Pietro Archiati
L’idea
della libertà
Commento a
La filosofia della libertà
di Rudolf Steiner
Volume 9
Cap. IX, dal par. 16 al par. 45
Rocca di Papa ( RM) 3 – 6 febbraio 2011
N.B. Trascrizione integrale del parlato,
NON redatta e NON rivista dall’autore
Indice
Venerdì 4 febbraio, pomeriggio (intro)
A proposito di Pietro Archiati
Giovedì 3 febbraio, sera
Benvenuti a tutti! Ci troviamo in un punto nevralgico delle considerazioni della Filosofia della libertà, nel senso che questo capitolo IX siamo arrivati al paragrafo 16, e il capitolo si chiama “Il concetto di libertà” il concetto di libertà è che nell’agire, nel volere, nel fare qualcosa tenendo presente che noi distinguiamo tra -volere- che è un atto puramente interiore, e il fare, l’agire è il punto di passaggio tra l’interiorità umana e il mondo esterno. Uno dice: voglio uscire dalla stanza! Voglio, è un volere, è successo qualcosa? Ha fatto qualcosa? Ha agito? No, perché può darsi che ci ripensi e dica: no non voglio uscire! Quindi se dice: voglio uscire, è un atto di volontà ma è puramente interiore, non è ancora eseguito, non è ancora attuato. Se poi ci ripensa e dice: no, no aspetto una mezzora! Allora un altro atto di volontà, l’atto del volere è puramente interiore e l’azione è l’esecuzione, star fermo ad aspettare è un’azione. Il capitolo 9, il concetto di libertà pone la domanda nel volere e nell’agire sono libero o no? l’essere umano è libero o no? o è determinato? Magari in modi occulti, in modi subdoli, e questa domanda è ovviamente fondamentale, perché tutta la dignità della persona umana sta’ nella libertà, se togliamo la libertà alla persona umana gli togliamo tutto, resta una macchina, un automa, un bambino piccolo. In Egitto di che si tratta in questi giorni drammatici? Della libertà! siamo cittadini liberi oppure c’è un regime dittatoriale, un regime che ci costringe ad agire in un certo modo. Quindi alla base dell’umano c’è sempre in un modo o nell’altro il quesito fondamentale della libertà. E allora questa domanda fondamentale sulla libertà dobbiamo distinguere tra chi io sono e ciò che io voglio; chi io sono l’ho chiamato il volente e ciò che io voglio è il voluto, questo io è ognuno di noi naturalmente. Ora chi io sono non lo posso cambiare, io non posso cambiarmi, non sono libero di essere un altro in questo momento da quello che sono. Quindi la predisposizione caratterologica -la chiama Steiner nel contesto filosofico di allora- è il divenuto, ciò che io sono divenuto, come mi sono costruito, per motivi vari con libertà o senza libertà, concorrenza altrui, ho fatto molti sbagli pochi sbagli, non importa nulla, chi io sono in questo momento, sono così come sono. Sono io così come sono che pongo la domanda: che cosa voglio in questo momento? Quindi la domanda della libertà presuppone una predisposizione caratterologica che è la costituzione di un individuo al momento presente del volere e dell’agire che è così com’è. E questa predisposizione caratterologica, Steiner la articola sulla percezione, il sentimento, la rappresentazione e il concetto, sono i moventi. Cos’è che mi muove? Ciò che io voglio è il motivo e il movente sono io, la compagine complessa, esauriente di ciò che io sono in questo momento è il movente. Chi un individuo è in questo momento lo possiamo esprimere in tanti modi, chi sono io? C’è il mio corpo, la realtà del mio corpo, la mia costituzione corporea, l’età che ho fa parte della realtà corporea, e ciò che una persona vuole cambia, dipende dalla sua realtà corporea. Prendiamo poi la realtà dell’anima che sono tutte le simpatie e le antipatie di una persona, ora una persona non potrà volere qualcosa verso cui ha antipatia anzi cerca di evitarlo non di volerlo, non di farlo. Quindi le simpatie è la somma di ciò che io vorrei che mi venga incontro, vorrei acquisire e le antipatie è la somma di ciò che non voglio, che vorrei tenere lontano da me. Ora già a questo punto qui, ci rendiamo conto che la compagine corporea, che poi il corpo ha dei modi di funzionamento, delle leggi di natura fondamentali uguali in tutta la specie umana, in tutto il genere umano, però il mio corpo ha delle specificazioni infinite che sono del tutto individuali, per non parlare dell’anima che è ancora più individuale. Poi lo spirito che è ciò che un essere umano può volere, può intendere, può cercare di realizzare al di là della sua realtà corporea mangiare, bere e star bene corporeamente, al di là delle sue simpatie o antipatie, in quanto spirito può dire voglio coltivare l’evoluzione ulteriore del mio spirito, per esempio voglio fare un cammino di conoscenza. Naturalmente questo cammino di conoscenza presuppone che nell’anima ci sia un minimo di simpatia, perché se uno dice ma chi te l’ho fa fare? allora non lo farà! Quindi è chiaro che c’è un collegamento tra queste tre dimensioni dell’umano, però quello che qui si evidenzia è che il fenomeno umano si individualizza sempre di più. Nel bambino piccolo prevale la realtà corporea, poi man mano che cresce subentra sempre di più la realtà dell’anima, e poi se tutto va bene sempre di più anche la realtà dello spirito. Un fenomeno fondamentale della realtà corporea è la percezione, la percezione è un frammento di corporeità, è un frammento di materialità, e dice Steiner che quando una persona viene spinta all’agire in base a una percezione, questo modo di agire è minimamente libero, perché è la percezione stessa che mi spinge ad agire in un certo modo. Ora questo livello dove io vedo qualcosa, sento qualcosa e senza riflessione, senza frapporre un sentimento o una presa di posizione automaticamente vado all’azione, è un modo di agire spontaneo però automatico, meccanico, istintivo, istintuale se vogliamo, è un agire senza volere perché il volere è una riflessione interiore che si chiede per lo meno cosa voglio o come reagisco di fronte a questa percezione. E quando l’agire è puramente meccanico elicitato dalla percezione, senza frapposizione di riflessione, ci accorgiamo che c’è una differenza fondamentale tra agire quindi muovere il corpo in una certa direzione e volere, volere è un atto interiore, dove devo essere presente io per lo meno con la domanda velocissima cosa voglio? cosa faccio? però la domanda cosa voglio, cosa faccio non è un agire è un riflettere, e quindi nel momento in cui io mi chiedo anche soltanto in un frammento di secondo cosa faccio, cosa voglio non è un agire puramente meccanico, puramente automatico. Quindi cos’è il volere? Un atto di pensiero, un atto di riflessione! Che voglio? chiedendomi cosa voglio sto pensando, soltanto pensando posso sapere cosa voglio, quindi il volere è un atto di pensiero, oppure non è un volere allora è un puro agire. E tra l’altro un puro agire senza un minimo di volere non avrebbe il diritto di chiamarsi -agire umano-, perché l’agire umano in quanto tale presuppone almeno un minimo di riflessione, di forza di volontà, e la volontà presuppone un minimo di pensiero, altrimenti usciamo dall’umano. Quindi diciamo che un agire umano puramente, al 100% automatico e meccanico di fatti non esiste. Conoscete voi un fenomeno di agire di un essere umano, che però in quel momento non è propriamente un essere umano, del tutto automatico? Il sonnambulo … di fronte a un sonnambulo esula dall’umano e ci mette profondamente a disagio il fenomeno del sonnambulismo perché esula dall’umano, perché ci accorgiamo che fa delle cose ma non è un fare non è un agire, manca in assoluto un minimo di presa di posizione della coscienza del pensiero, lui è via, tant’è vero che si pone la domanda ma che fenomeno è? come è possibile? Quindi l’agire puro in base a percezione anche se non è mai al 100% è un agire senza mediazione del pensiero, senza mediazione del sentimento, un sentimento deve essere minimamente cosciente altrimenti non è un sentimento e diventa cosciente in base al pensiero, e senza mediazione del volere. Quindi l’abitudine, l’agire per galateo, il tratto sociale, le regole di comportamento tendono a diventare una seconda natura. Allora tu dicevi quando uno ti punge è la natura che reagisce, io non posso dire sono io, nella misura in cui i comportamenti vengono elicitati puramente dalla percezione diventano una seconda natura, e diventando una seconda natura esulano sempre di più dall’umano, perché la natura è fuori dall’umano, la natura sono puri determinismi di natura, io non la posso cambiare la natura. Un esempio, quando uno guida rispettare le regole stradali, il codice della strada è bene che sia automatico o è bene che questa volontà sia presente, che io ogni volta coscientemente, liberamente prenda posizione? È meglio che sia automatico, perché il codice stradale non contiene nulla di umanamente voluto. Un codice stradale sano contiene soltanto divieti, tutto il resto è libero, e i divieti sono ciò che io devo proibire alla mia volontà, i divieti sono ciò che io devo non volere tutto il resto è libero; quindi quando io osservo i divieti, tutte le regole della circolazione stradale andrebbero, se fossimo puliti nel pensare, espresse in termini di divieti. Una velocità massima cos’è? e’ un divieto di superare questa velocità, quindi non ha nulla a che fare con la volontà libera, indica soltanto i presupposti necessari perché ognuno possa guidare liberamente. Se tu non osservi questi divieti cominci subito a mettere in pericolo la libertà tua e quella degli altri, e questo è il motivo per cui più si automatizza il rispettare i divieti e meglio è. Qual è la migliore automatizzazione del rispetto di un divieto? Prendiamo un divieto morale non soltanto in campo stradale: “non uccidere” è un divieto, noi stiamo dicendo che il modo migliore per essere liberi nei confronti di un divieto è di evitare ciò che è vietato automatico, e qual è il modo migliore di evitare ciò che è vietato in un modo automatico? Di non volerlo
I. deve diventare una predisposizione caratterologica?
A. esatto, più diventa una predisposizione caratterologica e meglio è, nella misura in cui il parlamentare in chiave giuridica quali cose veramente vanno proibite e quali no, è una cosa che diventa sempre più complessa, ma supponiamo che io sono convinto che una certa cosa ad es. uccidere fisicamente va proibito, è un buon esempio perché dovrà sempre essere proibito uccidere fisicamente l’altro, perché se lo fai fuori la tua libertà è compromessa ma la sua è finita! Allora di fronte a questo puro fatto che è vietato uccidere fisicamente l’altro, il modo migliore di restare libero è che io liberamente non lo voglio mai fare! e non vengo mai minimamente nella tentazione di volerlo un pochino fare, “te sei impossibile!” ma ammazzarti non mi passa mai neanche nell’anticamera del cervello caso mai vado via, ma ammazzarti non mi passa neanche nell’anticamera del cervello allora resto libero. E questi sono esercizi, e questa volta dovremmo entrare ancora più a fondo in questa questione fondamentale che impelle sempre di più alla coscienza umana, che l’unica morale valida per tutti è la morale dei divieti, delle proibizioni. Il proibito è uguale per tutti, permesso è tutto ciò che non è proibito. Semplicemente da un punto di vista quantitativo, ho sempre detto che una legge moderna che rispetta la libertà deve limitarsi ad indicare le azioni proibite, tutto il resto è permesso, e se noi comprendiamo che il rispetto della libertà individuale significa che la legge ha solo il diritto di stipulare le cose proibite, la legge tenderà a proibire soltanto le cose che assolutamente vanno proibite. Finché noi non siamo sicuri che una certa azione lede la libertà dell’uomo aspettiamo a proibirla! Perché è prudente e saggio aspettare? Perché se poi salta fuori che andrebbe permessa che non lede la libertà, troveremmo un sacco di persone, se la proibiamo, che si ribellano. Quindi concediamoci ancora un po’ di sperimentare finché salta fuori oggettivamente e chiaramente se sì o no, lede la libertà, tutto il resto è permesso. Quando io rispetto i divieti stradali, dove posso andare io sulla strada? Dappertutto. Quantitativamente i divieti devono essere tenuti al minimo, vietate devono essere soltanto le azioni che chiaramente ledono la libertà, e non sono tantissime, e tutto il resto è permesso, adesso io vi chiedo quantitativamente: non c’è una differenza enorme tra le cose che vanno proibite e le cose che sono permesse? Le cose che sono permesse sono all’infinito, le cose che vanno proibite sono molto limitate, se non fossero limitate non sarebbe possibile fare una legislazione. Se le cose da proibire fossero illimitate la legge non avrebbe limite, non ne verremmo mai a capo, quindi le cose che vanno proibite devono avere un limite, ma le cose permesse, le cose che è permesso fare non hanno un limite. Quindi quando un individuo chiede: che cosa posso fare? la risposta è: tutto quello che vuoi, basta che non fai ciò che è proibito, e se non fai ciò che è proibito e non lo vuoi fare quindi resti libero, puoi fare tutto quello che vuoi. Noi ci trasciniamo una morale che diventa sempre più anacronistica, sempre più disumana perché giustamente gli esseri umani si ribellano, una morale che crede di poter dire all’uomo ciò che deve fare, anziché dirgli semplicemente ciò che non deve fare. Ora una morale che vuol dire all’uomo ciò che deve fare è l’immorale in assoluto perché uccide la libertà. Vi ripeto la domanda - il vostro silenzio mi dice che le cose sono veramente importanti -: esiste qualcosa che l’essere umano deve fare? non esiste, non è mai esistito! Esiste ciò che non deve fare, perché ciò che non deve fare, ciò che va proibito è qualcosa che lede la libertà e questo non lo deve fare nessuno, nessuno ha il diritto di farlo, ma qualcosa che l’uomo deve fare non esiste. Ma allora se non c’è nulla che -io devo- non esiste il bene morale, il bene morale non è ciò che l’uomo deve, ciò che l’uomo fa per dovere lo fa per sottomissione, lo fa per castrazione della propria libertà, come può essere un bene morale? Quindi il dovere è il male morale in assoluto, perché è una sottomissione, è un soggiogare, è rendere non libero l’Io. Se il bene morale non è un dovere cos’è? è ciò che il mio essere individualissimamente vuole! e se ciò che io voglio è male? È male solo se lede la libertà, ma allora è proibito e non mi serve a nulla volere ciò che è proibito, sono più libero se non lo voglio, ciò che è proibito non lo voglio e adesso uno si pone la domanda: e se ciò che voglio è male? Se non è proibito non può essere male
I. ho bisogno che sia scritto da qualche parte ciò che è proibito oppure dentro di me
A. sì ciò che proibito va sancito per intesa di una collettività in un’area dove c’è una legge comune. Il problema è che l’area dove c’era una legge comune al tempo dei greci era la Polis, la città di Atene aveva un’altra legislatura che non la città di Sparta, di Tebe ecc. ora il nostro problema è che le unità legislative sono gli stati moderni, cosa che non dovrebbe essere, però sta di fatto che la Germania ha una legge, la Svizzera ha una legge, l’Italia ha una legge. Prendiamo l’Italia che è una comunità legislativa, una comunità di esseri umani che fanno riferimento alla stessa legge – finché la Padania non va per i fatti suoi allora vorrebbe fare un’altra legge – ma finché resta una unità legislativa si tratta di intendersi tutti sulle cose che oggettivamente per tutti vanno proibite. Quindi il proibito è in assoluto non soggettivabile, perché allora se il proibito è per te una cosa e per te un’altra, allora cosa è proibito? Nulla, succede il caos!
I. il proibito però è una conquista della comunità
A. no, no è una conquista della maggioranza
I. della maggioranza, cioè si trasforma nel trasformarsi della società?
A. certo
I. certo, per cui le proibizioni di oggi io dovrei condividerle, perché devono essere, essendo italiano dovrei capirle
A. no, no, invece no torniamo al fatto di Socrate che è stato accusato di aver fatto una cosa che secondo la legge di Atene era proibita e cioè era proibito sminuire l’aura alica degli dei, e secondo gli ateniesi questo qui sobilla la gioventù per ribellarsi contro questi dei e adesso lui vuol fare come se gli esseri umani fossero loro stessi chiamati a essere come Zeus, come Giove ecc. Socrate ha sobillato la gioventù, ha sobillato la rivoluzione contro gli dei? Ha fatto qualcosa di proibito o no? si sono riuniti, hanno votato e un margine piccolo ha votato per la sua morte, quindi una piccola maggioranza era del parere che lui ha fatto delle cose che sono proibite dalla legge di Atene. E Socrate dice: d’accordo vado, per fortuna vado volentieri nel mondo spirituale, da bravo filosofo son sempre vissuto nel mondo spirituale! e la cicuta se l’è bevuta. E nella legislazione di Atene era compreso che una persona che non fosse d’accordo con le cose proibite andasse altrove, quindi questi giovani attorno a Socrate gli hanno detto: ma Socrate guarda che tu puoi andare in Tracia, e Socrate gli diceva ma voi siete bacati! Atene la nostra legislazione è quella più moderna che ci sia, se io non calzo qui in Atene io che sono ancora più moderno di voi, se vado fra i traci quelli mi mettono a morte ancora prima che ci arrivo! Quindi un posto sulla terra in questo momento per me non c’è, allora torno nel mondo spirituale. Quindi la legislazione che sancisce ciò che è proibito e perciò noi complichiamo enormemente se la legge si assume il compito di dire agli esseri umani ciò che devono fare, allora non ne veniamo più a capo. Se invece resta nel suo campo di individuare le azioni che vanno proibite si tratta di una maggioranza. Adesso io faccio parte della minoranza ed è stato deciso – vi do un esempio che adesso è in Svizzera – uno non ha più voglia di vivere e vuole togliersi la vita, va dal medico e gli dice: mi aiuti? Adesso preparano un bicchiere -è la versione moderna del bicchiere della cicuta di Socrate, perché Socrate beve questo bicchiere è andato all’altro mondo-, adesso uno non ha più voglia di vivere e dice al medico tu lo sai che intrugli metterci dentro, se mi dai questo bicchiere poi io vado all’altro mondo, perché non mi aiuti? Il medico sa esattamente come è composto questo bicchiere e dice glielo do o non glielo do? Va proibito?
I. porrebbe fine alla libertà di quell’uomo
I. tu sei libero di chiedermelo ma io sono libero di non dartelo o di dartelo, tu coinvolgi me nella tua decisione è questo che crea un problema
A. se la legge obbliga il medico a darglielo lede la libertà del medico, se la legge proibisce al medico di darglielo questo aiuto, lede la libertà del medico. Una legge saggia lascia fare a ogni medico ciò che vuole, quindi secondo me ogni tipo di intervento di legge è anacronistico, perché se io sono convinto che questo aiuto non glielo do non ho bisogno che la legge me lo proibisca, decido io liberamente di non darglielo questo aiuto. Un altro medico vuol dargli questo aiuto, perché glielo vuoi proibire?
Adesso ripeto la domanda: siamo sicuri che aiutare un individuo, tra l’altro poi è difficilissimo appurare esattamente se è un aiuto diretto o un aiuto indiretto ecc., siamo sicuri che aiutare un individuo a passare la soglia della morte lede la libertà? è molto complessa la cosa, e questo è un caso dove si evidenzia che la legge dovrebbe andarci molto più cauta, perché dovrebbe limitarsi a proibire -ma proibire tassativamente però una mezza proibizione non esiste- soltanto quelle azioni che decisamente secondo una maggioranza ledono direttamente la libertà, tutto il resto deve essere aperto alla libertà dell’individuo
I. quindi io non posso uccidere ma se tu me lo chiedi posso ucciderti. Intanto c’è questa proibizione di non uccidere l’altro perché gli ledi la sua libertà e la mia, però se lui me lo chiede io posso decidere di ucciderlo
A. però sta attenta tu stai presupponendo che questo aiuto sia un uccidere, concedimi di non essere d’accordo! Perché secondo te è un uccidere?
I. perché è un pregiudizio che far morire l’altro è un uccidere
A. ma io non lo sto facendo morire, gli do in mano un bicchiere che lui mi ha chiesto di mettergli a disposizione, lui mica è obbligato a berlo! Io non sto dicendo che io sono una persona che glielo darebbe, chi mi conosce lo sa che io non glielo do il bicchiere, stiamo parlando del fatto se è giusto o no tassativamente proibirlo per legge questa è un’altra questione. Se un medico ha la convinzione: ma questo poveraccio, ma se continua a vivere così sarà sempre peggio, ma dai glielo do sto bicchiere? Questo medico è diverso da me, devo proibirgli il suo essere diverso? Io posso dire che non sono d’accordo però è diverso da proibirgli di agire secondo il suo modo di essere. In altre parole se tu sei il tipo che dice: no io questo bicchiere non glielo do! Non imporre questo comportamento per legge all’altro, questo sto dicendo, però tu hai il diritto di non darlo. Però la tua riflessione andava nella direzione di volerlo proibire anche all’altro! No, lì vai troppo lontano, perché allora ledi la libertà dell’altro
I. io lo aiuto ad ucciderlo quindi uccido anch’io, ma uccidere è sempre stato interpretato, anche il comandamento “non uccidere” è perché l’altro non vuole essere ucciso e tu invece lo vuoi uccidere, è insito nell’uccidere il fatto che è un’azione contraria alla volontà dell’altro comunque
A. allora adesso chiudiamo questa parentesi la riprenderemo di nuovo probabilmente in questi giorni qui. Uno che non vuol più vivere, che vuol togliersi la vita non ha una volontà, ha una non volontà, non vuol più vivere. Ora, se noi una volontà negativa la mettiamo alla pari di una volontà positiva è questo l’errore di pensiero fondamentale, e dopo fatto questo pensiero va tutto sbagliato. Quindi lui non vuol più vivere, cosa vuole? non vuole nulla nessuno può voler morire, morire non esiste non è un’azione il morire, il morire non si può volere, morire è un terminare di vivere, quindi non ha più la volontà di vivere, quindi è una carenza di forze di volontà. Quando l’essere umano non vuol più vivere si mette contro la volontà del suo Io vero, del suo spirito, perché l’Io superiore vuol sempre vivere, perché ha una volontà, non è una carenza di volontà, e vuol vivere o nel mondo fisico o nel mondo spirituale, ma sempre vuol vivere. Quindi non voler più vivere è che su tutta la linea viene meno una carenza, è un vuoto, quindi un vuoto di volontà, io non posso trattarlo sullo stesso piano di una pienezza di volontà, quindi colui che vuol morire non vuole più nulla, ha terminato di volere, perché nel vivere ci sono i contenuti concreti di ciò che uno può volere, e l’Io vero vuol sempre vivere e sa esattamente fin quando vuol vivere, fino a quale giorno vuol vivere nel mondo fisico, e a partire da quale giorno vuol vivere nel mondo spirituale ma vuol sempre vivere, perché l’Io superiore non può volersi annullare, questa volontà dell’io inferiore è di annullarsi, voglio sparire, quindi voler sparire è una negazione di volontà non è una volontà positiva. Quindi uno che si vuol togliere la vita ha terminato di volere qualcosa, non vuole più nulla, quindi l’unica cosa importante è di chiedersi: si può fare qualcosa per aiutarlo a rivolere almeno un pochino di vivere? Senza ledere la sua libertà, perché in questo momento la sua libertà è minima, è zero, non vuole nulla. Ripeto c’è una differenza enorme tra dire che non vuol più vivere quindi un non volere e dire che vuol morire, nessuno può voler morire, uno vuol morire adesso io vi chiedo: cosa vuole? qual è il contenuto della volontà? cosa vuole? non vuole più nulla!
I. la dignità di morire, si parla comunque di un malato terminale, un malato è una persona che soffre, quindi vivere nella sofferenza andando incontro sempre a situazioni irreversibili, una persona decide liberamente di avere la dignità di morire, di non vivere nel dolore
A. no, il fenomeno è espresso in un modo errato, ha perso ogni volontà di vivere. Dire che ha perso ogni volontà di vivere e dire che ha la libera volontà di morire sono due cose del tutto diverse. La prima dicitura è giusta e la seconda è sbagliata: ha perso ogni volontà di vivere, si trova nel vuoto
I. a me è accaduto in un periodo non molto lontano della mia vita di non voler più vivere e di non voler assolutamente morire, sono stato sbattuto fuori dal corpo e poi sono ritornato molto motivato nel continuare a vivere
A. adesso termino questa questione e andiamo avanti col testo, secondo me la domanda fondamentale è: di fronte a una persona a cui vengono a mancare i motivi di vivere, vogliamo proibirgli questo stato di animo? Non si può proibire, perché se ha perso ogni voglia di vivere ha perso ogni voglia di vivere. E abbiamo il diritto soltanto indirettamente di intervenire se ha la fortuna di avere accanto a sé una persona che muore di voglia di vivere, che può agire indirettamente per contagio. Ma un interferire diretto non esiste, non ha più voglia di vivere, il Giuda si toglie la vita duemila anni fa, non aveva più voglia di vivere sennò non se la toglieva la vita, il Cristo cosa fa? Gli dice no, no, devi continuare a vivere! Però mica lo va a aiutare, non gli da’ il bicchiere col veleno. I moventi, quindi la parte caratterologica sono dalla percezione su questo abbiamo detto tante cose, poi il sentimento. Poi la rappresentazione e il concetto il terzo livello, sono rappresentazioni già incamerate già pensate che fanno parte del patrimonio mentale, interiore dell’individuo. La somma di rappresentazioni, di comportamenti la chiama l’esperienza pratica, e la somma dei concetti posti alla base dei comportamenti la chiama la ragione pratica. La ragione pratica è la sfera delle mete generali, degli ideali e la ragione pratica oscilla tra la tendenza a diventare ripetitiva, a diventare automatica, a diventare generalizzata e la possibilità di rinnovarsi e di individualizzarsi, di situalizzarsi sempre di nuovo e qui la ragion pratica va sempre di più verso il motivo. Il motivo è ciò che l’individuo vuole, il contenuto della volontà, cosa vuoi? Il movente è tutto ciò che si è accumulato in lui fino a questo momento; il motivo è ciò che ancora non esiste e ciò che vuole conseguire attraverso il volere, attraverso l’azione.
(IX, 16) Ad un vero atto volitivo, di volontà, si perviene soltanto quando un impulso istantaneo all’azione, in forma di un concetto o di una rappresentazione, agisce sulla disposizione caratterologica. Un tale impulso diviene allora un motivo di volizione. {Il motivo, ciò che voglio deve essere tale che l’individuo così come dice sì lo faccio, ne faccio un motivo del mio volere}.
(IX,17) I motivi della moralità sono rappresentazioni e concetti. {La rappresentazione per esempio di star bene, la rappresentazione che io ho della felicità, voglio essere felice, voglio conseguire la felicità. A seconda delle rappresentazioni che ho, di ciò che mi rende felice farò delle azioni o farò un’altra serie di azioni. Qui dice:} Vi sono moralisti che vedono anche nel sentimento un motivo della moralit??, e per esempio ritengono che scopo dell’azione morale sia la produzione della massima quantità possibile di piacere nell’individuo che agisce, {il piacere è un sentimento}. Il piacere in sé non può però diventare un motivo, lo può soltanto un piacere rappresentato. {In altre parole un sentimento che io mi ripropongo di conseguire, questo sentimento di piacere non c’è ancora quando io voglio fare un’azione che mi da’ questo sentimento, ma posso avere la rappresentazione di questo sentimento, e allora torniamo al fatto che motivi possono essere soltanto o rappresentazioni o concetti, non sentimenti}. La rappresentazione di un futuro sentimento, non però il sentimento stesso, può agire sulla mia disposizione caratterologica. {Il sentimento di sazietà può essere l’impulso a cucinare un pasto? Questo sentimento di sazietà non c’è ancora, ma la rappresentazione di questo senso di sazietà, può diventare il motivo per cucinare un pranzo luculliano}. Infatti il sentimento stesso, nel momento dell’azione, non esiste ancora, ma deve essere suscitato, conseguito, appunto mediante l’azione. {Adesso le rappresentazioni come motivi dell’azione}.
(IX,18) La rappresentazione del proprio e dell’altrui bene può però giustamente essere considerata come un motivo del volere. Il principio di ottenere con le proprie azioni la massima quantità possibile di piacere proprio, vale a dire di raggiungere la felicità individuale, si chiama egoismo. {La traduzione italiana dice}: la rappresentazione del proprio e dell’altrui bene {cosa intendete voi per bene? Io mi faccio una rappresentazione di ciò che è il mio bene, e questo bene lo voglio conseguire e quindi diventa un motivo per l’azione. La parola tedesca che qui viene tradotta con bene ... è meno moraleggiante, e io proporrei di tradurla in italiano con la parola benessere, qui non si tratta del bene ma il benessere, il benessere è molto più aperto ... Ognuno ha rappresentazioni sue di ciò che contribuisce al suo benessere, questo benessere lo possiamo tradurre come bene, lo possiamo tradurre come felicità, lo possiamo tradurre come piacere, quindi benessere è star bene, ognuno vuole star bene, ognuno vuol essere felice. E a seconda delle rappresentazioni di che cosa mi fa star bene diventano motivi per agire. Avete qualcosa da obiettare di fronte al fatto che uno vuol fare tutto il possibile per star bene? Non è un egoista? Vuole solo star bene}.
I. star bene non necessariamente deve essere associato all’egoismo, perché uno può fare un’azione altruistica e star bene, perché fa qualche cosa per un altro non per se stesso
A. e allora lui sta male, l’importante che stia bene l’altro
I. no, cioè uno può star bene perché ha fatto quell’azione lì e si sente bene
A. e quindi si propone di star bene. Che uno si proponga di star bene fregandosene dell’altro o che uno dica ma io starò bene soltanto se mi occupo anche dell’altro è la stessa cosa, sono due modi diversi di voler star bene. Leggiamo questo paragrafo fino alla fine.
(IX,18) Il principio di ottenere con le proprie azioni la massima quantità possibile di piacere proprio, {che io ho tradotto star bene}, vale a dire di raggiungere la felicità individuale, si chiama egoismo. {Tutta la morale cattolica per esempio pone l’egoismo in chiave negativa, e questo è un enorme errore morale; l’egoismo è il motivo morale più sano che ci sia. Però l’egoista stupido non ha capito che lui non potrà godere l’amore di sé, escludendo l’amore all’altro; invece l’egoista intelligente – quindi maggiormente egoista perché intelligente- ha capito che potrà godere, potrà star bene nella misura in cui include anche l’amore all’altro. Quindi l’uno si ama di meno ed è l’egoista poco intelligente e l’altro si ama di più perché è l’egoista intelligente. È come il rene che dice io penso soltanto a me stesso e mando a ramengo tutto il corpo, invece il rene intelligente dice no, no se voglio star bene devo pensare alla salute di tutto il corpo. Quindi l’egoismo è morale, c’è soltanto un egoismo più intelligente e un egoismo più stupido; l’amore di sé non è evitabile, nel momento in cui una persona finisce di amare se stessa deve sparire nel nulla e difatti dice}: Si cerca di raggiungere la felicità individuale o col pensare solo al proprio bene, senza riguardo alcuno, e questo anche a spese della felicità di altri individui (egoismo puro), oppure col procurare il bene altrui perché dalle altre persone felici ci si ripromette indirettamente un’influenza benefica sulla propria persona, {questo l’ho chiamato l’egoismo intelligente}, o perché dal danno altrui si teme vengano minacciati anche gli interessi propri (morale prudenziale) {intelligente. Si potrebbe tradurre morale intelligente, prudenziale è un po’ moraleggiante}. Il contenuto particolare dei principi morali egoistici dipenderà poi dalla rappresentazione che l’uomo si farà della propria o dell’altrui felicità. {Cos’è che mi rende felice? cos’è che mi fa star bene? cosa devo fare per star bene?} A seconda di ciò che a ciascuno apparirà come un bene della vita (agiatezza, speranza di felicità, liberazione da diversi mali e così via) egli determinerà il contenuto della sua aspirazione egoistica. {Qui nel paragrafo 18 siamo nel campo delle rappresentazioni, io mi faccio una rappresentazione di quale stato, quale tipo di azione mi rende felice. Adesso entriamo nella riflessione concettuale quindi non soltanto rappresentazioni di comportamenti di azioni, ma riflettiamo concettualmente -quindi in base a contenuti puramente concettuali- sui contenuti morali di bene o di male, di benessere o di malessere delle varie azioni}.
(IX,19) Un ulteriore motivo è da vedersi nel contenuto puramente concettuale di un’azione {quindi la riflessione, la riflessione sul contenuto concettuale di un’azione}. Questo contenuto non si ricollega (come la rappresentazione del proprio piacere) soltanto con la singola azione, ma con la giustificazione di un’azione sulla base di un sistema di principi morali. {Per esempio l’ideale della pace, un principio morale è un ideale da raggiungere, da conseguire, un ideale da perseguire. L’ideale della democrazia, l’ideale dell’uguaglianza di fronte alla legge di tutti gli esseri umani, è un sistema di principi morali, un orientamento di azioni in vista dello stabilire l’uguaglianza di tutti gli esseri umani di fronte alla legge, che non ci siano privilegi, che ciò che è proibito sia lo stesso per tutti, e che le possibilità di evoluzione ed espressione del proprio essere siano uguali per tutti, non che uno possa esprimersi al 100% e l’altro perché ha meno soldi, o perché deve sbuffare possa esprimersi soltanto al 10%. Qui abbiamo la giustificazione di un’azione sulla base di un sistema di principi morali}. Questi principii possono regolare la vita morale in forma di concetti astratti {democrazia è un concetto astratto} senza che il singolo si preoccupi dell’origine dei concetti. {L’individuo può considerare questo valore morale dell’uguaglianza, come un comandamento imposto o messo in auge da autorità, lo recepisce senza entrarci dentro col proprio pensiero}. Allora noi sentiamo semplicemente come necessità morale la sottomissione al concetto morale che ondeggia come comandamento al di sopra del nostro agire. {Quindi cosa sono comandamenti? Cosa sono leggi? I comandamenti sono norme di comportamento morale che hanno la loro origine nella divinità; e le leggi sono norme di comportamento morale che hanno la loro origine nell’autorità umana. I dieci comandamenti di Mosè gli sono stati impartiti dalla divinità, da Javhè; cosa fa l’individuo di fronte ai comandamenti che dovrebbero essere stati recepiti dalla divinità, di fronte a leggi che dovrebbero essere state sancite nel passato da accordi umani. L’individuo dice voglio io col mio pensiero prendere posizione, farmi pensieri miei sui cosiddetti comandamenti e sulle cosiddette leggi. C’è un’altra differenza fra comandamenti e leggi? I comandamenti sono ingiunzioni, sanzioni, comandano qualcosa; le leggi sono aperte in tutte e due le direzioni, la legge è aperta sul lato delle ingiunzioni e delle proibizioni. Nella misura in cui ci sono dei comandamenti sanciti per autorità – un Mosè che dice io li ho ricevuti dalla divinità – tutto ciò che è di comandamento diventa, dove gli esseri umani diventano sempre più capaci di libertà, anacronistici. Quindi ogni comandamento dovrebbe sparire dalla faccia della terra, una morale di comandamenti diventa sempre più immorale perché si arroga il diritto di dire all’essere umano ciò che deve fare. La legislazione degli stati moderni si trova in questo dilemma di imparare a lasciar perdere ogni tipo di ingiunzione, proprio proibirsi di dire agli esseri umani per legge ciò che devono fare, e di limitarsi alle proibizioni. Una maggioranza 51 % ha deciso che un’azione va proibita perché lede la libertà, io non ho bisogno di essere d’accordo, io posso essere del parere che sarebbe stato meglio non proibirla, però se è stata proibita sono subito disposto a rispettare la legge. Quindi per rispettare una legge io non devo essere d’accordo con la legge, onoro e rispetto la maggioranza, perché non possiamo in legislazione andare in due direzioni opposte, o decidiamo di proibirla un’azione o decidiamo di non proibirla. Una maggioranza ha deciso di proibirla e la minoranza continua a farlo? Una cosa assurda! Quindi ciò che è proibito io non lo voglio, non importa nulla se io non l’avrei proibito, è stato proibito, quindi nel campo della legge vale il rispetto della maggioranza, un altro modo di accordarsi non esiste, dopo che si è discusso bisogna andare secondo la maggioranza}.
I. può una maggioranza rendere oggettiva una legge?
A. la sancisce la legge, supponiamo abbiamo un parlamento la maggioranza dice vogliamo proibire l’aborto dall’inizio della fecondazione fino alla fine, fa una legge che lo proibisce. Se io sono dentro questa unità legislativa ho il diritto di andare contro la legge? No, secondo i greci posso andare in un altro stato dove c’è un’altra legislazione, ma qui nessuno ha il diritto di agire contro la maggioranza
I. cosa intende con “una minoranza non può andare contro una maggioranza”? Cioè io non posso contraddire le leggi razziali del regime fascista? Se non sono moralmente e umanamente d’accordo con le leggi?
A. io ho detto che leggi hanno soltanto il diritto di proibire, le leggi razziste cosa proibiscono? Il problema è che noi siamo abituati, in Germania e in Italia, abbiamo una legislazione che si arroga di dire agli esseri umani leggi positive di ciò che deve fare. Io sto dicendo che prima di arrivare ad avere una maggioranza che proibisce ogni legge di ingiunzione, dovremo lavorare parecchio, però quella è la meta da raggiungere, trovare una maggioranza che dica dobbiamo proibire ogni legge che ingiunge qualcosa, e dobbiamo limitarci a leggi che proibiscono qualcosa. Adesso tu dici no, noi abbiamo una legislazione che ti dice cosa devi fare, ti costringe a trattare il giudeo in un certo modo! Hai il diritto di morire per le tue convinzioni, ma una maggioranza che fa in modo che queste leggi che ingiungono non ci siano, non ce l’hai e se non ce l’hai non ce l’hai! Però nessuno ti può proibire di dar la tua vita per le tue convinzioni, questo non è proibito! nessuno può proibirmi di dar la mia vita per le mie convinzioni perché se la voglio dare la do e questo è il massimo di libertà. Quindi il problema è che noi ci trasciniamo -a partire dalle chiese, perché lo stato ha preso la moralità dalla Chiesa, così come l’istruzione l’ha presa dalla Chiesa ha preso la moralità della Chiesa e ha preso una moralità così immorale, così soverchiante, così uccidente la libertà, che noi abbiamo anche in campo di legislatura il tentativo continuo delle autorità politiche di ingiungere, di imporre all’individuo ciò che deve fare. Dobbiamo far di tutto perché ci sia una maggioranza che si ribelli di fronte a ogni legge che ingiunge qualcosa, e allora cominceremo ad avere una maggioranza che vuole soltanto leggi che proibiscono ciò che va proibito. Un conto è se noi deliberiamo in Parlamento per stabilire una legge che ti costringe a far qualcosa e un conto se deliberiamo con l’accordo che vogliamo soltanto stabilire quali azioni vanno proibite. Se noi abbiamo una maggioranza convinta, e questo pensiero chiaro noi maggioranza vogliamo soltanto individuare azioni che vanno proibite, allora la legislazione avrà un tutt’altro carattere che non quando la legge ti vuol costringere a far qualcosa. Quindi il nostro problema non è mai nel campo in cui una maggioranza proibisce qualcosa, perché se una maggioranza proibisce qualcosa va proibita punto e basta! Il problema sono le maggioranze che ti costringono a fare qualcosa e io dico: no, no tu non hai il diritto di costringermi a far nulla! hai soltanto il diritto di proibirmi ciò che va proibito ma quello me lo proibisco io stesso, non ho bisogno che me lo proibisca tu! Quindi ripeto il vero problema, anche del nazismo, non è il fatto che ci sia una maggioranza che si accordi su qualcosa che va proibito e la minoranza deve attenersi, perché legge è legge, il problema è invece che noi abbiamo in tutti i nostri stati residui di disumanità, di antimoralità che si arrogano di dire all’individuo ciò che deve fare, e lì giustamente si ribella l’individuo, perché nessuno ha il diritto di dire a un essere umano ciò che deve fare, perché non esiste ciò che deve fare
I. le tasse sono un’ingiunzione
A. ne abbiamo parlato, ti ho portato l’esempio che al nord della Germania seminari interi su questa questione delle tasse, e c’erano dei giuristi, e io gli dicevo che se noi poniamo la necessità, le tasse vanno pagate sennò la collettività non ha più nulla i gabinetti non vengono puliti ecc. le strade non si può guidare la macchina. Se noi poniamo il pagare le tasse in chiave di ingiunzioni, prima di tutto il pensiero è bacato perché non sono ingiunzioni e ripeto il pensiero non è possibile comandare un’azione, perché una legge che comanda un’azione, che da’ un’ingiunzione, una legge deve essere generale non può valere soltanto per una persona, allora deve essere un’azione che devono far tutti e sempre, non esiste un’azione che devono far tutti e sempre. Quindi quando ti si dice tu devi pagar le tasse è una proibizione non è un’ingiunzione; in Germania abbiamo due tasse fondamentali: uno è il 7% da dare allo Stato alla collettività, e l’altro è il 19%. Quando tu devi pagare il 7% di tasse non è un’ingiunzione, se la metti come ingiunzione è un pensare bacato, ti è proibito di tenere per te più del 93%, allora messa così la cosa è chiara. L’ingiunzione è il comandamento di dare alla collettività il 7%, io dico: soltanto il 7% no, è troppo poco, io do il 10% e trasgredisco il comandamento perché il comandamento mi dice devi dare il 7% e io dando il 10% trasgredisco il comandamento, vedi che assurdità? Invece se io dico è una proibizione, è un divieto di tenere per te come individuo singolo, come proprietà privata più del 93% allora va benissimo. I pensieri è fondamentale il modo in cui sono espressi, perché un pensiero espresso in un modo errato sfasa il pensiero. Un pensiero che si esprime in un modo giusto allora calza la cosa, quindi ogni legge e l’esempio della tassa, questi giuristi me l’hanno portato subito dice ma signor Archiati pagare le tasse non è un divieto! È un’ingiunzione, e io dicevo no, è un divieto camuffato, espresso perché un’ingiunzione sarebbe un’azione che tutti sempre devono compiere e se io non guadagno niente come faccio a rispettare questa ingiunzione? Quindi non è possibile ingiungere nulla, i comandamenti son tutti errori di pensiero, se uno li scevra con un pensiero pulito o salta fuori che sono proibizioni camuffate allora vanno espresso come proibizioni e allora uno dice ma questa proibizione ha il diritto di esserci o non ha il diritto di esserci? Oppure non c’è nulla. E vi dicevo quando io nella prima seduta in questi seminari al nord della Germania loro dicevano no, no, poi c’è stata una pausa c’è stato il mangiare ecc. questi giuristi tra loro han discusso sono ritornati alla fine mi hanno detto signor Archiati abbiamo discusso fra di noi, ci siamo presi e abbiamo concluso che ha ragione, che metterla come ingiunzione è un pensiero sbagliato, è una proibizione. Perché se io dico ti è proibito di tenere per te più del 93% la cosa è pulita, se io dico sei obbligato a dare il 7%, e se io voglio dare il 10%?
I. ?
A. no, non è una questione di accenti, è una questione di pensiero errato e di pensiero giusto, e’ tutta un’altra cosa se tu pensi di osservare un comandamento, o se tu pensi è una cosa proibita che io non voglio fare. Perché se mi è proibito di tenere per me più del 93% io non ho mai voluto tenere per me più del 93% quindi resto libero, però non sono mai libero di fronte a un’ingiunzione perché si deve, invece di fronte a un divieto posso essere libero ogni volta che non lo voglio fare. Quindi un’ingiunzione per natura ti rende non libero, un divieto può sempre lasciarmi libero basta che io liberamente non voglia ciò che è proibito.
I. l’importante è che liberamente non voglia però comunque …. soltanto che lo fai per tua libera decisione
A. non è che non lo devi fare, la dicitura non lo devi fare non è pulita, ti è proibito farlo, mi basta il fatto che per legge sia proibito questo mi basta per non volerlo liberamente
I. il discorso della proibizione diventa una volontà quando ti rendi conto che la tua scelta egoistica di capire che una proibizione che tu non vuoi, la proibizione l’accetto come mia scelta di volontà ma sempre tenendo presente me come individuo singolo, però parte di una collettività che sempre me cioè non è un’altra cosa sono sempre io, quindi il mio bene è uguale al bene dell’altra persona, quindi tenermi il 93% anziché il 100% per me è la stessa cosa, se so che crea benessere anche all’altro, perché il mio benessere sta alla pari col benessere dell’altro!
A. chiaro, tu stai dicendo che nessuno di noi vive da solo campato per aria, ognuno viene, adesso io ti chiedo: è proibito tenersi più del 93%, e io dicevo l’unica cosa che rende una proibizione, un divieto giusto, è che compiere quell’azione, quindi tenere per sé più del 93%, lede la libertà, in che modo lede la libertà il tenersi per sé più del 93%? La collettività non avrebbe più nessun soldo per dare l’infrastruttura necessaria per vivere in libertà. in altre parole se tu tieni per te più del 93%, dice la legge, comprometti la libertà di tutti. Perciò dicevo che il motivo di proibire un’azione è che se la si compie si lede la libertà; se ognuno tenesse al 100% per sé tutto quello che incamera, nessuno di noi in brevissimo tempo, potrebbe vivere liberamente perché mancherebbe a tutti l’infrastruttura di cui tutti abbiamo bisogno per vivere nella libertà, per muoverci liberamente.
I. il ragionamento della proibizione ad avere più di tanto fila bene, si capisce perfettamente
A. tenerti più di tanto
I. sì però la legge non si limita a proibire di tenere più di tanto, ti indica dove devi dare il resto, tu supponi che invece che allo stato io voglia darlo alla lega contro i tumori
A. no, no, no qui o entri nel campo di una legislatura che vuole sindacare sulle ingiunzioni allora diciamo questo deve smettere, non ha più diritto ad esserci, oppure se tu parli di una collettività questa collettività deve dirti che tu questi 7% li dai alla collettività scusa
I. siamo in una comunità che è la famiglia, non parliamo dello stato
A. i figli piccoli non hanno voce in capitolo perché non hanno ancora la capacità
I. parliamo di una comunità dove ci sono tutti adulti, se c’è un ingresso di denaro, per far sì che questo nucleo di adulti viva bene, quindi provvedere a tenere la casa a posto, a fare le manutenzioni, provvedere a far la spesa, tutto quello che serve per far sì che questa famiglia viva bene all’interno della casa
A. tu non stai parlando di una famiglia stai parlando di una comunità. Una comunità vive dentro a un organismo di legislazione comune, ora questo organismo sociale, la legge che vale per tutte queste comunità ti dice: ogni comunità deve dare a tutto questo organismo sociale il 7% supponiamo. Adesso questa comunità dice noi il 7% lo abbiamo dato, però qui vogliamo decidere quanto ogni singolo da’ alla sua comunità. Come lo decidono? In base alla maggioranza nella comunità, in quale altro modo vuoi deciderlo? La maggioranza dice ci bastano altri 10%, gli altri dicono no, no altri 10% sono troppo pochi discutono. Io sono dentro a questa comunità e non sono d’accordo con la maggioranza, o mi sottometto alla maggioranza o vado fuori, quindi la legislazione è sempre in base alla maggioranza, dopo aver discusso si va ai voti
I. secondo me la distinzione fra ingiunzione e proibizione è talmente sottile, per cui io posso trasformare l’una nell’altra
A. fammi un esempio
I. l’esempio degli ebrei, “è vietato dare asilo e nascondere gli ebrei” allora basarsi su questo principio è talmente sottile che rischia di diventare astratto, perché poi quello che fa testo alla fine è la qualità morale della cosiddetta maggioranza o della classe di governo che emette queste leggi. Allora il problema dico io, il problema di evadere la legge se tu lo metti solo sotto questa distinzione fra proibizione e ingiunzione, diventa talmente astratto, diventa in fondo quasi obbligatorio evadere per ognuno di noi la legge che ritiene moralmente ingiusta.
A. e’ giusto quello che tu dici, però il compito dell’evoluzione è di non mollare col compito del pensiero, e di rendere sempre più concreto ciò che all’inizio è astratto. È chiaro che gli orientamenti finché il pensiero non li rende sempre più concreti, e questa è una questione del pensare dell’individuo, restano astratti. Adesso uno dice siamo nella Germania dove è proibito supponiamo non era proibito così espressamente, non c’era una legge che proibiva di nascondere un ebreo, perché se ci fosse stata una legge subito una maggioranza si sarebbe
I. obbligava a denunciare gli ebrei
A. è un’ingiunzione
I. ma era una manipolazione
A. no, no io sto dicendo che io sono libero di mandare a ramengo ogni ingiunzione, quindi l’ingiunzione di denunciare è un’ingiunzione, e io sto dicendo che nessuno è tenuto ad osservare un’ingiunzione, perché ogni ingiunzione è immorale. Invece mi dicono: è proibito dare albergo a un ebreo, non c’era una legge di questo tipo, perché se ci fosse stata l’avrebbero dovuta abrogare, ritirare subito, perché la maggior parte dei cittadini se non sono stupidi avrebbe detto momento però questa proibizione fa a calci e pugni con l’altra proibizione che è quella di uccidere, e voi volete proibirmi di nasconderlo perché lo volete uccidere, quindi non c’era questa proibizione, vedi che le cose sono complesse. E entrare nel merito di questa pulizia è compito del pensiero, e le cose possono diventare molto concrete e diventano concrete quando ti tocca dire che in effetti una legge che ti proibisce di albergare un ebreo non la puoi fare, perché è una cosa che non puoi proibire. E poi l’ingiunzione di denunciare quando si presenta il caso? Quello è venuto a visitarmi io mica l’ho nascosto in casa che devo denunciare? Dicono che è un giudeo ma io mica sono sicuro che cosa devo denunciare? Una legge moderna, che veramente rispetta la libertà dell’uomo non soltanto si limita a proibizioni, ma queste proibizioni devono essere il minimo possibile, soltanto le azioni dove veramente una maggioranza è assolutamente convinta che compiere questa azione lede la libertà, solo quelle vanno proibite, tutto il resto va permesso, e allora va tutto bene.
I. a parte che risulta che molti hanno pagato duramente l’aver nascosto degli ebrei o cose del genere, non solo gli ebrei sono stati perseguitati. Ma se io dico: dammi il portafoglio sono un ladro! Se io ti dico: ti proibisco di non darmi il portafoglio! Non è lo stesso?
A. momento, stiamo parlando di leggi, dimmi una legge che una maggioranza in uno Stato ha deciso, di cosa stai parlando?
(IX,19) Un ulteriore motivo è da vedersi nel contenuto puramente concettuale di un’azione. Questo contenuto non si ricollega (come la rappresentazione del proprio piacere) soltanto con la singola azione, ma con la giustificazione di un’azione sulla base di un sistema di principi morali. {Per esempio i principi morali della libertà del singolo}. Questi principi possono regolare la vita morale in forma di concetti astratti, senza che il singolo si preoccupi dell’origine dei concetti. Allora noi sentiamo semplicemente come necessità morale {ingiunzione morale, dovere morale} la sottomissione al concetto morale che ondeggia come comandamento al di sopra del nostro agire. Lasciamo la giustificazione di tale necessità a chi esige la sottomissione morale, cioè all’autorità morale che noi riconosciamo (capo di famiglia, stato, costume sociale, autorità ecclesiastica, rivelazione divina). Una particolare forma di questi principi morali {a cui uno si sottomette quindi essendo non libero}, è quella in cui il comandamento non viene proclamato da una autorità esterna, ma è stato talmente interiorizzato che viene dal nostro intimo (autonomia morale). Sentiamo allora nel nostro intimo la voce alla quale dobbiamo sottometterci. Questa voce si esprime nella coscienza.
Cos’è la coscienza? La non libertà interiorizzata che crea rimorsi di coscienza. Andiamo indietro di 30-40 anni ha talmente paura di andare all’inferno, la Chiesa gli dice ciò che deve fare per non andare all’inferno, ha talmente interiorizzato questi comandamenti che sottomettersi a questi comandamenti diventa un fatto di coscienza. Ma la voce della coscienza cos’è? un’autorità esterna fatta propria, interiorizzata. Quindi la cosiddetta coscienza è l’ultimo relitto di non libertà, cosa vuol dire quando una persona dice sento rimorsi di coscienza? La coscienza gli dice qualcosa che però lui non vuole veramente, allora non fa’ ciò che vuole e fa’ ciò che la coscienza gli dice che deve fare, allora cos’è la coscienza?
I. non è solo qualcosa che io ho interiorizzato dall’esterno, la coscienza non è anche lo specchiarsi di quello che io faccio, cioè io ho coscienza dei miei pensieri, ho coscienza di quello che io decido, quando faccio l’esame di coscienza io dico oggi che cosa ho fatto? E prendo coscienza di quello che ho fatto non per forza di quello che mi viene imposto, è un processo che avviene anche dentro di me, cioè io faccio l’esame di coscienza ah oggi io ho fatto questo o non ho fatto quest’altro e ne prendo coscienza, cioè lo metto a fuoco è come un pensiero cosciente cioè che si riflette dentro di me. Per cui quello che io sento in coscienza non è solo una solo una cosa che mi è stata detta dal di fuori può essere anche una cosa che io
A. e i rimorsi di coscienza?
I. il rimorso quello effettivamente però è il rimorso di coscienza non è la coscienza, il rimorso di coscienza vuol dire che, è una cosa strana perché è un modo di dire, il rimorso di coscienza è come qualcosa che io sento dal di fuori di me, qualcosa che non collima con quello che io voglio, questo hai ragione, il rimorso di coscienza è quello che dici tu, però la coscienza mi sembra qualcosa che è più neutro di questo non coincide con quello che è il rimorso di coscienza
A. comunque vedi che mentre stai esprimendo i pensieri ti rendi conto sempre di più che la cosa è complessa. Allora uno dei problemi è un problema anche di linguaggio, in italiano c’è una parola sola, io una volta a Roma avevo una conferenza da tenere, i pensieri li ho pensati in tedesco ho libri quasi solo in tedesco, e io avevo in mente di fare una conferenza su l’evoluzione di …, e poi arrivo in sala ho sudato fisicamente perché ho detto in italiano c’è una parola sola dove in tedesco ci sono due parole completamente diverse – coscienza intellettuale tu hai detto aver coscienza di qualcosa, capire qualcosa, in tedesco si chiama ...; la coscienza morale, due categorie in tedesco totalmente diverse. Ora il fatto che il linguaggio italiano non distingua tra coscienza intellettuale e coscienza morale crea questi enormi pasticci. Consapevolezza è un fattore di pensiero, un fattore intellettuale e per la morale non c’è un’altra parola vi tocca dire coscienza, mi tocca quasi ogni volta aggiungere un aggettivo coscienza morale. Però un linguaggio dove io devo qualificare una categoria sempre con un aggettivo allora le cose non le posso dire con la precisione di pensiero con cui le può dire il linguaggio tedesco che ha una categoria fatta apposta unicamente per la coscienza morale ... è un sapere complessivo, uno sguardo d’insieme, io mi trovo in una situazione e mi chiedo cosa devo fare, la coscienza morale è uno sguardo d’insieme di tutti i fattori complessissimi della situazione, e prendendoli tutti in considerazione io li soppeso e dico io in questo momento do più peso a questi fattori, do meno peso a questi fattori e mi comporto così. Quindi la moralità è l’intuizione morale, il pensiero è sempre fatto però è un pensiero che si rivolge alla domanda come mi comporto? cosa faccio? che di fronte a una consapevolezza d’insieme. Tommaso d’Aquino e Aristotele dicono: perché un’azione sia giusta per il mio essere, non soltanto buona, sia l’azione che mi corrisponde in questo momento, devo considerare non soltanto l’azione che devo fare ma anche le circostanze e le conseguenze. Quindi la coscienza morale è la capacità di intuizione morale di avere uno sguardo d’insieme il più complesso possibile, su tutte le circostanze perché non sono soltanto io implicato in questa situazione, di tutte le conseguenze, e in base a uno sguardo complessivo di pensiero, di intuizione morale a tutte le circostanze, a tutte le conseguenze, decidere in questa circostanza, in questa situazione, con queste persone, con queste conseguenze previste, io mi comporto così e faccio questo. Questo ..., questo calcolo infinitesimale che poi arriva a un integrale che è l’azione, se noi lo poniamo con la nostra categoria italiana di coscienza, che poi è generalizzata la coscienza è fatta di comandamenti morali generalizzati, poi coi rimorsi di coscienza i conti non tornano. Quindi si tratta di spogliare, di togliere, di liberare la cosiddetta coscienza da tutto ciò che non è mio e di metterci dentro soltanto il portato della mia intuizione morale, di come mi comporto io in questa situazione
I. che però a volte noi chiamiamo la voce della coscienza
A. sì ma è ancora più esterna, cioè sono io o è la voce della coscienza? Se questa coscienza addirittura ha una voce dentro di me, cos’è questa coscienza? Quindi la stessa dicitura la voce della coscienza mi dice che è u’istanza che non sono io
I. però non sono proprio d’accordo, perché questa voce della coscienza invece a volte è proprio la voce del tuo io più sincero, non è la voce di quello che io ho imparato, è l’ascolto di quello che dentro di me che va al di là di queste cose, quella che coglie qualcosa di più in là
A. no, la voce della coscienza di cui tu stai parlando è soltanto la mia voce, quando questa voce della coscienza in ogni situazione, parla diversamente. Invece il nostro concetto di voce della coscienza è che ripete sempre gli stessi comandamenti. Ma se questa voce parla ogni volta di fronte all’analisi dei fattori morali in questa situazione, circostanze e conseguenze ecc. allora io non dirà che è la voce della mia coscienza, dirò sono io! E allora questo classico parlare di coscienza, paragonato con questa intuizione morale situazionale, che parla in ogni situazione un linguaggio diverso, allora diciamo sì fa parte del passato, è un ultimo relitto di non libertà, di non individualità. Però con questo non è che noi vogliamo rivoluzionare il mondo e adesso mettere a morte tutte le suore che nella loro voce di coscienza hanno soltanto la chiesa cattolica, le cose vanno piano, però la prima cosa da fare è di far pulizia nel mio pensiero, e questo stiamo facendo e questo è molto importante. Questo ritardo di evoluzione della libertà nel concetto italiano di coscienza, si evidenzia proprio nel fatto che di fronte a un linguaggio tedesco che ha due categorie del tutto diverse: la coscienza intellettuale portare a coscienza qualcosa ...; la coscienza morale …., in italiano hai una parola sola. Quindi è chiaro che qui ci sono cammini di pensiero che vanno fatti, perché quanti ricatti sono stati fatti in base alla voce della coscienza, e quante persone sono andate a confessarsi perché avevano rimorsi di coscienza, ma chi glieli mette questi rimorsi? La chiesa! La paura dell’inferno! Io devo confessarmi da parecchio tempo, non ho mai più avuto rimorsi di coscienza, sono molto felice! I rimorsi di coscienza sono ricatti morali, perché una cosa o la vuoi o non la vuoi, o arrivi alla conclusione che in una data situazione ti comporti in un certo modo, che cosa poi salterà fuori, tutte le conseguenze puoi cercare in base all’esperienza di prevederle minimamente, ma cosa salterà fuori da questa azione non lo puoi sapere in partenza perché non l’hai mai compiuta! Però le circostanze quelle sì, quelle ci sono percepiscile il più possibile, quindi agisci con un ... con una coscienza pensante il più vasta e il più profonda possibile, però poi devi decidere di fronte a tutte queste azioni possibili, a tutti questi comportamenti che mi sono aperti decido di comportarmi così, e ai comportamenti proibiti non ci penso neanche, non li voglio. in ogni momento quanti comportamenti mi sono aperti? All’infinito, e la voce della coscienza cosa mi dice? Devi, devi, devi vai via! La libertà dice voglio, voglio, voglio! ogni devi è un ricatto morale, e l’ultimo ricatto è la coscienza che ti dice devi, prima ti rendevano non libero dal di fuori, adesso ti rendi tu stesso non libero dal di dentro. Ci vediamo domani mattina.
