Cristo e l'anima umana – copertina - fronte

Rudolf Steiner

CRISTO
E L’ANIMA UMANA

Il cuore dell’uomo
alla ricerca dello spirito

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Testo originale tedesco: Rudolf Steiner

Christus und die menschliche Seele

(Archiati Verlag e. K., Monaco 2006).

LEditore e il Redattore

non esercitano diritti sui testi di Rudolf Steiner qui stampati

Traduzione di Silvia Nerini
Revisione di Pietro Archiati

Foto: Rietmann, © Verlag am Goetheanum, Dornach (Svizzera)

ISBN 3-938650-81-8

Archiati Verlag e. K.

Am Berg 6/1 • D-75378 Bad Liebenzell • Germania

www.liberaconoscenza.it

Indice

Prefazione (Pietro Archiati) pag. 9

Quattro conferenze tenute a Norrköping

dal 12 al 16 luglio 1914

1ª conferenza

Volontà, sapienza e amore

Il libero arbitrio e la comprensione del divino come due doni per l’anima

La coscienza offuscata reclama a gran voce la morte del Cristo, l’archetipo dell’uomo

Il popolo ebraico è stato guidato dal Cristo, senza però averlo riconosciuto con piena coscienza

I pagani trovavano il Cristo nei misteri – ma solo pochi eletti e soltanto in uno stato al di fuori del corpo e dell’Io

L’amore è quella forza che rende “immortale” l’anima

2ª conferenza

Come fanno gli ideali a diventare realtà?

Dopo la morte l’anima deve preoccuparsi dei propri ideali se questi non hanno in sé il germe della realtà

Come un poeta porta nella propria anima dopo la morte una cristologia scientifico-spirituale individualizzata

Come un’anima defunta fornisce un contributo concreto alle iniziative artistiche

Gli ideali si realizzano quando vengono affidati al Cristo, lo spirito comune a tutti gli uomini

3ª conferenza

Karma dell’uomo, destino dell’umanità

Come si conciliano la compensazione necessaria nel karma e la remissione cristiana dei peccati?

Le leggi del mondo spirituale sono diverse da quelle del mondo fisico

Le conseguenze soggettive di un’azione devono essere regolate nel karma, mentre il Cristo assume su di sé quelle oggettive

La remissione dei peccati si riferisce alle conseguenze oggettive e presuppone un’intima relazione con il Cristo

4ª conferenza

«Risorgeremo con il nostro corpo!»

Per redimere l’uomo, il Cristo ha dovuto “imparentarsi” con la morte

Il Cristo ha riportato il Verbo e la vita cosmici dalla patria primigenia dell’uomo

La moralità degli uomini produce degli spiriti della Terra (“fantomi”) che restano privi di vita se non entrano in relazione con il Cristo

Il Cristo fa di tutti gli uomini un organismo vivente – a patto che il singolo si senta e viva come membro dell’umanità

Il credente riceve la “remissione dei peccati” operata dal Cristo per mezzo di un suo rappresentante, mentre lo scienziato spirituale la riceve direttamente dal Cristo

Nota redazionale

A proposito di Rudolf Steiner

Prefazione

In ognuna di queste quattro conferenze di Rudolf Steiner il ricercatore spirituale può trovare delle vere e proprie perle, dato che esprimono quanto di più bello e profondo si possa dire a proposito dello Spirito comune all’umanità e alla Terra.

Di contro, oggi già solo l’uso della parola “Cristo” crea imbarazzo in molte persone, provocando spesso un atteggiamento di rifiuto. Non è facile spiegare perché o in che modo ha avuto origine un simile disagio.

Di fronte a questo significativo fatto culturale, le Edizioni Archiati prendono in considerazione l’idea di presentare queste quattro conferenze in due diverse edizioni: una è quella costituita da questo volume, in cui il nome “Cristo” viene ripetuto più e più volte, l’altra, più economica e popolare, in cui la parola “Cristo” – solo la parola, beninteso – viene sostituita da “Logos”. In greco Logos significa “Verbo” e indica lo stesso essere spirituale chiamato “Messia” nella tradizione ebraica e “Cristo” in quella cristiana, che ne è la traduzione letterale. È né più né meno quello che succede in due lingue diverse, dove una chiama “betulla” la betulla e l’altra la chiama “Birke”. Una differenza nella denominazione non produce alcun cambiamento nella realtà oggettiva che definisce. L’effetto dell’elisir di rosa sull’organismo non dipende dal nome della rosa.

Nel periodo precedente a questa pubblicazione, a molte persone e a molti gruppi è stato chiesto di esprimere la propria opinione rispetto a questo progetto. Si sono formati subito due schieramenti: quello degli entusiasti e quello degli inorriditi dalla proposta. I primi ritenevano che sostituendo la parola “Cristo” si sarebbe potuto rendere accessibile il Cristo a molte persone che in fin dei conti sono urtate solo dal vocabolo, dal momento che ne conoscono a malapena il significato oggettivo e sono decisamente aperte nei suoi confronti. Le persone che erano e sono tuttora contrarie hanno manifestato un profondo legame con il “Cristo”, ma in un modo che fa pensare che la sostituzione di quel nome comporti la perdita di tutta la realtà del Cristo.

Proprio quest’ultimo fenomeno mi sembra particolarmente significativo. È comprensibile che chi è cresciuto da “cristiano” colleghi al “Cristo” tutta una serie di idee e soprattutto di sentimenti che affiorano automaticamente nell’animo non appena se ne pronuncia il nome. Nello stesso tempo, spesso per l’interessato è assolutamente irrilevante a quale realtà oggettiva si faccia riferimento con questa parola. Proprio il fatto che molte persone conoscano del Cristo solo il nome, e l’esperienza soggettiva provocata in loro da questo nome, mi sembra la dimostrazione di quanto urgente sia richiamare l’attenzione sulla realtà oggettiva dell’essere cristico e del suo operare spirituale.

Non va sottovalutata la sorpresa provata da molti, che alcuni hanno espresso con le seguenti parole dopo aver letto queste conferenze: «Non avrei mai pensato che la parola ‘Cristo’ potesse significare delle cose così meravigliose, che potesse rappresentare delle realtà umane così universali. Mi domando quanto abbiano capito di tutto ciò quelli che considerano il Cristo come una loro proprietà esclusiva.»

Per stimolare la curiosità del lettore, ecco un breve accenno ad alcune delle “cose meravigliose” riguardo al Logos o al Cristo di cui si tratta in queste conferenze:

Nella prima conferenza si parla tra l’altro dell’amore: al di là del potere divino, il Logos porta l’amore nel mondo degli uomini. Non è attraverso il potere o la sapienza che l’anima umana diviene immortale, ma solo attraverso l’amore.

Nella seconda conferenza viene posta l’importante domanda: com’è possibile realizzare i nostri begli ideali? E la risposta è: se affidiamo i nostri ideali al “Cristo”, lo spirito comune a tutti gli uomini, allora essi prendono ad agire nell’umanità intera in Lui e tramite Lui.

La differenza fatta da Steiner nella terza conferenza può avere l’effetto di una grande liberazione: ogni azione umana ha una duplice serie di conseguenze, l’una nell’interiorità di chi la compie e l’altra nel mondo oggettivo esterno. Le prime conseguenze, quelle “karmiche”, vengono pareggiate nell’ulteriore svolgimento del proprio karma; quelle oggettive, cosmiche, vengono assunte su di sé dal Cristo-Logos se l’uomo gliele affida. Con questa distinzione Steiner crea una base per la riconciliazione fra cristiani e scienziati dello spirito: i primi hanno ragione per quanto concerne la “remissione” mediante il Cristo delle conseguenze oggettive dei peccati; i secondi hanno ragione riguardo al “karma”, tramite il quale ogni singolo uomo deve compensare le conseguenze che derivano dalle sue azioni.

Profondamente cristiano è il discorso sulla risurrezione del corpo nell’ultima conferenza. Invano nei miei studi di teologia ho cercato simili pensieri sulla risurrezione cristiana! È per me un grande dolore dover constatare che al giorno d’oggi moltissime persone, per via del loro rifiuto acritico di tutto ciò che è “cristiano”, si interdicono l’accesso a simili pensieri a cui ogni essere umano anela intimamente con tutte le proprie forze.

Pietro Archiati
nell’estate del 2006

Prima conferenza

Volontà, sapienza e amore

Norrköping, 12 luglio 1914

Miei cari amici!

Gli amici di Norrköping hanno espresso il desiderio che in questa occasione parlassi di un tema che è in relazione con quell’entità che nell’ambito della scienza dello spirito ci tocca da vicino – l’entità del Cristo.

Ho cercato di soddisfare questo desiderio proponendomi di parlare della vita dell’entità cristica nell’anima umana e del significato di tale vita. Proprio affrontando questo tema avremo modo di parlare dal punto di vista scientifico-spirituale di quello che in un certo senso è il significato “più umano” del cristianesimo, quello che ci sta maggiormente a cuore.

In ambito scientifico-spirituale abbiamo una parolina per definire l’anima umana, che non include tutto ciò che significa per noi l’anima umana, ma che in un certo senso colma e pervade l’elemento animico in tutta la sua estensione: la parola “Io”.

In quanto creature terrene, abbiamo un Io, un’egoità che coincide con la nostra anima. Nel momento in cui pronunciamo il nome dell’entità dell’Io ci ricordiamo che con questo nome indichiamo una delle quattro componenti dell’essere umano.

Parliamo di quattro elementi costitutivi dell’uomo: corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io. E ci basta richiamare poche cose alla memoria per trovare dei punti da cui far partire le nostre considerazioni.

Basta pensare che non consideriamo il corpo fisico dell’uomo come se per noi le sue leggi, la sua essenza, fossero riconoscibili da quanto ci offre in un primo momento il nostro ambiente terreno. Sappiamo che a tal scopo dobbiamo risalire a tre incarnazioni precedenti della nostra Terra: quella “saturnina”, quella “solare” e quella “lunare”.

Sappiamo che i tre corpi hanno acquistato il proprio carattere in tempi più che remoti: quello fisico nel corso dell’incarnazione saturnina della nostra Terra, quello eterico durante l’incarnazione solare e quello astrale nel corso dell’incarnazione lunare. E in fondo la nostra evoluzione terrestre in tutte le sue fasi e in tutte le sue epoche non è altro che qualcosa che dà all’Io la possibilità di realizzarsi in tutta la sua pienezza.

Possiamo dire: come al termine dell’evoluzione saturnina, di quella solare e di quella lunare il corpo fisico, il corpo eterico e il corpo astrale erano rispettivamente giunti ad un certo stadio significativo, così alla fine dell’evoluzione terrestre il nostro Io sarà arrivato ad un punto importante del suo sviluppo.

E quando parliamo di evoluzione terrestre ci riferiamo al fatto che il nostro Io si sviluppa attraverso tre componenti animiche: l’anima senziente, l’anima razionale o affettiva e l’anima cosciente. Tutti i mondi racchiusi in questi tre elementi animici hanno qualcosa a che fare anche con il nostro Io.

Sono loro che nel corso della nostra evoluzione terrena si sono preparati dapprima le tre parti esteriori – il corpo fisico, il corpo eterico e il corpo astrale – che evolvono nelle epoche successive al periodo postatlantideo e che nelle epoche terrene future si adegueranno al corpo fisico, a quello eterico e a quello astrale, così che la Terra possa prepararsi a passare a “Giove”.

Possiamo affermare che l’evoluzione terrestre dell’uomo equivale alla sua evoluzione animica. Si può dire: quando è nata la Terra, nell’uomo ha cominciato naturalmente a destarsi anche l’anima. All’inizio si è dedicata agli involucri esterni, dopo di che ha lavorato su se stessa e d’ora in avanti riprenderà a lavorare sugli involucri esterni per preparare l’evoluzione gioviana.

Ora dobbiamo tener presente ciò che l’anima umana deve diventare nell’evoluzione della Terra. L’uomo deve diventare una “personalità”. Questa personalità ha bisogno di quello che viene chiamato libero arbitrio, ma anche della possibilità di trovare dentro di sé la via verso il divino nel mondo. Libero arbitrio da un lato – la possibilità di scegliere fra bene e male, fra bello e brutto, fra vero e falso – e dall’altro una comprensione del divino tale per cui si sappia di esserne liberamente pervasi a livello interiore.

Sono questi i due obiettivi dell’evoluzione dell’anima umana sulla Terra.

Si potrebbe dire che questa evoluzione dell’anima umana abbia ricevuto due doni divini per realizzare i suoi scopi. Un dono divino era destinato a instillare nell’anima umana le forze che portano alla libertà, alla distinzione fra bene e male e così via. E dall’altra parte è stato necessario dare all’uomo un secondo dono divino nel corso della sua evoluzione terrena per porre nell’anima umana il seme che le consentisse di sentirsi unita al divino.

Il primo dono dall’alto è quello che nell’Antico Testamento ci si presenta con l’immagine grandiosa del peccato originale e della tentazione; il secondo è tutto quello che ci appare in ciò che è racchiuso nell’espressione “mistero del Golgota”.

Proprio come nel peccato originale e nella tentazione abbiamo a che fare con ciò che dipende dal libero arbitrio, dalla possibilità del bene e del male, così nel mistero del Golgota abbiamo a che vedere con ciò che permette all’anima umana di ritrovare la via verso il divino, di sapere che al suo interno può risplendere il divino, che può essere pervasa da esso.

Questi due importanti doni divini contengono in un certo senso l’elemento essenziale per l’evoluzione terrena, l’elemento connesso a ciò che l’anima può sperimentare nel profondo, al suo essere e divenire.

In che misura questi due doni sono in relazione con l’essere e il divenire dell’umano, con l’esperienza interiore dell’anima umana?

Cari amici, non voglio fornire una descrizione astratta delle cose che ho da dirvi, ma desidero partire da un’osservazione assolutamente concreta – dalla visione che abbiamo di una certa scena del mistero del Golgota, stando al modo in cui si è impressa nei cuori e negli animi dell’umanità.

Cari amici, supponiamo per un istante di avere nel Cristo Gesù quell’entità che abbiamo spesso descritto nelle nostre considerazioni; immaginiamo che il Cristo Gesù rappresenti per il nostro occhio spirituale ciò che a noi uomini deve apparire come la cosa più importante del mondo.

E poi a questa percezione, a questa sensazione contrapponiamo le urla e la furia della folla scatenata mentre a Gerusalemme ha luogo la condanna prima della crocifissione. Rendiamoci conto che il Sinedrio, il Consiglio supremo di Gerusalemme riteneva di massima importanza chiedere al Cristo Gesù quale fosse il suo rapporto col divino, se si definisse il “Figlio di Dio”. Consideriamo il fatto spirituale che il Consiglio supremo la riteneva la più grande bestemmia che il Cristo avrebbe potuto pronunciare.

Immaginiamo che questa scena storica si presenti ai nostri occhi, che il popolo si scateni e richieda a gran voce la morte del Cristo Gesù. Qual è il significato storico di queste urla e di questa furia? Chiediamoci un po’: che cosa avrebbe dovuto riconoscere il popolo nel Cristo Gesù?

Avrebbe dovuto riconoscere in lui quell’essere che dà senso e significato alla vita terrena. Avrebbe dovuto riconoscere nel Cristo Gesù l’Essere che ha compiuto quell’azione senza la quale l’umanità non può ritrovare la via al divino, così che senza questo Essere la vita dell’uomo non ha senso. Cancellando la realtà del Cristo, il popolo avrebbe dovuto cancellare la parola “uomo” dall’evoluzione della Terra.

Ora immaginiamoci che questa folla si scateni contro e condanni quell’Entità che sola può rendere uomini gli abitanti della Terra. Che cosa significa questo?

Significa che nella sua evoluzione terrena l’umanità a quei tempi era giunta a un punto rispetto al quale si può dire: quelli che allora a Gerusalemme detenevano le conoscenze sulla vera essenza umana non sapevano che cos’è l’uomo e che cosa è chiamato a diventare.

Con ciò viene detto niente di meno che l’umanità era arrivata a un punto in cui si era perduta, in cui condannava quello che le dà senso e significato nell’evoluzione terrena. E nelle grida della folla scatenata potremmo sentire queste parole: «Non vogliamo più essere uomini, vogliamo spingere via da noi ciò che dà significato al nostro essere uomini.»

Cari amici, se teniamo conto di tutto ciò, allora le cose ci appaiono in un modo un po’ diverso rispetto a quello che per esempio secondo il cristianesimo paolino è il rapporto dell’uomo nei confronti del peccato e della colpa.

Paolo sosteneva che durante la sua evoluzione l’uomo è caduto nel peccato e nella colpa, da cui non è in grado di affrancarsi da solo, e che il Cristo ha dovuto venire sulla Terra affinché gli uomini potessero liberarsi dal peccato e dalla colpa e da quanto ad essi è connesso. Questa è la convinzione di Paolo.

