Cristianesimo e libertà - copertina fronte

Cristianesimo e libertÀ

La religione in cerca dell’uomo

Testo tedesco:

Christentum und Freihei.

Der Mensch auf dem Weg sich sellbstt

(Archiati Verlag e. K. Bad Liebenzell)

Traduzione di Gianni Vettori

Revisione di Pietro Archiati

www.liberaconoscenza.it

ISBN 3-937978-78-9

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Pietro Archiati

Cristianesimo
e libertà

La religione in cerca dell’Uomo

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Indice

Introduzione di Pietro Archiati

Cristianesimo e libertà

Perché si parla di Impulso-Cristo?

L’impresa faticosa di due millenni

Gesù di Nazareth – la religione dell’umanità impersonificata

Il peccato originale – tutt’altro che peccato

Il mistero del Golgota – redenzione della Terra e dell’uomo

Massime del cristianesimo – capisaldi dell’umanesimo

La Trinità cristiana – una trinità tutta nuova

A proposito di Pietro Archiati

Introduzione

Questo breve scritto contiene la prima parte di Dal cristianesimo al Cristo, da tempo esaurito. Ho rivisto il testo cercando di renderlo possibilmente accessibile a tutti, mentre la prima edizione si rivolgeva a lettori già in qualche modo a conoscenza della scienza dello spirito.

Il riferimento al cristianesimo tradizionale vuol mettere in risalto il fatto che i duemila anni che sono trascorsi non sono stati che un primo inizio. Spostando l’accento dal cristianesimo come fenomeno culturale umano al Cristo come archetipo spirituale dell’Uomo che vive in ogni uomo, si profila un tipo di “religione dell’Uomo” che ognuno può dire e fare sua.

Pietro Archiati

Cristianesimo e Libertà

Nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner il cristianesimo riveste un’importanza del tutto particolare. Esso viene considerato come sintesi di tutte le religioni, ma abbiamo anche il cristianesimo storico come una religione particolare accanto alle altre.

Ciò che tradizionalmente si intende per cristianesimo è la forma culturale assunta da ciò che, da duemila anni, si autodefinisce cristiano. Si tratta principalmente di pensieri e comportamenti umani, di istituzioni, chiese e confessioni umane, vale a dire di ciò che gli uomini hanno espresso nel loro rapporto con l’evento del Cristo avveratosi duemila anni fa.

La “religione cristiana” in quanto fenomeno culturale umano ha certamente sempre voluto rapportarsi all’entità spirituale stessa del Cristo. L’affermazione fondamentale della scienza dello spirito è però che il rapporto diretto con un mondo spirituale reale venne sempre meno nell’umanità e che la pratica religiosa umana in quanto tale fu messa sempre più in primo piano.

Ciò che il Cristo stesso è spiritualmente e ciò che compie nei mondi soprasensibili venne sempre più disatteso, e sempre più importante divenne ciò che operano la chiesa o gli uomini con le loro cerimonie e con il loro credo.

È perciò necessario distinguere tra cristianesimo quale operare del Cristo vivente e cristianesimo quale espressione culturale e religiosa degli uomini.

Solo una vera e propria scienza dello spirito è in grado di rivolgere lo sguardo in modo diretto e rinnovato all’entità sovrasensibile del Cristo in quanto tale e al suo operare nell’umanità come all’elemento essenziale del cristianesimo. Si palesano qui aspetti del suo agire negli ultimi duemila anni e nel nostro tempo, di cui gli uomini nulla potrebbero sapere senza un’indagine vera e propria dei mondi spirituali.

Rudolf Steiner così si esprime al riguardo:

La scienza dello spirito ha oggi da prestare diversi servizi all’umanità. Un servizio importante sarà quello religioso. Non si tratterà di fondare una nuova religione. Con l’evento mediante il quale un Essere divino è passato attraverso il destino umano di nascita e morte, la Terra ha ricevuto

il suo significato, così che questo evento non potrà mai venir superato. Dopo il cristianesimo – ciò è del tutto evidente per chi conosca le fondamenta del cristianesimo – non può più venir fondata nessuna nuova religione. Il cristianesimo non verrebbe giustamente compreso se si volesse credere che potrebbe venir fondata una nuova religione. Ma in quanto l’umanità stessa procede sempre più nella conoscenza del soprasensibile, il mistero del Golgota e quindi l’entità del Cristo vengono compresi sempre più profondamente. Proprio la scienza dello spirito vorrebbe dare a questa comprensione quel contributo che nel presente forse essa sola può dare (O.O. 211, conferenza del 13 aprile 1922).

Dove il cristianesimo era dapprima una religione accanto ad altre non poteva ancora trovare la sua vera fisionomia. Il cristianesimo, se rettamente compreso, è per eccellenza la religione dell’umano che vive potenzialmente in tutti gli uomini.

L’essere del Cristo è l’incarnazione dell’ideale dell’umanità. Il suo operare anticipa tutti i futuri gradini dello sviluppo dell’uomo sulla Terra. In tal senso l’essenza del cristianesimo è il Cristo stesso nel suo essere e nel suo operare. Questa entità cosmico-divina, quale entità centrale del sistema solare e quale essere che racchiude in sé tutte le forze della conoscenza e dell’amore umani è, secondo la scienza dello spirito, entrato nella Terra, per trasformarla da cosmo di saggezza in cosmo di amore. Ciò che il Cristo è e rende possibile ad ogni uomo mediante il suo operare: questo è l’essenza del cristianesimo.

Perché si parla di Impulso-Cristo?

