A proposito

di libertà

Estratto dal convegno di Roma, 6 - 8 Maggio 2011

Testo – NON rivisto dal relatore – scelto e curato da Federica Gho

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Caro Lettore,

con la nuova collana AUDIO siamo lieti di offrirti l’opportunità di accostarti alla ricchezza e alla profondità di bei pensieri con cui vivere al meglio, giorno per giorno, il nostro tempo così difficile, ma anche ricco di grandi occasioni. AUDIO ti porge una conferenza di Pietro Archiati tratta da un convegno o da un seminario che, se suscita il tuo interesse, potrai ascoltare per intero tramite il Cd allegato, o potrai leggere per esteso negli Atti. Questa collana vuole essere per te, e per le persone con cui vuoi condividere questi pensieri, uno strumento per orientare in modo sempre più mirato la scelta nel vasto repertorio delle nostre pubblicazioni.

Buona lettura e buon ascolto!

Indice

Prefazione7

la libertà delluomo creatore

liberi non si è, si diventa9

Contenuti del Cd allegato41

Prefazione

Sui libri leggiamo che in nome della libertà ancora oggi si vive e si muore. Ma quale libertà?

Considerando tutte le preoccupazioni che ci invadono l’anima, sembrerebbe che – al presente – siamo in tutt’altre faccende affaccendati. Libertà o non libertà, per campare c’è da rimboccarsi le maniche e tirare avanti secondo una via già tracciata dallo «stato delle cose».

Tra doveri e legami, tra persuasioni mediatiche e dipendenze da tecnologie, tra regie occulte dell’economia e guerre di pace, tra lavori che «ci piacerebbe fare ma non garantiscono un futuro» e lavori alienanti ma «utili alla società-azienda», dov’è lo spazio per la libertà del singolo?

In questo convegno cercheremo di svelare un segreto: la libertà sta dove la creo io!

LA LIBERTÀ DELL’UOMO CREATORE

Liberi non si è, si diventa

Cari amici, gentili ascoltatori,

nei giorni scorsi ci siamo già detti, a proposito di libertà, che ognuno di noi può avere la netta percezione di essere libero solo quando è veramente certo di non essere gestito dal di fuori. Questo è il presupposto della libertà, ma riesco a convincermi a ragion veduta unicamente attraverso un mio processo di pensiero.

Nessuno può vendere a un altro una convinzione, può esporre, proporre dei pensieri e dire che lui sinceramente ne è convinto, però i pensieri che poi l’altro pensa sono i suoi. È esclusivamente il pensare di ognuno che decide che cosa diventa o non diventa una convinzione, prendendo posizione, per esempio a seconda che veda ben fondato il discorso, o lo veda traballante. Questo è l’unico legittimo fondamento di un convincimento.

Si tratta per ognuno di noi di una riflessione sua, che si dica, come prima cosa, in negativo: il mio corpo, per esempio, non è esterno al mio essere – è un frammento, un elemento sostanziale del mio essere – ora se su questo mio corpo io non ho deciso nulla in proprio, perché è stato prodotto dall’ereditarietà, dai genitori o dagli avi, come faccio a essere libero?

Allora il primo quesito della libertà è: l’essere umano non è libero!, è del tutto costretto se il suo corpo – per partire soltanto da questo – non è stato architettato liberamente da lui, non è come lui l’ha voluto in modo che gli corrisponda, ma se è stato fatto, come preferite, da madre natura o dal Padre Eterno.

La scienza dello spirito arriva con un’altra proposta: è un grosso errore affermare che il mio corpo è stato fatto dalla corrente ereditaria, o dai genitori. No, le cose non stanno così!, la scienza naturale è fondata su un errore di partenza e dice una non verità sulla realtà fondamentale del mio corpo.

Dall’ereditarietà vengono i mattoni – chiamateli i geni, se volete –, ma un mucchio informe di mattoni non fanno un corpo! Se voglio formarmi un corpo, io, che prima di nascere sono un puro spirito, è chiaro che trovo il materiale solo sulla Terra, ma sono io, prima di tutto, a decidere da quali genitori procurarmelo. Perché se questa volta voglio costruirmi un corpo afroamericano, decido di incarnarmi da due genitori che mi mettano a disposizione dei mattoncini neri. Allora scelgo liberamente il tipo di materiale che mi servirà.

Una seconda cosa ancora più importante è la strutturazione, la forma, il modo di mettere insieme la materia. Il corpo non è un cumulo informe, proprio come un mucchio di mattoni non è una casa, l’essenza della casa allora sono i pensieri dell’architetto che ha congegnato la forma, la grandezza, o il numero delle finestre, delle porte e dei piani.

Una prima fondamentale verità in questa umanità ignorante, sinceramente, profondamente ignorante sulla verità dell’uomo è che il mio corpo – e questo è un frammento enorme di libertà! – l’ho costruito io, l’ha fatto il mio spirito liberamente e sapientemente in base a ciò che mi sono già conquistato. Mi sono costruito un corpo che mi corrisponda, e corrisponde al mio spirito, alla mia anima in tutto e per tutto.

Questo perché il presupposto per amare, per sentirmi libero e a mio agio nella mia corporeità è di dire che non mi è stata imposta, il corpo che mi ritrovo è il precipitato della mia libertà del passato, in base alla mia evoluzione libera del passato. Piena di colpi positivi e anche di negativi, non fa nulla!, perché averne soltanto di positivi è noioso, l’umano è in evoluzione proprio perché prova, riprova, sbaglia e poi si corregge, e va tutto benissimo!

Il mio corpo è ciò che evidenzia la mia libertà assoluta del passato, e perché mi costruisco questa mia corporeità su misura, proprio come un abito fatto in tutto e per tutto per me? In base a ciò che mi sono proposto questa volta, per tutta una vita – e poi ne verranno altre, quali sviluppi ulteriori – mi sono costruito un corpo, per esempio, con una laringe tale da parlare bene la lingua italiana, perché mi sono riproposto certi cammini dell’anima, certe esperienze interiori che si possono fare soltanto parlando italiano! Un tedesco, per esempio, non può avere la più pallida idea di quello che l’animo vive in tutte le minime, infinite, sfumature parlando, conoscendo e vivendo il linguaggio italiano. Tutto questo fa parte dei misteri del corpo, perché devo strutturarlo in tutt’altro modo se mi riprometto di esprimermi in una lingua oppure in un’altra.