Si potrebbe dire: se questa opinione ha bisogno di una prova reale, questa si trova nella furia e nelle grida di coloro che urlavano: «Crocifiggilo!» Da questo grido risulta infatti che gli uomini non sapevano quale dev’essere il loro significato sulla Terra, che la loro evoluzione anteriore era giunta a diffondere le tenebre sul loro essere.

E con questo siamo anche arrivati a quella che potremmo definire la disposizione d’animo per accogliere l’entità cristica. In che cosa consiste questo stato d’animo?

Nel fatto che, grazie alle esperienze che può vivere al proprio interno, l’anima si dice: «Fin dagli inizi della Terra mi sono evoluta in modo da non poter raggiungere la mia meta evolutiva tramite ciò che ho sviluppato dentro di me. Ci dev’essere qualcosa a cui mi possa unire per raggiungere la mia meta evolutiva, ma dove si trova?» Questo sentire è la disposizione d’animo preparatoria alla venuta del Cristo.

E quando l’anima trova quel qualcosa di cui sa che è necessariamente connesso alla sua essenza e che le dà le forze di cui ha bisogno, allora quel qualcosa è il “Cristo” e l’anima sviluppa il proprio rapporto con Lui.

A quel punto l’anima si dice: «Quando la Terra ha avuto origine mi è stata predestinata un’essenza che nel corso dell’evoluzione terrena si è poi oscurata. Se guardo in quest’anima ottenebrata mi mancano le forze per realizzare questa essenza, ma le trovo se rivolgo lo sguardo all’entità cristica.»

Allora quest’anima umana si pone in una specie di rapporto personale con il Cristo; lo cerca e sa che non potrà trovarlo se Egli stesso non si offrirà all’umanità nel corso dell’evoluzione umana, se non si avvicinerà a lei dall’esterno, nel corso degli eventi storici.

Miei cari amici, c’è un padre della Chiesa abbastanza apprezzato da tutti che non ha avuto paura di definire “cristiani” Eraclito, Socrate e Platone, che secondo lui erano cristiani prima ancora che il “cristianesimo” venisse fondato. Perché l’ha fatto?

Sì, cari amici, quelle che oggi si chiamano confessioni religiose oscurano anche parte degli insegnamenti cristiani originari. Eppure lo stesso Agostino ha detto: «In tutte le religioni c’era qualcosa di vero, era il loro ‘elemento cristiano’.» Agostino poteva ancora fare una simile affermazione. Se oggi qualcuno osasse dire la stessa cosa all’interno di una confessione cristiana verrebbe tacciato di eresia.

Arriviamo con grande rapidità a comprendere quello che intendeva dire quel vecchio padre della Chiesa se cerchiamo di immedesimarci nella natura di quelle anime che nei primi secoli dell’era cristiana volevano definire il loro rapporto col Cristo.

Queste non pensavano che prima dell’evento del Golgota il Cristo non avesse avuto alcun legame con la Terra. Il Cristo ha sempre avuto a che fare con l’evoluzione terrestre, solo che con il mistero del Golgota il suo compito, la sua missione rispetto all’evoluzione della Terra è cambiata. Cercare il Cristo nell’evoluzione terrestre solo a partire dal mistero del Golgota non è un atteggiamento cristiano. I veri cristiani sanno che il Cristo ha sempre avuto a che fare con l’evoluzione della Terra.

Cominciamo dirigendo il nostro sguardo sul popolo ebraico: questo popolo conosceva il Cristo?

Cari amici, non sto chiedendo se il popolo ebraico conoscesse il nome del Cristo, se avesse coscienza di tutto quello che sto per dirvi, ma quello che mi interessa è se una persona che davvero capisce il cristianesimo possa dire che l’ebraismo possedeva il Cristo. Sì, cari amici, un qualsiasi individuo può vivere in mezzo ad altre persone che ne vedono la figura pur senza riconoscerne la natura.

Direi che in senso correttamente cristiano l’antico ebraismo possedeva il Cristo, ma non ne ha riconosciuto la natura. Cari amici, è cristiano quanto vi ho appena detto? Lo è nella misura in cui è altresì paolino.

Che cos’era il Cristo per l’antico ebraismo? Nel Vecchio Testamento si dice che quando Mosè condusse gli Ebrei fuori dall’Egitto attraverso il deserto era preceduto di giorno da una colonna di nubi e di notte da una colonna di fuoco, che attraversarono il mare, che le acque si spartirono davanti a loro permettendo il passaggio e che invece si richiusero sopra gli Egiziani, facendoli annegare. Si dice che gli Ebrei brontolavano perché non avevano acqua, e che Mosè si recò presso una roccia e percuotendola con il bastone ne fece scaturire l’acqua che dissetò la sua gente.

Volendo descrivere in modo umanamente comprensibile questa conduzione degli Ebrei da parte di Mosè dovremmo dire: Mosè guidava gli Ebrei mentre lui stesso veniva guidato dal suo dio. Di che dio si trattava?

Cari amici, lasciamo che sia Paolo a rispondere a questa domanda. L’apostolo dice: «Desidero, o fratelli, che voi sappiate bene questo: i nostri padri furono tutti sotto la nube e tutti attraversarono il mare, e tutti, seguendo Mosè, furono battezzati in lui nella nube e nel mare, e tutti mangiarono dello stesso cibo spirituale, e tutti bevettero la stessa bevanda spirituale. Bevevano, infatti, ad una pietra spirituale che li seguiva, e questa pietra era il Cristo.» (1 Corinti 10, 1-4)

Leggiamo in Paolo chi era colui che ha guidato gli Ebrei, ha parlato con Mosè, ha fatto scaturire l’acqua dalla roccia e ha deviato il mare dal percorso degli Ebrei. E chi volesse sostenere che non è cristiano vedere il Cristo nel “Signore” dell’Antico Testamento dovrebbe dire che Paolo non è cristiano.

Miei cari amici, credo che nell’Antico Testamento ci sia un passaggio che crea molte difficoltà ad una riflessione più profonda. Si tratta di un passo che viene girato e rigirato da chi non legge l’Antico Testamento con superficialità e si chiede che significato possa avere. Si tratta del seguente brano:

«E Mosè alzò la mano, percosse la rupe due volte con la verga, e ne sgorgò sì gran quantità d’acqua, che poté bere tutta la comunità e il suo bestiame. Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: ‘Poiché non mi avete creduto capace di santificarmi agli occhi dei figli d’Israele, voi non introdurrete questo popolo nel paese che Io gli ho destinato’.» (Numeri 20, 11-12)

Cari amici, prendete questo passo nel suo contesto all’interno dell’Antico Testamento. Il “Signore” ordina a Mosè di percuotere la roccia con la sua verga e l’acqua comincia a sgorgare. Tutto avviene secondo gli ordini del Signore. E subito dopo ci viene detto che il Signore “rimprovera” Mosè di non aver creduto in lui. Che cosa significa?

È difficile capire questo passo, poiché dietro vi si cela un importante segreto: colui che ha guidato Mosè, gli è apparso nel roveto ardente, l’ha condotto attraverso il deserto e gli ha consentito di far scaturire l’acqua dalla roccia era “il Signore”, il Cristo. Ma non era ancora giunto il suo tempo. Lo stesso Mosè non l’ha riconosciuto, l’ha scambiato per un altro. Questo vuol dire che Mosè “non ha creduto” in colui che gli ha ordinato di percuotere la pietra con il bastone.

Com’è apparso il Signore, il Cristo, al popolo ebraico? L’abbiamo sentito: di giorno in una colonna d’acqua, di notte in una colonna di fuoco. Agiva nel dividere le acque per la loro salvezza, nei fenomeni delle nubi e del fuoco. Eppure gli antichi Ebrei non hanno mai compreso che colui che si manifestava nelle colonne di nubi e di fuoco operando miracoli appare nella propria forma più peculiare anche nell’anima umana. Come mai?

Perché, per via della dinamica che aveva portato l’evoluzione dell’umanità sulla Terra, l’anima umana aveva perso le forze necessarie per comprendere la propria essenza più profonda. Per questo l’anima ebraica poteva guardare nella natura, lasciare che le meraviglie degli eventi naturali agissero su di lei, intuendo ovunque la presenza del suo dio, il Signore. Ma per come era costituita, non poteva coglierne direttamente la presenza nella propria interiorità.

Ecco allora che nell’Antico Testamento abbiamo all’opera il Cristo, ma senza che gli uomini lo riconoscano.

E come agisce? Cari amici, non vediamo come opera nel Vecchio Testamento? La cosa più importante che Mosè doveva trasmettere al suo popolo per bocca di Jahwe erano i Dieci Comandamenti, e li ha ricevuti dalla forza degli elementi mediante i quali Jahwe gli parlava.

Mosè non è sceso nelle profondità della propria anima, non si è chiesto in meditazione solitaria in che modo Dio parlasse nel suo cuore. È salito sulla montagna e là gli si è rivelata la volontà divina.

Volontà – questo è il carattere fondamentale dell’Antico Testamento, che ha sempre richiesto la sottomissione degli uomini a questa volontà.

Supponiamo di poter riassumere l’evento con queste parole: agli uomini è stato manifestato il volere del Signore, ma essi non l’hanno riconosciuto in modo da metterlo in relazione con la loro anima umana.

E adesso spostiamo la nostra attenzione dagli Ebrei ai pagani. I pagani avevano il Cristo? È cristiano dire che anche i pagani avevano il Cristo?

Cari amici, i pagani avevano i loro misteri. Gli iniziati ai misteri venivano portati in uno stato in cui l’anima usciva dal corpo, in cui il legame fra corpo e anima veniva sciolto. Allora l’anima nel mondo spirituale entrava in contatto con i segreti dell’esistenza. Molte cose erano connesse a questi misteri, negli iniziati affioravano diverse conoscenze.

Ma se si va a verificare qual è l’elemento sommo che il discepolo dei misteri poteva recepire, si vede che si tratta del fatto di poter giungere al cospetto del “Cristo” al di fuori del corpo, come Mosè è stato messo di fronte al Cristo presso la roccia. Il Cristo esisteva anche per i pagani, ma per loro era presente solo nei misteri, si rivelava solo quando l’anima usciva dal corpo. E benché i pagani, proprio come gli Ebrei, non abbiano riconosciuto in quanto “Cristo” quell’entità di cui abbiamo appena parlato, il Cristo esisteva anche per loro.

Si può dire che i misteri erano creati apposta per i pagani. Ad essi poteva accedere solo chi era pronto e maturo. Il Cristo agiva nel mondo pagano attraverso questi discepoli dei misteri. Perché agiva in questo modo?

Agiva così perché l’anima umana aveva perso quelle forze necessarie per comprendere la propria vera essenza. Allora questa vera essenza doveva rivelarsi all’anima quando questa era libera dai vincoli che la legavano all’umanità, vale a dire quando era libera dal corpo. A quei tempi il Cristo doveva guidare gli uomini in modo che nei misteri venissero per così dire spogliati della loro umanità.

Il Cristo esisteva così anche per i pagani, li guidava nelle scuole misteriche, ma non dappertutto l’anima umana avrebbe potuto dirsi: «Se sviluppo le mie forze scoprirò il significato della Terra.» Queste forze erano state spinte in regioni troppo profonde dell’anima.

Se lasciamo agire sulla nostra anima ciò che veniva dato al discepolo dei misteri, vediamo che si tratta di sapienza.

All’Ebreo veniva data la volontà attraverso la legge.

Al discepolo pagano veniva data la sapienza (attraverso i misteri).

Se osserviamo questa sapienza pagana, possiamo riassumerla con queste parole: se non era un discepolo dei misteri, l’uomo non poteva riconoscere come tale il proprio dio tramite la sapienza.

Attraverso la sapienza la divinità poteva rivelarsi agli uomini altrettanto poco che attraverso la volontà.

C’è una frase che riecheggia meravigliosamente per tutta l’antichità greca come una potente esortazione all’umanità. Ma questa frase si trovava all’ingresso del tempio di Apollo, di un luogo quindi consacrato ai misteri: «Conosci te stesso!» Che cosa vuol dire?

Vuol dire che finché l’uomo in quanto tale restava quello che era diventato fin dai primordi della Terra, non avrebbe potuto conoscere se stesso, che per farlo avrebbe dovuto sciogliere i legami fra corpo e anima.

Così anche questa frase ci indica che per gli uomini era subentrato l’oscuramento, che la divinità non era raggiungibile nemmeno attraverso la sapienza, nella stessa misura in cui non poteva rivelarsi direttamente come volontà.

Nel processo storico l’anima umana è in una situazione tale per cui neppure Mosè riconosce colui che lo guida.

E osservando i pagani vediamo che la richiesta «conosci te stesso!» poteva essere soddisfatta solo nei misteri.

Sentiamo risuonare queste parole: «Non è con la volontà e non è con la sapienza che si può conoscere Dio». E con che cosa allora?

Abbiamo spesso caratterizzato il momento in cui il Cristo ha fatto il proprio ingresso nell’evoluzione dell’umanità. Ora vogliamo esaminare attentamente il significato dell’affermazione secondo la quale il divino non poteva essere svelato né dalla volontà né dalla sapienza. Che cosa significa questa affermazione?

Cari amici, si parla di vari rapporti fra l’umano e il divino, e quando lo si fa non si parla del significato dell’umano nel divino. Se ne parla in un modo che spesso non permette di distinguere fra il rapporto che ha l’uomo col divino e quello che ha una qualsiasi altra creatura terrestre.

Ancor oggi vediamo che i filosofi vogliono innalzarsi al divino per mezzo della pura filosofia, ma non è con la pura filosofia che si può raggiungere il divino. Certo, con essa si arriva a sapere che nel mondo regna il divino e che dopo la morte l’anima umana sarà in qualche modo unita all’universo. Ma con la pura filosofia non si può capire come l’anima umana dovrà essere unita all’universo. Perché no?

In base alle considerazioni odierne potrete dirvi: ciò che si rivela all’uomo nella sua essenza fra nascita e morte è troppo debole per poter percepire qualcosa che vada oltre la vita terrena e conduca al divino.

Proviamo un po’ ad esaminare il significato dell’immortalità.

Oggigiorno molti uomini non conoscono più il significato dell’immortalità. Parlano di immortalità anche quando dopo la morte l’uomo trova un posto qualsiasi nell’universo. Ma questo succede ad ogni creatura: il cristallo che si scioglie va a finire nell’universo; la pianta che appassisce viene assorbita dall’universo, come pure l’animale che muore.

Ma per l’uomo le cose stanno diversamente! L’immortalità ha senso solo per l’uomo che può portare la propria coscienza oltre le porte della morte. Pensate a un’anima umana “immortale” che sia incosciente dopo la morte. Una simile “immortalità” non avrebbe il benché minimo senso. Se vuol parlare della propria immortalità, l’anima umana deve poter attraversare con coscienza la morte!

Ma così com’è oggi unita al corpo, l’anima non può trovare nulla dentro di sé di cui possa dire che se lo porterà consapevolmente attraverso la morte. La coscienza dell’uomo d’oggi è infatti racchiusa fra la nascita e la morte, arriva solo fino alla morte.

In questa coscienza riluce per esempio la volontà divina. Leggete nel Libro di Giobbe se questo bagliore ha potuto indurre l’uomo a risvegliare la propria coscienza e a tirar fuori quelle forze interiori necessarie per dire: «Attraverso con coscienza le porte della morte.»

Oh, quanto ci impressiona quella frase rivolta a Giobbe: «Impreca a Dio, e muori!» (Giobbe, 2,9) Vediamo che l’uomo non è affatto sicuro di attraversare le porte della morte mantenendo desta la coscienza.

E se a questa frase accostiamo quella che ci mostra la paura della morte che provava l’anima del Greco: «Meglio essere un mendicante sulla Terra che un re nel regno delle ombre» (cfr. Odissea 11, 488-91), troviamo anche nel paganesimo la prova di quanto gli uomini fossero diventati incerti sul senso dell’immortalità.

E quanto insicuri sono ancor oggi gli uomini che dicono che l’uomo si dissolve nell’universo, che finisce per unirsi a un qualche essere universale! Tutti questi non prestano alcuna attenzione a quello che l’anima deve attribuirsi per essere davvero immortale.

Cari amici, ci basta pronunciare una sola parola per capire qual è il rapporto che l’uomo deve avere con la propria immortalità: la parola “amore”. E adesso possiamo mettere in relazione il contenuto della parola amore con tutto quello che abbiamo detto a proposito dell’immortalità.

L’amore non è qualcosa che ci procuriamo con la volontà o con la sapienza. L’amore risiede nella regione dei sentimenti.

Dobbiamo tuttavia ammettere che in quanto anima umana non possiamo essere come dovremmo se quest’anima non sa colmarsi di amore. Sì, se si penetra nell’essenza dell’anima ci si rende conto che le cose stanno così.

Ma ora, cari amici, immaginiamo di attraversare le porte della morte in modo da perdere la nostra individualità umana e fonderci con una “divinità universale”. Allora saremmo all’interno della divinità stessa e non potremmo più amare Dio!

