovo al realismo, attraverso il monadismo ed il dinamismo.

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Ma si può anche fare qualcos’altro. Si può dire: certo, mi attengo al mondo che mi circonda. Ma non rivendico il diritto di dire che questo mondo sia «vero». Di esso so solo dire che mi «appare». Non ho il diritto di dire più che: «Questo mondo mi appare». Non ho diritto di dire di più al riguardo.

C’è una differenza: si può dire che il mondo dispiegato attorno a noi sia il mondo reale; ma si può anche dire: «Non posso parlare di un mondo reale, ma mi è chiaro che quel che mi appare è il mondo. Non dico che questo mondo di colori e suoni – quel mondo che si origina solo per il fatto che nel mio occhio si svolgono determinati processi che mi si mostrano come colori; che nel mio orecchio si svolgono processi che mi si mostrano come suoni, e così via – che questo mondo sia reale. È il mondo fatto di fenomeni.»

Si tratterebbe in questo caso della concezione del fenomenismo.

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Ma si può proseguire oltre e dire: attorno a noi abbiamo certo il mondo dei fenomeni. Ma tutto quel che crediamo di avere in questi fenomeni – che noi stessi vi abbiamo aggiunto, vi abbiamo pensato in aggiunta –, lo abbiamo, per l’appunto, pensato in aggiunta ai fenomeni. È giustificato solo quel che ci dicono i sensi.

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Notate che una persona che parla in questo modo non è seguace del fenomenismo, bensì scarta dai fenomeni ciò che crede provenire solamente dall’intelletto e dalla ragione, facendo valere, quasi fosse annunciato dalla realtà, solo ciò che i sensi trasmettono sotto forma di impressioni. Si può chiamare sensismo questa concezione del mondo.

Se ci si mette a dire: «Pensate pure che questo ve lo dicono i sensi, per quanto argute siano le vostre argomentazioni» – anche a questo riguardo si può argomentare argutamente –, «il mio punto di vista è che esiste solo ciò che si presenta come comunicato dai sensi. Solo quello che faccio valere come realtà materiale – come fa, ad esempio, l’atomista, il quale suppone che esistano solo atomi, per quanto piccoli. Essi hanno le proprietà che si riscontrano entro il mondo fisico.» Allora si è di nuovo materialisti. E così siamo tornati di nuovo al materialismo per un’altra via.

Quello che vi ho qui citato e caratterizzato come concezioni del mondo, esiste, è sostenibile. Ed è possibile addurre le più acute argomentazioni per ciascuna di esse. È possibile collocarsi entro il punto di vista di ciascuna di queste concezioni e confutare le altre con le più acute argomentazioni.

Tra queste concezioni del mondo se ne possono anche escogitare altre. Ma si differenziano solo per grado da quelle citate, e sono riconducibili a quei tipi principali. Se si vuole conoscere il tessuto del mondo, occorre sapere che ciò è possibile conoscendo queste dodici porte d’ingresso.

Non c’è una sola concezione del mondo da sostenere e legittimare, bensì vi sono dodici concezioni del mondo.

E bisogna ammettere che vi sono esattamente tante buone ragioni a favore di una concezione del mondo, quante ce ne sono per ciascuna delle altre. Il mondo non è osservabile dal punto di vista unilaterale di una concezione del mondo, di un pensiero, il mondo si svela solo a colui che sa di dovergli «girare attorno».

Proprio come il Sole, se ci basiamo sulla concezione copernicana del mondo, attraversa le costellazioni zodiacali per illuminare la Terra da dodici punti diversi, allo stesso modo non ci si deve collocare entro un punto di vista – quello dell’idealismo, del sensismo, del fenomenismo o di una qualche concezione del mondo che possa chiamarsi tale – ma occorre essere nella condizione di «girare intorno al mondo» e acquisire dimestichezza con i dodici differenti punti di vista dai quali si può osservare il mondo.

Filosoficamente, tutti e dodici i punti di vista sono pienamente giustificati. Non vi è una sola concezione del mondo per il pensatore che sa penetrare nella natura del pensiero, ma ve ne sono dodici equivalenti – equivalenti nella misura in cui per ciascuna si possono addurre con il pensiero argomentazioni egualmente valide. Esistono dodici concezioni del mondo egualmente giuste.

Dal punto di vista così acquisito vogliamo proseguire domani, per poterci elevare dall’osservazione del pensare umano verso l’osservazione del mondo.

Terza conferenza

Sette disposizioni dell’anima

Berlino, 22 gennaio 1914

Miei cari amici!

Ieri ho cercato di illustrare quelle sfumature nelle concezioni del mondo che sono possibili all’uomo – possibili in modo tale, che per ciascuna di esse si possono addurre determinate valide prove di giustezza e verità relativamente a un certo ambito.

Per colui che non ambisce a riunire in un sistema di concetti, da dimostrare in seguito, tutto ciò che ha osservato e su cui ha potuto riflettere entro un determinato ambito circoscritto, ma tende piuttosto a penetrare realmente nella verità del mondo, è importante sapere che è necessaria la totalità, la quale si esprime nel fatto che allo spirito umano sono realmente possibili dodici tipiche gradazioni di concezioni del mondo – in questo momento i passaggi dall’una all’altra non interessano.

Se veramente si vuol giungere alla verità, occorre cercare dapprima di chiarirsi il significato di questi tipi di concezione del mondo, occorre cercare di conoscere per quali ambiti dell’esistenza l’una o l’altra di esse costituisca la chiave particolare.

Se ci rappresentiamo nuovamente queste dodici posizioni, come abbiamo fatto ieri, troviamo il materialismo, il sensismo, il fenomenismo, il realismo, il dinamismo, il monadismo, lo spiritualismo, lo pneumatismo, lo psichismo, l’idealismo, il razionalismo e il matematicismo.

Nella realtà dell’anelito umano verso la verità accade purtroppo che nei singoli spiriti, nelle singole personalità, prevale sempre l’inclinazione naturale verso l’una o l’altra di queste sfumature, e per questa ragione tornano ad agire sugli uomini le unilateralità presenti nelle diverse concezioni del mondo delle diverse epoche.

Le dodici principali concezioni del mondo che ho descritto vanno conosciute come qualcosa che realmente si abbraccia con lo sguardo, collocandole una accanto all’altra in forma di cerchio, osservandole per così dire «in stato di quiete». Esse sono reali, le si deve conoscere. Si comportano davvero come un riflesso spirituale dello zodiaco a noi ben noto.

Come il Sole pare percorrere lo zodiaco, come altri pianeti apparentemente attraversano lo zodiaco, anche all’anima umana è possibile attraversare uno zodiaco spirituale che contiene le figure delle dodici concezioni del mondo.

Le qualità di queste costellazioni possono in effetti essere poste in relazione con i singoli segni dello zodiaco. E questo porre-in-relazione non è affatto arbitrario, in quanto la relazione esistente tra le singole costellazioni zodiacali e la Terra è analoga a quella che c’è tra queste dodici concezioni del mondo e l’anima umana. E questo lo intendo nel modo seguente:

A tutta prima non possiamo dire che esista una relazione facilmente comprensibile, ad esempio, tra il segno zodiacale dell’Ariete e la Terra. Ma quando il Sole, Saturno o Mercurio si trovano in una posizione per cui dalla Terra li si vede nel segno dell’Ariete, essi agiscono diversamente da quando si trovano nella posizione che ce li fa vedere nel segno del Leone. Quindi l’azione che, per esempio, i singoli pianeti ci inviano dal cosmo è diversa a seconda che i singoli pianeti stiano davanti all’una o all’altra costellazione zodiacale.

Nel caso dell’anima umana, è ancora più facile riconoscere l’influsso di queste dodici «costellazioni zodiacali spirituali».

Ci sono anime, le quali tendono fortemente ad accogliere ogni influsso sulla configurazione della loro vita interiore, sul loro orientamento scientifico, filosofico o di altro tipo, in modo da farsi per così dire illuminare l’anima dall’idealismo. Altri lasciano che il materialismo illumini la loro anima, altri ancora si fanno illuminare dal sensismo.

Non si è sensisti, materialisti, spiritualisti o pneumatisti perché sia giusta l’una o l’altra concezione e si può riconoscere l’esattezza di una o dell’altra, ma si è pneumatisti, spiritualisti, materialisti o sensisti perché nella propria anima si ha la predisposizione ad essere illuminati dalla relativa costellazione zodiacale spirituale.

Così in queste dodici costellazioni zodiacali spirituali abbiamo qualcosa che ci può condurre a fondo nel modo in cui si formano le umane concezioni del mondo, qualcosa che ci può condurre a fondo nei motivi per cui gli uomini da un lato disputano sulle concezioni del mondo, mentre dall’altro non dovrebbero litigare, bensì farebbero molto meglio a comprendere da dove deriva il fatto di avere concezioni del mondo di diversa sfumatura.

Per certe epoche è tuttavia necessario respingere decisamente l’uno o l’altro orientamento nella concezione del mondo, e nella conferenza di domani ne dovremo indicare la ragione. Quel che ho detto finora riguarda dunque la formazione del pensiero umano da parte del cosmo spirituale fatto di dodici costellazioni spirituali che stanno fisse come le stelle, per così dire, nell’ambiente spirituale che ci circonda.

Ma vi è ancora dell’altro che determina le concezioni umane del mondo. E meglio lo comprenderete se vi mostro dapprima quanto segue.

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Indifferentemente da quale di queste dodici costellazioni spirituali illumini l’anima – in quest’ultima può esservi una disposizione, espressa nell’intera configurazione della sua concezione del mondo, indicabile come gnosi, o gnosticismo. Si può essere «gnostici».

