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Testo originale tedesco:

Füreinander leben ist möglich

(Archiati Verlag e. K. Bad Liebenzell)


Traduzione di Silvia Nerini

Revisione di Pietro Archiati

PD

L’editore e il redattore non esercitano diritti

sui testi di Rudolf Steiner qui stampati.

Archiati Verlag e. k. - Bad Liebenzell

ISBN 3-937078-77-0

www.liberaconoscenza.it

Rudolf Steiner

Gli uni
per gli altri

Interessarsi al prossimo è possibile

Conferenza tenuta a Dornach
il 30 novembre 1918

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Indice

Prefazione di Pietro Archiati

conferenza tenuta a dornach

il 30 novembre del 1918

Glossario

Letture correlate

A proposito di Rudolf Steiner

Prefazione

La determinazione a non scendere a compromessi che traspare da questa conferenza può stupire non pochi. È facile che i nostri meccanismi di autodifesa chiedano la parola: «Ma che cose ingenue, utopistiche, se non addirittura dogmatiche, sta dicendo qui Rudolf Steiner! Vuole buttare all’aria tutto quello che gli uomini hanno fatto fino a oggi – dalla gestione del denaro alla proprietà privata e al diritto di eredità, passando per la retribuzione salariale del lavoro».

Ma ci può essere anche chi riconosca in questo cosiddetto radicalismo lo stesso spirito che duemila anni fa aveva suscitato scalpore e scandalo fra la maggior parte degli uomini, poiché non era disposto a scendere a compromessi di nessun genere per quanto riguarda l’amore per l’Uomo che vive in ogni uomo. Quello Spirito ha pagato con la vita la sua dedizione all’uguaglianza assoluta di tutti gli esseri umani nel loro anelito all’autonomia di pensiero, nel loro dipendere gli uni dagli altri nella vita d’ogni giorno.

Indubbiamente questa conferenza mette in discussione ogni istituzione che usi l’uomo come mezzo per raggiungere i suoi scopi – anche se a parole sostiene l’esatto contrario. Rudolf Steiner non indirizza mai le sue parole a un generico noi, ma sempre all’individuo singolo impegnato a non accettare nessuna ambizione propria da parte di qualsiasi istituzione accanto alle esigenze dei singoli individui.

Molti trovano particolarmente difficile l’idea di Steiner secondo cui – se si vuole mantenere in buona salute l’organismo sociale – il lavoro dev’essere separato dalla retribuzione. Quello che vuol dire è che il lavoro che si fa per se stessi – per guadagnare il proprio pane – non sarebbe necessario se ogni uomo in quanto tale, indipendentemente da ciò che produce o meno per gli altri, ricevesse per legge il necessario per condurre un’esistenza dignitosa. Ciò sarebbe senz’altro possibile: basti pensare per esempio che attualmente solo in Germania i risparmi complessivi della popolazione ammontano a quattro miliardi di euro.

L’ossessione del risparmio è una conseguenza della paura del futuro, e questa paura è la conseguenza del fatto che troppi si vedono costretti a guadagnarsi tramite il lavoro il denaro che serve per il loro mantenimento. Se così non fosse, un’azienda non avrebbe più “lavoratori” che sono costretti a lavorare per il proprio sostentamento. Invece di un contratto di lavoro ci sarebbe semplicemente un accordo di distribuzione, cioè un accordo su come distribuire i proventi o il guadagno in base alla prestazione da ognuno fornita. La motivazione a prender parte a un processo lavorativo sarebbe costituita unicamente dal gusto di creare, dalla soddisfazione che si prova nel vedere apprezzata la propria prestazione. In assenza di questo stimolo non ci sarebbe nessun motivo, ma neanche nessuna costrizione, per iniziare o per proseguire una collaborazione.

Chi trova “scomode” queste idee ha un bel dire che Steiner è uno sfrontato, un sovversivo o un agitatore – populista o politically incorrect, come si ama dire al giorno d’oggi. In una conferenza[1] agli operai della Daimler dal contenuto simile a questa Steiner afferma:

Ma quello che mi ha davvero stupito, molto stupito, è che in riferimento a quanto ho detto si sia usata la parola sovversivo. (Applauso). Sono infatti certo di non aver pronunciato una sola parola che non nasca dalle mie convinzioni circa la verità e dalla mia visione della situazione attuale. (Applauso).

Che cosa è sovversivo? Vedete, è sovversivo quando un ultra-conservatore ascolta, faccio per dire, le parole molto moderate di un uomo di sinistra? Come mai costui parla in modo sovversivo per l’ultra-conservatore? Ma non può farci niente! Le sue parole assumono questa connotazione solo nell’interpretazione dell’ultra-conser-vatore. (Applausi fragorosi). Vedete quindi che ciò che uno considera demagogico non lo è necessariamente anche per l’altro. Spesso ciò che a uno risulta molto sgradevole lo definisce demagogico. (Applausi)».

L’obiezione che non ci sarebbe quasi più nessuno disposto a lavorare se tutti ricevessero comunque denaro a sufficienza per vivere è una menzogna, un tentativo di ricatto da parte del potere, che ha bisogno di un pretesto per costringere gli uomini a lavorare. Ci sono abbastanza persone che fanno volentieri tante cose per gli altri animate dalla gioia di essere attive. È solo per un lavoro che si fa perché costretti da necessità di sopravvivenza che nessun individuo assennato prova un piacere particolare. Ed è proprio questa costrizione a privare milioni di persone della possibilità di impegnarsi per gli altri in base alle proprie capacità e ai propri talenti, cioè in maniera molto più produttiva, ispirata dal godimento che si prova nell’autorealizzazione.

A un individuo che esplica i suoi talenti per il bene degli altri, questi altri non pagheranno il suo lavoro nel modo più taccagno possibile, al contrario, apprezzeranno le sue prestazioni con la massima generosità. Se ricavano vantaggio dal talento altrui faranno di tutto perché questi continui a metterlo al servizio di tutti. Questa reciprocità è esattamente il modo in cui i membri di un organismo vivente e sano interagiscono fra di loro.

In realtà non c’è nessuno che voglia esser costretto a fare qualcosa che gli frutti il più denaro possibile, perché nessuno desidera costringere gli altri a dargli quanti più soldi possibili per il suo lavoro. Ma ognuno vuole invece fare ciò di cui gli altri hanno più bisogno e che apprezzano quindi spontaneamente e generosamente – anche sotto forma di denaro. Ciascuno di noi pensa: do con piacere e abbondanza all’altro, se questi fa per me qualcosa di cui io ho veramente bisogno e per cui lui è portato.