Dobbiamo ammettere che non potremmo portare la nostra individualità attraverso la morte se nella morte perdessimo l’amore. L’individualità dovrebbe finire nel momento in cui ha fine l’amore. Un essere può amarne un altro solo se questo è separato da lui. Se dobbiamo amare la divinità dobbiamo poter portare con noi anche dopo la morte ciò che accende in noi l’amore.

Miei cari amici, affinché l’uomo capisca il significato della Terra deve ricevere informazioni sulla propria immortalità che gli permettano di vedersi inscindibilmente legato all’amore.

Non sono dunque la volontà e la sapienza che possono dare all’uomo ciò di cui ha bisogno, solo l’amore glielo può dare.

Ma che cosa è stato oscurato a proposito della Terra nel corso del processo evolutivo? Prendiamo i pagani o gli Ebrei: è stata oscurata la coscienza di ciò che avviene dopo la morte. Abbiamo coscienza nel periodo compreso fra la nascita e la morte, ma oscurità al di fuori di quest’arco di tempo – della coscienza che c’è all’interno della vita terrena dopo la morte non rimane niente!

Il «conosci te stesso!» all’ingresso del santuario greco era la sua più sacra esortazione all’umanità. Ma gli uomini possono rispondersi solo in questo modo: «Sì, se con la mia anima resto unito al mio corpo come nella vita terrena, non posso riconoscermi in quell’individualità in grado di amare anche dopo la morte. Non mi è possibile farlo.»

La consapevolezza di poter amare come individualità anche oltre la morte, ecco che cos’era andato perduto agli uomini.

La morte non è la fine del corpo fisico – solo il materialista può fare un’affermazione del genere. Provate a pensare: se gli uomini sapessero di attraversare la morte con coscienza con la stessa certezza che hanno riguardo al fatto che domani sorgerà il sole, allora per loro la morte non costituirebbe un tormento, allora saprebbero che è solo un fenomeno relativo al corpo che porta all’assunzione di un’altra forma.

Anche per Paolo la morte non rappresenta la fine del corpo fisico, bensì il fatto che la coscienza caduta dura solo fino alla morte. In tutti i punti in cui Paolo parla della morte possiamo aggiungere: mancanza di coscienza dopo la morte.

Che cos’ha dato allora agli uomini il mistero del Golgota? Era accompagnato da una serie di eventi naturali, da una colonna di nubi o da una colonna di fuoco? No, agli uomini è apparso solo un uomo, il Cristo Gesù. Con il mistero del Golgota è forse accaduto che le acque di un mare si dividessero per lasciar passare il popolo di Dio? No, c’era soltanto un uomo che faceva camminare i paralitici e ridava la vista ai ciechi. Tutto questo si sprigionava da un uomo!

L’Ebreo aveva dovuto osservare la natura per conoscere il suo Signore divino. Ora era possibile vedere un uomo, di un uomo si poteva dire che albergava in sé il divino.

Il pagano aveva dovuto essere iniziato, aveva dovuto far uscire l’anima dal corpo per poter stare al cospetto del Cristo; non era in grado di trovare il Cristo sulla Terra, poteva solo sapere che Egli è al di fuori della Terra. Ma quello che era al di fuori della Terra è venuto sulla Terra, assumendo un corpo umano: nel Cristo Gesù in quanto uomo davanti agli uomini c’è quell’entità che di solito nei misteri si trovava di fronte all’anima uscita dal corpo.

E che cosa ha compiuto il mistero del Golgota? Cari amici, il mistero del Golgota ha fatto sì che riprendessero a tornare all’uomo le forze che erano andate perdute nel corso dell’evoluzione terrena e che gli garantiscono l’immortalità.

Grazie al superamento della morte avvenuto sul Golgota, sono sorte le forze in grado di ravvivare nell’anima umana quelle forze che erano andate perdute.

E da quel momento il percorso evolutivo dell’uomo sulla Terra sarà tale per cui, accogliendo sempre più il Cristo, egli scoprirà dentro di sé ciò che può continuare ad amare anche dopo la morte, cioè potrà stare di fronte al proprio Dio come individualità immortale.

Per questo è solo con il cristianesimo che si è realizzato il comandamento: «Ama Dio al di sopra di tutto e ama il tuo prossimo come te stesso».

La volontà è stata data per mezzo del roveto ardente e dei comandamenti;

la sapienza veniva data nei misteri;

ma l’amore è stato dato quando il dio si è fatto uomo nel Cristo Gesù.

E il mistero del Golgota fornisce la garanzia che, grazie alle forze riacquisite dalla nostra anima, è possibile creare una comunione d’amore fra l’uomo e Dio e fra tutti gli uomini. Nel mistero del Golgota l’anima umana ha ritrovato quello che aveva perduto fin dagli inizi della Terra.

Le sue forze si erano indebolite sempre più. Nelle tre regioni dell’anima umana ci sono tre forze: volontà, sapienza e amore. Nell’amore l’anima fa l’esperienza del suo rapporto col Cristo.

Oggi, cari amici, l’ho voluto presentare al vostro occhio spirituale da una particolare angolazione. Quello che oggi è sembrato aforistico troverà il proprio contesto nelle considerazioni dei prossimi giorni.

Credo comunque che possiamo imprimere profondamente nelle nostre anime quanto segue: un progresso nella conoscenza del Cristo costituisce una reale conquista per l’anima umana e, se prendiamo in considerazione il rapporto fra l’anima umana e il Cristo, ci rendiamo conto di come prima del mistero del Golgota fra l’anima umana e il Cristo ci fosse una specie di membrana che è stata lacerata dal mistero del Golgota. Possiamo quindi dirci a ragione: «Per mezzo della sua morte è entrata nella vita terrena un’entità cosmica. Un’entità ultraterrena si è unita alla Terra.»

Cari amici, permettetemi ancora un’osservazione che desidero condividere anche con voi.

Le accuse rivolteci dagli avversari della nostra scienza dello spirito si fanno sempre più forti. Questi oppositori non hanno molta ragione di combattere, eppure ci sono.

Riflettete su una frase che negli ultimi giorni è stata ripetuta anche qui, espressa da un altro punto di vista. Mi riferisco alla domanda se il parlare del Cristo come di un essere “cosmico” abbia qualcosa di non cristiano. Sì, è stato detto che non è cristiano parlare di un principio cosmico, di un’entità cosmica, mentre l’umanità ha fatto suo proprio quello che i Vangeli raccontano sull’aspetto umano di Gesù.

Le persone che affermano questo si ritengono quanto mai cristiane, ma molti che si ritengono molto cristiani non si accorgono di offendere continuamente il vero spirito del cristianesimo. È stato detto: «Così come ci appare, senza tenerne in considerazione l’aspetto cosmico, il Cristo vivrà nell’anima umana finché esisterà la Terra.» Non si nota come una simile affermazione sia tutt’altro che evangelica.

È davvero una posizione cristiana quella che ci taccia di eresia, che trova il nostro cristianesimo, o meglio la nostra scienza dello spirito, dubbia dal punto di vista cristiano? In questa posizione non c’è più il vero cristianesimo, non solo nei concetti, ma anche negli atteggiamenti dell’anima, altrimenti non si scriverebbe affatto una frase di questo genere. Chi infatti scrive: «Finché esisterà la Terra» il Cristo a cui ci riferiamo vivrà nei cuori degli uomini, ha dimenticato le parole del Vangelo: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.»

Qui, cari amici, il Cristo viene presentato come entità cosmica! E chi mette in atto questa frase parla in modo cristiano, parla di quel cristianesimo che non è solo nei libri, ma anche nelle stelle. Dobbiamo di tanto in tanto intenderci sullo spirito che anima certi nostri avversari.

Nei prossimi giorni parleremo di quello che l’anima umana può sperimentare con il proprio Cristo.

Seconda conferenza

Come fanno gli ideali
a diventare realtà?

Norrköping, 14 luglio 1914

Miei cari amici, quando viviamo di giorno e sappiamo cosa dobbiamo al sole per questa giornata, come le nostre occupazioni dipendano dalla luce del sole, non pensiamo al fatto che questo godimento della luce solare, la soddisfazione che proviamo alla luce del sole, siano inconsciamente pervasi dalla nostra consapevolezza che la mattina dopo il sole sorgerà di nuovo.

È un piccolo esempio di come nella nostra anima regni una fiducia nella realtà costante dell’ordine cosmico. Forse non sempre ce ne rendiamo conto, ma se interrogati risponderemmo sicuramente in questo senso.

Ci dedichiamo al nostro lavoro perché siamo sicuri di coglierne poi i frutti. Dirigiamo lo sguardo alla vegetazione della Terra, ci meravigliamo di tutto quello che ci offre quest’anno, ci nutriamo dei suoi frutti. Siamo certi che dai germogli di quest’anno nasceranno i frutti e gli ortaggi del prossimo.

E se ci chiedessero come mai viviamo così, risponderemmo: «Ci sembra che la realtà dell’ordine cosmico sia garantita. Questa realtà ci assicura che i semi matureranno anche nel regno della realtà.»

Ma, cari amici, c’è qualcosa per cui abbiamo bisogno di una rassicurazione quando pensiamo alla garanzia fornita dalla realtà. E si tratta di qualcosa che rappresenta una sicurezza particolarmente importante per la nostra vita animica. Una sola espressione ci mostra subito come in noi vi sia qualcosa per cui abbiamo bisogno di una simile garanzia, poiché non la contiene per l’uomo che pensa e sente in modo reale. Questa espressione è “i nostri ideali”.

Cari amici, quante cose sono racchiuse in questa espressione: i nostri ideali! I nostri ideali appartengono a ciò che per la nostra anima è importante nella realtà esterna, se noi abbiamo un pensare e un sentire più elevato. Sono ciò che infiamma interiormente la nostra anima, che le rende la vita preziosa e cara.

E se osserviamo quello che ci garantisce la realtà della vita, spesso veniamo oppressi dal pensiero: ma questa realtà contiene qualcosa che ci garantisca la cosa più preziosa della vita, la realizzazione dei nostri ideali?

Innumerevoli conflitti dell’anima umana nascono dal fatto che gli uomini dubitano della possibilità di realizzare quello a cui vorrebbero aderire con ogni fibra della loro anima – i loro ideali! E se guardiamo senza pregiudizi il mondo fisico, troveremo moltissime anime umane che attraversano le lotte interiori più aspre e impetuose per non aver raggiunto quello che ritengono prezioso in senso ideale.

Dalla realtà esterna dell’evoluzione infatti non possiamo essere sicuri che i nostri ideali si riveleranno i germogli di una realtà futura, mentre per esempio dai germogli delle piante di quest’anno possiamo sapere con certezza come sarà la vegetazione del prossimo. Sappiamo che i germogli delle piante portano in sé quello che maturerà l’anno venturo.

Se spostiamo l’attenzione sui nostri ideali, vediamo che possiamo nutrire nella nostra anima la convinzione che essi abbiano valore e significato per la vita, ma una vera e propria sicurezza rispetto ad essi non la possiamo avere. Pur desiderando che essi diventino un seme per il futuro, spesso vediamo che la nostra anima con il suo idealismo si trova in una situazione disperata.

Passiamo dal mondo fisico a quello di ciò che è nascosto e misterioso, al mondo della spiritualità. Chi è diventato scienziato spirituale fa la conoscenza delle anime che vivono nell’arco di tempo compreso fra la morte e una nuova nascita. Ed è importante dirigere lo sguardo su quelle anime che erano piene di grandi ideali, ideali scaturiti dal fuoco e dalla luce del loro cuore.

Quando l’uomo ha attraversato le porte della morte e ha davanti a sé il ben noto affresco della sua vita, vi vede inserito anche il mondo dei suoi ideali. Ma questo mondo degli ideali può manifestarsi all’uomo in modo da suscitargli dopo la morte dei sentimenti che possono essere espressi con queste parole: «Sì, questi ideali che hanno infiammato e illuminato nel più profondo il mio cuore, che ho considerato il bene più prezioso del mio cuore, ora mi appaiono del tutto estranei! È come se non appartenessero davvero alle esperienze fatte nel mondo fisico di cui mi ricordo.»

Eppure il defunto si sente ancora attratto magneticamente da questi ideali, come incantato da essi. Ma questi possono avere qualcosa che lo colma di una sorta di lieve spavento, qualcosa che può diventare pericoloso per lui, che lo può estraniare dall’evoluzione terrena sia durante la vita sulla Terra che durante il periodo fra la morte e una nuova nascita.

Per esprimermi chiaramente, cari amici, desidero allacciarmi ad esperienze concrete, già note ad alcuni degli amici, ma che stasera voglio di nuovo analizzare da una certa angolazione.

Cari amici, in questi ultimi anni si era unita a noi una natura poetica (Christian Morgenstern). Quest’uomo è entrato nel nostro movimento scientifico-spirituale avendo alle spalle una vita dedita al più puro idealismo e nel periodo precedente aveva approfondito l’esperienza mistica. Malgrado la sua anima dimorasse in un corpo fragile e malandato, si era consacrato pienamente al nostro movimento. Nella primavera di quest’anno ha abbandonato questo mondo per attraversare la soglia della morte. Ha lasciato all’umanità una serie di meravigliose poesie, pubblicate di recente.

In un certo senso le difficoltà legate alle sue condizioni fisiche l’hanno tenuto lontano per molto tempo dal nostro movimento scientifico-spirituale, a cui è però rimasto sempre fedele. Le sue poesie sono per così dire il riflesso poetico di quello che noi abbiamo elaborato per più di un decennio a livello scientifico-spirituale. Ora ha attraversato le porte della morte e dall’osservazione occulta dell’anima di quest’uomo emerge qualcosa di singolare.

Ciò che quest’anima ha assorbito mentre contribuiva fedelmente allo sviluppo del movimento scientifico-spirituale ha incrementato grandi forze sotto la superficie di quel corpo che andava a poco a poco disfacendosi. Quel corpo che andava verso la morte l’ha nascosto finché l’anima ha abitato in lui. E adesso che è morto risplendono all’improvviso i contenuti della vita assorbiti da quest’anima; e la nube in cui vive il nostro amico dopo aver varcato le porte della morte è come un possente affresco cosmico.

È facile dire che l’osservatore scientifico-spirituale è in grado di far vagare lo sguardo nelle vaste distese del mondo cosmico-fisico. Ma è diverso fare questo e nel contempo vedere quello che si manifesta di solito nel mondo spirituale emergere separatamente da un’anima umana particolare, come in un possente affresco. Quando si vede riflesso in una visione nell’anima di un uomo quello che di solito si vede nella realtà spirituale, è come avere il mondo fisico davanti agli occhi e vederlo poi riflesso in un magnifico dipinto di Raffaello o di Michelangelo. Un tale affresco animico costituisce un arricchimento infinito.

Si può dire, cari amici, che si impara infinitamente di più di quanto si faccia osservando direttamente la realtà spirituale se si ha di fronte l’amico defunto che dopo la morte racchiude nella propria anima un riflesso degli elementi del mondo spirituale descritti per anni.

Questo, miei cari amici, è un dato di fatto scientifico-spirituale che ho già illustrato più volte ai nostri amici in altri luoghi. Il modo in cui si è manifestato mi ha mostrato anche qualcos’altro.

Vedendo quanta resistenza incontrano oggi gli insegnamenti scientifico-spirituali ci si può forse domandare – non dico dubitare, ma porsi la domanda: «Che sviluppo troverà nell’anima umana, nel cuore umano, questa dottrina spirituale? C’è una garanzia che quanto conquistiamo oggi nella nostra cerchia continui ad agire nel corso dell’evoluzione dell’umanità?»

La contemplazione di quel che è diventata l’anima del nostro amico scomparso ci fornisce una simile garanzia dal mondo spirituale. Perché?

Il nostro amico, che ci ha lasciato poesie raccolte in Trovammo un sentiero, vive nel possente affresco cosmico che è per lui una specie di corpo animico dopo la morte. All’interno della nostra corrente scientifico-spirituale ha accolto quello che abbiamo avuto da dire sul Cristo. E mentre univa alla sua anima questo insegnamento scientifico-spirituale al punto che esso ne è diventato davvero parte integrante, l’ha assorbito dentro di sé in modo che per lui contenesse il Cristo come sostanza. Il Cristo così come vive nel nostro movimento è per così dire entrato nella sua anima.

Ed ora cari amici, dall’osservazione del dato di fatto spirituale risulta quanto segue. L’uomo che attraversa le porte della morte può vivere in un affresco cosmico di questo genere, che lo accompagnerà nella vita compresa fra la morte e una nuova nascita. Questo agirà in tutto il suo essere, incorporerà tutto il suo essere, lo ingloberà, e permeerà tutta la sua prossima vita terrena. Contribuirà inoltre al fatto che una tale anima assuma un germoglio di perfezione per la propria vita e progredisca nell’evoluzione dell’esistenza terrena. Tutto per il fatto che una simile anima ha assorbito quello che abbiamo descritto.

