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Redazione a cura di Stefania Carosi

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ISBN 978-88-96193-68-6

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Pietro Archiati

«VOI SIETE DÈI!»

L’UOMO IN CAMMINO

Le chiavi di lettura dei vangeli

Volume 2

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Indice

Note introduttive

Prefazione

Prima conferenza

nei vangeli è svelato il segreto di tutte le iniziazioni

La critica moderna ai vangeli

I vangeli narrano esperienze iniziatiche

L’albero del fico

I sette gradini dell’iniziazione di Mitra

La montagna che si getta nel mare

I vangeli narrano la vita specifica dell’iniziato

Il Buddha oggi

Quattro scuole misteriche, quattro vangeli

La pienezza dei tempi

Dal serpente all’agnello

«Qui c’è più di Salomone, qui c’è più di Giona»

IL Cristo rende pubblica l’iniziazione

Seconda conferenza

come può un dio incarnarsi e morire? il dilemma della gnosi

L’umanità smembrata

«Beati i poveri di spirito»

L’undicesima ora

«Tu sei Pietro, e su questa pietra…»

Le tre dolorose domande del Cristo

«E il Verbo si è fatto carne»

Il mistero della lavanda dei piedi

Il trentunesimo eone

Il Cristo ci ama perchè ci conosce

L’uomo è il pontefice cosmico

La Trinità nell’anima umana

La forza della compassione

È vergognoso, folle e impossibile: dunque è vero

Il femminile e il maschile nei vangeli

Terza conferenza

i sette segni nel vangelo di giovanni

La sapienza dei numeri nei vangeli

Il ritmo del 7

Il significato del 2 nelle due iniziazioni: la via della vergogna e la via della paura

Il 4, grande fulcro e svolta di ogni evoluzione

Bambini e adulti testimoniano i quattro sacrifici

Dove sono, nei vangeli, i quattro sacrifici?

Il mistero del 12 e del 7

«è giunta l’ora»

La meditazione sul ritmo del 7

Primo segno: le nozze di Cana

Secondo segno: la guarigione del figlio del funzionario

Terzo segno: la guarigione del paralitico

Quarto segno: la moltiplicazione dei pani

Quinto segno: la visione del Cristo sul mare in tempesta

Sesto segno: il cieco nato

La coscienza della reincarnazione e del karma è andata perduta

La reincarnazione nei vangeli

Il Padre Nostro e i sette segni

Quarta conferenza

malattia, karma e terapia nei vangeli

L’uomo non è una macchina

«Non date ciò che è santo ai cani, non date perle ai porci»

È sano sentirsi “malati”

Malattie del corpo, dell’anima, dello spirito

Il grande Terapeuta

L’emorroissa e la figlia di Giairo

Il buon Samaritano

Il fattore disonesto

La tua fede ti ha salvato

Quinta conferenza

redenzione e iniziazione dellumanità

Determinismo e libertà

Nei vangeli sono narrati eventi sensibili e sovrasensibili

L’incantesimo della forma fissa

Il mito di Baldur e della Triste Abbandonata

Il culto autunnale di Adonis

Nascita e morte sono decisioni spirituali

Mondo naturale e mondo morale ridiventano uno

La fine del mondo

Sesta conferenza

il settimo segno: liniziazione di lazzaro

Morte e iniziazione sono una cosa sola

Si scioglie il segreto sui misteri

Il figlio della vedova

Il ricco Epulone e l’altro Lazzaro

La malattia di Lazzaro

La transizione ai nuovi misteri

Il Cristo amava Lazzaro e le sue sorelle

Lazzaro, vieni fuori!

Il compimento di tutte le profezie

Letture correlate

A proposito di Pietro Archiati

Note introduttive

«Voi siete dèi» L’uomo in cammino, volumi 1, 2, 3, raccolgono le prime pubblicazioni di Pietro Archiati in Italia, esaurite da oltre un decennio: Il quinto vangelo (1992), Lettura esoterica dei vangeli (1996) e Dal cristianesimo al Cristo (1997). L’argomento trattato è l’evento del Golgota, è la grande svolta dell’evoluzione umana vista in un’ottica a dir poco rivoluzionaria.

Non è stata fatta una semplice ristampa di quei libri perché nel corso degli anni Pietro Archiati ha portato la scienza dello spirito (antroposofia) di Rudolf Steiner a un pubblico sempre più vasto, creando un nuovo linguaggio che non dà per scontata nessuna conoscenza esoterica.

I contenuti sono perciò rimasti gli stessi di tanti anni fa ma il linguaggio è stato snellito e sono state ampliate e inserite nel testo le note esplicative.

I tre volumi presentano in questa nuova edizione un percorso unitario che inizia dalla percezione diretta dei fatti di duemila anni fa da parte dell’iniziato Rudolf Steiner («Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1), passa alla descrizione e decifrazione del linguaggio tecnico-esoterico dei vangeli («Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Le chiavi di lettura dei vangeli, vol 2) e conclude con una disamina del cristianesimo non come religione, ma come nuovo umanesimo ancora tutto da costruire («Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Il mio regno non è di questo mondo, vol 3). Quest’ultimo testo è corredato da numerosi stralci di conferenze di Rudolf Steiner, tradotti da Pietro Archiati.

Auguriamo a tutti una buona lettura, perché è davvero una buona lettura.

La Redazione

Prefazione

Queste pagine affrontano un quesito fondamentale che sta a cuore a tanti: i vangeli non hanno forse più nulla da dire all’uomo moderno? Non sono in grado di reggere la prova del rigoroso metodo storico-scientifico che richiede assoluta oggettività e imparzialità?

E più preoccupante ancora si affaccia la domanda: se vengono scartati i vangeli, verrà archiviato il cristianesimo stesso, fondato su questi testi e a sua volta fondamento della cultura occidentale per ben duemila anni?

La risposta che qui viene indicata è semplice e rivoluzionaria a un tempo. È la risposta della scienza dello spirito di Rudolf Steiner (antroposofia) che afferma: i vangeli non sono tanto testi storici che narrano fatti ed eventi ponendone in primo piano il decorso percepibile ai sensi esteriori, quanto invece testi che presentano l’evento del Cristo come culminazione e sintesi reale di tutte le esperienze spirituali iniziatiche dei misteri precristiani.

Queste esperienze si sono concentrate in un essere umano-divino – Gesù Cristo – e si sono avverate nel contesto di una vita umana nei suoi tratti esteriori da tutti percepibile e perciò anche storica.

Il linguaggio dei vangeli è quello tecnico scientifico dei riti iniziatici e può venir compreso unicamente a partire da conoscenze esoteriche.

Pietro Archiati

Prima conferenza

Nei vangeli è svelato
il segreto
di tutte le iniziazioni

Roma, 25 aprile 1996

La critica moderna ai vangeli

Cari amici,

duemila anni fa un evento sommo si è posto come punto di svolta nel cammino dell’umanità. Un essere umano ha espresso nella sua vita, per tanti tratti così vicina all’esperienza di ognuno di noi, un’altra dimensione: quella che sulla Terra è stata sempre chiamata il divino. Da questa vita paradigmatica è sorta, dapprima in occidente, l’affermazione fondamentale che la pienezza e la perfezione della nostra umanità si sono manifestate in quell’uomo chiamato Gesù Cristo, che racchiude in sé tutto ciò che è umano e tutto ciò che è divino.

Duemila anni fa si è avverato il compimento dell’ascesa umana al divino, e il compimento dell’amore divino che si riversa nell’umano. Un Dio è stato capace, cosa inaudita e incredibile, di diventare uomo, e al contempo un uomo, mistero altrettanto sconvolgente, è divenuto Dio. La dimensione cosmica del divino e la dimensione terrestre dell’umano si sono congiunte in un’unica realtà.

E noi, che viviamo oggi in tempi di razionalismo, di pensiero intellettuale, troviamo un accesso sempre più difficile a questa asserzione che investe il cosmo e la storia. E poi: redenzione dell’umanità dal peccato originale, passione e morte del Cristo in croce, resurrezione della carne… tutti misteri connessi con questa svolta fondamentale dell’evoluzione. A tutto ciò si aggiunge un grande quesito: i vangeli, che sono i soli testi che ci parlano di questo evento e verso i quali l’umanità mostra disaffezione e distanza interiore, possono ancora venir presi sul serio?

Basta andare indietro di una, due, tre generazioni, per vedere che i vangeli hanno costituito il fondamento di tutta l’esistenza dei nostri progenitori: su queste pagine essi hanno meditato, da esse hanno tratto forza per la loro vita, sotto molti aspetti forse più difficile e dura della nostra. Come mai questi stessi testi non parlano più all’uomo d’oggi?

Come prima cosa esaminiamo allora a grandi tratti la storia del rapporto dell’umanità con i vangeli. È una storia lunga venti secoli che mostra una prima fase, esaurita essenzialmente nel secolo scorso, il cui fulcro era la fede, il coinvolgimento delle forze del cuore; c’è poi una seconda fase, in pieno svolgimento nel nostro tempo, dove i presupposti culturali e conoscitivi sono preminenti e chiedono una disamina critico-scientifica di questi testi.

Anche la scienza dello spirito di Rudolf Steiner conferma questa analisi sul passato e sul presente in tema di vangeli:[1] il Cristo stesso, tramite questi testi, ha lavorato nelle profondità degli animi umani e ha creato le condizioni necessarie per far sorgere, nel ventesimo secolo, l’urgenza di capire che bussa con insistenza nell’interiorità di molti uomini.

Il contenuto dei vangeli viene oggi scandagliato col rigore della razionalità scientifica e perde consistenza e credibilità sotto la forza di un’indagine serrata che vede contraddizioni dappertutto, inesattezze storiche, ingenuità, approssimazioni, esagerazioni e apologia. D’altronde è vero che nelle narrazioni dei quattro evangelisti molti aspetti non concordano: per esempio in Luca e Matteo il racconto della nascita di Gesù è diverso in modo macroscopico!

Se noi oggi fotografassimo un albero da quattro angolazioni diverse, osserva Steiner, ne avremmo quattro immagini differenti: lì si mette in evidenza un nido, là un ramo secco, da qui filtra la luce del Sole…, ma non ci sogneremmo mai di trarre la conclusione che le quattro fotografie si contraddicono tra loro! Testimoniano diversi punti di vista. Così gli uomini delle passate generazioni, avvicinando le narrazioni dei quattro evangelisti con un atteggiamento interiore di forte venerazione religiosa, sentivano chiaramente di avere a che fare con i diversi risultati di quattro discipline preparatorie differenti, che aprivano perciò orizzonti differenti su un evento per natura sua inesauribile.

La mentalità moderna, per dichiarare affidabile un testo, vuole riscontrarvi un ferreo metodo storico: ecco allora che comincia a misurare e giudicare quanto Matteo, Marco, Luca e Giovanni si siano dati da fare per dimostrare i fatti esposti, quali pezze d’appoggio si siano procurati a conferma e riscontro delle loro parole, quanto, insomma, si siano curati di rispettare i parametri metodologici, e ovviamente indiscutibili, della critica del ventesimo secolo.

Un esame di tal genere ha tolto ai vangeli ogni credibilità. Il multiforme diventa contraddizione, gli stessi teologi si affannano a interpretare i vangeli in accordo con le leggi della percezione fisica e perciò cominciano a escludere dal patrimonio delle realtà di fede molti passi, ritenendoli inessenziali nel mare già così difficile da navigare di ciò che, è inevitabile, nei vangeli varca radicalmente la soglia del razionale e per principio è inaccessibile alla scienza moderna – la resurrezione, per esempio, con il grande enigma della tomba vuota.

I vangeli narrano esperienze iniziatiche

Rudolf Steiner, come massimo iniziato cristiano, dopo duemila anni porta all’umanità questa affermazione chiara, sintetica e sostanziale: i vangeli non sono testi storici convenzionali. Matteo, Marco, Luca e Giovanni neanche minimamente hanno voluto narrare una cronaca di eventi fisico-sensibili, bensì hanno posto al centro la narrazione di eventi iniziatici, di eventi misterici.

Nella vita di questo esemplare umano, chiamato Gesù Cristo, gli evangelisti vedono il compimento a livello storico delle esperienze interiori sovrasensibili che gli iniziati, da sempre, avevano attraversato nelle varie tradizioni misteriche con l’intento di penetrare nel mondo spirituale, e superare così l’illusione che il mondo fisico sia l’unica e definitiva realtà.

Rudolf Steiner, soprattutto nel suo testo fondamentale Il cristianesimo come fatto mistico[2] scritto nel 1902, afferma: i vangeli non si riferiscono primariamente a fatti storici percepibili al livello sensibile ordinario, bensì originano dalle tradizioni misteriche, dai manuali di iniziazione nei quali erano descritte le esperienze che bisognava fare per purificare l’interiorità umana ed entrare di grado in grado in un’esperienza del soprasensibile sempre più chiara, sempre più sostanziale.

Il linguaggio della scienza dello spirito, per essenza sua, si rivolge alle forze individuali di chi, per decisione propria, vuole capire: l’accesso ai vangeli non è più nell’ambito dell’anima di gruppo, come accade in ogni catechesi confessionale, ma passa per la mente e per il cuore dell’individuo singolo. Ambedue le sfere vengono attivate, sia quella del pensare sia quella del caldo interessamento, perché sulla via della libertà non hanno posto le forzature.

A questo voglio soltanto aggiungere che io, avendo alle spalle anni di studi teologici,[3] ritengo questa affermazione di Steiner l’unico modo per salvare l’asserto fondamentale cristiano, e non soltanto cattolico, dell’ispirazione divina delle Sacre Scritture. In tutta la tradizione cristiana c’è sempre stato l’assunto, chiamiamolo pure il dogma per meglio capirci, che i testi del Nuovo Testamento, specialmente i vangeli, non rientrano nella normalità dell’umano – dove vigono l’errore, l’imprecisione, l’incapacità di comprendere tante cose –, bensì sono scritti da mano divina. Gli evangelisti erano così straordinariamente compenetrati dal divino che i contenuti dei loro testi vanno attribuiti più alla sorgente divina che non al pensare umano. Proprio perché Matteo, Marco, Luca e Giovanni si sono fatti strumento dell’espressione divina, nelle loro parole l’erranza è esclusa nel modo più assoluto. All’umanità resta soltanto il compito di capirli.

Questi due concetti basilari dell’ispirazione divina e dell’infallibilità non sono riferiti soltanto alle Scritture: sono sempre stati presenti nell’umanità. Tommaso d’Aquino, per esempio, commentava Aristotele nell’identico modo in cui commentava le Sacre Scritture, e il suo atteggiamento interiore era questo: Aristotele non sbaglia mai. E se Aristotele sbagliasse, ma veramente sbagliasse soltanto una volta, non sarebbe Aristotele.

Con ciò Tommaso non intendeva dire che il grande filosofo greco sapesse tutto! Naturalmente Aristotele non era a conoscenza di tantissime cose, e prima di tutto non conosceva quelle relative al mistero del Golgota, che non era ancora avvenuto: ma su queste cose non parlava! Quando però Aristotele si esprime è sempre perché sa ciò che dice e allora ciò che dice è vero – ipse dixit. Egli parla unicamente di argomenti sui quali ha raggiunto una conoscenza oggettiva, non passibile di essere messa in discussione.

Che nell’umanità siano sempre esistite individualità con carattere d’eccezione era cosa nota, in passato: si sapeva bene che la normalità, per il solo fatto di avere dalla sua i grandi numeri, non poteva pretendere di dettare la norma dell’umano. Anzi, la misura dell’umano, diceva la saggezza antica, va proprio vista nei casi di eccezione. Ciò che è comune ai più andrebbe piuttosto definito come il non ancora sufficientemente umano.

Per noi, allora, il grosso problema è oggi quello di comprendere dove vada preso questo metro dell’umano: umano è il già mediamente acquisito e diffuso nel mondo secondo numero e statistica, oppure è ciò che richiede un criterio di qualità? Se prendiamo la via qualitativa, allora può darsi che proprio uomini eccezionali ci diano una visione, una possibilità di cogliere l’essenza dell’essere uomini in un modo molto più nitido di quanto non mostri la maggioranza ordinaria. Se l’uomo è in evoluzione, ciò che è patrimonio dei molti non può essere lo stadio definitivo: ci sono individualità rare e singolari che precorrono i tempi e quindi anticipano i gradini evolutivi che poi saranno conquistati da tutta l’umanità.

Capiremo allora che il Cristo Gesù è realmente l’esemplare di uomo che alla svolta dei tempi ha anticipato, ha realizzato in sé e manifestato la pienezza totale di tutto ciò che noi potremo divenire nel corso dei secoli e dei millenni.

L’albero del fico

Cosa intende Rudolf Steiner quando afferma che i vangeli sono testi che descrivono esperienze di iniziazione, cioè esperienze dirette e reali del mondo spirituale? L’iniziazione è stata sempre paragonata alla morte perché ogni uomo, grazie a essa, ha la possibilità di entrare nella realtà spirituale. L’iniziazione era dunque intesa come un’anticipazione della morte durante la vita: si entrava direttamente nei mondi spirituali e se ne conservava memoria. Perciò, quando l’iniziato Rudolf Steiner[4] ci dice che nei vangeli non vengono narrati primariamente fatti storici, evidenzia che la sostanza reale delle narrazioni evangeliche sull’evento del Cristo non è ciò che l’occhio sensibile poteva cogliere traendolo dalla pura esteriorità, bensì è l’esperienza iniziatica dei mondi soprasensibili.

Un esempio concreto può aiutarci a confermare quanto detto: il mistero dell’albero del fico, presente in tutti e quattro i vangeli. Lo accennerò per sommi capi, lasciando a chi abbia interesse l’unico compito veramente importante: quello di approfondire sempre più queste cose, cimentandosi in modo diretto con la scienza dello spirito di Rudolf Steiner, dove vengono dati sempre nuovi aspetti e fondamenti per camminare oltre nella propria conoscenza.

L’albero del fico è l’albero del paradiso (è nota la discussione teologica se l’albero del paradiso fosse stato un melo o un fico): è lo stesso albero, il bodhi, sotto il quale il Buddha è stato illuminato. Perché proprio quest’albero? Un avvio fondamentale per rispondere, e che costituisce al contempo il primo problema, è che non si tratta di un albero sensibile. È infatti una realtà soprasensibile, comprensibile al livello immaginativo e si riferisce al sistema nervoso così come operava nell’umanità prima di Cristo. L’anima umana non era congiunta del tutto col midollo spinale e con il cervello (che hanno forma di albero), e dunque le forze conoscitive aleggiavano sull’uomo, lo adombravano dal di fuori: egli era, appunto, sotto l’albero del fico. Essere illuminato sotto l’albero del fico significava non avere ancora raggiunto un pensiero razionale.

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immagine fisica dellalbero del fico

Oggi noi siamo dentro l’albero del fico, dentro il sistema neuro-sensoriale e quindi esprimiamo i pensieri a partire dall’interiorità di questo albero (anche se, ancora oggi, il sistema nervoso simpatico non è uno strumento di conoscenza lucida, intellettuale, come lo è il sistema nervoso centrale). In altre parole, l’albero del fico indicava sempre, in tutte le tradizioni dei misteri, l’albero dell’antica e atavica chiaroveggenza.

Essere sotto l’albero del fico significa dunque ricevere un’iniziazione non in chiave conoscitiva, logica, ma in chiave di rivelazione divina. Oggi potremmo dire che è un’iniziazione non secondo l’antroposofia, cioè la saggezza che parte dall’essere umano stesso, ma secondo la teosofia, la rivelazione divina che non scaturisce dallo sforzo pensante umano.

Nei vangeli il Cristo si rivolge a queste forze di antica chiaroveggenza, tramite le quali alcuni uomini in modo estatico venivano a conoscere tanti misteri, e lo fa rivolgendosi all’albero del fico: «La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, Gesù ebbe fame. E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa, ma giuntovi sotto non trovò altro che foglie. Non era infatti quello il tempo dei fichi. E gli disse: ‹Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti›. E i discepoli l’udirono».[5]

Se prendiamo questa narrazione dal punto di vista fisico, ed è quello che fanno gli esegeti, si rimane sconcertati: è mai possibile che il Cristo, attorniato da uomini allora così congiunti alle leggi di natura, non sapesse che non era la stagione dei fichi? Ma non è finita: l’esegeta si trova anche nell’imbarazzo di dover spiegare come mai un povero albero di fichi, trovato senza frutti perché non era la stagione giusta, dovesse essere pure maledetto dal Cristo! «La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici».[6]

Ma in realtà Marco non parla di stagione dei fichi, parla di kairÒj (kairós), cioè di tempo evolutivo unico e irripetibile dei fichi. Il Cristo è venuto per porre termine al modo antico, atavico, non ancora individuale e libero di congiungersi col divino. Egli è venuto per portare a compimento l’antica iniziazione – dove l’uomo sperimentava nell’estasi il suo vivere nel grembo cosmico divino – e inaugurare una via nuova all’iniziazione, capace di partire dagli sforzi della libertà umana e gestibile dall’uomo stesso attraverso le facoltà del suo pensare. Questa è la svolta evolutiva, qui l’uomo accetta di essere stato catapultato fuori dal paradiso e benedice e vuole che l’evoluzione dopo il Cristo si fondi sulle forze della libertà e della responsabilità morale.

Nessuno potrà più cogliere frutti da questo albero del fico: nel Vangelo di Giovanni lo stesso mistero si esprime nella frase detta dal Risorto a Tommaso: «Beati coloro che senza vedere, saranno convinti».[7] Beati coloro che avendo perso l’antica e non libera chiaroveggenza troveranno la saldezza interiore, la p…stij (pístis): questa profondissima parola greca viene tradotta col termine fede la cui accezione, oggi, è opposta e rimanda a un atteggiamento passivo dell’anima. Invece p…stij (pístis) nel Nuovo Testamento è proprio la forza primigenia dell’Io, è la fiducia dell’Io in se stesso. Beati coloro che sono convinti che l’evoluzione, dopo l’avvento dell’Essere solare (tanti sono i nomi con i quali è possibile chiamare il Cristo),[8] vuole un modo nuovo di congiungersi col divino, con l’eterno, che poggi sulle forze della conoscenza responsabile.

Dell’albero del fico si parla anche nei vangeli di Matteo e Luca: in Matteo (21,18) questo tema è narrato nel suo aspetto maggiormente esteriore, mentre in Luca (13,6) troviamo una parabola:

«Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: ‹Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?› Ma quegli rispose: ‹Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no lo taglierai› ».

La vigna è la realtà totale dell’Io, il cui organo di manifestazione fisica è il sangue, succo dionisiaco congiunto con l’elemento del vino; la vigna è il mistero dell’evoluzione globale dell’Io dove è stato piantato anche un albero di fico. Viene detto al proprietario di aspettare ancora un anno e poi, se non porterà frutto nemmeno al quarto anno, allora sarà giusto tagliarlo. È qui chiaro il riferimento al quarto periodo di cultura postatlantico.[9]

La scienza dello spirito, come abbiamo ricordato più volte,[10] individua sette grandi epoche evolutive della Terra, delle quali quattro sono già trascorse, una è in atto e due costituiscono il nostro futuro:

1. epoca polare

2. epoca iperborea

3. epoca lemurica, al centro della quale è collocabile la fuoriuscita dell’uomo dal cosiddetto paradiso terrestre

4. epoca atlantica, durante la quale l’umanità si è evoluta su Atlantide, di cui parla anche Platone, il grande continente sommerso dopo il Diluvio e situato dove oggi si estende l’oceano Atlantico

5. epoca postatlantica, la nostra

6. sesta epoca

7. settima epoca

Ciascuna di queste epoche è ancora divisibile in sette periodi di cultura o di civiltà, della durata di circa 2160 anni ciascuno, cioè il tempo che il Sole impiega per passare da un segno zodiacale all’altro, e quindi per un totale di circa 15.120 anni. Per la quinta epoca postatlantica (la nostra) questi periodi vanno dall’ottavo millennio a.C. al nono millennio d.C. e fanno parte di quel contesto temporale che noi chiamiamo storico o di cui, comunque, la storia conserva un’eco. Steiner ha dato indicazioni precise sull’inizio e la fine del quarto periodo greco-romano: dal 747 a.C. al 1413 d.C. Andando indietro e avanti di 2160 anni, possiamo grosso modo datare tutti gli altri periodi:

1. periodo paleo indiano (7227–5067 a.C.)

2. periodo paleo persiano (5067–2907 a.C.)

3. periodo egizio-caldaico-assiro-babilonese (2907–747 a.C)

4. periodo greco-romano (747 a.C. – 1413 d.C.)

5. quinto periodo postatlantico, l’attuale (1413–3573)

6. sesto periodo (3573–5733)

7. settimo periodo (5733–7893)

Tornando alla parabola di Luca, nel quarto periodo di cultura postatlantico è legittimo porre termine all’antica chiaroveggenza che ha accompagnato l’umanità per i tre periodi precedenti, affinché questa forza atavica non tolga forze all’elemento del vino, del sangue, dell’Io, della libertà.

In Marco, allora, abbiamo maggiormente le forze dell’immaginazione (primo gradino della conoscenza sovrasensibile, dove si vedono immagini), in Luca quelle dell’ispirazione (secondo gradino, dove si comprende attraverso l’ascolto l’essenza interiore degli esseri e degli eventi), abbiamo in Giovanni le forze dell’intuizione, il terzo gradino, dove si entra in comunione con Esseri spirituali veri e propri.

I sette gradini dell’iniziazione di Mitra

Nel Vangelo di Giovanni, proprio per quanto ho detto prima, l’albero del fico viene riferito a un essere umano, Natanaele:

«Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: ‹Ecco un vero israelita in cui non c’è falsità›. Natanaele gli domandò: ‹Come mi conosci?›. Gli rispose Gesù: ‹Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico›. Gli replicò Natanaele: ‹Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!› ».[11]

Natanaele ha compreso che nel Cristo c’è qualcosa di straordinario così come il Cristo sa bene di trovarsi di fronte a un illuminato («Ti ho visto quando eri sotto il fico»: è chiaro che non si fa riferimento a un albero fisico!), di cui conosce anche il grado: per capire i vangeli a questi livelli occorrono nuove chiavi di lettura che la scienza dello spirito offre a piene mani a coloro che cercano. Si fa qui, in Giovanni, esplicito riferimento ai sette gradini dell’iniziazione persiana o di Mitra[12] che costituiscono l’essenza dei misteri precristiani:

1. al primo gradino l’iniziato prendeva il nome di corvo, cioè si concentrava sull’osservazione del mondo esterno nell’atteggiamento di chi porta notizie terrene ai mondi spirituali, quasi un messaggero tra l’umano e il divino;

2. al secondo gradino era un occulto, un nascosto, aveva cioè oltrepassato il velo che occulta agli uomini la visione dei mondi spirituali;

3. al terzo diveniva un guerriero, un lottatore: era in grado di difendere le verità dell’occultismo e poteva lottare per esse;

4. al quarto gradino era un leone, cioè gli veniva riconosciuto un notevole consolidamento nelle conoscenze spirituali grazie al fatto di ampliare la sua coscienza identificandosi con un gruppo di persone, per esempio con una tribù. In questo senso si parla del Leone della tribù di Giuda.

5. al quinto, che è quello per noi interessante in questo contesto, l’iniziato prendeva il nome dell’intero popolo d’appartenenza: si indicava così il fatto che quell’uomo, nel suo cammino di iniziazione, aveva accolto nelle facoltà ampliate della sua coscienza tutte le forze specifiche del suo popolo («è un vero israelita»), e poteva divenirne il protettore facendosi tramite dei messaggi e della protezione dello Spirito del Popolo;[13]

6. il sesto gradino era quello dell’eroe solare (eliodromo) che realizzava l’universale umano, la dimensione solare del Figlio che abbraccia tutta l’umanità, ben oltre le parzialità dei popoli;

7. il settimo gradino era quello del padre, era l’apprendimento dei misteri più profondi che accompagnano tutta l’evoluzione della Terra.

Natanaele dice al Cristo, proprio perché si sente riconosciuto come un iniziato al quinto grado: Tu sei il Figlio di Dio, tu conosci i misteri del Padre, tu sei molto più in alto di me se conosci così bene questi gradini iniziatici. Io sono un Israelita, ma tu sei Re d’Israele.

Naturalmente bisogna sempre tener presente che le traduzioni, non avendo i necessari fondamenti conoscitivi esoterici, possono essere molto fuorvianti, e da qui nasce anche la legittimità di un incontro come il nostro, dove perlomeno alcune cose possono venire chiarite e anche rettificate, a partire dalla scienza dello spirito.

La montagna che si getta nel mare

L’albero del fico, dunque, è l’albero del bodhi: bodhi è una variazione di Bodhisattva (bodhi, vodhi, Vedah, video, idea, Edda…), è l’atavica visione spirituale dell’illuminazione del Buddha. In questo contesto, se riprendiamo Marco 11 possiamo vedere che in connessione con il mistero del fico viene detto:

« ‹Maestro, guarda, il fico che hai maledetto si è seccato›. Gesù allora disse loro: ‹In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Levati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò avverrà a lui› ».[14]

Ciò accadrà all’essere umano stesso, non alla montagna fisica! Alcuni manoscritti riportano ancora più chiaramente ˜autù (eautó) a lui stesso, anziché aÙtù (autó) a lui.

Colui che ha fede, colui che si rafforza e affonda le radici in se stesso grazie all’Io, avrà la forza cristica sufficiente perché in lui, nella sua coscienza pensante, il monte si getti nel mare. Cosa vuol dire? Vuol dire che a metà dell’evoluzione noi siamo confrontati col monte: l’espressione monte nei misteri significava sempre il mondo fisico, il mondo materiale. E non c’è immagine più bella e pregnante per esprimere l’esperienza della fisicità – che noi viviamo in modo così granitico, così assoluto – quanto una montagna che ci si staglia davanti.

Dopo aver esercitato il pensare scientifico che sorge rapportandosi al mondo visibile, al monte, l’uomo perverrà al gradino successivo, quello dell’immaginazione. Ecco la controparte dell’antica illuminazione sotto il fico, ecco la nuova via verso la realtà dello spirito. Steiner descrive l’immaginazione proprio come nel Vangelo: quando sorge la visione immaginativa il mondo visibile si dissolve, la montagna sparisce nel mare delle forze eteriche.

Nei momenti in cui si osserva spiritualmente il mondo dal lato immaginativo, la p…stij (pístis) è la forza che fa passare dal rapporto univoco, rigido e incombente con la montagna al rapporto vivente col mare. In altre parole, la p…stij (pístis) è la forza del pensare che diventa sempre più attivo e vivente, sempre più volitivo e amante in modo da entrare nelle forze di metamorfosi di tutte le cose visibili, nell’eterico del cosmo che sta immediatamente oltre il velo del mondo visibile. E l’eterico è sempre stato espresso anche con l’immagine del mare, delle acque cosmiche che sono la matrice di ogni forma e metamorfosi.

I vangeli narrano la vita specifica dell’iniziato

Un’altra comunicazione importantissima di Rudolf Steiner dice: nei vangeli è narrata la vita propria dell’iniziato. I vangeli indicano, da quattro punti di vista diversi, secondo quattro scuole misteriche diverse, quali sono le esperienze tipiche che l’essere umano fa nel cammino di iniziazione. In un certo senso non c’è nulla di nuovo nei vangeli che non sia stato già descritto in tutte le tradizioni misteriche in merito all’iniziazione.

L’elemento assolutamente nuovo dei vangeli – lo vedremo – non è la narrazione di altre esperienze in aggiunta alle tradizioni misteriche: la buona novella (eÙaggšlion, euanghélion) risiede nel fatto che la somma totale di tutte queste esperienze viene riferita a un essere umano unico, il Cristo Gesù, e risiede nel fatto che tutte queste esperienze non sono più nascoste nelle scuole occulte ma si compiono a livello storico, sotto gli occhi di tutti.

Perciò gli evangelisti indicano come imprescindibile per l’evoluzione successiva di ogni uomo il rapporto col Cristo Gesù. Se studiassimo la vita di Zarathustra, o la vita di Buddha, o quella di Osiride nella mitologia egizia, ritroveremmo tutti i tratti fondamentali che ricorrono nei vangeli: basterebbe fare dei paralleli perché i contenuti sono gli stessi.

Vediamo alcuni elementi importanti che caratterizzano gli iniziati:

Il concepimento immacolato è un aspetto imprescindibile della biografia di un iniziato. Significa fondamentalmente – si tratti di Osiride, di Zarathustra, di Pitagora o di qualunque altro iniziato – che per questo essere umano che nasce l’ereditarietà non è importante. Essa è soltanto il sostrato materiale in cui si immerge questa individualità che nel suo carattere, nella sua natura, viene dal mondo spirituale ed è immacolata. L’Io si immerge nella corrente di sangue di una famiglia che però non è in alcun modo responsabile, a livello di causalità, per ciò che qui si manifesta: è soltanto l’elemento portante. La sostanza spirituale di questa individualità non è in modo assoluto intorbidata né compromessa dalla materia, non ne subisce le leggi di necessità mutuandole dai genitori ma imprime su ogni cellula, in modo completamente creativo, l’impronta del suo essere individuale spirituale.

Chi conosce la scienza dello spirito potrebbe obiettare che questo è quanto accade a ogni essere umano, visto che uno dei cardini della scienza dello spirito è proprio il capovolgimento del concetto di ereditarietà:[15] l’Io di ognuno di noi crea nel grembo materno il proprio corpo fisico a sua immagine e somiglianza, servendosi del materiale messo a disposizione dai genitori.

Cosa cambia o cosa si aggiunge, allora, al concepimento di un iniziato? La cosiddetta nascita verginale. In tutte le biografie di iniziati si parla di un’annunciazione e la madre, chiamata Maria (anche la madre del Buddha si chiamava Maya, e Maria è proprio la latinizzazione della parola sanscrita Maya) è una vergine. Cosa significa?
Oggi conosciamo due sole possibilità di interpretazione che sono il dilemma, per esempio, della Chiesa cattolica riguardo alla nascita del Gesù: o è reale la verginità di Maria, e allora Giuseppe non ha avuto nulla a che fare con l’evento, oppure il bambino Gesù è nato come ogni altro. Entrambe le affermazioni, che si escludono a vicenda, provengono dal materialismo e contraddicono il testo evangelico dove sono presenti ambedue.

Gesù è detto figlio di Giuseppe e, anzi, di Giuseppe viene riportata tutta la genealogia fino ad Abramo in Matteo[16] e fino ad Adamo, figlio di Dio, in Luca.[17] Allora, se questa genealogia ha un senso, i vangeli ci dicono che Giuseppe è il padre biologico di Gesù. Al contempo i vangeli concordano sulla nascita verginale, per noi incomprensibile ancora una volta a causa del materialismo, responsabile di aver riferito il peccato originale – immacolato significa senza peccato originale – alla realtà fisica. E questa è una bestemmia contro Dio Padre, perché il modo fisiologico in cui nasciamo è così come l’ha voluto la Divinità. Altro che peccato!

La caduta nella materia, o peccato originale, è il presupposto evolutivo per l’individualizzazione degli esseri umani. È il distacco dalla comunanza indistinta e beata, matrice primigenia di un’umanità ancora effusa nel grembo divino, per conquistare l’individualità, dapprima egoica ed egoistica, poi libera e amante. Materia principium individuationis diceva Tommaso d’Aquino, sulla via conoscitiva tracciata da Aristotele. Questo aspetto viene ben evidenziato dalla parola tedesca Sündenfall (peccato originale), dove la parola Sünde deriva da sondern che significa separare; Fall a sua volta significa caduta, quindi letteralmente: caduta nella separazione.

L’entrare nella materia ha provocato nell’uomo, durante i millenni di evoluzione, un graduale e sempre più potente oscuramento di quella coscienza istintiva che, per rivelazione divina diretta, ai primordi gli ispirava la consapevolezza di appartenere al mondo divino. Questo processo di graduale e sempre più forte inserimento nella materia è andato a tutto vantaggio del nascere di una coscienza desta per il mondo percepibile, cruna dell’ago necessaria per la conquista della libertà.[18]
L’elemento vero e proprio del peccato, cioè dell’egoismo, non si riferisce al fatto biologico che il seme maschile penetri nell’ovulo femminile, ma si riferisce alle brame, alla concupiscenza che accompagna l’atto sessuale per il fatto stesso che è compiuto nella coscienza desta. E la somma d’egoismo oggi è tale che proprio in questo massimo soddisfacimento delle brame opera nei genitori la volontà incarnatoria dell’individualità spirituale del figlio: altrimenti credo proprio che l’umanità si sarebbe estinta da un bel pezzo!

Nei tempi antichi, semila-cinquemila anni prima di Cristo, l’atto della procreazione non si compiva nella coscienza desta, diurna. Ma tutto questo il cristianesimo tradizionale non lo sa più. Lo riprende la scienza dello spirito spiegando il cosiddetto sonno nel tempio: i sacerdoti sapevano presso quali genitori un’individualità importante voleva incarnarsi, e li facevano congiungere in atto copulatorio nel tempio, in stato di sonno. Così tutta la somma di brama, egoistica per natura, era esclusa e non accompagnava, intorbidandolo, l’atto incarnatorio. Nell’evento del concepimento vigevano e operavano unicamente le forze immacolate della volontà incarnatoria, piena di amore, dell’individualità pronta a scendere sulla Terra per svolgervi la sua missione.

Più si va indietro nel tempo, più questo sonno cosmico reggeva le sorti della generazione umana. Ma la coscienza diurna, l’incantamento nella realtà materiale e la brama per essa, erano stadi dell’evoluzione che l’uomo doveva sempre più conoscere e amare con grande egoismo: noi oggi conosciamo soltanto questo livello conscio diurno, dove il godimento del percettibile è massimo. Per aiutarci a capire in che modo il concepimento potesse avvenire nel sonno, possiamo pensare a quali momenti di questo atto possono ancor oggi manifestarsi nel sonno: per esempio l’emissione del seme, l’eiaculazione notturna. Non è così inimmaginabile per il pensare ciò che può ricondurci alle verità evolutive.

Infine, riferendoci ancora all’evento sommo della nascita di Gesù di Nazareth, il portatore umano del Cristo[19], vorrei aggiungere un’altra considerazione: come potremmo parlare di una reale incarnazione di Gesù e di una reale umanizzazione del Verbo se venissero abolite, proprio in questo contesto, le leggi fondamentali dell’umano? Le leggi biologiche sono dunque chiaramente rispettate, mentre la somma dell’egoismo, propria della brama, non partecipa all’evento: l’egoismo, infatti, non è parte intrinseca della natura umana, bensì lo è della natura umana decaduta, snaturata. Ecco perché non si snatura l’umano togliendo la brama, bensì si ripristina l’umano.

L’intorbidamento dell’incarnazione, inoltre, nella coscienza diurna è molto più vasto di quello che appare superficialmente: per esempio, il momento preciso dell’incarnazione, quello che sarebbe in armonia con la costellazione delle forze cosmiche e karmiche, spesso viene spostato in relazione al libero arbitrio degli esseri incarnati (parti pilotati, tagli cesarei prestabiliti).

Infine, il fatto di aver attribuito la peccaminosità al dato fisico – motivo per cui la Chiesa cattolica ha considerato Giuseppe padre putativo – è una tragedia del materialismo che ne ha generata un’altra: l’esigenza dell’immacolata concezione anche di Maria. Questo dogma, inserito dai teologi nel diciannovesimo secolo e inesistente nei vangeli,[20] stabilisce che Maria è stata concepita dalla madre Anna senza la concorrenza dell’elemento maschile. Ragionando in questo modo, bisognerebbe risalire fino ad Adamo ed Eva, abolendo tutta l’evoluzione! Infatti se Maria, per concepire senza peccato, deve essere stata a sua volta concepita senza peccato, lo stesso va detto per Anna, madre di Maria, e per la madre di Anna e via via, sempre all’indietro. Le cose vanno pensate fino in fondo: questa è la responsabilità evolutiva dell’umanità di oggi.

• Un altro elemento fondamentale che ricorre in tutte le vite iniziatiche è l’esperienza necessaria della tentazione, che nei vangeli viene descritta subito dopo il Battesimo del Giordano, momento in cui il Cristo, nel trentesimo anno del Gesù di Nazareth, si incarna. La condizione umana, immersa nel fisico sensibile e storico, è così estranea a ciò che scende dal mondo puramente spirituale che il Cristo, penetrandovi per la prima volta, la subisce e la sperimenta come un’assoluta e globale tentazione. La tentazione è il rendersi conto che bisogna confrontarsi con una controforza e che si tratta di inserirvisi dentro.

• Un tratto biografico essenziale di ogni grande iniziato è ciò che nei vangeli viene espresso come trasfigurazione: è l’equivalente dell’illuminazione del Buddha sotto l’albero del bodhi. Rispetto alla tradizione dei misteri, la differenza e la novità assoluta del percorso iniziatico del Gesù che si divinizza in Cristo è che esso non culmina, come nel caso del Buddha, con la trasfigurazione, non si esaurisce nell’illuminazione sotto l’albero del fico che è soltanto l’inizio del vero mistero cristico. Lo vedremo meglio nel dialogo tra il Cristo e Pietro che si oppone al fatto che il Maestro voglia morire. Il gesto cosmico dell’Essere solare è la decisione ultima della passione e della morte. Soltanto grazie alla passione e alla morte è possibile l’esperienza della resurrezione, e proprio l’esperienza della resurrezione mancava in tutte le iniziazioni prima di Cristo.

Perché? Perché mancava l’esperienza vera della morte, cioè la sua comprensione e accettazione. Il Buddha, 550 anni prima di Cristo, rappresenta l’ultima repulsa nei confronti della morte, quale necessario culmine dell’incarnazione. Uno dei cardini del cristianesimo, e quindi dei vangeli, è invece proprio la conferma della morte, del passare attraverso questa soglia evolutiva. Nel buddhismo ortodosso, cioè nel buddhismo come è espresso dal Buddha stesso nel sesto secolo a.C. (bisogna sempre fare questa distinzione, perché negli ultimi duemila anni sono entrati nel buddhismo moltissimi elementi presi dall’occidente cristiano che non sempre corrispondono al buddhismo primigenio) abbiamo questa affermazione fondamentale: l’uomo deve ritrarsi dall’incarnazione, deve lasciare il mondo visibile e sensibile liberandosi dalla serie delle incarnazioni. La vita è dolore e la morte è il male conseguente. Dopo 550 anni l’affermazione del Cristo, in un certo senso, è opposta: evolversi significa immergersi totalmente e pieni di amore nei misteri del fisico, della natura, perché la redenzione[21] dell’umanità non potrà mai consistere nell’abbandonare la materia per rituffarsi nello spirito. C’è soltanto una redenzione dello spirito umano ed è quella di trasfigurare e sussumere tutta la natura amandola con gratitudine.

Il Buddha oggi

Vorrei soffermarmi ancora un poco sulla figura del Buddha, il cui compito specifico è stato spesso messo in luce da Rudolf Steiner. Il Buddha è uno dei dodici grandi Bodhisattva dell’umanità, dei dodici sommi iniziatori che di volta in volta, a seconda del momento evolutivo, hanno la missione di portare nel mondo elementi di altissima conoscenza. Nei Bodhisattva si esprime al massimo grado la dodecuplicità degli impulsi zodiacali: Cristo è il Sole che li visita tutti.

Buddha è stato il primo uomo che ha assunto in sé ed espresso in forma di esperienza umana la consapevolezza della compassione e dell’amore, quale necessità assoluta nell’evoluzione: da qui è sgorgata la sua dottrina delle quattro grandi verità, di cui l’ottuplice sentiero è la quarta[22]. Potremmo chiederci: ma se il Buddha, sei secoli prima del mistero del Golgota, aveva già portato nel mondo la grandiosa consapevolezza della necessità morale dell’amore, non aveva anticipato il cristianesimo stesso?

No, perché ben altro porta il Cristo: il Cristo porta le forze reali dell’amore! «Io sono la via, la verità e la vita», «Io sono la resurrezione e la vita», «Io sono la luce del cosmo»: queste affermazioni dell’Essere solare su di sé parlano un altro linguaggio, quello della sostanza – Io Sono –,[23] non quello della consapevolezza, della dottrina.