Io sono libero, quindi, perché ho a disposizione tutta l’evoluzione, non un pezzettino solo, e il concetto che si vive una vita sola è un concetto di non libertà. Come stanno le cose? Vengo scaraventato qui… non c’è stato nessun esercizio di libertà nel passato, poi muoio e patatrac: inferno o paradiso, ed è già finita la mia evoluzione! Che libertà è?, non c’è nessuna libertà!

Queste due specie di paraocchi – nascita e morte – sono i due paraocchi della libertà, ma come posso essere libero se ho soltanto un centesimo di evoluzione! Mi tocca dire peste e corna di chi mi ha fatto così come sono, perché questo non mi va e quest’altro non mi va, e poi con la morte è tutto finito!

La prima affermazione sulla libertà è che tutta l’evoluzione mi appartiene, è una potenzialità, un’offerta di cammini all’infinito, lasciati a me, però, quindi tutto un passato di secoli e di millenni me lo sono gestito io, nessuno è intervenuto a farlo al mio posto.

Abbiamo parlato di un ampliamento di coscienza da questa vita stretta stretta, una sola!, in cui ti dicono che devi darti una regolata perché sennò vai all’inferno… Ma che libertà è?, è ricatto morale dall’inizio fino alla fine, che funziona soltanto per animi bambini. Ora ampliamo la coscienza e ci diciamo: no, no, no, in quanto essere umano questo non mi sta bene! Corrisponde alla natura umana, così come io la vivo, che io ho il diritto – se la mia mente è capace di abbracciare tutta l’evoluzione, se il mio cuore sa desiderarla tutta –, ho l’aspirazione legittima a viverla tutta, l’evoluzione!

E la scienza dello spirito ti dice che è così, e finché non si arriva a vedere le cose in questo modo non si è ancora raggiunta la verità. Quindi diciamo che la nostra cultura, sia le scienze naturali sia la religione, vivono ancora in enormi non verità, in enormi illusioni rispetto alla verità, alla realtà oggettiva dell’essere umano e del suo divenire.

Sono libero quindi perché, in tutto il passato che ho alle spalle, non mi è stato fatto nulla dal di fuori, da fuori sono venuti soltanto spunti, sono venute occasioni, ostacoli, però ho sempre avuto la possibilità di gestirli io!, il mio passato è il modo in cui io ho interagito col mondo pieno di ostacoli e di tutto ciò che favorisce l’umano. Questa volta mi sono fatto una corporeità e mi trovo un animo, un karma, un dato destino, in relazione a ciò che mi sono riproposto di vivere.

Tutto questo l’ho deciso io liberamente e quindi anche l’andare verso il mio futuro ha senso soltanto se, questo mio futuro, ho la possibilità di forgiarlo a modo mio, come mi piace, come voglio! In un certo senso la legge fondamentale dell’evoluzione umana è il libero sperimentare, e che altro volete di più? Come si fa a imparare dalle cose, dagli avvenimenti se non si ha il coraggio sincero, libero, spassionato e spregiudicato di sperimentare sempre, provare questo, provare quest’altro e imparare, capire sempre meglio e aggiustare il tiro? Nessuno è nato imparato, neanche il Padreterno, la Bibbia dice che ha creato il mondo e soltanto dopo averlo creato l’ha contemplato e si è accorto che era bello. Certi teologi se lo chiedono: perché non l’ha saputo prima? Perché anche lui aveva da imparare! Deve essere molto noioso altrimenti, e quindi è una gran bella cosa, siamo tutti in cammino e l’amore consiste nel permettere all’altro di sperimentare il più possibile in modo che possa imparare, e gli sbagli non esistono.

Lo sbaglio è un abbaglio, una svista, un errore, è un errare: invece di camminare sulla via più diretta ho preso la strada sbagliata, allora ritorno indietro e poi vado avanti su quella giusta. Il tedesco ha un’altra matrice semantica per l’errore, la categoria per lo sbaglio è Fehler, significa che manca qualcosa: hai provato qualcosa, se è la cosa sbagliata vuol dire che ti manca la cosa giusta, tu rettifica il colpo e poi la trovi! Quindi l’errore, lo sbaglio, non è qualcosa di male, è che manca il positivo che sto cercando, e allora continuo a cercarlo.

Il linguaggio è molto più misericordioso con noi esseri umani, ci dice: guarda che manca. Poi i tedeschi mica sono sempre sinceri con il loro linguaggio, se hai commesso un Fehler ti danno una botta in testa! E invece manca soltanto la cosa giusta, il linguaggio lo dice: manca la verità, manca la bontà, manca l’amore. E allora metticeli!

Uno sbaglio esiste soltanto quando una persona ha fatto qualcosa e non ha imparato nulla. Se io imparo rettifico, faccio la cosa giusta e va tutto bene, quindi noi siamo abituati, perché ci fa comodo, a mettere tante cose in negativo per trovare la scusa per non restare continuamente belli attenti, svegli, belli in movimento. La scusa per non continuare in cammini di conoscenza è: tanto non lo capisco!, tanto non ci arrivo, è troppo difficile… Ma è una scusa per non far nulla.

Allora, se è vero che non mi è stato mai imposto nulla dal passato, questa è la mia libertà: ho gestito io tutti i fattori del mondo e per quanto mi riguarda ho preso posizione, ho scelto, ho tirato fuori le cose che mi servivano e ho mandato a ramengo quelle che non mi servivano.

In quanto al futuro abbiamo già detto una cosa importantissima, che la libertà consiste nel fatto che non mi può venire imposto nessun dovere dal di fuori, anzi ieri sera ho cercato di dimostrare in modo apodittico che un dovere non c’è, proprio non esiste: non c’è nulla che un essere umano deve, deve soltanto evitare ciò che è proibito. Evitare azioni proibite è un dovere? No, le azioni proibite la persona libera non le vuole fare!, e quindi non le fa. Allora dov’è il dovere?

Una morale generalizzata, una legge sociale ha il diritto di stabilire soltanto quali azioni sono proibite – che non sono un dovere, sono un non-dovere –, e c’è una bella differenza! Un dovere negativo sono le azioni che non sono permesse a nessuno, allora basta che uno non le voglia, non le faccia e resta libero.