Se noi volgiamo il nostro sguardo all’entità del Cristo stesso possiamo porre la domanda: chi è il Cristo? Rudolf Steiner parla spesso dell’azione del Cristo come dell’impulso-Cristo. Molti lo trovano strano e si chiedono: perché questo connotato impersonale? Con l’espressione impulso si vuol dire che è impossibile comprendere l’evento del Cristo se ci immaginiamo che l’entità del Cristo agisca semplicemente in modo umano-personale. A tale proposito Rudolf Steiner così si esprime nella conferenza del 17 aprile 1912 (O.O. 143):

Ma il cristianesimo non guarda al Cristo come ad una personalità, come al fondatore di un sistema religioso astratto. Nel nostro tempo, a seguito delle esigenze proprie della nostra epoca, un fondatore di religioni creerebbe soltanto dissidi. Non da una personalità umana proviene l’iniziazione cristiana, bensì da un evento, da un’impersonale azione compiuta dagli Dei, da un fatto storico che si è svolto davanti agli occhi degli uomini.

In tal senso Rudolf Steiner chiama spesso il mistero del Golgota una «faccenda degli Dei»: un evento cosmico verificatosi nel mondo delle Gerarchie angeliche, di cui anche gli uomini poterono essere spettatori, poiché esso aveva anche il suo lato storico-umano.

Abbiamo così a che fare con un impulso, vale a dire con un evento sia di natura sia umano di vasta portata, con una modalità d’azione che rappresenta il penetrare di forze cosmiche nell’intera realtà della Terra. Il mistero del Golgota è un fatto mistico, nel senso di un invisibile ma reale evento di natura. La portata e la natura dell’azione di una personalità umana all’attuale gradino di sviluppo è qualcosa d’infinitamente più limitato rispetto all’azione cosmico-terrena dell’evento che si verificò duemila anni fa.

Se noi afferriamo giustamente questo insieme di forze, questo impulso, possiamo anche meglio comprendere la differenza principale che sussiste tra il cristianesimo così inteso e tutte le religioni precristiane.

Queste ultime erano tutte religioni del Dio Padre. I fondatori di religioni erano personalità umane, anche se altamente sviluppate. In ogni religione si esprimeva un modo particolare di come gli uomini hanno cercato il “ricollegamento” con il mondo spirituale; (Religio, dal latino religare, significa ricongiunzione). Nella stessa conferenza Rudolf Steiner afferma:

La differenza fondamentale tra il cristianesimo e le altre religioni è questa: il compito che ha nel mondo il principio di iniziazione che conduce al Cristo è diverso da quello delle culture che sono emerse da altri principi religiosi.

Il compito che il principio di iniziazione cristiana ha nella missione del mondo proveniva da un fatto, da un evento, non da una personalità. ...Basta prendere in considerazione un singolo evento... e, benché esteriormente, si sarà allora caratterizzato il punto di partenza del cristianesimo esoterico, dell’iniziazione cristiana: si tratta della morte sperimentata grazie all’unione del Cristo con Gesù di Nazareth. L’evento di quella morte, che noi chiamiamo mistero del Golgota, è ciò che dovrebbe venir compreso a partire dal principio dell’iniziazione cristiana.

Le religioni precristiane – le religioni nel vero senso della parola – non erano ovviamente solo opera umana. Era la divinità a condurre l’umanità attraverso questi fondatori umani di religioni. Erano ispirazioni, impulsi divini, che vennero dati in modo diverso a seconda del popolo o del periodo di cultura. La modalità d’azione del divino era però ovunque quella del Dio Padre. Essenziale per questo operare è il fatto che anche nell’uomo avviene secondo leggi di natura – come azione del Padre divino – perché ancora non sopraggiunge la libertà dell’uomo.

Anche dove si parla di una Trinità, essa viene intesa e vissuta come una triplice qualità del Dio Padre. Così per esempio nell’Induismo, la Trinità divina di Brahma (il creatore), Vishnu (il conservatore) e Shiva (il distruttore), vista cristicamente, è una Trinità dell’operare del Padre. L’onnipotenza divina crea, conserva e distrugge tutte le cose. In questa triplice onnipotenza di Dio è inserito anche l’uomo.

Del Dio Figlio si parlava solo nei misteri come di colui che in futuro sarebbe venuto a «redimere» l’umanità.

Ciò significa che la vera opera di «redenzione» non veniva attribuita al Dio Padre. L’operare del Padre veniva vissuto unicamente come grazia, come conduzione dal di fuori, intesa nel senso di un sostrato di leggi di natura da cui l’uomo è retto e a cui sottostà. L’uomo rimetteva tutto alla grazia divina, si attendeva tutto da lei. L’operare divino veniva inteso secondo il modo proprio di operare della natura.

Ciò che attraverso l’ingresso del Figlio divino nella Terra si presenta come elemento del tutto nuovo – che vale come vangelo (ευαγγελιον) cioè come «buona novella che giunge dal mondo delle gerarchie angeliche» – è la possibilità della libertà dell’uomo, quale compimento dell’operare divino.

Questo è qualcosa del tutto nuovo nell’evoluzione. La religione prima di Cristo era sempre stata intesa come un ritorno alla casa del Padre divino, un ritorno ai primordi, al paradiso perduto. L’entità del Cristo rende possibile la sfida inversa, cioè rivolta al futuro: quella di trasformare il mondo del Padre attraverso l’esercizio della libertà umana. Questa «inversione» assoluta di ciò che è necessità di natura propria del Padre mediante l’impulso della libertà che porta il Figlio, era sconosciuta alle religioni precristiane. E nemmeno potevano conoscerla, poiché l’entità del Cristo non era ancora entrata definitivamente nella Terra.

Nella conferenza dell’11 settembre 1924 (O.O. 346) Rudolf Steiner dice:

Se si parlasse solo di Dio Padre, si sarebbe allora giustificati... a parlare ovunque dell’operare della natura, che è al contempo l’operare dello Spirito, poiché negli eventi di natura sono contenute ovunque le azioni dello Spirito. La nostra scienza

naturalistica, così come è sorta negli ultimi tempi e come opera a tutt’oggi, è soltanto una scienza unilaterale del Padre. A questa deve aggiungersi la scienza del Figlio, del Cristo, la scienza che indaga il modo in cui l’uomo afferra se stesso, il modo in cui riceve un impulso, che può accogliere unicamente mediante l’anima e che non può provenire dalle forze dell’ereditarietà. Che l’uomo faccia questa esperienza non ha nulla a che fare con alcuna legge di natura, con qualsiasi forza e operatività vincolante. Nel senso degli antichi misteri, abbiamo così due regni: il regno di natura, ovvero il regno del Padre, e il regno dello Spirito; e dal regno di natura l’uomo viene inserito nel regno dello Spirito mediante il Figlio, mediante il Cristo...