Il Buddha espone le quattro grandi verità:

• la vita è dolore

• secondo verità l’origine del dolore è la sete d’esistenza

• la sete di esistenza nasce in base alla brama per il mondo sensibile

• la cura di questo grande dolore è l’ottuplice sentiero:

1. la retta opinione

2. il retto giudizio

3. la retta parola

4. la retta azione

5. la retta posizione

6. le rette abitudini

7. la retta memoria

8. la retta contemplazione

Queste sono affermazioni di infinita saggezza, l’uomo ne è illuminato e può dire: bene, ora ho capito cosa devo fare. Ma dove sono le forze per farlo? Queste forze né il Buddha né gli altri Bodhisattva potevano darle: solo l’Essere dell’Amore poteva – ecco un altro bellissimo nome del Cristo. Dal sacrificio del Golgota in poi, nell’interiorità di ogni essere umano che voglia liberamente compenetrarsene, sono a disposizione anche le forze per attuare, per mettere in pratica ciò che ha compreso. Questa è l’enorme differenza.

Da quanto abbiamo detto si evince chiaramente anche un’altra importante considerazione: quando noi oggi facciamo il cosiddetto studio comparato delle religioni (buddhismo, induismo, cristianesimo, scintoismo, ebraismo, islamismo…) c’è di fondo l’intenzione di pervenire a un sincretismo conciliante e pacifista. Sottolineando le comunanze, ci si acquieta nell’idea che le religioni dicano più o meno tutte la stessa cosa; ma così, in realtà, abbiamo soltanto astrazioni. E l’astrazione è il pane del materialismo.

La scienza dello spirito riconcretizza il pensiero, lo imbeve di quelle forze d’amore che il Cristo ha portato e per questo è così vivente. Non serve a nulla dire che il buddhismo e il cristianesimo hanno molti elementi in comune, perché ciò che conta è proprio quanto li rende diversi. Una bella e viva domanda è quella che chiede: cosa fa, ora, il Buddha? Il Buddha vive? È rimasto tale e quale a com’era duemilaseicento anni fa o si è evoluto? Questi sono i quesiti dell’anima cosciente![24]

Rudolf Steiner descrive in modo sublime come il Buddha stesso, 550 anni dopo la sua morte, abbia partecipato al mistero del Golgota[25] e con quali ulteriori gesti abbia sempre accompagnato l’evoluzione umana. Agli inizi del diciassettesimo secolo, quando il materialismo stava sempre più scatenando gli uomini gli uni contro gli altri, Buddha compì il sacrificio cosmico di inserirsi – proprio lui, l’essere della mitezza, della dolcezza e della compassione – nella sfera di Marte. Da allora egli accompagna (naturalmente non in modo fisico!) tutti gli uomini quando, nel percorso dai mondi spirituali verso una nuova incarnazione, essi attraversano quella sfera di Marte e li aiuta a mitigare gli influssi di lotta e di aggressività propri dell’azione animico-spirituale di questo pianeta, influssi che sulla Terra potrebbero tradursi in micidiali effetti.[26]

Questo è il Buddha di oggi, un Buddha reale! Chi coltiva la scienza dello spirito si rende conto che il concetto tradizionale di religione non concede ai suoi referenti (siano essi il Buddha, Mosè, o il Cristo stesso) di spostarsi di un passo! E se l’umanità non è la stessa di duemila, tremila, cinquemila anni fa, perché queste grandi individualità dovrebbero continuare a dirle in eterno la stessa cosa? Forse che una mamma dà le stesse indicazioni al suo figliolo quando ha due anni e quando ne ha venti? Proprio perché gli esseri umani sono diventati profondissimamente diversi e i compiti evolutivi sono nuovi, l’amore del Buddha è tale che le sue ispirazioni certamente oggi dicono altre cose. E proprio perché sono tutt’altre, sono vere e giuste.

Ciò che è liberante nella scienza dello spirito è la possibilità di mettersi in comunione non soltanto con la dottrina del Buddha, ma col Buddha vivente stesso. Ogni religione enuncia una teoria, ma oggi non è più tempo di teorie. Quando gli Esseri spirituali ridiventeranno reali nella coscienza dell’umanità, allora la sintesi cosmica di tutte le vie iniziatiche operata dal Cristo non sarà più chiamata cristianesimo ma umanesimo, perché si sarà compreso che le dimensioni dell’umano sono squadernate su tutta la Terra e camminano, tutte, verso l’uomo.

Potremmo chiederci se anche il Cristo procede nella sua evoluzione. Un’affermazione di Paolo di Tarso dice che il Cristo nel sacrificio dell’incarnazione si è spogliato della sua divinità cosmica – kšnwsij (kénosis) svuotamento.[27] L’umanizzazione del Logos comporta dunque l’aver preso su di sé le vicende dell’evoluzione umana. Se allora il Cristo accompagna l’umanità – «Io sarò con voi fino alla fine dei tempi» – non è possibile continuare con l’assunto del cristianesimo tradizionale che dice: la rivelazione del Cristo è conclusa col Nuovo Testamento. Una delle affermazioni fondamentali della scienza dello spirito è che il Risorto è in continua interazione con noi ai livelli sempre nuovi che ci rende possibili nel volgere delle condizioni evolutive.

Il Ritorno del Cristo (Parusìa) che nella teologia tradizionale diventa piuttosto astratto, è in Rudolf Steiner una categoria evolutiva del Cristo e dell’umanità. Egli ritorna a noi, ci parla in modi sempre nuovi (la scienza dello spirito è il linguaggio più adatto ai nostri tempi) e noi andiamo a lui in modi sempre nuovi.[28]

Quattro scuole misteriche, quattro vangeli

L’assunto di Rudolf Steiner che i vangeli sono testi che descrivono esperienze iniziatiche, viene approfondito dalla descrizione delle quattro scuole misteriche diverse da cui provenivano Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Questo va detto a conferma e non a confutazione di un’altra importante conoscenza esoterica: tutte le scuole misteriche avevano alla base le stesse esperienze fondamentali. Ciò significa che nei misteri dell’antichità esistevano alcune esperienze comuni – per esempio la purificazione interiore – e che queste stesse esperienze venivano poi specificate, variate, a seconda dei tempi, dei popoli, delle condizioni climatiche e geografiche.

Esperienza comune era, per esempio, il contemplare il Sole a mezzanotte: è la visione del mondo spirituale attraverso la Terra (ecco di nuovo la montagna che sparisce!). Il mondo fisico diventa trasparente e quindi l’Essere del Sole non viene visto soltanto fisicamente, come appare ai sensi diurni, ma viene visto spiritualmente, a mezzanotte. Queste espressioni misteriche, queste frasi consacrate riassumevano, pur nella variazione degli aspetti particolari, la centralità di esperienze che ognuno doveva fare. Un iniziato che non fosse stato in grado di comunicare con l’Essere del Sole in modo puramente spirituale – a mezzanotte e nonostante il mondo fisico – non poteva dirsi un iniziato.

Nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni abbiamo la figura di Nicodemo che è già iniziato a un segno tale da essere capace, a mezzanotte, di avere un primo e semiconscio incontro con l’Essere solare di cui riporta, nella coscienza diurna, dapprima soltanto alcuni barlumi conoscitivi. Questa parzialità dell’esperienza viene espressa tramite il fatto che il Cristo cerca di fargli capire tanti misteri ma Nicodemo fa fatica a seguirlo.[29] Quale differenza, però, rispetto alle nostre forze di coscienza che normalmente non sono ancora in grado di riportare nella veglia neanche un poco di quello che sperimentiamo, ogni notte, a contatto col mondo spirituale.

Le diverse scuole iniziatiche possono venire ricondotte a quattro fondamentali: tre si riferivano, rispettivamente, al rafforzamento delle facoltà del pensiero, del sentimento e della volontà; il quarto tipo di scuola portava a un’iniziazione che operava una specie di sintesi di questo ternario. In altre parole, prima di Cristo bisognava che gli iniziati si specializzassero: sapevano, proprio perché il Cristo non era ancora venuto, che non era possibile a nessun essere umano vivere la sostanzialità del mondo spirituale nella sua totalità. C’era questa umiltà di base:

1. Il Vangelo di Giovanni è tutto scritto nell’ottica delle scuole misteriche del pensiero, i cui iniziati venivano chiamati i saggi. Nel Vangelo di Giovanni abbiamo tutti i misteri della sapienza universale: è il Vangelo del Logos. Se noi andassimo a cercare, in questo Vangelo, gli aspetti specifici veri e propri dell’amore, cercheremmo invano. L’amore c’è, certo, ma in quanto concomitante, in quanto conseguenza della sapienza.

2. Luca era un iniziato di scuole che davano la preferenza alle forze del cuore, alle forze terapeutiche, di guarigione: in Luca troviamo riassunti tutti i misteri dell’amore, del sacrificio, dell’immolazione. Questo criterio di distinzione è importantissimo perché ci dà la chiave di lettura specifica di ogni Vangelo. Io ho vissuto una grande gioia il giorno in cui ho letto queste cose in Rudolf Steiner, perché mi ero reso conto che nella teologia tradizionale mancava ogni canone di orientamento per comprendere le specificità dei quattro vangeli. Questa non è una critica ostile, è una constatazione: era nella logica dell’evoluzione che questi tesori andassero persi perché ognuno potesse poi avere la possibilità, in quanto individualità libera, di ricercarli e di trovarli a partire dalle forze individuali dell’Io.

Ci sono tante narrazioni che ricorrono soltanto nel Vangelo di Giovanni, altre solo in Luca, altre solo in Marco e altre ancora solo in Matteo: in questi casi, a maggior ragione, dobbiamo far valere la chiave di interpretazione specifica del Vangelo in questione. Per esempio, il racconto del cosiddetto fattore disonesto (di cui si parlerà nella quarta conferenza, [NdR]) ricorre soltanto in Luca 16: e infatti è possibile capirlo unicamente interpretandolo in chiave di amore, di misericordia, di perdono.

Gli iniziati di queste scuole volte alle forze del cuore venivano chiamati i terapeuti. L’intento era quello di apportare guarigione attraverso l’anima amante del terapeuta le cui forze psichiche profluivano nell’anima dell’altro. Tutte le guarigioni dei vangeli vanno intese come ultimi esempi di questo modo di curare e come inaugurazione del nuovo. I vangeli, posti al centro dell’evoluzione, cioè al momento della svolta evolutiva, contengono tutti gli elementi di trapasso dove l’antico viene portato a termine e il nuovo comincia. E il Cristo faceva sempre degli agganci, altrimenti non sarebbe stato compreso nel modo più assoluto.

3. Marco proveniva dalle scuole di iniziazione del volere, dove operavano i maghi. Il Vangelo di Marco è il vangelo della magia. Abbiamo il Cristo descritto in quanto potenza cosmica, non in quanto Logos, sapienza, compito infinito del pensare e nemmeno in quanto Agnello che si immola per la redenzione dell’umanità. L’operare magico è la prospettiva di Marco: l’Essere solare è visto nella forza cosmica che non chiede permessi a nessuno e opera e compie ciò che c’è da compiere. Il Vangelo di Marco è il vangelo dei verbi; quello di Luca è il vangelo degli aggettivi e quello di Giovanni dei sostantivi (dei concetti).

4. Matteo proveniva da un quarto tipo di scuole misteriche dove si faceva una sintesi di tutte e tre queste categorie dell’archetipo divino dell’uomo, e volendo riunire sia la qualità del pensare sia quella del sentire sia quella del volere, venivano rese più vicine all’umano, più modeste. Il Vangelo di Matteo ci esprime dunque il mistero del Golgota in particolar modo dal lato umano del Gesù di Nazareth, mentre gli altri tre esprimono il mistero dal lato del Cristo: i pensieri del Cristo in Giovanni; i sentimenti di amore del Cristo in Luca; la volontà cosmica magica del Cristo in Marco.

Nel testo di Steiner, L’iniziazione. Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori[30] è descritto come la personalità umana si scinda in tre elementi diversi quando entra nella percezione dei mondi sovrasensibili: non è più possibile avere la sintesi spontanea che noi ben conosciamo tra il pensare il sentire e il volere. Se io vedo una rosa, sorge nel mio pensiero la sua rappresentazione, sorge in me un sentimento di piacere e anche, come conseguenza, un atto volitivo, per esempio quello di cogliere la rosa, o di non coglierla, se il sentimento e il pensiero mi dicono che è meglio rimanga nel rosaio. Questo è il modo spontaneo dove il pensare, il sentire e il volere sono congiunti fra di loro.

Nell’iniziazione essi si scindono in tre sfere cosmiche diverse e l’essere umano deve imparare a gestire i misteri del pensare autonomo, i misteri del sentire autonomo (perché i sentimenti non sorgono più in modo istintivo in base a pensieri, ma ogni sentimento deve venir deciso) e in terzo luogo deve imparare tutti i misteri delle decisioni volitive autonome, perché nessuna azione può più essere la conseguenza automatica, e quindi non libera, di rappresentazioni o sentimenti.

Questo mistero delle tre sfere cosmiche indipendenti che ogni essere umano sperimenta in sé in base all’iniziazione, si è manifestato in modo sintetico nell’essere umano-divino Gesù Cristo. Gli iniziati sapevano bene che nessuno avrebbe potuto, in un vangelo solo, esprimere contemporaneamente il Cristo come Logos, come amore universale e come forza cosmica. Sapevano che si poteva render conto di questo immenso fenomeno soltanto specializzandosi, soltanto accettando di ridursi a un’ottica ben precisa. Il fatto che tutti e quattro i rappresentanti delle quattro correnti misteriche dell’umano vedano nel Cristo incarnato il compimento di ciascuna delleloro tradizioni, sta a indicare quale carattere sintetico universale si sia espresso nell’incarnazione del Cristo.

Anche le facoltà universitarie fondamentali che sono sorte nel medioevo inizialmente erano quattro, solo in seguito si sono moltiplicate. Era racchiuso in esse tutto ciò di cui l’essere umano aveva bisogno:

1. la facoltà di Teologia si ispirava alla tradizione del Vangelo di Matteo;

2. la facoltà della Giurisprudenza è sorta dal Vangelo di Marco, perché la giurisprudenza è la sapienza magico-operativa del modo di impostare la politica e il convivere umano;

3. la facoltà di Medicina si è sempre rifatta al Vangelo di Luca, alla tradizione terapeutica dell’amore che risana;

4. la facoltà di Filosofia, nell’approfondire i misteri del cosmo, ha sempre fatto riferimento al Vangelo di Giovanni.

Quindi nel sorgere delle Università abbiamo l’accesso umano alla quadruplice dimensione del Cristo.

La pienezza dei tempi

Se queste sono le grandi tradizioni misteriche presenti nei vangeli, vediamo ora l’altra grande realtà che racchiudono: nel Cristo Gesù c’è il compimento e la consumazione di queste stesse vie misteriche. Mai noi troviamo nei vangeli un’affermazione che dica: questo Gesù Cristo è un altro iniziato fra i tanti. Ciò che viene sottolineato è sempre l’opposto: in questo essere chiamato Gesù Cristo si riassumono tutte le vie misteriche e vengono tutte portate alla loro perfezione suprema.

In che cosa consiste questa assolutezza apocalittica del mistero del Cristo? Perché inaugura il carattere finale e definitivo della seconda parte dell’evoluzione nella pienezza dei tempi?

Il concetto di pienezza dei tempi indica che con l’evento del Cristo tutte le condizioni della libertà umana sono state poste: non ne manca più nessuna per l’esercizio della libertà. I tempi della preparazione sono compiuti, perciò già da duemila anni viviamo nella pienezza dei tempi. La presenza del Cristo nella Terra è la pienezza dei tempi.

Tramite il Cristo l’iniziazione, cioè la capacità di entrare passo dopo passo in tutti i misteri della realtà spirituale, viene resa accessibile a ogni essere umano. L’iniziazione viene strappata dalla tenebra dei misteri dove veniva nascosta agli occhi del popolo: viene compiuta come fatto storico di fronte a tutti, aprendo così la seconda fase dell’evoluzione che è di carattere sia individuale che universale. L’iniziazione è resa possibile a tutti – ecco il carattere universale –, ma solo il singolo la può conseguire in base a un cammino libero, del tutto suo – ecco il carattere individuale.

Il compimento di tutte le vie misteriche che rende l’iniziazione universalmente accessibile tramite le forze dell’individualità di ciascuno è dovuto al fatto che in Gesù di Nazareth, in questo iniziato unico e del tutto diverso da ogni altro iniziato, si incarna l’Essere centrale del sistema solare che noi chiamiamo il Cristo.

Voglio ora riferirmi a importanti esempi tratti dai vangeli che esprimono questo carattere di compimento, di sintesi finale e perfetta di tutte le vie iniziatiche nel mistero unico del Cristo.

Il primo esempio lo prendo dalla fine delle narrazioni evangeliche, poco prima della passione e della morte, al momento dell’entrata in Gerusalemme, dove viene osannato il Cristo: «Osanna nel più alto dei cieli».[31] Dove il Sole è al punto più alto nel suo percorso? Nel segno del cancro, il cui simbolo è sempre stato espresso con due spirali che si svolgono l’una dall’altra senza toccarsi lasciando fra di loro uno spazio libero: quello spazio vuoto posto nel mezzo è il salto qualitativo.

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Il Sole è salito fino allo Zenit e comincia a discendere: questo evento cosmico non indica una continuità, una metamorfosi, ma una vera e propria inversione. Comincia qui qualcosa che è del tutto nuovo, non interpretabile in chiave di passati andamenti: siamo di fronte al mistero della creazione dal nulla.[32]

Perché questo riferimento al più alto dei cieli, in relazione al Cristo? Rudolf Steiner afferma che nei vangeli è qui proclamato il riconoscimento della svolta evolutiva dell’umanità: un ciclo si conclude, un nuovo stadio dell’umano si apre. La conduzione dal di fuori, la guida del Padre chiamata grazia, chiamata amore divino, e che giungeva a noi attraverso la natura, la rivelazione e le Leggi, raggiunge la sua perfezione, consuma e brucia il suo slancio evolutivo: adesso tutto inizia in modo nuovo e secondo libertà. Il concetto di grazia, infatti, nella scienza dello spirito abbraccia tutta l’opera divina che ha posto le condizioni necessarie, esteriori e interiori, per l’esercizio della libertà umana. Grazia è ciò che nell’evoluzione è stato e viene ancor oggi consegnato all’uomo senza la sua diretta partecipazione. Grazia è la creazione primigenia del cosmo umano. La libertà avverata dall’uomo è il compimento della grazia.

Il Figlio conferisce a tutti gli esseri umani le forze della libertà, le forze dell’autonomia spirituale. La libertà non è un’altra grazia che ci giunga dall’esterno: nel mistero del Golgota, dove un Dio muore nel nome dell’uomo e un uomo risorge nel nome di Dio, si incarnano le forze cristiche per l’attuazione della libertà. Questa è la maestosa svolta dei tempi, questo è il nuovo impulso nella spirale del cancro: e dall’alto dei cieli viene l’osanna per l’uomo nuovo. Poi, è come se le Gerarchie celesti creassero il silenzio affinché la Parola – il Verbo, il Logos – pronunciata e condotta dall’intimo dell’uomo stesso, possa nel tempo prendere con sé e in sé i regni di natura verso un altro compimento, verso un nuovo sacrificio umanamente divino, verso una nuova resurrezione.

Dal serpente all’agnello

Un altro segno evangelico della sintesi di tutte le iniziazioni operata dal Cristo, lo troviamo all’inizio del Vangelo di Giovanni dove è enunciato il passaggio dal serpente all’agnello. Rudolf Steiner descrive come avveniva il rito del battesimo nel Giordano: la maggior parte di coloro che si presentavano al Battista era ancora inserita nelle correnti discensionali della caduta, quelle che dal passato spingevano verso la penetrazione nella materia, attraverso la via del sangue. Costoro venivano immersi totalmente nell’acqua da Giovanni per un tempo sufficientemente lungo da provocare i primi sintomi di annegamento: allora il corpo delle forze vitali (corpo eterico) si separava parzialmente dal corpo fisico – fenomeno iniziale del processo di morte – e si presentava al battezzato la visione globale della sua vita passata, nell’immagine evolutiva del serpente del paradiso. Avvenuto questo, ovviamente, il battezzato veniva tirato fuori dall’acqua.

Perciò è errato tradurre l’esclamazione del Battista, rivolta ai farisei e ai sadducei che venivano a lui per il battesimo, in questo modo: «Razza di vipere!»,[33] Giovanni il Battista, infatti, intende dire: «Voi, che siete e volete restare nell’impulso antico e precristico del serpente!». Il serpente è l’immaginazione eterica del peccato originale, dell’inserirsi dell’umanità nella corrente dell’egoismo. Il precursore del Cristo sa che la redenzione dal peccato originale, il rischiaramento della coscienza umana decaduta, partirà dalle forze del Figlio fatte proprie dal libero pensare umano e per questo grida: «Mutate mente!», Metanoe‹te (metanoeite),[34] che quindi non va tradotto con «convertitevi!».

Rudolf Steiner descrive inoltre che altri, durante il battesimo nel Giordano, invece di avere la visione del serpente avevano quella dell’Agnello, che era la nuova visione della redenzione dell’umanità grazie al Cristo. L’Agnello è un’immaginazione che indica l’Essere dell’Amore che ama talmente il mondo visibile, ama talmente l’umanità precipitata nella materia, che viene a portare redenzione inserendosi nel mondo della morte con le forze della resurrezione.

«Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che solleva e prende su di sé il karma del cosmo»:[35] ecco colui che riassume nel suo amore tutto il passato dell’umanità e lo volge alla libertà, inaugurando la seconda metà dell’evoluzione. Ecco colui che soltanto voi, pochi, avete visto al livello dell’immaginazione durante il battesimo.

Questo viene detto nel Vangelo di Giovanni che orienta l’ottica umana di Matteo, ancora volta al serpente, verso il futuro.[36]

«Qui c’è più di Salomone, qui c’è più di Giona»

Il terzo esempio che indica la sostanza di sintesi e rinnovamento di tutte le iniziazioni, operata dal Cristo, voglio prenderlo dal Vangelo di Luca:

«Mentre le folle si accalcavano Gesù cominciò a dire: questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. Poiché come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’Uomo lo sarà per questa generazione. La regina del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della Terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c’è qui. Quelli di Ninive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c’è qui».[37]

Queste parole del Cristo fanno riferimento a due vie iniziatiche:

la via di Salomone operava nella corporeità e consentiva di congiungersi coi mondi spirituali grazie alle forze del sangue, cioè dell’ereditarietà, che nella linea salomonica risalivano fino ad Abramo. Questa era la via iniziatica specifica del popolo ebraico, del popolo eletto: nello svolgersi puro delle sue generazioni – non contaminate da altro sangue – si preparava per l’umanità la discesa dell’Io Sono;

la via di Giona stava invece a indicare tutte le scuole iniziatiche nelle quali si percorreva un cammino misterico vero e proprio – c’erano anni di preparazione – e l’iniziazione culminava nei 3 giorni finali[38] (questo significano i 3 giorni di Giona nel ventre della balena).

Qui c’è più di Salomone, dice il Cristo. Se Salomone rappresenta il modo di congiungersi con lo spirituale per mezzo del sostrato fisico, Cristo viene a portare una via iniziatica del tutto spirituale, basata sulla forza del pensiero. Qui c’è più di Salomone.

Qui c’è più di Giona: se Giona rappresenta il carattere privilegiato ed esclusivo dei misteri dove la penetrazione nei mondi spirituali era dovuta al fatto di staccarsi dal corpo fisico entrando in uno stato catalettico, Cristo porta ora all’uomo la capacità di oltrepassare la soglia dei mondi sovrasensibili senza abbandonare il mondo della coscienza desta. Qui c’è più di Giona.

Il Cristo rende pubblica l’iniziazione

Un’ultima riflessione: nelle conferenze sul Vangelo di Marco[39] dove si tratta dei misteri magici della volontà, Rudolf Steiner descrive come, nei tre anni trascorsi dal Cristo nel Gesù di Nazareth, il momento cosmico e umano più importante fu quello in cui il Cristo stesso prese la decisione di rendere pubblico, storico e universalmente accessibile il mistero dell’iniziazione. Poco prima e subito dopo la trasfigurazione, quando il Cristo comincia a dire, per tre volte,[40] che il Figlio dell’Uomo dovrà soffrire, dovrà morire e dopo tre giorni risorgere, lì il Cristo comincia anche ad annunciare che il segreto più profondo dei misteri verrà svelato.

«E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’Uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, resuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: ‹Lungi da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini› ».[41]

Sappiamo che nei tempi antichi chiunque avesse tradito i misteri veniva condannato a morte: questa era la preoccupazione di Pietro, che non capiva cosa stava avvenendo, quale decisione cosmica il Cristo stesse prendendo.

Rudolf Steiner descrive il momento sublime di questa decisione: Padre, il tempo è venuto e io voglio portare a compimento ciò per cui il mio essere si è unito al cammino umano, voglio togliere il velo dei misteri e aprire per tutti gli uomini i varchi dello spirito. Lungi da me, Satana, che vuoi mantenere le cose come stanno, lungi da me perché le leggi della caduta stanno per cessare e sorge il giorno nuovo della redenzione per tutta l’umanità.

Il Cristo Gesù è stato condannato a morte e ucciso per aver tradito il segreto degli antichi misteri, nel gesto supremo del risveglio di Lazzaro che, come vedremo, è una vera e propria iniziazione svolta sotto lo sguardo di tutto il popolo.

Questa decisione divina, magica e cosmica del Cristo si innalza come una risposta all’anelito della filosofia greca: con parole veramente commoventi Rudolf Steiner ricorda lo smarrimento infinito dei primi filosofi greci[42] – Empedocle, Talete, Anassimandro, Anassimene – che sapevano di aver perso, come tutta l’umanità, le antiche forze di chiaroveggenza mentre nasceva nelle loro menti la forza pensante senza più immaginazioni viventi, fredda e impalpabile come una ragnatela di concetti. E ricorda Ferecide di Siro che ancora poteva volgersi alle visioni ataviche e vi si immergeva come a trattenerle, e Platone, l’ultimo che ancora parlava di eŒdoj (eidos), di ciò che si vede nell’immaginazione: la parola greca idea indica qualcosa che si vede e corrisponde al vedah sanscrito (i Veda) da cui il video latino (come ho già accennato a proposito dell’albero del bodhi). Platone nelle idee vedeva edificato il cosmo intero, ma nessuno sapeva più guardare e nessuno poteva più comprendere. Nemmeno Aristotele, il suo grande discepolo, che voleva cogliere lo spirituale solo nel fisico-sensibile e si preparava già a insegnare al mondo le leggi del pensare.

Questi antichi greci, nei quali non era ancora completamente oscurata la sapienza vivente, lanciavano come un grido a nome di tutta l’umanità, come un appello al Logos cosmico perché venisse a fecondare, a portare forze di resurrezione nel pensare umano. Il Cristo risponde a questa invocazione consacrando e confermando con il suo sacrificio il pensare umano, pur così rinsecchito e impoverito, pur così privato di ogni rivelazione immaginativa.

Il Logos cosmico restituisce dignità divina al pensare umano affidandolo all’Io Sono di ogni uomo libero e capace di amore. Questo Io sarà capace di penetrare nei misteri della sostanza spirituale del cosmo senza più perdere la coscienza desta, senza più perdere l’individualità – come invece accadeva negli stati catalettici, di trance profonda, della vecchia iniziazione.

Seconda conferenza

COME PUÒ UN DIO
INCARNARSI E MORIRE?
IL DILEMMA DELLA GNOSI

Roma, 26 aprile 1996

L’umanità smembrata

Cari amici,

la centralità evolutiva dell’incarnazione del Verbo consiste nel suo immergersi nella totalità delle forze della Terra per accompagnare dall’interno l’evoluzione umana nella seconda metà del cammino, quello di riascesa e di redenzione.

La prima fase evolutiva – la caduta, la discesa, il cosiddetto peccato originale – ha portato ogni uomo a inserirsi sempre più profondamente nella materia così da consentire l’individuazione, la separazione degli esseri gli uni dagli altri. L’autonomia. Questa andata è proprio quella del figliol prodigo che abbandona la casa paterna e va. Il Padre cosmico lascia uscire l’umanità dal paradiso perché sa, lui che ha in mano le sorti dell’evoluzione e ne conosce la legge, sa che questo andar via è soltanto il presupposto negativo della libertà, è la dinamica iniziale dell’essere gli uni contro gli altri, del conquistare e difendere lo spazio per il proprio essere.

La prima fase della libertà non può essere che egoistica: però è al contempo il fondamento per la seconda fase che consiste nel vincere, purificare, trasformare l’egoismo tramite l’amore, comprendendo che l’essere gli uni per gli altri è la sostanza e la vera natura dell’umano. L’umanità intera è un organismo ora smembrato che attende dalla libertà dei singoli di essere ricostituito, riorganato. Quell’organismo rimembrato sarà il corpo mistico di Cristo, in cui gli esseri umani si vivranno come membra gli uni negli altri. E allora il tuo vantaggio, la tua pienezza, saranno al contempo il mio vantaggio e la mia pienezza.

Il tuo svantaggio è il mio vantaggio, dice invece l’esperienza dell’egoismo – e allora Osiride (Dioniso) primigenio, viene fatti a pezzi. Tutti i miti fondamentali si riferiscono ai grandi misteri dell’evoluzione. Osiride, Dioniso, Adamo, erano la nostra unità originaria nel divino, senza alcuna differenziazione: ora siamo tutti sparsi sulla Terra – «…raunai le fronde sparte» dice Dante nel canto XIV dell’Inferno.

Nell’organismo sono espresse tutte e due le dimensioni del divenire: sia l’unità cosmica sia la diversità individuale di ogni membro. Rimembrarsi gli uni dentro gli altri non significa dunque perdere l’individualità raggiunta nella prima parte evolutiva, ma significa portarla a compimento. Il concetto di Io nella scienza dello spirito è che ogni essere umano è un modo specifico e unico di rappresentare l’umano. Ma questo Io è destinato a rispecchiare in sé tutti gli altri Io, beneficiando delle loro forze e donando a ognuno di loro le proprie.

Già Aristotele e poi la tradizione della Scolastica dicevano che ogni essere umano è una specie a sé: tutti i leoni appartengono all’unica specie del leone, tutti i cani a quella dei cani e così via. Ma per l’uomo non esiste la specie umanità unica e uni-formante: ogni individuo è una specie originale irripetibile, una specie a sé stante, tutt’altro che destinata a andar perduta. L’unicità preziosa e imprescindibile dell’Io opera, sulla via cristica, a reimmettere, a far riconfluire le proprie forze specifiche nell’organismo unitario dell’umanità.

«Beati i poveri di spirito»

Parlando oggi della Gnosi, ci riferiamo a un fenomeno che duemila anni fa era culturalmente dominante: i Vangeli stessi sono – a detta di Rudolf Steiner – gli ultimi resti della Gnosi. Gnosi è conoscenza spirituale: gnîsij (ghnosis) – da gignèskw (ghighnosco) – in greco significa conoscenza e si riferisce soprattutto alla conoscenza dei mondi spirituali. La Gnosi è l’ultimo resto di una rivelazione antichissima conferita all’umanità, e il Nuovo Testamento è l’ultimo resto delle conoscenze gnostiche, prima che si spegnesse del tutto la capacità di comprendere lo spirituale. Dalla grazia, dalla rivelazione operata dal divino stesso per impartire all’umanità un orientamento evolutivo, si trapassa alla nostra povertà spirituale, unico impulso autonomo per la riconquista in proprio di ogni conoscenza.

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli»[43] troviamo nelle traduzioni. In greco c’è scritto: «Mak£rioi ptwcoˆ pneÚmati Óti aÙtîn ™stin ¹ basile…a tîn oÙranîn (Makárioi oi ptochoì to pneúmati óti auton estìn e basileía ton uranon)». Mak£rioj (makários) significa colui che ha raggiunto la pienezza; ptwcoj (ptochos) corrisponde all’italiano pitocco, cioè mendicante. Sono nella pienezza dell’umano coloro che si fanno mendicanti dello spirito. Per essere mendicanti veri bisogna aver perso tutto, bisogna rendersene conto e bisogna prendere la decisione di ricercare ciò che si è perso.

Questa prima beatitudine, quindi, esprime in modo lapidario il senso globale del divenire: è stato necessario perdere la dote iniziale divina della grazia, tutte le ricchezze ataviche dello spirituale, è stato necessario diventare poveri nel proprio spirito. La povertà riguarda lo spirito, non la materia: l’indigenza o la ricchezza in senso materiale duemila anni fa erano cose poco importanti.

Poveri, mendicanti dello spirito, lo si diventa quando si è perso il senso di ogni rivelazione.

La ricchezza, la pienezza dell’umano è quella che, a partire dall’amore, dalla gioia evolutiva, decide di riconquistare i mondi dello spirito individualmente e liberamente.

«Il regno dei cieli subisce violenza e soltanto coloro che gli fanno forza lo conquistano»[44] è una frase del Vangelo. In altre parole, il regno dei cieli si apre soltanto a chi ci vuole entrare per forza propria, non si dona più a chi resta solo passivo perché la grazia, da sola, non comprende la libertà. Però è allo stesso tempo una somma infinita e profondissima di grazia il fatto che tutte le condizioni necessarie alla libertà siano profuse nella vita quotidiana attimo dopo attimo, e che tutti i fattori cosmici siano architettati in modo tale che giornalmente a ciascuno di noi sia possibile la libertà.

Il concetto di grazia permane, dunque, nella seconda parte dell’evoluzione, ma cambia totalmente:

• nella prima parte la grazia conduce l’uomo secondo rivelazione e suscita atteggiamenti più passivi, di fede, di affidamento;

• dall’evento del Cristo, invece, il carattere della grazia diventa ancora più complesso e profondo perché acquisisce un’altra natura, perché vuole diventare, nella coscienza umana moderna, la vicenda tutta da decifrare del karma,[45] del destino di ognuno di noi. L’intreccio degli incontri della vita, gli eventi nei quali siamo immersi e che muovono verso di noi come provenendo dal futuro, le forme e le fisionomie degli esseri che costituiscono la scena esteriore e interiore delle nostre giornate, tutto questo chiede di essere compreso nell’esercizio infinito della nostra libertà. Così opera la nuova grazia: non ci costruisce né ci determina ma attende il gesto umano della gratitudine, il solo che sia intriso di quelle forze di conoscenza e di amore capaci di percorrere il cammino di resurrezione. Questa è la pienezza della grazia.

L’undicesima ora

La Gnosi era dunque l’ultimo residuo della conoscenza spirituale nell’undicesima ora del divenire, prima che l’umanità diventasse del tutto povera nei confronti dei tesori dello spirito. E il Cristo scende sulla Terra proprio allora, per poter trovare almeno alcuni iniziati – gli evangelisti, per esempio – che potessero comprendere l’essenza dell’evento. Il Risorto si serve proprio dei concetti della Gnosi, dopo la resurrezione, come veicolo di comunicazione per far comprendere ai discepoli più intimi e avanzati il mistero dell’incarnazione del Verbo.

Va detto che questi discepoli non sono da identificare con la cerchia dei dodici apostoli, i quali costituiscono come lo Zodiaco umano che assiste alla svolta dei tempi e si prepara al nuovo: io penso che dovremmo immaginare un nucleo ancora più ristretto, un settenario di grandi iniziati come Nicodemo, Natanaele, Giuseppe d’Arimatea, il cieco nato,[46] la madre di Gesù, Giovanni-Lazzaro (iniziato dal Cristo stesso), Maria Maddalena, Marta… A questi sette il Risorto ha affidato i misteri più profondi che poi non sono stati tramandati direttamente nella tradizione semi-esoterica e semi-exoterica dei vangeli.

La Gnosi, per esempio, dice Rudolf Steiner, sapeva ancora riferirsi agli Esseri che hanno accompagnato l’umanità quali primi maestri e che poi si sono ritirati quando il corpo lunare si separò.[47] Essi non si incarnavano mai a livello fisico, ma unicamente al livello eterico e astrale dell’uomo: essi ci hanno offerto la prima rivelazione di cui parla anche la tradizione cristiana quando si riferisce all’Adamo che conosceva i misteri di Dio prima della caduta.

Queste pur poderose premesse conoscitive degli gnostici, orientate ancora al rapporto antico, distaccato e paterno del mondo spirituale nei confronti dell’uomo, erano comunque il segno che la capacità di comprendere la venuta del Verbo era minima nell’umanità, quando il Cristo si è incarnato.

D’altra parte, se il Cristo fosse venuto cinquemila, ottomila anni prima, quando fioriva nell’umanità l’antichissima cultura indiana – così vicina allo spirito e così poco terrena – sarebbe mancata la giusta corporeità per la sua incarnazione. Quindi l’evoluzione doveva attendere che il corpo fisico umano diventasse più affine alla Terra, che l’umanità si inserisse più profondamente nella materia cosicché realmente la materia stessa, tramite l’uomo, potesse partecipare all’evento di redenzione.

Ma quando ci fu la corporeità materiale adatta per l’incarnazione del Verbo, non c’erano più le conoscenze spirituali per comprenderla. Questo è il senso dell’undicesima ora: se il Cristo avesse atteso ancora duemila anni o oltre, la corporeità sarebbe diventata troppo dura, troppo inserita nei meccanismi del determinismo di natura, e non avremmo avuto nemmeno gli ultimi barlumi per un avvio alla comprensione del mistero di tutti i misteri.

Il tragico e pur necessario oscuramento del rapporto conoscitivo umano coi mondi spirituali, nella cui morsa ancora siamo, Dante l’ha dipinto come la «lacuna dell’universo»,[48] come il punto infimo dove l’essere umano assume e subisce massimamente le leggi di fissità e di gravità della materia. È la fase media dell’evoluzione, l’abisso da saltare tra il passato e il futuro, tra la discesa e la risalita. Lo slancio, l’impulso per questo salto può sorgere soltanto dall’intima forza dell’Io libero di ognuno di noi.

«Tu sei Pietro, e su questa pietra…»

All’undicesima segue dunque la dodicesima ora, l’ultima, quella di Pietro, quella del cristianesimo petrino[49], dove l’umanità intera scende nei recessi più profondi e minerali della materia, portando in sé, come un seme silenzioso e incompreso, l’evento sommo dell’undicesima ora.

«Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa»:[50] su questa pietra io fondo ciò che di me sarà compreso nel periodo più oscuro dell’evoluzione, quando l’umanità vorrà ancora incontrare il divino muovendo dalle forze del gruppo. Chiesa è gruppo. Ma il Cristo, l’Io Sono, ha portato nell’undicesima ora le forze dell’Io libero e autonomo, e da quel momento in poi sarà concesso di entrare nei mondi spirituali non più per via estatica ma unicamente attraverso le forze di un pensare rigenerato.

L’errore dell’istituzione-Chiesa è stato, ed è ancora oggi, quello di ritenere definitivo e culminante il suo ministero. Così essa perde il senso evolutivo e non coglie il limite del suo compito, che era proprio quello di offrire se stessa quale luogo petrino dove compiere la sepoltura di ogni tradizione misterica, preservando al contempo nel cuore degli uomini, nella forza senziente dell’anima di gruppo, il ricordo del mondo spirituale.

Cosa vuol dire, infatti, che c’è più festa in cielo per la pecorella singola smarrita e ritrovata, che non per le novantanove rimaste nel gregge e che non si sono mai smarrite[51]? Le novantanove sono le anime che fanno gruppo (chiesa), la pecora smarrita è l’individualità che comincia a diventare autonoma.

Questo brano evangelico si conclude con queste parole: «Così il Padre vostro, che è nei cieli, non vuole che si perda neppure uno solo di questi piccoli». Chi sono i piccoli? I piccoli sono gli Io umani, scintille dell’Io del Cristo, fratelli di Cristo, gli ultimi edificati nel processo evolutivo dell’archetipo umano (dopo le dimensioni del corpo fisico, dell’eterico e dell’astrale). «In verità io vi dico: ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me»:[52] ciò che farete per la pienezza dell’Io in voi e nel fratello, sarà il gesto dell’Io Sono della nuova evoluzione.

Le tre dolorose domande del Cristo

Ha fatto parte dell’esperienza incarnatoria del Cristo imparare direttamente cosa voglia dire per l’umanità subire la potenza della realtà vissuta dal lato della materia. Steiner parla di un triplice livello di comprensione[53] che il Cristo avrebbe in un certo senso scandagliato per vivere fino in fondo l’ottenebrazione umana di fronte ai misteri dello spirito. Egli dovette chiedersi:

• Cosa possono comprendere di me i romani?

Cosa possono comprendere di me i capi dei giudei?

• Cosa possono comprendere di me i discepoli?

Potremmo formulare così i tre quesiti ai quali il Cristo dovette dare risposta. Una risposta negativa e dolorosa.

1. Quale verità avrebbe dovuto comprendere Pilato, governatore romano, di fronte al Cristo? La verità è la capacità di immergersi nei misteri del reale incontrandone la sostanza spirituale[54]. Solo con questa forza Pilato avrebbe potuto capire chi gli stava davanti come verità sostanziale nel mistero del Verbo: «Ecco l’uomo» IdoÝ Ð ¥nqrwpoj (idù o ánthropos).[55] Quanto piene di verità sarebbero state queste sue parole, se realmente Pilato si fosse reso conto di avere davanti a sé il paradigma dell’umano! Ecco l’Uomo.

Eppure, dice Steiner, dal punto di vista dell’evoluzione la romanità poteva essere in grado – anzi, sarebbe stato suo compito – di comprendere almeno un aspetto del grande evento che stava segnando la storia: il destino del popolo ebraico. Attraverso il Cristo, deriso come «Re dei Giudei», si presentava al mondo il compimento della missione del popolo ebraico.[56] Quel popolo eletto, custodito per secoli e secoli come in una serra, protetto dagli impulsi dei popoli circostanti perché mantenesse intatto il suo particolare rapporto col Dio Padre tramite la Legge rivelata a Mosè, al tempo dell’evento del Cristo doveva iniziare la sua diaspora per donare a tutta l’umanità il compimento della Legge stessa, e la buona novella che dice: ognuno è chiamato a essere Mosè che comunica direttamente col divino.

È questo il senso esoterico della diaspora: nell’evoluzione ogni elemento nuovo deve prima essere coltivato nella separazione, perché si esprima come perfetta distinzione rispetto a ciò che lo precede; poi il nuovo gradino evolutivo raggiunto deve diventare patrimonio di tutta l’umanità. Questa universalizzazione dell’elemento giudaico il mondo romano avrebbe potuto comprenderla se avesse avuto il coraggio di capire (ma «Pilato ebbe ancor più paura» [Gv 19,8]) che il Messia di cui parlava la sapienza giudaica era lì non per essere il Re dei Giudei ma per accompagnare tutta l’umanità, fino alla fine dei tempi. Pilato insiste, fino all’ultimo, nella sua cecità, e fa scrivere sulla croce: Gesù Nazareno, Re dei Giudei.

2. Ai capi dei Giudei l’evoluzione chiedeva di comprendere qualcosa di più: che quel Cristo Gesù era il Figlio di Davide, era il Messia tanto atteso. Nel Vangelo di Marco c’è un passo dove è espresso in modo chiarissimo e profondamente artistico che questo riconoscimento era possibile e il Cristo stesso lo domandava:

«E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno cominciò a gridare e a dire: ‹Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!›. Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: ‹Figlio di Davide, abbi pietà di me!›. Allora Gesù si fermò e disse: ‹Chiamatelo!›. E chiamarono il cieco dicendogli: ‹Fatti coraggio, alzati, egli ti chiama!›. Il cieco, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne a Gesù. E Gesù gli disse: ‹Che vuoi ch’io ti faccia?›. Il cieco gli rispose: ‹Maestro, ch’io veda›. Allora Gesù gli disse: ‹Va’, la tua fede ti ha salvato›. E subito riacquistò la vista e cominciò ad accompagnarsi con Gesù».[57]

Rudolf Steiner sottolinea come questo cieco sia in realtà l’unico a vedere perché comprende che il Cristo Gesù è il Messia (il figlio di Davide) e che in lui tutta la tradizione giudaica trova il suo compimento. Al contempo, questo stesso episodio mostra quanto poco il Cristo fosse riconosciuto. I capi dei giudei, i sommi sacerdoti – i veri ciechi – decidono di mandare a morte colui che rappresentava la vita somma e complessiva dell’impulso ebraico nel seno dell’umanità, perché volevano ancora difendere il loro privilegio, inteso come vanto particolare del popolo eletto.

