Introduzione di Pietro Archiati:
La scienza dello spirito
di Rudolf Steiner nella mia vita
Fra le numerose conferenze di Rudolf Steiner, ve ne sono anche tre da lui tenute espressamente per “principianti”, che costituiscono in un certo senso una prima introduzione alla sua scienza dello spirito. Ho scelto di presentare proprio queste tre non perché siano particolarmente semplici o facili da leggere, ma per la loro attualità. Grazie ad esse possiamo renderci conto con chiarezza di quanto al giorno d’oggi sia necessario un approfondimento scientifico-spirituale in tutti i campi della vita.
Molte persone hanno difficoltà ad accedere al pensiero di Rudolf Steiner. La presentazione grafica delle sue conferenze – insieme alla massima fedeltà possibile al testo stenografato ai suoi tempi – può contare molto: aiuta, per esempio, strutturare il testo dotandolo di una punteggiatura che consenta all’occhio del lettore di sostituirsi all’orecchio dell’ascoltatore. Anche il prezzo e il formato di un libro rivestono per molti un ruolo di non secondaria importanza.
Rudolf Steiner considerava le sue conferenze patrimonio di tutti, esattamente come tutte le sue altre produzioni. Nella conferenza del 25 aprile 1919 afferma: “L’uomo deve le creazioni che partono dalle sue capacità alla società umana, all’ordine sociale umano. In verità esse non gli appartengono. Trent’anni dopo la mia morte chiunque potrà stampare ciò che ho prodotto; lo si potrà usare come meglio si crede, ed è giusto così. Mi starebbe addirittura bene che ci fossero ancora più diritti in questo ambito. L’unica giustificazione della proprietà intellettuale è che chi la produce dispone anche delle migliori facoltà per gestirla”.
Spero che arrivi presto il giorno in cui in Internet sarà disponibile e accessibile a chiunque tutto quel che Rudolf Steiner ha creato. Un fatto del genere potrebbe chiamare in campo tanti talenti in grado di affrontare in maniera molteplice – nel rispetto e nella fedeltà allo spirito di Rudolf Steiner – conferenze che non possono più essere recepite con i sensi nella loro forma originale.
Mentre mi accingevo a scrivere la prefazione per queste conferenze, mi sono ben presto reso conto di quanto sia difficile presentare Rudolf Steiner a chi forse lo conosce solo di nome. Ma questo testo mi sta a cuore per far conoscere non tanto la persona di Rudolf Steiner, quanto il dono che ha portato al mondo: la “scienza dello spirito a orientamento antroposofico”, come lui stesso la chiama.
Ho quindi deciso di descrivere semplicemente la mia esperienza con questa scienza dello spirito, il modo in cui mi sono imbattuto negli scritti di Rudolf Steiner e ciò che essi hanno rappresentato per me in tutti questi anni. Una sola volta nella mia vita ho tenuto una conferenza autobiografica, nel 2002 presso l’Accademia protestante di Bad Boll (Germania), ed è da essa che riprendo la descrizione di ciò che ho vissuto occupandomi della scienza dello spirito di Rudolf Steiner.
Potrei dire naturalmente molte cose sulla vita in America, ma ve ne dirò solo una: in quegli anni ho perso la voce. A poco a poco ho perso la voce. E solo molto più tardi un medico di Milano ha avuto l’idea di farmi bere una soluzione di contrasto, e dalla radiografia si è visto che l’esofago faceva una gran curva; era una cisti della tiroide. E a poco a poco la mia voce era scomparsa. Oggi funziona bene una sola corda vocale, è un miracolo che io sia in grado di parlare.
Me la sono spiegata così questa vicenda (ognuno deve pur trovare qualcosa di buono in ciò che gli capita): se allora non avessi perso la voce, l’ordine degli “Oblati di Maria Immacolata” nel quale ero entrato fin da piccolo non mi avrebbe mai permesso di fare l’eremita sul lago di Como, e forse non avrei scoperto Steiner. Trascorrere un periodo da eremita era in effetti il sogno della mia vita. Non che volessi passare tutta la mia esistenza in questo modo, sono troppo chiacchierone. Solo che, per dirla in poche parole, ero pervaso da un profondo sentimento che diceva: non abbiamo quasi più verità, solo parole, parole vuote. Un tratto fondamentale della mia vita interiore è costituito da una sete inestinguibile di verità. Ai tempi mi fu per esempio offerto di dirigere la parrocchia a New York, una garanzia per tutta la vita, dato che in quelle casse entravano molti soldi. Ma io ho rifiutato, perché sapevo che non sarei più stato libero di dire ciò che pensavo o di continuare a cercare, di muovermi e camminare.
Allora, dato che ero rimasto senza voce, mi fu concesso di fare l’eremita sul lago di Como. Ero appena arrivato, e mentre leggevo un testo di un autore italiano di nome Massimo Scaligero, ecco che a metà libro m’imbatto con il nome di Rudolf Steiner, messo tra parentesi dopo una citazione. Mi sono detto: sarà ben tedesco questo Steiner. Ho riletto la citazione, l’autore aveva parlato entusiasticamente in tutto il libro di un “Maestro dei tempi nuovi”, senza però dire chi fosse. Nel giro di pochi secondi sentii in me la certezza che questo Steiner fosse la fonte, il “Maestro” di cui si continuava a parlare. E la mia domanda successiva fu: chi è mai questo Rudolf Steiner? Quando mai è vissuto?
Ed eccomi lì, in quella casa remota dell’ordine sul lago di Como, sulle tracce di Rudolf Steiner. In fondo al libro infatti erano citati circa venti libri di Scaligero, ma di Steiner niente. Due mesi dopo, a Milano, ho scovato i primi libri di questo personaggio. Dovevo tenere delle conferenze per delle suore, più col fiato che con la voce. Ma avevo fatto il voto di obbedienza, qualcuno era assente e io dovevo sostituirlo, anche se non m’andava. E tra una conferenza e l’altra non visitavo le chiese, di cui ne avevo abbastanza, ma le librerie. E in una piccola libreria di piazza del Duomo ho trovato per la prima volta dei libri di Rudolf Steiner, ma, da buon religioso, non avevo denaro. Allora sono tornato dalle suore dicendo che avevo bisogno di soldi senza però specificare che mi servivano per acquistare libri di Steiner. I primi che ho comprato sono stati La filosofia della libertà e le conferenze di Amburgo sul Vangelo di Giovanni. Nel giro di pochi giorni, potrei addirittura dire nel giro di poche ore, ho avuto la certezza assoluta che quello fosse ciò che avevo cercato per tutta la vita a est e a ovest. Su di me ha avuto l’effetto di un uragano.
Per quanto riguarda le conferenze sul Vangelo di Giovanni, ho notato che mi mancava tutta una serie di presupposti, ma leggendo La filosofia della libertà era come se ogni frase fosse uscita dalla mia anima, persino nelle formulazioni. Non per niente avevo alle spalle una solida formazione filosofica. Mi sono subito accorto che la scienza dello spirito di Rudolf Steiner, da un punto di vista quantitativo, è un bello strapazzo. Non che mi fossi comprato immediatamente i trecentocinquanta volumi dell’Opera Omnia, però m’ero informato. E mi dicevo: hai una stanza, un piatto, un letto, il tuo destino te li ha procurati. Vedi com’è ampio, com’è complesso questo nuovo impulso spirituale? Sta’ calmo e sta’ zitto, per ora. Ti ci vorrà tempo per calartici dentro. Finché riuscirai a tenere il becco chiuso su certi argomenti, le cose con la Chiesa funzioneranno. Non funzioneranno più quando comincerai a parlarne. Questo lo sapevo perfettamente, perché conoscevo molto bene la baracca.
Per farla breve, per due anni sono stato eremita e leggevo – ero abituato a lavorare in piedi col leggio – dalle sedici alle diciotto ore al giorno. A tutta birra, per dirla alla buona, mi sono fatto una media di un volume dell’Opera Omnia al giorno. Oggi non ho nemmeno la metà dell’energia fisica di cui disponevo allora, e leggo Steiner molto più lentamente. Ma a quell’epoca ero come un terreno riarso a cui l’acqua non bastava mai.
Fin dall’inizio ho avuto un libretto in cui segnavo quando avevo finito di leggere un libro, e in media, a tutt’oggi, ho letto da capo a fondo l’Opera Omnia di Steiner quattro o cinque volte. Alcuni volumi magari dieci volte, altri due volte, ma se faccio il conto di tutti quelli che ho studiato negli ultimi venticinque anni, posso dire che si aggirano fra i milleseicento e i millesettecento.
Con questo voglio dire: la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è diventata la mia vita.
Mi chiedevo per quanto tempo ancora sarei andato avanti con la Chiesa cattolica. Ero molto curioso, soprattutto per via della domanda, ancora oggi più proibita che ammessa, se è vero che l’uomo riceva una sola volta questo meraviglioso dono di poter vivere sulla Terra, o se invece la sovrabbondanza della grazia divina non si manifesti nel fatto che ogni spirito umano ha il compito di essere corresponsabile dell’evoluzione intera della Terra e dell’Uomo, dall’inizio fino alla fine.
Voglio cercare di presentarvi un paio di aspetti di questo gigante dello spirito che è Rudolf Steiner. Cominciamo con il primo: mi ha sempre meravigliato come attraverso la lettura di Rudolf Steiner si crei chiarezza su un’infinità di cose – e di certo voi potrete capire che una cosa del genere non può succedere al primo colpo. Per quanto mi riguarda, non ho mai, dico mai, “creduto” a qualcosa che Steiner ha detto. Per me non esiste “il credere” puro e semplice, ho una formazione troppo razionalistica per permettermi di aderire a qualcosa solo perché me la dice un altro. Le mie difficoltà con la Chiesa stavano appunto nella sua pretesa che si dovesse credere anche a ciò che non si capisce. Ma io ho sempre voluto capire, lo ritenevo mio diritto.
E se un’infinità di cose mi convince leggendo gli scritti e le conferenze di Steiner, ciò è perché il mio pensiero vede quello che legge in sintonia con la realtà in cui viviamo. Questo è il criterio della verità: la sintonia con la realtà. Non è un criterio ridotto e nemmeno facile, ma non ce ne sono altri. Una cosa infatti è vera quando è in armonia con tutta la realtà. È vero tutto ciò che illumina la creazione di modo che essa possa essere compresa meglio, più a fondo e più vastamente.
È Rudolf Steiner che ha salvato per la mia coscienza il dogma cattolico dell’ispirazione delle Sacre Scritture. Quand’ero studente di teologia, infatti, mi hanno raccontato che Matteo, Marco, Luca e Giovanni erano sicuramente delle brave persone, ma non con una solida formazione scientifica come quella nostra, non così competenti come un professore di esegesi del giorno d’oggi. Hanno senza dubbio fatto del loro meglio, gli evangelisti, ma come storici sono inattendibili. E a volte, negli anni di università, ho avuto l’impressione che qualche professore del Nuovo Testamento si ritenesse molto più in gamba di Matteo, Marco, Luca e Giovanni messi assieme. Lui sapeva dove bisognava apportare correzioni, chi e quando si è ripetuto, chi ha copiato da chi, dov’è che tutti si sono contraddetti e così via.
E poi leggo Rudolf Steiner – sto riassumendo cose di cui mi occupo da venticinque anni, potrei dire giorno e notte –, che mi dice: i Vangeli sono scritti da uomini, chiamati iniziati, che avevano delle vere e proprie esperienze nel mondo sovrasensibile. Erano in grado di percepire lo spirituale come una persona normale non può fare. E solo perché la teologia tradizionale ha perso la chiave di lettura del loro linguaggio – cosa che fa parte delle necessità dell’evoluzione –, solo perché non capisce più la lingua dell’esoterismo, pur con tutta la buona volontà non riesce a trar quasi niente da questi testi.
Credetemi, il mio rispetto per i Vangeli ha ripreso ad essere così grande che ho rinfrescato le mie conoscenze di greco, anche perché in Steiner avevo letto: puoi avvicinarti al Vangelo di Giovanni solo se hai il coraggio morale di pesare ogni parola sul bilancino dell’orefice. Tutto in questo Vangelo testimonia di una precisione scientifico-spirituale e di un’infinita profondità. Ditemi un po’ se in ambito cattolico o protestante c’è un singolo individuo, un solo professore, che abbia un rispetto così profondo per la Sacra Scrittura! Potete immaginarvi che cosa si prova e quanto fa male leggere che Rudolf Steiner non teneva in nessuna considerazione la Scrittura. Anche questo fa parte della tragedia del cristianesimo del giorno d’oggi.
Oppure facciamo un altro esempio: mi vedo a New York (all’epoca non avevo neanche mai letto il nome di Steiner) a predicare il giorno dell’Epifania. Sono sul pulpito e dico ai fedeli, in americano: “Cari cristiani, ovviamente parto dal presupposto che non pensiate che questi tre Re Magi siano venuti in carne e ossa dall’Oriente per adorare il Bambin Gesù. Siamo persone istruite, dunque prendiamo questa pagina del Vangelo come una bella immagine, una bella storia inventata da Matteo per dirci che quel bambino è il re del mondo intero. Ma non vogliamo essere così ingenui da pensare che i Re Magi siano davvero venuti dall’Oriente…”.
Neanche un anno dopo, da eremita sul lago di Como, leggo le conferenze di Rudolf Steiner sul Vangelo di Matteo. E mi sento dire che i tre Re erano degli iniziati, a cui lungo i millenni era stata trasmessa la saggezza di Zarathustra, di generazione in generazione. Essi erano in grado di decifrare le costellazioni e il corso delle stelle, e sapevano che quando gli astri avrebbero formato una determinata costellazione, allora sarebbe tornata sulla Terra la loro “stella”, il loro grande Maestro. E i tre Re sono venuti veramente dall’Oriente per portare i loro doni a questo bambino. E mi sono detto: accidenti, ma cosa sei andato a predicare a New York da prete cattolico? Che è ingenuo pensare che si tratti di qualcosa di reale, di storicamente accaduto?
Ma devo dirvi che grazie alla lettura di Rudolf Steiner non solo la Scrittura, ma più ancora il Cristo stesso è passato per me da qualcosa di reso misero dalla teologia a qualcosa di infinitamente grande. Il Cristo della Chiesa cattolica è davvero un essere striminzito se paragonato al Cristo di Steiner. Grazie a quest’uomo si sperimenta un enorme ampliamento degli orizzonti. Il Cristo è presentato come l’Entità spirituale in cui tutte le forze degli Angeli, degli Arcangeli e dei Principati, delle Potestà, delle Virtù e delle Dominazioni, dei Troni, dei Cherubini e dei Serafini diventano un organismo spirituale. Tutti gli Esseri del sistema solare vengono resi uno nel suo cuore, nel suo amore. Mi sono chiesto: com’è possibile che il cristianesimo abbia perduto la dimensione cosmica del Cristo? E ancor oggi sento persone che dicono: l’Antroposofia di Rudolf Steiner non è cristiana.
L’umanità odierna, e anche la teologia dei nostri giorni, è stata letteralmente abbandonata da tutti gli spiriti buoni. E c’è un senso positivo in questo: proprio per il fatto che la tradizione ha perso di vista tutti gli esseri spirituali, per il singolo individuo sorge la possibilità di cercare lo spirito di propria iniziativa, e anche di riuscire a trovarlo a poco a poco.
L’umanità non può uscire dal vicolo cieco del materialismo con la sola fede. La fede da sola basterà sempre di meno alle persone. Mia madre mi diceva sempre: “Figlio mio, ma non puoi semplicemente crederci?”, e io le rispondevo: “Mamma, io t’invidio questa capacità di credere con semplicità a tutto, anche se non lo capisci. Io non ci riesco”.
L’umanità si trova ad un’importante svolta nella sua evoluzione, a un punto in cui deve superare il materialismo se non vuole precipitare da un abisso di disumanità all’altro. Ciò non può avvenire mediante un ritorno all’antica fede, occorre invece trovare una nuova via per andare avanti. Dopo diversi secoli di scientificità nello studio del mondo materiale, l’unica via non può che essere una conoscenza dello spirituale, del sovrasensibile, non meno scientifica e rigorosa, sviluppata in tutte le direzioni. E la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è la prima “grammatica” al mondo che consenta di fondare una scienza del sovrasensibile. In alcune conferenze Steiner entra già nella “sintassi”, ma in ogni caso fornisce la grammatica del linguaggio scientifico riguardo a tutto ciò che è spirituale.
Un altro aspetto che caratterizza Rudolf Steiner è che tutto il reale viene considerato dal punto di vista evolutivo. L’umanità è in evoluzione, ogni essere umano si evolve incessantemente, tutto sulla Terra è in continuo mutamento. Un’affermazione che può essere giusta per un determinato periodo, non lo potrà essere altrettanto per un altro.
E qui vengo a un punto essenziale del conflitto fra Chiesa e Antroposofia, per cui ad un certo momento mi sono dovuto dire: anche con tutta la buona volontà, non è più possibile continuare con la Chiesa cattolica. Essa esige che tu proclami i suoi dogmi. D’ora in poi devi trovare un altro posto in cui tu possa dire e fare quello che intendi, perché non è conciliabile con la Chiesa. Questa inconciliabilità vale però solo per la Chiesa come istituzione, dato che essa deve avere come priorità assoluta la conservazione del proprio potere. Non vale per il singolo cattolico, che può sempre ampliare e approfondire il proprio cattolicesimo in ogni direzione.
Uno dei punti essenziali dell’incompatibilità con la Chiesa risiede appunto nel peso dato all’evoluzione. Steiner considera non cristiana l’idea che il Cristo debba aver detto duemila anni fa tutto ciò che aveva da dire all’umanità e che, da Risorto, non possa continuare a parlare spiritualmente e direttamente agli uomini, ancora oggi. Sostenere che la rivelazione del Cristo si sia conclusa col Nuovo Testamento significa mettere il Cristo a tacere, significa decretare che da quel momento in poi non possa dire più niente. Egli ha promesso agli uomini di celebrare con loro il suo Ritorno spirituale, la seconda venuta. La Chiesa pensa veramente che al suo Ritorno il Cristo non possa far altro che ripetere ciò che ha già detto duemila anni fa? Il concetto di evoluzione di Rudolf Steiner dice: il Cristo accompagna gli uomini lungo tutto il loro cammino. Egli parla sempre spiritualmente e ha sempre delle cose nuove da dire, poiché i compiti dell’evoluzione sono sempre diversi. Solo che molti uomini sono diventati sordi e non sentono più la sua voce.
Un giorno, mentre vivevo sul lago di Como, sono stato invitato in Sudafrica dai miei ex colleghi per un lavoro come docente in un seminario. Gli ho detto: ci vengo volentieri, però devo dirvi una cosa in tutta franchezza: vedete questi 350 volumi? Vado pazzo per Steiner e mi va di continuare così. Se mi volete come patito di Steiner, vengo volentieri. Loro non avevano la più pallida idea di che cosa significasse essere un patito di Steiner. Mi hanno risposto: ti conosciamo da quando eri studente, è impossibile che tu sia diventato matto del tutto, e a noi serve qualcuno che tenga i corsi che nessun altro vuole tenere, quindi vieni! Ed io ho risposto: d’accordo, vengo.
Ed eccomi in Sudafrica, all’epoca in cui c’era ancora l’apartheid, la segregazione razziale. La nostra comunità era un’eccezione, giacché grazie al potere della Chiesa il governo tollerava che in seminario convivessero tutte le razze. Il Sudafrica, lo sapete, è il paese in cui sono rappresentate tutte le razze. Ci vivono anche più di un milione di indiani. È lì che Gandhi ha cominciato la sua missione.
Bene, ora mi trovavo davanti a quegli studenti, una rappresentanza dell’umanità intera. Ci sono rimasto cinque anni. Ho pensato: per te la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è il metodo dell’aspirazione all’universalità. Agli studenti puoi dire tutto ciò che vuoi, l’importante è tradurlo in un linguaggio accessibile per loro. Non la terminologia è importante, ma le realtà, che si possono esprimere in termini diversi. Devi cercare di raggiungere gli studenti interiormente. L’età dei seminaristi andava grosso modo dai venti ai sessant’anni, avevamo quindi una bella mescolanza sia di razze che di età, mancavano però le donne, dato che era un seminario cattolico.
Mi sono detto: devi prendere gli studenti là dove sono. Devi parlare una lingua che possano capire. E come si fa a trovare una lingua comprensibile per tutte le razze e per tutte le culture? Esternamente, l’unica lingua che tutti avevamo in comune era l’inglese. Volevo parlare al cuore di ognuno, dire qualcosa di significativo per lui, senza però rischiare di diventare banale. Quella di costruire dei ponti è stata una grande sfida per me. E devo dire che con gli studenti tutto andava bene, è con gli altri docenti che con l’andar del tempo le cose si sono fatte sempre più difficili.
E quello che gli studenti apprezzavano nel caso mio era il fatto che, soprattutto agli esami, non pretendevo da loro nozioni imparate a memoria, quanto piuttosto l’attività del pensare, lo sforzo di capire le cose. Sono profondamente grato agli anni trascorsi in Sudafrica. Grazie alla scienza dello spirito di Rudolf Steiner ho potuto presentare la filosofia e la teologia nel modo più vasto possibile. Per me sarebbe stato impossibile scendere a compromessi anche minimi con la mia coscienza. Tutto ciò che insegnavo era ai miei occhi puro cristianesimo, proprio perché nello stesso tempo era anche pura scienza dello spirito.