Il da farsi, ciò che io ho da fare, allora qual è? Questa è la domanda dove tutto diventa concreto e molti di voi infatti mi diranno: sì, sì, hai disquisito, hai elucubrato, ma adesso scendi giù e dimmi cosa devo fare!, come mi comporto concretamente? Questa libertà di cui tu parli nella stratosfera portala giù! Che cosa significa concretamente essere liberi in situazioni difficili, in situazioni complesse, in scelte dove io eternamente non so come mi devo decidere?

Allora oggi cerchiamo di scendere un pochino giù, e la prima cosa da dire è che nessuno ti può dire ciò che tu hai da fare, non esiste. Nessun altro sta nella tua pelle, nessun altro è nella tua situazione di vita; in una data circostanza come ci si comporta? Lo può sapere soltanto chi c’è dentro! Che significa esserci dentro? Significa che io vivo questa situazione di vita e sento quali forze mi richiede.

Io magari vado dal padre spirituale per chiedergli come mi devo comportare, ma questo signorino qui, poveretto, con tutta la buona volontà non è nella mia situazione, non la vive, non sa quanta pressione questo frangente eserciti, non sa quali forze sono in me, di che cosa sono capace…, e mi deve dire dal di fuori come mi devo comportare? Ma è un assurdo! L’unica risposta pulita è di dire che, guarda, nella tua situazione di vita sei soltanto tu ad avere voce in capitolo, soltanto tu hai autorità per sapere che cosa ti va o non ti va di fare, di cosa sei capace, che cosa è troppo o è troppo poco per te. Come fa uno dal di fuori a sapere tutto questo?

Perché in fondo la domanda «che cosa devo fare?» è anche molto concreta, significa che cosa sono in grado di fare?, fin qui ce la faccio, da qui in poi non ce la faccio. Allora me lo deve dire l’altro?, ma è una cosa assurda!, lo devi sapere tu. E se non riesci in due giorni a sapere quale decisione prendere in una situazione complessa, prenditi spazio, datti tempo!

Non è detto che una decisione importante, complessa debba venir presa in tre giorni, se io così come sono ho bisogno di tre mesi… Allora prenditi tre mesi!, e se senti pressioni dal di fuori, qualcuno che vorrebbe che tu ti decidessi un po’ prima, dagli dei bei calci nel sedere! Ti irrobustirai le gambe e irrobustirai all’altro il sedere: una cosa bellissima! Noi viviamo di una morale così costrittiva dove ognuno si è messo in testa di sapere che cos’è il bene generalizzato e che cos’è il bene per l’altro, e oltretutto ognuno sa sempre che cos’è il bene per l’altro e non sa mai cos’è il bene per lui stesso!

Ieri ci siamo detti che è pura illusione che mi venga imposto un dovere dal di fuori, non c’è nulla che io devo, e nessuno ha il diritto assurdo di venirmi incontro dicendomi qualcosa che io devo, non esiste. Va esercitata questa libertà, questa liberazione negativa: nessuno ha il diritto di dirmelo! E bisogna avere la forza di rintuzzare questi tentativi. Qui diventa concreta la cosa, non mi dite che non son concreto: ti eserciti concretamente, prima di tutto ad accorgerti che questo capo di azienda, o questo papa, ha degli interessi nei tuoi confronti. Devo accorgermi se li ha, devo sapere che mi vuol manipolare, mi vuole gestire dal di fuori. Quindi prima di tutto esercitarsi a essere ben svegli nella coscienza e accorgersi di quanti, infiniti, tentativi ci sono di gestirmi.

Come seconda cosa, nella misura in cui me ne accorgo, coscientemente dire: no, no tu non ne hai il diritto. Questo va fatto, è molto concreto e lo facciamo molto poco perché non ci accorgiamo che il novanta per cento dei rapporti umani è reciproca gestione, e dovrebbe essere l’opposto: far di tutto per creare per l’altro che mi sta accanto spazi di libertà ampi il più possibile, una libertà assoluta non c’è, ma che si possa muovere a modo suo il più possibile!

Tra l’altro, quelle che adesso balbettando sto cercando di dire sono cose fondamentali. Se vi sembrano ideali, stratosferiche riferite a me stesso – al modo in cui io sono chiamato ad amare la libertà dell’altro, a creargli spazi –, basta che invertiamo la prospettiva e che mi chieda: che cosa vorrei io dall’altro? Come vorrei essere amato dall’altro? La prima cosa che vorrei è che non mi gestisca, che non mi dica lui cosa devo fare, perché voglio scoprirlo io, soltanto io posso sapere che cosa mi va di fare, mi corrisponde, mi porta avanti o che cosa in questo momento non c’entra nulla con me.

Perciò la massima dell’amore e della libertà è: fai all’altro, comportati con l’altro come vorresti che l’altro si comportasse con te. Io vorrei che l’altro facesse tutto quello che può per mettermi a disposizione tutti gli strumenti che mi consentono di essere il più libero e il più creativo possibile. Una persona che può sperimentare all’infinito è subito convincente perché è ciò che ognuno di noi, anche se non lo porta a coscienza, desidera sinceramente.

Proprio non esiste un dovere che mi venga imposto dal di fuori, quindi la sorgente del bene e del male è dentro di me, è quella che scevera ciò che è bene per me e ciò che è male per me. E il criterio in base al quale vengo a sapere sempre meglio, in chiave di sperimentazione, ciò che è bene per me e ciò che è bene per l’altro è la fantasia dell’amore, la fantasia morale individuale.

Questa fantasia morale, questa intuizione morale parte, agli inizi, maggiormente dal cuore, però questo cuore vuole chiedere alla mente, vuole la luce della mente perché lui può anche sgarrare. Nell’intuizione del cuore ci sono anche emozioni egoistiche, allora si tratta di farla dialogare con la testa. Per rispondere alla domanda «come mi comporto in questa situazione?», bisogna che il cuore parli con la testa e la testa parli col cuore, il cuore deve intridersi di luce di pensiero, che è fatta apposta per disaminare, per conoscere in modo più complesso e completo possibile il mio essere in questa situazione e la situazione altrui.

Il cuore è fatto per amare l’essere mio e ci siamo detti ieri che l’amore sommo di sé è l’amore all’altro. Io amo me stesso, vivo nella pienezza, mi evolvo in positivo al massimo quando amo l’altro, quindi l’amore dell’altro paradossalmente è il modo migliore, quello in assoluto più genuino di amare se stessi. Nell’amare l’altro, indirettamente, come una specie di dono gratuito, ricevo il migliore amore verso me stesso, perché amando l’altro cammino, nell’intento, nell’ingegnarmi per amare l’altro sempre meglio, e la mia mente si accende di intuiti sempre più profondi di quello che posso fare.