3. Ai discepoli, infine, il Cristo e l’evoluzione chiedevano una comprensione ancora più alta, quella capace di elevarsi al livello cosmico. Da quei discepoli che gli erano stati accanto per ben tre anni nella vita pubblica, il Cristo poteva aspettarsi che avrebbero vissuto e riconosciuto in lui non soltanto il Re dei Giudei, non soltanto il Messia, figlio di Davide, ma l’Essere solare che tornava alla Terra.

Verso la fine del Vangelo di Marco si vede, con un’evidenza che può commuovere i recessi della mente e del cuore, come il Cristo chieda più e più volte ai suoi discepoli di destarsi alla dimensione divina e cosmica dell’Essere solare che, all’approssimarsi del Golgota, stava per assumere totalmente in sé la dimensione umana.

Cercava, il Cristo, di condividere con i discepoli il mistero immenso che l’umano e il divino stavano ridiventando commensurabili, e che sarebbe stato compito di tutta la seconda parte dell’evoluzione avverare e svelare questa nuova geometria cosmica, a partire dalle forze dell’Io Sono offerte nella Passione all’umanità ancora ignara.

Il Cristo desiderava che i discepoli avessero almeno un barlume di comprensione per intuire che in lui il divino, dal quale l’umano si era del tutto estraniato, ritornava nella Terra per rendere possibile la divinizzazione dell’uomo stesso. E il Cristo dovette conoscere e accettare che anche questa comprensione non c’era e non ci poteva essere. Il Cristo risponde a Giovanni e Giacomo (suoi apostoli e figli di Zebedeo) che gli chiedevano di poter sedere nella sua gloria, uno alla destra e l’altro alla sinistra: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete voi bere il calice che bevo io, o essere battezzati col battesimo col quale io sono battezzato?».[58]

Nell’orto del Getzemani il Cristo sperava che i suoi discepoli potessero vegliare con lui, potessero essere desti nella coscienza di fronte a quanto stava per compiersi al cospetto del cosmo: «Tornato indietro li trovò addormentati e disse a Pietro: ‹Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole›. Ritornato, li trovò addormentati perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne la terza volta e disse loro: ‹Dormite, ormai, e riposatevi! Basta, è venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’Uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori› ».[59]

E chi sono i peccatori? Sono coloro che non riconoscono il nuovo impulso dell’Io. Nel Nuovo Testamento quando si parla di peccato non lo si presenta mai in termini di commissione, ma di omissione: con l’avvento delle forze della libertà, per peccato si può soltanto intendere la responsabilità di aver mancato la realizzazione dell’Io autonomo.[60]

«Quando verrà il Figlio dell’Uomo nella sua maestà, con tutti gli Angeli, si assiderà sul trono della sua gloria […] Allora il re dirà a quelli che sono alla sua destra: ‹Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi sino dalla creazione del mondo. Perché Io avevo fame e mi avete dato da mangiare, Io avevo sete e mi avete dato da bere, Io ero pellegrino e mi avete accolto, Io ero nudo e mi avete rivestito, Io ero infermo e mi avete visitato, Io ero carcerato e siete venuti a trovarmi›. […] Infine dirà anche a quelli che saranno alla sua sinistra: ‹Andate lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per gli angeli suoi. Perché Io avevo fame e non mi avete dato da mangiare, Io avevo sete e non mi avete dato da bere, Io ero pellegrino e non mi avete accolto, Io ero nudo e non mi avete rivestito, Io ero infermo e carcerato e non mi avete visitato› ».[61] Il male è l’omissione del bene.

L’accento messo sui peccati di commissione appartiene a un gradino infantile dell’evoluzione umana, che precede la libertà. L’Essere dell’Amore è venuto per trasformare la morale negativa – tu non devi! – in una positiva: tu puoi, tu sei capace, tu vuoi. Il Cristo non è venuto a comandare o a proibire, bensì a offrire: egli offre a ogni uomo la libertà. La sua offerta è stata però dapprima di nuovo afferrata come un comandamento: «Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34). La parola greca che qui viene tradotta con comandamento è ™ntol» (entolé). Si tratta di una variazione della parola tšloj (télos) che significa meta, fine, e risale a una forma verbale (tšllw, téllo) che esprime il tendere verso il proprio fine, quale forza immanente in un essere – per esempio le forze di crescita e metamorfosi che sono proprie del vegetale vivente. L’amore non può essere un comandamento, poiché può scaturire unicamente dalla libertà. Le parole del Cristo in realtà significano: io vi dico in quale modo l’uomo entra dentro (en=dentro) il compimento finale del suo essere (teloj=meta): mediante l’amore. Soltanto l’amore che si fonda sulla libertà può condurre l’uomo alla sua meta, alla sua perfezione, al suo senso.

Un accenno al fuoco eterno, relativo al cosiddetto giudizio universale: nella lingua greca non esiste il concetto di eterno e la parola aiónioj (aiónios) che noi traduciamo con eterno significa invece che dura per un eone, cioè per un intero ciclo evolutivo. Questo ciclo ha un inizio e una fine, e dunque non ha niente a che vedere con il concetto di eternità.

« E il Verbo si è fatto carne»

Di fronte a questa tenebra conoscitiva dell’umanità a livello storico, a livello delle Sacre Scritture e a livello cosmico possiamo chiederci: che cos’era, allora, la Gnosi?

La Gnosi costituiva, come ultimo residuo delle tradizioni misteriche, una conoscenza dei mondi spirituali complessissima, ma in un certo senso anche caotizzata: erano confluiti in essa molteplici e parziali aspetti di varie correnti sapienziali che non si comprendevano più, o si comprendevano soltanto in parte. Questo faceva sì che nella Gnosi si evidenziasse una difficoltà fondamentale di fronte all’incarnazione del Verbo: come può il Figlio di Dio, l’Essere cosmico solare, assumere veramente la natura umana in modo da viverne tutte le vicende, compresa la morte? Il concetto che si facevano gli gnostici del Verbo cosmico era così sublime, così alto e spirituale che la maggior parte di loro non riusciva ad accettare l’affermazione fondamentale del cristianesimo: «Il Verbo si è fatto carne».

Il prologo del Vangelo di Giovanni è, per un verso, come un concentrato di Gnosi dentro i vangeli: ’En ¢rcÍ Ân Ð LÒgoj (en archè en o Lògos). «Nel principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era un Dio. Egli era in principio presso Dio e ogni cosa è stata creata per mezzo di lui».[62] Secondo la Gnosi, di gradino in gradino, attraverso 30 eoni, cioè 30 stadi spirituali diversi, il Logos, il Verbo divino, è sceso fino a inserirsi nella materia.

Se da un lato i primi versi del Prologo di Giovanni sono come un ultimo concentrato della Gnosi, arriviamo poi, al quattordicesimo versetto, a un’affermazione del tutto anti-gnostica: «E il Verbo si è fatto carne».

Dobbiamo allora cercare di rivivere in questi testi le immani lotte spirituali e conoscitive che nella svolta dei tempi sono state vissute dall’umanità: e certamente anche da tutti noi, poiché la reincarnazione è proprio il mistero della nostra stessa evoluzione.[63] Noi e i nostri contemporanei siamo stati incarnati o prima, o dopo, o al tempo stesso dell’evento del Cristo e quindi abbiamo vissuto questa fatica conoscitiva incomparabile, che è tuttora impressa nelle profondità del nostro animo. Cose, queste, che sarebbe molto importante che gli psicanalisti conoscessero quando cercano negli abissi del subconscio: il subconscio, ciò che ancora non affiora a coscienza esplicita, è il portato globale di tutte le incarnazioni passate di ogni essere umano.

Da un lato, dunque, la Gnosi ha conoscenze eccelse dei mondi spirituali e dall’altro lato si scontra con la difficoltà di ammettere e comprendere che il Verbo si è fatto carne, si è fatto uomo, che ha sofferto ed è morto davvero. Il docetismo (da dokšw, dokèo, che significa sembra) è una tradizione gnostica che ha messo alla base dell’evento del Cristo l’affermazione fondamentale che Dio non può morire né soffrire e che quindi il suo dolore e la sua morte sono parvenza. Muore l’essere umano, non l’essere divino.

La dimensione umana del Gesù e quella divina del Cristo restano per gli gnostici due realtà così incommensurabili che non possono compenetrarsi in modo reale: è impossibile che il Dio abbia potuto veramente e umanamente vivere la sofferenza, l’incomprensione e soprattutto la morte, come tutti noi.

Il mistero della lavanda dei piedi

Paolo stesso, prima dell’evento di Damasco, era uno gnostico: dalla tradizione del giudaismo, la sua idea del Messia che dagli spazi cosmici scendeva sulla Terra era così eccelsa che dentro di lui, inizialmente, era esplosa una ribellione viscerale di fronte all’affermazione che il Messia si fosse incarnato in quel Gesù condannato proprio dalla Legge giudaica, poi crocifisso e, cosa inaudita!, morto.

Ma cosa era impossibile per lo gnostico Paolo? Il fatto che l’Essere sommo del nostro universo manifestasse la sua altezza nella lavanda dei piedi, nel chinarsi cosmico per raggiungere l’elemento più basso dell’evoluzione e assumerlo nel proprio Essere. Non è mai troppo ripetere[64] che è proprio questa la capacità reale dell’amore: ciò che è supremo accoglie in sé l’infimo, non resta estraneo a chi è caduto nella voragine delle tenebre.

Il mistero della lavanda dei piedi riguarda ogni essere spirituale, e dunque anche l’uomo: colui che è veramente andato più avanti nell’evoluzione guarda a chi è rimasto indietro con gli occhi del sacrificio e della gratitudine; invece, colui che è rimasto indietro può far valere per sé la consapevolezza di ciò che ha omesso.

Potremmo chiederci: ma allora si progredisce sulle spalle degli altri, a spese degli altri? E chi stabilisce che io debba restare indietro? Queste sono domande poste dal punto di vista sbagliato, perché disattendono una componente essenziale: le condizioni della libertà.

Nella libertà non c’è automatismo: una vera libertà deve essere anche perdibile, omissibile, come dicevamo più sopra. Un uomo rimasto “indietro” non lo è per determinismo: ha scelto diversamente, non è andato avanti. Questa sua libera omissione – e qui è la difficoltà del mistero – riguarda però l’umanità intera: coloro che progrediscono nel cammino evolutivo se ne rendono conto e assumono la dimensione animica della corresponsabilità, del debito, della compassione. Nel nostro cammino non ci sono esseri umani condannati a rimanere indietro: ci sono esseri che vanno avanti attuando le forze libere dell’Io e così si rendono capaci di sacrificio verso coloro che non hanno colto le occasioni evolutive, lasciandole, in un certo senso, a loro disposizione.

I nostri moralismi ci impediscono di penetrare nella saggezza del procedere cosmico: l’esoterismo ci dice che l’essere spirituale delle piante, per esempio, gioisce vivendosi come sostrato per il cammino umano! Il grano non dice: «L’uomo vive a spese mie e mi frantuma!». Sarebbe come se l’umanità dicesse del Cristo: «Guarda, questo Essere ci vuol redimere e prende su di sé noi e tutta la Terra. Progredisce a spese nostre». Nel cosmo non ci sono spese: c’è amore, c’è donazione.

Il mistero della lavanda dei piedi va portato fino in fondo, fino alle conseguenze ultime dell’evoluzione della libertà quando nell’abisso della Bestia dell’Apocalisse[65] precipiteranno coloro che hanno dissolto la loro stessa possibilità di libertà. Non dobbiamo perciò parlare di esseri umani “dannati” che finiscono nell’abisso, ma di esseri che hanno terminato di essere umani perché, omettendo di vita in vita l’attuazione delle forze dell’Io, hanno disfatto la propria umanità.

Si presenta qui uno dei compiti più ardui del pensiero: come esseri umani, allora, essi spariranno nel nulla? No. Saranno sostanzialmente presenti nel ricordo e nell’esperienza di privazione dei “buoni”. La realtà sostanziale degli uomini caduti nell’abisso della Bestia sarà il fatto che i fratelli che hanno compiuto l’evoluzione nella direzione solare sentiranno dolorosamente la loro mancanza, sentiranno che il corpo mistico del Cristo non è completo.

Coloro che hanno distrutto la propria umanità avranno un frammento di umanità riflessa, perché saranno in grado di contemplare la pienezza e la privazione dei “buoni”. E questa sarà la loro identità. L’amore cristico, il ricordo vivo nei fratelli rimembrati sarà la loro realtà, una realtà che consentirà un altro ciclo evolutivo di interazione e di parziale redenzione.

Torniamo ora a Paolo: quando, alle porte di Damasco, la luce solare gli sfolgorò dinanzi e una voce disse: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?», Paolo domandò: «Chi sei tu, o Signore[66] perché in quel momento vedeva bene di essere al cospetto del Messia, lo riconosceva come l’Essere irraggiante del Sole. E dunque la sua domanda suona così: Se tu, o Messia, sei già nella Terra, come io adesso vedo, se tu sei diventato la luce della Terra, l’aura della Terra, come vi sei entrato? Attraverso quale cruna dell’ago, attraverso quale porta? E la risposta del Cristo non è «Io sono il Cristo che tu perseguiti», ma «Io sono Gesù che tu perseguiti» (’Egè e„miIhsoàj Ón dièkeij, egó eimi Iesus ón sù diokeis). Ma allora la Luce è davvero entrata nella Terra attraverso quel Gesù di Nazareth morto in croce e condannato dalla mia Legge! – questa è la folgorante verità che Paolo capì sulla via di Damasco.

Il trentunesimo eone

Mancava nella Gnosi la conoscenza concreta del rapporto reale e complessissimo tra Gesù e Cristo: questo è il grande quesito, che poi è diventato anche il grande quesito della cristologia per tutti i secoli successivi e che comincia a essere risolto ai nostri tempi, unicamente in chiave di scienza dello spirito.

Il dramma fondamentale della Gnosi era l’impossibilità conoscitiva di individuare gli elementi di transizione e di ponte tra il divino e l’umano: il divino era diventato del tutto astratto, l’umano era diventato troppo umano. Esisteva agli occhi della Gnosi una realtà materialistica del tutto umana e per nulla divina: a essa contrapponeva una conoscenza del divino ormai svuotata di ogni esperienza iniziatica.

Si erano persi di vista i gradini intermedi tra lo spirito e il corpo: non soltanto il livello del vitale, dell’eterico, ma tutto il mondo astrale, tutta la sfera dell’anima.[67] Proprio queste conoscenze mancavano nell’umanità. Prima del Cristo, negli ultimi tempi, c’erano due grandi correnti misteriche:

• la prima, dove si sarebbe inserito l’Islam dopo il Cristo, era quella dei misteri che conoscevano soltanto la realtà di Dio Padre, quindi una conduzione del cosmo in chiave di grazia, di determinismo e di provvidenza divina. Sull’islamismo apro una breve parentesi: è l’unica cosiddetta religione sorta dopo Cristo, seicento anni dopo, ignorando completamente l’evento del Golgota. L’ispirazione di Maometto, quale appare nel Corano, riporta l’umanità allo stadio evolutivo del Vecchio Testamento. Sia la religione ebraica sia la musulmana sono religioni lunari. In che modo Maometto sia stato in comunione con questa sorgente ispirativa acristica o addirittura anticristica, in che modo si sia lui stesso evoluto dopo la morte, questo resta aperto all’indagine spirituale. Il senso, per il singolo essere umano, di nascere oggi in questo contesto religioso può anche essere la libertà di affrancarsene, di rinnovarlo dall’interno, di sperimentarne positivamente la controforza ecc. La fantasia morale del karma è infinita;

la seconda corrente misterica conosceva il Padre cosmico e sapeva inoltre che il Figlio del Padre stava avvicinandosi sempre di più alla Terra. L’intento del Figlio era di entrare nella Terra per rigenerare tutta l’evoluzione, invertendola e aprendo un varco alla liberazione del dato di natura, come resurrezione della carne. Il primo che annunciò il mistero del Figlio fu Zarathustra, nella cultura paleo-persiana.

La Gnosi riteneva il Padre congiunto, ai primordi, con l’impulso cosmico del silenzio. In un periodo successivo questo silenzio viene rotto attraverso il Verbo: il Padre comincia a parlare, a operare non più in base al silenzio ma per mezzo della Parola. Fluiscono dalla Parola la via del Figlio e quella dello Spirito Santo, da cui si stacca poi, molto più tardi, la Sofia, la sapienza cosmica che procede in un’altra direzione rispetto al Figlio e allo Spirito Santo.

La Sofia, di eone in eone e giù per ben 30 eoni, si avvicina sempre di più al mondo fisico finché da lei si stacca un elemento sapienziale particolare: la Sofia Achamoth. Achamoth in aramaico significa brama. La sapienza cosmica si è dunque intrisa di brama perché si è congiunta con la materia: sorge, allora, il trentunesimo eone. Il nostro mondo, quello che per noi è l’unica realtà, per gli gnostici è solo il trentunesimo eone, quello fuorviato perché sorto in base al congiungersi della Sofia cosmica con la brama, e il cui reggitore è detto Demiurgo.

Della Gnosi abbiamo pochi frammenti che, oltretutto, per la maggior parte sono costituiti da citazioni fatte da coloro che l’hanno avversata. Steiner dice ripetutamente:[68] è come se volessimo conoscere l’antroposofia avendo a disposizione unicamente gli stralci riportati dalla Chiesa cattolica. In chiave di tradizione e di documenti storici è pressoché impossibile conoscere veramente la Gnosi: anche se possono essere di buon supporto i cosiddetti Vangeli Apocrifi, che agli inizi del cristianesimo erano in auge in alcune chiese. Non in tutte, però, e questo li distingue dai quattro canonici ai quali si riconosceva l’ispirazione divina, poiché mettevano al centro l’incarnazione reale del Verbo.

Che gli Apocrifi siano stati poi considerati eretici è un fatto successivo all’anno mille, quale risultante di un cristianesimo fatto di dogmi, di eterodossia e ortodossia, che vedeva nei resti della Gnosi – di cui gli Apocrifi recavano sostanziose tracce – un pericolo da cancellare sistematicamente. Nei primi secoli, però, gli Apocrifi venivano usati in molte chiese come testi concomitanti, in grado di fornire elementi conoscitivi di rilievo.

Per questo si apprezzano in modo particolare le comunicazioni della scienza dello spirito, sempre che si sia interiormente convinti (per autonomo lavoro di pensiero) che Rudolf Steiner avesse la reale capacità di percepire direttamente nel mondo spirituale i fenomeni anche passati, perché nulla è passato nello spirito ma tutto è sempre compresente.

Le descrizioni della Gnosi date da Steiner non sono prese, infatti, dai frammenti storici a disposizione, ma dalla lettura diretta della Cronaca dell’Akasha[69] Libro della vita è il corrispettivo nella tradizione cristiana – e rappresentano una bellissima riconquista dei grandiosi contenuti della Gnosi. La Cronaca dell’Akasha è un’espressione tecnico-esoterica per indicare la dimensione permanente di tutto ciò che si manifesta sulla Terra. Ogni parola, ogni azione, ogni evento della Terra si inseriscono nei mondi spirituali e, anche in minima parte, li trasformano. Questa trasformazione è come una traccia indelebile (akasha in sanscrito significa incancellabile) che può essere “letta” da chi ha gli organi di percezione spirituale aperti. Gli iniziati di ogni tempo hanno sempre percepito e decifrato questa Cronaca.

Il Cristo ci ama perché ci conosce

La dimensione gnostico-conoscitiva tutta nuova della moderna scienza dello spirito rappresenta un grande futuro il cui fulcro sarà il nuovo rapporto tra amore e conoscenza: nel passato la conoscenza umana era gestita dagli Esseri divini e l’amore umano aveva carattere istintivo. Ancora oggi molti difendono a spada tratta l’istintualità dell’amore: cosa c’è di più bello dell’amore materno, o dell’innamoramento tra uomo e donna! Ma non sarebbe ancora più bello se alla forza istintiva – e come tale non libera – di questi incontri così significativi per natura, si aggiungesse la capacità di porsi in comunione con l’Io superiore di questi stessi esseri amati? Il fatto è che la comunione conoscitiva, intuitiva, non nasce da sola: è una conquista (faticosa!) della libertà, perché un amore senza la libertà è un mezzo amore.

L’amore pieno, in avvenire, sarà soltanto quello che sgorga dalla conoscenza vera dell’essere amato, perché se io non lo conosco amo soltanto, egoisticamente, il mio stesso amore che si bea di quello che sente. La maggior parte di ciò che oggi viene descritto come amore umano è amore del proprio amore: perché sia veramente amore deve presupporre la conoscenza oggettiva dell’altro. Al contempo, una conoscenza che non sfoci nell’amore non è una vera conoscenza: se conosco realmente l’altro non posso che amarlo. L’amore è una conseguenza della conoscenza.[70]

Il mistero stesso della creazione è un mistero di conoscenza e di amore: il Logos è la logica dell’evoluzione, è il pensiero che dischiude un ciclo evolutivo. Il Verbo, il Logos, l’idea che è nel Padre cosmico viene espressa perché viene amata: il Padre parla e le sue parole sono esseri.

Possiamo pensare che il Cristo ci abbia amati senza conoscerci? Nel Vangelo di Giovanni il Cristo è il Logos, e proprio perché è il Logos è anche l’Essere dell’Amore. Se il Cristo non avesse conosciuto la natura umana – ecco la necessità di sperimentarla in proprio! –, se non avesse avuto l’intento conoscitivo, non avrebbe potuto amarla. Se non avesse avuto la minima idea di cosa provi un uomo di fronte alla morte, non avrebbe potuto sperimentare la resurrezione, quel bene sommo che sarà conquista di tutti noi, l’atto d’amore più alto che si possa immaginare.

L’uomo è il pontefice cosmico

«Il Verbo si è fatto carne» è nello stesso tempo superamento e compimento della Gnosi nel prologo di Giovanni, che vede di eone in eone l’avvicinarsi del Figlio cosmico alla Terra per congiungersi con la Sofia intrisa di brama. Ma per comprendere tutto questo occorre una scienza dello spirito adatta alle forze dell’anima cosciente, cioè dell’anima moderna.

Noi viviamo ora nel cosiddetto periodo dell’anima cosciente:[71] dopo aver costruito dentro di noi le forze dell’anima senziente (la capacità di reagire alle sensazioni) nel periodo egizio-caldaico, e quelle dell’anima razionale (la capacità intellettuale di cogliere i nessi fra le cose) durante tutto il periodo greco-romano, si tratta ora, già a partire dal quindicesimo secolo, di costruire le forze dell’anima cosciente. L’anima cosciente è la reale capacità dell’anima nostra di mediare tra il puro spirituale e il puro materiale: è sperimentare coscientemente il modo concreto e oggettivo in cui lo spirituale diventa materia e la materia diventa spirito.

L’intento di Rudolf Steiner è proprio quello di rendere concreto, attraverso i passaggi intermedi, il modo in cui lo spirito si incarna e il modo in cui la carne celebra la sua resurrezione nello spirito. Anzi, la scienza dello spirito è essa stessa la mediazione reale, pratica, tra spirito e materia. Che cos’è l’essere umano? È la mediazione tra lo spirito del cosmo e la materia del cosmo: in questo senso la scienza dello spirito, o antroposofia, è una riconquista della nostra umanità.

L’essere umano è il pontefice cosmico, è colui che getta il ponte – un ponte di conoscenza, di amore e di trasformazione – tra lo spirito dell’universo e l’infima lacuna della Sofia intrisa di brama. Così l’uomo scopre, attraverso quest’opera creatrice e libera, che la brama vera di ogni elemento materiale è quella di ritornare verso lo spirito. La grande mediazione tra lo spirituale e il corporeo è l’anima: perché l’uomo, come il cosmo, è trino, appartiene cioè alla sfera fisica, a quella animica e a quella spirituale.[72]

La Trinità nell’anima umana

Il Padre ha sempre rappresentato nel cosmo umano la forza, l’onnipotenza. Padre è l’operare divino nel mondo della natura, nella fissità e nel determinismo della realtà fisica-visibile (pater-petra: in latino la parola è quasi la stessa). Padre è la potenza magica che imprime leggi alla materia e suscita l’incantesimo dei regni minerale, vegetale e animale dove nulla è libero ma tutto è determinato. Padre è per l’uomo la sua corporeità e quella del cosmo. Il Padre è la somma del volere del cosmo.

Lo Spirito Santo, in una sorta di polarità col Padre, è l’onniscienza, la pienezza cosmica della sapienza, della saggezza puramente spirituale del pensare.

PADRE

SPIRITO SANTO

onnipotenza

onniscienza

corpo

spirito

volere

pensare

Il Figlio è nel mezzo e non pone nel nostro cosmo impulsi di potenza e neppure di sapienza: il suo compito è il mistero dell’amore, che è l’altra faccia della libertà. E vediamo cosa significa: dove c’è l’onnipotenza del Padre non ci può essere libertà perché l’onnipotenza causa direttamente ogni cosa ed esclude ogni altra volontà che possa operare in modo autonomo. Anche dove c’è l’onniscienza è impossibile la libertà perché tutto è pre-saputo, pre-conosciuto, pre-visto. È il prevedere assoluto della Provvidenza divina.

Rudolf Steiner dà a questo proposito delle indicazioni illuminanti e dice: il Padre ha rinunciato nel Figlio alla sua onnipotenza per creare nell’anima umana una sfera di libertà nell’amore; e anche lo Spirito Santo ha rinunciato nel Figlio all’onniscienza per creare nell’anima umana spazi di libertà nell’amore.

Perciò il mistero del Figlio nella nostra anima è un mistero di impotenza e di follìa.

PADRE

SPIRITO SANTO

onnipotenza

onniscienza

corpo

spirito

volere

pensare

FIGLIO

impotenza e follìa

anima

amare

possibilità della libertà

In questa visione scientifico-spirituale il Figlio è l’Essere della Libertà e dell’Amore che fa dei fondamenti paterni del cosmo la condizione necessaria per l’esercizio della libertà, che fa di quella natura già strutturata il punto di partenza per invertire la direzione evolutiva dal determinismo alla libertà. Nel nome del Figlio ogni determinismo diventa possibilità di libertà, perché egli non dà la libertà, non la regala: la rende possibile nella sfera dell’anima.[73]

Lo Spirito Santo è infine l’attuazione della libertà, il suo avveramento da parte dell’Io umano. L’uomo non può parlare dello Spirito Santo come di una divinità esterna a sé e incombente (onnisciente): lo Spirito Santo non è altro che l’esperienza spirituale del Figlio in ognuno di noi, dell’Io Sono in ognuno di noi. Questa esperienza – possibile, non necessaria – non è imposta dall’esterno ma è vissuta nell’interiorità del singolo. È la realizzazione dello spirito intuitivo e individuale di ognuno di noi.

Bisogna dunque riconquistare conoscitivamente i misteri dell’anima per comprendere in che modo nel Cristo Gesù il divino e l’umano si siano compenetrati in modo intimo e assoluto. È stato lunghissimo il percorso per giungere a questo evento sconvolgente: la potenza e la sapienza cosmiche l’hanno affidato all’amore libero del Cristo, Signore del mondo dell’anima, rinunciando così nell’anima umana all’onnipotenza e all’onniscienza.

Perché? Proprio per far sorgere nell’interiorità umana la potenzialità di libertà. Dove la potenza diventa impotenza e la sapienza diventa follìa, nasce l’amore. E l’amore, per natura sua, apre alla libertà. Dai primordi il Cristo opera nell’universo umano – e ne vedremo ora i passi – perché nella nostra anima possano sorgere le forze capaci di invertire l’evoluzione così che l’Io umano, alla fine dell’evoluzione, riconsegni al Padre il cosmo fisico liberato e umanizzato e riconsegni allo Spirito la sapienza, la Sofia liberata.

La forza della compassione

La dimensione mediana del Cristo, la sua opera mediatrice, si manifesta anche nella compassione animica per le vicende umane che gli dà la possibilità di accompagnare realmente tutta l’umanità. L’esperienza vera e propria della paura, dell’abbandono, la fa il Gesù, non la può fare direttamente il Cristo: ma il Cristo si è conquistata la capacità di co-esperire totalmente l’umano grazie alla compassione, e questa è cosmicamente una realtà. Possiamo persino, per meglio comprendere, tentare un’analogia al nostro livello di vita: se due persone si amano profondamente e una delle due vive un grande dolore, cosa vive l’altra? L’amore le consentirà l’esperienza della compassione, cioè dell’entrare nella sofferenza dell’altro come se fosse la sua.

L’Essere solare ha moltiplicato in sé all’infinito il dolore umano del Gesù, così come un adulto può straziarsi di fronte alla sofferenza del suo bambino. Il mistero dell’amore e della compassione certamente noi lo viviamo a livello incipiente, perché è ancora minima la nostra capacità di immedesimazione: il futuro dell’evoluzione sta nel fatto che le preoccupazioni dell’altro diventeranno sempre più le mie, e la sua infelicità sarà sempre più la mia.

Gesù di Nazareth va capito, dunque, come un mistero di mediazione, di altissima congiunzione animica tra il puramente divino e il puramente umano. Era questo che la Gnosi non poteva comprendere e, in fondo, è la stessa incomprensione del cristianesimo che ha sempre sottolineato, in modo unilaterale e anticristico, la trascendenza di Dio, la sua alterità, mai l’immanenza.

E come per capire il Cristo dobbiamo riconquistare il concetto reale “dell’inumanarsi”, così non dobbiamo dimenticare che a sua volta l’umano è in grado di ampliarsi per far posto al divino, è in grado di “indiarsi”: soltanto quando abbiamo le due chiavi di lettura possiamo cominciare a capire.

Se partiamo dal presupposto che la realtà umana è costante e non passibile di divinizzazione, allora l’evento del Cristo si compie per sola riduzione del divino all’umano, per sola grazia. Proprio questo afferma il cristianesimo tradizionale, che è rimasto perciò ancorato a una dualità insolubile tra spirito e materia, tra Dio e uomo, e il luogo della mediazione è stato misconosciuto.

Nella scienza dello spirito l’uomo riedifica e ricompone se stesso con le forze del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che sono la sua stessa sostanza corporea, animica e spirituale. Il Figlio divino si è unito con l’anima di ogni essere umano per trasformarla in un luogo d’incontro tra il corporeo della Terra e lo spirito del cosmo.

è vergognoso, folle e impossibile: dunque è vero

I misteri fondamentali e più decisivi, il Cristo li ha potuti comunicare soltanto ai più intimi e solo dopo la sua esperienza della morte. È interessante osservare come tutte le cose che il Cristo ha detto prima della crocifissione vengano esposte nei vangeli con una certa abbondanza, proprio perché provengono dalla fonte dei Dodici e non dagli iniziati ancora più progrediti. I vangeli, infatti, diventano del tutto parsimoniosi quando si tratta della resurrezione.

Il Risorto è rimasto fra gli uomini quaranta giorni prima della cosiddetta Ascensione al cielo, e in quei quaranta giorni ha comunicato tante cose alle poche persone in grado di comprenderle. Di queste grandi rivelazioni nei vangeli ci sono soltanto accenni minimi. L’intento del Risorto, il fulcro del suo ammaestramento dopo la resurrezione, era proprio quello di far capire cosa lui stesso aveva vissuto e compreso passando attraverso la morte. In altre parole, la vera vittoria sulla Gnosi, la soluzione del suo grande dilemma conoscitivo, avvenne proprio grazie al modo concreto in cui il Verbo cosmico narrava il suo passaggio attraverso la cruna dell’ago della morte umana.

Il Risorto poteva esprimere queste esperienze animiche della paura, dell’abbandono, della solitudine, soltanto dopo averle fatte, perché soltanto così erano diventate per lui reali: congiungendosi attraverso le forze animiche della compassione con l’esperienza umana di fronte alla morte, poteva dire in che modo la morte viene vissuta quando alla dimensione umana si aggiunge quella divina. Ecco l’unicità di questa morte. È l’unica morte, finora, che sia stata vissuta dall’uomo e dal Dio: dall’Essere divino dentro l’essere umano.

Ci troviamo qui di fronte a esperienze che esulano da ciò che gli uomini, al loro gradino di evoluzione, potevano allora comprendere: ecco perché il Cristo non poteva esporle a tutti. Non avrebbero capito quasi nulla neanche i dodici apostoli. Soltanto in alcuni – in Giovanni-Lazzaro per primo – c’erano i presupposti per comprendere almeno qualcosa del modo in cui il Dio trasforma, penetrandola, la morte in resurrezione.

Per l’essere umano ordinario o c’è la morte, e allora non c’è la resurrezione, o c’è la resurrezione e allora non c’è realmente la morte. Compaginare questi due misteri in un’unica esperienza che non smarrisca né l’uno né l’altro, è proprio il compito di tutta la seconda parte dell’evoluzione, compito non soltanto morale ma anche conoscitivo. «I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno»:[74] l’esperienza del morire di ciò che è fisico-materiale diviene una cosa sola col risorgere reale di un cosmo nuovo spirituale.

Un altro esempio di come le forze conoscitive della Gnosi, pur essendo le più alte ai tempi del mistero del Golgota, fossero comunque esangui e abbisognassero di un lievito del tutto nuovo, lo troviamo in alcune indicazioni che Steiner dà a proposito di Tertulliano, vissuto circa due secoli dopo Cristo. Egli dice: ciò che Tertulliano ha scritto, e che costituisce un grande passaggio conoscitivo verso la “cristificazione” della Gnosi, gli è stato possibile scriverlo perché la sua fonte ispirativa erano gli apostoli stessi dopo la loro morte.

Benché Tertulliano abbia immesso nei suoi scritti molto del suo temperamento estremamente passionale e collerico (ci ha lasciato dei testi di fuoco contro i romani che perseguitavano i cristiani), benché molti contenuti siano oscurati dal suo elemento egoico, tuttavia, se noi fossimo in grado di sceverare da tutto questo la sorgente vera della sua ispirazione, arriveremmo agli apostoli stessi che dai mondi spirituali lo illuminavano.

Abbiamo in Tertulliano una specie di riflesso sulla Terra del modo in cui specialmente i Dodici, uniti al Risorto dopo la loro morte, pervenivano a una comprensione sempre più alta di come il Verbo si fosse veramente congiunto (antignosticamente congiunto) con la natura umana, così da viverla e assumerla totalmente in sé.

Cosa dicono gli apostoli a Tertulliano? Che la compenetrazione del divino nell’umano e dell’umano nel divino rappresenta per il nostro pensare decaduto uno stravolgimento, una verità impossibile da comprendere. Tertulliano riassume il tutto in tre frasi, che poi saranno completamente fraintese dalla tradizione cristiana

1. Crocifisso fu il Figlio di Dio, non ce ne vergogniamo proprio perché è vergognoso.

2. Morto è il Figlio di Dio: è del tutto credibile proprio perché è folle.

3. Sepolto e risorto è Lui: è certo e sicuro proprio perché è impossibile.

Devono avere un significato molto profondo queste tre affermazioni! Egli intende dire: il pensare umano, anche quello gnostico, nella fase mediana dell’evoluzione è così degenerato che non è più in grado di comprendere il divino, e perciò l’umano e il divino si sono del tutto separati diventando due realtà estranee. E la Gnosi parla proprio dal lato del Dio, maestosamente staccato dall’uomo.

L’affermazione fondamentale del cristianesimo vero e dei dodici apostoli dopo la loro morte è che invece il divino e l’umano sono del tutto commensurabili: che non soltanto è possibile che il Cristo si congiunga con la vicenda umana e la viva dentro di sé, ma che ciò è anche realmente avvenuto.

Tertulliano si esprime per paradossi – ci sono tanti paradossi anche nei vangeli: «Gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi»;[75] «Chi perde la sua anima la trova e chi non la vuol perdere la perde»[76] – e proprio per tirare le ultime somme della Gnosi dice:

1. che il Figlio di Dio sia stato crocifisso è obbrobrioso, vergognoso, vituperevole: essere cristiani significa dunque trovare il coraggio morale di ciò che perfino agli occhi delle Gerarchie celesti appare vergognoso. Gli Angeli, gli Arcangeli, non sarebbero stati capaci di immergersi nella sofferenza umana e nella sua tenebra fino a venir crocefissi. Il Cristo, invece, ha compiuto e amato il gesto incarnatorio e ha dimostrato a tutte le schiere celesti che ciò che per loro era biasimevole – lo sporcarsi di umanità – per lui è stato l’impulso più degno.

I pagani (e quindi anche la tradizione gnostica) dicono che è una cosa obbrobriosa credere a un Dio crocifisso nel dolore: proprio per questo per noi non è obbrobrioso e non ce ne vergogniamo. In questa prima affermazione di Tertulliano siamo di fronte al mistero del sentimento, a ciò che vive nell’animo umano come attrazione e repulsione, come bello e brutto…

2. Poi Tertulliano affronta il mistero in chiave di pensiero: l’essere divino è morto, cosa inconcepibile per la nostra mente. È assurdo, irragionevole, folle dire che la divinità muore, e allora prorsus credibile est quia ineptum est, proprio per questo noi ci crediamo, proprio perché è folle. Questo è l’alto e nuovo compito del pensiero.

3. Infine il mistero della volontà: il Cristo è stato sepolto ed è risorto. La materia si è spiritualizzata a un punto tale da sparire: questo è il significato della tomba vuota. Impossibile. Chiediamo oggi a tutti gli scienziati, anche ai teologi: non troveremo la risoluzione di questo mistero da nessuna parte, sulla faccia della Terra. Tutti dicono: è una cosa impossibile a realizzarsi.

E se crediamo che nel cristianesimo tradizionale ci sia la resurrezione, ci inganniamo di grosso. La resurrezione è sparita, ne è rimasto soltanto un distillato che dice: il Cristo non è morto, continua a vivere. Ma questa affermazione vale per tutti gli esseri umani! Nella coscienza di chiunque non sia proprio schiacciato dal materialismo esiste la consapevolezza dell’immortalità dell’anima dopo la morte.

L’unicum della resurrezione del Cristo – che anticipa ciò che anche noi potremo compiere nel corso dell’evoluzione – è la spiritualizzazione totale del corpo di materia. La resurrezione della carne è il mistero della resurrezione del Cristo. Questo è assurdo per il pensare umano decaduto: che sia possibile riportare la materia allo stato di polvere cosmica dei primordi affinché possa essere nuovo sostrato per nuovi cicli evolutivi. Questo è irrealizzabile, non si può fare: proprio per questo, dice Tertulliano, per noi è una cosa sicuramente avvenuta. Tutto il corpo di materia di Gesù è stato trasformato nella legge di libertà dello spirito, e proprio perché è impossibile realizzarlo questo è stato compiuto. Mistero della volontà.

Il femminile e il maschile nei vangeli

Queste affermazioni di Tertulliano mi hanno sempre fatto pensare al coro mistico che è alla fine del Faust di Goethe:

Tutto l’effimero

non è che un simbolo;

l’irraggiungibile

qui viene raggiunto;

l’indescrivibile

qui è compiuto;

l’Eterno Femminino

ci attrae in alto.

Il mondo visibile è soltanto un’immagine, una parabola di ciò che è invisibile: la realtà non è nel fisico perituro, ma è nello spirito. Ciò che è irrealizzabile agli occhi degli esseri umani, qui viene realizzato. Ciò che il pensiero non riesce a concepire, qui lo si pensa.

In un certo senso, il cristianesimo tradizionale ha considerato ignominioso e vituperevole proprio l’elemento femminile – che sta a significare la forza dell’anima. E allora la conclusione del Faust in me evoca ancora Tertulliano: proprio perché questo eterno femminino è considerato vergognoso, proprio per questo non ce ne vergogniamo e lo consideriamo la cosa più bella e più artistica che ci sia, perché ha in sé lo slancio capace di innalzarci verso tutte le fasi evolutive successive dello spirito.

Nei vangeli il rapporto tra le figure femminili e quelle maschili non è mai a caso. Rudolf Steiner spiega – e senza alcuna valutazione morale – come il femminile sia la totalità dell’anima e il maschile la totalità dello spirito, ambedue presenti in ogni essere umano, maschio o femmina che sia.

Un colloquio profondissimo tra la somma degli elementi dell’anima e la somma degli elementi dello spirito è nell’incontro fra il Cristo e la Samaritana (Gv 4). In questo episodio del Vangelo la Samaritana, di tratto in tratto, esprime tutto ciò che è proprio dell’anima e il Cristo le porta incontro tutto ciò che è dello spirito.[77] Vediamo bene come l’aspirazione dell’anima, nell’uomo e nella donna, sia quella di entrare nei misteri dello spirito. Potremmo dire che l’anima è lo stadio evolutivo presente dell’essere umano e lo spirito è il futuro. L’essere umano oggi è molto più anima che spirito ma è destinato, nel corso dell’evoluzione, a diventare uno spirito che ha in sé un’anima.

Nella scienza dello spirito, da questo punto di vista, l’io inferiore è l’anima, l’Io superiore è lo spirito. Quali sono alcune differenze fondamentali tra anima e spirito?

Anima è soggettività, spirito è oggettività: ci vogliono tutti e due questi caratteri, certamente, ma bisogna distinguerli. Ciò che è animico è transeunte ed effimero, lo spirituale è costante, duraturo. Ognuno di noi non può che essere soggettivo, perché vive gli eventi attraverso l’ego, ma ha l’aspirazione a essere altrettanto capace di oggettività. Il bello della vita è proprio l’oscillare tra l’oggettivo che ci accomuna e il soggettivo che ci fa sperimentare la nostra personalità e diversità.

Sempre nella prospettiva evolutiva, Steiner dice che la corporeità maschile è strutturalmente diversa da quella femminile in modo che, potremmo dire, si compensano. Il corpo maschile è andato troppo avanti nell’inserimento nella materia, si è indurito e meccanizzato oltre misura, mentre il corpo femminile, sia nella forma sia nella sostanza delle forze formanti, è rimasto di altrettanto indietro. La donna ha un cervello molto più malleabile e plastico, ha la capacità di cogliere le cose nuove perché è duttile, è più affine al mondo delle metamorfosi dello spirito; il cervello maschile è più affine alla materia e perciò ne capisce meglio le leggi.

Nei vangeli, per esempio, questo mistero evolutivo viene espresso nel fatto che il primo essere umano in grado di porsi in contatto reale col Risorto è una donna, Maria Maddalena.

Terza conferenza

I SETTE SEGNI
NEL VANGELO DI GIOVANNI

Roma, 26 aprile 1996

La sapienza dei numeri nei vangeli

Cari amici,

nel Vangelo di Giovanni abbiamo un settenario fondamentale costituito dai 7 segni, chiamati anche miracoli, che il Cristo ha compiuto. Il numero 7 rimanda subito a un carattere ritmico di sistema, di completezza. È importante comprendere questo aspetto scientifico-strutturale che consente ai vangeli di diventare anche testi di meditazione inesauribile, testi dai quali si possono trarre sempre nuove conoscenze.

Per entrare nel mistero del 7 possiamo iniziare da una considerazione sui numeri: tutta la tradizione di Pitagora (sesto secolo a.C.) si basava sull’intuizione che sia il macrocosmo sia il microcosmo sono stati costruiti in base a sapienza di armonie. La scienza dei numeri è la scienza delle proporzioni e delle corrispondenze: quindi, per antonomasia, è il cammino del pensiero che comprende le concordanze del molteplice che si muove nell’uno.

Nel macrocosmo e nel microcosmo ci sono tutti i rapporti numerici possibili: evidenziarli significa che il contenuto concettuale, il significato delle cose passa in secondo piano e si mette in primo piano la prospettiva, l’orientamento, il punto di vista attraverso il quale vogliamo ripercorrere la logica cosmica. I numeri pongono relazioni e le applicano alle realtà più diverse.

Quella dei pitagorici era una aritmo-geometria, perché collegava alla forza pensante che si muove secondo il numero la possibilità stessa della materia di disporsi in forme misurabili. I pitagorici rappresentavano in modo geometrico la dinamica particolare del pari e del dispari, dove il dispari esprime la compiutezza, la sistematicità, l’ordine, il limite, mentre il pari è l’apertura, l’ondeggiamento, l’infinita possibilità, il rischio.

p.101.jpgMa il numero perfetto è il 10, dove il pari e il dispari si armonizzano, confluiscono, consònano (1+2+3+4). Il numero 10 veniva rappresentato spesso nella forma della tetraktÚj (tetraktús), la tetràtti o numero quaternario:

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la tetratti

La scienza dello spirito di Rudolf Steiner, che è anche una formazione del pensiero in chiave moderna, conferma e sviluppa la visione pitagorica: l’essere umano impara a individuare quali fenomeni si comprendono meglio in chiave di unità, quali in chiave di polarità, quali in chiave di trinità, e così via.