Venerdì 4 febbraio, mattina
Buona giornata a tutti, vogliamo continuare con questo IX capitolo importantissimo, fondamentale, dove cerchiamo di renderci conto che il concetto fondamentale di libertà, il libro intero si chiama La filosofia della libertà. Il concetto fondamentale di libertà è che non c’è nulla che ha diritto di governare l’individuo umano; lo spirito umano singolo, perché l’umano si vive nella testa e nel cuore di ogni individuo, quindi l’umano non è presente nella comunità, una comunità anche uno Stato è puramente una somma di individui. Quindi l’umano in quanto cammino di pensiero, cammino di sentimenti, di atti volitivi è gestito dall’individuo, il fenomeno primigenio dell’umano è l’individuo; e la legge evolutiva dell’individuo è che non c’è nulla di estrinseco, di esterno all’individuo che abbia il diritto di soggiogarlo. In altre parole l’individuo umano non è in assoluto uno strumento per raggiungere un altro scopo, l’individuo umano è scopo a se stesso in assoluto. Il livello più alto della morale è il valore morale supremo, il bene morale supremo è la realizzazione dell’individuo, perché un bene morale maggiore che lo spirito singolo creatore non può esistere. Qual è stato il bene morale all’origine che ha creato tutto il bene, che ha creato tutta questa pluralità di spiriti non soltanto umani ma angelici addirittura nove le gerarchie? Uno spirito creatore. Quindi lo spirito individuale creatore è il livello moralmente supremo della Creazione, del mondo in cui viviamo, di moralmente più bello non c’è. Ora tutto il resto nel mondo è moralmente buono nella misura in cui concorre, aiuta l’individuo, lo spirito singolo a realizzarsi; ed è moralmente cattivo, disumano nella misura in cui inceppa, preclude, impedisce all’individuo, allo spirito umano di realizzarsi. Quindi la domanda della morale è: chi sono io? Nel cosmo, nel mondo, nell’umanità, nell’organismo dell’umanità. Il mio dovere morale è il stesso volere, un essere umano non può voler altro che l’autorealizzazione, altrimenti sarebbe un altro essere, se volesse realizzare un altro essere sarebbe l’altro essere, nessun essere può voler realizzare un altro essere perché se non lo è non ha la minima idea! Quindi i due livelli della morale sono: quello di conoscersi sempre meglio per potersi realizzare sempre meglio; se uno dicesse ma perché il Creatore dell’uomo non l’ha realizzato Lui in tutto e per tutto l’uomo? perché ha lasciato a me questo compito di realizzarmi? Qual è il concetto di una creatura, creata dallo Spirito creatore, già in tutto e per tutto realizzata, dove non c’è nessuna potenzialità di realizzazione ulteriore? Ci sono tre livelli, li conosciamo bene: il minerale è una creazione già realizzata, le leggi di evoluzione sono immanenti e quindi non c’è nulla di nuovo, non c’è nulla di aperto, nulla di libero. Lo stesso vale per la pianta e l’animale. Quindi il concetto di una spiritualità, di un’anima di gruppo, di uno spirito già tutto realizzato è quello dell’animale, della pianta e della pietra. Il fattore umano immette nella creazione nel mondo, qualcosa di assolutamente nuovo perché è aperto; l’autorealizzazione è una potenzialità, una facoltà, una capacità, una possibilità di realizzarsi, ma la realizzazione di questa realizzazione è lasciata alla libertà dell’uomo. E non è vero che sarebbe meglio se il Padreterno mi avesse già fatto già tutto bello completo, bello chiuso, perché allora mi mancherebbe la cosa che massimamente è godibile che è la libertà. Lo spessore morale della libertà è assolutamente impossibile esagerarlo. Ieri dicevamo che anche rispetto alla coscienza, già per il fatto che il linguaggio italiano non distingue neanche tra coscienza intellettuale, che è la consapevolezza che è portare a coscienza le cose, e la coscienza morale che è la consapevolezza del peso morale, le conseguenze morali del bene e del male, questo ritardo del linguaggio rispetto al linguaggio tedesco ci dice sta attento che la coscienza così come viene vissuta nella cultura italiana, nel linguaggio italiano comporta ancora un sacco di moralismi recepiti dall’esterno, tu pensi che sia la voce della tua coscienza ma i contenuti della tua coscienza sono quelli che ti ha imbottito la chiesa, o lo stato o la storia, o i ricatti degli altri, della comunità, il bene comune ecc. Il bene comune è una cosa che si può intendere in modo giusto, il bene comune c’è o non c’è? il bene comune certo che c’è però è negativo, il bene comune sono le cose che tutti dobbiamo evitare per permettere il bene individuale, però il bene positivo è solo individuale. Ora ci sono delle azioni che se noi le compiamo compromettiamo il bene individuale, quindi il bene comune è soltanto negativo e crea la base perché ognuno possa creare il bene individuale, ma un bene positivo comune è un assurdo, perché ciò che è bene per un individuo che è tutto diverso da un altro individuo, come può ciò che è bene per uno essere bene per l’altro? Quindi parlare di un bene comune in senso positivo, non in senso di base che permette il bene individualizzato, il bene comune è il male comune evitato, comune devono essere le proibizioni non le ingiunzioni. Parlare di un bene comune significa asservire l’individuo al potere di qualcuno, e gli scopi del potere di qualcuno lui lo chiama il bene comune. Ora la coscienza viene man mano che il bambino cresce, c’è il pericolo, ed è questa la disamina che noi stiamo facendo anche della società, della politica ecc., c’è la tendenza, questi enormi fraintendimenti sul bene comune che come qualcosa di positivo non esiste, tutto questo soggiogare l’individuo, renderlo strumento per il bene comune, che poi è uno strumento per il potere di qualcun altro viene incamerato, viene interiorizzato e si esprime come voce di coscienza. Per cui ieri abbiamo parlato dei rimorsi di coscienza, un’altra dicitura italiana dice “ho problemi di coscienza”, ma allora se la coscienza dentro di me mi crea dei problemi, chi è che ha i problemi? Quindi quando io dico “io ho problemi di coscienza” mi vedo come un’istanza diversa dalla coscienza, e quali problemi mi crea la coscienza? I ricatti della collettività, che vuole che io mi comporti così, così, così perché va bene a lei! Perché va bene al potere, con questo voglio dire che parlando di “coscienza” che è una parola italiana perché ieri qualcuno mi ha detto che queste conferenze di Steiner dove lui dice che nella mitologia greca c’è il passaggio tra le erinnie, le eumenidi questo ricordo, questa memoria che era prima esterna, nell’astralità esterna, poi è diventato fattore di coscienza interiore, ma allora Steiner parla della coscienza come un fenomeno del tutto positivo, del tutto interiore all’uomo. Io gli ho detto ma guarda che Steiner parla in tedesco non parla in italiano e parla del ... portare a coscienza tutta l’interezza, tutto l’ambito di un’azione, le condizioni di un’azione, tutte le circostanze, quando noi traduciamo questo gevissen con la parola coscienza dobbiamo veramente essere sinceri nell’analizzare che cosa c’è nella mia coscienza. Vi ho portato l’esempio di una classica suora cattolica, senza voler offendere nessuno però dobbiamo essere onesti nelle cose, classica quindi andiamo indietro di una generazione, perché oggi diventano sempre più sveglie anche quelle spero! Se uno avesse chiesto trent’anni fa a una suora: cosa c’è nella tua coscienza? Saltano fuori soltanto contenuti che provengono dalla chiesa, nulla di individualizzato, ora il concetto di Steiner è che anche nei confronti della coscienza, rimorsi di coscienza, problemi di coscienza, contenuti di coscienza si tratta che lo spirito umano individualizzato prenda posizione, e analizzi i contenuti della coscienza e dica questo mi serve, questo non mi serve, questo me lo tengo. E i contenuti di coscienza, un’altra riflessione fondamentale è questa: il bene comune, il bene individuale è che in fatto di morale noi viviamo di enormi generalizzazioni, di enormi astrazioni, riproporsi di fare il bene mio, di concorrere al bene altrui va benissimo, però si tratta questo bene fantomatico, astronomico, astrattissimo di concretizzarlo qui e ora per me, e quando io chiedo che cos’è bene qui e ora per me? Non mi serve a nulla questa norma così astronomica, così stratosferica, non mi serve proprio a nulla. Quindi il nocciolo dell’individualismo etico che è l’impulso di tutta la seconda parte della Filosofia della libertà, l’individualismo etico significa che il bene l’etico, il morale va individualizzato nello spazio e nel tempo, che cosa è bene per me qui e ora? Quella è la domanda fondamentale della morale, perché cosa mi importa oggi per sapere cosa è bene per me qui e ora sapere cosa era bene per me ieri? Non mi serve proprio a nulla! perché il bene di ieri e il bene di oggi in comune hanno soltanto un’astrazione, ma nel concreto non c’è nulla di uguale. Una persona era ieri ammalata che non riusciva neanche a stare in piedi, allora cos’era il bene per lei ieri? Certo non quello di fare una passeggiata di dieci chilometri! Oggi sta meglio, il bene da fare sarà una tutt’altra cosa! In altre parole noi siamo imbottiti di generalizzazioni, e se non siamo attenti col pensiero, con le forze del cuore a individualizzare, a concretizzare nella situazione la morale situazionale, è la morale che concretizza queste norme stratosferiche, allora noi se non concretizziamo svuotiamo il momento attuale, il peso morale del momento attuale e strumentalizziamo il momento attuale per attuare una norma che vola per aria, che è del tutto astratta, e quindi astraiamo dall’individuo concreto e singolo. Rileggiamo la fine del IX capitolo:
(IX,19) Lasciamo la giustificazione di tale necessità a chi esige la sottomissione morale, cioè all’autorità morale che noi riconosciamo (capo di famiglia, stato, costume sociale, autorità ecclesiastica, rivelazione divina). Una particolare forma di questi principi morali {eteronomi esterni all’uomo anche se pare interiorizzato}, è quella in cui il comandamento {che è un comandamento}, non viene proclamato da una autorità esterna, ma dal nostro intimo, {ma è un comandamento che viene proclamato, io mi impongo, la mia coscienza mi impone altrimenti ho rimorsi di coscienza, ho problemi di coscienza di agire così, perciò bisogna chiedersi ma cos’è questa coscienza?} Una particolare forma di questi principi morali è quella in cui il comandamento non viene proclamato da una autorità esterna, ma dal nostro intimo (autonomia morale). Sentiamo allora nel nostro intimo la voce alla quale dobbiamo sottometterci. Questa voce si esprime nella coscienza.
Quindi quando qualcuno ieri diceva ma la mia coscienza sono io, io gli dicevo vacci piano, perché se la tua coscienza sei tu perché non dici io, perché dici la mia coscienza? Quindi già questo modo di esprimerci del linguaggio ci fa capire che c’è una scissione anche all’interno dell’uomo tra il nucleo centrale e vero dell’Io e tutto ciò che dall’esterno è stato interiorizzato, è stato accettato come ricatti, come paure ecc. Allora io dicevo la soluzione non è quella di far sparire la coscienza o di vederla solo negativa è di prendere posizione pensante di volta in volta di fronte alla coscienza. La mia coscienza mi dice così! Però cosa dico io sulla mia coscienza? E allora prendo posizione, così come prendo posizione di fronte a un comandamento che viene dal di fuori, a una legge che viene dal di fuori, e la scevero io, prendo posizione in chiave di pensiero mio, così posso prendere posizione di fronte a tutti i contenuti della mia coscienza. Un altro esempio semplice però stratosferico astratto: supponiamo che la mia coscienza mi dica io in coscienza mi sento di far bene, sono d’accordo con la massima che dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va bene con la mia coscienza. Quindi nella misura in cui io cerco, mi sforzo di amare il mio prossimo come me stesso ascolto la voce della mia coscienza, -questo come un esempio dei contenuti della coscienza, e penso che più o meno tutti siamo d’accordo, è una massima che tutte le religioni hanno messo in primo piano- però nel momento presente cosa vuol dire? Come faccio io ad amare il prossimo mio come me stesso? Mi rendo conto che è un comandamento, una voce della coscienza del tutto astratta, e il pensare la deve concretizzare. Quindi la coscienza di nuovo mi da’ soltanto comandamenti generalizzanti, e il pensare in base alla percezione, il pensare riceve foraggio dalla percezione, il foraggio del pensare è la percezione. Ora nel momento presente io percepisco me stesso, la realtà del mio corpo, la realtà della mia anima, la realtà del mio spirito che sono già tre mondi enormemente complessi, percepisco il mondo interno soprattutto le persone che mi sono più accanto per sapere cosa faccio adesso, e questo foraggio della percezione è anche un foraggio morale. In base alla percezione della mia realtà in questo momento, della realtà degli altri in questo momento, mi chiedo in chiave di pensiero, quale azione compio io. Ma quale azione è bene in questo momento per me, così come io sono, così come il mondo circostante è, non è compresa in nessuna norma, perché ogni situazione è unica in assoluto. Lo spartiacque del mondo un versante è quello della natura e la legge della natura è a ripetizione uguale sempre dello stesso. Sul versante della libertà ci sono soltanto situazioni sempre nuove, quindi non ci sono regole; ditemi voi se è possibile che nel karma, nel cammino, nella biografia di ognuno di noi, possono succedere mai due momenti in cui la costellazione morale di tutte le forze del corpo, dell’anima e dello spirito, la costellazione complessiva di tutto il mondo circostante si ripeta tale e quale? È escluso in modo assoluto! Quindi la legge della libertà è quella della non ripetibilità in assoluto, nel momento in cui la libertà o l’essere umano dovesse ripetersi va a ramengo la libertà, comincia ad automatizzarsi, comincia a naturalizzarsi, a diventare un frammento di natura. Quindi la legge di natura è la ripetizione dell’uguale e la legge della libertà è l’inventiva, la creatività artistica che tira fuori in ogni istante, in ogni momento, e più è veloce e meglio è, qualcosa di sempre nuovo. È come il pittore che sta dipingendo come muoverà il pennello adesso nei prossimi due o tre secondi? C’è una norma? Non c’è una norma, se comincia a ripetersi finisce di essere un’artista. Quindi ci rendiamo conto che non siamo neanche agli inizi di questa morale della libertà, perché il primo inizio è quella di capirla sempre meglio, e perciò la cosa più importante che si possa fare è di riunirsi insieme e di riflettere su queste cose. Poi rendiamoci conto del risvolto psico-sociale enorme, se questo è vero noi stiamo facendo di tutto per creare milione e milioni di individui insoddisfatti, perché continuiamo a trascinarci una morale generalizzante, una morale automatizzante di comandamenti, l’individuo ha un’aspirazione sempre maggiore a diventare singolo, unico, un archetipo unico, originale, irripetibile. Quindi questa aspirazione della libertà a che, tutto il mondo è lì soltanto per crearmi la possibilità per darmi la base, ma poi ciò che io tiro fuori da me vuol essere di momento in momento, di giorno in giorno sempre nuovo, non ci sono regole. Quindi abbiamo l’individuo che ha l’aspirazione a una libertà sempre più creativa, sempre più individualizzante, ci trasciniamo una morale che ritiene che il problema sia che gli individui non si vogliono sottomettere, e quindi noi avremo sempre più individui che diventano o depressivi o aggressivi, perché la morale resta indietro, e avremo una cultura sempre più intrisa di paura della libertà. Perché la mente umana il primo acchito di fronte alla libertà, quando si è stati abituati all’intruppamento è di aver paura della libertà e dire ma allora se questo è vero succede subito il caos! E quindi più della metà di questo IX capitolo sono le obiezioni che i benpensanti faranno contro questo discorso della libertà. Però sta a noi capire quale enorme battaglia si sta conducendo nell’umanità di oggi, perché in fondo uno potrebbe chiedersi: ma cosa vogliono questi egiziani? Non lo sanno cosa vogliono, ma noi cominciamo a saperlo un po’ di più; l’individuo umano nella misura in cui è un individuo umano e lo sono anche loro, vuole la libertà individuale. C’è qui qualcuno in sala che non la vuole la libertà individuale? Però le leggi della libertà individuale sono fenomenali, sono complesse, già il capirla poi immaginiamo realizzarla, perciò ci sono messi a disposizione non soltanto diversi decenni, ma diverse vite terrene, diversi millenni nella speranza che un po’ per volta ci si arrivi.
(IX,20) Si verifica un progresso morale quando l’uomo non eleva a motivo del suo agire semplicemente il comandamento di un’autorità esterna o di quella interna, {la coscienza}, ma quando si sforza di riconoscere la ragione per cui una certa massima deve valergli come motivo. E questo voler dar ragione, darsi ragione è il pensare, il pensare prende posizione. Quindi è il pensare che prende posizione nei confronti dei contenuti della coscienza, nel confronti dei comandamenti, nei confronti delle leggi dello Stato ecc. Nel momento in cui io ho la possibilità, e mi esercito, a prendere posizione, a darmi ragione quindi a sceverare, ad analizzare la ragionevolezza o la non ragionevolezza di tutti i comandamenti che ci sono, resto libero. Resto libero di pensarne quello che voglio, e resto libero di prendere quello che mi va e di lasciare quello che non mi va. C’è sempre qualcuno che porta questo caso estremo, nello studio della filosofia il caso estremo lo si usa soltanto come esercizio di pensiero ma non serve, perché il caso estremo è un fattore di karma, che è il nazista che si trova in questo sistema di legislazione -che poi è più complesso di quello che qualcuno pensava- il caso estremo dice: se io con il mio pensiero mi metto contro questa legge del fuhrer mi sbattono dentro! Supponiamo che uno dica: no, se io voglio realizzare la mia libertà individuale c’è qualcuno che mi mette in prigione e allora cosa faccio? Sono libero di godermi la prigione oppure di dire: no, non sono ancora abbastanza evoluto da godermi la prigione allora faccio finta di andare secondo le leggi! Però questa decisione o di avere forza abbastanza di godermi la prigione o di sottomettermi perché non mi va di andare in prigione è una mia decisione libera, e resto libero. Quindi fondamentale è il rendersi conto delle scelte reali che uno ha; e questo conferma il fatto che le scelte reali che io ho sono insite in quello che io sono, io non ho le scelte di una persona che è tre secoli più avanti moralmente di quello che sono, no ho le scelte della persona così come sono! E torniamo all’individualismo etico, situazionale che dice io in questa situazione, ciò che io non sono capace di fare non ho la libertà di farlo perché non sono capace di farlo. E questo sceverare ciò che mi è possibile in quanto a quello che io sono non soltanto a quello che il mondo mi permette, perché tante cose non mi sono possibili perché io non sono ancora sufficientemente evoluto per poterle fare. E se uno dice io non sono ancora al punto da dare la mia vita, da morire per la causa, per un ideale con gioia come ha fatto Socrate. Basta che accetti che non sono ancora in quella situazione lì, ma sono in quest’altra dove voglio continuare a vivere, e resto libero. Nessuno è libero di essere un’altra persona da quello che è, nessuno è libero di essere moralmente più evoluto di quello che è, ognuno è così com’è. quindi la libertà, così come il pesce che non è libero di volare per aria, allora il pesce dice ma allora qui viene ridotta la mia libertà perché io vorrei volare in aria con le pinne! No, la tua libertà sta nel muoverti liberamente dentro l’acqua, se resti nell’acqua sei libero. Quindi la morale situazionale è una morale di realismo, perché il non realismo ci da’ una morale campata per aria, se io fossi diverso potrei fare questo e quest’altro. Il pesce dice se io fossi un uccello potrei volare! No, non sei un uccello sei un pesce; è un limite della libertà del pesce quello di non poter volare? L’altro problema della libertà i libertini, partito liberale ecc. questo stadio infantile del pensiero, dove in fondo non si è chiarito che la libertà è sempre situazionata nella realtà concreta dell’individuo, e allora c’è sempre di nuovo gente ed è l’altro estremo che parla di libertà come se l’essere umano potesse fare tutto quello che vuole! e’ un altro assurdo! Non esiste poter fare tutto quello che si vuole, si può fare soltanto ciò che si è capaci di fare e ciò che gli altri ti permettono di fare, perché c’è anche qualcosa che gli altri ti proibiscono di fare e se tu lo fai ti mettono in prigione, allora non puoi fare più niente. Quindi vedete che il pensare sulla libertà ci mette veramente in riga, ci aiuta in base alla percezione perché il fattore di libertà va percepito l’essere umano poi devo percepire me stesso, devo percepire la situazione e questo elemento di percezione, questo foraggio di percezione è veramente il pedagogo della libertà. Una libertà campata in aria non esiste, uno dice ma se io non posso far questo, non posso far quest’altro non sono libero! La libertà non ha limiti però ha delle condizioni, la libertà del pesce ha la condizione che il pesce resti in acqua, è un limite della libertà? no, non è un limite ma sono le condizioni necessarie per la libertà. Quindi l’essere umano deve capire qual è l’elemento in cui veramente si può muovere e oltre questo elemento non è libero. Una volta se vi ricordate abbiamo distinto tra, un’altra distinzione mi perdonate in via di eccezione di fare questo aggancio al linguaggio tedesco però me lo permettete perché il testo è tradotto dal tedesco, noi diciamo non libero, qualcosa è non libero: l’uomo non è libero di volare senza aereo, di volare soltanto col corpo! È un limite della libertà? il tedesco distingue tra ... non libero non significa non libero significa non libero, e poi dice ... significa non ha nulla a che fare con la libertà, … significa non libero potrebbe essere libero in questo campo e invece non afferra la libertà che sarebbe possibile, quindi ... è una libertà che sarebbe possibile e che non viene afferrata, invece ... è impossibile, non esiste la libertà. ora un linguaggio che distingue tra ciò che esula dalla libertà e ciò che potrebbe essere libero ma che l’individuo non rende libero, noi abbiamo a che fare con un linguaggio che non fa questa distinzione e dice semplicemente non libero
I. ?
A. noi stiamo parlando in questo momento cosa ti è libero, cosa ti è possibile, cosa non ti è possibile?
I. legato a questo momento va bene, però c’è anche una prospettiva futura in cui quella cosa potrebbe cambiare
A. in prospettiva futura verrà il tempo in cui l’uomo sarà libero di volare col corpo
I. no, però magari questo corpo non ce lo avrà più e avrà un altro tipo di corpo
A. no io parlo di questo corpo
I. con questo corpo d’accordo, però il divenire della libertà nei millenni potranno esserci dei cambiamenti vitali per cui l’uomo potrà fare cose che adesso non può fare
A. senz’altro! Questa distinzione il linguaggio non te la fa e non dice che il non libero sarà sempre uguale, dice qui e ora in ogni situazione, in ogni tappa del divenire ci sono delle cose che esulano dal campo della libertà e delle cose che potrebbero essere libere e che invece tu per omissione di libertà sei non libero dove potresti essere libero, questa è la distinzione di cui stiamo parlando. Se tu adesso poni l’altra prospettiva che questo campo del non libero diventa sempre più piccolo, questa è una manovra per portarci fuori dalla distinzione che stiamo facendo! Tanto è vero che adesso hai creato soltanto confusione! Perché sono due prospettive del tutto diverse, qui si trattava di distinguere la sfera di ciò che esula, adesso a questo stadio evolutivo, esula da ciò che appartiene alla libertà dell’essere umano, distinguere dalla sfera di ciò che è libero, e se nella misura in cui io non mi rendo libero in ciò che è possibile sono non libero in senso morale. Quindi questo …. è un dato di natura, questo … è un dato morale, sei non libero dove potresti essere libero
I. andando avanti col ragionamento in fondo si potrebbe passare da un termine all’altro come quando tu dici l’uomo disfa la potenzialità dell’umano
A. quello che tu stai dicendo ci calza perfettamente, però tu lo stai dicendo come se stessi riflettendo ad alta voce per confermare a te stesso, cerca di articolare i pensieri in modo che tu questi pensieri li dica a noi non soltanto a te stesso, cosa stai dicendo?
I. se noi prendiamo il senso dell’evoluzione umana, il senso della vita, dove essere liberi non significa esserlo automaticamente, noi siamo potenzialmente liberi, quindi questa libertà si può omettere, quindi la libertà delle condizioni il pesce non può volare dovrebbe cambiare stato, dovrebbe diventare un uccello, però è libero di nuotare nell’acqua. Il termine … che è bellissimo include questo discorso che la libertà non è automatica che può essere omessa, perché essere non libero significa omettere la libertà dell’essere umano …. Però se di vita in vita noi omettiamo questa libertà
A. traduciamo in italiano ….. è impossibile, ciò che è impossibile è non libero, … vale solo per ciò che è possibile, e adesso tu hai aggiunto, ciò che non è possibile se non è mai possibile non è possibile non ci riguarda l’impossibile, ciò che è possibile, più una persona realizza ciò che è possibile e più il possibile si amplia per lui. Più una persona omette ciò che è possibile quindi non lo realizza e più il possibile diventa sempre più piccolo, e alla fine non gli è possibile più nulla. Già questa riflessione che può capire ognuno che la potenzialità di libertà, questa facoltà se non viene esercitata diventa sempre più rattrappita, più atrofizzata. Poi c’è questa assoluta dove la facoltà della libertà non c’è più, e io ho sempre detto è possibile in una vita sola omettere tutto il libero possibile in modo da perdere la facoltà della libertà? assolutamente impossibile, quindi anche soltanto da questa riflessione si evidenzia che, se Colui che ha creato l’essere umano libero ha pensato le cose in un modo saggio deve mettergli a disposizione tutta l’evoluzione fatta di diverse vite terrene, perché deve avere la possibilità e il potenziale o di realizzarlo in tutto o di perderlo in tutto. L’Apocalisse parla di questi misteri, la prima morte è l’omissione di ciò che sarebbe possibile, la seconda morte è dove non è più possibile, quindi siamo nel bel mezzo di un’enorme evoluzione la cui legge fondamentale è la libertà.
(IX,20) Si verifica un progresso morale quando l’uomo non eleva a motivo del suo agire semplicemente il comandamento di un’autorità esterna o di quella interna, ma quando si sforza di riconoscere la ragione per cui una certa massima deve valergli come motivo. Tale progresso consiste nel passare dalla morale autoritaria all’azione fondata sul giudizio morale. {Parlavamo del darsi ragione, farsi dei pensieri, dei concetti propri, individuali circa i comandamenti, circa la voce della coscienza sui rimorsi di coscienza}. L’uomo giunto a questo gradino della moralità studierà le necessità della vita morale, {cioè qual è il bene morale}, e dalla conoscenza di queste si lascerà determinare alle sue azioni. Tali necessità sono: 1) il massimo bene possibile della collettività umana, puramente per il bene in se stesso; 2) il progresso della civiltà, ossia l’evoluzione morale dell’umanità verso una perfezione sempre maggiore; 3) la realizzazione di fini morali individuali concepiti per pura intuizione.
Prendiamo la prima norma morale, stiamo cercando di prendere posizione in chiave di pensiero: “concorri al bene universale di tutti gli uomini”, viene formulata: il massimo bene possibile della collettività umana di cui faccio parte anch’io puramente per il bene in se stesso. Fai ciò che è bene per la collettività, me lo dici tu Luciana ciò che è bene per la collettività?
I. ?
A. Diciamo che è una cosa stratosferica non dice proprio nulla, ovviamente ognuno di noi vuole il bene di tutti, chi è che vuole il male di tutti? Quelli che hanno buttato giù le due torri a New York volevano il bene di tutti, a seconda del loro concetto del bene di tutti, più diamo botte all’America e più concorriamo al bene di tutti, è il loro concetto del bene di tutti
I. realizzando me stesso, te stesso
A. no, lasciandoti in pace, perché se io continuo a darti botte, a moraleggiarti, a dirti tu devi, devi, devi, devi, tu non puoi respirare, non potrai mai realizzare te stesso. L’unico modo di concorrere alla libertà dell’altro è di rispettare la libertà, di sapere che io non so cosa è il bene per l’altro in questo momento, e di creare un’area in cui ognuno si possa muovere, esplicare a modo suo più possibile. Il bene morale supremo è di dare a ognuno il più libertà possibile, non più del possibile perché impossibile è impossibile, ma il più possibile perché deve essere il meno possibile? Non vorrebbe ognuno di noi il più libertà possibile? È ovvio, e allora la massima generale è di dare a ognuno il più libertà possibile, quindi proibire solo le azioni che ledono la libertà. Proibire solo le azioni che ledono la libertà è il dare a ognuno il più libertà possibile, e siamo agli inizi dicevamo.
(IX,21) Il massimo bene possibile della collettività umana sarà naturalmente concepito in modo diverso da uomini diversi. {Qui in Italia si parla di Berlusconi, in Germania non si sa chi è, il bene possibile della collettività umana nella testa di un Berlusconi sarà un po’ diverso forse che nella mia testa! Spero bene che siano due teste diverse?! Cos’è questo bene collettivo? È un’astrazione, concretamente è: lascia a ognuno, lascialo vivere, lascialo fare il più liberamente possibile, impediscigli solo le cose che prevaricano, che non rendono libero l’altro}. Il massimo bene possibile della collettività umana sarà naturalmente concepito, rappresentato, in modo diverso da uomini diversi. Il principio suesposto non si riferisce ad una determinata rappresentazione di questo bene, ma significa che ogni singolo uomo, il quale riconosca tale principio, si sforza di fare quello che, secondo il suo giudizio, promuove al massimo il bene della collettività umana.
Il bene della collettività umana è la libertà, il bene massimo di ognuno è la libertà, come posso promuovere io al massimo la libertà dell’altro? Lasciandolo il più libero possibile, e lasciarlo il più libero possibile è un orientamento morale negativo non fare, non fare nei confronti dell’altro, lascialo respirare, non fare quelle azioni che ledono la libertà dell’altro, ma non sindacare in fatto di libertà sua, perché è la sua non è la tua. Il fenomeno originario dell’immoralità è l’asfissiarsi a vicenda, cosa che avviene veramente dalla mattina alla sera. La coppia classica è un asfissiamento reciproco dall’inizio alla fine, tant’è vero che dopo un po’ di tempo non funziona più. Finché si tratta della fase iniziale dell’innamoramento lo posso capire, perché lì i barlumi del cervello sono via ma poi! Per esempio due persone che vivono insieme, l’individuo vuole avere sempre più spazi di libertà, mettere una vita a due insieme dove lo spazio fisico, dove ognuno non ha almeno una stanza solo per sé, è assurdo! È una cosa che andava bene cento anni fa, ma oggi non può funzionare. Quando c’è un’arrabbiatura e un rapporto in cui non ci sono arrabbiature è un cimitero, non è sano un rapporto dove non ci sono arrabbiature soprattutto in Italia! Quindi arrabbiature ci devono essere soprattutto quando le pretese della libertà diventano sempre più grosse, e quando c’è un’arrabbiatura è importantissimo che ognuno possa passare delle mezze giornate da solo, senza essere disturbato. E se non ci sono questi spazi fisici dovranno mandare il rapporto a ramengo, e se ci sono bambini piccoli può essere tragica la cosa. Quindi le leggi fondamentali della libertà vanno pensate e soppesate in tutti i particolari. In Germania si stanno costruendo case a non più finire perché l’individuo reclama per sé sempre più spazio, volete dire voi che è una cosa moralmente cattiva? Se l’individuo dice no io voglio avere uno spazio dove voglio avere un po’ di calma e non essere bombardato dal mondo esterno è suo diritto no? soltanto una cosa abbiamo il diritto di non dare alla libertà! quello che non è possibile, tutto quello che è possibile va dato perché è possibile! Sono criteri fondamentali, quindi tutto quello che è possibile dare alla libertà del singolo, se noi non lo diamo siamo moralmente cattivi, perché la libertà dell’individuo è il valore morale supremo in assoluto, e tutto il resto deve servire a questa libertà. Però questo individuo fa’ cattivo uso della sua libertà invece di andare avanti va indietro! Affari suoi! Un individuo che va avanti moralmente perché è costretto, va meglio che non uno che va indietro perché è libero? Apparentemente va avanti ma moralmente va indietro perché non è libero, quindi moralmente si va avanti soltanto nella libertà, non si può essere moralmente buoni senza libertà, perché senza libertà si è moralmente cattivi su tutta la linea, manca il bene morale in assoluto. Quindi una morale della chiesa che pensa che si possa fare il bene morale per sottomissione, non ha capito ancora nulla del bene morale, c’è soltanto un bene morale ed è la libertà
I. nell’educazione dei figli è un po’ difficile stare sullo spartiacque del “non lo devi fare è proibito e io ti do tutto”
A. non esiste il proibito
I. cioè metti caso io non ho denaro
A. allora non è possibile non è che sia proibito! Il proibito non esiste, il proibito è sempre immorale, perché il proibire è una negazione della libertà, quindi proibire qualcosa è sempre immorale. Invece si può far capire al bambino che certe cose non sono possibili. Non ti va più di andare in bicicletta vuoi una motoretta, però noi siamo una famiglia non ti possiamo dare una moto che costa 300 mila euro! Non è possibile! È proibito? No, non è possibile in questa famiglia
I. sì intendevo questo
A. ma guarda che il bambino lo vede ciò che è possibile e ciò che non è possibile, perché ciò che non è possibile non è possibile punto e basta! Però non sottovalutare la categoria che tu hai usato che noi siamo imbottiti di cose che vanno proibite al bambino, e lì lo roviniamo già in partenza, perché il bambino sano lo sa, non esistono cose proibite, o è possibile e allora deve essere libero di farlo, oppure non è possibile! Ditemi una cosa che va proibita al bambino?
I. uscire da solo di notte
A. adesso tu sei la bambina di sette anni e la tua mamma ti dice: è proibito uscire! come reagisci?
I. vuole uscire e vedere di notte com’è la strada da sola ipotesi, glielo impedisco
A. e’ diverso, glielo rendo impossibile, è una diversità enorme rendere una cosa non possibile e proibirla moralmente! C’è un abisso tra le due strutture mentali, non è proibito, nessuno ha il diritto di proibire una cosa, però io gli posso far vedere che non è possibile
I. perché ci sono dei pericoli, devo spiegare il motivo
A. allora il bambino cresce con la struttura di pensiero che dice: nella libertà umana, nel fattore umano ci sono cose possibili e cose non possibili, ma non cresce con la categoria del proibito
I. cioè tu dici di usare anche con il bambino dei termini appropriati?
A. no, la tua struttura mentale deve essere quella giusta! Se tu hai la struttura mentale che tu pensi che ci siano delle cose proibite, tu sei una catastrofe morale per il bambino! questa struttura mentale è una catastrofe perché lo inficia moralmente fino in partenza, lo imbottisce di comandamenti, certe cose sono permesse altre sono proibite, non esistono proibizioni, esistono cose che vanno rese impossibili, per gli adulti le chiamiamo proibizioni ma di fatti per uno che … ?? impossibile uccidere un altro
I. gli adulti devono arrivare a questo, deve essere una cosa spontanea, ovvia
A. uccidere è proibito? No, va capito che l’uccidere rende la libertà impossibile, questo va capito, e allora non lo voglio, non ho bisogno del divieto. Quindi nella morale non ci sono proibizioni, non esistono. Esiste ciò che è possibile alla libertà e ciò che rende a libertà impossibile, ma ciò che rende la libertà impossibile, io se penso giustamente non dico me lo proibisco, non lo voglio
I. ma quando sei giovane non pensi giustamente
A. no, non pensi proprio, perché se tu dici non pensi giustamente vorresti sottintendere che pensi sbagliatamente! Vacci piano
I. pensa con delle categorie sue molto limitate, i ragazzi adolescenti ti pongono sempre di fronte delle prospettive che sono molto limitate, per cui in quel momento lì lui vuole il tatuaggio, un bel ragno sul collo, e tu dici sì aspetta la vita è lunga, è difficile perché lui in quel momento lì è proprio bella quella cosa lì che ha in mente
A. e lascialo fare!
I. dici così però non è così, lo sai che non è così, lo puoi dire come provocazione, se tuo figlio si vuol fare un tatuaggio in faccia ci pensi un po’ prima di dire fallo!
A. è come la droga
I. certo, però tu ti poni sempre dalla parte adulta, ma lui non è un adulto
A. hai portato fuori dal concetto che stavo facendo, io non sto dicendo che è facile, prendi l’esempio della droga, dove noi sappiamo che quando hai compromesso il corpo a un certo livello non puoi più tornare indietro, però non puoi proibirgli di provare, quindi quello è il limite. Io sto dicendo tutt’altra cosa che voi non avete ancora capito, perché non lo volete capire, perché quello che io sto dicendo rende la vita ancora più complessa, però ci libera tutti, siamo imbottiti di moralismi. Io sto dicendo in pedagogia, come genitore, come maestro ecc. è del tutto diverso se io dico: voglio proibirgli di fare questa cosa di uscire a sette anni durante la notte, o se io dico voglio renderglielo impossibile, in modo che il bambino viene confrontato con qualcosa di non possibile. Non col soverchiare dell’adulto che gli proibisce di far qualcosa senza dimostragli che non è possibile, perché se il bambino fa l’esperienza che non è possibile dice non è possibile! Non lo faccio più, non ci provo più. Ora la strategia per esteriormente permetterlo però porlo di fronte a certi risultati, certe conseguenze, che dopo lui dice no, no non lo voglio più, è ben diversa dalla strategia di proibirglielo, la strategia di proibirglielo è molto più semplice però lo imbottisce di moralismi, che rovinerà la prospettiva della libertà per tutta la sua vita. E noi dobbiamo essere sinceri siamo imbottiti, perché non abbiamo soltanto una morale di società borghese in Italia poi tra l’altro, una morale dove la chiesa cattolica ha avuto un peso enorme fino ad oggi, e dobbiamo dirci che siamo imbottiti di moralismi, tanto è vero che lei spontaneamente diceva che va proibito di uscire a una bambina di sette anni! No, non esiste che va proibito, perché la bambina dice perché me lo proibisce la mamma? L’animo sano dice non ha mica il diritto di proibirmelo. Io la lascio uscire, telefono a un amico che sta a cinque minuti di strada tu vieni adesso io guardo la bambina adesso sta uscendo sulla strada, tu arrivi lì in quel momento quasi quasi la arroti questa bambina, si piglia uno spavento tale che non va più! Quello spavento lì confronta il bambino con ciò che non è possibile dove io ho soltanto svantaggi non lo voglio, l’altro invece è un individuo che soverchia l’altro te lo proibisco è proibito, la differenza è enorme.
(IX,22) Il progresso della civiltà {adesso la tua prospettiva del progresso dell’evoluzione}, per chi ricollega ai beni della civiltà un sentimento di piacere, si presenta come un caso speciale del principio morale precedente. Egli dovrà però tener conto della scomparsa e della distruzione di molte cose che pure contribuiscono al bene dell’umanità. D’altra parte è possibile che qualcuno veda nel progresso della civiltà una necessità morale, indipendentemente dal sentimento di piacere ad esso legato. Per costui tale progresso è quindi un altro principio morale, accanto al precedente.
Il principio di evoluzione dice: se siamo nel quarto secolo prima di Cristo, il bene morale di questo tempo dell’evoluzione, sono questi primi pensatori greci Socrate, Platone, Aristotele la punta dell’evoluzione dell’umanità. Poi vengono i romani, questo bene morale sommo è eterno? No, se c’è un’evoluzione l’umanità conquista dimensioni dell’umano sempre nuove, per cui questo impero romano dovrà tracollare, con tutto il dispiacere, con tutta l’infelicità compresa. Adesso ci troviamo supponiamo per sommi capi, in un punto dove l’egemonia del potere è in mano all’America, se non c’è evoluzione può restare così, ma se c’è evoluzione anche questa egemonia dell’America dovrà terminare e fare spazio al successivo. Allora il bene morale cos’è? di volta in volta qualcosa di sempre nuovo anche per tutta l’umanità. Quindi sotto la prospettiva dell’evoluzione entra nel calcolo del bene morale il concetto di ciò, il bene morale specifico di un tempo, di un’epoca. Come colgo io col pensiero il bene morale, l’umano realizzabile specifico di una certa epoca? Dalla percezione delle condizioni evolutive e di ciò che queste condizioni evolutive rendono possibile; cento anni fa tutto questo mondo dei computer, dell’internet non c’era, oggi c’è, quindi il possibile all’evoluzione dell’uomo oggi è diverso da ciò che era possibile cento anni fa, per non dire mille anni fa. Quindi il bene morale sia per l’individuo, sia per l’umanità intera è di volta in volta, di tempo in tempo, di epoca in epoca sempre diverso. Così come il bene morale per un bambino di sette anni, è diverso, da ciò che fa bene moralmente a un ragazzo di vent’anni.
(IX,23) Tanto la massima del bene collettivo, quanto quella del progresso della civiltà, riposano sulla rappresentazione, cioè sul rapporto che si attribuisce al contenuto delle idee morali rispetto a determinate esperienze (percezioni). {Le ho chiamate condizioni evolutive}. Il più alto principio morale che si possa pensare è però quello che non contiene in precedenza alcun rapporto simile, ma che sgorga dalla sorgente della pura intuizione, {dal pensare come tale, senza retaggi, senza ingiunzioni, senza comandamenti, senza orientamenti dal passato. In altre parole tutto il passato non mi può dire nulla sul bene presente, perché è passato; da tutto il passato io non posso mai sapere qual è il bene in questo momento, perché tutto il passato era tutto diverso}. E che soltanto dopo ricerca il rapporto con la percezione (con la vita). La determinazione di quello che si deve volere parte qui da un’istanza diversa da quella dei casi precedenti. {Adesso li riprende di nuovo: 1)} Chi ubbidisce al principio morale del bene collettivo, per tutte le sue azioni si domanderà prima quale contributo portino i suoi ideali {o le sue azioni}, a tale bene collettivo. 2) Chi segue il principio morale del progresso della civiltà farà altrettanto. {Come posso io contribuire al progresso della civiltà, e non mi rendo conto che le rappresentazioni del progresso della civiltà che io ho già mi soverchiano, come una specie di cappa morale, e io devo contribuire al progresso della civiltà. 3)} Ma vi è qualcosa di più alto, che non parte nel caso singolo da un determinato e singolo scopo morale, bensì da’ un certo valore a tutte le massime morali, e in ogni dato caso domanda sempre se per quel caso sia più importante un principio morale oppure l’altro. Può avvenire che qualcuno, in date condizioni, ritenga giusto ed elevi a motivo della sua azione il favorire il progresso della civiltà, in altre condizioni il favorire il bene collettivo, in altre ancora il favorire il bene proprio. Ma solamente quando tutte le altre ragioni di determinazione passano in seconda linea, viene in prima linea l’intuizione concettuale stessa. Tutti gli altri motivi allora scompaiono dalla posizione dominate, e solo il contenuto ideale dell’azione agisce come motivo di essa.
Solo il contenuto ideale, pensato, intuito per intuizione morale nel momento presente, qui e ora per me. La morale diventa concreta quando l’individuo si chiede: cosa faccio, come mi comporto io qui e ora? Torniamo indietro alla felicità per il numero più alto possibile di persone, il massimo bene possibile della collettività. Cos’è il bene comune? Io dicevo una cosa del tutto astratta anche perché non esiste il bene comune, esiste il male comune che va evitato, e il male comune è ciò che preclude o distrugge la libertà. Come piccolo esercizio di pensiero su questo bene comune, un certo Geremi Bentan al quale Steiner si riferisce diverse volte, ha stabilito una norma morale del comportamento e dice: la massima morale assoluta è di procurare la massima felicità al massimo numero di persone = bene comune. Va bene? Cos’è che non va? per natura qualcuno viene escluso; il bene del corpo è di procurare la salute al massimo numero possibile di organi! O sono sani tutti o è ammalato tutto il corpo! Questo per evidenziare quanto astratto è il bene comune, se uno cerca di affrontarlo si rende conto che saltano fuori assurdità in assoluto, perché non esiste il bene comune, perché il bene comune è la salute di tutto l’organismo dell’umanità. Ma la salute di tutto l’organismo dell’umanità, questo integrale, è la somma di un calcolo infinitesimale dove ogni membro dell’umanità deve pensare alla sua salute. È come se nell’organismo tutti gli organi fossero liberi e il rene si dice ma io come posso contribuire al bene comune? Essendo un rene sano, ma non dirà mai il bene comune è procurare la felicità, la salute al massimo numero di organi. Quanti esseri umani si possono rendere felici? Dal di fuori nessuno, dal di dentro ognuno. Quindi questo pensare in campo economico di matrice occidentale ha recuperato il paternalismo teocratico dell’occidente, il paternalismo di stato giuridico del centro dell’umanità, l’ha trasportato in campo economico e dice noi potenti in campo economico faremo di tutto per rendere felici economicamente il più grosso numero di persone. Lo vedete il paternalismo che c’è alle spalle, il potente che regge le sorti economiche del mondo, e lui è moralmente così buono che farà di tutto per rendere felici il numero più alto possibile di persone, perché lui è così buono, e se tu non fai parte di questo numero … sei sfortunato! Peccato affari tuoi! Quindi non soltanto la felicità viene dal di fuori dal padrone, ma anche il bene morale viene dal padrone. E la risposta è non esiste il bene comune, esiste soltanto l’autorealizzazione dell’individuo.
I. pensavo che il bene comune fossero quelle basi comuni a tutti che ti rendono questa libertà possibile, quindi avere un’istruzione, avere da mangiare, avere quel minimo indispensabile che ti renda possibile la libertà, pensavo che il bene comune fosse quello!?
A. adesso prendo le tue stesse parole: il bene supremo è la libertà, una libertà solamente possibile è un bene? No, perché è solo possibile. Rendere possibile l’istruzione non significa che l’istruzione c’è è soltanto possibile, quindi in questo parlare di un bene comune c’è un errore di pensiero, il bene comune lo si può solo rendere possibile a tutti, ma non esiste comune, c’è rendere il bene individuale possibile a ognuno, però lo rendi solo possibile con l???infrastruttura. E se uno passa tutti gli anni di scuola e non si istruisce? che istruzione è? Quindi il pensiero deve diventare molto più responsabile, formato, nel senso che deve distinguere tra ciò che rende possibile un bene e ciò che lo crea, quindi la collettività può soltanto rendere possibile il bene individuale. Ma la realizzazione del bene individuale c’è soltanto il bene individuale, non esiste un bene comune collettivo, il bene individuale lo può realizzare solo l’individuo e ogni individuo lo può omettere.
I. quello che dice lei non è neanche un presupposto per iniziare ad avere un pensiero ….. è possibile un bene individuale al di fuori delle condizioni minime di libertà?
A. no
I. per cui la generalizzazione che uno fa augurandosi un bene comune è come una base, diamo un codice della strada per cui le persone poi si possano muovere, se non ho neanche quello poi certo che la libertà è un fattore di libertà per cui è omissibile, non è realizzabile però se non ho neanche il codice della strada non esco neanche dalla porta di casa
A. e sono un bene queste norme comuni?
I. certo sono il presupposto per essere liberi, sennò io non posso andare in giro per la strada se non ho un codice della strada. Cioè se io non ho nessun tempo per me perché tutto il mio tempo lo occupo per procurarmi la legna per il fuoco, cioè immaginiamo delle persone che hanno un’economia molto povera, i cosiddetti paesi in via di sviluppo, cioè loro passano tutto il loro tempo per la sopravvivenza, prendere l’acqua, il legno, l’idea di portare un miglioramento delle condizioni di vita che gli diano più tempo per l’istruzione e per altre cose, non è l’inizio di un pensiero che poi ti porta alla possibilità di avere un bene individuale
A. qual è la tua impressione di questo pensiero a ruota libera che stai esprimendo?
I. io sono convinto di questa cosa
A. è chiaro il pensiero che stai dicendo?
I. forse non lo esprimo bene, io sono convinto che tu se non hai, se tutto il tuo tempo è impegnato alla sopravvivenza non hai uno spazio per la realizzazione della tua libertà, non sei libero per nulla, sei minimamente libero perché tutto il tuo tempo lo devi passare, per cui l’avere in mente una società dove hai il tempo per l’istruzione o per qualunque altra attività tua secondo me è il presupposto, sennò non la potresti realizzare. Noi potenzialmente siamo più liberi di una persona che, se io oggi sono una donna africana che perdo tutta la giornata per andare tre ore a prendere l’acqua, due ore a prendere la legna il mio spazio di libertà è minimo
A. quella è una persona che non sarebbe capace di fare l’altro a cui tu pensi. Il discorso lo abbiamo fatto anche ieri, quello che tu stai dicendo è così ovvio che non dice proprio nulla
I. certo ma io esasperavo quello che dice lei nel senso che quello che presuppone come bene comune una base minima dalla quale poi partire, anch’io condivido quello che dice, sono i presupposti alla libertà, se non abbiamo neanche i presupposti per la libertà, la libertà veramente fa fatica ad uscire, però il salto dopo quello che dici tu, è interessante ma noi non lo abbiamo colto, cioè c’è un punto che è difficile cogliere lì, quando tu dici che il pensiero va reso più formante, ma qual è questa cosa?
A. ti sfugge perché non è una cosa che puoi fare d’acchito, sono esercizi di pensiero all’infinito ed è questo che facciamo, se si potesse fare d’acchito non c’era bisogno che Steiner scrivesse tutto un libro, un’enorme articolazione di pensieri. Tu stai dicendo che in una società, c’è un tipo di società che ha come base finanziaria, soldi, beni, da mangiare ecc. poco, una società che in base al progresso anche della tecnica ecc. vive nell’opulenza. Adesso tu stai dicendo che in questa società c’è il 10% dei più ricchi prendono per sé questo fondamento per rendere liberi, più della metà prendono il 60% per sé, e al 90% viene lasciato il resto e questi devono impiegare molto più tempo per sbarcare il lunario, per comprare il minimo necessario ecc. tu dici vogliamo proibire a questo 10% di avere tanto? Che lede la libertà degli altri, la rende
I. io non ho detto che la togliamo a qualcun altro, ho detto se noi riusciamo a pensare a quella persona che occupa il 90% del suo tempo per la sopravvivenza, che lei incrementa il suo benessere, per cui ha una parte di tempo libera
A. sì ma come lo incrementa il suo benessere se gli altri continuano a rubargli via? O proibisce a questi qui di avere oltre un certo momento allora lo distribuisci a questi altri, oppure questi altri resteranno poveracci in canna! Cioè la base della libertà è anche la domanda di una equa distribuzione di quello che c’è, tu stai parlando della base minima per poter vivere in libertà, senza affrontare un minimo di equa distribuzione di quello che c’è. Perché finché il 10% si tengono l’80% negli Stati Uniti è così, gli altri dovranno sgambettare dalla mattina alla sera soltanto per sbarcare il lunario. Allora come gli rendi possibile di dover impiegare meno ore per l’esistenza pura e nuda fisica, e avere più ore per l’anima e per lo spirito?
I. sono d’accordo ma è questa l’idea del bene comune, cioè bene comune vuol dire distribuire questa cosa in un bene comune, comune di tutto il mondo il mondo è uno, cioè l’idea del bene comune è l’idea di dire oggi nel mondo c’è una disparità enorme e il bene comune è livellare a un livello che renda possibile la libertà
A. adesso viene il passo successivo che ti dice a questo 10% di straricchi non puoi proibire, perché il divieto, il proibire non esiste, moralmente il proibire è sempre un male morale. La filosofia della libertà ti dice nella misura in cui questi 10% delle persone che sono straricchi cominciano a vivere, a godere ciò che è individuale e ciò che è libero, per cui tutto il materiale è uno strumento, cominceranno ad aver bisogno sempre di meno, e ad avere sempre di più solidarietà per questi qui, che anch’essi come uomini hanno l’aspirazione legittima di poter sulla base di ciò che si può dare a tutti godere ciò che è libero e ciò che è individuale.
I. le riflessioni che sono state fatte sento relative alla condizione in cui viviamo, se andiamo un po’ indietro Stati Uniti all’epoca dei Pellerossa d’America vivevano pienamente liberi, vivevano felici quando a loro è stato offerto quello che abbiamo sentito istruzione, case però distruggendo molto di quello che loro avevano, quelle popolazioni sono state decimate, morivano nelle case, si sentivano costretti nelle case, loro volevano la prateria e le tende e vivevano liberi. Quindi queste osservazioni sono relative alla condizione in cui noi viviamo
A. eppure andando oltre questo tipo di libertà naturale, l’evoluzione ha fatto un passo in avanti non indietro, perché la qualità della libertà diventa un’altra
I. però non mi sento, sì è un fatto che è avvenuto, però con un genocidio di migliaia di persone
A. il genocidio non era necessario che ci fosse, noi stiamo paragonando due stati di coscienza, ora non voglio essere razzista ma mi tocca un po’ caratterizzarlo: lo stato di coscienza naturale e lo stato di coscienza complessificato. Lo stato di coscienza complessificato crea molti più problemi ti do ragione però è un passo in avanti, perché è più complessificato. Secondo me quello che sta adesso avvenendo nei paesi arabi nel mondo islamico, è proprio questo, sono due stadi di coscienza che cozzano, da un lato attraverso i contatti ormai da secoli col mondo occidentale, c’è questa aspirazione alla libertà individuale, però la libertà individuale è una struttura di pensiero, una struttura mentale dove il pensiero e a mente diventa molto più complessa, cozzano con un tipo di libertà o di stato di coscienza più semplice. E non si rendono conto che da u lato c’è nell’essere umano l’aspirazione a uno stato di coscienza sempre più complesso e dall’altro si vorrebbe la vita sempre più comoda per effetto di pigrizia. Invece più complessa diventa la coscienza e più difficile diventa sia la vita sia il convivere sociale, e per questo complesso queste società arabe non sono preparate. O detto in un altro modo secondo me si trovano al punto della Rivoluzione francese che nei paesi occidentali è avvenuta trecento anni fa, adesso si trovano socialmente come cammino di coscienza al punto della Rivoluzione francese, però la Rivoluzione francese aveva alle spalle secoli, mi dispiace dirlo ma è così, di Cristianesimo, e Cristianesimo significa l’emergenza dello spirito individuale. Questa emergenza dello spirito individuale, per quanto la chiesa non l’abbia capito ecc. però c’è, difatti noi in Occidente come risultato di questi duemila anni di Cristianesimo abbiamo lo spicco dell’individuo, questo spicco dell’individuo è puro frutto del cristianesimo, il migliore frutto. Ora queste società arabe si trovano al punto della rivoluzione francese senza una cultura, il Corano, l’Islam non gli da’ la struttura mentale, una matrice di pensiero che mette l’individuo, lo spirito individuale in primo piano. E quindi si troveranno a passare questa soglia della rivoluzione francese, dovendo recuperare secondo me, evoluzione che lì non c’è mai stata e che noi in Occidente dobbiamo veramente al Cristianesimo. Quindi io vedo il futuro di queste società molto difficile, perché si trovano in questo pullulare, in questo ribellare del popolo di fronte al monarca (guardate la Rivoluzione francese è lo stesso) poi è venuta la rivoluzione di tutto il terrore giacobino, è venuto Napoleone, cos’è Napoleone? Lo spicco dell’individuo, però allora in occidente diciamo se Napoleone è il prototipo dell’umano abbiamo tutti il diritto di essere Napoleone. Quindi la complessificazione della nostra società occidentale, è che giustamente ognuno vuole essere in campo suo, nella sua vita un Napoleone, ed è questo che diciamo, creiamo più spazio possibile per la libertà dell’individuo e lasciamogli fare quello che vuole, basta che non leda la libertà altrui, ma non vorrebbe ognuno di noi essere lasciato in pace? e fare quello che vuole?
I. sacrosanto!
A. sacrosanto! facciamo una pausa.
I. A partire dalle ultime cose che hai detto stamattina, vorrei cogliere quella, che a me sembra essere una contraddizione, in una tua affermazione piuttosto assoluta, che era: le leggi vanno rispettate perché sono il portato di una maggioranza. Io questa affermazione l’ho percepita come assoluta, oggi parlando dei tre gradi di coscienza: il bene comune, il bene dell’evoluzione umana fino al pensiero intuitivo. Fermiamoci al secondo l’evoluzione umana, se io mi fermassi alla tua affermazione non avrei mai l’opportunità di fare delle scelte di pensieri intuitivi e quindi delle scelte sul caso concreto in funzione dell’evoluzione umana, e mi spiego con un esempio che potrebbe sembrare strano ma secondo me non lo è molto: supponiamo che entro pochissimo tempo il potere a livello europeo si rendesse conto che il pensiero di Rudolf Steiner sia talmente pericoloso, perché se una massa anche non enorme di individui prendesse coscienza della potenzialità della libertà umana, il potere stesso cessa di avere la sua funzione, e che fa? Proibisce di divulgare il pensiero antroposofico, compresa la filosofia della libertà, quindi noi in quel caso dovremmo agire sul momento, con un pensiero intuitivo. Io parto dal presupposto, che per me per lo sviluppo dell’evoluzione umana è assolutamente necessario invece, che il pensiero di Rudolf Steiner continui ad essere propagato, e cosa faccio? Evado questa legge, cioè applico la mia fantasia morale per nascondere tutti i libri di Steiner, per non finire in prigione, e per divulgare il pensiero di Steiner attraverso sistemi da carboneria. Allora voglio dire che per l’evoluzione dell’umanità e quindi dei singoli individui anche, è inevitabile che si arrivi a dover non applicare quel pensiero assoluto che è no, la legge della maggioranza va sempre seguita.
A. io non ho detto che la legge della maggioranza va sempre seguita, non era questo il pensiero, tanto è vero che ho spezzato una lancia per Socrate, il decreto della maggioranza non l’ha seguito, la maggioranza l’ha condannato dicendo no, tu non ti attieni alle leggi. Perché la legge è anche questione di interpretazione, tu questo problema l’hai lasciato un pochino fuori, fai come se la legge fosse qualcosa di chiaro, ben determinato, ben circoscritto, ogni legge è complessa. Però secondo me quello che tu dici, e poni una delle domande più fondamentali e più difficili, prima di tutto dire: se ci fossero milioni di persone, individui che si innamorano della scienza dello spirito, si innamorano della filosofia della libertà, certi legislatori si troverebbero in problemini. È l’ipotesi che è sbagliata, perché l’ipotesi dice: se l’evoluzione andasse venti volte più veloce di quello che è umanamente possibile, cosa faremmo? L’evoluzione non andrà mai così veloce. In altre parole a precedere i gradini dell’evoluzione saranno sempre pochi individui, e in questo contributo al bene comune di precedere, altrimenti non si va avanti se non c’è qualcuno che precede e li prepara, in questo compito di precedere, è incluso la forza morale di godere di venir fatto fuori, come l’archetipo di duemila anni fa, per quello ha precorso tutti i gradini evolutivi, t’ha messo lì la meta finale però è stato fatto fuori. Quindi un altro pensiero è coloro che hanno la forza di precorrere i tempi, siccome strutturalmente bisogna saper vivere nella solitudine, perché non si può precorrere i tempi e al contempo ricevere il plauso delle masse, perché il plauso delle masse si riceve soltanto quando si va con la massa non quando si precorrono i tempi. La legge dell’evoluzione è che coloro che hanno questa forza saranno sempre troppo pochi mai troppi!
I. e non tali da impensierire il potere tu dici?
A. esatto, tanto è vero che persino un Socrate ha dovuto bersi la sua cicuta
I. Steiner stesso però prefigura un periodo in cui ci saranno grosse persecuzioni da parte di chi propagherà la scienza dello spirito, lo dice in parecchie
A. quel tipo di duemila anni fa -il nome è proibito ormai perché la chiesa ha incamerato tutto e quindi succedono solo fraintendimenti- ma una frase sua dice: così come hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi, è questo che tu stai dicendo
I. allora in quel caso lì dovremmo non applicare per forza la legge, probabilmente il mio quesito nasce da un mio problema di rapporto con il potere che mi accompagna da molti anni, e che poi grazie alla scienza dello spirito si sta trasformando. Ma se io guardo a ciò che accade ma anche negli ultimi anni, negli ultimi mesi nel mondo tu hai parlato prima dell’Egitto, si vede questo incancrenirsi contro ogni esigenza e ogni richiesta di libertà individuale, ecco perché poi la filosofia della libertà sta proprio al centro di tutto questo
A. secondo me è che il problema alla base è che tu hai assolutizzato un’affermazione che non era intesa in assoluto, io non ho mai detto che ogni legge che c’è va rispettata, sarebbe un’affermazione assurda. Quello che io dico è molto più sfumata l’affermazione, se io sono in un contesto sociale, in una socialità in cui in campo di deliberazione dove gli individui si chiedono quali regole del gioco vogliamo stabilire, perché un sociale senza regole del gioco non funziona, non c’è mai stato. Io ho fatto la proposta fondamentale che un passo fondamentale dell’evoluzione di coscienza si compie quando gli individui si rendono conto che le regole del gioco funzionano al massimo quando sono negative, quando dicono soltanto ciò che va vietato, che è ben diverso che non mettere delle regole che vanno osservate. Allora con questo presupposto io ti dico: se io sono in una società e questa società ha stabilito delle regole del gioco che ti dicono ciò che è vietato, devo sapere che se io dovessi decidere di fare ciò che la maggioranza vieta, giustamente mi mettono in prigione o mi fanno fuori, io non ho detto non va fatto perché sarebbe di nuovo un comandamento, perché Socrate secondo una maggioranza, piccola maggioranza ha agito contravvenendo alle leggi della città di Atene, tu Socrate hai fatto delle cose che la legge proibisce di fare, e secondo la maggioranza era così, e lui dice io non posso vivere in questa società andando contro la maggioranza, perché la maggioranza è più forte della minoranza, ed è giusto che sia così, perché se noi rendiamo la minoranza più forte della maggioranza abbiamo il totalitarismo ancora di più. Un paese dove culturalmente, come società, l’occhio è rivolto a questo elemento democratico della maggioranza è la Svizzera. Io sono in Svizzera diverse volte all’anno, ed è come se ci fosse una società, una cultura diversa, e ti interrompono a qualsiasi punto, peggio degli italiani, perché ognuno siamo in democrazia ha libertà di parola, allora vogliamo stabilire se qui in sala c’è una maggioranza che dice no aspettiamo finché quello lì ha parlato facciamo una pausa e dopo, devono decidere per maggioranza che fanno così altrimenti non funziona. E magari hanno meno sviluppato altri aspetti del sociale ma per qualsiasi piccola cosa fanno un plebiscito, una gestione più complessa che non il papà che deve decidere per tutti.
I. io vorrei partire dal bambino, perché la paura e la libertà, se non si capisce la paura non si arriva alla libertà e all’amore secondo me. La paura l’ho incontrata per strada quotidianamente nel momento in cui ti batti per l’amore, per i diritti lì vi è la paura della controparte, e ti ostacola in tutti i modi, in tutti i sensi. Ma io penso che la cosa è lasciare qualcosa di positivo per poter continuare questa è la vera libertà.
I. volevo mettere in relazione se al bambino non va vietato, ma va trovata un’altra modalità educativa, allora come colleghiamo che ci siano poi le regole sul piano del vivere sociale che vietano determinate cose per garantire l’aspetto individuale dell’esperienza della libertà?