Ma ora quest’anima ha assorbito tutto questo, imbevuto e pervaso dalle idee che ci possiamo formare sull’Essere cristico. E per questo motivo ciò che è stato assorbito da un’anima di tal natura non è semplicemente un bene che le serve per continuare ad evolvere, ma un bene che agisce attraverso il Cristo che appartiene a tutta l’umanità. E quell’affresco dell’anima, cari amici, così “cristianizzato” come si presenta, è per me la garanzia che ciò di cui possiamo parlare oggi scenderà grazie all’amore del Cristo dai mondi spirituali per illuminare le anime che verranno successivamente. Le anime che vivranno nei prossimi secoli, in cui risplenderà ciò che è pervaso di energia cristica, ne verranno cristianizzate e ispirate.

Le vostre anime possono non solo prendere per sé ciò che ricevono dalla scienza dello spirito come il migliore dei beni, ma possono anche portarlo con sé nel corso dell’evoluzione. Se lo cristianizzeranno, fluirà, poiché il Cristo è l’essere che appartiene all’umanità intera, come un seme posto all’interno di tutto il genere umano. Laddove c’è il Cristo, i beni della vita non si disperdono. Restano fecondi per il singolo, ma nello stesso tempo assumono il carattere di un seme per tutta l’umanità. È questo che dobbiamo precisare all’anima, e allora vedremo che differenza significativa esiste fra l’assorbire una sapienza non cristificata e l’assimilarne una pervasa dalla luce del Cristo.

Cari amici, ritornando al campo della nostra ristretta comunità, non siamo qui per fare osservazioni astratte, ma per vivere senza paura la vera scienza dello spirito nonostante il mondo d’oggi sia contrario ad essa. Perciò in questa sede possiamo accennare anche alle cose che possiamo conoscere solo mediante la ricerca spirituale.

C’è un secondo caso che va citato, cari amici. Negli anni scorsi siamo stati indotti a rappresentare a Monaco quelli che chiamiamo “drammi misteriosofici”. Anche quello che sto per raccontarvi l’ho già comunicato da un certo punto di vista ad alcuni amici. In queste rappresentazioni misteriche andavano fatte alcune cose in modo diverso rispetto alle altre rappresentazioni. In un certo senso andava sentita la responsabilità nei confronti del mondo spirituale; non ci si poteva accostare a queste rappresentazioni misteriche come ad uno spettacolo teatrale qualsiasi.

Certo, quanto viene fatto in un caso simile deve scaturire dalle proprie forze animiche. Ma, cari amici, rendiamoci conto che anche nella vita fisica, quando la volontà della nostra anima decide di fare l’una o l’altra cosa, abbiamo bisogno di servirci anche della nostra forza muscolare, che ci appartiene pur provenendo dall’esterno. In un certo senso la forza muscolare ci appartiene e non ci appartiene nello stesso tempo.

Lo stesso vale per le nostre facoltà intellettuali, solo che quando le vogliamo impiegare in ambito spirituale non sono le forze fisiche e muscolari ad aiutarci, ma quelle del mondo spirituale. Allora dobbiamo farci attraversare e penetrare dalle forze che dal mondo spirituale si introducono in quello fisico.

E in verità altri progetti analoghi ai nostri drammi misteriosofici di Monaco possono cominciare con una coscienza diversa, ma per me era chiaro che la cosa può essere messa in scena e le varie iniziative possono essere prese solo se nelle nostre forze umane fluiscono delle forze spirituali che vanno in questa direzione, se certe forze di “angeli custodi” scorrono all’interno delle nostre forze umane.

È stato proprio agli inizi, quando abbiamo cominciato a lavorare a livello scientifico-spirituale – nei primi anni di questo secolo – in una cerchia ancora ristretta. Era un gruppo ancora molto piccolo, ma per breve tempo al suo interno c’è stata un’amica fedele (Maria Spettini), che il karma aveva dotato di un particolare talento per la bellezza e l’arte. Quest’anima lavorava in mezzo a noi con fervore e con un sereno fuoco interiore, assorbendo in particolar modo gli insegnamenti che potevano essere impartiti sui nessi cosmologici in ambito scientifico-spirituale. E ancor oggi so come a quei tempi per esempio si presentò alla mia anima un fatto che avrebbe potuto sembrare insignificante ma che può essere citato in questa sede.

Agli inizi del nostro movimento scientifico-spirituale, nacque anche una rivista, chiamata Luzifer in base ad una scelta ben ponderata. Io scrissi un articolo intitolato “Luzifer”, un articolo che quantomeno in nuce doveva contenere i criteri di massima secondo i quali intendevamo lavorare. Posso ben dire che in quell’articolo, pur non essendo espresse a parole, erano già presenti quelle linee guida all’interno delle quali deve stare la nostra società, prima teosofica e ora antroposofica. E posso affermare che anche quell’articolo è “imbevuto di spirito cristiano”. Se lo si accetta, si accetta il sangue di vita cristiano.

Oggi, cari amici, posso accennare al fatto che a quei tempi quell’articolo ha incontrato la fiera opposizione dei pochi che, usciti dal vecchio movimento teosofico, si erano uniti a noi. Lo si riteneva qualcosa di assolutamente “non teosofico”. Solo la persona di cui vi stavo parlando ha sostenuto quell’articolo con tutto il suo cuore, con il più profondo fervore. Ed io ho potuto dire a me stesso: se ciò che conta è la verità, questa approvazione di uno solo conta più dell’opposizione dei tanti per il progresso del movimento scientifico-spirituale.

In poche parole, quell’anima era pienamente connessa con quello che doveva confluire nella nostra corrente scientifico-spirituale. È scomparsa presto, già nel 1904 ha varcato le porte della morte. Dopo la morte le ci è voluto un po’ di tempo per trovare nel mondo spirituale la sua vera essenza. E non ancora nel 1907, ma a partire dai nostri drammi misteriosofici del 1909 e sempre più col passar del tempo, quest’anima ha accompagnato, con la sua azione protettrice e chiarificatrice, quello che ho potuto realizzare per i nostri festival di Monaco. Ciò che ci poteva dare per la realizzazione artistica delle nostre idee scientifico-spirituali agiva dal mondo spirituale in modo da fornirci la forza di intraprendere le iniziative necessarie.

È così che i morti lavorano con noi, sono insieme a noi. Ma questo era un caso – e adesso arriva la nota di cui devo parlare oggi – in cui quello che la persona in questione ha assimilato dalla frequentazione della nostra cerchia scientifico-spirituale non ha solo contribuito visibilmente al suo progresso individuale, ma è rifluito a noi in qualcosa che abbiamo potuto fare per tutto il movimento scientifico-spirituale.

C’erano due possibilità: una consisteva nel fatto che quella persona avesse assimilato quello che poteva, che questo fosse entrato nella sua anima e che lei l’avesse potuto usare a suo esclusivo vantaggio nel corso della sua vita, anche in quella dopo la morte. Ciò va bene, poiché per raggiungere la loro meta divina, per diventare sempre più perfetti, gli uomini devono fare tutto ciò che può contribuire alla loro propria perfezione.

Ma poiché quell’anima aveva anche accolto in sé lo spirito del Cristo, quello che aveva assimilato ha potuto agire non solo per lei, ma fluire anche in noi e diventare una specie di patrimonio comune nella realtà della Terra.

Cari amici, è questo che fa il Cristo quando pervade i frutti della nostra conoscenza: non ci porta via ciò che questi frutti della conoscenza rappresentano per la nostra individualità, ma è morto per tutte le anime. E se ci eleviamo a quella conoscenza che dev’essere la conoscenza del vero uomo terreno – «Non io, ma il Cristo in me» –, se attribuiamo al Cristo le forze di cui ci serviamo, allora ciò che accogliamo in noi agisce non solo per noi ma anche per l’umanità intera, diventa fecondo per tutta l’umanità.

Il Cristo è morto per tutte le anime umane che esistono sulla Terra. E ciò che esse accolgono in suo nome lo prendono per conseguire la propria perfezione, ma anche come bene prezioso che agisce a favore di tutta l’umanità.

Nelle parole introduttive alla conferenza di stasera è stato detto che quando, una volta morti, guardiamo nell’affresco della nostra memoria ciò che abbiamo vissuto, abbiamo l’impressione che i nostri ideali ci siano alquanto estranei. Ci sembra che in effetti i nostri ideali non ci conducano alla vita umana universale, che non abbiano alcuna garanzia di realtà nella vita umana, che ci allontanino da essa.

Lucifero ha un grande potere sugli ideali, poiché essi affiorano così bene nell’anima umana, ma hanno per l’appunto le proprie radici solo nell’anima umana e non nella realtà esteriore. È per questo che Lucifero ha su di essi un potere così grande. In realtà è il carattere magnetico di Lucifero che sentiamo nei nostri ideali dopo la morte. I nostri ideali più elevati sono particolarmente preziosi per lui – ed è per mezzo loro che ci può condurre a sé.

Ma se inseriamo il Cristo in ciò che viviamo spiritualmente, se sappiamo che ciò che accogliamo viene accolto insieme a noi anche dal Cristo – quando diciamo «Non io, ma il Cristo in me» –, allora dopo la morte non ci sembra che i nostri ideali ci allontanino dal mondo, ma è come se li avessimo affidati al Cristo. Allora ci rendiamo conto che il Cristo si appropria dei nostri ideali, li prende su di sé.

«Non io» posso prendere su di me i miei ideali e far sì che siano germogli sicuri per tutti gli uomini della Terra, come i germogli di quest’estate che assicurano la vegetazione dell’estate prossima, «ma il Cristo in me» lo può fare. Il Cristo in me permea i miei ideali di realtà, di sostanza.

Gli ideali che ci portiamo dentro così da poterci dire: «Sì, come uomini li facciamo nostri qui sulla Terra, ma in noi vive il Cristo ed è lui che fa suoi i nostri ideali» – in questa coscienza sappiamo che questi ideali sono veri e propri germogli per la realtà futura.

L’idealismo cristianizzato è

pervaso dal germoglio della realtà.

E chi davvero capisce il Cristo, dice a sè stesso a proposito dei propri ideali: «Adesso gli ideali non hanno ancora in sé qualcosa che garantisca la loro realtà, il loro carattere reale, come nel caso del germoglio della pianta. Ma se concepiamo i nostri ideali come qualcosa da affidare al Cristo, allora diventano dei veri germogli.»

Chi è dotato di vera coscienza cristiana, chi fa della frase di Paolo – «Non io, ma il Cristo in me» è il portatore dei miei ideali – la sostanza della propria vita al punto da dirsi: «Certo, qui c’è il mondo dei semi naturali che spuntano e germogliano. Ma accanto ad esso c’è il mondo dell’idealismo, che viene accolto dal Cristo. E questo mondo dell’idealismo è nel mondo presente come il seme di un mondo futuro, poiché il Cristo trasporta i nostri ideali nel mondo futuro come il Dio della natura, Dio Padre, porta i semi di quest’anno nel prossimo.»

Ciò conferisce realtà all’idealismo, togliendo all’anima quegli acerbi e cupi dubbi che possono sorgere in lei quando in essa si insinua il sentimento che le fa chiedere: cosa ne sarà del mondo degli ideali che sono intimamente intrecciati con la realtà esterna?

Colui che accoglie in sé il Cristo sente che ciò che matura nell’anima umana sotto forma di idealismo, di sapienza, è pervaso e intriso di realtà. E vi ho presentato questi due esempi dal mondo spirituale, cari amici, per mostrarvi come ciò che viene cristianizzato e affidato all’anima abbia effetti diversi da ciò che le viene affidato solo come sapienza non cristianizzata.

Cari amici, è davvero impressionante quando la coscienza chiaroveggente dirige il proprio sguardo nei mondi spirituali e vi vede le anime lottare dopo la morte per i loro ideali, nei quali durante l’ultima incarnazione non è ancora sbocciata la piena coscienza cristica – le vede combattere per quanto hanno di più caro, poiché Lucifero esercita su di esse il suo dominio proprio per mezzo degli ideali. Diversa è la scena offerta da coloro che hanno cristificato il loro patrimonio di sapienza, il loro patrimonio di idealismo.

L’essere pervasi dall’impulso cristico è ciò che può essere sentito come il più prezioso e intimo conforto dell’anima, come consolazione nelle situazioni di vita più difficili. Per quale motivo? Perché chi ne è davvero pervaso sente come questo impulso costituisca la garanzia della realizzazione delle conquiste della sua anima, per quanto imperfette possano ancora apparire alla vita terrena.

Cari amici, quante cose molte anime non riescono a realizzare nella vita, quante cose sembrano loro pregevoli mentre nel mondo fisico vengono considerate né più né meno che speranze primaverili! Ma possiamo affidare al Cristo ciò che la nostra anima accoglie come un bene prezioso. E una volta affidatolo al Cristo, Egli lo trasformerà in realtà portandolo sulle sue ali, indipendentemente da come potrà sembrare nella realtà esteriore.

Non sempre è necessario saperlo, ma l’anima che sente dentro di sé il Cristo in questo modo, come il corpo si sente vivificato dal sangue, ha la percezione della forza realizzatrice di questo impulso cristico nei confronti degli ideali che l’anima desidera realizzare nel mondo.

Il fatto che la coscienza chiaroveggente veda queste cose quando osserva l’anima dopo la morte dimostra quanto sia fondato il sentimento dell’anima umana che accoglie in sé il Cristo come conforto e sostegno, dicendo: «Non io, ma il Cristo in me.»

Ricordatevi di quel brano della mia Teosofia che intende illustrare un certo stadio della vita spirituale, di ciò che in quel mondo della vita animica pervade l’anima. Ho fatto notare che il “Tat twam asi”, quel “questo sei tu” su cui meditano i saggi orientali, si presenta ai loro occhi come una realtà nel preciso istante in cui avviene il passaggio dal cosiddetto mondo animico a quello spirituale.

Ma c’è ancora qualcosa che può diventare realtà, in un modo straordinariamente significativo. È ciò rispetto a cui l’anima che si sente cristianizzata può dirsi in questa vita la frase paolina: «Non io, ma il Cristo in me.» Se si riesce a vivere questa espressione come una realtà interiore, allora essa si realizza dopo la morte in modo estremamente significativo.

Quello infatti che assorbiamo da questo punto di vista, dal punto di vista che dice «Non io, ma il Cristo in me», diventa la nostra più profonda natura fra la morte e la nuova nascita, così che siamo autorizzati a distribuirla come frutto all’umanità intera.

«Non io, ma il Cristo in me»: riguardo a quello che assorbo da questo punto di vista posso dire e sentire dopo la morte: «Non solo è solo per me, ma anche per tutti i miei fratelli!»

E solo allora potrò esprimermi in questo modo: «Sì, l’ho amato, il Cristo, più di qualunque altra cosa, anche più di me stesso. Per questo posso dire che seguendo il comandamento ‘ama il tuo dio sopra ogni cosa’ e ‘non io, ma il Cristo in me’, ho adempiuto anche al comandamento che dice ‘ama il prossimo tuo come te stesso’. Quello che mi sono conquistato diventa infatti patrimonio comune dell’umanità intera per il fatto che il Cristo lo trasforma in realtà.»

Cari amici, bisogna lasciar agire su di sé queste cose; allora si comprende qual è il significato del Cristo nell’anima umana, in che modo il Cristo è portatore e sostegno dell’anima umana e come la può confortare e illuminare. E a poco a poco ci si sente inseriti in quello che si può definire il rapporto fra il Cristo e l’anima umana.

Terza conferenza

Karma dell’uomo,
destino dell’umanità

Norrköping, 15 luglio 1914

Cari amici, uno dei concetti di cui ci dobbiamo occupare parlando del rapporto fra il Cristo e l’anima umana è senza dubbio quello di “colpa e peccato”.

Sappiamo bene che importanza determinante abbiano i concetti di colpa e peccato nel cristianesimo di Paolo. Dobbiamo tuttavia dirci: la nostra cultura attuale è poco idonea a comprendere in maniera davvero profonda anche l’altra relazione che troviamo in Paolo oltre ai concetti di colpa e peccato: quella di morte e immortalità. Ma questo dipende dal materialismo della nostra epoca.

Ci basti ricordare le parole che ho detto nella prima conferenza, che un’immortalità dell’anima umana senza la continuità della coscienza dopo la morte non sarebbe una vera immortalità. Lo spegnersi della coscienza dopo la morte significherebbe che l’uomo non è immortale.

Un’esistenza incosciente dopo la morte significherebbe che è andato perduto proprio l’elemento più importante dell’uomo. Un’anima umana che per così dire sopravvive alla morte senza coscienza di sè non sarebbe molto di più della somma di atomi, accettata anche dal materialista, che continuerebbe a sussistere anche dopo la distruzione del corpo fisico.

Paolo è appunto irremovibilmente convinto che si possa parlare di immortalità solo se si conserva la coscienza individuale.