Come accennavo, ho tenuto i corsi che nessun altro voleva tenere ed ora vi devo rivelare di quali si trattava. Uno era il corso su Dio, l’altro il corso di mariologia, cioè sulla madre di Dio – in quest’ultimo ho spiegato tutta l’evoluzione della Sofia. Un altro corso era quello di storia della filosofia. C’è un volumetto di Rudolf Steiner, Pensiero umano e pensiero cosmico, in cui descrive le dodici possibili visioni del mondo. Ogni fenomeno può essere considerato dal punto di vista del materialismo, ma anche da quello dello spiritualismo, del realismo, dell’idealismo, del razionalismo, del dinamismo, del sensismo, del pneumatismo, del matematicismo, del monadismo, del fenomenalismo e dello psichismo! A ciò si aggiungono sette specie di atteggiamento interiore nei confronti della realtà, sette disposizioni d’animo. Ho spiegato la storia della filosofia mostrando come ogni pensatore prediliga uno di questi modi di pensare, chi più questo, chi più quello, mentre la realtà li comprende tutti. Un pensatore diventa unilaterale quando assolutizza la sua concezione, e non vede o addirittura combatte le altre.
Ancora un esempio sul modo in cui ho cercato di gettare un ponte fra cattolicesimo e scienza dello spirito, soprattutto riguardo alla spinosa questione delle ripetute vite sulla Terra. Un giorno gli studenti mi hanno chiesto: “Cosa pensi della reincarnazione?”, – sapevano che nei 350 volumi di Steiner che avevo nella mia stanza si parlava anche di questo argomento. Ed io ho risposto: certo, mi fate questa domanda non perché siete interessati alla reincarnazione, ma per saltare una lezione. Niente di male, l’ho fatto anch’io da studente, quando un professore non era particolarmente interessante. E ho aggiunto: se adesso vi tengo una lezione cattedratica su questa questione non vi servirà a niente. Propongo invece di mettere in scena Giuda dopo la sua morte. Molti neri sono attori nati. Proviamo a rappresentare il Giuda appena morto, ho detto, e vediamo se il buon Dio riesce a sbatterlo all’inferno o se Giuda invece riesce a cavarsela. È da questa idea che è nato il mio libretto su Giuda.
L’idea in breve era questa: nel Vangelo il Cristo non ha fatto niente per trattenere Giuda dal suicidio, e una domanda importante è: come avrebbe potuto il Cristo lasciare che si suicidasse, se non fosse stato convinto che l’evoluzione di Giuda sarebbe continuata? E perciò il nostro Giuda improvvisato dice: “Bene, bene, caro Dio, ammettiamo pure che io abbia sbagliato di grosso, ma solo adesso posso rendermi conto di come è stata la mia vita. E ammettiamo anche che l’errore più grande sia stato quello di suicidarmi. Ma perché sei così tirchio da non volermi concedere una seconda possibilità, per fare meglio, per imparare dai miei sbagli?”.
Negli anni di teologia, con la miglior formazione all’interno della Chiesa, non ho sentito neanche una lezione su questa questione. Il cristianesimo tradizionale non mostra qui il suo anacronismo? Ogni moderno spirito umano deve dirsi: ognuno muore ancora all’inizio della propria evoluzione. Non ha quasi neanche cominciato, in lui sono ancora assopite infinite potenzialità evolutive. Che cos’è ognuno di noi, anche il migliore di noi, alla fine della vita, se non un principiante? E da questi inizi dovremmo venir catapultati, dopo la morte e in modo del tutto irrazionale, in una situazione definitiva che duri per tutta l’eternità?
Alla fine ho dovuto andarmene dalla Chiesa cattolica, perché pur con tutta la buona volontà proprio non andava. Sto volentieri dove posso dire ciò che ho da dire. Ma ho dovuto andarmene soprattutto perché ho posto la domanda della reincarnazione e per di più ho messo in chiaro cosa ne pensavo.
Ma proprio il confronto con i contenuti della scienza dello spirito di Rudolf Steiner è oggi il compito più urgente, se l’umanità vuole uscire dal tragico vicolo cieco del materialismo. Le moderne scienze naturali attendono di venire integrate da una scienza dello spirituale, altrimenti la fissazione sul materiale finirà per rendere ancora più paurosa e terribile la guerra quotidiana di tutti contro tutti. E per quanto riguarda la religione, in questi duemila anni di cristianesimo non vedo da nessuna parte un’individualità, uno spirito umano, in cui il Cristo si sia manifestato in modo così essenziale e vasto come in Rudolf Steiner e la sua Antroposofia. E sono assolutamente convinto che sia la Chiesa cattolica che quella protestante nei prossimi decenni e secoli dovranno confrontarsi a fondo con questa scienza dello spirito. Da questo confronto dipende la vita o la morte del cristianesimo stesso, non vedo altra possibilità.
La concezione che Tommaso d’Aquino aveva di Aristotele era: “Aristotele non erra”. Ciò non vuol dire che Aristotele sia per principio infallibile. Un’infallibilità di principio non è che una vuota astrazione. L’infallibilità del Papa è un diktat di potere, perché si riferisce anche ad affermazioni che il Papa non ha ancora fatto. Non è il contenuto da tutti percepibile e pensabile che rende vere le sue affermazioni, bensì la sua carica. Tommaso ha preso posizione nei confronti di tutte le affermazioni di Aristotele che aveva a disposizione, e non ha riscontrato da nessuna parte errori di ragionamento. Ciò per lui significa che Aristotele parla soltanto di cose su cui ha maturato il proprio giudizio. Su altre cose, riguardo alle quali il suo giudizio magari non è maturo, tiene la bocca chiusa, non si esprime.
E tra parentesi, leggendo Rudolf Steiner ho trovato che persino là dove Galileo sosteneva che Aristotele sbagliasse – diceva che le diramazioni dei nervi partono dal cuore mentre la scienza odierna può dimostrare che si diramano dal cervello – arriva uno Steiner che dice: hanno ragione entrambi, perché Aristotele non ha mai inteso parlare dei nervi fisici, materiali, bensì di quelli “eterici”, per lui ben più importanti, e questi si diramano effettivamente a partire dal cuore, non dal cervello. Qualcosa di simile si potrebbe dire anche a proposito delle leggi galileiane sulla caduta libera dei gravi. Galileo misura dall’esterno la distanza percorsa da un sasso che cade nel primo secondo, nel secondo e così via. È convinto di confutare Aristotele, dato che non immagina neanche che ai tempi del filosofo greco non era minimamente possibile percepire un sasso che cade come qualcosa di completamente esterno all’uomo. L’esperienza era a quei tempi tale per cui l’uomo sentiva interiormente come doveva lui stesso sforzarsi e spronarsi per muoversi alla stessa velocità del sasso che cadeva – in opposizione all’attrazione passiva esercitata dalla gravità dal di fuori. Pieno di stupore, mi sono detto: è di Rudolf Steiner che ho bisogno per salvarmi l’opinione che Tommaso d’Aquino aveva di Aristotele. La prima volta che l’ho letto ero così felice, ma così felice, gentile pubblico, che mi sono detto: allora è vero il concetto che Tommaso aveva di Aristotele. Ed io sono uno – e mi starebbe bene anche se fossi il solo in tutta l’umanità – che ha di Rudolf Steiner lo stesso concetto che Tommaso d’Aquino aveva di Aristotele!
Nei primi anni in cui leggevo Steiner ho creduto di aver individuato un paio di contraddizioni, che ho serbato accuratamente perché lo volevo prendere in castagna, volevo scoprire dove si sbagliava. E col tempo mi sono accorto che dipendeva dal fatto che ero io a non essere ancora in grado di pensare le cose in modo abbastanza vasto e profondo. Un esempio: una volta Steiner afferma che il Cristo sulla croce deve aver detto: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”, e un’altra volta: “Mio Dio, mio Dio, come mi hai esaltato!”. Per un certo periodo ho pensato che una frase escludesse l’altra, che una delle due dovesse essere sbagliata, prima di arrivare a capire che entrambe le affermazioni sono invece inseparabili: alla morte l’elemento “umano-troppo umano” vive l’esperienza dell’abbandono, mentre l’anima e lo spirito vengono “esaltati” e liberati. Il mio problema era che m’ero messo in testa che il Cristo avesse potuto pronunciare solo parole udibili attraverso i sensi fisici e che solo quelle fossero state sentite.
La mia concezione di fondo riguardo a Rudolf Steiner è che in lui il Cristo ha regalato all’umanità una persona – e il Cristo ha ben il diritto di farlo – che afferma solo quelle cose su cui il suo giudizio, grazie alla percezione sensibile e a quella sovrasensibile, è maturato a un punto tale da dargli l’assoluta certezza che quanto dice è vero. E io posso dire in tutta onestà di aver letto più o meno tutto ciò che di Rudolf Steiner è accessibile all’umanità odierna. Egli ha sempre aggiunto che su ogni cosa detta ci sarebbe ancora moltissimo da dire, poiché ogni fenomeno è inesauribile. Ha sempre sottolineato che non gli si deve mai credere ma si deve verificare tutto, nella certezza che ogni verifica non farà che confermare le sue affermazioni. Sono anche trascorsi parecchi decenni dalla sua morte: se i suoi numerosi e in parte accaniti nemici avessero riscontrato anche un solo errore inequivocabile – ad esempio nelle sue affermazioni nel campo delle scienze naturali – non avrebbero mancato di strombazzarlo ai quattro venti.
So che questa convinzione è molto impopolare in quest’epoca di livellamento generale – pardon, stavo quasi per dire di democrazia. Molti non sopportano che ci siano, spiritualmente, dei giganti e dei nani. Dobbiamo per forza essere tutti uguali e la political correctness impone che nessuno sia così “razzista” da pretendere di aver trovato anche solo un frammento di verità oggettiva. Essendoci sempre meno tolleranza nei confronti degli uomini, molti diventano di colpo tolleranti nei confronti della verità. Molti intendono la tolleranza nel senso che ognuno ha la sua opinione personale e soggettiva, e che non deve esistere una verità oggettiva. Per costoro tollerare significa che tutte le opinioni sono ugualmente vere perché ugualmente false. Intollerante è per loro chi sostiene che c’è una verità oggettiva, valida e vincolante per tutti, conoscibile a tutti.
Invece, la verità non è mai una pura questione di sì o no, la verità è il modo in cui lo spirito umano si sforza di scandagliare la realtà per comprenderla sempre meglio. E sono convinto che l’assioma fondamentale del cristianesimo sia lo stesso dell’Antroposofia, e cioè che la realtà in tutte le sue manifestazioni è inesauribile.
È verace colui che si sente sempre per strada alla ricerca della verità, perché di volta in volta riesce a cogliere solo una piccola parte del tutto, e vuole vederla anche da quest’altra angolazione, e da quest’altra e da un’altra ancora. Quello che oggi, ancor più di venticinque anni fa, mi fa innamorare della scienza dello spirito di Rudolf Steiner è il fatto che non diventa mai sistematica, che non chiude mai gli orizzonti. Ogni volta che termino di leggere una conferenza di Steiner e giro la pagina, trovo una nuova conferenza in cui affronta la realtà di cui sta parlando da un punto di vista completamente diverso. Gli errori sono sempre delle unilateralità di pensiero e un’affermazione unilaterale è errata nella misura in cui nega o esclude espressamente un lato o un aspetto qualsiasi della realtà. Ho dovuto lasciare la Chiesa cattolica perché avevo la sensazione che la fede cattolica o l’orizzonte di verità cattolico avesse una determinata estensione, ma che la scienza dello spirito fosse completamente aperta su tutti i fronti.
Quando avete due cerchi concentrici, uno più grande e uno più piccolo – mi perdonerete se lo dico così, non è presunzione, se è la verità –, allora quello più piccolo dovrà condannare e tacciare di eresia quello più grande, poiché non lo comprende. Ma non succederà mai che il cerchio più grande tacci di eresia quello più piccolo, poiché lo comprende in sé.
Non ho mai dovuto negare neanche un frammento di vero cattolicesimo, tutto diventava per me sempre più grande e profondo. Steiner non dice mai: le cose stanno così e solo così. Dice: guarda, questo fenomeno può essere osservato da questo lato, e allora si presenta così. Ma se lo osservi da un altro lato, avrà quest’altro aspetto. Guardalo da un altro lato ancora, e di nuovo presenterà una forma differente. Mai come in Rudolf Steiner, per esempio, ho trovato una descrizione così multiforme dell’Essere del Cristo, del suo operare e del modo in cui celebra il suo Ritorno fra gli uomini. Lo spirito umano può gioirne all’infinito.
Per questo ritengo che nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner l’errore sia escluso in linea di principio dal metodo stesso. Steiner chiama questo metodo lo sforzo di guardare tutte le cose da punti di vista sempre nuovi. Dato che la realtà in tutti i suoi fenomeni è inesauribile, nella ricerca della verità bisogna evitare non uno, ma due scogli. Il primo è quello del dogmatismo, che presume di poter gestire tutta la verità con un paio di concetti astratti; il secondo è lo scoglio del relativismo, che ritiene che tutto sia unicamente soggettivo, che esistano solo delle opinioni e nessuna verità oggettiva.
Rudolf Steiner percorre la via di mezzo: per lui esiste una verità oggettiva, ognuno può avvicinarsi sempre più ad essa, ma sarà sempre in cammino, poiché la ricerca della verità non finisce mai. Si tratta di comprendere aspetti sempre nuovi della realtà nella sua oggettività e di armonizzarli con ciò che si è già trovato. È come un grande edificio o un grande albero che possono essere fotografati da varie angolazioni. Sarebbe assurdo dichiarare che le varie foto non sono vere, o che sono errate, solo perché sono diverse le une dalle altre. Basta solo combinarle fra loro in modo da ottenere il quadro completo. L’esperienza che si fa leggendo Steiner è che ogni realtà viene descritta da punti di vista sempre nuovi. I nuovi punti di vista vengono percepiti come veri non solo perché non entrano in contraddizione con quelli vecchi, ma soprattutto perché permettono di vederli sotto una nuova luce. È come quando si scala una montagna: più vasto è il panorama, più le singole percezioni vengono inserite in un contesto globale, e più si conosce la verità della montagna, si ha cioè una riproduzione fedele, anche se non completa, della sua realtà. La ricerca incessante della verità rende lo spirito versatile e libero.
Al termine del lavoro redazionale sulle conferenze di Rudolf Steiner presentate in questo libro mi sono detto: adesso hai fatto tutto quel che potevi per renderle accessibili all’uomo d’oggi; ciò non significa comunque che Rudolf Steiner si sia trasformato in una lettura facile e divertente. Oggi come ieri il lettore non può restare passivo, non può assumere un atteggiamento di semplice ricezione; deve invece attivare il suo pensiero, deve applicarsi, dato che gli viene richiesto di dimostrare nei confronti dei contenuti quel profondo interesse che può nascere solo da un’ardente sete di conoscenza.
Mi sembra che la scienza dello spirito di Rudolf Steiner abbia un fattore in comune con l’evento verificatosi sulla Terra duemila anni fa: la decisione di ignorare entrambi i fenomeni, di non notarli neppure, o di farli diventare decisivi per il proprio destino così che diano scopo e direzione alla vita, dipende solo dal singolo individuo. Il primo – l’evento cristico – mi pare che rappresenti la forma più pura dell’amore per l’essere umano, mentre il secondo – la scienza dello spirito di Rudolf Steiner – mi sembra che sia il fenomeno puro della coscienza pensante. Insieme mi pare siano in grado di consentire al singolo individuo l’esercizio della libertà e dell’amore.
Prima conferenza
La scienza dello spirituale in rapporto allo spirito e al controspirito
del nostro tempo
Basilea, 4 maggio 1920
In queste tre conferenze desidero fornire da un certo punto di vista una specie di quadro riassuntivo delle intenzioni del movimento scientifico-spirituale, di quel volere che nasce dai compiti evidenti del presente e da quelli che possono essere riconosciuti come compiti dell’umanità per il prossimo futuro.
Oggi, in una sorta di introduzione, vorrei fare delle osservazioni sulla natura della “scienza dello spirito a orientamento antroposofico”* e sulla necessità di un movimento scientifico-spirituale all’interno della vita culturale del presente.
Domani vorrei mostrare soprattutto come questa scienza dello spirito porti ad una conoscenza più profonda, più vivace dell’anima e dello spirito umani, e da lì ad un approfondimento della coscienza morale. Desidero anche spiegare in qual modo questa scienza dello spirito si sente in dovere di porsi nei confronti delle confessioni religiose del nostro tempo.
E infine, nella terza conferenza, vorrei far vedere come la catastrofe attuale della guerra provenga dalle peculiarità psicologiche dei popoli sparsi sulla Terra al giorno d’oggi – come esse siano sorte dall’evoluzione storica di questi popoli. Intendo per così dire procedere partendo da una caratterizzazione della scienza dello spirito per andare verso un’osservazione della cultura attuale, alla luce del punto di vista scientifico-spirituale.
Quando oggi si sente parlare a livello esteriore e superficiale, com’è conforme al gusto di molti nostri contemporanei, di ciò che è il movimento spirituale il cui simbolo materiale è l’edificio di Dornach*, si ha subito la sensazione che si tratti di qualcosa che va bene solo per i giorni di festa.
Durante la settimana, infatti, gli uomini sono occupati a svolgere le attività utili, che sottostanno a regole, che forse per via di qualche avvenimento hanno evidenziato per quattro o cinque anni una forte irregolarità, ma che adesso vengono rimesse in piedi riparando ciò che è stato distrutto. Non si ha però la sensazione che quel che ha a che fare con le incombenze quotidiane dell’umanità possa nascere per mezzo di un movimento spirituale.
Ecco allora che si è formata l’opinione che tutto ciò che esteriormente viene rappresentato dall’edificio di Dornach sia per l’appunto un movimento settario, che voglia essere una sorta di nuova religione, e al massimo si lascia che a cercare di combattere un movimento di questo genere in tutti i modi possibili siano coloro i quali, con un certo fanatismo generato da questo o da quel motivo, aderiscono al passato.
Ora, cari ascoltatori, oltre a tutto il resto desidero farvi notare proprio oggi, all’inizio di queste considerazioni, che nelle ultime settimane il movimento spirituale che qui definiamo a orientamento antroposofico ha cominciato a svolgere delle attività decisamente pratiche. Come in altri luoghi, anche qui si sta facendo qualcosa di assolutamente pratico nel momento in cui si cerca – per quanto possa sembrare paradossale quando si parla a nome di un movimento scientifico-spirituale – di contrapporre un’istituzione al degrado della vita attuale, mediante una “società per azioni volta alla promozione di valori economici e spirituali”.
Intendiamo a breve scadenza dare il via ad attività molto pratiche. Vogliamo mostrare come quello a cui diamo il nome di movimento scientifico-spirituale a orientamento antroposofico non sia affatto una serie di prediche della domenica pomeriggio, bensì qualcosa di intimamente connesso con ciò di cui il nostro tempo ha bisogno, proprio anche in termini di nuovi impulsi provenienti dalla vita pratica.
Permettetemi quindi di prendere le mosse da una descrizione che caratterizzi la vita pratica in alcuni suoi aspetti fondamentali, e di poter così definire a fondo le intenzioni della scienza dello spirito a orientamento antroposofico. Anche certe persone che al giorno d’oggi, per motivi più o meno ideologici e utopici, vogliono riformare la vita sociale si sono già rese conto di ciò che desidero portare ora alla vostra attenzione. Ma non l’hanno notato in modo da coglierne l’aspetto essenziale.
Se osserviamo diversi movimenti del diciannovesimo secolo che a partire dalla metà del secolo hanno tentato di introdurre la valuta aurea come valuta unica al posto del bimetallismo, che era l’unità monetaria fissata in termini sia d’oro che d’argento, possiamo notare che questi seguaci del cosiddetto “monometallismo” affrontavano la questione da un punto di vista ben preciso. Dicevano – e lo si può ricavare dagli innumerevoli verbali dei parlamenti europei – che sotto l’influsso della valuta aurea, unica in tutto il mondo civile, si sarebbe dovuto sviluppare il libero scambio come portatore effettivo della libera vita economica, che non deve essere pregiudicata da nessun genere di barriere doganali, dazi protettivi e così via. Si è parlato in tutte le sfumature possibili di questa incentivazione al libero scambio per mezzo del monometallismo, della valuta aurea.
Ma che cosa è accaduto sotto l’influsso della valuta aurea? Proprio laddove questa è stata introdotta in maniera radicale si è verificato l’esatto contrario di quanto era stato predetto dai valenti esperti di economia! Dappertutto è emersa la necessità di ricorrere a dazi protettivi, Stati americani compresi. Ciò significa che quasi tutti coloro i quali hanno disquisito sulla valuta aurea basandosi sulle loro conoscenze pratiche o di economia politica, si sono sbagliati a proposito di qualcosa che era radicato nella realtà.
A questo punto ci si può chiedere: ma allora quegli individui erano tutti stupidi? Erano privi di qualsiasi tipo di logica? Hanno capito così poco della vita, al punto che si è verificato l’esatto contrario di quel che avevano previsto? Io non sono dell’opinione che gli individui che si sono occupati di libero scambio nel diciannovesimo secolo fossero tutti degli stupidi; al contrario, ritengo che siano state persone piene di acume, che si siano espresse con una logica sottile – e che ciononostante non abbiano colto nel segno riguardo alla realtà!
Quello di cui non ci si rende conto quando oggi si discute su un tale argomento è appunto il fatto che si può essere molto in gamba riguardo al modo di pensare formatosi nel mondo civile nel corso degli ultimi tre o quattro secoli, e tuttavia non essere aderenti alla realtà nel proprio giudizio; che ci si può ritenere grandi esperti eppure dare i consigli più inesperti. E in fin dei conti negli ultimi decenni sono stati questi consigli incompetenti a condurre l’umanità ad una terribile catastrofe.