È proprio il desiderio di amare che mi rende sempre più inventivo, che rende la mia mente sempre più profonda nel capire i misteri del mondo e, nell’intento di amare, le mie forze di volontà aumentano sempre di più quindi io progredisco e mi realizzo al massimo. E quando funziona questo binomio di amare il prossimo tuo come te stesso – perché puoi amare te stesso soltanto amando l’altro –, l’esperienza della gioia, della pienezza, dell’autorealizzazione è la conferma dove la mente mi dice: sì, sì questa è la pista da continuare a seguire, qui vai bene, perché l’altro è contento.

Ma cosa vuol dire amare l’altro? Non lo si può amare direttamente, perché l’altro io non lo conosco! Adesso voglio essere un po’ inesorabile nel pensiero, e vi metto sotto il microscopio questa affermazione: «Io ti amo». Quando una persona mi dice così questa sua asserzione è un usurpare, un soverchiare, è un esercizio di potere assolutamente fuori posto! Perché dire «io ti amo» presuppone che io ti conosco, che io ti ho, per poterti amare ti ho. Ma come ti permetti tu di amarmi? Questo intento di amarmi è un tuo desiderio di gestirmi in assoluto, non hai il diritto di amarmi!

Questa inesorabilità è soltanto una provocazione al pensare, dire che ti amo è un modo fuorviante di dire le cose, quando una persona me lo dice a me viene voglia di darle un calcio nel sedere, perché è un’invasione su tutta la linea. Ma lasciami respirare, no?, come ti permetti? Intendi dire che io devo, devo, devo corrispondere a questo amore!

Allora se questo «io ti amo» è un terremoto che non mi lascia libero, qual è la dicitura corretta? Ieri dicevamo che le leggi vanno formulate in termini di divieti e che il modo di formulare è molto importante perché il linguaggio esprime la pulizia o la non pulizia di pensiero. Allora, visto che questa affermazione dell’altro che dice che mi ama è terrorismo puro, come facciamo a ripulirla? Quello che il cuore vorrebbe dire è: «io amo la tua libertà!». Ma allora tu adesso devi star zitto e ascoltare da me, sentire da me che cosa mi consente di essere più libero e che cosa invece mi rende meno libero.

Quindi in fondo la domanda sincera dell’amore non è di dire che ti amo, mi impongo sul tuo essere e tu, poveretto, non scappi! Se io invece dico che vorrei amare la tua libertà, allora la domanda dell’amore è che cosa vuoi da me? Questa è la domanda realistica dell’amore, qui la si cala nel concreto, perché l’affermazione che ti amo è auto godimento, si gode il proprio essere pieni di amore, si ama se stessi, cosa bellissima!, che però non ha nulla a che fare con l’amore dell’altro.

Io amo la tua libertà e voglio fare tutto quello di cui tu hai bisogno perché ti senta sempre più libero, e allora ti dico: cosa vuoi da me? Quando io faccio questa domanda all’altro, poi devo star zitto, devo ascoltare dall’altro che cosa vuole. E se mi dice: «Guarda, in questo momento sarei molto felice se tu sparissi…»? Adesso invertiamo la cosa: quante volte io desidererei che l’altro sparisse per un’oretta? Se lo riferisco a me la cosa è semplicissima, se lui fosse attento si renderebbe conto che in questo momento mi dà veramente fastidio e andrebbe nell’altra stanza, o anche trecento metri più in là, e tutto va bene!

In altre parole l’amore non è goduria animica, amore è attenzione all’altro per fare quello che lui, nella sua libertà, desidera da me. Se mi dice: «Guarda, io adesso avrei bisogno di centomila euro perché mi andrebbe bene di provare questa cosa, fare questo progetto, un muro nuovo, una aggiunta alla casa… Me li dai centomila euro?».

Io centomila euro non li ho, però forse nel giro di un mese, magari non tutti, e senza andare a rubarli… Allora la settimana dopo gli dico: «Ho fatto di tutto per arrivare a centomila, non ce l’ho fatta, però diecimila li ho, li vuoi?» Supponiamo che questo tale, che veramente si è dato da fare tutta la settimana per racimolare diecimila euro, adesso sia sincero – perché è possibile che si sia sinceri – e trovi la sua gioia, la sua autorealizzazione in questo frammento di amore, nell’aver fatto di tutto per mettergli a disposizione questa somma di denaro. Perché senza soldi non c’è libertà, siamo sinceri, in un’economia di denaro non c’è.

Allora, dopo che mi sono affannato a per trovarglieli, non mi importa nulla di come lui userà questi soldi, mi importa che siano una base perché lui possa provare a far questo e quest’altro, in modo da esercitare e esperire sempre di più la sua libertà, perché io sento la mia gioia nell’amare la libertà dell’altro. Sarebbe una cosa moralmente non giusta se l’altro rifiutasse. «Ma davvero! Ma me li dai davvero?» Sarei un farabutto se li rifiutassi, anche se mi è passata la voglia dei centomila o diecimila euro, non importa, l’importante è che me li pigli! Per dar gioia all’altro, altrimenti non prendo sul serio il suo amore.

Noi siamo abituati a restare sempre in noi stessi, quindi l’esercizio dell’amore è di mettersi nei panni dell’altro, e se davvero lui sinceramente ha fatto di tutto per trovare quei soldi io non ho il diritto di mortificarlo, di renderlo triste e li prendo, come poi li utilizzo sono affari miei, magari nel giro di tre mesi ritornano a lui duplicati, l’importante è che non se ne accorga. Ma questa gioia dell’amore non va mortificata, sarebbe moralmente una cosa molto grave.

È proprio qui che il nostro cuore si affina, in questo concreto mettersi nei panni dell’altro, e i panni più importanti dell’altro sono la sua libertà. Ognuno di noi vorrebbe essere il più libero possibile, quindi l’altro mi ama nella misura in cui è attento, mi ascolta e sente da me ciò di cui io avrei bisogno per sentirmi libero, e lo fa, nella misura del possibile. Amare significa sempre amare la libertà dell’altro, io non posso veramente amare l’altro perché non lo conosco, però sento da lui, percepisco da lui, di volta in volta – perché me lo comunica il suo modo di vivere –, ciò di cui avrebbe bisogno per sentirsi sempre più libero. E glielo metto a disposizione più che posso.