A. no, il concetto è che se noi avessimo una società di individui maturi, in una società di individui maturi non c’è bisogno di vietare nulla, non c’è bisogno di nessuna legge, perché la maturità morale consiste nel fatto di cogliere ciò che impedisce la libertà di tutti e quindi non lo voglio, non ho bisogno della legge. Io vi dico sinceramente mettetemi in croce se volete, io non ho mai avuto bisogno di nessuna legge, perché le cose che vanno evitate per rispettare la libertà di tutti le vedo, basta avere un minimo di cervello e non le ho mai volute fare, e tutto il resto si può fare è libero. Schiller ai tempi di Goethe in Europa centrale andiamo indietro di duecento anni non duemila, questa generazione di spiriti umani tra il 1770 e il 1830 in questa in questi 60 anni, c’è stata una costellazione di duecento trecento spiriti umani di quelli più evoluti tutti incentrati in questi 60 anni, e uno dei pensieri fondamentali Schiller si è occupati di questioni politiche in un modo molto forte, era entusiasta della rivoluzione francese, mentre Goethe diceva in Parigi stanno facendo stupidaggini, bambini che rumoreggiano, vediamo cosa salta fuori, invece Schiller era tutto entusiasta che là c’era la rivoluzione, uno dei pensieri fondamentale dicevano se noi Europa centrale continueremo con questa educazione del genere umano, nel giro di uno due secoli non avremmo più bisogno dello stato. Perché le regole del gioco, del vivere sociale ognuno le ha talmente interiorizzate che non ha bisogno che gli vengano imposte dal di fuori. In altre parole l’umanità è andata indietro rispetto a questi spiriti, quindi una persona libera non ha divieti. Perché è stato fatto fuori l’individuo di duemila anni fa? Quali sono i motivi fondamentali era troppo libero? A chi dava fastidio? Le persone che usano altre persone come strumento per il loro potere, questo tipo qui gli dice no, tu non hai bisogno di essere strumento del potere di un altro puoi essere libero. In altre parole non si può essere liberi senza dar fastidio a qualcuno, però il problema è suo non mio, lui c’ha il fastidio non io. Però lui c’ha il potere di farmi fuori! Prima o poi devo comunque andare! Voglio dire non si può essere liberi senza essere pronti a morire, perché morire si deve, lì diventa concreta la cosa. Perché ci sono persone che vorrebbero avere tutto, vorrebbero avere la vita comoda, essere ricchi, avere il potere però vorrebbero essere anche liberi, no, nella vita bisogna scegliere, o potere o libertà, non si può avere tutti e due, e libera è soltanto la persona che non esercita alcun potere, nel momento in cui eserciti potere non sei più libero, nella stessa misura non sei libero. Un altro fenomeno primigenio Pilato dice al signorino Cristo: ma non lo sai che io ho il potere di tenerti in vita o di mandarti all’altro mondo? E Lui cosa ha risposto? Tienitelo questo potere io non lo voglio, e Lui dice il mio regno non è di questo mondo. Voglio dire o si è liberi di godere lo spirito o si è liberi di godere il denaro. Se si gode la libertà dello spirito, non importa nulla se io godo questa libertà dello spirito sulla terra o nel mondo spirituale, nel mondo spirituale la posso godere ancora di più, poi se addirittura so che ritorno sempre di nuovo i conti tornano sempre. Se io invece godo il soldo, intendo dire tutte le cose materiali che si comprano col soldo, crea tutta un’altra dinamica. Una persona che gode i soldi più dello spirito non è libera, perché il soldo crea meccanismi di potere di non libertà; quindi la scelta della libertà è di godere o il quantitativo, il soldo, o il qualitativo, nel momento in cui io godo la qualità dell’essere sono libero, non lo può scalfire nessuno. Però tu dicevi sì bello godere la qualità dell’essere ma se non ho soldi abbastanza mi tocca spendere un sacco di tempo ogni giorno soltanto per mangiare, di che cosa ha bisogno l’uomo? quelli li può creare lui all’infinito, e’ questo il messaggio di Diogene che ha buttato via anche la ciotola dice con la mano posso fare, Alessandro il grande imperatore di quei tempi, voleva andare a trovare Diogene così famoso, e dice Diogene cosa posso fare per te? Io l’uomo più potente di questo mondo tu poveraccio in canna, e Diogene gli disse guarda se ti sposti un pochino non impedisci che il sole, e Alessandro si spostò, gli ha fatto ombra. Queste realtà nella storia ma vi dicevo l’individuo di duemila anni fa è simile, Socrate è simile, sono lì proprio per indicare quello che tu dicevi futuro dell’umano, la traiettoria verso la quale siamo proiettati, però ti dicono non saranno mai milioni, non saranno mai troppi ma sempre troppo pochi
I. si era parlato di individualismo etico, questo individualismo etico fa parte di quella sancta sanctorum di cui si è parlato altre volte, che sarebbe quella sfera dell’umano che non è possibile conoscere se non a se stessi, l’individualismo etico fa parte di questo mondo intimo, interiore dell’essere? O meglio visto che è individuale o lo è ancora individuale potrà diventare collettivo, un collettivismo etico? Quando si saranno raggiunte le stesse conquiste morali, o c???è sempre una unicità, o meglio la coscienza diventerà una coscienza collettiva, o manterremmo questa unicità di esseri?
A. le dimensioni dell’umano sono due: ciò che è individuale che è unico, specifico, irripetibile nell’individuo e l’umanità in quanto organismo vivente unitario. Queste due dimensioni di ciò che è universalmente umano, e ciò che è specifico unico in ogni individuo non sono in contraddizione, ma sono in tensione, è una polarità che vive di tensione, nel senso che la legge dell’evoluzione è che in stadi primitivi dell’evoluzione, l’individuale e il comune si contraddicono a vicenda e questo dimostra che la coscienza è primitiva. Più la coscienza diventa moralmente evoluta e più è un tipo di coscienza che progetta modi di comportarsi dell’individuo che favoriscono la ricchezza dell’umanità, e modi di comportarsi di tutta l’umanità che favorisce l’emergere di ciò che è unico in ogni individuo. Quindi nello stadio infantile della coscienza, la coscienza infantile vede individuo e umanità come una contraddizione; lo stadio morale maturo della coscienza trova modi in cui più individualizzato diventa l’individuo e più arricchisce tutta l’umanità. E più l’umanità diventa una unità, e più da’ all’individuo la possibilità di individualizzarsi sempre maggiormente. Quest’arte di cogliere non soltanto a livello intellettuale, ma di realizzare moralmente nell’agire questo favorirsi a vicenda dell’individuale e dell’universale è proprio la traiettoria dell’evoluzione morale e intellettuale nella quale ci troviamo. L’intuizione morale nel presente è quel tipo di intuizione morale che si pone intellettivamente la domanda: quale tipo di comportamento qui e ora mi da’ modo di vivere un progresso nella mia individualizzazione che al contempo deve essere un arricchimento, un potenziamento dell’organismo dell’umanità -ama il prossimo tuo che è tutta l’umanità come te stesso, ama te stesso come il prossimo tuo-. Quindi le due carenze della moralità fondamentali sono di dar precedenza alla propria evoluzione a scapito dell’umano, o di dar precedenza all’evoluzione dell’umano a scapito dell’individuo. Questo voler favorire l’umano a scapito dell’individuo che è il potere, non è un vero favorire l’umano ma è illusorio, perché l’umano che uccide l’individuo non va avanti, quindi una umanità che uccide l’individuo diventa sempre più povera. Così come un tipo di coscienza -e questo va detto a tutti i libertini di questo mondo-, che pensa di favorire l’individuo scalzando la comunità, è di nuovo un’illusione perché l’individuo non può realmente progredire soltanto illusoriamente, se non inserendosi sempre di più nel contesto dell’organismo di tutta l’umanità. Ora immaginiamo un tipo di coscienza intellettiva e morale che in ogni situazione, questo è proprio il cammino della coscienza, a livelli sempre più complessi in ogni momento la percezione il più complessa possibile di sé, e la percezione più complessa possibile dell’umanità, ce n’è da fare! però questo è il bello morale, il bene morale. Supponiamo una persona che non sa neanche cosa sta succedendo nel Mondo Arabo, in Egitto un fenomeno moralmente mostruoso, come si può vivere ignorando l’umanità, sarebbe a dire vivere ignorando il proprio organismo in cui si è inseriti. La fase di infanzia dell’umanità si caratterizza per il fatto che c’è il bene comune ma è soltanto incipiente ma è potenziale la coscienza individuale, ora noi viviamo di atavismi di infanzia dell’umanità, dove l’autorità -la chioccia- tiene tutti sotto i pulcini, quindi noi abbiamo una morale che ancora vive del concetto che l’individuo è un bambino, quasi tutta la morale nel mondo con la sola eccezione della filosofia della libertà tratta l’individuo come se fosse un bambino, e nella maggioranza dei casi ha ragione perché la coscienza è rimasta bambina. La Chiesa cattolica si è sempre chiamata madre, ed è talmente strutturalmente madre che non è previsto che diventi nonna, e se non diventa mai nonna che poi deve morire, i bambini restano eternamente bambini, quindi non c’è evoluzione. Duemila anni fa c’era una società patriarcale, il Cristo assurdo che venisse come una donna, i dodici apostoli tutti e dodici maschietti, voi pensate che la chiesa cattolica abbia colto che in questi duemila anni è successo qualcosa che attorno a un Socrate non ci sarebbero più solo maschietti ma anche femminucce? No, è rimasta allo stesso punto come se non ci fosse evoluzione, con tutti i problemini che desso saltano fuori con i pedofili, preti ecc. Quindi abbiamo una morale, tutta la morale dei poteri costituiti è retriva, è patriarcale, è del papà e della mamma e l’individuo è un bambino, che deve sottomettersi, bisogna dargli le proibizioni, i comandamenti ecc. Un pensiero fondamentale di Steiner dice: lo stato, gli stati moderni si sono inflazionati all’infinito, andrebbero ridotti al minimo, ridotti almeno del 90% di quello che fanno, dovrebbero ridursi puramente a legiferare e a stabilire le cose che sono proibite. L’Europa cosa sta vivendo adesso? L’Italia ci arriverà fra qualche anno, con che cosa sta adesso lottando l’Europa? Sta lottando con il fatto che non esiste una moneta comune senza accordarsi sul fisco, le tasse ecc. ma è un’assurdità. Se non vogliamo togliere allo stato italiano, tedesco ecc. la giurisdizione in campo politico dobbiamo avere il coraggio di separare la sfera economica e creare un governo economico comune, perché se non creiamo un governo economico comune che metta delle leggi, cose economicamente proibite, le transazioni di borsa ecc. comuni a tutti questi paesi con l’euro, dall’oggi al domani l’euro sparirà, e se sparisse l’euro che è che si piglia le botte? La Germania perché è la più forte in assoluto economicamente, e la Francia e l’Inghilterra comincerebbe a picchiare le due guerre mondiali erano botte alla Germania perché era diventata economicamente troppo forte, adesso è stata addomesticata attraverso l’euro comune se lo mandiamo a ramengo poveri noi! La Germania è il paese esportatore numero uno, ancora più della Cina.
Noi ci troviamo adesso a cammini di evoluzione dove la triarticolazione sociale lo stato deve diventare molto più sottile lo stato fa troppe cose, ha ricevuto uno strapotere su tutti i campi cultura, istruzione ecc. deve togliersi fuori dall’istruzione, lo stato non deve avere nulla che fare con l’istruzione, togliersi fuori dall’economia che va retta secondo leggi dell’economia, ci deve essere una rappresentanza di tutti i paesi dell’euro che decidono in campo economico, le sanzioni a cui ognuno viene sottoposto che non rispetta certi margini di debito pubblico e lo stato deve far politica, cosa c’entra lo stato con l’economia? Il compito dello stato dovrebbe essere soltanto in base a maggioranza, in base a un dialogo parlamentare, rappresentanti ecc. la società è complessa, stabilire quali azioni vanno proibite. Buon pranzo.
Venerdì 4 febbraio, pomeriggio (intro)
È uscito nelle edizioni Archiati, i libri di Archiati non ve li presento perché mi pare di conoscerlo questo Archiati e potete dimenticarlo, ma quelli di Steiner ve li presento volentieri. Queste conferenze agli operai, una cosa bellissima alla fine della vita di Steiner ha tenuto con profonda gioia, cosa importantissima per lui, conferenze agli operai che lavoravano al Goetheanum. Gli operai gli hanno chiesto: che cos’è sto cristianesimo? Erano operai, proletari di allora che non avevano nulla a che fare col cristianesimo, avevano mandato all’inferno dal diavolo la chiesa cattolica, chiedono al dottore cos’è sto cristianesimo? E lui tutto contento dice ah finalmente mi ponete una domanda così importante, e gli spiega in un modo così fondamentale e semplice cos’è il cristianesimo. Ora io ve lo presento perché l’essenza del cristianesimo è la libertà, quel signorino lì che è morto duemila anni fa è morto per la libertà dell’individuo, ha difeso la libertà dei poveri, dei peccatori ecc. e praticamente diceva tutto il fattore culturale di popolo, era cultura ebraica, serve da fondamento, da condizione necessaria, però condizione necessaria per l’emergenza per l’evoluzione dell’individuo, che poi sulla base di ciò che è comune di un popolo, di una cultura costruisce mondi del tutto individuali, del tutto unici, irripetibili. Questa è l’essenza del fenomeno di duemila anni fa. Allora lui dice questo Gesù di Nazareth, vi dico solo con la genialità, con intuizioni morali nella situazione con questi operai crea dei concetti sia intellettuali conoscitivi, sia morali del tutto nuovi, e dice questo Gesù di Nazareth è un uomo, magari l’uomo migliore che ci sia mai stato ma è un uomo, è l’uomo della terra, l’uomo sulla terra per quanto sia bravo, per quanto sia un Gesù di Nazareth porta in sé tutte le leggi evolutive della terra e cioè la natura terra è natura che è determinata che è stata creata dal sole. Il sole è origine di luce, crea pensieri, origine di calore crea intuizioni intellettive, intuizioni conoscitive sono la luce del sole, intuizioni morali sono il calore, amore, sapienza, saggezza e amore. E allora dice finché l’uomo della terra resta soltanto uomo della terra vive in un mare di determinismi di natura, quello lì manco è arrivato a trent’anni, fortunato lui, tràcchete li salta dentro l’uomo del sole. Andandogli dentro l’uomo del sole, lo chiamano Cristo certi cristiani o il Messia come volete, allora lui dice ah ma c’è ancora di meglio che non essere uomo della terra, uomo del sole significa adesso lui all’improvviso tutta una luce, tutto un calore, e allora dice il senso di essere uomo sulla terra è di aprirsi sempre di più a diventare un uomo del sole. Diventare sempre più liberi, e come fa il sole creare luce e creare calore. E per spiegargli che è possibile che questo pinco pallino qui che fino a trent’anni questo spirito del sole proprio non ce l’aveva, era un bravo uomo ma non ce l’aveva, per spiegare che tutto un insieme di realtà spirituali, perché in fondo noi prima di studiare la filosofia della libertà tutti questi pensieri non ce li abbiamo, come fanno a entrare dentro? Allora prende l’esempio di un chimico che … era in Inghilterra a Londra e che ogni sera doveva fare un ora un ora e mezza di autobus e stanchissimo ed era alle prese con la teoria del benzolo, una bella sera mentre era stanchissimo gli è arrivato dentro per intuizione la teoria del benzolo. Quindi una realtà spirituale che prima non c’era in lui è entrata dentro. E Steiner lo prende come esempio per dire qui c’era una realtà spirituale, il Cristo lo spirito del sole che prima non c’era gli è andata dentro e adesso ce l’ha. E allora adesso questi operai hanno capito qual è l’essenza del cristianesimo, che i determinismi di natura hanno senso soltanto se si fanno da base, da fondamento per aprirsi a tutto ciò che è di creazione libera di luce, cammini di pensiero, di calore, cammini di amore, di intuizioni morali di amore, l’essenza del cristianesimo quello che stiamo facendo. La prima parte della filosofia della libertà luce del pensiero, seconda parte della filosofia della libertà calore dell’amore come base all’azione, e tutto intuitivo, niente determinato, tutto pura intuizione, pura creazione artistica. Questa è l’essenza del cristianesimo, se a qualcuno qui la scienza dello spirito come Steiner parlava agli antroposofi gli risulta un po’ complicato, leggete queste conferenze tenute agli operai soprattutto alla fine della vita di Steiner sono una cosa simpaticissima. Comunque grazie alla Maria Nieddu che sta facendo veramente un bel lavoro, noi in Germania siamo contentissimi che sia stata presa l’iniziativa dall’Italia e soprattutto ci interessa e questo testo ci calza benissimo, per noi era importantissimo dare in mano la casa editrice a qualcuno che presentasse la scienza dello spirito come qualcosa per tutti non soltanto per una setta di eletti, e quindi ho l’impressione che con la Maria Nieddu ci siamo come scelte editoriali. Poi mi pare di capire che trovare bravi traduttori non è una cosa da poco, quindi continuiamo a lavorarci, perché non si tratta soltanto di fare una traduzione lessicale, si tratta di capire a fondo i due mondi e poi le due lingue e anche masticare e capire la scienza dello spirito.
Questi tre livelli di cui stavamo parlando sono: il massimo bene possibile della collettività umana, questo massimo bene, io lo chiamavo il benessere, questo primo filone morale si riferisce particolarmente alla realtà del corpo, non è che escluda le altre dimensioni dell’anima e dello spirito, però si incentra sul corpo, sul benessere, star bene, essere felici, essere contenti. Poi il progresso culturale, l’evoluzione culturale, la cultura non è un fatto corporeo è un fatto dell’anima, quindi questo secondo filone morale si incentra sulla realtà dell’anima. Corpo e anima, benessere e cultura sono per un essere umano che vuole il bene morale a livelli ancora più alti, a livelli ancora più beatificanti, sia il corpo sia l’anima fanno da fondamento, da base per lo spirito, e lo spirito è individuale e intuitivo. Lo spirito non ha determinismi, nel corpo c’è un massimo di determinismi, l’anima oscilla tra determinismo e libertà, nella misura in cui si apre allo spirito si apre verso il libero; nella misura in cui vive o convive la realtà del corpo vive nei determinismi, e lo spirito invece è pura libertà. Quindi il terzo livello è ad un altro livello, perché sia il primo, sia il secondo si fanno da condizioni necessarie, però condizioni, quindi in un certo senso il benessere e il progresso culturale non sono il bene morale, sono la condizione necessaria del bene morale, bene morale è lo spirito, è il viversi come spirito individuale, creatore, intuitivamente, individualmente creatore, questo è il bene morale, l’altro concorre, fa parte del bene morale soltanto nella misura in cui si apre e rende possibile l’evoluzione dello spirito.
(IX,24) Fra i gradi della disposizione caratterologica abbiamo designato come il più alto quello che agisce quale pensare puro, quale ragione pratica. Fra i motivi abbiamo ora designato come il più alto l’intuizione concettuale. Ma a più precisa riflessione risulta però subito che, a questo grado della moralità, molla e motivo coincidono, {movente e motivo coincidono}, che cioè né una disposizione caratterologica predeterminata, né un principio morale esterno, assunto come norma, influiscono sul nostro agire. L’azione non è fatta su stampo o modello, cioè non è eseguita secondo una qualsiasi regola, e neppure è compiuta dall’uomo automaticamente per una spinta esterna, ma è interamente determinata dal suo contenuto ideale.
Qui fa la somma dei moventi e dei motivi, e pone la domanda: qual è il livello più alto della predisposizione caratterologica? La facoltà del pensare intuitivo, più alto di questo non c’è, come ciò che il mio essere porta in sé, ciò che poi io ne faccio è un’altra cosa, quello è il secondo gradino. La dimensione più alta, più bella, moralmente più buona dell’essere umano è che è uno spirito capace di pensare pensieri intuitivi, di più non si può, più che essere spirito creatore non si può, non esiste. Quindi il livello sommo della predisposizione caratterologica è la facoltà del pensare puro, la facoltà del pensare puro chiamiamola ragione pratica, la facoltà del pensare puro cioè del pensare intuitivo in campo morale è ragione pratica, la capacità di intuitivamente creare modelli di azioni, comportamenti, modi di agire che sono del tutto nuovi, una creazione dal nulla. A livello intellettuale il pensare puro la prima parte della filosofia della libert??, a livello morale la ragione pratica, la ragione pratica è la facoltà di creare intuitivamente, singolarmente, individualmente azioni, comportamenti che prima non ci sono mai stati, altrimenti nel morale non ci sarebbe nulla di nuovo se si ripete sempre qualcosa che c’è già stato. Una pura facoltà aperta in tutte le direzioni, io la posso determinare in qualsiasi direzione è una pura facoltà, quindi l’attualizzazione di questa facoltà qui e ora, è lasciata in tutto e per tutto a me. Il mio essere mi mette a disposizione una pura facoltà, questa ragione pratica è una pura facoltà e io la posso attualizzare in tutte le direzioni, sta a me intuitivamente, quindi è una pura facoltà di intuizione di qualcosa di nuovo in assoluto, dell’individuale, unico, di ciò che è libero assolutamente non determinato. Questa pura facoltà crea, inventa una intuizione concettuale morale, l’intuizione concettuale di un’azione da compiere che uno vuol compiere, l’intuizione concettuale è l’attuazione momentanea di questa facoltà, quindi come ragione pratica è la pura facoltà di intuire sempre di nuovo concettualmente modi di comportarsi, e ogni intuizione concettuale morale di azioni è un’attualizzazione libera di questa facoltà. Quindi la domanda della moralità è sempre cosa vuole il mio essere, cosa voglio io in questo momento. Ho la facoltà, la ragione pratica, di volere qualcosa di individuale intuitivamente, concettualmente, e nel momento in cui intuisco concettualmente e moralmente una intuizione nuova che prima non c’è mai stata attualizzo questa facoltà, e poi un minuto dopo di nuovo sempre di nuovo all’infinito. Quindi l’intuizione concettuale morale è un’attualizzazione intuitiva libera della facoltà, è il contenuto ideale a decidere, il contenuto intuitivo concettuale a decidere ciò che l’essere umano fa. Quindi il paragrafo successivo 25 dice che c’è in ogni essere umano la facoltà, la capacità di intuizioni morali, essere uomini significa essere potenzialmente capaci di intuizioni – e intuizioni significa invenzioni dal nulla, sempre nuove – di intuizioni morali.
(IX,25) Una simile azione ha come presupposto la capacità delle intuizioni morali. {Ogni essere umano è capace di intuizioni morali}. A chi manca la capacità di intuire per ogni singolo caso la particolare massima morale, non sarà neppure possibile di arrivare mai alla vera volontà individuale.
È possibile che a un essere umano manchi la capacità di intuire moralmente? Se essere uomini significa potenzialmente, embrionalmente avere questa capacità, però se un essere umano omette, non la esercita questa capacità, questa facoltà non la mette in pratica, la capacità stessa diminuisce sempre di più. Quindi l’unico modo di confermare una facoltà, di confermare una capacità è di diventare sempre più capaci di intuizioni morali è di esercitare il più possibile questa capacità. La differenza che c’è oggi tra la facoltà morale di un individuo e un altro di desume che sia il risultato di un maggiore o minore di esercizio o omissione di questa facoltà, che potenzialmente all’inizio è stata data uguale a ogni essere umano. Altrimenti dovremmo presupporre che il Creatore degli uomini faccia delle discriminazioni ingiuste, un’ingiustizia di fondo perché a uno viene dato in partenza già potenzialmente una maggiore capacità e all’altro una minore capacità. Invece la natura umana viene data a ogni essere umano nella sua purezza come facoltà in assoluto, la gestione di questa facoltà è poi questione dell’individuo; e noi siamo ora a livelli soltanto incipienti di questo esercizio, di questa facoltà, quindi nessun essere umano a questo punto è già in grado di dire che ha già perso talmente tanti colpi che ormai fa fatica a recuperare. Così come l’altro pensiero di scaraventare un essere umano, anche se è stato Papa Giovanni Paolo II, scaraventarlo alla fine dell’evoluzione e farlo Santo, è un modo di pensare veramente bambinesco, primitivo, vogliamo concedere anche a questo Papa visto che in una vita di Papa non ha neanche il tempo di pensare alla propria evoluzione, concediamogli un paio di altre vite in cui avrà la fortuna di non essere Papa e avere un po’ più di tempo per curare la propria evoluzione. Che significa far santa una persona? Che ha raggiunto la perfezione dell’evoluzione e quando l’ha fatta questa evoluzione?
(IX,26) Il contrario assoluto di questo principio morale è quello kantiano: “Agisci in modo che le norme del tuo agire possano valere per tutti gli uomini”.
Se si tratta di rispettare il codice stradale è giusta questa affermazione di Kant, quindi la morale di Kant è giusta per ciò che noi chiamiamo la base della morale cioè è giusta per quanto riguarda i divieti, le azioni da evitare che sono uguali per tutti, quindi quando sei sulla strada in macchina comportati in modo che sia imitabile da tutti gli altri, e se tutti si comportano in un modo che tutti possono imitare si evitano le contravvenzioni e tutto funziona bene. In altre parole, adesso questo Kant salterà fuori di nuovo a livelli sempre più complessi qui è soltanto un piccolo paragrafo ma Kant ha instaurato una morale generale positiva -il dovere-, quindi non soltanto le azioni da evitare, non soltanto le azioni proibite, i divieti ma anche i comandamenti, le leggi. Secondo Kant la morale, il bene morale consiste nell’osservare, nel sottomettersi i comandamenti e le leggi, i comandamenti venivano maggiormente dall???autorità divina, poi l’autorità divina è recessa perché gli esseri umani hanno perso sempre di più la capacità di essere a contatto diretto col divino, è subentrata l’autorità umana, l’autorità umana sancisce delle leggi, e la bontà morale, l’uomo moralmente buono è quello che ubbidisce alle leggi, si sottomette alle leggi. Quindi la morale di Kant è una morale di sottomissione, è una morale di obbedienza che presuppone delle leggi, dei comandamenti da eseguire. Questa mattina io ho portato l’esempio di Schiller che era rispetto a Kant eoni più avanti di Kant, perché Schiller già si presentava un tipo di umanità nella quale tutta la legislazione dello stato non è più necessaria perché ognuno evita da sé tutte le azioni che vanno evitate e si occupa delle azioni positive che son del tutto individuali. Invece Kant Prussia al nord, Schiller era maggiormente al sud della Germania dice che il bene morale consiste nel fare il proprio dovere. Cento anni dopo quindi cento anni fa è stata scritta la filosofia della libertà, tu questa mattina ci hai riportato al fattore di evoluzione, quindi il fenomeno Kant il dovere, Steiner la libertà, poi noi oggi duecento anni dopo prendiamo posizione, ci facciamo dei pensieri sull’uno e sull’altro, e possiamo capire il fenomeno Kant soltanto nella prospettiva dell’evoluzione, perché se la morale di Kant è stata così in auge (e tra l’altro in Germania e anche in Italia se volete, per lo meno in linea di teoria è in auge anche oggi) vuol dire che ci sono tante persone che sono d’accordo con Kant, e se ci sono soprattutto duecento anni fa tante persone che erano d’accordo con Kant, vuol dire che milioni e milioni di persone avevano il convincimento e dicevano io sono una brava persona e protestante o cattolico andrò in paradiso, soltanto nella misura in cui faccio il mio dovere, osservo i comandamenti, sottostò alle leggi ecc. Quindi è importantissimo dirci che duecento anni fa non c’era ancora nell’individuo l’aspirazione a ciò che è libero e individuale e unico, non c’era! Quindi l’individuo si sentiva realizzato nel compiere il suo dovere. Se noi oggi avessimo a livello di massa, di milioni lo stesso tipo di individuo che è tutto contento, tutto felice nel fare il suo dovere, nell’obbedire alle leggi, nell’osservare leggi e comandamenti ci andrebbe benissimo la morale di Kant. Perché cento anni dopo Kant è successo uno Steiner che ha scritto questo libro? In base all’osservazione, non alla teoria, all’osservazione del fatto che gli esseri umani, soprattutto quelli che vanno un pochino più veloci che non quelli che restano indietro, man mano di decennio in decennio è sorta in milioni di individui umani l’aspirazione alla libertà e a compiere qualcosa di individualmente unico, e quindi a considerare la morale del dovere come base, come fondamento, come propedeutico, come presupposto della morale, però il vero bene morale ciò che l’individuo crea con la fantasia morale del suo pensare e del suo volere. Questo ci dice che in base alla percezione, non facciamo teorie, osservando ciò che vive negli esseri umani, ci viene da dire che emerge nei desideri delle menti e dei cuori umani sempre di più l’aspirazione, il desidero, la volontà di libertà individuale. E se fa parte della natura umana in un modo a livelli così evoluti, allora è un male morale volerla uccidere, volerla soffocare; quindi dobbiamo considerare questo tipo di morale kantiano come la base della morale, che non ha nulla che fare con il bene morale, e questa morale kantiana partecipa del bene morale soltanto nella misura in cui sfocia, favorisce, vuole sfociare nell’emergenza nell’autorealizzazione dell’individuo unico, irripetibile nella sua libertà. Quindi in un certo senso se oggi la morale di Kant viene presa e assolutizzata è un fattore frenante in assoluto. E da qui si capisce l’opposizione, lo scontro frontale tra la filosofia della libertà e la morale di Kant, perché in Germania tanti dicono ma perché Steiner si mette così contro Kant direttamente? Perché Steiner vuole sottolineare che o noi mettiamo come valore morale supremo il dovere e allora è un tipo di morale, oppure mettiamo come valore morale supremo la libertà e allora è un tipo di moralità opposto, è una morale opposta alla prima, o sottomissione o liberazione, l’uno è l’opposto dell’altro. La …. è il dovere, il da farsi, l’ubbidienza, la sottomissione e vi accennavo che in fondo il grosso mistero dell’Islam, è che l’Islam non ha alle spalle addirittura da duemila anni questo terremoto dove la natura umana si apre, la natura terrestre si apre allo Spirito solare che crea in chiave di pensiero, in chiave di volontà. Quindi l’Islam non avendo alle spalle questo prorompere della libertà, della creatività individuale, adesso si trova in base all’evoluzione generale dell’umanità di fronte a questa pubertà dei singoli, questa pubertà che vuole ribellarsi contro tutti i genitori, contro tutte le autorità costituite però non c’è alle spalle una cultura, come nei paesi cristiani, che già in partenza hanno messo le basi per considerare la libertà dell’individuo, la creatività dello spirito individuale come il valore supremo della creazione in cui viviamo. E quindi io sono certo, ci verrà di accompagnare l’Islam nei decenni successivi che dovrà andare da un abisso all’altro, e la pubertà va passata sia individualmente sia culturalmente. Se noi prendiamo il Corano, il valore fondamentale del Corano è la sottomissione alla volontà assoluta di Allah. Nel discorso di Colui che è morto duemila anni fa non c’è la sottomissione, proprio non esiste, e culturalmente sono enormi differenze. Quindi in Egitto finita questa dittatura verrà la dittatura dell’Islam non sarà meglio, però questi gradini bisogna passarci.
(IX,26) “Agisci in modo che le norme del tuo agire possano valere per tutti gli uomini”. Tale proposizione è la morte di ogni impulso individuale all’azione. Non il modo in cui tutti gli uomini agirebbero mi deve essere di norma, ma il modo in cui io ho da agire nel caso individuale.
Comune, generalizzabile sono soltanto i divieti, il da farsi è del tutto individuale. Ma in fondo se noi questo pensiero lo pensassimo fino in fondo, se il da farsi, se il dovere fosse generale comportiamoci tutti allo stesso modo cosa salterebbe fuori? Un impoverimento assoluto, ognuno sarebbe una copia dell’altro. Questa frase di Kant e Steiner che la conia} “Agisci in modo che le norme del tuo agire possano valere per tutti gli uomini” è una uniformazione, un impoverimento assoluto dell’umanità.
(IX,27) Una critica superficiale potrebbe obiettare a queste considerazioni, {ora cominciano le obiezioni fino alla fine del capitolo}, “Come può l’azione essere individualmente improntata al caso particolare e alla particolare situazione, ed essere nello stesso tempo determinata in modo puramente ideale per via d’intuizione?”. Questa obiezione si basa sopra una confusione fra motivo morale e contenuto percettivo dell’azione. Quest’ultimo {il contenuto percettivo della situazione, cioè come la situazione è}, può essere motivo, e lo è, per esempio nel progresso della civiltà, nelle azioni di origine egoistica, e così via, ma non lo è nelle azioni fondate sulla pura intuizione morale. Il mio io rivolge naturalmente lo sguardo su questo contenuto percettivo, della situazione in cui mi trovo, ma non se ne lascia determinare. Tale contenuto è utilizzato solo per formarsi un concetto conoscitivo; l’io, però, non ricava dall’oggetto il relativo concetto morale. Il concetto conoscitivo corrispondente ad una determinata situazione, alla quale io mi trovi davanti, è nello stesso tempo un concetto morale soltanto se io mi trovo nel punto di vista di un determinato principio morale. Se io dovessi stare soltanto sul terreno morale dell’evoluzione della civiltà, allora andrei per il mondo con un itinerario obbligato. Da ogni avvenimento che percepisco e che mi può occupare, scaturisce subito un dovere morale per me: quello di portare il mio pur piccolo contributo a che quell’avvenimento sia messo al servizio dell’evoluzione della civiltà. Oltre al concetto, che mi svela le naturali connessioni di un avvenimento o di una cosa, l’avvenimento o la cosa portano appesa appiccicata anche un’etichetta morale che per me, essere morale, contiene un’indicazione etica del modo in cui mi devo comportare. Questa etichetta morale è giustificata nel suo campo, ma, quando si arriva a un punto di vista più alto, viene a coincidere con l’idea che sorge in me di fronte al caso concreto.
In una situazione concreta la moralità è la decisione di come comportarsi in una situazione concreta, di fronte a una situazione concreta cos’è la prima cosa che avviene? Che io la percepisco, la percezione, la struttura dell’essere umano è tale che scinde il mondo in percezione e concetto, quindi anche in campo morale di agire, di comportamento, la prima cosa è la percezione della situazione mia attuale. Quanti elementi di percezione ci sono in una situazione concreta? All’infinito, se io ho anche soltanto una persona davanti a me e mi chiedo come la tratto questa persona, come mi comporto nei confronti di questa persona? Cosa c’è da percepire in questa situazione dove sto davanti a una persona? All’infinito, soltanto la sua realtà corporea è all’infinito, la sua realtà animica è all’infinito ecc. quindi la prima cosa è la percezione della situazione in cui mi trovo della mia situazione attuale. Ora in campo morale tutto dipende dal fatto che per un individuo è la percezione che automaticamente lo spinge all’azione, ed è questo che dicevamo già ieri, però non è necessario che la percezione contenga un’etichetta, una specie di indicazione di come io mi devo comportare, in una tale situazione comportati così, allora non sono libero. Invece il fondamento della libertà è il concetto che dice: comunque sia la situazione, qualsiasi sia la situazione in cui io mi trovo mi riservo io di decidere come comportarmi, e la situazione non mi determina per nulla, è possibile questo? Certo che è possibile! Basta volerlo, basta farlo. Quindi in ogni situazione è possibile, basta volerlo e basta farlo, inventare un modo di comportamento che non c’è mai stato. E questa è la creazione dal nulla, proprio in senso puro della parola, in campo morale. L’essere umano può essere un creatore dal nulla soltanto in campo morale; in campo di concetti conoscitivi il mondo che già c’è io non lo posso creare dal nulla perché c’è già, lo posso conoscere così com’è. Invece in campo morale posso creare comportamenti, posso intuire azioni dal nulla, un’azione che prima non c’era mai stata. E il Creatore come ha creato le cose che mi si presentano dal lato della percezione dove io i concetti conoscitivi non posso crearli dal nulla, devo conoscere le cose così come sono, però le cose che per noi già ci sono e quindi noi dobbiamo conoscere così come sono, per colui che ha creato la rosa, la rosa è stata una creazione dal nulla prima non c??era la rosa prima che la creasse. Quindi il concetto del creare, il creare puro è un creare dal nulla, perché se io creo sulla falsa riga di qualcosa che già c’è non sono creatore puro; il creatore puro è nella misura in cui tira fuori qualcosa che prima non c’è mai stato. Uno dice ma io sto suonando con la spinetta la Valsugana, e dice ma questa canzoncina c’è da sempre come la posso io creare dal nulla? l’interpretazione, tu ci puoi mettere dentro un modo, al livello morale non si tratta soltanto delle cose grosse si tratta anche del modo, una modalità, un tipo di interpretazione che prima non c’è mai stata e allora fai una creazione dal nulla. Lo spirito è la potenzialità all’infinito di creare dal nulla. Quante azioni, quanti tipi di comportamenti si possono creare dal nulla? all’infinito, non c’è limite, e questo è una gran bella cosa, un godimento all’infinito, un divertimento all’infinito, e mentre uno ascolta lo sente se colui che sta suonando ripete una melodia oppure se ci mette dentro qualcosa che è creativo, un modo tutto suo, tutto nuovo lo senti e acquista una qualità del tutto diversa, c’è questa componente dalla creazione dal nulla oppure non c’è e le cose son molto diverse. Quindi il quesito della morale è: il mondo caro amico è così com’è, però tutto sta nel vedere se tu moralmente sai creare modi di comportarsi, azioni addirittura del tutto nuove che prima non ci sono mai state. Uno ha un amico che minaccia di suicidarsi e si pone la domanda cosa faccio io con questo amico che vuole suicidarsi? Fammi comprare un libro che mi spieghi cosa si fa, cosa si deve fare, o cosa si può fare di fronte a un individuo che minaccia di suicidarsi. Oppure dice perché io devo ricalcare il modo di comportamento di un altro? Forse sono capace di inventare un comportamento talmente geniale che funziona meglio di quelli descritti in tutti i libri di questo mondo. Quello che tu fai, quello che tu dici di fronte a un amico che ti è caro e che minaccia di suicidarsi, inventalo tu! Non andare a copiare, perché se tu vai a copiare non ci metti dentro nessuna forza, non c’è la tua forza, non c’è la forza del tuo amore, della tua moralità, se invece lo inventi tu, tirandolo fuori dallo spicco unico, irripetibile del tuo essere, ci metterai dentro una carica di amore che veramente potrà aiutarlo, altrimenti se copi tu sparisci e la forza è al minimo quella che ci metti dentro. Quindi un conto è una morale che ti dice sempre in ogni situazione sta attento a quello che devi fare, o una morale che dice no in ogni situazione guarda ciò che puoi creare. E allora da dove viene la depressione? Quasi ogni articolo dello Spigel in Germania sempre e di nuovo le depressioni che aumentano ecc. perché gli esseri umani non fanno l’esperienza della creatività e perciò si diventa depressivi perché la vita non è bella se non si è creativi, la vita è bella nella misura in cui si è creativi. La percezione della situazione in cui mi trovo è per il pensare come ogni altra percezione, è la percezione a decidere il concetto che io tiro fuori? No, la percezione mi provoca a diventare creativo nel pensare e il pensare crea il concetto non la percezione. La percezione della situazione in cui mi trovo non è lei a dirmi come io mi devo comportare, mi provoca a creare un concetto intuitivo di un’azione che non è compreso nella percezione della situazione. Quindi la percezione è sia in campo conoscitivo sia in campo morale una provocazione al pensare intuitivo. La percezione della situazione è per il pensare come ogni altra percezione, non crea, non decide lei stessa del concetto dell’azione, ma ciò lo fa il pensare. Quindi è importantissima la distinzione tra concetto conoscitivo e concetto morale. Qui ci fermiamo un momento perché questo è molto importante. Il concetto conoscitivo serve a conoscere ciò che è, ciò che c’è, quindi anche di fronte a una situazione il concetto conoscitivo mi da’ la percezione della situazione e io col pensare creo il concetto di com’è la situazione, è la situazione così com’è. La situazione così com’è comporta una indicazione morale di comportamento? No assolutamente, a meno che dentro di me la voce della coscienza mi dica sta attento ti è sempre stato detto che quando ti trovi in una situazione come questa devi agire così! Ma non è necessario che io porti questa conduzione eteronoma, questa conduzione esterna che mi dirige; la percezione della situazione mi da’ soltanto una provocazione al pensare e il pensiero crea il concetto della situazione, la situazione è così punto e basta! L’altra domanda che chiede: cosa faccio? A questa domanda devo rispondere io. In un situazione concreta in cui io mi trovo c’è qualcosa di dovere? esiste un dovere?
I. un mio amico mi ha detto che vuole suicidarsi, io gli sono lì accanto quando lui mi dice che vuole buttarsi dal grattacielo, per me è un dovere in quel momento
A. allora non sei libero
I. non sarò libero ma mi sento di farlo come dovere
A. il concetto di libertà è che si deve proprio stagliare contro il dovere, se io agisco per dovere padronissimo, ma non posso al contempo di essere libero, perché se agisco per dovere sono non libero. Se invece agisco liberamente, decido io liberamente come comportarmi non per dovere, perché decido io liberamente. E la differenza portata a livello di tutta la vita è enorme, quindi in quel momento lì tu lo puoi sentire come un dovere, padronissimo, però dal punto di vista oggettivo non esiste un dovere, non esiste un comportamento che è dovuto. Il Cristo sta accanto al Giuda e il Giuda gli dice mi impicco! Che dovere ha il Cristo? La pulizia di pensiero sta nel coraggio di dire: o agisco per dovere allora non sono libero, -ma nessuno di noi è libero in tutto e per tutto è chiaro che residui di dovere ce ne saranno ancora parecchi-; oppure agisco per libertà e allora non per dovere, si escludono a vicenda. Allora in una certa azione noto maggiormente che io ogni dovere lo mando a ramengo e mi sento come uno che decide liberamente, in altre azioni sento maggiormente il peso di un dovere, delle autorità che si attendono da me che io mi comporti così, ma in questo caso sono fortemente meno libero, che non nel caso in cui faccio quello che mi pare
I. se invece lui ti avesse detto che lo farebbe per amore, gli avresti detto che non è libero?
A. allora il pensiero deve distinguere a un altro livello, se tu l’amore lo fai per dovere, la chiesa ti dice lo devi amare e allora non sei libero, se invece io dico lo voglio amare allora sono libero
I. intendevo l’amore voluto non imposto
A. e allora devi distinguere, l’amore è una parola talmente astratta che non significa nulla, dietro l’amore un sacco di persone camuffano la non libertà, sono ricatti all’infinito tu devi amare, devi amare, devi amare. La chiesa cattolica di fronte a questo ricatto tu sei fatto per amare gli altri ti porta via tutta la libertà… L’amore, agape in greco, il Cristo dice nella traduzione che è una sfasatura assoluta, vi do un comandamento nuovo, traducendo l’amore come se fosse un comandamento significa fraintendere l’amore in assoluto, in greco entolè è l’opposto di un comandamento, telos è il fine, la potenzialità all’amore, questa potenzialità è immanente dentro all’uomo. Entolè, allora il Cristo dice in chiave conoscitiva, dice il concetto conoscitivo dell’uomo, è che porta dentro di sé immanente la facoltà dell’amore. Quindi questa facoltà è l’opposto di un comandamento che si da’ dal di fuori, traducendo vi do un comandamento nuovo si viene a dire l’opposto, perché un comandamento viene da fuori non viene da dentro. Noi ci troviamo di fronte ad affermazioni fondamentali, ci troviamo di fronte a traduzioni di frasi del cosiddetto Cristo di duemila anni fa, che nella traduzione gli si fa dire l’opposto di ciò che dice, scusate l’amore non può essere un comandamento.
I. come traduciamo in italiano questa parola?
A. vi indico la forza primigenia dell’essere umano che è l’amore, fategli spazio, e questo amore è lo stesso che libertà, lo puoi tradurre come amore e come libertà è la stessa cosa, la forza immanente primigenia dell’essere è quella di amare, di fare un’azione perché la ama non perché la deve, e compiere un’azione perché la amo è l’opposto di farla perché devo, perché farla per dovere significa non la voglio, non la farei però per dovere mi si impone di farla. Il problema è che nella morale di Kant egli parla continuamente di libertà, tu ti devi liberamente sottomettere, devi liberamente fare il tuo dovere. Allora Steiner dice che la sottomissione libera è un barare, una menzogna, libertà e sottomissione si escludono a vicenda, tu devi ubbidire liberamente alla chiesa, tu devi ubbidire liberamente al caiser Guglielmo II a quei tempi per esempio, devi mandare liberamente a ramengo la libertà
I. anche quando l’amore non viene intesa come pulsazione, ma come veste di un raggiungimento di un obiettivo, mi spiego meglio: la persona sta cercando di buttarsi giù, vuole suicidarsi, io articolo il mio pensare, lo guardo vedo che il suo vissuto non per libertà lui crede che stia facendo un gesto di libertà, invece sta eseguendo un gesto dipendente dal suo vissuto che lo distoglie dalla sua libertà, suscita in me compassione, lo voglio amare, cerco in tutti i modi di fargli ricredere da ciò che lui vuole realizzare, richiamando alla sua coscienza. Quindi amore non più come dogma di azione, impulso, ma come coronamento di un’azione, un’articolazione del proprio pensare, dove lì c’è tutto libertà, amare e volontà, anche l’atto volitivo c’è nel mio proprio pensare
A. perché questo bisogno così forte di voler gestire l’altro?
I. gli lascio la libertà di decidere poi, è il mio bisogno
A. ma ti sei fatto un sacco di patemi d’animo, invece di occuparti di te ti occupi soltanto di lui, non c’hai nulla da fare con te stesso?
I. mi sto occupando anche di me occupandomi di lui
A. in quello che tu hai detto non c’era nulla di occuparti di te stesso, perché il primo pensiero che io penserei è di dire, tu dici lui non è libero, non decide liberamente di ammazzarsi ecc., il primo pensiero che io penserei sarebbe di dire io sono veramente più libero di lui?
I. lo devo dimostrare a me stesso, io lo devo sapere confrontandomi con l’altro
A. e allora ho abbastanza da fare con me stesso e lo lascio in pace. Se lui si vuole ammazzare è finito quello che io posso fare per lui! Posso maggiormente occuparmi di me stesso, noi siamo troppo abituati a voler gestire, gestire, gestire, pur di non arrivare ad occuparci di noi stessi. Il Cristo dice a Giuda quello che devi fare ... Giuda sono affari tuoi
I. Cristo non era stato ancora crocifisso, Giuda quando decide di uccidersi e Cristo gli dice: quello che devi fare fallo subito, non si era ancora realizzato il miracolo
A. facciamo mezz’ora di pausa
Vogliamo portare a termine il IX capitolo? Come base della discussione, dello scambio di idee: concetto conoscitivo serve a conoscere il mondo com’è, quello che c’è, conosce ciò che è. Concetto morale: concepisce, crea ciò che ancora non c’è. La differenza è fondamentale e netta, quindi il concetto morale è il concepire un’azione, il modo di un comportamento che finora non c’è stato. Se invece io ho una rappresentazione per sapere io come mi comporterò, mi comporto in base a una rappresentazione, la rappresentazione presuppone sempre una percezione, quindi ripeto sostanzialmente ciò che è già stato fatto, percepito e rappresentato. Se invece è un puro concetto deve creare, concepire, partorire qualcosa che non c’è mai stato. L’affermazione fondamentale sulla libertà è che per ogni situazione, per ogni essere umano è possibile creare, concepire un’azione, un modo di comportamento che non c’è mai stato. E nella misura in cui, non è che uno dice devi farlo, tu in una data situazione, nella situazione in cui sei in questo momento crei e concepisci un’azione, un modo di comportarsi che non c’è mai stato, nella stessa misura sei libero, non sei determinato dal passato, perché crei qualcosa che non c’è mai stato, sei tu creatore e quindi sei libero
I. però questo che stai dicendo presume da parte dell’individuo la capacità di intuizioni morali
A. che differenza c’è tra concetto e intuizione?
I. quello che io ti volevo sollecitare ad approfondire era proprio dare un contenuto concreto, operativo a questa capacità di intuizione di cui ha parlato nel paragrafo precedente, però per farlo scendere nel nostro vissuto cosa vuol dire la capacità, come si esprime in noi questa capacità? Io mi sono data una risposta forse molto elementare, forse è il sapersi rapportare, saper ascoltare il saggio in noi, cioè il nostro Io superiore, o addirittura si potrebbe dire non io ma il Cristo in me. Io me la sono rappresentata così, volevo sapere da te se è del tutto sballato o se c’ha qualche fondamento. Perché è importante dargli un contenuto concreto sennò continuiamo a parlare di questa capacità ma non sappiamo che cos’è.
A. naturalmente sulla terminologia si tratta sempre di intendersi, perché alle origini la terminologia non c’è e viene creata. Supponiamo che noi diciamo che l’intuizione è una facoltà, la facoltà di pensare intuitivamente, la facoltà di intuizione e il concetto è una attualizzazione momentanea di questa facoltà, quindi in un certo senso facoltà intuitiva e concetto è la stessa cosa, solo che intuizione è maggiormente dalla parte della facoltà che ha ogni essere umano, e il concetto è di volta in volta come si attualizza questa facoltà intuitiva
I. ti devo interrompere un attimo perché prima tu hai detto l’intuizione è concettuale morale è la facoltà di realizzare la ragion pratica, che è poi la facoltà di tradurre in azioni e comportamenti mai visti prima l’intuizione, e adesso dici
A. sì ma sei partita troppo presto perché questa capacità di intuizione ha due versanti uno intellettivo e l’altro morale. La facoltà di intuizione a livello intellettivo, di conoscenza del mondo crea i concetti in base alle percezioni e a ciò che c’è. La percezione provoca, non è che crea lei il concetto, mi provoca a creare un concetto questo concetto conoscitivo che mi fa dire cos’è la percezione io lo posso creare perché ho una facoltà di intuizione. L’altro modo di viversi dell’essere umano che non si vive soltanto come pensatore, come pensante, come conoscente il mondo ma anche come uno che agisce, che compie azioni, è dire quando io mi pongo la domanda cosa faccio? Ho la percezione della situazione attuale, anche di me ho la percezione di ciò che c’è. Quindi in quanto alla percezione della situazione ho un concetto conoscitivo tale e quale come di fronte a ogni percezione, vedo un albero e dico quello è un albero, ma è la facoltà d’intuizione che mi dice albero, perché il concetto di albero lo capisco o intuitivamente o non so cos’è l’albero, quindi il pensare è per natura intuitivo oppure non è pensare. in fondo era quello il pensiero di origine che tu volevi dire, bisogna tornare lì che è la natura del pensare di essere intuitivo oppure non è pensare. Adesso invece dal lato morale la percezione del mondo, conoscere ciò che è mi da’ la percezione della situazione così com???è, però ciò che io voglio fare, il modo in cui io mi voglio comportare non c’è ancora. E ciò che non c’è ancora e che va fatto o sarà fatto si vorrà fare si chiama il morale, il morale è ciò che non c’è ancora e che va realizzato, che è ancora da realizzare attraverso l’azione, l’agire. Se il pensare è una facoltà, è la capacità, la possibilità che ha ogni essere umano di intuire per intuito puro qual è il concetto di una percezione, dal lato morale la stessa capacità di intuizione anche per creare un comportamento, un’azione ecc. che prima non c’è mai stata, perché se prima non c’è mai stata io la devo intuire per intuizione pura, la devo creare dal nulla. E ogni essere umano siccome è un pensatore ha la capacità di creare intuizioni morali, concetti morali, il concetto di un’azione che io voglio compiere è la facoltà di intuizione di azioni possibili si realizza nel concetto concreto io mi comporto così, faccio questo tipo di azione, quello lì minaccia di buttarsi giù dal grattacielo in che modo io intuisco cosa gli dico, cosa non gli dico, come mi comporto? intuitivamente. Se invece non è intuitivo quando io vado a cercare in altri o in me nel passato come mi sono comportato, come altri mi hanno raccomandato di comportarmi, oppure come hanno comandato di comportarsi in un caso analogo, allora non sono intuitivo. Però la capacità di creare concetti morali di comportamento ce l’ha ogni essere umano; e l’altra affermazione è sei libero soltanto nella misura in cui tu stesso, liberamente crei qualcosa e non stai a copiare o a ripetere qualcosa che c’è già stato, perché se tu ripeti qualcosa che c’è già stato sei determinato da ciò che c’è già stato, non sei libero
I. rispetto alla rapidità della risposta a una percezione, c’è differenza tra l’intuizione del creare dal nuovo e invece una risposta preordinata che io ho dentro per abitudine?
A. noi abbiamo visto già ieri e oggi che quando la risposta è automatica, l’automatismo è molto veloce perché è automatica, è la percezione stessa che in base a un automatismo, ad un meccanismo ti porta ad agire in un certo modo. Invece tu dici quando uno si ferma e riflette e si chiede cosa faccio, come mi comporto? la velocità è diversa da persona a persona a seconda di quanto più o meno sia stata esercitata finora questa facoltà di intuizione creando concetti sempre nuovi. Quindi l’uno è più veloce nel creare modi di comportamenti che non ci sono mai stati, l’altro invece è molto più modesto. Invece la risposta immediata è immediata perché non è libera
I. il punto mio cruciale era quello di dire d’accordo la capacità ce l’abbiamo, tutto quello che hai detto fino adesso, però il mio interrogativo essenziale, il nodo, era quello di dire questa capacità intuitiva si può identificare con il sapersi rapportare con il proprio io superiore, con il saggio in noi, in altre parole non io ma il Cristo in me, questo è il nodo che io ti chiedevo di sciogliere
A. adesso praticamente tu ci chiedi, di fare un ponte tra la filosofia della libertà che non entra in merito a dei contenuti specifici di scienza dello spirito, il ponte io lo faccio (è una proposta si può fare in altri modi) partendo dalla doppia istanza che noi abbiamo appurato con questo testo. E con questa doppia istanza che noi abbiamo appurato dall’analisi della coscienza umana, dall’analisi dell’interazione tra percezione e pensare, che è nella prima parte della filosofia della libertà, approfondendo il fatto che c’è una doppia istanza – percezione e pensare – approfondiamo in chiave morale questa doppia istanza. In chiave di pensiero, nella conoscenza del mondo, concetti conoscitivi, conoscenza abbiamo detto io posso lasciarmi determinare dalla percezione, il realista ingenuo ecc. e quindi dico: è quella la realtà non lo vedi che è un albero! Disattendo il pensiero, non mi rendo neanche conto che c’è il pensiero e attribuisco tutto alla percezione. Il secondo gradino invece è di capire che c’è la possibilità di vivere la percezione soltanto come provocazione al pensare, e c’è un’istanza, un’attività nell’essere umano per lo meno possibile come facoltà, l’attività del pensare nella quale io mi esperisco come libero creatore, perché se io sono un pensatore, nel mio pensare penso io quello che voglio io! Se invece dipendo dalla percezione è la percezione che mi determina; quindi l’analisi della coscienza intellettiva, l’analisi della conoscenza mi porta a due istanze fondamentali: un’istanza di natura, di determinismo che mi determina e un’istanza di libertà creatrice. Ho riassunto la prima parte della filosofia della libertà. Se questa è la struttura dell’essere umano, sta nel fatto che l’essere umano è aperto sia dal lato del lasciarsi determinare, sia dal lato di diventare sempre più libero, allora questa struttura non può cambiare quando entriamo nel morale. Quando entriamo nel morale, concetti morali, mi determina il fatto di natura, non sono libero nella situazione che mi determina, i comandamenti mi determinano, i comandamenti sono elementi percezioni se non li ho mai percepiti non esistono in me, le leggi, il dovere quindi tutta gestione dall’esterno. Ora che sia possibile lasciarci gestire dall’esterno lo sappiamo, fa parte della struttura dell’essere umano, se non avesse la possibilità di lasciarsi gestire non sarebbe libero, però non è neanche libero se non avesse la capacità di gestirsi lui. Quindi è nella natura della libertà che anche in campo morale ci deve essere la possibilità di gestirsi autonomamente. E come i gestisco io autonomamente? Soltanto se ho la facoltà di creare liberamente, creativamente, artisticamente io, modi di comportamento che non ci sono mai stati, quelli sono liberi, quelli sono miei. Tu dicevi ma rendilo più concreto questo discorso, adesso io te lo rendo concreto però qui in sala qualcuno potrebbe dire che il discorso era più concreto quello di prima! In me c’è un’istanza che è pigra, che si lascia guidare dal di fuori, che non vuol far fatica, che ha soltanto voglie e brame quindi elementi di natura ecc. diventa più concreto il discorso se tu questo lo chiami io inferiore? Fallo, se per te è più concreto per te è più concreto! Però devi accettare che per altri questa terminologia è più astratta. L’io inferiore è quello che va per istintualità di natura, di cultura, di tradizione, di comandamenti ecc. che è pigro e si lascia gestire, perché gestirsi da soli significa rimboccarsi le maniche. Questa istanza in me, dove io dico: no, io ho anche la capacità, però questa è una facoltà, questa gestione qui c’è già tutta, la fa mamma natura; invece questa altra gestione libera, è libera soltanto se è lasciata a me, quindi se mi si da’ la facoltà. La libertà è reale soltanto se io ho la facoltà, la possibilità di costruire io liberamente, quindi la natura mi può dare soltanto la facoltà della libertà, però la facoltà ci deve essere sennò non sono libero, ma il realizzarla è mio. Ogni essere umano ha la facoltà di creare concetti morali intuitivi liberi, e nella misura in cui questa facoltà la esercita, la applica sempre di nuovo diventa sempre più libero. Se tu dici questo io lo chiamo l’Io superiore diventa più concreta per me la cosa! Va bene, noi facciamo da un ponte tra un discorso capibile a tutti quello della filosofia della libertà e la scienza dello spirito senza diventare dogmatici, perché noi diciamo che la terminologia diventa libera nella misura in cui tu capisci le cose, quando capisci l’essenza la puoi chiamare in tanti modi diversi. Nella misura in cui una persona non capisce l’essenza si aggrappa alla terminologia e diventa dogmatico. Adesso faccio un discorso ancora più semplice e dico: in ognuno di noi ci sono due forze fondamentali, quella di lasciarsi andare e quella di prendersi in mano, è ovvio se non avessi queste due possibilità non sarei libero, quindi l’essere umano è sempre libero o di lasciarsi andare o di prendersi in mano. O di lasciarsi andare in campo di pensiero e allora recepisce rappresentazioni e si lascia guidare dalla percezione, o si prende in mano lui in campo di pensiero e diventa creatore nel pensiero. In campo morale o si lascia andare e allora tutti gli impulsi della natura lo trascinano, oppure si prende in mano e dice no, io voglio fare qualcosa che creo io, che intuitivamente concepisco io con il mio pensare morale e quindi faccio quello che io voglio liberamente, ma allora lo devo creare.
I. abbiamo distinto concetti conoscitivi e concetti morali, mentre nel concetto conoscitivo si giunge tutti ad uno stesso concetto di fronte a una percezione relativa, non a caso il concetto è l’universale. Analizzando questa cosa trasferendola nel campo della morale: il concetto morale che poi mi sfocia nell’azione morale, mi domando di fronte a uno stesso insieme di situazioni due persone è possibile che abbiano uno stesso comportamento? Cioè è chiaro che essendo creativa l’azione morale si va verso un qualcosa che finora di nuovo, di originale non c’è mai stato è chiaro che l’originalità, l’individualità delle varie persone si esprime proprio nella diversità del comportamento morale, però io dico è possibile che in una determinata costellazione situazionale, di percezioni si possa arrivare, pur mantenendo la libertà del mio comportamento e l’originalità della mia azione ad un comportamento uguale a quello di un altro?
A. c’è una persona umana e una situazione di vita, un primo aspetto della tua domanda è se è possibile che due persone si trovino nella stessa situazione, questo è escluso in assoluto. Perché se noi diciamo che due persone sono poste nella stessa situazione, prendiamo della situazione soltanto alcuni elementi e i meno importanti, per esempio il luogo comune, sono nella stessa situazione perché sono nello stesso luogo, il tempo comune stessa ora, sono nello stesso ristorante che stanno mangiando. Se invece prendiamo, percepiamo la situazione a livelli non soltanto generali, astratti che poi sono quelli meno rilevanti per il comportamento, ma percepiamo la situazione a livello molto più concreto, la situazione delle forze totali del suo corpo è tutta diversa, perché per sapere come lui si comporta deve percepire lo stato complessivo delle sue forze corporee. E lo stato complessivo delle forze corporee dell’altro che è anche in questa situazione, esteriormente parlando, sono tutt’altre. Quindi già considerando i due corpi di due persone la situazione è del tutto diversa su tutta la linea, perché questo corpo è un tutt’alto corpo che non quest’altro corpo, di questa persona che si trova anche lei esteriormente nella stessa situazione. Per non parlare addirittura dell’anima, l’anima di A per sapere come vuole comportarsi deve percepire la compagine complessiva della sua anima, se ha voglia o non ha voglia di far qualcosa, se ha le forze o se invece se ne vuole andar via, la compagine di tutte le forze animiche che un mondo infinito è in B è su tutta la linea un’altra, neanche un frammento è uguale perché è un’altra anima. Per non parlare poi dello spirito, della capacità tutt’altra di A e di B di concepire modi di comportamento del tutto ecc., quindi che due persone si trovino nella stessa situazione è assolutamente escluso, vorrebbe dire prendere della situazione soltanto i parametri esteriorissimi che sono quelli meno importanti in fatto morale, dello spazio e del tempo, sono nello stesso luogo e nello stesso tempo ma questo non vuol dire nulla per sapere come si comportano l’uno e l’altro
I. per cui mentre esiste un mondo oggettivo per la percezione cioè per i concetti, non esiste perciò un mondo per le azioni morali? Cioè il mondo delle azioni morali è un mondo che non ha una contropartita in cui noi andiamo a prendere quello che sarebbe il concetto per la conoscenza, è tutto da inventare, quello è lasciata alla nostra libertà completamente?
A. certo, oppure possiamo omettere questa possibile libertà, ma siamo sempre in grado di afferrarla, quindi norme non esistono, questo intendevo io quando dicevo che non esiste un devi
I. si potrebbe dire che un concetto conoscitivo è un ricreare, mentre il concetto morale è un creare, per cui uno è oggettivo e l’altro è una creazione dal nulla
A. benissimo, il fatto morale sta a dire che, adesso questo è il vero aggancio alla scienza dello spirito, quindi adesso io faccio una specie di salto mortale, però se voi lo acchiappate col pensiero non è mortale è vivificante altrimenti si muore. Il salto mortale dice: ma chi l’ha creata sta’ situazione? Mica l’ho creata io, gli ignoranti dicono: è il caso, perché parlare di caso significa ignorare che c’è una causa vera, se invece io dico no, il caso è un non sapere, per caso significa non so, dico no, no, il mio destino, la mia biografia in mano al caso. Il mio Io spirituale, io sono uno spirito, insieme all’angelo custode, insieme al tuo bravo Cristo lavora dal mondo spirituale e ha architettato questa situazione eme la porta incontro e che vuole? provocarmi a creare un modo di comportamento che faccia di questa situazione il meglio che si possa fare! allora è intelligente questo io superiore. In altre parole il concetto di karma è che lo spirito di ogni essere umano lo porta, gli mette dentro per intuizione morale dell’io superiore lo mette di volta in volta sempre nella situazione che è per lui la situazione che gli da’ la possibilità di dare il meglio di sé. Ogni situazione in cui mi vengo a trovare è la situazione nella quale posso dare il meglio di me, quindi nessuno si trova mai nella situazione che è la seconda scelta migliore, ognuno è sempre nella situazione che è meglio per lui, perché se l’io mi mandasse incontro una volta la seconda migliore allora finirebbe di amarmi. Quindi la situazione in cui io mi trovo è sempre per me la provocazione migliore per me a pensare creativamente ed ad amare creativamente.