Chi non ha nessun potere da difendere sa che l’ideale dell’amore, il vivere gli uni per gli altri, non è una pia illusione, non ha nulla a che vedere con il fanatismo o l’ingenuità. Non è la sua irrealizzabilità a farci aver paura di questo ideale, ma all’opposto il fatto che i passi anche più piccoli verso la sua attuazione sono possibili sempre e per tutti. È proprio il fatto che è possibile vivere gli uni per gli altri, sempre e ovunque, a metterci paura. Ce ne vogliamo proteggere perché il primo passo comporta inevitabilmente il secondo, il secondo il terzo e così via.

Pietro Archiati

Gli uni
per gli altri

Interessarsi al prossimo è possibile


Conferenza tenuta a Dornach
il 30 novembre 1918

Cari amici,

se osservate il fondamento della nostra scienza dello spirito a orientamento antroposofico in rapporto ad altre cosiddette concezioni del mondo – ce ne sono numerose che spuntano di questi tempi – fra le altre cose ne troverete una caratteristica: che la scienza dello spirito come concezione del mondo e della vita si adopera per applicare alla vita intera quello che cerca di sondare studiando i mondi spirituali, a tutto ciò in cui l’uomo può imbattersi durante la sua esistenza.

E chi ha il senso dell’essenziale, di quello che davvero conta nelle questioni e negli impulsi urgenti e scottanti del nostro presente, riuscirà sicuramente anche a comprendere che è proprio nell’ambito della relazione fra le grandi ideologie e la vita diretta che si trova ciò di cui il presente e il futuro prossimo hanno urgente bisogno.

Infatti uno dei principali motivi che hanno prodotto l’attuale situazione catastrofica dell’umanità è quello per cui tutte le ideologie degli uomini – che abbiano radici nell’elemento religioso, in quello scientifico o estetico – nel corso del tempo sono venute a poco a poco a perdere il collegamento con la vita.

C’era per così dire una tendenza – che potremmo definire perversa – a separare la cosiddetta vita quotidiana e pratica nel suo senso più vasto da quello che si cercava negli ambiti religiosi e culturali per la soddisfazione dei propri bisogni personali.

Pensate solo a come negli ultimi secoli la vita abbia assunto gradualmente una forma tale per cui gli uomini si sono lasciati andare esteriormente – come si dice, erano uomini pratici che organizzavano la vita in base a principi pratici – e poi ogni giorno dedicavano più o meno mezz’ora o anche niente del tutto o solo la domenica a soddisfare i bisogni del cuore, dell’anima, volti a trovare un nesso con l’elemento divino-spirituale da cui il mondo è permeato.

Ciò dovrà cambiare completamente se una scienza dello spirito a orientamento antroposofico riesce a impossessarsi degli animi umani. Allora succederà che da questa concezione del mondo sgorgheranno pensieri applicabili in ogni campo della vita quotidiana, che ci metteranno in condizione di valutare assennatamente la vita in ogni suo ambito concreto.

Il principio della predica della domenica pomeriggio non dev’essere affatto quello della nostra concezione a orientamento antroposofico, ma tutta la vita dev’essere compenetrata, in ogni giorno della settimana e anche la domenica mattina, da ciò che questa concezione può fornire all’uomo.

Non essendo stato così fino a oggi, il mondo è entrato a poco a poco in uno stato di caos. Direi che si è trascurato di volgere lo sguardo a quanto avviene veramente nel mondo circostante, e oggi ci si sorprende di come le conseguenze di questa trascuratezza si manifestino chiaramente. E in futuro ci si sorprenderà ancor di più, dato che queste conseguenze si manifesteranno con chiarezza ancora maggiore!

Oggi non bisognerebbe in nessun caso distogliere lo sguardo da quello che si sta diffondendo fra l’umanità su tutta la Terra.

Con i giudizi che ci consentono di intuire i grandi impulsi che attraversano gli avvenimenti mondiali bisognerebbe cercare di penetrare in ciò che oggi si presenta in parte in maniera così enigmatica agli animi umani, e che minaccia di trasformare la struttura sociale in un caos. Non si dovrebbe proseguire pensando di lasciar correre tutto come capita, senza cercare di approfondire le cose con la propria sana capacità di giudizio.

Deve scomparire il principio che afferma: «Questo è quotidiano, è profano, fa parte della vita esteriore. Da ciò si può distogliere lo sguardo per rivolgerlo al divino-spirituale». Questo deve aver fine! Deve invece cominciare il tempo in cui anche la cosa più quotidiana viene messa in relazione con l’elemento divino-spirituale e in cui le cose ricavate dalla vita spirituale non vengono osservate solo dal punto di vista più astratto.

Nel corso delle mie considerazioni ho detto che nel movimento sociale può avverarsi una svolta favorevole solo con l’aumento dell’interesse che ogni singolo individuo prova per il suo prossimo. È sociale quella struttura che unisce gli uomini a livello sociale, e questa struttura può risanarsi solo se l’uomo sa di far parte di essa, di viverci dentro.

E questo è l’elemento malsano del presente, che ha prodotto la catastrofe: il fatto che gli uomini abbiano trascurato di farsi una minima coscienza di come si è inseriti nella comunità sociale. L’interesse che in quanto uomini dovrebbe unirci ai nostri simili ha cessato di esistere, nonostante gli uomini siano spesso convinti di provarlo.

Sì, miei cari amici, il principio teosofico da quattro soldi che dice: «Io amo tutti gli uomini, provo interesse per tutti gli uomini», non basta per niente, poiché è astratto e non interviene nella vita reale. Ed è di questo intervento nella vita reale che si tratta – è questo che dev’essere capito più a fondo.

La non comprensione della vita reale è stata una caratteristica degli ultimi secoli. Senza che gli uomini ne abbiano seguito il processo, questi ultimi secoli hanno prodotto la situazione attuale e determineranno anche quella futura. Nella storia dell’umanità è necessario che tutto ciò che accade nella vita sociale sia anche accompagnato dal pensiero degli uomini.

Ma gli eventi che si verificano da un tempo relativamente lungo non si lasciano accompagnare diversamente se non acquisendo una sana sensibilità per certi fenomeni.

