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Redazione a cura di Stefania Carosi

ISBN 978-88-96193-69-3

www.liberaconoscenza.it

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Pietro Archiati

«VOI SIETE DÈI!»

L’UOMO IN CAMMINO

Il mio regno non è di questo mondo

Volume 3

Logo Pensare Libero

Indice

Note introduttive

Prefazione

Primo capitolo

il cristianesimo di pietro

Il cristianesimo non è una religione

Perché si parla dell’impulso-Cristo?

«Tu seguimi»

La controversia sull’Eucarestia

L’arroganza dell’ignoranza

L’analfabetismo spirituale del nostro tempo

Le false incompatibilità

I tre ultimi dogmi della Chiesa cattolica

Secondo capitolo

verso il cristianesimo di giovanni

L’insegnamento del Risorto

La straordinaria legge dell’economia spirituale

Il cristianesimo esoterico

La Scolastica medioevale e la redenzione del pensare

Da figlio di Dio a figlio dell’Uomo

Terzo capitolo

gli uni negli altri

Amare il karma di tutti

L’immoralità della volontà comune

Vita in comunità

L’evoluzione della socialità

L’assurda condanna dell’egoismo

Nazionalismo e cosmopolitismo

Quarto capitolo

la chiesa cattolica ovvero la santa istituzione

La successione apostolica

L’uomo, servo della Santa Istituzione

L’entusiasmo obbediente

La censura e l’indice

Le cariche all’interno dell’istituzione

L’avvenire del cristianesimo è l’avvenire dell’uomo

Il volto del Cristo nell’anima umana

Appendice

Dopo la morte di Rudolf Steiner: cesura o successione?

Letture correlate

A proposito di Pietro Archiati

Note introduttive

«Voi siete dèi» L’uomo in cammino, volumi 1, 2, 3, raccolgono le prime pubblicazioni di Pietro Archiati in Italia, esaurite da oltre un decennio: Il quinto vangelo (1992), Lettura esoterica dei vangeli (1996) e Dal cristianesimo al Cristo (1997). L’argomento trattato è l’evento del Golgota, è la grande svolta dell’evoluzione umana vista in un’ottica a dir poco rivoluzionaria.

Non è stata fatta una semplice ristampa di quei libri perché nel corso degli anni Pietro Archiati ha portato la scienza dello spirito (antroposofia) di Rudolf Steiner a un pubblico sempre più vasto, creando un nuovo linguaggio che non dà per scontata nessuna conoscenza esoterica.

I contenuti sono perciò rimasti gli stessi di tanti anni fa ma il linguaggio è stato snellito e sono state ampliate e inserite nel testo le note esplicative.

I tre volumi presentano in questa nuova edizione un percorso unitario che inizia dalla percezione diretta dei fatti di duemila anni fa da parte dell’iniziato Rudolf Steiner («Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1), passa alla descrizione e decifrazione del linguaggio tecnico-esoterico dei vangeli («Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2) e conclude con una disamina del cristianesimo non come religione, ma come nuovo umanesimo ancora tutto da costruire («Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Il mio regno non è di questo mondo, vol 3). Quest’ultimo testo è corredato da numerosi stralci di conferenze di Rudolf Steiner, tradotti da Pietro Archiati.

Auguriamo a tutti una buona lettura, perché è davvero una buona lettura.

La Redazione

Prefazione

Negli ultimi tempi si è parlato di epoca postmoderna e postcristiana. L’accento sul post, sul dopo, sottolinea ciò che si vuol lasciare dietro di sé ma non indica quel che di nuovo si vuol costruire.

Queste pagine vogliono essere sia postcristiane, sia precristiane. Postcristiane se riferite al cristianesimo tradizionale, che per un numero sempre crescente di persone non è più in grado di fondare e di fecondare l’esistenza. Precristiane nel senso che, se il cristianesimo viene inteso come puro umanesimo, noi siamo culturalmente all’inizio di una presa di coscienza delle dimensioni spirituali e cosmiche dell’uomo e di tutta la realtà.

Nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner, l’evento dell’incarnazione del Verbo – dell’Essere solare dell’Amore – è il compimento e la somma di tutti i gradini evolutivi offerti alla libertà di ogni uomo.

Nella prefazione alla seconda edizione tedesca di questo libro spiegavo brevemente al lettore il duplice pericolo del relativismo e del dogmatismo. L’autore si adopera maggiormente a evitare il primo; compito del lettore è particolarmente quello di evitare il secondo.

Dicevo letteralmente: «Devo ancora aggiungere all’indirizzo dei lettori una parola sui miei rapporti con Rudolf Steiner. […] È naturale che chi non conosce la scienza dello spirito si ponga la domanda: come è possibile accordare un’importanza così straordinaria a quest’uomo, Rudolf Steiner? Non abbiamo forse a che fare, qui, con posizioni dogmatiche o fanatiche? A questo rispondo semplicemente: sta al lettore stesso giudicare se, là dove espongo le mie idee, do l’impressione di essere dogmatico. Per il lettore, così come per me, al riguardo non c’è alcunché di superiore alla propria facoltà di giudizio».

Pietro Archiati

Primo capitolo

IL CRISTIANESIMO DI PIETRO

Il cristianesimo non è una religione

L’importanza del cristianesimo nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner è del tutto particolare, perché è considerato la sintesi di tutte le religioni. Dal lato storico-tradizionale, invece, è visto come una religione accanto alle altre.

Questa distinzione è in assoluto la più importante da fare.

Ciò che tradizionalmente si intende per cristianesimo è la forma culturale assunta da tutto quello che negli ultimi duemila anni è stato definito cristiano. Si tratta principalmente di pensieri e dogmi umani, di istituzioni, chiese e confessioni umane, vale a dire di ciò che gli uomini hanno espresso vivendo il loro rapporto con l’evento del Cristo.

La “religione” cristiana, di certo, ha sempre voluto rapportarsi all’Entità spirituale del Cristo, ma l’affermazione fondamentale della scienza dello spirito è che il rapporto diretto con il mondo spirituale reale è andato scomparendo nell’umanità, e che la pratica religiosa in senso stretto è diventata essenziale. Ciò che il Cristo stesso è e compie è stato sempre più ignorato, mentre ha acquistato importanza quel che la Chiesa e gli uomini operano. In questo senso è necessaria la distinzione tra cristianesimo quale operare del Cristo, e cristianesimo quale azione degli uomini.

Solo una vera e propria scienza dello spirito[1] è in grado di rivolgere lo sguardo in modo diretto e rinnovato all’Entità sovrasensibile del Cristo, indagando e svelando aspetti del suo operare negli ultimi duemila anni di cui gli uomini, altrimenti, nulla potrebbero sapere.

Rudolf Steiner così si esprime al riguardo:[2]

«L’antroposofia ha oggi da prestare diversi servigi all’umanità. Un servizio importante sarà quello religioso. Non si dovrà fondare una nuova religione. Con l’evento mediante il quale un Essere divino è passato attraverso il destino umano di morte e nascita, la Terra ha ricevuto il suo significato, così che questo evento non potrà mai venir superato. Dopo il cristianesimo – ciò è del tutto evidente per chi conosce le fondamenta del cristianesimo – una nuova religione non può più venir fondata. Il cristianesimo non verrebbe giustamente compreso se si volesse credere che potrebbe venir fondata una nuova religione. Ma in quanto l’umanità stessa procede sempre più nella sapienza soprasensibile, il mistero del Golgota e quindi l’Entità del Cristo vengono compresi sempre più profondamente. Proprio l’antroposofia vorrebbe dare a questa comprensione quel contributo che nel presente forse essa sola può dare».

Il cristianesimo, inteso dapprima come una religione accanto ad altre, non poteva ancora trovare la sua vera forma. L’Essere del Cristo è l’incarnazione dell’ideale dell’umanità e il suo operare è l’anticipazione di tutti i futuri gradini dello sviluppo dell’uomo sulla Terra, offerta come possibilità di cammino a ogni uomo. In tal senso l’essenza del cristianesimo è il Cristo stesso. Questa Entità cosmico-divina è l’Essere del Sole, è l’Essere dell’Amore entrato nella Terra, per trasformarla da un cosmo di saggezza in un cosmo di amore. L’essenza del cristianesimo è ciò che il Cristo è e rende possibile a ogni uomo mediante il suo operare. In tal senso il cristianesimo è per eccellenza un vero umanesimo.

Perché si parla dell’impulso-Cristo?

Chi è il Cristo? Rudolf Steiner parla spesso dell’impulso-Cristo: molti lo trovano strano e si chiedono il senso di questo connotato impersonale. Siamo di fronte a un fattore di estrema importanza: con la parola impulso si intende dire che è impossibile comprendere l’evento di duemila anni fa se immaginiamo che il Cristo agisca soltanto in modo umano-personale.

A tale proposito Rudolf Steiner così si esprime:[3]

«Ma il cristianesimo non guarda al Cristo come a una personalità, come al fondatore di un sistema religioso astratto. Nel nostro tempo attuale, a seguito delle esigenze proprie della nostra epoca, un fondatore di religioni creerebbe soltanto dissidi. Non da una personalità proviene l’iniziazione cristiana, bensì da un evento, un impersonale atto degli dèi, che si è svolto davanti agli occhi degli uomini».

In tal senso Rudolf Steiner chiama spesso il mistero del Golgota una faccenda degli dèi, un evento cosmico nel mondo delle Gerarchie, di cui gli uomini furono dapprima spettatori, poiché esso aveva anche il suo lato storico-terrestre.

Abbiamo così a che fare con un impulso, con un poderoso evento che abbraccia il cosmo e l’uomo e segna l’irrompere di forze cosmiche nell’intera realtà della Terra. Il mistero del Golgota è un fatto mistico, è un’azione divina e come tale è anche un radicale evento di natura.[4] Rispetto all’azione cosmico-terrena dell’evento del Cristo, la portata di qualunque azione umana è imparagonabile, è qualcosa d’infinitamente più limitato.

Se afferriamo giustamente questo carattere d’impulso, possiamo comprendere meglio la differenza principale che sussiste tra il cristianesimo e tutte le religioni precristiane. Queste ultime erano tutte religioni del Dio Padre. I fondatori di religioni erano personalità umane, anche se altamente sviluppate, ed esprimevano un modo particolare di ricollegare l’uomo con il mondo spirituale. Religione viene dal latino religare, che significa ricongiungere.

Nella stessa conferenza Rudolf Steiner aggiunge:

«La differenza fondamentale tra il cristianesimo e le altre religioni è questa: il compito che ha nel mondo il principio di iniziazione che conduce al Cristo è diverso dalle culture che sono emerse da altri principi religiosi. Il compito che il principio di iniziazione cristiana ha nella missione del mondo proveniva da un fatto, da un evento, non da una personalità.

[…] Basta prendere in considerazione un singolo evento […] e, benché esteriormente, si sarà allora caratterizzato il punto di partenza del cristianesimo esoterico, dell’iniziazione cristiana: si tratta della morte sperimentata nella congiunzione del Cristo col Gesù di Nazareth. L’evento di quella morte, che noi chiamiamo mistero del Golgota, è ciò che dovrebbe venir compreso a partire dal principio dell’iniziazione cristiana».

Queste religioni precristiane (religioni nel vero senso della parola) non erano ovviamente solo opera dei loro fondatori umani. La divinità guidava gli uomini attraverso questi fondatori ispirandoli in modo diverso a seconda del popolo o del periodo di cultura. Il modo di agire della divinità aveva però ovunque un carattere paterno, mostrava cioè l’impronta del Dio Padre così come opera nella natura: in modo ferreo, determinato, necessario. Anche nell’uomo, allora, è dapprima presente soltanto l’operare cogente della natura, del Padre divino: non c’è ancora nessuna libertà individuale.

Anche dove si parla di una Trinità, essa viene intesa e vissuta come una triplice manifestazione del Dio Padre. Così, per esempio, nell’induismo la Trinità divina di Brahma (il creatore), Vishnu (il conservatore) e Shiva (il distruttore) mostra l’onnipotenza del Dio Padre che crea, conserva e distrugge tutte le cose. In questa triplice onnipotenza di Dio è totalmente inserito anche l’uomo.

Del Dio-Figlio si parlava solo nei misteri, come di colui che in futuro avrebbe redento l’umanità. Ciò significa che la vera opera di redenzione non veniva attribuita al Dio Padre, il cui agire veniva sperimentato unicamente come una grazia, come una guida provvidenziale ma esterna, sul modello appunto di una legge di natura in cui l’intera umanità è inserita e a cui è assoggettata. L’uomo rimetteva tutto alla grazia divina e tutto si attendeva da lei: ogni pur minimo elemento personale o di autonomia veniva perfino vissuto come peccato.

Ciò che attraverso l’entrata del Figlio divino nella Terra si presenta come evento del tutto nuovo – come eÙaggšlion (euanghélion), il Vangelo, la buona novella che giunge dal mondo delle Gerarchie angeliche – è la possibilità della libertà dell’uomo, quale compimento dell’operare del Padre. Questo è qualcosa del tutto nuovo nell’evoluzione. La religione prima di Cristo era sempre stata intesa come un ritorno nel grembo divino paterno, ritorno ai primordi, al paradiso primigenio.

L’Entità del Cristo porta e rende possibile la sfida inversa rivolta al futuro: trasformare il mondo del Padre attraverso l’esercizio della libertà. L’inversione assoluta dalla dimensione paterna del determinismo di natura all’impulso della libertà, proprio del Figlio, è sconosciuta alle religioni precristiane. E nemmeno potevano conoscerla, perché l’Essere solare non era ancora penetrato definitivamente nella Terra.

Nella conferenza dell’11 settembre 1924 Rudolf Steiner dice:[5]

«Se si parlasse solo di Dio Padre, si sarebbe allora giustificati […] a parlare ovunque di effetti di natura, che sono al contempo effetti dello spirito, poiché negli effetti di natura sono contenuti ovunque effetti dello spirito».

La nostra scienza naturalistica, così come è sorta negli ultimi tempi e come opera a tutt’oggi, è soltanto una scienza unilaterale del Padre. A questa deve aggiungersi la scienza del Figlio, del Cristo, la scienza che riguarda il modo in cui l’uomo afferra se stesso, il modo in cui egli consegue un impulso, che può accogliere unicamente mediante l’anima e che non può provenire dalle forze dell’ereditarietà. Che l’uomo faccia esperienza di ciò è a tutta prima privo di qualsiasi legge, di qualsiasi forza e operatività vincolante. L’operatività gli viene innestata attraverso lo spirito; nel senso degli antichi misteri, abbiamo così due regni: il regno di natura – ovvero il regno del Padre – e il regno dello spirito; e l’uomo dal regno di natura viene inserito nel regno dello spirito mediante il Figlio, mediante il Cristo».

«Tu seguimi»

Vogliamo ora prendere in considerazione la storia del cristianesimo passato. Questo cristianesimo può venire a buon diritto chiamato petrino: nei due millenni successivi all’evento del Golgota, infatti, l’umanità dovette cadere ancora più profondamente nella rocciosità del materialismo.

Se il Cristo avesse atteso troppo e invece che “nell’undicesima” fosse venuto nella “dodicesima” ora,[6] gli uomini non avrebbero più avuto alcuna possibilità di comprendere anche soltanto una minima parte di questo mistero. Il Cristo dice infatti a Pietro: «Tu seguimi».[7] Il compito del cristianesimo petrino era di seguire immediatamente all’evento del Cristo. Pietro, riferendosi a Giovanni, chiede: « ‹Signore, e lui›? Gesù gli rispose: ‹Se voglio che egli rimanga fino al mio ritorno, ciò non riguarda te. Tu seguimi› ».[8] Giovanni, il discepolo spirituale, dovrà attendere fino al Suo ritorno.

Il cristianesimo petrino era un cristianesimo dell’anima: sulla pietra-Pietro (all’apostolo Simone è stato dato dal Cristo stesso il nome Pietro: ciò che è affine alla pietra) il Cristo vuole dapprima costruire la Sua Chiesa, e Chiesa è ancora anima di gruppo, non ancora individualità spirituale autonoma. L’umanità deve sprofondare qui massimamente nel regno della morte, del minerale, vale a dire nel materialismo.

Poi, attraverso l’esperienza del Ritorno del Cristo[9] (o Parusìa), grazie a una scienza vera e propria dello spirituale, diventa ai tempi nostri gradualmente possibile far valere un cristianesimo dello spirito, il cristianesimo di Giovanni.

Il mistero del Golgota è avvenuto nella penultima ora, prima che l’umanità potesse sperimentare l’abisso ultimo del materialismo. Cristo stesso ha voluto accompagnare l’umanità in questo «andare al Padre»[10] fino alle ultime conseguenze. A ciò si deve una materializzazione sempre più profonda dello stesso cristianesimo nel corso dei secoli. Noi vogliamo descrivere questa storia unicamente sulla base di alcuni avvenimenti e fenomeni decisivi.

Nel quarto secolo, attraverso la svolta costantiniana, il cristianesimo fu dichiarato religione di Stato e iniziò allora a diventare potenza terrena. Sappiamo quanto questa potenza sia stata decisiva nei secoli successivi. Riguardo a questa svolta costantiniana ho dovuto sempre pensare alle parole del Cristo: «Il mio regno non è di questo mondo».[11] Il Cristo è venuto per trasformare il mondo terrestre in un mondo spirituale, ma nel quarto secolo la sua massima viene invertita: per il cristianesimo che allora iniziava, per certi versi vale la frase: «Il mio regno è di questo mondo».

Questo cristianesimo è il passato di tutti noi, e chi comprende giustamente la scienza dello spirito supera ogni rancore perché impara a considerare il fatto che la Chiesa “doveva” perdere, nel corso del tempo, tutti i tesori della conoscenza spirituale. E questo è un fatto evolutivo positivo. Infatti, solo perché da questo lato c’è da attendersi sempre meno, ognuno riceve la possibilità di cercare e trovare nuovamente lo spirito grazie alla libertà individuale. Se il singolo nutre ancora delle attese nei confronti della Chiesa, significa che vuole continuare a ricevere dall’esterno, omettendo la libera ricerca individuale.

Un altro aspetto importante nella storia del cristianesimo petrino è che la Messa diventa accessibile a tutti, indistintamente. Dai tempi più antichi era norma nell’umanità che nessuno potesse prender parte ai misteri con l’atteggiamento animico abituale e profano. Vi potevano assistere unicamente coloro che avevano compiuto una trasformazione interiore: essi dovevano portare incontro al mistero il giusto atteggiamento dell’anima. La trasformazione interiore era il presupposto per la partecipazione alla transustanziazione cultica. La messa cristiana era un concentrato dei contenuti più profondi dei misteri, ma a poco a poco se ne perse la coscienza: fu resa accessibile a tutti e le premesse della purificazione interiore non vennero più prese con la dovuta serietà e oggettività.

Un altro momento cruciale è rappresentato dall’anno 869, anno in cui, durante l’ottavo concilio ecumenico di Costantinopoli, venne abolito lo spirito, come Rudolf Steiner usava dire. La tricotomia, vale a dire la consapevolezza che l’uomo consiste di corpo, anima e spirito, andò perduta. Da allora in poi si affermò che l’uomo consiste di corpo e anima, e che l’anima possiede alcune qualità spirituali. Da qui all’affermazione fondamentale del darwinismo – l’uomo è un animale superiore – il passo è breve. La parola latina animal (animale) significa essere dotato di anima, e di corpo, naturalmente. La scienza naturalistica della seconda metà del secolo scorso è l’esecutrice del lascito dell’ottavo concilio ecumenico. La consapevolezza che ogni essere umano è un’individualità eterna, è un essere spirituale, si oscurò sempre di più.

La controversia sull’Eucarestia

Qualcosa di molto importante nello sviluppo del cristianesimo tradizionale è la controversia sull’eucarestia. Rudolf Steiner osserva che quando si inizia a dibattere su qualcosa è sempre un segno che non se ne comprendono più i nessi. Nei secoli passati l’animo cristiano poteva ancora sperimentare un profondo rapporto di fede col mistero della transustanziazione. Più tardi si iniziò a discutere se il pane e il vino fossero veramente il corpo e il sangue di Cristo, o se il rapporto fosse puramente simbolico. Ho già accennato in che cosa consista, nel suo significato più vasto e profondo, la transustanziazione cristica: l’uomo trasforma la necessità di natura in esperienza di libertà.

L’uomo vive prima di questa transustanziazione ogni qualvolta sperimenta il mondo materiale come più sostanziale e reale di quello spirituale. Egli si vive allora nel suo spirito come effetto, mentre sperimenta il mondo fisico-percepibile come causa. In questo caso egli vive ancora prima di Cristo. Ogni volta però che l’uomo è in grado, attraverso il pensare attivo e intuitivo, di sperimentare interiormente lo spirito – che egli afferra nel concetto –[12] in modo veramente attivo e capace di causare, allora egli transustanzia il mondo. Realmente.

È proprio nell’essenza del cristianesimo che l’uomo, attraverso la forza creante del suo pensare, sperimenti lo spirito come più sostanziale della materia. Nell’uomo e attraverso l’uomo si evidenzia che ogni vera causa è nell’attività dello spirito: ciò significa che queste cose non basta asserirle, bisogna viverle.

Ne La filosofia della libertà[13] di Rudolf Steiner viene descritta questa transustanziazione del mondo attraverso il pensare umano. Nel momento in cui l’uomo si accorge che nella percezione sensibile non c’è nessuna sostanzialità, egli stesso comincia a produrla, questa sostanzialità, mediante la formazione dei concetti, mediante l’attività del suo stesso spirito. Questa è transustanziazione cristica del mondo alla massima potenza.

La transustanziazione cultica, che viene compiuta attraverso la rappresentanza del sacerdote, non può valere come sostituzione piena e definitiva della transustanziazione individuale, che ognuno deve compiere quale esperienza interiore dello Spirito Santo. Le parole di Cristo: «Fate questo in memoria di me» significano che il culto cristico dovrebbe ricordare all’uomo quale compito lo attende nell’evoluzione. «Fate questo in memoria dell’Io»: ricordatevi che il senso ultimo dell’evoluzione è la pienezza dell’Io, la forza creante dello spirito umano.

Nella conferenza del 13 ottobre 1911 Rudolf Steiner dice:

«Finché si sapeva che l’eucarestia rappresenta la prova vivente che la materia non è semplicemente materia, ma che vi sono riti mediante i quali lo spirito può venir aggiunto alla materia, finché l’uomo sapeva che questa compenetrazione della materia con lo spirito è una compenetrazione come quella che si compie nell’eucarestia, questo fatto lo si accettò senza discussioni […]. Per gli uomini che volevano pervenire al Cristo, l’eucarestia sostituiva completamente la via esoterica quando questi non la potevano percorrere; essi potevano così trovare nell’eucarestia una reale unione col Cristo […]. E come il cristiano non evoluto poteva trovare mediante l’eucarestia la sua via verso il Cristo, così il cristiano evoluto, che attraverso la progredita scienza dello spirito impara a conoscere la figura del Cristo, potrà elevarsi nello spirito a ciò che in futuro diverrà pure una via essoterica per tutti gli uomini.

Ciò fluirà come la forza che dovrà portare all’uomo un ampliamento dell’impulso del Cristo. Allora però muteranno anche tutti i riti, e quel che prima è avvenuto attraverso gli elementi del pane e del vino in futuro avverrà mediante un’eucarestia spirituale. Rimarrà tuttavia l’idea dell’eucarestia, della comunione.

Deve solo venir una volta data la possibilità che certi pensieri che giungono dalle comunicazioni all’interno del movimento per la scienza dello spi-rito, che determinate relazioni interiori di pensiero compenetrino e spiritualizzino altrettanto solennemente l’interiorità, quanto l’eucarestia ha spiritualizzato e cristificato l’anima umana, nel miglior senso dell’evoluzione cristiana interiore.