I. questo concetto ti aiuto, ti amo perché tu con il tuo essere non sai farlo da solo
A. di che stai parlando?
I. mi collegavo a quello che stavi dicendo, questa azione che io devo fare, nel momento in cui io penso che questa persona è incapace di amarsi e quindi ha bisogno io faccio qualcosa di sbagliato
A. no, stai pensando pensieri sbagliati, perché sono astratti, tu non puoi mai sapere cosa c’è nell’altro. Il Logos è pulizia di pensiero, una delle affermazioni fondamentale del Logos dice: caro essere umano quando si tratta di concetti conoscitivi fanne più che puoi, concetti morali per l’altro devi proibirteli non giudicate, nessuno di noi può mai sapere qual è il migliore comportamento per l’altro nella situazione in cui si trova, perché io non sono lui e non sono nella sua situazione, quindi giudizi morali non sono possibili, tu hai fatto un pesantissimo giudizio morale sull’altro
I. esatto, ma quindi per riportarci ad un esempio concreto, cosa bisognerebbe fare in questo momento in cui io mi trovo in quella situazione
A. non esiste ciò che bisognerebbe fare, esiste soltanto cosa faccio io, e il singolo che si chiede cosa faccio? Ha due possibilità fondamentali o rivolgersi ad una indicazione fuori di lui e allora cerca una indicazione di comportamento in una legge, nella coscienza ecc. Oppure l’altra possibilità il mio comportamento lo invento io, non c’è mai stato, nella misura in cui si lascia guidare non è libero, e nessuno di noi è libero su tutta la linea. Nella misura in cui non si lascia guidare ma crea lui qualcosa di nuovo è libero perché lo crea liberamente
I. siccome hai parlato di karma io vorrei fare un altro esempio che è un’esperienza personale di quando avevo quindici anni, siamo io e mio padre sulla spiaggia rimasti soli insieme ad un grande tedesco che fatto il bagno a un certo punto stava per annegare. Io vado istintivamente a prenderlo, mentre mio padre che non ha avuto una reazione istintiva è arrivato dopo un po’ con un materassino che ha consentito a tutti di tornare. Allora una domanda sulla libertà e sul karma, posso immaginare che una reazione istintiva mia in quel caso quindicenne, denoti un karma, perché io ho fatto una cosa che va contro il mio istinto di sopravvivenza, cioè l’ho messo a rischio non è come quello che si butta dal cornicione, allora la libertà lì come entra in tutto questo?
A. un comportamento istintivo è amorale, è un fenomeno che non entra nel morale, è la natura che opera nell’essere umano, quindi non si può dire che un comportamento istintivo è moralmente cattivo perché non è un fatto morale è un fatto di natura
I. e non può essere un compenso karmico?
A. il compenso karmico te l’ha dato tuo papà, il tuo karma ha voluto che ci fosse tuo papà che ci ha riflettuto e vi ha portato il materassino. Tu stai dicendo in fondo che la differenza fondamentale tra l’animale e l’uomo, è che nell’animale c’è soltanto istinto, essendoci soltanto istinto l’animale agisce in base all’istinto e non sgarra mai, perché non può mai omettere nulla perché non c’è la facoltà di libertà. Nell’uomo oltre all’istinto che c’è, e tantissime cose le facciamo istintivamente, il digerire l’ho facciamo istintivamente non è che ci mettiamo la libertà, oltre all’elemento istintuale che tutta la sfera animale c’è anche in noi, c’è la possibilità di aggiungere una sfera che non è istintiva, ma che è in base alla riflessione pensante. E la riflessione pensante comincia con la domanda cosa faccio? Un animale non può mai chiedersi cosa faccio? Viene portato dalle forze dell’istinto, nel momento in cui il quindicenne è ancora molto di più in queste forze dell’istinto perché è più giovane e va bene e agisce per istinto, il papà una generazione più anziano, ha già avuto molto più tempo di riflettere ecc. sa che il comportamento istintivo se portato su tutta la linea come un animale può creare enormi problemi, perché l’essere umano non è un animale, allora si è abituato molto di più che non il figlio, prima di fare qualcosa riflettere. Allora riflettendo dice no, no qui se io corro subito senza avere niente in mano la cosa diventa molto più pericolosa, fammi prendere un materassino. Quindi la libertà è la capacità di riflettere e decidere cosa fare, tant’è vero che tu adesso riflettendo su quel fatto dici a quei tempi avevo quindici anni e ho fatto così, adesso però agirei pensandoci, e se agisci pensandoci sei in tutt’altro modo libero che non se vieni spinto dall’istinto. L’istinto mi gestisce, il pensare lo gestisco io, questa è la differenza fondamentale quindi nel pensare sono massimamente libero, perché nel mio pensare avviene ciò che decido io. Adesso tu mettiti nei panni di tuo padre, se il padre avesse detto momento qui sarebbe importantissimo avere in mano un materassino, però il tempo che mi ci vuole per andarlo a prendere è troppo lungo e allora faccio di tutto per vedere se riesco a salvarlo senza il materassino. Allora arriva però in base a riflessione senza materassino, vedi, l’importante che si comporti in base a un processo di pensiero che è libero. Certo nel karma dell’umanità c’è che in base al cellulare oggi noi abbiamo possibilità di intervenire a tutt’altri livelli che non quando non c’era il cellulare, una nave che sta a cento chilometri dalla costa che rischia veramente, è un conto se ha la possibilità nel giro di pochi secondi di dare un messaggio alla sponda che vengono, e un conto è se devono passare ore, quindi fa parte del karma dell’umanità che noi la comunicabilità e quindi il modo di intervenire coi pensieri che calcolano cosa si può fare e cosa non si può fare. In un certo senso si potrebbe dire che la tecnica ci da’ la possibilità di ampliare gli spazi di libertà, e questo si è visto adesso in Egitto cosa significa avere la possibilità di mobilitare milioni di persone con internet, e cosa significa quando Internet ti viene tralciato, karma dell’umanità
I. sull’ostacolo che può intervenire quando poi magari una persona si perde nel suo pensare, torniamo all’esempio del padre che magari non trova il materassino, e passa il tempo a decidere se vale la pena provare oppure no e in questo si perde. Anche per esperienza personale il pensiero alle volte crea dei cicli in cui uno rischia di perdersi, e in questo si perde una marea di tempo che non so in che relazione metterla con la libertà personale
A. tu stai parlando di colui che esita, l’Amleto “to be or not to be” cosa faccio? cosa faccio? Prendiamola da un risvolto psicologico, ci sono due impulsi fondamentali: uno è la paura e l’altro è la fiducia, per sommi capi poi ognuno se lo gestisce come vuole, se io non ho nessuna consapevolezza del fatto che non c’è il caso, ma c’è una sapienza amante che mi propone la situazione di vita in cui mi trovo, ho tutte la ragioni di aver paura, perché se dico è a caso che io sono in questa situazione, e se faccio così rischio in questo modo, se faccio così rischio in quest’altro modo, vedo soltanto rischi e ho paura, questa è una matrice fondamentale di reazione dell’essere umano. L’altra matrice fondamentale è la fiducia, o io dico l’umano, il mondo, è fondato su qualcosa di saggio, o il mondo è a favore dell’umano, e allora in qualsiasi modo io mi comporti avrò la possibilità di imparare qualcosa. Quindi l’unico comportamento giusto è quello da cui si impara qualcosa, e io ho sempre la possibilità di imparare qualcosa anche quando sbaglio se imparo che ho sbagliato va tutto bene. Allora le due posizioni fondamentali della psiche, molto più dell’anima che non dello spirito è di dire, se è vero che tutto il minerale fa da base per tutto il mondo vegetale, minerale e vegetale sono puro amore per l’animale perché fanno da base perché viva l’animale, se è vero che tutto ciò che è minerale, tutto ciò che è vegetale, tutto ciò che è animale è puro amore per l’umano perché si fa da triplice base per l’elemento umano, allora vivo in un mondo che è tutto fatto per favorire l’umano, e allora faccio importa poco come mi decido l’importante che impari. Colui che ha paura di sbagliare, che è indeciso è nella posizione fondamentale della non fiducia, però a questo punto non serve a nulla dirgli “devi aver fiducia”, il comandamento non serve perché ogni comandamento è una lesione della libertà. Lui vorrebbe capire in chiave di pensiero quali sono le ragioni della fiducia, tu ce l’hai detto poco fa, ci hai detto la ragione assoluta della fiducia, stà a vedè io non sono morto né il tedesco neanche mio padre, più fiducia di così. La non fiducia non è soltanto una povertà di pensiero ma è anche una pigrizia, è una forza di inerzia, quindi colui che è indeciso non ha voglia di far nulla, perché qualsiasi cosa fa ha delle conseguenze. Quindi il problema morale dell’indecisione è come si fa ad incentivare il più possibile gli esseri umani a fare, a fare, a fare, nessuno lo può fare per l’altro, l’unica cosa che ci possiamo offrire a vicenda sono elementi di conoscenza. Ma se gli elementi di conoscenza sono convincenti per me, che mi convincono che io sono in un mondo tutto positivo, e che quindi la cosa migliore è sempre di fare qualcosa, di dar fiducia al mondo, questo risvolto morale della conoscenza è un fatto del tutto individuale, e se quello lì si vuol buttar giù si butta giù, e io lo vedo andar giù si sfracella e io dico vabbè fra un paio di secoli ci rivedremo di nuovo sulla faccia della terra. E il Cristo guarda il Giuda che si impicca e dice dai che tre secoli e mezzo dopo ritornerai come Agostino. Oppure un altro risvolto l’indeciso vorrebbe far qualcosa soltanto quando è sicuro di quello che fa, essere sicuri di quello che si fa significa sapere già in partenza cosa salterà fuori, ma ciò che salterà fuori non c’è ora. Di fronte a un depressivo, il depressivo è questo indeciso, non ha voglia di far nulla, se uno incalza e dice datti una mossa, serve a qualcosa? No, in genere ottiene l’opposto, se sei depresso goditi almeno la depressione e allora va tutto bene. La tua domanda era molto difficile e io ho ricamato un pochino, è servito a qualcosa?
I. molto utile, perché in realtà credo che fosse quello che stavo cercando, comprendere come relazionarsi con il dubbio, e scoprire che era legato ad una assenza di fede, il sentire che si può fare affidamento su questa conoscenza che c’è attorno, e sento come questo sblocchi interiormente grazie.
A. quindi la scienza dello spirito che ci da’ conoscenza non soltanto del mondo materiale, ma anche delle realtà spirituali, crea fiducia, fiducia, fiducia e ci fa vincere il dubbio. Buon appetito.
Venerdì 4 febbraio, sera
Vogliamo continuare con questo IX capitolo, siamo arrivati al paragrafo 28, e stiamo cercando di capire come funziona questa facoltà, questa capacità, questa potenzialità insita in ogni essere umano in campo morale soprattutto, che è la seconda parte della filosofia della libertà, in campo morale di non lasciarsi dirigere, ma di dirigersi. Se uno non sa dirigersi si lascia dirigere, però dirigere se stessi è meglio, perché è meglio? Qualcuno potrebbe dire no, è peggio perché costa più fatica, è meglio presupponendo che uno goda la libertà, nella misura in cui uno gode la libertà è meglio. Se invece una persona non è ancora al punto di godere la libertà può trovare svantaggioso questo continuare a martellare datti da fare per essere libero, chi me lo fa fare? Ècome quello che vuol rinunciare a tutto e dice no, mi uccido e parto, a quello non serve a nulla fargli la predica sulla libertà, e questo ci fa vedere che in effetti l’umano si svolge sempre di più individualizzandosi, diventiamo sempre più diversi, quindi il sociale diventa sempre più complesso, è la legge dell’evoluzione. Se noi diciamo per sommi capi: nella prima parte dell’evoluzione è il corporeo ad avere la conduzione corpo-natura , lì c’è il genere umano tutti uguali, in quanto genere umano, in quanto leggi di natura siamo tutti uguali. Poi un secondo grande stadio di evoluzione emerge la cultura – l’anima, la cultura godere dell’arte, godere della religione, godere anche della filosofia, della letteratura ecc., tutto un mondo dell’anima. Così come l’umanità intera è il fenomeno fondamentale del corporeo, così una prima individualizzazione, una prima frammentazione, trapassando naturalmente la prima scissione che è stata quella della spaccatura dei sessi, è il fenomeno di gruppo. Quindi culture, religioni, popoli, linguaggi sono fenomeni di gruppo, il gruppo non è né tutta l’umanità, né l’individuo, quindi quando abbiamo una unità, una realtà sola, il primo modo di frammentare, di individualizzare è di far saltar fuori dei gruppi. Se continuiamo questo processo di individualizzazione o se volete di differenziazione, qual è il punto ultimo di arrivo?
I. l’individuo
A. arrivare all’unità che non è ulteriormente divisibile, e la parola individuo significa non ulteriormente divisibile, un individuo è un individuo non lo puoi spaccare in tre, sennò sono tre individui. Quindi il concetto di individuo è l’unità non divisibile dell’umano, allora lo spirito terzo gradino dell’evoluzione, lo spirito è un fenomeno individuale dell’individuo. Quindi genere umano, umanità, gruppi, il fenomeno gruppo è sempre di passaggio tra ciò che è comune a tutti gli esseri umani e ciò che è del tutto individuale, sta lì in mezzo l’individuo singolo. Finché io sono inserito, gestito dalle leggi generali del genere umano non sono libero, e questa sfera resta non è che sparisce. Quando sopraggiunge una realtà di gruppo la gestione nell’anima di una realtà di gruppo comincia ad avere maggiormente libertà; ho libertà io nei confronti delle forze di natura nel corpo del genere umano? Poca. Ho libertà io nei confronti nel modo di maneggiare il linguaggio? Il linguaggio è proprio un fenomeno di gruppo che evidenzia da un lato una non libertà, perché nessuno si può permettere come individuo di fare un linguaggio a modo suo, allora non è un linguaggio, quindi un linguaggio deve avere degli elementi di non libertà che dicono no, in italiano si dice così e se tu lo dici colà è sbagliato, però pur essendoci nel linguaggio questa sfera così decisa che non è libera l’individuo c’è dentro al linguaggio che è uguale per tutti il modo di maneggiarlo, il modo di imbastire le parole e le frasi che è del tutto individuale, del tutto libero. Quindi il linguaggio è un fenomeno di gruppo, di cultura, di anima che ci fa vedere come tutto ciò che è animico, tutto ciò che è di gruppo, tutto ciò che è di cultura, religione ecc. il linguaggio è a metà strada tra ciò che è non libero e ciò che è libero. Se poi andiamo lo spirito, il pensare per esempio o l’agire è del tutto libero, lasciato alla libertà dell’individuo. Qualcuno chiedeva oggi: ma allora non ci sono azioni comuni? Se noi mettiamo tutti l’accento morale sulla creatività dell’individuo che inventa, concepisce azioni che non ci sono mai state del tutto individuali, del tutto sue. La risposta è che certo che se siamo in un ospedale, se siamo in una scuola, se siamo in una istituzione ci devono essere delle azioni concordate, però tutto ciò che è comune è la base del morale, certo che ci deve essere però se noi ci accordiamo che il dato giorno noi insegnanti ci troviamo con i genitori è chiaro che sarà un incontro, un’azione concordata comune. Però l’elemento morale non è questa cornice comune in cui si trovano tutti quella sera in questo incontro tra genitori e maestri, ma il modo di comportarsi, il modo di rapportarsi agli altri, il modo di parlare di ognuno, e questo è del tutto, può per lo meno essere del tutto individuale, creativo. Quindi il generale umano, il comune di gruppo e l’individuale non si contraddicono a vicenda; il generale c’è comunque perché la natura c’è sempre, il fatto di gruppo c’è sempre perché ogni essere umano è inserito in tanti contesti di gruppo. L’unico fattore che non c’è di necessità è questo individuale perché questo è lasciato alla libertà, nella misura in cui l’individuo omette questo individuale singolo che soltanto lui può aggiungere a ciò che è di gruppo e a ciò che riguarda tutto il genere umano resta, perché quello c’è di necessità ciò che è comune e ciò che è valido in generale per tutto il genere umano. Quando una persona in una istituzione, in un gruppo, in una scuola, in un ospedale è tutta scontenta e si arrabbia con gli altri perché è scontenta, non si realizza, nella maggior parte dei casi è una persona che si aspetta la realizzazione dell’individuo da parte del gruppo, dovrebbe essere il gruppo a realizzare l’individuo. Ora pretendere dal gruppo che mi realizzi come individuo è una pensata così bacata che più stupida non ci può essere, come può il gruppo realizzare l’individuo, il gruppo è l’opposto dell’individuo, quindi in quanto io mi vivo dentro al gruppo vivo ciò che ho in comune con altri, ciò che è individuale o ce lo metto io o non ce l’ho, io non posso scaricare i barili a nessuno. Quindi la maggior parte dei problemi sociali che noi abbiamo sono individui ancora così bambini che non hanno capito che la pienezza, la soddisfazione, al gioia dell’individuale, lo spicco unico e irripetibile dell’individuo non lo posso io aspettare o reclamare dal gruppo, perché il gruppo mi può dare soltanto ciò che è comune a tutto il gruppo. E il gruppo mi dice tu vuoi aggiungerci in questo contesto, in questa cornice, in questa condizione necessaria vuoi tu aggiungere l’individuale, faremo di tutto, il senso del gruppo è di renderlo possibile, ma tu non puoi lamentarti con noi che noi non ti diamo quello che soltanto tu puoi tirar fuori perché è solo tuo. Quindi il problema del sociale soprattutto in questi tempi di pubertà della libertà, siamo ai primi passi della libertà è che l’individuo esige, pretende dal gruppo che il gruppo gli dia la libertà! no, il gruppo ti può dare soltanto le condizioni, la possibilità di essere libero ma il gruppo non ti può dare la libertà, te la rende possibile. Esercitarla, crearla, tirarla fuori, attuarla sono affari tuoi, e il mondo è veramente pieno di persone che si lamentano questa attività non mi rende felice, finché tu attendi che il mondo, o il gruppo o l’attività ti renda felice sarai sempre infelice, perché o ti rendi felice tu creando ciò che è individuale o resterai infelice. Quindi non si può pretendere, è disonesto oltre che stupido pretendere dal gruppo ciò che è individuale, ciò che è individuale lo deve creare l’individuo dal gruppo viene ciò che è di gruppo non può venire l’individuale. Penso che mi darete ragione quando dico che noi abbiamo sociologie, psicologie a livelli stratosferici però dobbiamo dire che nella maggior parte dei casi mancano i pensieri e gli orientamenti di fondo, mancano perché mancano queste basi fondamentali di una scienza dello spirito se volete, perché poi la gente si arrabbia che io parlo sempre di Steiner che ti da’ questi orientamenti di fondo, perché senza questi orientamenti di fondo si va a naso, perché quando una persona scontenta va dallo psicologo e gli dice lo psicologo sente ma nel tuo gruppo, nel tuo posto di lavoro, nel tuo contesto, nella tua situazione esistenziale ecc. allora dice ma è perché il mio capo è così, è perché il mio collega è così, è perché quell’altro è così e quell’altro è così, e lo psicoterapeuta cosa fa?
I. se è bravo gli scardina questo tipo di impostazione, e lo responsabilizza rispetto alla sua vita quindi gli fa capire che è dalla persona quindi dal paziente che deve partire l’iniziativa di cambiamento, certo nei limiti del contesto in cui uno si muove, quindi in modo progressivo poi si può raggiungere una libertà sempre maggiore ma progressivamente
A. non è una rassegnazione quello che stai dicendo?
I. no, perché?
A. hai usato la parola limite
I. mi sembra concreto parlare di limite, nel limite dato dalla situazione in cui ci si muove
A. no, lo psicoterapeuta spirituale fa un discorso molto diverso, in fondo è giusto quello che tu dici, gli dice guarda che limiti non esistono, tu sei uno spirito eterno, sei già in cammino da millenni, hai millenni davanti a te e ti è aperto tutto, hai la possibilità di creare tutto quello che vuoi dove sono i limiti? E se lui è convinto di questo che mi sta dicendo perché è convinto e me lo fonda, magari se prendiamo più tempo me lo tira fuori da diverse parti e io vedo che le dice a ragion veduta le cose, allora mi rendo conto che è diverso andare da uno psicoterapeuta che non ha una minima idea del fatto che ogni essere umano è uno spirito creatore potenzialmente all’infinito senza limiti, e andare da uno psicoterapeuta che parla di limiti già in partenza
I. certo, lei parla dell’impostazione del pensiero, perché poi il limite lo incontri nell’attualizzazione che é chiaramente progressiva, l’aspetto del limite è presente forse nella mia esperienza allora tendo a generalizzarlo è un superamento progressivo di limiti
A. il fatto puro e semplice di usare la categoria limite è un moraleggiamento enorme, un ricatto enorme, perché quando uno sta creando una melodia al pianoforte, o sta creando un quadro pensa al limite? Non esiste il limite! Nel momento in cui pensa al limite è fuori dalla creatività. Allora devi dire che la maggior parte degli psicoterapeuti questa creatività non la conoscono, perché una persona sana che va dallo psicoterapeuta sente parlare di limite ma dice ma come io sono malato proprio perché ho una rabbia enorme di fronte a tutti i limiti, i moralismi e i paletti che mi vengono posti e tu mi vieni di nuovo a parlare di limiti? Allora un bravo psicoterapeuta mi dice da’ un calcio nel sedere a tutti i limiti che ci sono! Da quello sì che ci vado una seconda volta! In altre parole l’unica possibilità di ricattare gli esseri umani col discorso dei limiti è di una conoscenza oggettiva della realtà dello spirito di ogni essere umano dove ogni limite veramente sparisce, proprio non esiste! Allora questo discorso sì che mi piace perché è convincente, perché se lo psicoterapeuta mi parla di limiti io la differenzia sostanziale tra lui e il prete che mi parla di comandamenti non la vedo! Perché i limiti sono inquadrature e io non voglio essere inquadrato. Non è una cosa personale hai impersonato la parola limite, l’hai usata nel giro di uno due minuti sei sette volte, roba da cimitero! Rendiamoci conto di quanto repressiva sia tutta la nostra società, non è perché si parla un altro linguaggio che si termina di essere oppressivi o repressivi, è la versione laica della castrazione che trovi nella chiesa, la realtà è fatta per inquadrarti, per metterti in riga, no, la faccio io la realtà come voglio io! Noi vediamo soltanto limiti e allora le depressioni continueranno sempre ad aumentare e persone che diventano aggressive perché si ribellano contro i limiti. Quindi nel mondo, nella vita ci sono due livelli, due cose fondamentali: gli strumenti per la creatività e sono strumenti per la creatività e hanno un senso soltanto se sfociano nel creare, e la seconda realtà è la creatività punto e basta dove sono i limiti? E allora tutte le cose che mi servono veramente per essere creatore, artista a tutti i livelli della vita le prendo, quelli che non mi servono come strumenti li mando a ramengo, però il vissuto reale è la creatività dello spirito, altrimenti sono un cagnolino sono un animale non sono un uomo. E se prendiamo “ Fatti non foste a viver come bruti” gli animali “ma per seguir virtude” la morale “e conoscenza”, conoscenza la prima parte della filosofia della libertà, virtude la seconda parte, se prendiamo tutti e due questi cammini all’infinito senza limiti dell’umano, evoluzione del pensiero e evoluzione dell’amore, dove sono i limiti? È all’infinito non esistono limiti. Eh ma tu non puoi realizzare tutto in una volta! Se realizzassi tutto in una volta sarebbe un limite incredibile, perché poi non avrei più nulla da fare! sarei limitato subito. Quindi ci sono due modi fondamentali di porsi di fronte al reale: uno è quello di svolgere tutto in chiave negativa e l’altro è quello di svolgere tutto in chiave positiva. Allora qual è il senso del limite? Di superarlo e poi è sparito, ben venga il successivo, lo supero all’infinito senza limite, non c’è limite al superamento dei limiti, e l’importante è il godimento, la cosa più importante della vita è il godimento. Prendiamo adesso un fenomeno primigenio come diceva Goethe del morale, la mamma che ama il bambino piccolo è piena di intuizioni morali, sa esattamente sempre quante cose può fare per il bambino, qual è l’essenza di questo vissuto della mamma? Il godimento, la gioia. Mi pare che l’abbiamo studiato nel Vangelo di Giovanni, una categoria fondamentale è ... che è l’amore, l’amore all’azione adesso ci arriviamo, il godimento che mentre faccio questa cosa il mio essere diventa più ricco, impara cose, diventa sempre migliore nel fare le cose ecc. E una parola quasi simile è la gioia, quindi l’amore o è pura gioia o non è amore, e nel vangelo di Giovanni queste due categorie vengono connesse insieme, sono venuto perché attraverso l’amore la vostra gioia sia piena. Tutti questi asceti con facce macinate gli va dato un calcio nel sedere e che si diano una svegliata scusate! Ma che proposta è questa serietà della vita che vogliono conquistarsi il paradiso a forza di picconate?, la vita è fatta per goderla, però la si gode nella misura in cui si fa un cammino di pensiero, un cammino di amore ma va goduta, un vivere a denti stretti gli unici a guadagnarci saranno i dentisti.
(IX,28) Gli uomini sono diversi fra loro per quanto riguarda il potere d’intuizione. In uno le idee pullulano, un altro le acquista solo faticosamente. {E vabbè l’importante che ognuno si goda quello che sa fare}. Le situazioni in cui gli uomini vivono, e che formano la scena delle loro azioni, {sono altrettanto diverse}, non sono meno diverse. La maniera di agire d’un uomo dipenderà quindi dal modo in cui la sua capacità d’intuizione reagirà di fronte ad una determinata situazione. La somma delle idee attive in noi, il contenuto reale delle nostre intuizioni, si realizza dall’insieme di tutto ciò che, dell’intera universalità del mondo delle idee, ha preso in ogni uomo una forma individuale. {Questo dottor Steiner non potrebbe dire le cose in un modo un pochino più semplice? I filosofi a quei tempi parlavano così, credo che si capisca}. Per quel tanto che questo contenuto intuitivo si ripercuote sull??agire, esso costituisce la potenzialità morale dell’individuo, {che è all’infinito, non ha limiti}. Lasciare svolgere tale potenzialità è la molla morale più alta e nello stesso tempo il più alto motivo di colui che capisce come tutti gli altri principii morali convergano, in definitiva, in questa potenzialità. Questo punto di vista può venir chiamato individualismo etico.
Perché l’individuo, nella sua singolarità, è il valore morale sommo? È fondata l’affermazione o è semplicemente buttata lì? Bisognerebbe chiedersi se c’è un’alternativa a qualcosa di moralmente più alto, più buono, quindi per essere moralmente più buono deve essere maggiormente favorente l’umano che non realizzare la pienezza potenziale, realizzarla sempre di più dell’individuo. Posta in un altro modo la stessa domanda chiede: la samaritana nel IV capitolo del vangelo di Giovanni chiede al Cristo: sei tu moralmente più importante, qualcosa di moralmente più valido che non tutto il popolo ebraico? Tu sei un individuo solo, cosa vale di più un individuo o un popolo?
I. abbiamo finora detto questo che l’individuo singolo è il sommo bene, riguarda anche il discorso dell’umanità in rapporto a tutta l’umanità intera, è il concetto dell’organismo che tante volte è stato preso come immagine, il sommo bene del rene è il fatto che lui stia bene, che sia sano per lui e per tutto l’organismo
A. una comunità dice all’individuo: ma tu sei uno solo, l’individuo si deve adeguare alla comunità, non la comunità all’individuo, quindi la comunità è moralmente più importante che non l’individuo
I. lo dice la comunità, io dico di no
A. tu dici di no, ma lo dici a ragion veduta allora articola la ragione per cui l’individuo è più importante che non la comunità
I. l’individuo è uno spirito creatore, è il creatore, senza l’individuo la comunità non può fare niente, è l’individuo che muove tutto
A. il discorso che sto facendo è molto concreto, io ho evitato di fare un esempio di comunità, ma quante volte io nel contesto della chiesa cattolica mi son sentito dire ma cose se fosse la cosa più ovvia di questo mondo: ma sarai mica tu più importante della chiesa? Avete tutti il diritto di pensare che ogni individuo sia più importante che non la chiesa, ma è un conto dirlo e un conto fondarlo, e fondarlo non è così semplice
I. il risultato del gruppo è il compromesso di ognuno per andar d’accordo con tutti, perché ci sia il gruppo, per appartenere al gruppo; l’individuo ha la libertà di creare, di essere come lui vuole essere, nel gruppo si deve adattare
A. non è semplice la cosa, dirlo è facile, metterci un’articolazione di pensiero non è altrettanto facile
I. nel gruppo ci deve essere il bene comune, che tutti stiano tranquilli e abbastanza soddisfatti, nel senso che se vogliono appartenere a quel gruppo vuol dire che qualche motivo ce l’hanno per restare lì, vuol dire che un po’ di bene ce l’hanno di appartenere a questo gruppo, però non è un’autorealizzazione, cioè può far parte della realizzazione di un uomo appartenere a un gruppo, ma per un determinato tempo della sua evoluzione, l’uomo usa il gruppo per capirsi
A. meno un individuo conosce questa sfera dell’individuale e più per lui, realmente, la cosa più importante è il gruppo perché non ha altro, e tu dici più l’individuo fa l’esperienza di questa sfera di individualizzazione e più gli è chiaro, per lui è chiaro però non per l’altro, che questa sfera è moralmente molto più alta. Il che significa che il gruppo deve avere, ha di natura la tendenza a fagocitare l’individuo, perché chi si identifica col gruppo sono le persone che non hanno questa esperienza altrimenti non si identificano nel gruppo, userebbero ciò che è di gruppo soltanto come base per rendere possibile, per esplicare questa sfera. Quindi ci deve essere sempre una tensione molto forte fino al punto in cui poi l’individuo, quando è necessario, deve lasciare il gruppo
I. secondo me nel gruppo ci sono delle regole, cioè le persone si riconoscono in un gruppo per un motivo, perché ci sono dei valori comuni, delle regole di comportamento comune quindi il gruppo intrappola un po’. Invece l’individuo è libero nella sua azione, nel suo pensare, è una libertà che non può avere all’interno del gruppo, quindi l’individuo è più importante dal punto di vista della libertà del pensare
A. per chi non conosce ciò che è individuale il gruppo è lo scopo, per chi conosce ciò che è individuale il gruppo è soltanto lo strumento, che è valido e viene usato solo nella misura in cui si fa da strumento per l’esplicazione di ciò che è individuale. Però se due persone, una vive tutto ciò che è di gruppo soltanto come strumento che è legittimo solo nella misura in cui favorisce l’individualizzazione, l’altra invece vive il gruppo, perché conosce solo quello, come fine, è chiaro che l’uno tenderà a vivere come prevaricazione tutto ciò che il singolo fa in chiave di individualizzazione. Quindi questa conflittualità, questa tensione ci deve essere per forza, quando non c’è più tensione fra il gruppo e l’individuo è perché tutto ciò che è individuale è morto, non c’è. e ci sono gruppi che fagocitano a un punto tale l’individuo che ogni tentativo di creare libertà individuale viene tacciata moralmente, condannata moralmente come prevaricazione. A quel punto lì l’unico modo di difendere la libertà individuale è quella di separarsi dal gruppo, perché liberi loro e libero io, però liberi anche loro
I. mi sembra che mancasse una domanda cioè è più importante il gruppo, l’individuo per fare cosa? Cioè se la domanda è più importante il gruppo per creare le condizioni della libertà, è più importante il gruppo
A. no, no, no la domanda non si riferisce a elementi di realizzazione, la domanda intende dire in assoluto: è moralmente più importante come realtà morale un gruppo o un individuo?
I. chiaro un individuo
A. perché?
I. a me il primo pensiero che mi è venuto non è la chiesa ma è la cosiddetta ragion di stato, esempio tutti noi accettiamo che la cosiddetta intelligenze che è quella che poi ci salverebbe dai terroristi, commetta in realtà in segreto le azioni più inique a danno dell’individuo e potrebbe sembrare questo normale. L’unica risposta che mi viene da dare è: l’individuo è l’unico essere realmente creatore del nuovo, allora se lo scopo è creare il nuovo, creare evoluzione, mi basta per dire che è più importante l’individuo
A. è una spiegazione, ma convinceresti poche persone! Il gruppo non lo convinceresti naturalmente, perché il gruppo tende a presentare ogni tipo di individualizzazione come prevaricazione, come indebolimento, come scalzamento della forza del gruppo
I. chi è creativo moralmente? L’individuo, più importante moralmente è l’individuo
A. ha maggior peso morale
I. sì, la moralità nasce dall’individuo, viene creata dall’individuo
A. il gruppo da’ soltanto le condizioni
I. non può dare moralità il gruppo
A. può renderla possibile
I. come il corpo da’ la possibilità di vivere
A. il gruppo, se tutto va bene, rende il morale possibile, l’individuo lo realizza chi è moralmente più alto? L’individuo, e tra l’altro ci sono molti gruppi che fanno di tutto per renderlo non possibile, perché un gruppo che fa di tutto per favorire come prima realtà l’evoluzione individuale di ognuno termina di essere importante come gruppo, dice qui nel nostro gruppo sono importanti solo gli individui tutti, allora il gruppo, - però è un gruppo di assoluta eccezione – rinuncia a ogni potere di gruppo e si fa da base, quindi crea soltanto la cornice, le condizioni perché ogni singolo individuo possa diventare sempre più creatore, a quel punto non c’è più il gruppo, subentra il concetto di organismo, questi individui cominciano a costruire un organismo. Il concetto di organismo è un favorirsi a vicenda in assoluto, il tutto favorisce in assoluto ogni membro e ogni membro favorisce in assoluto il tutto. Il concetto di organismo è l’organico favorirsi dell’organismo in quanto unità, che sarebbe il gruppo di tutti gli organi, favorirsi a vicenda tra l’organo singolo e tutto l’organismo con reciprocità. L’umano dov’è che è un organismo? Nell’umanità intera, soltanto in un organismo nel quale non manca nessun uomo soltanto lì l’umanità è un organismo; nella misura in cui anche soltanto un uomo è escluso, non abbiamo l’organismo dell’umanità, abbiamo un gruppo, perché è nel concetto di gruppo che non tutti sono compresi, perché se fossero tutti compresi sarebbe l’umanità non un gruppo. Quindi ogni gruppo è morale nella misura in cui si fa puro strumento per l’evoluzione dell’individuo, diventa immorale nella misura in cui si rende scopo, sviluppa dei fini propri, dei fini propri che sono scopi di potere che fagocitano l’individuo che viene soggiogato a servire a questi interessi di potere del gruppo. Quindi in un certo senso il gruppo è la spada a doppio taglio dell’evoluzione. La massima di certi nazisti la conoscete “tu sei nulla il tuo popolo è tutto” e la massima morale dice “il tuo popolo è nulla tu sei tutto”, a Norimberga questi nazisti dicono noi abbiamo ubbidito, abbiamo fatto il nostro dovere, è mancato il morale, perché il fenomeno primigenio del morale è di prendere posizione col proprio pensiero individuale di fronte ai fenomeni. Quindi è mio dovere morale in chiave di pensiero di prendere posizione, di farmi pensieri miei su ogni legge o comandamento che il fuhrer fa, e a Norimberga si diceva a queste persone: e tu come individuo dov’eri? Eri sparito come individuo? Se tu come essere umano sparisci in quanto individuo questo è il fenomeno del male umano, far sparire l’individuo, perché il fenomeno sommo dell’umano è l’individuo nella sua libertà; e non c’è nessuna differenza sostanziale tra il nazista che dice io ho ubbidito e la suorina che bussa alla porta del paradiso e vuole assolutamente entrare in paradiso perché ha sempre ubbidito alla chiesa! Non c’è nessuna differenza in campo morale, bambino l’uno, bambino l’altro, ha ubbidito ai comandamenti di altre persone. E il Padreterno cosa deve fare? dice ritorna sulla terra e la prossima volta usa la tua testa! Che non ce l’hai mica per niente. E qui il fattore morale dell’individuo è che è chiamato a usare la sua testa, quindi se noi vogliamo parlare di un dovere, l’unico dovere che abbiamo è nei confronti di noi stessi, dobbiamo a noi stessi di usare ognuno la sua testa, sennò siamo un’appendice di poteri, di gruppi, di altri.
(IX,29) Ciò che è importante, ciò che è decisivo di un’azione determinata intuitivamente, in ogni caso concreto, è il ritrovamento della intuizione corrispondente del tutto individuale. A questo gradino della moralità non si può più parlare di concetti morali generali (norme, leggi), se non in quanto essi risultino da generalizzazioni degli impulsi individuali. Norme generali presuppongono sempre fatti concreti da cui esse possono essere derivate. Ma, mediante l’agire umano, dei fatti vengono anzitutto creati.
Quindi un’azione che io compio è un fatto che io creo, prima che io compissi questa azione non c’era, quindi è nel concetto dell’agire che, ogni agire è un creare azioni che sono sempre nuove. Può anche la stessa persona ripetere due volte la stessa azione? No, soltanto a livelli generalizzati che poi sono astrazioni è la stessa azione ma è sempre di volta in volta un’azione diversa. Già il fatto che i pensieri concomitanti la stessa azione saranno di volta in volta diversi, rende l’azione di volta in volta del tutto diversa; quindi nell’agire l’uomo entra sempre nel nuovo, in ciò che non c’è mai stato prima, e si tratta di mettere sempre di più l’accento sull’elemento nuovo di novità, e non generalizzare e guardare soltanto a ciò che è ripetitivo. Certo che un’azione da me compiuta un’ora fa e un’azione che io compio adesso il corpo era lo stesso, ma il corpo è estrinseco all’azione, l’essenza dell’azione sono i pensieri che io ho pensato un’ora fa facendo la stessa azione, e che penso adesso facendo la stessa azione che se i pensieri sono diversi non è più la stessa azione, è un’azione del tutto diversa. Quindi il fenomeno della moralità è l’inesauribilità dell’essere umano, è inesauribile, l’opposto del concetto di limite, e non soltanto l’umano in quanto generale, ma ogni individuo è inesauribile nella sua potenzialità, in quello che può sfornare nel suo cammino di pensieri, nel suo cammino di sentimenti, nel suo cammino di atti volitivi, nel suo cammino di azioni, di interventi nel mondo ecc. all’infinito, inesauribile. Quante sono le combinazioni possibili delle parole, del linguaggio italiano? Inesauribile, già la combinazione delle lettere dell’alfabeto quasi inesauribile, immaginiamo poi avendo decine di migliaia di parole le combinazioni possibili sono inesauribili
I. perché qui Steiner usa questo termine quando parla di: azione determinata intuitivamente è il ritrovamento della intuizione corrispondente, si rifà ai pensieri del Logos? Cioè ripensiamo i pensieri del Logos, l’intuizione del Logos?
A. il trovare, lo scoprire, ritrovare non è la traduzione migliore, inventare
I. scoprire nel senso di portare a percezione
A. dobbiamo risalire all’intuizione che ha intuito colui che ha compiuto questa azione, è il risalire il ritrovamento dell’azione corrispondente del tutto individuale. Quindi un’azione individuale è qualcosa che l’individuo una volta che io la vedo fatta, la percepisco fatta o mentre la fa e dico che alla base c’è un’invenzione sua, perché questa azione prima non c’era mai stata, la deve aver inventata, quindi si è già concretizzato, in ogni caso concreto significa è già diventato percepibile. In altre parole uno compie un’azione e noi ci chiediamo da dove viene questa azione? Qual è la causa di questa azione? Se è non libera dobbiamo trovare la causa fuori all’individuo che ha agito, se invece è libera dobbiamo cercare la causa in lui, e in lui quale fattore è la causa? L’inventiva morale, l’ha inventata lui sta’ azione se è lui la causa, quindi presupponiamo che ci sia in ogni essere umano la facoltà di inventare azioni che prima non ci sono mai state e di compierle, a livelli semplici lo sappiamo tutti che è così, quando io mi trovo in una situazione e mi chiedo che faccio? Non parto dal presupposto che devo leggere un manuale o guardare tutto ciò che è stato fatto prima! No, spontaneamente io presuppongo tocca a me decidere, inventare un’azione. Anche se io faccio ciò che un’autorità mi comanda di fare, la decisione di dare precedenza a questa autorità morale è mia, io decido di dar precedenza a questa autorità morale non son mica costretto, tant’è vero che uno da’ precedenza all’autorità della chiesa allora agisce così, l’altro da’ precedenza all’autorità dello stato e agisce così, l’altro da’ precedenza all’autorità di un guru e agisce così. Un altro dice no, ma perché io devo lasciarmi dire da una autorità o da un guru come mi devo comportare? Lo decido io! E allora invento io un comportamento e mi comporto in base a una intuizione morale mia che creo in questo momento
I. quindi noi usiamo sempre la libertà comunque anche se compiamo un’azione causata da un condizionamento psicologico, il bambino, il giovane che per farsi amare deve comportarsi in un certo modo, quindi tiene da parte se stesso, e anche lì se noi ubbidiamo a un comportamento psicologico siamo comunque liberi, perché scegliamo inconsciamente di, io ho sempre pensato che in quel caso noi non usiamo la nostra libertà, cioè in realtà la libertà è limitata
A. questa domanda io diverse volte l’ho svolta con l’esempio della bottiglia di whisky piena, una persona dice io me la voglio bere però la decisione di berla è una mia decisione libera. Dopo che l’ha bevuta tutta è ancora libero, resta libero? Ha deciso liberamente di perdere la libertà, però dopo l’ha persa, se io decido liberamente di seguire una norma datami da un’autorità, decido liberamente di perdere la libertà. Quindi l’essere umano è libero di liberamente omettere o perdere la libertà, quindi tu in fondo stai confermando che sia l’attualizzare la libertà, sia a buttarla via sei tu a deciderlo, quindi nessuno può rendere responsabili altri delle sue perdite di libertà, ognuno può soltanto lui stesso dar via la libertà, la libertà non si può togliere a un altro, soltanto lui la può dar via, e se non la voglio dar via devo difenderla, devo attualizzarla. Ma ci sono tante cose dove non sono libero, ma quelle esulano dal campo della libertà, tutto ciò che mi è possibile fare posso attualizzare la libertà e posso sempre omettere di attualizzarla
I. quindi se ho capito bene parlo dei condizionamenti psicologici, se io agisco in seguito, io non conosco il discorso della libertà, se io agisco in seguito a un condizionamento psicologico in quel momento inconsciamente perché è un ragionamento che non posso fare, decido inconsciamente di perdere la libertà perché seguo un condizionamento psicologico
A. spiegaci cosa intendi per condizionamento psicologico, cosa intendi dire
I. intendo dire per esempio un ragazzo che per conquistare l’amore dei genitori che lo vogliono inquadrare in un certo modo che lui non si sente accettato per quello che è non si può esprimere, è condizionato a comportarsi in un certo modo, ha imparato a non essere se stesso, e quindi prende decisioni condizionate
A. chi di noi, quale essere umano stando a questa definizione di condizionamento è senza condizionamenti? Sarebbe come dire io voglio un rene che non subisca nessun condizionamento dall’organismo! un rene senza condizionamenti dall’organismo non c’è. E perciò tu adesso l’hai preso mentre è ancora un ragazzo, va avanti poi acquista la capacità di prendere posizione di fronte ai condizionamenti che ognuno ha, lui ha avuto dei condizionamenti specifici, il pensare cosa può dire di questi condizionamenti? Sono i miei, qual è la scelta fondamentale del pensare? sono a caso o non sono a caso questi condizionamenti individuali che io ho ricevuto? Questa è la prima posizione del pensiero, se io mi dico che non sono a caso allora non sono condizionamenti, sono condizioni che io ho cercato perché mi appartengono, e se io le vivo come condizioni, più le controforze sono forti e più io ho la possibilità di diventare ancora più forte. Un Dante ah avuto una vita molto difficile, se lui la svolge in negativo dice ho avuto condizionamenti tali, mi hanno sbattuto fuori dalla mia patria ecc. Se invece la svolge in positivo dice no io queste controforze che altri chiamano in negativo condizionamenti le ho volute io perché in base a queste controforze io ho tirato fuori delle forze tali che non avrei potuto tirar fuori se le controforze, i condizionamenti sarebbero stati più piccoli. Ritorno alla domanda: che cosa sono condizionamenti? Se mi lascio condizionare capitolo, se invece le considero come occasioni privilegiate per diventare ancora più forte, posso diventare ancora più forte. Quindi condizionamento è una categoria soggettiva non è oggettiva, ognuno si prende il karma che ha cercato, che ha voluto. Per quel tipo lì due genitori alternativi non ci sono, li ha voluti lui, non sia mai che mi capitino altri due genitori sarebbero quelli sbagliati per me. Uno è nato povero, un altro esempio di condizionamento, la sua povertà è stato un condizionamento tale che non ha potuto ricevere l’istruzione che uno normale ha avuto, un condizionamento enorme. A quarant’anni dice meno male è l’unico modo in cui io sono riuscito a mantenere minimamente sano il mio cervello ed è una cosa che Steiner veramente dice, l’educazione così come è invalsa in base allo stato, il materialismo ecc. è un condizionamento un rovinare le forze di pensiero dall’inizio fino alla fine, e allora quell’individuo lì dice quello che mi sembrava un condizionamento mi ha favorito all’infinito, un privilegio in assoluto, per fortuna. Quando qualcuno mi chiama dottor Archiati io dico sempre non accetto insulti! Ripeto cosa intendiamo per condizionamenti? Cosa sono i condizionamenti?
I. possono essere delle opportunità
A. certo, e dipende dalla libertà se io li vivo come qualcosa che mi mortifica, o se io li vivo come qualcosa che è un’occasione privilegiata per me, fatta apposta per me, per tirar fuori il meglio da me, tutte e due le cose sono possibili. Quindi di fronte ai cosiddetti condizionamenti è la presa di posizione che è importante, la realtà oggettiva del condizionamento non c’è, il suo modo di funzionare salta fuori soltanto dal modo di porsi dell’individuo di fronte al condizionamento, se l’individuo le vede come condizioni individuali fatte su misura per me i cosiddetti condizionamenti sono privilegi, sono il meglio che si poteva trovare. Se invece uno i cosiddetti condizionamenti li subisce come qualcosa che frena il suo cammino e perché gli va di poltrire e allora poltrirà, ma se lui poltrisce la colpa non è dei condizionamenti è sua, di come lui li ha interpretati e di come lui li ha vissuti
I. chiaro e ringrazio perché mi apre grandi visioni, mi chiedo adesso con questa visione quando io ancora non posso prendere questa posizione perché adesso ne stiamo parlando e prendiamo una posizione di fronte al considerare il condizionamento come una opportunità, se io ancora questo discorso non lo posso fare e sono sottoposta al condizionamento sono libera?
A. no, l’hai detto tu stessa, basta che prendi sul serio le tue parole, tu hai detto se io i “condizionamenti” li vivo, non soltanto li considero teoricamente, ma li vivo come opportunità, opportunità significa spazi di libertà, quindi mi vivo più libero che non vivendo i cosiddetti condizionamenti come freni, come inceppi. Se vivo i condizionamenti come inceppi che mi impediscono, mi vivo molto meno libero che non vivendo le condizioni di vita, i condizionamenti, come opportunità di crescere. Allora la tua domanda è: che cosa è più convincente vivere da non liberi o vivere da liberi?
I. no, no la mia domanda non era questa veramente, perché è ovvio che è più convincente vivere da liberi
A. nel momento in cui capisce quello che stiamo dicendo si è raggiunto tutto, perché è convincente in assoluto, che poi lui continui a poltrire e non lo voglia fare è un’altra questione, la questione morale sono affari suoi, però gli resterà per sempre il convincimento che il discorso è pulito e che non sono condizionamenti, sono soltanto se io decido, di viverli come inceppi
I. appunto c’è una libertà lì, perché io in quel momento decido che è un inceppo, quindi c’è una libertà di scelta, inconsapevolmente magari non me ne rendo conto, decido che quello è un blocco e io mi blocco, mi fermo, c’è lì una libertà o no?
I. cioè se io mi accontento di quello che ho e non cerco di meglio, sì è una libertà
A. no, è una rinuncia a spazi di libertà maggiore, è un’omettere la libertà, però la decisione di omettere la libertà è libera. Quando io decido liberamente di bere una bottiglia di whisky non è che decido di restare libero, decido di terminare di essere libero e c’è una differenza, perché un conto è decidere liberamente di confermare la libertà e un conto decidere liberamente di perdere la libertà, son due cose diverse!
(IX,29) Ciò che è importante di un’azione determinata intuitivamente, in ogni caso concreto, {è il risalire alla} intuizione corrispondente del tutto individuale, {il risalire, il ritrovare l’intuizione corrispondente, del tutto individuale}. A questo gradino della moralità non si può più parlare di concetti morali generali (norme, leggi) se non in quanto essi risultino da generalizzazioni degli impulsi individuali. Norme generali presuppongono sempre fatti concreti da cui esse possono essere derivate. Ma, mediante l’agire umano, dei fatti vengono anzitutto creati.
In un certo senso lui sta dicendo l’agire umano è sempre un creare dal nulla, perché ogni azione nella sua specificità è qualcosa di nuovo, e questo indipendentemente dal fatto che ci sia o no, alla base, un’intuizione singola nuova, è nel concetto di azione che non può ripetere nessun’altra azione, un’azione che ricalca in tutto e per tutto una fotocopia di un’altra azione non esiste, è impossibile. Quindi l’agire umano è il campo della creatività all’infinito, e il pensare deve soltanto andarci dietro.
(IX,30) Quando noi ricerchiamo nell’agire degli individui, dei popoli, delle epoche, quel che vi è di conforme alle leggi (di concettuale) otteniamo un’etica, non però come scienza di norme morali, bensì come dottrina naturale della moralità.
Cioè passando in rivista tutte le azioni compiute da individui, da popoli, da culture veniamo a cogliere quali intuiti morali, anche quali leggi morali, sono state poste alla base delle azioni umane. Gli intuiti morali, i motivi, le molle, i moventi poste alla base dei miliardi e miliardi di azioni fino al momento presente, tutto il passato del morale è uno studio in base a concetti conoscitivi, uno studio di ciò che c’è, che è già stato compiuto che c’è. Risulta una indicazione morale per il futuro? Le norme morali, le intuizioni morali poste nel passato alla base di ciò che è stato compiuto, non mi servono per nulla per sapere ciò che io voglio fare nella prossima mezz’ora, perché io non vivo nel passato vivo verso il futuro. Se io prendo elementi, norme già usate e le pongo alla base della mia azione sono non libero
I. cioè è solamente nel presente che si è sempre liberi, e quindi si tratta semplicemente di cavalcare il presente, e lì c’è la libertà sempre
A. sì, è come il pittore che sta dipingendo, tutte le pennellate fatte non può cambiare nulla, ma tutte quelle da fare son tutte aperte
I. è bellissimo
A. è una cosa molto bella sì! Tu parlavi di evoluzione, è la legge di evoluzione, adesso prendiamo l’evoluzione in chiave di Darwin ecc. qui le strutture corporee siamo arrivati alla scimmia, possiamo dedurre da tutto quello c’è stato quale sarà il gradino successivo? chi lo decide il gradino successivo? Lo spirito che la crea! La stessa cosa un uomo, io, ho fatto fin qui un sacco di cose, l’azione successiva chi la decide? La decido io, questa è l’intuizione, la creo, la invento. Mi addormento, non mi va di essere creativo perché è uno sforzo troppo grosso, allora dico fammi andare ripetere qualcosa che già allora non sono creativo, non sono libero, mi ripeto, un essere che si ripete non è libero, non è creativo. “Amare significa dire mille volte io ti amo senza ripetersi mai”
I. quindi lo studio della biografia serve a poco o nulla?
A. noi siamo geni dell’arte quando pensiamo a una dimensione dimentichiamo le altre, queste sono tutte le mie azioni passate, questa dimensione dell’io è la dimensione dello spirito, allora tu dici ma allora la dimensione della vita in quanto leggi della biografia, leggi del corpo, leggi dell’anima che va di settennio in settennio allora non c’è? certo che c’è, lo studio della biografia è lo studio delle dimensioni che sono comuni, cioè di ciò che non è individuale. Sulla base di questo che è comune -il problema degli studi di biografia è che gli esperti di biografie fanno come se il tutto della biografia fossero le leggi generali, ma le leggi generali a me interessano soltanto come base su cui io costruisco ciò che è del tutto individuale. Significa che non mi serve a nulla studiare le leggi generali? Certo che mi serve, allora io imparo che l’anima senziente il periodo in cui si esprime sommamente è dai 21 ai 28 anni, l’anima razionale dai 28 ai 35 anni, l???anima cosciente dai 35 ai 42 anni, poi dai 42 ai 49 gli anni marziali, Marte, Giove, Saturno, dai 49 ai 56 Giove sono gli anni della saggezza, Marte sono gli anni della guerra. Le leggi della biografia ti dicono che da 42 a 49 ogni essere umano ha sommamente la possibilità di tirar fuori tutte le sue potenzialità belligeranti, l’uno perché è tutto bravo, tutto buono, di meno, un altro molto di più, comunque per ogni essere umano la possibilità somma di tirar fuori tutto quello di cui è capace, perché il marziale è indispensabile per diventare autonomi, perché se uno non ha un minimo di marzialità si lascia gestire da tutte le parti non diventa mai una persona autonoma, quindi un minimo di cozzo, di rintuzzare i tentativi di gestirmi dall’esterno ci vuole. Allora è un conto non avere una minima idea che le forze marziali, quindi le forze belligeranti, le forze del prendersi a botte sono soprattutto dai 42 ai 49. Adesso uno c’ha supponiamo 52 anni Giove è il pianeta della saggezza per cammini di pensiero profondo, pensiero spirituale la saggezza, per capire le cose più a fondo gli anni privilegiati, cioè dove la biografia ti da’ le forze, proprio le condizioni migliori per fare un cammino di pensiero di saggezza sono dai 49 ai 56, quello lì siccome non capisce nulla ha 52 anni vuole recuperare la belligeranza, allora manda a ramengo un cammino di sapienza che sarebbe il tempo migliore per poterlo fare, vuol recuperare ma non ci sono le forze corrispondenti. Quindi lo studio della biografia ti aiuta a collocare la dose individuale ai posti giusti però. Però la dose individuale dell’anima senziente, dell’anima razionale, dell’anima cosciente, del belligerante e della saggezza è in ognuno del tutto diversa, però per tutti ci sono queste aree perché sono le leggi della biografia. Quindi lo studio della biografia è lo studio della distribuzione valida per tutti delle forze nel corso dei settenni della vita, e poi naturalmente è un conto cercare di inserire l’individuale nei posti giusti, e un conto cercare di inserire ciò che è individuale ai posti sbagliati. La tendenza di coloro che fanno studi di biografia è di mandare a ramengo ciò che è spirituale, riducono la biografia come se nella biografia ci fossero soltanto queste leggi comuni. Però l’altra unilateralità è quella di vedere soltanto ciò che è individuale e di fare come se non ci fossero queste leggi fondamentali, perché se uno si mette a 52, 53 anni si mette a mettere contro tutto il mondo non costruirà né vere forze interiori di autonomia, il marziale è la forza interiore dell’autonomia, né vere forze di saggezza, e sarebbe meglio se capisse che le forze dell’autonomia vanno costruite, vanno coltivate dai 42 ai 49 e le forze della saggezza dai 49 ai 56. Quindi se voi conoscete una persona che da’ sberle da tutte le parti e ha 52 anni lasciatelo in pace, se invece una persona ha 43, 44 anni e da’ sberle da tutte le parti godetevelo perché lì le saprà dare bene. Questi discorsi per sommi capi ci fanno capire che siamo nello studio di queste realtà sovrasensibili, dove non si impara soltanto un mestiere nella vita, siamo veramente agli inizi nell’umanità, ce n’è da fare però la cos è molto bella, è importante capire che ciò che è di gruppo, ciò che è comune non nega l’individuale, e l’individuale non nega ciò che è comune e l’intreccio che è la cosa più bella. Il tuo modo individualissimo di essere marziale, il mio modo individualissimo di essere saggio, il mio modo individualissimo dell’anima cosciente, dell’anima razionale, dell’anima senziente. Per poi non dire da 1 a 7 il corpo fisico, da 7 a 14 il corpo eterico, da 14 a 21 il corpo astrale ecc. in italiano è tradotto il mio libro sulla biografia? “La tua biografia” si chiama, in tedesco l’ho chiamato “Il capolavoro biografia” perché è un gioco dell’individuale sul comune e del comune con l’individuale
I. e Saturno?
A. Saturno c’ha gli anelli attorno, dopo tutti questi cicli: la triade corporea, la triade animica e la triade spirituale termina con Saturno, Saturno che è poi la settima evoluzione planetaria della Terra, adesso abbiamo la terra terra, poi ci sarà la terra gioviale, la terra venerea e poi la terra saturnia. Quando si arriva alla fine si rimbambisce, quindi alla fine si tirano le somme, la forza specifica di questi anni saturnei dal 56 al 63 è il rammemorare, quindi ricordare. Il rammemorare significa tutto ciò che era squadernato, che era spartito nel tempo viene adesso sintetizzato nella memoria. Quindi questi anelli di Saturno nel senso animico sono i sei gradini precorsi, come memoria incamerata al settimo grado, quindi è la terra, è il giove, è il venere che fanno questi anelli attorno a saturno e si ricorda del tutto. Cosa vuol dire ricordare? Ciò che prima era esterno uno dopo l’altro viene interiorizzato uno dentro all’altro, la parola tedesca per memoria è …. interiorizzare questo è saturno. Io ho conosciuto diverse persone esperte in biografia in Germania, la tendenza è di fissarsi talmente su queste leggi della biografia e si disattende ciò che è individuale, oppure fissarsi su ciò che è individuale si fa come se non ci fossero queste leggi, invece il bello della biografia è proprio il gioco di queste due dimensioni, come giocano fra di loro, perché osservare uno stupido negli anni di Giove è una cosa interessantissima, perché quello è il massimo che lui può raggiungere di capire qualcosa se magari ce la fa, quindi io non lo vado a godere a 43 anni, no lo aspetto quando ce ne ha 49. Buona notte a tutti ci rivediamo domani.
Sabato 5 febbraio, mattina
Buon giorno a tutti quanti, oggi ci aspettano di nuovo pensieri molto importanti ovviamente. La giornata di ieri mi è servita tra l’altro a darmi una drizzata di pensieri sul bene comune che voi continuamente difendete a spada tratta, e adesso le riflessioni che verranno serviranno a dirci che il bene comune è la cosa più importante che ci sia, e ve lo dimostrerò apoditticamente, quindi allacciate le cinture… Allacciare le cinture è un’ingiunzione o una proibizione? È un invito sì, però se tu non lo fai arriva l’hostess che ti dice o ti leghi o ti sbatto fuori! Se noi la formuliamo come un comandamento, come un precetto il pensiero non è pulito, perché un precetto, una legge è qualcosa da fare e deve valere per tutti, deve essere generale e allora tutti dovrebbero allacciarsi. Invece è proibito volare senza essere allacciati, nel momento in cui io la formulo questo pensiero, poi lo sappiamo di che si tratta, però se formulo questo pensiero in una formulazione di divieto diventa pulito e chiaro. Il divieto è qualcosa che devo non fare, invece l’ingiunzione è qualcosa che devo fare; che differenza c’è tra qualcosa che devo fare e qualcosa che non devo fare? qualcosa che devo non fare se non mi tocca non mi fa nulla, e soprattutto se non la voglio non mi fa nulla, ma se devo vengo preso per il collo! Questa psicologicamente è una differenza enorme devi, devi, devi! Quindi il dovere mi prende per il collo, mi impone qualcosa, quindi lede per natura la libertà. Perciò io vi dirò che il bene comune è la cosa più importante ma il dovere comune non esiste, questo sarà il compito di stamattina. Ripeto il concetto, un accordo che prendiamo, il fatto di volare allacciati è un accordo, le regole del gioco ci devono essere, il concetto è cari signori e signore se tutti volano senza essere allacciati e succede un po’ di turbolenza perdiamo un sacco di tempo tutti e quindi lediamo la libertà di tutti, allora ci accordiamo che è più intelligente volare allacciati, però non è qualcosa che mi si impone, è un divieto perché io non sono obbligato a volare, vuoi volare? Ti è vietato di volare senza essere allacciato, è un divieto. Invece se io la metto come dovere, adesso io mentre mi sto allacciando ho la struttura interiore psicologica di uno che è costretto a far qualcosa, no, non mi si costringe a fare nulla, ci siamo accordati e son d’accordo anch’io se penso intelligentemente che è vietato volare senza allacciare la cintura, non mi si costringe a nulla perché nessuno mi costringe a volare, quindi un’ingiunzione è un’imposizione, è un intervento nella mia libertà. Invece un divieto basta che io non voglia contravvenire al divieto va tutto bene, io non voglio volare senza essere allacciato
I. il codice della strada io non sono costretto ad andare a destra
A. no, non sono costretto ad andare in macchina, c’è un divieto di svolta a destra, è un divieto non è un’ingiunzione
I. quindi non è assolutamente un fatto grammaticale
A. non è soltanto un fatto grammaticale, allora che fatto è? cerca tu di articolare la differenza psicologica, io sto parlando di una differenza psicologica enorme, che la struttura mentale dei comandamenti, delle leggi, delle ingiunzioni, del dovere mi martella continuamente, infrange continuamente la mia libertà, continua a dirmi quello che io devo fare, e io dico ma lasciami in pace! Invece il senso del divieto è guarda che se tu fai questa azione comprometti la tua e la altrui libertà, allora non lo voglio e non lo faccio; viene lesa la mia libertà quando io non faccio ciò che non voglio perché lede la mia libertà? No, perché non lo voglio. Quindi ripeto il concetto: c’è una differenza enorme nel reale vissuto tra un’ingiunzione, un comandamento, una legge, un dovere che è qualcosa che devo fare è un divieto, una proibizione, perché una proibizione ha soltanto ragione di esserci quando la maggior parte almeno di quelli che hanno un minimo di barlume del cervello son d’accordo. E finché una maggioranza non è d’accordo una cosa non va vietata, un’azione va vietata soltanto quando c’è una maggioranza che è convinta questa azione se la si compie lede, compromette la tua e l’altrui libertà, è una maggioranza vasta, perché nel karma, nel destino ognuno si deve prendere gli esseri umani che gli sono intorno così come sono, lì ti sei incarnato, lì vivi la tua esistenza. Però quando una maggioranza dice questa azione va proibita, va proibita punto e basta. E io dicevo una società matura più è matura più sarà guardinga nel proibire, proibirà soltanto le azioni di cui è sicura attraverso l’esperienza che si è fatta nei decenni, nei secoli, nei millenni dell’umanità, si è sicuri questa azione per natura infrange la libertà di colui che agisce e gli altri, allora va proibita. La morale negativa di ciò che proibisce tende ad essere minima se è saggia, in modo che soltanto quelle azioni vanno proibite e l’individuo se le vieta lui stesso e quindi non le compie che altrimenti lederebbero la libertà, quindi il senso del divieto è di rendere possibile a tutti il massimo di libertà, e questo è bello, il bello della vita è l’esercizio della libertà, della creatività, l’esperienza dell’essere inesauribili in ciò che si scopre in chiave di pensiero, di azione, di comportamento, di sperimentazioni ecc. Perché l’umano è inesauribile, ed è inesauribile in chiave individuale in ogni essere umano, e la vita è fatta per sperimentare, sperimentare, sperimentare inventare, provare e vedere cosa salta fuori, e perché ci sia questa libertà bisogna che tutte le azioni che compromettono, che ledono o che precludono questa libertà ognuno se le proibisca. Se io ho capito che una certa azione lede la libertà mia e altrui, non ho bisogno di proibirmela, non la voglio proprio! E quindi resto libero e non la farò mai. Questo è quello che cercavo di dire ieri esercitando il pensiero su questa differenza tra dovere, ingiunzione, comandamento, obbligo, imposizione che è un’affermazione positiva di ciò che tu devi fare e se non lo fai ti piglio per il collo e ti costringo, e invece un divieto, un divieto se io non la compio l’azione che è vietata sono libero, nessuno mi impone nulla, un divieto non mi impone nulla, mi dice soltanto sta attento se fai questa azione ti mettiamo in prigione, basta che non la faccio e non mi impone nulla, quindi il divieto non impone nulla, non mi prende per il collo. Prendete adesso ma non considerate queste cose alla chiesa cattolica sono troppo importanti le cose, prendete la morale cattolica ti piglia per il collo, ma ti asfissia e non puoi più muoverti devi, devi, devi non resta spazio per l’individuo, ma non c’è neanche un barlume di consapevolezza che il bene morale è proprio la realizzazione di questo valore sommo che è l’individuo come un mondo infinito di bontà, di saggezza, di dedizione all’umano dentro di sé e nei confronti degli altri. E alla fine a forza di aver vissuto l’inferno sulla terra per correre dietro a tutti i doveri e i comandamenti ecc. si dovrebbe essere diventati pronti per andare in paradiso, ma se hai fatto soltanto l’esperienza dell’inferno come puoi essere capace di vivere in paradiso? Vattene all’inferno no? soltanto quello hai imparato
I. secondo lei quale percentuale dell’umanità tende a valorizzare la libertà? e quanta invece intende e gode ad impedire la libertà altrui? Il potere ecc.