Si è gnostici se si vogliono conoscere le cose del mondo per mezzo di determinate forze di conoscenza presenti nell’anima stessa, e non per mezzo dei sensi o cose simili.

Si può essere gnostici e, ad esempio, essere allo stesso tempo alquanto inclini a farsi illuminare dalla costellazione spirituale che abbiamo indicato qui come spiritualismo. Allora nel proprio gnosticismo si potranno penetrare a fondo le connessioni del mondo spirituale.

Ma, ad esempio, si può anche essere gnostici dell’idealismo. Si avrà allora una particolare disposizione a individuare chiaramente gli ideali dell’umanità e le idee del mondo. C’è una differenza tra un individuo e l’altro anche in relazione all’idealismo che ciascuno può far proprio.

Ad esempio, uno può essere un idealista esaltato, che parla sempre del suo essere idealista, ha sempre in bocca solo il termine «ideale, ideale, ideale», ma non sa molto di ideali, né è in grado di farli sorgere realmente dinnanzi alla sua anima, in contorni chiari in base a una visione interiore. Costui si distingue allora dall’altro, il quale non solo parla di ideali, ma sa delinearli nella sua anima come un’immagine dipintavi nitidamente.

Quest’ultimo, che afferra interiormente l’idealismo in modo quanto mai concreto, che lo afferra non meno intensamente di come si afferrano con la mano le cose esterne, costui è uno gnostico nell’ambito dell’idealismo. Si potrebbe anche dire: è prima di tutto uno gnostico, ma si fa illuminare in particolare dalla costellazione spirituale dell’idealismo.

Ci sono persone che si lasciano illuminare in misura particolarmente forte dalla costellazione della concezione realista, le quali possono dire molto di questo mondo agli altri uomini, grazie al modo in cui lo percepiscono, al modo in cui si pongono verso di esso. Non sono né idealisti, né spiritualisti, sono realisti del tutto normali. Ma sono in grado di percepire in modo veramente sottile quel che li circonda nella realtà esterna. Hanno una ricettività sottile per ciò che distingue le cose. Sono gnostici, veri gnostici, solo che sono gnostici del realismo.

Esistono siffatti gnostici realistici. E talvolta gli spiritualisti o gli idealisti non sono affatto gnostici realistici. Vi sono addirittura individui che si ritengono bravi teosofi, i quali percorrono una pinacoteca senza capirne nulla, nulla hanno da dire sui dipinti, mentre altri, che non sono affatto teosofi, ma che sono gnostici del realismo, sanno dire una gran quantità di cose importanti per il fatto che tutta la loro personalità è a contatto con l’intera realtà delle cose.

Oppure, quanti teosofi vanno nella natura e non sanno affatto coglierne con tutta l’anima la maestà e grandezza. Costoro non sono gnostici realistici. Esistono, dunque, gli gnostici realistici.

Vi sono anche gnostici del materialismo, ma questi sono certamente degli gnostici particolari. Eppure, nello stesso senso in cui si può essere gnostici del realismo, si può essere gnostici del materialismo. Si tratta di persone che posseggono genio, sentimento e percezione per tutto ciò che è materiale, che tendono a conoscere la materia attraverso un contatto diretto – come il cane che annusa le cose, e dunque le conosce intimamente, e riguardo alle cose materiali è in verità un perfetto “gnostico”.

Si può essere gnostici in tutte e dodici le costellazioni delle concezioni del mondo. Il che significa che, se vogliamo descrivere esattamente la gnosi, lo gnosticismo, dobbiamo farlo disegnando un cerchio, il quale tutto intero deve significare per noi: lo gnosticismo può «passeggiare» attraverso tutte e dodici le figure delle concezioni del mondo. Come un pianeta passa attraverso le dodici costellazioni zodiacali, così lo gnosticismo può percorrere tutte le dodici forme delle concezioni del mondo.

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Ma lo gnosticismo renderà i più alti servizi alla salute delle anime, se la disposizione gnosticistica viene applicata allo spiritualismo. Si potrebbe dire che lo gnosticismo, la gnosi stia veramente di casa solo nello spiritualismo. Qui essa è a casa «propria». Nelle altre costellazioni delle concezioni del mondo essa è per così dire in trasferta.

Da un punto di vista logico non si è autorizzati a dire che uno gnosticismo materialistico non possa esistere. I pedanti dei concetti e delle idee sbrigano con più leggerezza queste cose di quanto non facciano i sani logici, che le vedono più complicate.

Si potrebbe dire, ad esempio: voglio chiamare gnosticismo solo ciò che si inoltra nello spirito. Ma questa è una formazione concettuale arbitraria, come lo sarebbe nel caso di chi dicesse: «Finora ho visto le viole solo in Austria, e dunque chiamo viola solo quel fiore che cresce in Austria ed ha il colore della viola, nient’altro.» Logicamente è non meno impossibile dire che lo gnosticismo esista solo nella costellazione dello spiritualismo, poiché esso è un «pianeta» come gli altri che attraversa tutte le costellazioni spirituali.

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Vi è poi un’altra disposizione d’animo nei confronti della concezione del mondo – la definisco «disposizione», mentre altrimenti parlo di «sfumature» e «costellazioni». E negli ultimi tempi si è creduto di conoscere con facilità – ma anche qui non tutto è così semplice! – questa seconda disposizione, in quanto essa è stata rappresentata da Hegel proprio nella costellazione spirituale dell’idealismo.

Eppure, quel modo di osservare il mondo, quella particolare disposizione propria di Hegel, non richiede, come fece lui, di porsi sempre e solo nella costellazione spirituale dell’idealismo, ma può a sua volta attraversare tutte le costellazioni. Si tratta della disposizione animica del logicismo.

Essa consiste principalmente nel fatto che l’anima può mettersi nella condizione di aver realmente presenti in sé pensieri, concetti e idee, così presenti in sé da poter passare da un concetto o un pensiero all’altro come chi, osservando un organismo, va dall’occhio al naso e alla bocca, e vede tutto in correlazione – analogamente a quanto avviene in Hegel, nel quale tutti i concetti che può afferrare si ordinano in un grande organismo concettuale.

Un organismo concettuale logico è proprio questo: quel che Hegel semplicemente fece, fu di andare a cercare e mettere insieme tutto quel che si può trovare nel mondo come pensiero, di collocare un pensiero accanto all’altro e di creare da ciò un organismo – ecco il logicismo!

Si può sviluppare il logicismo, come fece Hegel, nella costellazione dell’idealismo, lo si può sviluppare nella costellazione dello psichismo, come fece Fichte, e lo si può sviluppare in altre costellazioni spirituali. Anche il logicismo è una forma d’animo che attraversa come un pianeta tutto lo zodiaco, che percorre in cerchio le dodici costellazioni spirituali.

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Una terza disposizione dell’anima che forma concezioni del mondo, la possiamo studiare ad esempio in Schopenhauer. Mentre l’anima di Hegel, quando egli guarda al mondo, ha un’indole interiore tale per cui tutto quel che nel mondo è concetto si manifesta innanzitutto come logicismo, Schopenhauer, con la sua particolare disposizione interiore, coglie nella sua anima tutto quello che ha carattere di volontà.

Per lui le forze della natura hanno carattere di volontà: la durezza della pietra è volontà, tutto quel che è realtà diventa in lui volontà. Questo deriva dalla particolare disposizione della sua anima.

Ora, questa concezione del mondo basata sulla volontà, questa disposizione verso una concezione del mondo fondata sul volere, si può di nuovo considerarla come un pianeta che percorre tutte e dodici le costellazioni spirituali. Intendo chiamare volontarismo questa disposizione d’animo, che è la terza.

Schopenhauer era volontarista, e nella sua anima era costituito in modo da esporsi prevalentemente alla costellazione spirituale dello psichismo. Così sorse la speciale metafisica schopenhaueriana della volontà: è il volontarismo nella costellazione spirituale dello psichismo.

Immaginate che qualcuno sia volontarista e abbia un debole per la costellazione spirituale del monadismo. Costui non porrebbe alla base del mondo, come fece Schopenhauer, un’anima unitaria fatta di volontà, ma vi porrebbe infinite monadi, tutti esseri fatti di volontà.

Questo mondo del volontarismo monadologico è stato sviluppato nel modo più bello, ingegnoso e, vorrei dire, più intimo dal poeta filosofo austriaco Hamerling. Come è sorta la particolare dottrina che incontrate nella Atomistica della volontà di Hamerling? È sorta per il fatto che la sua anima aveva una disposizione volontaristica, e che egli si espose prevalentemente alla costellazione del monadismo.

Se ne avessimo il tempo, potremmo citare esempi per ciascuna disposizione animica in ciascuna costellazione, in quanto esistono davvero nel mondo.

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Una particolare disposizione dell’anima è quella che non propende a riflettere o rimuginare se dietro ai fenomeni vi sia qualcosa ancora – come fa, ad esempio, la disposizione gnostica, o quella logicistica o quella volontaristica –, ma semplicemente afferma: «Voglio accogliere nella mia concezione del mondo tutto quello che nel mondo mi viene incontro, mi si mostra, ciò che mi si manifesta esteriormente.»

Anche questo può essere a sua volta applicato a tutti gli ambiti, ossia a tutte le costellazioni spirituali. Prendere solo quel che dall’esterno ci muove incontro, lo può il materialista, e lo può anche lo spiritualista. In questo caso, non ci si premura di ricercare connessioni particolari dietro i fenomeni, ma si lascia che le cose ci raggiungano, e si sta a vedere quel che ci si offre. Si può chiamare empirismo una tale disposizione d’animo.

L’empirismo indica una disposizione dell’anima che semplicemente accoglie l’esperienza così come essa si presenta. Si può essere empiristi, uomini con una concezione del mondo basata sull’esperienza, in tutte e dodici le costellazioni spirituali. L’empirismo è la quarta disposizione dell’anima che può attraversare tutte le dodici posizioni dello spirito.