E poiché riteneva che la coscienza individuale dipendesse dal peccato e dalla colpa, è ovvio che potesse solo pensare che quando, dopo la morte, la coscienza viene ottenebrata dal peccato e dalla colpa o dalle loro conseguenze, ciò significa che peccato e colpa “uccidono” veramente l’uomo in quanto anima e spirito.

Ma la coscienza materialista dei nostri tempi è naturalmente molto lontana da questa visione – anche quella di molti ricercatori filosofici che si accontentano di parlare di sopravvivenza dell’anima umana, mentre l’immortalità dell’uomo può essere identificata soltanto con il perdurare cosciente dell’anima umana dopo la morte.

A questo punto sorge facilmente una difficoltà, specialmente per la concezione scientifico-spirituale del mondo. Per accennare a questa difficoltà è sufficiente far notare il rapporto reciproco fra i concetti di “colpa”, “peccato” e “karma”.

Il fatto che qui si presenti una difficoltà viene vissuto da certi scienziati spirituali in modo tale che costoro affermano semplicemente: «Noi crediamo nel karma!» Quando si commette qualcosa nasce una colpa che si porta nel proprio karma e di cui ci si libera in seguito. Nel corso delle incarnazioni viene a crearsi una compensazione, un pareggio.

Allora è facile che gli scienziati dello spirito dicano: com’è possibile per esempio conciliare questa visione con il concetto cristiano della remissione dei peccati ad opera del Cristo?

Eppure il concetto della remissione dei peccati è assolutamente inscindibile dal vero cristianesimo. Basta pensare a una sola cosa, al Cristo sulla croce fra i due ladroni.

Il ladrone di sinistra si fa beffe del Cristo: «Visto che pretendi di essere Dio, aiuta te stesso e noi.» Il ladrone di destra risponde al compagno che non dovrebbe parlare in quel modo, poiché entrambi si sono meritati il destino di morire sulla croce, adeguato ai crimini che hanno commesso. Il Cristo invece è stato crocifisso ingiustamente e deve subire il loro medesimo destino.

E soggiunge rivolgendosi al Cristo: «Quando sarai nel tuo regno, ricordati di me!» Al che il Cristo replica: «In verità ti dico, già oggi sarai con me in paradiso.»

Di certo queste parole non possono essere negate e neppure ignorate, ma sono importanti e significative. Lo scienziato spirituale si trova a dover affrontare la difficoltà che sorge dalla domanda: se il ladrone di destra deve pagare con il proprio karma non meno di quello di sinistra per ciò che ha combinato, che cosa significano le parole del Cristo? Lo scienziato spirituale può chiedersi: il ladrone di destra non deve forse espiare la sua colpa come quello di sinistra? Come mai il Cristo fa questa differenza fra il ladrone di destra e quello di sinistra?

È assolutamente fuor di dubbio che qui si presenta una difficoltà per la concezione scientifico-spirituale del karma. Tale difficoltà, cari amici, non è neanche facile da risolvere. La si supera soltanto scandagliando il cristianesimo in profondità. Ma ora desidero affrontare la questione da un lato completamente diverso, che però ci può mostrare da vicino i nessi in questione.

Cari amici, pensate solo alla frequenza con cui parliamo di “Lucifero” e “Arimane” e al modo in cui queste due entità vengono rappresentate nei miei drammi misteriosofici. Nel momento in cui si comincia a vedere la cosa dal punto di vista umano-antropomorfico e si trasformano Lucifero e Arimane per così dire in criminali, a livello interiore il primo e a livello esteriore il secondo, diventa difficile raccapezzarsi.

Non dimentichiamo che va detto che Lucifero, oltre ad essere portatore del male interiore, è anche portatore della libertà e che riveste un ruolo importante nell’intero universo. Lo stesso si può dire anche di Arimane: pure lui ha un ruolo importante nell’universo. Abbiamo già visto che quando si è cominciato a parlare più estesamente di Lucifero e Arimane i nostri soci sono stati colti da una certa inquietudine. Avevano ancora una sensazione residua del ruolo affibbiato a Lucifero – quello di terribile malfattore da cui guardarsi bene.

Lo scienziato spirituale non può naturalmente essere d’accordo con questa opinione, dal momento che deve attribuire a Lucifero un ruolo importante a livello cosmico. E tuttavia lo si deve anche presentare come antagonista degli esseri divini rivolti al progresso, come nemico di quelle divinità che dobbiamo venerare. Quindi in definitiva attribuiamo un ruolo cosmico importante a un nemico degli esseri divini, e facciamo una cosa analoga anche con Arimane.

Cari amici, è comprensibile che a questo punto l’animo umano si chieda: «Che cosa devo fare con Lucifero e Arimane? Devo amarli o odiarli? Da dove ha origine tutto questo?»

Bene, cari amici, questo deriva dal fatto che quando si parla di Lucifero e di Arimane bisogna rendersi conto – dal modo in cui si parla di loro – che si tratta di esseri che nella loro essenza non appartengono al mondo fisico, ma che hanno in un certo senso un compito e una missione nei mondi spirituali.

In particolar modo la volta scorsa, in occasione delle conferenze tenute a Monaco, ho sottolineato energicamente che il nocciolo della questione consiste nel fatto che Lucifero e Arimane hanno nei mondi spirituali il ruolo che è stato attribuito loro dagli esseri del progresso, e che emerge una discrepanza, una disarmonia, solo se trasferiscono questo ruolo nel mondo fisico, arrogandosi dei diritti che non competono loro.

Ma c’è una cosa che dobbiamo accettare, cari amici, e precisamente che il nostro giudizio umano, così come lo emettiamo, vale solo per il mondo fisico e, per quanto giusto riguardo a questo mondo, non può essere semplicemente trasferito ai mondi superiori.

Per poter ampliare il mondo delle nostre idee dobbiamo quindi familiarizzare lentamente e gradualmente con la scienza dello spirito. E il motivo per cui gli uomini d’oggi, dal pensiero materialistico, fanno così fatica a comprendere la scienza dello spirito nonostante con essa si possa capire tutto, dipende dalla loro mancanza di disponibilità ad ampliare la loro capacità di giudizio, dal loro voler continuare ad aderire al giudizio che vale solo per il mondo fisico.

Quando diciamo: «Un potere affronta l’altro con ostilità», per il mondo fisico è giusto affermare: «L’ostilità è qualcosa fuori posto, qualcosa che non deve esistere.» Ma la stessa affermazione non vale per i mondi spirituali! Affinché l’universo possa esistere nella sua totalità, è necessaria l’ostilità fra gli spiriti – proprio come nel campo dell’elettricità sono necessarie le cariche positive e quelle negative. Occorre che gli spiriti si contrappongano gli uni agli altri.

In questo caso è vero quel che dice Eraclito, che l’universo è costituito non solo dall’amore, ma anche dalla “contesa”, dalla lotta. L’ingiustizia subentra solo quando Lucifero agisce sull’anima umana e quando questa fa da veicolo all’ingresso della contesa nel mondo fisico, ma nei mondi superiori l’opposizione fra spiriti è qualcosa che appartiene alla struttura complessiva dell’universo.

Questo significa che per i mondi superiori dobbiamo usare parametri diversi, conferire un’altra sfumatura al nostro giudizio. Per questo è così sconcertante il modo in cui a volte si deve parlare di Lucifero e Arimane – da un lato vanno presentati come avversari degli dei e dall’altro come figure necessarie al funzionamento dell’ordine cosmico.

Quindi, cari amici, occorre tener presente che l’uomo entra in collisione con l’ordine cosmico se cerca di applicare ai mondi superiori lo stesso giudizio che va bene per il mondo fisico.

Ma è proprio questo il punto nevralgico che va costantemente sottolineato: che il Cristo in quanto Cristo non appartiene agli esseri del mondo fisico, che grazie al battesimo nel Giordano nella fisicità di Gesù di Nazareth ha fatto il proprio ingresso un’entità che non è terrestre. A ragione poteva quindi dire ai suoi apostoli: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù.» (Giovanni 8,24)

E adesso, cari amici, prendiamo in considerazione quello che davvero ne risulta! Quello che è giudizio terreno del tutto legittimo e che ciascuno deve esprimere come tale, deve forse essere il giudizio anche di quell’essere cosmico che in quanto “Cristo” è entrato nel corpo di Gesù?

Quell’essere che, grazie al battesimo impartito da Giovanni nel Giordano, ha fatto il proprio ingresso nel corpo di Gesù non è dotato di una capacità di giudizio terrestre, bensì “celeste”. Il suo modo di giudicare dev’essere diverso da quello degli uomini.

Ed ora esaminiamo le parole dette sul Golgota nella loro piena portata. Il ladrone di sinistra non sa credere che il Cristo non sia un essere terreno ma un’entità di un regno particolare che non è di questa Terra. Il ladrone di destra invece prende coscienza di questo nell’istante prima di morire: «Il tuo regno, o Cristo, è un altro. Ricordati di me quando sarai nel tuo regno!»

In quel momento il ladrone di destra mostra di avere un’idea del fatto che il Cristo appartiene a un altro mondo, in cui regna un parametro di giudizio completamente diverso che sulla Terra. Per questo il Cristo può rispondergli: «In verità, per il fatto che intuisci qualcosa di questo regno, oggi sarai là insieme con me.»

In questo episodio abbiamo un riferimento alla forza cristica ultraterrena, che innalza l’individualità umana a un regno spirituale. La capacità di giudizio terrena, umana, deve ovviamente dire: per quanto riguarda il karma, sia il ladrone di destra che quello di sinistra devono pareggiarlo. Ma il giudizio celeste vede la questione in un altro modo.

Ma questo è solo l’inizio, dato che si può naturalmente dire: «Ma allora il giudizio terreno e quello celeste sono in contraddizione fra loro! Come può il Cristo perdonare, dal momento che il giudizio terreno esige una giustizia karmica?»

È una domanda difficile, di cui però vogliamo occuparci stasera. Vi avviso tuttavia esplicitamente che in tal modo andremo a sfiorare una delle questioni più complesse della scienza spirituale.

Dobbiamo infatti fare una distinzione che l’anima umana non effettua volentieri, poiché è difficile inoltrarsi fino alle estreme conseguenze di un’osservazione.

La distinzione che dobbiamo fare è la seguente: occorre osservare ciò che si compie nel karma in una giustizia oggettiva. Lì l’uomo è soggetto al proprio karma, deve compensare karmicamente i torti commessi. E da una riflessione più profonda, cari amici, emerge che l’uomo non può volere altro che questo.

Per il fatto di aver commesso un’ingiustizia, un uomo diventa più imperfetto di prima e può raggiungere di nuovo il grado di perfezione che aveva in precedenza solo dopo aver riparato il torto. Per amor di perfezione propria non possiamo quindi che augurarci l’esistenza del karma come giustizia oggettiva.

La concezione della libertà umana non prevede affatto il desiderio che i peccati ci vengano perdonati nel senso di non dover pareggiare il karma. Sostanzialmente è impossibile che uno che per esempio cava gli occhi a un altro venga “perdonato” e che in tal modo il karma venga appianato. La giustizia del karma consiste nel dover pagare fino all’ultimo centesimo.

Ma ora, cari amici, c’è ancora qualcos’altro per quanto riguarda la colpa. La colpa, il peccato di cui ci carichiamo non è solo nostro – qui dobbiamo distinguere –, ma è anche un fatto del mondo oggettivo.

Quello che abbiamo combinato lo pareggiamo nel nostro karma, ma è anche successo che abbiamo cavato gli occhi a un altro – e questo è un dato di fatto per l’andamento oggettivo del mondo, anche se lo compenseremo in seguito. La “mancanza”, la carenza che abbiamo creato in noi stessi la pareggeremo nel karma, ma il dato di fatto oggettivo continuerà a sussistere fuori di noi.

Dobbiamo allora distinguere fra

le conseguenze che ha un peccato per noi e dentro di noi, e

le conseguenze che un peccato ha per l’andamento oggettivo del mondo.

È estremamente importante fare questa distinzione. E a questo punto mi è lecito aggiungere un’osservazione scientifico-spirituale che forse potrà rendere la cosa un po’ più comprensibile.

Se si prendono in esame le epoche dell’evoluzione dell’umanità a partire dal mistero del Golgota e si osserva la cronaca dell’akasha[1] senza essere pervasi dall’entità cristica, è molto facile incorrere in errori. Nella cronaca dell’akasha si trovano infatti registrazioni che spesso non coincidono con quanto si rileva nell’evoluzione karmica del singolo individuo.

Intendo dire quanto segue: mettiamo che nell’anno 733 d.C. sia vissuto un uomo che si è macchiato di una grave colpa. Ora, se si esamina la cronaca dell’akasha senza avere nessuna connessione con il Cristo reale si vedrà che è impossibile trovarvi quella colpa! Ma se ora ci si occupa dell’uomo in oggetto e se ne esamina il karma, si troverà ancora qualcosa che deve compensare o che ha già compensato, si vedrà quindi che ci dev’essere stata una colpa. Ma questa colpa non è presente nella cronaca dell’akasha. Che contraddizione!

Oggi posso incontrare un uomo: se per grazia mi è concesso di sapere qualcosa del suo karma, posso scoprire che una certa disgrazia che lo colpisce fa effettivamente parte del suo karma. Se però esamino la faccenda nella sua incarnazione precedente, non trovo questo fatto nella cronaca dell’akasha. Come mai?

Vedete, cari amici, dipende dal fatto che il Cristo ha realmente preso su di sé la colpa nella sua realtà oggettiva.

Nel momento in cui mi lascio pervadere dall’essere cristico, quando esploro la cronaca dell’akasha con il Cristo, allora trovo questo fatto. Il Cristo l’ha portato con sé nel suo regno e continua a tenerlo con sé, così che se prescindo dal Cristo non lo posso trovare nella cronaca dell’akasha.

Bisogna tener presente questa differenza: la giustizia karmica resta, ma per quanto riguarda l’effetto di una colpa sul mondo spirituale subentra il Cristo, che trasferisce la colpa nel proprio regno e continua a portarla con sé. Può cancellare la nostra colpa e i nostri peccati nel mondo, prenderli su di sé, poiché appartiene a un altro regno.

Che cosa dice in sostanza il Cristo sulla croce? Non lo esprime esplicitamente, ma è il senso delle sue parole. Al ladrone di sinistra dice: «Quello che hai fatto continuerà ad agire anche nel mondo spirituale, non solo in quello fisico.» Ma al ladrone di destra dice anche: «Oggi sarai con me in paradiso!», che significa: «La tua azione mi riguarda; in seguito attraverso il tuo karma dovrai occuparti del significato di quest’azione per te. Ma il significato della tua azione per il mondo» – se mi si consente di esprimerlo in modo banale – «è affare mio.» Questo dice il Cristo.

Quella che facciamo qui è una distinzione importantissima. E la cosa non è significativa solo per l’epoca successiva al mistero del Golgota, ma anche per quella precedente.

Diversi amici della scienza dello spirito ricorderanno che nelle conferenze degli anni scorsi ho fatto notare che dopo la sua morte il Cristo si è veramente recato dai defunti, che non si tratta di una pura leggenda. Ma così ha fatto anche qualcosa per le anime che si erano macchiate di peccati e colpe nelle epoche passate.

Si cade in errore anche se, osservando la cronaca dell’akasha, si studia l’epoca dell’evoluzione della Terra prima del mistero del Golgota senza essere pervasi dall’impulso cristico. Allora ci si imbatte ovunque in “errori” nella cronaca dell’akasha.

Per questo non mi ha sorpreso il fatto che per esempio Leadbeater, che in realtà non sa nulla del Cristo, sia giunto nel suo libro L’uomo, origini ed evoluzione alle tesi più astruse sull’evoluzione della Terra, dato che solo se è pervasa dall’impulso cristico, l’anima umana è in grado di vedere davvero le cose avvenute anche prima del mistero del Golgota, così come si sono predisposte fino al mistero del Golgota.

Il karma, cari amici, è una questione delle incarnazioni successive dell’uomo.

Il significato della giustizia karmica va visto con la nostra capacità di giudizio terrena.

Ma quello che il Cristo fa per l’umanità va valutato con un giudizio che è proprio di altri mondi e non della Terra.

Cari amici, e se così non fosse? Pensiamo alla fine della Terra, quando gli uomini avranno attraversato tutte le loro incarnazioni terrene. Sicuramente tutto andrà pagato fino all’ultimo centesimo, le anime umane dovranno aver pareggiato il loro karma fino all’ultimo centesimo.

Ma immaginiamo che sulla Terra siano rimaste tutte le colpe oggettive, che continuino ad agire nella Terra, che gli uomini abbiano compensato il loro karma ma che la Terra non sia pronta a passare allo stadio evolutivo di “Giove” e che l’umanità intera sia senza dimora, che non abbia la possibilità di evolversi fino a diventare Giove.

Il fatto che tutta la Terra evolva insieme all’uomo è la conseguenza dell’azione del Cristo.