Sì però, se io adesso gli do questi diecimila euro e poi lui li spende tutti in sbornie…? Se so che beve soltanto cosa faccio, gli do i soldi o non glieli do? Caso mai dico: no, diecimila son troppi… Allora non gli do nulla? È un po’ il dilemma della mamma che vorrebbe a ogni costo evitare che il figlio si droghi. Costringere l’altro, in qualsiasi modo, è sempre moralmente non buono, ogni lesione di libertà è un atto di immoralità, è contro l’umano. Perché adesso questa mamma dice: se io non gli do soldi non può più comprarsi l’eroina, ma sono sicura che la situazione non diventi peggiore? La scelta dell’amore è tra la paura e la fiducia, questa è l’ultima scelta, io non posso gestire la libertà dell’altro, però se io, col mio agire, faccio in modo che l’altro non possa fare più nulla, neanche drogarsi, se questa è l’unica cosa che ancora lo tiene in vita rischio di mandarlo all’altro mondo. È meglio se si suicida?

Quando le cose diventano molto complesse e molto pericolose il cuore ti dice che l’ultima scelta è tra un atteggiamento fondamentale di fiducia nell’umano o la paura, e la paura ci porta sempre a ledere la libertà, questo è sempre disumano, è sempre immorale. Il Cristo di duemila anni fa, questo prototipo dell’umano, lo sa che Giuda sta per togliersi la vita, e se sa che lo fa con la cintola dei pantaloni non gli va a portar via la cintola, perché altrimenti prende una corda. Quindi che cosa dice? Giuda, vuoi toglierti la vita?, sei libero, provaci a togliertela. L’amore alla libertà allora cosa fa? Te ne do un’altra, e poi un’altra. Allora tu adesso dopo la morte impari, vedi a che cosa porta il suicidio – perché una persona è libera soltanto nella misura in cui impara dalle proprie esperienze, non dalle esperienze altrui –, adesso tiri le somme e l’amore che è infinito ti dona un’altra vita, e tu continui.

Così vinciamo la paura di fronte agli abissi della libertà, perché se noi abbiamo paura interveniamo e costringiamo l’altro, facciamo di tutto perché non si distrugga! È ancora peggio poi, perché se noi non martelliamo magari si toglie la vita, però almeno senza martellate. E non è detto che martellando le cose migliorino, perché se vuole suicidarsi lo fa lo stesso.

Questo terrorismo del «no, non devi, non devi!», lo vinciamo soltanto se diciamo che la Grazia divina, l’amore divino è così infinito che concede a ogni essere umano un’altra vita, e poi un’altra. Non si può essere liberi se si ha soltanto una vita a disposizione, allora: non ho fatto nulla liberamente nel passato e non posso fare nulla liberamente dopo la mia morte!

Amare la libertà dell’altro significa conquistarsi un arco di coscienza che dice che la libertà dell’uomo ha di fronte a sé non soltanto parecchie situazioni di vita da cui imparare, ma ha a disposizione diverse vite. Non sono infinite, però non è una sola! A questo punto conduci la tua vita come vuoi!, anche se questa volta la gestisci nel modo più micidiale, più negativo, non importa nulla. Perché tanto, dopo la morte, ti dovrai dire: ma sono stato proprio un farabutto!, e da farabutto mica ero felice, mica mi sono realizzato. E quando ritorni l’hai imparato.

Il Cristo viene chiamato nel Vangelo di Giovanni il Logos, la logica dell’umano in divenire verso il divino e logico vuol dire anzitutto convincente per il pensiero. Ora questo Logos – questa sapienza dell’amore, l’intuizione, la fantasia dell’amore – mette a disposizione dell’uomo diverse vite e gli dice: tu in questa vita sei libero di sperimentare tutto quello che vuoi! Anche se sperimenti tutto in negativo questa volta, poi impari, e le cose vanno avanti. Perché non deve essere permesso vivere tutta una vita nel suo insieme maggiormente in negativo? L’alternativa a una vita piena di egoismo, nell’insieme negativa, è di proibirgli di fare il male e imporgli per dovere il bene. Però il bene fatto per dovere non è un bene, non è tale se non è amato, e allora non è umano, è disumano.

La logica dell’amore allora dice: prova, prova, prova!., e dopo guarda cosa salta fuori. Ti sei ammazzato? Adesso dici: no, no è una gran brutta cosa, mi son tirato fuori dalle condizioni incarnatorie che sono le uniche che mi permettono di camminare!, ci voglio ritornare al più presto e la prossima volta non lo farò più. Per assurdo, se una persona una volta ci ha provato davvero, in base all’esperienza di quello che gli ha portato, all’amarezza, alla delusione nel vedere che è stata proprio la cosa peggiore che potesse fare, adesso impara e per tutte le vite successive non lo farà mai più. È una gran bella cosa, no?

Di fronte a qualsiasi cosa l’essere umano si metta in testa, la risposta dell’amore dice, pur di non ledere la libertà: provaci! Perché ogni esperienza tira fuori quello che dà e quello che non dà, quindi se il suicidio ti dà soltanto negatività, questa salterà fuori e ti convincerà che è solo negatività. Per tutta l’eternità poi eviterai di toglierti la vita, ma per convincimento tuo, perché hai fatto l’esperienza che non lo vuoi più, e allora sei libero.

Tant’è vero che non serve voler impedire a una persona di suicidarsi, più le persone intorno a lei terroristicamente vorrebbero che non lo facesse, tanto più lei lo vuole, per aver ragione, per affermare se stessa. Quindi la libertà dell’amore è questa lungimiranza che sa che l’essere umano può sperimentare, perché tanto una persona che liberamente sceglie di togliersi la vita non rende il suicidio una cosa buona, capisce meglio che è una cosa del tutto negativa che la porta indietro, la scaraventa fuori da ogni possibilità di evolversi ulteriormente in quella vita. Però adesso conosce questa negatività per esperienza propria e la vorrà evitare liberamente, non per imposizione.