Tutta la problematica che si connette all’eucaristia origina dal fatto che ci si dice: come va compreso quanto si compie nella transustanziazione così da poterlo congiungere con l’operare del Padre e con l’operare dello Spirito nell’evoluzione e nelle leggi di natura? Non è della questione

dei miracoli che qui si tratta, bensì di quella del sacramentalismo, la quale indica qualcosa del tutto diverso che non la banale questione dei miracoli... Si tratta del fatto che in effetti nel mondo deve venir distinto l’ordine del Padre da quello dello Spirito; e nel mezzo sta il Figlio, che all’interno del mondo umano innalza il regno di natura al regno dello Spirito

L’impresa faticosa di due millenni

Il cristianesimo tradizionale è una lotta interiore durata già due millenni per capire il mistero della «svolta» dell’evoluzione. Il Figlio divino è venuto per rendere possibile ad ogni uomo lo «Spirito Santo» – lo spirito salutare – della libertà, per inaugurare l’incessante trasformazione di ogni necessità di natura in libertà umana. Questo annuncio è così «incredibile» che è stato a tutta prima difficile poterlo comprendere a fondo. Sorse così l’esortazione a «credere» semplicemente anche a ciò che non si può capire. Come si può però semplicemente «credere» a ciò che può essere compiuto solo nella libertà? A che cosa venne allora creduto? Ad un operare del Cristo che venne in fondo nuovamente inteso come un operare del Padre! Eppure vi era qua e là, seppur incipientemente, il sentore che con l’operare del Figlio di Dio era da intendersi l’inversione dell’operare del Padre, mediante la chiamata alla libertà rivolta a ogni uomo.

La completa realizzazione della libertà – la redenzione e spiritualizzazione del mondo del Padre, delle pietre, delle piante, degli animali – occuperà l’intera seconda metà dell’evoluzione, finché la Terra sarà tutta trasformata in una «Terra nuova». Noi siamo veramente – a tutt’oggi – ancora solo all’inizio...

La svolta che il Cristo a partire dal mistero del Golgota rende possibile ad ogni uomo, l’uomo la può compiere dentro di sé unicamente se prima la afferra sempre più chiaramente col pensare. Ciò perché si tratta di afferrare la libertà, e la libertà presuppone un pensare autonomo.

A sua volta il Cristo non poteva presupporre che queste forze pensanti ci fossero già nell’umanità, giacchè venne proprio per portarle.

L’essenza del cristianesimo trascorso consiste allora in ciò che il Cristo ha operato nelle profondità degli uomini, per far sì che le forze del pensiero potessero svilupparsi sempre più. Soltanto nel nostro tempo gli uomini iniziano a comprendere chiaramente cosa significhi che l’evoluzione governata dal Padre va invertita mediante l’esercizio della libertà umana. Grazie all’evento del Cristo e al suo continuo operare, si sono adempiute ormai tutte le condizioni che permettono agli uomini di trasformare ogni necessità di natura nell’esperienza individuale di una nuova creazione spirituale.

La scienza dello spirito di Rudolf Steiner rappresenta l’inizio di un cristianesimo della conoscenza, che diventa sempre più chiara e profonda, e che diventa vita. E’ una conoscenza che non abolisce la fede, ma al contrario la approfondisce e la porta a compimento.

Se ora consideriamo più da vicino l’evento stesso del Cristo, allora dobbiamo di nuovo distinguere chiaramente tra l’uomo Gesù di Nazareth, quale portatore del Cristo, e l’Essere divino del Cristo, quale Figlio cosmico del Padre dei Cieli.

Gesù di Nazareth –
la religione dell’umanità impersonificata

Gesù di Nazareth fu quell’individualità umana che raccolse in sé tutte le esperienze religiose dell’umanità. Fu l’individualità di Zarathustra – stando a Rudolf Steiner – che nel dodicesimo anno si congiunse con la corrente del Buddha, di cui parla il Vangelo di Luca.

Nell’umanità prima di Cristo abbiamo essen-zialmente queste due correnti religiose: la corrente di Zarathustra e quella del Buddha.

La corrente di Zarathustra contiene in sé e coltiva le forze dell’albero della conoscenza, vale a dire dell’esperienza terrena dell’umanità, quella del peccato originale e delle ripetute vite sulla Terra. La corrente del Buddha è quella dell’albero della vita, è l’anima dell’umanità rimasta nel mondo spirituale, divino-paradisiaca e innocente, quella dell’Io superiore di ogni uomo.

Quest’anima candida dell’umanità si incarna per la prima volta nel Gesù di cui parla il vangelo di Luca. Con questo Gesù si congiunge spiritualmente il Buddha. L’albero della vita e l’albero della conoscenza vengono nuovamente a ricongiungersi sulla Terra, cosí come lo erano nel Paradiso. Rudolf Steiner così si esprime nella conferenza del 19 settembre 1909 (O.O. 114, Vangelo di Luca)

Nel Gesù di Nazareth vediamo così crescere un’individualità che porta in sé l’Io di Zarathustra, irradiato e spiritualizzato dal Nirmanakaya (corpo di saggezza) ringiovanito del Buddha.

Vediamo in tal modo vivere nell’anima di Gesù di Nazareth il confluire di buddhismo e zarathustrismo. E poiché anche il Giuseppe della linea natanica morì relativamente presto, il bambino-Zarathustra in realtà è un orfano; egli si sente orfano, ciò che egli è non lo è secondo la sua discendenza corporea. Secondo lo spirito egli è lo Zarathustra rinato. Secondo la discendenza corporea suo padre è il Giuseppe della linea natanica, e per l’apparenza esteriore il mondo lo dovette ritenere tale. La descrizione di Luca è precisa e le sue parole vanno prese alla lettera: ‹... e lo si ritenne un figlio di Giuseppe› (Luca 3, 23).