All’osservatore spassionato si è già preannunciato fin troppo chiaramente che in quasi tutto il mondo si amministra, si governa ecc. in base a principi che in effetti erano già obsoleti secoli fa, mentre negli ultimi secoli la vita è naturalmente andata avanti.

E un fattore fondamentale che ha fatto il suo ingresso nell’evoluzione dell’umanità è il moderno industrialismo, che ha creato la moderna classe operaia.[2] Ma questa nascita della moderna classe operaia non è stata accompagnata da idee!

Le classi dirigenti hanno continuato a vivere nel solito modo, hanno occupato i loro posti di comando come erano abituate a fare da secoli. E senza aver fatto niente, senza aver accompagnato con dei pensieri il processo della storia del mondo, la moderna classe operaia è sorta dai fatti, dallo svolgersi dei fatti – dall’industrialismo moderno, che fondamentalmente ha avuto inizio nel diciottesimo secolo con il telaio meccanico e il filatoio. E da quello che “si aggira” – usate pure questa espressione – nelle teste della moderna classe operaia dipende il destino del mondo di oggi e del prossimo futuro.

Questa classe operaia infatti aspira al potere, alla maggioranza, e le sue azioni dovranno essere osservate come fenomeni del determinismo di natura, come eventi elementari, non come qualcosa che si può criticare perché piace o non piace, di cui si discute a seconda che questo o quello faccia un’impressione o l’altra. È qualcosa che dev’essere valutato alla stregua di un terremoto, di una grande marea o altri fenomeni simili.

Ora vediamo a tutta prima prepararsi ciò che emerge dalla moderna classe operaia, o meglio, dalle tendenze e dalle emozioni della classe operaia moderna.

Come una specie di combattimento degli avamposti, vediamo nel bolscevismo russo quello che dovrebbe esservi noto da un certo aspetto. Questo bolscevismo russo – l’ho già detto più volte – non si addice affatto alle prerogative del popolo russo, è stato introdotto dall’esterno. Ma non è neanche questo che conta, se si vogliono prendere in considerazione i fatti. Questo bolscevismo è infatti realizzato all’interno del territorio che prima costituiva l’impero zarista, ad ampio raggio, e va appunto visto come un fenomeno naturale che ha in sé l’impulsività che lo porta a espandersi sempre più.

Quando si osserva un fenomeno come il bolscevismo russo, occorre soprattutto concentrarsi sulla cosa principale, a prescindere dai fenomeni laterali. Forse motivi ovvi hanno fatto sì che sia iniziato proprio nel 1917, che manifesti questo o quel fenomeno esterno. Vi ho detto che perfino l’incapacità di Ludendorff – e altre cose ancora – non sono estranei all’immediato scoppio del bolscevismo. Solo che bisogna lasciare da parte tutto questo se si vogliono osservare le cose in maniera proficua, e bisogna invece concentrare l’attenzione sugli impulsi che vivono all’interno stesso del bolscevismo russo.

Occorre chiedersi spassionatamente: che cosa vuole questo bolscevismo russo, e come si inserisce nell’evoluzione dell’umanità?

Perché una cosa è fuori discussione, miei cari amici: non si tratta di un fenomeno effimero, transitorio, bensì di qualcosa di significativo nella storia dell’umanità. È straordinariamente importante porsi di fronte all’idea che si fa sulla struttura sociale di base questo bolscevismo russo, per poterlo osservare nel suo sorgere dai più profondi impulsi che sono all’opera nel mondo.

Esaminando le caratteristiche fondamentali di questo bolscevismo russo bisogna dire che la sua prima aspirazione è quella di annientare, di far sparire quella che in base al marxismo viene definita borghesia. Questa è per così dire la massima fondamentale. Estirpare radicalmente tutto ciò che è emerso come borghesia nel corso dell’evoluzione storica, in quanto dannoso dal suo punto di vista per l’evoluzione umana.

A questo lo devono condurre diverse vie, prima di tutte il superamento di ogni differenza di classe fra gli uomini. Questo bolscevismo non vuole occuparsi di quel tipo di superamento oggettivo delle differenze di classe e di ceto che vi ho illustrato ieri. E questo perché esso stesso la pensa in modo del tutto borghese! Mentre quello che vi ho descritto io ieri non è pensato in modo borghese, ma semplicemente umano.

Il bolscevismo vuole superare a modo suo le differenze di classe e di ceto. Allora si dice: gli stati attuali sono costituiti nella loro struttura dalla concezione borghese della vita, pertanto le forme degli stati odierni devono scomparire. Tutto ciò che negli stati odierni è un’emanazione della borghesia – come l’ordine poliziesco, quello militare, quello giuridico – deve scomparire. Tutto ciò che la borghesia ha creato per la propria sicurezza e per la propria giurisprudenza deve sparire insieme a lei.

Tutta l’amministrazione, tutta l’organizzazione della struttura sociale deve passare nelle mani della classe operaia. In questo modo lo stato che abbiamo avuto finora morirà e la classe operaia amministrerà tutta la struttura umana, tutta la convivenza sociale. Questo non può essere conseguito con le vecchie istituzioni create dalla borghesia, e neppure eleggendo parlamenti o altre rappresentanze nazionali in base a questo o a quel diritto elettorale, come si è fatto nella concezione borghese della vita. Se infatti si continuasse a eleggere questi organi rappresentativi, si perpetuerebbe in essi la borghesia. Quindi con tutti questi organi rappresentativi, eletti con questo o quel diritto elettorale, non si arriva alle mete che ci si prefiggono.

Per questo occorre che dapprima si affermino quelle direttive che provengono dalla classe operaia stessa e che non possono spuntare in una testa borghese – dato che la mente borghese di necessità può adottare solo quelle norme che devono essere superate –, ma che possono venire soltanto da una mente operaia. Se ci si deve aspettare qualcosa non sarà quindi da un’assemblea nazionale o statale, ma solo e unicamente dalla dittatura del proletariato.

Ciò vuol dire che tutta la struttura sociale dev’essere affidata alla dittatura della classe operaia. Solo la classe operaia è capace di eliminare completamente la borghesia, dato che la borghesia non sarebbe di certo capace di eliminare se stessa qualora sedesse negli organi rappresentativi! Di questo si tratta: privare la borghesia dei suoi diritti. Solo i lavoratori nel vero senso della parola, cioè solo quelli che eseguono un lavoro utile per la collettività, possono esercitare un influsso sulla struttura sociale.