Tutte le colpe che possono accumularsi sulla Terra la getterebbero nelle tenebre e noi non avremmo un pianeta per continuare ad evolvere. Grazie al karma ci possiamo occupare di noi stessi, ma non dell’umanità intera e di quello che è connesso con la sua evoluzione perché la Terra possa evolvere.

Dobbiamo quindi aver ben chiaro che

il karma non ci viene tolto, ma

i nostri peccati e le nostre colpe vengono cancellati da quello che il mistero del Golgota ha introdotto per l’evoluzione della Terra.

Occorre naturalmente tener presente che tutto questo non può arrivare all’uomo senza il suo intervento, senza la sua collaborazione. Perfino le parole dette sulla croce ce lo illustrano chiaramente. Ci viene mostrato come il ladrone di destra accolga nella sua anima il presentimento di un regno ultraterreno in cui le cose vanno diversamente da quello terreno.

L’uomo deve riempirsi nell’anima del contenuto dell’entità cristica, così che il Cristo possa agire in lui e condurlo in un regno in cui l’uomo non ha il potere di annullare il proprio karma, ma in cui il Cristo cancella il nostro debito riguardo al mondo esteriore.

Perfino in pittura questo viene rappresentato meravigliosamente: il Cristo come “giudice” del giudizio universale, per esempio in un dipinto come quello di Michelangelo nella Cappella Sistina. Cosa c’è effettivamente alla base di questo affresco?

Da un lato vediamo i giusti e dall’altro i reprobi. Cari amici, ci sarebbe un’altra possibilità di rappresentare quest’immagine rispetto a quella scelta da Michelangelo in quanto uomo cristiano. Ci sarebbe la possibilità che dopo la fine del mondo gli uomini vedano il loro karma compensato – ma ovunque ci sarebbero targhe di ferro con su scritto: «Mia colpa». E questa colpa rappresenterebbe un peso per la Terra, la dovrebbe annientare.

Ma non sarebbe vero, potrebbe apparire così ma non corrisponderebbe a verità. Per il fatto che il Cristo è morto sul Golgota infatti l’uomo non vedrà le tavole con la scritta “mia colpa”, ma Colui che ha assunto la colpa su di sé. Nell’essere del Cristo vedrà l’unione di quello che altrimenti sarebbe sparso nella cronaca dell’akasha. Davanti a lui non c’è la cronaca dell’akasha, ma il Cristo che ha preso su di sé i peccati del mondo.

Ciò ci fa inoltrare in misteri profondi dell’evoluzione della Terra. Ma che cosa occorre, cari amici, per vedere come stanno davvero le cose su questo piano? È necessario che gli uomini, peccatori o giusti, abbiano la possibilità di guardare il Cristo, che non vedano nessun altro al posto che gli compete. È necessario un vero rapporto con il Cristo!

E se il Cristo ha dato in un certo senso a coloro che agiscono nel suo spirito il compito di “perdonare i peccati”, con questo non ha mai e poi mai inteso compromettere il karma. Il senso di questo perdono è invece che per chi è in relazione con il Cristo il regno terreno venga salvato dalle conseguenze della colpa e dei peccati, che sono fatti oggettivi, anche se verranno pareggiati nel karma successivo.

Che significato hanno per l’anima umana le parole «Ti sono perdonati i peccati» pronunciate da chi ne ha il compito su incarico del Cristo?

Vuol dire che l’interessato è in grado di confermare: «È vero che ti devi aspettare la compensazione karmica, ma il Cristo trasforma la tua colpa in modo che in seguito non dovrai provare l’immenso dolore di vedere che con essa hai annientato una parte di esistenza terrena. Il Cristo la cancella!»

Ma a tal scopo è necessario capire che colui che rimette i peccati può esigere una coscienza della colpa e la coscienza del fatto che il Cristo la prende su di sé. Allora la massima: «I tuoi peccati ti sono perdonati» ha un significato oggettivo cosmico e non soggettivo karmico.

C’è un punto in cui il Cristo mostra in modo stupendo la sua posizione rispetto a questa questione. A quelli che gli portano l’adultera affinché anche lui la condanni – immaginiamoci la scena – il Cristo fornisce una duplice risposta:

da una parte scrive per terra e

dall’altra perdona, non giudica, non condanna affatto.

Perché scrive sulla Terra? Perché il karma agisce, perché il karma è la giustizia oggettiva e il Cristo la scrive nella Terra.

Le cose stanno però diversamente con le conseguenze spirituali non personali-terrene, che il Cristo prende su di sé. Vuol dire che le “perdona”, non che le cancella in senso assoluto, ma che assume su di sé le conseguenze di ciò che è stato fatto oggettivamente.

Ora cari amici pensiamo a cosa significa per l’anima umana potersi dire: «Sì, al mondo ho fatto questo o quello, ma il mio progresso ulteriore non viene compromesso, poiché io non rimango così imperfetto com’ero quando ho commesso il fatto. Nel corso ulteriore della mia vita potrò recuperare la mia perfezione rimediando all’azione compiuta. Ma per quanto riguarda l’evoluzione della Terra non posso annullare le conseguenze oggettive della mia azione.»

Si dovrebbe patire un dolore indicibile se alla Terra non si fosse unito un essere che annulla ciò che non può più venir allontanato da noi. Questo essere è il Cristo. Egli non ci toglie il karma soggettivo, ma gli effetti spirituali oggettivi delle nostre azioni, vale a dire “la colpa”. È a questo che, come già detto, dobbiamo interessarci nel nostro animo.

Solo allora capiremo che il Cristo è quell’entità che è in rapporto con tutta l’umanità terrena. La Terra infatti esiste per l’umanità, perciò il Cristo è in relazione con tutta la Terra.

E questa è la debolezza dell’uomo, subentrata in seguito alla tentazione luciferica, per cui l’uomo è in grado di redimersi a livello soggettivo nel proprio karma, ma non è in grado di coinvolgere anche la Terra nella sua redenzione. Questo viene compiuto da un essere cosmico, il Cristo.

E adesso capiamo come mai molti ricercatori spirituali non riescono a rendersi conto che il cristianesimo è in perfetta sintonia con l’idea del karma. Sono quei teosofi che introducono nella scienza dello spirito l’egoismo più totale, un egoismo superiore, quelli che in definitiva sentono e pensano: «Se nel mio karma redimo me stesso, che m’importa del resto del mondo? Il mondo può fare quel che vuole!» E sono soddisfatti se possono parlare solo della compensazione karmica.

Ma questo non basta! L’uomo è una componente del mondo intero e deve nutrire pensieri di interessamento nei confronti del mondo. Deve quindi pensare che egoisticamente può redimere se stesso, ma che non è in grado di redimere anche il mondo intero. A quel punto subentra il Cristo.

E nel momento in cui decidiamo di non pensare solo al nostro Io, dobbiamo pensare a qualcos’altro ancora. Ma a che cosa? Al “Cristo in me”, come dice Paolo. Allora non diremo: «Io e la mia autoredenzione», ma: «Il Cristo in me e la redenzione della Terra».

Cari amici! Bisogna davvero essere ben poco cristiani per interpretare il cristianesimo come fanno quelli, e sono tanti, che si credono buoni cristiani e tacciano di eresia gli altri, per esempio i cristiani studiosi della scienza dello spirito.

Forse è lecito chiedere se sia davvero cristiano ritenere di poter fare qualunque cosa e che il Cristo sia venuto al mondo solo per toglierci tutti i peccati. Miei cari amici! Credo che questa mentalità possa essere definita da un aggettivo diverso da “cristiana”, e cioè dall’aggettivo “comoda”!

Sarebbe ben comodo se bastasse pentirsi e tutto quel che si è combinato nella vita venisse cancellato così da non ripresentarsi nel karma futuro! No, dal karma non viene cancellato. È dall’evoluzione della Terra che dev’essere cancellato, dal campo in cui non possiamo spingerci per via della debolezza umana prodotta dalla tentazione luciferica. Ed è questo che fa il Cristo. Con la remissione dei peccati ci viene sottratto il dolore per aver provocato una sofferenza oggettiva eterna all’intera evoluzione della Terra. Si tratta di qualcosa per cui dobbiamo naturalmente provare interesse.

Ma allora, se intendiamo la cosa in questo modo, una vera concezione del Cristo dev’essere accompagnata da una grande serietà. E una certa concezione del Cristo abbandonerà certe cose che sono frivole o ciniche.

Tutto ciò che abbiamo detto oggi infatti sostiene che quello che è il Cristo per noi lo è per il fatto di non essere un uomo come gli altri, ma un essere che è sceso “dall’alto”, cioè dal cosmo, nell’evoluzione della Terra quando ha ricevuto da Giovanni il battesimo nel Giordano. E proprio perché l’uomo non potrebbe da solo cancellare la colpa per la Terra nel corso dell’esistenza terrena, è stata necessaria la discesa di un essere cosmico che rendesse possibile la cancellazione della colpa per la Terra.

Il vero cristianesimo non può che vedere il Cristo come un essere cosmico.

Allora la nostra anima verrà pervasa profondamente dal vero significato di queste parole: «Non io, ma il Cristo in me.» Allora grazie a questa presa di coscienza la nostra anima sarà irradiata da qualcosa che posso descrivere solo con queste parole: «Se ho il coraggio di dire: ‘Non io, ma il Cristo in me’, in quell’istante ammetto di essere degno, in quanto uomo, di portare nella mia anima anche qualcosa di extraterreno, come pure di essere una creatura extraterrena per il fatto di avere dentro di me delle attitudini che mi vengono da Saturno, dal Sole e dalla Luna.»

E a questa massima paolina, «Non io, ma il Cristo in me», l’uomo unirà anche la sensazione di dover prendere sul serio la propria responsabilità nei confronti del Cristo.

La scienza dello spirito introdurrà nella coscienza un senso di responsabilità che non ci permetterà di accontentarci di dire: «Sì, lo credo e per questo motivo lo posso anche affermare.» Cari amici, non è forse un sacrilegio, una rinnovata crocifissione del Cristo dentro di noi, l’essere così limitati da voler urlare al mondo qualcosa solo perché crediamo che sia vero, senza essercene prima accostati?

Se l’umanità farà sul serio con il Cristo, nascerà in lei la sensazione di doversi mostrare degna di questo Cristo che vive in noi, agendo sempre più scrupolosamente nei confronti di questo principio cosmico. Sì, si può credere che quelli che non perdono occasione di mentire sui loro simili e poi vorrebbero cancellare queste menzogne non vogliano accettare il Cristo come principio cosmico.

Quando nel mondo farà il suo ingresso una vera concezione del Cristo molte cose cambieranno. I molti che scrivono cose non vere dovranno rendersi conto che in questo modo profanano il Cristo nell’anima umana e dovranno smettere di usare la scusa: «L’ho detto in buonafede!»

Al Cristo non basta la buonafede, Egli stesso ha detto: «La verità vi farà liberi!» Ma dove ha mai detto che è possibile urlare al mondo o scrivere questo o quello senza conoscenza di causa?

Molte cose cambieranno! Certamente gran parte della nostra letteratura non potrà più esistere quando gli uomini partiranno dal principio: «Non io, ma il Cristo in me». Ma la piaga della nostra civiltà decadente verrà eliminata quando smetteranno di parlare quelli che urlano al mondo qualsiasi cosa senza essersene accertati.

Abbiamo dovuto fare esperienze di questo genere anche nell’ambito del movimento scientifico-spirituale. E con che facilità c’era sempre la scusa pronta: «Sì, l’interessato o l’interessata ne era convinto o convinta in quel momento!»

Che cosa dimostra di essere una simile convinzione? La più grande leggerezza, l’irresponsabilità allo stato puro! Mi è lecito – non per motivi personali, ma per la gravità della situazione – far notare che non ci sono scuse per l’atteggiamento della carica più alta della Società teosofica, la sua presidentessa, che presenta la frivola menzogna della favoletta del gesuita[2]. Certo, può essere passata da tempo, ma va fatta notare la caratteristica di questo fatto. In seguito la gente ha detto: «Ma la presidentessa ha ritrattato poche settimane dopo!» Tanto peggio, perché lì comincia la valutazione del mondo, non quella personale.

Quella a cui in un senso più elevato si può dare il nome di coscienza cristiana entrerà sempre più nelle anime quando si realizzeranno le parole di Paolo: «Non io, ma il Cristo in me». Si avrà coscienza di non poter dire quello che semplicemente si crede, ma che le proprie affermazioni dovranno essere verificate sullo stato oggettivo delle cose.

Il Cristo sarà per le anime un maestro di verità, di comprensione reciproca a livello superiore. Esse saranno sempre più pervase da Lui nella misura in cui capiranno tutta la portata delle parole: «Non io, ma il Cristo in me».

Di questo continueremo a parlare domani.

Quarta conferenza

«Risorgeremo con il nostro corpo!»

Norrköping, 16 luglio 1914

Miei cari amici!

L’umanità ha costantemente bisogno di verità che non in ogni punto del tempo possono essere capite appieno. Accogliere dentro di sé la verità non ha solo un significato per la conoscenza, ma la verità in quanto tale è dotata di forza vitale.

E quando ci lasciamo pervadere dalla verità, compenetriamo la nostra vita animica di un elemento vitale, proprio come l’aria che col respiro introduciamo nel nostro corpo ci permette di vivere.

È per questo che nelle sacre scritture vengono espresse profonde verità, ma in una forma tale per cui gli uomini spesso ne comprendono il vero significato solo molto tempo dopo la loro rivelazione.

Vedete, il Nuovo Testamento è come un documento srotolato di fronte all’umanità, ma per comprenderlo pienamente occorre tutta l’evoluzione della Terra che ancora deve venire.

In futuro si verranno a sapere molte altre cose ancora sul mondo esteriore e anche su quello spirituale. E tutto contribuirà, se visto nella giusta luce, alla comprensione del Nuovo Testamento. La comprensione verrà a poco a poco, ma il Nuovo Testamento è scritto in forma semplice, così da poter essere assimilato e poi capito gradualmente.

Cari amici, il nostro compenetrarci della verità contenuta nel Nuovo Testamento non è irrilevante, anche se non la comprendiamo pienamente. In seguito la verità diventerà una forza conoscitiva, ma prima, finché viene assorbita in maniera più o meno infantile, è una forza di vita.

E proprio le questioni che abbiamo preso in esame ieri richiedono, per essere capite così come vengono comunicate nel Nuovo Testamento, una comprensione interiore più profonda, nonché la capacità di guardare nei mondi spirituali e nei loro misteri.

Per poter continuare l’osservazione di ieri e capire ancor più profondamente la questione di peccato e colpa, dobbiamo penetrare con lo sguardo in alcuni segreti spirituali, così da poter mettere in luce il rapporto fra il Cristo e l’anima umana anche da questa prospettiva.

Cari amici, nel corso del nostro lavoro scientifico-spirituale abbiamo spesso notato un punto di vista esprimibile in una domanda che in sostanza corrisponde a quella sul mistero del Golgota: «Perché il Cristo è morto? Per quale motivo un essere divino è morto in un corpo umano?»

Bene, cari amici, è morto perché per l’evoluzione cosmica era necessario che la divinità facesse il suo ingresso nell’umanità della Terra, che un essere divino dei mondi superiori si mettesse a capo dell’evoluzione terrena. Per questo il Cristo ha dovuto “imparentarsi” con la morte.

Imparentarsi con la morte – le anime umane dovrebbero capire fino in fondo il significato di queste parole!

In genere la morte si presenta all’uomo solo quando egli ne vede morire un altro o in fenomeni simili, oppure nella consapevolezza di dover morire. Ma questo è sostanzialmente solo l’aspetto esteriore della morte. La morte è presente anche in modo del tutto diverso nel mondo in cui viviamo, ed è su questo che va diretta la nostra attenzione.

Partiamo da un fenomeno quotidiano del tutto consueto. Noi inspiriamo aria per poi espirarla nuovamente. Ma quest’aria subisce una trasformazione dentro di noi: quando la espiriamo è aria mortale, l’aria espirata è letale.

Da questo potete capire, cari amici, il modo in cui viene pronunciata in senso scientifico-spirituale la frase: «L’aria muore quando entra nell’uomo». In realtà quello che nell’aria è vivo muore nel momento in cui entra nell’uomo. Ma questo è solo un fenomeno.

Anche il raggio di luce che penetra nel nostro occhio deve morire. Nel nostro mondo non avremmo niente di questo raggio di luce se il nostro occhio non gli si opponesse, come fanno i nostri polmoni con l’aria. Ed è grazie alla morte della luce nel nostro occhio che possiamo vedere. Così ciò che vive nell’etere luminoso muore nel momento in cui entra nel nostro occhio. Il raggio di luce viene “ucciso” nel nostro occhio, noi lo mettiamo a morte.

Siamo colmi di ciò che deve morire in noi per rendere possibile la nostra coscienza umana terrena. Cari amici, fisicamente uccidiamo l’aria e anche il raggio di luce che penetra in noi e molte altre cose.