Quindi vedete che ci troviamo a questa soglia, a questo salto della coscienza dove una morale, dicevamo ieri sera, fondata maggiormente sul dovere, sui comandamenti non ha più il diritto di esistere. A ben vedere anche i dieci comandamenti di Mosè sono dieci divieti, «non rubare» non è un’ingiunzione, è una proibizione; così «non uccidere» non è un comandamento che propone un dovere o qualcosa che si deve fare, è qualcosa da evitare. Quindi andiamo verso una morale della libertà dove l’individuo sa che solo lui può conoscere il da farsi. E non posso sapere prima di fare qualcosa che cosa ne verrà fuori. L’elemento specifico dell’umano è il coraggio, la fiducia dello sperimentare, del provare, con l’occhio attento, con la mente sveglia nel vedere cosa salta fuori!, per cui guardando le conseguenze del mio agire lo affino, lo rettifico, lo approfondisco e lo correggo. Ma in base al nostro libero sperimentare.

A questo punto sorge la domanda: sì, bellissimo tutto quello che tu dici, ma questo non mi indica ancora concretamente che come devo comportarmi in situazioni, per esempio, difficili, complesse. La domanda è semplice: che cosa faccio?

Il nostro compito non è quello di dire alla persona che cosa deve fare, però indirettamente c’è un modo migliore di favorire la libertà dell’altro, di amare la libertà dell’altro, ed è di offrirgli pensieri, di offrirgli frammenti di verità, cammini di coscienza. Questo perché il pensiero – se è pensiero – per sua natura lascia liberi. C’è quindi un elemento di scambio tra persona e persona che non è lesivo della libertà, anzi!, se sono veri, se i pensieri dell’altro mi convincono e li lascio liberamente entrare in me, ampliano la mia coscienza e ampliano gli spazi della mia libertà. Quindi il modo in assoluto di amare la libertà dell’altro è di fecondare, di arricchire il suo pensiero con elementi conoscitivi, che è l’opposto di volergli dire quello che ha da fare!, questo è affar suo e lo può sapere soltanto lui.

Però quello che ognuno di noi, che io voglio fare – per restare libero, per diventare sempre più libero – deve essere in armonia col mio essere, con l’essere di te che vivi con me e con l’umanità così com’è oggi. Un fare cioè mi libera nella misura in cui si colloca armonicamente nel contesto del mio essere, del nostro rapporto e nel contesto di tutta l’umanità così com’è in questo frammento dell’evoluzione. L’armonia, il bene di un’azione sta nel modo in cui corrisponde al mio essere attuale, al nostro modo di interagire e quindi favorisce il mio essere, il nostro rapporto, la comunità di persone con cui entro in relazione e favorisce tutta l’umanità.

Per sapere poi a quale punto di evoluzione si è e che cosa aiuta l’umanità oggi – che cosa l’umanità e ogni essere umano sta conquistandosi in questo momento, sapendolo o senza saperlo – bisogna che i pensieri e la conoscenza si possano ampliare. Il senso di questa scienza dello spirito di cui da tanti anni sto parlando è proprio questo, una proposta di ampliamento di pensieri, di prospettiva, che ci renda più liberi.

Mi occorre conoscere l’uomo, il mio essere in particolare, poi, che ci aggiunge tante specificazioni individuali, devo conoscere l’insieme dell’evoluzione, della natura e il momento attuale dell’evoluzione. Comprendere tutto questo significa crearsi sempre maggiori spazi di libertà, agendo in modo consono al mio e al tuo essere, perché favorire la libertà propria e altrui significa conoscere sempre meglio che cosa rende l’uomo oggi sempre più libero.

L’umanità in base alle scienze naturali degli ultimi secoli è diventata sapiente sul mondo materiale, sa tantissime cose in relazione a ciò che è fisico, cosa necessaria!, e adesso ci troviamo al punto in cui il modo di amare incipiente della religione tradizionale – che si appellava maggiormente al cuore, e che è bellissimo! –, entrando noi nell’età adulta non basta più. Tant’è vero che questa fede del cuore per tante persone non è più sufficiente, vogliono la conoscenza, la conoscenza che rende liberi, «voi conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi» è una frase del Vangelo di Giovanni. L’umanità di oggi cerca una conoscenza approfondita di tutto ciò che è dell’anima e dello spirito, in un modo analogo alla conoscenza che si è instaurata su ciò che è del mondo fisico.

Indico ora due direzioni fondamentali, le devo esprimere in forma di pensieri e il modo in cui poi li gestite sono affari vostri, quindi non mi dite che vi sto terrorizzando, vi propongo dei pensieri. E, se li capite, è nella natura dei pensieri di lasciarvi liberi, ognuno è libero di dire: no, è una pensata bacata. Oppure: si, è una pensata giusta.

«Che cosa posso fare, cosa faccio, qui e ora, per diventare io sempre più amante e perché l’altro sia sempre più libero?». Questa è la domanda da porsi però prima di tutto devi sapere che il tuo agire è buono soltanto se è fatto nella libertà e nell’amore. Come prima cosa allora esercitati a evitare tutto ciò che è negativo, questo esercizio lo può fare ognuno ma non serve a nulla partire sparati e dire: sì, ma io lo so ciò che è negativo, e già lo evito. Perché non è vero.

Che cosa è negativo? L’abbiamo già detto, negativo è agire per volontà indotta dal di fuori, questo lo devo sempre evitare, perché se io faccio qualcosa che mi dice un altro, di sicuro ledo il mio amore, non sono libero, non sono amante e distruggo la libertà mia e dell’altro. Quindi la prima regola di comportamento morale – io ve la esprimo in termini di pensiero, poi potete prendere posizione – è che ogni tentativo di agire per volontà altrui, seguire un ordine, un comandamento è immorale perché non è libero, non è fatto in base all’amore, è un lasciarsi gestire dal di fuori ed è oltretutto un permettere all’altro di ledere la libertà altrui.

Quindi tieni gli occhi ben aperti agli infiniti tentativi di gestirti dal di fuori, ai ricatti del potere che ti pongono problemi di coscienza. Ho il dovere di far questo e se non lo faccio ho i patemi d’animo? Tutti ricatti all’infinito!, altro che amore, altro che libertà. Via! Ogni gestione dal di fuori, ogni non libertà imposta dal di fuori va respinta.

E dal di dentro, che cosa faccio? Evita il negativo all’interno, che è di fare qualcosa controvoglia, non fare mai nulla controvoglia, piuttosto di farlo, lascialo! Perché se tu fai controvoglia distruggi la tua libertà, distruggi le forze di amore dentro di te e non puoi contribuire alla libertà e all’amore altrui. Quindi prima di fare qualcosa controvoglia aspetta, e poi aspetta, finché ti venga la voglia.