In base a questa concezione proletaria del mondo, chi si fa prestare servizi da altre persone dietro pagamento non ha nessun diritto di voto. Chiunque assuma delle persone pagandole per le loro prestazioni non ha nessun diritto di prender parte in qualsiasi modo alla struttura sociale, per cui non ha neanche diritto di voto. E neppure ha diritto di voto chi vive della rendita del suo patrimonio, cioè chi gode di interessi. Non ha questo diritto neanche chi fa il commerciante, e quindi non compie un lavoro attivo, o chi fa l’intermediario commerciale. Tutti questi individui che vivono di interessi, che hanno altra gente alle loro dipendenze a pagamento, che sono commercianti o intermediari commerciali, non possono neppure essere membri del governo quando regna la dittatura della classe operaia.

Durante questa dittatura della classe operaia non c’è libertà generale di parola, di riunione e di organizzazione: solo coloro i quali eseguono lavori attivi possono tenere assemblee e organizzarsi. A tutti gli altri è vietata la libertà di parola, nonché il diritto di riunione e quello di organizzarsi in società o associazioni. Allo stesso modo, solo chi esegue un lavoro attivo può godere della libertà di stampa. La stampa della borghesia viene repressa, non viene tollerata.

Sono più o meno massime come queste che devono guidare il periodo di transizione. Dopo che queste massime saranno state in vigore per un po’ di tempo – questo si ripromette la visione proletaria dal suo intervento – finirà per esserci solo un’umanità attiva. Ci sarà solo la classe operaia, la borghesia sarà stata eliminata.

Oltre a queste cose, che sono importanti soprattutto per il periodo di transizione, vengono poi quelle che hanno un’importanza duratura. Di queste fa parte per esempio l’obbligo generale di lavoro: ogni individuo ha l’obbligo di svolgere un lavoro utile alla collettività.

Un principio fondamentale, anch’esso durevole, è l’abolizione della proprietà privata fondiaria. Le proprietà terriere più grandi vengono assegnate a comuni agricole. Per la visione proletaria in futuro non ci dovrà essere proprietà privata fondiaria. Gli stabilimenti industriali, le aziende, vengono espropriati e affidati all’amministrazione della società, vengono cioè gestiti dall’amministrazione centrale degli operai, al cui vertice si trova il consiglio supremo per l’economia nazionale – che in Russia è appunto il bolscevismo. Le banche vengono nazionalizzate. Viene istituita una contabilità generale relativa a tutta la collettività, che deve comprendere tutta la produzione. Tutto il commercio di una collettività con l’estero diventa cosa comune, le aziende vengono quindi rese statali.

Questi sono grossomodo i principi che costituiscono l’ideale di tipi come Trotskij e Lenin e dai quali potete desumere i cardini di ciò che vuole la moderna classe operaia.

Miei cari amici! Non basta farsi raccontare dal giornale ogni giorno quanti soprusi sono stati commessi dal bolscevismo. Se si paragonano i fatti di sangue provocati dal bolscevismo con l’enorme quantità di fatti di sangue prodotti da questa guerra, quelli del bolscevismo sono naturalmente una bazzecola. Si tratta piuttosto di vedere che cosa è stato ignorato, che cosa è stato omesso – così che in futuro l’evoluzione dell’umanità venga perseguita usando il pensiero.

Occorre quindi esaminare questa faccenda che è così intimamente connessa con l’intera evoluzione dell’umanità prima di tutto dal punto di vista animico e poi da quello spirituale. Dev’essere compito della scienza dello spirito esaminare anche queste cose da un punto di vista veramente spirituale e animico!

Miei cari amici, deve finire il tempo in cui una pigra congrega di pastori e parroci ha sciorinato ogni domenica dal pulpito delle belle teorie del tutto avulse dalla vita per infervorare gli animi della gente! Deve invece cominciare il tempo in cui chiunque voglia prender parte alla vita spirituale senta l’obbligo di guardare anche dentro la vita reale, di mettersi in rapporto diretto con la vita.

La sciagura del presente è dovuta non in piccola parte al fatto che da molto tempo proprio coloro che hanno gestito i sentimenti religiosi dell’umanità, dall’alto dei loro pulpiti hanno espresso parole che non avevano nessunissimo rapporto con la vita – hanno fatto prediche con l’unico scopo di offrire alle persone roba innocua per i loro cuori o le loro anime, roba che le ha mandate in brodo di giuggiole, senza però intervenire nella vita.

Per questo la vita è rimasta atea e priva di spirito – ed è precipitata nel caos.

Molte delle colpe che oggi devono essere scontate le dovete cercare proprio nelle chiacchiere insulse di coloro che dovevano gestire i sentimenti religiosi e che non avevano nessun rapporto con la vita. Che cosa hanno realizzato di quello che deve accadere nell’epoca in cui è sorta un’umanità del tutto nuova sotto forma di classe operaia? A che cosa ha contribuito questa gente che dal pulpito ha proclamato cose futili, cose che la gente ha cercato solo perché voleva illudersi a ogni costo sulle vere realtà della vita?

I tempi sono gravi e le cose vanno considerate con serietà. Ciò che viene detto, miei cari amici, cioè che gli uomini devono acquisire interesse gli uni per gli altri, non può essere considerato solo con quell’atteggiamento che viene favorito dalle prediche domenicali, ma va invece considerato in base all’incisività con la quale si inserisce nella struttura sociale del presente.

Prendiamo un caso concreto: quanti uomini ci sono al giorno d’oggi che hanno un’idea completamente astratta e confusa della vita, della loro vita personale! Se per esempio si chiedono – cosa che il più delle volte non fanno neanche, ma ammettendo che lo facciano e si chiedano: «Di che cosa vivo?», si rispondono: «Beh, del mio denaro!».

Fra coloro che si dicono: «Del mio denaro», ce ne sono molti, miei cari amici, che questo denaro l’hanno ereditato, per esempio dai genitori, e credono di vivere del loro denaro, che «hanno ereditato dai loro padri».[3] Ma miei cari amici, nessuno può vivere di denaro! Il denaro non è qualcosa di cui si possa vivere. È a partire da qui che bisogna cominciare a riflettere.