Zarathustra aveva a suo tempo sacrificato il suo corpo eterico a Mosè, per inaugurare la corrente culturale del giudaismo. Il suo corpo astrale lo aveva conferito a Ermete per fondare la cultura egizia. Tutti questi impulsi parziali sfociarono poi nel sacrificio del suo Io, per far posto all’entità stessa del Cristo.

In questa sede è possibile solo sintetizzare quanto Rudolf Steiner ha espresso nei cicli di conferenze sui vangeli di Matteo e di Luca (O.O. 123, Vangelo di Matteo) riguardo ai due Bambini Gesù. Quando questi due poi, al compimento del dodicesimo anno di età, diventano uno, abbiamo nel Gesù di Nazareth tutto quanto l’umanità attraverso i suoi percorsi religiosi porta incontro al divino come anelito di redenzione. Questo profondo cambiamento nel Gesú dodicenne viene indicato là dove il vangelo di Luca (2, 48) dice che i genitori furono «spaventati», «costernati» nel ritrovare nel tempio un bambino tutto diverso, ora in grado di ammaestrare gli scribi e i farisei.

Nelle conferenze su Il quinto Vangelo (O.O. 148) Rudolf Steiner descrive in quale modo Gesù di Nazareth, tra i dodici e i trent’anni, ripercorra le esperienze del giudaismo, del paganesimo e dell’essenismo.

Lo stato di prostrazione dell’umanità a seguito della «caduta» diventa in lui dolore indicibile che si trasforma nella più grande forza di amore e di sacrificio. Questo è il modo concreto in cui tutte le correnti religiose sfociano nell’evento del Cristo. Gesù di Nazareth è come l’esperienza umana del peccato originale divenuta persona, che invoca la redenzione per tutta l’umanità.

Il portatore del Cristo, Gesù di Nazareth, rappresenta noi tutti, poiché in lui confluisce tutto ciò che, come una poderosa invocazione di redenzione, viene portato incontro alla divinità.

Per l’entità del Cristo, per l’Essere pieno di amore, fu così possibile venire incontro a questo calice umano, e riempirlo in modo tale, che per tre anni l’impulso del Cristo poté compiere, attraverso la cruna dell’ago della corporeità di Gesù di Nazareth, il fatto storico e spirituale del mistero del Golgota e compenetrare l’intera corporeità della Terra. Al Battesimo nel Giordano il Cristo si unì con Gesù di Nazareth.

Il peccato originale – tutt’altro che «peccato»

La discesa nella materia, la caduta dentro al mondo della frammentazione degli esseri, fu necessaria. La sempre più sostanziale identificazione con la materia fu la premessa per una crescente individualizzazione dell’essere umano. Nella scolastica si dice: materia principium individuationis, la materia è il principio d’individualizzazione. Presentare il peccato originale come un «peccato», come un male morale, è un fraintenderlo, in base a una falsa moralizzazione.

Poiché con ciò verrebbe inteso che meglio sarebbe stato se il peccato originale non fosse avvenuto. Ma così verrebbe annullata l’intera evoluzione!

Il «peccato originale» è invece la premessa imprescindibile dell’autonomia individuale. Solo attraverso il cosiddetto peccato originale sorge la possibilità della conoscenza individuale del bene e del male, e soltanto come conseguenza di questa anche la capacità di fare il bene e il male.

Si deve quindi dire: il peccato originale non è né benemale, bensì la condizione necessaria per la possibilità di entrambi. La soppressione del peccato originale equivarrebbe al contempo all’annullamento della libertà. Le mitologie di tutte le culture parlano di questo mistero dello smembramento, del frazionamento dell’umanità mediante il congiungersi con la materia. Il corpo di Osiride, come quello di Dioniso, viene frammentato, ed ogni individualità odierna è come un atomo dell’umanità primigenia che costituiva un’unità sola.

La prima metà dell’evoluzione – la discesa – aveva allora lo scopo di generare l’egoismo della separazione, ovvero l’individualizzazione. La seconda metà – la risalita, la redenzione – consiste nel fatto che, attraverso la forza dell’amore, avviene un rimembramento di tutti gli uomini gli uni dentro gli altri, senza però che l’individualità vada perduta, ma facendo in modo che trovi il suo compimento ultimo. Mediante questo rimembramento viene edificato il «corpo mistico del Cristo» di cui ogni essere umano è in realtà un membro vivente. In ciò consiste la redenzione dell’umanità. Per rendere possibile tutto ciò il Cristo è venuto sulla Terra.

L’essenza del peccato originale viene caratterizzata da Rudolf Steiner nella conferenza del 16 Ottobre 1918 Come trovo il Cristo? (O.O. 182) in questo modo: nel corso dell’evoluzione l’anima dell’uomo si era imparentata con il corpo più di quanto non fosse bene per l’essere umano. Ciò significa che la materia agiva sull’uomo con sempre più forza, con sempre più cogenza. Il peccato originale consistette nel fatto che l’uomo, in quanto uomo caduto, viveva una spiritualità che venne influenzata in modo sempre più esclusivo dalla forza gravitazionale della natura corporea. Nel suo pensare e sentire, nei suoi impulsi volitivi, l’uomo divenne sempre più dipendente dalla corporeità, ad iniziare dalle percezioni dei sensi che sono condizionate dal corpo.

L’essenza della redenzione viene di conseguenza vista come segue: il Cristo, attraverso tutto il suo operare nell’uomo e nella Terra, rende l’anima dell’uomo sempre più affine allo spirito.