Il numero 1 è il pensare che riconduce una pluralità sempre all’unità, mantenendo però la complessità del molteplice. L’unità non annulla le cose astraendole in un tutto vago: l’unità le sussume e le riconosce come articolazione propria, immanente, armonica. Abbiamo visto, invece, cosa significa oggi ricondurre tutte le religioni all’unità: c’è il pericolo di perdere la diversità degli impulsi storici tirandone fuori un astratto distillato unitario. Il grande pericolo, per il pensare umano, è la malìa accattivante di una sintesi che cade nell’uniforme.

Il numero 2 è la polarità, è la capacità di cogliere le antitesi del divenire nella loro interazione: per esempio la polarità del maschile e del femminile.

Il numero 3 è la Trinità divina che si riflette in quella umana nel corpo, nell’anima e nello spirito.

Il numero 4 esprime ciò che fa da perno, da giro di volta, da fondamento per ogni svolta dell’evoluzione. Il 4 è comprensibile se lo si inserisce nella dinamica del 7.

Il numero 7 è infatti il numero dell’evoluzione nel tempo che ha il suo centro e la sua svolta nel 4. Quando si pone come base il 7, si intende abbracciare la totalità di un ciclo evolutivo: i primi tre gradini fondamentali, il quarto che fa da perno e nel quale ci si trova, e gli ultimi tre come rispecchiamento futuro, a un livello superiore, dei primi tre.

Ve lo disegno.

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levoluzione nel tempo: i rispecchiamenti

Il ritmo del 7

Vediamo ora il ritmo del 7 ai livelli macrocosmici della creazione e dell’evoluzione dell’uomo, che è anche la creazione e l’evoluzione della Terra. Il nostro pianeta, ai primordi, non aveva le caratteristiche attuali: esso ha attraversato diversi stadi e altri ne deve ancora attraversare, ognuno corrispondente alla graduale formazione ed edificazione dell’essere umano. L’archetipo dell’uomo, l’idea originaria dell’uomo sorta in tutta la sua perfezione nella mente divina piena di sapienza e di amore, verrà interamente a manifestazione nel corso dei tempi poiché la processualità, il divenire, l’inserimento nello spazio/tempo, è nella sua natura.

Il tempo è scandito nel ritmo del 7 e perciò 7 sono le manifestazioni-incarnazioni cosmiche della Terra e 7 sono le corrispondenti parti costitutive (o dimensioni di coscienza) dell’umano che via via vanno costruendosi. È importante capire che di queste 7 incarnazioni planetarie solo l’attuale (che è la quarta) è percepibile ai sensi fisici: appare, cioè, al livello solido-minerale. Le tre che l’hanno preceduta e le tre a venire sono tutte manifestazioni cosmiche sovrasensibili.

Questi 7 passi cosmici, attraverso i quali l’uomo è chiamato a conquistare la sua pienezza, sono i seguenti:[78]

1. la prima incarnazione planetaria della Terra è detta Saturno (in questa e nelle denominazioni che seguiranno non c’è nessun riferimento agli attuali pianeti del nostro sistema solare che ne sono l’attuale manifestazione “smembrata” e solidificata), dove l’umanità ha ricevuto il germe del corpo fisico, in un ambiente planetario costituito di solo calore. Il nostro livello di coscienza era paragonabile a quello che oggi definiamo di trance profonda – la coscienza di una pietra, per intenderci. Nel cosmo gli esseri si distinguono per livelli di coscienza, non certo per aspetto esteriore;

2. la seconda incarnazione della Terra è detta Sole, e lì l’uomo ha ricevuto il corpo eterico o vitale, grazie al sopraggiungere delle forze della luce e dell’aria. La dimensione eterica plasma ed edifica il vivente grazie alla legge della metamorfosi, che è alla base di tutti i fenomeni di nascita e crescita, e che oggi accomuna l’uomo al regno vegetale. Il livello di coscienza raggiunto è quello del sonno profondo senza sogni;

3. la terza incarnazione della Terra è detta Luna, durante la quale l’uomo ha acquisito il corpo astrale o anima, cioè la dimensione delle infinite sensazioni interiori, reattive al mondo esterno, portatrici del movimento e senza ancora capacità di pensiero. Sulla Luna si manifesta l’elemento acqueo. Immaginiamo un cosmo di vapore luminoso e caldo nel quale l’uomo, fatto della stessa consistenza, viveva senza nessuna pesantezza legata all’elemento minerale. Il nostro livello di coscienza, in questa incarnazione cosmica della Terra, è comparabile all’attuale coscienza sognante degli animali;

4. la quarta incarnazione (attuale) è la Terra propriamente detta, col sopraggiungere dell’elemento minerale-solido che la caratterizza: questo intero ciclo planetario è volto all’edificazione dell’Io. L’attuale coscienza è quella di veglia che ognuno di noi ben conosce, basata sulla capacità di pensare e di dire io a se stessi, cioè di riconoscersi come un’entità autonoma e centrata in sé. Questa coscienza è ovviamente ancora passibile di sviluppo lungo tutto il cammino volto all’acquisizione della libertà, della creatività, della responsabilità morale, del senso oggettivo della verità. È una lotta interiore per superare la scissione, la dualità tra l’io inferiore egoistico e l’Io superiore libero e amante. Possiamo disegnare la tetratti per queste quattro incarnazioni planetarie, dove si evidenzia l’acquisizione progressiva delle quattro parti costitutive di cui finora siamo dotati: corpo fisico (Saturno), corpo fisico + corpo eterico (Sole), corpo fisico + corpo eterico + corpo astrale (Luna), corpo fisico + corpo eterico + corpo astrale + Io (Terra):

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la tetratti delle quattro incarnazioni planetarie

5. dopo la svolta del quattro avremo lo stadio planetario di Giove (la Nuova Gerusalemme delle Scritture) dove l’uomo acquisirà il Sé spirituale – sarà in grado di gestire in modo umano le forze purificate del suo corpo astrale (anima), reso del tutto non-egoistico, portato cioè a un livello superiore (il 5 corrisponde all’elevazione del 5, come si può vedere dallo schema che segue);

6. quindi avremo la sesta incarnazione della Terra, Venere, dove le condizioni saranno adatte per conseguire lo Spirito vitale, cioè la capacità di essere sovrani sulla vita, sulle forze del corpo eterico (il 2 si eleva al 6);

7. infine avremo il settimo stadio cosmico della Terra, Vulcano, dove perverremo all’Uomo Spirito, cioè alla capacità di dominare anche i misteri del corpo fisico, inteso come l’insieme delle forze fisiche del cosmo che sottendono al mondo delle forme, al mondo solido-minerale che noi oggi vediamo (l’1 è elevato al 7).

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il settenario evolutivo

Noi siamo al centro di questo settenario come, rispetto all’orizzonte, chi guarda si sperimenta sempre al centro: tre prima di me, tre dopo di me e io sono in mezzo, nel quattro.

Il significato del 2 nelle iniziazioni:
la via della vergogna e la via della paura

Un aspetto fondamentale del 2, che la Gnosi non comprendeva più, è la polarità delle iniziazioni prima del Cristo.

Steiner descrive l’esistenza di una corrente dei popoli del nord e una corrente dei popoli del sud. Tutte le scuole iniziatiche, pur nella multiforme varietà, si possono ricondurre a questi due tipi fondamentali:

le iniziazioni del nord avevano un carattere macrocosmico: l’essere umano fuoriusciva da sé per entrare nelle vastità dei misteri dell’universo;

• le iniziazioni del sud avevano carattere microcosmico: si entrava in se stessi e si veniva iniziati alle profondità dell’umano.

Le mitologie e le religioni dei popoli meridionali, soprattutto dall’India all’Egitto, sono scuole iniziatiche che si incentrano sulla mistica, che è il cammino di interiorizzazione dell’uomo che vuole scandagliare gli abissi della propria anima. Se invece guardiamo ai Persiani, e su ai Germani fino ai Celti, tutte le loro iniziazioni hanno un carattere di estasi, di effusione nel macrocosmo.

1. Steiner afferma che quando l’uomo si interiorizza cercando in sé il divino, lo spirituale, incontra la somma vivente di quanto si è divenuti nella propria interiorità a causa delle forze d’egoismo – in termini tecnici si dice: «incontra il Piccolo Guardiano della soglia».[79] Perciò la prova iniziatica dei popoli del sud era quella della vergogna, dell’enorme turbamento che si sperimentava nel riconoscersi totalmente incentrati nella propria egoità.

Infatti, quando si approfondisce secondo verità il proprio essere in chiave mistica, non si trovano purezza e splendore divino ma si perviene a una specie di centro del male dove ognuno di noi porta in sé tutti gli impulsi di Caino, di Giuda, di Pietro, quelli che ci fanno pronti a uccidere, tradire e rinnegare l’altro per la sfrenata voracità con cui amiamo noi stessi.

2. La prova iniziatica suprema delle iniziazioni che immergevano l’uomo nei misteri del macrocosmo era, invece, quella della paura, la paura di perdersi in quell’oceano immenso. Pensiamo alle colonne di Ercole oltrepassate da Ulisse nella Divina Commedia e alla spaventosa tragedia che viene descritta. Cosa accade all’uomo quando penetra in questa infinitezza cosmica? Se non ha una bussola, si perde totalmente.

Occorrevano dodici iniziatori per accompagnare l’iniziando affinché non si smarrisse: in sostanza, il cammino di preparazione per l’iniziazione nel macrocosmo era un esercizio costante e sempre rinnovato di versatilità conoscitiva. Il presupposto per entrare nei misteri del macrocosmo era la capacità pensante di considerare ogni fenomeno da 12 punti di vista fondamentalmente diversi.[80]

L’universo è infatti proprio la fantasia divina cosmica di manifestare tutti i fenomeni in almeno 12 modi diversi, mentre il Sole, l’Essere dell’Io, li visita tutti e nella libertà dell’amore li armonizza. Il Sole, tanto per restare in ambito evangelico, è un’immagine dell’Io umano che nel pensare si adopera a vedere tutte le cose dal punto di vista di Pietro, poi da quello di Matteo, poi di Giovanni, di Giacomo, di Filippo, di Andrea, di Giuda… perché ogni punto di vista è legittimo e non esclude l’altro.

Questa polarità delle vie iniziatiche, tra l’altro, è quella che noi sperimentiamo ogni giorno al risveglio quando rientriamo nel microcosmo, e all’addormentarci, quando ritorniamo nel macrocosmo. Ma non portiamo a coscienza queste esperienze sia perché al risveglio non penetriamo sufficientemente al fondo di noi stessi – per via delle molteplici percezioni esterne che ci assalgono, ci distraggono e ci fuorviano –, sia perché, quando ci addormentiamo ogni notte nel macrocosmo, non riusciamo a sollevare fin lì la nostra coscienza quotidiana.

Nelle tradizioni iniziatiche venivano approfonditi proprio questi passaggi veglia-sonno in modo da addormentarsi restando svegli nel macrocosmo e in modo da risvegliarsi senza obnubilare la visione di ciò che veramente c’è nell’interiorità umana, e attende di venir purificato.

Nel quarto periodo di cultura postatlantica l’evento del Cristo compie la sintesi di queste due grandi vie. Un preannuncio lo abbiamo nel mondo greco dove tutta la mitologia che riguarda Apollo si riferisce alle altezze macrocosmiche, e quella che riguarda Dioniso si riferisce alle profondità, anche tenebrose, dell’interiorità umana.

La lira di Apollo, al solo tocco delle dita, risponde all’aria che è tutta del macrocosmo, e non passa per l’interiorità umana: sulle corde vibrano e si concentrano melodie cosmiche.

Invece in Marsia, o nei satiri e sileni che appartengono al corteo di Dioniso, abbiamo il flauto dove l’aria, interiorizzata nell’uomo, prende un’innervatura che è propria della volontà umana e ne esprime la nota di egoismo. Pallade Atena prova a suonare il flauto ma lo butta subito via, perché si accorge che il suo viso si deforma e si imbruttisce. Pallade Atena, colei che coglie i pensieri divini, posta di fronte al gesto dell’individualizzazione umana che non ripete l’armonia cosmica ma comincia a strapazzare la compagine fisica per darle l’impronta dell’Io, di fronte a questo, Pallade recede. Non così il Cristo, il cui volto si è liberamente sfigurato per amore dell’umanità.

Se i vangeli, come abbiamo detto, sono manuali di esperienze iniziatiche, dove troviamo questo fondamentale riferimento alla polarità dell’iniziazione del nord e del sud?

Il portato globale della corrente del sud, con tutte le esperienze umane della vergogna, viene espresso nelle tre tentazioni che il Cristo deve affrontare nel deserto, subito dopo la sua incarnazione nel Gesù, al Battesimo nel Giordano. La realtà della tentazione nei vangeli è un riassunto, nell’esperienza del Cristo, di tutte le prove iniziatiche in chiave di mistica: l’Essere solare penetra nella realtà microcosmica dell’egoismo umano e ne fa l’esperienza totale, triplice, al livello del corpo fisico, del corpo eterico e del corpo astrale.

L’altro polo è il momento del Getzemani, dove il macrocosmo si spalanca all’appressarsi della morte e il Cristo umanamente sperimenta in sé la somma umana della paura e dello smarrimento.

Rudolf Steiner, mostra[81] come il cristianesimo tradizionale ci porga le immagini evangeliche in chiave di fede, per meditarci sopra; e come, invece, la tradizione rosicruciana (ripresa poi dalla stessa scienza dello spirito) ci offra la possibilità di fare esperienze universalmente umane, che non presuppongono nessuna fede particolare, per approdare successivamente ai vangeli dove queste esperienze sono altrettanto presenti e descritte.

Le grandi immaginazioni del Rappresentante dell’Umanità che viene tentato vergognosamente dal diavolo e che poi vive la paura e la solitudine di fronte alla morte, non sono state scritte nei vangeli perché qualcuno le ha osservate fisicamente: nel deserto, al momento delle tentazioni, nessuno era presente e nell’orto degli ulivi i tre apostoli che c’erano dormivano di grosso. Queste scene sono sorte alla visione degli evangelisti in base alla meditazione sull’universale umano.

Oggi, nella visione spirituale di chi, anche senza aver mai letto i vangeli, compia con sufficiente forza interiore il cammino verso la conoscenza di sé fino alla vergogna e il cammino verso l’indagine nel macrocosmo fino alla paura, sorgeranno, senza che se le aspetti, proprio queste due immaginazioni universali. Quelle stesse immaginazioni che gli evangelisti hanno descritto senza averle vissute sul piano fisico.

Questo modo di confrontarsi con i vangeli è il migliore, perché così ognuno è in grado di confermare il dato evangelico per esperienza propria. In un futuro forse non lontano ognuno di noi dirà: guarda, chi ha scritto questi testi deve aver fatto le mie stesse esperienze! Proprio tali e quali!

Il 4, grande fulcro e svolta di ogni evoluzione

Il quaternario, dicevamo, sorge ogni volta che si considera l’evoluzione dai primordi fino a oggi: il settenario è invece la totalità dell’evoluzione. Quando si pone il 4 alla base della meditazione, la posizione è quella di indagare come tutto il passato confluisca nel presente.

Rudolf Steiner descrive[82] tre grandi sacrifici del Cristo, propedeutici al quarto, che è il mistero del Golgota. Ho già parlato diffusamente in altre occasioni[83] di questi grandi sacrifici: vorrei riassumerli di nuovo – tanto non si finisce mai di penetrare questi misteri – questa volta con l’intento di ricercarne le importanti tracce nei vangeli stessi, di cui costituiscono la struttura.

1. Il primo grande sacrificio dell’Essere solare è avvenuto nell’epoca lemurica, molti millenni fa, e ha riguardato i 12 sensi dell’uomo. Steiner descrive la dodecuplicità dei sensi umani – senso del tatto, della vita, del movimento, dell’equilibrio, dell’olfatto, del gusto, della vista, del calore, dell’udito, del linguaggio, del pensiero e dell’io – come il precipitato microcosmico dei 12 segni zodiacali. La nostra corporeità è così il riassunto microcosmico dei 12 impulsi primigeni divini del macrocosmo.[84]

Nei 12 sensi, appunto nell’epoca lemurica, si mostrò una grande minaccia evolutiva: la materia di brama della Sofia Achamoth li aveva intrisi di egoismo al punto tale da renderli indipendenti dall’uomo stesso. Percependo il rosso, per esempio, o il blu, il giallo, l’occhio veniva così travolto da queste esperienze da mantenerne e conservarne il godimento: l’essere umano, nella sua anima e nel suo spirito, subiva violentemente questo fenomeno fisiologico come fosse una malattia, un dilaniamento.

Il grande sacrificio cosmico del Cristo consistette nel fatto che Egli portò ordine e armonia, portò la legge dell’amore dentro i nostri sensi: e noi dobbiamo a questa prima immolazione cosmica il fatto che il nostro occhio, oggi, sia in grado di essere così trasparente a se stesso, così non-egoistico, da reagire in modo neutro di fronte ai colori. Ciò fa sì che noi non notiamo neanche di avere l’organo della vista e siamo in grado, con la nostra anima e il nostro spirito, di acquisire un rapporto diretto col rosso, un rapporto col blu, e con ogni altro colore.

Noi percepiamo l’occhio, l’orecchio, tutti i nostri organi di senso soltanto quando sono malati, e diciamo allora «che ci fanno male». I sensi hanno rinunciato alla loro vitalità, hanno accettato il sacrificio cosmico di assumere in sé la morte per dare a noi la vita cosciente: è il primo impulso di quel gesto infinito d’amore dell’Essere solare che culminerà nel mistero del Golgota.

2. Il secondo grande sacrificio cosmico del Cristo fu compiuto agli inizi dell’epoca atlantica e riguardò il settenario delle funzioni vitali dell’organismo umano. Come le stelle fisse (Zodiaco) sono impulsi spaziali eterni, di durata, quindi oltre il tempo, così al livello del sistema solare abbiamo anche il movimento, la processualità: i pianeti. Plane‹n (planein) in greco significa veleggiare, vagare, errare: l’espressione stelle erranti si riferisce ai pianeti. Il precipitato microcosmico di questo settenario del sistema solare sono i 7 processi vitali fondamentali dell’organismo umano: respirazione, circolazione, nutrizione, secrezione, conservazione, crescita, riproduzione.[85]

Agli inizi dell’epoca atlantica era in pericolo la possibilità umana di sperimentare questa settemplice realtà: anche in questo caso le funzioni vitali tendevano a inglobare e non cedere il loro stesso appagamento sensibile. Il Cristo unì se stesso alla realtà umana e portò amore in questo ulteriore egoismo: i 7 organi vitali accettarono di mantenere per sé soltanto la vita e di lasciare all’essere umano la sensazione, esperienza preminentemente dell’anima.

Questo è il secondo modo in cui il Cristo ebbe cura e operò nella sfera animica dell’umanità: fu un’altra offerta che estrasse dagli organi fisici l’astralità effusa, la potenza della brama cosmica, e l’affidò all’uomo perché potesse poi umanizzarla, nel suo cammino evolutivo.

3. Verso la fine dell’epoca atlantica le tre forze dell’anima – il pensare, il sentire e il volere – minacciavano di lottare l’una contro l’altra. Invece di essere in armonia, in coerenza fra di loro, il pensiero andava in un senso, il sentimento in un’altra direzione e la volontà in un’altra ancora. Col terzo sacrificio il Cristo mise ordine anche nella trinità delle forze dell’anima.

4. Il mistero del Golgota rappresenta il quarto sacrificio cosmico del Cristo, il solo conosciuto dall’umanità di oggi perché è l’unico che si sia svolto sul piano fisico: ma l’umanità riscoprirà anche i sacrifici precedenti, annunci sconvolgenti e imprescindibili del quarto. Questo quarto sacrificio è avvenuto per porre ordine nelle forze dell’Io: dopo il 12, dopo il 7, dopo il 3, deve venire l’1, l’unità dell’Io. Ma questa unità non è data in partenza: è una conquista evolutiva perché l’Io appare in noi dapprima scisso in Io superiore e io inferiore, in Io di amore e io di egoismo.

Il nostro io quotidiano, la centralità cui facciamo riferimento per indicare la coscienza unitaria della nostra persona, lo troviamo già in noi, al livello dell’anima, fortemente forgiato da tutto il nostro passato, da tutto il percorso discendente della caduta: il mistero del Golgota si è compiuto per darci la forza di congiungerci sempre più all’Io superiore libero, alla sostanza reale e concreta di ciò che ancora confusamente noi chiamiamo spirito.

Ho riassunto per sommi capi questi gradini dell’operare cosmico e terreno del Cristo nell’umanità, perché quello che ci interessa, in chiave di Gnosi, è questa domanda: come ha fatto il Cristo a operare nei 12 sensi, nei 7 processi vitali, nelle tre forze animiche e, duemila anni fa, nelle forze doppie dell’Io stesso? Come ha potuto il più sublime essere spirituale operare nel corporeo umano?

Fondamentale per questo inserirsi del Cristo sempre più nel profondo della natura umana, è stata la mediazione di un’anima purissima, che poi si è incarnata nel Gesù di Nazareth di cui si parla nel Vangelo di Luca: è lo stesso Essere che i primissimi Padri della Chiesa chiamavano Anima sorella di Adamo o Anima Candida e che Paolo chiamava Nuovo Adamo.[86]

Cosa ha da dire la scienza dello spirito su questo Essere? Ai tempi del peccato originale, una parte della nostra umanità (e questo viene descritto anche nella Genesi) non è stata immessa nella caduta ma è rimasta nel paradiso: l’Albero della conoscenza è stato dato all’uomo, ma l’Albero della vita è stato trattenuto nel paradiso, protetto dalla spada fiammeggiante del Cherubino. L’immagine dell’Albero della vita rappresenta la parte di umanità – se così possiamo dire – che non è stata inserita nella corrente discensionale del peccato originale, nella corrente delle reincarnazioni. L’Anima candida, questa preziosa sostanza animica umana rimasta immacolata perché non intrisa di brama, è paragonabile a una realtà arcangelica.

Questo Essere ha seguito così da vicino le sorti della caduta della sua umanità “sorella”, che ogni volta che da lei s’innalzava un grido, un’aspirazione di redenzione – quando pativa il disordine nei 12 sensi, e poi nei 7 organi vitali, e ancora nelle tre forze dell’anima – egli si intrideva di forze di amore e di compassione nella sua anima purissima. Il Cristo ha potuto congiungersi con l’umanità unicamente assumendo in sé il dolore di questa Anima Candida, dell’Albero della Vita, tutto il dolore dell’Essere che sarebbe stato, alla svolta dei tempi, il Gesù di Nazareth.

Bambini e adulti testimoniano i quattro sacrifici

Abbiamo ricordato i 4 sacrifici cosmici del Cristo: questo quaternario è contenuto nei vangeli, anche se è legittimo domandarsi fino a che punto gli evangelisti stessi si rendessero conto che il Cristo lo stava riconfermando sulla Terra. D’altra parte, tutti noi abbiamo sotto gli occhi ogni giorno questi passi evolutivi dell’umanità, dovuti al Cristo, e non ce ne accorgiamo.[87]

1. Il primo sacrificio del Cristo, relativo ai 12 sensi, viene ricordato e celebrato da ogni bambino quando, conquistata la stazione eretta, impara a camminare. Quando il bambino conquista la posizione eretta, significa che è in grado di costruire la sua figura secondo il 12 del cosmo: attraverso i suoi sensi penetrano nel bambino tutti gli impulsi dello Zodiaco e in base a essi egli si orienta, si pone nel mondo e comincia a percorrere il suo karma, conquistando sulla Terra la dimensione verticale, alto/basso.

2. Il secondo sacrificio del Cristo, legato al mistero del 7, è ricordato e celebrato da ogni bambino quando impara a parlare: la parola fluisce da lui agli esseri che gli vivono intorno, e dagli esseri ritorna a lui. Il bambino, attraverso l’esperienza diretta dei suoi processi vitali, entra nello scorrere ordinato dei ritmi e conquista sulla Terra la dimensione orizzontale, destra/sinistra.

3. Il terzo sacrificio del Cristo risuona nel bambino quando impara a pensare, e il mistero cristificato della consonanza fra le 3 forze dell’anima si mostra in lui in modo sommo: perché in nessuno, come nel bambino piccolo, anche se soltanto per istinto naturale, ciò che è riconosciuto attraverso le forze del pensare e suscita gioia nel sentire è, al contempo, fortemente voluto (un gelato, per esempio). Alle forze della coscienza si aggiunge la terza dimensione evolutiva, quella sagittale, dove la memoria di sé è legata ormai allo spazio/tempo, al prima/dopo, all’avanti/indietro e consente la centralità del riferimento alla propria persona.

4. Il quarto sacrificio del Cristo, legato al mistero dell’Io, vive ogni giorno in ogni essere umano adulto che lotta con se stesso per superare la dualità tra la ristrettezza dell’io inferiore, angusto e limitato al mondo fisico-sensibile, e l’Io superiore che vuole abbracciare cielo e Terra.

Dove sono, nei vangeli, i quattro sacrifici?

Riformuliamo, ora, la domanda lasciata in sospeso: dove, nei vangeli, troviamo espressi i quattro sacrifici cosmici del Cristo?

1. La prima moltiplicazione dei pani: «Alzati quindi gli occhi Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: ‹Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?›. Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: ‹200 denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo›. Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: ‹C’è qui un ragazzo che ha 5 pani d’orzo e 2 pesci: ma che cos’è questo per tanta gente?›. Rispose Gesù: ‹Fateli sedere›. C’era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa 5000 uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati disse ai discepoli: ‹Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto›. Li raccolsero e riempirono 12 ceste con i pezzi dei 5 pani d’orzo avanzati a coloro che avevano mangiato».[88]

Questo è il corrispettivo evangelico del primo sacrificio cosmico del Cristo. Naturalmente, in traduzioni che hanno perso le chiavi di lettura di questi testi, si incappa in molti errori: in questo contesto il più macroscopico è quello che traduce con avanzi ciò che vuol significare 12 ceste cosmiche che permangono. Sono i 12 sensi, i dodici ricettacoli che, grazie al primo sacrificio del Cristo, si fanno attraversare in modo permanente dai 12 impulsi dello Zodiaco che nutrono l’uomo.

I 5 pani indicano i 5 segni zodiacali notturni: notturni perché l’indicazione dei 2 pesci si riferisce al segno che, al tempo del Cristo, appariva sotto il Sole nell’equinozio di primavera, ed era l’ultimo segno notturno. Sappiamo dall’astronomia che il Sole impiega 2160 anni per passare da un segno zodiacale all’altro (l’anno platonico, 25.920 anni, è il tempo impiegato dal Sole per percorrere tutto lo Zodiaco), e dunque i segni notturni variano di millennio in millennio.

I sette segni diurni sono indicati, per esempio, nell’espressione di Filippo che dice: 200 denari (denarius è il corrispondente per il cibo di un giorno: denarius viene da dies, giorno) non bastano; infatti ci vogliono duecentodieci giorni per costituire i sette segni diurni.[89] Il riferimento al nutrimento cosmico dell’uomo è espresso qui nella simbologia dei numeri.

I vangeli sono talmente precisi che se prendiamo la narrazione della pesca sul lago di Tiberiade troviamo scritto: «Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci».[90] I grossi pesci indicano i 5 segni notturni, quelli macrocosmici (macro vuol dire grosso), dove il Sole va visto a mezzanotte. I 5 segni coprono lo spazio di 5 mesi: se sommo 3 mesi di 31 giorni e 2 di 30 ho il numero 153.

2. La seconda moltiplicazione dei pani, che molti esegeti presentano come una ripetizione, in realtà non ha nulla in comune con la prima.

«Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: ‹Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada›. E i discepoli gli dissero: ‹Dove potremmo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?›. Ma Gesù domandò: ‹Quanti pani avete?›. Risposero: ‹7 pani e un po’ di pesciolini›. Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, Gesù prese i 7 pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dette ai discepoli e i discepoli li distribuivano alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via 7 sporte piene. Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini senza contare le donne e i bambini».[91] Possiamo ben constatare che nulla si ripete. Abbiamo qui riconfermato il settenario planetario che costruisce tutta la realtà dei processi vitali e del loro operare permanente nell’essere umano.

Il fatto che qui si parli di 7 pani e di «un po’ di pesciolini» precisa ancora meglio che il segno dei Pesci cominciava appena a diventare un segno diurno.

3. La Trasfigurazione[92] è il terzo evento che ripete nei vangeli il terzo grande sacrificio del Cristo, col mistero del 3 dipinto in modo eccelso da Raffaello nell’opera omonima: in alto abbiamo il ternario spirituale Cristo Mosé Elia che si riflette nel ternario dell’anima umana in Pietro Giacomo e Giovanni e, ai piedi del monte, si triplica nei restanti nove apostoli che non riescono a calmare il bambino lunareselhni£zetai (seleniázetai), «è lunatico» dice il Vangelo, e nelle traduzioni troviamo l’aggettivo epilettico.

In questa scena del Vangelo trasfusa nei colori dell’artista, vediamo contemporaneamente il rifulgere solare del Cristo in alto, e il pallido, drammatico riflesso delle forze lunari che dilaniano il bambino: egli muove le braccia come fosse strappato in direzioni opposte, senza un centro che le armonizzi. Nell’immagine di questo bambino vive in modo realissimo e artisticamente perfetto l’essere umano che dalle forze lunari invoca la forza solare. Allorché il Cristo giunge ai piedi del monte, il bambino viene sanato e i nove apostoli si domandano: «Perché noi non siamo stati capaci di guarire questo bambino?». «Per la vostra poca fede» risponde il Cristo: «Perché in voi non era presente la forza dell’Io che rifulgeva in alto, sul monte». La stessa forza che già nel periodo atlantico evitò all’umanità intera di essere compenetrata dalle forze caotiche dell’anima dilaniata e smembrata.

4. La redenzione dell’umanità è il quarto sacrificio del Cristo, specifico della Terra e dell’Io: i vangeli esprimono il mistero del 2, che vi è collegato, nelle 2 esclamazioni: «Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?»[93] dove parla l’io inferiore, e «Mio Dio, mio Dio quanto mi hai esaltato!»,[94] dove parla l’Io superiore. In ebraico basta cambiare 2 lettere per avere i due significati: «Elì, Elì, lammà azaftanì» è la prospettiva di Matteo, quella dell’umano che deve morire; «Elì,Elì, lammà sabachtanì» è in Marco la prospettiva cristica cosmica di ciò che risorge.

Il mistero del 12 e del 7

Affrontiamo ora il mistero del 7 per vedere in che modo, nel Vangelo di Giovanni, possiamo sempre rimeditare da più direzioni la totalità dell’evoluzione nella chiave di lettura del 7. Anche l’Apocalisse di Giovanni è del resto un testo tutto basato sul 7: le 7 lettere alle 7 chiese; i 7 sigilli cosmici; le 7 trombe che risuonano nell’universo; le 7 coppe dell’ira. È un testo dei misteri del tempo, dell’evoluzione.

Per capire il 7 dobbiamo riferirlo al 12, poiché stanno tra di loro come il tempo sta all’eternità. Dove c’è un 12 si tratta sempre del cosmo totale e stabile delle stelle fisse, si tratta della contemporaneità e della compresenza nella durata. Invece i 7 pianeti, proprio perché si spostano continuamente, sono un’immagine dell’evoluzione nel tempo.

Nel mistero del 12 entrano, naturalmente, i 12 apostoli, in rappresentanza di tutti gli impulsi compresenti nel macrocosmo che sostanziano, in equilibrio vario, ogni essere umano. È interessante osservare che l’impulso di Giuda fa riferimento allo Scorpione, segno zodiacale che nell’antichità è subentrato al segno dell’Aquila. Il librarsi nei regni dello spirito (l’aquila) è stato sostituito dal pungiglione mortale (lo scorpione), dovuto al congiungersi dell’umanità alla materia, sempre più profondamente. Questa interazione ha portato nell’anima umana il sentimento della disgregazione, della frantumazione: scorpione viene dal verbo greco skorpize‹n (skorpizein) che significa disperdere. E il Cristo, nell’ultima cena, prima di avviarsi al Getzemani dove Giuda lo tradirà, dice ai suoi apostoli: «Sarete tutti dispersi» (Gv 16,32).

La funzione di Giuda è dunque quella atomizzante del materialismo, fondamentale come controforza evolutiva. L’Aquila ritornerà a prendere il posto dello Scorpione nella misura in cui l’essere umano vincerà la morte del materialismo e riconquisterà la capacità di elevarsi alle altezze dello spirito.

Il 12 è sempre la globalità dell’eterno che non cambia, che ci accompagna nella sua permanenza divina: è il mistero dell’uno accanto all’altro, dove non c’è da scegliere perché si ha tutto contemporaneamente. Il 7 è il mistero dell’uno dopo l’altro, dove l’evoluzione può avvenire unicamente in chiave di scelta, di preferenza, di decisione, di rinuncia, di domanda…

Il 7 sta al 12 come la libertà sta alla grazia divina. La grazia è un’immagine di ciò che è eternamente uguale a se stesso e avvolge l’uomo; il sette è immagine della libertà che di volta in volta acquisisce le dimensioni sempre nuove dell’umano. Col mistero del 7 si dischiudono la storia, il divenire, l’omissibilità, il bene, il male: soltanto dove le cose avvengono una dopo l’altra, soltanto dove la costellazione delle condizioni evolutive non è mai la stessa, è possibile perdere un’occasione evolutiva specifica, che non tornerà più.

«È giunta l’ora»

La libertà è esposta, e deve sempre esserlo, alla letargia della volontà, all’abulia, conseguenza diretta del sonno della conoscenza. Questa fiacca morale ostacola in noi la capacità di afferrare il momento unico e giusto, il kairÒj (kairós), impedisce cioè di esercitare quel che da sempre la saggezza dei popoli chiama presenza di spirito, il vivere ciò che c’è da vivere qui e ora, o mai più. Se ci fosse un eterno ripetersi dell’uguale non avremmo evoluzione, non avremmo libertà, avremmo l’eternità divina.

La non ripetitività dei fattori evolutivi non è da considerarsi un aspetto negativo del nostro destino: significa, invece, che quanto ci viene concesso di diventare è inesauribile e perciò è una conquista sempre diversa. Se anche soltanto due volte si ripetessero nel cosmo le stesse condizioni evolutive, questo sarebbe l’inizio della noia, l’inizio della mancanza di fantasia morale da parte degli Esseri divini. Il kairÒj (kairós) è connesso col mistero dell’ora, nei vangeli: il Cristo stesso dice «Padre, è giunta l’ora».[95] Il tempo non è un continuum uniforme e diffuso ma è sempre l’occasione unica – che si presenta qui e ora all’uomo – affinché colga il momento propizio per la sua azione, in armonica connessione con i fattori evolutivi.

Il concetto dell’ora giusta ci consente di avvicinare il tema del male in chiave di spostamento: il male è sempre un bene che viene o troppo presto o troppo tardi, il male è un bene al momento sbagliato. Il male non è mai “qualcosa”, è la mancanza del bene al posto giusto e al momento giusto. È un’omissione, come ho già detto.

Riguardo, allora, al significato fondamentale del 7 quale mistero dell’evoluzione nel tempo, se da un lato ci viene data una preziosa chiave di interpretazione, dall’altra dobbiamo ricordare che il 7, essendo un numero, è soltanto un’indicazione metodologica.

Perciò il 7 diventa fecondo soltanto quando lo si riempie di contenuti sempre diversi e concreti: il motivo per cui il Vangelo di Giovanni ci dà 7 segni non è per fornirci un comodo schema, ma per offrire una metodologia da applicare, in complessificazioni sempre più vaste, a tutti i fenomeni dell’evoluzione e della vita.[96]

La fecondità del Vangelo di Giovanni si mostra non a una lettura interessata alla sola descrizione degli eventi, che si soddisfa velocemente, ma nasce dal rapporto meditativo con il testo: allora i sette segni, sempre gli stessi, vengono riempiti ogni volta di nuovi contenuti. Questo è l’impegno della meditazione. Non è un arzigogolare: è un compito della mente e del cuore al quale la volontà deve cominciare a trovare, ogni giorno, un po’ di spazio e un po’ di tempo.

Il rapporto tra la preghiera e la meditazione è un rapporto evolutivo. La preghiera è l’atteggiamento interiore umano della gratitudine, della venerazione e lode di fronte all’opera divina: è la risposta umana alla grazia. Esiste anche la preghiera di petizione, dove spesso l’essere umano chiede egoisticamente il proprio vantaggio, dà consigli a Dio perché faccia accadere questo piuttosto che quest’altro e così via – e questo è l’aspetto ancora più infantile della preghiera.

La meditazione non cancella la preghiera: aggiunge alla dimensione della venerazione il livello conoscitivo-oggettivo che l’interiorità umana è capace di creare. Nella preghiera l’uomo echeggia in sé lo splendore della creazione e ne rifulge in tutte le sfumature dell’anima, dalla meraviglia al dolore, dalla liberazione alla costrizione. Nella meditazione l’uomo partecipa responsabilmente alla creazione per quello che evolutivamente gli è reso possibile, lavorando alla conoscenza oggettiva dei compiti della libertà e quindi della morale.

La meditazione sul ritmo del 7

Una sequenza di 7 è per noi, allora, sempre e soltanto una strada aperta al pensiero. Le cose vere sono quelle che poi, in base a questo settenario, ognuno di noi sarà in grado di trovare. Allora, torniamo ai sette segni del Vangelo di Giovanni:

1. le nozze di Cana in Galilea

2. la guarigione del figlioletto morente del funzionario regio

3. la guarigione del paralitico presso la piscina di Betesda

4. la cosiddetta moltiplicazione dei pani

5. la visione spirituale del Cristo sul mare in tempesta

6. il cieco nato che riacquista la vista nel suo incontro con il Cristo

7. il risveglio di Lazzaro

È importante aver chiaro che questi sette segni non significano questa o quella cosa in modo univoco: essi sono passibili di infinite interpretazioni perché rimandano alla totalità dell’evoluzione e quindi sono per natura inesauribili. L’approccio esegetico che dicesse: «il terzo segno vuol dire questo», partirebbe da un’ottica del tutto sbagliata perché la scienza dello spirito risponderebbe: sì, vuol dire questo, ma anche quest’altro e quest’altro ancora.

Ma non si cade, così, in interpretazioni del tutto arbitrarie? L’arbitrio conoscitivo si può evitare se si è in grado di cogliere il carattere specifico oggettivo di ciascuno dei segni in relazione agli impulsi evolutivi che si svolgono in modo ben diverso nel tempo, uno dopo l’altro.

Faccio un esempio: tutta l’evoluzione postatlantica nella quale ci troviamo è un cosmo infinito di aspetti evolutivi, dove si sono susseguiti un primo periodo paleo-indiano, un secondo paleo-persiano, un terzo egizio-caldaico-assiro-babilonese, un quarto greco-romano, quello centrale; siamo ora nel quinto periodo postatlantico, dove si sviluppa l’anima cosciente; ne verranno un sesto e un settimo. Ci sono conferenze e conferenze nelle quali Steiner ci aiuta a riempire di contenuti ben specifici ogni posizione evolutiva (in base all’1, al 2, al 3…) così da non confonderne i caratteri fondamentali.[97]

In questo modo ho semplicemente enunciato un compito conoscitivo non da poco. Siamo proprio agli inizi di una conoscenza scientifica dello spirito che ci concederà di entrare sempre più nel concreto delle manifestazioni dell’universo in modo da poterci orientare, senza vuote astrazioni.

D’altra parte è così in ogni disciplina: chi la conosce in superficie fa affermazioni di massima, molto approssimative e tuttavia rigide e stigmatizzanti – e così dimostra di non aver dato corpo alla complessità dei fenomeni. Chi invece ha studiato per anni e anni sarà certo capace di ravvisare distinzioni fondamentali ma, mettendole in movimento, coglierà l’articolazione ricca e pluriforme delle cose, senza confondersi.

Ci rendiamo conto, allora, che il Vangelo di Giovanni più che preoccuparsi di offrire contenuti ci dà la metodologia di un pensiero capace di immergersi nei misteri dell’evoluzione, di un pensiero che non ha paura del composito perché sa riconoscere la fisionomia inconfondibile delle strutture viventi e sa inserire ogni evento nell’organicità del tempo.

Non si tratta, dunque, di individuare verità schematiche che siano sostitutive del nostro sforzo pensante: è questa la difficoltà. In tutta l’opera di Steiner si nota costantemente la coscienza metodologica di chi vuole attivare l’autonomia del pensare umano. Perciò tante persone vorrebbero uno Steiner più facile, che riassumesse le cose e le riportasse al semplice, in una sorta di prontuario della conoscenza. E già che ci siamo, queste stesse persone gradirebbero anche che la scienza dello spirito offrisse norme su ciò che è bene o non è bene fare, che desse esplicite indicazioni sulla prassi, sulle scelte, sui comportamenti, così da risparmiarci il compito di edificare individualmente le forze morali.

E Steiner proprio questo non vuole fare: egli squaderna di fronte all’occhio spirituale di ognuno tutte le possibilità evolutive e le affida soltanto alle forze della libertà che il Cristo ha acceso nel cosmo umano.

La meditazione è un esercizio di offerta, è la capacità di accettare fin nel profondo, aderendovi col nostro intero essere, di volta in volta una sola delle dimensioni del divenire. Questa compressione, questo sacrificio della fantasia evolutiva, è però di volta in volta anche la gioia di sperimentare il cambiamento, la mobilità degli orizzonti.

Ecco allora che nella nona conferenza de Il Vangelo di Giovanni in rapporto con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca,[98] Rudolf Steiner compie il sacrificio di scegliere una via specifica per avvicinare i sette segni del Vangelo di Giovanni, rinunciando ad altre possibili prospettive di lettura. Come in un crescendo musicale, egli descrive il Cristo che impara a “inumanarsi”, a penetrare di grado in grado con la sua divinità dentro l’attesa umana, per innalzarla alla pienezza che la congiunge al divino.

Questa meditazione appare subito feconda per gli immensi spunti che offre alla nostra vita quotidiana, soprattutto per la sfera dei rapporti umani: come posso io ripercorrere le 7 orme del cammino cristico ogni volta che un essere umano mi viene incontro? Come amplio il mio essere per ricevere dall’altro il Cristo e come porto all’altro il Cristo in me?[99]

Primo segno: le nozze di Cana

Leggiamo il segno di Cana[100] nel suo carattere fondamentale di transizione: è un segno nel quale si manifesta in minimo grado la forza divina del Cristo incarnato e perciò c’è la frase: «La mia ora non è ancora venuta». Il Cristo, per compiere il segno che avrebbe avviato sulla Terra il primo impulso alla svolta dei tempi, si deve avvalere della forza concomitante della madre, e questo mistero viene espresso nella frase «ti ™moˆ kaˆ so…, gÚnai?» (ti emoì kaì soí, gúnai?) totalmente stravolta in una traduzione che appare rozza anche alla sensibilità comune: «Cosa ho a che fare con te, o donna?». Questo in risposta all’affermazione di Maria: «Non hanno più vino».

È pur vero che la decifrazione dei primi manoscritti è assai difficile, perché in essi non compaiono né punteggiatura, né accenti, né spazi di separazione fra una parola e l’altra: tutto veniva trascritto in un continuum per risparmiare pergamena ma anche perché, evidentemente, il suono della parola fluiva senza gli interventi analitici dell’intelletto, poggiando sui ritmi del corpo eterico, della sapienza stessa della vita in noi.

In questa frase greca, a seconda che noi mettiamo o non mettiamo l’accento sulla parola iniziale ti, passiamo da un pronome interrogativo t… a un pronome indefinito ti, cioè passiamo da che cosa? a qualcosa.

Per questo motivo la traduzione corretta suona così: «Qualcosa (è, va) da me a te, o donna». In altre parole: questo segno è possibile proprio grazie alle forze che vanno da me a te. Il Cristo accenna qui alle forze magiche dell’amore legate alla consanguineità che avevano consentito, e allora ancora consentivano, il passaggio di sostanziali influssi animici fra una persona e l’altra.