Questa questione è strettamente connessa con il vero interessamento che si prova da persona a persona. Chi crede di poter vivere del denaro che per esempio ha ereditato o che ha ricevuto in qualche altro modo – a meno che, come accade oggi, non si ottenga il denaro grazie al lavoro –, chi vive così e crede di poter vivere del denaro, non si interessa affatto ai propri simili, per il semplice fatto che nessuno può vivere del denaro.

L’uomo ha bisogno di mangiare e il cibo dev’essere prodotto da qualcuno. L’uomo ha bisogno di vestirsi: gli abiti che indossa devono essere confezionati da qualcuno. Affinché io possa indossare una giacca o un paio di pantaloni è necessario che delle persone impieghino per ore la loro forza lavorativa per realizzare questi capi. Costoro lavorano per me: di questo lavoro vivo, non del mio denaro!

Il mio denaro non ha altro valore che quello di darmi il potere di servirmi del lavoro di un altro.

E per come sono oggi i rapporti sociali, si comincia a interessarsi per i propri simili solo quando ci si risponde a questa domanda in maniera adeguata, cioè quando ci si rende conto che «tot persone devono lavorare tot ore affinché io possa vivere all’interno della struttura sociale».

Non basta lusingarsi con le belle parole: «Io amo gli esseri umani». Non si amano gli esseri umani quando si crede di vivere del proprio denaro e non ci passa neanche per l’anticamera del cervello il fatto che c’è gente che lavora per noi affinché possiamo avere anche solo il minimo per vivere.

Ma, miei cari amici, il pensiero: «Tot persone lavorano per garantire il minimo per vivere», è inseparabile da un altro pensiero, e cioè quello per cui bisogna restituire alla società ciò che è stato fatto per noi, non in forma di denaro, ma a nostra volta mediante il lavoro!

E solo quando proviamo un interessamento tale per i nostri simili che ci sentiamo in dovere di restituire a nostra volta in qualche forma la parte di lavoro che è stata svolta per noi, solo allora sentiamo un vero interesse per i nostri simili. Invece, dare il nostro denaro ai nostri simili vuol dire solo avere il potere di soggiogarli come schiavi, poterli costringere a lavorare per noi!

Vi chiedo, miei cari amici: in base alla vostra esperienza non potete darvi voi stessi la risposta alla domanda: quante persone si rendono conto che il denaro è solo un ordine con cui si pretende forza lavorativa umana, che il denaro è solo uno strumento di potere? Quante persone vedono nella realtà dello spirito che non potrebbero sussistere in questo mondo fisico senza dovere al lavoro degli altri ciò che esigono per la loro vita?

Sentirsi in debito verso la società in cui si vive – questo è l’inizio di quell’interessamento che è indispensabile a un sano organismo sociale. Bisogna riflettere su queste cose, altrimenti ci si invola in modo malsano verso astrazioni spirituali – e non si sale in modo sano dalla realtà fisica a quella spirituale.

È appunto la mancanza di interessamento nei confronti della struttura sociale che caratterizza gli ultimi secoli.

In questi ultimi secoli il fatto che gli uomini sviluppino nella vita sociale un vero interesse unicamente per la loro sacrosanta persona è diventato a poco a poco un’abitudine generale. Per vie diverse, più o meno tutto è stato visto in rapporto alla propria persona. Ma una vita sociale sana è possibile solo se questo interesse per la propria preziosa personalità viene ampliato fino a diventare un reale interessamento per il sociale.

E a questo proposito la borghesia può ben chiedersi: «Che cosa abbiamo mancato di fare»? Riflettete su quanto segue, miei cari amici: esiste una cultura, esistono opere culturali – voglio citare solo un esempio – esistono opere d’arte. Beh, miei cari amici, chiedetevi un po’: quanti uomini hanno accesso a queste opere d’arte? O meglio: quante persone non hanno alcun accesso a queste opere d’arte? Per quante persone queste opere d’arte non esistono affatto?

Ma adesso calcolate un po’ quanti uomini devono lavorare perché possano esserci queste opere d’arte. A Roma c’è un’opera d’arte. Un certo borghese può recarsi a Roma. Provate a sommare quanto lavoro è necessario da parte degli individui produttivi ecc. ecc. – l’eccetera non finisce mai! – affinché questo borghese possa andare a Roma a vedere qualcosa che per lui esiste, perché lui è un borghese, ma che non esiste per tutti quelli che ora cominciano a far valere la loro interpretazione proletaria della vita.

Nel borghese è venuta a formarsi l’idea che il piacere sia qualcosa di ovvio, invece il godimento non dovrebbe mai e poi mai essere dato per scontato! Il godimento di qualcosa senza la restituzione del suo equivalente alla comunità, in qualsiasi forma, dovrebbe essere considerato un peccato contro la società.

Niente dovrebbe restare inutilizzato per la società intera. L’ordinamento naturale e spirituale, miei cari amici, non prevede che la collettività debba essere privata di qualsiasi cosa. Spazio e tempo sono ostacoli solo artificiali, non reali.

Ma è solo una propaggine della visione borghese del mondo il fatto che la Madonna Sistina sia sempre – ininterrottamente – esposta a Dresda e possa essere vista solo da coloro che hanno la possibilità di recarsi in quella città. Questa pala d’altare infatti non è fissa, si può muovere, può essere portata in giro per tutto il mondo. E si può fare in modo che – cito un solo esempio fra tanti – quanto viene goduto dall’uno lo possa essere anche dall’altro. Cito un solo esempio, ma scelgo sempre esempi con validità generale, cioè che possano valere anche per tante altre cose.

Vedete, miei cari amici, è sufficiente toccare appena certi tasti per accennare a tutta una serie di cose su cui le persone non hanno affatto riflettuto, ma che hanno dato per scontate. Anche nella nostra cerchia, miei cari amici, dove le cose sono così evidenti, non sempre si pensa che ciò che si riceve comporta che si restituisca l’equivalente alla società. La pura fruizione non ha senso.

Ora, miei cari amici, dai singoli esempi che vi ho citato – che potrebbero essere non solo centuplicati, ma addirittura moltiplicati per mille – vedrete scaturire la domanda: sì, ma come può cambiare la situazione se il denaro in effetti non è altro che uno strumento di potere?

La risposta si trova già in quel caposaldo del sociale a cui ho accennato qui la settimana scorsa. Infatti la caratteristica peculiare di quella che vi ho esposto come una specie di scienza sociale attinta dal mondo spirituale è quella di essere sicura come la matematica. Nelle cose che vi ho citato non si tratta di dare un’occhiata alla vita pratica per poi dire: «Allora, prima dobbiamo verificare se le cose stanno così».