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È possibile anche sviluppare una tale disposizione animica per cui non ci si accontenta di quel che deriva dall’esperienza che ci muove incontro, del vissuto al quale si è esposti, così come accade nell’empirismo. In questo caso, noi possiamo dire a noi stessi – vale a dire, possiamo sentire la necessità interiore della seguente disposizione animica: «L’essere umano è inserito nel mondo. Si sperimenta nell’anima qualcosa del mondo che non si può sperimentare esteriormente. Solo allora il mondo svela i suoi segreti. Per quanto ci si guardi attorno, non si vedono i segreti che contiene il mondo».

A una tale disposizione animica vien fatto di dire: «A cosa mi serve lo gnosticismo, che si dà da fare per avere concetti su tutto? Le cose del mondo esteriore sulle quali si formano concezioni possono anche non rivelare il vero, l’intimo del mondo. A cosa mi serve il logicismo se voglio formarmi una concezione del mondo? Nel logicismo non si esprime l’essenza del mondo. A cosa serve speculare sulla volontà? Solo a distogliere lo sguardo dalle profondità della propria anima. Non si guarda in queste profondità quando l’anima vuole, bensì proprio quando è in uno stato di abnegazione, di rinuncia alla volontà.»

Dunque anche il volontarismo non è la disposizione animica che intendo qui, e nemmeno lo è l’empirismo, il puro stare a guardare o ascoltare quel che ci porta incontro l’esperienza, il vissuto – io qui intendo la ricerca interiore, il dio che riluce nell’anima quando l’anima è quieta. Si capisce che questa disposizione animica può essere chiamata il misticismo.

E ancora, si può essere mistici attraverso le dodici costellazioni spirituali. Non costituirà certo una posizione particolarmente favorevole essere mistici del materialismo, cioè sperimentare interiormente la materia anziché lo spirito. Il mistico del materialismo è colui che ha fatto propria una sensibilità particolarmente sottile, e ad esempio si esperisce in un certo modo nel cibarsi di una sostanza a differenza di un’altra.

È diverso se si gusta, ad esempio, il succo di una pianta o quello di un’altra – e poi si attende quale effetto ciò faccia sorgere nell’organismo. In questo modo, la propria esperienza diventa tutt’uno con la materia, e si diviene allora mistici della materia.

Può addirittura accadere che questo diventi un risveglio per la vita, un risveglio che porta ad osservare in qual modo l’una o l’altra sostanza, proveniente da questa o quella pianta, agisca sull’organismo. Infatti una cosa agisce in particolare su un organo, un’altra su un altro. Ed essere mistici del materialismo è una condizione preliminare all’indagine delle singole sostanze in relazione al loro potere curativo. Si osserva cosa combinano le sostanze dentro l’organismo.

Si può essere mistici del mondo delle sostanze materiali, si può essere mistici dell’idealismo. Un normale idealista o un idealista gnostico non è un mistico dell’idealismo. Il mistico dell’idealismo è colui che ha nella propria anima in modo spiccato la capacità di portare in superficie gli ideali dell’umanità, traendoli da sorgenti nascoste nell’interiorità. Sa percepirli come qualcosa di intimamente divino e in quanto tali porli davanti alla propria anima. Un mistico dell’idealismo è, ad esempio, Meister Eckart.

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Ora, l’anima può essere disposta in modo da non accorgersi di quel che sale dalla propria interiorità e si presenta come la vera intima soluzione degli enigmi del mondo, bensì può essere disposta in modo da dire a se stessa: «Sì, nel mondo vi è qualcosa che sta dietro a tutte le cose, dietro anche alla mia propria anima, stando a ciò che io ne percepisco. Ma io non ho la pasta di un mistico. Il mistico crede che ciò fluisca nella sua anima. Io non lo sento fluire nella mia anima. Io sento solo che deve esserci – là fuori.»

In questa disposizione animica si pensa che l’essenza delle cose sia al di fuori della nostra anima, al di fuori di quel che la nostra anima può sperimentare. Non si presuppone che questa essenza delle cose possa entrare nell’anima stessa, come lo fa il mistico. Se si suppone che dietro a tutto vi sia qualcosa che non è raggiungibile alla percezione, allora si è – questo è forse il miglior termine per costui – «trascendentalisti». Si suppone che l’essenza delle cose sia trascendente, sia sempre “oltre” o “al di là”, che non faccia ingresso nell’anima, come suppone il mistico. Si ha allora il trascendentalismo.

La disposizione del trascendentalista è quella di chi prova questo sentimento: «Quando percepisco le cose, l’essenza delle cose mi viene incontro. Solo che la percezione non mi dà l’essenza stessa. L’essenza resta dietro, pur venendo incontro all’uomo».

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Ora l’uomo, con le sue percezioni, con tutto quello che sono le sue forze conoscitive, può, per così dire, «allontanare» da sè l’essenza delle cose ancor più di quanto faccia il trascendentalista. Può dire a se stesso: «Per la forza conoscitiva umana esteriore l’essenza delle cose non è per nulla raggiungibile».

Il trascendentalista dice: «Se con il tuo occhio vedi rosso e blu, quel che tu vedi come rosso e blu non è l’essenza delle cose – ma essa si trova ‹dietro›. Devi usare i tuoi occhi, allora avanzi verso l’essenza delle cose. Essa sta dietro.»

La disposizione animica che intendo ora non vuole vivere nel trascendentalismo, bensì afferma: «Per quanto si voglia sperimentare il rosso o il blu, questo o quel suono, tutto ciò non esprime l’essenza delle cose. Essa sta ‹nascosta› dietro. L’essenza delle cose non confina minimamente con ciò che percepisco.»

Chi parla così, si esprime come solitamente fa chi è assolutamente dell’idea che nell’apparenza sensibile esteriore, nella maya, non si esprima affatto l’essenza delle cose.

Saremmo trascendentalisti se dicessimo: intorno a noi si estende il mondo, e questo mondo ci annuncia ovunque l’essenza. Ora invece diciamo: questo mondo è maja, e bisogna cercare l’intima essenza delle cose in tutt’altro modo che attraverso la percezione esteriore dei sensi e i normali mezzi conoscitivi. Questo è occultismo, è la disposizione animica dell’occultismo.

Di nuovo, si può essere occultisti in tutti i segni zodiacali spirituali. Si può essere occultisti persino del materialismo. Sì, i naturalisti contemporanei più arguti sono tutti occultisti del materialismo, poiché parlano sempre di «atomi». Se fossero saggi, non si sognerebbero neanche di affermare che con un qualche metodo ci si possa accostare all’atomo. L’atomo rimane nell’occulto. Solo che costoro non amano essere chiamati occultisti, ma lo sono nel pieno senso della parola.

Sostanzialmente non vi possono essere altre disposizioni dell’anima in cerca di una concezione del mondo oltre alle sette che ho descritto qui, ma solo sottili passaggi dall’una all’altra.

Per cui non dobbiamo solo distinguere dodici diversi tipi di concezioni del mondo, che si presentano fissi, bensì in ognuno di questi modi di vedere sono possibili sette particolari disposizioni dell’anima umana. Da qui potete capire quanto enormemente varie possano essere le concezioni del mondo delle personalità umane.

Si può sviluppare in misura particolare ciascuna di queste sette disposizioni d’animo verso una certa concezione del mondo, ma ciascuna di esse si può sviluppare a sua volta unilateralmente nell’una o nell’altra sfumatura. Quel che ho delineato qui è in ambito spirituale il corrispondente di quel che esteriormente è, nel mondo, la relazione tra le costellazioni dello zodiaco e i noti sette pianeti, così come li conosciamo proprio nella scienza dello spirito.

E si ha così un’immagine – in un certo senso un’immagine esteriore, che non abbiamo creato noi, ma che è scritta nel cosmo – delle relazioni tra le nostre sette disposizioni d’animo e le nostre dodici concezioni del mondo. E tale immagine verrà giustamente percepita se la si vede nel modo seguente (vedi le due pagine che seguono).

Si inizi

con l’idealismo e lo si indichi come la costellazione spirituale propria dell’Ariete. Allo stesso modo si indichi

il razionalismo come Toro,

il matematicismo come Gemelli,

il materialismo come Cancro,

il sensismo come Leone,

il fenomenismo come Vergine,

il realismo come Bilancia,

il dinamismo come Scorpione,

il monadismo come Sagittario,

lo spiritualismo come Capricorno,

lo pneumatismo come Acquario e

lo psichismo come Pesci.

Le relazioni esistenti tra i singoli segni zodiacali in rapporto allo spazio-materia esteriore sono effettivamente presenti nell’ambito dello spirito tra queste sfumature di concezioni. E i tipi di rapporto che i singoli pianeti da noi indicati assumono tra loro nel rotare lungo lo zodiaco corrispondono ai rapporti che assumono le sette disposizioni d’animo in modo che possiamo percepire (vedi le due pagine precedenti)

lo gnosticismo come Saturno,

il logicismo come Giove,

il volontarismo come Marte,

l’empirismo come Sole,

il misticismo come Venere,

il trascendentalismo come Mercurio e

l’occultismo come Luna.

Troverete delle analogie fin nelle immagini esteriori, laddove si possono constatare queste cose – anche se questo non è l’aspetto più importante. Più importante è il fatto che a questo parallelismo corrispondono le relazioni più profonde.

La Luna rimane «occulta», invisibile, quando è nuova. Deve prima ricevere la luce che le viene dal Sole – proprio come le cose rimangono “occulte” fin quando l’anima non si eleva attraverso meditazione, concentrazione e così via, e le illumina.