È in Germania che si è potuto vedere in particolare come la gestione pubblica sia stata gradualmente affidata al giudizio dei grandi o piccoli dirigenti commerciali e industriali dello stato. Gli altri sono diventati più o meno dipendenti dai dirigenti commerciali e industriali. L’influenza di costoro è stata molto più grande di quanto si voglia ammettere. Solo durante la guerra si è visto come tutto abbia dato ascolto ai giudizi di queste parti e come tali giudizi si siano rivelati fatali. E in ciò si è potuto vedere che tutta la vita pubblica è in un certo senso costituita dal giudizio di questi sedicenti esperti. Il risultato di tutto ciò è che negli ultimi cinque o sei anni l’umanità è stata improvvisamente colpita da una disastrosa catastrofe, ancora ben lungi dall’essersi conclusa.
La nascita di una scienza dello spirito a orientamento antroposofico è stata indotta dall’osservazione di questo fatto. È questo il motivo per cui, proprio da parte di chi ha fatto valere questa scienza dello spirito a orientamento antroposofico, va costantemente richiamata l’attenzione sulle manifestazioni pratiche di questa scienza stessa.
So bene come singoli individui, compreso il piccolo gruppo di Basilea, si siano stupiti quando molti anni fa ho fatto notare che abbiamo cominciato con un’attività per così dire semipratica, e cioè mettendo in scena dei drammi misteriosofici. Diversi “mistici” l’hanno considerata una cosa da non fare, poiché ci si impegna in una certa direzione, in misure che si è costretti a prendere su cose esteriori.
Ma io ho detto: il mio ideale sarebbe non solo di mettere in scena dei drammi, ma di sviluppare un’attività bancaria per permeare proprio l’elemento più pratico della vita con quel modo di pensare che è necessario se si vuole esercitare una proficua scienza dello spirito. Per ragioni oggettive dovevo restare convinto che i risultati a cui aspira la scienza dello spirito non si raggiungono con un pensiero malsano e miope, bensì con un pensiero sano, avveduto, dotato di presenza di spirito. E che si può imparare tramite la scienza dello spirito ad educare il pensiero, come non è stato possibile nella concezione materialistica degli ultimi secoli, così che quel pensiero sano, che è necessario all’esercizio della scienza dello spirito nel senso in cui la intendiamo qui, ci permette di acquisire un atteggiamento pratico nei confronti della vita.
Vorrei dire che una sana gestione della vita è come un effetto collaterale, scontato, dell’occuparsi della scienza dello spirito. Se vogliamo acquisire una comprensione non nebulosa ma oggettiva e vera della natura del mondo per mezzo della scienza dello spirito, siamo costretti a sviluppare un pensiero che non sia vago e nebuloso, ma che disponga di una chiarezza molto più grande di quella a cui è abituata la scienza del giorno d’oggi.
Se sviluppiamo questo pensiero, se ci sforziamo di comprendere ciò che la scienza dello spirito vuole che si capisca, educhiamo automaticamente il nostro pensiero in modo da riuscire a pensare con correttezza e oggettività anche negli ambiti pratici della vita, senza più rischiare di prevedere che il monometallismo favorirà il libero scambio, quando i fatti sono tali per cui la valuta aurea provocherà all’opposto i dazi protettivi.
Proprio da questa concezione del mondo a cui diamo il nome di “antroposofia” nasce una vera praticità, la capacità di immergersi nella realtà, al contrario del materialismo, che tende ad intellettualizzare, ad osservare il mondo in modo puramente esteriore, rimanendo così infecondo – ad eccezione dell’unico campo in cui è riuscito ad essere produttivo, dove è passato di trionfo in trionfo: nell’ambito della tecnica.
Ma per vedere chiaramente in questa direzione è necessario dedicare oggi almeno ancora un paio di parole a ciò che ho sviluppato nel corso degli anni sulla natura della scienza dello spirito a orientamento antroposofico.
Questa scienza prende le mosse dall’attività interiore umana più profonda, per fare proprio di essa il metodo di ricerca scientifico-spirituale.
E mentre ciò che risiede nel profondo della natura umana come attività, come essenza, viene studiato per mezzo di questa scienza dello spirito, l’attenzione dell’uomo viene nel contempo richiamata sull’intero universo, sull’universo naturale e su quello spirituale. L’uomo riesce a penetrare nelle profondità del mondo proprio mentre impara ad osservare oggettivamente le profondità del proprio essere.
Nel vissuto dell’uomo la scienza dello spirito deve prendere le mosse da due cose:
• prima di tutto da un’ulteriore evoluzione della vita intellettiva e
• secondariamente da un’ulteriore evoluzione della vita volitiva.
In un certo senso noi sviluppiamo ciò che è vita del pensiero per la vita pratica nel mondo esterno o anche per la scienza corrente; e sviluppiamo la volontà nella misura in cui veniamo coinvolti dalle condizioni sociali che si vengono a creare spontaneamente.
La scienza dello spirito porta a riconoscere che, proprio come è possibile far crescere le energie ancora non sviluppate del bambino, di modo che da adulto possa inserirsi nel mondo col suo pensare e col suo agire, è possibile sviluppare ulteriormente il pensiero e la volontà quali usati con tutta comodità per la vita ordinaria e per la scienza.
Per conseguire questo obiettivo è però necessario acquisire prima di tutto una corretta conoscenza dell’essere umano. Occorre procurarsi la possibilità di osservare l’uomo nel suo divenire.
Si dovrà imparare ad osservare l’uomo in evoluzione, come lo richiede una riforma della pubblica istruzione. La pedagogia attende di venir riformata, e lo si farà quando ci si renderà conto che gran parte del caos sociale dei nostri giorni dipende proprio da una pubblica istruzione fuori strada.
Una riforma pedagogica non sarà tuttavia possibile se prima non si sarà osservato con effettiva cognizione di causa il bambino che cresce, l’uomo in evoluzione che in ogni singolo esemplare rappresenta un enigma che in un certo senso chiede di essere decifrato.
Osserviamo bene il bambino in evoluzione: che meravigliosi fenomeni ci si presentano se lo guardiamo nelle prime settimane, nei primi mesi, nei primi anni della sua crescita! Se davvero non distogliamo lo sguardo da ciò che accade di settimana in settimana, di mese in mese, di anno in anno, ma ci immergiamo in questo uomo in divenire, che avvenimenti cosmici miracolosi ci si presentano!
Per esempio, di solito si considera solo esteriormente un avvenimento come la comparsa della seconda dentizione e non si osserva ciò che in concomitanza con essa si verifica come una completa trasformazione dell’intera costituzione dell’anima nel bambino.
Fino al cambio dei denti il bambino vive praticamente in modo da avere come istinto più profondo l’imitazione di ciò che avviene nel suo ambiente ad opera degli esseri umani, e precisamente ad opera di quelle persone con cui è cresciuto per via di parentela o di educazione. Possiamo capire ogni movimento della mano compiuto dal bambino, se sappiamo che il bambino si affida incondizionatamente alle persone del suo ambiente. In fin dei conti ogni gesto è un’imitazione, anche se talvolta l’essere che imita si nasconde. Chi però sa osservare, nota che ad esempio anche nella formazione del linguaggio è presente un adattamento, un’aggregazione imitativa all’ambiente.
Vediamo quindi come il bambino nei primi anni di vita sia un imitatore. E mentre osserviamo il bambino in questo modo e vediamo come di settimana in settimana, di mese in mese, di anno in anno cresca dall’interiorità più profonda ciò che poi si trasmette alla figura, al gesto, al movimento e all’azione, al suono articolato al pensiero; quando osserviamo ciò nel bambino, ci rendiamo conto – se non ci è possibile diversamente possiamo cominciare col prenderlo come un’ipotesi – di come l’elemento animico-spirituale lavori su quello fisico.
E immergendosi in una tale osservazione, nel verificare come l’elemento animico-spirituale lavora su quello fisico, non si può far altro che rilevare fin nel più intimo questo lavorio dell’elemento animico-spirituale su quello fisico.
Ci si dirà allora: con la comparsa dei denti permanenti al posto di quelli di latte intorno ai sette anni accade qualcosa di importante in tutto l’organismo. In un certo senso questo cambio dei denti rappresenta un punto finale. Ciò che è emerso con la seconda dentizione è a quel punto qualcosa di compiuto.
E che cosa compare nel bambino al termine della seconda dentizione? Chiunque si ricordi della propria infanzia può rilevare che da quel momento le rappresentazioni, che prima erano in un certo senso fugaci, che andavano e venivano, che erano caotiche, hanno cominciato ad assumere contorni più nitidi, a formarsi in modo fisso, al punto da cristallizzarsi, per così dire, e diventare poi ricordi duraturi.
A dire il vero ci sono persone in cui la capacità mnemonica compare già prima, ma i ricordi dai contorni precisi, i ricordi che prendono la forma di pensieri, si presentano solo a quell’età. E chi osservi questa sequenza di fatti non potrà fare a meno di dirsi: già, è la stessa attività!
Fino alla seconda dentizione era un’attività animico-spirituale che faceva spuntare i denti, un’attività animico-spirituale che agiva sull’organismo. Ora che ha concluso il suo compito nel primo campo d’azione, si manifesta come pura attività animico-spirituale. Ora compaiono i pensieri, i pensieri dai contorni ben definiti, quelli capaci di suscitare ricordi. Ma prima che cosa facevano?
Erano loro che lavoravano nell’organismo per far uscire i denti! La stessa attività che più tardi è all’opera nel pensiero e nella memoria viveva prima nell’organismo, lavorava alla formazione dei denti. Un’attività organica ha subito per così dire una metamorfosi, si è trasformata in un’attività animico-spirituale, e in quanto tale continua ora a vivere nell’uomo.
Vedete, è da queste cose che prende le mosse, in modo rigorosamente metodico, la scienza dello spirito a orientamento antroposofico. Essa dice: si provi ad osservare con quale intensità agisce nell’organismo nei primi sette anni di vita ciò che in seguito è attivo come lavoro di puro pensiero e di memoria.
Ora ci si proponga di accogliere questa rafforzata attività pensante e rappresentativa, cercando di far lavorare nella propria anima non solo la mutata attività animico-spirituale degli anni successivi, ma l’attività più forte che è riuscita a far spuntare i denti, non solo a trasformare i pensieri in ricordi: quest’ultima attività è solo una parte di quella più rozza, più vigorosa, che dura fino al settimo anno. Questa attività più forte viene riconquistata mediante ciò che la scienza dello spirito a orientamento antroposofico chiama “meditare”.
Meditare non è altro che un pensare più rigoroso, un pensare reso più intenso, ulteriormente evoluto.
La meditazione di cui stiamo parlando consiste nel mettere con intensità al centro della coscienza un pensiero o una serie di pensieri – per gli uni va bene questo, per gli altri quello; trovate informazioni più precise nelle opere Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori?, La scienza occulta nelle sue linee generali, L’enigma dell’uomo, Enigmi dell’anima ecc. – e nel divenire poi così intensamente attivi a livello animico-spirituale in questa serie di pensieri da esercitare non solo quell’attività di pensiero astratta e intellettualistica, tipica della scienza e della vita ordinarie, ma quell’intensa attività di pensiero che, se fossimo ancora bambini al di sotto dei sette anni, lavorerebbe gorgogliante e ribollente nel nostro organismo.
Ma mentre la esercitiamo come attività animico-spirituale, l’attività pensante ci insegna a vivere con i pensieri come con realtà.
Si osservi l’atteggiamento degli uomini nei confronti del pensiero e del giudizio nella vita quotidiana o nella scienza comune: essi non se la prendono affatto calda! Un individuo se la prende se è amico di un altro e costui gli reca danno, prende a cuore il fatto che è innamorato di qualcuno, che ha sete o fame e così via. Gli eventi della vita interessano l’uomo, non altrettanto i pensieri.
Attraverso la meditazione si impara a muoversi nel pensiero come ci si muove nella vita di tutti i giorni. E a poco a poco si finisce per fare l’esperienza che attraverso questo meditare si compie un balzo nella propria vita interiore.
Mentre nella vita ordinaria il mondo esterno fornisce una specie di guida per i nostri pensieri, mentre tendiamo ad abbandonarci ai pensieri che ci circondano nel mondo esterno – a seconda che giungano attraverso ricordi disordinati, emergano, svaniscano e così via –, il meditare consiste nel portare i nostri pensieri a coscienza secondo la nostra volontà, nel maneggiare un pensiero così come si muove una mano quando si fa qualcosa.
A poco a poco si ha proprio la sensazione di imparare a pensare come si è imparato a prendere in mano le cose o a camminare, la sensazione che l’attività pensante sia qualcosa di indipendente dall’uomo.
Se ci si spinge fino ad un’attività pensante di questo tipo, che è più intensa di quella ordinaria ed è sviluppata nella meditazione, un’attività di pensiero che ci fa sentire interiormente che, se fossimo ancora piccoli, essa agirebbe persino sulla crescita, sulla formazione del corpo – se si genera questo pensiero si scopre che cosa significa svolgere nel pensiero, nel rappresentare, un’attività libera dal corpo.
È senz’altro vero che il pensiero ordinario è del tutto legato al cervello. E ce ne rendiamo conto proprio nel momento in cui facciamo l’esperienza di questo pensare libero dal corpo, a cui ci si può innalzare mediante l’evoluzione meditativa.
Quando si viene a conoscere questo pensiero – arbitrario come i movimenti delle mani e delle gambe che vengono eseguiti sforzandosi, che affaticano e che dopo un certo tempo devono essere smessi, proprio come si deve interrompere ogni sforzo fisico – quando si conosce questo pensiero dall’interno, allora si fa una prima esperienza del pensiero creativo, dell’immaginazione creativa.
Allora nell’uomo si avverte la presenza di un essere che è “eterico-pensante”, quello stesso che al momento della nascita, o diciamo in occasione del concepimento, è sceso dai mondi spirituali e ha collaborato da scultore, da architetto, alla formazione del corpo umano. Veniamo così a toccar con mano ciò che lavora sul corpo umano, ritornando in modo vivente alla nostra condizione di uomini prima di calarci in questo corpo fisico, prima di assumere la forma corporea che ci è stata data per via della trasmissione ereditaria da parte di padre, madre ecc.
Facciamo così un’esperienza della nostra vita prenatale o della vita anteriore al concepimento, un’esperienza di quella che era la nostra esistenza sovrasensibile prima dell’attuale esistenza fisica. Grazie a un’ulteriore formazione del pensiero, la nostra vita di uomini si estende oltre la nascita e il concepimento.
Quello che vi sto raccontando è proprio il risultato garantito di una ricerca rigorosa e metodica che segue le vie a cui ho accennato, proprio come un qualsiasi risultato chimico. Ciò che la chimica realizza in laboratorio o l’astronomia in un osservatorio non è meno sicuro di ciò che scaturisce dall’intimità della vita di pensiero fatta evolvere ulteriormente e diventa conoscenza dell’entità umana sovrasensibile prenatale.
È semplicemente un pensiero più evoluto quello che fornisce il metodo per penetrare nel mondo sovrasensibile. Questo pensiero dà però anche la possibilità di dire qualcosa a proposito di questa vita prenatale. Ma di questo ci occuperemo domani più da vicino.
Ora desidero portare la vostra attenzione sull’altra realtà che l’uomo deve far sviluppare ulteriormente per ascendere dalla conoscenza sensibile a quella sovrasensibile. Quest’altra realtà è la volontà.
Per rendervi conto dell’importanza di questa evoluzione della volontà vi basti pensare alla distanza che esiste fra ciò che definiamo il contenuto dei nostri ideali morali, degli impulsi morali, e ciò che sono gli eventi della natura esteriori, che sono anche eventi naturali nell’uomo. Il cruccio della filosofia è per l’appunto l’impossibilità di inserire i cosiddetti ideali nel divenire della natura.
Da un lato i geologi e gli astronomi descrivono come la Terra, con tutto ciò che fa parte del nostro sistema planetario, abbia avuto origine da una nebbia primordiale in base a leggi eterne e ineluttabili, come questa si sia poi spaccata, come si siano prodotte le piante e gli animali, per arrivare fino all’uomo. E poi seguono il tutto per formulare ipotesi su come un giorno si dissolverà.
Ma riflettiamo: in questo mondo non ha posto il mondo degli ideali, il mondo di ciò che dobbiamo prefiggerci se vogliamo condurre un’esistenza dignitosa, il mondo di ciò che esercita un’influenza sulle azioni che compiamo. Tutto ciò che parla alla nostra coscienza non incide sul mondo della natura che ci presenta la scienza.
Eppure, cari ascoltatori, che significato ha tutto ciò per il mondo della natura? Nell’attuale concezione del mondo non si riesce a gettare alcun ponte fra l’ideale morale e ciò che si sviluppa naturalmente!
L’astronomo e il geologo guardano ad uno stato finale della Terra, a quando tutto soccomberà alla morte per calore o, come sostengono altri, si coprirà di ghiaccio e così via. Allora quella che adesso è la vita terrena sarà una tomba colossale. E che ne sarà di quelli che chiamiamo ideali morali? Essi sono come il pensiero umano: sono pensieri che una concezione materialistica ritiene dei fuochi fatui che esulano dal mondo della natura.
Chi prende le mosse dal punto di vista della scienza dello spirito di cui stiamo parlando non teorizza su questi ideali morali, ma cerca di approfondire la vita seguendo un altro percorso. Cerca soprattutto di far entrare nell’arbitrio umano ciò che di solito viene considerato dall’uomo come qualcosa cui ci si abbandona passivamente.
E di nuovo l’osservazione imparziale del secondo periodo della vita umana, quello compreso fra la seconda dentizione e la maturità sessuale, ci aiuta a capire che cosa intendo dire.
Vediamo come nel bambino fra i sette e i quattordici anni si sviluppino a poco a poco determinate forze che raggiungono il culmine intorno ai quattordici-quindici anni. Vediamo sorgere dapprima l’amore individuale, nonché tutto ciò che è in relazione con la riproduzione sessuale.
Ma di solito non notiamo come fra i sette e i quattordici, quindici anni sia all’opera un elemento animico-spirituale non meno che nei primi sette anni di vita, e che questo trova il proprio compimento nel liberarsi – e in un certo senso staccarsi – dall’attività organica allo scadere dei quattordici-quindici anni.
Se osserviamo il ragazzo nella sua evoluzione – nelle ragazze ciò avviene in modo leggermente diverso, più animico, ma qui non abbiamo modo di spiegarlo approfonditamente – troviamo la conclusione di questo periodo di vita nel cambiamento della voce, nel diverso timbro assunto dalla voce.
Cos’è che è si è impadronito del linguaggio? Se mettiamo in atto un’osservazione spassionata scopriamo che è la volontà!
Come nei primi sette anni era la vita delle rappresentazioni ad assumere infine la forma di un pensiero in grado di ricordare, così ora è la volontà che prende possesso dell’organismo e d’ora in poi pervade il linguaggio in qualità di libero arbitrio, mentre fino ai quattordici o quindici anni il ragazzo non era libero nel linguaggio, ma – e lo si può provare – subiva l’influsso del suo ambiente.
Possiamo quindi dire che nel secondo periodo della vita gli organi vengono formati da quella che successivamente si manifesta come volontà.
E sorge nell’adolescenza, a diciassette, diciotto anni, la volontà libera che prosegue fin oltre ai vent’anni, infiammando il giovane di ideali. È diventato libero l’elemento che ha lavorato su ciò che in seguito si manifesterà come amore sessuale, come amore umano. Ciò che diventa libero dopo la maturità sessuale, dopo i quattordici o quindici anni, ha lavorato sull’organismo fino ai quattordici, ed è la volontà: prima quella legata all’elemento organico e poi quella indipendente.
Partendo di nuovo da lì, prendendo in mano l’evoluzione della volontà e rendendo attivo ciò che di solito l’uomo vive passivamente, vedremo che nell’interiorità umana si sviluppa una seconda, ben specifica forza animico-spirituale.
Si può farlo osservando come è possibile dirsi: se ti volti indietro a considerare la tua vita, ti accorgerai che di anno in anno – cosa che viene poco notata – o comunque di decennio in decennio sei diventato un altro. L’esistenza, le condizioni esteriori, i dolori, le gioie, tante cose hanno influsso sulla vita. Ognuno di voi si chieda se nel corso dei decenni non è diventato un altro. Non è una cosa in nostro potere, la vita plasma e leviga ogni uomo, trasformandolo di volta in volta in un altro.
Il metodo scientifico spirituale consiste appunto nel prendere in mano la propria evoluzione anche in questo campo, per esempio nel prendere più seriamente del solito gli ideali di vita morali, nell’assimilarli, nel verificare come sia possibile organizzare qualcosa che ci proponiamo di fare in modo da volerlo così come si vuole il cibo quando si ha fame.
Ciò è possibile! Si può arrivare a far sì che quelle che sono di solito solo idee morali astratte diventino come un istinto, come un impulso interiore. Allora ciò che di solito, come vi ho detto, aleggia oltre la natura – di cui non si capisce l’effettivo significato – si avvicina al divenire umano interiore, organico.
Sì, anche se a molti potrà sembrare paradossale, arriva un momento in cui su un individuo gli impulsi morali agiscono come le vivande sul gusto.
Non si ha più una sensazione astratta rispetto a un qualcosa che si considera buono o cattivo, ma si sviluppa un’antipatia interiore nei confronti di qualcosa di moralmente obbrobrioso o malvagio o anche solo riprovevole, proprio come si prova avversione per qualcosa dal sapore sgradevole. Ciò che di solito fluttua ad altezze astratte si avvicina intimamente a ciò che vive nel gusto, nell’olfatto. Si comincia ad avvertire che anche quando si solleva semplicemente un braccio, lo scopo che ci si prefigge è operante nel metabolismo del braccio.
In altre parole, quando si prende attivamente in mano la propria evoluzione umana si prova la sensazione che l’elemento animico-spirituale compenetri quello fisico-corporeo e operi in esso.
Come nel pensiero, sviluppandolo oltre, ci si libera dal corpo, così attraverso l’evoluzione a cui sto accennando si assorbe ciò che è attivo nell’organismo dai sette ai quattordici, quindici anni così intensamente che l’amore non agisce più solo come fa normalmente nella vita, sociale o individuale, ma come fa quando plasma organicamente il nostro corpo.