A. fai una domanda di calcolo quantitativo?
I. sì perché la quantità costituisce una forza, cioè se questi ideali di libertà sono confinati a un minimo di persone c’è poca incidenza nel reale e questo è un problema
A. per te
I. penso anche per molti altri, comunque diciamo per me
A. una domanda importantissima, ci porta via un pochino, allora ci dedico due, tre minuti come spunto di pensiero, l’individuo adesso, come tu che sei lì seduto, ascolta queste parole che io sto dicendo e dice sì sarà molto bello quello che dice però campa cavallo che l’erba cresce! guardati la realtà intorno! la risposta migliore secondo me, più feconda per il pensiero, le risposte più belle sono quelle che attivano, incentivano il mio pensiero. Da duemila anni si è cercato di dire, poi la chiesa, il Cristianesimo tradizionale ha frainteso tante cose, ma il concetto fondamentale di ciò che è avvenuto duemila anni fa, non è che lì è successo un Cristo che ha maggiorato l’area del dovere, dove poi il gruppo esercita il suo potere schiacciante sull’individuo. Il fenomeno di duemila anni fa è il fenomeno puro dell’umano perché questo individuo, che è l’archetipo dell’umano, ha esercitato una forza tale da essere più forte che non tutto il potere di questo mondo. E di fronte a colui che rappresentava il potere di questo mondo Pilato, gli dice il potere te lo lascio, io non lo voglio il potere, voglio il godere della libertà, e godere la libertà io lo godo molto di più che non godere il potere che schiaccia gli altri. E la tua domanda intende dire come si fa a godere la libertà più che il potere? Esercitandosi, non mollando. Poi l’altra domanda quantitativa è: quanti saranno quelli che godono la libertà? eh quelli che lo fanno! Però la tua domanda intende dire anche: come mai quantitativamente il fenomeno di gruppo, il fenomeno di potere sarà sempre maggiore quantitativamente rispetto all’altro? E lì la risposta è molto semplice, i meccanismi di potere non c’è bisogno di conquistarseli liberamente li da’ la natura, basta poltrire, basta perdere colpi in fatto di libertà, subentra la natura coi meccanismi di potere. Quindi essendo i meccanismi di potere dati per istinto, dati per natura è chiaro che saranno quantitativamente sempre enormemente esuberanti rispetto a ciò che l’individuo, perché poi il potere è una questione di gruppo, invece ciò che è libero se lo conquista soltanto l’individuo, e siccome ciò che è libero, intuitivo, individuale se lo può conquistare soltanto l’individuo liberamente, ciò che è libero sarà quantitativamente sempre molto minore che non il fattore di potere. Ma per l’individuo che si conquista e si gode la libertà, questo fattore di quantità non gli importa nulla, perché il cosiddetto Cristo dice a Pilato il tuo potere te lo lascio sei un poveraccio in canna, perché tu non conosci, non sai, non ti sei mai dato da fare poveraccio, non sai che esiste qualcosa di molto meglio, e io te l’ho dimostro che è molto meglio perché me lo godo, e l’altro che è peggio lo lascio volentieri a te
I. se però chi c’ha il potere è in grado tramite il potere di limitare la mia libertà di soffocarmi e io quindi io e tutti gli altri che vorrebbero espandersi in questo godere della libertà, non lo possono fare, è ipotizzabile che questa gente che vuole il potere elimina totalmente chi invece vuole la libertà, ecco che allora io non posso continuare a dire io coltivo la mia libertà perché sono impedito
A. ti rispondo per sommi capi però è un riassunto che faccio, quello che tu hai detto è un’astrazione stratosferica, è astratto, nella realtà non è così, perché chi si lascia soffocare dal potere non è libero, e chi è libero non si lascia mai soffocare dal potere! Punto e basta! Te la ripeto la frase perché riassume cammini di pensiero che io ho fatto da 66 anni a questa parte, chi si lascia soffocare dal potere non è libero, non sa cos’è la libertà, perché se fosse libero e sa cos’è la libertà non si fa soffocare dal potere, e quando fosse necessario di fronte al potere ha buone gambe, perché se non ha buone gambe non è mai stato libero, perché la libertà crea gambe buone e crea un criterio di pensiero per sapere in questa situazione posso vivere da libero, in quest’altra situazione non è possibile vivere da libero, allora vado via. Un individuo ha un lavoro in una ditta prende un sacco di soldi, poi un certo giorno si accorge che i margini suoi di libertà sono piccoli, piccoli però è talmente attaccato ai soldi che non ha la libertà di andar fuori dalla ditta, e allora non è libero, il problema non è quello del potere il problema è quello della sua libertà. Se invece lui dice la mia libertà mi è molto, siccome la vive, la gode la libertà, mi è molto più importante che non il soldo va via, va in un’altra ditta, prende la metà dei soldi è tutto contento perché è libero. Il problema quindi è che abbiamo una massa di persone che vorrebbero tutte e due le cose, vorrebbero il potere e la libertà, no non si può, bisogna scegliere. L’ho detto tante volte, io ero un bambino piccolo, un contadino, il quarto di dieci figli, mio padre non me lo dimenticherò mai, avrò avuto sette, otto anni mi disse prima di tutto anche se devi dare la mano all’ultimo sindaco di questo mondo pensaci dieci volte, perché se è riuscito a diventare sindaco ci deve essere qualcosa che non va, diceva lui mio padre contadino! Io non dico che sono perfettamente d??accordo, non lo dico a voi, ma può darsi che lo sia d’accordo. E mi diceva tu di fronte al potere hai soltanto due possibilità o diventi più potente di colui che è potente allora gli dai tu una botta in testa, però pensaci due volte perché diventare più potente del potente è uno strapazzo non da poco, e può darsi che va a ramengo tutta la tua libertà per mettere in atto i meccanismi di potere che ti fanno diventare più potente del più potente di tutti. Allora ti resta soltanto l’altra alternativa o diventi più potente del potente oppure c’hai gambe buone, e tu da contadino insomma te la caverai. In altre parole intendeva dire di fronte al potere creati spazi di libertà, tirati via se tu gli resti vicino ha la possibilità di schiacciarti.
I. nella storia c’è chi ha sacrificato la propria vita di fronte a delle condizioni in cui non era possibile esprimere la propria libertà, quindi andare via, avere buone gambe in questo senso è valido lo stesso
A. certo, ma è una metafora, il Cristo dice a Pilato io ho gambe talmente buone che sono capace di andare liberamente nel mondo spirituale, ora le gambe migliori sono quelle che vanno nel mondo spirituale allora sei via da ogni ricatto di potere, cioè la metafore delle gambe buone bisogna capirla eh! Non fraintenderla, quindi fai in modo che il potere non ti possa ricattare minimamente
I. con la crisi che c’è oggi con il lavoro, se uno ha un lavoro se lo tiene caro, e certi lavori soffocano, non è che si può adoperare le gambe in ogni situazione, perché il lavoro non lo trovi magari se vai via da lì
A. io non ho mai avuto lavori nella mia vita. La quintessenza di quello che stiamo dicendo è che un datore di lavoro, sono diciture oscene un essere umano c’ha il lavoro lo da’ all’altro e io sono un ricevitore di lavoro. Quello che stiamo dicendo è che l’intuizione morale è la capacità che ha ogni essere umano di dire io faccio questo
I. se non lo fai come vogliono gli altri
A. non è detto, abbiamo esercitato troppo poco, noi abbiamo una morale così retriva, così coercitiva, prima di tutto ci manca il concetto della creatività dell’individuo, l’abbiamo esercitato quasi per nulla, adesso tu dici ma come fa l’individuo a creare qualcosa che la gente dice lo voglio, lo voglio! noi abbiamo milioni di teste che conoscono soltanto la vita da salariato, è il livello infimo di povertà morale e mentale che si possa immaginare, se andiamo avanti con questa mentalità i problemi non li risolviamo. Il problema non è quello di cambiar lavoro il problema è che finora hai avuto lavoro! La dicitura è oscena che qualcuno ti ha dato un lavoro! (IX,29) Ciò che è importante di un’azione determinata intuitivamente, in ogni caso concreto, è il risalire alla intuizione corrispondente del tutto individuale. A questo gradino della moralità non si può più parlare di concetti morali generali (norme, leggi) {comandamenti, ingiunzioni, divieti, norme ecc}. se non in quanto essi risultino da generalizzazioni degli impulsi individuali {già messi alla base dell’azione nel corso dei secoli passati. Ci sono stati tanti individui nel corso della storia che hanno orientato il loro agire in base a questa norma, ma la posso scoprire soltanto dopo, risalendo dal tipo di azione alla motivazione che c’era dietro}. Norme generali presuppongono sempre fatti concreti da cui esse possono essere derivate. Ma, mediante l’agire umano, dei fatti vengono anzitutto creati. {E poi sono percezioni}.
(IX, 30) Quando noi ricerchiamo nell’agire degli individui, dei popoli, delle epoche, quel che vi è di conforme alle leggi (di concettuale) {per esempio il progresso, il benessere dell’umanità} otteniamo un’etica.
Quindi un’etica che dice quali sono stati i motivi del comportamento umano, quindi i motivi del comportamento è l’etica, cosa si sono proposti di raggiungere, di conseguire gli esseri umani, quali beni quindi il fatto morale quali beni morali, quali pensati o fatui che siano, comunque quali obiettivi morali, quali scopi morali, quali norme morali si sono riproposti gli esseri umani. Così come le leggi di natura reggono il formarsi dei cristalli, pietre, il crescere delle piante e il comportamento degli animali, sono forze di natura. Nell’uomo la forza del pensiero, la forza delle mete, quali scopi ha portato a tutte le azioni umane. Quindi esaminando le azioni umane in tutto il periodo greco, latino, romano, persiano ecc. mi chiedo alla base di queste azioni quali scopi ci sono stati? Quali mete si sono ripromessi di raggiungere? Ora questo risalire dalle azioni umane agli scopi, ai motivi, motivo = muove, quali motivi hanno mosso gli esseri umani? È moralità questa? No, è lo studio della moralità passata, tutta oggettivata, è una scienza oggettiva. Consegue per me in campo morale una specie di dovere morale da questa disamina scientifica, oggettiva degli scopi che gli esseri umani hanno avuto finora? No, perché io mi posso ripromettere scopi del tutto diversi, quindi la moralità che c’è stata finora, essendo diventata percepibile, essendo diventata non cambiabile, essendo diventata del tutto oggettiva, non è più un fatto morale ma è un fatto di natura, fa parte della natura umana, di ciò che gli esseri umani son divenuti. Gli scopi, i motivi miei fino al momento presente tutta realtà oggettiva, come lo studio di una scienza naturale, e la domanda è: e mò che faccio? cambio tutti gli scopi che ho avuto finora, cambio tutte le mete che ho avuto finora, mi ripropongo dei motivi del tutto diversi. Finora sono stato un salariato che aveva lo scopo, la meta di far soldi il più possibile, di ubbidire, di star attento di non perdere la bontà del padrone, ora dico lo mando a ramengo e comincio a fare qualcosa del tutto diverso! Quindi il presente è sempre una cesura, per lo meno possibile assoluta, se il mio passato determina il presente e l’avvenire non sono libero, se invece faccio del passato soltanto il fondamento, la base su cui mi poggio, e il presente e il futuro lo decido non in base al passato per inerzia, per ripetizione ecc. ma creo qualcosa del tutto nuovo, sono libero. Quindi o l’individuo è determinato dal suo passato o si determina lui per intuizione spirituale nel momento presente. Per colui che si determina, che decide veramente il momento presente non esiste il dovere, non deve proprio nulla, fa quello che vuole. Una variazione di quello che tu dicevi, però in questa mia situazione non mi è possibile comprare una macchina che costa 60mila euro, quindi non posso fare quello che voglio, perché se io volessi comprare una Lamborghini non ce gli ho i soldi. Quando io dico il passato lo lascio così com’è e qui decido del tutto liberamente ciò che voglio, e l’altro dice sì però tu non puoi fare tutto quello che vorresti! Nella libertà è compreso di non volere ciò che è impossibile sennò si è stupidi, e una persona stupida non è mai stata libera, perché se è stupida abbastanza da voler fare ciò che non è possibile sarà sempre non libero perché vuol fare ciò che non è possibile, quindi io la Lamborghini ve la lascio! Quindi fa parte della libertà nel momento presente la disamina di ciò che è oggettivamente possibile, e quello lo posso volere, e ciò che oggettivamente è non possibile basta che non lo voglia. Prendiamo di nuovo l’esempio di questo americano giovane, che veramente è venuto a trovarmi – non è una barzelletta è una storia vera – voleva togliersi la vita perché non sopportava di essere costretto a respirare. Aveva un tale concetto di libertà che diceva ma la natura non ha il diritto di impormi di respirare, io voglio essere libero di respirare o di non respirare. Quindi io vi dicevo ieri il caso limite non è il quotidiano, è un caso limite l’eccezione assoluta, però serve per il pensiero per mettere a fuoco i concetti. Allora io gli dissi tu vuoi smettere di respirare, vuoi toglierti la vita, liberissimo, nessuno te lo può impedire, però quando sei morto non sei libero di tornare in vita, sei costretto a restare morto, pensaci bene. È andato via, e poi da altri ho saputo che ha continuato a respirare senza più lamentarsi. Ma vi assicuro che se io non avessi avuto questa intuizione le probabilità che lui si togliesse la vita erano veramente molto alte. Questo caso estremo sta a indicare che si può vivere nella libertà soltanto nel realismo di prendere a piene mani ciò che veramente mi è possibile, e di mandare a ramengo ciò che non è possibile. Una situazione umana in cui tutto è possibile è una stupidaggine in assoluto, perché se tutto dovesse essere possibile io voglio poter vivere oggi, almeno una giornata, come una pietra, perché non sono libero di vivere almeno un giorno come una pietra?
(IX,30) Quando noi ricerchiamo nell’agire degli individui, dei popoli, delle epoche, quel che vi è di conforme alle leggi (di concettuale) otteniamo un’etica, non però come scienza di norme morali bensì come dottrina naturale della moralità. {questa etica per me non è una norma, ma è lo studio oggettivo, scientifico di quali scopi, quali norme, quali motivi, quali mete gli esseri umani nel passato hanno posto alla base delle loro azioni, per la mia moralità verso il futuro non consegue nulla, posso essere d’accordo, posso essere non d’accordo, posso recepire alcuni elementi farli miei e quindi individualizzarli, posso mandarli tutti a ramengo, posso inventare qualcosa del tutto nuovo, ma non è normativo per me ciò che è stato normativo nel passato, se lo rendo normativo per me è perché non sono libero, è perché non sono capace o non mi sono esercitato mai di creare qualcosa di nuovo. Se io una meta che c’è stata la trovo giusta per me in questo momento, significa che la ri-intuisco di nuovo, la metto insieme con la mia situazione, quindi vedete che ce n’è da fare, da aggiungere non è che la recepisco tale e quale, devo ri-intuirla, applicarla alla mia situazione e in questo processo di individualizzazione c’è un enorme cammino di intuitività, di pensiero intuitivo. Se invece la prendo tale e quale sono un automa, un robot e allora non sono libero}. Soltanto le leggi ottenute per tale via si comportano, rispetto all’agire umano, come le leggi naturali si comportano rispetto ad un particolare fenomeno, {perciò vi ho messo qui le leggi di natura, reggono l’evoluzione. Le leggi di natura reggono l’evoluzione naturale, i motivi dell’agire umano reggono, sono leggi del comportamento morale però, del passato}. Ma non si identificano affatto con gli impulsi che noi poniamo a base del nostro agire. Se si vuol sapere in che modo l’azione di un uomo scaturisca dalla sua volontà morale, bisogna guardare in primo luogo al rapporto fra questa volontà e l’azione stessa. Conviene da principio prendere in considerazione delle azioni nelle quali questo rapporto sia la cosa determinante. Dalla riflessione posteriore, mia o di un altro, sopra un’azione da me compiuta, può emergere quali massime morali siano entrate in giuoco nell’azione stessa. {Cosa ti ha spinto ad agire? Cosa hai voluto conseguire con la tua azione?} Mentre agisco, mi muove la massima morale in quanto essa può vivere intuitivamente in me; essa è collegata con l’amore per l’oggetto che io voglio realizzare per mezzo della mia azione. {Noi ci chiedevamo qual è la massima morale più alta? È la libertà, quindi agisci seguendo la massima morale della libertà, agisci in modo da realizzare il più possibile di libertà. Realizzi il più possibile di libertà nella misura in cui ci metti il massimo di tuo, e il massimo di ciò che è tuo è ciò che tu crei intuitivamente nel tuo pensiero, il resto lo devi recepire dal passato, dagli altri, dalla tradizione ecc. Quindi creazione libera tua è massimamente ciò che tu crei nel tuo pensare intuitivo, lì sei tu al 100% attivo. Ovviamente nessuna azione a questi livelli di evoluzione è del tutto libera, nessuno ha soltanto azioni libere, però stiamo dicendo la misura di libertà dell’agire umano in un individuo è quanta misura lui ci mette di attività individuale, intuitiva, artistica propria, di creatività sua. E tutto ciò che recepisce sono fattori di non libertà, che ovviamente ci devono essere, però non è quello che va chiamato libertà, e soprattutto non va messo come valore morale supremo, perché il non libero è il fatto di natura, ora perché il fatto di natura non è il valore morale supremo? Perché io non ho bisogno di fare proprio niente, ce lo mette la natura. Come può avere valore morale massimo per me, ciò in cui io poltrisco al massimo? Sono minimamente creatore, allora non sono io è la natura. Quindi valore morale massimo per me ha ciò che creo io, e ciò che creo io è ciò che lo creo nell’elemento di creatività che è il pensiero}. Mentre agisco, mi muove la massima morale in quanto essa può vivere intuitivamente in me; essa è collegata con l’amore per l’oggetto che io voglio realizzare per mezzo della mia azione. {Soprattutto quando voglio realizzare la libertà, quando voglio realizzare la creatività del mio essere, ma per realizzare la creatività del mio essere devo essere creativo}. Io non domando a nessun uomo, e neppure ad alcun codice morale, se io debba compiere quella azione, ma la compio appena ne ho concepito l’idea. Solo per questo essa è un’azione mia. Se uno agisce soltanto perché riconosce determinate norme morali, la sua azione è il risultato dei principi che si trovano nel suo codice morale. Egli è semplicemente un esecutore, un automa di ordine superiore. Gettate nella sua coscienza un impulso all’azione, e subito l’ingranaggio dei suoi principi morali si mette in moto e svolge regolarmente il suo corso per compiere un’azione cristiana, umanitaria, altruistica, oppure un’azione per il progresso della civiltà. {E fa il suo dovere, e qual è il suo dovere lo decidono altri}. Solamente quando seguo il mio amore per l’oggetto sono io stesso che agisco. Su questo gradino della moralità io non riconosco alcun signore al di sopra di me, non l’autorità esterna, non una cosiddetta voce interiore. Non riconosco alcun principio esterno del mio agire perché ho trovato in me stesso la causa dell’azione, l’amore per l’azione.
Io voglio fare questo, perché lo vuoi? Supponiamo che, lui descrive, prendiamo un’azione dove non è il dovere a muovermi, non è un comandamento a muovermi, non sono le aspettative, i ricatti altrui a muovermi, non è la necessità di guadagnare dei soldi a muovermi ecc. Non c’è nulla che mi costringe, potrei fare a meno di fare questa azione ma voglio farla, la faccio semplicemente perché la voglio! che motivo è? l’anima cosa vive? Perché questa azione mi appare così accattivante? La prima cosa da dire: mi riprometto una gioia sennò non la voglio, non la farei. Quando tiriamo via tutte le spinte estrinseche all’essere, non c’è più nulla che lo spinge, resta la forza primigenia dell’uomo che è quella della fiducia e dell’amore, da sempre io vivo in un mondo che mi ha costruito, io non sono mai vissuto in un mondo che mi ha distrutto, perché io non sono distrutto sono stato costruito. Quindi la forza della libertà sta nell’esperienza che poi da vissuto psicologico va portato sempre più a coscienza, ma io ho sempre fatto l’esperienza di un mondo che favorisce l’umano, che vuole andare verso le punte supreme dell’umano, e allora se adesso invento un’azione è perché è nella natura dell’umano questa forza della libertà fai, sperimenta perché tu puoi imparare qualcosa di nuovo da tutto, e questo imparare è bello, avrai capito qualcosa di nuovo, avrai fatto un passo avanti, e tutto il mondo è costruito per l’uomo non contro l’uomo. Quindi amore all’azione e fiducia nell’umano non si possono distinguere è la stessa cosa, qualsiasi cosa io faccia, basta che non venga costretto allora non sono io, qualsiasi cosa io voglio avrò la possibilità di fare un passo in avanti, è autorealizzante. C’è la possibilità in ogni azione di esperire un frammento di autorealizzazione, nella misura in cui io questa conferma dell’amore universale all’umano la porto dal vissuto subconscio a coscienza, sarò sempre più innamorato della libertà, del creare libero, perché è tutto a favore dell’uomo, e quindi non vivrò più nulla che mi porta indietro, anche le esperienze cosiddette negative non ci sono, perché un’esperienza negativa da cui io imparo e che poi evito, è tutta positiva
I. quello che ha raccontato ieri, quando lui era ragazzo che salva quello che vede in mare, io ho un’esperienza simile e poi sono stato salvato, ma quando sei giovane non c’è dentro quello che stai dicendo tu adesso? Cioè in questa azione che tu senti che è una cosa giusta da fare, quando sei giovane tu hai certo tutto un passato morale alle spalle la religione, la chiesa però tu peschi in questa qualità di giusto, di vero, di fiducia e per cui fai un’azione effettivamente senza pensarci, però è un moto positivo, è un moto di fiducia
A. allora io sto dicendo che questa innata fiducia nell’umano, che è semiconscia soprattutto nella gioventù, se portata a coscienza e recepita nel pensiero, moltiplica questa fiducia, e quindi crea spazi sempre nuovi. Il pensiero è: paga sempre essere liberi
I. per cui noi però peschiamo in un mondo di oggettività, di giustizia oggettiva o no? perché in fondo è vero che tu agisci liberamente, però dentro di te sei mosso da qualcosa che è oggettivamente buono
A. sì che favorisce l’umano, tutto favorisce l’umano è questo che sto dicendo
I. come il non esercizio della libertà porta ad essere depressi o arrabbiati
A. o castrati
I. o castrati, l’esercizio della libertà invece comporta il contrario, quindi l’entusiasmo della vita, l’appagamento, la gioia, l’amore per gli altri non la rabbia verso gli altri. Questo è una verifica, un giudizio conoscitivo che io posso ricavare dall’analizzare a posteriori la mia azione, se è libera o no
A. supponendo azioni fatte in piena libertà
I. quindi questo costruisce il mondo nuovo libero. La prova del nove per verificare se la mia azione è libera o no, se io sono libero o no, la ricavo sia da un vissuto interiore che è appagante in me e mi da’ la voglia di vivere, la gioia di vivere sia la posso controllare analizzando a posteriori gli effetti sugli altri e sul mondo
A. vai benissimo, però tu adesso metti un po’ l’accento sull’analisi a posteriori. L’analisi a posteriori ti trovi di fronte a un piatto cucinato che stai riscaldando la seconda volta; invece questa attenzione alla creazione libera è molto più convincente se nel creare liberamente, la mamma che interagisce col bambino da artista dell’amore, se non ha bisogno di recedere che è già successo e lo guarda, perché guardandolo dal di fuori è diventato freddo, era caldo quando era caldo. Allora si tratta di recepire questa esperienza dell’anima, di gioia del creare, nel creare stesso al livello del pensiero. Questa è l’espressione somma dell’individuo umano, a posteriori lo vedevamo nella prima parte della filosofia della libertà, il pensare percepito dopo che è stato pensato risulta una cosa fredda, perché è calda soltanto mentre si pensa
I. meglio creare che ricreare
A. meglio creare che ricreare, siccome noi nel versante del pensiero abbiamo soltanto ricreazione, allora cerchiamo il fatto morale, perché sul versante della moralità abbiamo la possibilità di creare e perciò lì calza di meno questo volersi tirare via per guardarlo dal di fuori
I. quindi il ricreare semmai serve per creare
A. per ritrovar la voglia di creare. Adesso arriviamo al centro dell’amore per l’azione, perché poi l’amore per l’azione è, più tardi poi Steiner l’ha ancora precisato questo amore per l’azione, perché l’amore per un’azione non è del tutto libero, perché voglio una certa azione, quindi in un certo senso soggiogo il volere, la libertà e la strumentalizzo per conseguire un’azione, un risultato. Invece l’esperienza non è l’amore all’azione è l’amore all’agire, non importa nulla cosa salta fuori. Adesso ci arriviamo, questo è un nodo importante nella filosofia della libertà.
(IX,30) Gettate nella sua coscienza {questo è il fenomeno opposto}, un impulso all’azione, e subito l’ingranaggio dei suoi principi morali si mette in moto e svolge regolarmente il suo corso per compiere un’azione cristiana, umanitaria, altruistica, oppure un’azione per il progresso della civiltà. Solamente quando seguo il mio amore {per l’azione}, per l’oggetto, {meglio ancora il mio amore per l’agire, il mio godimento di essere creatore nell’agire} sono io stesso che agisco. Su questo gradino della moralità io non riconosco alcun signore al di sopra di me, non l’autorità esterna, non una cosiddetta voce interiore. {Che mi crea rimorsi, mi crea problemi di coscienza, via}. Non riconosco alcun principio esterno del mio agire perché ho trovato in me stesso la causa dell’azione, l’amore per l’azione.
Cosa voglio conseguire? cosa vuole l’uomo? il godimento del creare è il massimo che c’è. Risulta che la creazione non è la migliore che ci sia? Non importa nulla, l’importante è godersi il creare. Ora non si può contemporaneamente godersi il creare e voler già guardare come deve saltar fuori il creato. Tant’è vero che noi parliamo della Creazione di Dio, e nella Bibbia c’è proprio questa distinzione che il Padreterno ha creato, creato, creato e soltanto dopo che è stato creato ha appurato che era bello e buono. Non lo sapeva già in partenza? No, in partenza bisogna godersi il creare, perché se io voglio assicurarmi in partenza che il creato, che l’azione è quella giusta, allora non ho più l’occhio al godimento del creare e vengo ricattato dal creato. Allora cos’è questo amore all’azione? certo amore all’agire è un amore all’azione, devo compiere un’azione, cos’è questo impulso primigenio di fare qualcosa perché mi da’ gioia? in cosa consiste la gioia? parto dal presupposto spontaneo che da ogni cosa che faccio posso imparare qualcosa, ogni cosa che faccio mi fa crescere nel mio essere, questo è l’amore. Quindi alla base dell’amore per l’agire c’è la certezza assoluta, inconscia che ogni agire ha la possibilità di fare passi in avanti, ogni situazione va bene se io vado bene, se io sono creativo nella situazione. Quindi essere creativi è sempre possibile e quando io questo possibile lo realizzo di meglio non c’è, non c’è di meglio che essere creativi. Cosa poi salta fuori è secondario
I. quindi anche se faccio una cazzata!
A. dovresti spiegarmi cos’è una cazzata?
I. nel senso che l’azione porta un risultato che magari per me può essere soddisfacente e un altro lo vede e dice boh! che roba hai fatto? però l’importante comunque è fare?
A. non il fatto perché magari a me può piacere e a un altro non gli dice niente
A. perché se tu ti aspetti che l’azione che hai compiuto, la cazzata che hai compiuto sia soddisfacente sei subito meno libero, perché sei dipendente dal doverlo fare in modo tale che ti soddisfi, se poi tu sei pieno di brame non ti soddisfa mai allora non sei mai felice, non sei mai libero
I. dicevo solo che il mio giudizio su quella cosa, cioè io faccio poi il risultato può essere una cosa che agli altri non importa
A. problemi loro!
I. ah ecco va bene
A. gli altri nei miei confronti hanno soltanto il diritto a che io non compia azioni proibite, e io non le voglio compiere, altri diritti gli altri non ce li hanno, sarebbero tutti ricatti, ci volevo arrivare stamattina ma voi continuate a interrompermi, parlate più voi di me santa pace! Quindi questo amore per l’azione, la gioia dell’agire, la gioia di essere creativi è la convinzione inconscia che ogni tipo di agire mi fa imparare qualcosa, ogni tipo di agire mi renderà pi?? forte nel pensare e nel volere, è ovvio no? è possibile in tutti i cammini, in tutto ciò che si fa imparare e amare, pensare è amare, e allora cosa vogliamo? Di meglio non c’è, e poi c’è nella relazionalità fra persone, c’è il convincimento inconscio umano, questa è la fiducia nell’umano, che qualsiasi cosa io faccia che non sia un’azione proibita e quello lo escludiamo, fa parte della base di cui si serve anche l’altro quindi la mia azione contribuirà a mettere in mano all’altro strumenti per la sua libertà. Quindi ogni azione fatta intuitivamente, con l’intuizione creatrice dell’amore per natura fa crescere colui che agisce, ed è favorevole all’altro perché gli da’ strumenti anche a lui per camminare per andare avanti. Quindi ogni azione libera favorisce l’umano in me e nell’altro perché è libera, favorisce, incrementa la creatività libera e di meglio non c’è, perché la creatività libera si incrementa soltanto esercitandola. Dove abbiamo il fenomeno puro dell’amore per l’agire? Nel bambino, il bambino è puro amore all’autoesplicazione, all’agire, al fare, si muove, fa, piscia, fa la cacca, va tutto bene. Se voi non diventerete come bambini non entrerete nel regno dello spirito creatore, quindi si tratta di recepire dentro alla coscienza questa fiducia assoluta nell’umano, che tutto ciò che io compio in quanto uomo mi porta avanti, può portarmi avanti a meno che io poltrisca nel pensiero ecc. Vivi da adulto coscientemente come un bambino, puro amore non per l’azione, il bambino non può avere il concetto di un’azione da fare, fa, fa
I. ?
A. sì un ricatto, il ricatto del successo, devi conseguire qualcosa, poi se tu sposti l’accento, l’occhio sull’azione ti arriva subito il moralismo che dice guarda che devi stare attento che deve essere un’azione buona, perché ci sono azioni cattive, vedi subito il ricatto. Quando dall’agire, dalla pura e semplice esplicazione dell’essere in quanto attività pura, ci si sposta su un’azione, su qualcosa che devo fare c’è subito chi ti dice no questa azione è cattiva, devi fare un’azione buona, e qual è un’azione buona?
I. ?
A. e come faccio a saperlo? Lo so soltanto agendo, quindi vivere è uno sperimentare, io non posso sapere in partenza che una pennellata su un quadro che sto facendo sarà quella migliore, devo farla la pennellata, devo dipingere e poi vedere cosa salta fuori. E man mano che dipingo in questo agire, in questo amore all’agire, al fare divento sempre migliore. Quindi l’uomo è l’artista del vivere e diventa sempre più artista esercitando il vivere, dando fiducia al vivere, essendo svegli, imparando sempre di più, da questo tipo di comportamento mi porta a questo ecc.
(IX,30) Solamente quando seguo il mio amore per l’oggetto, sono io stesso che agisco. Su questo gradino della moralità io non riconosco alcun signore al di sopra di me, non l’autorità esterna, non una cosiddetta voce interiore. Non riconosco alcun principio esterno del mio agire perché ho trovato in me stesso la causa dell’azione, l’amore per l’azione. {Che io ho un pochino precisato l’amore per l’agire}. Non esamino razionalmente se la mia azione sia buona o cattiva: la compio perché l’amo. Essa sarà «buona» se la mia intuizione immersa nell’amore si trova situata nel giusto modo entro il connesso mondiale da sperimentarsi intuitivamente; {adesso ditemi voi cos’è questo connesso mondiale, cosmico da sperimentarsi intuitivamente? Il contesto mondiale, il contesto cosmico, il contesto complessivo di un’azione cos???è? il mondo! È possibile vivere un’azione, me in questo momento, un piccolo centro in tutto il suo contesto? certo non c’è limite al pensare, il pensare abbraccia inizialmente, naturalmente per sommi capi, però abbraccia per il fatto che io dal lato della percezione ho la percezione del livello delle forme morte il minerale, ho la percezione del vegetale, ho la percezione dell’animale, ho la percezione dell’umano, ho già un quadruplice contesto in cui io sono posto, e dico l’umano è il sommo di tutto ciò che è percepibile. Perché nell’umano il minerale, il vegetale e l’animale rispetto alla libertà sono una base, perché la libertà non si può paragonare con la natura. E allora se dico se faccio l’esperienza in me stesso di essere in questo contesto di natura, l’emergenza del fattore dello spirito libero che crea liberamente, allora mi chiedo sono l’unico spirito libero creatore io? No, sono nel contesto di altri spiriti creatori che mi hanno creato, perché l’uomo non si è creato da solo. Allora da sotto i quattro regni visibili minerale, vegetale, animale e umano e da sopra col pensare, quindi il contesto dell’essere umano è quello dello spirito creatore. Lo spirito creatore ha creato per lo spirito umano un mondo di controforze perché l’uomo vincendo queste forze diventi sempre più libero e sempre più creatore, quindi la libertà è sempre liberazione da ciò che non è libero. Quindi libertà è un liberarsi dai tentativi del gruppo, della morale tradizionale di fagocitarmi e io esercitando la libertà faccio emergere lo spirito creatore, rintuzzando questi tentativi di ricattarmi, di ridurmi a un automa morale, e esercitando sempre di più la creatività del mio spirito. Questo è il contesto universale, e quindi la minima azione in cui mi esperisco come spirito creatore la pongo in questo contesto della natura e dello spirito e l’essere umano è la cerniera, questa tensione fra natura e spirito. La morale passata è un frammento di natura, se io agisco in base alla morale passata sono un automa, mi ripeto ciò che c’è già stato, riscaldo un piatto già fatto ore prima. Quindi il contesto dell’evoluzione umana è la tensione all’infinito tra spirito creatore e natura, determinismi di natura creazione libera dello spirito, questo è il contesto dell’umano.}
(IX,30) Essa sarà «buona» se la mia intuizione immersa nell’amore si trova situata nel giusto modo entro il connesso mondiale da sperimentarsi intuitivamente; quindi ho cercato adesso con parole mie se volete parole povere, di articolare questo contesto, il contesto della libertà è la natura, e questo contesto lo posso capire soltanto col pensiero, intuitivamente. In questo contesto cosa vi dice l’affermazione: no, l’uomo non è libero, si illude di essere libero ci sono soltanto determinismi di natura si illude di essere libero. Mi sta solo dicendo che ciò che è libero non è necessario che ci sia, altrimenti non sarebbe libero, e dove è stato omesso non c’è. Sbaglia fa un errore di pensiero quando dal fatto che lui ha appurato in tantissimi casi che non c’è, fa un’illazione e dice non c’è mai stato, non ci potrà mai essere, non è possibile, e questo è un dogma, perché non può dimostrare che la libertà non è possibile. Un’argomentazione sulla base dell’impossibilità è antiscientifica, scientifico è attenersi ai dati di fatto non ai dati di eventuale impossibilità. Su ciò che è possibile o impossibile si può solo speculare, perché non c’è ancora, riguarda il futuro, quindi un’affermazione su ciò che è possibile o non possibile riguarda per natura il futuro, quindi è pura speculazione perché il futuro non c’è ancora. Allora a questo scienziato naturale noi potremmo dire sì però tu guarda i livelli di libertà di uno Steiner quello non è futuro, ma se lui l’occhio, l’organo per cogliere ciò che è libero non ce l’ha, non ce l’ha, e non lo capisce e dirà sì no, è perché in Rudolf Steiner la biologia, il biologico, la mistura dei geni funzionava in un altro modo. Se la libertà si potesse dimostrare apoditticamente di necessità non sarebbe libero, quindi la libertà, ciò che è libero è convincente solo per colui che si vive libero non per l’altro. Ho sempre detto nei fumetti quando uno ha capito qualcosa si accende la lampadina sulla sua testa, però non vi capita mai di vedere che l’altro che non ha capito nulla gode sì che bello che tu hai capito qualcosa! No, non esiste, sono contentissimo che tu hai capito qualcosa e io non capisco nulla. Un’azione è buona se la mia intuizione immersa nell’amore si trova situata nel giusto modo entro il connesso mondiale da sperimentarsi intuitivamente; nel caso contrario sarà -cattiva-. Cioè un’azione è buona se è un frammento di libertà, di creatività, è moralmente cattiva se in questa azione c’è una omissione di libera creatività. Quindi il cattivo non è mai in qualcosa che c’è, il male morale non è mai qualcosa che c’è, il male morale può essere soltanto la carenza del bene morale, e il bene morale è soltanto la libertà. Una persona che spara a un’altra e la uccide, non è l’azione che è male, che è cattiva, il male morale consiste nella carenza di libertà, perché una persona che uccide un’altra viene spinta dall’istinto, non è libera e questo è male il fatto che manca la libertà. Perché se noi ci incentriamo sull’azione togliamo l’occhio dall’esperienza della creatività libera e gli diciamo non fare queste azioni fai altre azioni, ma saranno ugualmente male perché le farà per imposizione, mancherà la libertà e saranno ugualmente cattive. Quindi l’unico bene morale è una qualità dell’agire, la qualità di creatività è l’unico male morale, è la qualità di ogni agire, quel tipo di qualità dove manca la creatività. Quindi ogni azione può essere sia buona sia cattiva, e se è per natura precludente la libertà come uccidere l’altro la persona libera non la vuole e non la fa mai, quindi tutte le azioni non proibite possono essere buone o possono essere cattive; sono buone nella misura in cui vengono compiute liberamente, sono moralmente cattive nella misura in cui vengono compiute non liberamente, ugualmente cattive, perché negano la libertà e l’individuo si esperisce come uno che si sottomette, cancella il meglio dell’umano, e questo è il fenomeno puro dell’immorale, del male morale, cancellare il meglio dell’umano che è la creatività individuale, artistica dell’individuo.
(IX,30) Non esamino razionalmente se la mia azione sia buona o cattiva: la compio perché l’amo. Essa sarà «buona» se la mia intuizione immersa nell’amore si trova situata nel giusto modo entro il connesso mondiale da sperimentarsi intuitivamente; nel caso contrario sarà «cattiva» E neppure mi domando come agirebbe un altro uomo nel mio caso, ma agisco come io, quale particolare individualità, mi vedo spinto a volere.
Però mi vedo spinto a volere, la traduzione italiana porta via, mi vedo spinto allora non son libero, agisco in quanto sono innamorato allora funziona. E questo vivermi innamorato dell’umano che si realizza in me in modo diverso, è il risultato di una sempre di nuovo esercitata fiducia nell’umano, che si è sempre di nuovo confermata, perché bene o male ognuno di noi impara dalla vita, nessuno di noi rimane a cinquant’anni anni allo stesso gradino di coscienza di trent’anni prima, quindi siamo onesti viviamo nel positivo dell’umano! E il fatto che ognuno di noi deve dire, lasciamo a parte adesso tutti i moralismi che si arrogano di mettere dei giudizi sul mio compiuto, se io lo guardo spassionatamente, la vita umana è un crescere, per natura è un crescere, a trent’anni si capiscono le cose meglio che a venti, a quarant’anni si capiscono le cose meglio che a trenta, ma è normale scusate, è così anche per la persona che vuole vedere tutto nero, e questo è bello e mi da’ la gioia di vivere. Il sommo della moralità è la gioia del vivere, l’amore per l’agire, l’amore per l’azione è lo stesso della gioia del vivere, solo che la gioia del vivere è un pochino più psicologico, un pochino più bambino, è portato meno a coscienza, noi stiamo cercando di portare a coscienza, di sceverare, di andarci dentro coi pensieri in questa fiducia assoluta dell’umano che il bambino vive e noi vogliamo capirla, perché questa fiducia nell’umano del bambino se noi la capiamo diventa una cosa bellissima.
(IX,30) Non l’uso comune, non il costume generale, non una massima umana generale, e nemmeno una norma morale mi guida in modo immediato, ma il mio amore per quell’azione. {Il mio amore per l’agire}. Non sento alcuna costrizione: non la costrizione della natura, che mi guida nei suoi impulsi, {che mi costringe, che mi spinge nei suoi impulsi non che mi guida}, non la costrizione del comandamento morale. Io voglio semplicemente estrinsecare {il mio essere} ciò che è in me. {Quindi il sommo bene morale è l’autorealizzazione dello spirito creatore, cosa ci può essere di moralmente più alto? Che il realizzarsi in ogni azione, in ogni agire dello spirito creatore libero. Facciamo una pausa.}
I. l’azione non è più libera se presuppone il sacrificio?
A. cosa intendi per sacrificio? Io non mi ricordo più cos’è il sacrificio
I. cioè togliermi qualcosa da dare all’altro che mi sacrifica, che mi toglie, soprattutto quando ci sono di mezzo i figli, se un figlio chiede il genitore deve comunque dare? Anche se io mi devo sacrificare nel dare? la libertà dove va a finire?
A. una domanda importante, si potrebbero dire tante cose, partiamo dalla parola stessa -fare sacro- sacrificio = significa rendere sacro, fare sacro. Cos’è massimamente sacro? L’essere umano, e nell’essere umano cos’è massimamente sacro? La libertà. allora o io faccio qualcosa che favorisce l’evoluzione, il cammino dei miei figli, perché mi piace di farlo, perché amo di farlo, perché liberamente lo voglio, oppure non sono libero. Se amo, se mi piace, se godo di fare ciò che favorisce l’evoluzione dei miei figli rendo sacro il mio essere, perché vivo nella libertà dell’amore. Se invece me lo impongo a denti stretti dissacro il mio essere e sarò infelice. Ma io non ho le forze per fare con gioia, con amore all’azione tutto quello che c’è da fare per quattro figli! Mettine al mondo tre! Ma anche tre son troppi! Mettine al mondo due! Cioè la libertà, questo nuovo gradino della coscienza umana comporta dei calcoli, dei realismi molto più complessi che non quando la Chiesa ti diceva di far più figli possibile e sacrificarti, che poi questo sacrificarsi era una castrazione immorale. Io ho avuto la fortuna di una mamma che con gioia ha dato tutta se stessa, ha sacrificato, ha reso sacro il suo essere con le forze dell’amore, però questi esseri umani ci sono sempre di meno. Compresa nella libertà è il calcolo realistico di ciò che io sono in grado di compiere con gioia, il resto non lo devo compiere, si è liberi soltanto se si compie ciò che si compie con gioia, il resto va lasciato da parte. Quindi o sento in me le forze con gioia di fare infinite cose per mio figlio, perché cresca, perché trovi il meglio, oppure lo lascio creare a un altro, il biologico non è che terminerà dall’oggi al domani di creare corpi nuovi, il problema è quando sono già stati creati, tutto quello che c’è da dare, c’è da immettere animicamente, spiritualmente. Quindi sacrificare se stessi nel senso della negatività, di rinunciare a una parte di me è immorale, è un male morale, il cosiddetto sacrificio è un rendere sacra la libertà dell’amore e l’amore alla libertà, che poi è la stessa cosa. Allora uno dice ma se io adesso dedico nei prossimi mesi tutte le mie forze a questo figlio, non posso al contempo dedicare le forze a me stesso e devo sacrificarmi. Vista così la cosa non funziona, amare l’altro è il modo migliore di favorire la mia evoluzione, quindi l’amore dell’altro è il massimo di amore di sé, quando io cerco di amare me stesso mettendo in secondo piano l’amore dell’altro mi amo di meno
I. è un passaggio necessario amare me prima di amare l’altro, forse per qualcuno, però detto come l’hai detto tu, sembrerebbe che lo sforzo più grande è quello di amare l’altro, mentre questo non è uno sforzo deve venire da solo
A. no, no ho detto l’amore massimo di sé
I. ma se io non riesco ad amare l’altro nel giusto modo
A. vuol dire che nella stessa misura non riesco ad amare me stesso, tu stai cercando di separare i due, io ti dico non sono separabili, è illusorio separarli
I. ma appare che noi non riusciamo ad amare l’altro e quindi viene un senso di colpa, invece io volevo togliere questa cosa che avevo notato dicendo che è chiaro che il bene supremo è amare l’altro perché solo in questo modo io ho capito dove sto andando, realizzo me stessa e quindi mi incontro, il bene mio è il bene degli altri, ma questo però è un punto d’arrivo a volte, perché per capire questo a volte bisogna passare per un sano egoismo. Io lo vedo come passaggio, per cui dire a una persona che il bene supremo è amare l’altro quando uno sente un sacrificio donare per esempio, potrebbe venire una riflessione non giusta
I. tu la poni in termini di pedagogia, il pedagogo che cerca di comunicare all’allievo qualcosa. Qui l’esercizio che facciamo non è un esercizio di pedagogia, tu per mettere in chiave di pedagogia hai dovuto profondamente cambiare la mia affermazione. La mia affermazione non era che l’amore dell’altro deve essere in primo piano; la mia affermazione è che l’unico modo che c’è di amare me stesso, è questo il valore morale supremo sacrificare il m io essere, io non posso sacrificare, rendere sacro l’essere altrui, posso rendere sacro solo il mio essere. E l’unico modo di vivere in pienezza, di rendere sacro il mio essere, l’unico modo di amare me stesso che è il valore morale supremo è di amare l’altro
I. a me questa affermazione mi va benissimo, però se in questo percorso
A. non è un percorso
I. se io sento sacrifico a donare all’altro perché lo vivo come sacrificio, mentre so benissimo che quando, perché l’abbiamo vissuto tutti, quando prendiamo una decisione che è nostra e che è libera non c’è ma che tenga, non c’è altro modo per risolvere quel pensiero. Quindi nel momento in cui io sento un sacrificio ci deve essere un passaggio necessariamente prima di amare l’altro
A. no, e io sto dicendo che nel momento in cui lo sento e lo vivo come sacrificio e credo che ci capiamo tutti, sto compiendo un errore di pensiero e questo errore di pensiero lo si può correggere subito, e l’errore di pensiero consiste, il risvolto psicologico è che se io non mi sacrifico mi sento un egoista e ho rimorsi di coscienza. Il realismo dell’amore dice io a questo punto, certo che nell’azione perciò prima distinguevo tra l’agire puro e semplice e le azioni concrete, nelle azioni concrete io non posso contemporaneamente fare un’azione dedicata direttamente al bambino, e fare contemporaneamente un’azione dedicata direttamente a me, al livello delle azioni devo scegliere perché sono una dopo l’altra, ma l’agire non è uno dopo l’altro, l’agire è una qualità del pensiero. Se io sposto tutta la problematica del sacrificio, perché se io adesso sto dando precedenza all’accudire il bambino metto me in secondo piano questo è il sacrificio, e se io dico ma è nella logica del realismo dell’amore che questo amore di me che è amore di te e questo amore di te che è amore di me inscindibile, deve poi manifestarsi in azioni che poi una volta sono dirette maggiormente a te, una volta sono dirette maggiormente a me e nell’insieme deve saltar fuori “ama il prossimo tuo perché è te stesso, è parte di te.” Quindi non si può amare l’altro più di sé, non si può amare sé più dell’altro, è una pura illusione, sarebbe come nell’organismo amare il cuore più del rene, amare il rene più del cuore, o si ama tutto l’organismo o non si ama nulla dell’organismo. Adesso in questo momento non mi va di dedicare a questo bambino due ore! Non c’ho voglia, adesso diventa concreto, ho due possibilità o in qualche modo riesco, perché l’ho esercitato a farla saltar fuori la voglia, anche se all’inizio non c’è, cosa che è possibile, e allora se la faccio saltar fuori la voglia salta fuori, oppure compierò un’azione che non è libera. Ma chi di noi è perfetto che è già in grado di compiere nessuna azione che non sia libera? Però devo capire che c’è una differenza tra far saltar fuori la gioia e allora resto libero, oppure non ce la faccio e allora devo accettare che questa azione sarà non libera, e se lo accetto lo accetto punto e basta. La devo compiere questa azione? a quel punto io vi ho detto non ci sono azioni da compiere, ci sono soltanto azioni proibite, e se è nel karma di questo bambino di essersi scelto una mamma che ha soltanto la capacità di evitare con lui le azioni proibite e quelle buone non ne fa nessuna, è il suo karma, ha contribuito anche lui nel corso dei secoli dei millenni a che questa mamma è diventata così. Però se la situazione è così è così! E non serve a nulla che la chiesa ti martelli e ti dica no devi, devi, devi sacrificarti! Siamo sinceri, come reagite voi qui in sala, quando uno ti martella, ti bombarda e ti dice devi, devi, devi sacrificarti! Qual è la reazione sincera dell’essere umano? Lasciami in pace! Questa filosofia della libertà in fondo è il coraggio di essere onesti, e di chiamare un ricatto morale semplicemente chiamarlo ricatto morale, un mondo perfetto in cui non ci saranno persone che si faranno ricattare, magari non ci sarà mai, però è già un passo in avanti capire che io in questa posizione sono uno che si fa ricattare con la morale del sacrificio, perché sono così, sono ricattabile, è già un aiuto. E sono ricattabile perché non ho esercitato abbastanza, e lo potrei fare, che c’è un modo di far saltar fuori la voglia, oppure il coraggio di dire di no senza farsi problemi di coscienza, tu fantolino pretendi tutte le mie forze e perché? Se alla fine non mi restano più forze poi non sono più in grado di darti nulla! si può dare solo ciò che si ha. Quindi la morale del sacrificio spesso è unilaterale perché non fa un calcolo realistico, il sacrifico è dare qualcosa di sé all’altro, ma questo dare qualcosa di me all’altro presuppone che io abbia qualcosa da dare, quindi è un disamore, è una irresponsabilità, è un non amare quello di non prendersi il tempo necessario per ricostruire una ricchezza interiore in modo per aver qualcosa da dare all’altro. Il problema della nostra società è che c’è tanto poco, così poco amore per sé che le persone che veramente amano se stesse in modo tale da costruire un ricchezza interiore sono sparite, abbiamo un sacco di persone che vogliono sempre dare, sempre dare per sentirsi belli e non hanno nulla da dare, hanno soltanto povertà interiore da dare.
I. noi siamo qui perché ci amiamo
A. siamo qui perché ci amiamo tutti quanti dice lei, le persone che sono qui hanno un minimo di amore per se stessi, prima di sacrificarmi per gli altri, prima di dare agli alti fammi assicurare di aver qualcosa da dare, e qual è la cosa più importante che possiamo darci a vicenda? C’è soltanto una cosa comunicabile sono i pensieri il resto non è comunicabile. Quando uno dice “ti capisco” o capisco una cosa che l’altro articola, viene comunicato qualcosa, ma se una persona è intrisa di amore tutte queste forze di amore restano in lui mica me le comunica, mica mi rende più amante perché lui è più amante, è assurdo scusate, comunicabile sono i pensieri, è già parecchio.
I. in questo mondo, in questo periodo particolare, le persone seguono un’idea, un modo di fare, un modo di vivere come un gregge, fare delle scelte è anche coraggioso in questo mondo, è una conditio sine qua non della libertà o no?
A. mi puoi dire come fai a essere libera senza scegliere?
I. come mai in questa società la gente ha paura della scelta, ha paura della libertà allora?
A. certo, però è un po’ astratto il discorso che fai, scegliere significa lasciare qualcosa sennò non scegli, prendo una cosa e lascio l’altra. Le due cose tra cui devo scegliere le chiamo A e B, cosa faccio dedico due ore al bambino o dedico due ore a me stesso, mi leggo una conferenza di Steiner ecc. cosa scelgo? La scelta libera, perché scelta significa sono libero sia di compiere A sia di compiere B. Il problema della persona non libera è che non sceglie, non scegliendo non esercita la libertà, perché la libertà diventa reale nello scegliere, voglio B, lì esercito la libertà. Quindi l’esercizio reale, concreto della libertà è sempre e solo nello scegliere, e questo scegliere comporta lasciar via A. Qual è la forza, adesso sto cercando di spiegarvelo da un punto di vista psicologico in modo che cogliendo dal vissuto capiamo sempre meglio, psicologicamente il vissuto cos’è che mi da’ la forza di dire via A e prendo B? soltanto la bellezza di B può darmi la forza, niente in confronto a questo! Quindi deve sorgere al livello del pensiero, al livello del cuore una bellezza tale, essere accattivati a un punto tale, questo è l’amore all’azione, un innamoramento tale che io dico no, ma questa è una cosa pallidissima rispetto a quest’altra, e allora scelgo B, allora voglio B e so di farlo liberamente perché sarei libero anche di scegliere A. Concretamente questo B è dedicare le prossime due ore al bambino, A sarebbe dedicarle a me, come arrivo io a essere innamorato a queste due ore dedicate al bambino? soltanto se ho fatto in qualche modo l’esperienza che due ore passate con me stesso possono risultare del tutto noiose, e due ore passate col bambino ho già fatto l’esperienza sono una cosa meravigliosa, è possibile? Certo, vi do subito l’esempio: ho già provato un sacco di volte perché viviamo tutti di un passato moraleggiante, che io ho detto no, adesso io mando a ramengo il bambino, sono senza forze, sarà bene che faccia qualcosa per me, e ho dedicato due ore a me stesso, ho mandato a ramengo il bambino, ma ero preso da tali rimorsi di coscienza che quelle due ore sono due ore rovinate, allora la prossima volta dico no, no, no le dedico al bambino. È un ricatto? No, sono libero, è una presa di coscienza. Adesso la libertà dice ama il prossimo tuo come te stesso, dice, io adesso sto parlando delle prossime due ore, ma la vita non è fatta soltanto delle prossime due ore, è fatta di un insieme, il bambino cresce fino a vent’un anni, diciotto anni nell’insieme deve saltar fuori il giusto equilibrio tra l’amore di sé e l’amore dell’altro, perché io posso dare al bambino solo quello che ho costruito in me, e io posso costruire me stesso soltanto tramite l’amore al bambino. Quindi ciò che è un equilibrio d’insieme, nel caso concreto comporta delle precedenze concrete, ma queste precedenze il pensare le inserisce in un equilibrio, quindi nell’equilibrio non ci sono precedenze ama il prossimo tuo come te stesso. Nella strategia dell??amore d’insieme, perché se io non pongo un’azione in un contesto totale questa azione sarà del tutto parziale, e il parziale non può mai soddisfare, perché se io vivo in questa azione soltanto l’amore di me, e non c’è nulla dell’amore dell’altro, o soltanto l’amore dell’altro e non c’è nulla dell’amore di me, non potrò essere felice, non potrò essere libero, quindi nell’azione mi specifico, ma il mio agire in quanto accompagnato dal pensare ha sempre lo sguardo d’insieme, e questo sguardo d’insieme pone realmente questa preferenza, questa alternativa nel contesto di un equilibrio, di un favorirsi a vicenda dell’amore di sé e dell’amore dell’altro, più amo l’altro e più amo me stesso e più amo me stesso e più amo l’altro, non esiste l’amore dell’altro senza amore di sé, non esiste amore di sé senza amore dell’altro. Allora dico, faccio questa riflessione, negli ultimi tempi sono stato un pochino unilaterale nel pensare a me stesso, adesso fammi accentuare di più di dedicare il mio tempo, le forze al bambino. Oppure dico, negli ultimi tempi ho esagerato nell’insieme a pensare al bambino, adesso per un po’ di giorni, per un po’ di mesi devo ristabilire l’equilibrio. Però questo sguardo d’insieme, tutto questo bilanciare ecc. è proprio l’esercizio della libertà, ma una libertà senza il pensiero che coglie ciò che l’interazione porta nell’una e nell’altro e allora non c’è libertà, il pensare deve seguire il modo di interazione che c’è stato finora da’ come risultato complessivo un equilibrio di favorirsi a vicenda, oppure da’ come risultato il fatto che non ci si favorisce a vicenda e questo aiuta a fare le scelte concrete. Qualcuno parlava, nella pausa, di un papà come esempio di totale squilibrio tra l’amore di sé e l’amore al figlio
I. è un po’ un giudizio questo dal di fuori, però l’impressione di un genitore veramente soffocante, poi ha provocato nel figlio un ritirarsi in sé, cioè un fenomeno di autismo, è troppo prevaricante, troppo forte nei confronti di questo bambino, senza rispettare la dignità anche se è piccolo, però non si può non cogliere questo aspetto di dignità, di rispetto
A. ed è possibile che questo genitore abbia vissuto il suo rapporto come sacrificio, sacrificio, sacrificio
I. no, ma anche con un amore che però non capisce il reciproco rispetto
A. eh ma questo genitore voleva sacrificarsi, sacrificarsi, sacrificarsi, e tu dici questo sacrificarsi era un asfissiare, perché non se n’è accorto? Perché il livello di coscienza è troppo bambino, non se n’è accorto, e il bambino neanche il corpo si è potuto sviluppare, e la cosa diventa molto tragica
I. noi nei rapporti con gli altri, marito e moglie per esempio, viviamo continuamente questi salti tra simpatia e antipatia, per cui c’è qualcosa di quella persona che mi sta di fronte che non sopporto, e in quel momento io osservo uno stato di chiusura dentro di me, e non riesco ad andarle incontro, ad agire nel senso di favorire qualcosa per quella persona. Se in questo momento io salto il giudizio e in un certo senso ruoto la telecamera verso di me, quello che osservo nel mio animo è come questa antipatia un senso di indifferenza, è come se in quel momento io dicessi: io non sto provando nulla per la persona che mi sta davanti. E questa cosa nel momento in cui io la osservo e me ne accorgo, crea in me un senso di smarrimento totale, un senso di impotenza, di frustrazione, è come se io mi dicessi: guarda te cosa riesco a provare, il nulla, che è tale per cui io non riesco proprio a muovermi verso quest’altro, e in quel momento io faccio fatica a trovare la soluzione, dico va bene, io qui sono arrivato, parto da questo punto però come faccio io a creare a far nascere l’amore dentro di me in questo momento perché in questo momento non sto provando nulla
A. fermati, tu hai detto tante a tali cose negative su di te, che a questo punto le chance di risvolgere in positivo la cosa sono perse quasi tutte, e tu non ti sei accorte di quante cose negative hai detto su questa persona che sente fastidio nei confronti di un’altra persona. Ripartiamo dall’inizio, tu hai detto -uso categorie mie perché tu hai usato categorie molto più moraleggianti- hai creato la situazione di due persone marito e moglie non importa, l’altro in questo momento mi da’ fastidio, e tu hai ricamato devo essere un orco io, che persona sono che mi da’ fastidio, non sono capace ecc..