L’uomo che percorre il mondo e si fida solo del Sole, che accetta solo quello che il Sole illumina, è un empirista. Chi continua a riflettere su quel che il sole illumina, chi conserva i pensieri anche dopo che il sole è tramontato, non è più un empirista, poiché non si affida più al Sole. Il Sole è il simbolo dell’empirismo.

Potrei continuare il discorso per tutte queste cose, ma abbiamo solo quattro incontri per questo tema importante, e per il momento dovrò lasciare a voi la ricerca di relazioni più precise – ai vostri pensieri o alla vostra indagine di altra natura. Non sono affatto difficili da trovare, una volta che si sia indicata lo struttura.

Ora, nel mondo accade troppo spesso che gli uomini anelino poco alla complessità, al tutto. Veramente, se si prende sul serio la verità, bisognerebbe potersi rappresentare nell’anima le dodici sfumature di concezioni del mondo. E si dovrebbe saper per esperienza propria: cosa si sperimenta da gnostici, cosa da logici, cosa da volontaristi, cosa da empiristi, cosa da mistici, cosa da trascendentalisti, e cosa da occultisti?

In linea di principio, ognuno dovrebbe fare tutte queste esperienze, se davvero vuole penetrare nei segreti del mondo nel senso della ricerca spirituale. E se anche quel che si trova in Come si acquisiscono conoscenze dei mondi superiori? non è ritagliato proprio su questa esposizione, tuttavia, descritto da altri punti di vista, vi si trova tutto quello che può condurre alle singole disposizioni che qui sono indicate come disposizione d’animo «gnostica» o «gnosticistica», come disposizione di «Giove» e così via.

Spesso nel mondo accade che l’uomo sia così unilaterale da esporsi solo ad un punto di vista o solo ad uno stato d’animo. Proprio grandi uomini presentano spesso queste unilateralità, nel campo delle visioni del mondo.

Così, ad esempio, Hamerling è spiccatamente un monadista volontarista o un volontarista monadologico, Schopenhauer uno spiccato psichichista volontarista. Proprio i grandi uomini hanno, per così dire, un’anima predisposta in modo che la loro tendenza planetaria si ponga in una costellazione spirituale ben determinata.

Gli altri trovano più facile passare da un «punto di vista» all’altro. Può anche accadere che gli individui vengano, per così dire, stimolati da diverse parti nella loro concezione del mondo, in quella che essi formano come propria concezione del mondo. Può accadere, ad esempio, che qualcuno sia un buon logicista, un buon logico, ma che la sua disposizione d’animo si senta a casa sua nella costellazione spirituale del sensismo. Qualcuno può essere un buon empirista, ma la sua disposizione da empirista si può esprimere nella costellazione del matematicismo. Tutto ciò può accadere. In tal caso salta fuori un quadro nettamente delineato della concezione del mondo.

Proprio al presente abbiamo un tale quadro, sorto per il fatto che qualcuno ha il proprio Sole – parlando in senso spirituale – nei Gemelli e il suo Giove nel Leone. Costui è Wundt. E si comprenderanno tutti i particolari che compaiono nella letteratura filosofica di Wund quando si sarà scoperto il segreto della sua speciale configurazione animica.

È particolarmente favorevole la situazione di chi ha realmente sperimentato, sotto forma di esercizio, le diverse disposizioni dell’anima – occultismo, trascendentalismo, misticismo, empirismo, volontarismo, logicismo e gnosticismo – così da potersele rendere presenti alla mente, da poterle quasi sentire tutte insieme nei loro effetti, e poi, ad un tratto, le colloca tutte insieme nella costellazione del fenomenismo, nella Vergine.

Allora si presenta veramente davanti a lui, come un «fenomeno» particolarmente grandioso, quel che il mondo gli può svelare nel modo più favorevole. Se allo stesso modo si collocano una accanto all’altra le singole disposizioni in relazione ad un’altra costellazione, la cosa non funziona così bene.

Per questo in molte antiche scuole misteriche si procurava ai discepoli proprio questa disposizione, che ho or ora descritto come quella in cui per così dire tutti i pianeti dell’anima si trovano riuniti nella costellazione spirituale della Vergine, poiché così riuscivano più facilmente a penetrare nel mondo. Coglievano i fenomeni, ma li coglievano in senso gnosticistico, logicistico e così via. Erano in grado di giungere oltre i fenomeni-pensieri, non percepivano più il mondo grossolanamente. Questo accadrebbe se la disposizione animica del volontarismo fosse ordinata allo Scorpione.

In breve, tramite la costellazione data dalle disposizioni animiche, che sono l’elemento planetario, e attraverso forme di pensiero, che sono l’elemento dello zodiaco spirituale, si suscita quel che l’uomo porta nel mondo, in una certa incarnazione, come propria visione del mondo.

Ma c’è qualcosa d’altro. Ed è che queste concezioni del mondo – ve ne sono molte sfumature, se cercate tutte le combinazioni – vengono ulteriormente modificate secondo la particolare «tonalità» che possono ricevere. Ma nell’ambito della tonalità abbiamo da distinguere solo tre cose: tutte le concezioni del mondo, tutte le combinazioni che nascono in questo modo, possono ripresentarsi in triplice modo.

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In primo luogo possono essere «teiste», così che devo chiamare teismo la tonalità che così compare nell’anima. Possono essere tali per cui dobbiamo nominare, in opposizione al teismo, la relativa tonalità animica dell’intuizionismo.

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Il teismo sorge quando l’uomo si rivolge a tutto quel che è esteriore per trovare il suo dio, quando egli cerca il suo dio in ciò che sta fuori. Il monoteismo dell’antico ebraismo era prevalentemente una concezione teista. L’intuizionismo si ha quando l’uomo cerca la propria concezione del mondo principalmente attraverso quel che si accende intuitivamente nella propria interiorità.

A queste due, si aggiunge una terza tonalità – quella del naturalismo.

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Queste tre «tonalità dell’anima» hanno anch’esse un’immagine nel mondo esteriore cosmico, e cioè si comportano nell’anima umana esattamente come Sole, Luna e Terra, in modo che

il teismo corrisponde al Sole – intendendo ora il «Sole» come stella fissa –,

l’intuizionismo alla Luna e

il naturalismo alla Terra.

Trasferiamo nello spirituale ciò che individualmente è indicato qui come Sole, Luna e Terra: colui che va oltre i fenomeni del mondo e dice: «Quando guardo fuori, in tutto mi si manifesta il dio che riempie di sé il mondo» – l’uomo terreno che si erge sotto i raggi del sole, è teista.

L’uomo che non va oltre i processi naturali, che si ferma ai singoli fenomeni – come colui che non alza mai lo sguardo verso il Sole, bensì guarda solo a quel che il Sole produce sulla Terra, costui è naturalista.

Chi esplora quanto di meglio ha nell’anima facendolo rilucere nelle sue intuizioni, è come il poeta intuitivo ravvivato nell’anima dal pallido bagliore argenteo della luna cui inneggia – e può essere a lui paragonato. Come si possono mettere in relazione la luce lunare e la fantasia poetica, altrettanto si può mettere in relazione alla Luna l’intuitivista qui inteso.

Infine, vi è ancora qualcosa di particolare, che tuttavia è presente solo in un unico elemento: è il caso dell’uomo che, rispetto a tutte le concezioni del mondo, in un certo senso si rivolge sempre e solo a quello che può sperimentare su di sé, o attorno a sé, o in se stesso. Questo è l’antropomorfismo.

È il corrispettivo del considerare la Terra in quanto tale – indipendentemente dal suo essere circondata dal Sole, dalla Luna o da altro. Come possiamo considerare la Terra in sè e per sé, anche in rapporto alle concezioni del mondo possiamo considerare esclusivamente quello che è riscontrabile in noi come esseri umani terreni. Si forma allora nel mondo il tanto diffuso antropomorfismo.

Se per spiegare i fenomeni terrestri occorre aprirsi verso il Sole e la Luna – ciò che la scienza contemporanea non fa –, altrettanto, se si va oltre l’uomo, si giunge a dover riconoscere tutte e tre le tonalità come parimenti legittime: il teismo, l’intuizionismo ed il naturalismo. Non il permanere su una di queste tonalità, ma il farle risuonare in armonia fra loro ci porta alla verità.

Come con Sole, Luna e Terra la nostra corporeità è collocata entro i sette pianeti, così l’antropomorfismo, la più banale concezione del mondo, è collocato entro la consonanza di teismo, intuizionismo e naturalismo – e questi nella consonanza risultante dalle sette disposizioni dell’anima. E queste sette disposizioni dell’anima si conformano secondo i dodici segni dello zodiaco.

Vedete come non sia una sola concezione del mondo vera per il fatto di chiamarsi tale, ma siano:

12 + 7 = 19 + 3 = 22 + 1 = 23

le concezioni del mondo legittime. Abbiamo ventitré posizioni altrettanto giustificate in fatto di concezioni del mondo! E il resto sorge sempre per il fatto che i pianeti corrispondenti sono in continuo movimento sullo sfondo delle dodici costellazioni spirituali.

Ed ora, da quel che è stato detto, cercate di farvi un’idea del compito che ha la scienza dello spirito nel mettere pace all’interno delle diverse concezioni del mondo, nel far nascere una concordia fondata sul convincimento che le varie concezioni hanno senso nel loro interagire l’una con l’altra, ma che nessuna può da sola portare all’intima verità se rimane unilaterale. Occorre sperimentare interiormente in se stessi il valore di verità di tutte le varie concezioni del mondo, per venire a capo della verità.