Se ora si applica quell’intensità dell’amore alla propria auto-educazione, si consegue nella volontà ciò che è abbastanza forte per operare anche dopo che questo corpo sarà stato riconsegnato alla Terra o agli elementi.
Una volta capito come la volontà abbia il potere di agire sul corpo, come essa non ponga dentro di noi solo degli impulsi morali astratti, ma ci induca invece a sentire in noi gli impulsi morali nello stesso modo in cui il gusto ci fa provare il sapore dei cibi, allora si è anche compreso che il volere interviene nell’esistenza naturale umana così come interviene in tutto l’essere naturale dell’universo. Allora, grazie a quest’altro aspetto dell’evoluzione interiore, si ottiene la possibilità di capire cosa c’è dopo la morte.
Come attraverso l’evoluzione della vita del pensiero si comprende la vita prenatale come qualcosa di sovrasensibile ed eterno, così attraverso l’evoluzione della volontà si comprende la vita dopo la morte.
Tramite le indagini della scienza dello spirito, ciò che l’uomo sperimenta nel mondo fisico si estende oltre questo mondo, ma non così che egli si limiti a speculare al di là del mondo fisico, bensì in maniera che debba mettere in atto, per giungere davvero alle mete che ho descritto, una vita del pensiero e della volontà collegate con la realtà.
Si sviluppa la vita intellettiva in maniera da sentirla nelle forze in cui essa ci plasma al momento del nostro ingresso nella vita. Si afferra la vita volitiva in una realtà così intensa come quella che continua ad agire anche quando il nostro corpo, con tutti i suoi istinti e impulsi naturali, si sarà decomposto.
Una volta conseguiti questi obiettivi si ottiene qualcosa che può presentarsi come il contenuto della mia Scienza occulta. Come dal punto di vista di una scienza naturale si può parlare dell’aspetto esteriore del mondo, così è possibile parlare di quello interiore.
Per comprendere la scienza dello spirito non occorre che tutti diventino scienziati spirituali. L’intelletto umano spassionato porta da sé alla comprensione di questa scienza. Non c’è nessun bisogno di discutere su quanti scienziati dello spirito ci saranno in futuro. Potranno essere pochi o tanti, non importa. Leggendo il mio libro Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori? vi renderete conto che ognuno può diventare scienziato dello spirito fino a un certo punto, può porsi in grado di guardare nell’essenza del mondo sovrasensibile, basta solo che sviluppi i suoi talenti naturali.
Forse per alcuni risulta impossibile diventare scienziati dello spirito in questo senso, perché a questo scopo sono necessarie tante cose a cui l’uomo non sempre può mirare nella vita comune. Pensate solo al tempo che deve passare in laboratorio, lontano da tutto il resto, alle cose a cui deve in un certo senso rinunciare chi studia da chimico. Lo stesso avviene per ogni altra attività umana.
Pensate solo a cosa significhi dover acquisire familiarità con un mondo completamente diverso da quello in cui viviamo ogni giorno dal momento del risveglio fino a che ci corichiamo, un mondo con leggi assolutamente diverse, che tuttavia agiscono, seppur invisibilmente, anche nella nostra realtà ordinaria. L’uomo che indaga questo mondo spirituale ne riceve un’impronta che è nello stesso tempo fonte di dolore, di sofferenza.
Ogni vero scienziato dello spirito vi dirà che accoglie con gratitudine ogni gioia procuratagli dalla vita e che desidera sempre rivolgere un’umile preghiera di ringraziamento alle potenze cosmiche per tutta la gioia che gli è stato concesso di provare. Ma le sue conoscenze non le deve alle gioie, che in un certo modo narcotizzano la vera essenza della vita, – le conoscenze le dobbiamo alla sofferenza. E, come vi ho spiegato oggi, sono proprio sofferenze più profonde ad attraversare la nostra anima quando siamo saliti di un determinato gradino nell’uscire dal mondo sensibile.
Poi viene il resto. Pensate un po’ a questo, che io stesso ho detto: il pensare diventa qualcosa di simile all’afferrare o al camminare, diventa dipendente dalla volontà dell’uomo. In genere siamo abituati a pensare involontariamente, a lasciare che i pensieri scorrano in modo automatico. Ma, perlomeno quando si indaga a livello spirituale, il pensiero deve trasformarsi così da sottostare alla nostra volontà, proprio come quando decidiamo di muovere gambe e mani.
Ora l’importante è imparare a distinguere nettamente – e lo si impara, se si viene guidati sul giusto percorso nell’indagine spirituale –, occorre imparare ad operare una chiara distinzione fra la vita che si deve condurre nel mondo fisico e quella che ci conduce nel mondo spirituale. Qui nel mondo fisico infatti bisogna saper vivere come tutti gli altri.
I veri studiosi dello spirito non sono quelli che per una certa presunzione o per autogodimento perdono il contatto con la realtà, sono colmi di abnegazione “mistica” e disprezzano la vita, si isolano dal resto dell’umanità, indossano gli abiti più strani e così via, oppure dicono: noi apparteniamo ad una genìa completamente diversa. I veri ricercatori spirituali sono quelli che non lo danno a vedere, perché sono inseriti nella vita esteriore esattamente come gli altri, e risultano addirittura ancora più pratici, poiché hanno una profonda comprensione delle leggi reali della vita esteriore, leggi che non è possibile venire a conoscere nel mondo esterno, ma solo grazie alla conoscenza di quello sovrasensibile, poiché da esso dipende tutto ciò che è sensibile.
Per questo ho ripetuto già diverse volte che la scienza dello spirito di cui vi parlo vedrà realizzati i suoi ideali soprattutto quando sarà in grado di intervenire nei vari ambiti pratici della vita.
Così per esempio ho sempre sostenuto che questo ideale antroposofico verrebbe concretizzato in maniera particolare se fosse possibile parlare con dei medici del ruolo che la scienza dello spirito potrebbe assumere in un processo di rinnovamento della medicina. Nel frattempo questo si è realizzato: a Dornach si è tenuto un corso per medici e studenti di medicina sugli apporti che questa scienza dello spirito a orientamento antroposofico potrebbe fornire alla scienza medica.
In verità, tutto ciò che agisce positivamente sulle attività pratiche della vita sta più a cuore a questa scienza dello spirito a orientamento antroposofico che non l’insulso polemizzare con chi, per ottuso fanatismo o peggio ancora, animato da una generica avversione nei confronti di ogni progresso umano, diffonde calunnie allo scopo di far passare questa scienza dello spirito per una setta religiosa.
A coloro i quali prendono sul serio questa scienza dello spirito non interessa la polemica con le confessioni religiose, quanto piuttosto un serio lavoro in tutti i settori pratici della vita. È soprattutto questo che si vuole realizzare a Dornach, e quindi le ciance che si sollevano da ogni parte sono semplicemente grottesche. Si cerchi di conoscere ciò che davvero vogliamo fare e si vedrà che si tratta di qualcosa di completamente diverso da quello che viene presentato da gran parte della stampa.
Ecco di che si tratta: che il metodo descritto, che permette all’uomo di penetrare più profondamente nel proprio essere, lo fa entrare più profondamente anche nella realtà nel mondo.
Da un lato impariamo a conoscere la realtà che ci conduce all’esistenza e dall’altro quella che ci porta fuori da essa. In questo modo si ha la possibilità di guardare alla vita in modo più profondo.
Al giorno d’oggi gli uomini si passano accanto senza avere la più pallida idea di quale influsso gli uni esercitino sugli altri, non solo per quanto riguarda gli influssi trasmessi a livello di fisicità esteriore, ma anche di quelli che passano di anima in anima, di spirito in spirito. Gli esseri umani hanno quasi paura di pensare a questi effetti che l’anima e lo spirito esercitano su anima e spirito. Ma finché non ci si renderà conto di come gli esseri umani si influenzino reciprocamente come esseri spirituali, non ci si potrà fare un’idea giusta di quello che è il mondo sovrasensibile.
Il ricercatore spirituale deve assolutamente abituarsi a osservare il mondo spirituale senza pregiudizi, continuando altresì ad occupare il proprio posto nel mondo visibile. Questa necessità di regolamentare la vita in questo mondo in modo del tutto diverso, molto più cosciente, quando si è indagatori dello spirituale, fa parte a sua volta delle cose che forse, come molte altre, non sono da tutti.
È tuttavia sufficiente che quanto viene comunicato in termini di risultati dai singoli ricercatori spirituali venga semplicemente accolto dal buon senso umano.
La scienza dello spirito non teme di non essere compresa da chi pensa in maniera spassionata. Al contrario, sa bene che quanto più la si avvicina senza pregiudizi, quanto più la si accosta in maniera oggettiva e scientifica, e meno da dilettanti, tanto meglio verrà capita. Essa richiede anzi un approccio il più rigoroso e serio possibile. Allora si noterà che non si può più parlarne come si fa quando la si conosce solo superficialmente.
Il buon senso umano può accettare ciò che gli si manifesta sotto forma di risultati scientifico-spirituali, ma al buon senso umano viene avanzata una certa richiesta che al giorno d’oggi non fa ancora piacere. Ma proprio perché questo requisito non piace, si è precipitati nella catastrofe che l’umanità ha dovuto sopportare negli ultimi cinque o sei anni.
Vedete, se oggi si prendesse e si leggesse la mia Scienza occulta con la disposizione d’animo che va per la maggiore, allora essa risulterebbe uggiosa, allora avreste anche il diritto di parlarne male. Essa infatti non è in grado di dirvi la stessa quantità di cose che vi vengono dette quando vi sedete in un cinema e osservate le immagini scorrere davanti ai vostri occhi, situazione in cui non dovete lavorare molto, ma in cui potete restare passivi. Quando assistete ad una conferenza in cui vengono mostrate diapositive potete anche dormire e negli intervalli dedicare passivamente la vostra attenzione alle immagini.
Ben altra cosa avviene in una conferenza del tipo che io mi permetto di proporre: essa va in un certo senso seguita attivamente se deve significare qualcosa per l’uomo. Per non parlare dei libri: la mia Scienza occulta non ha contenuto per chi non si adopera ad elaborarla personalmente. Essa è per così dire nient’altro che una partitura, il cui contenuto va ricreato tramite un’attività interiore se lo si vuol davvero far proprio.
Ma così facendo – come studiosi di ciò che è stato esplorato dal ricercatore spirituale – si acquisisce un pensiero attivo, quel pensiero che si immerge nella realtà, che si congiunge con essa. Si acquisisce un pensiero che non fa più affermazioni del tipo: con l’introduzione della valuta aurea favoriremo il libero scambio. Questo pensiero, completamente al di fuori della realtà, è del tutto irreale.
Ci si educa ad un pensiero intimamente connesso con la realtà, in grado di adeguarsi ad essa anche nelle situazioni pratiche della vita. L’altro pensiero, quello comune, non è allenato, non è formato. Il pensiero addestrato invece produce – in un certo senso come sottoprodotto dell’attività scientifico-spirituale – una trasformazione dell’uomo in individuo pragmatico nei confronti delle richieste che avanza la vita d’oggi.
Pertanto questa scienza dello spirito ha il diritto di affermare che gli esperti apparenti, illusori – come potrei definirli? fanfaroni, forse? – che hanno millantato di prevedere tutto ciò che sarebbe accaduto nella vita economica e in altri ambiti, e che hanno distrutto la vita nel modo che è sotto gli occhi di tutti, questi individui dovranno essere sostituiti da coloro i quali sanno come procede davvero la vita, poiché hanno imparato qualcosa sulla vita nella misura in cui essa riguarda il rapporto dell’uomo con l’universo.
A questo punto mi permetto di richiamare l’attenzione su un fatto che dopo tutto è documentabile. È stato all’inizio della primavera del 1914, quando a Vienna, il luogo da cui è partito il conflitto mondiale, ho detto a un piccolo gruppo di persone: ci troviamo all’interno di un’evoluzione sociale dell’Europa che ci indica come la vita pubblica soffra di una sorta di carcinoma sociale, di un cancro sociale, che prossimamente dovrà esplodere in maniera terribile.
Questo fu detto all’inizio della primavera del 1914! Poco dopo, uomini che si considerano degli esperti, come per esempio il ministro degli esteri tedesco e quello austriaco, hanno affermato, più o meno con le stesse parole, davanti ai loro parlamenti o delegazioni: la distensione politica generale sta facendo grandiosi progressi. Abbiamo rapporti di buon vicinato con la Russia e grazie a questi rapporti fra non molto entreremo in un’era di pace europea. In Germania si diceva: abbiamo delle trattative in corso con l’Inghilterra e, nonostante non siano ancora concluse, fanno sperare di poterlo essere a breve e che si possano instaurare relazioni pacifiche a lungo termine fra la Germania e l’Inghilterra.
Ecco che cosa hanno detto gli esperti nel maggio del 1914! L’altro invece, quello che ha detto che soffriamo di un carcinoma sociale, era il sognatore, il vaneggiatore, il “pazzo antroposofo”. Ma gli esperti, quelli a cui la gente ha dato retta, hanno detto le cose che vi ho appena citato. La loro “competenza” si è rivelata tale per cui negli anni seguenti sono state uccise dieci o dodici milioni di persone, e tre volte tante sono state mutilate. Negli ultimi cinque o sei anni si è visto come si sono realizzate le loro previsioni – come nell’ambito del monometallismo si sono visti in piccolo gli effetti delle misure introdotte da questi esperti fasulli, estranei alla vita reale.
Oggi di fronte alla civiltà umana, la scienza dello spirito afferma come sia necessario approfondire il suo contenuto per mettere in atto un pensiero che non sia solo logico, ma anche aderente alla realtà. Ho detto esplicitamente che non ritengo stupidi i monometallisti, ma che li considero persone il cui pensiero non è in grado di calarsi nella realtà, individui dal pensiero poco realistico. So che oggi sono in molti a non credere che ci si possa calare nella vita reale proprio grazie a un approfondimento spirituale!
È così che la scienza dello spirito si pone in rapporto allo spirito e al controspirito del nostro tempo.
Ma come si manifesta questo controspirito? Bene, è solo negli ultimi tre o quattro secoli che l’umanità ha conseguito l’intellettualismo. Essa infatti si è sviluppata a partire da una saggezza primigenia, istintiva e sognante, e che quindi doveva lasciare il passo all’intellettualità.
L’evoluzione intellettualistica è giunta ora però a un punto tale per cui è necessario che di nuovo ce ne allontaniamo per poter riconoscere lo spirito, cosa di cui il puro intelletto non sarà mai capace. Oggi tutto è estraneo alla realtà, anche la scienza, la medicina, la giurisprudenza, tutte le scienze, ad eccezione di quelle inorganiche e della tecnica, il loro braccio destro. Negli ultimi secoli si è dovuta sviluppare l’intellettualità.
Prima c’era una conoscenza istintiva e spirituale che per un po’ ha dovuto mettersi in disparte, ed ora è necessario che al suo posto subentri una nuova conoscenza spirituale.
Tuttavia portiamo in noi l’eredità di questa antica conoscenza spirituale, e una componente fondamentale di questa eredità è la nostra lingua, sono tutti i linguaggi della civiltà. Ciò che vive nella lingua non proviene dalla concezione del mondo entrata in vigore negli ultimi tre o quattro secoli. Se gli esseri umani non avessero già avuto le lingue, non sarebbero mai stati in grado di crearle a partire dall’attività animica che ha portato all’intellettualismo!
Le lingue sono un antico patrimonio, sono sorte in un’epoca in cui si aveva una comprensione, seppur istintiva, della realtà spirituale.
Che cosa sono diventate nell’era dell’intellettualismo? Sono diventate ciò che la nostra vita pubblica ha gradualmente reso una vuota fraseologia. Dato che abbiamo perso l’antico contenuto spirituale e sostanziale della parola, la nostra lingua vive nella frase fatta e ci tocca recuperare un contenuto sostanziale per le nostre lingue attraverso un approfondimento spirituale.
La frase fatta però è sorella della menzogna. Chiedetevi spassionatamente in che modo la menzogna abbia compiuto nel mondo la sua marcia trionfale in questi ultimi cinque o sei anni, nell’era delle frasi fatte! La nostra vita culturale si svolge all’insegna delle frasi fatte. Ecco il principio contrario allo spirito nella vita culturale attuale: la vuota retorica!
Potremo uscire dalla vuota retorica, da questa prima componente del controspirito, solo se sapremo riempirci di nuovo con una scienza dello spirito. Se tenderemo al contenuto spirituale, alla sostanza spirituale, i contenuti spirituali riprenderanno a risuonare nelle nostre parole. Oggi l’uomo dice parole su parole perché ha perduto il contenuto spirituale del linguaggio.
Questo è il primo punto che viene sottolineato dalla scienza dello spirito, per quanto riguarda la triarticolazione dell’organismo sociale: il fatto che la vita culturale sia dominata dalla vuota retorica e che si debba cercare una via – di cui avremo modo di parlare nei prossimi giorni – per ridare alle nostre parole un contenuto sostanziale attinto dalla vita spirituale. È questo il primo compito che ci spetta per vincere il controspirito del nostro tempo.
Il secondo consiste in questo: è emerso chiaramente che questi tempi nuovi sono del tutto sotto l’influsso dell’impulso che vuole sviluppare una vita democratica, veramente democratica. Gli esseri umani sono stati afferrati da questo impulso come il singolo individuo viene colto dalla maturità sessuale o da altre scadenze della vita. Dalla metà del quindicesimo secolo il richiamo della democrazia, della vera democrazia, ha preso sempre più piede nel mondo civile. Ma che cos’è la vera democrazia?
Se intesa onestamente, la democrazia è una convivenza umana tale per cui nell’organismo sociale ogni maggiorenne gode degli stessi diritti di tutti gli altri maggiorenni. Non è una cosa che si può realizzare in riferimento alla vita culturale, giacché in quest’ambito contano i talenti, le capacità. La vita culturale va tenuta separata, deve avere un campo suo proprio. La democrazia può riguardare solo la vita politica.
Ma che cosa è diventata la vita politica? È pur vero che c’è l’impulso a costruire la democrazia, ma esso viene ostacolato dappertutto in quanto subisce l’influsso del controspirito – e cos’è diventata questa vita? Invece di una convivenza equa e giusta, invece di una vera vita giuridica scaturita dall’interiorità dell’uomo, è nata una vita piena di convenzioni!
Come nella vita culturale viviamo di vuota retorica, così in quella giuridica viviamo di convenzioni, di ciò che è stabilito in base ai paragrafi, qualcosa a cui l’uomo non appartiene ma a cui ubbidisce, dato che è stato fissato convenzionalmente da un potere assoluto o da una democrazia.
La seconda cosa che la scienza dello spirito vuole ottenere relativamente alla triarticolazione dell’organismo sociale è fondare una vera democrazia nell’ambito in cui essa può esistere, così che le vuote convenzioni vengano sostituite da ciò che deve nascere dal più profondo della natura umana, da individui maggiorenni dotati degli stessi diritti.
E in un terzo ambito, quello della vita economica, al posto dell’unità imprenditoriale che conosce solo calcoli astratti e statistiche, dobbiamo mettere un fondato giudizio economico che si formerà nel modo che vi esporrò nei prossimi giorni – ma che potete trovare anche nel mio libro I punti essenziali della questione sociale. Questo modo di valutare l’economia è sorto per far fronte al controspirito dei tempi moderni.
L’uomo è diventato abitudinario invece che un esperto di economia, un abitudinario che si muove nel tessuto in cui si è venuto a trovare per nascita o per altri eventi della vita. L’uomo non è un esperto pratico in fatto di vita economica, ma un abitudinario spinto dall’istinto privo di spirito.
Viviamo così sotto il dominio della retorica, delle convenzioni, della routine, e non ne usciremo se non riempiremo la vita culturale, quella giuridica e quella economica con il senso della realtà, con il senso dello spirito, che possiamo acquisire esercitando la scienza dello spirito.
Bene, oggi gli uomini tendono ancora ad ignorare queste cose. Riguardo a ciò che può mostrar loro le cose più importanti della vita pratica spesso gli uomini si fermano alla convinzione che si tratti di fantasticherie, fantasie e via di seguito. Sì, gli uomini sono fatti così.
Negli anni settanta del secolo scorso qui in Svizzera è vissuto un uomo di nome Johannes Scherr. Sotto molti aspetti era un brontolone, ha riversato la sua critica mordace su tutto ciò che ha potuto, proprio come un vero brontolone. Ma nel suo strepitare c’è spesso un sano giudizio. In base a una certa intuizione questo Johannes Scherr ha detto a proposito di ciò che vedeva nella sua epoca: se le cose vanno avanti così, se nella conoscenza gli uomini correranno solo dietro al materialismo, se nella vita sociale e politica perseguiranno solo un’economia finanziaria, quale sta esplodendo, dove ognuno prende in considerazione soltanto i propri interessi finanziari o industriali, cedendo al proprio egoismo – se perdurerà questa tendenza, allora verrà il momento in cui l’uomo dovrà dire: ha vinto il controsenso!
Vorrei sapere chi negli ultimi anni, e anche adesso – dovendo prendere imparzialmente posizione di fronte a ciò che è accaduto e ancora accade nel mondo, vedendo come tutto il mondo civile si opponga a tutto ciò che potrebbe solo essere utile all’umanità, vedendo come ci si è ficcati in queste condizioni portando all’assurdo la civiltà presente – vorrei sapere chi abbia potuto non dirsi: ora è giunto il tempo in cui non si dovrebbe affermare con Johannes Scherr che ha vinto il controsenso, bensì che il controsenso ha determinato i fatti stessi!