Egli trasforma tutte le forze della natura così da togliervi quanto in esse vi è di cogente, di determinante rispetto all’uomo. L’uomo è in grado, nella misura in cui aderisce interiormente al Cristo, di accogliere in sé queste forze che vincono i determinismi, gli istinti della natura. Egli non è obbligato a farlo, ma lo può fare in tutta libertà. In ciò consiste l’essenza della libertà: superare per forza propria – e grazie all’aiuto del Cristo che rende ciò possibile – la necessità di natura.

Nel pensare, per esempio, questo avviene così, che attraverso l’elemento creante del pensare, le forze immanenti al fisiologico-vivente vengono arginate e al loro posto subentra un pensare libero (ciò viene descritto ne La filosofia della libertà di Rudolf Steiner, all’inizio del nono capitolo). Se l’uomo attua veramente la sua libertà, se trova il coraggio morale di «credere» fermamente che è possibile tener testa alle necessità di natura che si sommano nella sua corporeità, allora si stupirà sempre di nuovo che il superamento riesca, che sia veramente possibile: «L’inattingibile, qui diventa conseguimento» (leggiamo alla fine del Faust di Goethe). L’uomo può fare veramente l’esperienza che, grazie al sacrificio di amore del Cristo, la sua anima diventa di tanto più affine allo spirito per quanto essa dovette, attraverso il peccato originale, diventare affine al corpo.

Fare l’esperienza dell’affinità dell’anima con lo spirito vuol dire fare l’esperienza della libertà. L’elemento necessario di natura viene trasformato e reso passibile di liberazione. Questo avviene dapprima nel pensare, ma attraverso il pensare si riversa poi nella volontà e nelle azioni. Così l’uomo esperisce nella sua vita la redenzione mediante il Cristo.

Il mistero del Golgota –
redenzione della Terra e dell’uomo

Che cosa viene inteso con il mistero del Golgota stesso? Che cosa è realmente avvenuto mediante la morte e la risurrezione del Cristo? Possiamo distinguere anche qui una duplice realtà: vi è un mistero del sangue e un mistero del corpo. Al momento della morte in croce, quando il sangue sgorgò dalle ferite del Redentore e la Terra se ne imbevve, venne superato quanto di egoistico era presente nel sangue dell’uomo.

L’egoismo venne a tal punto purificato dalla forza dell’amore del Cristo, che ne seguì un’eterizzazione del sangue. Attorno alla Terra si formò una luminosa aura intrisa di forze di amore.

In questa poderosa aura eterica di forze di amore promananti dall’entità del Cristo vive – dalla svolta dei tempi in poi – ogni uomo, che ne sia o meno consapevole.

L’uomo torna sempre di nuovo sulla Terra per imparare a vivere sempre più coscientemente in questa aura di forze di amore. Possiamo intendere il mistero del Golgota come il «fenomeno primigenio» (das Urphänomen) dell’ecologia, nel senso attribuito da Goethe a tale parola. Attraverso la sua morte e la sua risurrezione, l’Essere dell’Amore ci mostra come l’uomo dovrebbe comportarsi con la Terra e con tutti gli esseri che la abitano.

Cristo dice della Terra: «questo è il mio corpo». Prende così la decisione amorevole di compenetrare e redimere tutte le forze della Terra. Se l’uomo inizierà a percepire l’aura eterica della Terra, in quest’aura percepirà anche il Cristo nella sua figura eterica, quale «Signore del karma», cioè quale Signore di tutti gli intrecci di amore che legano gli uomini gli uni agli altri. A ciò si riferisce Rudolf Steiner nella conferenza del 2 dicembre 1911 (O.O. 130), dove afferma che gli uomini inizieranno a contemplare come in una visione spirituale il pareggio karmico delle loro azioni:

Ciò che è stato detto riguardo ad una specie di percezione del karma, si manifesterà inoltre nell’umanità avvenire in modo tale che in questa visione si presenterà direttamente qua e là la figura eterica del Cristo, il Cristo reale, così come vive sul piano astrale, non quindi incarnato nel corpo fi-

sico, ma come si presenta sulla Terra, visibile alle capacità ridestate a nuovo degli uomini. Apparirà in qualità di consigliere, di protettore per coloro che necessitano di venir consigliati, aiutati o consolati nella solitudine della loro vita. Verranno tempi in cui gli uomini, per una cosa o per l’altra, si sentiranno afflitti, addolorati. Verranno sempre più tempi in cui l’aiuto di un uomo per un suo simile avrà poco significato e

valore, poiché la forza dell’individualità, la vita individuale dell’uomo, si accrescerà sempre più, e l’uomo potrà sempre meno operare nell’animo dell’altro per aiutarlo, come invece avveniva in modo diretto nei tempi antichi.

Proprio perciò apparirà qua e là in figura eterica il grande Consigliere...

Il Cristo appare sulla Terra nella sua veste di giudice, come se di fronte al Cristo sofferente del Golgota stesse ora il Cristo trionfante, il signore del karma, già presagito da coloro che avevano dipinto il Cristo del giudizio universale...

Ecco in verità quel che inizia col ventesimo secolo e che proseguirà fino alla fine dell’esistenza della Terra. Il Giudizio, ovvero l’ordinamento del karma (da parte del Cristo) inizia col nostro ventesimo secolo.

Accanto a questo mistero del sangue avveratosi al momento della morte del Cristo, con la sepoltura e la resurrezione s’instaura il mistero del corpo. La materia minerale del corpo del Cristo viene accolta con un terremoto in una fenditura della Terra. La Terra «sussulta» realmente di un fremito di gioia mentre riceve la comunione di quel corpo, come pegno della sua redenzione.

Il concetto scientifico-spirituale del mistero del Golgota è quello di una perfetta corrispondenza di azione morale ed evento naturale. Ordine morale e ordine naturale ridiventano una cosa sola.

L’attività spirituale dell’essere del Cristo, l’operare del suo amore, costituisce il fatto morale per eccellenza ed è contemporaneamente un creare e un trasformare tutta la natura.