No, le cose che vi ho detto come scienza sociale ricavata dalla scienza dello spirito sono più o meno come il teorema di Pitagora. Se prendete il teorema di Pitagora, se sapete che l’area del quadrato dell’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei due cateti, non può esserci nessuna esperienza che lo confuti, e voi dovete applicare ovunque questo teorema.

Lo stesso avviene con quello che vi ho indicato come teorema della scienza e della vita sociale:

tutto quello che l’uomo guadagna

ricevendolo come paga del suo lavoro

fa ammalare l’organismo sociale.

Il contesto sociale resta sano solo se l’uomo

provvede al proprio sostentamento

personale

non col suo lavoro,

ma da altre fonti della società.

Apparentemente questo contraddice quanto ho appena affermato, ma solo apparentemente, amici miei, solo apparentemente! A dar valore al lavoro può essere solo il fatto che non venga pagato.

Quello a cui si deve tendere – ovviamente in modo ragionevole, non bolscevico – è la separazione del lavoro dal procacciamento dei mezzi di sussistenza.

L’ho detto anche di recente: se uno non viene più retribuito per il suo lavoro, il denaro perde il suo valore come strumento di potere sul lavoro altrui.

L’unico strumento efficace contro ogni abuso esercitato dal puro denaro è una struttura sociale organizzata in modo tale che nessuno possa essere pagato per il proprio lavoro – e che il reperimento dei mezzi di sussistenza avvenga ricorrendo a tutt’altra fonte. Solo così non è più possibile ottenere col denaro che qualcuno sia obbligato a lavorare per guadagnare denaro.

La maggior parte delle domande che sorgono ai nostri giorni vengono interpretate in maniera confusa. Solo grazie a una scienza dello spirituale possono essere chiarite.

In futuro il denaro non dovrà essere un equivalente della forza lavorativa umana, ma solo della merce priva di vita. In futuro in cambio di denaro si riceverà solo merce priva di vita, non forza lavoro umana. E questo è un fatto di smisurata importanza, miei cari amici!

E adesso pensate che nelle forme più diverse viene fuori proprio questo dalla concezione proletaria del mondo: che la forza lavorativa è diventata una merce! È uno dei cardini del marxismo, uno di quei principi con cui ha fatto il maggior numero di proseliti fra i lavoratori: quello in base al quale nell’industrialismo moderno la forza lavoro è diventata in primo luogo una merce.

Vedete allora che emerge da un tutt’altro angolo, in modo confuso e disordinato, una rivendicazione che tuttavia dev’essere soddisfatta – ma da un lato del tutto diverso. Questa è la caratteristica delle rivendicazioni sociali attuali: che manifestandosi in modo istintivo, sgorgano da impulsi del tutto giusti e sani, ma emergono da una struttura sociale caotica, per cui si presentano in maniera confusa e creano confusione.

Così avviene in molti campi, miei cari amici! Per questo è davvero necessario acquisire una visione sociale scientifico-spirituale, poiché solo questa può portare la vera salvezza.

A questo punto chiederete: «Sì, ma questo porterà a un cambiamento? Se per esempio uno è semplicemente un erede, allora continuerà ad acquistare merce in cambio del denaro che ha ereditato, e le merci contengono già in partenza la forza lavoro di altre persone. Quindi non cambia niente» – direte voi.

Sì, se pensate in astratto le cose non cambiano. Ma se riusciste a vedere l’effetto complessivo di ciò che avviene separando l’acquisto dei mezzi di sussistenza dal lavoro, allora giudichereste in modo diverso. Nella vita reale non vengono tratte solo conseguenze astratte, là le cose reali hanno anche i loro effetti reali.

Se il reperimento dei mezzi di sussistenza verrà davvero separato dalla prestazione lavorativa, allora miei cari amici non ci saranno più eredità! Questo causerà un cambiamento tale della struttura, per cui si avrà denaro solo per procurarsi merci.[4]

Se una cosa viene pensata nella sua realtà, avrà anche diversi effetti reali. Rendere il reperimento dei mezzi di sussistenza indipendente dal lavoro ha un altro effetto ancora del tutto particolare.

Certo, miei cari amici, quando si tratta di cose reali non si può parlare in modo che voi magari diciate: «Questo non mi convince». Allora potreste anche dire: «Non mi convince il fatto che la morfina causi sonnolenza». Questo non deriva da una semplice escogitazione concettuale, lo constatate solo se osservate gli effetti reali.

Oggi c’è qualcosa di assolutamente innaturale nell’ordine sociale: è il fatto che basti possedere del denaro perché questo si moltiplichi. Lo si mette in banca e si ottengono gli interessi. Questa è la cosa più innaturale che possa accadere, è una vera e propria assurdità. Non si fa nulla, si mette il proprio denaro in banca, denaro che magari non ci si è neppure guadagnati lavorando ma che si è ereditato, e si ottengono gli interessi. È un assoluto controsenso!

Ma quando il reperimento dei mezzi di sussistenza viene reso indipendente dal lavoro, si presenterà la necessità che il denaro venga speso ogni volta che c’è, quando viene intascato, che venga cioè speso come equivalente delle merci che ci sono. Deve essere speso, deve circolare, altrimenti si verifica l’effetto reale per cui il denaro non aumenta ma diminuisce!

Se oggi uno dispone di una certa somma, nel giro di quattordici anni circa, con un normale tasso d’interesse, avrà quasi il doppio. E non ha fatto niente, ha solo aspettato! Se vi immaginate la trasformazione della struttura sociale sotto l’influsso del principio che vi ho indicato, il denaro non si moltiplica, ma si riduce. E dopo un determinato numero di anni la banconota di cui ero entrato in possesso tempo fa non ha più alcun valore. È svalutata, smette di avere valore.

Miei cari amici, il processo diventa sano e naturale nella struttura sociale grazie al sorgere di condizioni per cui il semplice denaro – che altro non è che un certificato, un attestato, che indica che si dispone di un certo potere sulle forze lavoro degli uomini – dopo un certo periodo viene svalutato se non viene immesso nella circolazione.

Quindi non si moltiplicherà, ma si ridurrà progressivamente, e dopo quattordici anni o forse dopo un periodo un po’ più lungo non avrà più nessun valore. Se oggi siete milionari, dopo quattordici anni non avrete raddoppiato il vostro capitale, ma sarete dei poveracci, se nel frattempo non vi sarete guadagnati nulla di nuovo!