Quando questo sarà possibile – e lo sarà – noi saremo pervenuti a un’ulteriore tappa evolutiva. Verrà così nuovamente fornita la prova reale che il cristianesimo è più grande di ogni sua forma esteriore […]. È in grado di stimare veramente il cristianesimo solo colui che è compenetrato dalla convinzione che tutte le chiese che hanno coltivato l’idea del Cristo, tutti i pensieri esteriori, tutte le forme esteriori, sono temporanee e perciò transitorie, ma che l’idea del Cristo vivrà in futuro sempre in nuove forme nei cuori e nelle anime degli uomini, per quanto poco queste nuove forme oggi ancora si mostrino».[14]

Se io ripenso alla mia infanzia, a come da piccolo stavo inginocchiato accanto a mia madre durante la messa, sento ancora oggi quanto fosse eloquente il silenzio durante la transustanziazione che si compiva sull’altare. Posso dire per esperienza personale[15] che quei contadini in quei momenti vivevano completamente in un mondo spirituale. Cristo era presente in modo assolutamente sostanziale. Quegli uomini attingevano da lì una forza spirituale che li sorreggeva in una vita spesso dura.

Questo poté dapprima e per lungo tempo venir sperimentato senza le forze dell’anima cosciente e senza la scienza dello spirito. Ciò che per mia madre era ancora possibile, già non lo è più per la generazione successiva, per il figlio di questa madre. Io appartengo a coloro per i quali o la transustanziazione si compie nel pensare o rimane irreale, e queste persone diventano sempre più numerose nell’umanità di oggi.

Quando la transustanziazione non poté più venir sperimentata realmente, gli uomini non poterono più nemmeno comprendere ciò che nel Nuovo Testamento – a voler accennare solo a un esempio significativo – si intende con la fine del mondo. Si iniziò a pensare che si trattasse di una fine del mondo materiale esteriore, di un cataclisma definitivo del mondo fisico. Ciò che i primi cristiani intendevano con questa espressione era però qualcosa del tutto diverso. Essi volevano dire che, con l’entrata del Figlio divino nella Terra, il mondo del Padre – la natura – cessa di avere il ruolo guida, cessa di essere la sola causa e può venir reso sempre più condizione e base per lo sviluppo della libertà. La necessità di natura ha abdicato al suo ruolo deterministico: questo era ed è in senso spirituale reale la fine del mondo. La natura può, ma non deve più continuare ad avere il ruolo guida nell’essere umano.

«Solo se noi pensiamo in questo modo ci avviciniamo alle rappresentazioni dei primi secoli cristiani. Con ciò era però data agli uomini come un’indicazione, e cioè che essi da nessun’altra forza se non da quella della loro coscienza devono dedurre le rappresentazioni per giungere al divino. Gli uomini erano indirizzati allo spirituale. Che cosa gli si poteva quindi dire? Gli si poteva dire: un tempo la Terra era così potente da fornirvi le rappresentazioni del divino. Questo non succede più. La Terra non dà più nulla. Voi dovrete mediante voi stessi pervenire al Logos e al principio creatore. Finora voi avete in fondo venerato ciò che era creativo nel pre-terrestre [e che ha creato la Terra, NdA]; ora dovrete venerare ciò che è creativo nel terrestre. Questo però lo potete afferrare soltanto grazie alla forza del vostro Io, del vostro spirito.

E questo si esprimeva nel fatto che i primi cristiani dicevano: la fine del mondo è prossima. Essi intendevano la fine di quella Terra che dà all’uomo conoscenze senza che egli le elabori con la propria coscienza. Con questa fine del mondo è espressa in effetti una profonda realtà, poiché l’uomo era prima un figlio della Terra. L’uomo si affidava alle forze della Terra.

Egli si affidava al fatto che era il suo sangue a dargli le sue conoscenze. Tutto ciò terminò. I regni del cielo si sono avvicinati, i regni della Terra si sono conclusi. D’ora in poi l’uomo non può più essere un figlio della Terra. L’uomo deve farsi compagno di un Essere spirituale che dal mondo spirituale è disceso sulla Terra, ovvero del Logos, del Cristo».[16]

L’arroganza dell’ignoranza

Vorrei accennare a un altro tratto essenziale del cristianesimo petrino, e cioè al rapporto con le sacre Scritture. È stata una convinzione fondamentale della Chiesa che col nuovo testamento si sia conclusa la rivelazione del Cristo. Tutto quanto Egli ha da dire agli uomini è contenuto lì dentro. Si tratta solo di comprendere sempre meglio quanto si è già manifestato in modo definitivo, e questa comprensione, quale interpretazione ortodossa, è di competenza della sola Chiesa.

Ciò che si esclude per principio è un continuo e diretto entrare in rapporto dell’Entità del Cristo con l’umanità. Non soltanto il Cristo ha già detto tutto quanto aveva da dire, ma entra in rapporto con gli uomini unicamente tramite la Chiesa.

Anche nel rapporto della cristianità con le sacre Scritture si evidenzia quanto sia stata decisiva la svolta degli ultimi secoli: ancora fino al diciottesimo secolo gli uomini avevano nei confronti dei vangeli il più profondo rapporto di sentimento. Mediante questi testi il Cristo stesso ha operato nell’umanità, non però attraverso la ragione ma attraverso le forze della fede.

Quando nell’ultimo secolo si trattò di analizzare questi testi con piglio storico-scientifico, la ragione umana li poté soltanto smembrare. Si trovò che essi non potevano in generale valere come testi storicamente attendibili.[17] Attraverso la disamina critico-scientifica della Bibbia si è in fondo scardinato totalmente l’importante dogma dell’ispirazione delle Scritture. Questo dogma poteva soltanto significare che i vangeli non sono solo il prodotto di capacità umane, così come noi le conosciamo normalmente. L’asserto che essi sono ispirati dallo Spirito Santo sta di certo a significare che qui entrano in gioco ben altre facoltà rispetto a quelle di cui dispone l’uomo normale.

Vorrei fare almeno un accenno all’attuale indagine neotestamentaria, riportandovi questa citazione da un saggio di R. Pesch:[18]

«In questa situazione io elaborai un’ipotesi sull’origine della fede nella resurrezione di Gesù che non solo rinunciava all’argomentazione della tomba vuota, ma anche alla provenienza del credo pasquale da un non meglio definibile evento di natura visionaria».

Traduco per i profani quanto qui viene detto. Vengono escluse due cose che potrebbero svolgere un ruolo nell’origine della fede nella resurrezione:

• la tomba vuota – viene cioè esclusa ogni realtà oggettiva che avrebbe a che fare con la natura, con la terra, con la corporeità fisica di Gesù;

• qualsiasi evento di natura visionaria – viene esclusa qualsiasi realtà sovrasensibile, qualsiasi esperienza reale della presenza spirituale del Risorto. Certo, qui l’esegeta intende escludere elementi negativi di natura allucinatorio-visionaria, ma in questo modo elimina tout court la dimensione sovrasensibile.

Se queste due cose – il corporeo-naturale e lo spirituale-sovrasensibile – vengono escluse, che cosa rimane? Rimane solamente l’anima: l’interpretazione interiore, sulla base dei ricordi, delle esperienze compiute dai discepoli durante la vita dell’uomo-Gesù, ora morto. E si presuppone a priori che queste esperienze non possano essere di natura diversa da quelle dell’attuale uomo medio. Gesù non può che essere stato uomo nel senso in cui la natura umana viene oggi sperimentata dall’uomo medio: questa natura viene assolutizzata, viene presupposta come grandezza costante, che mai ha attraversato cambiamenti essenziali nel passato e mai ne attraverserà in futuro. Invece di apprendere dal Cristo quali poderose metamorfosi la natura umana può ancora compiere per divenire completamente umana nel processo della sua divinizzazione,[19] l’uomo attuale pontifica su come Gesù deve essere stato per potersi dire veramente uomo.

Il fatto è che l’uomo attuale – e dunque anche l’esegeta – non sa più che alle metamorfosi possibili della natura umana è insita anche la formazione di organi di percezione per il sovrasensibile, in grado di percepire il mondo spirituale con la stessa oggettività con cui i sensi corporei percepiscono il mondo fisico.

Tocchiamo qui una differenza decisiva tra il cristianesimo tradizionale e la scienza dello spirito: ciò che è d’importanza fondamentale in Rudolf Steiner, e che in fondo manca nel cristianesimo abituale, è la prospettiva dell’evoluzione. Non solo la natura umana è in continua evoluzione, ma anche il modo in cui il Cristo si rapporta con gli uomini muta nel corso del tempo.

Egli stesso ha detto: «Sarò con voi fino alla fine dei tempi della Terra».[20] Come Risorto egli cammina insieme a noi, e le ripetute vite terrene[21] danno la possibilità a ogni uomo di congiungersi con lui in modi sempre nuovi.

Rivolgendosi alla Terra egli ha detto: «Questo è il mio corpo». La sua ascensione al cielo fu in realtà il suo entrare nella Terra, poiché il cielo è là dov’è il Cristo. Egli è il cielo: altro cielo non c’è.

L’analfabetismo spirituale del nostro tempo

Se vogliamo tirare le somme del cristianesimo passato, dobbiamo allora dire: una reale comprensione dell’Entità del Cristo andò sempre più perduta, e rimase soltanto Gesù, l’uomo semplice di Nazareth. È vero che la parola Cristo ricorre continuamente, quel che però si intende come contenuto non va oltre il modo di operare di una personalità umana.

Qualcosa di simile possiamo dire per il concetto “Dio”. In Rudolf Steiner si legge che quando l’attuale cristiano parla di Dio, le rappresentazioni di contenuto che egli ha gli sono appena sufficienti per abbracciare un’Entità angelica! E poiché ognuno ha il suo proprio Angelo custode, succede che in realtà ognuno con la parola Dio si immagina qualcosa del tutto diverso. La divinità, che dovrebbe abbracciare e unire tutti gli uomini, di conseguenza li atomizza e li porta a infinite conflittualità. In questo concetto del divino noi abbiamo l’origine più profonda del materialismo, abbiamo la radicalizzazione del sentirsi l’uno contro l’altro, in base al possesso e alla concorrenza.

Ma non ci si ferma qui: dal travisare o dall’ignorare l’armonia che sussiste tra gli Arcangeli e il Cristo sorge il nazionalismo. E dalla perversione delle ispirazioni dello Spirito del Tempo (o Principati)[22] sorge nell’umanità la colpa cosmica di fronte allo Spirito della Terra – di fronte al Cristo.

Ecco cosa dice Rudolf Steiner:

«Dobbiamo quindi renderci conto che, per molti aspetti, dovendo dare risposta al quesito: chi ha la colpa per il materialismo del nostro tempo?, dovremo dire: le religioni hanno la colpa, le confessioni religiose, in quanto offuscano la coscienza degli uomini, ponendo al posto di Dio un Angelo al quale poi si sostituisce l’Angelo luciferico corrispondente; e questo Angelo luciferico getta subito l’uomo nel materialismo. Ecco il nesso misterioso tra le orgogliose ed egoistiche confessioni religiose, le quali nulla vogliono sapere di ciò che sta oltre l’Angelo, ma che con smisurata arroganza affermano di parlare di Dio, mentre parlano soltanto di un Angelo e nemmeno in modo completo. È questa smisurata superbia, molto spesso spacciata per umiltà, che ha dovuto in ultima analisi causare il materialismo.

Se riflettiamo, scopriremo un nesso importantissimo: dall’aver erroneamente interpretato Dio alla stregua di un Angelo, sorge nell’anima umana la tendenza al materialismo. Ne sta alla base un egoismo inconscio, che si manifesta

nel fatto che l’uomo disdegna di ascendere alla

del mondo spirituale, come pure nel fatto che egli intende, per così dire, trovare direttamente e per forza propria il nesso col suo Dio. Si comprenderanno molti aspetti di ciò che accade nel presente, se si considererà quanto ho accennato. Esiste un solo mezzo contro la falsa interpretazione della divinità: riconoscere le Gerarchie spirituali.[23]

Allora si constaterà che le attuali confessioni religiose non vanno oltre la gerarchia degli Angeli […]. La falsa interpretazione dell’Angelo, che si compie più o meno coscientemente, porta gradualmente anche in modo più o meno conscio alla concezione del mondo propria del materialismo; non nel singolo essere umano in quanto tale, ma in tutta l’epoca.

Qui ci troviamo ancora, per così dire, in ciò che coscientemente si svolge nell’anima umana. Ma per quel che riguarda il nesso dell’uomo con la gerarchia degli Arcangeli (o Spiriti dei Popoli, [NdR]), già ci troviamo in ambiti di cui l’uomo conosce ben poco; a volte ne parla molto, ma ne sa ben poco. Oggi abbiamo confessioni non indirizzate alla gerarchia degli Arcangeli, ma spesso a un solo Arcangelo; confessioni non chiaramente espresse, ma con un’inclinazione affettiva verso questo o quell’Arcangelo.

Nel diciannovesimo secolo questo fatto ha portato dei frutti del tutto evidenti almeno in un campo: nel sorgere di idee nazionaliste, alla cui base sta inconsciamente la non considerazione della cooperazione fra gli Arcangeli, e l’inclinazione sempre e soltanto verso un solo Arcangelo. In ciò vi è qualcosa di altrettanto egoistico, ora però in senso sociale, quanto l’inclinazione verso un solo Angelo […].

A deviazioni analoghe si perviene riguardo agli Spiriti del Tempo (i Principati o Archai, [NdR]). Anche in questo caso gli uomini solitamente si aggrappano al solo Spirito del Tempo che si presenta loro quale Spirito della loro epoca. Si rifletta soltanto a come, mediante la scienza dello spirito, cerchiamo di contrastare simili rappresentazioni egoistiche, descrivendo il succedersi dei periodi di tempo con le loro particolarità, e lasciando che tutto ciò agisca su di noi così da estendere, per così dire, il nostro cuore e la nostra anima a tutta l’evoluzione terrestre e perfino all’intera evoluzione cosmica, in modo da poter conseguire dapprima almeno nei pensieri un nesso con i vari Spiriti del Tempo. Ma è proprio questo che gli uomini oggi non vogliono [...].

Quando l’uomo passa dal suo Angelo, a cui dà impropriamente il nome di Dio, all’Angelo luciferico, incorre in un traviamento nel campo della fede, della confessione, della concezione del mondo, a un traviamento per certi versi individuale.

Poi abbiamo al livello arcangelico un traviamento di interi popoli, che rimane pur sempre un traviamento in ambito umano e le conseguenze che

che insorgono sono appunto dovute a traviamenti tra gli uomini.

Ma quando ci spingiamo fino allo Spirito del Tempo e ci pervertiamo di fronte a esso, allora con i nostri errori incidiamo già sul cosmo. E vi è un nesso misteriosissimo tra gli errori nei confronti dello Spirito del Tempo e gli inizi di ciò che in un certo senso l’uomo si addossa cosmicamente […].

I traviamenti che l’uomo compie nei confronti dello Spirito del Tempo vanno a urtare contro gli eventi cosmici, provocando ripercussioni da parte di questi ultimi. La conseguenza di questo ingerirsi nella vita umana di eventi cosmici, o almeno dei loro inizi, è la decadenza, che si spinge fino alla decadenza del corpo fisico; in altri termini questo significa: malattie, mortalità e tutto quanto vi si riconnette».[24]

L’umanità dovrà ancora imparare a prendere sul serio ciò che l’Entità del Cristo ha da dire mediante la scienza dello spirito di Rudolf Steiner. Nelle confessioni cristiane tutto ciò che è rimasto di sovrasensibile si riduce soltanto a parole astratte quali Dio o spirito. Il buon Dio vien reso responsabile di tutto, senza ulteriori distinzioni.

È come se chiedessimo a un bambino piccolo che cosa ci sia da vedere fuori dalla finestra, e lui rispondesse: là fuori c’è il mondo. La risposta non è sbagliata, ma non dice nulla. Solo perché distinguiamo concretamente le cose più diverse l’una dall’altra possiamo iniziare a capire il mondo e a porci in relazione con gli esseri del mondo. E il mondo spirituale sarà o no infinitamente più vario di quello sensibile?! Per il mondo fisico disponiamo di centinaia di scienze per indagarne e maneggiarne l’infinita complessità in modo sempre più minuzioso e rigoroso. Per il mondo dello spirito, invece, dovrebbero bastare le categorie (mezze vuote) di Dio e spirito!

Questo analfabetismo spirituale è la grande malattia dell’umanità attuale. L’anelito più profondo dell’uomo odierno – ed è talmente profondo da fargli inconsciamente paura – è l’anelito a una scienza della realtà spirituale che non sia meno complessa e solida di quella materiale.

Le false incompatibilità

Ci sono tre antinomie (contrapposizioni) sorte nel corso dei secoli del cristianesimo petrino, che la scienza dello spirito ci aiuta a considerare come polarità, invece di realtà che si escludono a vicenda.

• La prima contrapposizione è: grazia contro libertà. La libertà dell’uomo è stata più volte intesa in opposizione all’operare della grazia, e così sia la grazia che la libertà sono state completamente fraintese. Una grazia che non volesse la libertà dell’uomo sarebbe per l’uomo una totale disgrazia, poiché l’uomo è l’essere della libertà, e la somma della grazia consiste nel rendere possibile la libertà.
L’operare pieno di grazia dell’Entità del Cristo e delle Gerarchie spirituali ha sempre il fine di creare la totalità delle condizioni esterne e interne per la libertà umana. Perciò l’uomo che non afferri la libertà vanifica l’operare della grazia: a nulla è valsa per lui la grazia. L’esercizio della libertà è il compimento e non l’abolizione della grazia.

Qualcosa di simile vale per l’antinomia fede-scienza. Se queste due esperienze vengono interpretate come escludentesi a vicenda, vengono entrambe fraintese. Rudolf Steiner non è affatto dell’avviso che un incremento del sapere significhi un decrescere della fede: è vero anzi l’opposto. Se si comprendono giustamente le forze della fede,[25] esse diventano sempre più vigorose grazie all’approfondirsi della conoscenza.

A questo proposito dice:

«La questione non è affatto se vogliamo o no credere, bensì che dobbiamo avere queste forze vitali animiche che noi esprimiamo con la parola fede, altrimenti l’anima inaridisce, si depaupera e si isola se a nulla può credere […]. Il sapere è solo il fondamento della fede. Noi dobbiamo sapere per poterci sempre più innalzare a quelle forze che sono le forze di fede dell’anima umana».[26]

• Le due antinomie grazia contro libertà e fede contro sapere hanno avuto come conseguenza la terza antinomia: libertà contro amore. La libertà, l’autonomia dell’uomo è sempre stata intesa come se pregiudicasse l’essere l’uno per l’altro. Si è pensato: quanto più libertà individuale, tanto meno comunione e perciò, per rendere possibile un armonico stare insieme, ognuno deve mettere in secondo ordine le sue pretese individuali.

Anche questa opposizione corrisponde a un grosso fraintendimento.

L’assioma del cristianesimo dice: «Ama il prossimo tuo come te stesso», né di più né di meno. La vera libertà può venir vissuta unicamente quando si fa l’esperienza che, in conformità al karma, i propri talenti esistono per andare incontro ai bisogni degli altri, e soddisfarli.[27]

Questo è propriamente il concetto scientifico-spirituale del karma: ogni Io umano attira a sé, come una calamita, proprio coloro che gli portano incontro quei bisogni per la cui soddisfazione egli ha i talenti. E viceversa.

Questa armonia prestabilita è il riflesso terreno di ciò che in comune si è voluto e predisposto nei mondi dello spirito prima di nascere. Il rapporto tra libertà e fratellanza in realtà è tale che ogni uomo può esser tanto libero per quanto è capace di fratellanza, e tanto capace di fratellanza per quanto è libero. Dove la fratellanza viene intesa come contrapposizione alla libertà, sorge il ricatto: si guarda unicamente ai bisogni, come se questi fossero pretese assolute, senza prestare attenzione alla realtà dei talenti.

Dove la libertà viene intesa come opposizione alla fratellanza, sorge l’egoismo. Si vogliono far valere i propri presunti talenti imponendoli agli altri, senza riflettere che i veri talenti sono quelli che soddisfano i bisogni reali degli altri. L’uomo non è soddisfatto con un compromesso tra libertà e altruismo, nel senso di metà e metà. A buon diritto egli vuole libertà al cento per cento e comunione al cento per cento. Se sono vere entrambe, non possono che crescere o decrescere di pari passo.

I tre ultimi dogmi della Chiesa cattolica

Non potrebbe esserci nulla di più adatto a illustrare la natura del cristianesimo petrino che accede al materialismo, quanto la proclamazione degli ultimi tre dogmi all’interno della Chiesa cattolica:

• la concezione immacolata di Maria

• l’ascensione di Maria con corpo e anima.

• l’infallibilità del Papa

Prima di esprimermi sulla natura di questi tre dogmi, vorrei citare le parole di Rudolf Steiner che caratterizzano il compito evolutivo della Chiesa cattolica:

«La Chiesa cattolica romana, come una grandiosa corporazione, rappresenta la propaggine disseccata della civiltà della quarta epoca postatlantica.[28] È dimostrabile in tutto e per tutto che la Chiesa romano-cattolica rappresenta l’ultima propaggine di ciò che era diventato perfino l’ombra della giustificata civiltà del quarto periodo postatlantico, e che era giustificata fino alla metà del quindicesimo secolo. È evidente che nel presente già si annunciano frutti futuri dell’evoluzione umana, e vi si protraggono germogli di tempi passati; ma essenzialmente è così che la Chiesa cattolica romana rappresenta ciò che era giusto per l’Europa e le sue colonie fino al quindicesimo secolo.

La scienza della spirito, così come noi la intendiamo, deve afferrare quanto ora è necessario come cultura del quinto periodo postatlantico […]

Se un’istituzione, la cui anima era compenetrata da un certo spirito, si conserva come tale, non può che lottare per il passato. Attendersi dalla Chiesa cattolica che essa lotti per ciò che è specifico del futuro sarebbe una follia, poiché lo spirito del quinto periodo di cultura postatlantico non può essere portato dalla stessa istituzione in cui ha albergato lo spirito del quarto periodo di cultura. Ciò che è divenuta la configurazione della Chiesa cattolica, ciò che si è esteso nel mondo civilizzato come configurazione della Chiesa cattolica – e molto più di quanto gli uomini sono disposti a credere era presente in tutto il mondo civilizzato: le monarchie, anche se erano protestanti, erano in fondo nella loro compagine istituzioni a indirizzo latino-cattolico – tutto quel che si è esteso nel mondo e che, vorrei dire, ha un’altra sua forma di espressione nel diritto romano e in tutte le astrazioni latine, appartiene al quarto periodo postatlantico. Ciò richiede che gli uomini

siano organizzati secondo principi astratti, e che alla base di questa organizzazione vi siano certi ordinamenti gerarchici. Ciò che deve sopraggiungere come spirito del quinto periodo postatlantico, così come noi lo coltiviamo mediante la scienza dello spirito, non esige una struttura simile, fissata e organizzata secondo principi astratti, esige bensì un tipo di rapporto degli uomini gli uni con gli altri che nella mia Filosofia della libertà ho caratterizzato come individualismo etico. Ciò che qui si presenta come il lato etico si pone in contrasto con la struttura sociale, con l’ordinamento sociale così com’è preteso dalla Chiesa cattolica romana, analogamente a come la scienza dello spirito si pone in contrasto con la teologia cattolica romana».[29]

Per molti secoli la Chiesa non aveva più proclamato nessun dogma: era certamente presente una coscienza che presagiva di non poter più sperimentare una unione reale con il mondo dello spirito, come avveniva in passato. Tanto più tragico, allora, può apparire il fatto che nell’ultimo secolo e mezzo siano stati improvvisamente proclamati tre nuovi dogmi, con cui si è compiuta, quale ultima conseguenza, la caduta della Chiesa cattolica nell’abisso del materialismo.

Questi tre dogmi agiscono come un sistema compiuto:

• il primo, la concezione immacolata di Maria, si riferisce al mistero della nascita;

• il secondo, l’ascensione di Maria, al mistero della morte;

• il terzo, l’infallibilità del Papa, al mistero dell’Io, la realtà di maggiore importanza per l’uomo tra nascita e morte.