È come se il Cristo dicesse: «Per mutare l’acqua in vino occorre che tu, o donna, metta a disposizione le forze magiche del sangue che ti legano a me, cosicché nell’interiorità di questi commensali, nella loro percezione, l’acqua sarà sperimentata come vino». La madre comprende, si pone nel gesto interiore della comunanza delle forze e dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».

Ecco allora che il Cristo si avvale di un altro apporto concomitante: quello vivente, eterico, degli elementi: «Riempite d’acqua le giare». Occorreva, dunque, perché il segno si compisse, che fosse offerta non acqua stagna ma acqua sorgiva, acqua appena scaturita dalla Terra che aveva già riconosciuto nel Cristo il suo spirito. Chi opera in queste correnti eteriche? L’amore della madre e la saggezza del Logos. È basilare che operino insieme.

Maria qui viene appellata non in quanto madre, ma in quanto donna: è il femminile per antonomasia che deve ora mettere a disposizione le sue peculiari forze della vita (eteriche) e dell’anima (astrali) mentre l’Essere dell’Amore opera con le forze dello spirito. Il fenomeno che sopravviene non è una materiale trasformazione dell’acqua in vino (sarebbe una magia contro natura) ma la possibilità di vivere gli effetti animico-vitali dell’alcol – cioè l’entusiasmo, l’ebbrezza dell’io come si poteva raggiungere in quei tempi – senza una reale ingestione di vino. I commensali bevono acqua e sperimentano gli effetti del vino: la presenza dell’Io Sono permette una prima esperienza dell’Io senza il supporto fisico-materiale dell’alcol.[101]

Il carattere di transizione di questo primo segno non è dato tanto dal fatto che l’Essere solare si rivolga alle antiche conoscenze magiche degli uomini, ma dal fatto che le mostri in Cana di Galilea. Lo specifico della Galilea, rispetto alla Giudea, era relativo all’usanza dei matrimoni misti: mentre in Giudea il sangue ebraico era stato sempre mantenuto puro attraverso la procreazione tra consanguinei, in Galilea c’era una mistura di genie, conseguenza dei matrimoni fra estranei. La parola Galilea significava in ebraico proprio questo, e non era un apprezzamento positivo. Invece, nell’ottica del divenire è un segno di civiltà più avanzata, perché l’evoluzione procede dai legami basati sull’affinità di sangue – dove il corporeo è preminente e determina l’interiorità –, all’affinità elettiva, quella karmica della libertà, che è e sarà sempre di più l’elemento portante di tutta la seconda parte dell’evoluzione.

Un altro aspetto della transizione, dove il nuovo è appena incipiente e si innesta nel vecchio, è questo: se il Cristo avesse compiuto soltanto segni che indicano il compimento dell’evoluzione, ci avrebbe schiacciati costringendoci a subire una svolta direzionale, senza nessuna libertà. Il suo amore consiste proprio in questo: egli non soltanto anticipa la perfezione futura dell’umano, ma soprattutto ci indica i passi intermedi che conducono a questa pienezza.

Il mistero delle nozze di Cana sta nel fatto che l’amore divino non pretende che l’uomo si catapulti nelle altezze del divenire, e perciò va dove l’uomo è, in questa lacuna del divenire. L’amore divino prende l’uomo così com’è per accompagnarlo, passo dopo passo, affinché tutto gli sia gradualmente accessibile fino allo stadio compiuto finale, quello del risveglio nella pienezza delle forze dell’Io Sono. Il primo segno ha dunque carattere di kr…sij (krísis), di scelta, di discernimento, di svolta nel mezzo dell’evoluzione; il settimo segno, col risveglio di Lazzaro, mostrerà, invece, il tšloj (télos), la fine, il compimento.

Secondo segno: la guarigione del figlio del funzionario

«Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: ‹Se non vedete segni e prodigi voi non credete›. Ma il funzionario del re insistette: ‹Signore, scendi prima che il mio bambino muoia›. Gesù gli rispose: ‹Va’, tuo figlio vive›. Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: ‹Tuo figlio vive!› ».[102]

Le parole greche che noi traduciamo con funzionario regio (o capitano del re o dignitario del re) sono tij basilikÒj (tis basilikós) che letteralmente significano qualcuno del re, cioè uno della corte. Nelle locuzioni di una lingua antica come quella greca sono impressi anche i livelli evolutivi del tempo: qui è chiara la realtà dell’anima di gruppo. Tij basilikÒj (tis basilikós) è colui che assume identità in quanto facente parte di un gruppo che fa capo al re: egli appartiene al re, ne è una sorta di appendice.

Il Cristo ha la forza di suscitare in Lui la p…stij (pístis), la cosiddetta fede, la forza dell’autodeterminazione interiore, e soltanto dopo le parole «Va’, tuo figlio vive» viene detto: «’Ep…steusen Ð ¥nqrwpoj lÒgù (epísteusen o ánthropos to lógo)», l’uomo credette al Logos (alla parola). Quell’atto interiore che gli ha permesso di riconoscere in sé le forze dell’Io Sono, gli restituisce, al contempo, la dignità umana. Il secondo segno è dunque quello dove il Cristo è già in grado di infiammare nell’essere umano le forze dell’Io che lo conducono verso la sua umanità vera[103].

Terzo segno: la guarigione del paralitico

Il terzo segno parla di un paralitico[104] che giaceva presso la piscina di Betesda da 38 anni: 38 anni sono 2 volte 19 anni. Un ciclo cosmico astronomico importantissimo è quello dei 18 anni e 6 mesi: sono gli anni necessari perché Sole Luna e Terra ritornino nella stessa posizione fra di loro. Quindi quest’uomo è stato paralizzato per più di 2 cicli.

Steiner dice che il Cristo opera qui non soltanto suscitando la fede – voi tu diventare sano?, vuoi guarire, vuoi attivare il tuo impulso interiore, il tuo vero cammino evolutivo per superare questa malattia? –, ma opera anche al livello morale. La paralisi è infatti il risultato del suo cammino morale, vissuto interamente nella passività rispetto al destino, cioè nel sentimento di dover subire tutti gli eventi della vita: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. […] Ecco, tu sei guarito. Non peccare più, che non t’accada di peggio».

Lettuccio è un termine tecnico esoterico col quale si indica il karma, la totalità del destino di ogni essere umano: essere trasportati su questo lettuccio significa vivere ancora in uno stadio evolutivo infantile, nel quale le forze esteriori della vita ci condizionano ineluttabilmente e, col metro di giustizia del pareggio, si viene educati dal di fuori, dalla vita stessa, senza rendercene conto.

E allora il Cristo dice: assumi responsabilmente le conseguenze delle tue azioni! Renditi conto che ogni momento della tua vita di oggi è il risultato di quella di ieri! Ergiti con le forze del tuo Io! E accetta, impara ad amare quanto la vita ti porta incontro non come un carico ineluttabile, ma come un’infinita messe di occasioni evolutive. «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». Ciò che prima portava te, portalo ora tu liberamente.

Quarto segno: la moltiplicazione dei pani

Il quarto segno[105] è quello centrale proprio perché qui c’è una svolta grandiosa. Ciò che prima avevamo detto relativamente alla prima moltiplicazione dei pani secondo la dinamica del 4, ora prende nuova luce, nel contesto completo del settenario evolutivo dei segni di Giovanni.

«Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai discepoli: Raccogliete i pezzi avanzati [riunite ciò che permane in eterno nell’umanità], perché nulla vada perduto».

In questa traduzione scompare quel che c’è nei più antichi manoscritti: il Cristo non dispensa direttamente alla folla, bensì egli dà i pani ai dodici apostoli, e questi a loro volta dispensano alla folla.

L’essenziale in questo segno, dice Steiner, è il fatto che l’Essere solare stesso prende i pani, raccoglie in sé i 12 impulsi cosmici e poi li passa agli apostoli affinché li distribuiscano alla folla: «`OIhsoàj kaˆ eÙcarist»saj dišdwken to‹j maqhta‹j (aÙtoà) de maqhtaˆ to‹j ¢nakeimšnoij (o Iesùs kài eucharistèsas dièdoken tois mathetais (autu) òi de mathetài tòis anakeimènois) Gesù, dopo aver reso grazie, distribuì ai suoi discepoli e i discepoli a coloro che erano seduti».

In questo nuovo passo verso l’umano, il Cristo diventa capace di conferire ai Dodici la propria stessa forza risanante: i Dodici la accolgono e cominciano – in modo incipiente, ma cominciano – a irradiare dalla propria interiorità la stessa forza cristica. Il macrocosmo si inserisce sempre più nel microcosmo.[106]

Quinto segno: la visione del Cristo sul mare in tempesta

«Venuta intanto la sera, i suoi discepoli scesero al mare e, saliti in una barca, si avviarono verso l’altra riva in direzione di Cafarnao. Era ormai buio e Gesù non era ancora venuto da loro. Il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: ‹Sono io [Io Sono], non temete›. Allora vollero prenderlo sulla barca e subito furono alla sponda alla quale erano diretti».[107]

La forza di inumanazione del Cristo aumenta ancora: egli è ora in grado di rendersi percepibile nella sua forma spirituale alla visione interiore degli apostoli. Il Cristo ha portato se stesso così in avanti verso l’uomo e ha portato gli apostoli così in avanti verso di sé, che essi sono in grado di contemplarlo realmente nella visione immaginativa e, a livello iniziale, anche nella percezione ispirativa.

Tutto accade di notte. Di notte significa che mentre i corpi dormono avviene un incontro nel mondo eterico: dapprima si scatena una forte tempesta, un accavallarsi ondeggiante di immagini confuse e sconvolgenti (ebbero paura). La tempesta viene sedata, viene posta armonia in questo mondo delle acque, cioè compare l’Ordinatore delle forze eteriche del cosmo: il Cristo. Gli apostoli sanno di essere di fronte all’Io Sono e ne sono ispirati, cioè percepiscono quel che il Cristo dice di sé. Il livello dell’immaginazione implica infatti la capacità di vedere, di avere visioni nel mondo spirituale, e il successivo livello dell’ispirazione indica la capacità di capire ciò che l’immagine ha da comunicare.

«E poi, subito, furono alla sponda»: all’improvviso si svegliano. La sponda della Terra dura è il corpo fisico: questa è l’immagine esoterica dello svegliarsi. Gli apostoli hanno avuto un primo barlume di esperienza sovrasensibile, sono appena appena riusciti a orientarsi ma non sono in grado di trattenere l’evento, di restare più a lungo nella visione spirituale. Si svegliano subito. Così come, durante la Trasfigurazione, si sono addormentati.

Il Cristo che cammina sulle acque è il titoletto che gli esegeti hanno dato a questo passo del Vangelo, perché è tutto interpretato in chiave fisica. Ma l’amore dell’Essere solare non ha mai compiuto nulla che fosse oltre l’umano, che non appartenesse alla realtà dell’uomo o la contraddicesse (come il camminare sull’acqua, per esempio). Il vero impedimento alla comprensione dei vangeli è proprio il misconoscere, il negare che ci possa essere un mistero dell’uomo, cioè che in realtà l’uomo sappia ben poco di se stesso.

Miracolo vuol dire che desta meraviglia: non vuol dire l’esibizione della potenza divina a mortificazione dell’uomo. E cosa può destare più meraviglia del vedere il Cristo inumanarsi, consentendo così all’umano di dispiegarsi in tutta la sua pienezza a venire?[108]

Sesto segno: il cieco nato

«Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: ‹Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?› Rispose Gesù: ‹Né lui né i suoi genitori hanno peccato, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio› ».[109]

Per capire questi importantissimi versetti iniziali del sesto segno, dobbiamo riferirci alla distinzione che viene fatta nella scienza dello spirito tra personalità e individualità e su cui si basa la realtà della reincarnazione[110] – da non confondere con l’antica metempsicosi orientale, o trasmigrazione delle anime che, in epoche precristiche, non poteva ancora avere coscienza ed esperienza dell’Io Sono in ogni essere umano.

La personalità è infatti il modo diverso in cui di vita in vita si manifesta – cioè prende corpo, vita e anima – l’individualità spirituale unica di ogni essere umano, quell’Io che costituisce il nucleo divino e che permane dopo la morte.

Questo cieco nato è nato, appunto, cieco, e la domanda degli apostoli verte su un quesito fondamentale: dov’è la causa della cecità? Nell’assunto teologico del cristianesimo tradizionale l’uomo non preesiste al suo concepimento, e dunque questo passo del Vangelo di Giovanni ha sempre creato grossi problemi all’esegesi. Se è vero che Dio crea l’anima di ogni uomo al momento del concepimento, il quesito degli apostoli – non di gente qualsiasi, degli apostoli! – è assurdo: «Chi ha peccato perché sia nato cieco, lui o i suoi genitori?». Questo lui crea un contesto conoscitivo di gran lunga più ampio, perché va oltre il concetto di personalità, l’unico presente nella nostra cultura. Quando mai avrebbe potuto peccare un bambino che nasce cieco?

In questo passo del Vangelo, dunque, c’è un accenno alla reincarnazione, e potremmo senz’altro chiederci come mai questa prospettiva evolutiva non sia stata espressa in modo più esplicito. Perché l’occidente, risponde Steiner, doveva vivere per un certo tempo senza la consapevolezza della reincarnazione affinché si potenziasse il senso dell’incarnazione in corso, dell’adesione alla preziosità della vita terrena, alla personalità, alla responsabilità di ogni vita. Una pura pedagogia divina che offre alla libertà dell’uomo occasioni evolutive sempre diverse, a seconda dei tempi.

Qual è la risposta del Cristo? Secondo le nostre traduzioni, nella stessa prospettiva che prima rilevavamo riguardo ai miracoli, la cecità di quest’uomo viene legata alla manifestazione della gloria di Dio: è cieco «affinché in lui si manifesti la gloria di Dio» – come se non fosse ancora più glorioso, Dio, quando crea un bell’occhio sano!

“Ina fanerwqÍ œrga toà Qeoà ™n aÙtù (ína fanerote ta érga tu Theu en auto) «perché si manifestino le opere del Dio in lui»: questa è la traduzione fedele che una vera scienza dello spirito consente! Il Dio in lui è l’Io, è l’individualità eterna che costituisce il divino in ogni uomo e la cui realtà si manifesta sulla Terra di incarnazione in incarnazione. Questa individualità, questo Essere divino spirituale è il responsabile, è la causa della condizione di cecità: a lui si debbono attribuire le premesse morali, poste nella precedente incarnazione, in seguito alle quali la corporeità dell’incarnazione successiva ha necessariamente dovuto nascere cieca.

Questa sesta gradazione della forza del Cristo consiste nel fatto che Egli opera ora non soltanto nella personalità racchiusa tra la vita e la morte, ma anche nell’individualità immortale dell’uomo che va da una vita all’altra: in questo segno il Cristo è il rappresentante cosmico dell’Io Sono, e all’Io Sono del cieco nato comunica le forze necessarie perché dalla sua interiorità (cioè dall’Io Sono) si attivi il processo di guarigione.

Il settimo segno è la culminazione dei segni: nel risveglio di Lazzaro abbiamo la cristificazione totale dell’essere umano. Ne parlerò per esteso nell’ultima conferenza di questo nostro incontro.

La coscienza della reincarnazione
e del karma è andata perduta

Voglio riprendere la questione della reincarnazione e del karma. Rudolf Steiner sottolinea che era addirittura il compito centrale del cristianesimo occidentale quello di far scemare, per un periodo, questa coscienza nell’umanità.[111] Non avendo più l’uomo alcuna consapevolezza della reincarnazione e del karma, andò per lui perduto pure il pensiero della preesistenza. Venne accolta la concezione aristotelica che l’uomo viene creato da Dio soltanto al momento del concepimento.

In Platone la preesistenza è ancora del tutto presente. Aristotele è il primo grande pensatore dell’occidente per il quale la corporeità diventa così essenziale per avere l’esperienza di sé, che è inimmaginabile un uomo senza corporeità. Perciò l’immortalità dopo la morte per Aristotele consiste in un eterno sguardo rammemorativo rivolto alla propria corporeità deposta.

L’immortalità cristiana, poi, tenne massimamente conto del nostro egoismo: ognuno vorrebbe ben volentieri continuare a esistere dopo la sua morte, e allora si parlò dell’immortalità dell’anima. Con la scienza dello spirito si comprende che l’immortalità riguarda solo lo spirito.

Rudolf Steiner sottolinea come sia altrettanto importante parlare “dell’innatalità” dell’uomo, poiché lo spirito umano nasce tanto poco quanto muore. Nascita e morte sono due concetti legati al tempo – quindi all’evoluzione umana terrestre che si svolge nello spazio/tempo – mentre la realtà dello spirito ha a che fare con l’eterno, oltre ogni spazio e tempo. Sapere che si giunge dal mondo spirituale con una missione e con il compito di pareggiare il bilancio di precedenti incarnazioni, non può di certo esser cosa allettante per l’egoismo: il karma richiede infatti responsabilità morale e serietà.

Ma che cosa significò il fatto che gli uomini nulla più sapevano della reincarnazione e del karma? Significò un oscuramento del mistero dell’Io superiore, del vero uomo soprasensibile che passa di vita in vita. L’uomo non poté più comprendere che egli vive quotidianamente inserito nelle forze del karma, e che quanto ha da compiere è stato coscientemente voluto e pianificato dal suo Io superiore ancor prima della nascita, in comunione con le Gerarchie spirituali.

Avendo pensato che l’uomo vive una sola volta, l’abisso tra essere umano ed Essere divino venne inteso come incolmabile. L’uomo che vive e muore nell’attuale gradino di sviluppo mostra tutta la sua imperfezione con un’evidenza schiacciante. Venne perciò sempre più sottolineata la disparità di principio tra Dio e l’uomo, tra la trascendenza di Dio e la creaturalità dell’uomo, disparità che lo fa e lo farà sempre un tutt’altro essere rispetto al divino.

Nella prospettiva della reincarnazione, invece, a ogni uomo la divinizzazione viene attribuita per principio come possibilità. Ognuno dispone di molte vite per acquisire in sé tutto quello che nell’Entità del Cristo si è mostrato come l’Essere umano compiuto.

Abbiamo già detto che il Cristo, con le sue azioni, non è venuto per mostrare agli uomini tutto ciò che non è nelle loro possibilità. L’interpretazione dei miracoli viene completamente capovolta mediante la prospettiva della reincarnazione: le opere dell’Essere dell’Amore contengono il possibile umano. Egli ci ha mostrato tutto ciò che possiamo divenire e avverare nel corso della nostra evoluzione. La natura più profonda dell’umano non può venir afferrata nell’attuale uomo caduto: la sua perfezione si mostra dapprima soltanto nel Cristo.

E allora non Lui è oltre l’umano, bensì l’uomo è ancora troppo poco umano.

La reincarnazione nei vangeli

Apro una parentesi per chiarire meglio la realtà della reincarnazione nei vangeli. Infatti, per chi ha i presupposti conoscitivi essa è presente, e non soltanto nel passo del cieco nato.

Dopo la Trasfigurazione, leggiamo:

«E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: ‹Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’Uomo non sia risorto dai morti›. Allora i discepoli gli domandarono: ‹Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?›. Ed egli rispose: ‹Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi gli hanno fatto ciò che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’Uomo dovrà soffrire per opera loro›. Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista».[112]

Molte volte, agli occhi di chi coltiva l’antroposofia, questo passo del Vangelo di Matteo appare come un’evidente enunciazione della reincarnazione da parte del Cristo stesso: infatti qui viene detto che nella personalità di Giovanni il Battista e nella personalità di Elia, troviamo la stessa individualità, così come si è manifestata in due incarnazioni diverse.[113]

Ma questo stesso passo non è stato interpretato così dalla tradizione cristiana, che ben lo conosce e ha dedicato secoli alla sua comprensione giungendo a questa spiegazione: non c’entra nulla la reincarnazione, si tratta semplicemente di Elia che ispira, che è presente in spirito in Giovanni il Battista. È inutile, dunque, rimanere sul piano della dialettica: il problema va spostato nell’ambito del fenomeno globale del materialismo che, dai tempi del Cristo, sempre più ha investito l’umanità intera.

Per il materialismo dire che in Giovanni il Battista c’è lo spirito di Elia non è sufficiente per dedurre che ci sia Elia stesso, che ci sia l’Io superiore, l’individualità di Elia. Perché? Perché la corporeità di Elia manca! Perché la corporeità del Battista è un’altra e dunque il Battista è per forza un altro essere. In tempi di materialismo è la corporeità a identificare un essere!

Se superiamo questa posizione conoscitiva e diciamo: la corporeità è solo il prezioso abitacolo dello spirito, cioè dell’Io di ogni uomo (cosa, del resto, confermata anche dalla tradizione cristiana), che muta di incarnazione in incarnazione a seconda della sua stessa evoluzione, a seconda delle esperienze già fatte e di quelle che si ripropone di fare; se, affermato questo, diciamo che in Giovanni il Battista c’è lo spirito di Elia, vuol dire che c’è Elia al cento per cento. Cosa manca di Elia se c’è il suo spirito? Nulla! Se in Elia e nel Battista c’è lo stesso spirito e riteniamo che la realtà vera ed eterna dell’essere umano sia lo spirito, allora Elia e il Battista sono la stessa individualità, lo stesso Io, in due incarnazioni diverse.

La corporeità è proprio la dimensione accidentale e passeggera dell’uomo, come lo sono l’anima (corpo astrale) e il corpo eterico: lo spirito è l’essenza. Due corpi diversi non fanno due individualità spirituali diverse, così come il cambiare abito non fa di me un uomo diverso. Da tutto questo si evince che è inutile, in chiave di argomentazioni filosofico-dialettiche, voler dimostrare che in questo passo del Vangelo è espressa la reincarnazione: si tratta, invece, di portare fino in fondo l’esperienza del materialismo.

Il Padre nostro e i sette segni

Abbiamo già detto che i sette segni del Vangelo di Giovanni rappresentano per l’umanità moderna un continuo esercizio di meditazione e non devono essere letti in modo univoco o schematico. Scegliamo, allora, di fare un parallelo con le 7 grandi affermazioni del Padre nostro: in questa preghiera data dal Cristo sono contenute le 7 leggi fondamentali del divenire orientate alla risalita dell’umanità.[114]

Esisteva infatti anche un Padre nostro della “caduta”,[115] un’enunciazione in formule pagane di tutto l’oscuramento della coscienza umana dopo il distacco dalla matrice cosmica paradisiaca. Il Cristo rovescia questa preghiera e la porge all’umanità perché veda nella caduta l’inizio della resurrezione, perché sperimenti l’impulso che investe e inverte l’evoluzione, grazie al suo avvento e al suo sacrificio.

All’inizio del Padre nostro[116] abbiamo l’invocazione al ternario divino che riguarda tutto il futuro dell’umanità – edificazione del Sé spirituale, dello Spirito vitale e dell’Uomo spirito, come abbiamo già visto –, poi si enuncia il quaternario che ripercorre tutta l’evoluzione del corpo fisico, del corpo eterico e del corpo astrale (il passato) fino al presente, fino al compito attuale dell’umanità nei confronti dell’Io.

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larchetipo delluomo

secondo i pitagorici

Non a caso la scuola pitagorica quando rappresentava l’uomo nella sua figura archetipica, ne esprimeva la triade divina, la compagine eterna, nella forma del triangolo, e le 4 parti costitutive inferiori nella forma, sottostante, del quadrato.

Vediamo ora nel dettaglio le invocazioni (3+4) del Padre nostro:

Padre Nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

rimetti a noi i nostri debiti

come noi li rimettiamo ai nostri debitori,

non ci indurre in [non ci far soccombere alla] tentazione

ma liberaci dal male. Amen.

Vediamo prima il quaternario, quello che nella preghiera fa riferimento al passato, a ciò che l’uomo è già divenuto, e facciamolo risuonare in noi accanto a quanto abbiamo già detto a proposito dei sette segni di Giovanni:

1. Dacci oggi il nostro pane quotidiano (celeste)

è la riconferma cosmica del corporeo, il riconoscimento dell’imprescindibile compito umano di confrontarsi col percepibile, con la materia. Ma questo pane ora è chiesto al Padre, questo pane nuovo l’umanità ora lo aspetta dal cielo. L’aggettivo quotidiano, in greco ™pi-oÚsion (epi-úsion) viene corretto da Steiner in ™pi-ioÚsion che significa sostanziale: è un pane celeste, dunque, quello dell’uomo che comincia ad accogliere in sé le forze del Cristo, un pane che lo edifica secondo lo spirito.

Anche il primo segno di Giovanni, nelle nozze di Cana in Galilea, mette al centro il tema del trapasso dalla materia che impronta lo spirito attraverso la via corporea del sangue, allo spirito che dà senso alla materia attraverso l’affinità elettiva fra gli esseri, secondo libertà.

2. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai
nostri debitori

è qui riassunta tutta l’evoluzione del corpo eterico umano, quella che ha a che fare con la conquista di tendenze durature, di caratteristiche costanti, che hanno posto ogni uomo, nel corso delle incarnazioni, ogni volta in relazione col proprio tempo, col proprio popolo, con la propria famiglia. Questo contesto sociale così intimo crea reciproci debiti, forgia legami di responsabilità comune all’interno del consorzio umano, nel quale si ripercuotono tutti gli errori, tutte le menzogne, tutte le inadempienze nei confronti del riconoscimento della saggezza cosmica. Questa saggezza plasma il vivente ed è la realtà del corpo eterico, è la sapienza delle forze edificatrici. La giusta evoluzione secondo la componente eterica ha a che fare, dunque, con la capacità dell’uomo di mantenere in vita la comunità in cui si trova a vivere.

Cosa dice il secondo segno, nell’episodio del funzionario del re? Che l’umanità è chiamata a passare dalle forze dell’anima di gruppo, che annullano la persona, alle forze del singolo che, sole, possono far sorgere una reale e reciproca custodia fra gli uomini, una responsabilità del vivere

3. Non ci indurre in tentazione (non ci far soccombere alla tentazione)

qui il riferimento al corpo astrale è chiarissimo. Nelle forze dell’anima, infatti, l’essere umano diviene egoico, esce dalla comunanza eterica e isolandosi soggiace all’egoismo, alle forze della brama. Costruisce così il suo karma personale che gli tornerà incontro non in quanto appartenente a un popolo, ma in quanto singolo. La salute del corpo astrale, in questa preghiera, è dunque incentrata nella capacità di opporre resistenza alla tentazione. Però, il valore di ostacolo della tentazione è necessario perché fa parte della realtà della caduta: questa lettura evolutiva è impossibile se si traduce il verbo e„senšgkVj (eisenénkes) con non ci indurre anziché con non ci far soccombere.

Nel segno del paralitico guarito c’è l’operare del Cristo nella dimensione morale dell’uomo, allorché gli comunica le forze per prendere in mano il suo lettuccio. L’etica muta da un concetto di peccato legato alla trasgressione della norma esterna – la Legge dell’Antico Testamento – per cui si subisce poi la punizione, a una legge di responsabilità che nasce dall’interiorità umana posta di fronte al disordine della sua anima (la tentazione).

4. Ma liberaci dal male

il quaternario posa sulla quarta dimensione umana, quella dell’Io, l’ultima acquisita nel nostro cammino evolutivo, e la cui completa realizzazione riguarderà l’intera quarta incarnazione planetaria della Terra (l’attuale). L’Io si forgerà nella lotta frontale col male (in latino male si dice malum, lo stesso vocabolo che indica la mela), dove riconoscerà nell’io inferiore (la normale coscienza egoistica) tutto il portato evolutivo della cosiddetta cacciata dal Paradiso.[117]

Nel quarto segno di Giovanni, segno di potente svolta nell’aumento della forza del Cristo incarnato, vediamo in risposta il rafforzamento dell’Io Sono negli apostoli: è l’annuncio della missione che tutta l’umanità dovrà compiere «perché nulla vada perduto» (Gv 6,12), perché nessuna dimensione dell’umano manchi nella comunione finale che sarà il corpo mistico del Cristo, il corpo spirituale dell’intera umanità.

Possiamo qui vedere la legge evolutiva universale del trapasso dall’esperienza dell’Io in Cristo, all’esperienza del Cristo in me: testimoniando in sé la presenza del Cristo, l’essere umano pone le reali fondamenta per operare sempre di più nella pienezza del bene, fino a liberare il male stesso, redimendolo e riassorbendolo nella realtà cosmica e onniabbracciante del bene.

5. Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome

vediamo adesso la triade divina, l’appello iniziale che annuncia e ricorda all’uomo che in lui sono state effuse le forze della Trinità. Il nome è la risposta libera e individualizzata della parola umana che pronuncia il nome degli esseri di tutto il creato, santificandoli: l’uomo, attraverso il Sé spirituale, enuncerà la Sofia, lo Spirito Santo, perché con la forza del suo Io cristificato avrà purificato tutto il corpo astrale.

Le forze immaginative sono il risultato del corpo astrale purificato, sono la prima percezione dello spirituale al livello eterico, al livello cosmico delle acque: così gli apostoli, nel quinto segno di Giovanni, percepiscono il Cristo. È questo il passaggio evolutivo dal Cristo in me al Cristo in te: gli uomini cominciano a sperimentare che l’incontro col Cristo è l’incontro con gli altri esseri umani, e viceversa. Si fa qui l’esperienza di un nuovo tipo di comunità umana, che Rudolf Steiner chiama il risvegliarsi alla realtà animico-spirituale dell’altro.

6. Venga il tuo regno

il regno è l’intero universo che risponde al gesto di creazione e perenne donazione del Padre, e ne rifulge accogliendolo. Il regno è il luogo cosmico dell’impulso del Figlio, dove la direzione evolutiva si inverte per opera dell’uomo: l’uomo scopre e fa sua l’architettura divina, che al divino ritorna. Queste saranno le forze dello Spirito vitale.

La coscienza ispirativa, quella che consentirà all’uomo di udire quel che ogni Essere pronuncia di se stesso, è annunciata nel segno del cieco nato: qui il Cristo indica agli apostoli che ogni comprensione di ciò che si manifesta esteriormente in un uomo (in quel caso la cecità) è da ricercare nella sua individualità, nel nucleo intimo dello spirito, non confinabile nell’arco illusorio del tempo.

7. Sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra

l’ultimo gradino evolutivo dell’uomo gli svelerà i misteri della volontà primigenia del Padre, della forza somma di amore e immolazione, capace di operare la Grande Offerta, che è quella di creare esseri per irradiazione dalla propria sostanza, dalla propria sovrabbondante essenza. Questo sarà il livello evolutivo dell’Uomo Spirito, la resurrezione totale della creatura diventata capace di creazione, della creatura che avrà conosciuto, amato e voluto la pienezza del proprio essere.

Tutto questo è il mistero di Lazzaro: la resurrezione è l’Opus Magnum degli uomini, la loro Opera Grande di taumaturgia e alchimia cosmica. Più grande della redenzione che è alla base di tutte le religioni orientali, per esempio: quella redenzione dalla materia, che cioè vede l’abbandono della materia e dell’incarnazione come il fine ultimo dell’uomo, come l’unica salvezza e l’unica via di scampo.

La resurrezione, invece, l’intuizione morale somma, significa l’ingresso totale nello spirito come compimento della Terra stessa. Ma qual è la via per entrare realmente nello spirito? Vedremo più avanti che, paradossalmente, questa via è espressa dalla parola jerofantica (cioè da Maestro dell’iniziazione) del Cristo che richiama Lazzaro dai mondi spirituali: «Lazzaro, vieni fuori!». Lazzaro!, torna sulla Terra, ama il tuo compito umano che è quello di far penetrare lo spirito in tutta la materia, affinché risorga! Lazzaro!, non fuggire da solo nel mondo dello spirito: la divinità ha fatto a sua immagine l’uomo e il cosmo che lo contiene, e l’uomo renderà grazie risollevando il cosmo visibile a immagine sua.

Spiritualizzare la materia secondo lo spirito umano, ecco il compito dell’uomo. Perché davvero si possa dire: «Come in Cielo, così in Terra».

Quarta conferenza

MALATTIA, KARMA E TERAPIA
NEI VANGELI

Roma, 27 aprile 1996

L’uomo non è una macchina

Cari amici,

l’impulso terapeutico espresso nei vangeli alla svolta dei tempi è sempre stato chiamato l’evento di redenzione dell’umanità. Queste parole della tradizione vanno riprese in senso scientifico-spirituale: redimere l’umanità significa curarne la grande malattia. La malattia è la caduta (la cacciata dal paradiso, il peccato originale): le conoscenze spirituali più profonde, infatti, l’hanno sempre compresa come un processo di “ammalamento”. La redenzione è il risanamento.[118]

L’essere umano non è sano automaticamente perché, se lo fosse, non sarebbe libero. È parte intrinseca ed essenziale della realtà della libertà che la nostra salute – intesa quale armonia e pienezza dell’essere – non sia un dato di natura, non sia un fatto di determinismo e di necessità, ma venga offerta sempre di nuovo, come possibile conquista della libertà.

I minerali, le piante, gli animali, sono necessariamente in consonanza con la natura perché ne sono determinati e non possono esprimere altro che armonia. L’uomo, l’essere della libertà, trova il suo posto giusto e armonico soltanto per libertà: è dunque sempre esposto, durante l’evoluzione, a porsi fuori luogo e fuori tempo. E questa è la malattia.

I vangeli guardano al processo di guarigione dalla prospettiva più vasta che ci sia, quella che offre tutti gli impulsi dei quali l’uomo può avvalersi per diventare, di volta in volta, sano. In fondo, il grande problema delle malattie e della terapia del nostro tempo è proprio la mancanza di prospettive universali. In questa epoca di meccanicismo e di frammentazione ci si è abituati a trattare anche il corpo fisico come un meccanismo, non se ne vede più il principio unificante. Contano soltanto le parti e le sezioni.

La differenza fondamentale tra organismo e meccanismo è che l’organismo è costituito di membra mentre il meccanismo consta di parti, di pezzi. I pezzi sono talmente estrinseci gli uni agli altri che possono venire sostituiti senza che il meccanismo si alteri. Invece l’organismo è unitario, il principio vitale pulsa unico in tutte le membra, e dunque non è un pensiero veritiero quello che, per esempio, vede nel trapianto di organi lo stesso principio valevole per il ricambio dei pezzi di un’automobile.[119]

I vangeli ci riportano ai fenomeni globali, sintetici e organici della terapia ponendo la premessa di base che la vera salute non è mai quella che c’è, ma è sempre quella che si conquista. L’anelito vero dell’uomo non consiste nell’essere già in partenza sano ma nel diventare sempre nuovamente e diversamente sano, e che quindi la grande tentazione, la malattia prima, è quella di pretendere una condizione di salute già data per scontata.

Se l’uomo fosse già di per sé sano non avrebbe nulla da fare e la libertà non avrebbe nessun compito. L’esercizio della libertà consiste sempre nel superare una disarmonia – di cui la manifestazione nel corpo è soltanto l’ultimo livello – per rimettersi sempre di nuovo in sintonia col mondo degli esseri e delle cose.

L’egoismo, la pigrizia, l’inerzia interiore ci traggono in inganno e ci fanno pensare che sarebbe meglio che nel mondo non ci fosse nessun tipo di sofferenza: ma questo atteggiamento dimostra solo che abbiamo paura della libertà. Essere già in partenza costantemente sani significherebbe vivere di rendita, significherebbe perpetuare uno stato già conquistato: invece la realtà, che ci viene incontro dal futuro, è sempre diversa e se noi la affrontiamo con la stessa compagine interiore ed esteriore che avevamo due ore prima ci ammaliamo, perché entriamo in conflitto con questa nuova realtà.

La malattia è dunque la ribellione della natura spirituale umana contro la tendenza all’inerzia e al comodismo dell’io inferiore, mutuata dall’inserimento nella gravità della materia. La vera salute è la capacità di trasformazione interiore continua, è rendersi sempre capaci di innovazione, consoni alla situazione karmica che di giorno in giorno ci interpella in modi sempre inconsueti.

La vera salute non è mai statica, è dinamica: la salute è versatilità interiore, è creatività, è la capacità artistica di orientarsi secondo un pensare, un sentire e un volere sempre rinnovati, che sono poi il segno più bello di un autentico interesse alla vita.

«Non date ciò che è santo ai cani, non date perle ai porci»

I vangeli sono dei testi inesauribili anche dal punto di vista terapeutico. Il Cristo è il grande Terapeuta perché offre agli uomini tutte le forze del risanamento e del ringiovanimento, tutte le possibilità evolutive per la libertà: in questo è la somma del suo amore.

Per una lettura esoterica dei vangeli in chiave terapeutica, possiamo partire da una misteriosa frase di Matteo, verso la fine del discorso del Cristo sul monte: «Non date ciò che è santo ai cani, non gettate le vostre perle davanti ai porci affinché non le calpestino [stritolino] sotto le loro zampe e voltandosi non vi sbranino».[120] È evidente che senza un fondamento conoscitivo di natura tecnico-esoterica, cioè senza conoscenze specifiche sulla natura del cammino iniziatico nell’umanità, non è possibile comprendere tali parole. Nemmeno per i teologi. Qui viene detto che la grande malattia della caduta comprende due dimensioni fondamentali:

• la dimensione arimanica

• la dimensione luciferica

La componente arimanica è quella dell’illusione che il mondo della materia sia il mondo reale, unico e definitivo. Questo aspetto della malattia nasce dalla paura di fronte all’infinita complessità dello spirituale, di fronte al macrocosmo: la paura genera nell’uomo il desiderio di afferrare e soggiogare ciò che sembra stabile, misurabile, controllabile. La malattia del materialismo è dunque la volontà di ridursi al percepibile fisico, come inconscia reazione allo spavento che suscita l’affacciarsi sull’universo spirituale, dove ci si smarrisce fra miriadi di esseri – esseri del bene e esseri del male – se non si ha la facoltà di distinguerli, se non esiste in noi orientamento spirituale.

Il mistero del rapporto col mondo esterno, che ho già descritto in chiave di iniziazione macrocosmica del nord, è sempre stato espresso nella tradizione esoterica con l’immagine del fiuto sensibilissimo del cane. Il cane si pone, attraverso il fiuto, in relazione col mondo esterno cogliendo qualità olfattive molto più fini di quanto sia concesso a noi. Trasposto nell’essere umano, questo istinto animale diventa il materialismo del pensare arimanico utilitaristico: esso ci fa fiutare tutte le situazioni per sfruttarle al meglio, a danno degli altri.

L’impulso arimanico, disattendendo lo spirito, si serve con grande intelligenza delle qualità della materia sviluppando il senso del potere, la prepotenza, il soverchiamento. Il muso lungo del cane è una metamorfosi in chiave olfattiva dell’organo umano della percezione – della facoltà appercettiva – che fa sorgere nell’uomo non sensazioni olfattive bensì rappresentazioni, come base del pensiero libero.

La dimensione luciferica della malattia è l’egoismo interiore dove tutti gli impulsi dell’anima, invece di aprirsi con amore verso gli altri esseri, ritornano avidamente in se stessi. La realtà del maiale è sempre stata presa a simbolo di impurità interiore: è l’unico animale che si avvoltola con voracità dentro i propri escrementi. Non altrimenti opera l’egoismo dell’uomo incapsulato in sé. L’egoismo è la malattia del microcosmo legata al mistero della vergogna: l’incapacità di affrontare il mondo delle proprie brutture egoistiche oggettivandole, distanziandosene, guardandole frontalmente con sincerità, porta l’uomo a viverci come nel proprio ambiente, ad avvilupparsi a esse con autocompiacimento.

Allora:

«Non date ciò che è santo ai cani» vuol dire: non riducete al fiuto dei cani la vostra facoltà spirituale del percepire (che è propedeutica al pensare) solo per accaparrarvi spazi di potenza materiale;

«Non gettate le vostre perle ai porci»: non consegnate all’egoismo le facoltà preziose della vostra anima, quando in voi potrebbero essere gesto e pensiero d’amore. La perla cresce nell’interiorità attraverso il dolore, il dolore è la purificazione dell’egoismo e la purificazione dell’egoismo è la capacità di amare;

«affinché non le stritolino sotto le loro zampe»: affinché non siate frantumati voi stessi;

«e voltandosi non vi sbranino»: e ritornandovi incontro nel kamaloca non vi rendano mutilati. Il kamaloca è il corrispettivo sanscrito del nostro purgatorio dove l’anima umana, dopo la morte fisica, trascorre un periodo di purificazione vivendo a ritroso, cioè dalla morte alla nascita, tutti gli eventi della sua vita. Stavolta, però, li sperimenta in modo nuovo, cioè secondo gli effetti che i suoi pensieri, i suoi sentimenti e le sue azioni hanno provocato negli altri e nel mondo esterno in generale.[121]

Anche ogni notte – noi però non ne siamo consci – viene rivissuta tutta la giornata a ritroso e, se ci siamo dati ad Arimane e a Lucifero, viviamo un disgregamento, una vera e propria mutilazione del nostro essere, la kÒlasij (kólasis), che invece viene tradotta con castigo, come è detto in Matteo 25,46. Questa mutilazione sono i peccati di omissione, cioè quanto l’essere umano non ha fatto per promuovere la pienezza del proprio Io, con l’esercizio della libertà.

Per risanare l’umanità dalla grande malattia della paura, Steiner precisa che il concetto di eterno in greco non esiste: abbiamo già detto che a„ènioj (aiónios), che viene tradotto eterno, in realtà significa che dura un eone. Nell’eone di tempo compreso fra la morte e una nuova nascita non ci sono castighi ma acquisizioni di consapevolezza: l’uomo si rende conto di avere in gran parte omesso l’edificazione libera del proprio essere e questa consapevolezza sarà il suo dolore più grande, senza alcun bisogno che gli Esseri divini infieriscano ulteriormente su di lui. Questa mutilazione portata a piena coscienza farà sorgere l’impulso a ritornare sulla Terra per ripristinare il proprio essere, cimentandosi con nuove occasioni evolutive, senza timore delle difficoltà.

Sarebbe lesiva della nostra libertà umana, tanto quanto il castigo eterno, una fraintesa benevolenza divina che ci ridesse le membra che mancano e ci miracolasse dalla mutilazione: o la libertà è una cosa seria – e allora ognuno è e resta ciò che è divenuto – oppure l’uomo è una marionetta che schiva castighi e implora indulgenze.

È sano sentirsi “malati”

Se prendiamo, invece, l’inizio del Discorso del monte, subito dopo le Beatitudini, troviamo di nuovo espressi due livelli fondamentali della malattia e della salute umana:

«Voi siete il sale della terra: ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che a esser gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del cosmo: non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli».[122]

Tutta la tradizione esoterica, compresa quella dei rosacroce del medioevo, sapeva che ci sono tre elementi fondamentali in natura: il sale, il fosforo e il mercurio.

Quando si esercita l’attività del pensare avviene una sedimentazione di sale: far sorgere il sale significa mettersi in rapporto col cosmo in chiave pensante; il fosforo – fîj toà kÒsmou (tò fos tu kósmu), la luce del cosmo –, il sulfureo affine al fuoco è l’elemento della volontà: il metabolismo che sta alla base degli impulsi volitivi brucia la materia.

L’uomo ha dunque una duplice possibilità di ristabilire sempre la salute, l’armonia e la salvezza: quella di esercitare ogni volta la capacità pensante – e così sedimenta sale – e quella dell’esercizio volitivo delle opere d’amore che gli consente di consumare la materia. L’amore consuma.

Tra questi due elementi c’è il sentimento, l’elemento del mercurio che oscilla tra lo stadio cristallizzante del sale e lo stadio sublimante del fosforo. Il sentimento è la capacità artistica di muoversi liberamente tra il pensiero e l’amore, fra il pensare e il volere.

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lattività di risanamento nelluomo

Che cosa si intende, allora, quando si afferma che il Cristo è il Salvatore, il Terapeuta, il Redentore, il Medico dell’umanità? Perché mai l’uomo non può essere autonomo? Perché ha bisogno di un Taumaturgo cosmico? In che consiste la libertà umana se non può fare a meno del Cristo?

Possiamo porre la domanda anche in un altro modo: perché mi si dice che io ho bisogno di redenzione? Cosa c’è che non va in me? Se la natura umana non è perfetta, che colpa ne ho io? Non l’ho mica fatta io!

Su questi interrogativi fondamentali bisogna andare cauti, perché la tentazione è sempre quella di trovare la comoda scorciatoia della formuletta magica che restringe le prospettive e non coglie il fenomeno nella sua complessità. Abbiamo qui a che fare con un’affermazione fondamentale sull’essere umano: non ce la fa da solo. L’essere umano che si conosca veramente, che sia sincero con se stesso, si rende conto che le sue aspirazioni, i suoi ideali, travalicano immensamente quanto nei fatti riesce poi a realizzare ogni giorno con le sue sole forze.