Quando parliamo a livello scientifico-spirituale, distinguiamo fra terra, acqua, aria e calore. Entriamo poi nel mondo dell’etere luminoso e fin lì uccidiamo quello che penetra dentro di noi, lo “ammazziamo” in continuazione per avere la nostra coscienza terrena.

Ma c’è qualcosa che non possiamo uccidere con la nostra esistenza terrestre. Sappiamo che al di sopra dell’etere di luce esistono il cosiddetto “etere chimico” e poi “l’etere vitale”. Sono le due qualità di etere che non possiamo uccidere, ma in cambio esse non hanno particolarmente a che fare con noi.

Se fossimo in grado di uccidere anche l’etere chimico, con il nostro corpo fisico continueremmo a sopprimere l’armonia delle sfere dentro di noi, e allora i mondi dell’armonia delle sfere confluirebbero costantemente nel nostro corpo fisico. E se fossimo anche capaci di uccidere l’etere vitale, faremmo in continuazione l’esperienza della vita cosmica che affluisce verso la Terra.

Con il suono terreno ci viene dato un surrogato, che tuttavia non è paragonabile a ciò che udremmo se noi uomini fisici fossimo in grado di sentire l’etere chimico. Il suono fisico è infatti un prodotto dell’aria, non è il suono spirituale, ne è soltanto un surrogato.

Al tempo della tentazione luciferica gli esseri divini preposti al nostro progresso sono stati costretti a trasferire l’uomo in una sfera in cui dall’etere chimico in giù nel suo corpo fisico vive la morte.

Ma allora quegli esseri divini dissero, e queste parole sono ben riportate nella Bibbia: «Ecco, l’uomo è divenuto come uno di noi, avendo la conoscenza del bene e del male: che non stenda ora la sua mano e non colga dall’albero della vita, per mangiarne e vivere in eterno.» (cfr. Genesi 3,22) E si può aggiungere un’altra frase nel senso della scienza dello spirito, che potrebbe essere il proseguimento delle parole della Bibbia: «E non dovrà udire lo spirito della materia!»

Non deve mangiare dell’albero della vita e

non deve udire dello spirito della materia.

Queste sfere sono state precluse all’uomo. Negli antichi misteri solo agli iniziandi venivano svelati anche i suoni della musica delle sfere e la vita che pulsa attraverso il cosmo, grazie ad una particolare procedura quando si trovavano fuori dal corpo e potevano già vedere il Cristo. Per questo gli antichi filosofi parlavano di “musica delle sfere”.

E mentre dirigiamo l’attenzione su questo, cari amici, indichiamo nello stesso tempo quelle regioni dalle quali in occasione del battesimo nel Giordano il Cristo è sceso da noi sulla Terra.

Sono quelle regioni che l’uomo ha dovuto abbandonare alla nascita della Terra a causa della tentazione luciferica. Il Cristo proveniva dalle regioni che erano state precluse all’uomo dalla tentazione luciferica, dalla regione della musica delle sfere e da quella della vita cosmica.

Durante il battesimo impartitogli da Giovanni nel Giordano, il Cristo è entrato in un corpo umano. Quel corpo umano era pervaso dallo spirito della musica delle sfere e dallo spirito della vita cosmica.

Era ciò a cui l’anima umana apparteneva ancora durante la sua era terrena, ma da cui era stata bandita a causa della tentazione luciferica. Così, cari amici, l’uomo è “imparentato con lo spirito” anche in questo senso! Con la sua anima appartiene alla regione della musica delle sfere, del Verbo cosmico, e alla regione dell’etere cosmico vivente – ma ne è stato cacciato.

E doveva potersi compenetrare di nuovo gradualmente di ciò che gli era stato precluso. Per questo le parole del Vangelo di Giovanni ci commuovono così profondamente: «In principio era il Verbo, il Logos» – quando l’uomo non aveva ancora ceduto completamente alla tentazione.

L’uomo apparteneva al Logos, il Logos era presso Dio e l’uomo era presso Dio insieme al Logos. E al momento del battesimo nel Giordano il Logos è entrato nell’evoluzione umana e si è fatto uomo. Questa è l’importante correlazione.

Per il momento lasciamo da parte questa verità e cerchiamo di avvicinarci alla questione da un altro lato.

La vita intera ci si mostra solo dal lato esterno. Se così non fosse, l’uomo saprebbe sempre di assorbire nel suo occhio il cadavere della luce ogni volta che vede.

Che cosa ha dovuto assumere su di sé il Cristo per permettere la realizzazione della massima paolina: «Non io, ma il Cristo in me»? Il Cristo doveva poter compenetrare la natura umana. Ma questa natura umana è piena di quello che essa stessa uccide nell’esistenza terrena, dell’etere luminoso che muore nell’occhio.

La natura umana è colma di morte. Le è stato sottratto solo quello che è contenuto nelle due forme superiori di etere, affinché essa non dovesse includere anche la loro morte.

Per poter albergare in noi, il Cristo ha dovuto imparentarsi con la morte, con tutto ciò che è diffuso nel mondo, a partire dalla luce fino alla profondità della materia. Il Cristo ha dovuto penetrare in ciò che portiamo dentro di noi come cadavere della luce, del calore, dell’aria e così via.

Solo “imparentandosi con la morte” ha potuto “imparentarsi con l’uomo”. E nelle nostre anime dobbiamo sentire che un essere divino ha dovuto morire per poter colmare noi, che ci siamo conquistati la morte attraverso la tentazione luciferica, e consentirci di dire: «Il Cristo vive in me.»

Ma dietro l’esistenza sensibile dell’uomo si cela anche qualcos’altro. L’uomo dirige lo sguardo verso il mondo vegetale e vede come la luce del sole fa spuntare dal suolo come per magia le piante. E la scienza ci insegna che la luce è necessaria per far crescere le piante. Ma questa è solo una metà della verità.

Con lo sguardo chiaroveggente si vede sorgere dalle piante un elemento spirituale vivo. La luce scende nella pianta per rinascere in essa come elemento spirituale vivente. La luce si immerge infatti nella pianta e ne riemerge sotto forma di spiriti dell’aria.

Negli animali entra l’etere chimico che l’uomo non è in grado di percepire – se l’uomo lo potesse percepire, l’animale emetterebbe un suono spirituale. E gli animali trasformano questo etere chimico in spiriti dell’acqua.

Le piante trasformano la luce in spiriti dell’aria;

gli animali trasformano lo spirito che agisce nell’etere chimico in spiriti dell’acqua;

ma l’uomo trasforma ciò che agisce nell’etere vitale – ciò che gli permette di vivere e che non può essere ucciso in lui – in spiriti della Terra. Sì, lo trasforma in spiriti della Terra!

In un ciclo di conferenze tenute a Karlsruhe[3] ho parlato del “fantoma” umano. Non è questo il momento di tracciare la linea che unisce quello che ho da dirvi qui e quello che ho detto allora a proposito del fantoma. Ma esiste una linea di collegamento, e forse sarete in grado di trovarla da soli.

Miei cari amici, nell’uomo si genera costantemente anche qualcosa di spirituale. Ciò che vive nell’uomo sotto forma di vita si espande per così dire di continuo nel mondo. L’uomo diffonde intorno a sé un’aura, un’aura luminosa, mediante la quale arricchisce costantemente l’elemento spirituale della Terra.

Ma in questo elemento spirituale della Terra, nel momento in cui l’uomo lo immette nella Terra, ci sono tutte le qualità umane morali e di altro genere che l’uomo porta dentro di sé dopo essersele conquistate nella vita. Cari amici, è vero che allo sguardo chiaroveggente si manifesta come l’uomo fa emanare continuamente nel mondo la propria aura morale, intellettuale ed estetica, e come quest’aura continua a vivere in qualità di spirito della Terra nella spiritualità del nostro pianeta.

Come la cometa trascina la propria coda per tutto l’universo, così noi trasciniamo per tutta la vita ciò che da noi promana in forma di aura spirituale e si compone durante la nostra esistenza a livello di fantoma, ma che nel contempo emana nel mondo il nostro patrimonio animico morale e intellettuale.

La vita è complicata, e anche questa è una delle sue manifestazioni.

Se nell’osservazione occulta risaliamo all’epoca anteriore al mistero del Golgota scopriamo che anche allora gli uomini hanno emanato nel mondo, nell’aura spirituale della Terra, questo essere fantomatico che contiene le loro qualità morali.

Ma l’umanità evolve nel corso dell’esistenza terrestre. E ai tempi in cui il mistero del Golgota fece il proprio ingresso nell’evoluzione della Terra si era giunti a una certa soglia di questa evoluzione proprio per quanto riguarda questo essere fantomatico emanato dall’uomo.

Si potrebbe dire che prima quest’essere fantomatico irradiato dall’uomo era molto più rarefatto. È diventato più denso, più strutturato, nel momento in cui il mistero del Golgota è comparso sulla Terra. E l’uomo ha aggiunto a questo essere fantomatico ciò che assorbe come morte nel momento in cui uccide il raggio di luce che penetra nel suo occhio e via dicendo. Questi esseri spirituali della Terra che l’uomo emana sono in un certo senso un figlio dello spirito nato morto, poiché l’uomo trasmette loro la propria morte.

Immaginiamoci che il Cristo non fosse venuto sulla Terra. Allora gli uomini, fintantoché le loro anime albergano in corpi terreni, continuerebbero ad emanare simili esseri caratterizzati dalla morte. E le qualità morali di cui abbiamo parlato ieri – la colpa oggettiva, il peccato oggettivo – sarebbero legate a questa morte. Sarebbero inserite nella morte.

Supponiamo che il mistero del Golgota non avesse avuto luogo. Che cosa sarebbe avvenuto nell’evoluzione della Terra?

Dall’epoca in cui avrebbe dovuto verificarsi il mistero del Golgota, gli uomini avrebbero creato forme spiritualmente dense dotate di morte. E queste forme dense sarebbero diventate ciò che la Terra si sarebbe dovuta portare appresso nel suo passaggio a “Giove”. L’uomo avrebbe portato alla Terra la morte. Una Terra morta avrebbe partorito un Giove morto.

Questo sarebbe dovuto accadere, poiché l’uomo non ha la possibilità di pervadere ciò che emana con l’elemento presente nella musica delle sfere e con quello presente nella vita cosmica. Questi elementi non ci sarebbero stati, non sarebbero confluiti in ciò che l’uomo irradia.

Ma il Cristo li ha introdotti con il mistero del Golgota. E mentre in noi si realizza il «Non io, ma il Cristo in me», cari amici, mentre assorbiamo il Cristo e sviluppiamo il nostro rapporto con lui, quello che emaniamo – e che normalmente sarebbe morto – prende vita.

Dato che portiamo in noi la morte, il Cristo vivente deve compenetrarci per animare quella che ci lasciamo alle spalle come essere spirituale della Terra. E ciò che si stacca da noi come peccato oggettivo, come debito oggettivo, viene compenetrato e ravvivato dal Logos vivente, dal Cristo. E in questo modo la Terra può evolvere verso Giove in maniera vitale. Questa è la conseguenza del mistero del Golgota.

Ma, cari amici, la nostra anima può avere la seguente percezione del Cristo. Può dirsi: sì, un tempo c’era un mondo in cui l’uomo stava in grembo al Logos divino, ma poi con la tentazione luciferica ha fatto entrare la morte dentro di sé. Ha assimilato il germe che può far sì che una Terra morta partorisca un Giove morto.

È rimasto indietro quello che gli uomini avrebbero dovuto ricevere per la loro vita terrena prima della caduta. Ma con il Cristo ha fatto il proprio ingresso nell’esistenza terrena umana, allo scopo di restituire all’anima umana ciò che aveva dovuto perdere sulla Terra a causa del peccato originale.

E lasciandosi pervadere dal Cristo l’uomo può dirsi: «Ora con il Cristo entra nella mia anima ciò che ha dovuto restare indietro nel cosmo per via della tentazione luciferica. Solo adesso divento completamente anima, solo adesso la mia anima è di nuovo compenetrata da ciò a cui era destinata per decreto divino fin dai primordi della Terra.»

Ci si domanda: sono davvero un’anima senza il Cristo? E si sente che solo attraverso il Cristo si diventa quell’anima che si sarebbe dovuti diventare per decreto divino.

Cari amici, questa è la meravigliosa sensazione di sentirsi a casa propria che l’anima può provare con il proprio Cristo, poiché il Cristo è sceso dalla patria cosmica primigenia dell’anima umana e là la riconduce, alla patria che le è stata destinata dagli esseri divini. La reale esperienza del Cristo nell’anima umana procura questa gioia, questa felicità!

Era questo che per esempio ha prodotto un effetto così gioioso su certi mistici cristiani del Medioevo – anche se molte volte hanno espresso le loro esperienze in immagini troppo sensibili –, come i seguaci di Bernardo di Chiaravalle e altri ancora. Per loro l’anima umana era come una sposa che ha perduto lo sposo agli inizi della Terra. E quando il Cristo entrava nelle loro anime, ravvivandole, lo sentivano come lo sposo dell’anima che si riuniva ad essa dopo la separazione.

Cari amici, quando l’anima umana si immedesima davvero nel Cristo, quando lo vive come l’essere vivente che grazie alla morte sul Golgota si è riversato nell’atmosfera spirituale della Terra, allora si sente ravvivata interiormente da questo Cristo, vive il passaggio dalla morte alla vita.

Dato che fino a quando conduciamo un’esistenza terrena dobbiamo farlo dentro il corpo umano, non possiamo sentire direttamente la musica delle sfere e neppure fare l’esperienza diretta della vita cosmica. Ma possiamo vivere in noi quello che fluisce direttamente dal Cristo. Abbiamo un sostituto di quello che di solito affluisce dalla vita cosmica sotto forma di musica delle sfere e in tal modo possiamo fare l’esperienza di ciò che altrimenti ci proverrebbe dalla musica delle sfere e dalla vita cosmica.

Il vecchio Pitagora parlava di “musica delle sfere”; per quale motivo? Poiché era un iniziato agli antichi misteri, in grado di fare al di fuori del corpo l’esperienza del Cristo che solo successivamente sarebbe venuto sulla Terra.

Dopo il mistero del Golgota l’uomo non può più parlare della musica delle sfere nello stesso modo in cui ne ha parlato Pitagora. Ma ne può parlare in un altro modo anche se non vive con la propria anima fuori del corpo. In qualità di iniziato può parlare anche oggi come Pitagora, ma come uomo comune nel proprio corpo fisico può parlare di musica delle sfere e di vita cosmica solo se nella propria anima sperimenta: «Non io, ma il Cristo in me.» È lui infatti che ha vissuto nella musica delle sfere e nella vita cosmica.

Ma dobbiamo vivere davvero il processo anche dentro di noi, dobbiamo accogliere veramente il Cristo nella nostra anima.

Supponiamo che l’uomo opponga resistenza ad accogliere il Cristo nella propria anima. Allora arriverebbe alla fine della Terra e negli spiriti della Terra sorti nel corso dell’umanità terrena – in quei fantoma spirituali formatisi dalla Terra – troverebbe tutti quegli esseri che ha emanato nelle sue precedenti incarnazioni. Ci sarebbe tutto questo, e il risultato sarebbe una Terra morta che da morta passa allo stadio di Giove.

Al termine dell’evoluzione terrestre un uomo potrebbe aver portato a compimento il proprio karma, cioè aver pareggiato a livello soggettivo tutte le sue imperfezioni commesse. Nella sua anima, nel suo ego, potrebbe essere diventato perfetto. Ma a livello oggettivo la colpa e il peccato continuerebbero ad essere presenti in ciò che è rimasto. Questa è assolutamente una verità.

Noi infatti non viviamo solo per noi stessi, ma anche per il mondo. E se non avremo accolto in noi il Cristo vivente, alla fine dei tempi i residui delle nostre incarnazioni terrene rimarranno lì come un imponente quadro.

Ma allora cosa fa il Cristo vivente in base a quanto è stato detto nella conferenza di ieri? Se colleghiamo ciò che abbiamo detto ieri con quello che abbiamo esposto oggi – che in fin dei conti è la stessa cosa – vediamo che il Cristo prende su di sé la colpa e il peccato nella misura in cui sono oggettivi. E se abbiamo accolto il Cristo in noi, allora Egli assume su di sé ciò che promana da noi. E i nostri residui allora vengono vivificati e irradiati dal Cristo. E qual è il risultato complessivo?

I resti delle singole incarnazioni si uniscono fra loro per il fatto che il Cristo, che appartiene a tutti gli uomini del passato e del presente, li unisce tutti. Ogni anima umana vive in incarnazioni successive. Ogni incarnazione lascia dei residui – li abbiamo descritti. Le singole incarnazioni lasciano dei resti fino alla fine del mondo. Se pervasi dell’energia cristica, questi resti si comprimono fino ad unificarsi. Questa “compressione” di ciò che è sottile lo rende denso, anche ciò che è spiritualmente sottile acquisisce “densità”.