Come si è in grado di pensare il cosmo fisico – lo zodiaco, il sistema planetario, Sole, Luna e Terra con loro, Terra per sé –, altrettanto si può pensare un cosmo spirituale: antropomorfismo – teismo, intuizionismo, naturalismo – gnosticismo, logicismo, volontarismo, empirismo, misticismo, trascendentalismo, occultismo – tutti a percorrere le dodici costellazioni spirituali.

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Tutto ciò esiste davvero! Solo che esiste spiritualmente. Come è vero che il cosmo fisico esiste fisicamente, è altrettanto vero che tutto ciò esiste spiritualmente.

Nella metà cerebrale che l’anatomista trova e della quale si può dire che ha una forma semisferica, vanno ad agire principalmente quegli effetti del cosmo spirituale derivanti dalle gradazioni che stanno sopra la linea di mezzo. Ma vi è anche una parte invisibile del cervello, che diventa visibile solo se si osserva il corpo eterico, il corpo delle forze formatrici. Essa è influenzata principalmente dalla parte del cosmo spirituale che sta al di sotto della linea di mezzo.

Ma come avviene questo influsso? Per qualcuno può essere, ad esempio, il proprio logicismo orientato al sensismo, o il proprio empirismo orientato al matematicismo. Poi ci sono delle forze che si formano in questo modo, che vanno ad agire entro il suo cervello. Allora viene particolarmente attivata la parte superiore del suo cervello, e attenuata l’altra.

Si realizzano così innumerevoli sfumature di attività cerebrale per il fatto che il cervello quasi «nuota» in un cosmo spirituale, le cui forze agiscono nel modo che abbiamo potuto ora descrivere. I cervelli umani possono veramente essere disparatamente diversi in base alle combinazioni che derivano da questo cosmo spirituale.

Quel che si trova nella metà inferiore del cosmo spirituale non agisce sul cervello fisico, bensì sul cervello eterico.

Quando si parla di tutto ciò, la miglior impressione che se ne può ricavare è quella che ci fa dire: «Questo apre all’uomo il senso per l’infinito del mondo, per ciò che è qualitativamente grandioso, per la possibilità che come uomini si possa esistere in questo mondo in una infinita varietà!» Se solo riusciamo a cogliere questo, possiamo dire a noi stessi: «Niente paura, le possibilità non mancano di essere diversi gli uni dagli altri nelle varie incarnazioni che dobbiamo attraversare sulla terra.»

E sicuramente, chi osserva il mondo in questo modo, proprio grazie a una siffatta osservazione sarà portato a dire: «Ah, quanto è ricco, quanto è grandioso il mondo! Quale fortuna poter continuare a partecipare in modo sempre più vario all’essere, all’operare, all’anelito del mondo!»

Quarta conferenza

Ogni uomo è un pensiero
dell’universo

Berlino, 23 gennaio 1914

Miei cari amici!

Abbiamo trattato le possibili forme di pensiero e le possibili disposizioni d’animo quali possono sorgere nell’interiorità umana in vista di una visione del mondo. E, potendo evidenziare solo alcuni aspetti di questo ampio tema, vorrei sottolinearne uno in riferimento a un esempio particolare.

Supponiamo che un individuo viva nel mondo avendo ricevuto quelle forze particolari nel suo animo, che lo portano a far agire su di sè la concezione del mondo dell’idealismo. Costui rende operante in sé questa visione del mondo. E supponiamo che la renda un fattore dominante nella sua vita interiore, in modo tale che dalle forze dell’idealismo venga nutrita quella disposizione della sua anima che ho indicato ieri come misticismo, come il modo di vivere di Venere.

Perciò, volendo utilizzare i simboli dell’astrologia, si direbbe: la costellazione spirituale di un tale individuo nelle sue inclinazioni è quella di Venere nell’Ariete.

Per evitare l’insorgere di equivoci, faccio notare espressamente che queste costellazioni operano nella vita umana in misura ancor più incisiva della costellazione dell’oroscopo della nascita, ma non coincidono affatto con il «cielo natale», con l’oroscopo esteriore. Poiché il forte influsso che viene esercitato su un’anima umana per il fatto che per lui il misticismo sta nel segno dell’idealismo – questo influsso attende il momento favorevole nel quale poter afferrare l’anima, affinché essa ricavi il massimo effetto dalla posizione del misticismo nel segno dell’idealismo.

Non è necessario che questi influssi, derivanti dal misticismo nel segno dell’idealismo, agiscano proprio nel momento della nascita. Possono agire sia prima che dopo la nascita. In breve, si attende il momento che possa, in base alla configurazione interiore dell’uomo, organizzare al meglio queste inclinazioni entro l’organismo umano.

Zeichnung4-1 (Nietzsche).psd

Quindi non ha rilevanza, qui, la comune costellazione astrologica della nascita. Ma si può dire che una certa anima abbia assunto l’inclinazione spirituale tale per cui Venere sta nell’Ariete, il misticismo nel segno dell’idealismo.

Ora, le forze che sorgono in questo modo, non durano per tutta la vita, ma si modificano. Il che significa che l’uomo viene a trovarsi sotto altri influssi, sotto altri segni zodiacali spirituali, e anche entro altre disposizioni animiche.

Immaginiamo che un tale individuo si evolva nel corso della sua vita e venga a trovarsi nella disposizione animica dell’empirismo – come se il misticismo avanzasse verso l’empirismo –, e che l’empirismo trapassi nel segno del razionalismo.

Vedete, come ho indicato ieri, che l’empirismo segue al misticismo, procedendo dall’interno verso l’esterno, così come il Sole segue Venere nella rappresentazione simbolica. Relativamente alla disposizione all’empirismo, l’anima è avanzata, e allo stesso tempo si è collocata nel segno del razionalismo.

Nella vita dell’anima ciò si esprime dicendo che una tale anima ha modificato la propria concezione del mondo. Quel che essa ha prodotto, magari proprio come personalità particolarmente forte al tempo in cui in essa il misticismo si trovava nel segno dell’idealismo, lo modificherà, lo farà trascorrere in un’altra forma. Essa sosterrà e dirà cose diverse, qualora la disposizione del misticismo sia trascorsa nell’empirismo, e questo si sia collocato nel segno del razionalismo.

Ma da quel che ho appena detto, potete dedurre anche che le anime umane possono avere una tendenza a modificare il segno e la disposizione della propria concezione del mondo. Per queste anime la tendenza al cambiamento è, in un certo senso, predeterminata.

Supponiamo che quell’anima voglia continuare nella vita con questa tendenza, che voglia procedere dall’empirismo alla disposizione animica seguente, al volontarismo. Se procede così anche nei segni zodiacali, entra nel matematicismo. Passa allora ad una concezione del mondo che in questa immagine simbolica devia di un angolo di 60 gradi dalla prima linea, dove il misticismo si trovava nel segno dell’idealismo. Se così fosse, quell’anima formulerebbe nel corso della stessa incarnazione una struttura cosmica matematica compenetrata di volontà, basata sulla volontà. Questo è quello che essa esprimerebbe.

Ma qui si mostra una cosa – e prego di fare attenzione a come la esporrò –, si mostra che due siffatte costellazioni presenti nell’anima, nel corso del tempo si contrastano, si influenzano sfavorevolmente, se si trovano in un angolo di 60 gradi. Nell’astrologia fisica questa è una costellazione favorevole, nell’astrologia spirituale questa cosiddetta posizione di sestile è sfavorevole.

Questo si esprime nel fatto che quest’ultima posizione – volontarismo nel matematicismo – trova un forte ostacolo nell’anima, di modo che essa non si può sviluppare, non trovando alcun punto di appoggio, dato che l’individuo in questione non mostra alcuna inclinazione per quel che il matematicismo offre. L’aspetto sfavorevole della posizione di sestile si esprime nell’assenza di qualsiasi inclinazione matematica. Dunque, questa posizione del volontarismo nel segno del matematicismo non si può realizzare.

La conseguenza è che non si tenta nemmeno di far procedere la disposizione animica in tale direzione. Poiché l’anima in questione ora non può percorrere la via verso il volontarismo nel matematicismo, si sposta dalla posizione che ha al momento – empirismo nel razionalismo –, e cerca una via d’uscita collocandosi in opposizione alla direzione che non può mantenere.

Una tale anima, allora, non procederebbe verso il volontarismo nel modo indicato nel disegno attraverso la linea punteggiata, ma con il volontarismo si collocherebbe nel segno opposto al razionalismo. Ciò avviene nel segno del dinamismo: il volontarismo si trova nel dinamismo, in opposizione al razionalismo.

E nel corso della sua vita quest’anima avrebbe come costellazione a lei possibile quella di rappresentare una concezione del mondo poggiante su una particolare irruzione di «forze» nel mondo – il «dinamismo» –, compenetrata di «volontà»: una volontà piena di forza.

L’astrologia spirituale è diversa dall’astrologia fisica. In quella fisica, l’opposizione ha tutt’altro significato che in quella spirituale. In quest’ultima, l’opposizione è generata dal non poter l’anima procedere su una via sfavorevole. Essa devia nella posizione opposta.

Vi ho illustrato in tal modo quel che attraversò l’anima di Nietzsche nel corso della propria vita.

A chi cerca di capirne il percorso nelle sue prime opere, esso si spiegherà con la posizione del misticismo nel segno dell’idealismo. Di questo periodo sono: La nascita della tragedia; David Strauss, lo scrittore e l’uomo di fede; Sull’utilità e il danno della storia per la vita; Schopenhauer come educatore; Richard Wagner a Bayreuth. Questo è misticismo nel segno dell’idealismo.

Poi l’anima procede oltre, arriva una seconda epoca. In essa vedono la luce: Umano, troppo umano; Aurora; La gaia scienza. Qui l’empirismo sta nel segno del razionalismo.