Un uomo sano deve viversi come manchevole, come malato. E se anche non percepisce in sé questa condizione esistenziale di carenza, la sua malattia si mostrerà ugualmente agli occhi degli altri: saranno gli altri a dargli del malato quando per esempio egli continuerà a proporre di sé sempre la stessa, amatissima ipertrofia dell’io inferiore.

Ho detto, prima, che se la salute fosse già data non ci sarebbe alcun compito per la libertà: l’armonia deve essere sempre riconquistata e questa rinnovata fatica è proprio l’espressione non moraleggiante del fatto che la nostra condizione naturale è quella di malattia. È l’esatto contrario di quanto accade agli esseri dei regni naturali: essi sono sani per natura e si “ammalano”, vengono posti in situazioni di squilibrio, sempre e soltanto a causa della libertà umana.

«Il mio regno non è di questo mondo»[123] dice il Cristo nei vangeli: ciò vale anche per l’uomo, di cui egli è fratello nella dimensione dell’Io. Il regno dell’uomo è quello della libertà, dell’autodeterminazione: nell’interazione con la materia, col mondo del determinismo di natura, l’uomo non può allora che ammalarsi.

Ma il Cristo ha anche detto, prendendo il pane e il vino quali rappresentanti della Terra: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue».[124] Dopo l’evento del Golgota tutte le pietre, tutte le piante e gli animali hanno forze completamente diverse al loro interno, perché il Cristo opera nella natura in modo tale da rendere possibile la libertà umana. Che noi ce ne rendiamo conto o no, la redenzione operata dal grande Terapeuta ci ha portato tutte le possibilità di salute e di risanamento.

Possiamo in questo modo comprendere meglio la grande affermazione del Nuovo Testamento e del cristianesimo: nessuno può conseguire la salute dell’umano, la pienezza dell’umano, senza un rapporto con l’Essere solare, col Cristo, o comunque lo si voglia chiamare. Questo è il mistero del bisogno che l’uomo ha di incontrare l’Essere solare, di confrontarsi con chi gli ha dispiegato e reso possibile tutto l’umano affinché, in piena libertà, trasformi l’evoluzione in un processo di risanamento e di redenzione.

Malattie del corpo, dell’anima, dello spirito

Prendiamo ora in considerazione elementi più specifici e concreti riguardanti la malattia e la terapia: Rudolf Steiner parla di tre grandi tipi di malattie riferite rispettivamente al mistero del Padre, al mistero del Figlio e al mistero dello Spirito Santo. Egli dice:

quando l’essere umano nega Dio Padre sorge la malattia dell’ateismo, che riguarda la realtà del corpo;

• quando nega il Figlio sorge la malattia del sentire anticristico, che riguarda l’anima;

• quando nega lo Spirito Santo sorge la malattia dell’ottusità al livello dello spirito.

1. Nel corso degli ultimi secoli di crescente materialismo, noi abbiamo acquisito nel corporeo le leggi del determinismo della materia che non ci permettono di percepire lo spirito che opera in tutto il cosmo visibile – e dunque anche nel corpo umano. Questo spirito della natura in ogni tradizione esoterica è stato sempre chiamato Dio Padre.

Un uomo che sia veramente ateo, che neghi l’esistenza di Dio e del divino nella sua forma universale di Padre, deve avere una corporeità fisica talmente meccanizzata che non gli consente più di sperimentare nel suo corpo la realtà vitale unificante – cioè l’eterico, la prima realtà soprasensibile dietro il velo della dimensione fisica – che lo indurrebbe subito a dire: l’essenza della materia è lo spirito.

L’ateismo è dunque una malattia vera e propria, specifica del nostro tempo, che proviene dalla realtà corporea: la scienza dello spirito di Rudolf Steiner ci dà degli strumenti precisi per conoscere e diagnosticare i fenomeni di malattia. La negazione di Dio Padre è karma dell’umanità in quanto riguarda il destino generale della corporeità, vissuta sempre più come realtà di disgregamento e di morte.

Il mondo della percezione sensibile e della natura dovrebbe provocare l’uomo a pensare e a trovare, appunto grazie all’attività pensante, l’essere spirituale delle cose, il pensiero divino incantato nelle cose. Oggi, invece, il mondo fisico induce l’uomo all’opposto: il pensare, cioè l’attività dello spirito, a seguito della malattia corporea dell’ateismo viene considerato come una specie di epifenomeno, di effetto secondario delle funzioni del cervello, e dunque la vera realtà è vista nella materia.[125] Lo spirito umano – il pensiero – viene usato per negare lo spirito!

Non intendo qui enucleare tutte le conseguenze di questa malattia, ma esse sono enormi e ci fanno rendere conto dell’ingenuità di tanta terapia che si pratica oggi nell’umanità. Non è nemmeno facile capirci sul come si faccia a diagnosticarla, questa malattia: proviene dall’aver svuotato il corporeo del divino, abbiamo detto, ma ciò non significa che si manifesti con qualche segno particolare e visibile o che, per esempio, ne siano immuni coloro che credono di credere in Dio.

C’è molto materialismo anche nelle confessioni religiose: ricordo bene i corsi teologici seguiti all’università sull’eucarestia, quando per settimane e settimane il professore si scalmanava per dimostrarci che la transustanziazione consiste nel fatto che, dopo la consacrazione, l’ostia fisicamente e chimicamente non è più pane, ma è carne. Noi studenti obiettavamo: ma il gusto dell’ostia, consacrata o no, è sempre quello del pane!

La capacità di capire la transustanziazione dipende per l’uomo dal cogliere lo spirito nella materia: ciò avviene quando, nell’esperienza del pensare, lo spirituale diventa sostanziale, e la materia si svela come la manifestazione visibile dello spirito. La transustanziazione avviene nello spirito dell’uomo: prima di riempirmi delle forze del Logos spirituale cosmico, che è l’Essere vero ed essenziale di ogni cosa, la materia è più sostanziale dello spirito, e dunque l’ostia è pane, come la montagna è granito e come il mare è acqua salata.

La forza di comprendere realmente che i nostri sensi percepiscono solo la parvenza passeggera ed effimera dello spirito, non si regge su postulati teorici, su dimostrazioni astratte, ma sull’esperienza reale individuale – così come, tanto per portare un’analogia fisica, non si potrà convincere a chiacchiere un bambino dell’Africa equatoriale, catapultato fra i ghiacci del polo nord, che quella distesa bianca e dura è acqua, un altro modo di apparire dell’acqua. Rudolf Steiner aggiunge un’osservazione importantissima: il mistero cristiano della transustanziazione e il mistero del karma sono inseparabili. Dove va persa la comprensione dell’uno, deve andar persa anche la comprensione dell’altro.

«Si osservi un’azione umana. Vi si possono considerare due aspetti:

l’aspetto dell’uomo che è nato da padre, madre, nonno, nonna e così via;

e l’altro aspetto, per cui in questa azione operano quelle forze che sono conseguenze di precedenti vite terrene. Abbiamo qui a che fare con un ordine del tutto diverso, queste forze non possono perciò nemmeno venir afferrate da una qualche scienza naturalistica, vale a dire da una scienza del Padre.

[…] E se ora ci volgiamo all’altare vediamo come pure la transustanziazione non sia visibile esteriormente e come essa si attui, quale realtà spirituale, nelle sostanze fisiche. Qui vi dominano le medesi- me leggi. Possiamo mettere insieme due cose: il modo come opera il karma e il modo in cui si compie la transustanziazione. Chi comprende l’uno può comprendere anche l’altro».[126]

La malattia materialistica dell’ateismo si manifesta nelle forme più varie, e non stiamo proponendo l’equazione: ateismo = corpo ammalato. Certamente tutto ciò che lo spirito umano omette di fare prima o poi ricade anche su un disfacimento corporeo: ma oggi è ancora possibile che un corpo vigoroso, traboccante di istintualità vitale, sia l’abitacolo di un’individualità umana che sta consegnando alle pure forze di natura la sua evoluzione. E allora sarà un’involuzione.

La terapia che consente all’uomo di vivere il Padre direttamente nella propria fisicità e in quella del cosmo, poggia sulla rigenerazione del corpo eterico: esso può tornare per essere nella coscienza dell’uomo quel fascio di correnti di saggezza che architettano, vivificano e rendono organico l’universo intero. Ciò riporterà coerenza e armonia nel corpo fisico.

È chiaro che si innesterebbero, qui, temi di vita sociale contemporanea di enorme portata: i trapianti di organi, la manipolazione genetica, l’eutanasia, la fecondazione in vitro, l’aborto, l’aids… Tutti nodi dell’evoluzione contemporanea che siamo chiamati responsabilmente a sciogliere: in via di orientamento conoscitivo generale, appare chiaro che i passi compiuti dalla scienza in queste direzioni partono dal presupposto che sia possibile trattare il corpo umano come un meccanismo.

Un accenno al tema dei trapianti. Il fatto che molte di queste operazioni riescano, testimonia proprio che il ricevente è molto avanti nella meccanizzazione di sé: altrimenti dovrebbe verificarsi un sano rigetto. Se nel nostro corpo un organo degenera fino a non poter più svolgere la sua funzione, significa che il nostro Io superiore stesso l’ha distrutto per poterne ripercorrere, fra morte e nuova nascita, tutti i processi di plasmazione e costruzione con una consapevolezza creatrice di gran lunga accresciuta dall’esperienza del dolore.[127] D’altra parte, l’umanità o ha ancora un’idea punitiva del dolore (e lo subisce e sopporta «perché Dio lo vuole»), oppure ne rifugge cercando di eliminarlo in tutti i modi. La scienza dello spirito di Steiner apre su questo tema prospettive molto più vaste, attive e interessanti.[128]

Per porre questi quesiti bioetici su un piano di non-meccanismo, occorrerebbe la presenza della forza cosciente dell’Io sia del donatore sia del ricevente, come accade, per esempio, nei casi di trapianto d’organo da vivo a vivo. Lì possono operare le forze dell’amore, lì il corporeo non riceve soltanto un pezzo di materia di ricambio ma la riceve intrisa delle forze edificatrici del karma stesso che congiunge le due persone.

Come la forza cristica possa operare nell’uomo così da accendere forze d’amore capaci di capovolgere il concetto di trapianto da raggiramento del karma a gesto di consapevole donazione e ricezione, è un compito tra i più ardui che l’uomo possa affrontare, perché riguarda la trasformazione del male in bene.

Questo fu da sempre l’intento conoscitivo e morale del manicheismo, una corrente tra le più cristiche che siano mai esistite e che prende il nome da Mani, vissuto fra il terzo e il quarto secolo dopo Cristo. In questi millenni centrali dell’evoluzione, però, è una corrente spirituale che deve tenersi dietro le quinte perché, essendo il suo intento la redenzione globale del male attraverso le forze dell’amore, il bene dovrebbe essere così possente da poter avere la forza reale di amare il male.

Oggi bisogna invece avere il coraggio e l’umiltà di combattere il male in molti dei suoi aspetti, sapendo al contempo che se lavoreremo a rendere il bene – il bene è la pienezza dell’umano – sempre più forte, vedremo che la sua forza consiste proprio nel non dover più combattere e sbaragliare il male. L’aumento delle forze del bene corrisponderà alla redenzione progressiva del male, perché l’uomo avrà sempre meno bisogno della controforza – il cosiddetto male, appunto – per l’esercizio della sua libertà. E come la perfezione dell’amore è amare il bene nel male, così il bene che lotta col male è un bene iniziale e il bene che redime il male è bene compiuto. L’amore perfetto non ha nemici.

2. Cosa avviene quando l’essere umano nega il Figlio? Rudolf Steiner, più precisamente, dice: «Non incontra il Figlio» e cioè: non è nel suo karma di incontrare la realtà del Figlio, il Terapeuta cosmico dell’umanità. Come la realtà corporea che ci fa negare il Padre è il karma dell’umanità globalmente intesa, così la realtà animica di non incontrare il Figlio è un karma del tutto personale. Steiner la chiama una sciagura dell’anima, una sfortuna dell’anima: la fortuna è il karma, la sfortuna è il cattivo karma.

In altre parole, come la malattia dell’ateismo risulta dal passato totale di tutta l’umanità, così risulta dal passato karmico individuale del singolo essere umano la capacità o l’incapacità di accogliere e di affermare che il grande Terapeuta c’è, e che ce n’è bisogno. Non incontrare il Cristo è la sciagura karmica del non rendersi conto della malattia della propria anima: soltanto chi compie questo passo di autoconoscenza capisce che il cammino animico è un continuo risanamento. Un malato che non sa di esserlo è doppiamente malato.

Nella negazione del Padre abbiamo a che fare con la realtà corporea che ci mette in rapporto col mondo della percezione sensibile vedendone soltanto il lato materiale. La negazione del Figlio riguarda il mondo interiore dell’anima, quindi l’evoluzione umana in chiave di ideali, idee e impulsi storici di gruppo, vissuti nel singolo.

L’incontro col Cristo opera il duplice risanamento che mi fa dire: io porto in me da un lato l’impotenza a conseguire l’umano con forze soltanto mie, ma porto in me dall’altro la potenzialità della libertà. In quanto io sono impotente incontro il Redentore; in quanto io sono potente, cioè ho la potenzialità della libertà, incontro l’amore del Figlio.

Il Figlio redime l’impotenza umana. Lo stesso uomo che avrebbe detto: «Io non ce la faccio contro tutto ciò che mi determina», grazie all’esperienza quotidiana della redenzione operata dal Cristo può rendersi conto che è possibile, nel suo pensare, sentire e volere, aprire spazi di libertà e creatività.

3. Cosa avviene, infine, quando un essere umano nega lo Spirito Santo? Santo, ¤gioj (ághios), andrebbe tradotto con curatore. Santo è ciò che risana l’uomo. Salvezza e salute sono la stessa cosa, in greco. Lo Spirito Santo è l’esperienza del Cristo interiorizzata, resa individuale: è il Cristo che non parla più dal di fuori ma è sempre di più un tutt’uno con me. Negarla, o meglio, negarsela, porta all’ottusità dello spirito.

Questa ottusità ha il carattere di omissione: se negare il Figlio è il risultato del mio passato animico, se negare il Padre è il risultato del karma corporeo passato di tutta l’umanità, allora negare lo Spirito Santo è l’omissione di ciò che nel presente – qui e ora – mi è reso possibile in vista del futuro, come creatività spirituale del mio essere. Questa omissione individuale è il terzo aspetto della libertà umana: sia al livello corporeo, sia al livello animico, sia al livello spirituale, l’uomo può vivere ogni giorno nella libertà.

Ecco in che modo la Trinità può essere riempita di contenuti. Padre, Figlio, Spirito Santo: finché ripetiamo soltanto queste parole l’uomo d’oggi ha estrema difficoltà a comprendere. Ma tutto può cambiare se diciamo:

• il Padre è il mondo della natura che si riassume nella nostra corporeità. Il rapporto col Padre è il rapporto con la nostra corporeità, è il modo di vivere tutte le interazioni col nostro corpo;

il rapporto col Figlio è il mondo interiore della nostra anima in quanto potenzialità allo spirito, in quanto evoluzione nel tempo: il rapporto col Figlio è il come del nostro vivere sociale, se da pecore in un gruppo o da colonne in un tempio;

• il rapporto con lo Spirito Santo è proprio l’esperienza della creatività individuale, è la forza dell’Io in ciascuno di noi.

Il grande Terapeuta

Nel Vangelo di Luca, che è il vangelo specifico dei misteri della terapia e della salute, troviamo il Cristo all’opera quale terapeuta al livello del corpo fisico, del corpo eterico e del corpo astrale dell’uomo. Questa triplice distinzione è un altro aspetto sistematico delle infinite prospettive dalle quali è possibile indagare il contenuto esoterico dei vangeli.

• Il corpo fisico è l’insieme delle forze formanti che l’uomo assume in sé.

• Il corpo eterico è l’insieme delle forze vitali trasformanti: di nutrizione, di crescita, di circolazione, di respirazione, di rigenerazione…

• Il corpo astrale è l’anima vera e propria, è il mondo dei pensieri, dei sentimenti e della volontà.

Di queste tre sfere la più facile da curare è quella dell’anima, perché noi abbiamo accesso diretto ai nostri pensieri, ai nostri sentimenti e ai nostri impulsi volitivi. Quando invece la malattia è già passata dal corpo astrale all’eterico paralizzandone le forze, allora la terapia diventa più difficile e lunga. Quando addirittura è scesa fino al livello fisico, la terapia dovrà essere ancora più profonda e radicale.

1. Il fenomeno di malattia specifico del corpo astrale è quello della possessione da parte dei demoni. La cacciata dei demoni è uno dei tratti fondamentali dell’operare del Cristo nei vangeli.

Una semplicissima riflessione va premessa: se riteniamo che la possessione sia un fenomeno che oggi non ci riguardi più, ebbene questo convincimento è un altro dei segni del nostro essere ammalati. Le forme di possessione oggi sono infinitamente più svariate e intense di duemila anni fa, anche perché le potenzialità di libertà sono diventate infinitamente maggiori. Quando in me pensano l’opinione pubblica, la stampa, le immagini della televisione, il partito, le convenzioni sociali ecc., io sono un vero e proprio posseduto, vivo in una forma assoluta e tecnica di possedimento. I pensieri possiedono me, e manca in me la signoria dell’Io.

Pensate a quando qualcuno entra in un negozio: dove si rivolgono i suoi occhi, dove si posano le sue mani, cosa desidera e perché lo desidera, cosa compra? È in grado, quest’uomo, di dire che tutte le decisioni sono assolutamente sue, libere, coscienti, pensate e volute? Il più delle volte abbiamo un posseduto che passa per questo negozio, e posseduto in modo sommo!

«Poi scese a Cafarnao, una città della Galilea, e al sabato ammaestrava la gente. Rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perché parlava con autorità. Nella sinagoga c’era un uomo con un demonio immondo e cominciò a gridare forte: ‹Basta! Che abbiamo a che fare con te Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? So bene chi sei: il Santo di Dio!›. Gesù gli intimò: ‹Taci, esci da costui!›. E il demonio, gettatolo a terra in mezzo alla gente, uscì da lui senza fargli alcun male».[129] La terapia per la malattia del corpo astrale è la purificazione, cioè la liberazione dagli impulsi molteplici che hanno sull’uomo effetto di cogenza, di assoluta pressione. Quando il Cristo scaccia i demoni dal corpo astrale umano dice loro: Via! non è qui il vostro posto!, nell’anima umana deve essere l’Io dell’uomo a comandare, non voi!

Alla cacciata dei demoni va ricondotto un argomento molto interessante e male interpretato: il cosiddetto segreto messianico. In diversi passi dei vangeli il Cristo, rivolgendosi per esempio al lebbroso guarito, o al cieco, o al paralitico dice: «Va’, e non dire a nessuno quanto ti è accaduto, perché il mio tempo non è ancora venuto».[130] Come sarebbe possibile celare la guarigione? E che senso avrebbe questo segreto preteso dal Cristo?

Nessuno, perché in realtà il Cristo in quelle occasioni sta parlando con i demoni: l’ingiunzione del silenzio è fatta ai demoni, perché solo loro hanno capito di avere a che fare col Cristo, che minaccia la loro esistenza. Continuamente i demoni cercano di fare in modo che il Cristo anticipi o posticipi un gesto, una parola: che non colga il kairÒj (kairós), il tempo giusto. Gli uomini, di tutto questo, dimostrano sempre di non capire nulla!

Ma il demone parla attraverso l’uomo. Quando il Cristo, rivolgendosi all’indemoniato, chiede: «Chi sei tu?» e i demoni rispondono: «Il mio nome è Legione, perché siamo in tanti»,[131] la voce che risuona è quella del posseduto, e la sentono anche gli uomini, non solo il Cristo. Perciò il Cristo intima il silenzio: perché attraverso la voce umana non vengano svelate agli uomini cose per le quali i tempi non sono ancora maturi.

2. Nel corpo eterico la malattia si presenta col fenomeno della paralisi. Le forze eteriche della milza, per esempio, si distaccano, non intridono più l’elemento fisico, si sciolgono, si mettono accanto: para-lÚw (parà-lúo) significa mi sciolgo accanto. In ciò consiste la paralisi: le forze eteriche si tirano fuori e così rimane una parte del corpo che soggiace a leggi meccaniche e non riesce più a svolgere le sue funzioni organiche. Di nuovo si torna alla differenza tra un organismo e un meccanismo. Questa seconda forma della malattia è espressa, per esempio, in questo passo di Luca:

«Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore (il Signore è l’Io [NdA]) gli faceva operare guarigioni. Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da quale parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Veduta la loro fede disse: ‹Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi›. Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: ‹Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati se non Dio soltanto?›. Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: ‹Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? Che cosa è più facile dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’Uomo ha il potere sulla Terra di rimettere i peccati, io ti dico – esclamò rivolto al paralitico –: alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua›. Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio. Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio. Pieni di timore dicevano: ‹Oggi abbiamo visto cose prodigiose.› ».[132]

Anche questo passo del Vangelo non è comprensibile a livello puramente fisico. Un tetto sfondato per calare un paralitico davanti a Gesù: ciò vorrebbe dire che, non potendo entrare in casa a causa della folla che la circonda, è più facile salire sul tetto e farci un buco, col pericolo di far cadere le tegole in testa a qualcuno! Il problema del materialismo è che quando si dice che un evento non è avvenuto sul piano fisico vuol dire che non è successo nulla. L’abbiamo già visto: o Cristo cammina fisicamente sull’acqua, e allora è un fatto reale (miracolo!), oppure non è successo nulla. Sono le uniche due alternative del materialismo per il quale è reale soltanto ciò che è fisico.

Trattandosi qui di una paralisi nell’eterico, il Cristo non interviene reimmettendo subito le forze eteriche negli arti per far camminare il malato, ma la prima cosa che gli dice è: «Ti sono rimessi i tuoi peccati». In altre parole, si può curare l’eterico soltanto risalendo all’anima, perché da lì, dal corpo astrale, è partita questa paralisi nell’eterico.
Sia coloro che hanno portato il paralitico, sia i Giudei circostanti sono costernati: prima di tutto perché pensano che soltanto Dio può perdonare i peccati e non si rendono conto del divino che è presente nel Cristo; e poi perché sono delusi: a loro interessa poco il perdono dei peccati, ma vorrebbero vederlo camminare. Allora il Cristo dice: «Che cosa è più facile, dire: Ti sono perdonati i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina?». È facile dire: Alzati e cammina!, soltanto dopo che la casa dell’anima è stata purificata.

3. Il mistero infine del corpo fisico ci porta ancora in maggiori profondità, perché il corpo fisico è il risultato dell’evoluzione globale del corpo astrale e di quello eterico in tutte le vite terrene dell’uomo. La compagine fisica ha sempre il carattere di risultato ultimo, di precipitato finale, e per risalire alle cause prime il cammino è lungo. Quando si tratta del corpo fisico, Steiner non dice che l’intervento medico diretto al corpo fisico stesso non vada bene: questa cura immediata è necessaria perché se il fisico è compromesso l’anima, sentendo troppo dolore, non è in grado di fare nessun cammino, e nemmeno lo spirito.

L’intervento sul corpo è giustificato in quanto rimette il corpo astrale (l’anima) e l’Io in grado di confrontarsi con la malattia vera. Quindi la cura diretta al corpo fisico non è mai una terapia, ma può essere la condizione necessaria per intraprendere la terapia vera e propria: quella che si rivolge all’armonizzazione del karma, inteso sia nel senso dei rapporti animico-spirituali con le persone karmicamente congiunte, sia in relazione all’esteriorità del karma stesso (il luogo dove si vive, per esempio, che va dall’abitazione, alla città, all’ambiente naturale ecc.).

L’emorroissa e la figlia di Giairo

Per comprendere più profondamente il carattere esoterico dei vangeli anche per ciò che riguarda le guarigioni, prendiamo due passi consecutivi del Vangelo di Luca: La guarigione dell’emorroissa e Il risveglio della figlia di Giairo.[133]

«Al suo ritorno Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa di lui. Ed ecco venne un uomo

di nome Giairo, che era capo della sinagoga: gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di recarsi a casa sua, perché aveva un’unica figlia, di circa dodici anni, che stava per morire. Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire, gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito il flusso di sangue si arrestò. Gesù disse: ‹Chi mi ha toccato?› Mentre tutti negavano Pietro disse: ‹Maestro la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia›. Ma Gesù disse: ‹Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me›. Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e come era stata subito guarita. Egli le disse: ‹Figlia, la tua fede ti ha salvata, va’ in pace› ».

«Stava ancora parlando, quando venne uno della casa del capo della sinagoga a dirgli: ‹Tua figlia è morta, non disturbare più il Maestro›. Ma Gesù che

aveva udito rispose: ‹Non temere, abbi soltanto fede e sarà salvata›. Giunto alla casa non lasciò entrare nessuno con sé, all’infuori di Pietro, Giovanni e Giacomo e il padre e la madre della fanciulla. Tutti piangevano e facevano il lamento su di lei. Gesù disse: ‹Non piangete perché non è morta, ma dorme›. Essi lo deridevano sapendo che era morta ma egli, prendendole la mano, disse ad alta voce: ‹Fanciulla, alzati!›. Il suo spirito ritornò in lei ed ella si alzò all’istante. Egli ordinò di darle da mangiare. I genitori ne furono sbalorditi, ma egli raccomandò loro di non raccontare a nessuno ciò che era accaduto».

Al livello del corpo fisico è preminente il fatto che, di incarnazione in incarnazione, esista una osmosi, un trapasso di forze fra gli esseri umani, e che questo sia un aspetto fondamentale del karma: un’individualità che si incarna deve e vuole architettare tutto il suo corpo fisico in base alle forze ereditarie, in base alla parentela karmica con i genitori. Il trapasso di forze karmiche va da corpo fisico a corpo fisico.

Questo mistero lo vediamo espresso nella fanciulla di 12 anni che sta per morire: le forze del sangue, che dovrebbero valicare la soglia della pubertà con il ciclo mestruale (allora la pubertà avveniva intorno a quell’età: anche Gesù viene portato al tempio a 12 anni), sono troppo deboli e perciò sta per morire. L’altra donna, invece, ha cominciato a essere emorroissa, ha cominciato a perdere il sangue dodici anni prima, cioè quando quella bambina è nata: le forze del sangue sono in lei, a partire da allora, eccedenti, e perciò soffre di emorragie.

Il Cristo è il Terapeuta dell’umanità proprio perché fa da ponte, fa trapassare forze reali dall’una persona, che le ha in esubero, all’altra, cui mancano. C’è così un pareggio karmico al livello del corpo fisico. Il Cristo è qui il Signore del karma[134] nel senso che opera sulle forze del karma. Dobbiamo diventare coscienti del perché lui lo possa fare. Per questo il Cristo insiste affinché la donna si faccia avanti, si renda consapevole di un evento compiuto solo a metà e che, per giungere a conclusione, abbisogna della sua consapevolezza («Figlia, la tua fede ti ha salvato»), di quella dei genitori della fanciulla («Non temere, soltanto abbi fede», «Non piangete») e anche dell’apporto conoscitivo dei discepoli a lui vicini.

Possiamo prendere questo passo del Vangelo come ulteriore conferma di quanto già abbiamo detto sul trapianto di organi: il polo opposto della disumanizzazione del corpo considerato un meccanismo è il riconoscerlo quale organismo. Se c’è un trapianto di organi legittimo, in chiave di amore reciproco, di pareggio karmico, è proprio quello che vediamo qui nel Vangelo, espresso molto chiaramente (il sangue è un organo: l’organo dell’Io). Se è previsto nel karma del ricevente di risanare l’organo malato, l’unico trapianto legittimo sarà quello – da Io a Io – delle forze stesse che plasmano questo organo. Attraverso le sue forze spirituali e animiche colui che offre questi organi è in grado di reinfondere nel ricevente le forze spirituali e animiche per rigenerare l’organo deteriorato.

Il buon Samaritano

Vorrei ora trattare brevemente due passi presenti solo in Luca, e per questo particolarmente interessanti dal punto di vista della terapia: Il buon samaritano e Il fattore disonesto.

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre, dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino,

gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi,

caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente estrasse due denari e li diede all’albergatore dicendo: ‹Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno› ».[135]

Il buon samaritano per eccellenza è il Cristo stesso: Gerusalemme, col monte Sion, era il punto più alto della Palestina mentre Gerico, quattrocento metri sotto il livello del mare, era il punto più basso. A metà strada fra il punto più alto e quello più basso si trova l’umanità nel mezzo dell’evoluzione, e il buon Samaritano, il Cristo, viene proprio nel mezzo del cammino di questa discesa dai mondi spirituali sempre più giù, verso la materia.

E come ha trovato, il Cristo, l’umanità? Mezza morta: lo spirito era morto e l’essere umano viveva soltanto nella materia. Sono tutte immagini, queste, passibili di molte interpretazioni, ma quella più inclusiva si riferisce al Cristo stesso: l’uomo incappato nei ladroni è ogni essere umano che, da mezzo morto, diventa tutto vivo dopo l’incontro col grande Terapeuta.

La storia del buon Samaritano è la risposta del Cristo a un dottore della legge che gli aveva chiesto:

«Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna? Gesù gli disse: ‹Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?›. Costui rispose:

‹Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso›. E Gesù: ‹Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai›. Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: ‹E chi è il mio prossimo?› ».[136]

E il Cristo risponde: «C’era un uomo che scendeva da Gerusalemme…»: dunque il Cristo racconta del buon samaritano e alla fine – e questo è lo straordinario dell’intervento terapeutico del Logos! – la domanda iniziale viene capovolta perché il Cristo dice: «Chi di questi tre (sacerdote, levita, samaritano [NdR]) è diventato il prossimo per colui che è incappato nei briganti?».[137] Chi di costoro è diventato – gegonšnai, ghegonénai – il suo prossimo, chi ha compiuto il processo di trasformazione interiore per diventare il suo vicino? Prossimo significa vicino.

La domanda era: quale essere umano è il mio prossimo? Quale essere umano mi è vicino? Il Cristo risponde: soltanto colui al quale tu ti avvicini. Ecco la terapia: diventare io stesso il prossimo, il vicino, e smetterla di chiedermi chi sia il mio prossimo. L’essere umano è sano quando diventa curatore, quando si riconosce terapeuta, quando sa che il suo compito è quello di avvicinarsi, di diventare il prossimo di ogni altro uomo. Di essere attento che l’altro non gli resti estraneo, perché avvicinarsi è interessarsi.

Quando ogni uomo mi interessa, l’interessamento stesso mi rende sano. Quando ci si interessa a tutti non si ha più tempo di essere malati! Si diventa malati quando l’impegno reale – e non l’affaccendamento esteriore – è troppo scarso. Questa è una profondissima verità.

Il fattore disonesto

Il brano del cosiddetto fattore disonesto dice:

«C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: ‹Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore›. L’amministratore disse tra sé: che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione. Chiamò a uno a uno i debitori del padrone e disse al primo: ‹Tu quanto devi al mio padrone?› quello rispose: ‹Cento barili d’olio›. Gli disse: ‹Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cin

quanta›. Poi disse a un altro: ‹Tu quanto devi?›.

Rispose: ‹Cento misure di grano›. Gli disse: ‹Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta›. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».[138]

Questo racconto del fattore disonesto ha dato sempre filo da torcere all’esegesi, innanzi tutto perché non è affatto disonesto, questo fattore. Egli è l’amministratore dell’ingiustizia Ð o„konÒmoj tÁj ¢dik…aj (o oikonómos tes adikías), cioè l’amministratore delle cose materiali. A quei tempi si sapeva – noi non lo sappiamo più! – che le cose materiali sono l’osso della contesa, della discordia, della divisione, della concorrenza, cioè dell’ingiustizia: ciò che io posseggo lo devo togliere a te e ciò che tu possiedi lo devi togliere a me. Quindi non è corretto titolare il passo L’amministratore disonesto (d’altra parte i titoletti sono tutte aggiunte ai vangeli), perché non è lui a essere ingiusto e disonesto; egli è l’amministratore delle cose ingiuste e disoneste.

Il Cristo porge allora queste immagini sul comportamento dell’amministratore, e poi le riferisce al mondo spirituale. Se costui ha imparato così bene la lezione riguardo alle cose materiali, dove gli uomini sono gli uni contro gli altri nella grande ingiustizia dell’egoismo legata alla materia, costui gioirà più di ogni altro quando capirà che la nuova legge del divenire, della salute, è quella di essere gli uni per gli altri. «Se dunque non diverrete fedeli [saldi, capaci] nella ricchezza ingiusta delle cose materiali, chi vi affiderà quella vera?».[139]

Cosa accade a questo amministratore di beni materiali che causano divisione? Viene accusato dai clienti, presso il padrone stesso, di sperperare: diebl»qh (diebléthe), che noi traduciamo con venne accusato, viene dal verbo diab£llw (diabállo) che letteralmente significa: getto in mezzo, ostacolo. Da questo verbo deriva anche di£boloj (diábolos), diavolo, cioè l’impulso dell’ostacolo. La parola greca stessa dice che questa accusa è una menzogna, perché se il fattore avesse veramente sperperato i beni del padrone chi ne avrebbe tratto vantaggio? Ma proprio i clienti! Quindi se lo sarebbero tenuto caro, mai più lo avrebbero messo in condizioni d’essere cacciato! Invece vogliono sbarazzarsene: perché?

Perché quell’amministratore li prende per il collo, perché li strozza, perché, pensando di rendersi grato al padrone, lo fa guadagnare troppo a danno loro: e allora devono dire il contrario, che sperpera i beni a lui affidati. E il padrone cosa fa? Lo licenzia. Ma allora è un padrone poco intelligente?! Quale padrone allontanerebbe da sé un amministratore esoso, cioè bravissimo a curare gli interessi del padrone a danno dei clienti?

Proprio questa è la cosa straordinaria: abbiamo a che fare con un padrone che ama i suoi clienti. Questa è l’eccezionalità della cosa. E il fattore se ne rende conto. Allora, esperto nelle leggi ingiuste dei beni materiali, il fattore si cerca un nuovo padrone fra i clienti stessi: come? Curando i loro interessi. Il padrone, vedendolo agire così, lo loda. Soltanto allora il fattore capisce la volontà vera del suo padrone: quella di amare i suoi sudditi.

Il Padre dell’evoluzione non è uno sfruttatore, è un Padre amante: non rende esangue l’uomo chiedendo esosi tributi a vantaggio suo, ma manda il Figlio a redimere l’umanità, a restituire saldezza e salute. I farisei e gli scribi erano strozzini perché rendevano l’uomo per il sabato e non il sabato per l’uomo,[140] amministrando la Legge di Dio a peso e a danno dell’individualità umana. Del loro padrone non conoscono il vero interesse e la vera volontà: il bene, la gioia, la contentezza dei suoi figli sulla faccia della Terra. Via, allora, questi fattori! E il nuovo fattore sarà il Cristo.

È questo un racconto sconcertante di amore, di misericordia e di terapia immensa: il karma (inteso qui come il tributo che ogni essere umano è chiamato a elargire agli altri affinché l’armonia cosmica sia un bene di tutti) è l’amico dell’uomo, non il suo strozzino. Steiner dedica conferenze intere a mostrare come la legge del karma, espressione della conduzione paterna del destino umano, sia forgiata in modo da darci tutte le possibilità evolutive in chiave positiva. Il karma non vuole mai il soccombere dell’uomo, ma il suo progredire interiore.

L’inesorabilità della Legge dell’Antico Testamento che, alla svolta dei tempi, era divenuta una malattia perché mortificava l’uomo, è stata curata e viene ancora sempre curata dall’Essere dell’Amore. Il Padre creatore ha mandato il Figlio suo perché dall’antica Legge – alla quale ci si deve conformare nel periodo della caduta, dove gli uomini sono gli uni contro gli altri per l’ingiustizia stessa della loro dipendenza dal mondo materiale – si passi alla buona novella, all’annuncio che il karma, tutti gli eventi della nostra vita, ci sono offerti per conseguire la pienezza dell’essere gli uni per gli altri, la ricchezza vera, giusta e sana del mondo spirituale.

La tua fede ti ha salvato

Un’ultima riflessione sul fatto che qualunque terapeuta, e dunque il Cristo stesso, non può guarire contro il karma individuale e contro la libertà dell’altro. Questo pensiero oggi si impone sempre più chiaramente non solo ai medici e ai terapeuti di professione, ma a tutti noi, nella realtà quotidiana dei rapporti reciproci.

C’è un limite a ciò che possiamo fare gli uni per gli altri? A questo riguardo possiamo ricordare quanto Steiner dice soprattutto nelle conferenze sul Vangelo di Marco:[141] ciò che era nuovo nel modo di curare del Cristo non era il fatto taumaturgico in sé e per sé, perché altri taumaturghi contemporanei (Apollonio di Tiana per esempio) compivano guarigioni molto più spettacolari e numerose. La guarigione psichica, la guarigione operata attraverso il fluire diretto delle forze astrali del terapeuta nel malato, era allora una cosa normale: la libertà crescente porta con sé che questo non sia più concesso.

L’opera veramente taumaturgica è oggi il convincimento. Convincere l’altro è una terapia molto più difficile e lunga, ma rispetta del tutto la libertà: attraverso la parola io aiuto l’altro a comprendere il senso della sua malattia ed egli allora la assume in proprio e la gestisce liberamente. Il Cristo non guarisce tutti, ma solo persone ben specifiche delle quali il Vangelo dice: «avendo visto la loro fede…». In queste parole c’è tutto un mondo: avendo visto che nel loro Io c’erano i presupposti necessari, il Cristo operava. La novità assoluta stava nel fatto che il Cristo guariva unicamente da Io a Io, interpellava sempre l’Io dell’altro.

Noi traviseremmo le guarigioni del Cristo se le comprendessimo come azioni compiute dall’esterno. «La tua fede ti ha salvato»: in questa ripetuta affermazione viene espresso proprio l’opporsi del Cristo al fatto che venga attribuita a lui la forza fondamentale dell’evento. Egli vuol dire: decisivo per questa guarigione sei tu, e puoi essere soltanto tu. Io ti aiuto promuovendo le forze della tua coscienza, ma è la tua fede, sono le tue forze interiori incentrate nell’Io a renderti sano.

Nell’episodio dei 10 lebbrosi[142] – tanta è la precisione dei vangeli! – viene detto che 10 vengono curati fisicamente, ma che solo uno, quello che torna a ringraziare, è guarito. «La tua fede ti ha salvato» gli dice il Cristo, la tua fede ti ha dato la salute interiore, condizione imprescindibile per la salute esteriore. Gli altri nove, invece, sebbene momentaneamente curati al livello fisico, restano nella condizione interiore di ricadere nella malattia.

Il medico d’oggi opera sul corpo, lo psicologo sull’anima. Il Cristo opera sempre sullo spirito: e dallo spirito, dal luogo della libertà, si trasfondono nell’anima e nel corpo la salute e la salvezza.

Quinta conferenza

REDENZIONE E INIZIAZIONE DELL’UMANITÀ

Roma, 27 aprile 1996

Determinismo e libertà

Cari amici,

la pienezza dei tempi comincia nel mezzo del cammino dell’umanità, quando i tempi di preparazione sono compiuti e nulla più manca a che si possa avverare la svolta dell’evoluzione. È allora che l’Essere centrale del nostro cosmo, l’Essere solare, fa della Terra il suo corpo, compenetra tutte le forze della Terra per reggerne poi l’intera evoluzione futura.

Egli anticipa dunque, nel suo Essere, anche la consumazione dei tempi. Questa non è un’affermazione che riguardi i singoli esseri umani: il Cristo non può conferire direttamente all’uomo, scavalcandone la libertà, la mèta finale dell’evoluzione terrestre che porta già in sé. Il Cristo è a stadi cosmici ulteriori del divenire.

Per quanto riguarda noi, l’entrare e il permanere del Cristo nella totalità delle forze della Terra è l’offerta che ci viene fatta di tutte le condizioni necessarie per acquisire, a mano a mano e nel libero cammino, tutte le facoltà umano-divine che si sono manifestate nel Cristo stesso. In altre parole, il Cristo non ha compiuto l’evoluzione sostituendosi a noi: ce l’ha resa possibile in senso definitivo. L’Essere solare dell’amore è presente, ci accompagna, e dunque a noi non manca più nulla per ciò che riguarda le condizioni necessarie per l’evoluzione secondo libertà e amore.

Amare significa sempre rendere possibile all’amato la libertà: anche nel rapporto fra esseri umani. Significa rinunciare a volere che l’altro compia ciò che noi vorremmo che compisse, perché così non ameremmo lui, ma noi stessi in lui. E significa rinunciare a voler sapere meglio di lui che cosa è il meglio, per lui. In un certo senso, amare comporta sempre una decisione di impotenza e di follia – come abbiamo già visto.

Il Cristo si è presentato come mistero divino e sommo dell’impotenza, inchiodato sulla croce, rinunciando a esercitare qualsiasi potere: «Il mio regno non è di questo mondo», dice a Pilato. E la sua follia è sottolineata da coloro che dicono: «Ha salvato gli altri e non sa aiutare se stesso»;[143] la “stoltezza” del suo amore è proprio il rifiuto di voler sapere meglio di noi quale sia il bene nostro. Amare significa dunque lasciare all’altro i suoi impulsi volitivi e i suoi impulsi conoscitivi. L’amore si sente solo responsabile di mettere a disposizione tutte le condizioni necessarie perché l’altro possa esercitare il suo libero pensiero e il suo libero volere.

Al centro dell’evoluzione, nell’evento cristico, la pienezza dell’umano si è espressa come ideale della libertà. Il Cristo è l’ideale reale di tutto il cammino della libertà umana: in lui è già realizzato tutto ciò che noi stessi potremo divenire nel corso dei secoli e dei millenni, perché lui ce lo rende possibile.

Guardando al mistero del Golgota, noi possiamo conoscere e comprendere aspetti sempre nuovi di ciò che siamo destinati a diventare. E, avendoli compresi, possiamo attuarli perché il Cristo ha trasformato la Terra in modo che l’elemento di natura non ci necessiti oltre la misura dell’umano.

Se il Cristo non fosse venuto, l’elemento di natura avrebbe continuato ad agire in modo deterministico, e allora il materialismo avrebbe avuto ragione nel suo dogma fondamentale che dice: la libertà è un’illusione, al mondo c’è soltanto determinismo, l’uomo è marchiato dalle leggi biologiche e fisiologiche e se ha inventato l’idea della libertà è soltanto perché non è in grado di esaminare l’enorme complessità dei fattori di natura a cui inevitabilmente soggiace.

Se non ci fosse l’Essere solare nella Terra, il materialismo non sarebbe una teoria errata: sarebbe una realtà. Ma il Cristo ha fatto della Terra il suo corpo e per questo la triplice natura delle pietre, delle piante e degli animali è diventata, per l’essere umano che lo voglia, un sostrato della libertà. Ma se l’uomo non esercita o non vuole la libertà, e questo deve essere possibile, il dato di natura torna ad agire in lui in modo deterministico. Nel cosmo visibile soltanto l’uomo alberga in sé la capacità di libertà, di autodeterminazione: se vi rinuncia, il suo essere sarà gradualmente invaso dalle leggi della materia.

Nei vangeli sono narrati eventi sensibili e sovrasensibili

Mi è stato chiesto: oltre ai significati esoterici, ci sono anche eventi storici reali, concreti, nelle narrazioni dei vangeli? La risposta è complessa: innanzi tutto il Cristo non è vissuto per aria, l’incarnazione è stata un’incarnazione piena, anche a livello fisico e storico. Ci sono moltissimi passi dei vangeli che si riferiscono ad avvenimenti che, se fossimo stati presenti, avremmo normalmente percepito con i sensi fisici.

L’importante, però, è capire che anche quando la dimensione fisica non è disattesa nella narrazione, l’accento dell’evangelista non è tanto volto a essa ma a ciò che avviene nei mondi sovrasensibili, di cui l’evento materiale è espressione concomitante. Nei vangeli la realtà sostanziale è ciò che avviene nello spirito, cioè nei pensieri, nell’amore degli Esseri invisibili e al contempo, quale elemento di espressione a livello fisico, c’è anche il dato storico. La parvenza è nel dato storico, la sostanza è nello spirito. L’uomo d’oggi, invece, vede la cosa all’opposto e dice: la realtà è quella che si mostra sul piano fisico e in concomitanza ci sono dei pensieri, c’è qualcosa di sovrasensibile che non si può conoscere scientificamente.