I. no, no non sto dicendo questo, osservo semplicemente l’antipatia e mi accorgo che in quel momento è come se non trovassi la soluzione
A. no, questo è il negativo, -mi da’ fastidio!- che bella cosa!, perché se nessuno mai mi desse fastidio io non sarei nulla! tu sei partito subito sul negativo, che c’è di male che uno mi dia fastidio? mi gestisco questo fastidio mica niente di male, hai fatto tutto un ricamo moraleggiante negativo, sentivo il prete cattolico, sì che ti dice che quando l’altro ti da’ fastidio sei una persona non buona, se nessuno mai ti da’ fastidio sei nulla, sei un cimitero santa pace! se vali qualcosa, un minimo, avrai subito persona a cui tu dai fastidio e che ti danno fastidio. Quindi la prima cosa è di rendermi conto che quello mi da’ fastidio, ma non moraleggiare su questo fastidio ma che bella cosa come gestisco questo fastidio? glielo dico o non glielo dico? Lo lascio continuare a parlare o scappo fuori? Affari miei, l’importante è che mi goda questo fastidio, allora mi porta avanti nel mio cammino
I. sì in fondo è come se io non sopportassi il fatto di sentire che provo fastidio
A. proprio questo, e perciò ci hai ricamato sopra in chiave negativa, tu hai presentato il fatto del fastidio come un problema che non lo è, e poi ci hai aggiunto altri problemi, e alla fine io ti ho detto adesso sei pieno di problemi e sarà un po’ difficile risolverli tutti in una volta, e il punto di partenza è di non fare del fastidio un problema. Supponiamo che io ti stia dando fastidio, embhè che fai? a me è capitato delle persone a cui ho dato fastidio, mi è capitato un paio di volte nella vita, supponiamo che io ti dia fastidio che fai? tu senti fastidio che fai? vedi che la presa di posizione del pensiero è importante, se io neanche mi accorgo che mi da’ fastidio, e se per abitudine sono abituato a considerare il fastidio come fattore negativo, allora vivi negatività e condanni te stesso, e se Archiati ti da’ fastidio vai bene, vai bene! Perché se io terminassi di dar fastidio alle persone sarei molto infelice! C’è un modo di svolgere tutto ciò che c’è in negativo, e c’è un modo di svolgere tutto ciò che c’è in positivo, è sempre possibile, però c’è una differenza se lo svolgi in negativo salta fuori negatività, se lo svolgi in positivo salta fuori positività. Perché è meglio il positivo?, uno può dire no, a me piace di più il negativo! Se lo goda, e se se lo gode non è negativo
I. io volevo tornare al discorso del bambino e la madre, era legato alla legge del karma, per cui se questo bambino si ritrova con un karma di un certo tipo, quindi con una madre
A. fatta così com’è
I. fatta così com’è, e si infastidisce perché non vuole dedicare molto tempo al sacrificio, all’educazione del figlio
A. non soltanto all’educazione, a pulirlo per esempio quando è piccolo
I. a questo punto la legge del karma diventa una forza ostacolatrice alla libertà, è una legge anche quella no?
A. cosa è successo! con la categoria dell’ostacolo, ostacolatrice è successo qualcosa?
I. l’ha detto lei, perché a un certo punto dice questo è il suo karma, a quel punto si ritrova una madre così, una madre che non agisce
A. ma non ho mai parlato di ostacolo
I. no, no lo sto collegando io, la vedo in questo modo come un ostacolo alla libertà, perché se è condizionato dal karma. Questo karma ha posto una madre di un certo tipo, io penso che sia giusto invece andare oltre la legge del karma, e quindi in libertà decidere di fare il sacrificio
A. in libertà decidere di fare il sacrificio, per sommi capi andrebbe detto che hai usato il concetto errato di libertà e il concetto errato di karma, quindi hai detto l’opposto di ciò che è il karma e l’opposto di ciò che è la libertà. Però adesso lo spiego minimamente, il karma non è una controparte della libertà, il karma è l’insieme dell’esercizio passato della mia libertà, cioè il karma è ciò che io ho fatto di me stesso. Ciò che questa madre ha fatto di se stessa nel corso dei secoli e dei millenni, il risultato è ciò che lei è, ciò che può, e in ciò che può c’è, supponiamo una somma di forze che ha disposizione per il bambino e non può più di tanto, nessuna madre può più di quanto può. Allora tu dici il fatto che nessuna madre può tutto per il bambino è un limite! No, perché potere tutto è un’astrazione assoluta, ogni madre fa quello che può, e la libertà consiste nel fare tutto il possibile, più libertà non c’è. Allora questa madre vorrebbe fare l’impossibile, e si renderà conto che non è possibile, ha la capacità di dedicare liberamente al bambino forze – lo metto in quantitativo però ci capiamo – è fatta così che ha la capacità di dare al bambino liberamente 50, però il bambino vuole 100, e allora tu dici che deve imporsi il sacrificio perché il bambino ha il diritto a 100 e deve fare gli altri 50 per sacrificio. Nessuno ha il diritto ad altri 50 in più, perché gli altri 50 in più non ci sono, e fare per sacrificio, fare sacrificando se stesso è un inganno, un’illusione, che butta indietro moralmente sia il bambino sia la madre, perché è fatto non per amore, non per libertà ma per costrizione, tutto ciò che è fatto per costrizione fa andare indietro l’essere umano è questo il concetto fondamentale, perché è fatto per costrizione, nega l’amore e nega la libertà. Quindi se questa mamma può dare 50 con amore e con libertà, questo 50 è il 100% per il bambino, meglio non c’è, altrimenti vada a prendersi un’altra mamma! È il tutto di quello che questa madre può dare, allora se questa madre lo sa che lei da’ tutto quello che può, e quello che non può non si fa ricattare, resta libera e resta piena di amore e tutto va bene e non ha sensi di colpa. In altre parole, adesso mettiamoci nella posizione della mamma, la mamma si dice se è sana quello che faccio per il bambino o lo faccio per amore e con libertà oppure è meglio non farlo, per lui e per me, e non lo fa. Arriva la chiesa, arriva lo stato che ti dice dovresti fare di più! Gli do un calcio nel sedere!
I. in Italia la Cassazione si è pronunciata a favore del mantenimento del figlio oltre la maggiore età
A. sta attenta, io ho dato due contributi fondamentali in campo di deliberazione di legislazione di quale legge una comunità, una società stabilisce; l’uno è questo orientamento molto importante per la coscienza umana che nella legge deve essere specificato ciò che ai genitori, nei confronti del bambino, va proibito. Nessuna legge, nessuno Stato ha il diritto di dire ai genitori ciò che devono fare per il bambino, la legge ha soltanto il diritto di proibire le azioni che non vanno fatte nei confronti del bambino, questo come primo orientamento. Il secondo siccome noi non siamo mai in una comunità, in un sociale perfetto, siamo per strada, allora io come mamma se c’è una legge che mi impone di fare qualcosa che io in questo momento non vorrei fare, il realismo dell’amore consiste anche nel fatto di dire questa cosa io non la farei, però preferisco evitare di andare in prigione e la faccio liberamente per evitare di andare in prigione, e allora va tutto bene. Perché azioni fatte per evitare che il potere ti schiacci, ci sono, avere gambe buone significa avere il coraggio anche di fare delle cose per evitare che il potere ti acchiappi, e allora il potere lo lasci via. L’alternativa sarebbe di una società di esseri umani perfetta, dove gli spazi del divieto sono minimi, il minimo necessario e gli spazi della libertà sono massimi, finché non siamo a questi livelli devo accettare che io farò liberamente certe azioni, semplicemente per evitare che il potere mi acchiappi, e va tutto bene. Quindi io non dirò il bambino ha diritto a questo, io dovrei farlo ed è un dovere morale, no, dico lo faccio soltanto per evitare che il potere mi acchiappi, e resto del parere che è lo strapotere che mi costringe a fare una cosa del genere, se la legge che si ha è tale, la legge ha costretto Socrate a bere la cicuta e andare all’altro mondo, e l’ha fatto. Buon appetito.
Sabato 5 febbraio, pomeriggio
Questa mattina ci siamo posti una domanda che vorrei riprendere, il quesito che ci occupava è quello della mamma col bambino che si chiede: ma è più importante il bambino o sono più importante io? Perché il bambino deve essere più importante di me? È un essere umano né più né meno di me, perché mi devo sempre sacrificare per questo fantolino? Se poi lo spostiamo al rapporto tra marito e moglie non è che cambia molto la cosa, perché la moglie pretende sempre dal marito che il marito è fatto apposta per sacrificarsi per la moglie, e giustamente il marito se è intelligente la manda, e ci sono anche dei mariti, in caso di eccezione, che pensano che sarebbe una buona cosa se la moglie si sacrificasse per il marito. Allora sono più importante io o sei più importante tu? Siamo più importanti tutti e due, quindi partiamo da un primo pensiero fondamentale che in un organismo non c’è un organo più importante o meno importante, la salute li rende importanti tutti ugualmente, adesso non è che io vi dico che si può dimostrare che l’umanità, l’insieme degli io umani, degli spiriti umani, l’insieme degli uomini e delle donne siano un organismo, che quindi nella misura in cui ognuno esprime genuinamente il suo essere c’è un’armonia assoluta, la salute dell’umanità, ci arriveremo un po’ alla volta, questo IX capitolo è fatto proprio per arrivarci un po’ alla volta. Quello che mi veniva di esprimere come riflessione insieme a voi è che ci sono due tipi di unilateralità, due tipi di parzialità: uno lo chiamo il senso di rabbia quando mi si chiede di sacrificare me stesso per l’altro, e la chiamo rabbia se siamo sinceri con noi stessi, perché la persona dice perché io mi devo sacrificare per l’altro? Il senso di rabbia sorge dal ricatto in base al sacrificio, al dovere, devi sacrificarti, sacrificio in cui si manda a ramengo il senso della parola che è rendere sacro, anzi mortificarsi sacrificio senso del dovere. In questa unilateralità dove l’altro deve essere più importante di me, io mi devo sacrificare per lui, ho il dovere mettermi a sua disposizione, di servirlo ecc., questa parzialità la chiamo mi dedico a te trascurando me, ecco la parzialità, e lì sorgeva il problema, perché se io posso dedicarmi a te ugualmente, contemporaneamente dedicandomi a me allora va tutto bene. Però quando il bambino mi chiede tutto il tempo, o l’altro mi chiede tempo io devo trascurare me stesso, quando io faccio l’esperienza di dovermi dedicare all’altro trascurando me stesso mi viene la rabbia, se sono sano, e sono non sano mi viene la rabbia e non la noto che è ancora peggio. La seconda unilateralità possibile mi dedico a me mandando a ramengo te, mi dedico a me trascurando te, qui salta fuori un senso di colpa. Senso di rabbia e senso di colpa, non si sta bene, né con la rabbia né con la colpa, perché c’è la percezione di una parzialità di una lateralità, io sto amando l’altro e non me stesso e non va bene, sto amando me stesso e non l’altro e non va bene, perché la salute dell’amore è ama il prossimo tuo come te stesso, è l’equilibrio, il pareggio, la tensione giusta tra amore di sé e amore dell’altro. Come superiamo i sensi di rabbia che ce li possiamo risparmiare, e liberiamo forze per cose sempre più belle, e come superiamo i sensi di colpa. C’è una soluzione magica, semplice ma una cosa straordinaria, si tratta di capire che al livello della volontà e al livello dell’agire non si può fare tutto in una volta, le azioni vanno fatte una dopo l’altra. Quindi è nella natura del volere e dell’agire che l’agire deve essere sempre parziale, quindi se io il prossimo quarto d’ora lo dedico a pulire il bambino che ha fatto la cacchina, non posso io nello stesso quarto d’ora leggermi una conferenza di Steiner! Le azioni si possono fare soltanto una dopo l’altra, quindi è nella natura dell’agire di essere parziale, di essere frammentato, di fare le cose una dopo l’altra. Invece come è giustamente una bellissima polarità dell’essere umano è insito nell’agire la parzialità, che io ora faccio una cosa per te, ora faccio una cosa per me, è nella natura del pensare non di essere analitico ma di essere sintetico, quindi nel pensare io posso avere sempre tutti e due. Quindi nell’agire io faccio l’analisi del mio essere un frammento dopo l’altro, invece nel pensare devo fare la sintesi, perché se ho soltanto l’analisi, ogni volta ho soltanto una parzialità una dopo l’altra. Se invece avessi soltanto la sintesi avrei soltanto la teoria della ricchezza, ma non la sperimenterei mai, e perciò c’è nell’essere umano questa bellissima polarità del pensare e dell’agire, del pensare e del volere. Allora adesso mentre io mi dedico a te, nell’agire mi sto dedicando a te, sto facendo qualcosa per te, come faccio a dedicarmi a te senza trascurare me? E come faccio a dedicarmi a me stesso senza trascurare te? Una cosa semplicissima, e dovrete dirmi che fa una differenza enorme, la posizione interiore del pensiero, cioè il modo in cui la coscienza accompagna le azioni che faccio, perché l’essere umano non vive soltanto le azioni che fa, il riflesso delle azioni, ma vive ancora di più i pensieri che pensa mentre fa le azioni: mi dedico a te per amore di me! Perché se io non mi dedico mai a te non andrò mai avanti nella mia evoluzione, andrò sempre indietro, sarò sempre meno capace di amare, allora mi dedico a te e nel mio pensiero, io percepisco nel mio pensiero questo dedicarmi a te come qualcosa per amore di me, è possibile ed è giusto. E quando invece mi dedico a me stesso, che nell’agire mando a ramengo il bambino o il marito e leggo o penso a me stesso nell’agire, è possibile che io mi dedichi a me per amore di te? Ma certo, perché posso dedicarmi a me stesso in vista di avere qual cosina in più da darti dopo quando ti incontro, quindi mi dedico a me per amore di te, quando io mi dedico a me per amore di te i sensi di colpa via, via, via e non è un dovere lo faccio con gioia, perché allora tutte e due hanno un vantaggio. Quando mi dedico a te per amore di me, per evolvermi io nell’amore sempre ulteriormente via la rabbia, altro che rabbia, gioia, gioia, gioia. Il pensiero ha sempre la possibilità di vivere il giusto equilibrio in ciò che l’agire deve compiere un’azione dopo l’altra, però adesso tu dimmi caro Pietro nell’insieme quanto io devo fare, devo dedicarmi all’altro, quanto devo dedicare a me? Un motivo fondamentale per cui voi, magari più inconsciamente che consciamente, venite numerosi a sentire me che proprio sproloquio un pochino l’italiano me lo sto dimenticando, ma il motivo fondamentale e vi do ragione, è questo che io vi sto dicendo che una volta capito questo pensiero fondamentale, il giusto equilibrio del mio modo di dedicarmi a me stesso, quindi di coltivare il mio essere quindi il mio modo di dedicarmi all’altro, è individuale, cambia da persona a persona. Nel rapporto di questa mamma col suo bambino è lei a decidere qual è il giusto equilibrio e nessuno può sindacare dal di fuori. Tra un marito e una moglie il loro modo di gestire l’equilibrio tra l’amore di sé e l’amore dell’altro, è individuale e unico nessuno può dire dal di fuori come questa coppia si deve trattare, lo possono sapere soltanto loro due, e il giusto equilibrio per un’altra coppia sarà tutto diverso, quindi noi continuamente vogliamo generalizzare per creare sensi di colpa, per creare sensi di rabbia e generalizzare ciò che non è generalizzabile. Allora se aggiungiamo questa dimensione individuale quanto io devo fare per l’altro e quanto devo fare per me è del tutto individuale, pensate un pochino che liberazione interiore salta fuori, ed è quella che cerchiamo perché veniamo, siamo imbottiti di rabbie col ricatto del sacrifico, del dovere, e siamo imbottiti sempre di sensi di colpa col ricatto del dovere ecc. Quando penso a me stesso mi tocca sentirmi in colpa, quando penso all’altro mi tocca mangiarmi la rabbia, ma che vita è? Invece se mi dedico a me stesso per amore dell’altro, perché poi va tutto a favore dell’altro quello che io costruisco dentro di me ovviamente, lo faccio volentieri, è la cosa più bella. Se mi dedico a te e colgo, vivo questa dedizione a te come amore a me, che sento crescere le forze dell’amore dentro di me, ma mica è un dovere è un piacere, è una gioia, son tutti e due frammenti di libertà, esperienze di libertà, è qualcosa che voglio, voglio tutte e due sempre in alternanza ecc. e il pensiero ne fa la sintesi, li vede sempre insieme, perché non c’è un amore di te senza amore di me, perché senza amore di me io ti porto incontro soltanto povertà, povertà, povertà altro che amore per te. E non c’è amore per me senza amore per l’altro, e il giusto equilibrio, la giusta misura, i modi ecc. sono individuali e nessuno ha il diritto di sindacare. Adesso prendiamo una coppia se difatti, oggettivamente ci fosse uno squilibrio, si farà sentire o l’uno o l’altro, ma tocca a loro, se tutti e due sono contenti nell’insieme del loro rapporto vuol dire che va bene punto e basta, però in che modo sono contenti nel loro rapporto lo devono dire loro, su un rapporto non si può dire dal di fuori, non si può sindacare dal di fuori, perché chi è di fuori non lo riguarda questo rapporto, non può dire nulla perché non ne esperisce nulla. Io ho una voce in causa soltanto ciò che esperisco io non in qualcosa che è una teoria e la vedo dal di fuori, quindi andare a chiedere a un terzo come dobbiamo comportarci l’uno verso l’altro è un’assurdità, come fa a saperlo, ti porterà incontro o il dovere o il sacrificio o l’egoismo, ah tua moglie si comporta così? ma mandala a ramengo! E allora cosa ho risolto? Tua moglie si comporta così, ah è perché sei troppo egoista! Cosa ho risolto? Nulla! quindi secondo me, c’è giustamente, ed è questa la cosa bella, la percezione che noi ci lasciamo troppo ricattare dai sensi di colpa e dai sensi di rabbia, i sensi di colpa li sentiamo, i sensi di rabbia noi viviamo in due matrici fondamentali dia addomesticamento dell’uomo: quella più antica si chiama l’addomesticamento clericale e quella più moderna si chiama l’addomesticamento borghese, però sia il clero sia la borghesia conoscono nei confronti dell’individuo solo l’addomesticamento. E quando è stato addomesticato dalla chiesa e dallo stato salta fuori un essere pieno di problemi, che crea attorno a sé soltanto problemi, ed è questo il sociale che abbiamo, perché i problemi si risolvono soltanto godendo, vivendo sempre di più le sfere, gli spazi della libertà, allora sorge gioia, sorge pienezza, sorge il godere pienamente dell’esistenza, invece di spargere attorno a noi dei problemi spargiamo risoluzioni dei problemi. Quindi dicevo il pensare supera le unilateralità insite nell’agire, e nel pensare, nella coscienza io posso dedicarmi a te per amore di me, e posso sempre dedicarmi a me, fare qualcosa per me per amore di te.
(IX,31) Di fronte a queste considerazioni, i difensori delle norme morali generali potrebbero forse obiettare quanto segue: Se ciascuno ha il diritto di vivere a suo modo e di fare ciò che gli piace, non c’è più differenza fra buona azione e delitto; qualsiasi birbanteria, furfanteria che sia in me ha uguale titolo ad estrinsecarsi che l’intenzione di servire al miglioramento universale. Per me, come uomo morale, non deve valere di norma la circostanza che io abbia preso in considerazione un’azione seguendo un’idea, ma l’esame per vedere se essa è buona o cattiva. Soltanto nel primo caso la compirò. {Se è buona, e allora restiamo col problemino di spiegarci cosa rende buona un’azione, sotto quale condizione un’azione è buona?}
(IX,32) A tale obiezione, ovvia, {ovvia per la casta clericale e borghese}, ma proveniente soltanto da incomprensione di quanto qui si è detto, la mia risposta è questa: chi vuol conoscere la natura del volere umano, deve distinguere tra la via che conduce il volere fino ad un determinato grado della sua evoluzione, e la peculiare forma, la speciale forma, che il volere assume quando si avvicina a questa meta. Sulla via, {quindi nel percorso prima di arrivare a quel punto}, verso questa meta le norme hanno legittimamente la loro parte. {Chi non è ancora capace di agire a partire dalla sorgiva della libertà, gli resta di agire per norme sennò rimane in aria, quindi Steiner non è che sta dicendo che esiste soltanto l’agire per intuizione morale, lui dice che fino a un certo gradino della moralità si agisce seguendo norme, quando si va oltre si costruisce su questa sfera delle norme che diventa sempre più esile, l??abbiamo detto, una sfera nuova che non conosce norme, le inventa, e inventandole non sono norme, son sempre nuove, sono intuiti sempre nuovi.} La meta consiste nel raggiungimento di scopi morali concepiti in modo puramente intuitivo. L’uomo li consegue nella misura in cui ha la capacità di elevarsi, in generale, all’intuitivo contenuto ideale del mondo. {Perché è dotato di pensare, in fondo cosa stiamo facendo noi adesso in tutto il tempo? Stiamo esprimendo pensieri, quindi la facoltà del pensare ?? la capacità di assurgere al livello che dice io mi trovo in questa situazione cosa faccio? non ho bisogno di ricorrere a una norma, a un’autorità fuori di me che mi dica cosa devo fare, non esiste qualcosa che devo fare, invento ciò che io voglio fare in questo momento. E allora subito l’obiezione è: ma quello che tu ti inventi è soggettivo, è arbitrario e quindi sarà di necessità egoistico e quindi sarà moralmente non buono! Andiamoci piano. L’uomo li consegue nella misura in cui ha la capacità di elevarsi, in generale, all’intuitivo contenuto ideale del mondo.} Nel volere singolo, oltre il volere e la molla, per lo più altro ancora si mescola a quegli scopi. L’intuizione, però, può avere ugualmente, nella volontà umana, un valore determinante o concomitante alla determinazione. {In altre parole l’essere umano è capace di intuire, quindi di concepire creandole azioni, modi di comportarsi che prima non ci sono mai stati. Perché devo mai ripetere io in quello che farò ora qualcosa che è già stato fatto? Posso inventare un comportamento, un’azione del tutto nuova, e gli esseri umani nel passato non è che tutti e sempre hanno fatto la stessa azione, sono sorte azioni sempre nuove, ogni volta che è sorta un’azione nuova è sorta dall’individuo che l’ha creata. Quindi è chiaro che noi supponiamo che c’è nell’individuo umano la capacità di concepire, di progettare azioni nuove che non ci sono mai state; ognuno di noi ha la capacità ed è libero, è capace in questo momento dove si pone la domanda cosa faccio? ha la capacità e anche il diritto di inventarsi un’azione nuova che non c’è mai stata. E se qualcuno ritiene che debba essere per forza in disarmonia con tutto quello che c’è stato, tocca a lui dimostrare che deve essere per forza in disarmonia. Dopo tutta la serie degli animali, tutte le forme animali sorte una dopo l’altra fino alla scimmia, il Creatore, colui che ha creato tutte queste forme, dice dopo la scimmia: mò che faccio? e inventa qualcosa del tutto nuovo che noi chiamiamo l’uomo. Adesso siccome l’uomo è tutto diverso da tutto quello che c’era prima è in disarmonia? È una contraddizione? No, è soltanto qualcosa di nuovo, quindi non per il fatto che io compio un’azione che prima non c’è mai stata, non per il fatto stesso deve essere in disarmonia con tutto quello che c’è stato, è soltanto nuova. Cos’è allora la paura di fronte a un mondo nel quale ognuno fa quello che vuole? la paura consiste nel fatto che ogni potere va a ramengo, e questa paura è giusto che ci sia, e più diventa grossa e meglio è, perché il potere non è meglio della libertà, ma soltanto il potere può aver paura di fronte a esseri umani dove ognuno fa sempre di più ciò che genuinamente vuole. E salta fuori che non è distruttivo, non è contradditorio, arricchisce l’umanità all’infinito e rende coloro che agiscono in libertà sempre più felici, vivono sempre più in pienezza. Quindi l’unico ad avere paura e a tacciare di immoralità questa variabilità all’infinito dell’umano, dove ognuno fa cose del tutto diverse perché le crea nella sua fantasia, l’unico ad averne paura è il potere, che vuole soggiogare gli esseri umani e vuole fargli fare quello che vuole lui. E la persona libera dice no, io faccio quello che voglio io, allora io i soldi non te li do, tieniteli! I soldi ce li ha quel poveraccio in canna che non ha le idee, perché chi ha buone idee ha bisogno di un minimo di soldi e gli altri glielo sbatte in faccia a quello che non ha idee, perché poveraccio se non ha idee abbia almeno i soldi! La meta consiste nel raggiungimento di scopi morali concepiti in modo puramente intuitivo. L’uomo li consegue nella misura in cui ha la capacità di elevarsi, in generale, all’intuitivo contenuto ideale del mondo. Nel volere singolo, oltre il volere e la molla, per lo più altro ancora si mescola a quegli scopi. L’intuizione, però, può avere ugualmente, nella volontà umana, un valore determinante o concomitante alla determinazione. Adesso arrivano delle frasi molto importanti:} (IX 32) Quello che si deve, si fa; si diviene il campo sul quale il dovere diventa azione; azione propria {invece} è quella che si lascia scaturire come tale da noi stessi. Qui l’impulso può essere soltanto assolutamente individuale. {In altre parole, supponiamo che ci sia qualcosa che una persona deve fare, ma il dovere è qualcosa da farsi; posso io creare, concepire liberamente, creativamente il dovere? no, il dovere è già precostituito sennò non sarebbe un dovere, quindi il dovere è un pensato di un altro, e a me resta soltanto di farlo, perché pensarlo l’ha fatto l’altro. Quindi quando una persona agisce per dovere, toglie via dalla moralità il pensare, e si riduce a fare, quindi se agisce per dovere è soltanto un esecutore e non un pensatore, quindi il dovere sono pensieri fatti da altri, imposti a quello che deve agire per dovere, questo è il senso di questa frase, perché anche in tedesco molti si scontrano con questa frase, non capiscono cosa vuol dire ... ciò che si deve lo si fa, posso io inventare a livello del pensare il dovere? no, se lo invento io creativamente non è un dovere, è un volere che sto creando io. Quindi l’elemento di non libertà dell’agire per dovere è che tutta la sfera del pensiero viene lasciata a un altro, il dovere è un’azione individuata da un altro e imposta a me che la devo eseguire. Quel che si deve si fa, io divento il campo su cui il dovere diventa azione, divento una macchina, divento un automa. Invece azione propria, un’azione mia è quella che si lascia scaturire, che io lascio scaturire come tale da me stesso. Qui l’impulso può essere soltanto assolutamente individuale.} E, in verità, solo un atto volitivo sgorgante dall’intuizione può essere un atto individuale. Che l’azione di un delinquente, che il male venga chiamato un??estrinsecazione dell’individualità nello stesso senso di un atto che prende corpo dall’intuizione pura, è possibile solo quando gli impulsi ciechi, gli istinti, vengano ascritti all’individualità dell’uomo. {Ma l’istinto è ciò che è minimante individuale, è ciò che è massimamente generale nell’uomo, l’istinto è uguale in tutti, l’intuizione è diversa in ognuno}. Ma l’impulso cieco che spinge al delitto non nasce dall’intuizione e non appartiene a ciò che è individuale nell???uomo, bensì a quanto in lui vi è di più generale, {fa parte della natura umana non di me in quanto individualità libera pensante}, e da cui l’uomo si trae fuori col lavoro del suo elemento individuale. L’individuale in me non è il mio organismo coi suoi impulsi e i suoi sentimenti, ma il mondo unitario delle idee che risplende in questo organismo. I miei impulsi, i miei istinti, le mie passioni albergano in me soltanto per il fatto che io appartengo alla specie generale uomo; la circostanza che in questi impulsi, in queste passioni e sentimenti si estrinseca un elemento ideale in un modo particolare, crea la mia individualità. {Quindi io sono una individualità unica nel pensare che crea, non sono una individualità unica negli impulsi corporei, gli impulsi corporei ce li ho in comune, non sono miei, sono della natura umana, ce li ho in comune con tutti gli esseri umani}. Per i miei istinti e impulsi io sono un uomo come se ne trovano dodici per dozzina; per la particolare forma dell’idea attraverso la quale, entro la dozzina, mi designo come un io, sono un individuo. Per la differenza della mia natura animale, solo un essere a me estraneo potrebbe distinguermi dagli altri; per il mio pensare, cioè per l’attivo riconoscimento dell’elemento ideale che vive nel mio organismo, mi distinguo io stesso dagli altri. {Creo io stesso un mondo che è tutto individuale nel mio pensare, che è del tutto individuale e che mi distingue in assoluto da ogni altro essere umano}. Dell’azione del delinquente non si può affatto dire che derivi dall’idea. Anzi, è proprio la caratteristica delle azioni delittuose di derivare dagli elementi extraideali dell’uomo.
(IX,33) Un’azione viene sentita come libera in quanto la sua causa provenga dalla parte ideale del mio essere individuale; ogni altra parte di un’azione, che venga eseguita sia per forza di natura, sia per costrizione di una norma morale, viene sentita come non libera.
Perché non viene da me, viene dalla natura in me, o viene da altri esseri umani, da autorità fuori di me che hanno stabilito delle norme con l’intento di soggiogarmi a queste norme. Riprendiamo adesso la riflessione fondamentale sul dovere, qui sul paragrafo 32 diceva: Quello che si deve si fa, e ritorniamo alla domanda ma allora non c??è il dovere? non c’è nulla che l’essere umano deve? Sì e no, se dico sì c’è il dovere, allora semplicemente ci rimangeremmo tutto il discorso sulla libertà; se dico no, non c’è il dovere andremmo subito dalla parte del libertinismo, sarebbe come se tutto va bene non c’è nessun… Allora diciamo sì e no, il discorso adesso va approfondito, e il modo migliore forse di approfondire il dovere che c’è e non c’è, che non c’è e che c’è, è quello di fare una riflessione sul bene comune. Adesso abbiamo complessificato maggiormente le cose e possiamo riprendere una riflessione sul bene comune a un livello un pochino più complesso, che allora dovrebbe diventare più convincente, più complesso e più centrale allo stesso tempo, perché il polo necessario alla complessità è la semplificazione. Cose semplici senza la complessità sono ingenue, cose complesse senza la semplificazione sono erudite, e il respiro del pensiero è l’analisi, saper complessificare quindi non andar per sommi capi ma analizzare, e poi la sintesi ricrea una prospettiva unitaria, però la sintesi tende a semplificare troppo, l’analisi tende a complessificare troppo. Quindi il respiro del pensiero è proprio questa dinamica, questa tensione giusta da un’analisi che non si perde all’infinito ma ritorna nella sintesi, è una sintesi che non fa astrazioni stratosferiche e ritorna nell’analisi, e in questo respiro il pensiero si evolve sempre maggiormente. Cos’è il bene comune? Il bene comune è il dovere, contribuire al bene comune è dovere di ognuno. (Ritornando al pensiero dell’inizio, ve lo dico soltanto tra parentesi in modo che facciamo questo esercizio di pensiero in concomitanza, dicevo all’inizio che il bene comune è convincente soltanto quando io mi occupo del bene comune per amore di me, e l’amore di me è giusto soltanto quando mi occupo dell’amore di me in vista del bene comune, è un’altra variazione di quello che dicevo all’inizio, tenete presente questo perché il pensiero deve fare sempre la sintesi tra le polarità, altrimenti ugualmente parziale come l’azione l’uomo si vive sempre frammentato, si vive sempre frazionato). Il bene comune è il dovere, e ora ci chiediamo qual è il bene di tutti? Il bene comune è dove tutti stanno bene, ci sono due concetti fondamentali opposti l’uno all’altro del bene comune. Il concetto dell’autorità, il concetto del potere che il potere ha del bene comune è che il bene comune è il fine, lo scopo della morale, quindi tu devi contribuire, sei moralmente buono nella misura in cui contribuisci al bene comune, perché il bene comune è il fine. Quindi questo concetto del bene comune pone il bene comune lo intende come fine, allora quando il bene comune, quello che è il bene di una comunità, di una chiesa, di uno stato, quando il bene comune è inteso come fine diventa il tutto della morale, tu sei buono nella misura in cui concorri al bene comune, altro non c’è, e sei moralmente cattivo nella misura in cui ledi, distruggi o prevarichi il bene comune. Allora di fronte a questo bene comune che è il fine io sono strumento, io devo contribuire al bene comune, sono fatto per il bene comune, tutto in me deve tendere al bene comune. Sentite la rabbia che sorge perché in fondo mi si dice tu sei uno strumento, devi concorrere al bene comune, quindi l’individuo dice a se stesso io sono fatto per contribuire al bene comune e di fronte all’altro dice tu lo prende per il collo devi contribuire al bene comune, non tu sei importante, la chiesa ?? importante. Secondo concetto fondamentale del bene comune è l’opposto: il bene comune è lo strumento non uno scopo, è un mezzo, è una condizione necessaria per il bene morale, è uno strumento, una condizione necessaria per il bene morale e il bene morale non è mai un bene comune. L’unico bene morale che esiste è la pienezza individuale di ogni essere che è diversa in ognuno, solo quello è il bene morale, ciò che è comune è lo strumento, è il mezzo per arrivarci. Il bene comune è quell’assetto di cose, quel tipo di organizzazione, quel tipo di interazione fra gli esseri umani che permette a ognuno il massimo di libertà individuale, questo è il bene comune, ed è bene comune perché a ognuno, a tutti è concesso, è permesso, è reso possibile il massimo di libertà individuale. Quindi il massimo del bene comune è dove viene reso possibile il massimo di creatività individuale, per ognuno perciò è il bene comune. Allora cosa io devo nei confronti dell’altro? Devo fare tutto il necessario perché lui abbia la possibilità di vivere il più liberamente possibile, quindi l’unico dovere che io ho verso la comunità, che io ho verso l’altro è di fare tutto il necessario, tutto ciò che io posso fare perché lui possa vivere il più possibile nella libertà, perché quello è il bene morale, la creatività dello spirito umano, la libertà, l’amore, libertà e amore è la stessa cosa. Il bene comune inteso come mezzo, come strumento, come condizione necessaria è quell’assetto di cose, quel tipo di comportamento, quel tipo di interazione fra esseri umani, quel tipo di organizzazione dove si diventa organi gli uni per gli altri, si crea un organismo che permette ad ognuno di esplicare al massimo il bene individuale. Quindi concedergli la massima libertà per ciò che è intuitivo, per ciò che è libero, per ciò che è intriso di amore. Il sommo bene comune è quello di darci a vicenda, tutti a vicenda il massimo di libertà, renderla possibile
I. per cui questo dovere diventa un volere
A. eh certo è quello che il mio essere vuole, perché la libertà individuale non è qualcosa che devo, è la cosa che più amo, non si può dovere la libertà, perché allora finisce di essere libertà, la si può soltanto volere amandola. Il bene comune c’è o non c’è? sì e no, questo sì e no è perché ci sono due concetti fondamentali che si oppongono a vicenda di concepire il bene comune, il bene comune inteso come fine: importante è il fiorire della ditta, il bene comune è una ditta che faccia profitti sempre maggiori, e tu sei buono nella misura in cui concorri al bene comune, cos’è il bene comune poi? I soldi che intasca il capo! Qual è il bene comune in una ditta?
I. potrei dire cosa era per me, perché sono rimasta scioccata, io speravo col mio modo di lavorare a fare in modo che il nostro modo di lavorare diventasse un piacere di lavorare individuale, che diventava un nostro modo di lavorare, che potesse influire gli altri servizi, che lavorano male, a lavorare bene anche loro ed avere una sinergia del nostro servizio, e che il cittadino, l’utente avesse la possibilità di aver le cose più semplicemente in meno tempo, e di essere accompagnato a capire le cose in modo che tutti fossero anche contenti di venire a lavorare e l’utente contento del servizio
A. e tu quello lo chiami il bene comune
I. no, chiamo quello che speravo per il mio lavoro, rispetto alla realtà del lavoro che faccio, qualcosa è successo perché molte cose sono migliorate ma ci sono ancora problemi. Il bene comune è irrealizzabile
A. una delle descrizioni più belle di ciò che io ho chiamato l’addomesticamento dell’essere umano, perché funziona nel modo migliore quando l’individuo non si accorge che si fa di tutto per addomesticarlo, allora funziona nel modo migliore, comunque io nella tua ditta puoi star sicura che non ci verrò mai, quello che tu hai raccontato è di una noiosità tale che io scappo, c’è di meglio che non impiegare tutte le sue forze per migliorare il clima di lavoro in una ditta dove prima non c’era mai il caffè, adesso abbiamo conquistato cinque minuti di caffè, e gli esseri umani si accontentano che finalmente hanno conquistato, le grosse conquiste sociali, cinque minuti di caffè
I. poverina non voleva dire questo
A. ma è questo che ha detto, certo che non lo voleva dire, il problema è che noi non conosciamo altro, quello che in un ambito sembra grosso, naturalmente io sto parlando per metafore, se tu esci dall’ambito, tutto l’ambito è una cosa piccola, il problema è che l’ambito si restringe sempre di più perché c’è sempre più povertà interiore questo è il problema
I. può esserci un caso in cui il dovere e il pensato sia della stessa persona?
A. quando il bene comune è inteso non come fine, e l’individuo come strumento che contribuisce a questo bene comune, ma si invertono le cose. L’individuo nella sua creatività è il fine, e il bene comune esiste nella misura in cui concorre, rende possibile questa esplicazione della libertà dell’individuo, quando il bene comune è concepito, quando ognuno riceve il massimo bene che è quello di rendergli possibile l’esplicazione di ciò che è individuale, libero e intriso di amore l’intuizione individuale aggiunge una dimensione del tutto nuova, mondi individuali, il bene comune consiste soltanto nell’evitare -e evitare liberamente perché più si gode questo bene individuale che è la libertà e più si vogliono evitare le azioni che precludono questa libertà. Quindi il bene comune è la somma di quelle azioni che vengono da tutti evitate per permettere il massimo di libertà individuale. Quindi il bene comune è ciò che ognuno ha il diritto di pretendere dall’altro, che cosa ho diritto io di pretendere dall’altro? a che cosa ho diritto io dall’altro? l’unico diritto che ho è che mi lasci in pace! e l’unico diritto che ha lui nei miei confronti è che io lo lasci in pace, nella misura in cui io mi godo la creatività del mio essere lo lascio in pace, ho abbastanza da fare, e ciò che ho da fare è così bello, frammenti di pienezza una dopo l’altra. E perciò queste riflessioni culminano alla fine del paragrafo (IX,36):
(IX,36) Un malinteso morale, un urto, è escluso fra uomini moralmente liberi. Solo l’uomo moralmente non libero, che segue l’impulso naturale o il comandamento del dovere, respinge il suo prossimo, quando questi non segue lo stesso istinto o lo stesso comandamento. {A questo punto qui viene la frase più famosa della filosofia della libertà}: Vivere nell’amore per l’azione, {ancora meglio vivere nell’amore per l’agire} e lasciar vivere {l’altro} nella comprensione della volontà altrui, (in tedesco sarebbe più giusto tradurre nella comprensione della volontà estranea alla mia), ciò che l’altro vuole nella sua libertà individuale mi è estranea, io non sono l’altro, in altre parole ciò che l’altro individuo crea, sarebbe come dire che il rene vuol sindacare su quello che fa la milza, no, il rene in fatto di milza non ne sa nulla e la milza in fatto di rene non ne sa nulla. Quindi questo rispettare la libertà dell’altro significa capire che i mondi che sprigioneranno fuori dalla libertà individuale dell’altro, io li posso cogliere soltanto per percezione, man mano che li tira fuori e li rende percepibili. Quindi parto dal concetto che il dovere individualizzato nell’altro è estraneo al mio, e va solo rispettato, cosa il suo spirito libero vuole lo può sapere soltanto lui, e non può altro che volere cose del tutto diverse da quelle che vuole il mio io perché è un altro spirito, un’altra pasta. (IX,36) Vivere nell’amore per l’agire e lasciar vivere nella comprensione della volontà {estranea alla mia} è la massima {morale} fondamentale degli uomini liberi .
Quindi tutte queste riflessioni vanno in questa direzione qui, quindi più una persona è libera e meno esige dagli altri, l’unico dovere nei confronti dell’altro è di creare le condizioni perché possa respirare, altri doveri non ne esistono. Non sa vivere nella libertà, è un problema suo non è mica mio, io mica posso gestire la sua libertà, posso gestire la sua libertà soltanto imponendogli un dovere, ma questo non è una risoluzione di un problema è un raddoppiare un problema. Quindi cerca una gestione dal di fuori soltanto colui che non sa gestirsi, e colui che sa gestirsi non ha bisogno di una gestione dal di fuori. Ripeto la domanda qual è il bene comune? C’è soltanto un bene comune ed è quello di rendere possibile il bene individuale; il bene comune resta non realizzato nella misura in cui non sfocia nel bene individuale, e si realizza soltanto nel realizzare il bene individuale, perché allora il mezzo raggiunge il suo fine, il suo scopo. Quindi tutto ciò che è comune fa da base a ciò che è individuale, e il fatto morale, il bene e il male, il bene è l’attualizzazione, la realizzazione della creatività libera dell’individuo, e il male morale è soltanto la non realizzazione di questa creazione libera. Voi direte però è male morale anche una comunità, una dittatura che la proibisce, che la rende impossibile, nessuna istanza esterna può impedire all’uomo di essere libero. La sua libertà la può soltanto creare lui o la può soltanto omettere lui, e solo questo ometter è un male morale, perché il male non è qualcosa è sempre la carenza di un bene, perché se il male fosse qualcosa sarebbe un bene, male morale è soltanto la carenza di libertà e di amore, non è qualcosa di reale, il male morale sono i buchi, i vuoti del bene possibile offerto all’essere umano. Il delinquente perché si ribella? Si ribella al bene comune, perché diventa delinquente? Perché non ha mai fatto l’esperienza del bene individuale, perché se facesse l’esperienza del bene individuale, della creatività, della libertà e dell’amore lascerebbe di essere delinquente. E allora chiediamoci che cosa fa sì che il mondo sia pieno a tutt’oggi di persone che questa sfera dell’individuale, della creatività piena di libertà e piena di amore dell’individuo, non sia stata quasi mai sperimentata, quali sono le cause? È perché il pensiero non l’ha ancora conosciuta, quindi si tratta di cammini di pensiero da recuperare, da fare ed è perché l’esperienza, l’agire non ha mai fatto questa esperienza della libertà individuale. E perché la collettività non mi fa conoscere, e non mi fa sperimentare ciò che è individuale? Perché ciò che è individuale lo posso creare soltanto io, non posso pretenderlo dalla comunità, perché la comunità è il non individuale. Quindi la mia comunità, la situazione in cui mi trovo non è fatta per farmi felice, nulla dal di fuori può farmi felice, tutto ciò che è fuori di me è buono al massimo quando mi lascia libero, mi lascia in pace. Ma creare questa sfera, questo mondo positivo di pensieri, di atti di amore, di azioni concepiti intuitivamente è un lavoro che devo fare io, quindi la maggior parte degli esseri umani sono scontenti in base a peccati di omissione. L’unica cosa che c’è da fare è di dire: datti una mossa! È un dovere? devi darti una mossa, no, non funziona! Gli diamo un calcio nel sedere? No, non funziona! Che cosa aiuta a darsi una mossa? La scontentezza che si vive quando non me la do una mossa! Quindi è il dolore che al massimo aiuta l’uomo, ora il dolore si manifesta nel delinquente, si manifesta nel depresso, si manifesta nell’aggressivo, è il dolore della persona che si sente non realizzata, ed è perché vorrebbe essere realizzata dagli altri, e in questo tentativo di venir realizzata dagli altri, siccome dobbiamo ogni volta venire delusi perché la realizzazione del mio essere non può mai venire da fuori sorge la sofferenza, sorge la depressione, sorge il dolore, sorge la rabbia finché l’individuo arriva a capire: io sto pretendendo dal di fuori ciò che posso creare soltanto io. Voglio smetterla con questo dolore? voglio smetterla con questa sofferenza? voglio smetterla di star così male? datti una mossa, e se mi do una mossa comincia a funzionare. Quindi l’umanità si trova a questa soglia dove le nostre società – per lo meno società di stampo occidentale – hanno creato una certa base c’è da mangiare, c’è da bere se tutte le energie vanno impiegate per il mangiare e per il bere non resta nulla di energie per creare questa base, quindi siamo a un punto della società dove l’individuo se vuole darsi una mossa ha la possibilità di farlo, quindi la scontentezza, il dolore, le depressioni non vengono dal fatto che all’individuo manca la base necessaria per la creatività individuale, i grossi problemi vengono dal fatto che pur essendo tutto presente ciò che sarebbe necessario come base per la creatività individuale, questa creatività individuale non viene afferrata, non viene esercitata, perché non è conosciuta
I. non si sa che esiste
A. non si sa che esista e tieni presente che il potere non vuole che tu la conosca
I. perché quello che dici è vero, però tu ti accorgi davvero che la maggior parte di persone non sanno che esiste tutta questa possibilità di evoluzione, di conoscenza, ma in buona fede credo, cioè è ignorato questo mondo, ci si ferma a quello che ti da’ la morale comune e soffri ma non conosci una via d’uscita
A. quindi il senso dei nostri incontri è di rispondere alla domanda: perché tanti esseri sono scontenti? Perché non sanno perché sono scontenti, e sono scontenti non per quello che c’è, ma per quello che manca, questo è l’intuito fondamentale che cerchiamo di sviscerare sempre di nuovo da tutte le parti e che non va sottovalutato, perché se l’individuo non capisce questa cosa fondamentale dovrà continuare a soffrire, soffrire, soffrire, e allora o diventa depressivo, o diventa aggressivo e il sociale diventa sempre più difficile, perché avremo una marea crescente di persone scontente, non realizzate
I. che prendono antidepressivi
A. in Germania già a partire da otto, nove anni, cose allucinanti, un bambino di dieci anni che deve prendere antidepressivi, ma ci rendiamo conto che aberrazione collettiva?
I. due osservazioni, la prima è che questa situazione di possibilità nella sofferenza di tanti di noi, questa possibilità però ha dietro l’addomesticamento, questo addomesticamento appunto crea situazioni individuali che poi hanno due alternative o nel blocco della sofferenza reagire per trovare una soluzione creativa oppure mollare tutto e dire questa vita io non ce la faccio a trovare delle possibilità, la mollo e me ne vado
A. oppure situazioni intermedie la bottiglia ecc.
I. sì, fino a che poi si arriva man mano a una deprivazione di quella libertà. come principio ci sta questa riflessione generale ma poi nell’individuale le situazioni sono molteplici e molto individuali, per cui poi ognuno si da’ la soluzione in merito, se incontra magari questa esperienza della scienza dello spirito ci entra e trova delle vie di uscita bene, altrimenti man mano bisogna vedere che cosa crea, che cosa inventa. Quindi è realizzare questo laddove in tanti individui ci sono le possibilità ma poi non si riesce a trovare in un modo o nell’altro delle soluzioni e allora ci può essere una scelta o un’altra o quella estrema, oppure la creatività che si sveglia con quel minimo di risorse che quell’individuo ha, e allora da lì può piano piano venir fuori. Un’altra cosa mi permetterei l’applicazione di questa regola di crescere all’interno della comunità, di crescere nella libertà individuale, all’interno anche del nostro gruppo di riflessione il valore individuale dei vari interventi, nel senso di lasciar sì che ognuno possa comunicare, e certe volte come è successo questa mattina mi è sembrato che qualcuno che aveva lì l’impulso, il pensiero di comunicare è stato deprivato perché la maggioranza ha detto no, ma se possibile quel valore individuale, di quell’intervento deve avere il suo spazio, perché magari è l’unico intervento di quella persona, mentre alti di noi intervengono più volte per un tempo ampio, e questo può non favorire la comunicazione di chi vuol dire una sola parola, quella volta lì dove la maggioranza dice no, tu non devi! Capisco magari alla fine dell’incontro quando andiamo a mangiare, però quando il tempo c’è, nei limiti del possibile, faccio presente questa esigenza individuale che è importante
A. proposta di legge, facciamo di ogni riunione che dura due ore, facciamo duecento ore in modo che ognuno abbia lo spazio per parlare tanto quanto il relatore, siete d’accordo? Quello che tu dicevi è bellissimo, manca assolutamente di realismo e a esperienza di gestione il più che si può di libertà ne ho, ho decenni di esperienza alle spalle, quello che tu dici è bellissimo ma non è realistico, perché tradurlo in pratica onestamente significherebbe avere a disposizione almeno venti volte più tempo ogni volta. Leggiamo fino alla fine.
(IX,33) Un’azione viene sentita come libera in quanto la sua causa provenga dalla parte ideale del mio essere individuale; ogni altra parte di un’azione, che venga eseguita sia per forza di natura, sia per costrizione di una norma morale, viene sentita come non libera.
(IX,34) Libero è l’uomo quando in ogni momento della sua vita è in grado di ubbidire a se stesso, però ubbidire a se stesso in italiano non è, seguire se stesso, di ascoltare se stesso. Un’azione morale è una azione mia soltanto se può, in questo senso, dirsi libera. Qui, in un primo tempo, si considerano i presupposti secondo i quali un’azione voluta viene sentita come libera; in quel che segue, {che segue poi}, si vedrà come questa idea, di libertà, concepita in modo puramente etico, si attivi nell’entità umana.
(IX,35) L’azione {compiuta} secondo libertà non esclude ma include le leggi morali: questa aria di libertà individuale include, presuppone come conditio sine qua non il dovere comune, il bene comune, e il bene comune è ciò che si deve, io l’ho ridotto all’osso il bene comune. L’unico bene che abbiamo tutti in comune è che ognuno possa essere lasciato in pace il più possibile, ma questo va fatto, dobbiamo tutti fare tutto il possibile perché ognuno trovi spazi più possibili per esprimersi a livello artistico, creativo, individuale. Quindi la sfera della libertà individuale presuppone come conditio sine qua non, che questa libertà individuale venga resa possibile, perché se non è resa possibile non si può realizzare. Quindi una libertà individuale non è senza condizioni, ha condizioni ben precise, e la condizione complessiva è quella di imparare l’arte del sociale, di concedersi a vicenda il massimo di libertà. Quindi l’essenza dell’amore è di rendere la libertà dell’altro massimamente possibile. Come voglio io essere amato dall’altro? come intendo io l’amore dell’altro verso di me? Che mi metta a disposizione, che mi dia tutto il necessario perché io possa vivere massimamente nella libertà, perché vivere nella libertà senza strumenti, prendiamo i soldi per esempio, non esiste un vivere pienamente in libertà senza un minimo di soldi, se l’altro me li mette a disposizione farò di tutto per darti tutti i soldi necessari perché tu possa esplicare al massimo la tua libertà individuale, allora sì che mi ama. Ma mi può amare soltanto amando la mia libertà, quindi amare significa sempre e solo amare la libertà dell’altro, perché è la sua essenza, quindi il bene comune, ciò che ci dobbiamo a vicenda e che quindi è veramente un dovere, è di proibirci tutte le azioni che infrangono la libertà dell’altro. Quindi il proibito è tutto ciò che invade l’area dell’altro, ognuno deve proibirsi tutte le azioni che invadono la libertà dell’altro. e nella misura in cui lo facciamo va tutto bene, poi l’altro omette la sua libertà è tutto scontento, sono veramente problemi suoi, a quel punto lì io non ho altri doveri, perché allora dovrei cominciare a gestire io la sua libertà e allora la mando veramente a ramengo. Quindi in un certo senso ci stiamo dicendo che abbiamo ancora un società di bambini, il bambino è l’essere umano che non è ancora capace di gestirsi da sé dal di dentro, quindi la nostra socialità è una gestione reciproca all’infinito, quindi un infrangere la libertà a tutti i livelli perché siamo bambini, e a quel punto lì non può essere contento nessuno, perché ci soffochiamo a vicenda in continuazione. Facciamo una pausa.}
Chi ha qualcosa da dire?
I. volevo fare solo due brevi considerazioni sul concetto di bene comune, combinazione ma certo non è un caso ovviamente, ho letto proprio oggi la seconda conferenza di quel librettino che hai fatto vedere ieri sul Cristianesimo agli operai, e Steiner proprio rivolgendosi agli operai parla dell’organismo umano, quindi rende accessibili le conferenze sulla medicina che facili non sono, come possiamo andare al di là della concezione del bene comune che ha il potere? Perché quello a me preme, il modo migliore forse è proprio quello di fare sempre riferimento all’organismo umano che è una cosa che abbiamo tutti. E come nell’organismo umano ci sono vari organi che devono andare in sinergia, forse questo da’ la differenza fra il concetto di gruppo, che è un concetto che potrebbe ricordare il vecchio concetto degli indiani americani che avevano la tribù, quindi questo concetto di indifferenziato, un gruppo di persone indifferenziato, mentre invece l’organismo è importante perché ciascuno fa e deve fare quello per cui è adibito. Allora quando l’organismo si ammala, e lì vado nella seconda considerazione che volevo fare, e mi chiedevo il nostro gruppo in cui siamo adesso è un organismo secondo me in questo momento, per allacciarmi alle considerazioni che venivano fatte prima, questo organismo stamattina stava iniziando ad ammalarsi, cioè dobbiamo chiederci qual è il bene comune di questo organismo, è che ognuno di noi si esprima secondo qualunque tipo di criterio, che dia spazio a ogni impulso che gli viene, che faccia viaggiare il corpo astrale, che faccia viaggiare la pancia? Oppure che impari che ognuno di noi, a partire da me, impari a intervenire primo quando ha qualcosa da dire di compiuto magari, e in secondo luogo farlo nella maniera più sintetica possibile. Quindi avendo detto questo io devo chiudere l’intervento dicendo soltanto che stamattina secondo me questo organismo stava iniziando ad ammalarsi, perché aveva preso spazio un caos, che giustamente a un certo punto è stato riportato all’equilibrio.
A. è complessa la cosa che dici, mi vengono in mente mille cose sto cercando quale prendere, posso fare un paio di considerazioni estemporanee, che vi dicono cosa vive uno che vi sta davanti e deve un pochino gestire questo organismo, perché l’organico è molto più complesso che non il potere, perché il potere tende all’uniformità, a creare soldati, tutti con l’uniforme uguale. Invece nell’organismo c’è una unità, ma una unità che risulta da una molteplicità da una variazione infinita, e quello lo rende molto più complesso. Nell’insieme la gestione, prima di tutto c’è questa polarità tra, se siamo d’accordo c’è un accordo tacito, in Germania molto più sacro che in Italia, e l’accordo tacito è facciamo due parti, nella prima parte parla uno e parla in vista della seconda parte, allora gli si da’ la possibilità di svolgere un filo di pensiero che però è coerente soltanto se non viene spezzato continuamente. Però questo filo di pensiero deve essere non l’espressione di dogmi da prendere e portare a casa, ma serve all’organismo soltanto se è fatto in un modo tale da suscitare in più persone possibili pensieri propri, e la seconda parte dopo la pausa è fatta per dare spazio a più persone possibili perché si esprimano. Ora, non sempre è facile neanche per il relatore, perché quando le cose diventano molto difficili, lui stesso tende a interloquire per articolare cose difficili e allora chi ascolta si sente interpellato e prende la parola nella prima parte. Pedagogicamente c’è e in Germania e in Svizzera funziona, io dico nell’insieme lasciamo la briglia sciolta la prima la seconda seduta, in modo che l’assemblea si arrabbia a un punto tale che non sente mai un pensiero che si svolge netto, e allora di fronte a tutti questi interventi a questo caos un’arrabbiatura tale per cui l’assemblea dice no allora noi nella prima parte vogliamo far parlare l’oratore. Se io invece già nella prima seduta dittatorialmente impedisco alle persone allora non è convincente, perché la reazione dice: ma allora quello ha paura che gli altri contestino ecc. quindi se tutto va bene io dico vabbé la prima, la seconda volta lasciamo un po’ più a briglia sciolta, nella speranza che la maggior parte si fa sentir e dice no, no, no adesso aspetta, lascialo parlare dopo nella seconda parte
I. nei migliori consigli di amministrazione americani, grandissime società dove vengono svolti forse anche i destini del mondo, è stata creata la formula del … ognuno può dire anche le peggiori sciocchezze, alla fine della riunione sorgono sempre le decisioni che governano il mondo, quindi probabilmente dalla mia sciocchezza, dalla mia ignoranza può saltar fuori un’idea vincente, sarà poi alla fine il relatore a sommare il pensiero anche slegato e portarlo sul binario dell???insegnamento che ci vuol trasmettere, è chiaro questo? Non si può essere tutti così preparati, siamo tutti a vari livelli e quindi ognuno da’ il suo contributo, ma se tu mi tarpi subito le ali
A. no, no il nostro vero peccato che abbiamo tutti in comune, il peccato originale degli esseri umani è quello dell’intolleranza, e si tratta sempre di superare l’intolleranza praticando quindi esercitando la tolleranza. Ora il tuo discorso è un discorso di intolleranza, perché tu intendi dire che c’è un modo migliore di far le cose, un modo migliore di far le cose non esiste, questa è intolleranza perché non c’è un modo che va bene. Ci sono due modi fondamentali a quanti piace, quanti vogliono questo modo fondamentale lasciamo interrompere quando si vuole; l’altro modo fondamentale è di dire diamo al relatore la possibilità in una prima parte di esprimere un pensiero che non venga spezzato. E si mette ai voti l’esercizio di tolleranza, che l’altro è altrettanto importante quanto me, e io sono altrettanto importante quanto l’altro, e di vedere quante persone dicono a me piace di più che si possa interrompere sempre, e l’altro dice a me piace di più che il relatore non venga interrotto nella prima parte
I. ce n’è una terza: il senso della misura
A. il senso della misura funziona e non funziona, tu intendi dire possiamo accordarci se la maggioranza per questa terza, però questa terza possibilità in Italia è molto difficile, perché la terza possibilità sarebbe di dire lasciamo al buon senso del relatore che decida lui quante interruzioni consente, che gli sembra che siano proficue e quante non ne consente. Non funziona perché ci saranno subito persone che dicono che è intollerante, perché quello lì lo fa parlare e a me non fa parlare. Quindi il grosso problema di questa terza possibilità è che ci saranno persone che vivono questo come ingiustizia perché quello lì ha potuto parlare e io no, quindi restano queste due possibilità fondamentali, perché tanto io ci provo a lasciar parlare qualcuno però che non siano troppi e saltano fuori subito quelli che non sono contenti, le due possibilità fondamentali sono o di dire lasciamo che si interrompa quando si vuole, però rendiamoci conto delle conseguenze
I. sperando che questo senso della misura venga spontaneo
A. ma quello che per te è la misura giusta per un altro è una misura sbagliata, noi non siamo tolleranti, ci manca proprio la tolleranza, io dico soltanto non possiamo fare tutte e due le cose contemporaneamente: avere la possibilità concordata di intervenire in ogni momento, e non si può contemporaneamente tacere e lasciar parlare soltanto il relatore, dobbiamo decidere a maggioranza (…)
I. la parola che hai detto è “conseguenze”, hai detto se prendiamo una decisione poi ci sono delle conseguenze, stamattina nel discorso che hai fatto, a un certo punto dicevi nell’agire c’è una creatività e quello che succede dopo va bene tutto. Io sono un po’ sobbalzata perché invece ho un orientamento che sto mettendo in discussione qui, però alle conseguenze di quello che faccio invece do tanto peso. Volevo sapere se potevi approfondire questo aspetto cioè quando io arrivo a quell’ agire creativo, libero con tutte le premesse di cui abbiamo parlato stamattina, una considerazione sulle conseguenze dove la faccio, a che punto la faccio? la faccio prima? Un po’ di considerazione la posso fare, non è che proprio tutto è imprevedibile, ci sono delle cose che posso capire, me lo dice la realtà, me lo dice la conoscenza, me lo dice l’analisi che faccio sulla realtà di me stessa, io lì in quel momento che faccio quella cosa
A. certo che non si intende dire agisci a vanvera, senza chiederti che cosa comporterà per te ciò che fai, cosa comporterà per gli altri. Però l’altro lato della medaglia è che nessuno può sapere concretamente cosa salterà fuori da un’azione, perché questo che salterà fuori non c’è ancora mentre io agisco, e ognuno attorno a me gestisce il mio agire in libertà, quindi io non posso sapere come nella loro libertà le persone accanto a me reagiranno a ciò che io compio. Quindi le conseguenze nella libertà altrui, proprio perché la libertà altrui la gestiscono loro io non le posso anticipare. Quello che si salva, il centro del mio discorso era invece un altro, era che se noi il dovere comune, il bene comune lo salvaguardiamo che ognuno veramente si proibisce e non vuol fare, non compie le azioni che lederebbero la libertà, e ci diamo il più spazio possibile, perché ognuno sperimenti, questo agire in libertà è uno sperimentare, è un provare ecc. non è mai possibile che le azioni libere di una persona abbiano conseguenze lesive della libertà altrui, perché allora non ha agito in libertà. Quando il polmone si esprime liberamente, genuinamente da polmone, non può mai generare conseguenze negative negli altri organi. Quindi ogni essere umano che è genuino, che esprime veramente se stesso nel suo agire perché agisce liberamente, non può che incrementare la voglia negli altri di agire altrettanto liberamente, quindi le conseguenze non possono essere che positive. Se ci sono delle conseguenze negative non è perché l’azione ha delle conseguenze negative, è perché l’azione stessa deve essere in qualche modo non libera, perché la libertà può avere conseguenze soltanto liberanti. Ed è questo ciò che io ho chiamato la fiducia nell’umano, però resta il fatto che quando io agisco, io non posso mai essere sicuro di essere libero al 100%, chi è così perfetto? Però do fiducia alla libertà, nella misura in cui io ho un amore sincero per il mio creare libero ma anche per il creare libero dell’altro, so che nella misura in cui io creo liberamente il godimento di ciò che faccio non è mai un impedimento per gli altri, quindi le conseguenze possono essere soltanto di un contagio positivo, e questo poi me lo deve confermare l’esperienza. Quindi non è che stiamo parlando di agire a vanvera, se invece noi vogliamo ricattare l’individuo e dirgli sta attento, sta attento, sta attento a tutte le conseguenze di quello che fai, allora questa sfera del dovere la rendiamo così enorme che non può più respirare. Agire liberamente significa agire amando ciò che si fa e le conseguenze sono affari degli altri non mi riguardano, per uno c’è la conseguenza che non gli piace quello che io faccio? problema suo! Io devo occuparmi soltanto di agire nella libertà dell’amore e va tutto bene. Dimmi una conseguenza negativa possibile? Un esempio, facendo questo esercizio vedrai che è una controprova, non sarà facile, uno compie qualcosa dammi l’esempio di una conseguenza negativa e io ti dimostrerò subito che questa conseguenza negativa era nell’azione nella misura in cui non era libera
I. stamattina la cosa che avevo in testa era un attivista che vuole salvare le balene, quindi ha un obiettivo e allora io pensavo di solito gli attivisti puntano un obiettivo, lì ci sono delle creature da salvare, sono innocenti si parte, si va, si fa tutto il possibile, siccome rifletto su questa dinamica degli attivisti, sto riflettendo sul fatto che spesso questa urgenza di salvare queste creature innocenti diventa così grande che in qualche modo toglie lucidità a quello che effettivamente sono le conseguenze delle azioni che si svolgono per arrivare a quell’obiettivo, e allora mi viene in mente che vanno, partono, bloccano la baleniera poi comunque non succede niente, le balene non le salvano, si fa un po’ di cagnara, i giornali ne parlano punto. Quell’azione che magari nasce anche o può essere svolta in modo tale che la persona che la svolge si dia una posizione di libertà
A. ci sono due modi fondamentali di salvare le povere balene una è di rompere la testa a chi le vuol far fuori e l’altra è di cambiare quelle teste, altre alternative non ci sono. Rompere la testa è molto più veloce che non cambiar la testa, e noi siamo intolleranti perché non abbiamo la pazienza necessaria per cambiare le teste e preferiamo romperle, e allora noi vogliamo salvare le balene rompendo le teste degli uomini, siamo veramente stupidi!