E tutte le nostre incarnazioni terrene vengono così riunite in un corpo spirituale che ci appartiene e di cui abbiamo bisogno per evolvere allo stadio di Giove. Si tratta del punto di partenza delle nostre incarnazioni su Giove.

Alla fine dell’era terrestre ci ritroveremo con la nostra anima, con il suo karma di sempre. Ci dovremo unire ai nostri resti corporeo-spirituali raccolti dal Cristo per passare con loro a Giove.

Risorgeremo nel corpo, nel corpo terrestre addensato risultante dalle varie incarnazioni. In verità, miei cari amici, ve lo dico con profonda commozione: risorgeremo nel corpo!

Oggi i sedicenni e anche quelli più giovani cominciano a parlare del fatto di essere contenti di aver superato un’assurdità come quella della “risurrezione del corpo”. Ma quelli che si immergono nei misteri del mondo dal punto di vista della scienza dello spirito si innalzano gradualmente alla comprensione di ciò che è stato detto all’uomo – poiché a loro lo si è dovuto dire, affinché lo cogliessero dapprima come verità che dà vita per poi poterlo anche comprendere intellettualmente.

La risurrezione del corpo è una realtà, ma la nostra anima deve sentire di voler risorgere di fronte ai residui terreni raccolti dal Cristo – di fronte al corpo spirituale pervaso dall’energia cristica. Questo deve imparare la nostra anima.

Mettiamo infatti, non avendo accolto in noi il Cristo vivente, di non poterci accostare a questo corpo terreno con la sua colpa e il suo peccato, di non poterci unire ad esso. Se avessimo respinto il Cristo, alla fine dell’evoluzione della Terra i resti delle nostre incarnazioni resterebbero là dispersi. Resteremmo legati alla Terra, a ciò che di morto rimane nei nostri residui. È vero che la nostra anima verrebbe liberata egoisticamente nello spirito, ma noi non potremmo accostarci ai nostri resti corporei.

Tali anime, cari amici, sono prede di Lucifero, che mira ad ostacolare l’effettivo destino della Terra, a trattenere le anime nel mondo spirituale. E Lucifero invierà su Giove i resti terreni sparsi – come allegato morto della Terra-Giove che continuerà ad essere in questo pianeta come una luna non separata che spinge verso l’alto i residui terrestri; su Giove tali residui dovranno essere ravvivati dalle anime che stanno al di sopra come anime di gruppo.

Ed ora ricordate che prima ho detto: su Giove il genere umano si dividerà fra quelli che hanno raggiunto la meta dell’evoluzione terrestre e quelli che resteranno a metà fra il regno umano e quello animale di Giove. Ci saranno anime che esisteranno solo a livello luciferico, vale a dire solo spiritualmente. Il corpo ce l’avranno in basso, e questo corpo sarà una chiara espressione della loro interiorità, ma lo potranno dirigere solo dall’esterno.

Su Giove si distingueranno due razze, una buona e una cattiva. A questa seguirà “l’esistenza venusiana”, dove si creerà un’ultima compensazione grazie all’ulteriore evoluzione con il Cristo.

Ma, cari amici, proprio su Giove l’uomo deve accorgersi di ciò che significherebbe voler diventare perfetto solo nel suo ego personale, senza occuparsi del mondo intero. Allora attraversando interamente il ciclo di Giove, dove tutto questo apparirà al suo occhio spirituale, l’uomo deve venire a conoscenza di quello che non ha cristificato durante la sua vita terrena.

Miei cari amici, mettiamo insieme tutto questo e ricordiamo da quest’ottica le parole con cui il Cristo ha inviato nel mondo i suoi apostoli ad annunciare il suo nome e a rimettere i peccati in suo nome.

Perché rimettere i peccati? Perché questa remissione dei peccati è in relazione con il suo nome. Perché il peccato può essere cancellato e trasformato in qualcosa di vitale se il Cristo si unirà ai nostri resti terreni grazie al fatto che l’abbiamo portato dentro di noi già nel corso della nostra esistenza terrena nel senso della frase paolina: «Non io, ma il Cristo vive in me.»

E laddove una confessione religiosa, cari amici, si ricollega con le sue azioni esteriori alla parola del Cristo per continuare a rammentare alle anime ciò che è in relazione col Cristo, allora dobbiamo collegarle anche questo profondo significato.

Se una Chiesa fa parlare i suoi servitori per conto del Cristo della “remissione dei peccati”, ciò non significa altro che colui il quale collega la sua parola alla remissione dei peccati per mezzo del Cristo lascia intendere all’anima che vuol essere consolata: «Sì, ho visto che hai sviluppato questo rapporto vivente con il Cristo. Hai unito quello che è per te il Cristo con la colpa e il peccato oggettivi che vengono assorbiti nei tuoi residui terreni. Poiché mi sono reso conto che ti sei pervasa del Cristo, posso dirti che i tuoi peccati ti sono perdonati!»

Vi è sempre la tacita convinzione che l’interessato viva in comunione col suo Cristo, che lo voglia portare nel cuore e nell’anima. Per questo il servitore del Cristo è autorizzato a confortarlo quando questi gli si rivolge consapevole della propria colpa: «Il Cristo ti perdonerà. Ed io posso dirti che i tuoi peccati ti vengono rimessi nel suo nome.»

È un bel modo di entrare in contatto con l’unico Redentore-Perdonatore che c’è, poiché Egli è colui che assume su di sé i peccati, è l’essere che vivifica i residui terreni umani. È un bel collegamento, se quelli che lo vogliono servire sono in grado di consolare le anime che si sentono unite al Cristo per mezzo delle parole: «I tuoi peccati ti sono perdonati.»

In un certo senso è come se il rapporto fra l’anima e il Cristo venisse di nuovo rafforzato nel momento in cui quest’anima si sente dire: «Ho inteso la mia colpa, il mio peccato, così che mi si possa dire: il Cristo li prende su di sé, li intesse con la propria essenza.»

Se la parola della remissione dei peccati dev’essere una parola di verità, nelle sue sfumature è sottinteso che anche se il peccatore non rinnova il proprio patto col Cristo ricorda perlomeno di averlo stipulato. La coscienza di questa alleanza non può mai essere rinnovata abbastanza dall’anima. Così il modo migliore per l’anima di aver coscienza del proprio rapporto con il Cristo nella vita quotidiana consiste nel continuare a ricordarsi dell’esistenza del Cristo cosmico sulla Terra proprio nel momento della remissione dei peccati.

Cari amici, coloro che aderiscono con lo spirito giusto alla scienza dello spirito possono diventare i propri “confessori” personali, e non solo in senso esteriore. Di sicuro grazie alla scienza dello spirito si sentiranno così intimamente legati al Cristo da poterne percepire direttamente la presenza spirituale, e votandosi a Lui come al principio cosmico, possono “confessarsi” direttamente a Lui nello spirito e nella loro silenziosa meditazione ricevere da Lui il perdono dei peccati.

Ma, finché gli uomini non saranno pervasi a tal punto dalla scienza dello spirito, occorre aver comprensione per quello che per così dire è un segno esteriore nella prassi delle varie religioni del mondo.

Gli uomini diventeranno sempre più liberi spiritualmente, e così anche il loro rapporto col Cristo diverrà sempre più diretto. Ed è importante esercitare la tolleranza gli uni verso gli altri!

Come colui che crede di aver colto così intimamente lo spirito del mistero del Golgota da poter dialogare direttamente col Cristo, deve guardare con comprensione a quelli che hanno bisogno delle norme esterne di un credo e del servitore del Cristo che li possa confortare dicendo: «I tuoi peccati ti sono perdonati», così dall’altra parte devono essere non meno tolleranti quelli che vedono che ci sono persone interiormente autonome. Sarà questa una situazione ideale in seno all’esistenza terrena, ma almeno lo scienziato spirituale deve tendere a questo ideale.

Miei cari amici! Vi ho parlato di misteri spirituali che si svelano permettendo all’uomo di guardare ancor più profondamente nell’essenza del nostro essere. Vi ho parlato di quel superamento dell’egoismo dell’uomo, di quelle cose la cui comprensione ci consente di capire anche il karma in maniera corretta. Vi ho parlato dell’uomo, nella misura in cui non è solo un essere egoistico, ma appartiene all’intera esistenza terrena ed è chiamato a contribuire al conseguimento dello scopo divino della Terra.

Il Cristo è venuto sulla Terra e ha attraversato il mistero del Golgota non solo per soddisfare l’egoismo di ogni singolo individuo.

Sarebbe terribile pensare che la frase: «Non io, ma il Cristo in me» venga intesa solo nel senso di favorire un egoismo ancora maggiore. Il Cristo è morto per l’umanità intera, per tutti gli uomini della Terra. Il Cristo è diventato lo spirito centrale della Terra, con il compito di salvare per essa tutta la spiritualità terrestre che fluisce dagli uomini.

Cari amici, oggi è possibile leggere le opere di teologi che dicono all’incirca: «Sì, certi teologi del XIX e del XX secolo hanno finalmente sradicato la credenza popolare medievale in base alla quale il Cristo è venuto nel mondo per strappare la Terra al diavolo, a Lucifero.» Esiste anche una teologia “illuminata”, materialistica! Ma il vero illuminismo ci riporta alla semplice credenza popolare, poiché tutto ciò che sulla Terra non viene liberato dal Cristo appartiene a Lucifero.

E tutto ciò che è umano, cari amici, ciò che in noi va oltre il nostro ego, viene nobilitato, reso fecondo per tutta l’umanità, nel momento in cui viene cristificato.

Ed ora che siamo giunti alla fine delle nostre osservazioni odierne, cari amici, non voglio trascurare di dire queste parole ad ogni singola anima:

Nei nostri cuori possono albergare la speranza e la fiducia nel futuro della nostra causa poiché fin dall’inizio del nostro lavoro ci siamo impegnati per permeare con la volontà del Cristo ciò che abbiamo da dire. E ci dà speranza e fiducia il fatto di poter affermare che in fin dei conti la nostra dottrina corrisponde a ciò che il Cristo ha voluto dirci adempiendo le sue parole: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.» Abbiamo solo voluto prestare ascolto a quanto proviene da Lui.

E ciò che lui ha ispirato in noi in base alle sue promesse lo vogliamo accogliere nelle nostre anime come la nostra scienza dello spirito. La consideriamo qualcosa di cristico non perché la sentiamo pervasa da qualcosa di cristiano in senso dogmatico, ma perché la consideriamo come una rivelazione cristica, una rivelazione del Cristo in noi.

Per questo sono convinto, cari amici, che ciò che viene compreso come vera e autentica scienza dello spirito dalle anime che vogliono accogliere insieme a noi la nostra scienza dello spirito pervasa di energia cristica diventerà fecondo per l’umanità intera, e in particolare per quelli che a loro volta vorranno ricevere questi frutti.

Miei cari amici, molto di quanto è spiritualmente buono nel nostro movimento scientifico-spirituale, se osservato dal punto di vista chiaroveggente si mostra come qualcosa che proviene da coloro che hanno accolto con noi la nostra scienza dello spirito cristificata e che, dopo la morte, ce ne rimandano i frutti. In noi vive quello che coloro che hanno già accolto una scienza dello spirito cristica ci mandano dai mondi spirituali. Essi infatti non lo tengono per sè, per raggiungere la perfezione nella loro corrente karmica, ma lo lasciano fluire in tutti quelli disposti a riceverlo. Conforto e speranza per la nostra scienza dello spirito fioriscono dalla consapevolezza che anche i nostri cosiddetti morti lavorano con noi.

Oggi posso permettermi di dirvi ancora qualcosa di “personale”: Mentre vi parlavo qui a Norrköping non potevo non sentire lo spirito buono di colei che era in rapporti così intimi con quello che chiamiamo il nostro gruppo di Norrköping. Come un angelo buono, lo spirito della signora Danielson veglia su tutto quanto viene intrapreso da questo gruppo. E nel senso esposto era anche uno spirito cristico. Le anime che lo riconoscono non si sentiranno mai separate da lui. Possa continuare ad agire come spirito protettore di questo gruppo. E lo vorrà di sicuro se le anime che operano in questa cerchia lo accoglieranno.

Cari amici, concludo queste conferenze con queste parole dette dal profondo del cuore e spero che potremo ancora lavorare insieme lungo i cammini dello spirito da noi intrapresi.

[1] Il termine sanscrito “akasha” viene tradotto con “spazio aperto”, “spazio aereo pieno di luce”. È il quinto elemento (la “quinta essenza, il più sottile, il portatore della vita e dei pensieri – una “cronaca” sovrasensibile in cui viene registrato indissolubilmente anche tutto ciò che avviene nel mondo terreno. Rudolf Steiner lo chiama “mondo eterico”.

[2] Annie Besant aveva diffamato Steiner definendolo allievo dei gesuiti.

[3] Nel ciclo di conferenze Da Gesù a Cristo, dal 5 al 14 ottobre 1911.

Nota redazionale

Nell’Opera omnia di Rudolf Steiner (GA 155, HDD 2004, pag. 244) si legge: «Di tutte le conferenze … esiste solo una stesura scritta. Le conferenze di Norrköpingen del luglio 1914 sono state trascritte da Hedda Hummerl.» Da qui l’impressione che alla base del testo dell’Opera omnia vi sia quell’unica trascrizione. Le cose però non stanno così: il testo dell’Opera omnia è quasi perfettamente uguale alla versione della prima stampa del 1915. In diversi punti questa versione si discosta notevolmente dal testo della trascrizione in chiaro per via di spiegazioni o aggiunte. Solo la parola “Cristo” appare nell’Opera omnia 39 volte in più che nella trascrizione in chiaro. Poiché questa è la più vicina al discorso di Steiner, la presente edizione si basa su di essa.

Un esempio degli interventi a volte non sensati nel discorso di Rudolf Steiner si trova a pag. 182 dell’Opera omnia 155: «Un uomo che cava gli occhi a un altro è meno perfetto di uno che non ha commesso una simile azione…» Non è possibile fare un paragone morale fra due esseri umani. Nella trascrizione in chiaro Rudolf Steiner parla di un solo uomo che, dopo aver cavato gli occhi a un altro, è lui stesso “diventato” più imperfetto di prima. Dal raffronto fra questi due testi si vede che il paragone fra due uomini è stato aggiunto solo in un secondo tempo (alla pagina www.forumgeisteswissenschaft.de è possibile trovare i due testi completi comparati):

Trascrizione originale

«La concezione della libertà umana non prevede affatto il desiderio che i peccati ci vengano perdonati nel senso di non dover pareggiare il karma. Sostanzialmente è impossibile che uno che per esempio cava gli occhi a un altro venga “perdonato” e che in tal modo il karma venga appianato. La giustizia del karma consiste…»

Testo dell’OO 152, pag. 182-83

«Sostanzialmente la concezione umana della libertà non prevede quindi affatto il desiderio che ci vengano perdonati dei peccati qualsiasi nel senso che per esempio oggi caviamo gli occhi a un uomo e poi questo peccato ci viene perdonato, non lo dobbiamo più compensare nel nostro karma. Un uomo che cava gli occhi a un altro è meno perfetto di un uomo che non lo ha fatto, e nel karma successivo sarà necessario che compia una buona azione a compensazione di questa; solo allora torna ad essere l’uomo che era prima di aver compiuto quell’azione. Se quindi si riflette veramente sulla natura dell’uomo, non si può in fondo affatto pensare che uno che cava gli occhi a un altro venga perdonato e che poi il karma sia appianato. La giustizia del karma consiste…»

A proposito di Rudolf Steiner

Rudolf Steiner (1861-1925) ha integrato le moderne scienze naturali con una indagine scientifica del mondo spirituale. La sua antroposofia rappresenta, nella cultura odierna, una sfida unica al superamento del materialismo.

La scienza dello spirito di Steiner non è solo teoria. La sua fecondità si palesa nella capacità di rinnovare i vari ambiti della vita: l’educazione, la medicina, l’arte, la religione, l’agricoltura, fino a prospettare l’idea di una triarticolazione dell’intero organismo sociale che riserva all’ambito della cultura, a quello della politica e a quello dell’economia una reciproca indipendenza.

Fino a oggi Rudolf Steiner è stato ignorato dalla cultura dominante. Questo forse perché molti uomini indietreggiano impauriti di fronte alla scelta che ogni uomo deve fare tra potere e solidarietà, fra denaro e spirito. In questa scelta si manifesta quell’interiore esperienza della libertà che è stata resa possibile a tutti gli uomini a partire da duemila anni fa, e che porta a un crescente discernimento degli spiriti nell’umanità.

La scienza dello spirito di Rudolf Steiner non può essere né un movimento di massa né un fenomeno elitario: da un lato, infatti, solo il singolo individuo, nella sua libertà, può decidere di farla sua; dall’altro questo singolo individuo può mantenere le sue radici in tutti gli strati della società, in tutti i popoli e in tutte le religioni egli sia nato e cresciuto.

Foto di Steiner
Cristo e l'anima umana - copertina - retor