Ci sono poi, nei vangeli, eventi di natura puramente spirituale, senza manifestazione diretta o esteriore sul piano fisico: per esempio il colloquio sovrasensibile tra il Cristo e Nicodemo (Gv 3), avvenuto “di notte”. Se noi, in occasione di quell’incontro, fossimo stati presenti, che cosa avremmo visto? In una stanza, da qualche parte, avremmo trovato Gesù di Nazareth che dormiva, e in un’altra stanza, da qualche altra parte, Nicodemo, anch’egli addormentato. La capacità di individuare, nei vangeli, questi eventi di natura puramente spirituale deriva dalla conoscenza scientifica dello spirito e non è certo una cosa semplice, che si consegua dall’oggi al domani.

Prendiamo le cosiddette apparizioni del Risorto: lì viene ben sottolineato che non tutti hanno potuto percepirle, ma solo persone ben specifiche, proprio perché non si trattava di eventi del mondo fisico. Da queste considerazioni non traiamo la conseguenza che dunque l’elemento fisico nei vangeli sia sminuito, tutt’altro! Esso diventa prezioso in quanto è visto come il luogo di manifestazione esteriore di un evento sacro ed essenziale, al quale la divinità ha voluto che anche l’uomo potesse partecipare, al suo livello.

C’è una possibilità molto maggiore di venerazione di fronte al dato sensibile storico quando lo si coglie intriso di contenuto spirituale, alla guisa di uno strumento musicale. Quando ascoltiamo la musica di un violino, in noi vive una realtà che non è sensibile come lo strumento: e quanto più veramente godiamo questa esperienza artistica che è invisibile in noi, tanto più siamo in grado di apprezzare la preziosità dello strumento fisico.

L’abisso del materialismo non consiste allora nel disprezzo dello spirito – perché lo spirito non si può disprezzare, ce ne può solo mancare l’esperienza –: la sua tragedia vera è il disprezzo della materia. Il materialista svuota la materia del suo splendore reale, della sua dignità vera che è quella di essere strumento musicale per le melodie dello spirito e dell’anima. Chi invece sperimenta in modo individuale lo spirituale, lo vive incarnato, perché questo è il compito dell’uomo: rendersi conto dell’importanza del piano fisico, visto che qui si gioca la sfida dell’evoluzione, qui l’umanità sta imparando a compenetrare del suo spirito tutta la materia.

L’incantesimo della forma fissa

La tomba vuota rappresenta il termine ultimo del pensare umano di fronte all’affermazione che dice: la materia svanisce del tutto. E allora dov’è la preziosità della materia che abbiamo appena adesso sottolineato? L’affermazione centrale del cristianesimo – e anche della scienza dello spirito di Steiner – in chiave evolutiva è questa: la materia, così come noi la viviamo al nostro livello attuale di coscienza, è il risultato di un lungo processo di addensamento fino alla cristallizzazione, iniziato con la creazione.

Il caos dei greci è la polvere cosmica senza principio di strutturazione: la cosmesi, o cosmogenesi, è proprio un porre ordine, è rendere bello il caos. Per Aristotele e gli scolastici la materia prima, la prîth Ülh (prote úle), è il sostrato cosmico per la creazione dei mondi: la divinità si avvale di questa quintessenza, la fa condensare sempre di più in un processo immane di indurimento e, dopo eoni ed eoni, abbiamo questa Terra fisica e minerale il cui principio strutturante si esprime nelle pietre, nelle piante, negli animali e nel loro riassunto dotato di Io, che è l’uomo.

Perché la materia cosmica si è cristallizzata? Per farsi sostrato e base dell’evoluzione umana. Il triplice fondamento della materia è il sacrificio cosmico immenso di miriadi di creature spirituali (gli spiriti degli elementi, esseri astrali, eterici, che si esprimono in leggi di metamorfosi sempre cangianti)[144] che hanno accettato, in un grande gesto di amore verso l’evoluzione umana, di farsi imprigionare nella forma fissa del visibile-sensibile affinché l’uomo potesse avere l’esperienza della percezione – condizione necessaria per la formazione pensante di concetti, essenziale all’esperienza della libertà.

Questo processo che abbiamo descritto caratterizza la prima parte dell’evoluzione terrestre.

La seconda parte, inaugurata dall’evento del Cristo, è una grandiosa inversione: l’uomo ricambia con le forze dell’amore karmico questo sacrificio cosmico degli Esseri delle Gerarchie spirituali e delle creature elementari, liberando queste ultime dall’incantesimo della forma fissa e facendole risorgere nella pienezza dell’umano. È questa «la resurrezione della carne», la spiritualizzazione di tutto il mondo visibile.

L’anelito di ogni creatura è quello di venire liberata dal corpo di corruzione, dal corpo effimero che muore e si disfa, per acquistarne uno celeste, spirituale, che sia eterno.

Il corpo del Gesù di Nazareth, nel quale il Cristo aveva impresso tutti i pensieri possibili di amore, tutti i sentimenti di amore, tutti gli impulsi volitivi di amore e di liberazione, viene posto nella tomba, dopo la deposizione dalla croce: in questo corpo si compie la resurrezione, come pegno e primizia dell’intera evoluzione futura della corporeità del cosmo e dell’uomo.

Inizia nella tomba del Cristo Gesù la resurrezione cosmica, la polverizzazione e disgregazione della materia, che torna a essere la quintessenza, la prîth Ülh (pròte ǘle), sostrato eterno per altre e nuove creazioni.

«Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa».[145]

Grazie al terremoto, grazie alla Terra che sussulta in un reale fremito cosmico di gioia perché avverte l’inizio della sua liberazione,[146] si apre una fenditura sul luogo della tomba. La materia fisica del corpo di Gesù di Nazareth era già stata portata dal Cristo al livello ultimo di macerazione proprio perché, consumandola, ne aveva estratto il massimo di realtà spirituale; quel corpo era diventato così friabile e poroso anche grazie al fatto che le spezie e gli oli, che nelle altre corporeità preservavano la forma, qui, invece, avevano operato in senso opposto accelerando il processo di disgregazione. Quel corpo ormai quasi ridotto allo stato di polvere entra nella bocca della Terra che il terremoto stesso richiude.

Questo spiega in modo reale e non simbolico il fatto che coloro che vennero poi al sepolcro per compiere il resto della sepoltura, trovarono in senso realissimo una tomba vuota.

Ma se la materia non c’è più, cosa risorge? Risorge il corpo fisico sovrasensibile, il fantòma.[147] Il corpo fisico, dice Steiner, non è per natura sua qualcosa di minerale: è un insieme di forze di natura fisica – magnetiche, elettriche, radioattive…–: è la struttura delle forze formanti della nostra corporeità fisica, quelle stesse forze che, per esempio, ci permettono di acquisire la stazione eretta, perché orientano la fisicità secondo la dodecuplicità dello Zodiaco.

Il peccato originale è consistito nel fatto che l’uomo ha cominciato a intridere il suo corpo fisico sovrasensibile (e dunque invisibile) di materia: in questo modo le forze formanti si sono col tempo sempre più indebolite, sono degenerate sempre più nella loro rispondenza allo spirito consentendo all’uomo, d’altro canto, la possibilità di percezione. L’uomo è l’unico essere dell’intero cosmo che sia dotato dei sensi adatti alla percezione fisico-sensibile della materia.

Il peccato originale è la sintesi tra il corpo spirituale e la materia. La redenzione dell’umanità ha il suo inizio nel fatto che il Cristo opera nel sepolcro sul corpo fisico di Gesù di Nazareth la grande analisi cosmica: la materia fuoriesce dal fantòma, che viene così ripristinato secondo la legge strutturante pura dello spirito.

Da duemila anni, grazie al mistero del Golgota, gli esseri umani, incarnandosi, hanno la possibilità di formare un corpo fisico che sia un vero sostrato per il cammino spirituale della libertà, dove le forze formanti siano veramente corrispondenti alle esperienze progettate nei mondi spirituali:[148] e questo, soprattutto, se hanno stabilito un rapporto del cuore e della mente con l’Essere solare.

Dalla tomba del Cristo Gesù, allora, risorge il fantòma del corpo fisico, visibile soltanto per coloro che hanno la capacità di cogliere questa realtà sovrasensibile, mentre “il ripieno” materiale di pesantezza si scioglie e torna a essere polvere cosmica nel corpo della Terra, come pegno della sua totale e liberante polverizzazione.

Il mito di Baldur e della Triste Abbandonata

Riguardo a questo mistero centrale si potrebbero cercare molte risonanze che provengono dalle conoscenze misteriche di ogni angolo della Terra. Prendiamo, per esempio, il mito fondamentale dei Germani, dei Celti, della mitologia nordica: il mito di Baldur. Baldur rappresentava per i Germani tutti gli esseri elementari della natura. Baldur non è né il Cristo, né Lucifero, né alcun altro Essere spirituale: Baldur è lo splendore eterico e luminoso della natura. L’uomo celtico, due-tremila anni prima del Cristo, non percepiva della natura soltanto l’elemento materiale e morto ma, quando guardava ai fiori del campo, al bosco, alle acque, vedeva contemporaneamente un elemento di luce dove operavano gli gnomi, le silfidi, le ondine e le salamandre, e lo chiamava Baldur.

L’evoluzione ha voluto che, a un certo punto, questo splendore realissimo degli spiriti della natura scomparisse: abbiamo allora il mito bellissimo e sublime della morte di Baldur. Baldur muore, si congiunge con la tenebrosa Hel, l’inferno. Questo mito nordico, che è un aspetto del Crepuscolo degli Dèi, narra perciò di quando gli esseri umani persero la capacità di vedere la natura rilucente nella sua corporeità eterica: il mondo si spense davanti ai loro occhi e cominciarono a percepire soltanto l’opacità della materia, i soli corpi fisici della natura (che a noi, oggi, sembrano vivissimi e vivacissimi perché non abbiamo più termini di paragone). Il greco esprime la stessa tragedia nel suo mito di Persefone che scende nel mondo fisico tenebroso di Plutone.

Nella mitologia nordica, pervasa da una maestosa tristezza, restò per secoli il ricordo dei padri che avevano visto la natura ancora intrisa della luce di Baldur. Una luce non paragonabile a quella attuale del Sole che illumina le cose, perché le cose restano tenebrose anche sotto il Sole: quella di Baldur era una lucentezza che si effondeva dai boschi stessi, era la forza eterica di tutta la Terra.

Steiner, in alcune conferenze sul mistero della Pasqua, si è riferito anche a questi miti nordici[149] e ha messo in rilievo che l’uomo germanico conosceva anche una profezia che diceva: il nostro Baldur è morto e non ha la capacità di risorgere ma verrà un altro, più forte di lui, che non ci lascerà una tomba piena, come ha fatto Baldur, ma ci lascerà una tomba vuota.

Per l’uomo nordico la natura privata della luce eterica degli esseri elementari era una vera tomba: una tomba piena di cose materiali prive dello spirito. La profezia della tomba vuota era dunque la profezia di un Essere che sopravanza infinitamente il gradino evolutivo di Baldur e che perciò sarebbe stato in grado di svuotare questa tomba facendo sciogliere e sparire il cadavere cosmico della Terra. E perciò Baldur è venuto prima ed è morto: l’ha preceduto per rendere possibile questo grande mistero.

La natura veniva vissuta dai Germani come la Triste Abbandonata da Baldur: è ora esangue, ha perso la sua corona, l’aura sfavillante. È la grande triste Vedova del divenire cosmico, come la Iside degli Egizi che rimpiange il suo Osiride. Essa attende. Perché verrà un altro che darà all’uomo la capacità di far risorgere quella luce per forza interiore propria di resurrezione.

Non solo i miti, ma anche le religioni precristiane hanno espresso, di volta in volta, elementi parziali dell’umano.

Prima dell’evento del Cristo, di popolo in popolo e di tempo in tempo l’uomo ha dispiegato se stesso su tutta la faccia della Terra, senza riuscire a rimembrarsi. Il cristianesimo vero, che non è una religione particolare ma un umanesimo universale, esprime invece la totalità, la sintesi dell’umano. Cristo è la sintesi.

Là dove il Buddha, nell’illuminazione, porta a termine il suo contributo e riascende verso il mondo spirituale, là comincia la missione del Cristo. Quando, al momento della Trasfigurazione – che è il corrispettivo cristico dell’illuminazione del Buddha – Pietro esclama: «Maestro, come è bene per noi restare qui! Facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia!»,[150] c’è l’opposizione assoluta del Figlio cosmico che dice: No! Io sono venuto sulla Terra proprio per fare di questo momento di connessione umana con lo spirito non un punto di fuga verso i regni celesti, ma il punto di partenza per entrare in tutte le forze della Terra, per inaugurare la resurrezione della carne e l’eterno amore dello spirito umano verso ogni creatura, verso tutta la natura.

«Io vado al Padre» non è la decisione del Figlio di lasciare la Terra, ma è la decisione di andare nella morte, nell’elemento paterno minerale del cosmo (pater-petra), per compenetrare tutte le forze di natura. Il Cristo va al Padre per non lasciare mai più la natura, la Triste Abbandonata da Baldur, l’Iside rimasta vedova, affinché possa risorgere nelle forze dell’amore.

C’è una frase importante nel Vangelo di Giovanni: «Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre».[151] Questa frase è sempre stata una spina nel fianco per i teologi. Nel nostro contesto però il suo significato centrale diventa comprensibile. Cristo esprime queste parole durante il suo discorso di commiato, quando egli stesso non ha ancora compiuto l’esperienza della morte, «dell’andare al Padre». Le opere più piccole dell’evoluzione erano prima della svolta che è ora imminente: erano le opere della paura e dell’impotenza dello spirito umano di fronte al mondo fisico-materiale. Si voleva allora soltanto abbandonare la Terra e la materia, quale luogo del “peccato”, della sconfitta dell’uomo, per ritornare nello spirituale.

Il Cristo si congiunge con la corporeità della Terra inaugurando le grandi opere dell’evoluzione. Dopo la morte del Cristo l’uomo non vuol più fuggire dalla Terra, non si intimorisce più di fronte alla materia. Inizia l’Opus Magnum, l’Opera Grande di trasformazione della materia mediante lo spirito umano – ne abbiamo già accennato. Il cristianesimo è l’amore dello spirito per la materia. Mediante questo amore tutta la creazione viene trasfigurata e umanizzata.

Il culto autunnale di Adonis

Un elemento fondamentale per comprendere il mistero della resurrezione cristiana è che nei tempi antichi la Pasqua (annuncio profetico della resurrezione) non veniva celebrata a primavera, ma in autunno.[152] Gli iniziati sapevano di cosa si trattava e non avrebbero mai pensato di porre la festa di Pasqua, della morte e resurrezione dell’Essere solare, in primavera! Sapevano già in partenza che la realtà di questa festa corrisponde al cosmo autunnale: lo spirito non può risorgere là dove la natura è in piena vita e rinasce. Lo spirito umano celebra la sua resurrezione macerando e consumando il sostrato materiale, come avviene in autunno.

La Pasqua cristiana è una variazione di riti iniziatici, di feste e cerimonie cultiche antichissime quali, per esempio , il culto di Adonis: questa celebrazione era proprio incentrata sulla divinità che muore, viene sepolta e risorge. In autunno, una statua raffigurante la divinità veniva sommersa nelle acque di un lago e per tre giorni si innalzavano canti di tristezza: poi la statua veniva riportata su, risorgeva, e c’era un grande giubilo perché la divinità aveva vinto la morte.

Una vera scienza dello spirito deve chiedersi: come mai questa festa della morte fisica che si trasforma in resurrezione spirituale è stata spostata in primavera? Una vera scienza dello spirito sa che lo spirito risorge dove muore la materia. Quando le gemme rispuntano, quando c’è un tripudio delle forze vitali nella natura, là avviene un obnubilamento delle forze dello spirito.

Nella tradizione dei misteri si è sempre saputo che le forze vitali e le forze di coscienza rappresentano una polarità: più vigono nel nostro organismo le forze vitali e meno c’è la possibilità di svolgere processi conoscitivi. I processi di coscienza logorano il fisico e rendono necessari i sonni ripetuti e la morte finale.

In fase di digestione di un pranzo abbondante, sarà ben difficile risolvere un complesso problema di matematica. L’esercizio diurno della coscienza è un diretto consumo di forze vitali: per questo abbiamo bisogno del sonno, come polo opposto. Durante la notte estraiamo dal corpo fisico e dal corpo eterico, che giacciono nel letto, tutti i processi di coscienza che uccidono le forze vitali, per concedere al sonno di ricostituirle.

Ogni polarità vera è offerta all’uomo quale compito per il continuo esercizio della libertà, che consiste proprio nel ristabilire di volta in volta un equilibrio che è per sua natura sempre labile.[153] Il giusto equilibrio ognuno deve trovarlo per sé. Se esubera dal lato del ricreare forze vitali e poi svolge troppo poco lavoro di pensiero, allora c’è da chiedersi quale sia in lui lo scopo di queste forze vitali; d’altra parte, se le forze vitali a disposizione sono inferiori a quelle da consumare, lo sbilanciamento sarà ugualmente pericoloso.

Il giusto equilibrio varia per ciascuno secondo le epoche della vita. Sempre ci deve essere, insita nella natura della libertà, la possibilità di esagerare dall’una o dall’altra parte.

Fino al quarto-quinto secolo dell’era cristiana, si sapeva ancora che il mistero della consumazione delle forze fisico-vitali, annuncio di ogni resurrezione dello spirito, poteva celebrarsi soltanto in presenza di un correlato di natura che fosse nel processo di morte. Se l’umanità riconquisterà queste conoscenze, imparerà a ricollocare la festa di Pasqua in autunno: lo spirito risorge non dove l’elemento di natura ha il massimo vigore, ma dove manifesta l’anelito al sacrificio e alla consumazione.

«I cieli e la terra passeranno, le mie parole risorgeranno». L’anelito della “carne” del cosmo è proprio quello di venir consumata per far sprigionare da questa morte le melodie dello spirito. È puro materialismo pensare che l’aspirazione della materia sia quella di eternarsi: la nostalgia della materia è lo spirito. Chi comprendesse questi misteri dell’evoluzione, potrebbe sentire in sé una grande tristezza per la tragica realtà della materializzazione del cristianesimo che contraddice se stesso celebrando la Pasqua in primavera.

Nascita e morte sono decisioni spirituali

Una riconquistata sensibilità dell’animo porterebbe anche a riscoprire la natura del tutto spirituale dei due eventi sommi dell’esistenza: la nascita e la morte. Essi non appartengono al mondo fisico, come la cecità del materialismo ritiene.

Aristotele, nella sua piccola opera Per… genšsewj ka… fqor©j (perí ghenéseos kaí fthoras), Sulla genesi e la corruzione, commentata anche da Tommaso d’Aquino, mostra di avere ancora conoscenza delle tradizioni misteriche sul sorgere e il corrompersi delle cose.

Cosa avviene nella gšnesij (ghénesis), nella nascita? Il fenomeno fondamentale è la realtà dello spirito che si crea un ricettacolo per poi inabitarlo. E la morte? È il liberarsi e librarsi di questo stesso essere spirituale che lascia indietro l’elemento fisico, riaffidandolo alla totalità della natura: la morte è la decisione di lasciare la materia. Nascita e morte sono decisioni ed eventi spirituali che non originano, dunque, dal piano fisico.

Ci sono due misteri cristiani fondamentali che esprimono proprio questo pensiero di Aristotele, e ne sono come una variazione: il concepimento immacolato e la resurrezione. Abbiamo qui l’intento del cristianesimo, poi non più capito, di dire agli esseri umani che la nascita e la morte non sono due fenomeni del mondo fisico ma due fenomeni sovrasensibili.

La nascita non è un trapasso di materia dai genitori al figlio, non è un fluire di qualità ereditarie dal prima al dopo, bensì un discendere dall’alto, fin nella materia, di un essere puramente spirituale. La nascita vera non avviene dai genitori: ognuno di noi nasce dal mondo spirituale, nasce dall’alto.[154]

Come potrebbero due corpi materiali creare un essere spirituale? I due genitori mettono a disposizione il sostrato di materia caotizzato. La fecondazione consiste infatti proprio in questo: la materia nell’ovulo fecondato viene ricaotizzata, così come era ai primordi della creazione, viene privata di ogni capacità propria di strutturazione, per dare la possibilità all’essere spirituale che si incarna di forgiarla tutta a immagine sua. Lo spirito umano, nascendo, compie una creazione dal nulla, una immacolata concezione. Ogni nascita è un nuovo inizio, un evento puramente spirituale.[155]

Parallelo a questo è il mistero della resurrezione, collegato alla morte: l’essenza del fenomeno morte non è la disgregazione del corpo a livello fisico ma la resurrezione dell’essere spirituale che riascende ai mondi superiori per trascorrervi un nuovo ciclo di tempo.

Steiner narra che l’oscuramento del mistero del concepimento immacolato ha avuto come conseguenza una terribile corruzione della volontà: l’uomo, non sapendo più che a decidere il modo della formazione della materia è l’essere spirituale che si incarna con i suoi intenti, con una missione ben precisa per la vita, è giunto alla convinzione di essere invece il risultato dei fattori ereditari. Questo convincimento paralizza le forze della volontà e consegna l’uomo al determinismo. Cade nell’oblio l’impulso incarnatorio che ci aveva fatto scendere sulla Terra costruendo con sapienza karmica il nostro strumento fisico, perché ci corrispondesse nello spirito. L’essere umano si vive come effetto anziché come causa degli eventi della sua vita.

Nemmeno in teologia ci sono più i presupposti per capire veramente cosa sia la nascita, soprattutto perché si è persa di vista la prospettiva della reincarnazione. Si arriva a necessitare Dio stesso, costretto a creare anime ogni volta che qui in Terra si fecondano ovuli. Ma le cose non stanno così: colui che si vuole incarnare è all’opera già nelle forze misteriosissime che attraggono vicendevolmente un uomo e una donna. Le coppie si uniscono perché un’individualità spirituale vuole incarnarsi, e non viceversa. E questa individualità giunge da lontano, ha alle spalle millenni di evoluzione e sceglie proprio quei genitori lì per tornare piena d’amore nel mondo della materia, per conferirle sempre più le trasparenze e gli spazi dello spirito.

Parlare della morte come se la sua realtà fosse il disgregarsi dell’elemento materiale, misconoscendo così l’evento della resurrezione è, d’altro canto, una corruzione totale del pensiero. Il pensiero soccombe ad Arimane, diventa ossessionato, subisce l’ipnosi del sensibile, non riconosce più la soglia che separa il visibile dall’impercepibile. La morte è allora pensata come la fine di tutto, come la distruzione totale di una vita vissuta con l’accanimento, l’ingordigia e la disperazione di chi si è voluto identificare col corpo, e quel corpo vorrebbe immortale.

La convinzione che tutto finisca con la morte è la più errata e illusoria che ci sia: in essa l’essere umano vive fuori della realtà perché non conosce la realtà sostanziale e immarcescibile dello spirito. L’affermazione tradizionale dell’immortalità dell’anima – non dello spirito! – è diventata sempre più astratta perché ha perso l’altra metà che le appartiene essenzialmente: “l’innatalità” dello spirito umano, come abbiamo già visto. Un essere spirituale non può né nascere né morire: non può morire perché non può nascere.

Mondo naturale e mondo morale ridiventano uno

Un altro aspetto fondamentale della resurrezione, come iniziazione dell’intera umanità, è la riunificazione dell’ordine naturale e dell’ordine morale operata dal Cristo:

• l’ordine naturale fisico è rappresentato dalle leggi di natura;

• l’ordine morale sono gli ideali che portiamo dentro di noi, sono gli impulsi nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nella nostra volontà.

In questa fase mediana dell’evoluzione noi siamo abituati a vederli scorrere su binari paralleli: il dato di natura ha il suo andamento ferreo, ben preciso, misurabile, inalterabile, esterno a noi; il dato morale è pura interiorità, pura soggettività che non ha nessun influsso sulle leggi di natura.

Noi non ci rendiamo conto che, invece, il dato morale diventa reale soltanto se è capace di trasformare la natura. Nel corso dell’evoluzione si è verificata una scissione, una separazione, un’analisi cosmica, che ha messo da una parte l’ordine naturale con le sue leggi, che procede per conto proprio, e dall’altra i pensieri umani («i pensieri non pagano dazio», si dice), la moralità umana, che sembrano la ruota di scorta, incapaci di effettualità e incidenza sulla natura. Nulla muta nei campi, sui monti, nei boschi, nel mare, nelle viscere della Terra o sul nostro corpo – almeno così pare – se noi siamo buoni o cattivi.

Causa di questa separazione tra etica e natura è, ancora una volta, la libertà umana: se questi due ordini non fossero diventati indipendenti l’uno dall’altro, se, come è per la divinità, il nostro ordine morale interiore fosse direttamente strutturante la natura, se cioè si manifestasse in chiare conseguenze fisiche, noi non saremmo liberi. Siamo liberi grazie al fatto che i nostri pensieri, sentimenti e impulsi volitivi non hanno un’immediata ripercussione esterna. Certo, in modo minimo qualcosa della nostra interiorità modifica l’esterno, soprattutto il nostro corpo, ma siamo appena agli impercettibili inizi di un riavvicinamento evolutivo di queste due dimensioni.

Se però noi prendiamo in considerazione la prospettiva evolutiva della reincarnazione, le cose cambiano: ciò che un essere umano ha costruito nella sua interiorità, ciò che è divenuto moralmente e spiritualmente in una vita precedente, determina tutto l’insieme del suo corpo fisico, fin nei minimi particolari, per la successiva incarnazione.

In altre parole, c’è un rapporto tra l’ordine morale e quello fisico, ma non è immediato: si è sdoppiato nel prima e nel dopo dell’evoluzione nel tempo. Se così non fosse, non saremmo liberi: vivremmo e vedremmo l’immediato effetto sulla natura della nostra bontà e della nostra malvagità. Vedremmo subito il carattere di distruzione di certi pensieri e il carattere di edificazione che sostanzia altri pensieri, o sentimenti, o impulsi volitivi. Saremmo, per così dire, costretti a essere buoni.

Per lasciarci liberi bisognava che l’evoluzione creasse uno slittamento, una spostamento nel tempo tra il dato morale e le sue conseguenze fisiche. Proprio perché non sappiamo che cosa la nostra interiorità causerà nel nostro corpo fisico alla prossima incarnazione, ci permettiamo di pensare, sentire e volere tutto quello che vogliamo.

L’evento del Golgota, in uno dei suoi aspetti fondamentali, è la riunificazione dell’elemento naturale e dell’elemento morale nel cosmo. È essenziale capire tutto ciò che il Cristo dice e compie come una realtà morale che ha, direttamente e subito, un correlato fisico.

Ecco perché l’eclissi del Sole e il fremito della Terra, il terremoto, sono due fenomeni che assolutamente fanno parte del mistero del Golgota: l’Essere dell’Amore, che viene a ricongiungere la natura con lo spirito, non può manifestarsi che nella duplice realtà dello spirituale immediatamente creante e operante sul dato fisico. La nostra madre Terra – vedova diseredata, non più fecondata e ricreata dall’operare magico del Padre cosmico – accoglie il Figlio solare che la rende di nuovo capace di trasformazione spirituale, grazie alle forze dell’amore.

Alla momento della sua morte, l’Essere dell’Amore è librato nello spazio, sulla croce, e il sangue defluisce nella Terra che se ne imbeve. Alla sepoltura, essa riceve anche il suo corpo esangue. La morte del Cristo è l’evento ecologico primigenio, paradigmatico, che ci mostra in che modo l’Essere solare ama la Terra. Questo suo modo di interagire con lei contiene tutti gli elementi di perfezione morale offerti all’uomo per la resurrezione sua e della sua madre Terra.[156]

Il sangue del Cristo compenetra la Terra e in esso si compie un fenomeno che Steiner chiama eterizzazione.[157] Al momento della morte, quel sangue che comincia a irrorare la Terra e che il Cristo aveva assunto su di sé, pieno dell’egoismo umano della caduta, viene purificato, intriso di reali forze d’amore e va a costituire un’aura eterica luminosa intorno al nostro pianeta.

Se un Essere spirituale da Giove o da Marte o da Saturno avesse osservato la Terra per dei millenni, l’avrebbe vista avvolta da una certa aura specifica. Poi, all’improvviso, avrebbe notato un mutamento totale, uno splendore meraviglioso e avrebbe dovuto dire: in questo momento il Cristo è morto in croce, il suo sangue si è eterizzato ponendosi come aura attorno alla Terra e lì ora sovrabbondano le forze d’amore che purificheranno tutto l’egoismo umano, nel corso dei secoli e dei millenni.

Il Sole si eclissa di fronte alla tenebra dell’egoismo umano:

«Era verso mezzogiorno, quando il Sole si eclissò e si fece buio su tutta la Terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: ‹Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito›. Detto questo spirò».[158]

Il corpo viene tolto dalla croce, viene sepolto e in concomitanza c’è l’altro fenomeno di natura: il terremoto. La Terra sussulta di gioia e Steiner insiste: non sono soltanto immagini simboliche, ma eventi reali, anche se lo scienziato di oggi – nella separazione tra mondo fisico e vita morale che vige a livello della coscienza umana –, non riesce a capire queste connessioni cosmiche. Tertulliano direbbe: proprio perché è inconcepibile, è vero.

La Terra non è un corpo morto ma un essere vivente che, venendo invaso dalle forze solari di amore, sussulta di gioia sapendo di accogliere in sé il pegno di una resurrezione della carne che libererà tutti gli esseri dalla costrizione della forma fisica.

La Terra ha preannunciato la gratitudine umana nei confronti dell’Essere dell’Amore: quando gli uomini hanno soltanto deriso quella morte divina, per fortuna le pietre, le piante, gli animali hanno avuto un sussulto di gioia al posto nostro, nell’alleluia più puro che sia mai stato cantato. Questo è il fenomeno ecologico archetipico: l’abbraccio cosmico fra Sole e Terra, fra amore e libertà.

Nel Vangelo di Marco il nuovo impulso cosmico che il Cristo porta sulla Terra compare nell’immagine di un giovanetto, menzionato al momento della cattura del Cristo e poi di nuovo nelle apparizioni del Risorto.

«Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono. Un giovanetto, però, lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo».[159]

Ecco un evento che non può essere avvenuto sul piano fisico. Gli apostoli hanno avuto la visione immaginativa della svolta evolutiva appena avviata, e il cui impulso gli uomini vorrebbero afferrare per impadronirsene, ma resta loro in mano solo l’involucro materiale. L’impulso cristico sfugge, risorge negli spazi cosmici e inaugura il ringiovanimento della Terra. Ritroviamo il giovanetto all’apertura del sepolcro:

«Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome […] videro un giovanetto, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca ed ebbero paura. Ma egli disse loro: ‹Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto› ».[160]

Questo impulso tellurico e cosmico al contempo, questo giovanetto in Marco, è un’immaginazione reale dell’aura cristica che d’ora in poi avvolge la Terra e nella quale tutti noi viviamo e siamo.

La fine del mondo

La resurrezione è l’iniziazione di tutta l’umanità, è l’inaugurazione della riconciliazione tra mondo di natura e mondo morale, è la legittimazione dell’inserirsi sempre più diretto e cosciente della nostra moralità nell’elemento fisico, trasformandolo e facendolo partecipe della redenzione. Tutto questo è stato espresso nel Nuovo Testamento anche con il concetto della fine del mondo.

Non è vero che i primi cristiani, soprattutto quelli che sapevano ciò di cui si trattava, pensassero a una fine del mondo fisica: i tempi erano troppo spirituali per questo tipo di interpretazioni materialistiche! La fine del mondo intendeva indicare il mistero del compimento, il mistero apocalittico del dato di natura che comincia a venire riassunto nelle leggi della libertà e dell’amore. Il dato di natura viene disfatto nel suo carattere di necessità, di refrattarietà di fronte allo spirito, viene redento, trasformato e trasfigurato in un corpo di resurrezione.

L’affermazione cristiana della fine del mondo significa allora che, da quando il Cristo è venuto sulla Terra, la natura col suo carattere di determinismo ha finito di avere il ruolo preponderante. Il Figlio non è venuto a subire il dato del Padre, ma a trasformarlo e liberarlo. Le forze del Figlio disfano tutto ciò che è necessitato, aprono ciò che è costretto, risollevano ciò che è incurvato: questa è la fine del mondo, la fine di ogni determinismo.

In questo senso, la decisione di portare nell’umanità un’iniziazione globale, quale inizio di trasfigurazione dell’uomo e della Terra, fu anche la decisione di trasformare un mistero dello spazio in un mistero di evoluzione nel tempo. Prima dell’evento del Golgota, poiché il Cristo era negli spazi cosmici e non si era ancora inserito nella Terra, l’iniziazione consisteva in questo: per incontrare l’Essere del Sole bisognava lasciare l’elemento corporeo, bisognava uscire dalla Terra e orientarsi verso il fuori, quindi secondo una direzione spaziale.

Da duemila anni l’Essere dell’Amore non è più negli spazi cosmici: l’iniziazione è divenuta un incontro di rammemorazione interiore di quello stesso evento di duemila anni fa. Non si tratta più di incontrare il Cristo uscendo dal proprio essere, ma si tratta di trovarlo in noi stessi, non dimenticando mai ciò che ha compiuto – «Fate questo in memoria di me».[161]

L’Essere dell’Amore ci lascia liberi di celebrare il ricordo di ciò che ha compiuto, e ci lascia anche liberi di scordarcene. Scordarsi e ricordarsi sono bellissime parole italiane: è il cuore che si allontana, è il cuore che ritorna grazie alle forze dell’amore.

«Fate questo in memoria di me», in memoria del mistero dell’Io Sono, in memoria dell’iniziazione totale che l’Essere dell’Io ha portato nella Terra. Non allontanate dalla vostra presenza di spirito il mistero centrale del cammino umano, ma proiettatelo nell’avvenire: in esso vi è stato dato, nella celebrazione della memoria, tutto ciò che voi stessi siete chiamati a compiere nella libertà. Il cuore che ricorda le gesta passate dell’Essere dell’Amore ispira alla mente il cammino futuro dell’uomo, quale essere della libertà.

Sesta conferenza

IL SETTIMO SEGNO:
L’INIZIAZIONE DI LAZZARO

Roma, 28 aprile 1996

Morte e iniziazione sono una cosa sola

Cari amici,

il risveglio di Lazzaro è un evento straordinario narrato proprio al centro del Vangelo di Giovanni, nell’undicesimo capitolo: dieci capitoli lo precedono, dieci lo seguono e l’accompagnano. Nessun essere umano ha potuto accogliere in sé l’operare del Cristo in un modo così profondo e vasto, così intimo e totale, come lo poté Lazzaro. Notiamo subito che in questa narrazione c’è qualcosa di estremamente importante: le autorità prendono la decisione irrevocabile di mettere a morte Gesù di Nazareth la cui pericolosità, dopo questo segno, non è più sopportabile.

Nella tradizione cristiana c’è stato sempre un filone esoterico, seppure esiguo, che ha ritenuto Giovanni, l’evangelista e l’apocalista, lo stesso Lazzaro risvegliato dal Cristo. Se vogliamo considerare, invece, l’esegesi più diffusa che fa di Lazzaro e di Giovanni due individualità diverse, allora non solo è spontaneo ma anche legittimo domandarsi come mai, in seguito, di questo Lazzaro non si parli più. Uno che ha varcato la soglia della morte ed è stato richiamato dal Cristo, dovrebbe anche aver riportato esperienze uniche, non accadute a nessun altro di cui si narri nel Nuovo Testamento. Come mai sparisce nel nulla? Perché non viene più nemmeno nominato?

La scienza dello spirito di Steiner afferma che Lazzaro è il cosiddetto Giovanni l’evangelista, l’autore del quarto Vangelo. Proprio perché Lazzaro stesso ci ha dato questo Vangelo, vi ha posto al centro la sorgente iniziatica di conoscenza che gli ha consentito di cogliere l’evento del Cristo ancora più profondamente di Luca, Marco e Matteo.

Giovanni-Lazzaro è stato l’unico discepolo del Cristo che abbia accompagnato con la coscienza desta l’evento del Golgota fino alla fine: gli altri hanno subìto un ottenebramento delle facoltà della veglia. Il mistero che si andava svolgendo era così travolgente e immane che lo stesso Pietro non è stato più capace di riconoscere il Cristo, e di fronte alla domanda: «Sei tu discepolo di quest’uomo?»[162] egli rinnega, perché si è completamente offuscato in lui il ricordo d’essere stato congiunto con chi ora viene catturato e condotto a morte. La rinnegazione di Pietro non è da intendere come una cattiveria meditata, conscia, ma indica proprio il fatto che tutti i discepoli, a eccezione di Giovanni-Lazzaro, realmente non si erano resi conto di ciò che stava succedendo.

Il risveglio di Lazzaro è l’unica iniziazione compiuta dal Cristo in modo completo. Egli ha condotto un discepolo – al quale ognuno di noi può guardare come al rappresentante della propria umanità – fino all’atto culminatorio. Questo consisteva in un periodo di tre giorni e mezzo in cui l’iniziando, disteso in una specie di sarcofago, stava tra la morte e la vita. Il suo corpo eterico veniva estratto in buona parte dal fisico – non del tutto, altrimenti sarebbe sopraggiunta la morte – e ciò permetteva al corpo astrale di riflettere e imprimere in quella parte di eterico non impegnata col fisico le esperienze che lo spirito e l’anima facevano nei mondi spirituali, e consentiva all’iniziando il livello desto della coscienza.

Da Rudolf Steiner sappiamo che tutto ciò che si faceva nelle scuole misteriche in riferimento all’iniziazione era un’imitazione della morte, perché questo evento occupava fortemente l’umanità. L’uomo ormai andava subendo sempre più vivacemente le vicende della materia, nelle cui profondità si era inserito nel corso dell’evoluzione: si rendeva conto di dovere quasi tutte le sue esperienze alla corporeità, ai sensi, alla percezione fisica, alla rappresentazione mnemonica del fisico. Era sorta, col tempo sempre più minacciosa, la paura della morte: cosa resterà di me quando il corpo si dissolverà e porterà via alla mia anima la sua fonte primaria di esperienza?

La cultura greca riassume la tragedia della morte nell’incontro fra Achille e Ulisse nell’Ade, negli Inferi.[163] Ulisse dice all’anima dell’eroe che la sua gloria sarà immortale presso i viventi, e Achille risponde: «Meglio sarebbe essere un mendicante sulla Terra, anziché un re nel mondo delle ombre». Per un greco l’esistenza disincarnata era ombratile: mancava il sostrato di realtà corporea per l’esperienza di sé.

Quanto era diventata importante la corporeità, quanto tragica la morte! Il greco considerava la figura corporea umana quanto di più prezioso gli fosse concesso di possedere, e l’aveva da sempre coltivata nella ginnastica e magnificata nell’arte a un segno tale da conferirla a tutte le divinità. La figura umana era resa immortale divenendo sembianza stessa del divino: ma questa dignità suprema dell’incarnazione era condannata alla dimensione dell’effimero, perché la meraviglia del creato, il corpo, era destinata al disfacimento!

L’amore per la materia nel mondo greco è un passaggio evolutivo che prepara l’avvento del Cristo: il Figlio svelerà finalmente all’uomo che la discesa nella materia, nel regno del Padre, è la sfida ultima dello spirito, la celebrazione somma della sua forza capace di trasformare per amore tutto il mondo fisico.

Il mistero della morte è stato come un orientamento comune nelle varie sedi dei misteri, nell’intento di trasformarlo in un atto di resurrezione. In tutti i processi di iniziazione di tutte le scuole misteriche – che si svolgessero presso i Caldei, o gli Egizi, o i Babilonesi, o i Persiani… – si trattava sempre di un’imitazione della morte, di un’anticipazione della morte che consente l’accesso al puro spirituale.

Il mistero del Golgota è l’evento centrale e sintetico dell’evoluzione, proprio perché morte e iniziazione diventano una cosa sola.

Nell’iniziazione si anticipava la morte, entrando così veramente nei mondi spirituali senza morire fisicamente. Invece, nella morte fisica, l’uomo comune moriva senza venire iniziato, senza risorgere pienamente al mondo spirituale, rimanendo così nel mondo delle ombre. L’umanità prima del Cristo, a mano a mano che si immergeva nell’esperienza incarnatoria della caduta, veniva come marchiata dalla carne, ne subiva fin nello spirito la prepotenza, diventando sempre più affine allo stato fisico, sempre più estranea al regno dei cieli.

Il carattere universale di compimento del mistero del Golgota consiste nel fatto che la morte stessa divenne un’iniziazione: l’iniziazione non era più soltanto un’anticipazione della morte senza morire, ma l’iniziazione avvenne nella morte stessa, per tutti gli uomini.

Si scioglie il segreto sui misteri

Un’altra cosa è importante considerare per avvicinarci al mistero del risveglio di Lazzaro: prima del Cristo c’era uno spartiacque tra ciò che era esoterico e ciò che era essoterico. Quanto avveniva nei luoghi nascosti dei misteri era riservato soltanto ai pochi privilegiati che avevano i presupposti necessari: occorreva una preparazione di anni prima di vivere il dramma finale dei tre giorni e mezzo dell’iniziazione.

Nelle scuole iniziatiche c’era il segreto sui misteri e chi li tradiva era condannato a morte: ancora Platone dice che le cose esoteriche e profonde dei misteri non è assolutamente concesso comunicarle a chi non sia preparato, e che dunque è proibito scriverle. Si possono tramandare soltanto per via orale.

Le conoscenze esoteriche, risultato dell’ingresso cosciente nei mondi spirituali, venivano date al popolo nella forma riflessa del mito e del culto.

Il mito era una narrazione per immagini, che diveniva poi, per via indiretta, un compito conoscitivo per tutto il popolo. Ogni mitologia è come una fiaba, una traduzione in immagini delle specifiche esperienze che si facevano nel cammino iniziatico. Anche nei vangeli troviamo il livello essoterico nelle parabole, nelle narrazioni esemplari del cammino umano, mentre il livello esoterico è quello dei discepoli e degli apostoli, ai quali il Cristo si rivolgeva tramite i concetti, i significati, spiegando le parabole.

Il rito, il culto, l’azione sacramentale, rappresentano invece, al livello del popolo, il compito essoterico per la volontà. Tutti i riti religiosi antecedenti il Cristo sono traduzioni in azione liturgica dei gesti cosmici e delle esperienze che l’iniziato faceva nel cosmo spirituale. La liturgia è offerta al popolo che capisce e non capisce, ma che può affidarsi alle azioni e alle parole del rito perché forgiano, educano, orientano fin nelle membra l’umanità ancora bambina.

Si potrebbe dire che la differenza tra ciò che è esoterico e ciò che è essoterico è che l’esoterico rappresenta lo stadio adulto del cammino umano, mentre essoterico è ciò che è adatto a una coscienza ancora infantile, che può ricevere lo spirito ma non sa ancora andargli incontro con forze proprie.

Come nel mistero del Golgota abbiamo la sintesi di tutti i cammini iniziatici dell’umanità, così abbiamo anche la sintesi totale di tutti i miti e di tutti i riti di ogni liturgia: sia al livello esoterico sia al livello essoterico l’evento del Cristo è universa le, nutre di sé l’umanità intera, non è accaparrabile, non è rivendicabile, non è divisibile.

Tutto questo si prepara nel risveglio di Lazzaro, avvenuto in pubblico. Infatti, subito dopo l’evento troviamo scritto nel Vangelo di Giovanni: «Alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: ‹Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni› ».[164] Dopodiché viene decisa la condanna a morte.

Molti segni poll¦ shme‹a (pollà semeia) non è da intendersi in senso quantitativo: ho già sottolineato che altri taumaturghi, per esempio Apollonio di Tiana, compivano guarigioni ben più frequentemente del Cristo stesso. L’aggettivo poll¦ (pollà) qui significa grandi: i segni del Cristo erano troppo grandi. Costui sta tradendo a livello pubblico i segreti più profondi dei misteri e ha avuto il coraggio di compiere pubblicamente un atto iniziatorio completo!