Sì, miei cari amici, lo so che al giorno d’oggi talvolta il dire queste cose fa l’effetto di quegli animali che procurano prurito – se mi è concesso fare questo paragone. Me ne rendo conto: non avrei usato questo paragone se non mi fossi accorto degli strani movimenti fra il pubblico!

Ma proprio perché le cose stanno così, perché la cosa viene sentita in questo modo, come se uno avesse degli animali che gli danno prurito – per questo abbiamo il bolscevismo! Basta che cerchiate i veri motivi: i veri motivi sono quelli. E quello che emerge non lo eliminate dal mondo se non guardando in faccia la verità. Non serve a niente lamentarsi che la verità sia sgradevole.

E farà sostanzialmente parte dell’educazione dell’umanità del presente e del prossimo futuro il non credere più che le verità possano adeguarsi a simpatie o antipatie soggettive. A questo può provvedere la scienza dello spirito, se compresa con il sano buonsenso, dato che la faccenda può essere considerata anche dal punto di vista spirituale.

Con il vago luogo comune che ho già sentito pronunciare anche da antroposofi, che prendono in mano il denaro e dicono: «Questo è Arimane!» – con questo fatuo luogo comune, miei cari amici, non si ottiene niente. Il denaro rappresenta oggi un equivalente di merce e forza lavorativa. È un diritto a disporre di qualcosa che avviene nella realtà.

Se dalla pura astrazione si passa alla realtà, se si riflette – avendo dieci banconote da cento marchi e pagandole a qualcuno – che con queste dieci banconote da cento marchi si fa passare di mano in mano l’equivalente del lavoro di tot persone, che in queste banconote c’è il potere di far lavorare tot persone, allora sì che si è nella realtà della vita. Allora sì che si è inseriti nella vita con tutte le sue ramificazioni e con tutti i suoi impulsi. E allora non ci si fermerà più alla semplice astrazione, all’astrazione irriflessiva del pagare in denaro, ma ci si domanderà: «Cosa significa il mio far passare di mano in mano dieci banconote da cento marchi che danno l’ordine a tot persone di lavorare, persone dotate di testa, cuore e sentimento? Che cosa significa che queste persone devono lavorare»?

In ultima analisi, la risposta a una domanda come questa può essere data solo da un’osservazione spirituale della questione. Prendiamo il caso più estremo, miei cari amici: supponiamo che uno abbia del denaro, senza darsi da fare per l’umanità. Sono casi che si verificano realmente! Voglio prendere in considerazione questo caso estremo: un tale possiede del denaro senza assumersi nessun impegno per l’umanità. Con quel denaro si compra qualcosa. È perfino in grado di crearsi una vita piacevole grazie al possesso di questo denaro, che è un certificato in base a cui si dispone della forza lavoro umana.

Bene! Non è necessario che costui sia malvagio, può anche essere un brav’uomo, miei cari amici, addirittura molto zelante – avviene non di rado che non si abbia affatto coscienza della realtà sociale. Non ci si interessa ai propri simili, cioè all’effettiva struttura sociale.

Si ritiene di amare gli uomini se per esempio con il denaro ereditato si compra qualcosa o anche se lo si regala. Regalandolo non si fa altro che far lavorare tot persone per colui al quale si regala il denaro. È solo uno strumento di potere: per il fatto di poter disporre della forza lavorativa è uno strumento di potere.

Ma, miei cari amici, le cose sono diventate così nel corso del tempo, si sono sviluppate in questo modo, e questo è il riflesso di qualcos’altro. È il riflesso di ciò a cui ho accennato nella conferenza precedente. Vi ho fatto notare che il dio Jahvè ha dominato il mondo per un certo periodo, eliminando gli altri Elohim, gli altri Spiriti della Forma. E ora non si può più difendere dagli spiriti che ha così evocato. Ha tolto di mezzo i suoi compagni, gli altri sei Elohim.

In tal modo quello che l’uomo vive già nello stato embrionale è diventato dominante nella coscienza umana. Le altre sei forze di cui l’uomo non fa l’esperienza nello stato embrionale sono quindi diventate inefficaci, sono finite sotto l’influsso di esseri spirituali inferiori. Vi ho detto che negli anni quaranta[5] Jahvè non sapeva più cosa fare. Allora – dato che con la saggezza di Jahvè acquisita nella vita embrionale si può comprendere solo il predominio della natura esteriore – sono sorte le scienze naturali atee.

Il riflesso di questo, miei cari amici, è la circolazione del denaro senza che con esso circoli anche la merce, il fatto che il denaro passa da un uomo all’altro senza che circoli anche la merce.

L’uomo può anche darsi tanto da fare in qualche settore, ma in ciò che il denaro in quanto tale apparentemente produce vive la forza arimanica. Non potete ereditare, miei cari amici, senza che con il denaro passi un certo quantitativo di forza arimanica.

Non c’è altra possibilità di possedere denaro in modo salutare all’interno della struttura sociale che possederlo “cristianamente”, cioè guadagnare il denaro con ciò che si compie fra la nascita e la morte. Il modo in cui si ottiene il denaro non deve essere un riflesso di ciò che è “jahvistico”.

“Jahvistico” è il nostro nascere, cioè il passare dallo stato embrionale alla vita esterna. L’ereditare denaro è un riflesso di questa realtà. Le qualità che ereditiamo in base al sangue sono ereditate per natura. Il denaro che ereditiamo – che non guadagnamo – ne è il riflesso.

Miei cari amici, tutte le cose che da un lato hanno prodotto l’attuale catastrofe sono arrivate perché la coscienza “cristica” non si è ancora affermata, perché la struttura sociale viene ancora impostata secondo l’antica saggezza “jahvistica” – o con il suo fantasma, il pensiero giuridico-statale romano.

Ho detto che la questione non deve essere considerata in modo astratto – quando il denaro produce altro denaro –, ma che dev’essere osservata nella sua realtà. Ogni volta che il denaro produce denaro si tratta di qualcosa che avviene solo sul piano fisico, mentre quello che è l’uomo si trova sempre in rapporto col mondo spirituale.