Nel terzo periodo, risultante dalla posizione di opposizione, compaiono gli scritti fondati sulla volontà di potenza, sul volere compenetrato di forza, di potere: Al di là del bene e del male; Genealogia della morale; Il caso Wagner; Il crepuscolo degli dei; L’Anticristo; Così parlò Zarathustra.

Vedete allora come esista un’intima legge tra il cosmo spirituale ed il modo in cui l’uomo si pone in questo cosmo spirituale.

Utilizzando i simboli dell’astrologia, ma con un senso un po’ diverso, si può dire: in Nietzsche è accaduto che per un certo periodo della sua vita Venere si mostrò nell’Ariete, ma quando questa costellazione passò per la sua anima al Sole nel segno del Toro, egli non poté proseguire oltre, per giungere a Marte nel segno dei Gemelli, e finì nella posizione opposta, quella di Marte nel segno dello Scorpione.

La sua ultima fase filosofica è caratterizzata dal trovarsi con Marte nel segno dello Scorpione. Questa costellazione – quella sotto la linea «idealismo-realismo», che porta nelle posizioni inferiori – è sostenibile solo se ci si immerge in una visione del mondo di natura spirituale, ad esempio nell’occultismo. Altrimenti queste costellazioni influiranno necessariamente in modo sfavorevole sugli uomini. Da qui il tragico destino di Nietzsche.

Le costellazioni sopra la linea sono sostenibili se si riesce a trovare un posto nel mondo in base a fattori esterni. Quel che sta sotto la linea invece, e che va dall’idealismo al realismo, lo si può far proprio solo se ci si immerge nella scienza dello spirito, cosa che Nietzsche non ha saputo fare.

Dicendo «trovare un posto nel mondo in base a fattori esterni», intendo tutto quello che si deve raggiungere, ad esempio, attraverso l’educazione, attraverso condizioni di vita esterne. Esse sono rilevanti per tutto quel che si trova al di sopra della linea idealismo-realismo. La vita meditativa, una vita nello studio e nella comprensione della scienza dello spirito, è rilevante per tutto quel che sta al di sotto della linea idealismo-realismo.

Per comprendere la portata di quel che è stato accennato in queste conferenze, occorre conoscere anche quel che segue. Occorre chiarirsi quel che è realmente il «pensiero» nell’esperienza umana, come si colloca il pensiero nell’esperienza umana.

Il materialista grossolano del nostro tempo trova conforme alla sua indole affermare che il cervello forma il pensiero, ovvero che il sistema nervoso centrale forma il pensiero. Per chi comprende davvero le cose, questo è vero come è vero ritenere che, se ci si guarda in uno specchio, è quest’ultimo a formare il viso che vi si vede. Ma esso non forma affatto il viso che vi si vede, in quanto il viso è al di fuori dello specchio, lo specchio riflette solo il viso, lo rimanda in forma di immagine. Questa cosa l’ho già esposta anche in conferenze pubbliche.

In modo analogo avviene per quel che l’uomo sperimenta con i pensieri – vogliamo ora prescindere da altri contenuti dell’anima. L’esperienza del pensare, che, nel momento in cui l’uomo sperimenta il pensare, è qualcosa di attivo e reale nell’anima, sorge tanto poco per mezzo del cervello quanto poco lo specchio produce il volto. Il cervello agisce in realtà solo come organo riflettente, per rispecchiare l’attività dell’anima e renderla «visibile», cioè cosciente a se stessa.

L’attività cerebrale ha a che fare con quel che l’uomo vive in chiave di pensieri, tanto quanto lo specchio ha a che fare con il vostro viso quando vi specchiate.

Ma c’è dell’altro: pensando, l’uomo percepisce in realtà solo l’ultima fase della sua attività pensante, della sua esperienza pensante. E per chiarirlo, vorrei utilizzare di nuovo il paragone dello specchio.

Provate a pensare di mettervi davanti ad uno specchio per guardarci il vostro viso. Se non avete lo specchio, non potete vedere il vostro viso. Per quanto vogliate fissare, non vedrete il vostro viso. Se volete vederlo, dovete lavorare qualche materiale che avete a disposizione, in modo da farlo diventare uno specchio. Il che significa che prima dovete preparare il materiale, perché esso possa produrre l’immagine riflessa. Quando l’avrete fatto, e poi ci guardate, vedrete il vostro viso.

L’anima deve fare con il cervello la stessa cosa che un uomo fa con lo specchio. La reale percezione del pensiero è preceduta da un’attività pensante tale per cui, se ad esempio volete percepire il concetto del «leone», essa dapprima mette in movimento le parti del cervello ad un livello profondo, in modo che queste divengano uno specchio per la percezione del concetto «leone». E a trasformare dapprima il cervello in uno specchio siete voi stessi.

Quel che voi da ultimo percepite come pensiero, sono immagini riflesse. Perché compaia la relativa immagine riflessa, voi dovete prima preparare una qualche regione del cervello. Siete voi stessi, con la vostra attività animica, che date al cervello la struttura e la facoltà per poter rispecchiare come pensieri quel che pensate.

Se volete risalire all’attività che sta alla base del pensare, questa è l’attività che dall’anima afferra il cervello e vi lavora dentro. E quando, a partire dall’anima, compite una certa attività nel cervello, lì si opera quel rispecchiamento per cui percepite l’idea del «leone».

Vedete allora che prima deve esserci qualcosa di spirituale-animico che lavori sul cervello. A quel punto esso, tramite questa attività spirituale-animica, diventa un organo di rispecchiamento che riflette il pensiero. Questo è il processo reale, che si è talmente confuso per tante persone del presente, che non riescono assolutamente a coglierlo.

Chi penetra un poco nella percezione occulta riesce a tenere separate queste due fasi dell’attività dell’anima. Può osservare come dapprima, se vuole pensare qualcosa, all’anima non basta concepire il pensiero: deve anche prepararlo, deve, cioè, predisporre il suo cervello. Se lo ha preparato in modo che esso rifletta, allora costui ha coscienza del pensiero.

Se si vuole indagare in senso occulto, il primo compito per avere rappresentazioni non è quello di rappresentare di primo acchito, ma di esercitare innanzitutto un’attività che prepara la rappresentazione. Questo è quel che va considerato come straordinariamente importante.

Dobbiamo considerare queste cose, perché solo così facendo abbiamo davanti a noi la reale attività del pensare umano. Solo allora sappiamo come lavora l’attività pensante umana. Tale attività afferra dapprima il cervello, ovvero il sistema nervoso centrale; esercita un’attività in qualche punto; muove, supponiamo, in un certo modo le parti atomistiche, le porta a qualche movimento. Esse divengono un apparato riflettente, il pensiero viene così riflesso e come tale diviene cosciente all’anima.

Dobbiamo quindi distinguere due fasi: prima c’è da parte dello spirituale-animico il lavoro cerebrale che prepara l’esperienza fisica esteriore; poi c’è il realizzarsi della percezione, dopo che l’anima ha compiuto il lavoro sul cervello in vista di questa percezione. Nell’individuo ordinario il lavoro fatto sul cervello rimane nel subcosciente, egli percepisce solamente il successivo “riflesso”. L’indagatore occulto sperimenta anche la prima fase di preparazione. Sperimenta come si debba dapprima svolgere attività animica per preparare il cervello, per renderlo in grado di rispecchiare, cioè «rappresentare» il pensiero.

Quel che ho esposto ora accade continuamente nell’uomo nello stato di veglia. L’attività pensante lavora sempre sul cervello, facendone un apparato che riflette i pensieri per tutto il tempo di veglia.

Ma non è sufficiente che l’attività pensante elabori in noi solo quel che facciamo noi stessi. Quella esercitata dallo spirituale-animico è, si potrebbe dire, un’attività limitata. Al mattino ci svegliamo, durante il giorno rimaniamo desti, alla sera ci riaddormentiamo di nuovo. L’attività spirituale-animica legata al pensare consiste nel fatto che questa attività lavora per tutto il giorno sul cervello, rendendolo un apparato riflettente.

Ma per far tutto questo bisogna che il cervello ci sia! Solo allora l’attività spirituale-animica può fare le sue piccole incisioni, quasi trascrivere i suoi appunti e i suoi segni nel cervello. Il cervello, dunque, deve già esistere nel suo insieme, nella sua struttura di base, tanto da poter bastare alla vita umana. Il nostro cervello non potrebbe essere elaborato in piccolo dall’attività della vita quotidiana se tutto il nostro organismo non fosse già stato predisposto ad essere il fondamento di tale attività.

Questa attività che prepara l’organismo per l’uomo proviene dal cosmo.

Come quotidianamente, dal risvegliarci all’addormentarci, lavoriamo – per dirlo banalmente – alle piccole «incisioni» nel cervello, che lo rendono un apparato riflettente per i pensieri quotidiani, così, dove non siamo noi a «incidere», a darci una forma, questa ci viene data dal cosmo. Come i nostri piccoli pensieri lavorano sul cervello e vi compiono le loro piccole incisioni, altrettanto avviene che la totalità del nostro organismo viene costruito dal cosmo secondo lo stesso modello di attività pensante.

E questo è possibile perché quel che in noi lavora alle piccole incisioni, – l’attività pensante – esiste anche nel cosmo, lo attraversa come le onde di un mare e lo intesse di attività pensante.

Ad esempio, quel che alla fine ci si presenta come idea, quel che abbiamo come idealismo, è presente nel cosmo spirituale come attività che crea l’idealismo, e può agire su un essere umano in modo da preparare tutto il suo organismo a far sì che egli sia incline proprio all’idealismo. Allo stesso modo gli altri tipi di disposizioni e costellazioni vengono elaborate nell’uomo da parte del mondo spirituale.