Una mamma potrebbe dire: «Sì però, il bambino ha fatto la cacca, io non ho voglia di pulirlo… ma adesso va pulito, no?». C’è un modo di pulire il bambino non controvoglia? Certo che c’è, e va esercitato, ed è di farsela venire, la voglia!, e allora va tutto bene. Beh, non ne avrei voglia più di tanto… ma non mi interessa se la voglia ce l’ho o no, me la faccio venire!, è ancora meglio se me la conquisto. E una voglia che prima non c’era da sé, non c’era spontaneamente, che io mi creo con amore è una voglia ancora più grande, e adesso me lo godo ancora di più questo bagnetto del bambino.

Sono cose concrete da esercitare, se noi non esercitiamo la libertà e l’amore a questi livelli concreti siete voi a restare nelle stratosfere, non io! E questa è la fantasia dell’amore, che diventa veramente fantasiosa e dice che la voglia non mi verrà mai se non me la faccio venire, però basta che lo voglia.

Ieri vi ho detto che ogni essere umano ha sempre la possibilità di volere liberamente ciò che deve, oppure non lo deve. Se è suo “dovere” – se è l’unica mamma, e se è l’unica che può pulire questo bambino, è davvero il suo dovere –, ha la possibilità di volerlo liberamente. Questa conversione interiore di volere liberamente ciò che dovrei altrimenti senza voglia, proprio questa è la conversione del cuore, l’esercizio della fantasia morale. Ognuno di noi può fare questo esercizio all’infinito, e ci rende liberi, ci rende pieni di voglia, pieni di amore. L’alternativa è essere costretta comunque a pulire il bambino, ma dicendo peste e corna, e non è meglio, poi passerò due o tre ore ancora più brutte!

L’amore insomma è realista, la fantasia dell’amore rende concreti, la risposta concreta alla domanda «cosa faccio?», la conosce soltanto l’amore. Perché l’amore dice: io ho la possibilità di amare, di volere liberamente con gioia ciò che in questo momento va fatto; certo che ci sono delle cose che vanno fatte, il problema è soltanto la possibilità di convertire il cuore in modo tale da volerle liberamente con gioia, perché vanno fatte.

Ieri sera una persona mi diceva della rabbia che prova nei confronti di un’altra persona e io le ho detto: beh, vai in tribunale se vuoi toglierti la rabbia. Però la decisione di intentare un processo è una decisione difficile, perché non sono sicuro… è una cosa che va fatta questo processo?

Adesso mettiamo che non si tratti di un processo ma di un… cesso, che va pulito, è una cosa che va fatta? Sì, allora lì sono sicuro che mi può venire la voglia! Perché i cessi puliti sono una cosa che dobbiamo a tutti quanti, quindi la fantasia dell’amore è questa forza interiore che dove non è sicura che una cosa va fatta, un processo per esempio, dice: beh, aspettiamo!, non so mica se porti a qualcosa di buono. Ho preso volutamente l’esempio dei cessi perché va bene con i processi, e perché è una cosa che veramente va fatta, allora il cuore dice che, se non c’è nessuno che ha voglia di pulirli, io lo faccio volentieri. E una persona che pulisce i cessi per amore, con gioia, con amore alla libertà degli altri – nessuno può essere libero senza cessi puliti e questo può essere un gesto sincerissimo di amore verso la libertà degli altri –, fa passi da gigante in avanti nelle forze dell’amore!, magari avessimo di queste persone.

Quindi la fantasia dell’amore è anche l’occhio aperto che mi dice che ci sono certe cose che vanno fatte, allora ho la possibilità di volerle liberamente se le posso fare io, perché vanno fatte, mentre certe altre cose non sono necessarie, e allora lì posso aspettare.

Cosa faccio? Prima di tutto esercitati a evitare ciò che è negativo, ciò che è agire per volontà altrui, per comandamenti, ordini, ricatti di coscienza ecc.; evita anche il negativo dentro di te che è la controvoglia, che è di nuovo un agire per dovere.

Se fai qualcosa per dovere è veleno per la tua anima, perché se veramente è un dovere, una cosa che va fatta, hai la possibilità di trasformarla in qualcosa che tu vuoi, liberamente, sinceramente, con gioia. Quindi fa’ di tutto per non farlo per dovere, lavora al tuo cuore in modo da trasformarlo in qualcosa che fai per libero volere, oppure non farlo. In fondo, se la mamma dice «non ho proprio voglia di pulire questo bambino, non mi viene» e non lo fa, può darsi che dopo un’ora arrivi il papà, e lo pulisce lui, buoni papà ce ne sono ancora nell’umanità.

Dopo aver evitato il negativo, adesso arriva il positivo: si tratta di attivare ciò che è positivo in me, e questo positivo, ne abbiamo già parlato in questi giorni, va esercitato! Nella compagine, in questa temperie di materialismo dove la coscienza umana vede, percepisce e vive soltanto ciò che è materiale, il positivo che va esercitato è questa realtà dello spirito, che è una realtà.

Io sono uno spirito!, io c’ero come spirito prima di nascere, mi sono costruito questo corpo a immagine di me e che mi corrisponde in tutto quello che vorrei, sono un’anima, sono un Io superiore, comunque vogliate chiamarlo, sono un io vero. Non sono un pezzetto di materia, io sono uno spirito! È questo che va esercitato, e siccome siamo all’inizio di questa presa di coscienza, occorre farlo ogni giorno.

Io sono, tu sei, tutti noi siamo spiriti creatori!, ho creato, costruito questo corpo, mi sono creato artisticamente, da genio della moralità, un progetto di vita, ho già previsto tutti gli eventi fondamentali. Ho anche deciso che a quarant’anni prenderò una malattia!, allora la voglio come momento privilegiato di crescita per tirar fuori da me forze che saltano fuori soltanto lottando per vincerla. Quindi il mio spirito, che sono io, ha deciso liberamente, pieno di amore, con gioia, anche questa, e ciò che noi chiamiamo anima è il modo di vivere conscio l’eco della malattia, di questo fare dello spirito dentro di lei.

Ora l’anima ha due modi fondamentali di porsi di fronte alle belle pensate del suo spirito: ha la possibilità di dirne peste e corna perché è pigra, oppure può dire: «una malattia, ma che bella cosa!, finalmente!, ho dovuto aspettare quarant’anni per averla, l’avrei anche voluta un pochino prima però non ero abbastanza evoluta per afferrarla…».