Che cosa fate allora, miei cari amici, se non lavorate ma avete del denaro e date questo denaro affinché l’uomo che lo riceve lavori? L’uomo deve allora portare al mercato la sua parte spirituale, celeste, mentre voi gli date solo qualcosa di terreno. Voi lo pagate solo con qualcosa di terreno, di arimanico. Vedete, questo è il lato spirituale della faccenda. E dove entra in gioco Arimane può esserci solo rovina.

Anche questa è una verità scomoda. Ma, miei cari amici, non serve a niente dirsi: «Beh, tutto sommato sono un tipo onesto o una tipa onesta, quindi non faccio niente di male se pago questo o quello usando la mia rendita».[6]

In questo modo date in realtà Arimane in cambio di Dio![7] Certo, nell’odierna struttura sociale si è molte volte costretti a farlo, ma non bisogna attuare la politica dello struzzo e nascondersi la realtà: occorre invece guardare in faccia la verità.

Perché è proprio da questo che dipende ciò che ci porterà il futuro, dal guardare negli occhi la verità. Molto di quanto ha colpito in modo così catastrofico l’umanità è avvenuto proprio perché la gente ha chiuso gli occhi fisici e quelli dell’anima davanti alla verità, perché in molti si sono fatti dei concetti astratti su ciò che è giusto e ingiusto, e non hanno voluto occuparsi di ciò che è reale e concreto.[8]

[1] La conferenza s’intitola: Il coraggio della libertà nella vita sociale – Ed. Archiati (Il brano estratto si trova a p. 57)

[2] I termini proletari e proletariato, comuni a quell’epoca, sono stati sostituiti con quelli oggi correnti di lavoratori e classe operaia.

[3] Nel Faust di Goethe si legge letteralmente (v. 682-3): «L’eredità paterna devi guadagnartela per possederla».

[4]Se col passar del tempo tutto il denaro perde valore, ognuno è invogliato a convertire in merce il denaro che riceve di volta in volta, e il più rapidamente possibile – solo così può evitare la diminuzione del suo potere d’acquisto. E qual è il sistema più rapido per convertire il proprio denaro in valori reali? Procurarsi merci e servizi!

[5] Nella metà del diciannovesimo secolo il materialismo teorico ha raggiunto il suo culmine. Fino ad allora aveva dominato la divinità Jahvè, che non agisce a livello puramente spirituale, ma attraverso le forze della materia – per così dire tramite sangue e suolo – in modo unilateralmente arimanico, cioè per mezzo del potere terreno.

[6] A quei tempi rendita significava soprattutto l’interesse realizzato dal capitale investito.

[7] «Dare Arimane in cambio di Dio» significa scambiare qualcosa di materiale (denaro, Arimane) con qualcosa di spirituale (con il lavoratore in quanto essere umano, spirito creato da Dio). Con il denaro si obbliga lo spirito umano a lavorare per se stessi.

[8] R. Steiner termina la conferenza con questa osservazione: «Ne riparleremo domani, portando la questione ad altezze spirituali».

Glossario

L’anima umana può venir compresa soltanto se la si considera in relazione con lo spirito pensante da un lato e con il corpo fisico dall’altro. È il vero mondo interiore soggettivo dell’uomo. La possiamo distinguere in tre parti:

Anima senziente: la fonte dell’attività interiore che risponde alle impressioni del mondo esterno con le sensazioni e ne conserva la memoria. È il mondo interiore delle sensazioni, dei sentimenti (piacere, dispiacere ecc.), delle emozioni, degli impulsi, degli istinti, delle passioni. Per tale elemento l’uomo è affine all’animale.

Anima razionale: la fonte dell’attività interiore che pone il pensare al proprio servizio, per cui non si seguono alla cieca nemmeno i propri impulsi. L’anima compenetrata dalla forza pensante.

Anima cosciente: il nocciolo della coscienza umana intellettiva, l’anima nell’anima, l’elemento interiore in cui vive la verità e il bene in sé anche quando tutti i sentimenti personali si sollevano loro contro. Ciò che di eterno risplende nell’anima: quanto più l’anima si riempie di ciò che è vero e buono, tanto più cresce e si estende l’eterno in lei.[1]

[1]Per un maggiore e migliore approfondimento delle parti costitutive dell’essere umano, V. R. Steiner, Teosofia, cap. «La natura dell’uomo»; La scienza occulta – Ed. Antroposofica

Letture correlate

Archiati Edizioni

Pietro Archiati

Economia e vita

Crisi dell’economia, sfida dell’uomo Cd Mp3

L’umanità una sola famiglia

L’uomo e la Terra

Uomo e denaro

Seminari sul Vangelo di Giovanni, 11 Voll

«Voi siete dèi!» L’uomo in camminoLe chiavi di lettura dei vangeli, Vol 2

Rudolf Steiner

Cultura politica economia

Il bene c’è per tutti

Il bello di essere uomini

Il coraggio della libertà nella vita sociale

L’uomo tra potere e libertà

Ma cos’è questo cristianesimo?

Riscatto dai poteri

A proposito di Rudolf Steiner

Rudolf Steiner (1861-1925) ha integrato le moderne scienze naturali con una indagine scientifica del mondo spirituale. La sua antroposofia rappresenta, nella cultura odierna, una sfida unica al superamento del materialismo.

La scienza dello spirito di Steiner non è solo teoria. La sua fecondità si palesa nella capacità di rinnovare i vari ambiti della vita: l’educazione, la medicina, l’arte, la religione, l’agricoltura, fino a prospettare l’idea di una triarticolazione dell’intero organismo sociale che riserva all’ambito della cultura, a quello della politica e a quello dell’economia una reciproca indipendenza.

Fino a oggi Rudolf Steiner è stato ignorato dalla cultura dominante. Questo forse perché molti uomini indietreggiano impauriti di fronte alla scelta che ogni uomo deve fare tra potere e solidarietà, fra denaro e spirito. In questa scelta si manifesta quell’interiore esperienza della libertà che è stata resa possibile a tutti gli uomini a partire da duemila anni fa, e che porta a un crescente discernimento degli spiriti nell’umanità.

La scienza dello spirito di Rudolf Steiner non può essere né un movimento di massa né un fenomeno elitario: da un lato, infatti, solo il singolo individuo, nella sua libertà, può decidere di farla sua; dall’altro questo singolo individuo può mantenere le sue radici in tutti gli strati della società, in tutti i popoli e in tutte le religioni egli sia nato e cresciuto.

Foto di Steiner
Gli uni per gli altri - quarta di copertina