I. non è così semplice questa cosa perché tu con quell’azione che effettivamente può essere sbagliata, però tutto il mondo ne parla e tutte le persone sono obbligate a prendere posizione nella loro testa e dirsi: sarà giusto salvare le balene? hanno ragione i giapponesi a dire che loro se la mangiano, che loro fanno gli studi della baleneologia? Ed è di prendere posizione, e se lo stato che hai di fronte è uno stato democratico lo puoi anche ricattare, quando l’America fa i tagli delle foreste incontrollati tu la ricatti e lei si ferma, quando è la Cina tu la ricatti e quella se ne frega perché non è ricattabile perché non è democratica
A. ma guarda che tu non hai fatto altro che ricamare su ciò che io ho chiamato cambiare le teste, tu hai espresso alcune strategie con l’intento di cambiare le teste, ma l’avevo già detto io! Ma cambiare veramente le teste non costringerle a comportarsi in un modo diverso, ci vuole molto tempo, se tutto va bene, e se tutto va male non si cambiano le teste, perché non vogliono cambiarsi. Il compito più urgente è quello della formazione della coscienza degli uomini, di cui fa parte la coscienza della nostra responsabilità nei confronti dell’ambiente. Però formare la coscienza è un compito di tutta l’evoluzione complesso e non si può farlo a martellate, è questo che intendevo dire con la tolleranza
I. mi sembra di capire anche che non è importante il risultato di queste iniziative, l’importante è che più persone, io partecipo a distanza di quell’entusiasmo che ci hanno messo anche in un fallimento, che sembra fallimento ma la creatività, l’atto creativo sta proprio lì di dire andiamo in quattro o cinque nel mar Baltico e facciamo questo blitz cioè quella è l’azione che resta il risultato ci vorrebbe Mandrake per riuscire a risolvere in un’operazione un problema enorme come quello, ma è straordinario che ci sono persone che han deciso in libertà di fare quell’azione!
A. quando ero giovane ne ho fatte di dimostrazioni marce della pace ecc.
I. però se qualcuno conosce un modo migliore per salvare le balene lo faccia!
I. ma il fatto che queste persone siano andate e non abbiano ottenuto risultati, non è una conseguenza negativa, piuttosto è una non conseguenza, nel senso che non hanno ottenuto nulla, ma se dalla loro azione avessero ucciso più balene allora potremmo parlare di conseguenze negative, io non ho capito l’esempio, perché tu hai chiesto un’azione che provochi una conseguenza negativa, l’esempio è stato di persone che vanno e non ottengono niente
A. che non è vero, perché il fatto che se ne parli ottengono una coscientizzazione che è un risultato positivo enorme
I. ma sono d’accordo non capisco qual è il negativo?
A. dillo a lei! Io le ho detto di darmi l’esempio di un’azione che sortisce risultati negativi, lei mi porta l’esempio di un’azione che sortisce risultati positivi
I. o al limite nulla
A. no, non esiste un’azione che sortisce nulla, perché un’azione è qualcosa, e qualcosa sortisce qualcosa
I. il mio problema era un altro, è: posso io fare una valutazione sulle conseguenze di quello che sto facendo
A. non la puoi fare prima che le conseguenze ci siano, mentre tu agisci le conseguenze non ci sono ancora, cosa vuoi valutare?
I. quindi non posso fare nessuna previsione, neanche attivare una conoscenza che mi può aiutare in questo senso, perché posso essere interessata non a far parlare il mondo del problema delle balene ma a salvare quelle creature lì, non le ho salvate posso sentirmi frustrata. Posso fare una valutazione proprio io facendo quell’atto,l posizionandomi liberamente come abbiamo detto stamattina prevedere qualcosa? Non tutto qualcosa
A. se io sono intelligente come tu dici, facendo quel tipo di azione so già in partenza che le conseguenze saranno nulle! L’altro pensa che raggiungerà un qual cosina fa un calcolo diverso, tu stai dicendo lo so già in partenza che le balene non le salvo e allora questo casomai ti indurrà quell’azione a non farla
I. c’è l’esigenza di portare l’attenzione sul risultato dell’azione e questo porta un po’ fuori dall’agire libero che invece si esprime sul momento che tu agisci, ovviamente ognuno di noi questa istanza di avere sempre un risultato o stamattina qualcuno si chiedeva come faccio a sapere se il mio agire libero è stato veramente libero o è stato condizionato? C’è questo bisogno di regolamentare, di trovare delle norme per poi fare una nuova azione che dovrebbe essere libera … di quella che ho fatto oggi non è più libera. Ma è nella natura quindi creare le norme? La natura che è in noi che vuole creare sempre norme? Che in parte le usa come piattaforma per il pensiero creativo, insomma una cosa che fa parte di noi di cercare sempre di creare un, è un istinto che cos’è? di cercare il risultato, di capire se abbiamo fatto bene o male e da quello creare una norma per l’azione futura, una cosa che ci da’ tranquillità, una mancanza di fiducia?
A. siccome le leggi di natura sono ripetitive, c’è in noi una dimensione che vuole andare al sicuro, che rifugge dal rischio, perché il rischio ti cambia troppo le carte in tavola. Questo voler già sapere in partenza cosa salta fuori è la paura della libertà, è voler andare al sicuro, e voler andare al sicuro quindi questa disaffezione nei confronti del rischiare, perché la libertà è un rischio in assoluto, un rischio puro. Fa parte della natura, e essere liberi significa vincere questa letargia innata nella natura, di voler già esseri sicuri in partenza che tutto andrà bene. È come la differenza tra ascoltare un cd lì son sicuro che va tutto bene, perché è già tutto registrato, se io sono il musicante che sto suonando lo strumento non son sicuro se andrà tutto bene. Ora, il godimento della libertà è proprio questa tensione della creazione libera che non ha la garanzia che andrà tutto bene, e ti da’ il bene come sorpresa dell’amore, e ti sorprende sempre perché non sei mai sicuro, ah sì l’amore va sempre bene, la libertà va sempre bene però non sei sicuro in partenza, perché se sei sicuro in partenza hai finito di essere libero. Quindi l’esercizio della libertà è questa fiducia di suonare sapendo che anche se faccio una stecca, l’altro nella misura in cui da’ fiducia alla libertà mi ama anche quando faccio una stecca. Altrimenti avremmo soltanto come in Germania oratori che il sermone l’hanno già preparato e leggono una cosa morta
I. quindi è la natura che ha questa esigenza, si potrebbe dire che teme la libertà e in effetti teme lo spirito
A. il rischio, l’amore è un rischio o non è amore, la libertà è un rischio o non è libertà. Libertà significa fare qualcosa e offrirlo all’altro in assoluto e lui ne fa quello che vuole e va bene così, perché nella libertà ho sempre di nuovo fatto l’esperienza che qualsiasi cosa salti fuori che l’altro reagisce io mi so orientare, mi oriento a seconda di come lui è. Si può liberi soltanto non essendo mai sicuri dell’attimo successivo, se io voglio essere sicuro dell’attimo successivo non sono più libero, voglio già aver deciso in partenza cosa succederà nell’attimo successivo. Però mentre stanno suonando non sono sicuri se nell’attimo successivo non salterà fuori una stecca, e quindi il fatto che una stecca non salti fuori è sempre una sorpresa, perché normalmente non salta fuori, e l’eccezione conferma la regola, la stecca che salta fuori per eccezione conferma la regola che normalmente, se sono musicisti, non salta fuori. Se sei un essere umano la regola è la fiducia alla libertà e nella libertà si può soltanto improvvisare, la libertà conosce soltanto improvvisazioni o non è libertà, altrimenti si vuole assicurare da tutte le parti ma allora non è libertà. E quando uno improvvisa, se si esercita nell’improvvisare la stecca è l’eccezione che conferma la regola, e conferma la regola che di regola normalmente non c’è la stecca ma si azzecca. E quindi noi facciamo l’esperienza che più diamo fiducia alla libertà e più tutto va bene, tutto va bene, tutto va bene, e quando c’è una stecca è perché ha avuto paura della libertà e questa eccezione conferma la regola. Quindi la nostra cultura è fatta di paura della libertà e soffiamo tutti, quelli che hanno un certo tipo di carattere si ribellano diventano aggressivi, l’altro tipo di carattere melanconico flemmatico diventa depressivo, ma è perché non diamo fiducia alla libertà.
I. parlando di conseguenze mi è venuto in mente che in genere noi cerchiamo qualcosa ideale e quindi poi scendiamo a patti con la realtà, perché poi in realtà non va esattamente sempre e solo nella maniera ideale
A. e siamo delusi
I. verrebbe poi da sentirsi scoraggiati però io in questo sento che in realtà il movimento, l’azione, la forza creatrice stavo cercando di capire come fare intervenire in questo movimento la forza creatrice, come incentivarla
A. prendiamo questa immagine di queste cinque persone sul gommone in via verso la baleniera e sono a un chilometro dalla baleniera. In questo agire ci sono due costellazioni d’animo fondamentali, una costellazione delle forze dell’animo è dell’individuo che mentre è a un chilometro di distanza dalla baleniera sul gommone, col rischio che il gommone si capovolga. Un modo fondamentale di essere è che uno dei cinque dice a me non mi importa niente cosa salterà fuori, se riesce o se non riesce perché io non lo faccio questo per, lo faccio perché mi godo al massimo non l’azione, ogni secondo, godo quello che io vivo dentro di me, godo l’amore per queste balene che vivo dentro di me e lo vivo ogni secondo e ogni secondo è un secondo di pienezza, di godimento, di libertà. E godo dentro di me la coscienza del fatto che questo godimento per il mio amore per le balene, al contempo godo che se ci sono degli esseri umani che mi percepiscono di secondo in secondo, indipendentemente da quello che salterà fuori, vedranno in me il godimento della crescita della coscienza umana, che io amo gli esseri umani, auguro a tutti di capir quanto sono importanti le balene. Questo è un tipo, per questo tipo qui il successo è quello che lui vive, questo successo è pieno, è una pienezza che crea lui coi suoi pensieri, coi suoi sentimenti. L’altro invece dice quello che sto pensando io, quello che sto vivendo io interiormente mica è importante, mi importa veramente di arrivare alla baleniera e di fermarli ecc. quello lì vivrà un insuccesso, quindi la stessa “azione” per uno può essere un successo in assoluto indipendentemente da quello che salta fuori, dalle conseguenze, l’altro invece che vede e vive l’essenza della situazione in funzione delle conseguenze sarà un insuccesso. Quindi la legge della libertà è la pienezza del momento presente, la pienezza nel pensare, la pienezza del cuore e la pienezza dell’animo, più libertà non c’è, perché se io sono dipendente da quello che salta fuori non sono libero sono dipendente. E tra l’altro questo tipo di pienezza è la garanzia maggiore è quella che sortisce il massimo di risultati, questo in più, perché crea una forza molto maggiore che non quello che non ha nessuna forza interiore e vuole sostituire questa mancanza di forza interiore col successo esterno, quello lì avrà meno successo, perché ha meno forza interiore. Quindi noi stiamo dicendo che la libertà non ha nulla a che fare con qualcosa di esterno, è una categoria di un modo di essere, una struttura interiore dell’essere umano e liberi si può essere sempre, la libertà è un modo di essere non è un modo di fare, il modo di fare consegue da questo modo di essere, ma se io voglio essere libero nel fare senza essere libero nel mio essere, questa è un’illusione assoluta. Le azioni di una persona sono libere soltanto nella misura in cui lui nel suo essere è libero, e colui che vive ogni secondo, siamo a un chilometro di distanza, questa pienezza interiore, questa gioia dell’amore per le balene in fondo, però prendetelo come un grano salis, non gli importa nulla il successo esterno, perché se il successo esterno comportasse di ledere la libertà altrui che successo è? è un insuccesso, ledere la libertà altrui è il massimo insuccesso. Quindi il materialismo è proprio questo spostare l’accento sull’esterno, sul fare, sull’azione e si perde di vista lo spessore interiore, la qualità del pensiero, la qualità del cuore, la qualità dell’animo, la qualità della coscienza, importante è ciò che una persona fa molto più importante è ciò che una persona pensa, perché le azioni sono conseguenza, sono l’effetto ma il pensare è l’origine e la causa. Buon appetito a tutti.
Sabato 5 febbraio, sera
Siamo arrivati al paragrafo 36 e se voi, come abbiamo concordato, state tutti zitti arriviamo subito al capitolo X. Un’obiezione che dice:
(IX,36) Ma come è possibile una convivenza fra gli uomini se ciascuno si sforza soltanto, si adopera soltanto, di far valere la sua individualità? {Io dicevo il dovere comune, il bene comune è il fatto di creare, garantire una base, un’infrastruttura, un tipo di organizzazione, un modo di interagire fra gli esseri umani che consenta il massimo di libertà individuale, perché il massimo di libertà individuale è il massimo di bene morale. Ciò che uno deve è un bene morale? È un bene morale solo nella misura in cui serve a ciò che uno gode e allora posso godere anche il dovere, quindi il dovere è moralmente buono nella misura in cui serve alla libertà, se invece il dovere non si fa da strumento per la libertà termina di essere moralmente buono, diventa subito moralmente cattivo, perché mortifica l’umano, non vuole sfociare, non vuole farsi da scalino per l’elemento della libertà individuale. Allora viene spontanea l’obiezione:} (IX,36) Ma come è possibile una convivenza fra gli uomini se ciascuno si sforza soltanto, di far valere la sua individualità? Ecco un’altra obiezione del moralismo mal compreso. {Molto diffuso}. Esso crede che una comunità di uomini sia possibile, {quindi una comunità, un’armonia fra gli uomini, una coerenza, una convivenza} sia possibile solo quando essi siano tutti riuniti da un ordine morale collettivo stabilito.
In altre parole la domanda è: cos’è che rende armonici gli uomini fra di loro? Il seguire un codice comune stabilito? Se intendiamo dire che gli esseri umani possono essere armonici solo per decreto, intendiamo dire che non lo sono per natura! E se intendiamo dire che non lo sono per natura, allora per decreto vogliamo renderli armonici fra di loro contro natura, perché per natura non sono armonici fra di loro. Se noi lasciassimo agire gli esseri umani spontaneamente, naturalmente diciamo pure liberamente abbiamo paura che succeda il caos senza armonizzazione, che uno va contro l’altro, l’uno impedisce l’altro ecc. Il pensare ordinario -che è una cosa stranissima- pensa che non c’è un’armonia prestabilita fra gli esseri umani e siccome lasciandoli a briglia sciolta vanno gli uni contro gli altri e succede il caos, allora l’armonia risulta soltanto se per decreto si dice agli esseri umani ciò che devono fare andando contro alla loro natura. Gli esseri umani non sono armonici se si esprimono genuinamente, schiettamente, liberamente nel loro essere, bisogna renderli armonici in base alla sottomissione a una legge comune. Non essendo armonici fra loro per natura, dobbiamo renderli armonici per forza contro natura, è il modo di pensare della stragrande maggioranza delle persone, senza rendersi conto del modo in cui si pensa. L’alternativa è di dirsi o gli esseri umani sono armonici per natura, -come un fiore i cui petali sono in armonia fra di loro e l’uno non impedisce l’altro-. Gli spiriti umani sono stati pensati, se sono stati creati sono stati pensati, il mio io, il mio spirito anche in tutta la sua potenzialità individuale di individualizzazione è stato pensato, perché io non posso avere una potenzialità di esplicazione del mio essere del tutto individuale senza che questo essere sia stato pensato. Il seme non può contenere forze potenziali che fanno saltar fuori tutta la pianta se qualcuno la pianta non l’ha pensata, quindi gli spiriti umani nelle loro singolarità, nelle loro unicità sono stati pensati, se Colui che gli ha pensati gli avesse pensati in modo tale che esplicandosi si impediscono a vicenda, invece di essere il Logos sarebbe il più grande stupido che ci sia! Quindi è logico soltanto averli pensati questi esseri che come i petali di un fiore, che nella misura in cui si esplicano nel loro essere genuino, costruiscono un organismo dove gli organi si confermano e si favoriscono a vicenda. Quindi tutti gli spiriti umani nella loro singolarit??, nei loro contenuti individuali non possono altro che essere stati pensati in un modo tale che nella misura in cui ognuno porta a esplicazione il contenuto individuale unico del suo essere, tutti questi io umani del tutto individuali, del tutto singoli, del tutto diversi concorrono a costruire un organismo del tutto armonico, unico e vivente. O l’armonia, il favorirsi a vicenda degli esseri umani nella loro unicità, o questa armonia è stata prestabilita, è stata pensata da Colui che ha creato questi io umani, oppure se non c’è questa armonia non si può costringere gli esseri umani a tirarla fuori perché se non c’è non ci sarà mai. Se non c’è per natura non si può farla saltar fuori per forza, quindi o partiamo dal presupposto che l’armonizzazione, l’organismo dell’umanità, dove tutti gli esseri umani nella misura in cui sono liberi, sono genuini portano a esplicazione massima, sincera il loro io, costruiscono un organismo dove tutti gli organi nella loro diversità creano una unità e si favoriscono a vicenda, oppure se partiamo dal presupposto che quest’armonia non c’è non potremmo mai costruirla per forza contro natura. Queste sono le due alternative, pensare di poter raggiungere un’armonia sociale, per costrizione, per sottomissione al dovere è un errore di pensiero, un’illusione con conseguenze micidiali che noi ci trasciniamo da secoli ormai. Se lasciamo gli esseri umani liberi si salvi chi può, un caos, allora costringiamoli a comportarsi in un modo tale che il sociale sia armonico, e che armonia abbiamo? Un’assoluta disarmonia, un’infinità di esseri scontenti, non realizzati che oscillano dalla ribellione, aggressivi alla depressione. Da questo discorso risulta che l’unica cosa che ci porta in avanti è il coraggio di dar fiducia alla libertà individuale, perché soltanto realizzando se stesso in quanto individuo unico, contribuisce il suo frammento di costruzione dell’organismo dell’umanità, perché ognuno porta nell’organismo dell’umanità, in quanto organo diverso specifico, una ricchezza particolare che è necessaria nell’organismo dell’umanità. L’umanità è un insieme di spiriti umani singoli individuali unici, ognuno unico che sono pensati in un modo tale che interagiscono fra di loro come gli organi di un organismo unitario vivente, che ha una vita, che ha un’anima, che ha uno spirito. E lo spirito comune di questo organismo che organa tutti gli spiriti umani è il Logos, è colui che l’ha pensato questo organismo, ha pensato questo organismo dell’umanità in quanto unità, non una frammentazione di infiniti pezzettini come una macchina, ma è un organismo vivente, però in questo organismo vivente non c’è una unità uniformata, ma in questo organismo vivente ogni spirito umano è del tutto singolarizzato, del tutto individuale.
(IX,36) Ecco un’altra obiezione del moralismo mal compreso. Esso crede che una comunità di uomini sia possibile solo quando essi siano tutti riuniti da un ordine morale collettivo stabilito. Questo moralismo non capisce l’unicità del mondo delle idee. {Qui traduce unicità, noi quando facevamo filosofia usavamo un’altra parola: l’unitarietà non l’unicità, unicità sembrerebbe dire che ce n’è uno solo, l???unitarietà quindi l’unità organica, l’unitarietà è un concetto diverso che non l’unicità, l’unitarietà, l’organicità del mondo delle idee. Non capisce che il mondo delle idee attivo in me non è diverso da quello attivo nel mio simile. Il Logos, il Pensatore che ha pensato il mio io è lo stesso Logos che ha pensato il tuo io, e ci ha pensato come organi organici, compatibili dentro allo stesso organismo. Quindi l’umanità è un organismo di idee e le idee singole sono gli individui, però tutte queste idee insieme formano un organismo unico vivente.} Questo moralismo non capisce {l’unitarietà} l’unicità del mondo delle idee. Non capisce che il mondo delle idee attivo in me non è diverso da quello attivo nel mio simile. Questa {unitarietà} unicità è certamente soltanto un risultato dell’esperienza del mondo. {Però} deve essere così {sennò non c’è salvezza, sennò non c’è possibilità di armonizzare gli esseri umani, deve essere così significa che non può essere altrimenti}. Perché se fosse possibile riconoscerla altrimenti che per via di osservazione, non sarebbe valida, nel suo ambito, l’esperienza individuale, ma la norma generale.
In altre parole l’autoesplicazione del mio essere e l’autoesplicazione del tuo essere siano compatibili, siano armonici fra di loro come faccio a saperlo?
I. osservando
A. e prima di osservarlo non lo so? quando lo osservo, osservo il risultato dell’esplicazione della libertà individuale però prima di avere questa osservazione, prima di avere questa percezione, non posso mai essere sicuro io che, io o l’altro o tutti e due veramente sono genuini e sinceri nell’esprime il proprio io. E allora dico: io so già in partenza che nella misura in cui due esseri umani, tre, trenta, trecento, milioni nella misura in cui si esprimono oggettivamente, sinceramente, schiettamente, genuinamente nel proprio essere saranno armonici, saranno compatibili gli uni con gli altri, però non è detto che lo facciano perché sono liberi. Però son sicuro già in partenza che nella misura in cui gli esseri umani veramente esprimono l’individuale e ciò che è libero non ci può essere conflittualità, è esclusa nel modo più assoluto. Una libertà umana che sia conflittuale con la libertà di un altro non c’è mai stata e perché? L’esplicazione della libertà di A non può mai entrare in conflitto con l’esplicazione della libertà di B e viceversa perché?
I. noi siamo già un organismo solo che dobbiamo scoprirlo, ognuno in sé se stesso, e insieme noi
A. noi siamo già un organismo nella mente del Logos. Abbiamo un’aiuola di fiori e per i fiori la base necessaria è il suolo, c’è il seme di una rosa, il seme di un tulipano, il seme di un giacinto adesso ogni fiore si esplica, si esprime, viene all’essere, si manifesta secondo le sue leggi, secondo i suoi contenuti specifici, la domanda che noi stiamo ponendo è: è possibile una conflittualità tra l’auto esplicarsi della rosa e l’auto esplicarsi del tulipano? Possono entrare in conflittualità l’uno con l’altro? no, perché l’uno non ha nulla a che fare con l’altro, sono due mondi del tutto diversi. Esattamente così stanno gli uni verso gli altri gli esseri umani! Ciò che è individuale è come un fiore del tutto diverso, con leggi e contenuti del tutto diversi che non il fiore successivo, la persona che gli sta seduta a mezzo metro di distanza. Quindi la persona seduta a mezzo metro di distanza da me è un altro tipo di fiore, non un’altra rosa, se io sono una rosa colui che è seduto accanto a me è un tulipano, e il suo esprimersi come tulipano, il suo manifestarsi come tulipano non può mai entrare in conflittualità con me perché io sono una rosa. La conflittualità, la concorrenza sarebbe possibile soltanto se fossimo tutti e due rose, non esistono due esseri umani che sono tutti e due rose, ogni essere umano è una specie a sé, lo diceva già Aristotele. È un gran bel pensiero, se uno lo afferra nel suo nucleo è una cosa straordinaria! Dai datti da fare, mostraci chi sei! che godiamo del tuo modo specifico di essere uomo che si manifesta solo in te, e agli altri chiedi soltanto che ti mettano a disposizione il suolo! Cosa chiede il tulipano agli altri? La terra e basta. Il pensiero che Steiner sta cercando di dire in questi paragrafi è che una conflittualità tra individui liberi è esclusa, la conflittualità avviene soltanto quando non si esprime la libertà, e allora ci si ribella perché mi si vuole impedire di esprimermi liberamente e io mi devo ribellare contro gli inceppi che mi mettono, ma se mi lasciano libero e io esprimo me stesso, con chi entro in conflittualità? Con nessuno! Ma allora ognuno si comporta a modo suo! bello no? devo comportarmi io a modo tuo? e perché allora non ti comporti tu a modo mio? è molto più bello se ognuno si comporta a modo suo! Sarebbe come la viola che dice: no, no a me non mi va che te sei un tulipano, il tuo comportamento non è giusto, perché l’unico comportamento giusto è quello di essere viola! La moralità del massimo numero di gente ha in mente questi retaggi disumani, dei calchi morali di come l’essere umano dovrebbe essere per andare bene, per essere moralmente buono, sei moralmente buono solo se agisci così, se sei fatto così e io ti do il calco. Ognuno è un esemplare unico dell’umano, tutto diverso dall’altro, oppure ha omesso di esplicarsi, di realizzarsi che è ancora peggio, ma nella misura in cui un individuo veramente si esplica salta fuori una specie diversa dall’individuo che gli sta accanto. Quindi la moralità della libertà è la forza di godere la varietà, di godere la diversità, di godere la complessità, però per godere la complessità bisogna creare una matrice di pensiero che goda della complessità. Questa tendenza di uniformare gli esseri umani in base a un codice morale comune, indica un pensiero povero che non è ancora capace di godere la complessità, e vuol gestire gli uomini perché le cose non diventino troppo complesse, -è chiaro che non c’è bisogno di aggiungerlo, l’abbiamo detto diverse volte che- questo discorso della diversificazione non può piacere a coloro che vogliono usare gli esseri umani come strumento per il loro potere, loro non vogliono che ogni essere umano viva in libertà. Quindi dobbiamo imparare a fare i conti col potere sapendo che il potere non ha interesse, non può godere dell’esplicazione libera, sincera, differenziata che non ammette, che non sopporta nessun soggiogamento, nessun asservimento, non sopporta che l’essere umano venga usato per raggiungere altri scopi. Nella libertà ogni essere umano è fine a se stesso, e più avremo persone che realizzano l’umano a questi livelli di libertà, e meno i poteri costituiti avranno una possibilità, perché ogni potere di questo mondo di fronte all’individuo libero è inerme. Il Pilato con tutto il potere romano di allora, di fronte al Cristo è inerme, perché il Cristo non è ricattabile, il Cristo gli dice se non mi permetti, se fai di tutto per non lasciarmi esplicare la mia libertà in questo mondo qui, vado volentieri nell’altro, libero sono e libero resto e il potere di Pilato va a ramengo. Quindi il nostro compito è quello di aumentare le persone che godono la libertà e la costruiscono, la esplicano, la tirano fuori e i poteri costituiti avranno sempre possibilità di ricattare l’uomo, però se tu sei una viola o questo altro tipo di fiore lo puoi dire soltanto tu, io posso soltanto guardare e star lì a vedere, il seme mi deve dire cosa salterà fuori. Nessun altro può dire a me chi sono io, io devo dire agli uomini chi sono mostrandolo, e quando uno mostra la sua singolarità, la creazione della sua libertà, ciò che è unico in lui l’unica reazione ma veramente sincera degli esseri umani circostanti è quella di dire sei bello, perché il Logos pensa solo esseri belli, e soprattutto sei bello perché appartieni insindacabilmente ad un organismo che nel suo insieme è mille volte ancora più bello, e non sarebbe un organismo completo senza di te. Cosa risulta da questo discorso? Che ce n’è da fare! però il da farsi è bello siamo agli inizi, e l’inizio è sempre quello di capire le cose. l’essere umano è fatto così che inizia dalla testa, perché se la testa non capisce nulla il cuore non si accende e le membra non trovano la forza
I. puoi chiarire questa frase che hai appena letto, questa unicità- che poi tu hai detto che è meglio unitarietà- è certamente soltanto un risultato dell’esperienza del mondo, cioè dell’osservazione?
A. dell’osservazione, sì della percezione, per esperienza intende dire della percezione, però io so già in partenza che non può essere che così, se nella misura in cui gli esseri umani esplicano veramente la loro libertà, se lo fanno sono sicuro che io osserverò, appurerò un’armonia assoluta, una non conflittualità in modo assoluto. In altre parole c’è un’aiuola abbiamo seminato vari semi di fiori, adesso io non so ancora cosa salterà fuori, io non ho nell’osservazione la compatibilità, la non conflittualità dei vari fiori, però può darsi che non crescano se manca l’acqua, se mancano i Sali. Se crescono non potranno essere conflittuali, se gli esseri umani vivono nella libertà non possono essere conflittuali, e mi aspetto che nella misura in cui esplicano la libertà non saranno conflittuali, però non è detto che lo facciano, perché sono liberi di realizzare la libertà o di ometterla. Quindi intende dire il risultato dell’esperienza del mondo significa la percezione.
(IX,36) Perché se fosse possibile riconoscerla altrimenti che per via di percezione, di osservazione, non sarebbe valida, nel suo ambito, l’esperienza individuale, ma la norma generale.
Allora dovrebbe di necessità essere così e allora gli esseri umani non sarebbero liberi, quindi in pratica l’affermazione dice nella misura in cui gli esseri umani vivono liberi sono non conflittuali, perché ognuno è un fiore del tutto diverso. Cosa può un tulipano impedire nella rosa? Nulla, è assurdo, l’auto manifestazione, sincera, genuina, libera di un essere umano non può mai impedire nulla nell’auto manifestazione, sincera, genuina di un altro essere umano. Allora qual è il migliore comportamento col mio compagno, con mia moglie, con mio marito ecc.? il comportamento moralmente più buono che ci sia è di stare a vedere, meglio non c’è! stare a vedere cos salta fuori, si presuppone naturalmente che io non gli tiro via il terreno che non può neanche crescere, si presuppone che ci sia il terreno ma quello che salta fuori da te è tutta sorpresa, come faccio io a sapere sono un altro tipo di fiore. Noi normalmente conosciamo dell’umano solo ciò che è generale, e ciò che è individuale e unico non lo conosciamo, perché non lo rendiamo percepibile, sono pochissime le persone che te lo presentano, sono anni che resti sempre un seme nella terra, ma salta fuori chi sei? e l’altro dice ma come mi hanno imbottito di comandamenti, di doveri io pensavo che il senso della vita fosse quello di fare il mio dovere! e io ho sposato una persona con l’intento di godermi la sorpresa ogni giorno di stare a vedere cosa salta fuori e quello fa soltanto il suo dovere! ma robe da matti! Quindi cos’è l’orientarsi al dovere comune? Il cimitero dell’umanità! Perché al cimitero c’è soltanto il suolo, il paragone calza, e non cresce nulla. Allora scopro che mia moglie da qualche giorno in qua sta scoprendo la sua vena poetica, sta scrivendo un sacco di poesie! Una poetessa in casa mia, accanto a me! Allora il marito diventa geloso, vuole essere un poeta migliore di lei e sente il dovere di copiare, e manda a ramengo la sua individualità.
(IX,36) Perché se fosse possibile riconoscerla {l’unitarietà, l’armonia}, altrimenti che per via {di percezione}, di osservazione, non sarebbe valida, nel suo ambito, l’esperienza individuale, ma la norma generale. L’individualità è possibile soltanto se ogni essere individuale sa dell’altro solamente per osservazione individuale, {questo ho inteso io col dire stare a vedere, cosa potenzialmente alberga nell’altro lo posso sapere soltanto quando lo tira fuori, quando lo manifesta e devo stare a guardare. Posso mai sapere io prima che lo manifesto cosa c’è potenzialmente come germe, come seme dentro all’altro? no, perché io sono un tipo del tutto diverso, quindi ciò che realizza l’altro mi è per natura al 100% estraneo, soltanto così c’è varietà e ricchezza. Quindi una norma degli esseri umani non c’è, la norma è soltanto il terreno comune ma lì non c’è ancora nulla, c’è la natura nell’uomo ma non l’uomo, il fattore umano in quanto tale è diverso, specifico in ogni uomo, una ricchezza all’infinito, un godere all’infinito, una sorpresa all’infinito se non omettiamo di tirarlo fuori.} La differenza fra me e il mio simile non consiste per nulla nel fatto che noi viviamo in due mondi spirituali completamente diversi, ma nel fatto che, da un comune mondo di idee, egli riceve intuizioni diverse dalle mie. {Quindi lui realizza frammenti di mondo spirituale, di intuizioni del Logos altri contenuti del mondo spirituale che non io. Ma i suoi contenuti del mondo spirituale e i miei contenuti del mondo spirituale sono contenuti dello stesso mondo spirituale, non possono essere conflittuali fra di loro, inciamparsi a vicenda possono essere soltanto armonici fra di loro che si favoriscono a vicenda.} Egli vuole esplicare le sue intuizioni, io le mie. {La rosa mi evidenzia i pensieri che hanno pensato la rosa, la viola mi evidenzia i pensieri che hanno pensato la viola, sono del tutto diverse, si contraddicono? No, la rosa è rosa, la viola è viola. Egli vuole esplicare le sue intuizioni, io le mie}. Se entrambi veramente attingiamo dall’idea, {quindi da ciò che è creativo, intuitivo, spirituale che parte dal pensare, quindi ciò che è veramente creazione libera, nella misura in cui entrambi veramente attingiamo dall’idea}, senza seguire nessun impulso esterno (fisico o spirituale), {io direi fisico o animico} possiamo allora incontrarci unicamente negli stessi sforzi, nelle stesse intenzioni. Un malinteso morale, {traducete meglio una contraddizione morale}, un urto, {una conflittualità}, è escluso fra uomini moralmente liberi, come è esclusa una conflittualità nell’auto esplicarsi di fiori diversi.
In altre parole, un altro risvolto psicologico della libertà è capire a livello del cuore però, non soltanto come astrazione, che al mondo c’è posto per tutti, basta che non ci asfissiamo a vicenda, c’è posto per tutti i modi di essere, perché un modo di essere non è un muro che mi costringe a fare una svolta, nel suo modo di essere io ci passo in mezzo, il suo modo di essere è una realtà spirituale come può incepparmi? Una realtà spirituale non può mai incepparmi, quindi c’è posto per tanti modi di essere quanti sono gli individui umani, non si impediscono a vicenda. Se si esprimono ognuno godendo la sua sincerità, la sua schiettezza, la sua genuinità si arricchiscono a vicenda, si incoraggiano a vicenda, si godono a vicenda. È come dire il maschile e il femminile sono conflittuali perché sono diversi! Sono diversi ma non conflittuali, perché si possono arricchire a vicenda, come fa l’auto esplicarsi del femminile a inceppare, a impedire l’auto esplicarsi del maschile? Sarebbe come una viola che esplicandosi impedisce alla rosa di esplicarsi come rosa, un’assurdità! L’unico problema è quando il femminile dice al maschile: no, te non hai il diritto di essere! O viceversa. Ma se ci diamo a vicenda il diritto di essere non c’ conflittualità, detta alla romana: che me ne frega a me quello che fanno tutti gli altri esseri umani, facciano non me ne frega nulla! io faccio quello che voglio, chi può impedirmi di farlo? Chi può impedirmi di forgiare il mio essere, il mondo dei miei pensieri, la mia anima a modo mio, nessuno me lo può impedire. La tortura o il lavaggio del cervello per una persona che veramente è forte nella sua individualità, può conseguire soltanto lo sconnettere il processo di pensiero dalla connessione col corpo, ma non di cambiarlo, non può entrare dentro e decidere dal di dentro quali pensieri vengono pensati; tu puoi sconnettere il mio processo pensante dalla connessione col cervello, ma non puoi mai tu decidere cosa avviene nel mio pensiero, perché il mio pensiero lo gestisco soltanto io. Mi puoi mandare all’altro mondo, ma non puoi mai entrare dentro al mio pensiero per gestirlo tu, perché allora sarebbe il tuo pensiero non il mio. Sono tutti tentativi, mi sto arrabbiando se volete no, per dar voce a questa soglia dell’umanità moderna che stiamo passando, dove noi sentiamo che il passo successivo ma grosso, è quello di considerare tutto ciò che è comune come base dell’umano vero e proprio, e di considerare, godere e vedere come l’elemento morale del bene, dell’omissione, del bene morale come ciò che è individuale e libero, e questa è una soglia dell’evoluzione grandissima che ci occuperà per secoli se non addirittura per millenni a livelli più complessi.
(IX 36) Un malinteso, {una contraddizione, una conflittualità} morale, un urto, è escluso fra uomini moralmente liberi. Solo l’uomo moralmente non libero, che segue l’impulso naturale {determinismi di natura}, o il comandamento del dovere, respinge il suo prossimo, quando questi non segue lo stesso istinto o lo stesso comandamento. {Se tu non vivi secondo il Corano ti ammazzo, la stessissima cosa ha detto la Chiesa cattolica con la sua frase classica: extra ecclesia nulla salus: se non sei dentro alla chiesa cattolica sei perduto. Un terrorismo coi guanti se volete, ma nei fatti è la stessa cosa! O sei d’accordo con la chiesa, o ti sottometti alla chiesa o sei dannato, terrorismo qua terrorismo là, e quello crea la conflittualità. Solo l’uomo moralmente non libero, che segue l’impulso naturale o il comandamento del dovere, respinge il suo prossimo, quando questi non segue lo stesso istinto o lo stesso comandamento. Adesso viene questa frase lapidare della filosofia della libertà:} Vivere nell’amore per l’azione, {vivere nel godimento della libertà e dell’amore e lasciar vivere avendo assoluta comprensione che i contenuti di autorealizzazione dell’altro devono essere del tutto diversi, che non i contenuti di autorealizzazione del mio essere. Quindi il voluto, ciò che l’altro fa oggetto della sua volontà e vuol realizzare, deve essere su tutta la linea del tutto diversa da quello che voglio io e voglio realizzare io, perché io voglio un io del tutto diverso dal suo, lui deve volere un io del tutto diverso, sennò dovrebbe volere me. E se voglio ridurlo, costringerlo a volere soltanto ciò che c’è in comune fra noi, voglio costringerlo a non volere ciò che è individuale, ciò che è libero, voglio costringerlo all’infelicità, alla non libertà, alla sottomissione e sono un terrorista. Vivere nell’amore per l’azione, per l’agire amando e godendo ciò che si fa nel fare stesso, ciò che divengo, ciò che io esprimo di me stesso nel fare, indipendentemente dal successo dell’azione, indipendentemente dalle conseguenze ma godendo l’autoesplicazione del mio essere qui e ora, questa è pienezza dell’essere, e concedendo all’altro, godendo che l’altro faccia lo stesso e crei, manifesti un modo di essere umano del tutto diverso. Ogni tentativo di adeguamento degli esseri umani è in assoluto immorale, perché uccide ciò che è moralmente più valido che ciò che è unico in ogni essere umano. La legge della libertà è di non sopportare l’uniformarsi, il giorno in cui fai un minimo di tentativo di uniformarti a me, ti pigli un calcio nel sedere e mi vedi sparire! Perché termini tu di essere te stesso e chiedi a me di smettere di essere me stesso e vuoi che esprimiamo soltanto il minimo denominatore comune. Qual è il minimo denominatore comune dei fiori? La terra, il suolo; il minimo denominatore comune degli individui di un popolo è il popolo -“tu sei nulla il tuo popolo è tutto”- e il bene morale è sparito, che è l’individuo nella sua singolarità, nella sua unicità. Lo dico paradossalmente in modo che il colpo arrivi, una persona che dice “io sono un italiano” si è già ucciso come individuo, “il mio suolo lo chiamano Italia”, ma è il pezzetto di terra dove ho le radici, guarda però lo stelo, guarda i fiori vedrai qualcosa di unico. Cos’è l’Italia? Un pezzo di terra.} Vivere nell’amore per l’azione e lasciar vivere nella comprensione, {nell’aspettativa, sapendo che non può essere che così}, della volontà {estranea alla mia del tutto diversa dalla mia} è la massima {morale} fondamentale degli uomini liberi.
Cosa vuole un Dante dagli altri? Che lo lascino vivere, però nel lasciarlo vivere c’è compreso il suolo, per lasciarlo vivere bisogna che abbia il minimo necessario per mangiare, il minimo necessario per vestirsi, mangiare, bere, vestirsi, una volta che lo lasciamo vivere non lo facciamo morire gli basta, tutto il resto ce lo mette lui, quindi la persona libera chiede alla collettività soltanto di lasciarla vivere. Questo lasciar vivere è da prendere sul serio, perché lasciar vivere significa non far sì che muoia, e quindi consentirgli di vivere comprende certe cose ma niente di più, il necessario perché possa vivere, tutto il resto che è la parte più bella e più importante ce la mette lui. L’unico dovere, che poi è ciò che l’io vero vuole, l’unico dovere che abbiamo gli uni nei confronti degli altri è di lasciarci vivere a vicenda. E quando gli altri ti lasciano vivere e tu sei scontento sono problemi tuoi, è perché poltrisci, è perché non hai ancora capito che la felicità tua te la devi costruire tu, la devi tirar fuori tu, ti può venire soltanto dal tuo essere stesso. La felicità non può venir data dal di fuori, perché la felicità è nella libertà, e la libertà non me la possono dare gli altri altrimenti non sarebbe libera. Libero è soltanto ciò che l’individuo crea senza doverlo fare, perché lo ama, perché lo gode, perché è bello.
(IX,36) Essi non conoscono nessun altro dovere fuorché quello con cui il loro volere si mette in intuitivo accordo; il loro patrimonio di idee suggerirà poi ad essi il modo in cui vorranno agire in un particolare caso.
Quindi cosa deve fare un essere umano? Non deve fare nulla, c’è soltanto ciò che il suo essere vuole; quindi l’io singolo non conosce un dovere, l’esplicazione del proprio essere che è tutto positivo perché è stato pensato dal Logos, è un frammento di organismo dell’umanità, questa auto esplicazione dell’essere è qualcosa che io devo? No, è ciò che io voglio, è ciò che io amo, perché il presupposto di dovere qualcosa è che non lo voglio, perché se lo voglio lo devo? no, lo voglio. La morale tradizionale in fondo ci sta a dire che il bene morale è qualcosa che l’essere umano deve perché non lo vuole; siccome non vuole il bene bisogna costringerlo per dovere a farlo, il pensiero è abissale! Il bene è ciò che l’essere vuole, non ha bisogno di doverlo, lo vuole oppure non è un bene, perché nel momento in cui lo deve, viene costretto a farlo, non c’è la libertà e quindi non può essere un bene morale, perché l’unico bene morale è la libertà, è fare le cose liberamente e con amore. Quindi l’unica cosa che ognuno deve a se stesso è il suo essere nel modo più simpatico della parola, tanto è vero che il linguaggio ci consente di usare questa sfumatura: è qualcosa che mi devo! E cosa devo a me stesso? La pienezza del mio essere, ma quello non è qualcosa che devo è qualcosa che voglio, ognuno vuole la pienezza. E il dovere inteso nel senso di sottomettersi, di fare qualcosa a denti stretti, farlo per dovere perché non lo voglio liberamente, ogni tipo di dovere in questo senso sparisce. E il bene comune consiste nel fare tutto il necessario e evitare tutte le azioni che precludono, fare tutte le azioni perché ognuno possa vivere liberamente, quindi non impedire, non intralciare il libero fiorire, il libero esprimersi, il libero esplicarsi di ogni essere umano. È difficile permettere a ognuno di vivere a modo suo? No, c’è posto per tutti, non c’è conflittualità, soltanto l’intolleranza non tollera che l’altro sia del tutto diverso, guardiamo i popoli, le religioni, le lingue dove si impediscono a vicenda? Dove impedisce il linguaggio italiano l’esplicarsi del linguaggio francese? o di quello inglese? Dove si impediscono a vicenda? Eppure son del tutto diversi, immaginiamo quanto succede in campo di espressione del linguaggio italiano, tutte questi milioni di persone che parlano italiano, dove riduce il campo di espressione del linguaggio francese? Nulla, quelli che parlano francese possono far cammini infiniti nel loro parlare francese. Lo stesso vale per gli individui umani. Il grosso problema della libertà è il problema della tolleranza, noi siccome riduciamo l’umano a questo terreno comune e abbiamo paura dell’emergere di questa libertà, siamo strutturalmente non tolleranti. Non tolleriamo ma neanche inizialmente l’infinita diversità e varietà degli esseri umani, per non parlare poi di arrivare al punto di goderla, goderla non poterne fare a meno. Adesso abbiamo un maestro che ha una scolaresca, e ha delle norme di comportamento di come questi bambini dovrebbero comportarsi! Invece di dire voi siete ognuno un fiore diverso, sono curioso di vedere che cosa salta fuori da questi tanti semi, io vi do il terreno, ci metto l’acqua, ci metto il calore ecc. poi cari bambini, quello che salterà fuori lo dovete dire voi. La sua pedagogia l’ha imbottito di ricalchi, di ciò che i bambini dovrebbero fare. un bambino non deve fare nulla, sono gli adulti che devono fare di tutto perché crescano liberi! e tutto va bene! Siamo imbottiti di idee che noi imponiamo al bambino tu se sei un bravo bambino devi comportarti così, devi, devi, devi, devi! E li mettiamo in riga e uccidiamo la parte più umana che c’è, e poi ci stupiamo che da adulti siamo tutti scontenti, siamo stati castrati già da bambini. E ma quel bambino lì però non sta’ mai fermo! (Io nel Laos ho fatto scuola dalla prima elementare fino alla maturità, in tre scuole diverse, il primo anno ho imparato il francese ho dovuto imparare il laotiano, il secondo anno ho imparato a fare le lezioni in laotiano, io non sopportavo i ragazzi bravi gli davo calci nel sedere, e i bambini che non stavano mai fermi me li godevo, perché ero curioso di vedere cosa saltava fuori. Voi direte ma allora la lezione non si può fare, c’è un numero di queste pianticelle che vorrebbero che ogni tanto il maestro come qui voi naturalmente possa parlare, dire qualcosa senza continuamente impedito da quello lì ecc. Una volta c’era un maschietto, le femminucce erano purtroppo più brave che non i maschietti, erano passati alcuni giorni e tutta la scolaresca, i bambini di otto, nove, dieci anni verso quell’età lì, siamo nel Laos a … dove già parlavo in laotiano, e siccome la stragrande maggioranza della scolaresca non sopportava più questo maschietto che disturbava tutto, allora io ho detto adesso ti do dieci secondi e loro sapevano se io dico una cosa e poi capitolo allora possono fare tutto quello che vogliono, o esci tu o esco io. Lui ci ha provato a non uscire, son passati due o tre secondi, quattro, cinque maschietti son saltati in piedi l’hanno preso con le braccia l’hanno sbattuto fuori, e i giorni successivi ho dovuto far di tutto per reintegrarlo psicologicamente, è diventato un agnellino. Però io mi sarei augurato che questi ragazzi avessero avuto una maggiore tolleranza per questo bambino, perché questa misura terroristica nei confronti di questo bambino rischia di marchiarlo per tutta la vita. I bambini sono fatti per lasciargli fare quello che vogliono). Adesso io vi chiedo mettiamo su due bilance morali, che cosa ha più peso morale: tutta la nostra istruzione e considerate i contenuti di questa bella istruzione, o il libero manifestarsi della natura,sia comune sia individuale, in questo bambino? tutta la nostra istruzione non vale nulla, anzi è negativa rispetto a questo genuino fiorire, manifestarsi dell’essere così com’è nella sua realtà individuale, sì però quando arriva a undici, dodici anni non avrà imparato nulla, adesso abbiamo bambini che a tredici anni hanno imparato tutto e hanno disimparato di vivere, sono imbottiti di sapere e sono morti nell’anima, cosa abbiamo raggiunto? Nulla, guardiamo gli adulti che abbiamo nel nostro mondo. Io fino a sette anni scorribandavo nei campi per chilometri e chilometri in tutta libertà, di botto si va a scuola per ore seduto! Diventavo pallido, geloni alle mani, io dicevo ma che è successo? Per delle ore a sentire quella maestra lì che non sa neanche cosa sono le cose, c’erano i quadrettini sulla parete, io sapevo quello lì imbuto, ma come è un tortarello, io andavo a casa piangevo, dicevo mamma vieni la maestra non sa cosa sono le cos,e lo chiama imbuto ma quello è il tortarello diglielo alla maestra! Adesso da questa esplicazione genuina dell’essere seduto per delle ore intere una barbarie disumana assoluta a imparare che quello non è tortarello ma imbuto, e questa la chiamiamo istruzione, io la parola la manterrei tale e quale ci metto soltanto una d davanti, e allora funziona, è una distruzione assoluta dell’essere, e non so per quali santi io me la sia cavata, perché questa natura così sfrenata che non la fermava nessuno, correvamo dietro alle trappole per i topi l’intrappolata a scuola io non so come mi sono salvato? Quindi mi devo dire che la natura umana deve avere dei meccanismi di autodifesa enormi, però resta una barbarie disumana. Per fortuna che son sorte anche scuole Waldorf nonostante l’imperfezione, che è umana, dei maestri, però la pedagogia è tutta diversa. La pedagogia ti dice lascialo vivere il bambino più che puoi, dai fiducia all’umano, lascialo fare, ti fa un putiferio? goditelo santa pace! un putiferio è meglio che un cimitero. Una scolaresca brava che sta a sentire le fandonie che dice la maestra, è un cimitero, e se voi mi dite che le cose che sto dicendo sono pericolose, son ben contento, lo spero che sino pericolose, perché il gran pericolo è la cultura che abbiamo, quello è il pericolo pubblico, la distruzione pubblica che abbiamo. (Poi mi ricordo la mamma mi dava un caco, perché c’era la scuola la mattina e il pomeriggio, noi eravamo troppo distanti tre chilometri dal paesino alla cascina, quindi non ce la facevo andare a casa poi quando c’era la neve allora mi portavo un caco, siccome io ero non molto umile, ci facevano fare le O e io contadino non le sapevo fare belle rotonde, allora davo il mio quaderno all’altro che le faceva belle rotonde e gli regalavo il caco, per far bella figura davanti alla maestra che gli presentavo le O fatte belle rotonde, però non erano mie, ma non gliel’ho mai detto! Mi sarei augurato una maestra che dicesse le tue O sono così belle artistiche perché non sono rotonde!) Sto parlando di cose che in qualche modo abbiamo passato tutti, però è importante che ci rendiamo conto di quello che è successo, per generare una saggezza diversa nei confronti della generazione che adesso viene avanti, altrimenti diventa sempre più difficile. Se abbiamo un sociale di mortificazione reciproca è quello che sto dicendo non avremmo contento nessuno, non potremmo mai godere il sociale se ci mortifichiamo a vicenda, la legge del sociale è: diamo a ognuno il più spazio possibile, che possa fare tutto quello che vuole. In fondo la vita economica, la vita del lavoro, siccome il lavoro diventa sempre più precario, dal lato economico della vita ci viene l’ingiunzione di diventare sempre più flessibili, e diventare sempre più flessibili oggi ho un lavoro, domani ne devo avere un altro, dopodomani devo fare qualcosa d???altro per gli altri, questo aiuto a diventare sempre più flessibili è un aiuto che ci dice che c’è posto per tutti e ognuno può fare tantissime cose. Una conflittualità tra esseri liberi è esclusa, la conflittualità succede soltanto quando non si è liberi, quando uno vuol sindacare sulla libertà dell’altro e l’altro si deve ribellare a dire no, lasciami in pace. Se ci lasciamo vivere a vicenda non c’è nessun problema, perché ognuno diventa responsabile di quello che fa o di quello che non fa, ma all’altro non può fare nulla. Ed è bello vivere con questo convincimento che tutti gli altri, milioni che siano, non mi possono fare nulla, cosa possono fare gli altri al mio essere? Nulla! Possono togliermi il terreno dove crescere? Vado a crescere nel mondo spirituale, perché anche quello non avviene a caso, se io non ho più le condizioni per vivere vuol dire che è nel mio karma, è nel mio destino e basta che lo accetti volentieri come qualcosa che mi appartiene. (IX,37) Riprende la categoria della tolleranza e dice: Se non risiedesse nell’entità umana la causa prima della tolleranza, {il godere dell’esplicazione creativa e libera del proprio essere, e quindi il concedere all’altro sinceramente e con gioia che anche lui, goda, esplichi il suo essere che è del tutto diverso e ne goda}.
(IX,37) Se non risiedesse nell’entità umana la causa prima della tolleranza, questa non vi si potrebbe inoculare per mezzo di nessuna legge esterna! Se l’essere umano non fosse tollerante per natura, non lo si può rendere tollerante contro natura, per dovere, e allora ci tocca accettare che è una cosa bella, che l’essere umano è tollerante per natura e diventa intollerante soltanto quando si snatura, diventa intollerante soltanto quando non vive e non gode l’esplicazione della libertà individuale. Nella misura in cui gode l’esplicarsi di ciò che è individualmente libero, lo trova talmente bello, un godimento tale che non soltanto lo tollera in sé, lo vuole per sé e lo vuole anche per l’altro, perché se l’altro non si realizza continua a darmi pugni, a rendere me colpevole del fatto che non si realizza, allora ho soltanto interesse a che si realizzi anche lui. Ognuno ha per natura il massimo interesse a realizzarsi e a che l’altro si realizzi, e questa è la tolleranza, perché ognuno di noi ha il massimo di vantaggio quando si realizza lui e quando si realizzano tutti gli altri, e il massimo di vantaggio è che godiamo tutti l’unicità, l’alterità di ognuno e faremo di tutto per renderla possibile. Perché nel momento in cui viene meno questo godimento ci prendiamo a pugni a vicenda, a calci e a pugni, perché siamo tutti irrealizzati, tutti scontenti. Una persona contenta vuole l’altro contento, perché se è scontento continua a venire a picchiarmi, quindi la contentezza dell’altro fa parte della mia, perché se non è contento non mi lascia in pace continua a darmi pugni. Quindi abbiamo tutti interesse a far di tutto perché ognuno sia contento e ognuno è contento soltanto nella misura in cui si realizza nella sua unicità.
(IX,37) Se non risiedesse nell’entità umana la causa prima della tolleranza, questa non vi si potrebbe inoculare per mezzo di nessuna legge esterna! {Altrimenti dovremmo trovare il vaccino della tolleranza, il gene della tolleranza}. Solo perché gli individui umani sono di un unico spirito, possono vivere anche {gli uni accanto agli altri}, gli uni vicini agli altri. Il libero vive nella fiducia {nel convincimento, nell’attesa} che l’altro libero appartiene con lui ad uno stesso mondo spirituale e deve incontrarsi con lui nelle stesse intenzioni. Che non ci può essere conflittualità, come in un organismo sano non c’è conflittualità, non per il fatto che tutti gli organi siano specificamente diversi non significa che siano conflittuali, che si inceppano a vicenda non sono conflittuali. La salute è la non conflittualità assoluta, anzi l’opposto della conflittualità, è il favorirsi a vicenda in assoluto di tutti gli organi. Quindi esseri umani liberi si favoriscono a vicenda in un modo assoluto, altro che intralciarsi. Un essere umano felice concorre alla felicità altrui perché lo lascia in pace, un essere umano infelice rende infelice l’altro perché incomincia a pestarlo, a renderlo colpevole della sua infelicità. (IX,37) Il libero vive nella fiducia che l’altro uomo libero appartiene con lui ad uno stesso mondo spirituale e deve, {non può far altro che} incontrarsi con lui, {accordarsi, armonizzarsi con lui} nelle stesse intenzioni. Il libero non pretende, {non esige, non picchia, non pretende} dal suo simile una concordanza, ma se l’attende {sa che verrà per forza, per natura verrà se l’altro è libero} perché essa è insita nella natura umana. Con ciò non si è inteso accennare alle necessità imposte da questo o quell’ordinamento esteriore, ma alla mentalità, alla disposizione d’animo, {alla struttura mentale interiore} per cui l’uomo nell’esperienza che egli fa di se stesso in mezzo ai suoi simili da lui stimati, si adegua più di ogni altro alla dignità umana. Quindi la dignità dell’uomo consiste nella sua libertà, degna dell’uomo è soltanto la libertà, con meno che non la libertà l’uomo non si accontenta, l’uomo si accontenta solo della libertà, perché se gli manca la libertà gli manca tutto, e deve capire che la libertà, ciò che è libero lo deve costruire lui, perché se gli potesse venire dal di fuori non sarebbe libero, non sarebbe una costruzione libera del suo essere.
Sulle cose dette questa sera, ce ne sono state, avete obiezioni, esempi concreti, chiarimenti?
I. riguardo alle leggi e alla base per la libertà dell’individuo, perché alcune leggi devono valere per l’individuo, ad esempio non uccidere, ma non valgono per le comunità, perché uno Stato può uccidere tramite la pena di morte. Questo vuol dire che mentre l’individuo ha un canale diretto con i mondi spirituali il gruppo no? cioè il gruppo è a un livello inferiore quasi ad anima di gruppo e quindi non responsabile?
A. il potere è immorale per natura perché uccide la libertà, quindi non puoi pretendere dal potere che sia morale e che si attenga al comandamento morale di non uccidere l’altro, il potere è per natura immorale
I. ma lui fa le leggi per me
A. no, le leggi vengono fatte dalla maggioranza, tu dirai: ma io sono in una dittatura dove il Fuhrer decide! Allora parliamo di questo caso limite che è un caso di eccezione non facciamone la regola, quindi l’eccezione serve a confermare la regola, esercitando il pensiero sul caso di eccezione, che uno si trova in un paese totalitario dove il tiranno decide ciò che devono fare gli esseri umani capiamo meglio la regola, che è la democrazia dove la maggioranza decide
I. ma anche in America c’è la pensa di morte
A. aspetta una cosa alla volta, adesso facciamo l’esercizio dove io mi trovo in un paese totalitario, dove il tiranno ha stabilito una legge dove tra l’altro non è una legge, a che cosa mi vuol costringere? Adesso devi diventare concreta, mi può costringere a qualcosa il tiranno, il Fuhrer? No
I. mi può costringere a rispettare quelle leggi che lui non rispetta
A. no, no io non le rispetto
I. ci rimetto la vita
I. ?
A. vedi come è semplice la cosa, lui me lo aveva mezzo in bocca come se io lo avessi detti ma era un fraintendimento, come se io avessi detto che le leggi vanno sempre rispettate andiamoci piano! Il pensiero è che nella misura in cui una persona è libera, nella stessa misura non la si può costringere a nulla, perché è libera, e se uno può venir costretto a qualcosa è perché non è libero, portatemi voi un esempio in cui si possa costringere una persona libera a qualcosa? Se è libera non la puoi costringere a nulla, non lo fa punto e basta! Non importa nulla delle conseguenze! Lei dice ma si può rendere non libera con le droghe, ma la devi prendere la droga, qualcuno fa l’iniezione e io ti ho detto che il lavaggio del cervello, quello che viene fatto al mio corpo può al massimo ottenere di sconnettere il mio spirito dal corpo, ma non può entrare nel merito del mio spirito, perché lì non si possono fare iniezioni. Lo spirito di Socrate non lo può cambiare nessuno, in quello spirito lì avviene soltanto quello che vuole lui, qualcuno può ottenere di sconnettere questo spirito facendo qualcosa al corpo, ma non lo cambia in nulla e per nulla. Quando io sconnetto la viola dal terreno, sconnetto la viola col suo campo di crescita, ma con questo non cambio io le leggi immanenti, le forze di crescita della viola perché non posso farlo. Funziona il pensiero? perché è importante. Quindi l’io è intoccabile, non lo si può gestire dal di fuori, gli antichi lo chiamavano il sancta sanctorum non è gestibile dal di fuori. Io posso sconnettere uno spirito dal suo corpo come posso sconnettere il tulipano dalla terra, ma non posso cambiare il mondo di forze, di formazione di crescita insite nel tulipano
I. tutte le cose che sono state dette sono interessantissime e poi è spiegato pure come attualizzarle, è un tappeto di velluto, ma come mai non riusciamo ad attualizzare una cosa così semplice, bellissima tra l’altro? a me sembra semplice però non si riesce ad attualizzare allora non è semplice
A. la risposta non è semplice
I. forse perché siamo tutti bambini e non riusciamo a diventare uomini
A. tra le tante cose che si possono dire per rispondere alla tua domanda, la tua domanda è: come mai se il nocciolo è così chiaro, così semplice, è così accattivante come mai non arriviamo mai al nocciolo? Tra le varie cose che si potrebbero dire ne tiro fuori una, la vita moderna è diventata così complessa dovuto alla tecnica, dovuto a tutti i macchinari che abbiamo, alle cose da fare, che in un certo modo il mondo ci presenta un bombardamento continuo di percezioni, veniamo distratti in tantissime direzioni che non arriviamo mai al nocciolo della questione, perché veniamo distratti da un sacco di cose, facciamo troppe cose questo è uno dei motivi. Ogni tipo di potere ha interesse a che l’individuo in base a questa distrazione del da farsi, del da farsi, del da farsi non arrivi a questo nocciolo perché questo nocciolo è pericoloso per il potere costituito. E gli esseri umani non si accorgono che a forza di rincorrere, di rincorrere tutte le cose da fare non si arriva mai alla cosa più importante. Allora io direi in chiave psicologica non sottovalutiamo la farragine di cose di cui noi riempiamo ogni giornata, o ci decidiamo di ridurla almeno di metà, oppure non potremmo mai arrivare al nocciolo
I. questo io lo tenevo in conto, me l’aspettavo questa situazione in parte, ma anche io però sono complesso, non è che è solo la società che mi propina un’infinità di immagini complesse pure io sono complesso, sarebbe una battaglia alla pari perché io non sono rimasto semplice, allora c’è da abbattersela ancora secondo me, sembra così semplice poi in realtà concretizzarlo è difficile
A. io non do ricette di comportamento, però per usare un esempio che ti porta al concreto, tu dici dimmi concretamente come si fa? Se io voglio nel contesto di ventiquattro ore, avere un’ora che poi è pochissimo, da dedicare all’arricchimento del mio spirito, magari attraverso la lettura, devo capire che non posso avere un’ora di lettura feconda senza crearmi le condizioni, devo mandare a ramengo le cose che altrimenti avrei fatto in quell’ora. Quindi non posso crearmi un???ora libera senza tirar via dalla mia giornata ordinaria così com’era finora le cose che riempiono un’ora, devono sparire, e poi per garantire di avere un minimo di pace, un minimo di concentrazione, devo sapere che in quest’ora il telefono non c’è, i bambini devono stare con la mamma se io sono il papà, o stanno con il papà se io sono la mamma va accordato, e allora creo le condizioni per avere un’ora in cui veramente arricchisco la mia anima, arricchisco il mio spirito, però questa ora la devo liberare e la devo volere, cioè mi devo creare un’ora in cui le cose che altrimenti avrei fatto non le faccio! ma come adesso bisogna fare il pieno alla macchina, bisogna cambiare le ruote mettere quelle dell’inverno ecc. il da fare è all’infinito
I. non solo quello che dici te è sacrosanto, ma forse quello che sconcerta Maurizio è anche il fatto che dice ma come mai non lo vogliamo, non ci decidiamo a cercare quest’ora libera? Non è solo liberare l’ora rinunciando a qualche altra cosa, ma desiderare e fare e riservarsi quest’ora
I. questo non è che io volevo prendere una Ferrari e arrivare subito alla destinazione
A. sì certo, la tua domanda è: perché fa paura la libertà? il motivo per cui non lo facciamo è che abbiamo paura inconscia
I. ecco volevo qualche pista, comunque un paio le ho ricevute di queste piste, poi le svilupperò magari a modo mio, una pista è la paura
A. perché ci fa paura? Sentiamo un paio di contributi perché ci fa paura la libertà? che non le diamo neanche un’ora su ventiquattro
I. io ce l’ho la risposta mia, però non è che è valida per tutti, ognuno c’ha la sua, la mia è perché c’è la rabbia per esempio
A. e perché mi fa rabbia?
I. mi fa rabbia non poterla ottenere, quindi praticamente mi mordo la coda
I. per me fa paura perché mi toglie completamente ogni alibi di affibbiare la responsabilità a qualcun altro, e Steiner dice una frase molto bella: quand’anche nella giornata fossero cinque minuti di meditazione, quelli è una tua responsabilità trovarli, se poi spegni la tv. Volevo fare un esempio concreto che mi è venuto di umanità armonica, un esempio che tutti possiamo vedere, ed è un’orchestra sinfonica è fatta non solo di tanti strumenti, ma di tante famiglie di strumenti. Ogni famiglia di strumento può rappresentare un popolo ad esempio, ogni famiglia di strumento può rappresentare una delle tre tripartizioni dell’uomo pensiero, sentimento, volontà. Questi suonano tutti insieme e ognuno ha bisogno degli altri, se tu togliessi una di queste famiglie e sentissi il prima il concerto senza la famiglia dei fiati e poi con la famiglia dei fiati, noteresti quello che manca e ti accorgi che quell’orchestra è un organismo. Qual è la contro immagine dell’orchestra? È il solista, il solista suona o da solo ad esempio il pianista oppure anche con l’orchestra, il concerto per solista e orchestra è un’interazione che è quella che abbiamo tutti noi fra individuo e una umanità armonica. Uno può dirmi: sì ma c’è il direttore d’orchestra, chi è il direttore d’orchestra? È il potere, allora forse il compito dell’umanità è imparare a suonare senza il direttore e senza lo spartito
A. ci porterebbe troppo lontano, perché hai preso il paragone, l’analogia più dalla parte dove zoppica che non dalla parte dove ci calza, e questo crea problemi. La parte dove zoppica è che in questa sinfonia è già tutto previsto
I. la libertà per definizione è anche responsabilità, se io ho la libertà poi devo saperla usare, autogestirmi, e questo è quanto meno scomodo per quasi tutti, è una cosa ben nota tant’è vero che ci sono molte parti di molte popolazioni che dopo avere imprecato per anni e decenni contro un regime dittatoriale, quando quel regime è finito l’hanno rimpianto, perché alla mattina hanno cominciato ad avere il problema di domandarsi che cosa faccio?