Tratterò il resto più approfonditamente nei prossimi giorni. Oggi mi interessava dirvi, a mo’ di introduzione, che la scienza dello spirito a orientamento antroposofico di cui stiamo parlando non intende prender parte alla creazione di uno stato di cose in cui ci si debba dire sempre di più che ha vinto il controsenso, bensì alla creazione di una condizione in cui, conoscendo davvero l’uomo nella sua profondità, ci si debba dire: è possibile ridare senso alla vita, un senso costruttivo. È a questo che la scienza dello spirito desidera lavorare.
Ed essa ricava la propria forza dalla convinzione – che è ben più di una semplice fede – che dovrà giungere il tempo in cui il controspirito della retorica, della convenzione e della routine dovrà essere vinto dallo spirito che, mosso da una conoscenza più profonda, riprenda a parlare del senso della vita. La scienza dello spirito non può che esser convinta che solo lo spirito, e non il suo opposto, possa condurre gli esseri umani ad un benefico sviluppo della loro vita.
Per questo, di fronte ai bisogni del presente, la scienza dello spirito deve far appello con la massima intensità possibile allo spirito e alla sua vera conoscenza.
Seconda conferenza
L’anima e il valore morale dell’uomo
alla luce della scienza dello spirito
Basilea, 5 maggio 1920
Nella conferenza di ieri ho già richiamato la vostra attenzione su come, sotto l’influsso della recente concezione del mondo determinata dalle scienze naturali, nell’umanità sia sorta una certa insicurezza relativamente alla domanda: in che posizione stanno gli eventi del mondo rispetto alla validità, al significato dei valori umani morali?
La visione naturalistica ha portato sempre più a credere che tutti gli avvenimenti che si verificano nel mondo sottostiano alla necessità di natura, finendo per annoverare in queste leggi di natura solo e tutto ciò che in fin dei conti non ha niente a che vedere con l’uomo in quanto essere morale.
E così abbiamo visto sorgere – in maniera evidente a partire dalla metà del diciannovesimo secolo – una concezione del mondo naturalistica, costituita dai vari risultati del pensiero naturalistico, che a proposito del nostro pianeta dice pressappoco così: la Terra fa parte di un sistema generale, del nostro sistema solare, ed ha avuto origine con esso da una specie di stato di nebbia primordiale, addensandosi e separandosi nel corso del tempo. Dopo di che sono nati gli esseri del regno minerale, vegetale e animale, e grazie al perfezionamento della forma animale ha fatto la sua comparsa anche l’uomo.
Col proseguire del determinismo di natura che ha condotto il corso del mondo fin qui, alla sua forma attuale, questa Terra che oggi è popolata dagli esseri umani sarà un giorno priva di uomini, di animali e di piante, e sparirà di nuovo all’interno del processo universale generale.
Certamente chi sente con forza come oggi le scienze naturali rappresentino un’autorità per l’uomo non dubiterà del fatto che questa concezione del mondo abbia un certo significato esclusivo. Oh sì, fra le persone colte del giorno d’oggi ve ne saranno molte che sosterranno tassativamente che chi non vuole far sua questa concezione fa una brutta figura.
E tuttavia fra questi che fanno brutta figura ve ne sono alcuni le cui voci pesano non poco. Già durante le mie precedenti conferenze ho richiamato la vostra attenzione su come l’arguto studioso d’arte Herman Grimm, nel suo libro su Goethe, abbia fatto notare quanto poco questa concezione materialistica possa corrispondere alla sensibilità primigenia ed elementare dell’uomo. Egli afferma addirittura che la vista di un osso attorno al quale gira un cane affamato è più avvincente di una tale concezione del mondo. Quando in futuro verrà scritta la storia dell’umanità, sarà alquanto difficile spiegare la follia dell’epoca che ha portato a questa teoria kantiano-laplaciana.
Certo, una cosa del genere oggi viene vista come incompetenza, dilettantismo e così via. Ciò che viene accertato a livello delle scienze naturali si gonfia in un certo senso fino a presentarsi come visione complessiva del mondo, per poi imporsi agli uomini.
E noi siamo sul punto di chiederci: come si pone di fronte ad una simile concezione del mondo, che in un certo senso reclama l’esclusiva, quella voce pur chiara che è nell’interiorità dell’uomo, la voce degli ideali morali, della coscienza, quella che ci esorta a compiere una cosa e a non farne un’altra, la voce che ci dice cosa è bene e cosa è male? Come si inserisce la vita morale in questa concezione del mondo?
Ho conosciuto molte persone che ritengono questa vita morale una specie di fumo passeggero – più precisamente l’illusione di un fumo che esala dagli eventi di natura, colmando illusoriamente l’uomo per un certo periodo, per poi svanire per sempre.
E onestamente, dopo che l’uomo nel corso di milioni di anni si è evoluto a partire da forme animali inferiori, come si potrebbe evitare di pensare che quanto nasce nella sua testa, quanto sorge nella sua mente sotto forma di ideali, finirà per svanire senza lasciare traccia, quando la Terra ritornerà a dissolversi nell’evoluzione generale dell’universo? Il fatto che gli uomini si siano prefissi degli ideali morali, che abbiano agito sotto l’influsso di questi ideali, sarebbe stata una cosa del tutto passeggera. Tutti questi ideali morali non sarebbero altro che bolle di sapone illusorie, in base alle quali gli uomini hanno organizzato la propria vita, ma prive di conseguenze per l’evoluzione del mondo.
So bene come anche da parte materialistica vengano a tutt’oggi sollevate obiezioni contro le conseguenze ultime di questa concezione del mondo. Ma c’è qualcosa che va pur affrontato di fronte alle obiezioni fatte dai materialisti di oggi, quando si dice loro: la vostra concezione del mondo, quella concezione che avete semplicemente ricavato dalle scienze naturali, non fa altro che trasformare il valore morale dell’uomo in una bolla illusoria.
Diamo un’occhiata all’epoca in cui la concezione del mondo materialistica ha fatto il suo ingresso con grande vigore e passione nel mondo civile. Era all’incirca la metà del diciannovesimo secolo quando i materialisti, non in modo così indolente e incoerente come oggi, ma con profondo entusiasmo, hanno stabilito come si debba pensare a proposito dei valori morali, in base all’assunto che tutto sia organizzato secondo quel che vogliono la fisica, la chimica e la biologia. Intendo fornirvi alcune prove di quanto ho appena detto, prove di cui oggi forse non si è più al corrente a sufficienza.
Vedete, all’epoca in cui il materialismo ha attraversato nella sua età giovanile la civiltà europea, viveva uno storiografo di nome Hellwald. Costui ha scritto una storia della civiltà dal punto di vista della concezione del mondo naturalistica. Mentre traeva le vere e oneste conclusioni di questa concezione naturalistica si è detto: gli ideali morali, le idee morali dell’uomo in genere, non sono che illusioni! Com’è possibile immaginarsi una qualsiasi legittimazione oggettiva delle idee morali, stando agli avvenimenti deterministici da cui partono la chimica e la fisica?
Però gli uomini hanno sempre avuto idee morali, e lo storiografo Friedrich von Hellwald sostiene che ciò debba essere spiegato con le scienze naturali. Inizialmente parla degli ideali morali da un punto di vista puramente scientifico, che all’epoca era quello delle scienze naturali. Vorrei esibire come prova questo modo di esprimersi.
Hellwald dice: è compito della scienza distruggere tutti gli ideali, dimostrarne l’inconsistenza, la nullità, provare che la fede in Dio e la religione sono un’illusione, che la moralità, l’amore, la libertà e il diritto dell’uomo sono menzogne.
Vedete, così si parlava quando si credeva che la causalità con cui operano le forze di natura fosse l’unica realtà del mondo, all’epoca in cui questa idea era appena entrata nei cuori, in cui queste cose non venivano affrontate con freddezza e incoerenza.
Ma lo stesso storico si chiede come mai gli uomini si siano inventati questi ideali privi di realtà, dato che la scienza ne prova l’inconsistenza. E a questa domanda Hellwald risponde: è perché gli uomini ne avevano bisogno, ne avevano bisogno nella lotta per l’esistenza! Chi ha delle illusioni morali, chi crede all’inganno degli ideali morali o degli ideali di verità, si difende meglio nella lotta per l’esistenza di chi non crede a queste illusioni. Questo è il motivo per cui si formano queste bolle, per questa ragione ci si è appropriati di questi ideali morali: essi sono stati strumenti adatti nella lotta per l’esistenza.
Questa era la coerenza che c’era nell’ultimo terzo del diciannovesimo secolo! È qualcosa che rosicchia anche oggi nelle anime, ma queste non sono più così coerenti come quelle degli uomini di quei tempi, e pertanto le anime d’oggi non ammettono che la coerenza fa dire: o accetto la visione kantiano-laplaciana della natura, o un’altra analoga, e allora devo dichiarare che gli ideali morali sono delle illusioni e delle menzogne, oppure devo annullare tutto ciò che è pura e semplice concezione naturalistica del mondo.
Sì, a quei tempi gli uomini erano più coerenti. Voglio leggervi qualcosa che lo comprova: una signora ha scritto a Moleschott, uno che ha contribuito in maniera determinante alla formazione della concezione del mondo di quell’epoca. Questa signora ha espresso nel modo seguente la propria opinione a proposito del valore morale umano: “L’unità di misura della moralità di ogni uomo risiede esclusivamente nella sua natura ed è quindi diversa per ognuno. Cosa sono di per sé le dissolutezze e le passioni? Nient’altro che un eccesso più o meno grande di un impulso pienamente legittimo”. La signora prosegue poi scrivendo: “Amo il genere umano così com’è, e la Sua dottrina – si riferisce all’insegnamento di Moleschott – mi ha insegnato a rispettare persino il ladro e l’assassino e a riconoscerne i diritti umani. Nell’ambito delle inclinazioni umane ha piena giustificazione tutto ciò che compie il ladro non meno del commerciante; nell’uno e nell’altro caso il movente sono l’astuzia e la scaltrezza legate all’istinto di acquisizione – solo con forze spirituali diverse. Tutto ciò che viene all’esistenza si è conquistato il diritto di esistere proprio in virtù di questo ingresso. Per questo devo dichiararlo ancora una volta: anche l’uomo nato per esser ladro ha portato con sé il diritto di sviluppare sotto tutti gli aspetti la propria natura, e può essere una natura robusta e morale solo in quanto ladro. E ciò che vale per il ladro vale anche per ogni altro vizio, anche per chi è nato assassino. Costui può portare a compimento la propria umanità solo soddisfacendo la propria avidità di omicidio”.
Miei cari ascoltatori! Non si tratta di una rivoluzionaria, ma di una brava signora dalle idee borghesi, che però prendeva davvero sul serio quella concezione del mondo che a quell’epoca era al suo esordio e che anche oggi in fondo è dominante, ma non presa abbastanza sul serio. Se oggi, a proposito della concezione naturalistica, la pensiamo come la maggior parte degli uomini, allora anche per quanto riguarda il valore morale dell’uomo dobbiamo pensarla come quella signora. Era un obbligo interiore profondo quello sentito da una personalità di tal genere, l’obbligo di ammettere ciò a cui ho accennato e che in definitiva porta al dissolvimento di ogni ricerca della verità, alla distruzione di tutti gli ideali, e a non aver nessun appiglio che consenta di ancorare in qualche modo nella concretezza del mondo il valore morale umano.
Vi ho letto queste prove, e ve ne potrei portare molte altre, affinché vediate come è stato possibile che ciò che oggi attraversa l’Europa si sia conquistato un posto nell’animo umano.
C’è da meravigliarsi se oggi l’Europa è attraversata da quello stato d’animo che ben conoscete, se esso è nato proprio nelle persone che pensavano e sentivano in modo coerente, quelle persone che intorno alla metà del diciannovesimo secolo e all’inizio dell’ultimo terzo del diciannovesimo secolo hanno adottato questa concezione del mondo?
In effetti l’uomo d’oggi, abituato alle mezze misure, non ammette che dovrebbe pensare così a proposito del valore morale umano – a meno che non riveda la sua concezione del mondo, quella che gli viene presentata da coloro i quali creano una visione del mondo naturalistica.
È questa la gravità di tutte le domande che sorgono quando si cerca una rifondazione della nostra concezione del mondo.
È questo che grava in maniera così pesante sull’anima di quelli che nella scienza dello spirito, di cui vi ho parlato anche ieri, vedono qualcosa che deve necessariamente inserirsi nell’attuale andamento dell’evoluzione umana e in quello futuro. Solo da questo ci si può aspettare che il valore morale trovi un fondamento – e davvero –, e che la concezione naturalistica stessa venga fecondata dalla scienza dello spirito, dalla conoscenza di ciò che è spirituale.
Ci basterà riflettere su alcune delle cose, a cui ho accennato ieri, per renderci conto con la massima profondità di come l’uomo non possa conoscere il mondo se prima non si è chiarito le idee su se stesso. Potremo comprendere i processi del mondo esterno nella loro vera essenza solo studiandoli a partire dall’essere dell’anima.
Ricordiamoci allora di come la scienza dello spirito di cui parliamo cerchi i propri metodi, le proprie conoscenze spirituali, per mezzo dell’evoluzione animica, come abbiamo visto ieri. E ancora una volta desidero richiamare brevemente la vostra attenzione su ciò che si sviluppa all’interno dell’anima umana, come questa entità animica dell’uomo si evolva al di là di quello che si verifica nella vita e nella scienza normali, per poter fare l’esperienza del mondo spirituale.
Ho fatto notare come avviene lo sviluppo della testa, come nel bambino che fa il suo ingresso nel mondo vediamo l’elemento animico-spirituale premere per affiorare in superficie di giorno in giorno, di anno in anno. Vediamo come i lineamenti del viso infantile si facciano sempre più animici, sempre più spirituali, come dentro di lui sia all’opera qualcosa che rende sempre più plastica la superficie dell’essere umano. Forse noi ne abbiamo appena il sentore, ma un’osservazione priva di pregiudizi, capace di penetrare più a fondo nelle cose, intuisce che ciò che, per così dire, si manifesta nei tratti del viso si estende a tutto l’organismo del bambino.
Ieri vi ho fatto notare come l’espressione più intensa di quanto avviene per mezzo di questa modellazione plastica del corpo umano da parte dell’elemento animico-spirituale sia la comparsa dei denti permanenti, che spuntano al posto di quelli di latte. Nella formazione di questi denti permanenti vediamo nel modo più accentuato e appariscente come l’organismo umano tenda ad indurirsi nei primi sette anni di vita.
Poi, una volta che al bambino son spuntati i denti, le idee prendono forma, possono diventare ricordi durevoli, assumono dei contorni definiti. Il cambio dei denti si verifica in quel momento dell’esistenza umana in cui le forze, che sono state attive fino al settimo anno d’età, hanno in un certo senso portato a termine il loro compito. Allora quelle forze che hanno agito nell’organismo fino alla seconda dentizione vengono liberate, si mostrano nella loro forma animico-spirituale e cominciano ad operare nella facoltà umana del ricordare, del pensare.
Lo stesso elemento con cui pensiamo e formiamo i nostri ricordi ha lavorato nel nostro organismo fino ai sette anni, plasmandolo. Ciò ha fatto sì che dalla totalità della sostanza organica umana si sia separata la sostanza dentaria – se mi permettete di accennarlo aforisticamente, altrimenti per spiegare l’intera faccenda dovrei tenere varie conferenze sulla seconda dentizione.
Vedete, questa è solo una piccola prova, ma tale che dimostra come la scienza dello spirito non intenda restare nelle nuvole, come non si perda in una nebbia mistica, ma come invece rimandi alla conoscenza della realtà, mostrando quanto di animico-spirituale agisca sull’organismo umano nei primi sette anni.
È questa scienza dello spirito che ci insegna a conoscere l’organismo umano! Il materialismo è destinato a non poter conoscere la materia, a non essere in grado di dirci niente su di essa.
La scienza dello spirito ci dice sulla materia cose come quelle a cui vi ho accennato a proposito dell’attività sull’organismo umano, fino al settimo anno, di quello che in seguito diventerà movimento di pensiero. Se potessimo occuparci dei dettagli concreti vedremmo come l’elemento animico-spirituale opera sui vari organi del corpo umano, come fegato, polmoni, reni ecc.
La scienza dello spirito fornirà la vera conoscenza dei processi materiali proprio perché è in grado di spiegarli a partire dallo spirito.
Se come ricercatori spirituali si continua a seguire quel metodo che consente di penetrare nel mondo spirituale, allora occorre usare la meditazione – come vi ho accennato ieri – per far evolvere ulteriormente ciò che a sette anni si è emancipato come attività di pensiero, come attività di immaginazione.
Allora è necessario lavorare nel pensiero così intensamente come il pensiero lavora durante i primi sette anni, quando il suo compito non è semplicemente quello di evocare pensieri alla coscienza, ma quando la forza pensante lavora così fortemente nell’organismo che finisce per far sì che si formino i denti.
Se per mezzo della meditazione ci inseriamo in un’attività di pensiero e d’immaginazione rafforzata, ci accorgiamo della differenza che esiste fra questo pensare e quello umano ordinario. Il primo ci introduce direttamente nella contemplazione del mondo spirituale e ci fa capire immediatamente come attraverso la nascita l’uomo sia disceso all’esistenza fisica da un livello animico-spirituale. In tal modo possiamo mettere a confronto ciò che raggiungiamo per così dire artificialmente, tramite la meditazione, con il nostro pensare quotidiano.
Veniamo così a capire in che cosa consiste il pensiero umano ordinario, quello che l’uomo esercita nella vita quotidiana e nella scienza comune. Gli uomini esercitano questo tipo di pensiero ma non sanno in che cosa consista realmente.
Lo si impara solo se a questo pensiero si accosta quello libero dal corpo, quello non legato al cervello, che si svolge nel puro animico-spirituale, nel mondo eterico, e che si può acquisire solo attraverso la meditazione. Solo allora si ha la possibilità di fare un confronto, solo allora si può paragonare il pensiero ordinario dell’uomo con questo pensiero libero dal corpo. È importante poterlo fare, perché solo allora può esserci una vera scienza riguardo all’importanza dell’anima umana.
Vedete, è straordinariamente importante l’esperienza che si fa quando si è giunti al punto di cogliere il pensiero nella sua condizione incorporea e di poterlo paragonare a quello che è il pensiero ordinario, dipendente dal cervello. In relazione al pensiero si capisce anche la differenza fra uomo e animale. Su questa differenza fra uomo e animale sono state raccontate molte favole, proprio dalla scienza moderna. Ma capire in che cosa consiste questa differenza è possibile solo mediante il confronto di cui vi ho appena parlato.
E quando ci si chiede: ma allora come nasce il pensiero ordinario in opposizione a quello libero dal corpo, direttamente collegato all’esistenza animica dell’uomo e avente luogo in ambito puramente animico-spirituale? Allora ci si può chiedere in che cosa consista il pensiero ordinario, guardandolo dal punto di vista di questo pensiero libero dal corpo.
Il pensiero ordinario è senz’altro legato al cervello. Ci dev’essere qualcosa nell’organizzazione nervosa che permette lo sviluppo di questo pensiero ordinario. L’altro pensiero invece, quello libero dal corpo, conseguibile mediante la meditazione, non ha bisogno di questo strumento nervoso. L’uomo possiede questo strumento nervoso solo perché in lui l’organismo non viene spinto avanti come nell’animale.
L’animale si spinge per così dire fino a un certo punto con la sua organizzazione animale, si indurisce fino a un certo punto. All’inizio della vita l’uomo non si spinge così avanti, come fa l’animale, nell’indurimento, nell’ossificazione, nella sclerotizzazione della vita dell’anima.
L’uomo sviluppa lo stesso indurimento nel corso della vita, poiché ciò che nell’indurimento dell’organismo si manifesta con la seconda dentizione prosegue anche nel pensiero ordinario, solo che non vengono più prodotti dei denti, ma delle forme più tenui, i pensieri, che subito si dissolvono.
Ma questo pensiero ordinario consiste appunto nel fatto che l’uomo, in un processo ininterrotto, fa morire tutto ciò che sorge in lui come vita in germoglio. Avviene che in noi il pensiero – che ha una realtà anteriore ai denti come parti morte – erompe temporaneamente dall’organismo e che questo gettarsi nella sclerotizzazione, nell’ossificazione, si ridissolve poi sempre di nuovo. Il pensiero consiste appunto nel fatto che, in relazione al nostro sistema della testa, al nostro sistema neuro-sensoriale, portiamo costantemente in noi la morte.
L’ho già fatto notare in altre circostanze: il nostro pensiero consiste nel compiere per attività interiore propria, durante tutto il tempo della vita, ciò a cui l’animale tende fin dall’inizio: il processo di sclerotizzazione, di ossificazione, il processo di morte che introduciamo nel nostro organismo.
Dal punto di vista del pensiero libero dal corpo, che si è conquistato grazie alla meditazione, si può osservare questo costante morire senza il quale il pensiero ordinario dell’uomo non può aver luogo. E questo morire viene costantemente bilanciato dal fatto che dalla restante organizzazione, quella sanguigno-cardiaca e metabolica, sorgono nella testa che tende alla morte delle forze vivificanti. Nell’uomo, proprio perché è un pensatore, avviene una lotta continua fra vita e morte.
E quello che compare alla fine della vita fisica, il momento singolo della morte, non è altro che il riepilogo sintetico di ciò che in piccolo avviene sempre.
La nostra organizzazione neuro-sensoriale ci fa continuamente morire, ma questa morte viene costantemente annullata. È solo quando l’organismo rimanente, non solo quello della testa, non ha più la capacità di annullare la morte che moriamo davvero. La morte non è qualcosa che si accosta all’uomo una volta sola, bensì è un processo costante.
È a questa morte che dobbiamo il pensiero. Da un lato questo pensiero è presente in noi grazie al fatto che con l’attività del pensare incorporiamo in noi la morte, e dall’altro impariamo di riflesso a conoscere anche la realtà sostanziale della morte.