Nella prima metà dell’evoluzione questi due regni si sono a poco a poco separati l’uno dall’altro per rendere possibile la libertà dell’uomo. L’uomo si sente oggi libero proprio grazie al fatto che ciò che è morale o immorale in lui non edifica o distrugge direttamente e contemporaneamente la natura («i pensieri non pagano dazio», si dice).

L’anelito di tutta la Natura è però di venir riscattata dall’esilio della forma fissa, di venir di nuovo nel suo corpo polverizzata e resa caos primordiale, così da fungere da substrato per la creazione di nuovi mondi.

Per amore dell’uomo una miriade di esseri naturali hanno compiuto il sacrificio di farsi incantare nella forma fissa. Lo hanno fatto per rendere possibile all’uomo la percezione sensibile, premessa del suo pensare. La somma del percepibile nel mondo è la somma del pensabile: una grazia senza pari, questo infinito esercizio della libertà che si svolge nel pensare!

Il vero corpo fisico delle cose è però una configurazione di forze sovrasensibili. La materia che noi vediamo e che rende visibile ogni corpo è soltanto un ripieno di materia minerale.

Se noi abbiamo un campo magnetico, anch’esso non è a tutta prima visibile e vien reso tale, per esempio, con della limatura di ferro. La struttura sovrasensibile della forma del corpo umano è quel che Rudolf Steiner con un’espressione tecnica chiama il fantoma del corpo fisico. Questo fantoma risorse dalla tomba rimasta vuota, e le sue forze formanti vennero ripristinate per opera del Cristo. Attraverso le leggi proprie del ripieno materiale queste forze formative e strutturanti di natura sovrasensibile si erano sempre più degenerate. Se non fosse avvenuta la redenzione, l’uomo nel corso del tempo non sarebbe più stato capace di costruirsi, al momento della nascita, una forma corporea a lui adeguata.

Il mistero del corpo risorto – del fantoma – è il mistero complessivo di ogni forma e di ogni metamorfosi. Esso contiene l’intera evoluzione del pensare umano, cui i contenuti di pensiero vengono dapprima offerti – grazie al riempimento materiale – dal lato delle forme percepibili. «Il Verbo si è fatto carne» vuol dire: la parola cosmica, il pensiero divino, si mostra a noi dal lato della percezione, per darci l’occasione di compiere in noi stessi, mediante un pensare creativo, la resurrezione della carne del Verbo divino. La Terra come corpo del Logos viene resa dal pensare corpo spirituale dell’uomo. Il Verbo pieno di luce fattosi carne celebra la resurrezione della carne grazie al pensare pieno di amore dell’uomo, ridiventa Verbo creatore dentro lo spirito umano.

L’«esilio» di tutte le creature nella forma esteriore della percezione sensibile, viene nelle fiabe descritto come incantesimo. L’anelito di ogni creatura della Terra è di venir liberata dalla sua forma ingannevole di parvenza effimera. L’uomo può gioire del fatto che la Terra vada sempre più polverizzandosi. Ciò non deve ovviamente accadere troppo velocemente, ma nemmeno troppo lentamente. L’uomo può desiderare che «cielo e Terra passino». Ogni creatura si rallegra per non aver un giorno più bisogno della forma esterna e materiale che ha assunto per amore dell’uomo, affinché il sacrificio dell’amore cosmico trovi il suo compimento nella libertà dell’amore umano.

Mediante il pensare umano tutte le cose risorgono nello spirito dell’uomo. Questa «umanazione» della Terra rappresenta l’esaudimento dell’anelito di tutta la creazione, così come la «cristificazione» dell’uomo è l’esaudimento dell’anelito eterno di ogni cuore umano. Ciò che dalla tomba terrestre risuscita ininterrottamente, come nuova creazione, nel pensare umano, è il fantoma spirituale-sostanziale, cioè l’essere vero di ogni cosa.

Il corpo di risurrezione dell’Essere dell’Amore contiene tutte le forze formanti dell’evoluzione terrestre, offerte all’uomo quale cammino di libertà – la libertà di un pensare intuitivo e di un amore creativo.

Dall’evento del Cristo in poi abbiamo allora la Terra avvolta da una duplice aura cristica, quale essenza dell’impulso-Cristo. L’una è la sua aura eterica piena di forze d’amore, nella quale sono contenute tutte le possibili intuizioni morali dell’amore che gli uomini vorranno vivere. La fantasia morale del Cristo è di portata cosmica, è una fantasia che ha concepito la più vasta intuizione morale, quella della redenzione dell’Umanità e della Terra. Tutte le nostre possibili intuizioni morali sono contenute nella fantasia del suo amore.

La seconda aura della Terra è quella del fantoma del corpo fisico in cui sono contenute tutte le possibili intuizioni conoscitive come evoluzione possibile del pensare umano.

Queste due aure corrispondono alle due parti de La filosofia della libertà di Rudolf Steiner. La prima riguarda le intuizioni conoscitive, dove la pura legge formativa di ogni cosa viene intesa quale contenuto del Logos divino, cioè del «monismo di pensieri» del mondo. La seconda parte riguarda le intuizioni morali con le quali l’uomo, prendendo sul serio il karma, compie a brano a brano il rimembramento di tutti gli uomini gli uni dentro gli altri, per edificare il corpo mistico del Cristo, quale organismo sovrasensibile dell’umanità e quale resurrezione di tutte le creature nel cuore pieno di amore dell’uomo.

Massime del cristianesimo –
capisaldi dell’umanesimo

Se intendiamo il mistero del Golgota come svolta dell’evoluzione, allora anche le frasi più importanti del cristianesimo tradizionale riacquistano significato.

Una di esse dice: il Padre manda il Figlio; lo Spirito Santo viene mandato dal Padre e anche dal Figlio (filioque). Se interpretiamo ciò in base alla «Filosofìa della libertà», allora il detto «il Padre manda il Figlio» significa: il senso della necessità di natura è di rendere possibile la libertà dell’uomo. Le leggi di natura sono state poste alla base del divenire per offrire all’essere della libertà, all’uomo, tutte le condizioni necessarie e al contempo il compito complessivo della libertà. La libertà umana viene vissuta compenetrando col pensare ciò che costituisce l’elemento di natura – il percepibile – così da trasformarlo nella sostanza pensante – i concetti, le idee – dell’essere stesso della libertà.