1. Il primo dogma non si riferisce alla concezione immacolata di Gesù, bensì a quella di Maria. Secondo questo dogma la madre di Gesù è vergine in quanto è stata concepita senza peccato, e quindi è nata senza peccato originale. Nel Vangelo, invece, si parla unicamente della concezione immacolata di Gesù. Di fronte a questa asserzione del Vangelo sorgono per la Chiesa attuale difficoltà insormontabili.[30]

Si può porre la domanda: com’è giunta la Chiesa a vedere il peccaminoso nell’evento biologico visto che, proprio per escludere il peccaminoso, deve escludere il ruolo biologico di Giuseppe? Può essere giunta a questo unicamente considerando a priori la materia come il luogo del peccato.

Ora, considerare il congiungimento con la materia un’impurità dello spirito è il pensiero fondamentale delle religioni precristiane. Per questo la redenzione dell’uomo venne sempre vista come liberazione dalla materia.[31]

Questa convinzione è però l’essenza del materialismo, poiché il materialismo attribuisce la capacità di causazione soltanto alla materia, e considera tutto lo spirituale nell’uomo come effetto della materia (i pensieri, che non si vedono e non si toccano, sono considerati una specie di secrezione del cervello). Poiché la Chiesa cattolica presuppone a priori che la materia sia vittoriosa sullo spirito, ecco che allora, per allontanare anche dalla madre di Gesù questo “peccato”, è costretta a sospendere nel concepimento le leggi dell’operare della materia.

In Rudolf Steiner la nascita verginale è intesa in tutt’altro modo. L’evento biologico-fisiologico, in quanto appartenente all’operare del Padre (alla natura), è a buon diritto il voluto divino e non è una faccenda della moralità umana. La realtà del peccato originale in senso morale si mostra nelle brame e nelle passioni egoistiche che, nella coscienza dei genitori, accompagnano l’atto procreativo. L’impulso dell’egoismo è sorto come pareggio per il sacrificio che l’incarnazione di una individualità esige dai genitori. Quando, come nel caso di Gesù, queste componenti di concupiscenza e di egoismo non svolgono alcun ruolo, noi abbiamo una “nascita immacolata”. L’atto procreativo si compie nel sonno.

Immacolata sta qui a significare che nessuna impurità avviene dal lato degli incarnati e che in queste forze d’incarnazione opera esclusivamente e soltanto, in modo puro e vergine, la volontà dell’Io superiore, che vuole incarnarsi con il suo compito.

2. Il secondo dogma afferma che Maria fu accolta in cielo con anima e corpo. Non è semplice immaginarsi come si presenti questa corporeità che ascende al cielo. Certamente l’evento non viene sempre inteso in modo grossolano e materiale, ma d’altra parte non può trattarsi del corpo di resurrezione di Maria, come è avvenuto per il Cristo, poiché la resurrezione del Cristo è un unicum. Egli è un Essere divino, mentre Maria è un essere umano. Proprio la resurrezione unica del Cristo viene vista come prova essenziale della Sua divinità.

È chiaro, allora, che ci si deve chiedere come venga in genere intesa dalla Chiesa la resurrezione. Se oggi nella festività pasquale ascoltassimo cento prediche cattoliche o protestanti, con l’intento di sapere in che cosa consista la resurrezione, potremmo riassumere tutto nella frase: Cristo non è morto, ma continua a vivere. Questa affermazione non ha però nulla a che fare con la resurrezione del Cristo, perché vale per tutti gli uomini: tutti continuiamo a vivere dopo la morte. Nei vangeli, invece, la questione centrale della resurrezione è proprio quella concernente il corpo fisico, è la questione della tomba vuota, cioè della materia del corpo di Cristo che si è polverizzata, è scomparsa[32].

Il dogma dell’ascensione corporea di Maria è in fondo il tentativo di eternizzare la materia, poiché non si riesce a trovare il coraggio morale per accettare la sua caducità. Questo lo si può fare soltanto se lo spirito viene veramente vissuto come reale e sostanziale, e se si capisce che è suo compito, nell’evoluzione, di operare la resurrezione della carne, ovvero la spiritualizzazione di tutta la materia.

Avendo pensato che esiste una sola vita, quest’unica vita viene resa responsabile della dannazione o della perfezione eterna. Conosco molti cattolici che, a buon diritto, incontrano notevoli difficoltà per venire a capo del pensiero del castigo eterno.[33]

Come per lo sviluppo in negativo ci si è rappresentata questa definitività dopo un’unica vita, lo stesso è stato fatto anche per lo sviluppo in positivo. Dopo una sola vita, a Maria viene regalata per grazia la perfezione definitiva. Questa completezza, infatti, non viene da lei conseguita liberamente nel corso delle incarnazioni, in modo umano e individuale, a seguito di un continuo lavoro su se stessa. Maria ascesa al cielo non è più in corso di evoluzione: la sua evoluzione è compiuta, vale a dire terminata. Se la sua corporeità viene intesa come una corporeità spiritualizzata ciò significa: questa spiritualizzazione del corpo non è stata l’opera graduale anche della sua libertà, ma solo un miracolo operato da Dio. Le leggi dell’umano non vengono trasformate per libera cooperazione dell’uomo nel corso dell’evoluzione, ma vengono miracolosamente e improvvisamente sospese, cioè invalidate.

3. Il dogma dell’infallibilità del Papa è il punto terminale nella lotta per il rapporto dell’umanità col mondo dello spirito. Poiché si è negata all’uomo la possibilità di stabilire individualmente e direttamente un collegamento col mondo dello spirito, deve esserci qualcuno che lo mantiene ex officio. Non è sufficiente dire che la Chiesa in generale stabilisce il collegamento col mondo spirituale mediante la dottrina e il culto: si è sentito il bisogno, per garantire il potere della Chiesa, di attribuire questa comunicazione a un unico uomo che è a capo della Chiesa stessa. Per principio, solo lui può avere questo accesso al mondo dello spirito.

Il Papa, quale “vicario” di Cristo e della Chiesa, viene dichiarato infallibile – egli stesso si dichiara tale! – nelle asserzioni che fa ex cathedra. La Chiesa, a dire il vero, afferma che possono venire dichiarati dogmi solo quelle verità che vengono già vissute come tali dall’intero popolo cristiano. In questo caso, però, è escluso che questo sentore fosse veramente presente. Ci si chiede se la ratifica ufficiale sia stata allora più una questione di potere che non di verità, se questo dogma venne dichiarato non per la presenza di un generale sentore della sua verità, ma piuttosto per la preoccupazione della sua assenza.

Ho accennato che questo terzo dogma rappresenta il tragico oscuramento del mistero dell’Io umano. Qui viene dogmaticamente decretato che un unico uomo sulla Terra – e perfino d’ufficio – può avere un collegamento reale con il mondo spirituale. Ciò significa, al contempo, che questo collegamento viene negato per principio a tutti gli altri uomini. Ci riesce difficile immaginare una bestemmia più tragica di questa nella storia dell’umanità: Dio avrebbe creato l’uomo vietandogli per principio di comunicare sostanzialmente e direttamente con lui!

Nel commento di Tommaso d’Aquino al passo della Samaritana nel Vangelo di Giovanni, leggiamo che ogni uomo – non solo il papa – è chiamato a sperimentare e attuare in sé lo spirito divino stesso:

«Ci sono quindi due tipi di acqua: quella viva e quella non viva. L’acqua non viva è da un lato quella che ha perso il diretto contatto con l’origine da cui emana: è acqua piovana, o di altra provenienza, raccolta in stagni, o cisterne, che viene conservata separata dalla sua fonte originaria.

Invece l’acqua viva è quella che rimane in diretto contatto con la sua origine e da essa scaturisce.

A buon diritto quindi è chiamata acqua viva la grazia dello Spirito Santo, perché tale grazia viene data all’uomo non senza la fonte stessa della grazia, che è lo Spirito Santo […]. Ecco perché se qualcuno avesse la grazia dello Spirito Santo, ma

non lo spirito, l’acqua non fluirebbe più direttamente dalla sua fonte originaria e sarebbe perciò morta e non viva (quia ita ipsa gratia Spiritus sancti datur homini quod tamen ipse fons gratiae

datur, scilicet Spiritus sanctus… Et inde est quod

si aliquis donum Spiritus sancti habeat, et non spiritum, aqua non continuatur suo principio, et ideo est mortua, et non viva) ».[34]

Il nervo centrale della scienza dello spirito di Rudolf Steiner è la presa di coscienza del fatto che ogni uomo è un essere spirituale assolutamente reale. L’amore divino ha fatto tutto per rendergli possibile l’esperienza concreta dello spirito attraverso il suo pensare intuitivo. Comprendiamo quindi perché Rudolf Steiner fino alla fine della sua vita abbia considerato il suo libro La filosofia della libertà come il fondamento della moderna scienza dello spirito.

Secondo capitolo

VERSO IL CRISTIANESIMO
DI GIOVANNI

L’insegnamento del Risorto

Finora ho caratterizzato alcuni aspetti del cristianesimo tradizionale che, lungo duemila anni, ha dovuto innanzitutto condurre l’umanità sempre più profondamente nel materialismo. Questo rappresenta però soltanto un aspetto della storia del cristianesimo.

Nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner viene infatti presa in considerazione una realtà molto più importante: l’Entità del Cristo stesso, del Risorto, e il modo in cui egli ha accompagnato l’umanità in questi duemila anni.

Attraverso il suo operare sovrasensibile poté così sorgere, accanto a quello ufficiale, un cristianesimo esoterico, presente dapprima come corrente culturale nascosta. E quando non rimaneva nascosta, quando cercava di incidere nella cultura attraverso i movimenti eretici, veniva repressa dalla Chiesa ufficiale.

In questa storia positiva del cristianesimo c’è ancora un altro grande fattore. Si tratta della Scolastica medioevale che raggiunge il suo apice nella filosofia di Tommaso d’Aquino. Vedremo come questo fenomeno del cristianesimo essoterico[35] sia al contempo esoterico nel senso più profondo.

Tra le cose più belle che Rudolf Steiner ha donato all’umanità, c’è l’insegnamento che il Risorto impartì ai suoi discepoli e iniziati più intimi. Solo dopo l’esperienza della morte il Cristo poté riferire ai suoi discepoli cosa di essa aveva potuto vivere e apprendere. L’intero volume Il mistero solare[36] è dedicato a questo insegnamento. Riporto qui alcune parole con le quali Steiner cerca solennemente, seppur balbettando, di ricondurre nel linguaggio odierno quanto fu a suo tempo espresso dal Cristo:

«Il corpo umano si è a poco a poco talmente raddensato, le forze di morte si sono in esso talmente rinvigorite, che l’uomo può ora formare il suo intelletto e la sua libertà; ciò però lo si può fare unicamente in una vita che passi chiaramente attraverso l’esperienza della morte, in cui la morte formi una cesura evidente, in cui durante la coscienza di veglia non sia concesso di guardare l’eterno-animico. Nella vostra anima potete però accogliere una certa saggezza: la saggezza che durante il mistero del Golgota in me si è compiuto qualcosa – così parlava il Maestro divino, il Cristo, ai suoi discepoli iniziati – di cui voi stessi potrete compenetrarvi solo se sarete in grado di comprendere che il Cristo è disceso da sfere extraterrene fino agli uomini terreni, solo se potrete innalzarvi all’idea che vi è sulla Terra qualcosa che non può venir contemplato con mezzi terreni, ma solo con mezzi superiori a quelli; se potrete contemplare il mistero del Golgota quale evento degli dèi inserito nella vita terrena, se potrete contemplare che un

Dio è passato attraverso il mistero del Golgota. Mediante tutto quel che si compie sulla Terra voi potete conseguire una saggezza terrena. Ma questa a nulla vi servirebbe per comprendere la morte vissuta umanamente, vi potrebbe servire solo se voi, allo stesso modo degli antichi, foste in grado di non interessarvi alla morte in modo forte. Ma poiché ve ne dovrete interessare, allora dovrete accogliere nel vostro intelletto una forza che è maggiore di tutte le forze intellettive terrene, che è così forte da poter dire: con il mistero del Golgota è avvenuto qualcosa che ha infranto tutte le leggi della natura terrena. Se nella vostra fede voi potete accogliere soltanto quelle che sono leggi terrestri di natura, allora certamente voi potete vedere la morte, ma non comprenderla nella sua importanza per la vita umana. Se però potete pervenire alla comprensione del fatto che la Terra ha ricevuto il suo significato soltanto perché a metà della sua evoluzione con l’evento del Golgota è avvenuto qualcosa di divino, che non può venir compreso con strumenti di giudizio terreni, allora voi preparate una forza di saggezza particolare (e la forza di saggezza equivale alla forza di fede), una particolare forza di pistis-sofia, di saggezza di fede. È una vigorosa forza dell’anima quella che ci fa dire: io credo, io so grazie alla fede quello che mai posso sapere e credere per mezzo di strumenti terreni. È una forza maggiore che attribuirmi soltanto di sapere ciò che può venir compreso con mezzi terreni. Chi nella sua saggezza sa soltanto comprendere quanto può venir constatato mediante strumenti terreni è un uomo debole, anche se disponesse di tutte le scienze terrene. Un’attività interiore ben maggiore deve sviluppare colui che voglia riconoscere che nel terrestre vive una realtà sovraterrestre».

Il Risorto non ha istruito gli uomini soltanto a quel tempo. Egli parla sempre e ovunque in modo sovrasensibile, poiché è il Logos, il Verbo, la Parola cosmica che sempre parla. La questione è piuttosto quando e dove ci sono uomini in grado di percepire la sua voce spirituale. Grazie alla propria esperienza della morte, il Cristo capì perché l’uomo ha una così forte paura di fronte a essa. L’uomo è così debitore alla propria corporeità da temere di non poter sperimentare più nulla quando se ne spoglia. Nel periodo di cultura greco-latino l’uomo si era già unito in modo talmente sostanziale con la materia, che Achille di fronte a Ulisse sintetizzò l’intera condizione dell’umanità nella frase che Rudolf Steiner non si stancò mai di ripetere: «Meglio un mendicante sulla terra che un re nel regno delle ombre!».[37]

Dopo la morte la coscienza umana era diventata effettivamente fievole fievole, senza la corporeità di riferimento. L’uomo aveva sempre più perso la chiaroveggenza atavica e sempre meno poteva vivere realmente lo spirituale: era divenuto spiritualmente del tutto povero sulla Terra. Il Cristo conferma questa povertà come una necessità dell’evoluzione: è la premessa in virtù della quale ogni singolo uomo può ora cercare lo spirituale, quando afferra la propria libertà e si fa mendicante dello spirito. Così nella prima delle Beatitudini si può leggere testualmente: «Beati i mendicanti dello spirito» (Mt 5,3).[38] Ciò che conta non è tanto la povertà, quanto il mendicare che essa rende possibile. Tre sono le condizioni dell’esser mendicante: che non si abbia nulla, che lo si sappia e che si voglia superare questo stato di cose. In questa triplice condizione noi abbiamo il senso totale dell’evoluzione umana:

1. perdere tutto quanto era dato unicamente dalla grazia divina;

2. diventare coscienti della propria povertà spirituale;

3. diventare, come Parsifal, uno che pone domande, un cercatore libero e individuale.

Questo elemento ternario – separazione, svolta, ritorno –struttura per esempio la parabola del Figliol prodigo, del cosiddetto figlio perduto, ma in realtà ritrovato.[39]

Poiché l’uomo non volle più essere un re nel regno del sovrasensibile – un re senza corpo – ma piuttosto un mendicante sulla Terra, il Re del regno spirituale abbandonò la sua dimora solare per essere proprio sulla Terra d’esempio agli uomini nella libera e individuale mendicità dello spirito:

«… Così nel quarto periodo di cultura postatlantico si sperimentò come vi fosse una forma di religione consona a quel tempo, nella quale viveva l’impulso che poteva dare agli uomini la sensazione che in questo mondo fisico si svolge qualcosa che in realtà è una faccenda divina, e che è la confutazione di ciò che i greci avevano creduto fino ad allora: meglio essere un mendicante sulla Terra che un re nel regno delle ombre. Poiché ora i greci conobbero colui che come Re era disceso dal regno degli Dèi e che, da mendicante, aveva vissuto il suo destino sulla Terra tra gli uomini. Questa fu la risposta all’autoesperienza che era presente nel quarto periodo di cultura postatlantica».[40]

La straordinaria legge dell’economia spirituale

Come il Risorto, con un possente insegnamento soprasensibile, ha inaugurato il suo incessante operare nell’umanità, così il portatore del Cristo, Gesù di Nazareth, ha lasciato in eredità agli uomini la triplice corporeità – il corpo eterico, il corpo astrale e l’io – che aveva portato incontro al Cristo. Vi è infatti una legge spirituale nell’evoluzione che Rudolf Steiner chiama la legge dell’economia spirituale: conoscerla ci permette di gettare un sguardo profondo nella storia reale del cristianesimo. Rudolf Steiner la sintetizza così:

«Assume un’importanza del tutto particolare quanto da noi ora espresso a proposito del fatto che, mediante la discesa di un Avatar[41], le parti costitutive di colui che è il portatore umano di una simile entità si moltiplicano e vengono trasmesse ad altri, appaiono cioè riproduzioni dell’immagine archetipica; tutto ciò assume un’importanza del tutto particolare con l’apparire del Cristo sulla Terra. Per il fatto che l’entità-Avatar del Cristo albergò nel corpo di Gesù di Nazareth, venne data la possibilità di una innumerevole moltiplicazione sia del corpo eterico di Gesù di Nazareth, sia del corpo astrale e perfino dell’Io, inteso come un impulso che è stato inserito nel corpo astrale allorché il Cristo compenetrò il triplice involucro di Gesù di Nazareth»[42].

Ogni uomo, normalmente, dopo la morte depone il cadavere fisico, poi dissolve il corpo eterico nell’etere cosmico, lascia il corpo astrale (dopo la purificazione nel kamaloca o purgatorio) nell’astralità cosmica e prosegue il cammino nei mondi spirituali con la sola realtà eterna del proprio spirito (l’Io). Invece, la sovrabbondanza di forze spirituali presenti nei corpi del Gesù di Nazareth dove il Logos visse per tre anni, continua a irrorare l’umanità: quei corpi non si sono disciolti nel cosmo, sono ancora presenti insieme all’impulso del suo Io. Gesù racchiudeva in sé il miglior frutto di tutta la vicenda umana[43] e i suoi corpi, compenetrati dalle forze purissime e sovrumane del Cristo, dopo la morte sono rimasti intatti, degni del mondo spirituale. E permettono ancora oggi un raccolto smisurato, una messe rigogliosa e generosa. Soltanto nella coscienza umana caduta, infatti, esiste l’egoismo del trattenere per sé quanto di meglio siamo in grado di produrre: nei mondi spirituali vige la legge del mettere a disposizione le proprie forze, nella gratuità dell’amore. Nell’evento di duemila anni fa Cielo e Terra si sono uniti, e allora troviamo in Terra anche le leggi del Cielo: solo che non possiamo fruirne in modo automatico, attraverso i determinismi di natura (ereditarietà, tradizione, ambiente ecc.), ma solo attivando le forze libere dello spirito in noi.

Fino al tempo di Agostino nel cristianesimo ha operato la moltiplicazione delle forze sovrasensibili del corpo fisico di Gesù di Nazareth. In quei primi secoli, al centro delle considerazioni stava l’evento fisico-storico del Golgota. L’accento veniva posto sulle testimonianze di coloro che avevano visto e udito. Ancora nel secondo secolo ci si richiamava ai maestri i cui maestri avevano avuto come maestri i discepoli diretti degli apostoli, dai quali avevano potuto sentir raccontare ricordi sul timbro della voce e sulla figura fisica del Signore.

Dopo questo primo periodo, e fino al didicesimo secolo circa, nelle grandi individualità del cristianesimo venne incorporata una copia del corpo eterico di Gesù di Nazareth. Soltanto così, secondo Rudolf Steiner, possiamo veramente comprendere un fenomeno come quello del romanzo epico Heliand. Il poeta mostra una conoscenza diretta dell’evento del Golgota, come se avesse avuto una specie di rivelazione, simile a quella di Paolo. Dal punto di vista occulto le cose si comprendono qualora si sappia che questo poeta (di cui non si conosce il nome) portava in sé una copia del corpo eterico di Gesù di Nazareth.

Nel periodo successivo e fino al quindicesimo secolo, nei preminenti portatori di cultura del cristianesimo venne incorporato il corpo astrale di Gesù. Un Francesco d’Assisi lo si può comprendere solo sapendo che in lui albergavano le forze dell’anima senziente di Gesù di Nazareth. Lo stesso vale per Elisabetta di Turingia. La corrente culturale della Scolastica, di cui parlerò più avanti, viene capita come un operare esoterico dell’Entità del Cristo se si sa che nei suoi esponenti più prestigiosi albergava una copia dell’anima razionale di Gesù di Nazareth.

Quando più tardi si presentarono personalità che recavano in sé una copia dell’anima cosciente[44] di Gesù, sorse la Mistica medioevale.

Dal quindicesimo secolo in poi diventa decisivo l’Io di Gesù di Nazareth. Le forze dell’individualità umana si sono finora mostrate dal lato egoistico-materiale: viviamo ora in un tempo in cui l’Io deve venir reso “organo ricettivo del Cristo”. Sta a noi renderci affini alla nostra più vera essenza, e così ci sarà possibile fruire della forza dell’impulso cristico presente nell’Io di Gesù di Nazareth. Nelle stesse conferenze sull’economia spirituale, Steiner aggiunge:

«È una cultura dell’egoità quella che è presente fin dal sedicesimo secolo. Che cosa deve ora penetrare in questo Io? L’evoluzione cristiana ha compiuto uno sviluppo nel corpo fisico esteriore, nel corpo eterico, nel corpo astrale, fino a pervenire all’Io. Ora essa deve accogliere in questo Io i misteri e gli arcani del cristianesimo stesso. Ora deve esser possibile fare dell’Io un organo ricettivo del Cristo, dopo un periodo in cui attraverso il cristianesimo l’Io ha imparato a pensare rivolgendo i pensieri al mondo esteriore. Ora questo Io deve trovare di nuovo la saggezza, che è la saggezza primigenia del grande Avatar, del Cristo stesso. E in che modo ciò deve accadere? Deve accadere mediante l’approfondimento scientifico-spirituale del cristianesimo […]. Per l’Io dei nuovi tempi, divenuto libero, il Cristo e il cristianesimo devono assurgere, per così dire, al punto prospettico centrale nella considerazione del mondo.

Vedete quindi come il cristianesimo si è un po’ per volta preparato per ciò che dovrà diventare […]. Dopo che questo Io ha imparato a rivolgere il pensare e lo sguardo al mondo oggettivo è ora anche maturo per vedere in questo mondo oggettivo, in tutte le manifestazioni, ciò che nei fatti spirituali è intimamente connesso all’Entità centrale, all’Entità del Cristo: contemplare il Cristo nelle forme più varie come il fondamento di tutto.

Con ciò ci troviamo proprio al punto di partenza della comprensione e della conoscenza scientifico-spirituale del cristianesimo, e noi riconosciamo quale compito, quale missione è assegnata a questo movimento per la conoscenza dello spirito. Qui riconosciamo al contempo la realtà di questa missione. Come il singolo uomo ha un corpo fisico, un corpo eterico, un corpo astrale e un Io, e a poco a poco assurge ad altezze sempre maggiori, così avviene anche per il divenire storico del cristianesimo. Si potrebbe dire: anche il cristianesimo ha un corpo fisico, un corpo eterico, un corpo astrale e un Io, un Io che può perfino rinnegare la propria origine primigenia come accade nel nostro tempo, così come può in genere diventare egoista, ma tuttavia un Io che al contempo può accogliere in sé la vera Entità del Cristo e innalzarsi a gradini dell’esistenza sempre più elevati».