Una volta formato il pensiero libero dal corpo, quello esercitato attraverso la meditazione, si può vedere dapprima come l’altro tipo di pensiero mineralizzi e fossilizzi in continuazione la sostanza organica umana, e si viene così a conoscere il processo di mineralizzazione. Nel momento in cui si impara a conoscere nell’uomo un elemento minerale come puro prodotto del pensiero, elemento che riempie l’uomo di morte, si ha conoscenza del regno minerale dentro di sé.
Poi, a mano a mano che solleviamo in noi stessi il pensiero al di sopra della tomba della morte e lo facciamo rinascere dentro di noi, a mano a mano che sentiamo che qualcosa deve morire in noi per dare origine ai pensieri, veniamo a conoscere anche il mistero dell’universo. Impariamo a capire il vero significato del regno minerale che è là fuori. Veniamo a conoscere questo regno minerale del mondo extraumano grazie alla conoscenza del regno minerale in quanto legato al pensiero dentro l’uomo stesso.
La vera conoscenza del mondo avviene solo attraverso l’intima conoscenza dell’uomo.
E vedendo come qualcosa muoia nell’uomo, ci si sottrae a quel pregiudizio che si è insinuato nel XIX secolo ed è rimasto fino ai giorni nostri quello più radicato e profondo.
L’uomo, quasi schiavo di una vera e propria suggestione, ha osservato con fissazione il mondo minerale e la sua causalità. Dentro di sé non conosceva nulla di ciò che gli avrebbe potuto far capire l’essenza di quel mondo minerale. Non poteva dirsi altro che questo mondo doveva essere un tempo la nebbia universale, la nebbia primordiale kantiano-laplaciana; da lì hanno avuto origine il sistema planetario e la Terra, da lì si è sviluppato tutto il resto, e così continuerà per sempre ad essere. Questo divenire, questa evoluzione per causalità, è qualcosa di eterno in cui i valori umani morali sono bolle di sapone, fatte solo di illusioni.
Se si fa la conoscenza di questo regno minerale scoprendolo dentro di sé, se ne capisce l’essenza anche nel mondo esterno. Si vede dentro di sé come il regno minerale sia un continuo morire, e si smette di costruirsi la concezione del mondo esterno nel modo vecchio, convincendosi che questa concezione si è formata sotto il pregiudizio della scienza.
Abbiamo già notato quanto ingegnosamente sia costruita: potremmo osservare per cinque anni la trasformazione del cuore umano e constatare che oggi esso è qualcosa di diverso da cinque anni fa. Potremmo osservarlo per altri cinque anni e poi calcolare come sarà fra trecento anni. Il cuore non ci sarà più, ma il calcolo può essere molto assennato e preciso.
È così che i geologi e gli astronomi calcolano come sarà la situazione sulla Terra fra milioni di anni. Solo che questa Terra non ci sarà più, esattamente come l’uomo in quanto essere fisico non ci sarà più fra trecento anni. E come trecento anni fa non c’era ancora il cuore di oggi, così la Terra non esisteva al tempo a cui i geologi applicano i loro calcoli!
Di questo ci rendiamo conto quando impariamo a conoscere la natura del regno minerale dentro l’essere umano, seguendo il percorso che vi ho indicato. Allora, una volta conosciuta in questo modo la natura del regno minerale, si viene a sapere che esso scompare dalla Terra senza che questa termini di esistere, come nell’uomo con la morte ha fine ciò che in lui si è ossificato, senza che per questo abbia fine tutto l’essere umano animico-spirituale.
E poi: come è possibile far evolvere il pensiero mediante la meditazione, così è possibile far progredire anche il sentimento.
Come è possibile rendere in un certo modo “chiaroveggente” il pensiero, così si può rendere “chiarosenziente” il sentimento umano, in modo da poter accedere al mondo spirituale grazie ad esso.
E come facciamo la conoscenza del regno minerale grazie al pensare, nella maniera che vi ho appena descritto, così grazie al fatto che il sentire si libera dal corpo consentendoci di osservare il sentimento ordinario in quanto legato al sistema ghiandolare, veniamo a conoscere che il sentimento ordinario è legato ad un processo dell’organismo simile al processo vegetale del mondo esterno. In questo modo veniamo a conoscere anche la natura del processo vegetale nel mondo fuori dell’uomo.
E – cosa che all’uomo d’oggi appare paradossale – si viene così a sapere che il regno vegetale ha un’esistenza più lunga di quello minerale, e che è anche più antico.
L’uomo d’oggi non sa immaginarsi altro se non che il regno vegetale cresca sulla base di quello minerale. Farebbe invece meglio a osservare come dal regno vegetale “cresca” nel carbon fossile qualcosa di nettamente minerale! Partendo da lì potrebbe vedere come tutti i minerali oggi esistenti siano una secrezione, un prodotto di un mondo vegetale originario, e come tutto ciò che è vegetale abbia un’esistenza più lunga di ciò che è minerale.
Come il pensiero e il sentimento, così anche la volontà può essere resa libera dal corpo. E una volta conseguita questa volontà indipendente dal corpo – vi ho detto ieri come la si ottiene, con un’autoeducazione pertinente e intensa, col dominio di sé, con l’autodisciplina – si arriva a conoscere quella particolare realtà dell’uomo che è affine al regno animale.
A quel punto si viene a conoscere anche la natura di questo regno animale, ma anche come il regno vegetale sia a sua volta un’emanazione di quello animale, e come quest’ultimo sia più antico di quello vegetale, come abbia emanato il regno vegetale e come durerà più a lungo, in quanto il regno vegetale scomparirà prima di quello animale. Ovviamente non perdurerà nelle forme animali fisiche odierne, ma nelle entità animali sovrasensibili incarnatesi in questo regno fisico.
E solo alla fine di tutto ciò si può avere una conoscenza vera del mondo dell’uomo. È una conoscenza che ci fa dire: è l’uomo ad essere cresciuto al di là di tutti questi regni, poiché, come il regno vegetale ha emanato quello minerale e il regno animale ha emanato quello vegetale, così l’uomo ha emanato da se stesso l’animale. L’uomo è allora anteriore al regno animale e durerà più a lungo di esso.
Dapprima si estinguerà il regno minerale, poi quello vegetale e infine quello animale. Allora resterà quella parte dell’uomo che avremo conosciuto osservando ciò che è sorto dalla morte dell’elemento minerale, dalla morte dell’elemento vegetale e dalla morte dell’elemento animale, quando questi tre regni saranno svaniti.
Che cosa sorgerà allora dalla nostra Terra, dall’esistenza della nostra Terra?
Chi ha conoscenza dell’essere umano lo viene a sapere già da ora. Egli vede infatti come il pensare, i pensieri – e gli ideali morali sono pensieri – sorgano dalla tomba di quella parte che si ossifica nel nostro organismo.
Alla fine resterà solo ciò che l’uomo ha creato. Quando tutto ciò che appartiene al regno minerale, vegetale e animale sarà scomparso, proprio da questa triplice morte sorgerà ciò che l’uomo ha prodotto, vincendo in sé questi tre regni.
E possiamo capire che ciò che oggi formiamo come ideali morali nei nostri pensieri è come il seme da cui si forma un nuovo mondo, quando tutto ciò che è presente nei tre regni attuali – minerale, vegetale e animale – sarà scomparso.
D’ora in poi ci rapportiamo al mondo come ci è dato di fare quando ci raffiguriamo l’evoluzione della pianta: essa cresce, foglia dopo foglia, ma è già predisposto in essa il piccolo seme che si trasformerà in una nuova pianta. Il fogliame vecchio cade dalla pianta non meno dei petali: tutto ciò non conta più per l’evoluzione ulteriore.
Noi siamo al mondo in quanto uomini. Vediamo come dentro di noi già oggi accade ciò che un giorno avverrà nell’evoluzione della Terra.
Vediamo come in noi si forma un regno minerale per il fatto che pensiamo, come in noi si forma un regno vegetale perché pensando sentiamo, e come in noi si forma un regno animale in quanto pensando vogliamo. Su tutta la natura trionfa quanto si crea in noi in forma di pensiero, sentimento e volontà: in questo mondo si trova il seme. Dobbiamo solo trovare il modo di capire che tutto ciò da cui si sviluppa questo seme decade, come i petali e le foglie, e che da quello si trae il seme di un nuovo mondo.
Il nemico di questa presa di coscienza è sorto nel XIX secolo, quando si riusciva solo ad immaginare che gli eventi del regno minerale racchiudessero in sé una sostanzialità che resta eternamente costante. Si parlava di costanza della materia, dell’energia. Nel momento in cui si sono imposti questi dogmi, il minerale è diventato un qualcosa. Da allora non ci si è più resi conto che questo elemento minerale è destinato alla morte, come pure l’elemento vegetale e quello animale – e che dalla loro tomba non si solleverà un nulla, bensì ciò che noi esseri umani portiamo oggi nella nostra interiorità.
Sì, questa Terra si dissolverà, e con lei tutto ciò che fa parte dei suoi tre regni. Ma ciò che costruiamo già oggi dentro di noi, dandogli valore di ideale morale umano, rappresenta il germe di una Nuova Terra, il seme di una nuova esistenza planetaria!
Non ci riferiamo allora più al valore morale umano affermando che è una bolla di sapone illusoria, poiché ci rendiamo conto che tutto ciò che ci sta intorno muore sulla Terra, come le foglie cadono dalle piante, mentre quel che portiamo in noi come valore morale umano si sviluppa oltre come un germoglio nuovo.
Dobbiamo solo superare certe idee, come il pregiudizio della costanza della materia, della costanza dell’energia, questi terribili dogmi che le scienze naturali hanno introdotto nel diciannovesimo secolo, dato che non avevano idea di cosa può imparare l’uomo quando s’innalza alla conoscenza dello spirito e sperimenta dentro di sé, a livello microcosmico e umano, la morte del regno minerale su cui trionfa il pensiero, il quale può svilupparsi solo se noi moriamo costantemente, proprio come il nuovo seme della pianta può germogliare e trionfare solo quando le vecchie foglie muoiono.
La nostra natura morale, il nostro valore morale in quanto uomini, trionfa su ciò che perisce negli altri regni e in quelle parti di noi che appartengono a quei regni.
Vediamo allora come l’idealità morale trovi il suo posto nelle scienze naturali. Vediamo come la concezione del mondo naturalistica abbia a che fare con la parte caduca del mondo, mentre la visione morale ha a che fare con ciò che nel mondo che muore risorge come germoglio di un mondo nuovo.
Allora nasce in noi la coscienza di lavorare al seme di un mondo futuro quando costruiamo un mondo morale fatto di ideali. Allora il valore morale umano viene messo sullo stesso piano degli eventi naturali.
Gli eventi naturali vengono risospinti nei loro confini, nei limiti di quell’osservazione della natura che giunge ai propri risultati portando gli esseri umani nelle cliniche per esaminarne il cadavere. Le scienze naturali analizzano e studiano ciò che muore, ottengono quindi conoscenze solo sui processi di morte. Ma quello che nessun professore di clinica può portare nella sala settoria, quello che sopravvive ad ogni sezionamento e che trionfa sull’anatomizzazione, è ciò che già ora, in qualità di valore morale dell’uomo, costruisce un mondo nuovo.
Vedete, la scienza dello spirito ha il compito di abbattere la presunzione, se mi è concesso dirlo, della concezione del mondo naturalistica. La scienza dello spirito si rende infatti chiaramente conto che le cose stanno così: o scartiamo la concezione del mondo naturalistica – ovviamente non le scienze naturali con i loro risultati positivi – oppure ci tocca scartare il valore morale umano.
È solo perché gli uomini d’oggi sono così incoerenti e presuntuosi che non si accorgono di come sia necessario decidere di appropriarsi di una concezione del mondo scientifico-spirituale, se si vuole salvare il valore morale umano.
L’umanità non si rende conto di questo perché vuole mantenere quella concezione del mondo che oggi si basa unicamente sul punto di vista naturalistico. Ma allora dovrebbe esprimersi come ha fatto Mathilde Reichardt rivolgendosi a Moleschott, lo studioso materialista di scienze naturali: “Per questo devo dichiararlo ancora una volta: anche l’uomo nato per esser ladro ha portato con sé il diritto di sviluppare sotto tutti gli aspetti la propria natura, e può essere una natura robusta e morale solo in quanto ladro. E ciò che vale per il ladro vale anche per ogni altro vizio, anche per chi è nato assassino. Costui può portare a compimento la propria umanità solo soddisfacendo la propria avidità di omicidio”.
O si parla così e si accorda alle scienze naturali il diritto di assumere il ruolo di concezione globale del mondo, disconoscendo ogni valore morale, oppure ci si rivolge alla scienza dello spirito.
C’è chi dice che c’è anche una terza possibilità: dire a se stesso che una concezione del mondo vale l’altra, e che si preferisce trascorrere l’esistenza sbarcando il lunario in modo istintivo. Certo, abbiamo anche questa opzione, oggi sono in molti a sceglierla. Ma chi vuole seriamente venire a capo di se stesso e del proprio rapporto col mondo può imboccare solo una delle due vie che vi ho indicato. Così stanno oggi le cose. La scelta fra questi due atteggiamenti è inevitabile.
Le scienze naturali si sono trasformate in una visione del mondo. Non si predica più a livello teorico, come Mathilde Reichardt, come lo storiografo Hellwald e altri hanno fatto, che il ladro o l’assassino possa diventare pienamente uomo solo se vive fino in fondo i suoi istinti, giacché in lui il determinismo di natura agisce esattamente come nella cosiddetta persona onesta. Non lo si declama a livello teorico, ma le idee contenute in questo modo di pensare attraversano l’Europa e hanno prodotto questi ultimi cinque o sei anni di guerra. E la cosa continuerà a dare i suoi frutti.
O l’Europa si imbarbarirà, oppure dovrà riconoscere di non poter costruire nessuna concezione del mondo unicamente sulla base delle scienze naturali.
Oggi forse queste sembrano affermazioni fanatiche, radicali. Ma ognuno di noi si batta il petto e interroghi se stesso con la dovuta serietà. Non credo che in serietà potrebbe darsi un’altra risposta.
E poi si osservi una concezione del mondo che a partire dall’essere dell’anima vuole riconquistare il valore morale dell’uomo, si osservi come essa sia indotta a salvare la moralità a partire dallo spirito, come debba rompere con quelli che sono i numerosi pregiudizi del nostro tempo: la costanza dell’energia, la permanenza della materia e così via.
Si osservi questa scienza dello spirito: deve far suo un modo di pensare, un modo di porsi in relazione con il mondo completamente diversi. Essa considera quello che apparentemente è solo pensiero – quello che in apparenza è solo pensiero rarefatto, che appare per un attimo e poi svanisce – e giunge a vedervi il germe di una nuova realtà che risorgerà dopo che tutta la Terra sarà scomparsa. Chi prende la cosa sul serio vedrà nella scienza dello spirito qualcosa di necessario per la nostra epoca.
Questa scienza verrà sentita come una necessità anche dalle persone religiose del nostro tempo, dalle persone veramente religiose.
La nostra epoca ha bisogno di riuscire a capire in che modo una realtà spirituale si inserisce nel mondo fisico. Si veda un po’ cosa ha da dire sull’evento del Golgota l’uomo d’oggi, intriso dell’attuale formazione culturale. Non può dire altro che questo: orbene, le cause di questo evento del Golgota devono essersi formate in tutto il periodo che l’ha preceduto, dopo di che si è verificato e ha avuto i suoi effetti, come ogni processo di natura. Deve porsi come tutto il resto nella catena delle cause e degli effetti.
Come potrebbe infatti l’uomo cresciuto nella cultura odierna, basata esclusivamente sulle scienze naturali, intravedere la possibilità che con l’evento del Golgota abbia fatto il suo ingresso sulla Terra una realtà assolutamente nuova, qualcosa che avrebbe continuato a operare in seno all’evoluzione ulteriore del pianeta? Lo potrebbe solo e soltanto se si rende dapprima conto che nel più profondo della vita umana, nel mondo dei pensieri, è racchiuso qualcosa che continuerà ad esistere anche dopo la scomparsa della Terra e di tutti i suoi regni visibili!
Solo comprendendo che nella Terra c’è qualcosa che non si esaurisce nell’esteriorità razionale e sensibile, qualcosa che trionfa su questa Terra, che nella propria essenza trascende l’elemento terreno, si diventa capaci di levare lo sguardo verso quell’Entità spirituale che è entrata nella Terra attraverso il mistero del Golgota, e che come Cristo Gesù conferisce alla Terra un significato duraturo.
Oggi è necessario accostarsi al mistero del Golgota, ai misteri del cristianesimo, con ciò che la scienza dello spirito accende nell’uomo poiché al giorno d’oggi il cristianesimo attende di venir compreso spiritualmente.
Osserviamo cosa accade presso i materialisti: proprio per il fatto di negare il valore morale dell’uomo, per loro, se sono coerenti, il cristianesimo dev’essere un’assurdità.
Gli uomini non possono fermarsi alla visione delle confessioni religiose tradizionali. Prendete per esempio i rappresentanti della Chiesa cattolica e notate come costoro siano diventati scienziati, come la loro scienza sia la più materialistica che esiste! Potete osservarlo in quei sacerdoti cattolici che diventano scienziati: non vogliono affatto introdurre lo spirito nella scienza, vogliono tener lontana la scienza dal venir compenetrata di spirito, poiché vogliono continuare a gestire le antiche forme tradizionali dello spirito. Hanno paura del metodo moderno che fa riscoprire la realtà dello spirito nel mondo, lo rifuggono, non ne hanno la minima idea.
Se poi prendiamo in esame le forme protestanti di interpretazione del cristianesimo, vediamo come la concezione del mondo naturalistica eserciti un’enorme pressione su questa recente teologia protestante: non riesce a inserire l’evento del Golgota in ciò che si verifica nel mondo! Per questo dice che bisogna vedere nel Cristo solo l’aspetto morale, che bisogna guardare all’etica da lui instaurata. Ma quest’etica rimane essa pure completamente per aria se non viene ancorata in una concezione scientifico-spirituale del mondo.
Chi si rende conto dei pericoli che corre attualmente il cristianesimo si dovrà dire: al fine di riconoscere il proprio fulcro, il mistero del Golgota, il cristianesimo non può far altro che ricorrere alla scienza dello spirito.
Come infatti la scienza dello spirito indica dove si trova il seme che darà origine alla Terra futura, così indica anche dove sono quelle forze che si sono unite alla Terra, senza essere state direttamente presenti nel nostro pianeta in epoca precristiana. Si può comprendere la natura spirituale del mistero del Golgota solo se si è prima conseguito attraverso la scienza dello spirito un pensare intriso di spirito.
Proprio coloro i quali prendono sul serio il cristianesimo dovrebbero far appello alla scienza dello spirito per salvarlo! E lo faranno davvero quelli che prendono sul serio il cristianesimo e la religiosità in generale.
Come mai gli uomini dell’epoca puramente naturalistica hanno ancora ideali morali?
Di nuovo ce lo possono spiegare voci come quelle di Hellwald e Mathilde Reichardt, a cui se ne potrebbero aggiungere molte altre. Costoro ci insegnano che è compito della scienza distruggere tutti gli ideali, dimostrarne la vacuità e la futilità, rivelare che la fede in Dio e la religione sono un’illusione, che la moralità è una fandonia, e così via. Questo si dovrebbe affermare in base ad una concezione puramente naturalistica, se solo non si fosse troppo vigliacchi per farlo!
Da un simile punto di vista il cristianesimo non può essere salvato.
Il cristianesimo ritroverà un fondamento solo e soltanto se tramite la scienza dello spirito si avrà la possibilità di guardare direttamente nel mondo spirituale, così da riconoscere come realtà la vita dello spirito e non come bolla illusoria, a cui si ricorre solo perché se ne ha bisogno nella lotta per l’esistenza.
Non perché si ha bisogno di ciò che è spirituale nella lotta per l’esistenza, ma perché esso viene generato imprescindibilmente dal nostro mondo, come il seme della nuova pianta viene necessariamente originato da quella vecchia! Ma ciò può accadere solo se ci si rende conto che il vecchio non sottostà alla costanza dell’energia e all’indistruttibilità della materia, ma che tutto ciò che è materiale decade come cadono le foglie, e che la realtà spirituale è il seme di ciò che deve venire, come il seme fa nascere la nuova pianta.
Solo rendendosi conto di questa necessità che si regge sullo spirito, si giunge alle sue fonti nell’interiorità umana dove di nuovo viene generato a vita il valore morale umano.
Ciò che ancora rimane come ideale morale alla gente del tipo di Mathilde Reichardt, Hellwald e altri è l’adesione convenzionale agli ideali ereditati. Se questi ideali non fossero stati tramandati, non sarebbe stato possibile ricavarli dalle concezioni del diciannovesimo e del ventesimo secolo!
Un terreno fertile per gli ideali morali sarà solo quello procurato dalla scienza dello spirito. Per tutti questi motivi la scienza dello spirito non crede affatto di operare solo in base ai bisogni dei suoi seguaci, ma in base a ciò che è necessario per gli uomini d’oggi.
Domani vi parlerò di come essa deve agire di necessità in base al carattere dei popoli abitanti oggi la Terra, e vi esporrò come sono fatti questi popoli, sia per quanto riguarda la loro anima che per il loro assetto culturale esterno. Spiegherò inoltre come attraverso lo studio della biografia e della storia spirituali della Terra emerga la necessità di rivolgere lo sguardo verso la nascita di una nuova cultura – cosa che ho cercato di mostrare oggi spiegando la natura dell’anima umana in rapporto al valore morale dell’uomo.
Solo se ci apriamo questa via verso lo spirito potremo anche trovare le sorgenti del valore morale umano, e non dovremo più disperarci che un giorno la Terra intera diventi una tomba desolata, senza più neppure un ricordo di ciò che è vissuto nell’animo umano sotto forma di valori morali.