Il mondo del Padre è il mondo fisico-minerale, il mondo del determinismo di natura e del percepibile. La divinità somma, il Padre, compenetra spiritualmente le fondamenta minerali dell’esistenza. Nelle lingue antiche la stessa parola indica la divinità del Padre e il regno minerale-morto: in greco-latino: pater-petra (padre-pietra); in ebraico Av è il padre e Even la pietra.

In quanto il Padre, che opera nel il regno minerale-morto, manda il Figlio, il determinismo di natura fa posto al sorgere della libertà. Il Padre manda il Figlio, egli lo vuole mandare: la necessità di natura non è fatta per impedire l’essere della libertà, ma per renderlo possibile. Tutte le creature anelano all’essere della libertà che è l’uomo.

Il senso del fatto che noi viviamo in un mondo del Padre, in un mondo di determinismi di natura, è che questo Logos divino divenuto carne attende che l’uomo faccia l’esperienza della sua propria creatività. L’uomo deve comprendere che il suo divenire consiste nel fare nuovamente risorgere nella sua intuizione pensante il Logos divenuto carne. Il determinismo di natura (la «carne») risorge dentro il Logos illuminato di significato del pensare umano.

Proprio perché lo Spirito Santo, vale a dire l’esperienza individuale della libertà grazie al pensare, non viene mandato solo dal Padre, ma anche dal Figlio (filioque), nell’uomo non abbiamo un riflesso passivo dello spirito del Padre, ma una spiritualità rinnovata e trasformata dal Figlio. Questa spiritualità è essa stessa divina e creatrice, secondo le parole del Cristo nel Vangelo di Giovanni: «Voi siete dei» (Gv. 10,34).

Un’altra frase importante del cristianesimo si trova nel Vangelo di Giovanni (14,12), dove il Cristo dice: «Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre».

Questa frase ha sempre dato del filo da torcere ai teologi. Nel nostro contesto però il suo significato diventa comprensibile. Cristo esprime queste parole durante il suo discorso di commiato, quando non ha ancora compiuto l’esperienza della morte, dell’«andare al Padre». Le «opere più piccole» dell’evoluzione erano quelle compiute prima della svolta, che è ora imminente. Erano le opere della paura e dell’impotenza dello spirito umano di fronte al mondo fisico-materiale. Prima di Cristo, gli uomini desideravano abbandonare il mondo della materia, quale luogo del “peccato”, della sconfitta dell’uomo, per ritornare nello spirituale.

La decisione del Cristo «di andare al Padre» è la sua decisione di passare attraverso la morte. Nelle conferenze sul Vangelo di Giovanni in relazione agli altri tre, che Rudolf Steiner tenne a Kassel nel 1909 (O.O. 112), si afferma che il nome occulto del Padre è la morte. Nel regno della morte, del minerale, opera il Padre. Con la sua morte il Cristo si congiunge con la corporeità della Terra inaugurando le grandi opere dell’evoluzione. Dopo la morte del Cristo l’uomo cristificato non vuol più sfuggire dalla Terra, non ha più paura del mondo della materia. Egli compie, con un pensiero intriso di amore, l’opus magnum, la «grande opera» di trasformazione della materia per farne la sostanza dello spirito umano. Il cristianesimo è l’amore dello spirito per il mondo della materia, per la Terra come luogo della resurrezione dello spirito umano.

La Trinità cristiana – una trinità tutta nuova

La Trinità cristiana nella sua differenza essenziale con le Trinità divine delle religioni precristiane diventa comprensibile soltanto attraverso la sostanziale esperienza della libertà umana. Il mondo del Padre è il mondo delle condizioni esteriori – di natura – della libertà dell’uomo.

L’operare del Figlio conferisce all’uomo la facoltà interiore della libertà. Non vi è amore più grande che rendere possibile all’essere amato la libertà, ovvero l’autonomia spirituale. Ogni anima umana è «potenzialità di libertà» – per dirla con Aristotele e con gli Scolastici medievali – grazie all’operare del Cristo. Ma una potenzialità non è ancora una realtà compiuta. La distinzione tomistico-aristotelica tra possibilità e realizzazione, tra potenza e atto, è oltremodo importante.

Cristo non può donarci la libertà, non può egli stesso causare in noi libertà, altrimenti sarebbe libero solo lui in noi. L’esperienza della libertà è un’esperienza umana solo se diventa una creazione intuitiva dell’individuo umano stesso, quale la si può compiere unicamente con un pensare attivo. Dal di fuori, la libertà può soltanto venir resa possibile mettendole a disposizione tutti gli strumenti necessari.

Ecco perché deve aggiungersi ancora il terzo elemento: l’esperienza dello Spirito Santo. La distinzione tra anima e spirito è fondamentale – altrettanto quanto la distinzione tra possibilità e realizzazione. Il Cristo dice agli apostoli: «È bene per voi che io vada. Se non vado, non verrà a voi (e non sarà in voi) il Paracleto (il Consolatore, lo Spirito Santo)» (Gv.16,7). L’uomo non può rimanere nell’atteggiamento passivo di chi si attende tutto dalla grazia del Cristo. Ogni passività animica deve terminare, deve venir vinta e sostituita dall’attività dello spirito. L’esperienza dello Spirito Santo è di tutt’altra natura di quella del Cristo.

Il Cristo intende dire: passività e attività interiore si escludono a vicenda. Nell’esperienza dello Spirito Santo ogni conduzione dal di fuori viene portata a termine, cessa di esistere.

Questa esperienza viene compiuta ogni volta che l’uomo si vive come capace di libertà nella sua anima, e attraverso la creatività del pensare realizza la libertà del suo spirito. La capacità di libertà (l’uomo in quanto anima) è dovuta all’operare del Figlio; la realizzazione della libertà (l’uomo in quanto spirito) è l’esperienza del tutto individuale dello Spirito Santo.