Il cristianesimo esoterico

La vera essenza del cristianesimo è il Cristo stesso, il suo diretto operare nell’umanità. Allora, come vi è una storia dell’operare diretto dell’Entità del Cristo, vi è pure una storia reale del cristianesimo esoterico. Ho già accennato che inizialmente il cristianesimo esoterico poteva essere soltanto una corrente nascosta, per dare la possibilità al cristianesimo petrino di accompagnare l’umanità nella fase più profonda del materialismo. È compito della scienza dello spirito far conoscere maggiormente queste correnti culturalmente meno conosciute. In questo contesto posso accennare solo brevemente ad alcuni fenomeni.

Paolo incaricò Dionigi l’Areopagita di fondare ad Atene una scuola esoterica di contenuto cristiano. Solo nel sesto secolo i contenuti di questa scuola, che dapprima erano tramandati oralmente, vennero trascritti. Sorsero così gli scritti del cosiddetto Pseudo-Dionigi.

«Questo esoterismo cristiano è stato in ogni tempo coltivato accanto all’insegnamento cristiano esteriore, essoterico. Ho già spesso accennato che Paolo, il grande apostolo del cristianesimo, si valse della sua poderosa, ardente oratoria per insegnare il cristianesimo ai popoli, ma al tempo stesso fondò una scuola esoterica, a capo della quale fu Dionisio l’Areopagita, menzionato negli Atti degli apostoli (17,34). In quella scuola esoterica cristiana di Atene fondata direttamente da Paolo venne insegnata la più pura scienza dello spirito».[45]

Un altro fenomeno importante del cristianesimo esoterico sono le scuole iniziatiche dei misteri d’Ibernia (Irlanda). Contemporaneamente all’evento del Golgota, questi iniziati poterono sperimentare in modo sovrasensibile come stava avvenendo la redenzione dell’umanità. Essi furono coloro che portarono alle popolazioni germaniche un cristianesimo diverso da quello che più tardi sarebbe venuto da Roma.

«Laggiù in Palestina avveniva il mistero del Golgota, a Gerusalemme si svolgevano quegli eventi che sarebbero poi stati raccontati nei vangeli, riferiti dalla tradizione e dalla storia.

Ma senza che da qualche bocca umana trapelasse una notizia e senza alcun altro collegamento esteriore, nei misteri di Ibernia si apprese, per via chiaroveggente e nel momento stesso in cui ciò accadeva tragicamente, che in Palestina si compiva realmente il mistero del Golgota. Nelle sedi dei misteri di Ibernia si manifestò contemporaneamente l’immagine simbolica. In quelle sedi il mistero del Golgota non lo si apprese per tradizione, bensì per via spirituale. E mentre in Palestina l’evento più grandioso e maestoso si compiva nella sua realtà fisica esteriore, nei misteri di Ibernia si erano compiute le azioni cultiche grazie alle quali un’immagine vivente del mistero del Golgota si manifestò nella luce astrale».[46]

Nel tempo in cui a Roma l’affermazione fondamentale del Cristo: «Il mio regno non è di questo mondo» veniva invertita, abbiamo al nord un cristianesimo spirituale che viene ulteriormente coltivato mediante la corrente del Gral, per confluire poi verso la fine del Medioevo nel rosicrucianesimo.

Rudolf Steiner continua così:

«[…] il mondo dei misteri andò sempre più scomparendo dal mondo fisico. Le sedi esteriori che costituivano i luoghi d’incontro tra gli Dèi e gli uomini perdettero sempre più la loro importanza:

nel tredicesimo e quattordicesimo secolo dopo Cristo l’avevano quasi del tutto perduta. Infatti chi voleva trovare la via, per esempio, al Santo Gral doveva essere in grado di percorrere vie spirituali. Nei tempi antichi prima dell’incendio di Efeso si percorrevano vie fisiche; nel medioevo si dovettero percorrere vie spirituali.

In particolare, però, si dovevano percorrere vie spirituali se, a partire dal tredicesimo, quattordicesmo, ma soprattutto dal quindicesimo secolo, si aspirava a conseguire un vero insegnamento rosicruciano. I templi dei rosacroce erano infatti estremamente nascosti per l’esperienza fisica esteriore.

Molti autentici rosacroce li frequentavano, ma nessun occhio umano fisico poteva trovare quei templi. Poteva darsi però che dei discepoli giungessero a quei vecchi rosacroce, che si trovavano qua o là come eremiti del sapere e del santo operare umano: li potevano trovare coloro che erano in grado di apprendere il linguaggio divino da uno sguardo mite e luminoso. Con ciò non sto dicendo nulla di improprio.

Non voglio enunciare alcuna immagine, ma una ben precisa realtà, che nell’epoca alla quale sto accennando era veramente una realtà alquanto importante. S’incontrava il maestro rosacroce solo dopo aver conseguito la capacità per poter percepire il linguaggio del cielo in un mite e luminoso sguardo fisico. Allora, proprio nel quattordicesimo, quindicesimo secolo, nell’Europa centrale s’incontravano negli ambienti e nei rapporti umani più modesti queste personalità singolari, che nel loro intimo erano ripiene di Dio e connesse ai templi spirituali realmente esistenti, il cui accesso era però tanto arduo quanto quello al Santo Gral, che ci viene narrato dalla nota leggenda».

La scienza dello spirito di Rudolf Steiner si collega esotericamente proprio a queste correnti e rappresenta in senso profondissimo un risorgimento del cristianesimo esoterico.

Un aspetto importante connesso a questo cristianesimo, che dapprima non poté divenire determinante per la cultura, è il sorgere di leggende e saghe. Le leggende possono contenere in immagini le verità più profonde, anche storiche, ma in una forma che lascia liberi.

Vi è così una leggenda di Barlaam e Josafat, attribuita a Giovanni Damasceno, che narra come l’indiano Josafat, vale a dire il Bodhisattva quale successore del Buddha, venga convertito al cristianesimo dal cristiano Barlaam. Questo racconto è da prendersi del tutto seriamente: esso vuol dire che la corrente del buddhismo sfocia in modo realmente spirituale nel cristianesimo. Un’altra saga che era conosciuta e amata in tutta l’Europa è la saga dell’ebreo errante (Assuero o Asvero), sulla quale ritornerò più avanti.

La Scolastica medioevale e la redenzione del pensare

La giustificazione del cristianesimo tradizionale nel suo aspetto positivo si mostra in modo del tutto particolare nella fioritura della Scolastica nel medioevo. In ripetute occasioni Rudolf Steiner ha sottolineato che mai, né prima né dopo, è stata sviluppata nell’umanità un’arte del pensiero così eminente e rigorosa. Il valore della filosofia di Tommaso d’Aquino sta molto più nella metodica e nella scrupolosità del pensare che non nei contenuti, peraltro già di per sé notevoli.

Io stesso appartengo all’ultima generazione che ha ancora studiato a fondo, prima del Concilio, la filosofia di Tommaso d’Aquino. Le lezioni erano ancora in lingua latina. Questa corrente si chiamava neotomismo, l’edificio in cui vivevamo si chiamava scolasticato, e noi venivamo chiamati scolastici. Dopo il Concilio molte cose cambiarono e Tommaso d’Aquino cessò di svolgere questo ruolo centrale.

Fu per Rudolf Steiner una profonda esigenza quella di esporre una volta, in un breve ciclo di conferenze, l’essenziale della filosofia di Tommaso d’Aquino.[47] Gli scolastici vivevano in tutto e per tutto nell’elemento del pensare e hanno sperimentato una dimensione del peccato originale ben diversa da quella usuale morale-moraleggiante. Essi hanno maggiormente afferrato il peccato originale come una faccenda della ragione e dell’intelletto e non come una faccenda morale. Era per loro del tutto evidente che sia il bene che il male presupponevano consapevolezza, e che perciò il “peccato originale” primigenio ha soltanto creato le condizioni per poter raccogliere i frutti dall’albero della conoscenza. L’intellettualità caduta era allora l’incapacità del pensare umano di penetrare i misteri più profondi del mondo spirituale e della divinità.

Il pensare umano può per forza propria – così essi si dicevano – arrivare solo fino a un certo punto. Ciò che sta oltre tale limite deve venire comunicato all’uomo per mezzo della rivelazione divina, e l’uomo lo deve accogliere per fede. Per ciò che riguarda la divinità stessa, la ragione umana può ancora al massimo “dimostrare”, per esempio, la sua esistenza; ma che questa divinità consista di una Trinità, che di questa Trinità il Figlio si sia incarnato per redimere l’umanità, che mediante la transustanziazione il pane diventi corpo di Cristo… tutto questo il pensare umano non lo può riconoscere per forza propria.

Per questi pensatori il peccato originale “intellettuale” consiste nel fatto che lo spirito umano si è separato dalla diretta e sostanziale esperienza dello spirituale, e perciò non lo capisce più. Così anche la questione della redenzione viene posta dagli scolastici più dal lato della conoscenza che non da quello della morale, poiché se il pensare umano nulla può per il fatto che vive in questa separazione dallo spirituale, allora non si può neppure parlare di peccato in senso morale.

Se nell’umanità era sempre presente l’anelito di redenzione, per gli scolastici esso divenne un anelito di redenzione del pensare. Se mai l’uomo è passibile di redenzione, allora in primo luogo deve venir redento il suo pensare.

Gli scolastici di allora, però, non potevano formulare così questi pensieri: espressi in questa forma risultano propriamente solo dalla scienza dello spirito. Essi vennero vissuti molto di più come un quesito nelle profondità dell’animo: era una domanda vissuta e sofferta in modo intimo, sebbene non del tutto cosciente, e Rudolf Steiner vi accenna con vigore. Tommaso e Alberto Magno sentivano, per esempio, in modo tragico il fatto che alcuni pensatori fossero arrivati perfino ad affermare che l’intelletto umano è diventato talmente peccaminoso che può giungere a verità che contraddicono direttamente le verità rivelate, e che perciò sono errori reali.

Questo è quanto Tommaso e Alberto non volevano in alcun modo accettare. La loro fiducia nel pensare umano, la loro instancabile cura della ragione, portava con sé una tale considerazione per la forza dello spirito umano da far sentir loro come insopportabile, addirittura come una bestemmia questa affermazione. Abbiamo a questo proposito la famosa controversia della doppia verità, in merito alla quale Rudolf Steiner, nelle stesse conferenze su Tommaso d’Aquino cui accennavo, dice:

«Questo problema cova, per così dire, nei sostrati dell’anima fino ai tempi di Alberto e Tommaso. In essi vive la domanda: non abbiamo noi accolto il peccato originale anche nel nostro pensare, e in quella che noi consideriamo la nostra ragione? Non è proprio perché la ragione ha rinnegato la spiritualità, che ci fa credere contenuti diversi dalla vera verità? Se accogliamo nella nostra ragione il Cristo, se accogliamo nella nostra ragione qualcosa che quindi la trasformi, che la sviluppi ulteriormente, allora soltanto essa si porrà in armonia con la verità che costituisce il contenuto della fede. La peccaminosità della ragione stava in un certo senso alla base del fatto che i pensatori del periodo antecedente a quello di Alberto e Tommaso parlassero di due verità.

Essi vollero prendere sul serio la dottrina del peccato originale e la dottrina della redenzione mediante il Cristo. Per far questo non avevano ancora né la forza di pensiero né la logica sufficienti, ma essi volevano procedere con serietà. Si posero quindi il quesito: come redime il Cristo in noi la verità della ragione, che contraddice la verità rivelata spiritualmente? Come possiamo diventare cristiani fin nel più intimo del nostro spirito?».

Questa lotta per la redenzione del pensare umano era al contempo la lotta per l’individualità umana e la sua immortalità. Gli aristotelici arabi, specialmente Averroè, avevano affermato che vi è soltanto un intelletto universale. Una goccia di questa ragione cosmica si separa all’atto della nascita e si unisce alla corporeità umana. Alla morte, questa goccia della ragione viene di nuovo riassorbita nell’elemento unitario, e quindi è del tutto improprio parlare di immortalità individuale, di sopravvivenza della coscienza umana.

Gli scolastici hanno interpretato Aristotele in tutt’altro modo: partendo dalla prospettiva cristiana, conseguiva la necessità di capire l’uomo come individualità spirituale. E l’Io individuale è la premessa imprescindibile per la capacità di intendere e di volere in senso morale, cioè autonomo.

Qui vediamo quanto decisivo sia stato l’operare dell’impulso del Cristo nell’umanità: per essere spiritualmente individuali dopo la morte (e non una coscienza che rientra nel grembo divino, dissolvendosi), lo si deve essere anche durante la vita. La congiunzione con la corporeità, cioè la vita sulla Terra, ha lo scopo fondamentale di far sorgere l’individualità attraverso il processo della coscienza che incontra e sperimenta il proprio l’Io, cioè lo spirito capace di agire anche nel mondo fisico.

Detto con le parole della scienza dello spirito: il congiungimento con l’apparato riflettente della corporeità fa sorgere la coscienza dell’Io (cioè il riflesso dell’Io nell’anima, nella normale coscienza), e da qui nasce con piena validità l’autoesperienza di sé come un Io. Questa autoesperienza può poi persistere anche in un mondo puramente spirituale, senza bisogno della corporeità fisica – la normale coscienza, invece, l’intelletto dell’anima, ha bisogno dello specchio riflettente del cervello, è passiva e perciò si spegne con la morte. Un Io non cosciente di sé non è ancora del tutto individuale e sostanziale.[48]

Sia nella questione della redenzione del pensare che in quella dell’immortalità individuale, mancava agli scolastici la prospettiva decisiva, quella dell’evoluzione, poiché a quei tempi la coscienza umana non era ancora in grado di apprezzarla in tutta la sua portata. Già il fatto che non si sapesse più nulla delle ripetute vite terrene, induceva a osservare l’uomo in senso più statico che dinamico. Così questi pensatori consideravano sia l’intelletto che l’immortalità più nel presente che non dal punto di vista del dinamismo evolutivo.

Solo mediante la scienza dello spirito diventa possibile prendere coscienza del fatto che i millenni dell’evoluzione hanno la loro ragion d’essere unicamente per permettere di conseguire liberamente la redenzione del pensare e di conquistare l’immortalità individuale. La risposta della scienza dello spirito alla sofferta questione della redenzione del pensare che ha accompagnato gli scolastici fin oltre la morte, è semplice e sconvolgente allo stesso tempo: il pensare umano è passibile di redenzione, è cioè passibile di ulteriore evoluzione.

Poiché il senso dell’evoluzione umana consiste nell’esperienza della libertà, e poiché il pensare costituisce a sua volta la realtà della libertà, l’uomo non può aspettarsi di venir redento o liberato soltanto dalla grazia. L’unica vera redenzione che può esserci per l’uomo è il fatto che gli è stata conferita la potenzialità della libertà: essa però non può essere nulla più che una capacità, perché la sua realizzazione, la traduzione in atto della libertà, è proprio il compito supremo dell’uomo.

Il compito del pensare non sta tanto nel formare immagini della realtà esteriore, quanto piuttosto nel rendere possibile all’uomo stesso la propria completa umanazione, quale essere della libertà. Come la natura del frumento non consiste nel valore nutritivo che ha per noi, bensì nelle forze vitali che fanno germogliare una nuova piantina, analogamente la natura del pensare non consiste nel rapporto con la realtà esteriore, bensì in ciò che l’uomo stesso diviene attraverso il pensare.

«E come quello che noi mangiamo, in verità, non ha alcun ruolo nella spiegazione della crescita della pianta, così anche la questione del valore conoscitivo di ciò che vive in noi come impulso evolutivo non può essere di base per una gnoseologia; deve bensì esser chiaro che quanto nella vita esteriore chiamiamo conoscenza è un effetto collaterale di quanto operato dall’elemento ideale nella nostra entità umana. Giungiamo così alla realtà di ciò che è ideale. Esso opera in noi. Il falso nominalismo, il kantismo, è sorto solamente perché la problematica della conoscenza è stata posta come se la problematica concernente la natura del frumento venisse posta prendendo le mosse dalla chimica degli alimenti.

Si può quindi dire: solo se si comprende ciò che il tomismo può significare per il nostro tempo, quel che il tomismo può rappresentare per la nostra epoca attuale, e come esso scaturisca proprio da ciò che nel medioevo ne fa il suo elemento più significativo, solo così lo si vede sbocciare nella sua forma consona al ventesimo secolo nella scienza dello spirito, e allora esso è nuova mente presente come scienza dello spirito».[49]

Per il fatto che l’individualità sorge sostanzialmente per mezzo dell’esercizio della libertà e della creatività nel pensare, sorge al contempo l’individualità spirituale dell’uomo in campo etico. Nel momento in cui il pensare stesso diventa atto morale della libertà e massima responsabilità morale, l’individuo vive, nell’agire, la forza del pensare come fantasia morale e intuizione morale. Sorge ciò che Rudolf Steiner nella seconda parte de La filosofia della libertà chiama individualismo etico: questa espressione non significa che l’uomo è a priori un’individualità libera nell’agire, bensì che può divenirlo in modo sempre più sostanziale.[50]

Il mistero della transustanziazione si evidenzia in tutta la sua profondità soltanto in questo contesto. La redenzione del pensare è al contempo la cristificazione del pensare, perché il Cristo rende possibile la transustanziazione del e nel pensare. Per ogni uomo è possibile sperimentare lo spirituale nel pensare come qualcosa di più sostanziale delle cose percepibili ai sensi: sostanziale significa infatti veramente attivo, realmente causante.

Nella non libertà l’uomo sperimenta la materia come la sola realtà capace di causare: essa è per lui così sostanziale da provocare nel suo spirito quasi tutto, tanto che egli si vive quasi solamente come effetto. Ma grazie al pensare attivo-vivente, il pensare stesso consegue la sostanzialità e l’essenzialità più reale che possa esserci, e in quella realtà l’uomo transustanzia sé e tutte le altre cose.

Nel pensare morto, passivo, l’uomo vive prima di Cristo, prima della transustanziazione, prima della libertà. Nel pensare vivente sia l’uomo che il mondo vengono transustanziati, vengono riscattati e liberati dalla caducità della materia. Quando lo spirito viene sperimentato nell’attività dell’Io che pensa, tutte le cose ricevono la loro realtà grazie allo spirito.

Da figlio di Dio a figlio dell’Uomo

Tenendo presenti tutte le considerazioni che abbiamo svolto fin qui su due millenni di cristianesimo, ora il nostro compito sarà quello di domandarci: il cristianesimo ha un futuro? E se lo ha, quale? E quale sarà il compito futuro della scienza dello spirito di Rudolf Steiner nei confronti del cristianesimo?

Il pensiero centrale di Rudolf Steiner nei riguardi dell’Entità del Cristo e del cristianesimo può, come ho già accennato, venire così formulato: il cristianesimo è per eccellenza umanesimo. Nell’Essere solare non si è mostrato nulla di sovrumano o di extraumano, tantomeno di inumano, bensì si è manifestata la compiutezza di tutto ciò che è riposto nelle possibilità evolutive di ogni uomo.

II Cristo stesso non ha mai adoperato la parola cristiano e nemmeno ne ha avuto bisogno. Egli ha chiamato se stesso Figlio dell’Uomo, di fatto in opposizione a Figlio di Dio. Nella lingua di quel tempo figlio di Dio significava il creato divino, il generato divino, il prodotto stesso di Dio Padre: perciò l’uomo in quanto figlio di Dio non era ancora autonomo, era solo il fruitore della grazia. Era l’effetto dell’operare divino.

Soltanto quando sorge il figlio dell’uomo, vale a dire quanto generato dall’uomo stesso, quanto creato dalla libertà umana, noi abbiamo l’uomo libero. Il senso dell’evoluzione consiste nel fatto che il figlio di Dio a poco a poco si trasforma in un figlio dell’uomo. Ogni essere all’inizio dell’evoluzione è una creatura e diventa a poco a poco un co-creatore.

Nel mezzo dell’evoluzione l’umanità era talmente decaduta da decretare la morte per il Figlio dell’Uomo salvando Barabba. In aramaico Barabba significa figlio del padre: questo concetto si riferisce a un uomo che nella vita non aggiunge nulla di proprio al suo essere, ma porta in sé unicamente quanto era già presente in suo padre. Nei misteri, Barabba era figlio del padre nel senso di figlio del maestro: s’intendeva dire che il discepolo era allora così fedele al maestro-guru, da ripetere in sé soltanto la spiritualità del suo maestro.

La forma storica del cristianesimo, che per ora si è sviluppata culturalmente soltanto in occidente, non è stata un puro umanesimo. Se Rudolf Steiner parla di un ritorno del cristianesimo esoterico – il cristianesimo di Giovanni –, intende dire che il cristianesimo può avere un futuro soltanto realizzando sempre più sostanzialmente l’universale, ciò che abbraccia tutta l’umanità.

«[…] oggi è necessario ritornare nuovamente a una conoscenza del cristianesimo esoterico. Oggi è di nuovo necessario sapere che al cristianesimo non appartiene soltanto ciò che è essoterico, e di questo i vangeli possono certamente suscitare il sentore.

Dell’aspetto esoterico oggi si parla ancora poco. Ma l’umanità deve ritornare a ciò di cui nei documenti esteriori non vi è quasi traccia, a ciò che deve venir appunto compreso mediante la scienza dello spirito antroposofica, a ciò che il Cristo stesso dopo la sua resurrezione ha insegnato ai suoi discepoli iniziati, con la premessa che egli lo poté insegnare soltanto dopo aver avuto sulla Terra un’esperienza che non avrebbe potuto compiere nel mondo degli Dèi, poiché in esso non vi è alcuna morte fino al mistero del Golgota».[51]

La filosofia della libertà di Rudolf Steiner, in quanto impulso di resurrezione, descrive come nel pensare l’uomo possa intimamente sperimentare il dramma di morte e resurrezione: per questo è un libro che appartiene in tutto e per tutto al cristianesimo esoterico. Rudolf Steiner nella medesima conferenza così prosegue:

«Si deve soltanto sentire che effettivamente non si vive se si pensa che si riversa la propria vita in immagini intellettuali morte e che si necessita di una vita vigorosa per sentire ora quel che c’è nel prodotto morto della ragione pure come vita creante, qualora ci si elevi a quell’ambito da cui, grazie alla forza del pensare puro, provengono gli impulsi morali, dove si impara a comprendere la libertà dell’uomo prendendo le mosse dagli impulsi del pensare puro.

Questo è quanto ho cercato di esporre nella mia Filosofia della libertà. Questa filosofia della libertà è in realtà una concezione morale, la quale vuol indicare come rianimare i pensieri morti quali impulsi morali, per portarli a resurrezione. Per questo in una tale filosofia della libertà vi è assolutamente dell’intimo cristianesimo.

Con queste considerazioni volevo oggi porvi di fronte all’anima da un certo punto di vista qualcosa del cristianesimo esoterico. Nel nostro tempo, in cui molto si disputa in senso storico-essoterico proprio sull’essere del cristianesimo, è necessario accennare a questo insegnamento esoterico del cristianesimo».

Decisiva per il sorgere di un rinnovato cristianesimo esoterico è la coscienza che il mistero del Golgota, quale evento in continuo divenire, è da comprendersi in triplice modo: come evento cosmico, mistico e storico.

La dimensione cosmica si riferisce alla totalità dell’evoluzione della Terra stessa, che sta per venir trasformata dal Cristo in un Sole. A questo cristianesimo cosmico sono connesse tutte le sorti del pianeta Terra.

La dimensione mistica si riferisce ai gradini evolutivi dell’interiorità e della coscienza umana. L’interiore evoluzione dell’umanità è al contempo lo sviluppo dell’interiorità spirituale della Terra e del Cristo stesso.

La dimensione storica si riferisce alla dinamica della reciproca interazione fra l’elemento cosmico e quello mistico. A questa dinamica si deve propriamente la realtà dell’evoluzione, e ciò che noi chiamiamo storia è un aspetto di questa evoluzione in senso lato.

La nuova fase del cristianesimo che viene inaugurata mediante la scienza dello spirito è inseparabile dal mistero del ritorno del Cristo. Già nel Nuovo Testamento, accanto alla prima venuta del Cristo, si parla del suo futuro Ritorno, della Parusìa. La distinzione tra prima e seconda venuta e il loro reciproco rapporto è della massima importanza sia per la scienza dello spirito che per il cristianesimo stesso. Il fatto che all’inizio di questo secolo sia stata data all’umanità la scienza dello spirito appartiene essenzialmente alla totalità degli eventi connessi con la seconda venuta del Cristo.