La scienza dello spirito mostra quanto sia saggio e giusto che i valori morali sorgano dentro l’animo umano, poiché i mondi futuri creano i loro germogli nelle anime degli uomini proprio mediante questi valori morali.
I valori morali umani di oggi sono i valori naturali di mondi futuri. Come oggi, osservando i valori naturali, vediamo i risultati di mondi passati, così in ciò che risiede nel profondo della nostra anima vediamo il nascere di nuovi mondi.
La scienza dello spirito non parla in modo astratto di ciò che è eterno. Ciò che infatti vive nell’eterno divenire, che incessantemente si trasforma – così che l’elemento naturale proviene da quello morale e porta in grembo a sua volta il germe morale per mondi futuri – porta in sé la vita che non muore mai. E poiché il seme per creazioni eterne giace nell’anima umana, essa pure gode di vera eternità.
Terza conferenza
Le energie spirituali e morali
dei popoli contemporanei
alla luce della scienza dello spirito
Basilea, 6 maggio 1920
Ieri ho cercato di mostrare come, con il sorgere di una concezione del mondo completamente influenzata da presupposti naturalistici, a poco a poco i valori morali umani non abbiano più potuto essere messi in relazione con la visione del mondo così presentata all’anima umana. Ho fatto notare come questa fondazione del valore morale umano debba essere ottenuta dalle fonti della conoscenza scientifico-spirituale. Ieri ho cercato di mostrare come abbracciando la scienza dello spirito l’umanità potrà tornare alla piena coscienza della sua dignità morale.
Si può cercare di affrontare questo stesso compito da un altro versante, esaminando da un punto di vista scientifico-spirituale la realtà dei popoli che abitano attualmente la Terra, analizzando quali energie spirituali e morali interagiscono in questi popoli, al fine di fornire una risposta alla domanda: in che misura gli uomini del presente, a partire dalle varie energie di popolo, possono tendere a quello che si può definire un risanamento sociale che si fonda su un risanamento morale?
In quanto umanità, abbiamo sperimentato che le condizioni materiali esteriori, specialmente economiche, si sono estese a poco a poco a tutta la Terra abitata. La Terra è diventata un’unica area economica.
E gli uomini sono stati costretti ad adeguarsi in qualche modo a quest’area economica della Terra, in base alle conoscenze di cui disponevano. Hanno dovuto mettere in relazione fra loro antiche formazioni statali e organismi di popoli con esigenze completamente diverse, di modo che si potessero annettere alla meno peggio a quest’area economica comune, fenomeno provocato dalla recente civiltà dell’umanità.
Gli sviluppi degli ultimi cinque o sei anni dimostrano come questo unificarsi non sia stato possibile. Ma lo vediamo anche nell’evoluzione in cui ci troviamo attualmente, nella decadenza della nostra vita pubblica.
Si pensi a tutti gli elogi della nuova civiltà fatti agli inizi del ventesimo secolo, della velocità con cui gli uomini sbrigavano i loro affari superando i confini regionali e statali, dell’enorme rapidità, mai immaginata prima, del telefono, del telegrafo ecc., e di come tutti i confini che erano sempre parsi insormontabili sembravano essere superati.
Ed ecco, tutto ciò era così poco fondato che oggi ci troviamo di nuovo di fronte ai confini fra gli stati, chiusi così ermeticamente come non lo erano più stati da tanto tempo! E quel che più importa è che quanto ancora pochi secoli fa, forse fino al diciannovesimo secolo, veniva sentito come naturale – la chiusura entro confini regionali e nazionali –, oggi ci sembra qualcosa di perverso nei confronti dei popoli e dell’umanità, qualcosa che non può avere nessuna motivazione nella reale evoluzione del genere umano. Dobbiamo allora porci la seguente domanda: cos’è che ha fatto in modo che l’umanità sia regredita in maniera così terribile?
Ne identifichiamo ben presto la ragione se ci chiediamo: la vita animico-spirituale dell’umanità è andata di pari passo con tutto ciò che si è formato sulla Terra a livello materiale?
Abbiamo diffuso lo stesso tipo di traffico ferroviario in tutto il mondo civile e anche in quello che non lo è, abbiamo saputo portare ovunque gli altri mezzi di trasporto, persino il tipo di traffico, ma non siamo stati in grado di portare dappertutto una vera e reciproca comprensione fra gli uomini.
In un certo senso abbiamo fatto l’esperienza del corpo economico-materiale di una cultura unilateralmente terrena, ma non siamo riusciti a darle un’anima, a spiritualizzarla. Quello che si è costituito su tutta la Terra come elemento unilaterale economico-materiale è rimasto privo di anima.
Occorre allora chiedersi: come si può creare un’anima all’umanità terrena che anela all’unità? Solo decidendo di prendere in considerazione la vera essenza dei popoli che oggi abitano il nostro pianeta.
Ovviamente non basta una sola conferenza per prendere in esame tutte le caratteristiche dei vari popoli. Ciononostante sarà forse possibile, in base a certe caratteristiche tipiche, farsi un’idea generale di come vivono gli uomini sulla Terra seguendo la natura della propria anima.
E allora si può dire: se osserviamo l’umanità con lo sguardo formato dalla scienza dello spirito, riscontriamo nelle regioni orientali un tipo d’uomo che conserva ancor oggi un’antica cultura – anche se di questi tempi ormai al tramonto –, un tipo d’uomo che anticamente aveva antenati di una civiltà straordinariamente elevata, decisamente molto diversa dalla nostra. Possiamo vedere come da questo tipo orientale si differenzino diversi popoli. Non possiamo occuparci di tutte queste differenziazioni, ma il “tipo” può essere in un certo modo caratterizzato.
Poi individuiamo un secondo tipo d’uomo, che vorrei chiamare “mediano”, quello che ha fondato il ceppo originario della civiltà europea e mitteleuropea, che risale al popolo greco e che in un certo senso trova la sua prosecuzione nei popoli mitteleuropei.
Vediamo poi un terzo tipo d’uomo, il tipo dei popoli occidentali, che ha trovato la sua forma più radicale nei popoli americani. Cercheremo di comprendere la natura dei popoli della Terra a partire da questi tre tipi.
Prendiamo prima in esame l’Oriente. Oggi la cultura orientale ci parla con la voce di persone come Rabindranath Tagore, le cui parole ci paiono così particolari, a volte così affini a noi, poiché toccano la parte più intima della nostra anima, e a volte così estranee, poiché provengono da una cultura completamente diversa da quella dell’Europa centrale e occidentale.
Nei confronti di questa civiltà orientale si prova un rispetto deferente se ci si immerge in ciò che essa ha prodotto per l’uomo orientale nella sua completezza umana. È sufficiente occuparsi di qualche singolo argomento: dei Veda, per esempio, o di ciò che ha prodotto la cultura indiana nella concezione dei Vedanta; si può anche studiare a fondo ciò che ha creato la cultura persiana oppure quella assiro-babilonese.
In ogni caso si può dire: certo, chi osserva oggi queste cose, con l’odierna conoscenza di tipo scientifico, le guarderà in modo che forse non gli si aprirà il cuore, ma in modo da trovare solo cose strane e singolari dal sanscrito, dalle sacre scritture. Chi invece si accosterà a queste civiltà orientali con il cuore aperto e con una mente sana e libera, scoprirà quanto è meraviglioso che esse ci riconducano ad un’epoca remota dell’umanità in cui gli uomini si rapportavano al mondo in maniera completamente diversa dalla nostra e da quella dei popoli occidentali.
Ma quel modo istintivo e intuitivo di porsi in relazione col mondo, quel sognare circa il mondo, se lo interpretiamo correttamente ci consente una visione straordinariamente profonda della realtà cosmica dell’uomo, una visione a cui noi uomini del mondo mediano e occidentale non siamo ancora giunti, nonostante tutti gli sforzi della scienza e di altre discipline.
Se ci chiediamo da dove proviene tutto ciò, devo rimandarvi a qualcosa a cui ho già accennato. Al fine di ottenere una linea direttiva nell’esame della natura dei popoli della Terra devo rimandarvi a quanto ho scritto nel mio libro Enigmi dell’anima sulla triplice natura dell’essere umano.
Vi ho già detto come le mie affermazioni sulla triarticolazione del singolo uomo poggino su uno studio trentennale. Ogni uomo consta di tre sistemi, ciascuno con la propria organizzazione:
• quello che possiamo chiamare uomo neuro-sensoriale,
• quello che possiamo chiamare uomo ritmico e
• quello che possiamo chiamare uomo metabolico, del ricambio.
Questi tre sistemi della natura umana non sono separati fra loro in modo che si possa dire: adesso traccio un confine là dove finisce l’uomo neuro-sensoriale e là dove comincia quello ritmico. Ma per chi li sa distinguere sono nettamente distinguibili l’uno dall’altro, poiché anche l’elemento animico rimanda a questo uomo triarticolato.
Tutto ciò che si compie nelle nostre percezioni sensorie e nelle nostre rappresentazioni ha come strumento l’uomo neuro-sensoriale. Tutto ciò che è inerente al nostro sentimento rimanda all’uomo ritmico. Ed è un grosso errore – di cui ci si accorgerà quando le nostre scienze naturali astratte verranno risanate – credere che la vita emozionale dell’uomo dipenda direttamente dal sistema nervoso; il rapporto che intercorre fra loro è infatti solo indiretto.
Come la vita mentale dipende direttamente dal sistema nervoso, così quella emotiva dal sistema respiratorio e cardiaco, in breve, dall’uomo ritmico – e dal sistema nervoso solo indirettamente, per il fatto che percepiamo il ritmo e quindi anche il mondo dei sentimenti. Sono solo le rappresentazioni, le percezioni dei nostri sentimenti ad essere trasmesse dal sistema nervoso. I sentimenti stessi dipendono direttamente dall’uomo ritmico.
Gli impulsi volitivi, la volontà sono a loro volta direttamente in rapporto con l’uomo metabolico. E di nuovo sono i pensieri circa la volontà, le rappresentazioni che ci facciamo dei nostri impulsi volitivi, a dipendere dal sistema nervoso, non la volontà stessa, che dipende direttamente dal sistema del ricambio. Sono cose a cui in questa sede posso solo accennare.
Quello che oggi posso considerare un patrimonio scientifico ben assodato – anche se la scienza ancora gli oppone resistenza, sarà costretta dai fatti ad accettarlo –, quello che appare nel singolo uomo come una triarticolazione del suo essere, non è distribuito allo stesso modo negli uomini, in quanto appartengono ai singoli popoli che oggi vogliamo prendere in considerazione in base ai loro tipi.
La cosa singolare è che se osserviamo i popoli orientali, se osserviamo la struttura che avevano nei tempi antichi in cui hanno sviluppato la loro meravigliosa civiltà, scopriamo che proprio nel periodo in cui hanno dato origine alla più spirituale delle civiltà erano completamente organizzati in base al metabolismo.
L’elemento predominante presso gli antichi popoli orientali era il sistema del ricambio: era questo che agiva in loro. L’attività ritmica e quella neuro-sensoriale recedevano rispetto all’attività metabolica. Il ricercatore scientifico-spirituale rimane sorpreso quando torna ai tempi antichi orientali e trova la straordinariamente nobile e raffinata cultura dei Vedanta, e dei Veda, e tutto ciò che ha avuto origine dalla saggezza e dalla concezione del mondo orientali. È una sorpresa per lui il fatto che tutto ciò sia in relazione con un particolare affinamento del metabolismo, e con un arretramento delle altre componenti della natura umana.
Bisogna dire che proprio grazie a questo affinamento del metabolismo l’uomo orientale ha conseguito quella che qui chiamo una cultura nobile e sofisticata.
Come la pianta è inserita con le radici nel terreno e ne assorbe direttamente e in piena naturalezza i succhi, come con i suoi fiori assimila ciò che le si trova intorno, come tutto il suo metabolismo è in rapporto con il suo ambiente naturale, con tutto ciò che essa riflette come uno specchio, così era per la natura orientale dell’uomo ai tempi della civiltà asiatica originaria. Allora l’uomo non si limitava, come oggi, ad assorbire le sostanze dell’ambiente, non inspirava inconsapevolmente come noi l’aria che lo circondava, ma assumeva con forza primigenia ed elementare tutto ciò che in lui genera il metabolismo. Allora egli viveva in ciò che assorbiva nel suo metabolismo.
Possiamo dire che ciò che continua a vivere nell’uomo in seguito al metabolismo, ciò che in lui diventa sentimento e pensiero, è un’espressione naturale del suo essere in base al rapporto metabolico con il suo ambiente, proprio come i fiori e i frutti che vediamo sull’albero riflettono direttamente il suo rapporto con l’ambiente.
Nei fiori e nei frutti l’albero rispecchia le sostanze che vivono nel suo ambiente a seconda delle condizioni climatiche. L’uomo orientale ha portato alla massima fioritura e maturazione ciò che assorbiva dall’esterno. Ma ciò che riscontriamo nella cultura orientale più antica ci appare come creato dalla natura stessa, come se nel sapere e nell’assennatezza umani la natura stessa abbia fatto germogliare i suoi fiori, e l’uomo fosse destinato ad essere l’organo di passaggio da essa scelto per ciò che voleva produrre in fatto di saggia e arguta rappresentazione del mondo.
Questa è la peculiarità della civiltà orientale originaria: il fatto che fornisca formalmente la prova che quando la natura può parlare direttamente, quando può fare dell’uomo il suo organo di espressione, allora parla con la più alta spiritualità.
E questa civiltà orientale originaria è diventata espressione della massima spiritualità proprio perché semplicemente attraversando l’uomo essa rappresenta il messaggio stesso della natura. Questa civiltà orientale degli inizi ha portato a fioritura quella sapienza che può essere generata dalla natura stessa e l’ha innalzata ad un nuovo organo di senso. La natura si rivela a una contemplazione sovrasensibile. Questo dimostra direttamente che la natura non si manifesta a un modo di pensare materialistico.
La natura si rivela mediante un’esperienza e un modo di pensare spirituali. Quando manifesta la propria essenza attraverso l’uomo, la natura non parla di materia, parla di spirito: quando l’uomo non le oppone il proprio punto di vista della nuda e pesante materia.
È questo il meraviglioso insegnamento che emerge dall’antica civiltà orientale. Questo insegnamento è vissuto un tempo in Oriente, dove ha dato origine alla “teocrazia” anche nella vita pubblica.
Gli uomini, che erano “figli della natura” e non suoi discepoli, nutriti dalla natura stessa, e che sviluppavano la loro saggezza come gli alberi i frutti, quando parlavano del mondo parlavano solo del divino, del sovrumano, di ciò che è sovrasensibile. Anche nella vita sociale applicavano questa concezione del sovrasensibile, fondando le loro teocrazie. In questo tipo d’uomo presente nella civiltà originaria dell’Asia è sorta quella che possiamo definire la contemplazione del divino da parte degli esseri umani. Il considerare il divino come una realtà spirituale è un’eredità che ci proviene da quelle antiche epoche orientali.
Il cristianesimo si fonda su un fatto, su un evento. Chi non riconosce l’origine del cristianesimo nell’evento del Golgota non lo capisce rettamente. Altra cosa invece sono le interpretazioni di questo cristianesimo, con le quali noi cerchiamo di capirlo.
Le interpretazioni che ci consentono di capire il cristianesimo, se ci concentriamo solo sull’elemento storico senza l’approfondimento scientifico-spirituale moderno, provengono dalle eredità orientali. Esse infatti s’innalzavano fino al sovrumano, allo spirituale-sovrasensibile, quindi in fin dei conti il cristianesimo stesso ha preso le mosse da Oriente per dirigersi verso le zone centrali e occidentali della Terra.
L’uomo può considerare come un ideale quella componente che in un certo senso è un gradino superiore a ciò che gli dà la natura a livello elementare.
L’orientale viveva come innata quella parte che sembra la più umile della natura umana ma che, se inserita nel contesto della natura elementare-verginale, porta alle massime vette spirituali – l’uomo orientale viveva in modo elementare il sistema metabolico. Sopra ad esso si trova il sistema ritmico, in cui quindi egli cerca il suo ideale.
Cerca di elevarsi dalla sua condizione naturale verso ciò che può conquistare nell’attività umana cosciente. Per questo nel tipo di popolo orientale coloro che aspirano a un ideale cercano l’esperienza dell’uomo ritmico.
Vediamo come coloro i quali hanno portato a fioritura nella civiltà umana i Veda, la saggezza dei Vedanta, la più splendida visione della natura, avessero come ideale l’elevamento ai mondi spirituali mediante l’uomo ritmico – vissuto coscientemente.
A livello inconscio si elevano alla spiritualità di cui vi ho appena parlato. A livello cosciente si innalzano a un ideale: elevarsi mediante l’uomo ritmico significa regolare il respiro in un certo modo, praticare lo yoga e la filosofia dello yoga, allenare ed educare in un certo modo gli elementi caratteristici dell’uomo ritmico. Il loro ideale non può che derivare dall’uomo ritmico. Ciò che si trova un gradino più su dell’uomo metabolico diventa l’ideale di questi uomini.
Vediamo allora come dal tipo di popolo orientale si cristallizzi una casta di sacerdoti, di maestri – o di fatto un tipo d’uomo che li racchiude entrambi – che segue questo addestramento yoga con l’ideale di organizzare l’uomo ritmico in modo da raggiungere qualcosa di più elevato di ciò che si consegue con le forze instillate a livello elementare.
Se osserviamo tutto quel che conosciamo di questa antica civiltà orientale e vediamo come vi sia uno slancio verso la realtà spirituale più pura e sottile, come dal mondo spirituale scaturisca una pienezza meravigliosamente concreta – poiché questa spiritualità è ricca di contenuto, nonostante l’Occidente lo consideri irreale –, dobbiamo dirci: ciò che manca a questi uomini, così grandi nel campo a cui ho accennato e dediti alla ricerca del loro ideale nell’educazione dell’uomo ritmico, ciò che non sono mai riusciti a procurarsi è una certa vita giuridica, una certa articolazione in una comunità di diritto. Immaginarsi una cosa simile nella civiltà che ha prodotto i Veda, i Vedanta e le altre opere spirituali orientali è del tutto impossibile!
Per quanto si fraintendano spesso le cose di questo genere e si attribuiscano loro concetti occidentali, un giudizio imparziale deve dire: lì c’è una vita spirituale; la vita giuridica ed economica è e rimane istintiva. La vita spirituale giunge alla massima coscienza poggiando sui fondamenti della vita economica e di quella giuridica o statale. In fin dei conti la vita spirituale degli occidentali deriva per la maggior parte dall’eredità dell’orientalismo.
Abbiamo addirittura visto come in una certa corrente, detta “teosofica” – con cui il nostro movimento viene spesso scambiato, per malignità o incomprensione –, come a causa di una totale decadenza gli uomini cerchino di portare una nuova spiritualità dall’Oriente all’Occidente mediante la tendenza teosofica: è sempre questa tendenza a portare lo spirito da Oriente a Occidente! Oggi ciò denota un’estrema decadenza, mentre ai tempi in cui l’Oriente ha potuto fornire al cristianesimo l’approfondimento spirituale necessario si trattava di una cosa naturale.
Il nostro sguardo incontra qualcosa di diverso se osserviamo quel tipo di popolo che si manifesta nella maniera più simpatica nel popolo greco, che ha trovato poi il suo proseguimento nell’Europa centrale.
Lì si è sviluppata per necessità elementare l’altra componente della natura umana. Di solito gli uomini non sanno cosa è presente in loro sotto forma di realtà naturale. Gli abitanti dell’Europa centrale non sanno che in loro prevale l’uomo ritmico, di fronte al quale le altre componenti della natura umana si pongono in secondo piano. Tutti i vizi e le virtù dell’uomo mitteleuropeo e di quelli da lui contagiati derivano da questa prevalenza del sistema ritmico.
Il sistema ritmico è connesso animicamente con il sentimento umano. Questo racchiude tutte le virtù della forza d’animo, le passioni del coraggio e così via. Tutte le descrizioni degli antichi Germani forniteci per esempio da Tacito sono in fin dei conti riferite a un tipo di vita animica basata sull’uomo ritmico, proprio come la sapienza e l’assennatezza orientali si fondano sul metabolismo.
E ciò che rende l’uomo greco così armonioso, ciò che ammiriamo così tanto in questo popolo se davvero lo comprendiamo, questa armonia si basa in fondo su un equilibrio di inspirazione e di espirazione e di tutti gli altri ritmi, con un equilibrio perfettamente adeguato alla natura umana.
L’armonia greca è in fin dei conti una conseguenza di un sistema ritmico umano armonico. Ciò che vediamo emergere nell’arte greca, ciò che ci si manifesta come scultura greca non è qualcosa di copiato da un modello. Le creazioni greche fanno pensare che questi artisti sentissero all’opera dentro di sé un secondo uomo, quello ritmico-armonico, e gli dessero forma. Oppure, quando si scomponeva, veniva rappresentato come il Laocoonte nel celebre gruppo. Tutte le figure umane intuite dai Greci derivano dal loro sentire dentro di sé l’armonia del sistema ritmico.
Se osserviamo per esempio le tragedie greche – potremmo prendere in considerazione qualunque altra espressione della natura greca –, vediamo che la tragedia deve suscitare delle passioni: paura e compassione. Ma nel corso della medesima tragedia queste passioni dovevano venir placate, purificate. Questa è la catarsi, l’autoregolazione dell’elemento ritmico che i Greci cercavano nel dramma come proiezione della propria natura.
E da Aristotele sentiamo dire che la vera virtù consiste nel non cadere nell’uno o nell’altro estremo, sia esso spirituale o materiale, alto o basso, bensì nel perseguire il giusto mezzo. Tutto ciò che i Greci vivevano spontaneamente aveva a che fare con l’uomo equilibrato, tale per via del suo ritmo vitale.