L’uomo è formato secondo i pensieri del mondo. L’universo è il grande pensatore che architetta la nostra forma fino all’ultima unghia delle dita, così come la nostra piccola attività pensante opera le piccole incisioni nel cervello durante la vita quotidiana.

Vale a dire: come il nostro cervello è influenzato dalla nostra attività pensante solo relativamente alle regioni dove possono avvenire le piccole incisioni, allo stesso modo tutto il nostro essere umano si trova sotto l’influsso dell’attività pensante cosmica.

Cosa significa l’esempio di Nietzsche che ho riportato? Significa che, a motivo della precedente incarnazione, il karma di Nietzsche, in base al lavoro cosmico fatto su di lui era preparato in modo che ad un certo momento, le forze dell’idealismo e del misticismo – che agivano insieme, poiché il misticismo si trovava nella costellazione dell’idealismo – operassero sulla intera sua costituzione corporea in modo che egli inizialmente fu in grado di diventare idealista mistico. Poi la costellazione si mutò nel modo indicato.

Noi veniamo pensati dal mondo. L’universo “ci” pensa.

E come noi, con la nostra limitata attività pensante ordinaria, operiamo piccole incisioni nel nostro cervello, e successivamente ci divengono coscienti le rappresentazioni di leone, cane, tavolo, rosa, libro, su, giù, sinistra, destra come riflessi di quel che noi prima abbiamo preparato nel cervello – vale a dire: come noi, tramite l’elaborazione del cervello, da ultimo percepiamo leone, cane, tavolo, rosa, libro, su, giù, scrivere, leggere –, così gli esseri delle gerarchie cosmiche compiono la grande attività pensante, la quale iscrive nel mondo cose più importanti di quanto facciamo noi con la nostra ordinaria attività pensante.

Avviene, allora, che non solo si formano le piccole minuscole incisioni che poi si riflettono singolarmente come nostri pensieri, ma che noi stessi, in tutto il nostro essere, siamo ciò che agli esseri delle gerarchie superiori appare come i loro stessi pensieri. Come i nostri piccoli processi cerebrali riflettono i nostri piccoli pensieri, così noi, in quanto scolpiti dentro il mondo, riflettiamo i pensieri dell’universo.

Nel loro pensare, le gerarchie del cosmo pensano tra l’altro noi esseri umani. Come dalle nostre piccole particelle cerebrali provengono i nostri piccoli pensieri, così i loro pensieri provengono da quel che le gerarchie operano, e di cui facciamo parte anche noi.

Come le parti nel nostro cervello costituiscono per noi gli apparati riflettenti che elaboriamo noi stessi per i nostri pensieri, così noi, piccole creature, siamo ciò che le gerarchie del cosmo si preparano per i loro pensieri. Quindi possiamo dire che, sotto un certo riguardo, noi possiamo sentirci di fronte al cosmo come una piccola regione del nostro cervello potrebbe sentirsi nei nostri confronti.

Ma in senso animico-spirituale noi siamo quel che è il nostro cervello ovviamente tanto poco quanto le entità delle gerarchie spirituali sono «noi». Per questa ragione noi siamo indipendenti nei confronti delle entità delle gerarchie superiori. E possiamo dire che in una certa misura noi serviamo loro affinché esse, per mezzo nostro, possano pensare. Ma allo stesso tempo noi siamo degli esseri autonomi, che hanno in sé la propria ragione di essere, così come, in certa misura, anche le particelle del nostro cervello hanno la loro vita propria.

Così troviamo la relazione tra il pensiero umano ed il pensiero cosmico. Il pensiero umano è il reggente del cervello, il pensiero cosmico è un reggente siffatto, per cui noi stessi, in tutto il nostro essere, facciamo parte del suo operare. Ma visto che, a motivo del nostro karma, il cosmo non può rivolgerci i suoi pensieri tutti e sempre in egual modo, noi veniamo via via formati secondo la sua logica.

Noi esseri umani abbiamo una logica secondo la quale pensiamo, e anche le gerarchie spirituali cosmiche hanno la loro logica. Ed essa si esprime nello schema che abbiamo indicato.

Ad esempio, quando noi pensiamo: «Il leone è un mammifero», riuniamo due concetti in un giudizio; ma anche le gerarchie spirituali pensano due cose insieme – misticismo e idealismo – e poi esprimono il giudizio: «Il misticismo si manifesta nell’idealismo».

Immaginatela come attività preparatrice del cosmo, quando dice «Il misticismo appaia nell’idealismo!». Così risuona il «fiat» creatore, la parola creatrice.

Per le entità delle gerarchie spirituali l’azione preparatrice consiste nell’afferrare un essere umano predisposto dal karma a diventare un idealista mistico. Quel che, riferito a noi, definiremmo un pensiero, per le gerarchie celesti è la creazione di un essere umano che è «idealista mistico». Lui è un loro pensiero, che risulta dall’aver preparato il giudizio cosmico che dice: «Il misticismo appaia nell’idealismo!»

Abbiamo così tratteggiato l’attività interiore del Verbo universale, del pensare cosmico. Quel che abbiamo delineato come logica cosmica, ci illustra come pensano le gerarchie spirituali – ad esempio quando dicono: «L’empirismo appaia nel segno del razionalismo» e così via. In questo modo cerchiamo di immaginare cosa possa essere pensato nel cosmo.

Si può pensare quanto segue: «Il misticismo appaia nel segno dell’idealismo. Poi si trasformi, diventi empirismo nel segno del razionalismo!» Lì sorge una resistenza: quel che accadrebbe in seguito, sarebbe un giudizio cosmico errato. Il pensiero viene allora deviato, abbiamo la correzione di un pensiero sbagliato, analoga alla verifica di un pensiero da parte nostra. Deve comparire un terzo punto di vista: e gli Esseri divini dicono: «Il volontarismo appaia nel segno del dinamismo.»

Il risultato di questi tre giudizi pronunciati nell’universo nel corso del tempo appare in forma di «uomo Nietzsche». Ed egli viene riflesso come pensiero del cosmo.

Così parla nel mondo l’insieme delle gerarchie spirituali, e la nostra attività pensante umana ne è un’immagine, una piccola immagine. L’universo sta allo spirito, agli spiriti divini, come il nostro cervello sta al nostro spirito.

Allora possiamo volgere lo sguardo a quello cui dovremmo in verità guardare solo con riverenza, con sacro timore. Poiché a questo punto ci troviamo di fronte ai segreti più profondi delle individualità umane.

Se posso esprimermi in senso metaforico direi che impariamo a capire che gli occhi delle entità delle gerarchie superiori scorrono al di sopra delle singole individualità umane, e che queste individualità sono per loro quello che per noi rappresentano le singole lettere di un libro che stiamo leggendo. A questo noi dobbiamo guardare con profonda venerazione, al fatto che ci è dato di gettare uno sguardo nell’attività pensante dell’universo!

Il velo di questo segreto deve ai nostri giorni essere sollevato di un primo lembo, poiché le leggi qui indicate come leggi dei pensieri cosmici sono attive nell’essere umano.

La conoscenza di esse può condurci a comprendere la vita, e nel capire la vita comprendiamo anche noi stessi – così da sapere che pur collocati nella vita in certo modo per un motivo o per l’altro, apparteniamo ad un grande Tutto, siamo membra viventi nell’organismo logico del pensiero cosmico.

La scienza dello spirito ci guida ad intuire queste relazioni, dandoci indicazioni sia per comprendere la particolarità delle nostre inclinazioni, sia per aprirci sempre più alla totalità del pensiero cosmico.

Troveremo allora la disposizione d’animo necessaria proprio nella nostra epoca. Nel nostro tempo, in cui molti degli ingegni di spicco non presentano il minimo segno di comprensione dei nessi qui delineati, noi vediamo che gli uomini si comportano comunque secondo queste leggi, anche se non sanno di vivere in esse. Ma con ciò essi causano qualcosa che rende necessaria una compensazione.

Prendete l’esempio di Wundt che vi ho esposto ieri. La sua parzialità è prodotta da una costellazione molto particolare. Supponiamo che Wundt possa mai penetrare nella comprensione della scienza dello spirito. Allora capirebbe la sua unilateralità e direbbe a se stesso: «Bene, per il fatto di essere empirista e così via, sono in grado di operare bene in certi ambiti. Rimango entro questi ambiti e integro con la scienza dello spirito quel che mi manca.» Egli giungerebbe a questo risultato.

Ma lui non ne vuole sapere della scienza dello spirito. Perciò cosa fa? Mentre potrebbe fare qualcosa di buono e produttivo entro la costellazione che gli è propria, Wundt fa una filosofia generale di quello che, grazie a questa costellazione, egli sa operare. Potrebbe fare qualcosa di ancora più grande, di molto più grande e utile, se lasciasse da parte il filosofeggiare e facesse invece indagini sui fenomeni dell’anima, di cui si intende, se indagasse la natura dei giudizi matematici, dei quali pure si intende, anziché stravolgerli con ogni sorta di filosofia. Sarebbe allora sul giusto binario.

Ma questo va detto riguardo a molti. Proprio come è suo compito suscitare quel sentimento che riconosca la necessaria concordia tra le concezioni del mondo – la scienza dello spirito deve, d’altro canto, indicare a chiare lettere che tanti personaggi del presente oltrepassano la misura di quel che la loro costellazione li porterebbe a fare, e causano un gran danno nell’influenzare suggestivamente il mondo con giudizi pronunciati senza tener conto della loro limitata costellazione.

È con vigore e chiarezza che vanno respinte quelle unilateralità che si vogliono imporre come realtà complessiva.