La prima venuta fu l’operare del Cristo, il ritorno è la risposta degli uomini. Il mistero del Golgota fu un atto del suo amore, che egli ha compiuto per tutti senza farlo dipendere dalla risposta degli uomini. Allora si trattava di creare le premesse nell’anima umana affinché nel futuro ogni uomo potesse dare una risposta cosciente.

L’esperienza del ritorno, invece, non si compie per tutti nello stesso tempo, ma è un fatto che riguarda lo sviluppo individuale. È una faccenda della libertà.

Terzo Capitolo

GLI UNI NEGLI ALTRI

Amare il karma di tutti

Grazie alla distinzione tra il carattere di fondo della prima e della seconda venuta del Cristo, siamo in grado di comprendere un altro fatto che nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner riveste un ruolo molto importante: il Cristo che diventa nel nostro tempo Signore del karma.

Come ho descritto altre volte, nel dopo morte l’uomo non si chiede più soltanto che cosa c’è da fare per pareggiare, in vista del proprio miglioramento, le unilateralità accumulate, ma diventa capace di volere un pareggio che sia al contempo di beneficio per tutti gli uomini. Ciò significa il passaggio da un karma di giustizia a un karma d’amore.

Questo importante mutamento mostra che la giustizia divina si fa base e condizione della libertà, e che in futuro non sarà più sufficiente un giusto karma. Il karma delle forze di giustizia muta in un karma delle forze d’amore.

Ciò non significa che soltanto ora sorga un karma umano unitario. Questo karma è sempre esistito. L’umanità ha sempre costituito un unico organismo spirituale: la novità è che nel nostro tempo sorge la coscienza di essere intessuti tutti gli uni negli altri. Nella misura in cui l’uomo, attraverso il pensare, si vive come membro dell’umanità, può liberamente lavorare al rimembramento spirituale e sostanziale di tutti gli uomini, come al compito complessivo della seconda metà dell’evoluzione. Nella conferenza del 14 ottobre 1911 Rudolf Steiner dice:

«Dopo essere passati per la porta della morte, in un tempo successivo torneremo a incarnarci. Dovranno allora presentarsi per noi eventi grazie ai quali il nostro karma possa venir pareggiato; poiché ogni uomo deve raccogliere quel che ha seminato. Il karma rimane una legge giusta, ma quel che la legge karmica deve adempiere non riguarda soltanto il singolo uomo. Il karma non pareggia soltanto gli egoismi, ma il pareggio in ogni uomo deve avvenire così che il contrappasso karmico si inserisca nel miglior modo possibile nelle generali vicende del mondo.

Dobbiamo pareggiare il nostro karma in modo tale da favorire nel miglior modo possibile il progresso dell’intero genere umano sulla Terra. Necessitiamo per questo di una illuminazione; per questo non basta soltanto una generica conoscenza che per le nostre azioni deve presentarsi un adempimento karmico, poiché per un’azione potrebbero presentarsi diversi adempimenti karmici in grado di compiere il pareggio. Ma siccome l’uno potrebbe essere più utile dell’altro al generale sviluppo dell’umanità, dovranno venir scelti quei pensieri, sentimenti o sensazioni che compensino il nostro karma e siano al contempo utili al progresso generale dell’umanità. Coordinare il nostro pareggio karmico con il karma generale della Terra, con il progresso generale dell’umanità, questo è quanto spetta in futuro al Cristo».[52]

La grande svolta che l’evento del Cristo porta è anche il trapasso dall’affinità di sangue a quella elettiva. Come, prima del Cristo, decisive e portanti per il pensare e l’agire degli uomini erano le forze del sangue, così, dopo il Cristo, anche nei rapporti deve regnare sempre di più la libertà. Ma libertà anche in questo caso significa coscienza. Vediamo allora che la differenza centrale tra il cristianesimo della prima venuta e il cristianesimo della seconda venuta è una differenza di coscienza. Il cristianesimo del ritorno del Cristo è un cristianesimo fondato sulla conoscenza.

Affinità elettiva significa sapere quali esseri umani mi appartengono karmicamente e riconoscere quali possibilità di sviluppo albergano in sé queste unioni karmiche. Con la morte del Cristo in croce, con il fluire del sangue dalle ferite, viene inaugurata la legge evolutiva dell’affinità elettiva. Alla madre viene detto: «Ecco tuo figlio». Al discepolo Giovanni viene detto: «Ecco tua madre»[53]. Questi due esseri umani non hanno però tra loro alcun legame di sangue. L’affinità elettiva è la parentela degli ideali comuni, la comunione dell’idealismo spirituale. Quanto più vasti e “umani” sono gli ideali di un uomo, tanto più umanizzata è la sua affinità elettiva.

Questa prospettiva del karma unitario dell’umanità e del karma che si forma sulle forze dell’amore – grazie al Cristo Signore del karma – mancava nelle religioni precristiane. In esse la redenzione veniva intesa come faccenda personale. Non si poteva ancora sperimentare a livello conscio l’umanità come organismo unitario, dove non è possibile la salvezza privata senza la salvezza dell’intero organismo. L’individualità si affacciava appena ed era troppo debole per riconoscere e assumere le sue responsabilità verso l’intero organismo dell’umanità. Questo vale anche nei confronti della natura e della Terra.

Mi ha fatto un’enorme impressione leggere in Rudolf Steiner che tutte le religioni precristiane erano religioni di redenzione, mentre il cristianesimo, all’opposto, è una religione di resurrezione. Con ciò è inteso che il cristianesimo sorge soltanto là dove contemporaneamente nasce una coscienza di responsabilità da parte dell’uomo nei confronti dello sviluppo dei propri simili, della natura e della Terra. La redenzione avviene quando l’uomo si libera della Terra, la resurrezione quando redime tutta la Terra attraverso un processo di transustanziazione e di spiritualizzazione.

Nella citazione seguente Rudolf Steiner si riferisce soprattutto al buddhismo: quel che viene detto su di esso vale però per tutte le religioni precristiane:

«Liberazione dalle sofferenze dell’esistenza!, questo è quanto il buddhismo pone in primo piano. Questo è ciò che lo rende caratterizzabile come una religione di redenzione nel senso più eminente del termine, una religione di redenzione dalle sofferenze dell’esistenza; e poiché a tutta l’esistenza è collegata la sofferenza, è una religione di redenzione dall’esistenza stessa, vale a dire dal decorso delle rinascite dell’uomo in generale! […].

Non sarebbe giustificato, e qualsiasi semplice considerazione lo mostrerebbe, se si volesse ora chiamare il cristianesimo una religione di redenzione nello stesso senso del buddhismo.

Se da questo punto di vista si vuol porre il cristianesimo nel giusto modo accanto al buddhismo, allora si potrebbe chiamarlo una religione di reincarnazione. Il cristianesimo infatti prende l’avvio dalla conoscenza che tutto quanto può stare davanti alla vita di un uomo porta frutti che sono importanti e validi per l’essenza più intima dell’essere umano, e che vengono trasportati

dall’uomo in una nuova vita e là vissuti a un gradino di perfezione superiore […].

Goethe voleva rappresentare un’individualità protesa nel suo anelito, cosciente che tutto ciò che è conquista dell’esistenza terrena deve essere permanente, deve essere intessuto nell’eternità: le tracce dei miei giorni terreni non periranno nel tempo!

Questo è il vero e realistico impulso cristico che porta a ridestare le azioni terrene nella loro spiritualizzazione. Questa è religione di resurrezione!».[54]

L’immoralità della volontà comune

Lo sviluppo del cristianesimo non è certo alla fine, è soltanto all’inizio. Il nuovo nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner non è il fatto che rende l’uomo automaticamente più cristiano: serve piuttosto a fornirgli la coscienza di trovarsi ancora all’inizio sia della sua umanizzazione sia della sua cristificazione.

Se poniamo la domanda: che cos’è puro umanesimo?, troviamo non soltanto in Steiner ma anche nella migliore tradizione del cristianesimo una duplice risposta. L’essere dell’uomo consiste di due dimensioni fondamentali, quella universale e quella individuale:

• ogni uomo è semplicemente uomo come tutti gli altri;

• ogni uomo è uomo in modo del tutto diverso da ogni altro.

La prospettiva universale diventa reale nella coscienza quanto più l’intera umanità viene vissuta e capita come un concreto organismo unitario. Ma anche la dimensione individuale riguarda la realtà dell’esistenza e richiede un’identificazione sempre più sostanziale da parte della coscienza dell’Io (l’anima di ognuno di noi) con l’Io vero stesso. L’Io superiore[55], cioè lo spirito di ogni uomo, è un membro individuale nell’organismo di tutta l’umanità e porta a espressione l’umano in modo del tutto singolare e unico.

La forza della fantasia morale di cui si parla nella seconda parte de La filosofia della libertà abbraccia la totalità dei talenti e delle doti di questa individualità eterna. Ogni individualità può soltanto volere ciò che lei stessa è, e nessuna è uguale a un’altra, altrimenti non sarebbe affatto un’individualità. Nel nono capitolo de La filosofia della libertà Rudolf Steiner scrive:

«Vivere nell’amore per l’azione e lasciar vivere nella comprensione del volere altrui è la massima fondamentale degli uomini liberi.

Essi non conoscono altro volere se non quello con cui il loro volere si mette in intuitivo accordo; in che modo essi in un caso particolare vorranno, glielo dirà il loro patrimonio di idee».

La volontà dell’altro uomo viene qui indicata come una volontà altrui, anzi, in tedesco è aliena (des fremden Wollens). Questa parola deve esser compresa in tutta la sua portata: venne perfino aggiunta nell’edizione del 1918. Poi, nella prima aggiunta al decimo capitolo, Rudolf Steiner fa una sintesi di ciò che è stato esposto nei capitoli precedenti riguardo alla polarità tra la dimensione individuale e quella universale:

«A una visione che compenetri il modo in cui le idee vengono intuitivamente sperimentate quali essenzialità poggianti ciascuna su se stessa diventa evidente che l’uomo, entro l’ambito del mondo delle idee, attraverso il conoscere penetra e vive in un elemento unitario per tutti gli uomini; è però anche chiaro che quando da quel mondo delle idee egli ricava le intuizioni per i suoi atti volitivi, egli individualizza un membro di quel mondo delle idee per mezzo della stessa attività che nel processo spirituale-ideale del conoscere egli sviluppa come una attività universalmente umana. Ciò che appare come contraddizione logica, cioè il carattere universale delle idee conoscitive e quello individuale delle idee morali, se contemplato nella sua realtà, si tramuta proprio in concetto vivente. Una caratteristica dell’entità umana sta appunto nel fatto che quanto nell’uomo è da afferrarsi intuitivamente oscilla con un moto pendolare vivente tra la conoscenza avente valore universale e lo sperimentare individuale di questo universale.

Per chi non possa guardare a uno dei moti pendolari nella sua realtà, il pensare rimane soltanto una soggettiva attività umana; per chi non possa comprendere l’altro con l’attività pensante dell’uomo, sembra perduta ogni vita individuale. Il conoscere, per un pensatore della prima specie, e la vita morale, per l’altro, sono fatti impenetrabili. Per spiegare l’uno o l’altro dei fenomeni addurranno entrambi ogni sorta di considerazioni, tutte inadeguate, poiché per entrambi effettivamente la sperimentabilità del pensare o non viene per nulla compresa, o viene disconosciuta in quanto ritenuta un’attività puramente astratta».

Un vero umanesimo potrà sorgere nell’umanità nella misura in cui ogni essere umano svilupperà in modo sempre più puro e conseguente la sua individualità – in altre parole, quanto più sarà se stesso, quanto più s’individualizzerà.

Mai due individualità possono volere la stessa cosa. Ogni singolo uomo è un genere, una specie a sé. Alcuni sostengono che l’amore consista nel fatto che due o più persone vogliano la stessa cosa: secondo La filosofia della libertà, però, questo volere la stessa cosa sarebbe l’essenza dell’immoralità. Perché dove viene voluta la stessa cosa, una o più individualità vengono abolite. E poiché l’individualità umana è la somma del bene morale e rappresenta al contempo la totalità della responsabilità del singolo, a buon diritto possiamo dire: quando l’individualizzazione della volontà, dove sia possibile, venga impedita o inibita, abbiamo il fenomeno primigenio dell’immoralità.

Il futuro di ciò che è comune nell’umanità non potrà mai più consistere nel fatto che si vuole la stessa cosa. Questa sedicente volontà comune è sempre la volontà di una o più individualità, che viene imposta agli altri. È evidente che per qualunque cooperazione si dovranno trovare degli accordi: questi accordi sono però condizioni e presupposti, mai il voluto reale del singolo. Nelle condizioni di cornice che sono, quelle sì, comuni, ognuno deve poi sapere ciò che in modo del tutto individuale vuole.

Qualora non venga aggiunto il contenuto della volontà individuale, le condizioni comuni di cornice rimangono un involucro vuoto e privo di senso. Le enormi difficoltà che gli uomini oggi sperimentano nelle relazioni con i propri simili, non provengono dal fatto che essi non vogliono volere la stessa cosa, bensì dal fatto che la maggior parte di loro non sa ciò che individualmente vuole.

La maggior parte degli uomini si attende dalle istituzioni in cui opera, vale a dire da ciò che è comune, la realizzazione di quanto è individuale. Si tratta ovviamente di un’assoluta contraddizione, poiché ciò che ha carattere di anima di gruppo non può mai essere la realizzazione dell’individuale. Criticherà e accuserà maggiormente l’istituzione – le si rivolgerà contro nel modo più violento – chi più si attende dall’istituzione. E dovrà sempre venir deluso, poiché essa non potrà mai dargli l’autorealizzazione del tutto individuale che egli cerca.

Vita in comunità

Supponiamo di avere una comunità di venti individui con un cosiddetto compito comune (gestire una scuola, un ospedale, ecc.) e che abbiano la tempra di un Goethe e di uno Schiller. Come architetterebbero quanto è loro comune? Essi distinguerebbero chiaramente due livelli:

1. Il primo è il livello delle condizioni di cornice, che devono venir architettate di comune accordo: esse appartengono irrinunciabilmente alla volontà complessiva, di cui parlerò più avanti. Queste condizioni di cornice tenderanno a rimanere quanto più possibile minime, poiché nessuno si aspetta da quelle la felicità della realizzazione individuale. Per ognuno è sufficiente che queste condizioni non impediscano direttamente l’espressione dei talenti individuali, ma che la rendano possibile. Per quanto minime siano le condizioni di cornice – e sempre aperte alle revisioni e alle modificazioni, poiché sono soltanto mezzi per un fine –, saranno nondimeno importanti e sacre per ognuno, poiché ognuno si rende conto che sono le condizioni necessarie, la base per l’attuazione di ogni individualità. Violare, oppure disprezzare le condizioni stabilite in comune viene ritenuto il fatto moralmente più grave: l’attenzione per le condizioni di cornice vive in modo inseparabile dall’attenzione per ogni singola individualità umana.

2. L’altro livello è quello della volontà individuale di ogni singolo uomo. Quanto più la vera volontà individuale viene riconosciuta come sostanziale al proprio essere, come espressione del proprio Io superiore, tanto più diversificati e differenziati diventano i contenuti volitivi nei diversi individui di questa comunità. Sorge la più grande molteplicità nello sviluppo degli Io, e a ognuno diventa del tutto insopportabile che anche soltanto due individualità desiderino volere la stessa cosa, poiché cesserebbero così di essere individui. Ciò che qui e ora è bene per l’uno, non è bene per l’altro.

Goethe non si è mai aspettato dalla corte di Weimar la realizzazione della sua individualità. Di certo mai ha pensato che tutti gli altri dovessero volere la stessa cosa che voleva lui, o lui la stessa degli altri. Diversamente, ognuno avrebbe dovuto volere un Faust, o un Wilhelm Meister, e per di più così come li ha voluti lui. Ma proprio questo è quanto s’intende per individualizzazione della volontà: Goethe, dall’esuberanza dei talenti della sua individualità, sapeva bene ciò che individualmente voleva. Era per lui evidente non solo che nessun altro doveva volere le stesse cose che voleva lui, ma ancor più che nessun altro le poteva volere.

La volontà dell’Io superiore è del tutto individuale, vale a dire ben concreta e determinata in ogni situazione della vita. È la coscienza dell’io inferiore, normale, che ha difficoltà a lasciar da parte le astrazioni e le generalizzazioni per far proprie le intuizioni morali del tutto individuali dell’Io superiore.

Due insegnanti hanno la stessa classe con i medesimi alunni: vuol dire che hanno lo stesso compito?, che dovrebbero avere la stessa volontà per sé e per gli alunni? Niente affatto! Se diciamo che entrambi vogliono essere insegnanti, che entrambi vogliono il meglio per gli alunni, che entrambi vogliono amare gli alunni, ebbene queste sono asserzioni prive di ogni contenuto concreto e determinato. Esse rimangono del tutto astratte e non possono mai diventare il reale contenuto della volontà individuale.

Se noi vogliamo entrare nella concretezza individuale del karma, allora ciò che oggi l’uno dei due insegnanti, nel suo vero Io, si è proposto intimamente di eseguire con ognuno dei suoi alunni, sarà qualcosa del tutto diverso da quanto l’altro vivrà e, dal punto di vista del suo Io superiore, anche vorrà. L’uno insegnerà in modo del tutto diverso dall’altro.

Se vogliamo perfino considerare quello che ogni singolo scolaro sperimenterà karmicamente con l’uno o l’altro degli insegnanti – e ogni insegnante con ogni scolaro –, allora ci si offriranno due infinità di effetti del tutto diversi, che sono da ricondursi ai due insegnanti. «Considera il che cosa, ma ancor più il come… » dice Goethe nel Faust: il che cosa è l’essere maestro, e i due insegnanti hanno questo in comune. Ma ancor più importante è il come sono maestri, e questo fa di loro due mondi diversi. Soltanto nel divenire cosciente di questo come, ognuno può viversi quale individuo e attuare sostanzialmente l’autorealizzazione.

Prendiamo marito e moglie: se si propongono di volere la stessa cosa, rimangono nell’astrazione, oppure l’uno vuole gestire l’altro, cosa tutt’altro che rara. Nella realtà concreta e individuale delle forze volitive, l’uno si è forse proposto, ancor prima della nascita, di diventare in questa vita un genio del coraggio (nella vita precedente aveva esercitato la mitezza); l’altro invece, per motivi del tutto opposti, si è proposto di diventare un genio della mitezza. Entrambe le cose sono ugualmente giustificate, e in quanto marito e moglie possono perfino darsi reciprocamente le migliori provocazioni. Ma possiamo dire che vogliono la stessa cosa, o addirittura che la dovrebbero volere per il semplice fatto che hanno unito le loro vite? Certamente no.

Si potrebbe obiettare che, allora, perlomeno tutti coloro che in questa vita vogliono esercitare il coraggio abbiano la stessa e medesima volontà. Ma è chiaro che esistono tante modalità del coraggio, del tutto diverse e particolari, quanti sono e saranno gli uomini coraggiosi. Lo stesso vale per ogni qualità umana, per ogni temperamento e perfino per ogni sentimento: la gioia di un essere umano non è mai la stessa di un altro. Il modo come un individuo ama è del tutto diverso da come ama un altro. Ogni uomo è una specie particolare e diversamente articolata di amore, di gioia, di tristezza ecc.

Soltanto nell’imitazione priva di Io un uomo può cercare di essere come un altro. Così facendo però cessa di essere proprio ciò che lui stesso è, senza minimamente poter diventare ciò che l’altro è. Spesso penso che si dovrebbe dire a coloro che intendono imitare Francesco d’Assisi, che la qualità fondamentale di quest’uomo straordinario era la sua assoluta originalità: mai ha imitato qualcun altro! L’unico modo per essere come Francesco, quindi, può solo consistere nello smettere una buona volta di voler essere come lui, e nell’imparare a essere se stessi in modo del tutto autentico e unico.

Qui si deve far fronte all’obiezione del falso moralismo che dice: se ognuno vuole qualcosa di diverso, anzi, se si afferma che dovrebbe persino voler volere qualcosa di unico, come sarà possibile cooperare, lavorare insieme? A ciò va risposto: come il futuro dell’Io libero consiste in una sempre maggiore individualizzazione della volontà, così il futuro della comunanza consisterà in una sempre maggiore universalizzazione del pensare.

Come nelle sue intuizioni morali ognuno è massimamente individuale, così nelle intuizioni conoscitive si deve lottare per conseguire l’accordo, poiché l’oggettività della verità non è cosa individuale, né relativa. Quando non si tratta di ciò che dovrebbe essere – cioè della dimensione morale –, ma di ciò che è, allora si può sperimentare piena comunione per mezzo dell’oggettività del pensare.[56]

Le difficoltà attuali derivano di nuovo dal fatto che per la maggior parte degli uomini questa comunione del vero, dell’oggettivo, è poco concreta e soddisfacente. Quando la comunione nel pensare non basta – perché è fiacco il pensare – si anela a sentimenti e impulsi volitivi comuni. Questa comunanza non è però una comunione dello spirito, bensì della natura. Non vi è altra via per giungere alla vera comunione se non quella di rafforzare il proprio pensare così che diventi organo capace di cogliere l’oggettivo nei fenomeni del mondo.

Immaginiamo di nuovo una comunità di uomini che abbiano talmente purificato il pensare da essere sempre in grado di accordarsi nella verifica di ciò che è oggettivamente presente. Questi uomini sperimenterebbero la gioia più profonda della comunanza, poiché comunanza la si può trovare soltanto nell’oggettività delle cose, che è per tutti così com’è. Supponiamo che si giunga insieme alla conclusione che quanto ci si era inizialmente proposto non sia oggettivamente realizzabile. Se questi uomini possono smettere di desiderare ciò che contraddice la realtà, se tutti possono accettarne l’impossibilità grazie a un’interiore disponibilità di pensiero, se possono accogliere la realtà sempre così com’è, allora questi uomini sperimentano in misura somma sia comunanza che libertà interiore.

A Rudolf Steiner viene spesso rimproverato che la sua concezione della libertà non tiene in dovuta considerazione l’amore. Ne La filosofia della libertà si parla dell’«amore per l’azione» ogni volta che l’uomo fa qualcosa non perché vi sia costretto, non per una qualche necessità, o per dovere, o per bisogni dell’anima o del corpo, ma lo fa perché lo vuole nella libertà del suo spirito. In questo modo ciò che egli fa è puro amore. Anche in ciò che ha carattere di comunanza, la libertà diventa perfetta soltanto nell’amore.

La libertà dell’egoismo è dapprima la libertà dell’arbitrio. È la libertà in negativo, è l’esser libero da qualcosa o da qualcuno. La fase positiva della libertà inizia quando si è liberi per qualcosa o per qualcuno. È insito nel concetto di organismo – e l’umanità è nella realtà spirituale un unico organismo – che le doti individuali di ogni membro corrispondano esattamente ai bisogni reali degli altri membri. Se la libertà consiste nello sviluppo sereno e illimitato dei propri talenti, allora l’uomo libero è al contempo colui che massimamente ama, poiché è capace di soddisfare i bisogni degli altri uomini nel migliore dei modi.

Il modo migliore per servire il prossimo consiste nel compiere ciò che si è capaci di far bene, lasciando ad altri ciò per cui non si è portati. Uomini per i quali l’amore è un’istanza assoluta ma che non apprezzano la libertà, possono soltanto voler amare gli altri in modo vago. Questa è però un’intenzione indeterminata e priva di contenuto, astratta come la caccia alla felicità.

Chi vuole la felicità in realtà non vuole proprio nulla, o meglio non ha nessuna idea di che cosa voglia il suo vero Io, di volta in volta e in modo del tutto concreto e determinato. Costui non sarà mai felice, perché la felicità è quel sovrappiù che si sperimenta quando si vuole e si compie in pienezza qualcosa di determinato. Tutto il tredicesimo capitolo de La filosofia della libertà afferma proprio questo.