Riassumendo ancora una volta il tutto: l’operare del Padre consiste nella creazione delle condizioni di natura della libertà. Attraverso l’operare del Figlio vengono conferite le forze interiori in virtù delle quali l’anima viene resa capace di libertà. L’esperienza dello Spirito Santo è l’attuazione in ogni momento presente della libertà individuale dello spirito umano.

Comprendiamo così anche la struttura trinitaria dell’evoluzione nel cosmo – corpo, anima e spirito, così come vengono descritti da Rudolf Steiner in Teosofia – grazie all’esperienza della libertà umana. Ci si svela il senso di tutta l’evoluzione: l’ascesa dell’umanità a decima gerarchia divina, a gerarchia della libertà. La libertà specificamente umana le gerarchie angeliche superiori non la conoscono, poiché esse non conoscono la trasformazione del mondo della materia in sostanza di pensiero.

Appartiene alla libertà di essere omissibile da un lato e attuabile dall’altro: queste due possibilità rendono possibile ogni scelta della libertà umana. Il mondo dentro al quale la libertà deve avere la possibilità di perdersi è il mondo del Padre, del determinismo di natura. Per essere libero, l’uomo deve sempre poter liberamente decidere di perdersi dentro il regno del determinismo di natura e di abdicare quale essere della libertà. Perciò il mondo del Padre deve esser dato, è necessario per render possibile anche la scelta negativa della libertà.

L’altra qualità essenziale della libertà, la sua attuabilità, l’uomo la deve all’operare del Figlio. Nella scelta quotidiana tra realizzazione e omissione della libertà l’uomo sperimenta in sé lo Spirito Santo. Santo, cioè sacro, lo spirito diventa nella realizzazione della libertà, non-santo, cioè profano, è nella sua omissione.

Lo spirito dell’uomo è «santo» quando respinge ogni gestione dall’esterno. Il peccato contro lo Spirito Santo, contro la propria libertà, non può quindi venir «rimesso» dal di fuori – così vuole un’altra affermazione fondamentale dei vangeli cristiani. L’uomo che «pecca» contro il proprio spirito, che si «separa» dalla libertà creatrice del suo stesso spirito, che si perde nell’istinto della corporeità, la può riafferrare soltanto per propria iniziativa, cioè riattivando in sé la creatività dello spirito. I grandi peccati contro la libertà umana sono peccati di omissione.

L’accentuazione dei peccati di commissione appartiene ad un gradino infantile dell’evoluzione umana, che precede la libertà.

L’Essere pieno di amore, che vuole al di sopra di ogni cosa la libertà dell’amato, è venuto per trasformare la morale negativa – «tu non devi!» – in una positiva: «tu puoi», «tu sei capace», «tu vuoi». Il Cristo non è venuto a proibire il male, bensì a rendere possibile il bene: egli offre ad ogni uomo gli strumenti della libertà. La sua offerta è stata però dapprima di nuovo intesa come un comandamento: «Vi dò un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni con gli altri» (Gv. 13,34). La parola greca che qui viene tradotta con «comandamento» è εντολη (entolé). Si tratta di una variazione della parola τελος, (telos: meta, fine) e risale ad una forma verbale (radice TL, τελλω, tello) che esprime il tendere verso il proprio fine, quale forza che è immanente all’essere, come è per le forze di crescita che sono all’opera nelle piante.

L’amore non può essere un «comandamento» nel senso di un ordine dall’esterno, poiché può scaturire unicamente dalla libertà interiore. Le parole del Cristo in realtà significano: io vi dico in quale modo l’uomo entra nella (εν = dentro) pienezza del suo essere: mediante l’amore. Soltanto l’amore che ama la libertà può condurre l’uomo alla sua meta, alla sua perfezione. Il Cristo parla qui di un nuovo comandamento, ma l’amore nella forma di un comandamento esterno non è nuovo. Nuovo è l’amore come offerta: quale sfida e chiamata alla libertà.

Se il Padre cosmico fosse rimasto onnipotente anche nell’uomo, se avesse continuato a operare tutto e direttamente lui stesso anche nell’animo umano, la libertà dell’uomo non sarebbe stata possibile. Il Padre rinunciò quindi all’onnipotenza per ciò che riguarda l’anima dell’uomo. Allo stesso modo lo Spirito Santo rinuncia all’onniscienza, rinuncia a voler sapere a priori ciò che il singolo uomo compie nel suo pensare, sentire e volere.

Nell’uomo e per amore dell’uomo il Padre si è reso «debole e impotente» e lo Spirito Santo «ignaro e folle». L’uomo può così decidere da spirito libero ciò che avviene nella sua interiorità, nella sua anima.

L’Essere dell’Amore, il Cristo, si manifesta nell’impotenza e nella follia divine, poiché amare significa sempre rinunciare a gestire l’altro con la forza e rinunciare a voler sapere meglio dell’altro ciò che è bene per lui. Nell’Essere pieno di amore, nell’Essere del Cristo, noi non abbiamo una divinità che ci sopraffà o che ci determina da fuori, e nemmeno una divinità che vuol sapere a priori ciò che noi decidiamo. L’amore divino diventa amore umano quando ama la libertà dell’uomo al di sopra di ogni cosa.

L’amore del Cristo è puro amore per la libertà dell’uomo. Ciò che il Cristo vuole è l’uomo libero. La sua volontà, l’uomo la compie quando vive nella libertà del suo spirito.

Voi conoscerete la verità, dice il Cristo all’ultima cena, nel promettere lo Spirito Santo, e la verità vi farà liberi.

A proposito di Pietro Archiati

Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capriano del Colle (Brescia). Ha studiato teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università statale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).

Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.

Nel 1977, durante un periodo di eremitaggio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito – destinata a diventare la grande passione della sua vita – indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invisibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.

Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafrica durante gli ultimi anni della segregazione razziale.

Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, indipendente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.

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