Il mondo non è spiegabile da parte di un essere umano che abbia una particolare inclinazione per una o per l’altra cosa. E se lo vuole spiegare per tale via, se vuole fondare una filosofia, questa produce effetti nocivi. Con la scienza dello spirito sorge anche il compito di respingere questa arrogante presunzione miope che si spaccia per visione universale. Quanto meno senso e sentimento per la scienza dello spirito sono presenti nel nostro tempo, tanto più forte si manifesterà l’unilateralità di cui abbiamo parlato.

Vediamo allora che proprio la conoscenza della natura del pensiero umano e del pensiero cosmico può condurci al giusto riconoscimento del significato e della missione della scienza dello spirito nel nostro tempo – a vedervi quel che in essa, nel nostro tempo, è in grado di condurre ad un giusto rapporto con altre correnti di pensiero, specialmente filosofiche.

Sarebbe auspicabile che proprio conoscenze come quelle cui abbiamo cercato di accostarci in queste quattro conferenze si inscrivessero profondamente nei cuori e nelle anime dei nostri amici, affinché la corrente culturale della scienza dello spirito conduca nel mondo ad una direzione precisa ed autentica. Se si terrà conto di questo, si riconoscerà sempre meglio che l’uomo viene formato da quel che vive in lui come pensiero cosmico.

Proprio attraverso questa esposizione, un pensiero di Fichte ci appare ancora più profondo di quanto potrebbe altrimenti apparire, laddove egli dice: «La filosofia che uno ha dipende dal tipo di uomo che è.» È vero: la filosofia che uno ha dipende da che tipo di uomo è!

Quel che Fichte, nel primo periodo della sua vita di allora come «Fichte», poté esprimere quale nocciolo della sua concezione del mondo – «Il mondo è il materiale concreto del nostro dovere morale» –, mostra non meno della frase che egli espresse in seguito che la sua anima ha modificato la sua costellazione nel cosmo spirituale. Ciò mostra quale ricchezza quest’anima possedesse, tale che le gerarchie spirituali poterono trasformarla e pensare per sé per tramite suo diversi “pensieri” uno dopo l’altro. Una cosa analoga si può dire, ad esempio, di Nietzsche.

Ponendo davanti all’anima quanto è stato caratterizzato in queste quattro conferenze, sorgono vari aspetti dell’osservazione del mondo. Ma il meglio che possiamo ricavarne è che in tal modo noi scrutiamo sempre più a fondo nella struttura spirituale del mondo – vi scrutiamo anche con profondo sentimento.

Se il presente ciclo di conferenze ottenesse che quante più tra le vostre anime possano dirsi: «Sì, se ci si vuole immergere nel mondo spirituale, vale a dire nel mondo della verità e non in quello dell’errore, occorre veramente mettersi in cammino! Bisogna rendersi conto di tante cose su questa via, per giungere alle sorgenti della verità. E anche se all’inizio dovesse sembrarmi che in qualche punto emerga una contraddizione, che in qualche punto io non sia in grado di comprendere qualcosa, voglio tuttavia dire a me stesso che il mondo non è fatto per essere capito in tutto e per tutto a un qualsiasi gradino di evoluzione della ragione umana: io voglio diventare un viandante, un cercatore, non uno che si pone di fronte al mondo chiedendo sempre e solo “Cosa posso capire?”, “Cosa non posso capire?”»

Se si diventa «cercatori», se ci si mette seriamente sulla via della ricerca, si impara a capire che, per poter ottenere una qualche comprensione del mondo, è necessario raccogliere impulsi provenienti dalle più diverse parti.

Allora si smette di porsi di fronte al mondo chiedendosi: «Capisco o non capisco?», e si continua a cercare senza arrestarsi mai!

I peggiori nemici della verità sono le concezioni del mondo definitive, o che mirano ad esserlo, quelle che imbastendo un paio di pensieri credono di costruire con essi l’edificio del mondo intero.

Il mondo è sconfinato, nella sua qualità e quantità! E sarà una benedizione se si troveranno singole anime che vogliano far chiarezza proprio in relazione all’arrogante unilateralità che vuole spacciarsi per universalismo, unilateralità che si trova dappertutto nel nostro tempo.

È con una stretta al cuore che mi vien fatto di dire: il più grande ostacolo alla conoscenza del fatto che sul cervello viene esercitato un lavoro preparatorio dell’attività pensante, che il cervello diviene così uno specchio che riflette la vita dell’anima – un fatto la cui conoscenza potrebbe gettare una infinita luce su molti altri elementi di fisiologia – il massimo ostacolo alla conoscenza di questo fatto è l’aberrante fisiologia contemporanea, la quale parla di due tipi di nervi, di nervi «motori» e di nervi «sensori».

Ho già toccato questi aspetti in altre conferenze. Per partorire questa dottrina che imperversa ovunque nella fisiologia, come uno spauracchio, davvero la fisiologia dovette prima perdere il ben dell’intelletto. È una dottrina oggi riconosciuta in tutto il mondo quella che si pone ad ostacolo ad ogni vera conoscenza della vera natura del pensiero e dell’anima umana.

Non si può capire il pensiero umano se la fisiologia costituisce un simile ostacolo alla conoscenza del pensiero. Siamo arrivati al punto che oggi una fisiologia cieca viene posta alla base di ogni psicologia e ne determina i contenuti. Così ci si sbarra anche la strada verso la conoscenza del pensare cosmico.

Si può conoscere quel che è il pensare nel mondo solo se prima si è capito come è fatto il pensiero dell’uomo, se si avverte la verità su questo pensiero, che come pensiero ha a che fare con il cervello solo per il fatto di padroneggiarlo.

Una volta che nel proprio pensare umano si è compresa la natura del pensiero, allora ci si sente già inseriti nel mondo. La nostra conoscenza della vera natura del pensare umano si estende anche alla conoscenza della vera natura del pensare cosmico.

Se impariamo a conoscere giustamente come pensiamo, noi uomini impariamo anche a conoscere come veniamo pensati dalle potenze cosmiche. Ci vien dato di gettare uno sguardo sulla logica dell’universo.

I singoli elementi dei “giudizi” delle gerarchie, i loro concetti – ve li ho indicati: essi si trovano nelle dodici costellazioni zodiacali, nelle sette disposizioni d’animo dell’uomo. Gli esseri umani sono “giudizi” del cosmo che procedono dai concetti di esseri divini.

Così ci sentiamo immersi nella logica del mondo, vale a dire realmente “concepiti” cioè concetti in seno alla logica delle gerarchie spirituali. Ci sentiamo anime inserite nel pensare cosmico, come sentiamo inserito nella vita della nostra anima quel piccolo pensiero che noi stessi pensiamo.

Provate a meditare su quest’idea:

«Io penso il mio pensiero».

«Io sono un pensiero pensato dagli Esseri spirituali dell’universo. La mia eternità consiste nel fatto che il loro pensare è qualcosa di eterno. Quando una categoria delle Gerarchie spirituali mi ha pensato fino in fondo mi comunica – così come il maestro comunica il suo pensare allo studente – a un’altra, affinché anche questa possa pensarmi nella mia vera ed eterna natura. Così io vivo nel mondo dei pensieri dell’universo.»

[1] Rudolf Steiner parla a persone che hanno dimestichezza con le basi della scienza dello spirito. In ciò rientra la convinzione che l’universo sia pieno di esseri spirituali, i quali, a seconda dell’estensione della loro coscienza e del tipo di attività, sono distinti «gerarchicamente». In seguito verranno citati gli «spiriti della forma» e gli «spiriti del movimento. Nella traduzione della Bibbia di Martin Lutero essi vengono chiamati Gewalten (Potestà) e Mächte (Virtù). In particolare nella 4a conferenza diviene chiara la relazione tra il pensare umano e le gerarchie angeliche.

[2] Nella sua Scienza occulta nelle sue linee generali Rudolf Steiner descrive quattro gradi di evoluzione della Terra. Al primo gradino il principio evolutivo dominante è dato dalle forze della forma, al secondo dalle forze della vita, al terzo da quelle dell’anima, al quarto da quelle dello spirito. Tramite tale quadruplicità sono sorti via via i regni minerale, vegetale, animale e umano. Ad ogni nuovo grado di sviluppo della Terra, il precedente serve come base per il successivo. Questi quattro gradini vengono chiamati dalla scienza dello spirito «Saturno», «Sole», «Luna» e «Terra».

A proposito di Rudolf Steiner

Rudolf Steiner (1861-1925) ha integrato le moderne scienze naturali con una indagine scientifica del mondo spirituale. La sua antroposofia rappresenta, nella cultura odierna, una sfida unica al superamento del materialismo.

La scienza dello spirito di Steiner non è solo teoria. La sua fecondità si palesa nella capacità di rinnovare i vari ambiti della vita: l’educazione, la medicina, l’arte, la religione, l’agricoltura, fino a prospettare l’idea di una triarticolazione dell’intero organismo sociale che riserva all’ambito della cultura, a quello della politica e a quello dell’economia una reciproca indipendenza.

Fino a oggi Rudolf Steiner è stato ignorato dalla cultura dominante. Questo forse perché molti uomini indietreggiano impauriti di fronte alla scelta che ogni uomo deve fare tra potere e solidarietà, fra denaro e spirito. In questa scelta si manifesta quell’interiore esperienza della libertà che è stata resa possibile a tutti gli uomini a partire da duemila anni fa, e che porta a un crescente discernimento degli spiriti nell’umanità.

La scienza dello spirito di Rudolf Steiner non può essere né un movimento di massa né un fenomeno elitario: da un lato, infatti, solo il singolo individuo, nella sua libertà, può decidere di farla sua; dall’altro questo singolo individuo può mantenere le sue radici in tutti gli strati della società, in tutti i popoli e in tutte le religioni egli sia nato e cresciuto.

Foto di Steiner
Il pensiero nell'uomo... Rudolf Steiner - retro copertina