Così è per l’amore. Esso è conseguenza della vera libertà, dello sviluppo dell’individualità. Chi è massimamente se stesso, serve il prossimo nel migliore dei modi. Chi vuole soltanto amare, si sa, è innamorato del proprio amore. Ne trarrà forse piacere, ma nessuna gioia perché gli altri non vogliono che per lui il suo amore sia più importante di loro. Essi vogliono lui, nel suo essere più profondo e vero, poiché solo da questa realtà traggono il massimo giovamento.

L’evoluzione della socialità

Rudolf Steiner parla di tre forme fondamentali di socialità,[57] che corrispondono ai tre gradini base dell’evoluzione umana.

• Nei tempi antichi vi era una società di potere (Machtgesellschaft) dove nell’organismo sociale regnava una sola volontà, che non era umana, bensì divina. Al tempo dei faraoni, per esempio, la volontà divina veniva indagata mediante l’iniziazione e trasmessa a tutti tramite il faraone. Allora la volontà individuale non si era ancora destata nel singolo uomo.

• La seconda fase, nella quale oggi ancora ci troviamo, è chiamata da Rudolf Steiner società di scambio (Tauschgesellschaft). Qui la volontà individuale si è già destata in ognuno e abbiamo a che fare con un atomizzarsi dei contenuti e delle direzioni volitive degli uomini, senza la capacità reale di armonizzare queste unità di volontà. Sorge così un cozzare dell’una contro l’altra e non rimane altro che osservare quel che sarà il risultato casuale di questo cozzare.

Vi è però una terza fase della socialità, che rappresenta il grande avvenire pieno di speranza dell’umanità: è la società di comunione (Gemeingesellschaft). Steiner conia per questa fase una parola che ancora non esiste. Nella società di comunione si tratta di armonizzare la molteplicità dei contenuti volitivi individualizzati, senza revocare la volontà individuale, ma all’opposto favorendola il più possibile. Nell’attuale società di scambio, invece, la volontà dell’uno è ripetutamente d’intralcio alla volontà dell’altro.

Il carattere originario della società di comunione, Rudolf Steiner lo indica – e di nuovo deve coniare una parola nuova – come lo sforzo che tende ad architettare una volontà complessiva (Gesamtwille). È importante osservare che Rudolf Steiner non parla di volontà comune (Gemeinwille), bensì di volontà complessiva. Volontà comune, l’ho già detto, significherebbe ritornare a un’unica volontà imposta al gruppo, al popolo, come nelle arcaiche società di potere. Questo è sempre quello che ha voluto, per esempio, ogni Chiesa in quanto tale, poiché essa può essere Chiesa solo desiderando tornare ai tempi della società di potere, ai tempi dell’ordine teocratico[58].

Il concetto di volontà complessiva significa tutt’altro: esso contiene entrambe le dimensioni, sia quella individuale sia quella di comunanza. Nell’elaborazione della volontà complessiva si tratta di confermare la volontà individuale di ognuno e di creare le comuni condizioni di cornice che permettano un reciproco favorirsi di tutte le volontà individuali. Si tratta ovviamente di un compito infinitamente più difficile del ridurre tutto a un’unica volontà. Ma più difficile non significa peggiore. Anche la libertà è più difficile che la non libertà, ma non per questo è peggiore.

Quando si parla di compito comune, con l’ingiunzione rivolta al singolo di mettersi al servizio di questo compito, è sempre presente il tentativo di chi ha il potere di imporre la propria volontà e i propri fini agli altri. Per quanto sacri questi fini possano essere, l’altro uomo diventa mezzo per il fine.

Una variante del compito comune che sottomette l’individualità è quella sintetizzata nel ben noto motto: «Le circostanze lo impongono». Che cosa non è stato fatto nell’umanità con il pretesto che le circostanze lo imponevano! Come se questo potesse rappresentare anche lontanamente una legittimazione morale per rendere gli uomini degli strumenti!

Nei due fenomeni di cultura che Rudolf Steiner chiama società di potere e società di scambio, noi abbiamo le due grandi unilateralità dell’evoluzione passata. Nella prima unilateralità vi era unità, ma senza l’autonomia individuale del singolo; nella seconda unilateralità abbiamo il destarsi turbolento della volontà individuale a discapito della comunione.

Questo significa che sono possibili due anacronismi, come controforze che ostacolano il proseguimento dell’evoluzione: il primo è la sottomissione dell’individualità sulla base di pretese collettive – un ritorno alla società di potere –, e il secondo anacronismo è l’egoismo del singolo rivolto contro tutti, un fermarsi alla società di scambio.

Quando si parla di volontà individuale è sempre intesa la volontà del vero Io di ogni essere umano, l’Io eterno. Solo questa volontà è veramente individuale. Ma ogni uomo porta in sé anche la volontà dell’io inferiore, la volontà egoistica. Questa volontà, poiché è sempre impulsiva e mai del tutto libera – con caratteristiche di gruppo e sempre astratta e indeterminata – la si dovrebbe più correttamente chiamare voglia, desiderio o brama.

In questo senso, gli uomini sanno per lo più che cosa desiderano, ma raramente che cosa vogliono. Dove si parla della necessaria individualizzazione della volontà non si intende mai l’egoismo dell’io inferiore, proprio perché questo non è individuale. La dimensione individuale si riconosce dal suo carattere intuitivo-spirituale, e questo a sua volta può venire afferrato soltanto attraverso il pensare.

Ho conosciuto molte persone che nei vangeli vogliono rilevare soltanto l’amore, la comunità e il sacrificio per il prossimo. Queste stesse persone chiedono: dov’è nei vangeli il rilievo dato all’individualità libera? Si deve rispondere che l’apprezzamento secondo coscienza della libera individualità inizia solamente nel nostro tempo, poiché soltanto ora ciò diventa realmente possibile. Questo significa che oggi diventa pure possibile una lettura dei vangeli del tutto nuova, grazie alla quale ci si accorge di quel che era da sempre contenuto nei testi. Si potrebbe leggere l’intero Vangelo dal punto di vista spirituale dell’individualità libera.

In questo senso, vorrei qui indicare brevemente alcuni passi:

• La parabola del seminatore: qui viene detto che non è il seminatore a decidere – cosa inaudita! – che cosa sarà del seme, bensì il terreno. Non la grazia divina ha l’ultima parola ma la ricettività dell’uomo.

Per il figliol prodigo e non per il fratello che è rimasto a casa, si festeggia, perché lui ha conseguito l’autonomia, non l’altro. Vi è più festa in cielo per l’uno che si è separato, che per i novantanove che sono rimasti anima di gruppo (nel gregge).

• Nella parabola dei talenti viene detto che il Signore vuole di ritorno più di quanto ha dato: significa che l’uomo deve aggiungere alla grazia l’opera della sua libertà. Altrimenti non verrà accolto nel regno dello spirito.

Nel Vangelo di Luca, il Vangelo dell’amore e del sacrificio, troviamo la frase: «Chi non odia il padre, la madre, i fratelli e le sorelle, non può diventare mio discepolo»,[59] cioè discepolo dell’impulso dell’Io. Chi non si oppone fortemente alla pretesa di privilegio legata alla comunanza del sangue, non può diventare un’individualità libera.

In riferimento alla già accennata aggiunta al decimo capitolo de La filosofia della libertà, si possono comprendere molto meglio due colloqui del Cristo: con la samaritana e con Nicodemo. Il colloquio con la Samaritana (Gv 4), si svolge a mezzogiorno, nell’ora di massima luce sul mondo percettivo, dove si attinge dall’intima, inestinguibile fonte d’acqua del pensare vivente: ecco l’introduzione ai misteri dell’intuizione conoscitiva. Il colloquio con Nicodemo (Gv 3), invece, si svolge a mezzanotte, quando l’uomo dormendo s’intrattiene in un mondo puramente spirituale, dove può «nascere dall’alto»: ecco l’introduzione ai misteri dell’intuizione morale, che nasce dall’alto e non è determinata dal mondo della percezione.

L’assurda condanna dell’egoismo

Prima di parlare del nazionalismo, che è una egoistica comunanza di gruppo, voglio fare qualche considerazione sulla natura dell’egoismo stesso. Quanto Rudolf Steiner dice riguardo all’egoismo, si accorda perfettamente con quanto troviamo esposto nei vangeli: «Ama il prossimo tuo come te stesso», a significare che l’amore di sé è così positivo da venir perfino preso a misura per l’amore verso il prossimo.

La differenza fondamentale tra l’amore di sé e l’amore per l’altro è che il primo è già presente in noi in modo del tutto automatico e naturale, il secondo invece è del tutto libero, tutto da conquistare. E così deve essere per entrambi: l’amore di sé, dato fin dal principio, è la base e la condizione per l’amore verso il prossimo, quale compito e conquista di libertà. Questo significa che ciò che preoccupa nel cosiddetto egoismo non può consistere mai nella presenza dell’amore di sé, bensì nella carenza, nell’omissione dell’amore per il prossimo.

Rudolf Steiner afferma perfino che l’amore per il prossimo consiste in un ampliamento dell’egoismo, che in questo modo diventa sano amore di sé. Se io amo tutti gli uomini come me stesso, vale a dire se io estendo l’amore per me così da abbracciare l’umanità intera, allora l’amore è perfetto. L’amore della madre per il suo bambino è egoismo o altruismo? È amore per il prossimo o amore di sé? È sia l’uno che l’altro: la madre vive il bambino come parte del proprio essere, vive una reciproca appartenenza. Se sta bene lui, sta bene anche lei. Se noi vogliamo chiamare tutto questo egoismo, allora è un egoismo più che giustificato perché produce soltanto del bene.

La condanna dell’egoismo in generale è uno dei più grandi moralismi dell’umanità che ha portato all’assurdo pensiero che l’egoismo andrebbe abolito. Per abolire il mio egoismo, però, io dovrei abolire me stesso. E se ciò accadesse, quale vantaggio avremmo il mondo e io?

Una conseguenza dell’equivoca condanna dell’egoismo sono i sensi di colpa che sempre si cerca di suscitare di fronte a esso. Sorge così una seconda illusione, dopo quella di volerlo abolire: l’illusione di poter fare ogni cosa per motivi del tutto non egoistici. Il bisogno di sottolineare con forza questo irraggiungibile e totale altruismo, dovrebbe pur far capire che le cose nella vita vera non stanno affatto così.

Nelle mie conferenze ho spesso sintetizzato l’intera questione dicendo che ci sono soltanto due tipi di esseri umani: quelli che sono del tutto egoisti e quelli che non sanno di esserlo.

La soluzione di questo enigma sta in effetti nel chiarirsi, attraverso il pensare e la conoscenza, che l’egoismo – l’egocentrismo – rappresenta il necessario risultato complessivo dell’evoluzione passata. Come sarebbe stata possibile l’individualizzazione senza le forze dell’egoismo? Ora, nella seconda metà dell’evoluzione in cui ci troviamo, non si tratta affatto di revocare l’individualità mediante l’abolizione dell’egoismo, bensì di renderla in sé così forte e vasta da abbracciare coscientemente e con amore l’intera umanità.

Nazionalismo e cosmopolitismo

La triarticolazione dell’organismo sociale, come viene proposta da Rudolf Steiner,[60] è così profondamente cristiana e umana proprio perché considera in partenza tutta l’umanità come un unico organismo.

Una volta sono stato invitato a tenere una conferenza sull’Europa unita. Tra le altre cose, accennai all’unilateralità insita nell’intento di costruire un’Europa unita. L’Europa è infatti una parte dell’umanità e non la sua totalità. Io dissi: ciò di cui c’è bisogno è un pensare che si muova in termini di umanità. Una parte dell’organismo, per quanto grande sia, la si può comprendere solo partendo dal tutto e nella sua funzione per il tutto.

Nel dibattito che ne seguì, venne fatta l’obiezione: sì, è molto bello parlare di tutta l’umanità, ma è così vasta e complessa! Iniziamo almeno con l’Europa! Io ribattei che questo pensiero era altrettanto giustificato quanto quello di un medico che, confrontato con la complessità dell’intero organismo, esclamasse: iniziamo almeno col sanare il sistema ritmico!

I pensieri svolti fin qui erano variazioni sul tema: universalità e individualità. Qualcosa deve ancora venir detto sulla natura del gruppo, poiché il gruppo è un fenomeno che si pone nel mezzo tra l’umanità e il singolo uomo. Esso si caratterizza essenzialmente per il fatto di non essere né universale né individuale. Esistono molti tipi di fenomeni di gruppo: il popolo, la ditta, lo Stato, il partito, la Chiesa, il club, la famiglia, l’associazione, la società ecc.

Qual è il senso del gruppo?

Senso e scopo del gruppo è quello di venire ogni volta superato nella sua tendenza intrinseca a fare di sé il fine e dell’uomo il mezzo. In questa tendenza consiste la natura del gruppo e dell’istituzione in quanto tale.

Proprio nel processo di superamento del fenomeno di gruppo, l’uomo sperimenta sia l’universalizzazione sia l’individualizzazione come un duplice cammino di liberazione. Se non ci fosse nulla da superare noi avremmo uno stato di riposo statico e nessun ulteriore sviluppo, e di conseguenza nessuna esperienza di libertà e di pura umanità. Il gruppo – ogni istituzione – ha per il nostro Io l’importante e irrinunciabile compito di offrire la controforza necessaria, poiché senza controforza non può venire esercitata e rafforzata alcuna forza.

Caratterizzerò più da vicino due fenomeni di gruppo fondamentali: il fenomeno del nazionalismo e il fenomeno che qui vorrei chiamare della Santa Istituzione.

Nel nazionalismo la comunanza di gruppo viene sperimentata attraverso il sangue, il territorio, le condizioni climatiche e geografiche, ma soprattutto attraverso la lingua comune e la cultura che le corrisponde. Rudolf Steiner ha sottolineato nelle sue conferenze come il principio nazionalistico sia eminentemente un fenomeno anticristico, in quanto impedisce agli uomini di trovare sia la dimensione individuale che quella universale-umana. Il nazionalismo è una specie di egoismo di gruppo: si fonda sui bisogni comuni e sul reciproco aiuto a soddisfare questi bisogni. Per esempio, il bisogno di godere della propria lingua appartiene ai bisogni più profondi di ogni uomo.

In quanto egoismo di gruppo esso deve venir considerato alla stregua dell’egoismo stesso. I grossi problemi nell’umanità non sono dovuti al fatto che si goda della dimensione nazionale – questo è altrettanto necessario e altrettanto unilaterale quanto l’egoismo del singolo –, bensì al fatto che manchi in gran parte quel che andrebbe aggiunto liberamente: l’internazionalismo, il cosmopolitismo. Il motivo di questa carenza è sempre lo stesso: il nazionalismo è presente automaticamente e necessariamente, mentre il cosmopolitismo rappresenta il compito della libertà.

«E così vediamo come dall’impulso della singola anima umana, dall’egoismo, si sviluppi infine tutto ciò che giunge a espressione nel nazionalismo.

Il nazionalismo è egoismo vissuto in comune. Il nazionalismo è egoismo trasposto in ambito spirituale. Il nazionalismo è per esempio imbevuto e riscaldato dalla vita di fantasia del popolo nel quale si esprime. Però questa stessa vita di fantasia è la formazione spiritualmente superiore di quel che sono i bisogni umani. Si deve risalire fino a questa radice per comprendere giustamente la cosa.

Articolato in tutt’altro modo è ciò che si sviluppa nella natura umana come internazionalismo. Diventiamo nazionali per il fatto che il nazionalismo scaturisce dalla nostra propria natura personale. Il nazionalismo rappresenta un apice della crescita del singolo uomo, che è unito alla sua stirpe dall’avere il sangue in comune, o al suo popolo mediante un’altra comunanza. Il nazionalismo cresce con l’essere umano. Lo possiede, vi cresce dentro, oserei dire, nello stesso modo come si cresce dentro a una determinata statura. L’internazionalismo invece non lo si ha in questo modo. L’internazionalismo si lascia piuttosto paragonare a quel sentimento che acquisiamo qualora ci vediamo posti di fronte alla magnificenza della natura, per cui siamo spinti ad amarla, a venerarla, ad apprezzarla per il fatto che la contempliamo, che ci impressiona, che ci dedichiamo a essa in libertà. Dentro al nostro popolo noi cresciamo, poiché ne siamo in un certo qual modo membri; gli altri popoli dobbiamo invece prima conoscerli. Essi operano, direi, indirettamente su di noi attraverso la conoscenza, la comprensione. Compren-dendoli, noi impariamo un po’ per volta ad amarli, e nella misura in cui possiamo amare in modo comprensivo l’umanità nei suoi diversi popoli, dislocati su territori diversi, in quella stessa misura cresce il nostro interiore internazionalismo.

Sono propriamente due diverse sorgenti nella natura umana che stanno alla base del nazionalismo e dell’internazionalismo. Il nazionalismo è l’espressione più alta dell’egoismo. L’internazionalismo è ciò che sempre più penetra in noi se ci possiamo dedicare a una concezione umana piena di comprensione. Si dovrà contemplare l’umano convivere sulla terra civilizzata alla luce di tali considerazioni, soprattutto se si vuol comprendere rettamente ciò che è conflittuale nell’internazionalismo e nel nazionalismo».[61]

Dovrebbe essere del tutto evidente che la dimensione nazionale viene sperimentata in tutt’altro modo, e agisce diversamente nell’umanità, se vengono aggiunti l’internazionalismo e il cosmopolitismo. Anche l’amore di sé viene del tutto trasformato se si amplia sempre più mediante l’amore per il prossimo.

L’importante è rendersi conto che il raffinamento della dimensione egoistico-negativa del nazionalismo risulta impossibile se ci si prefigge semplicemente di abolire le esperienze nazionali – cosa d’altronde impossibile –, mentre si verifica se ci si sforza di aggiungere la coscienza morale internazionale, il cosmopolitismo.

Non si tratta di un compito in negativo, ma in positivo. Si tratta anche qui di un compito della libertà, di fronte al quale il vero peccato che può essere commesso è un peccato di omissione.[62] Questo avviene quando si ometta di coltivare la coscienza morale internazionale e cosmopolita.

In questo contesto Rudolf Steiner conia alcuni concetti che possono essere molto produttivi per il pensare. Egli chiama ciò che viene sperimentato nel nazionalismo interessi di bisogno e ciò a cui si anela nell’internazionalismo interessi di conoscenza. Si mostra qui la bella polarità tra necessità e libertà.

Quarto capitolo

LA CHIESA CATTOLICA
ovvero
LA SANTA ISTITUZIONE

La successione apostolica

Un altro fenomeno con caratteristiche di gruppo, a cui vorrei qui brevemente accennare, è quello che io chiamo la Santa Istituzione (o Sacra Istituzione). Questo fenomeno nella sua forma più pura può essere osservato nella storia della Chiesa cattolica, e sta in una certa polarità col nazionalismo. In quest’ultimo, infatti, il gruppo si fonda sul dato del corpo e del sangue, mentre nella Santa Istituzione il gruppo si ritiene costituito dal lato spirituale, dall’alto.

Cristo, l’Essere divino, per tre anni peregrinò sulla Terra. Si ebbe cioè una diretta e percepibile manifestazione del divino-spirituale. Tutte le parole e le opere del Cristo erano parole e opere umane e divine nello stesso tempo. Egli compì tutto ciò su incarico diretto del Padre cosmico e in armonia con tutte le Gerarchie spirituali. Poi, però, dovette ritirarsi dal palcoscenico della Terra; egli stesso dice: «È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi lo Spirito Santo»[63]. La sua morte ha avuto il significato che la manifestazione del divino non poteva più continuare a essere identificata come una realtà esteriore, afferrabile fisicamente e percepibile sensibilmente. Egli lasciò a ogni uomo il compito di utilizzare la propria ulteriore evoluzione per umanizzare, non meno di quanto aveva fatto lui, lo spirito divino – e perciò di divinizzare l’uomo.

Cristo è l’Essere dell’Io. Io Sono (’Egë e„m…, Egò eimí) è il suo nome nel Vangelo di Giovanni. “L’umanazione” di Dio e la divinizzazione dell’uomo sono un fatto unico che può essere soltanto individuale, intenzionale, libero e può avere solo il carattere dell’Io.

Nel momento in cui il Cristo affida a Pietro l’incarico ecclesiale («Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»),[64] gli fa al contempo capire che questo compito sarà transitorio e limitato nel tempo. Infatti, abbiamo visto che alla domanda di Pietro «E lui?» che riguarda l’incarico dell’altro discepolo (Giovanni, «quello che il Signore amava»), Cristo risponde che il compito di questo discepolo è serbato per il tempo del suo ritorno.[65]

Per il periodo del cristianesimo petrino è stato previsto dal Cristo stesso il ruolo materno della Chiesa, quale conduzione dal di fuori, quale guida esterna per il popolo. La Chiesa riceve il compito di ogni buona madre e di ogni buon pedagogo: fa’ di tutto, madre Chiesa, per renderti superflua nel corso del tempo. Anche il buon maestro porta a termine il suo compito proprio nel momento in cui si rende superfluo, perché ha accompagnato l’allievo all’autonomia. La Chiesa cattolica, però, ha sempre più inteso il suo compito di “madre” in senso opposto: essa si ritiene per principio e in ogni tempo indispensabile alla conduzione degli uomini. Invece di far di tutto per lasciare le redini, si affanna a eternizzarsi e a dimostrare il suo ruolo irrinunciabile. Così, però, essa afferma implicitamente che gli uomini devono rimanere eternamente bambini.

Decisivo in questa storia divenne il pensiero della successione apostolica. Si è immaginato che il Cristo abbia affidato le sue cose a determinati uomini, affinché questi le coltivassero ulteriormente, e non a ogni uomo. Sorse così una supplenza di Cristo sulla Terra, che divenne identificabile esteriormente. Per sapere dove il Cristo operi, che cosa dica e che cosa voglia, ognuno deve rivolgersi a questi uomini speciali.

Insomma, è avvenuto proprio quello contro cui l’Essere solare aveva espressamente messo in guardia. Infatti nel Vangelo – tradotto liberamente, ma fedelmente – si dice: lo spirituale non può identificarsi con qualcosa di percepibile, non si può dire: eccolo qui o eccolo là. Lo spirituale può venir trovato unicamente attraverso l’interiorità pensante, esso è dentro di voi[66].

Per il fatto che la conduzione divina venne resa dalla Chiesa così fisicamente percepibile e identificabile, essa divenne automatica, secondo la legge fondamentale di tutti i determinismi di materia. Sorsero così uomini che trasmettevano ex officio o ex cathedra le comunicazioni del divino all’umanità. Sorsero così la “Santa Sede” e il “Santo Padre”, vicario di Cristo in Terra. L’ultima conseguenza è stata la già accennata infallibilità del Papa. Cristo stesso non volle nemmeno venir chiamato «buono» (Mc 10,18). Egli dice di non chiamare nessun uomo «Padre» (Mt 23,9). Il Papa non solo viene chiamato Santo Padre, ma ci si rivolge a lui come a Sua Santità.

L’uomo, servo della Santa Istituzione

In che cosa consiste, allora, l’essenza della Santa Istituzione? Consiste nella pretesa che l’uomo possa conseguire la salvezza soltanto per mezzo di essa. Così come vi è un’ereditarietà di sangue, così abbiamo qui un’ereditarietà spirituale: la divinità deve raggiungere l’umanità per mezzo della Santa Istituzione, non lo può fare direttamente.

Per la Chiesa cattolica l’operare del Cristo nell’umanità è inseparabile dall’operare della Chiesa stessa. Non si può avere l’uno senza avere l’altro. La causa della Chiesa e la causa del Cristo sono una causa sola. Extra ecclesiam nulla salus – al di fuori della Chiesa non vi è alcuna salvezza, suona così il motto della Santa Istituzione.