Il modo di pensare del mio spirito è che io ho voluto ammalarmi liberamente proprio con gioia, perché lottando per vincere questa malattia nella mia anima sorgeranno forze di amore, forze di volontà che altrimenti non avrei. Allora la libertà è nell’anima e, detto in un modo semplice, sta nel fatto che io nella mia coscienza ordinaria, nella mia anima, ho la possibilità sia di stramaledire quanto mi capita, sia di vederlo e di realizzarlo in positivo. Questa è la libertà.

Perché se io fossi costretto a dire che è una bella cosa e fossi costretto a farne il meglio allora non ci sarebbe la libertà. «Allora, se sono libero, lasciami dire improperi contro questa malattia!». E tu fallo, provaci, e se la vedi soltanto come qualcosa di negativo, la vivi in negativo, ti ritroverai, dopo, più povero di prima. Più povero di forze di volontà e di amore, e dirai: mannaggia!, no, non era una bella pensata quella di ribellarsi, sarebbe stato meglio se invece l’avessi vissuta in positivo.

E allora che facciamo? Una nuova malattia! Ci vuol niente a far ammalare il corpo, tenerlo sano è più difficile, ma ad ammalarlo non ci vuole nulla. In altre parole, lo spirito ha voluto questa malattia, l’anima ha poltrito, e che fa lo spirito? Ne cerca un’altra! Ma è una logica così semplice e convincente!

Un bambino si danneggia, la mamma ricorre a una misura di severità per amore, il bambino invece continua a far le bizze, che cosa deve fare la mamma? Rincarare la dose! Le catastrofi naturali sono un rincarare la dose per un’umanità che con le dosi minori non capisce nulla. Perché se noi capissimo, se noi imparassimo, le dosi piccole basterebbero, invece la conduzione divina viene costretta a far succedere un Fukushima.

Perché costringiamo la conduzione divina degli eventi umani a far succedere certe catastrofi? Perché con prove, con ostacoli minori noi poltriamo soltanto, allora l’unico modo per svegliarci un pochino, che l’amore ha senza ledere la nostra libertà, è quello di rincarare la dose. Ma questo ci costringerà? No, la libertà non si può costringere, però chi è attento, chi ha un minimo di buon senso dice: un momento, se siamo a questi livelli di interventi del divino, significa che abbiamo omesso il bene, che abbiamo perso colpi proprio a livelli straordinari… E allora diventa occasione per un ripensamento, per una riflessione: no, qui va cambiato qualcosa!

In Germania imperversa questa controversia sull’atomico, certe persone di destra dicono che non si può avere l’energia senza un minimo di rischio. Come se mandare all’altro mondo, o riempire di radioattività migliaia di persone fosse un resto di rischio che bisogna prendersi!, e allora il Baden-Württemberg è diventato verde. È una gran bella cosa! A due settimane dal disastro ci sono state le elezioni e i verdi hanno avuto più voti dei socialdemocratici, è una cosa straordinaria, ed è una reazione a Fukushima. La gente oggi dice: il nostro pensiero non può disattendere quello che la natura, o il divino, ci sta dicendo, sono messaggi enormi! Adesso per la Germania, con la Francia accanto che ha un sacco di impianti atomici, non sarà una cosa facile.

Allora cosa faccio? Anzitutto evitare il negativo, e poi l’esercitare il positivo è il convincimento della realtà dello spirito, con l’esercizio quotidiano, siccome viviamo nel materialismo ogni giorno. A questo serve la meditazione, per esempio: ogni volta rituffarsi, rientrare nella realtà dello spirito, viverci dentro, perché l’uomo materialista se la deve riconquistare per amore e per libertà. Lo spirito diventa reale e operante soltanto nella misura in cui di giorno in giorno, ogni giorno, mi riconnetto a lui e così diventa nella mia anima sempre di più una realtà.

Sta alla mia libertà rendere lo spirito creatore, che è l’ambito più alto della realtà, operante dentro la mia anima. Come faccio spazio io, nella mia anima, alla realtà dello spirito operante artisticamente, creativamente, sull’onda dell’amore? Faccio spazio pensandoci, pensandoci e pensandoci!, coltivando la scienza dello spirito, cercando una conoscenza, per esempio, di ciò che fanno gli Angeli, gli Arcangeli, faccio entrare nella mia anima la realtà dello spirito. Cerco una conoscenza di ciò che l’uomo vive dopo la morte, quando il corpo è sparito e l’essere umano è puro spirito; e se, nella mia anima, mi confronto con queste esperienze che si fanno dopo la morte, in essa diventa sempre più reale, sempre più amata la realtà dello spirito e vi entra sempre più gioia.

Lo spirito va conquistato per libertà e per amore da un essere umano che l’ha perso, e doveva perderlo, è una cosa buona che sia successo, perché se non avessimo perso la sua realtà non avremmo la possibilità di riconquistarla per libertà e per amore. Uno spirito che c’è da sempre è noioso, per l’uomo è spirito soltanto quello che si conquista liberamente, individualmente proprio perché lo ama, perché lo cerca. E se questo che c’è da fare è un da fare enorme, però la contropartita è che è il più bello che ci sia, quello che ci dà più gioia. Il modo migliore per amare la libertà dell’altro quindi è proporgli pensieri all’infinito, che lo lasciano libero, però lo fecondano dando al suo spirito la possibilità di ampliarsi sempre di più.

Grazie a tutti!, e ci vediamo la prossima volta.

Contenuti del Cd audio allegato:

Prima conferenza: La libertà mia

Tutta da costruire

Seconda conferenza: La libertà tua

Tutta da amare

Terza conferenza: Libertà e felicità

Vanno sempre insieme

Quarta conferenza: Libertà e dovere

Ama e fa’ ciò che vuoi

Quinta conferenza: La libertà dell’uomo creatore

Liberi non si è, si diventa

Letture correlate

Archiati Edizioni

Pietro Archiati

Creare e vivere una nuova vita

Guarire ogni giorno

Il pensiero via maestra alla felicità

Il mistero dell’amore

L’uomo e il male, un mistero di libertà

Nati per diventare liberi

Rudolf Steiner

Il coraggio della libertà nella vita sociale

Il pensiero nell’uomo e nel mondo

Introduzione alla scienza dello spirito

L’uomo tra potere e libertà

Tra destino e libertà

Finito di stampare nel mese di Luglio 2011

da e.bod sas, p.za Guardì, 15 – Milano