E vediamo come l’ellenismo trovi il suo proseguimento nel goetheanismo, in quel nuovo slancio della vita spirituale che ha avuto luogo nella Mitteleuropa, ed è soprattutto nella figura di Goethe che riscontriamo come sia in gioco il sistema ritmico.
Proprio come gli orientali hanno dato vita alla più alta spiritualità per il fatto che la natura faceva parlare in loro il sistema metabolico, così il sistema ritmico che determina nell’uomo l’armonia interiore ha spontaneamente messo in primo piano l’uomo stesso.
In realtà non si può trovare un modo più bello di esprimere questa esigenza di rappresentare l’uomo nell’armonia che gli deriva dalla sua ritmica vitale di quello contenuto nel libro di Goethe su Winckelmann, in cui il grande scrittore ha celato tutto ciò che aveva da dire sull’uomo armonico ed equilibrato. In questo libro troviamo splendide espressioni, come: quando la natura ha raggiunto il proprio apice nell’uomo e questi riunisce in sé tutto ciò che è presente nel suo ambiente, ordine, armonia, misura e significato, si sente a sua volta come una natura completa e si eleva alla creazione artistica. Oppure: quando la natura ha raggiunto il proprio apice nell’uomo, se fosse in grado di capirsi esulterebbe e proverebbe ammirazione per aver conquistato questa vetta del suo divenire e della sua essenza. Possiamo dire che quando vengono pronunciate parole così mature, rese così dolci dalla maturità culturale, esse sono l’espressione dell’intera essenza che sta alla base di un popolo.
All’inizio degli anni novanta Schiller scrisse la ben nota lettera a Goethe: a lungo ho osservato l’andamento del vostro essere. Voi raccogliete l’intera natura per costruire l’uomo usando le sue singole componenti. Voi costruite l’uomo a partire da un’unica intuizione. L’avreste potuto fare compiutamente solo se foste nato greco o perlomeno italiano. Questa rappresentazione dell’uomo a partire dalle profondità della natura umana, questo porre l’uomo di fronte all’uomo – come gli orientali mostrano al mondo il divino, in quanto in un certo senso la natura stessa presenta la sua essenza al mondo –, questo mostrare l’uomo all’uomo è la cosa più importante per il tipo d’uomo mediterraneo.
E il suo ideale è ciò che si trova direttamente sopra l’elemento ritmico: l’uomo neuro-sensoriale.
Vediamo quindi in questi popoli mediterranei affermarsi una civiltà spontanea a partire dal ritmo, come gli orientali hanno affermato la loro spiritualità inconscia a partire dal metabolismo. E in questo caso l’ideale è la tensione verso l’idea, verso l’idealismo.
E nell’ellenismo, in Platone e in Aristotele, è già presente il germoglio di quello che sarà l’idealismo dei pensieri, quello che riapparirà nell’idealismo tedesco delle concezioni del mondo: in tutto l’idealismo delle concezioni del mondo mitteleuropee nasce l’ideale della spiritualità dall’uomo neuro-sensoriale, proprio come in Oriente nasce l’ideale dello yoga.
Vediamo allora come rimanga ancora istintivo, veramente istintivo, tutto ciò che è organizzazione economica, ma come faccia il suo ingresso un secondo elemento che in Oriente era ancora istintivo e qui invece affiora alla coscienza: la riflessione sulla natura giuridica della convivenza sociale umana.
Ecco quindi che nelle regioni centrali vediamo svilupparsi dal tipo dei popoli mediani la natura giuridica della convivenza sociale.
Nei tempi antichi i popoli orientali hanno sviluppato una spiritualità che poi è degenerata. E persino quando oggi sentiamo parlare Rabindranath Tagore è come se sentissimo una voce proveniente da un’epoca lontana, ormai passata: cose belle e raffinate, ma non possiamo credere che esistano ancora oggi, ed effettivamente esse non esistono più. È, mi si conceda il termine, un’astrazione piacevole che ci parla a livello profondo, ma non parla di una realtà attuale. Dato che questa spiritualità è entrata in una fase di declino anche in Oriente, l’umanità “conserva” in un certo senso la tendenza alla vita spirituale – un’eredità che le deriva dall’antica civiltà orientale.
A ciò si è aggiunto quanto l’uomo ha da dire e da osservare a proposito dell’uomo. Ed è la popolazione mediana che ha portato a questo punto, dove l’uomo è posto davanti a se stesso.
In Oriente l’uomo sta davanti al sovrumano, e dal mondo del sovrumano hanno origine le idee morali. Ancor oggi Rabindranath Tagore continua a sottolineare che la cultura orientale poggia soprattutto sulla moralità, su tutte le qualità morali, mentre alla cultura occidentale e americana rimprovera il fatto di essere basate su meccanismi, sul meccanismo tecnico e su quello politico statale, di essere prive di idee morali. Ed è così che in Oriente da una concezione spirituale del mondo, che nasce nel modo da noi descritto, scaturisce un’abbondanza di idee morali.
E in fin dei conti noi viviamo ancor oggi di queste idee morali. Il materialismo dell’Occidente infatti – l’abbiamo visto a sufficienza nella conferenza di ieri – non ha generato nessuna idea morale. Le idee morali sono un’antica eredità, poiché fluiscono nell’anima umana quando questa si pone in rapporto con il mondo spirituale.
Nella civiltà mediterranea l’uomo è posto davanti a se stesso. Ha ereditato le idee morali, e le idee giuridiche fanno ora la loro comparsa: una regolazione dei rapporti umani tale per cui nella convivenza sociale il singolo individuo si pone di fronte all’altro individuo.
Si potrebbe dire che per il fatto di aver conquistato la propria essenza l’uomo si chiede: come faccio a seguire le idee morali? Nell’uomo sorge un’esigenza che gli orientali non avevano ai tempi in cui la loro cultura spirituale fluiva in maniera purissima nel loro essere.
In tutta la cultura dell’Oriente, tanto più andiamo indietro nel tempo, la parola e l’essere della libertà non hanno alcun senso. L’uomo fa parte dell’ordine universale, vi è immerso, e la libertà è qualcosa che in definitiva non ha alcun significato, non se ne può neanche parlare. I comandamenti della vita morale, collegati alla visione dell’elemento divino-spirituale, agiscono sull’uomo in modo che egli li metta in pratica spontaneamente. L’uomo non prova nessun rapporto umano nei loro confronti: sente di dover seguire i comandamenti quando li riconosce, esattamente come sente di dover mangiare quando ha fame.
Quello che nella sapienza orientale originaria sgorga così spontaneamente e in unione con il mondo spirituale – ma che non è più presente nella civiltà orientale decadente – diventa un problema nel momento dell’evoluzione storica in cui fa la sua comparsa la civiltà mediterranea, in cui l’uomo si pone di fronte all’uomo.
E questo problema acquista particolare importanza con la comparsa della civiltà dei popoli occidentali, che rappresentano il terzo tipo di popolo.
Come l’orientale era in origine predisposto al metabolismo e il mediterraneo all’uomo ritmico, l’uomo occidentale è dotato come uomo neuro-sensoriale.
E chi è in grado di osservare quanto di più elevato si è sviluppato nella civiltà dell’Europa occidentale e dell’America a livello intellettuale e materiale, interiore ed esteriore – a prescindere dai popoli romanzi, che hanno seguito un percorso del tutto diverso adottando l’eredità degli antichi popoli latini e che non possono essere considerati portatori dell’elemento occidentale puro –, se osserviamo il resto della popolazione occidentale vediamo come in essa prevalga l’uomo neuro-sensoriale, che ha fatto sì che tutto venga compreso mediante rappresentazioni e idee, che tende soprattutto all’astrazione e davanti all’uomo non pone l’uomo come hanno fatto i mediterranei, o il sovrumano come hanno fatto gli orientali, ma la natura.
Questa è la cosa singolare: quando l’organizzazione naturale arriva all’uomo neuro-sensoriale, l’essere umano si trova davanti la natura esteriore.
Pensate che assurdità sarebbe per un orientale chiedersi se sia in relazione solo con l’animalità in modo puramente materialistico. Proprio per il fatto di essere un uomo metabolico, egli vede direttamente il mondo spirituale, sovrasensibile.
L’uomo occidentale non ha questa visione del mondo spirituale, è però in grado di riflettere su questo mondo, ha la capacità di astrazione. Ciò che vede davanti a sé per lui è sempre la natura extraumana, anche quando si tratta dell’uomo.
Per Goethe è sempre l’uomo che ha davanti a sé l’uomo, a lui interessa capire l’uomo. Schiller dice: voi siete colui che a partire da tutti gli elementi della natura vuole costruire l’uomo completo. Goethe vuole costruire l’uomo e in fin dei conti mira a capire la natura solo al fine di scorgervi sempre e dappertutto l’uomo.
Fra gli occidentali invece, fra gli uomini neuro-sensoriali, nasce il darwinismo nella forma in cui l’ha vissuto il diciannovesimo secolo. Qui non è l’uomo ad essere in primo piano.
Nel darwinismo l’idea dell’uomo in un certo senso tramonta, non ci si occupa più dell’uomo in quanto tale, ma egli diventa l’animale superiore. Ecco allora che si studia l’evoluzione delle forme animali, tutte le forze che agiscono in questa catena. Non è l’uomo ad essere colto, bensì l’animale superiore, e l’uomo viene semplicemente visto come animale superiore. L’elemento umano passa in secondo piano. Per questo motivo nel darwinismo troviamo ad esempio il senso più spiccato per la conoscenza della natura, quel meraviglioso approfondimento dei particolari della visione evoluzionistica.
È evidente che da una visione orientale non sarebbe mai venuto fuori niente di neppure lontanamente paragonabile all’Origine delle specie di Darwin. E neanche Goethe avrebbe potuto scrivere una cosa del genere. Quello che lui ha scritto – e l’ho sottolineato tante volte – è di natura completamente diversa; non è darwinismo nel senso successivo del termine, ma qualcosa di diverso.
Ma per il fatto che questo tipo d’uomo occidentale è l’uomo neuro-sensoriale, ora nasce – in un’evoluzione che definirei a ritroso – l’ideale della conoscenza della natura, l’ideale della conoscenza materiale, l’immedesimazione in ciò che è materiale.
E in fin dei conti è il modo di pensare del mondo occidentale che da parecchio tempo ha fatto il suo ingresso nell’Europa centrale e orientale, poiché ciò che è fiorito direttamente dal terreno della Mitteleuropa è una continuazione dell’ellenismo. E ciò che è nato originariamente in Russia è addirittura la continuazione dell’antico orientalismo. Ma la moderna civiltà del diciannovesimo secolo è il prodotto dell’uomo neuro-sensoriale occidentale.
È così che bisogna guardare ai tre tipi d’uomo da cui si sono ulteriormente differenziati i vari popoli.
Occorre quindi rendersi conto di come la spiritualità più pura fosse istintivamente presente nell’umanità orientale primigenia; del fatto che l’ellenismo era caratterizzato da una comprensione animica dell’uomo, di cui troviamo ancora un’eco nella cultura mitteleuropea fra la fine del diciottesimo e gli inizi del diciannovesimo secolo, emersa nel goetheanismo; e di come oggi subiamo l’influsso della cultura neuro-sensoriale, di come essa determini il nostro modo di pensare. Questa cultura in quanto tale non è di certo in grado di produrre direttamente nessun ideale morale.
È dunque priva di valore morale? Ieri vi ho presentato delle prove della concezione morale di persone ad orientamento materialistico, prove che potrebbero indurci a credere che questo naturalismo occidentale moderno non abbia alcun valore morale.
Ma non è così. Certo, non ha alcun contenuto morale. Il suo contenuto morale è una vecchia eredità e non può essere che tale. E ciononostante una visione materialistica ha un valore morale.
Qual è il suo valore morale? È il fatto che l’uomo si forma un’immagine della natura e una visione del mondo che non gli dà più nessuna idea morale!
Quando l’uomo orientale si immergeva nel suo ambiente, assorbiva le idee morali insieme alla sua concezione della natura. E, come in quanto uomo naturale seguiva la natura, così in quanto uomo morale si sottometteva al mondo morale e spirituale. L’uomo mediterraneo pone al centro l’uomo, e osservando il mondo ricavava la comprensione dell’uomo. Nello stesso tempo però l’idea morale si faceva astratta, si doveva tramandare come un’eredità, ma l’uomo ne sentiva ancora il calore. E in fondo buona parte della vita religiosa ai tempi in cui i popoli mediterranei esercitavano la loro influenza era dovuta al calore dell’anima che si sentiva nei confronti dell’ordinamento morale.
L’uomo comincia a sentirsi solo e abbandonato rispetto al sentimento morale a partire dal momento in cui vede intorno a sé una natura priva di moralità. Egli comincia a guardare il mondo in cui vive e al quale appartiene come essere lui pure naturale – e questo mondo non gli dà niente di morale.
Se vuole qualcosa di morale, l’uomo deve ora farlo sgorgare dalla sua intimità più profonda. Si trova di fronte a un mondo che non gli fornisce nessuna direttiva etica ed è quindi indotto a cercarla da solo.
Nella cultura orientale originaria la libertà non aveva senso, ha cominciato ad averne a partire dal naturalismo.
Questo materialismo nato dall’uomo neuro-sensoriale dei popoli occidentali ha ben un significato morale: questa cultura richiede che l’uomo diventi consapevole della propria libertà e che generi da se stesso la propria etica. Se ci si fermasse al puro naturalismo – già con le osservazioni di ieri eravamo giunti a questo risultato –, allora si distruggerebbe del tutto la morale, come facevano le persone di cui ho riportato ieri le affermazioni.
Se non fossimo passati da questo stadio “pericoloso” dell’evoluzione umana in cui la moralità è in forse, in cui la moralità viene affidata alla libertà della decisione umana, l’umanità non potrebbe diventare libera!
Questo è il senso dell’evoluzione umana: passare da una civiltà primigenia spirituale fino alla civiltà materialistica dell’Occidente, particolarmente dotata per la vita economica, che in pratica ha portato in superficie un’etica utilitaristica e che ha il compito di fornire agli esseri umani la coscienza della libertà in relazione all’impulso propriamente morale.
Il prendere le mosse da questi tre tipi d’uomo ci offre la giusta prospettiva per osservare le differenziazioni dei popoli. Se ci fermiamo ai risultati singoli di queste unilateralità non saremo in grado di cogliere la natura umana nella sua pienezza, ciò di cui abbiamo oggi bisogno.
Da simili considerazioni si può imparare che quando, a partire da una cultura locale, per quanto vasta essa sia, l’uomo realizza ciò per cui è predisposto per natura, ci troviamo in presenza di un’unilateralità: sia la meravigliosa civiltà orientale originaria, sia quella occidentale con il suo materialismo, non sono altro che unilateralità. Tutto ciò ci fa capire che quanto vive nei singoli popoli è unilaterale.
Per questo l’uomo moderno che si rende conto di come sia necessario che sulla Terra si sviluppi una cultura universale, non solo in senso economico-materialistico ma anche come “cultura dell’anima”, deve dare origine a idee di tipo spirituale-morale prendendo le mosse da basi diverse da quelle specifiche di un popolo.
L’umanità ha tutti i presupposti per farlo, poiché se nei suoi vari popoli sono presenti delle doti unilaterali, il singolo individuo ha il compito di trascendere ogni esclusività nazionalistica. E lo può fare solo se, invece di produrre unicamente ciò che è proprio del suo carattere nazionale, riesce a dar vita a qualcosa di universalmente umano.
Ho tentato di fornire i fondamenti etici di questa concezione del mondo nel libro La filosofia della libertà, pubblicato per la prima volta all’inizio degli anni novanta.
In questo libro ho cercato di indicare all’uomo la via verso la libertà e contemporaneamente verso la moralità. In esso non si trova assolutamente niente che abbia avuto origine da un orientamento nazionalistico unilaterale. Quest’opera è concepita in modo tale per cui gli orientali possono leggerla come gli occidentali e i mediterranei. Non vi è la minima traccia di particolarismo nazionalistico.
Tutto il libro è pervaso in modo ovvio dal messaggio che l’uomo non è pienamente uomo fino a quando sente di appartenere ad una differenziazione umana – a una nazione, a un popolo –, ma che lo diventa solo quando si affranca da ogni particolarismo.
Certo, uno è russo, uno è inglese, un altro francese. Ma il francese, il russo e l’inglese in quanto tali non sono “uomini”. L’uomo deve trascendere la propria nazionalità. Una vera comprensione di ogni carattere prettamente nazionale mostra esattamente questo.
A questo punto si arriva a fondare la moralità sull’individualità umana.
E se la si fonda sull’individualità umana si può capire anche su cosa deve basarsi la moralità nella vita sociale. Nella convivenza sociale la moralità deve fondarsi sulla fiducia che ogni individuo può provare nei confronti di ogni altro singolo individuo. Deve poterci essere questa fiducia. La pedagogia, la sola che può portare un miglioramento nei nostri rapporti sociali, deve orientarsi verso questa meta.
In certe cerchie si continua a ripetere che solo la costrizione, la forza e le leggi possono portare ordine nell’organismo sociale. E invece non è così, non sarà mai un organizzare esterno a creare ordine. L’organismo sociale può prosperare solo nella misura in cui l’uomo ha fiducia nei propri simili e solo se la moralità viene ancorata all’individualità umana.
Quello che ho cercato di fondare nella mia Filosofia della libertà è stato chiamato “individualismo etico”, per il fatto che quanto sorge come etica, come idea morale, deve scaturire dall’individualità di ogni singolo uomo.
E qui viene la parte importante. Ieri vi ho letto un passo tratto dalla corrispondenza fra la persona che lo ha scritto e il materialista Moleschott. Vi si diceva: gli impulsi morali sono presenti in ogni uomo, e pertanto sono diversi in ognuno. Vedete, questo è materialismo. La visione giusta è quella diametralmente opposta.
Vero è che il fondamento etico è presente in ogni individuo. Ma la cosa veramente meravigliosa è che questo fondamento è lo stesso in ogni essere umano. Non si tratta di un’uguaglianza prestabilita e neppure di una organizzata, bensì di un’uguaglianza conferita per natura che si manifesta negli uomini. E di continuo incontriamo altri uomini per fondare con ogni uomo impulsi morali in piena fiducia.
È questo che rende l’individualismo etico nello stesso tempo etica universale – a patto che lo si intenda correttamente, cioè come la forma autentica della libertà umana. È questo che ci fa sperare, come esseri umani morali, di giungere al punto in cui la coscienza umana, di cui vi ho parlato ieri e l’altro ieri, si radichi talmente in ogni uomo, grazie alla scienza dello spirito, e produca in lui una sensibilità e un pensiero tali che la moralità che vive in ogni singolo divenga naturale come il non urtarsi a vicenda quando ci si passa accanto – proprio come riteniamo stupido urtare chi ci passa accanto per strada, e spontaneamente ci evitiamo.
Se come esseri umani viviamo gli uni accanto agli altri in modo da poter sempre capire il prossimo, in qualunque situazione lo incontriamo, potremo far scaturire la moralità dalla natura umana stessa.
Vediamo quindi come – partendo dai tempi antichi della spiritualità orientale, passando per la sensibilità della civiltà mediterranea fino all’astrazione occidentale, alla comprensione occidentale del mondo esterno, alla visione del mondo come natura – questa sia la via che conduce finalmente l’uomo a capire la libertà. Ma solo quando egli ritrova la moralità a partire da basi scientifico-spirituali.
In Oriente la moralità era fornita dal contenuto delle idee morali, che agivano però ancora sull’uomo con l’impellenza della natura. Da questa necessità di natura è poi stato espulso il contenuto della moralità. In un certo senso l’uomo moderno si è posto moralmente nudo di fronte alla natura. Ora deve rigenerare la moralità dentro di sé, nella sua individualità. E potrà farlo solo se sarà in grado di generarla dall’elemento spirituale che avrà ritrovato nella sua essenza più profonda.
Questo è l’obiettivo della scienza dello spirito, della conoscenza spirituale: dare vita ad un volere morale che porti una vera riascesa nella vita sociale. La scienza lo auspica perché pensa che sia necessario rendersi conto che l’umanità odierna e quella del prossimo futuro ne hanno un particolare bisogno; è convinta che un risanamento sociale possa nascere solo da un rinnovamento spirituale.
Nelle riflessioni di ieri e dell’altro ieri avete avuto modo di sentire come di questi tempi alla scienza dello spirito vengano spesso sferrati attacchi ignobili. Potrei raccontarvi molti altri esempi, ma non è questo che voglio fare ora. Una cosa desidero dirvi per concludere: anche se le forze avverse si intensificassero e anche se fossero in grado di distruggere per il momento gli sforzi fatti attualmente in ambito scientifico-spirituale, la scienza dello spirito risorgerebbe di nuovo!
La sua fiducia non si fonda infatti sulla volontà soggettiva di un singolo individuo, o di pochi o di una setta, no, la sua speranza si basa sul fatto che l’umanità ha bisogno di questa scienza dello spirito, e di tutto che ciò vivacemente le appartiene, per le faccende più profonde e più importanti dell’anima, nel presente e nel prossimo futuro.
Per questo si conta sul fatto che questa scienza dello spirito prospererà, poiché l’umanità ne ha bisogno – perché l’umanità la richiede, proprio come aspira ad un rinnovamento della vita culturale.
Questo anelito può forse per un attimo venir soffocato dalla malignità e dall’incomprensione, ma a lungo andare non potrà essere arrestato. L’umanità infatti otterrà ciò di cui ha bisogno, per quanto perfidi od ottusi siano i suoi avversari. Ciò che deve accadere per il meglio dell’umanità si verificherà, perché è per motivi immanenti divino-spirituali che deve avvenire.