Chi vuol essere con Cristo, deve essere anche con la Chiesa. Chi non ama la Chiesa, non potrà nemmeno amare il Cristo. Ma poiché il rapporto con il Cristo è spirituale – quindi non è esaminabile in modo tangibile –, nella prassi diventa più importante il rapporto con la Chiesa, che è invece esteriormente verificabile e controllabile. Anzi, il rapporto con la Chiesa viene reso pietra di paragone del rapporto con il Cristo stesso. Decisivo per il modo in cui la Chiesa cattolica ha trattato molti “eretici” non era quindi tanto il loro rapporto col Cristo – che era considerato tutto sommato una faccenda privata –, bensì il loro rapporto con la Chiesa.

Ho già accennato che è insito nella legge evolutiva di ogni istituzione – proprio in quanto istituzione – il dover sviluppare la tendenza a farsi fine e a considerare l’uomo come “servitore”, come mezzo. Questo meccanismo è l’essenza di ogni istituzione. Che si tratti di partito, ditta, Chiesa o Stato, ciò che l’istituzione rappresenta è la volontà di colui che ha il potere, una volontà considerata come il buono per tutti, come il compito comune a cui il singolo deve dedicarsi. Dove questa volontà non si manifesta nella sua forma più schietta – il potere –, si cerca di evidenziare la sua ragion d’essere accennando ai vantaggi per tutti coloro che vi prendono parte. Fintantoché il vantaggio sussiste realmente per il singolo, e fintantoché egli lo cerca, continuerà a far parte dell’istituzione.

Ciò che nel caso della Santa Istituzione si aggiunge, è il richiamo alla volontà della divinità. Il detentore del potere identifica la sua volontà con la volontà del mondo spirituale: la sua è perciò una volontà sacra, e in merito a essa si disconosce al singolo la possibilità di dire se è buona o no, se è ragionevole o no. Del resto, la divinità pensa e vuole tutt’altro rispetto a quel che pensa e vuole la ragione degli uomini: nella sua volontà non vi è posto per la logica umana o per il vantaggio umano. Non ragionevolezza richiede la Santa Istituzione al singolo, bensì fedeltà.

Al fenomeno della Santa Istituzione appartiene quindi inesorabilmente il contrasto tra ortodossia ed eterodossia. La Santa Istituzione, mediante i suoi funzionari, diventa protettrice della verità, a essa appartiene l’interpretazione stessa della sua legittimità – nel caso della Chiesa cattolica l’ininterrotta successione apostolica. Coloro che pensano diversamente sono eretici, e uno dei santi fini più importanti della Santa Istituzione è quello di isolarli, così da renderli possibilmente innocui. Anche questo viene svolto su incarico del mondo spirituale e per la salvezza dell’umanità.

Voler modificare o convertire una Santa Istituzione in quanto istituzione è pura illusione. Infatti soltanto il singolo uomo può modificarsi realmente, poiché soltanto in lui si trova realmente la volontà umana. L’istituzione in quanto tale sorge proprio per il fatto che le individualità si annullano in un elemento impersonale imperscrutabile, cessano cioè di essere individualità libere e si identificano con il meccanismo del potere. L’individualismo etico, di cui si parla ne La filosofia della libertà e che consiste nel fatto che ogni uomo deve e vuole trovare e attuare la volontà specifica del suo vero Io, è diametralmente opposto alla Santa Istituzione. Si escludono a vicenda nel modo più assoluto.

Il funzionario, in quanto funzionario, è un uomo che cessa di essere un’individualità libera perché si identifica con le istanze impersonali oggettive della carica che riveste. Le sue argomentazioni sul possibile e l’impossibile, sul bene e sul male diventano sempre più oggettive, vale a dire orientate non più all’uomo, bensì all’oggetto e alle sue leggi – secondo il motto: la cosa lo impone. La causa santa parla per mezzo della bocca del funzionario, non l’uomo.

La Santa Istituzione sussiste grazie a chi in qualche modo vi si identifica o vi attribuisce una qualche importanza, e la aiuta a sviluppare il suo potere (per esempio mettendole a disposizione mezzi finanziari). In quanto istituzione essa non può modificarsi fintantoché rimane istituzione – e meno che mai se è pure santa. Può cessare di esserlo soltanto qualora non vi siano più uomini disposti a renderla tale mediante la rinuncia alla propria volontà individuale.

Anche qui si tratta di un compito positivo: il sorgere di individualità libere ha come conseguenza lo scomparire della Santa Istituzione. Anche in questo caso il grande peccato è un peccato di omissione: si omette la realizzazione dell’individualismo etico nella propria individualità. La Santa Istituzione deve a questa omissione la sua esistenza e il suo prosperare. L’arrabattarsi per un suo cambiamento o miglioramento è una continuazione dell’omettere. E questa omissione è somma quando, al contrario, si procede alla lotta diretta contro l’istituzione.

Le mete e i fini della Santa Istituzione non sono meno santi dell’istituzione stessa. Poiché dal brav’uomo ci si attende che si sacrifichi per l’opera santa, che egli serva la causa santa anche finanziariamente facendo valere per sé possibilmente poche pretese, allora il funzionario è per antonomasia il brav’uomo, fintantoché egli si identifica con i fini dell’istituzione e li fa propri. Egli riceve dall’istituzione le basi materiali di cui necessita per essere un bravo servitore, secondo i parametri dell’istituzione. Le sue parole e i suoi atti ricevono peso in virtù della sua carica. Non è importante che cosa viene detto, ma chi lo dice.

L’individualità senza il suggello dell’istituzione non è importante. Qualsiasi cosa dica un’individualità, le sue parole hanno a priori poco peso agli occhi di coloro che si sono votati alla Santa Istituzione; ma se un funzionario dice la stessa cosa allora è importante, poiché non si guarda tanto al contenuto, quanto piuttosto al peso della carica. Il funzionario deve aver voce in capitolo nelle questioni importanti, perché per contratto è autorevole. Non l’individualità parla in lui, bensì la Santa Istituzione e, in questa, il mondo spirituale stesso. Quindi non vengono solamente espresse verità, ma si impartiscono anche linee direttive.

L’entusiasmo obbediente

Nel modo di operare di una Santa Istituzione si distinguono due generi principali di automatismi:

• l’automatismo della missione comune

• l’automatismo dell’esercizio delle funzioni

Essi operano nell’individualità una sorta di duplice assopimento, una volta dal di dentro e una volta dal di fuori:

da un lato la dimensione individuale va persa o viene omessa – di fatto viene impedita dall’istituzione che la riduce al contenuto della “missione comune”. Il singolo deve far propria la missione comune, deve farla diventare sua volontà, cancellando così la dimensione propriamente morale, libera, autonoma;

da un altro lato questa condizione-capestro non basta ancora, perché la missione comune vuole essere anche oggettiva, e mal sopporta qualsiasi interpretazione soggettiva e arbitraria. Questa volontà comune e oggettiva deve quindi venir stabilita ufficialmente da una normativa che, nel suo contenuto ortodosso e valido per tutti, sia collettivamente vincolante. Sorge così la necessità dei funzionari, che rappresentano l’interpretazione ufficiale delle mete comuni, specialmente in riferimento all’esecuzione pratica. Soltanto in questo modo si può essere veramente compatti e veramente forti.

Quando la Santa Istituzione organizza grandi convegni, specialmente internazionali, essa festeggia allora le sue ore migliori perché sta in primo piano. Giorno dopo giorno viene vissuta in modo sempre più pregnante la santità, la forza, l’importanza internazionale dell’istituzione stessa. In tal modo il singolo viene completamente risucchiato nel vortice dell’entusiasmo per quel che ci unisce tutti quanti, per quel che è la nostra missione comune.

Nell’ora somma del Noi la parola Io suona scandalosamente presuntuosa ed egoistica, come un sacrilegio, come un attentato alla sacralità stessa. Quando si deve sperimentare la sontuosità dell’istituzione, non si vuole alcun vero confronto. Si vogliono piuttosto neutralizzare i contrasti.

È comprensibile che per molte persone sia un bisogno quello di vivere una piacevole atmosfera di armonia, di solidarietà e di forza comune che diventa sostegno e conferma esteriore per il proprio essere. Quel che però l’Io vero di ciascuno cerca è che lo si aiuti a trovare sempre di più in se stesso il proprio centro e la propria forza. Fintantoché l’istituzione dispiega il suo manto di potere grazie al fatto che gli uomini la sperimentano più importante di loro stessi, essa impedisce l’autonomia spirituale che il Cristo desidera in ogni uomo.

Rudolf Steiner ha ripetutamente accennato che la parola greca aÙtîn (auton) nelle Beatitudini significa letteralmente in se stessi. La prima beatitudine dice quindi: «Beati i poveri di spirito, perché in se stessi troveranno il regno dei cieli» (Mt 5,3).

Dicevamo che in Cielo si fa grande festa per il singolo che si è “separato” e non per i novantanove che sono rimasti nel gregge (Lc 15,7); in Terra le grandi feste della Santa Istituzione vengono invece organizzate dai e per i novantanove che si tengono uniti.

Chi faccia esteriormente parte della Santa Istituzione ma non provi alcun entusiasmo per lei – perché gli pare che ogni singola individualità sia più importante dell’istituzione –, non è affatto un brav’uomo. Egli non capisce che proprio perché la Santa Istituzione mostra le sue insufficienze a causa delle manchevolezze degli uomini, è più che mai importante lavorare positivamente al suo rinnovamento e alla sua crescita, invece che sempre e soltanto criticare.

I nemici dichiarati danneggiano molto meno la Santa Istituzione che non i guastafeste interni, che sanno tutto meglio, che pensano solo a se stessi e non vogliono assumersi alcuna responsabilità per l’istituzione stessa. L’Istituzione afferma di rappresentare la causa santa, e allora il singolo si adopera per la causa santa solo favorendo la Santa Istituzione. Come può servire la causa santa un uomo che non sia favorevole alla Santa Istituzione, che non agisca in nome e per mandato della Santa Istituzione?

La censura e l’indice

Se viene scritto un libro, allora il timbro ufficiale dell’ortodossia è l’imprimatur. Una Santa Istituzione non può esistere senza un organo ufficiale e senza censura. E se anche abolirà l’index esteriormente, per mostrarsi moderna al mondo, al suo interno lo manterrà tanto più efficacemente. L’umanità non può certo conoscere tutto quello che l’autorità censoria della Santa Istituzione reprime, rimuove oppure rende idoneo per la stampa previ interventi. Per ogni materia la Santa Istituzione dispone di specialisti d’ufficio: solo questi sono competenti e quindi autorizzati a scrivere libri nella loro materia.

L’istituzione può fidarsi di loro, poiché scrivono secondo le sue direttive. Se succede un incidente perché l’autorità censoria non è stata bene attenta, vengono richiesti e presi provvedimenti a livello personale. Vengono adottate misure disciplinari per assicurare che la docile ubbidienza non venga violata una seconda volta. La gravità della cosa non viene vista tanto nel fatto che il singolo abbia espresso i propri pensieri in opposizione a quelli dell’istituzione, quanto piuttosto nel fatto che è stato recato danno alla Santa Istituzione stessa.

Tuttavia questa procedura – nella misura in cui vi sono uomini che abbiano della libera vita dello spirito perlomeno un’idea – scuote sempre più l’odierna opinione pubblica e rende sempre più difficile la posizione della Santa Istituzione. Essa si vede costretta sempre più spesso a mascherare i suoi provvedimenti.

In tal modo si avvicina sempre più alla forma comune di istituzione: essa rinuncia a dimostrare la santità dei suoi fini, ammettendo implicitamente o esplicitamente che più importante della verità o della giustizia è la diplomazia, per il mantenimento del potere.

In questo caso il dogmatismo può mutarsi in relativismo.

Ora viene sottolineata la tolleranza: ognuno può scrivere e dire quello che vuole, poiché ognuno ha le sue convinzioni e tutto è relativo. Non relative, però, sono le richieste dell’istituzione stessa: relativizzare la verità serve in questo caso ai funzionari, per sottolineare quello che deve venir fatto, al fine di amministrare e tutelare ciò che deve essere amministrato e tutelato.

Le cariche all’interno dell’istituzione

Voglio ancora sottolineare che queste leggi insite nel modo di operare di ogni istituzione – e soprattutto di quella santa – non vengono qui discusse con l’intento di criticare. Si tratta piuttosto del fatto che da questa consapevolezza risalta la responsabilità morale e il compito di ogni individualità, che consiste in un duplice superamento di sé.

• Il primo superamento si compie se il singolo si avvede che è illusorio cercare il contenuto della propria volontà individuale nelle mete dell’istituzione.

• Il secondo autosuperamento avviene quando si finisce di identificare qualcuno con una qualche carica.

Il fatto che il funzionario stesso si identifichi con la sua carica e sparisca in quanto individuo dietro gli automatismi e le comodità di quella, è tutt’altra cosa rispetto al fatto che io lo identifichi con la sua carica, e che perciò questa acquisisca per me più importanza della sua individualità – forse perché, non meno di lui, nell’esistenza dipendo dalla sua carica.

L’istituzione, proprio in quanto istituzione, deve tendere a oltrepassare i limiti delle necessarie condizioni di cornice, per fare delle sue mete anche le normative per la volontà individuale. In questo modo l’istituzione svolge la funzione di offrire all’individuo la controforza necessaria, che nel suo vero Io egli vuole continuamente superare e vincere.

L’istituzione è la tentazione quotidiana, evolutivamente necessaria, per l’individuo. In quanto condizione funzionale di cornice, essa può essere per lui il suo elemento vitale; in quanto istituzione ipostatizzata, è la sua tomba.

L’istituzione ha il compito di tentare di assorbire il singolo nella comodità delle mete comuni e nei meccanismi di orientamento secondo le cariche, e ha il compito di farlo capitolare quale individualità libera e unica nel suo genere.

La volontà del vero Io di ciascuno è quella di far scaturire forza individuale attraverso il quotidiano e continuo superamento di questa tentazione. La libertà può essere soltanto una conquista che si rinnova in ogni momento vissuto in modo desto: così la dimensione specifica dell’Io viene strappata all’inerzia dell’esistente. Ciò accade in due passi successivi:

ogni volta che un individuo capisce – per intuizione conoscitiva – la vera natura della dimensione istituzionale: è un complesso di condizioni di cornice per la realizzazione dell’individualità;

ogni volta che l’individuo aggiunge a questa intuizione conoscitiva anche l’intuizione morale, vale a dire quello che di volta in volta l’unicità del suo Io vuole nella situazione data, in virtù della sua «fantasia morale».

In queste considerazioni mi preme mostrare quanto sia necessario prendere sul serio La filosofia della libertà di Rudolf Steiner per il sorgere dell’individualità libera, quale vera dimensione cristica e umana. Questo compito morale è il più urgente che si pone all’umanità attuale, perché da più parti incombe la minaccia di un definitivo annientamento dell’individualità singola cristificata, praticato nel modo più efficace proprio dove meno lo si sospetterebbe – all’interno della Santa Istituzione, per esempio –, poiché la teoria asserisce spesso l’opposto di quel che viene fatto in realtà.

L’avvenire del cristianesimo, come quello dell’umanesimo, dipende dalla domanda: imparerà ogni uomo a strutturare la dimensione istituzionale come uno strumento per la realizzazione di ogni individualità, oppure il potere esteriore dell’istituzione – forte del suo fare e produrre cose ben tangibili – s’imporrà talmente al singolo da diventare ai suoi occhi più importante del suo stesso essere – corpo, anima e spirito?

All’essenza del cristianesimo appartiene il destino umano del Cristo Gesù: come uomo venne condannato a morte dalla Santa Istituzione di allora, perché egli non aveva voluto l’uomo per il sabato, bensì il sabato per l’uomo.[67] E l’uomo per il sabato è l’appassionato desiderio di ogni tipo di istituzione.

L’avvenire del cristianesimo è l’avvenire dell’uomo

Rudolf Steiner tenne una volta una conferenza dal titolo: Il cristianesimo è iniziato come religione, è però più grande di tutte le religioni.[68] Vorrei riprendere questo pensiero per portare a conclusione le mie considerazioni. Ecco le parole di Steiner:

«La mera scienza sempre più degenerava in una venerazione, in un’adorazione del mondo esteriore. In ciò abbiamo oggi raggiunto un apice. Il cristianesimo fu di enorme sostegno contro questo asservimento al sensibile […]. Anticamente, nel Medioevo, esisteva ancora un collegamento tra scienza e cristianesimo.

Oggi necessitiamo di un approfondimento sovrasensibile del sapere, della saggezza stessa, al fine di comprendere il cristianesimo in tutta la sua profondità. Siamo così di fronte a una concezione spirituale del cristianesimo. Il gradino successivo è questo: il cristianesimo teosofico o scientifico spirituale […].

La scienza esteriore, per quanti tentativi possa fare, non sarà capace di un approfondimento spirituale. Essa si trasformerà sempre più in un’eminente avviamento alle abilità tecniche, in uno strumento di dominio sul mondo esteriore. La matematica era ancora per i pitagorici uno strumento per penetrare nei nessi dei mondi superiori, nelle armonie cosmiche; per l’uomo d’oggi è uno strumento per sviluppare ulteriormente la tecnica e dominare così il mondo esteriore. Il percorso della scienza esteriore sarà tale che la renderà sempre più profana e priva di carattere filosofico. Gli uomini dovranno attingere i loro impulsi da un cammino spirituale. E questo cammino spirituale conduce al cristianesimo spirituale. La scienza dello spirito sarà in grado di dare gli impulsi per ogni vita spirituale.

La scienza avrà sempre più un indirizzo tecnico e la vita universitaria scivolerà sempre più verso la specializzazione, e questa è cosa giusta. […].

Il tempo del materialismo emergente necessitava di religione in senso tradizionale. Ma verrà il tempo in cui gli uomini potranno avere di nuovo esperienze del mondo sovrasensibile.

Allora non avranno più bisogno di alcuna religione. La nuova capacità di visione spirituale ha come premessa che si disponga del cristianesimo spirituale; essa sarà la conseguenza del cristianesimo.

Questo è quanto sta alla base del pensiero a cui vi prego di prestare particolare attenzione: il cristianesimo è iniziato come religione, ma è più grande di tutte le religioni.

Ciò che il cristianesimo offre verrà accolto in tutti i tempi futuri e sarà ancora uno degli impulsi più importanti dell’umanità, quando non ci sarà più alcuna religione. Anche quando gli uomini avranno superato la vita religiosa, il cristianesimo rimarrà comunque. Che esso fosse dapprima religione è connesso all’evoluzione dell’umanità; come concezione del mondo il cristianesimo è però più grande di tutte le religioni».

In un’altra conferenza[69] della stessa serie, Rudolf Steiner dice:

«Ora possiamo chiedere: se però la religione diverrà conoscenza, se all’uomo non sarà più data la religione nella vecchia forma, così che egli soltanto per fede abbia il sentore della saggezza che dirige l’evoluzione, allora non ci sarà più nemmeno il cristianesimo? Non ci sarà più nessun’altra religione costruita sulla sola fede. Il cristianesimo permarrà, poiché, seppur al suo inizio è stato religione, esso è però più grande di tutte le religioni! Questa è saggezza rosicruciana. Il principio religioso del cristianesimo era fin dall’inizio più vasto di quello ditutte le altre religioni. Ma il cristianesimo è ancora più grande del principio religioso stesso.Quando cadranno gli involucri di fede, esso diverrà forma di saggezza. Esso può disfarsi completa-mente degli involucri di fede e divenire religione di saggezza, e la scienza dello spirito aiuterà gli uomini a prepararsi in tal senso.

Gli uomini potranno vivere senza le antiche forme religiose e di fede, ma non potranno vivere senza il cristianesimo; poiché il cristianesimo è più grande di tutte le religioni. Compito del cristianesimo è quello di superare tutte le forme di religione, e ciò che come cristianesimo compenetra gli uomini ci sarà ancora quando le anime umane avranno superato tutto ciò che è mera vita religiosa». Da questi pensieri di Rudolf Steiner sulla natura del cristianesimo e sul suo avvenire emerge con tutta evidenza che vero cristianesimo è puro umanesimo. L’avvenire del cristianesimo è l’avvenire dell’uomo.

Ma perché, allora, è necessario parlare del cristianesimo se si tratta dell’uomo? Ciò è dovuto al fatto che l’Entità solare chiamata Cristo, con la sua umanazione, ha anticipato in sé realmente e sostanzialmente tutti i futuri gradini evolutivi dell’umano, rendendoceli così possibili. L’umanazione dell’uomo, cioè il raggiungimento della completezza del nostro essere, è al contempo la nostra cristificazione.

Non si può in nessun altro modo conseguire la pienezza dell’umano se non così come si è mostrata nell’Essere del Cristo. Non in sé, così com’è oggi, l’uomo può trovare l’umanesimo vero e perfetto, bensì in quell’Entità che viene chiamata Cristo.

Un’altra cosa è però il fatto, culturalmente e storicamente condizionato, che le parole Cristo e cristianesimo siano state identificate nel passato con la forma culturale umana fin qui assunta dal cristianesimo, e con la concezione dell’Essere del Cristo che è stata possibile al nostro livello di coscienza.

Questo fatto è all’origine di molti fraintendimenti. Nessuna realtà dovrebbe venir identificata con una qualche parola e nessuna parola con una realtà. Già nelle diverse lingue le stesse cose vengono rivestite con le parole più diverse. Posso così immaginare che dovrebbe essere possibile in India, in Giappone, negli Stati Uniti o in qualunque altra parte del mondo dire tutto sul mistero del Golgota e sull’Essere dell’Amore senza adoperare le parole Cristo e cristianesimo. In questo modo si potrebbero evitare funesti fraintendimenti.

Lo stesso Rudolf Steiner, al congresso Oriente-Occidente svoltosi a Vienna nel 1922, tenne una serie di conferenze con l’intento, tra l’altro, di evitare le parole antroposofia o antroposofico. Alla fine si vantò di esserci riuscito.[70] In sostanza però, anche senza la parola antroposofia, era comunque vera antroposofia ciò che Steiner comunicò alla gente!

Proprio la scienza dello spirito di Rudolf Steiner ci offre un’abbondanza di denominazioni riguardo all’Entità del Cristo, che sostanzialmente non sono meno caratterizzanti della stessa parola Cristo. Questa Entità può venir chiamata l’Essere solare, l’Essere dell’Amore, il Rappresentante dell’Umanità, il Figlio dell’Uomo, il Signore del karma, il Risorto, Colui che ritorna, il Maestro dei Bodhisattva, Colui che invia lo Spirito Santo, la Parola cosmica, il Logos, il Verbo divino, il Senso del cosmo, l’Essere dell’Io, l’Io Sono, il Portatore di libertà, l’Uomo perfetto e divino, il Figlio del Padre del cosmo, il Figlio divino… Si possono adoperare anche le denominazioni precristiane con le quali gli iniziati dei misteri hanno accennato all’Essere solare che si stava avvicinando alla Terra: Vishva Karman, lo chiamavano gli indiani, Ahura Mazda i persiani, Osiris gli egizi, Jahvè gli ebrei, ecc. Ho compilato questa lista senza molta fatica e sono certo che sarebbero possibili ancora molte altre denominazioni per l’Essere centrale e sommo del nostro sistema solare.

Se proseguiamo ulteriormente con questo esercizio di liberazione dalle parole e ci uniamo oltre la lingua, idealmente, con l’essenza intima di questo ideale di tutta la futura evoluzione umana, allora per noi tutti nasce ancora qualcosa. Il cristianesimo inteso come umanesimo non è proprietà, o privilegio, o monopolio di nessuno. Di fronte a questo essere umano perfetto nessuno può vantarsi di ciò che è già divenuto, poiché l’uomo sperimenta il suo essere non attraverso ciò che egli è già, bensì attraverso ciò che diventa.

Uomo non si è, si diventa.
Cristiano non si è, si diventa.

«Colui che insonne lotta per ascendere…» è la sintesi finale del Faust: solo l’uomo che instancabilmente cerca è puramente uomo.

Il passato distingue gli uomini e perciò li separa. Il futuro permette di unire tutti nella comunione di un inizio sempre rinnovato. Se la cosa importante è quel che è ancora da conquistare, e se ognuno si sente all’inizio, allora abbiamo la comunione universale degli uomini. Diventare uomo è il compito di ognuno.