Il figlio della vedova

Lazzaro-Giovanni è colui che nel quarto periodo di cultura ha dato all’umanità il vangelo più profondo, sintetico e vasto che ci sia, e anche l’Apocalisse e le Lettere: la sua missione ha dunque un carattere centrale, connesso alla svolta dei tempi dove il Verbo cosmico riassume l’intera evoluzione passata e la volge al futuro.

Il terzo periodo di cultura postatlantico, quello egizio-caldaico, rinascerà cristificato nel quinto (il nostro), secondo quel generale ritmo del sette che abbiamo già visto; il secondo, quello persiano di Zarathustra si ripeterà cristificato nel futuro sesto periodo; e il primo, quello paleo-indiano nel settimo, che ancora ci attende. «I primi saranno gli ultimi»:[165] l’evoluzione va per rispecchiamenti. C’è sempre una prima creazione, poi una seconda, poi una terza; la quarta rappresenta sempre una svolta – in questo caso la svolta cristica – e fa sì che la quinta posizione possa ripetere la terza a un livello superiore, e così via.

Un accenno a questo mistero lo troviamo nel Vangelo di Luca, nel risveglio del figlio della vedova di Nain:

«In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: ‹Non piangere!› e, accostatosi, toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: ‹Giovinetto, a te io dico alzati›! Il morto si levò a sedere e cominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: ‹Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo›. La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione».[166]

Per comprendere realmente questo brano di Luca, dobbiamo risalire al terzo periodo di cultura: in Egitto c’era un mistero centrale (ripreso da Novalis), quello del giovinetto di Sais. Questo giovinetto è in cerca del mistero di Iside e di Osiride e trova la statua di Iside avvolta in un manto su cui è scritto: «Io sono ciò che era, ciò che è e ciò che sarà [cioè: io sono il mistero totale dell’evoluzione], nessun mortale ha mai tolto il velo del mio mistero».

Novalis, nel quinto periodo postatlantico esclamerà: Bene, se nessun mortale ha potuto togliere il velo di questo mistero, allora vuol dire che dobbiamo diventare immortali! In altre parole, soltanto colui che valica la morte, soltanto colui che supera il minerale fisico del cosmo ed entra nella realtà spirituale, che è eterna e non effimera, coglie il mistero di ciò che era, è e sarà.

Il giovinetto di Sais è il giovinetto di Nain (le due n sono il riverbero delle due s). Gli iniziati egizi si chiamavano Figli della Vedova: il giovinetto di Nain è figlio della vedova e questo è importantissimo, perché soltanto se comprendiamo il significato di questa espressione nella cultura egizia sappiamo che cosa compie il Cristo qui, inaugurando il quinto periodo di cultura.

Iside è la vedova di Osiride: Iside, l’anima umana, era diventata vedova perché aveva perso per necessità evolutiva il congiungimento, l’unione reale e sostanziale con lo sposo e fratello Osiride – che è lo spirito umano, il Logos.

Nel mito centrale egizio viene dunque detto che il cammino dell’umanità è stato quello di separarsi dalla matrice spirituale osiriaca del cosmo per congiungersi sempre più con la materia. È questa la vedovanza dell’anima umana.

Tutto il cammino iniziatico della cultura egizia partiva dalla consapevolezza di essere Figli della Vedova, e quindi l’iniziazione consisteva nell’intento di ritrovare Osiride e ricongiungersi con lui: ciò che ogni uomo compiva dopo la morte (basta leggere il Libro dei Morti e si vede che morire al mondo fisico significava ritornare al mondo di Osiride, anzi, diventare un Osiride), l’iniziato egizio lo anticipava durante la vita attraverso l’iniziazione.

Il figlioletto della vedova, questo giovinetto di Nain, viene risvegliato dal Cristo: l’Osiride tanto ricercato dall’anima-Iside è il Cristo stesso. Osiride rappresenta gli aspetti del mistero del Logos che gli egizi hanno colto a partire dai presupposti della loro cultura. Non voglio con ciò dire che nella comprensione di Osiride gli egizi avessero il tutto dell’Essere solare, del Logos che si avvicinava alla Terra, ma certamente erano presenti aspetti ben specifici ed essenziali, come del resto anche in altre culture.

Anche del giovinetto di Nain non se ne parla più, in seguito, nel Vangelo di Luca: il racconto termina con le parole: «Oggi è sorto un grande profeta». Questa espressione non si riferisce al Cristo, si riferisce al giovinetto resuscitato: però si vede, se si è in grado di comprendere il testo evangelico, che la missione di questo grande profeta non era per l’immediato, ma doveva riservarsi per il quinto periodo di cultura.[167]

Il ricco Epulone e l’altro Lazzaro

Ci avviciniamo ora ulteriormente al mistero del risveglio di Lazzaro chiedendoci quale sia il suo rapporto con un altro Lazzaro che compare nel racconto del ricco Epulone:

«C’era un uomo ricco che vestiva di porpora e di bisso e tutti giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: ‹Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura›. Ma Abramo rispose: ‹Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi›. E quegli replicò: ‹Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento›. Ma Abramo rispose: ‹Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro›. E lui: ‹No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro si ravvedranno›. Abramo rispose: ‹Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno resuscitasse dai morti saranno persuasi› ».[168]

La vicenda del ricco Epulone non è una parabola, ma un evento reale. Due aspetti di questo Lazzaro di Luca riguardano molto da vicino il Lazzaro del Vangelo di Giovanni:

il primo è la sua povertà: come ho già detto, la povertà nei vangeli non è mai riferita alla povertà materiale, ma sempre a quella spirituale. Il povero Lazzaro è l’essere umano della prima beatitudine: beati i poveri di spirito. Beati coloro che hanno perso tutta l’antica chiaroveggenza, che hanno perso ogni capacità di visione estatica dei mondi spirituali, beati coloro che hanno perso ogni connessione con quella ricchezza spirituale che non veniva conquistata per libertà, che non era cosciente ma semplicemente fluiva nell’uomo dalla grazia divina, per rivelazione. Beati costoro, perché questa povertà è il presupposto necessario, la cruna dell’ago dell’evoluzione per raggiungere la libertà, la responsabilità morale. Beati costoro perché in essi la grazia trova il suo necessario compimento e complemento nella libertà.

Lazzaro è l’esemplare tipico di questa povertà, presupposto per ogni cammino di ricerca individuale, e in lui la gratitudine è raddoppiata di fronte a una grazia che è così grande, così piena, da voler far posto alla libertà. Quindi il mistero della povertà di Lazzaro-Giovanni già si preannuncia nel Vangelo di Luca, e questa è un’ulteriore constatazione della grande sapienza che c’è nell’ordine stesso in cui sono raccolti i quattro vangeli. Leggendoli uno dopo l’altro – Matteo, Marco, Luca, Giovanni – c’è un crescendo artistico strutturale, ben giustificato: il Vangelo di Luca è quello più vicino al Vangelo di Giovanni, è quello dove l’immaginazione entra sempre di più nell’ispirazione, mentre quello di Giovanni parte dall’ispirazione e penetra nell’intuizione.

Nel ricco Epulone c’è ognuno di noi. Quando siamo vinti dall’ingordigia di ricevere tutto per rivelazione, quando immagazziniamo le comunicazioni di Steiner, per esempio, semplicemente perché lui le ha offerte e stanno lì, nei libri, allora siamo ancora dei ricchi Epuloni. Diveniamo il povero Lazzaro quando ci accontentiamo magari di meno cose dette da Steiner e cominciamo a penetrarle con la fatica del nostro pensiero;

• il secondo aspetto del Lazzaro del Vangelo di Luca, che richiama quello di Giovanni, è che si tratta di un uomo nei confronti del quale viene espresso il desiderio che ritorni dalla morte per portare un messaggio ai vivi. È bellissimo vedere come il ricco Epulone non chieda di poter tornare lui stesso ad avvisare i suoi fratelli ma ritenga Lazzaro l’unico degno di ritornare sulla Terra, da oltre la soglia della morte, per portare agli uomini la realtà dello spirito.
Il desiderio espresso dal ricco Epulone nel Vangelo di Luca si compie pienamente nell’evento reale del risveglio di Lazzaro, nel Vangelo di Giovanni.

La malattia di Lazzaro

«Era allora malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli. Suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: ‹Signore, ecco, il tuo amico è malato›. All’udire questo

Gesù disse: ‹Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il figlio di Dio venga glorificato›. Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro. Quand’ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: ‹Andiamo di nuovo in Giudea!›. I discepoli gli dissero: ‹Poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo›? Gesù rispose: ‹Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte inciampa, perché gli manca la luce›. Così parlò e poi soggiunse loro: ‹Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato, ma io vado a svegliarlo›. Gli dissero allora i discepoli: ‹Signore, se s’è addormentato guarirà›. Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: ‹Lazzaro è morto, e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui›. Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli: ‹Andiamo anche noi a morire con lui!›. Venne dunque Gesù e Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro. Betania distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: ‹Signore, se tu fossi stato

qui mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà›. Gesù le disse: ‹Tuo fratello si risveglierà›. Gli rispose Marta: ‹So che risorgerà nell’ultimo giorno›. Gesù le disse: ‹Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo?›. Gli rispose: ‹Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo›. Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: ‹Il Maestro è qui e ti chiama›. Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire la seguirono pensando: ‹Va al sepolcro per piangere là›. Maria dunque, quando giunse dov’era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: ‹Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!›. Gesù allora, quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: ‹Dove l’avete posto?›. Gli dissero: ‹Signore, vieni a vedere›. Gesù pianse. Dissero allora i Giudei: ‹Vedi come lo amava!›. Ma alcuni di loro dissero: ‹Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse? ›. Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò

al sepolcro: era una grotta e contro vi era posta

una pietra. Disse Gesù: ‹Togliete la pietra!›. Gli rispose Marta, la sorella del morto: ‹Signore, già puzza, perché è di quattro giorni›. Le disse Gesù: ‹Non ti ho detto che se credi vedrai la gloria di Dio?›. Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: ‹Padre ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato›. E detto questo, gridò a gran voce: ‹Lazzaro, vieni fuori!›. Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: ‹Scioglietelo e lasciatelo andare.› ».[169]

Ci troviamo di fronte a un cosmo compiuto. Però i sublimi contenuti, gli infiniti accenti e le risonanze ci dicono che questo è un testo da leggere non una volta sola, per sapere di che si tratta, ma è un testo che vuole accompagnarci nella meditazione per tutta l’esistenza. E non soltanto per una.

Che cos’è la malattia di Lazzaro? Lazzaro è malato, e su questa malattia Rudolf Steiner ha detto molte cose: la comprendiamo meglio se non la pensiamo specifica. Ogni malattia particolare è un aspetto della malattia di Lazzaro: essa è la malattia dell’umanità intera, di ogni essere umano diventato del tutto povero perché ha perso ogni contatto diretto con lo spirituale. È la malattia dell’umanità – ne abbiamo già accennato – che subisce sempre di più la pesantezza, a tutti i livelli, della materia. È la povertà dello spirito umano, schiacciato dall’esuberanza della gravità della materia. La malattia di Lazzaro è l’impotenza dello spirito umano di fronte al determinismo di natura.

Faremmo un torto al Vangelo se noi andassimo a cercare un’interpretazione della malattia di Lazzaro che sia parziale e che ne escluda altre, perché si esporrebbe subito a contraddizioni e a confutazioni. Ecco perché Steiner sottolinea sempre che, essendo i vangeli dei testi archetipici, è importante da un lato cogliere per ogni fenomeno il livello più universale che ci sia e dall’altro è importante specificare, di volta in volta, questo universale.

Se volessimo soltanto la realtà universale rimarremmo nell’astrazione; se vedessimo il particolare senza collocarlo nel contesto vasto che lo significa ci resterebbero fra le mani elementi disgregati, senza senso, soggetti al più feroce relativismo interpretativo. Abbiamo volumi interi dove un esegeta dice che Lazzaro aveva la tale malattia e un altro spiega che invece ne aveva un’altra…

La malattia di Lazzaro racchiude dunque tutte le malattie e di essa il Cristo dice che non è per la morte. Questa malattia è la somma della caduta, del peccato originale: è la lacuna dell’universo. Ma non è l’annullamento. L’essere discesi nell’impotenza dello spirito nei confronti della materia non è per soccombere. Il significato di questa malattia evolutiva è il risveglio a una vita ancora più grande. Se la malattia avesse uno scopo in sé, se la morte avesse uno scopo in sé, allora avremmo il non-senso.

Il senso della malattia è la guarigione, il senso della morte è la vita: «AÛth ¹ ¢sqšneia oÙk œstin prÕj q£naton ¢llØpr tÁj dÒxhj toà qeoà» (aute te asthéneia uk éstin pròs thànaton all’upèr tes dóxes tu theu) significa: questa malattia non è per la morte, ma per la manifestazione del Dio (in lui), e non per la gloria di Dio, come troviamo in tutte le traduzioni. Il termine dÒxa (dóxa) qui vuol dire irraggiamento dell’essere spirituale, manifestazione verso l’esterno. Il termine qeÒj (theós), Dio, nel Nuovo Testamento va compreso non solo al livello privilegiato degli Esseri divini, ma anche a quello di ogni essere capace di pensiero proprio e di volontà propria. Ogni essere spiritualmente autonomo è un essere divino.

Nel capitolo del Vangelo di Giovanni che precede l’evento di Lazzaro, c’è un momento importantissimo della vita del Cristo che prelude alla decisione finale delle autorità riguardo alla sua condanna a morte. I Giudei lo incalzano e gli chiedono:

«Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente. Gesù rispose loro: ‹Ve l’ho detto e non credete […] Io e il Padre siamo una cosa sola›. I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: ‹Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio: per quale di esse mi volete lapidare?›. ‹Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio›. Rispose loro Gesù: ‹Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio, e la Scrittura non può essere annullata, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?› ».[170]

Vogliono lapidarlo in base all’affermazione: «Voi siete dèi», qeo… ™ste (theoí este). Non soltanto esseri divini, ma dèi.

Il Cristo cita il Vecchio Testamento perché era già detto nella Scrittura che Iddio non ha riservato soltanto per sé la dignità divina, ma nel suo amore l’ha effusa nelle sue creature. La divinità ha irraggiato l’evoluzione umana al fine della divinizzazione dell’uomo, per conferirgli, a grado a grado, la capacità di partecipare sostanzialmente al divino.

«Questa malattia non è per la morte, ma affinché si manifesti nell’essere umano l’irradiare luminoso proprio di ogni Essere divino»: questa è la traduzione. Lo scopo di questa malattia è l’iniziazione di Lazzaro, affinché egli entri con la sua coscienza così profondamente nei mondi celesti da sperimentarsi come un essere spirituale in un cosmo spirituale. Lo scopo di questa malattia è la divinizzazione di Lazzaro.

La transizione ai nuovi misteri

Il risveglio di Lazzaro è così un’iniziazione vera e propria che fa da transizione tra i modi di iniziazione antichi e i nuovi misteri. Lazzaro è iniziato secondo la procedura dei popoli del sud, quella microcosmica, in una grotta, nell’interiorità della Terra, disteso in un sarcofago.

L’iniziazione macrocosmica dei popoli del nord, invece, avveniva sulle alture, sulle vette dove si spalancano i cieli – di qui la proibizione dei riti sulle alture nel Vecchio Testamento – e l’immagine più grandiosa che ci è rimasta è l’iniziazione di Odino sull’albero Yggdrasil, possente colonna cosmica. Il Cristo viene innalzato sul Golgota, inchiodato e poi eretto sulla croce come in una iniziazione macrocosmica, un altro gesto d’amore per la sintesi di tutti i cammini verso lo spirito.

Nei vangeli abbiamo le più profonde ed essenziali connessioni fra tutte le tradizioni mitologiche, religiose, iniziatiche. Anche Paolo dice: «In Cristo si sono ricapitolate tutte le cose».[171] Il Cristo non è venuto per tracciare solchi tra ciò che è pagano e ciò che è cristiano, non è venuto per innescare fra gli uomini lo spettro esplosivo dell’eresia: il Cristo non chiude le vie, ma le apre per la conquista libera dell’universalmente umano.

L’iniziazione doveva compiersi in tre giorni e mezzo: è chiaro dal Vangelo che il Cristo sa bene il tempo che occorre e dunque non si affretta al richiamo in Betania, aspetta addirittura due giorni. Al quarto giorno risveglia il suo discepolo. Il compito dell’iniziatore, dello jerofante, era quello di sapere esattamente l’ora in cui doveva richiamare l’anima e lo spirito dell’iniziando perché riprendessero possesso del corpo, immerso in una sorta di letargia, di catalessi. Se lo jerofante aspettava oltre il segno, si poteva verificare il distacco definitivo del corpo eterico e quindi la morte dell’iniziando; se anticipava il risveglio, l’esperienza sarebbe stata insufficiente per l’iniziazione.

L’iniziazione, dunque, oscilla tra il sonno e la morte. Nell’esegesi cristiana c’è sempre stata una grande difficoltà a capire perché il Cristo, mentre sta per ritornare in Betania, prima dice agli apostoli che Lazzaro s’è addormentato e immediatamente dopo, visto che quelli si tranquillizzano subito dimostrando di non aver capito nulla, dice che è morto. Dorme o è morto? Nel Vangelo ci sono ambedue le affermazioni e, certo, il Cristo non mente. Se non si hanno i presupposti conoscitivi esoterici è difficile, per non dire impossibile, capire questo passaggio.

Il richiamo da oltre la morte di un adulto non si era mai verificato: i risvegli della giovinetta di Giairo, del figlioletto della vedova di Nain riguardano, appunto, dei bambini. La morte non è un passaggio di un istante, così da poter dire: fin qui è vivo, da questo secondo in poi è morto. La morte è un lungo processo che in un bambino è ancora più protratto. Nei vangeli ci sono risvegli di bambini, non di adulti.

Gli apostoli non comprendono questo mistero né dal lato del sonno né dal lato della morte. Se i Dodici fossero in grado di capire la realtà di cui si tratta, cosa ne conseguirebbe? Che tutti e dodici potrebbero venire iniziati come Lazzaro, che dovrebbero loro stessi essere in quella realtà: questa è l’indicazione chiara che Lazzaro è a un gradino evolutivo nettamente diverso. Il Cristo si adopera per far loro avere almeno un sentore del mistero che si sta manifestando, li aiuta a fare i primi passi e li orienta dicendo che sta accadendo qualcosa che oscilla tra il sonno e la morte.

Il Cristo amava Lazzaro e le sue sorelle

Un altro aspetto da cui risulta chiaramente che si tratta della sintesi di tutti i tipi di iniziazione del passato, è che viene detto – questa è la cosa inaudita! – che Gesù amava Lazzaro e le sue sorelle. In Marta e Maria sono presenti le qualità dell’anima, espresse qui non secondo la trinità del pensare-sentire-volere, ma secondo la polarità tra il pensare (Maria), cioè la capacità di conoscere, di riflettere e meditare, e il volere (Marta), l’azione, il sapere cosa va fatto. Queste due qualità dell’animico devono lavorare insieme, perciò Lazzaro deve avere tutte e due queste sorelle per essere in grado di venire iniziato. E proprio per questo il Cristo le ama.

La teologia ha sempre avuto un certo imbarazzo nel tentare di capire, in termini essoterici, perché il Cristo dovesse fare preferenze, perché il Vangelo dovesse specificare che il Cristo amava Lazzaro e le sue sorelle, e che Giovanni era il discepolo che Gesù amava. E gli altri? Rudolf Steiner dice che l’espressione «Il Maestro ama un discepolo» è una locuzione tecnica esoterica che si usava unicamente per indicare il discepolo che era stato portato a un punto tale di evoluzione da essere pronto per l’iniziazione. Il discepolo è progredito a un segno tale – e questo progredire è di nuovo il mistero della libertà – che il Maestro riceve ora la legittimazione per conferirgli la somma totale dell’amore: l’iniziazione. Non si può amare di più che aiutando l’essere amato a entrare nella perfezione spirituale, essenziale, del proprio essere.

Lazzaro, vieni fuori!

Ed£krusen Ð Ihsoàj (edakrüsen o Iesus), Gesù pianse. Il pianto del Cristo, ovviamente, non può essere interpretato come un pianto per la morte di Lazzaro, perché Lazzaro non è affatto morto – e se anche fosse morto, perché piangere? Se è morto vuol dire che è giunta la sua ora. Il Figlio dell’Uomo è venuto non per contraddire i decreti del Padre dei Cieli, ma per confermarli.

Il pianto del Cristo Gesù è un altro degli scogli dell’esegesi, anche in connessione con l’altro verbo che lo precede: ™nebrim»sato pneÚmati (enebrimésato to pneúmati), che corrisponde al latino infremuit spiritu, dal verbo greco ™mbrim£omai (embrimáomai), fremere, premere. È un “comprimere” il proprio essere.

Steiner descrive che il piangere, il far fuoriuscire le lacrime, è sempre il risultato fisico di un comprimersi delle forze dell’anima. E perché queste forze si comprimono? Perché l’essere umano le raccoglie tutte di fronte a un compito molto importante. Invece il ridere è il fenomeno opposto, è il sentirsi superiore a qualcosa: il corpo astrale (l’anima) allora si espande, non inabita più i muscoli che, perciò, diventano sciolti e si ride. Sono, questi, due fenomeni specificamente umani: gli animali non possono né piangere né ridere.

Prima dell’evento culminante del Golgota, che avverrà appena una settimana dopo, il Cristo si trova, con l’iniziazione di Lazzaro, di fronte all’opera più impegnativa della sua vita. Per richiamare Lazzaro dai mondi spirituali, per porre termine al processo di iniziazione, per aiutarlo a riafferrare il corpo fisico, il Cristo stesso deve raccogliere in sé tutte le sue forze di jerofante dell’umanità: ™nebrim»sato pneÚmati (enebrimésato to pneúmati), compresse lo spirito, raccolse in sé tutte le forze nella consapevolezza dell’importanza immensa dell’atto che doveva compiere, e il corpo fisico emise lacrime.

Questo sforzo cosmico del Logos per indurre l’uomo a non disdegnare la Terra ma ad amarla, fa uscire dal Cristo le parole: «Lazzaro, vieni fuori!», lascia il mondo del puro spirituale perché non è un mondo umano, lascia la beatitudine egoistica degli spazi dello spirito, trova in te la forza cristica, umana, di amore totale per la Terra, per la natura, per ogni creatura, trova in te la forza incarnatoria di riafferrare il corpo fisico!

Lazzaro, vieni fuori!, perché ti attende la missione altissima di donare all’umanità incarnata, come pane quotidiano per tutti i secoli e i millenni, il Vangelo più profondo e più bello.

Lazzaro, vieni fuori!, compi il nuovo sacrificio dei nuovi misteri e guarda all’evoluzione che va nel senso dell’amore dello spirito verso la materia. Non fermarti alla tua illuminazione, come l’antico Buddha che non era ancora progredito fino al punto di assumere su di sé il destino della carne.

Lazzaro, vieni fuori!, perché tu devi comprendere l’Essere solare che farà della Terra il suo corpo affinché ogni uomo si infiammi d’amore per ritornare, fedele alla reincarnazione, sempre di nuovo nel corpo, nelle condizioni totali del cammino della libertà umana, nella comunione quotidiana con le creature di tutti i regni di natura.

Lazzaro, vieni fuori!, non ti lasciar sedurre dalla tentazione del puro spirituale che è ancora oltre l’uomo, guarda a questa carne del Logos che ti chiama, ritorna nel corpo, ritorna nel mondo della percezione e del karma perché soltanto qui c’è il compito infinito del pensare, perché soltanto qui è possibile l’evoluzione infinita dell’amore.

E Lazzaro accoglie l’appello del Cristo, esce dai mondi spirituali e nasce di nuovo, decide di reimmergersi nel suo corpo fisico, di ritornare alla coscienza ordinaria e desta.

Lazzaro è entrato negli spazi spirituali accompagnato proprio dal Logos. Quando al Cristo viene detto: «È ammalato», egli aspetta ancora due giorni prima di ritornare in Betania. In questo tempo, e soprattutto nelle notti, quale interazione profondissima dev’essere avvenuta tra il Maestro e il suo discepolo! Il Cristo stesso è la resurrezione e la vita di Lazzaro: «Io sono la resurrezione e la vita» dice il Cristo alla sorella che lo piange morto. Lazzaro sta sperimentando direttamente nello spirituale tutti i misteri del Logos, dell’Io Sono, in quanto vita e resurrezione. E proprio perché si è immerso nei mondi spirituali è in grado di ritornare nel corpo fisico accogliendo in sé la Sofia, la sapienza cosmica, la madre cosmica: e la riverserà tutta nel suo Vangelo.

«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: ‹Donna, ecco tuo figlio!›. Poi disse al discepolo: ‹Ecco tua madre!›. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa».[172]

Nell’ultima conferenza del ciclo sul Vangelo di Giovanni,[173] Steiner descrive con accenti bellissimi come questa casa non sia una casa materiale ma stia a indicare, nel linguaggio esoterico, che Giovanni-Lazzaro è l’unico essere umano che fu in grado di accogliere nel suo spirito la Sofia cosmica.

Il compimento di tutte le profezie

Voglio concludere riferendomi a due grandi profezie sulla totalità dell’evoluzione, presenti nel Vecchio Testamento, e che il Vangelo di Giovanni cita al momento della morte del Cristo:

«Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocefisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli verrà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Contempleranno colui che hanno trafitto».[174]

L’ossatura è l’impalcatura che mantiene costante la forma del corpo umano per tutta la vita: nel linguaggio esoterico quando si parlava di ossa, di ciò che è duro nel corpo umano, si parlava dei misteri della forma. È allora eccezionalmente importante che al Logos non venga sfigurata la struttura ossea perché il senso dell’evoluzione è che tutti i pensieri formanti del Logos – che sono alla base di tutte le forme della Terra – non vengano mai deformati da mano umana perché essi sono il compito del nostro pensare per tutto il divenire.

Non sia mai che l’uomo si scagli contro la figura ossea del Cristo, e dunque contro se stesso, così da diventare disumano sfigurando e travisando la sapienza formatrice delle cose! Proprio perché le forme sovrasensibili di tutte le cose sono i pensieri del Logos impressi ai primordi del divenire a tutte le creature, esse non devono venir distorte, mutate e deturpate dal pensare umano.

Abbiamo in questa prima profezia della Sofia del Vangelo di Giovanni il mistero della manipolazione genetica, il mistero di tutto ciò che l’umanità sta ora compiendo: si dovrà decidere con le più alte forze cristiche presenti nell’uomo come riorientare o come fermare questa spaventosa capacità umana di intervenire nelle forze formanti e stravolgerle. Le forme pensate dal Logos non sono presenti nel cosmo corporeo per venire alterate, ma per essere confermate dall’uomo nel suo libero pensare.

La contraffazione biogenetica delle specie – ogni specie è una forma che si rende visibile intridendosi di materia – dovrà risvegliare in noi la forza per meditare in modo nuovo, nella memoria evolutiva, quanto Giovanni stesso vuole ricordare all’umanità intera: «Non gli sarà spezzato alcun osso».

L’altra profezia è il polo opposto: se la prima si riferiva ai compiti inesauribili del pensare umano, questa seconda si rivolge alla capacità di metamorfosi dell’amore. L’amore è il talento di immedesimarsi nell’altro, è la capacità di essere sempre nuovi. L’uomo si muove artisticamente tra la facoltà di individuare le forme sacre delle specie nei pensieri del Logos, e la capacità di mutare se stesso per accogliere la realtà dell’altro.

«Contempleranno colui che hanno trafitto»: il compito dell’amore è quello di trafiggere il corpo terrestre, è quello di consumare cielo e terra – «I cieli e la terra passeranno» –, è quello di frantumare e polverizzare la materia in modo da liberare tutte le creature che ne sono intrise, irrigidite, separate le une dalle altre.

Compito del pensiero è riafferrare e riconfermare la forma spirituale e archetipica del creato, il Verbo, il Logos, la Parola – «Le mie parole non passeranno» –, e compito dell’amore è la frantumazione, la consumazione della materia per rimandarla allo stadio di polvere cosmica, affinché si celebri la resurrezione della carne e gli esseri umani si rimembrino gli uni negli altri, nel corpo spirituale unico del Cristo risorto.

Il compito dell’amore è quello di solcare, di infiggere nella Terra il vomere che ne capovolge le zolle e la macera. La forza pensante riconosce lo spirito e opera come i fenomeni di radioattività, di energia nucleare atomica. L’interazione tra lo spirito umano e la materia crea corporeità sempre più friabili, e questo è proprio il destino della materia: essere trafitta, disgregata, liberata.[175] E quando la tomba terrena dell’umanità sarà diventata vuota, da essa risorgerà l’immagine irradiante del Corpo mistico del Cristo, dell’Umanità rimembrata. Contempleremo l’Essere spirituale la cui corporeità avremo trafitta, disgregata, polverizzata fino a farla scomparire. L’inizio di questa contemplazione sarà la visione del Cristo, del Signore del karma, sul piano eterico immaginativo, a partire dal nostro tempo.[176]

Queste due grandi profezie possiamo riferirle alle due parole che il Cristo dice avviandosi a risvegliare Lazzaro: «Io sono la resurrezione e la vita». L’Io Sono, il Cristo, è la resurrezione, è il fantòma vivente di tutte le cose, è il concetto divino e amante risorto dalla materia, è il pensiero del Logos ritrovato, mentre il lato percettivo sparisce nella materia dissolta nel cosmo.

Io Sono la resurrezione di tutti i pensieri che rinascono immortali dall’effimero della percezione. Io Sono la vita che contempla in spirito la comunione reciproca degli esseri umani, assurti al divino.

«I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».

[1]Su questo tema, V. anche: P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 1 – Ed. Archiati

[2]Ed. Antroposofica.

[3]P. Archiati, Dalla mia vita. La mia esperienza con la Chiesa e l’antroposofia – Ed. Archiati

[4]Sull’iniziato R. Steiner, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 1 – Ed. Archiati

[5]Mc 11,12-14

[6] Mc 11,20

[7] Gv 20,29

[8]La parola Cristo è diventata problematica negli ultimi tempi, soprattutto nel dialogo fra le religioni, e perciò R. Steiner si adopera a descrivere questa Entità cosmica divina con nomi e caratteristiche sempre nuovi. V.

P. Archiati «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 1 – Ed. Archiati

P. Archiati «Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Il mio regno non è di questo mondo, vol 3, cap 4 – Ed. Archiati

[9]Sulla suddivisione dell’evoluzione umana in grandi epoche e periodi di civiltà (o periodi di cultura) V.

R. Steiner, La scienza occulta – Ed. Antroposofica

R. Steiner, Dalla cronaca dell’akasha – Ed. Antroposofica

[10]Per un approfondimento: P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 1 e 5 – Ed. Archiati

[11]Gv 1,47-49

[12]R. Steiner, Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca – Ed. Antroposofica

[13]Spiriti del Popolo è il nome scientifico-spirituale che corrisponde agli Arcangeli. V. schema delle Gerarchie Spirituali a p. 242

[14]Mc 11,22-23

[15] Questo tema è trattato nel contesto della creazione dal nulla in:

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1 – Ed. Archiati

P. Archiati, Guarire ogni giorno – Ed. Archiati

[16]Mt 1,1-17

[17]Lc 3,23-38

[18]A proposito del peccato originale, V. P. Archiati, Equilibrio interiore – Ed. Archiati

[19]Sul rapporto tra Gesù di Nazareth e l’Essere solare del Cristo che lo inabitò per tre anni, V. R. Steiner, Il fenomeno uomo. Da Gesù a Cristo – Ed. Archiati

R. Steiner, Buddha e Cristo – Ed. Archiati

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol. 1, conf. 6 – Ed. Archiati

[20]Sui tre dogmi inseriti nel diciannovesimo secolo, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il mio regno non è di questo mondo, vol 1, cap. 1 – Ed. Archiati

[21]R. Steiner, Il bene c’è per tutti – Ed. Archiati

[22]R. Steiner, Buddha e Cristo – Ed. Archiati

P. Archiati, Cammini dell’anima – Ed. Archiati

P. Archiati, Maschere di Dio, volti dell’uomo – Ed. Archiati

[23]Io Sono e Logos sono i nomi del Cristo nel Vangelo di Giovanni.

[24]Sull’anima cosciente, V. più avanti, conf. 2

[25]R. Steiner, Buddha e Cristo – Ed. Archiati

[26]R. Steiner, Vita da morte a nuova nascita – Ed. Antroposofica

[27]Fil 2,7 (Normalmente viene tradotto con spogliò se stesso)

[28]P. Archiati, «Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 8 – Ed. Archiati

[29]P. Archiati, Nel principio era il Logos – Ed. Archiati

[30]Ed. Antroposofica

[31] Mt 21

[32]Lo stesso argomento visto da altri punti di vista in:

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 2 – Ed. Archiati

[33]Mt 3,7

[34]Mt 4,17

[35] Gv 1,29

[36]Per un approfondimento, V. P. Archiati, Nel principio era il Logos – Ed. Archiati

[37] Lc 11,29-32

[38]I tre giorni e mezzo dell’iniziazione verranno descritti nella conf. 6

[39]R. Steiner, Il Vangelo di Marco – Ed. Antroposofica

[40]Mc 8,31-33 – 9,30-32 – 10,32-34

[41] Mc 8,31-33

[42]R. Steiner, Il Vangelo di Marco, conf. 7 – Ed. Antroposofica

[43] Mt 5,3

[44]Mt 11,12; Lc 16,16

[45]R. Steiner, Tra destino e libertà – Ed. Archiati

P. Archiati, Nati per diventare liberi – Ed. Archiati

[46]Su questo argomento, V. P. Archiati, Io Sono la resurrezione e la vita – Ed. Archiati

[47] R. Steiner, Angeli all’opera – Ed. Archiati

R. Steiner, La scienza occulta – Ed. Antroposofica

R. Steiner, La guida spirituale dell’umanità – Ed. Antroposofica

[48]Divina Commedia, Paradiso, canto XXXIII - vv 22-23

[49]P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il mio regno non è di questo mondo, vol 3, cap. 1 – Ed. Archiati

[50] Mt 16,18. Sull’istituzione-Chiesa cattolica, V. nota precedente, cap. 4

[51]Mt 18,10-14

[52]Mt 25,40

[53]R. Steiner, Il Vangelo di Marco, conf. 9 – Ed. Antroposofica

[54]P. Archiati, La forza della verità – Ed. Archiati

[55]Gv 19,5. V. anche: P. Archiati, Seminario sul Vangelo di Giovanni, fascicolo 10 – Ed. Archiati.

[56]R. Steiner, Il Vangelo di Giovanni e i sinottici – Ed. Archiati

[57] Mc 10,46

[58] Mc 10,38

[59] Mc 14,37-41

[60]P. Archiati, L’uomo e il male. Un mistero di libertà – Ed. Archiati

P. Archiati, Il bene e il male. Che cos’è? – Ed. Archiati

P. Archiati, «Voi siete dèi» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 3 –Ed. Archiati

[61]Mt 25,31-43

[62] Gv 1,1-3

[63]P. Archiati, Arrivederci alla prossima vita – Ed. Archiati

V. anche più avanti, conf. 3

[64]P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 7 – Ed. Archiati

[65]R. Steiner, L’Apocalisse – Ed. Antroposofica

P. Archiati, L’Apocalisse di Giovanni. Presente e futuro dell’umanità, voll 1, 2 – Ed. Archiati

[66]At 9,4-5

[67]R. Steiner, Cristo e l’anima umana – Ed. Archiati

[68]R. Steiner, Cristo e il mondo spirituale – Ed. Antroposofica

[69]R. Steiner, Dalla cronaca dell’akasha – Ed. Antroposofica

P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 1 – Ed. Archiati

[70]P. Archiati, Il mistero dell’amore – Ed. Archiati

P. Archiati, L’arte dell’incontro – Ed. Archiati

[71]R. Steiner, Metamorfosi della vita dell’anima – Tilopa

[72]R. Steiner, Il mistero della Trinità – Ed. Antroposofica

[73]R. Steiner, Cristo e l’anima umana – Ed. Archiati

[74]Mt 24,35

[75]Mt 20,16; Mc 10,31; Lc 13,30

[76] Mt 10,39; Mt 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24; Lc 17,33; Gv 12,25

[77]Per un approfondimento di questo argomento, V. P. Archiati, Nel Principio era il Logos – Ed. Archiati.

[78]R. Steiner, La scienza occulta – Ed. Antroposofica

R. Steiner, Angeli all’opera – Ed. Archiati

[79] R. Steiner, Iniziazione. Come si consegue la conoscenza dei mondi spirituali – Ed. Antroposofica

[80]R. Steiner, Il pensiero nell’uomo e nel mondo – Ed. Archiati

[81]R. Steiner, Il fenomeno Uomo, conf. 2 – Ed. Archiati

[82]R. Steiner, Cristo e il mondo spirituale. La ricerca del santo Graal – Ed. Antroposofica

[83]Per approfondire questo tema: P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 5 – Ed. Archiati

[84]R. Steiner, L’enigma dell’uomo – Ed. Antroposofica

[85]R. Steiner, Una fisiologia occulta – Ed. Antroposofica

[86] 1Cor 15,45 – V. anche: P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 5 – Ed. Archiati

[87]P. Archiati, La religiosità innata del bambino – Ed. Archiati

[88] Gv 6,5-13

[89]Per un approfondimento di questi temi, V.

P. Archiati, Vuoi tu diventare sano? – Ed. Archiati.

[90]Gv 21,11

[91]Mt 15,31-38

[92]Mt 17

[93]Mt 27,46

[94] Mc 15,34

[95]Gv 17,1

[96]Sui settenari della vita, V. P. Archiati, La tua biografia – Ed. Archiati

[97]V. P. Archiati, Io Sono il pane della vita – Ed. Archiati

[98]Ed. Antroposofica

[99]P. Archiati, L’arte dell’incontro – Ed. Archiati

P. Archiati, Cammini dell’anima – Ed. Archiati

[100]Gv 2,1-12

[101]Per un approfondimento di questo argomento, V. P. Archiati, Nel Principio era il Logos – Ed. Archiati.

[102]Gv 4,46-51

[103]Per un approfondimento di questo argomento, V. P. Archiati, Vuoi tu diventare sano? – Ed. Archiati

[104]Gv 5,1-14

[105]Gv 6,1-15

[106]Su questo argomento V. P. Archiati, Vuoi tu diventare sano e Io Sono il pane della vita – Ed. Archiati

[107]Gv 6,16-21

[108]Per un approfondimento, V. P. Archiati, Io Sono il pane della vita – Ed. Archiati

[109]Gv 9,1-3

[110]R. Steiner, Tra destino e libertà – Ed. Archiati

R. Steiner, Da chi ho ereditato la mia anima? – Ed. Archiati

P. Archiati, Arrivederci alla prossima vita – Ed. Archiati

P. Archiati, Il grande gioco della vita – Ed. Archiati

P. Archiati, Creare e vivere una nuova vita – Ed. Archiati

[111] R. Steiner, Come ritrovare il Cristo? – Ed. Antroposofica

[112] Mt 17,9-13

[113] R. Steiner aggiunge che Elia, Giovanni il Battista, Raffaello e Novalis sono la stessa individualità, seguita attraverso quattro diverse incarnazioni, in Considerazioni esoteriche su nessi karmici, vol.4 – Ed. Antroposofica.

[114]R. Steiner, Il Padre Nostro – Ed. Antroposofica

[115]Sul Padre Nostro rovesciato, V. P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 6 – Ed. Archiati

[116]Mt 6,9-13

[117]P. Archiati, Equilibrio interiore – Ed. Archiati

[118]R. Steiner, Il bene c’è per tutti – Ed. Archiati

[119]P. Archiati, Guarire ogni giorno – Ed. Archiati

[120]Mt 7,6

[121]R. Steiner, Teosofia – Ed. Antroposofica

R. Steiner, L’uomo soprasensibile alla luce dell’antroposofia – Ed. Antroposofica

P. Archiati, La vita dopo la morte – Ed. Archiati

[122] Mt 5,13-16

[123]Gv 18,36

[124]Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,19-20

[125]P. Archiati, Il pensare, una creazione dal nulla; La percezione, un inganno da superare – Ed. Archiati

[126]R. Steiner, Vorträge und Kurse über christlich-religiöses Wirken (GA 342, 346)– Rudolf Steiner Verlag

[127]R. Steiner, Antropologia scientifico-spirituale – Ed. Antroposofica

[128]R. Steiner, Le manifestazioni del karma – Ed. Antroposofica

[129] Lc 4,31-35

[130] Mt 8,4; Mt 9,30; Lc 5,14

[131]Lc 8,30

[132] Lc 5,17-26

[133]Lc 8,40-56

[134]P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 8 – Ed. Archiati

[135] Lc 10,30-35

[136]Lc 10, 25-29

[137]Lc 10,36

[138] Lc 16,1-8

[139]Lc 16,11

[140]Mc 2,27

[141]R. Steiner, Il Vangelo di Marco – Ed. Antroposofica

[142]Lc 17,11-19

[143] Mt 27,42; Mc 15,31

[144]R. Steiner, Vivere con gli Angeli e gli spiriti della natura – Ed. Archiati

R. Steiner, L’uomo, sintesi armonica delle attività creatrici universali – Ed. Antroposofica

R. Steiner, Gerarchie spirituali e loro riflesso nel mondo fisico, conf. 2 – Ed. Antroposofica

[145] Mt 28,1-2

[146]P. Archiati, L’uomo e la Terra – Ed. Archiati

[147]R. Steiner, Il fenomeno uomo – Ed. Archiati

[148]P. Archiati, Il grande gioco della vita – Ed. Archiati

[149]R. Steiner, Il cammino della conoscenza spirituale e del rinnovamento della concezione artistica, conf. del 2 aprile 1915, pubblicata in italiano nella rivista «Antroposofia», 66/1959.

[150]Mc 9,5

[151] Gv 14,12

[152]R. Steiner, La storia alla luce dell’antroposofia – Ed. Antroposofica

[153]P. Archiati, Equilibrio interiore – Ed. Archiati

[154]Gv 3,3

[155]P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 2 – Ed. Archiati

[156]P. Archiati, L’uomo e la Terra – Ed. Archiati

[157]R. Steiner, Meraviglie del creato, prove dell’anima, manifestazioni dello spirito – Ed. Antroposofica

[158]Lc 23,44-46

[159]Mc 14,50-52

[160]Mc 16,5-6

[161] Lc 22,19

[162] Gv 18,17-27

[163]Omero, Odissea, canto XI

[164]Gv 11,47

[165]Mt 20,16; Mc 10,31; Lc 13,30

[166] Lc 7,11-17

[167]R. Steiner accenna al cammino futuro di questo grande profeta nell’opera di Mani e di Parsifal (in Zur Geschichte und aus den Inhalten der ersten Abteilung der Esoterischen Schule, 1904 bis 1914, GA 264 – non tradotto in italiano)

[168] Lc 16,19-31

[169]Gv 11,1-44

[170]Gv 10,24-25 – 10,30-36

[171]Ef 1,10

[172] Gv 19,25-27

[173]R. Steiner, Il Vangelo di Giovanni – Ed. Antroposofica

[174] Gv 19,32-37

[175]P. Archiati, L’uomo e la Terra – Ed. Archiati

[176]P. Archiati, «Voi siete dèi!» L’uomo in cammino. Il quinto vangelo, fonte di tutti i vangeli, vol 1, conf. 8 – Ed. Archiati

Letture correlate

Edizioni Archiati

Pietro Archiati

Equilibrio interiore

Guarire ogni giorno

Il buon Samaritano

La vita dopo la morte

Maschere di Dio, volti dell’uomo

Seminari sul Vangelo di Giovanni, 11 voll

«Voi siete dèi!» L’uomo in cammino, voll 1, 3

Rudolf Steiner

Angeli all’opera nell’evoluzione dell’uomo tra la Terra e il Cosmo

Buddha e Cristo

Il bene c’è per tutti

Il fenomeno uomo

Il pensiero nell’uomo e nel mondo

Introduzione alla scienza dello spirito

Ma cos’è questo cristianesimo?

A proposito di Pietro Archiati

Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capriano del Colle (Brescia). Ha studiato teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università statale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).

Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.

Nel 1977, durante un periodo di eremitaggio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito ― destinata a diventare la grande passione della sua vita ― indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invisibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.

Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafrica durante gli ultimi anni della segregazione razziale.

Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, indipendente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.

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