Nel vivere questo umanesimo non gioca assolutamente alcun ruolo il fatto che un uomo – per il suo passato – si caratterizza come induista o buddhista o ebreo o musulmano o cristiano… o antroposofo. Queste due ultime categorie si devono forse sottolineare in modo particolare poiché l’una sulla base del nome, l’altra sulla base della scienza dello spirito, potrebbero essere tentate più di altre di rivendicare il cristianesimo già come loro possesso. Così verrebbe però alla luce soltanto la loro non-cristianità.

Il Volto del Cristo nell’anima umana

Per entrare maggiormente nel merito della futura dimensione universale del cristianesimo, che viene portata a coscienza tramite la scienza dello spirito, vorrei parlare brevemente del compimento, quale risultato dell’evoluzione dell’uomo e della Terra.

Esso consisterà nel fatto che l’Io dell’umanità sarà avvolto da tre involucri, e questo Io dell’umanità è l’Io del Cristo. Nell’Essere dell’Amore tutti gli Io umani diventeranno uno e nello stesso tempo del tutto sostanziati di Io, del tutto individuali. Un Io in senso macrocosmico nel nostro ciclo evolutivo lo è di fatto soltanto l’Io del Cristo. È l’Io dell’intero pianeta Terra.

Ciò che l’umanità potrà offrire all’Io del Cristo sarà: un corpo astrale, un corpo eterico e un corpo fisico. La sostanza di questo corpo astrale dell’umanità consisterà di tutte le forze di stupore e meraviglia che gli uomini avranno coltivato in loro; la corporeità eterica dell’umanità, quale secondo involucro per l’Io del Cristo, consisterà di tutte le forze di compassione e di amore; la corporeità fisica del fantòma[71] che gli uomini potranno portare incontro al Cristo, consisterà di tutte le forze della coscienza e della responsabilità morale. Questa triplice corporeità è nello stesso tempo la corporeità di resurrezione del mondo animale, vegetale e minerale.

«Che cosa rimarrà come sublime sostanza della Terra quando questa sarà pervenuta alla sua meta? L’impulso del Cristo è stato qui sulla Terra,

ed è stato al contempo presente come sostanza spirituale. Questo rimane. Questo verrà accolto dagli uomini durante l’evoluzione terrena. Ma come continuerà a vivere?

Quando egli durante i tre anni peregrinò sulla Terra, non possedeva corpo fisico, eterico e astrale suoi propri: aveva assunto i tre involucri dal Gesù di Nazareth. Quando però la Terra sarà pervenuta alla sua meta, essa sarà, come l’entità umana, un’entità completamente formata, che corrisponderà all’impulso del Cristo. Ma da dove prende il Cristo questi tre involucri? Da ciò che può venir preso soltanto dalla terra, da ciò che sulla terra si esplica nell’evoluzione umana iniziata col mistero del Golgota […].

Soltanto così il passo del Vangelo: «Ciò che voi avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me» riceve il suo vero significato […].

Anche la raffigurazione esteriore del Cristo, il modo in cui egli deve venir immaginato esteriormente, è una questione che deve ancora venir risolta […]. Poiché dovrebbe manifestarsi ciò che rappresenta il divenire dell’esteriorità a seguito dell’articolarsi degli impulsi della meraviglia, della compassione e della coscienza morale. Ciò che qui si esprime deve esprimersi in modo tale che il volto del Cristo diventa così vivente che quanto fa dell’uomo un uomo terrestre – la sensualità e la bramosia – viene superato da ciò che ne spiritualizza il volto. Il volto deve esprimere una forza sublime, in modo che tutto quel che si può immaginare come il più sublime sviluppo della coscienza morale si mostri nella forma particolare del mento e della bocca […] una bocca che si può avvertire non esser fatta per mangiare, bensì per esprimere la moralità e la coscienza morale che sono state coltivate dall’umanità, e che per questo tutto il sistema osseo, il suo apparato dentale e la mandibola sono stati strutturati a formarne la bocca […]. Gli si offriranno invece occhi da cui si annuncerà tutta la potenza della compassione con la quale soltanto si guardano gli esseri non per ricevere impressioni, bensì per trapassare con tutta l’anima nelle loro gioie e nelle loro sofferenze.

Ed egli avrà una fronte […] ma non una «fronte da pensatore», che rielabora nuovamente l’esistente, bensì la meraviglia si annuncerà nella fronte sporgente sopra gli occhi e delicatamente arcuata all’indietro sulla testa, con cui si esprime ciò che si può indicare come la meraviglia per i misteri del mondo.

Dovrà essere una testa che l’uomo non può incontrare nell’umanità fisica».[72]

Per concludere vorrei citare la leggenda di Asvero, così come viene descritta da Goethe nel suo Poesia e verità. Da giovane questa saga medioevale lo aveva talmente affascinato che egli aveva progettato di elaborarne il materiale in modo drammatico, così da farne un’opera non meno significativa del Faust.

L’ebreo errante – chiamato Asvero – fin dall’inizio non viene inteso da Goethe semplicemente come un ebreo, bensì come il rappresentante dell’umanità. Asvero è ogni uomo che lotta per superare l’identificazione di sé con il particolarismo di un popolo e sfociare così nella dimensione dell’universale umano, dove soltanto può sperimentare la vera individualità.

Egli è ogni uomo che vive prima di Cristo, a cui il Cristo porge la mano, così che inizi a vivere dopo Cristo. Di fronte a questo Rappresentante dell’umanità, Asvero sperimenta sia un’attrattiva irresistibile (nel suo Io superiore), come pure la più profonda avversione e ripulsa (nel suo io inferiore). Per il medioevo cristiano era ovvio prendere un ebreo per questo ruolo, e proprio per questo il cristianesimo non era ancora sufficientemente cristiano.

Se Goethe riprende questa saga non la intende certo nel senso limitativo, proprio del cristianesimo tradizionale. Per lui Asvero è ogni uomo, è l’Uomo. Questo Asvero per tre anni aveva fatto tutto il possibile per indurre alla ragione Gesù di Nazareth, per convincerlo a metter su famiglia, a cercarsi un lavoro, a darsi una regolata, finendola di sobillare e turbare il popolo con strane teorie. Tutto inutilmente. Si arrabbia ancor di più quando Giuda, passando davanti alla sua porta, lo informa della condanna a morte appena pronunciata. Poco dopo il Cristo cade sotto il peso della croce davanti alla sua porta e a Simone il Cireneo vien data da portare la croce.

La Veronica – un’immagine dell’anima umana – asciuga il volto sofferente del Cristo con un panno. Ma nel momento in cui ella innalza il panno, vi appare un volto trasfigurato.

L’anima umana, nella sua evoluzione, riceve dal lato della percezione sensibile il volto sfigurato e smembrato del Logos. Quando il mondo viene sperimentato nella sua materialità, nelle differenziazioni dei corpi, nell’atomizzazione degli egoismi, allora ci si presenta soltanto deformazione e separazione. Allora nell’umanità vi è soltanto discordia e divisione.

Quando però l’anima umana, mediante la purificazione interiore, contempla il volto del Logos nelle altezze spirituali grazie al pensare intuitivo, allora essa vive quella che Rudolf Steiner chiama: «l’apparizione del Cristo in forma eterica». Mediante queste forze animiche dello stupore, della compassione e della coscienza morale viene contemplato in modo intuitivo-pensante il volto trasformato del Logos.

Dalle bassezze dell’esistenza risorge l’uomo in pura universalità e in singola individualità.

Goethe conclude con le parole:

«… in quel momento l’amorevole Veronica copre il volto del Redentore con il panno, e quando essa lo toglie per tenerlo sollevato in alto, Asvero vede su di esso il volto del Signore, ma non affatto quello di colui che ora sta soffrendo, bensì quello di un Essere sublime trasfigurato, irradiante vita celestiale. Abbagliato da questa visione volge via lo sguardo e ode le parole: ‹Tu andrai errando sulla Terra finché mi contemplerai di nuovo in questa forma›. Asvero dopo un po’ ritorna di nuovo in sé, e trova che le strade di Gerusalemme sono deserte poiché tutti si sono spinti sulla piazza del giudizio, e mosso dall’irrequietezza e dallo struggimento inizia il suo errare».

In queste parole è espressa nel modo più bello l’esperienza del ritorno del Cristo. È la Veronica – l’anima umana – che innalza dentro di sé il volto sofferente e distorto del Figlio dell’Uomo e lo trasforma nel volto trasfigurato del Cristo che ritorna, del Figlio dell’Uomo reso ardente d’amore.

Appendice
Dopo la morte di Rudolf Steiner: cesura o successione?

Voglio qui aggiungere qualcosa sulla storia della Società Antroposofica. Il lettore non interessato può senz’altro passare al capitolo seguente.

Nell’esprimere i miei pensieri al riguardo vorrei sottolineare che ho per i pensieri degli altri, specialmente se opposti ai miei, non meno rispetto che per i miei propri. Posso così sperare in un egual rispetto per i miei pensieri anche da parte di coloro che non possono affatto condividerli.

Nel corso del tempo sono sempre più giunto alla convinzione che nella storia della Società Antroposofica si è ripetuto nella sua essenza il fenomeno della Chiesa cattolica, proprio sulla base dello stesso concetto di successione. Con il Convegno di Natale del 1923/24 Rudolf Steiner è entrato in un tale rapporto con la Società Antroposofica che, dopo la sua morte, in determinate persone è sorta in tutto e per tutto la struttura mentale della successione. Con ciò essi hanno ripetuto inevitabilmente – che ne siano stati coscienti o no – il fenomeno della “santa” istituzione. Le conseguenze di questo modo di pensare hanno fino a oggi determinato profondamente l’intero sviluppo di questa istituzione.

È a dir poco paradossale che alcune persone, nell’impulso alla libertà proprio della scienza dello spirito di Rudolf Steiner, vengano emarginate per le loro idee, cosa avvenuta più volte. Proprio questo fenomeno è l’evidente conferma del fatto che si ha a che fare con una “santa” istituzione, e con il concetto di successione. Se essa non volesse venir considerata santa, sarebbe totalmente in accordo con coloro che la considerano semplicemente un mezzo per un fine. Da parte di alcuni mi è stato detto che se io la penso così, vuol dire che non ho compreso il senso del convegno di Natale. Questo va bene, visto che io, allo stesso modo, affermo che sono loro a non averlo compreso. Ben diversa è però la cosa se, sulla base di cariche o posizioni di potere, chi la pensa diversamente viene emarginato.

Questi pensieri non hanno nulla a che fare con la critica o la polemica. Essi contengono osservazioni a fatti da me vissuti, e la mia interpretazione dei fatti. Chi li voglia intendere come critica dovrebbe chiedersi perché non consideri invece i suoi pensieri come critica ai miei: in quel caso, sarebbe lui il critico, non io.

Nella conferenza del 12 aprile 1924[73] Rudolf Steiner dice:

«È ben ovvio che la Società Antroposofica non può che essere qualcosa del tutto diverso se viene diretta da me o se viene diretta da qualcun altro».

In queste parole è chiaramente espresso che, quando Rudolf Steiner cessa di essere il presidente di questa Società, questa a sua volta non può che essere qualcosa del tutto diverso da prima.

Parlare di una presidenza esoterica anche dopo la morte di Rudolf Steiner, come in passato spesso è avvenuto, significa affermare che questa istituzione anche dopo la sua morte rimane essenzialmente la stessa di prima. Rudolf Steiner a tal proposito dice inequivocabilmente l’opposto. Un automatismo dell’eredità spirituale per mezzo di cariche, una legittimazione che giunga dal passato per lui è esclusa.

Tutte le asserzioni che Rudolf Steiner ha fatto sia sulla Società che sulla Libera Università da lui dirette, come pure le disposizioni sulla natura dell’appartenenza a esse, non valgono per nulla quando queste non sono dirette da lui. Ciò che vale per una società non da lui presieduta lo ha detto a sufficienza prima del convegno di Natale, quando ancora nemmeno era socio della Società Antroposofica. Che egli abbia sempre inteso la dimensione istituzionale come puro mezzo per un fine, lo mostra forse nel modo migliore ciò che W. J. Stein racconta essergli successo nell’estate del 1913:

«… ora volevo vedere i drammi-misteriosofici. – Questi li possono vedere soltanto i soci – mi era stato detto. Non ero socio e nemmeno volevo diventarlo. Mi rivolsi allora al dottor Steiner. Egli mi rispose che era proprio così, che effettivamente i drammi-mistero erano accessibili soltanto ai soci ma che io avrei potuto diventare socio per il giorno della rappresentazione e il giorno dopo di nuovo uscirne. E così feci. Assistetti alla rappresentazione. Dopo di che venne da me il dottor Steiner e mi disse: ‹Allora signor Stein, si è divertito?›. Io risposi: ‹Un asino come lo ero ieri, oggi non lo sono più, e nemmeno intendo uscire dalla Società›. Divenni così socio della Società. Questo è sintomatico».[74]

Questo episodio venne raccontato nell’assemblea dei delegati tenuta a Stoccarda nel febbraio 1923 alla presenza di Rudolf Steiner, e molti soci fedeli, soprattutto i funzionari della Società, avranno di certo anche allora avuto la convinzione che l’appartenenza alla Società è una cosa seria e sacra, che non si può trattare con leggerezza. Che cosa avranno pensato queste persone sentendo come “il Dottore” trattò la cosa?

Se Rudolf Steiner avesse nominato un successore alla guida dell’università si sarebbe ripetuta la modalità della nomina che avvenne nel 1907 per la Società Teosofica e che egli aveva condannato nel modo più assoluto. La sua formulazione, che lui stesso avrebbe nominato l’eventuale successore;[75] non significa che eventualmente lo avrebbe fatto – a questo non ha potuto pensare nemmeno per un secondo – bensì che nessun altro, vale a dire nessuno, avrebbe avuto il diritto di farlo. Però Steiner non poteva formulare questo pensiero in tutta chiarezza, altrimenti avrebbe sostituito con una sua netta disposizione il libero compito di un pensare individuale e sveglio.

Nella sua illimitata fiducia negli uomini che lo circondavano, Steiner aveva sperato che essi avrebbero compreso che quanto il mondo spirituale soltanto attraverso di lui poteva far incarnare nel mondo fisico in modo primigenio e limitato nel tempo, come un’anticipazione di futuri gradini evolutivi (cioè una strutturazione di condizioni istituzionali nel senso e nel nome del mondo spirituale), non poteva essere possibile senza di lui, semplicemente per un terrestre automatismo di successione. Quando gli divenne chiaro che questa consapevolezza mancava, ebbe davanti l’immane tragedia che sarebbe seguita alla sua morte mediante un’oggettiva usurpazione spirituale – anche se soggettivamente non voluta, e perciò in modo ancora più funesto inscenata da oscuri poteri. Su ciò egli non poteva dir nulla, per non ledere la libertà degli uomini. Così un’amarezza infinita deve avergli consumato le ultime forze.

Questi accenni sulla storia della Società Antroposofica mi appaiono qui necessari proprio perché io vedo nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner il futuro del cristianesimo quale puro umanesimo, e perché la Società Antroposofica in quanto tale si considera in vari modi la rappresentante ufficiale della scienza dello spirito di Rudolf Steiner.

[1]Sulla scienza dello spirito o antroposofia, V. R. Steiner, Introduzione alla scienza dello spirito – Ed. Archiati
P. Archiati,
Creare e vivere una nuova vita – Ed. Archiati

[2]R. Steiner, L’insegnamento del Risorto. Considerazioni sul mistero del Golgota, conf. del 13 aprile 1922 pubblicata nella rivista «Antroposofia» 1976/33

[3]R. Steiner, Le vie dell’anima verso il Cristo – Ed. Psiche

[4]R. Steiner, Il cristianesimo come fatto mistico – Ed. Antroposofica

[5]R. Steiner, Vorträge und Kurse über christlich. Religiöses Wirken (GA 342-346) – R. Steiner Verlag

[6]«Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 2 – Ed. Archiati

[7] Gv 21,19

[8] Gv 21,21-22

[9]P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 8 – Ed. Archiati

[10]Sull’espressione «Andare al Padre», V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 4 – Ed. Archiati

[11] Gv 18,36

[12]P. Archiati, Libertà senza frontiere – Ed. Archiati

[13] R. Steiner, La filosofia della libertà – Ed. Antroposofica

[14] R. Steiner, Il fenomeno Uomo. Da Gesù a Cristo – Ed. Archiati

[15]P. Archiati, Dalla mia vita. La mia esperienza con la Chiesa e l’antroposofia – Ed. Archiati

[16]R. Steiner, Prospettive dell’evoluzione dell’umanità, conf. pubblicata nella Rivista «Antroposofia» – 1952/2

[17]Su questo argomento, V. P. Archiati, «Voi siete déi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 1 – Ed. Archiati

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 1 – Ed. Archiati

[18]R. Pesch Zur Entstehung des Glaubens an die Auferstehung Jesu (Sull’origine della fede nella resurrezione di Gesù) in Zur Neutestamentlichen Überlieferung von der Auferstehung Jesu (Sulla tradizione neotestamentaria della resurrezione di Gesù), p. 238 – P.Hoffmann, Darmstadt

[19]Sulla conquista di futuri livelli di coscienza da parte dell’umanità, V. P. Archiati, «Voi siete dèi L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 3 – Ed. Archiati

[20] Mt 28,20

[21]P. Archiati, Arrivederci alla prossima vita – Ed. Archiati

[22]V. schema generale dei diversi Esseri gerarchici a p. 138

[23] R. Steiner, Vivere con gli Angeli e gli spiriti della natura – Ed. Archiati

R. Steiner, Gerarchie spirituali e loro riflesso nel mondo fisico – Ed. Antroposofica

P. Archiati, Angeli e morti ci parlano – Ed. Archiati

[24] Brano tratto da: R. Steiner, Il karma e le professioni in relazione alla vita di Goethe – Ed. Antroposofica

[25]Sul concetto di fede, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 5 – Ed. Archiati

[26] R. Steiner, Fede, amore, speranza – Ed. Antroposofica

[27]P. Archiati, Economia e vita; Segni dei tempi – Ed. Archiati

[28]Sulle epoche e i periodi di cultura V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 5 – Ed. Archiati

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 1 – Ed. Archiati

[29] R. Steiner, Fattori salutari dell’evoluzione – Ed. Antroposofica

[30]Per una più ampia trattazione della nascita verginale, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 1 – Ed. Archiati

[31]P. Archiati, Maschere di Dio, volti dell’uomo – Ed. Archiati

[32]P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 2 – Ed. Archiati

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 5 – Ed. Archiati

[33] Sul significato oggettivo delle parole castigo ed eterno, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 4 – Ed. Archiati

[34]T. d’Aquino, Commento al Vangelo di Giovanni – cap. 4

[35]Sulla differenza fra esoterico ed essoterico, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 1 – Ed. Archiati

[36]Ed. Antroposofica. In questo volume italiano non è compresa la conf. del 13 aprile 1922, dalla quale P. Archiati, trae la citazione, e che è stata pubblicata nella Rivista «Antroposofia», 1976/33

[37]Odissea, XI canto

[38] Sulle Beatitudini, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 2 – Ed. Archiati

[39]Lc 15,11-32

[40]R. Steiner, Le vie dell’anima verso il Cristo – Ed. Psiche

[41]Con il termine Avatar si intende un’entità spirituale che scende sulla Terra per compiere una missione. Il più grande Avatar è stato il Cristo.

[42]R. Steiner, Economia spirituale e reincarnazione, conf. 2 – Ed. Antroposofica

[43]Sulla figura di Gesù di Nazareth, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 6 – Ed. Archiati

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 2 – Ed. Archiati

[44]Sull’evoluzione delle tre forze dell’anima: senziente, razionale, cosciente, V. R. Steiner, Metamorfosi della vita dell’anima – Tilopa

[45]R. Steiner, Il Vangelo di Giovanni – Ed. Antroposofica

[46]R. Steiner, La storia alla luce dell’antroposofia – Ed. Antroposofica

[47]R. Steiner, La filosofia di Tommaso d’Aquino – Ed. Antroposofica

[48]R. Steiner, La filosofia della libertà, cap. 9 – Ed. Antroposofica

[49] R. Steiner, La filosofia del Tommaso d’Aquino – Ed. Antroposofica

[50]Per un approfondimento, V. anche: P. Archiati, Libertà senza frontiere – Ed. Archiati

[51]R. Steiner, Il mistero solare, conf. 6 – Ed. Antroposofica

[52] R. Steiner, Il fenomeno uomo, conf. 11 – Ed. Archiati

[53] Gv 19,26-27

[54] R. Steiner, Sentieri di esperienze per l’anima, conf. del 2 dicembre 1909, pubblicata in italiano nella rivista «Antroposofia», 1956/258

[55]Sulla differenza fra Io superiore e io normale (o coscienza dell’Io), V.

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 2 – Ed. Archiati

[56]P. Archiati, La forza della verità – Ed. Archiati

[57] R. Steiner, Cultura, politica, economia, conf. 5 – Ed. Archiati

[58]R. Steiner, L’uomo tra potere e libertà – Ed. Archiati

[59]Lc 14,26

[60]R. Steiner, Cultura, politica, economia – Ed. Archiati

R. Steiner, Gli uni per gli altri – Ed. Archiati

R. Steiner, Il coraggio della libertà nella vita sociale – Ed. Archiati

[61]R. Steiner, Cultura, politica, economia – Ed. Archiati

[62]Sulla differenza fra peccato di omissione e peccato di commissione, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 3 – Ed. Archiati

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2, conf. 2 – Ed. Archiati

P. Archiati, L’uomo e il male, un mistero di libertà – Ed. Archiati

[63]Gv 16,7; Gv 14,26

[64]Mt 16,18

[65]Gv 21,20-23

[66]Lc 17,20-21

[67] Nell’edizione originale tedesca seguono a questo punto alcune riflessioni sulla storia della Società Antroposofica, l’istituzione che ha fatto suo il retaggio spirituale della scienza dello spirito di R. Steiner. Per gli interessati la riportiamo in appendice

[68]R. Steiner, L’agire di Entità spirituali nell’uomo – Ed. Antroposofica

[69]R. Steiner, L’agire di Entità spirituali nell’uomo – Ed. Antroposofica

[70]R. Steiner, Formazione di comunità – Ed. Antroposofica

[71]Sul corpo fisico spirituale dell’uomo, V. R. Steiner, Il fenomeno uomo. Da Gesù a CristoEd. Archiati

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 2 – Ed. Archiati

[72] R. Steiner, Uomo terreno e uomo cosmico – Ed. Antroposofica

[73]R. Steiner, Considerazioni esoteriche su nessi karmici, vol 2 – Ed. Antroposofica

[74]Das Schicksalsjahr 1923 in der Geshichte der Anthroposophischen Gesellschaft (L’anno di destino 1923 nella storia della Società Antroposofica), p. 406.

[75] Il punto 7 dello Statuto della Società Antroposofica dice: «L’ordinamento della Libera Università per la scienza dello spirito incombe anzitutto a Rudolf Steiner, al quale spetta di nominare i suoi collaboratori e il suo eventuale successore».

Letture correlate

Archiati Edizioni

Pietro Archiati

Angeli e morti ci parlano

Arrivederci alla prossima vita

La forza della verità

Libertà senza frontiere

Maschere di dio, volti dell’uomo

Seminari sul Vangelo di Giovanni, 11 voll

«Voi siete dèi!». L’uomo in cammino, voll 1, 2

Rudolf Steiner

Cultura Politica Economia

Gli uni per gli altri

Il coraggio della libertà nella vita sociale

Il fenomeno uomo. Da Gesù a Cristo

Le sorgenti della cultura occidentale, voll 1, 2

L’uomo tra potere e libertà

Tra destino e libertà

A proposito di Pietro Archiati

Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capriano del Colle (Brescia). Ha studiato teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università statale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).

Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.

Nel 1977, durante un periodo di eremitaggio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito ― destinata a diventare la grande passione della sua vita ― indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invisibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.

Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafrica durante gli ultimi anni della segregazione razziale.

Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, indipendente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.

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