A. quindi la paura delle responsabilità, benché la categoria di responsabilità è un po’ moraleggiante, quante responsabilità ha l’uomo? nessuna, la categoria di responsabilità non ci aiuta
I. quello che rende difficile è il fatto che sia gratuita la cosa, cioè è che non sono obbligato e non essendo obbligato la posso mettere con tutta semplicità. Io non mi prendo quest’ora perché non è un obbligo e perciò la ometto facilmente, tutto quello che non sono obbligato a fare lo devo volere, per cui è una mia conquista, è una conquista della mia libertà e ci devo mettere delle forze, delle energie, una volontà, un pensiero
A. uno sforzo
I. uno sforzo, è più facile non farlo
A. quindi lui ti sta dicendo che ciò che è libero è più facile ometterlo che non realizzarlo, e questo ti spiega che è più facile omettere di creare quest’ora libera che non costruirla, è più facile una spiegazione psicologicamente molto importante. Quindi noi abbiamo una società abituata a ciò che è più facile perché è più facile, e cosa da’ più gioia ciò che è più facile o ciò che è più difficile? Da’ più gioia ciò che è più difficile, però è più difficile
I. potrebbe far paura perché non la conosci? non sai cos’è come tutte le cose che sono un salto nel vuoto, di fatto non la conosci la libertà vera, la fiducia anche
A. il rischio, se io faccio il dovere conto sul riconoscimento altrui, perché mi dicono bravo hai fatto il tuo dovere. Se io mando al diavolo ogni dovere e faccio ciò che voglio mi espongo alla condanna, al giudizio negativo che è la condanna, e questo fa paura
I. se non si conosce proprio perché non hai avuto l’esperienza di vivere quell’atto di libertà, non ti viene proprio nessuna idea di poterla coltivare, non sai neanche da che parte cominciare, così come può essere per un cibo o un evento, se non lo esperisci almeno con qualcuno, o casualmente qualcuno ti ha detto: ma sì dai andiamo a buttarci col paracadute e lo esperisci perché qualcuno ti ha portato, dopo ti viene ancora desiderio di provare quell’esperienza particolare, così è per quanto riguarda la libertà credo io. Se io non comincio a fare quella che esce dal coro una volta almeno, non ne assaporo la straordinarietà che mi induce poi per provare ancora quel sentimento, allora o con i cammini dell’anima o coi suggerimenti di Steiner, mi alleno a questo allora vien voglia, desiderio di coltivare, già essere qui per molti di noi è stato un atto di libertà nell’uscire da schemi e abitudini quotidiane. Quindi dico se non si è esperito non vien voglia di riprovarlo e di coltivarlo
A. lei ci sta aggiungendo un altro elemento molto importante, ed è quello che finché qualcuno mi predica, mi osanna un certo tipo di cibo ma io non l’ho mai gustato, la voglia di questo cibo resterà astratta. E lei ti dice una cosa importante che funziona è un primo assaggio, e lei chiedeva: come si fa ad arrivare al punto da avere un primo assaggio? Ma la risposta a questa domanda non è più facile che non la risposta alla prima domanda. Però è giusto quello che tu dici, che nel momento in cui una persona ha fatto un primo assaggio, dice questo cibo è così gustoso che ne voglio mangiare il più possibile! Però la grossa domanda è come arrivo al primo assaggio?
I. in parte quello che ha detto lei è anche quello che penso io, stavo riflettendo sulla motivazione che spinge a questo tipo di azione, quale può essere la motivazione se uno è un’esperienza che non conosce, non sa cosa sia quindi non ti viene in mente di farla, di fare lo sforzo di uscire dall’inerzia, dal dato di natura che ti rende immobile verso un certo tipo di esperienza. Forse l’unica cosa che può muovere verso questa direzione non conoscendo l’esperienza è il dolore, quando uno arriva proprio a toccare il fondo, di fronte a un malessere uno si da’ una mossa perché non ne può più e vuole uscire da questo malessere, allora forse può fare uno sforzo e trovare quest’altra cosa e assaggiare questa dimensione nuova che non conosceva prima.
A. allora cosa ne direste se noi capovolgiamo la situazione e invece di parlare del nuovo, che poi ci resta la domanda: come arrivo io al nuovo? Parliamo di ciò che noi viviamo sempre. Perché la qualità di ciò che è libero c’è in tutto quello che facciamo perché siamo uomini, allora si tratta di rivolgere lo sguardo a quella percentuale per quanto piccola di libertà, che c’è in ogni azione. Allora io mi dico ma come una mezzoretta di colloquio che abbiamo avuto, ci siamo ascoltati a vicenda l’ho vissuta stamattina, cos’era speciale di questa mezz’ora che è stata così bella? Che ci siamo dati il tempo di ascoltarci a vicenda, quindi si tratta di guardare la vita che viviamo ogni giorno cogliendone quegli aspetti seminali, incipienti che noi vediamo che dove c’è più libertà c’è più gioia, c’è più pienezza, dove invece viene questo assillo del fare le cose allora ci sentiamo meno soddisfatti, allora incremento questi che già conosco, cioè la libertà la conosciamo tutti perché siamo uomini, si tratta di porre maggiormente attenzione a quei momenti in cui io ero meno frenetico, e dirmi sono quelli più belli, allora li aumento e i momenti di frenesia li diminuisco. Ma se non ho un aggancio, e se parlo di qualcosa di tutto nuovo da inventare non ce la farò, quindi l’aggancio è proprio l’aggancio con l’elemento di libertà, la dimensione di libertà che c’è in tutto quello che facciamo, perché tutto quello che facciamo lo godiamo nella misura in cui siamo liberi, godiamo minimamente quando siamo minimamente liberi, godiamo massimamente quando siamo massimamente liberi, ma zero libero non è nessun uomo dovrebbe terminare di essere libero, zero libero è soltanto l’animale, l’uomo ha sempre almeno un minimo di libertà. Se la coglie che poi è una qualità non è questa azione libera questa no, è una qualità, questa azione qui ha maggiormente il carattere, la qualità di ciò che libero, quest’altra è talmente frenetica, talmente assillante che lì non c’è la libertà. allora aumento questa qualità di libertà e diminuisco sempre di più l’altra, ma l’aggancio ce l’ho nella mia vita, l’aggancio ce l’ho nel mio vissuto, non devo andare dal guru o da Steiner per sapere cosa io devo fare che sula dal mio essere, no la libertà non esula dal nostro essere, è immanente nell’essere umano. Allora quella mezz’ora lì se è stata così bella domani saranno tre quarti d’ora. Buona notte a tutti.
Domenica 6 febbraio, mattino
A.: Eravamo arrivati al paragrafo 38. Volevo dirvi anch’io, come nota organizzativa, che ho deciso, per maggioranza, stamattina: facciamo così che mi permettete di portare a termine il IX° capitolo e poi chi s’è visto s’è visto!
Abbiamo circa due ore a disposizione, adesso vediamo, avrei pensato di terminarlo il IX° capitolo; non si può naturalmente commentare ogni frase, ogni rigo, si tratta in fondo di capire i pensieri fondamentali.
Questo paragrafo 38 è un’obiezione importante: molti a questo punto osserveranno: il concetto dell’uomo libero che tu tracci, è una chimera! Un’illusione! Non si realizza in nessun luogo!
Noi però abbiamo a che fare con uomini reali e questi uomini reali non sono una chimera, e nella loro moralità c’è da sperare soltanto se essi ubbidiscono a un comandamento, se concepiscono la loro missione morale come un dovere e non seguono liberamente le loro inclinazioni e il loro amore.
Quindi questa obiezione dice: è un’obiezione del malinteso realismo – che poi non è realismo, perché l’unico realismo consono all’essere umano è l’idealismo. L’unico realismo consono, che corrisponde all’essere umano, è di vivere da idealista; se termina di vivere da idealista termina di vivere da uomo.
E questa tensione: vivere da idealista, è proprio il vivere in tensione di un essere aperto, che può diventare sempre più ricco, sempre più pieno, sempre più vasto, sempre più profondo…
Questo dinamismo della crescita, la chiamiamo libertà; l’uomo è un essere aperto.
Ora si tratta di aver paura di questa libertà, che salta fuori un caos, che non si potranno più dominare gli uomini, o di dar fiducia, di godere questa libertà, di dar fiducia a questa libertà nel senso che, praticamente, il pensiero fondamentale sulla libertà è un calcolo, se volete, anche realistico; e cioè: chiediamoci sinceramente, realisticamente, saltano fuori più problemi, il sociale diventa più disumano, più difficile se noi rinunciamo alla libertà, perchè diciamo che è un’illusione, di lasciar perdere, gli esseri umani vadano secondo la legge, secondo l’ubbidienza, secondo la sottomissione, o saltano fuori molti più problemi se noi incoraggiamo gli esseri umani a vivere, a fare l’esperienza, a godere sempre più della libertà, e quindi a incoraggiarli a essere liberi?
E la mia disamina, che è la disamina realistica, che è la risposta a questa domanda sulla libertà, dice: il pensiero non è che dice che l’essere umano ha il “dovere” di essere libero; perché allora non è libero se ha il dovere di essere libero!
In fondo il pensiero è questo: se è nella natura dell’essere umano di non essere libero, allora la libertà sarebbe disarmonica con il suo essere e quindi, nel cercare di essere liberi, avremmo molti più problemi perché andremmo contro natura.
Se invece andiamo contro la natura dell’uomo precludendo, impedendo la libertà, avremmo molti più problemi con la paura nei confronti della libertà.
E l’affermazione fondamentale di Steiner è: se è vero, come è vero, che il fatto di aver paura della libertà e di viverla troppo poco, rende gli esseri umani sempre più scontenti, sempre più depressivi, ecc., ecc., questo ci sta a dire che noi andiamo contro la natura dell’uomo, e creeremo un sacco di problemi, se non sentiamo in noi, non coltiviamo in noi il coraggio, di incoraggiare sempre di più l’esperienza della libertà.
Quindi il concetto è: è un vantaggio enorme per tutti se noi diamo fiducia alla libertà; se invece non diamo fiducia alla libertà, abbiamo paura della libertà e vogliamo mettere in riga gli esseri umani, avremo sempre più problemi.
Questo è il concetto fondamentale
E l’altro può dire: no, no, no, a me risulta l’opposto! Io sono convinto che ci sono molti più problemi quando si incoraggia la libertà!
E allora staremo a vedere chi ha ragione!
Perché la storia darà ragione o agli uni, o agli altri.
Perché io non posso convincere l’altro dell’opposto della sua convinzione: è convinto che è così!, lui è convinto che l’aspirazione alla libertà, chiamiamola così, crea più problemi che non tenere a bada gli uomini.
E io dico: tenere a bada gli uomini, voler far di tutto per tenerli a bada, crea molti più problemi, perché andiamo contro la loro natura, e si dovranno ribellare continuamente.
Quindi non è un discorso morale, in fondo, quello che stiamo facendo, è un discorso conoscitivo: qual’è il tipo di interpretazione che io ho della natura umana, dell’essere umano.
E allora stavamo dicendo: ci sono due interpretazioni fondamentali dell’uomo, a livello conoscitivo; una interpretazione dice, una lettura dell’uomo dice: l’uomo è un essere di natura, e ci sono determinismi di natura, ci sono diversità perché i geni, la compagine fisiologica, biologica è diversa nell’uno; ma non è libero l’essere umano, la libertà è un’illusione; molti scienziati naturali sono convinti che la libertà non c’è, è un’illusione.
Questo è un tipo di interpretazione.
L’altro tipo di interpretazione dice: l’essere umano è per natura un essere in divenire e lui è capace di decidere del modo in cui il suo essere si realizza.
E questa è l’affermazione fondamentale sulla libertà; è lasciato alla libertà dell’uomo il come realizzare il suo essere, quindi non è un essere di natura già deciso, definito, determinato, da leggi di natura; è aperto: gli è data una base di natura, ma su questa base di natura – che è il corporeo, se volete – lui può costruire, è libero di costruire un’altra dimensione del suo essere, e addirittura ha la possibilità di essere del tutto individualizzato.
Queste sono le due interpretazioni fondamentali dell’essere umano. E ognuno deve essere onesto con se stesso e chiedersi: qual’è la mia lettura, la mia interpretazione dell’essere umano?
Perché se io sono convinto che l’essere umano è libero, è aperto, e quindi tocca a lui, è data a lui la possibilità di realizzare il suo essere in un modo o nell’altro, ecc., ecc., allora devo essere coerente con me stesso; allora devo ribellarmi di fronte ad un sociale che fa di tutto per proibire al libertà, o per metterla subito come un fattore negativo.
Perché se sono convinto che l’essere umano aspira ad una libertà sempre maggiore, devo capire che la conseguenza di questa mia convinzione è che io sono convinto – se sono onesto – se sono convinto che l’essere umano è libero, allora questa mia convinzione significa: meno lo rendiamo libero, più avremo problemi.
Mi devo rendere conto di questa conseguenza!
A meno che dica: l’altra interpretazione: no, l’essere umano non è libero, la libertà è un’illusione; allora è un’altra cosa.
Quindi questa pulizia, questa onestà intellettuale interiore è proprio quello a cui la Filosofia della Libertà – questo testo – ci porta.
Perché come risultato morale di queste due interpretazioni dell’uomo, c’è che colui che… sorgono da queste due interpretazioni due modi fondamentali di trattare l’uomo, di trattare se stessi e di trattare l’altro.
Quindi, nel morale, colui che ritiene la libertà un’illusione, farà di tutto perché questa illusione di libertà, che si manifesta nell’uomo, venga soffocata, e quindi non vuole la libertà: farà di tutto per proibirla, per impedirla.
Consegue dalla prima interpretazione dell’essere umano, invece, chi è convinto intellettualmente, nella sua mente, che l’essere umano è un essere in divenire, è aperto, è libero, è libero di prendere in mano i suoi destini, è libero di realizzarsi, o non realizzarsi in un certo senso, la conseguenza morale di questa interpretazione conoscitiva dell’uomo, è che questo secondo uomo vuole la libertà, vuole favorire la libertà, farà di tutto per renderla il più possibile ad ogni essere umano.
Quindi non si può essere onesti con se stessi, avere intellettualmente il convincimento che l’essere umano è chiamato, ha il dinamismo di diventare sempre più libero, sempre più creatore, e non far nulla per favorire questo! Si è disonesti!
Perché comporta – questo convincimento, diciamo di interpretazione dell’umano – comporta una responsabilità morale nei confronti della libertà.
Se io sono convinto che la libertà c’è, devo capire che è una responsabilità mia, personalissima, di far di tutto perché venga resa possibile, perché non venga compromessa nel campo mio e anche per tutti gli altri uomini.
Se io non faccio nulla per rendere possibile la libertà, il mio convincimento intellettuale che c’è, non vale nulla! Non vale una cicca! È una pura teoria!
Quindi, in un certo senso noi abbiamo un mondo pieno di gente che, in base all’autoesperienza, perché qualcuno, insomma, la libertà, quella che ha, se la gode!
Quindi dobbiamo partire dal presupposto che c’è una maggioranza sincera, spontanea, di persone che dicono: no, no, l’essere umano è libero; però di fronte a questa interpretazione dell’umano, siamo ancora talmente bambini che non ci rendiamo conto che la libertà diventa reale soltanto nella misura in cui ci sono individui che, di questo convincimento intellettuale, ne fanno una responsabilità morale!
La libertà non sarà mai reale se io non faccio nulla, se io non pago nulla perché ci sia!
E questo è il senso della 2° metà della Filosofia della Libertà: la responsabilità morale nei confronti della libertà.
Sono fatti miei! Se io non faccio nulla non ci sarà mai la libertà; sarà una bella teoria, ma sarà un’illusione.
Quindi contribuiscono a che la libertà sia un’illusione tutte le persone che sono convinte che c’è, ma non fanno nulla per renderla reale.
Perché la libertà per la quale non si vive e non si muore, non è una libertà! Quella sì che è una pura chimera!
E naturalmente ci siamo detti: non è che stiamo parlando di un libertinismo, stiamo parlando di libertà, che ha delle leggi ben precise: la libertà è nel senso tutto positivo della parola, non di fare quello che mi pare e piace, ma di creare mondi individuali, sia nel piano del pensiero, sia nel campo della dedizione all’umano che lo vuol favorire, a tutti i livelli del suo divenire.
(IX, 38) Molti a questo punto osserveranno: «Il concetto dell’uomo libero che tu tracci è una chimera, non si realizza in nessun luogo; eh, certo!, se nessuno fa nulla perché si realizzi! noi però abbiamo da fare con uomini reali, e nella loro moralità c’è da sperare solltanto se essi ubbidiscono ad un comandamento, se concepiscono la loro missione morale come un dovere, e non seguono liberamente le loro inclinazioni e il loro amore». E Steiner risponde Non ne dubito affatto. Soltanto un cieco lo potrebbe. Ma allora se questa dovesse essere l’estrema nostra concezione in proposito, bando ad ogni finzione di moralità! Dite allora semplicemente: «La natura umana deve essere costretta alla sue azioni, finché {perché} non è libera ».
LUCIANA: Qui c’è scritto “finché”.
A.: Perché, perché è meglio,no!
LUCIANA: Certo! È un altro concetto!
A.: Certo: “finché” è una leggera contraddizione. E lì si vede chi ha tradotto, insomma… questo testo, di questo tipo qui, va tradotto non soltanto da una persona che sa benissimo l’italiano e il tedesco… non basta! Deve essere ferrato un pochino anche in termini di pensieri di filosofia e cogliere tutti i minimi particolari, no!
(IX, 38) Se la non-libertà viene imposta con mezzi fisici o con leggi morali, se l’uomo è non-libero perché segue senza misura l’impulso del sesso o perché è avviluppato dai legami della moralità convenzionale, da un certo punto di vista è del tutto indifferente.
È non libero! Che sia determinato dall’impulso sessuale, o che sia determinato dalla morale cattolica, determinato è determinato: determinato qui, determinato là.
Sì, voi direte: ma la morale cattolica comprende che tu la capisca, la faccia tua, la interiorizzi e poi diventi la tua stessa libertà.
E allora finisce di essere morale cattolica. È che si cambia un pochino in questo processo.
…Ho detto qualcosa di terribilmente brutto? Vi vedo tutti zitti, zitti… va bene: la quintessenza della morale – io ho preso la morale cattolica perché in Italia può darsi che il concetto ci sia ancora, in Germania direi la morale protestante, mica la morale cattolica.
L’assunto fondamentale della morale cattolica qual’è?
Ubbidisci, devi fare la volontà di Dio. Per dire un assunto fondamentale, no!
Quindi, prima di tutto l’obbedienza, se no non è morale cattolica, e poi la volontà di Dio.
Quindi: sottometterti – siamo in Islam pieno – alla volontà di Dio, di Allah.
E poi, siccome la volontà di Dio è un po’ difficilina, perché Dio è un po’ fatiscente, allora si esprime con la volontà dei superiori: tu vai in paradiso se fai la volontà del padre superiore, perché in lui si esprime la volontà di Dio.
Mi vien dato di constatare, qui in sala, mi dà gioia che questa morale è sconosciuta a tutti i presenti, ma che bella cosa!
Siete molto avanti nel vostro cammino morale!
(IX, 38) Se la non-libertà viene imposta con mezzi fisici o con leggi morali, se l’uomo è non-libero perché segue senza misura l’impulso del sesso o perché è avviluppato dai legami della moralità convenzionale, da un certo punto di vista è del tutto indifferente. Non si affermi però che un simile uomo possa con diritto chiamare sua un’azione a cui è spinto da una forza estranea.
Se io agisco, se io faccio una cosa per paura, per evitare di andare all’inferno – queste persone non ci sono più perciò ne possiamo parlare in chiave umoristica – se uno compie un’azione per andare in paradiso ed evita un’azione per non andare all’inferno, (ripete) evita un’azione per non andare all’inferno, questa paura dell’inferno fa parte del suo essere? È proprio un impulso della sua libertà?
No! L’inferno non l’ha creato lui prima di tutto, l’ha creato colui che gli vuol mettere paura; poi la paura non è sua, la paura è sempre indotta, la paura non fa parte della natura umana, la libertà fa parte della natura umana, la paura è sempre indotta dal di fuori.
La paura è il ricatto più fondamentale che esista, perché se tu riesci a mettere paura all’uomo, allora ne fai quello che vuoi. Con la paura gli fai fare quello che vuoi e gli fai evitare quello che vuoi.
Questo è il motivo per cui è stato inventato l’inferno e il paradiso.
Il paradiso sono le caramelline che ti do se sei bravo, cioè se ti comporti come voglio io, e l’inferno sono le punizioni che ti do se non sei bravo, che vuol dire: se non ti comporti come voglio io.
Non si affermi però che un simile uomo possa con diritto chiamare sua un’azione a cui è spinto da una forza estranea. Ma dal mezzo di quest’ordine forzato si elevano gli spiriti liberi, che trovano se stessi entro gli impacci del costume, dell’imposizione legale, della pratica religiosa, e così via. Liberi sono in quanto seguono solo se stessi, non liberi in quanto si sottomettono. Chi di noi può dire di essere in tutte le sue azioni veramente libero? Ma in ciascuno di noi alberga un’entità più profonda nella quale si esprime l’uomo libero.
E dicevamo: una delle cose che ci siamo ripetuti a varie riprese, che più l’essere umano diventa libero – la sfera della libertà, no!, ciò che è libero, libertà – e più ama e vuole liberamente ciò che è necessario – il cosidetto bene comune – ciò che è la condizione necessaria: un assetto sociale, un modo di trattarsi a vicenda, ecc., ecc., per rendere possibile la libertà.
Quindi ciò che è necessario è ciò che è dovuto; il necessario è ciò che dobbiamo ad ogni essere umano; di ciò che è necessario soprattutto sono comprese le azioni che è necessario evitare, perché se vanno compiute ledono la libertà, non la rendono possibile.
Nella misura in cui l’essere umano non vive, non gode ciò che è individualmente libero, sente la base di leggi necessarie come un’imposizione…perché?
Perché non ne esperimenta la legittimità, non ne esperimenta la necessità. Quindi l’unica legittimità di ciò che deve essere, è che renda possibile la libertà. Quindi soltanto chi vive la libertà, chi proprio la sperimenta, la gode, soltanto lui è capace di vedere ciò che è necessario come parte di ciò che è libero; e quindi non soltanto lo rigetta, ma lo ama, lo ama, gli diventa sacro.
Quindi il dovere è dovuto soltanto alla libertà; è dovuto per rendere possibile la libertà; ma se la libertà non viene mai, il dovere perde la sua legittimità.
Quindi diciamo: il rovellio del sociale in cui noi ci troviamo, è che non c’è ancora quasi nulla di esperienza di libertà e il dovere è l’unica cosa, altrimenti va tutto a sfascio; e troviamo autorità che continuano a dirci: ma guarda che i doveri sono importanti, importanti, importanti! Ma importanti per che cosa?
Viene reso importante e necessario soltanto quando sfocia nella, libertà, ma la libertà non viene vissuta e allora, nella misura in cui l’individuo non vive, perché non viene incoraggiata, lo si lega, ha tante cose da fare, non ha tempo, ma poi c’è anche una cultura che non la articola questa libertà, allora tutta la società lo vuole asfissiare con questo necessarietà, la rende ancora più grande, ancora più stretta, ancora più ferrea, e l’individuo si ribella sempre di più.
L’unico modo è di dirsi: no, questo minimo del denominatore comune, necessario, diventerà minimo soltanto nella misura in cui, qui, ha diritto di esserci solo ciò che è necessario per vivere in libertà, tutto il resto non ce n’è bisogno.
Però, per sapere che cosa è necessario per vivere nella libertà, bisogna vivere nella libertà; quindi è la libertà il criterio del dovere: dovere è soltanto ciò che è necessario per vivere da liberi, solo questo è dovuto all’essere umano, solo questo è dovere.
Ciò che non è necessario per vivere da liberi, non è dovuto, non è un dovere, non c’è mica una xxxssìa(?). Quindi l’unica fondazione legittima di un dovere è che tu mi devi dimostrare che è necessario per vivere in libertà, altrimenti non è un dovere.
Se uno riguarda un po’ spassionatamente questi pensieri fondamentali, ad un tratto dice: comincio a respirare, è aria pulita!
Dall’altra parte si dice: eh, ma siamo neanche all’inizio!
E allora diamoci da fare, diamoci da fare, ce n’è da fare!
Perché se noi non stiamo attenti, se noi non articoliamo questa sfida specifica dell’umano, questa base che dovrebbe essere la base della libertà, diciamo, siccome c’è soltanto quello, gli esseri umani si arrabbiano a vicenda perché non vivono ciò che è libero, non lo godono, e la dinamica di ciò che è necessario come base per la libertà, nella misura in cui non la si vive, è che si va sempre di più verso la “guerra di tutti contro tutti”.
La guerra di tutti contro tutti è un concetto esoterico, occulto se volete, che da sempre c’è nel filone esoterico dell’umanità, anche dell’Apocalisse cristiana – l’ultimo libro della Bibbia – che sta a dire: è il risvolto negativo dell’evoluzione, nella misura in cui gli esseri umani non vivono, non creano, la libertà e l’amore; vanno nell’abisso dell’evoluzione che è la guerra di tutti contro tutti.
E lo vediamo, siamo veramente… sono di anno in anno… se uno osserva il sociale, sono veramente passi decisi in direzione della guerra di tutti contro tutti.
E “guerra di tutti contro tutti” significa tutti gli esseri umani, ogni essere umano diventa sempre più insoddisfatto, sempre più insoddisfatto, si arrabbia sempre di più e picchia sempre di più, ha sempre scontento, ecc., ecc., perché non trova ciò che gli dà pienezza.
E lo rifaccio agli altri! E picchia gli altri perché non è libero.
Ed è importante capire: no, la libertà non può venire dagli altri, non può mai venir minacciata dagli altri; anche se io vivo in un assetto sociale i cui fondamenti fanno di tutto per rendere non possibile la libertà, allora io basta che prenda questa realtà come la necessaria controforza e più questa controforza è forte, più io sono forte; e diventerò sempre più forte, e la mia libertà ancora più forte.
Molti nemici, molto onore.
Quindi non segue dal fatto che l’assetto sociale sia tutto retrivo nei confronti della libertà, non segue che per me la vita è più difficile, se me la godo diventa ancora più facile!
Dovrò pagare per la libertà? Basta che goda di pagare!
E individui umani che hanno goduto di pagare per la loro libertà ci sono stati; anche quello è libertà, anche quello!
Una libertà è maggiore, o minore, se signoreggia, se vince contro forze maggiori?
È una libertà più forte se vince contro forze più forti.
Se invece le controforze sono da nulla, allora anche la libertà è da nulla.
Quindi la persona che cerca la libertà è tutta contenta di vivere in un mondo maggiormente ostile alla libertà; si dice: diventerà più bella, diventerà più forte.
Quindi non è mai una scusa valida il dire: sì, però la societa è tutta contro la libertà dell’individuo; non è mai una scusa.
In altre parole la libertà è sempre possibile. E più è impossibile e più è possibile! Più impossibile tra virgolette, nel senso che le controforze sono al massimo forti e più la libertà ha la possibilità di essere forte.
Anche questo pensiero è bello se uno se lo medita ogni giorno, perché è un pensiero pulito. Se uno si dice: la libertà è sempre possibile, e più forti sono le controforze basta che lei sia ancora più forte, e diventa ancora più forte.
Questo pensiero qui, questo semplice pensiero, meditato ogni giorno, genera, può generare forze tali che l’individuo non ha mai paura di perdere la sua libertà. Più le controforze sono forti, più diventa forte.
Quindi l’alternativa della libertà non è la non-libertà, l’alternativa della libertà è poltrire. E se termino di poltrire comincio ad essere libero.
(IX, 39) La nostra vita si compone di azioni libere e non libere…
Questa frase va presa con grano salis, diciamo; Steiner prende gli esseri umani come sono, ma se vogliamo essere coerenti fino in fondo, la vita di una persona protesa verso la libertà, non si compone di azioni libere e azioni non-libere; sono tutte libere! Perché questa sfera che è necessaria per rendere possibile la libertà, senza la quale, se non viene salvaguardata non c’è la libertà, viene assunta in tutto e per tutto nella libertà, viene amata liberamente, non a denti stretti.
Quindi una persona libera compie solo azioni libere.
E nella misura in cui ci sono ancora azioni non libere, ci sono ancora aree di non libertà. Quindi dove c’è libertà non ci sono certe azioni libere e certe azioni non libere, perché la libertà non è un fatto quantitativo, è una qualità dell’uomo; e dove l’uomo agisce in questa qualità della libertà, tutto ciò che fa è libero.
Quindi la libertà non rende 3/4 libero l’uomo, o 4/5. Tutto ciò che è fatto in libertà è libero.
Allora, diciamo, la nostra vita oggi si compie di azioni libere e azioni ancora non-libere, però tutte rivolte verso la direzione di diventare tutte libere.
Quando io mangio, è un’azione non libera?
PUBBLICO: È per natura…
A.: Sì, ma è non libera?
LUCIANA: Se mangi per sostenerti è libera; se mangi con avidità, per il piacere del cibo non è libera perché sei determinato dal desiderio.
A.: La libertà è libera di prendere posizione nei confronti di ogni azione; quindi ogni azione può essere libera e non libera.
Allora, nel mangiare, nel mentre io sto mangiando, ho due possibilità fondamentali: una è la compagine interiore – la libertà è una compagie interiore, la libertà è una mentalità – se io, mentre mangio, mi dico: oh!, vivo!, faccio l’esperienza che si dice: mi tocca mangiare: non sono libero, sto facendo un’azione non libera.
Se io invece, mentre mangio – cosa che devo fare, lo so – però nel mio animo, nel mio spirito, io dico: no, io vivo, sento e vedo nel mio pensiero questo mangiare come strumento necessario, come base necessaria per tutte le creazioni libere, allora io voglio, voglio, voglio questo mangiare in vista di tutto quello che poi potrò fare da libero.
Allora questa seconda persona mangia in un modo diverso, è un’altra azione. E la digestione sarà del tutto diversa, perché non mi dite che i pensieri, non mi dite che la compagine dello spirito e dell’animo non hanno nessun riflesso sul corpo!
È assurdo pensarlo!
Quindi una persona che dice: mi tocca mangiare, perché devo, avrà una digestione molto più faticosa.
LUCIANA: Ma anche se mangia per il puro piacere di mangiare è determinato.
A.: Certo! Il piacere non è libero
LUCIANA: Anche in quel caso lì è un altro mangiare.
A.: Già era complicato per i due modi fondamentali, adesso lei vuol tirarne fuori un terzo. Santa pace! Poi si lamenta, dice: chissà se io riuscirò a vivere finché tu arrivi alla fine della Filosofia della Libertà!
PUBBLICO: Risate.
A.: Io le ho sempre detto: mangia in vista della libertà e tu camperai altri 40 anni! E lei dice: però se io mangio per piacere com’è la cosa? Importante che io non arrivi alla fine del IX° capitolo sulla Filosofia della Libertà, questo è l’importante!
(IX, 39) La nostra vita si compone di azioni libere e ancora non sufficientemente libere. Ma non possiamo pensare fino in fondo il concetto dell’uomo, senza arrivare allo spirito libero come all’espressione più pura più alta, più umana, più piena della natura umana. Noi siamo veri uomini solo in quanto siamo liberi.
Nella misura in cui l’essere umano non è libero, è di natura, è paragonabile all’animale; lo specifico dell’umano è la libertà.
(IX, 40) «Questo è un ideale», diranno molti. Senza dubbio, ma un ideale che nella nostra entità si fa strada come elemento reale verso la superficie. Non è un ideale pensato o sognato, ma un ideale che ha vita e che si annunzia chiaramente, pur nella forma più imperfetta. Se l’uomo fosse esclusivamente un essere naturale, sarebbe assurdo andare alla ricerca di ideali, cioè di idee momentaneamente inattive, la cui realizzazione però è richiesta. Per le cose del mondo esterno, l’idea è determinata mediante la percezione: {Il tulipano, l’idea, il concetto di tulipano è già compiuto, non è aperto il concetto di tulipano; tutto ciò che fa parte del tulipano c’è già, e nella percezione io ci aggiungo il concetto, ed ho il tutto del tulipano.}
Quando io percepisco l’uomo, in questa percezione c’è già tutto l’uomo?
No!, questa percezione mi dà, di quest’uomo, ciò che lui ha realizzato finora, ma non c’è ancora in questa percezione… Quindi nella percezione del tulipano c’è il tutto del tulipano, non è un essere in divenire, dove nell’essere del tulipano c’è ancora un sacco di elementi non ancora diventati percepibili; del tulipano è tutto diventato percepibile, nella percezione del tulipano ho il tutto del tulipano.
Nella percezione dell’uomo è diventata percepibile solo una parte, quello che lui ha reso percepibile del suo essere finora. Però nel suo essere c’è ancora un sacco di cose non ancora rese percepibili, e quando me le renderrà percepibili?
Sto a vedere, sto a vedere; lasciamo passare decenni, millenni, e vedremo cosa salta fuori.
E se non salta fuori nulla è fasullo su tutta la linea.
Questo sta a dire che l’essere umano non è ancora realizzato, è all’inizio della sua realizzazione, e la realizzazione dell’umano è prevista in chiave individualizzata in ognuno.
Quindi l’umano non è una realtà già costituita che si esprimerà, si realizzerà, si renderà perepibile in un modo uguale per tutti, no!! L’umano è passibile di infinite individualizzazioni e diversificazioni.
Vivere e lascia vivere.
Vivere esplicando, esteriorizzando, creando dimensioni sempre nuove del proprio essere, e lasciar vivere stando a vedere che cosa l’altro realizza di se stesso.
E ciò che l’altro realizza di se stesso, per me, è sempre una sorpresa in assoluto, non lo posso dedurre da nulla; perché io non sono l’altro.
E l’unica alternativa a questo tirar fuori elementi sempre nuovi del proprio essere, è l’omissione di non farlo, di poltrire.
Questo stavamo dicendo: Se l’uomo fosse esclusivamente un essere naturale, sarebbe assurdo andare alla ricerca di ideali, cioè di idee momentaneamente inattive, inattive è sbagliato: non realizzate la cui realizzazione è però richiesta. a cui si tende Per le cose del mondo esterno il tulipano l’dea è determinata mediante la percezione: e nella percezione ho il tutto del tulipano.
(IX, 40) Noi abbiamo fatto la nostra parte quando abbiamo riconosciuto il nesso fra idea e percezione. Quanto all’uomo, {qui andiamoci piano} le cose non stanno così. Il complesso della sua esistenza non è determinato senza lui stesso: il suo vero concetto come uomo morale (spirito libero) {che crea se stesso, realizza se stesso liberamente} non è in precedenza unito obbiettivamente con l’immagine percettiva «uomo», in modo da venir poi, per mezzo della conoscenza, semplicemente verificato. Per propria attività l’uomo deve riunire il suo concetto con la percezione “uomo”.
Quindi, ognuno di noi vuole rendere percepibile l’umano in modo unico e aggiunge a questa percepibilità unica dell’umano, che si esprime in lui, che diventa percepibile in lui, aggiunge di giorno in giorno elementi di percezione sempre nuovi, sempre nuovi, sempre nuovi.
Ma come! Ma tutto questo c’era dentro di te! Ma sforni all’infinito, ma dove le tiri fuori queste cose?!
Eh, ce ne ho tante! Ce ne ho tante!
Essere uomini significa essere artisti, creare all’infinito, oppure non sei un uomo!, rinunci ad esserlo, ometti di esserlo.
È una inesauribilità, ma un’inesauribilità di qualcosa che si esprime con carattere individualizzato. E questo venire all’essere, creare, senza nessun modello, perché ognuno è unico, questo si chiama libertà, creazione libera.
E essere uomo significa avere la potenzialità, avere la capacità, avere tutta la stoffa, il necessario, per fare questo, per vivere così. E soltanto allora, nella misura in cui vive da artista, da libero creatore, l’essere umano si realizza e sarà contento.
Perché se l’essere umano non si realizza, non può essere contento, e allora darà calci e pugni perché non è contento; e abbiamo un mondo di persone scontente che non hanno ancora neanche capito perché si è scontenti.
Si è scontenti non perché la base necessaria è troppo stretta, ma si è scontenti perché manca la contentezza. Il necessario non può rendere scontento, perché è necessario, scontento mi vede solo la mancanza di libertà. Dove manca la libertà si è scontenti. Come può l’essere umano essere contento senza libertà?
Quindi è importante capire, anche sociologicamente, non solo psicologicamente ma anche sociologicamente, che la sorgente di ogni scontentezza non è mai ciò che c’è, ma è ciò che manca!
Andatelo a dire a tutti i sociologi, a tutti gli psicologi di questo mondo che non hanno capito nulla! Loro pensano, sono convinti che la causa dei problemi sia qualcosa che c’è, no! La causa dei problemi dell’uomo sono sempre i vuoti; perché nella misura in cui ci metto questa pienezza, io mi risolvo tutti i problemi che questi qui, di sotto, vogliono darmi; li risolvo tutti: la libertà risolve tutti i problemi.
Sa esattamente dove picchiare e sa esattamente dove scappare.
Perché la libertà ha tutt’e due le cose: sa dare botte da orbi e ha gambe buone.
E quando uno ha queste due cose qui, dare botte dove ci vogliono e avere gambe buone per scappare, si diventa liberi.
Quindi il problema non è mai ciò che c’è, è sempre ciò che manca; e ciò che manca lo puoi creare soltanto tu, liberamente ed è inutile che vai a dar le colpe agli altri.
Adesso io vi chiedo un’altra volta, sinceramente, prendiamo tutte le psicanalisi che ci sono, prendiamo tutte le psicologie che ci sono, tutte le sociologie che ci sono; è tutta una disamina, un esaminare ciò che c’è, cercare i problemi in ciò che c’è; perché ciò che manca, questi signorini qua, non lo conoscono neanche, proprio non lo conoscono.
Perché se si capisse che il problema è ciò che manca, allora la prima cosa da fare sarebbe scappar via dallo psicologo; perché lo psicologo è una cosa che c’è, quindi fa parte dei problemi.
PUBBLICO: Risate.
A.: Là in fondo c’è una psicologa che mi fa: no, no, no, non è così!
Conferma ciò che sto dicendo?
Certo che sto dando botte, lo so, però io sto dando botte da orbi, ma pensate voi a chi arrivano le botte: guardate come siete belli e tranquilli qui!
LUCIANA: Per favore, ci sono dei cellulari accesi che impediscono una corretta audizione e registrazione. Chi ha il cellulare acceso, per cortesia lo spenga, non tolga soltanto la suoneria, lo spenga proprio. Grazie! E grazie anche a te (Pietro).
A.: Prego! Perché i cellulari fanno parte di ciò che c’è, perciò creano problemi.
(IX, 40) Concetto e percezione qui coincidono solo quando l’uomo stesso li porta a coincidere. Ma egli può far ciò soltanto quando ha trovato il concetto dello spirito libero, {cioè aperto, non finito, non ancora finito} cioè il concetto suo proprio.
Uno chiede: ma chi sei tu? Lasciami continuare e dirti quello che sono; come posso dirti chi io sono se sono soltanto un terzo di quello che sono… continua a guardare!
Quindi la risposta alla domanda: chi sei tu? Se uno mi chiede: chi sei tu? Io gli dico: continua a guardare! A che ti serve sapere chi sono io adesso e non ti sei accorto di ciò che sono divenuto dieci secondi dopo!
Quindi l’attenzione a ciò che è il divenire richiede un modo di pensare del tutto nuovo. Un tipo di attenzione molto maggiore rispetto a questi riposi, a questa quiescenza, a questa poltroneria di un pensare che vuole identificare cose già costituite.
Il tulipano era così 100 anni fa, è così oggi, sarà così tra 100 anni. Ma se tu mi chiedi: chi sei? Tieni gli occhi ben aperti! E anche la mente, non soltanto gli occhi.
E allora vedrai chi sono.
Ma sei lo stesso! Sei sempre lo stesso, no?
L’essere umano è sempre lo stesso soltanto se è un cadavere! L’essere umano è sempre lo stesso soltanto se è morto! Ma neanche il cadavere è sempre lo stesso, scusate! È in divenire anche quello!
Con questo voglio dire: noi abbiamo una matrice di pensiero talmente lenta, talmente, come dire… non è artistica, non vivente, ecco! È morta!
Il pensiero astratto vive di astrazioni, cioè vive di concetti morti, e Steiner, in tantissime conferenze, dice il gradino successivo del pensiero: un pensiero che è capace di pensare nella libertà, diventare vivente!
E un pensare vivente non crea concetti, si muove con la percezione, si muove con la percezione, si muove con la percezione.
A che gli serve il concetto della primula se nella primula due giorni fa c’erano soltanto le foglioline verdi e adesso, due giorni dopo, cominciano i fiori?
A che mi serve il concetto, il concetto è astratto, invece il pensare vivente segue: ah! ah! guarda, guarda!
A che mi serve il concetto di scoiattolo – ce ne sono tanti in Germania, nella Foresta Nera, sono bellissimi! – se io non lo seguo sugli alberi, ecc., ecc..
Quindi l’emergere della libertà presuppone un tipo di pensiero che diventa sempre più vivente, sempre più in movimento, che non si riposa.
I concetti sono riposini. Il concetto è fisso.
Tu ti sei fatto un concetto di me! Ti piglio a schiaffi, come ti permetti di farti un concetto di me! E allora comincerai a farti il concetto degli schiaffi, magari!
Voglio dire: il concetto che ci siamo fatti dell’altro lo adoperiamo per ricattarlo. Ci siamo fatti un concetto e ci attendiamo che lui si comporti secondo il nostro concetto; cioè gli proibiamo, già nel pensiero, di diventare, di momento in momento, sempre diverso.
Quindi, voglio dire, mi sto arrabattando, ma il concetto credo che sia chiaro: siamo diventati troppo statici nel nostro pensare!
E cos’è che ci ha creato questa staticità nel pensare ? La scienza naturale!
Perché le leggi di natura sono tante e si ripetono tutte uguali; quindi noi, a forza di fissarci, negli ultimi secoli, sul dato di natura, abbiamo perso di vista l’evoluzione, in continuo divenire, che noi chiamiamo libertà.
Quindi le due realtà fondamentali del mondo in cui viviamo sono: la natura che va secondo leggi prefisse, leggi stabilite, concetti quindi chiusi; e l’altra realtà è l’umano che è in divenire, che presuppone un pensare mobile, vivente, in divenire, sempre in movimento.
E questo tipo di pensare è proprio la caratteristica fondamentale, è l’essenziale della cosiddetta scienza dello spirito.
Scienziati dello spirito che hanno imparato una biblioteca, un’enorme quantità di sapere da Steiner; tutto questo non ha nulla a che fare con la scienza dello spirito. La scienza dello spirito è l’arte di pensare in un modo diverso, per seguire vivacemente il fenomeno umano nella sua evoluzione, sempre aperta, sempre libera.
E quindi tutte le conferenze di Steiner non hanno lo scopo di farmi sapere tante cose: – adesso so! – no! lo scopo è che io, macinandole, questo modo di pensare… il modo di pensare è importante nelle conferenze di Steiner, non i contenuti; i contenuti li potrete dimenticare; se io facendo questo… è come un metodo di pianoforte, o di armonium, lo scopo del metodo non è di imparare a memoria tutti gli esercizi – e adesso li so tutti a memoria – non è di sapere qualcosa; è che io, suonando, facendo questi esercizi, poi so suonare sempre meglio, so suonare tutte le cose.
Quindi lo scopo del leggere le conferenze di Steiner non è di sapere le cose che dice, ma il modo di trattarle col pensiero, in modo che io, il pensiero, macinandolo in questo modo, diventi sempre più vivente; e non importa nulla se ho dimenticato tutti i contenuti, me li riconquisto col pensiero mio, ancora molto più bello.
E allora non dirò mai: “Rudolf Steiner ha detto”; che m’importa? E tu che dici?
(IX, 40) Nel mondo oggettivo ci è segnata dalla nostra organizzazione una linea di separazione fra percezione e concetto, e la conoscenza supera il confine.
Quindi quando percepisco un tulipano la mia natura scinde la percezione e il concetto, e faccio l’esperienza che sono io a creare il concetto, col pensiero del tulipano. Però io non ci metto nulla di mio nel concetto di tulipano, e non ci sono mai sorprese nel concetto di tulipano: è già stato pensato, concluso, perfetto, completo dal Logos che ha creato il tulipano.
Invece quando ho la percezione di un essere umano non è che percezione e concetto siano solo soggettivamente separati e io li riunisco; sono oggettivamente separati e lui oggettivamente aggiunge, alla percezione, elementi, contenuti del suo concetto, sempre nuovi, sempre nuovi, sempre nuovi.
Quindi l’unica risposta alla domanda che chiede: chi sei? È di dire: aspetta, aspetta, dammi un altro paio di millenni.
(IX, 40) Nella natura soggettiva tale confine esiste ugualmente; e l’uomo lo supera nel corso della sua evoluzione quando, nella sua manifestazione esteriore, porta ad espressione il concetto di se stesso. {Ma porta ad espressione il concetto di se stesso non in una volta, non in una volta: porta ad espressione contenuti sempre nuovi del suo concetto, del concetto di se stesso; all’infinito.} Così, tanto la vita intellettuale dell’uomo quanto la sua vita morale ci riportano alla duplice natura dell’uomo stesso: alla percezione (l’esperienza immediata) e al pensiero. La vita intellettuale supera tale natura dualistica per mezzo della conoscenza, quella morale per mezzo dell’effettiva realizzazione dello spirito libero.
Quindi l’essere umano è l’essere in via di realizzazione: E nel mezzo del cammin della sua evoluzione si è realizzato, se tutto va bene, a metà!
Quindi il male morale non è qualcosa, il male morale è soltanto vivere da non liberi; soltanto l’omissione di una libertà possibile è un male morale; di una libertà possibile, di un creatività possibile, perché se non è possibile non può mancare: non è possibile!
Quindi la domanda morale, alla fine di ogni giornata, è: cosa avrei potuto oggi creare, manifestare nel mio essere, realizzare nel mio essere, nel mondo dei pensieri, nel mondo dei sentimenti, nel mondo degli ideali, nel mondo degli atti volitivi e nel mondo delle azioni, che io ho omesso di realizzare.
Tutto ciò che ho realizzato di me è un bene morale offerto a tutti gli altri esseri umani come base, come fondamento per la loro libertà. E ciò che io ho omesso di realizzare di me, che mi sarebbe stato possibile realizzare, è un elemento di tristezza.
La tristezza, la scontentezza è l’esperienza dell’anima a cui manca lo spirito, ma gli manca ciò che omette; e quindi questa scontentezza è l’aiuto necessario, è l’unica terapia necessaria che mi aiuta a capire: quando sei scontento è sempre e solo perché ti manca qualcosa, che tu avresti potuto realizzare e non hai realizzato.
E vi ripeto: anche solo questi pochi pensieri, se i nostri psicoterapeuti, se i nostri sociologi, li usassero come orientamento per risolvere i problemi, sarebbe già tantissimo!
E vi ripeto: il problema non è mai ciò che c’è, il problema è sempre ciò che l’uomo ha omesso, che gli manca, che potrebbe avere, che potrebbe essere realizzato; e, vi ripeto di nuovo: tutto quello che c’è come può essere un problema per me, se io mi godo la libertà?!
Se io mi godo la libertà, la creatività, tutto quello che c’è può essere così com’è: mi va bnenissimo!
Io vi devo confessare, da un po’ di tempo, da parecchi anni, mi va tutto bene; perché mi sono detto: basta che vada bene io, va tutto bene! Non trovo mai una cosa che non… qualcuno trova una situazione che cerca di… vorrebbe far di tutto per… vado un po’ più in là, e va tutto bene.
Lei (Sonia) diceva: eh, sì, però in certe ditte non siamo liberi più di tanto!
Vai un po’ più in là; vai nella ditta di Berlusconi, lì sei più libera, no! Ah, no!, scusate ho detto il nome sbagliato! Ritiro la parola!
Ogni essere ha il suo concetto innato (la legge del suo esistere e del suo agire); ma nelle cose esterne questo è inseparabilmente congiunto con la percezione, {inseparabilmente e completamente congiunto con la percezione} e solamente dentro il nostro organismo spirituale esso ne è separato. Nell’uomo stesso, concetto e percezione sono dapprima effettivamente separati, per venire poi altrettanto effettivamente da esso riuniti. Si può obbiettare: «Alla percezione dell’uomo, come ad ogni altra cosa, corrisponde in ogni momento della sua vita un determinato concetto. Io posso formarmi il concetto di un comune uomo tipico e posso pure avere un tale uomo, dato come percezione; se a questo aggiungo anche il concetto dello spirito libero, vengo ad avere due concetti per uno stesso oggetto».
C’è un concetto dell’uomo o ci sono diversi concetti dell’uomo?
C’è un solo concetto dell’uomo, e l’unico concetto dell’uomo è che l’umano è concepibile all’infinito! A meno che non si faccia uso di contraccettivi!
Il concepire, la concezione, significa creare, no! L’umano è concepibile, proprio inventabile e realizzabile all’infinito. Quindi questo concetto, il concetto unico dell’umano è che è variabile all’infinito. Però questa variabilità va concepita; quindi, queste parole, il linguaggio ci aiuta; anche in tedesco c’è “zeugen”, è il concepimento fisico, biologico; e “uberzeugen” è il concetto, anzi la convinzione, la chiamano uberzeugen.
Quindi, nella misura in cui noi, artisticamente, liberamente, ognuno concepisce l’umano, lo realizza, lo varia all’infinito e quindi lo realizza in chiave del tutto individualizzata, questo concetto, conferma il concetto dell’umano, che è concepibile, immaginabile, realizzabile all’infinito; passibile di infinite individualizzazioni e variazioni.
E sono come le sette note della scala (musicale): sono variabili all’infinito, sono sempre le stesse note e sempre diverse.
Quindi il concetto dell’uomo è, sia uno, è uno, perché uomo è uomo; ma in questo concetto c’è che è variabile all’infinito, è concepibile all’infinito; tocca a me concepire, quindi generare – concepire significa generare, dar vita – tocca a te, e hai la capacità, la facoltà di generare, tocca a te concepire, generare, dar vita e realizzare l’umano in modi sempre nuovi che portano il carattere indelebile, unico e irripetibile del tuo io, del tuo spirito.
In altre parole il concetto dell’umano è che l’umano è inesauribile. Ma questa inesauribilità è potenziale, la realizzazione per concepimento, per intuizione morale, è lasciata ad ogni individuo; e la può omettere, altrimenti non sarebbe una sua creazione libera!
Deve avere la possibilità, deve avere la possibilità anche di ometterla.
Quindi, stavo dicendo, no!, tutte le scontentezze, tutto il sentirsi non realizzato, tutti i problemi che ci sono, non sono dovuti a ciò che c’è, ma sempre a ciò che manca.
Perché tutto ciò che c’è, va bene! santa pace!
Sì, ma quello lì è una cosa impossibile, quell’uomo!
Va bene così com’è…è così!
Cosa c’è che non va bene in una persona impossibile? A me va benissimo!
Ma lui mi crea problemi!
No, è un’illusione che ti crea problemi; i problemi tuoi te li puoi creare soltanto tu. Perché puoi decidere, da questo momento in poi di godertela questa persona impossibile, e allora va tutto bene.
Sì però ci siamo concordati, quando io arrivo a csa, io già lavoro per tutt’e due perché guadagno, ci siamo messi d’accordo che lui deve cucinare – o lei, può anche essere lei – e io arrivo a casa e non ha cucinato: non gli va!
Tu sei quella che guadagna, i soldi ce li hai tu, no!; vai a mangiare al ristorante e lui digiuna. Poi vediamo se gli vien voglia di cucinare.
Voglio dire, con questo voglio dire – sto parlando un po’ a ruota libera, le cose sono così complesse – voglio dire: la libertà, proprio il godere la libertà, rende creativi, che fa saltar fuori sempre una soluzione; se una persona non trova soluzioni nei problemi della vita – certo che ci sono i problemi, certo che non è facile risolvere il problema di uno che non vuol far nulla!, voglio dire invece: la possibilità massima di risolvere i problemi è esercitare questa flessibilità della libertà. La libertà è flessibilità.
PUBBLICO: È anche fantasia.
A.: Fantasia, certo! Fantasia è flessibilità, scusa! Un musicista senza fantasia non è flessibile, chi non è flessibile non ha fantasia.
Quindi flessibilità e fantasia si possono usare come sinonimi.
Quindi adesso io sto cercando proprio di evidenziare quant’è bella questa sfera che noi conosciamo troppo poco, e che tutti i problemi vengono dal fatto che la conosciamo troppo poco. Diamoci da fare!!! Perché ci risolve veramente tutti i problemi. Perché i problemi che ci sono non verranno risolti se noi continuiamo qui a far qualcosa e la rendiamo ancora più complessa.
È come, ce lo dicevamo… prendiamo il corpo, no! (Archiati disegna alla lavagna) Adesso del corpo prendo un elemento fondamentale: gli istinti; poi prendiamo l’anima, un elemento fondamentale dell’anima, la castrazione dell’anima è il dovere; e una delle affermazioni fondamentali sulla libertà è che noi non possiamo risolvere il problema di sentirmi prigioniero della forza degli istinti e voler liberarmi; oppure il dovere: voler terminare di sentirmi ricattato dai sensi di colpa ecc., ecc..
Si risolvono i problemi: quel dato di natura che mi acchiappa con leggi, con la forza di natura; l’anima che viene accattivata e resa prigioniera del dovere ecc., ecc., lasciando in pace l’uno e l’altro, creando la sfera dello spirito, godendola.
Allora queste due realtà si fanno da base per lo spirito.
In seminario ci dicevano sempre: quando ti arrivano i pensieri cattivi, i pensieri sessuali, no!, cacciali, cacciali, cacciali! Una cosa brutta avere i pensieri cattivi!
Tornavano sempre! Vuol dire che erano buoni! Perché ognuno fa i pensieri che più gli piacciono!
Mai ci è stato detto, ma proprio mai ci è stato detto: guarda che l’unico modo di cacciare i pensieri cattivi è di trovarne alcuni migliori, perché se non ne trovi certi che ti accattivano di più, la mente va ai pensieri che più le piacciono, scusate!
Eh, ci mancherebbe altro!
Finché tu vai a finire sempre lì, vuol dire che è la cosa che più ti piace; se è la cosa che più ti piace non serve a nulla castrarti: più la rintuzzi, più li rinforzi. La psicologia parla di “verdrangung”…
ROBERTO: Repressione.
A.: La repressione, sì, li rende più forti.
Invece questo cammino di trovare altri pensieri – magari leggendo Steiner – che sono…
ma non c’è paragone, son così belli! Un godimento all’infinito, c’è da scoprire all’infinito; i pensieri cattivi, allora sì che diventano cattivi, vanno via da soli, perché son così cattivi! Invece prima erano buoni,erano interessanti.
Quindi la morale repressiva del dovere diceva: devi scacciare questi pensieri! Ma ritornano sempre! Sempre più forti! Perhé son fissato lì, non ho altro.
Quindi il problema dei pensieri cattivi è quello dei problemi buoni che mancano. Perché nel momento in cui saltano fuori pensieri che sono ancora più belli, gli altri diventano veramente cattivi perché son così poverelli!
Questo è un altro modo di dire questo tipo di morale negativa, proprio non ha nessun futuro, non porta in avanti.
La morale invece propositiva, non di castrazione, propositiva: guarda cosa c’è, guarda cosa ti è possibile, guarda cosa sta avvenendo, crea, crea, godi. Una morale senza godimento è immorale! Perché è una castrazione dell’uomo.
Soltanto una vita che si gode è moralmente buona. E una vita che non si gode è moralmente cattiva. Perché la legge dello spirito è la beatitudine.
Andatelo a dire a tutti i preti di questo mondo.
Voglio dire. la Filosofia della Libertà parla un linguaggio nuovo, veramente nuovo, perciò è bello.
(IX, 41) Ma ciò è pensato in modo unilaterale. Come oggetto della percezione di me stesso io sono sottoposto ad un cambiamento continuo. Da bambino ero in un modo, da giovinetto in un altro modo, da uomo in un modo ancora diverso. Anzi, in ogni istante la mia immagine percettiva è diversa da quella dell’istante precedente. Queste modificazioni possono avvenire in maniera che in esse si esprima sempre lo stesso uomo tipico, oppure che esse rappresentino l’estrinsecazione dello spirito libero. {Individuale, liberamente creatore e quindi libero.} A tali modificazioni è sottoposto l’oggetto di percezione costituito dal mio agire.
Quindi, con le mie azioni, nel mio modo di agire, aggiungo elementi di percezione sempre nuovi che integrano il concetto del mio io.
Quando il mio io sarà diventato del tutto, completamente, percepibile?
Alla fine della mia evoluzione!
E se la fine non c’è toccherà aspettare all’infinito!
Come lo dice, il Logos, aspettare all’infinito – il Logos – dice: non giudicate!
Per dare un giudizio su uno spirito umano devi avere la percezione, il percepibile, completo del suo essere; ma lui è in evoluzione all’infinito?!
Allora non sarai mai in grado di dare un giudizio su un altro uomo.
Non giudicate! Logica la cosa! Perciò l’ha detto il Logos. È una frase del Logos!
Non mi dite che è una frase del Cristo, è una frase del Logos, perché io il Cristo non lo conosco, il Logos conosco. E di fronte a questa affermazione del Logos: non giudicate, sospendete il giudizio, fino alla fine del mondo, anzi, all’infinito… ci rende liberi!
Perché ogni volta che l’altro si permette di giudicarmi si piglia di quelle sberle che sarà occupato fino alla fine del mondo a risarcirmi i danni.
Però il presupposto per rintuzzare il tentativo dell’altro di giudicarmi è che io non giudichi. Non giudicate per non essere giudicati. (Qui Archiati dice il testo in greco). È la massima della libertà.
Tu saprai chi è l’altro solo alla fine della sua evoluzione, e questa fine non c’è, non finisce mai!
E se uno sospende il giudizio che fa?
Si gode la percezione, il continuo cambiamento; si gode la percezione del continuo cambiamento.
A che serve giudicare, giudicarci a vicenda se ci possiamo godere a vicenda! Goderci a vicenda è molto più bello che giudicarci a vicenda.
I giudizi sono botte; da orbi; da matti.
Quindi la risposta alla domanda: chi sei tu?, sarebbe di dire: non lo so neanch’io, lo vuoi sapere te!
Si apre, si apre, si apre un nuovo orizzonte! Via, via, via con tutti questi moralismi!
(IX, 42) Nell’oggetto di percezione “uomo” vi è, data, la possibilità di trasformarsi, come nel seme vegetale vi è, data, la possibilità di divenire pianta sviluppata. La pianta si trasformerà per virtù delle leggi oggettive già costituite, già pensate, compiutamente pensate che in lei risiedono; l’uomo rimane nel suo stato incompiuto, se non afferra in se stesso la materia della trasformazione e non si trasforma per forza propria. La natura fa dell’uomo soltanto un essere naturale {che è la base}; la società ne fa un essere che agisce secondo date leggi {secondo stato della base; quindi la natura e le leggi sono le due basi necessarie per l’esplicazione, per l’autorealizzazione dell’individuo libero.}
E tutt’e due hanno un senso: la natura e la cultura – le leggi fanno parte della cultura – natura e cultura hanno un senso soltanto se si fanno da base necessaria per la libertà.
Sono un controsenso se precludono la libertà, se la escludono, se non la vogliono.
Quindi se l’essere umano si riduce a natura e a sottomissione, si uccide; perché uccide ciò che è specificamente umano, che è la creatività artistica, individuale, di ognuno.
La natura fa dell’uomo soltanto un essere naturale; la società ne fa un essere che agisce secondo date leggi, ma un essere libero egli può farsi solo da se stesso. La natura scioglie i propri vincoli attorno all’uomo ad un certo stadio del suo sviluppo; la società porta questo sviluppo fino ad un punto più avanzato; l’ultima finitura può darsela soltanto l’uomo da se stesso.
(IX, 43) Il punto di vista della morallità libera non afferma dunque che lo spirito libero sia l’unica forma in cui l’uomo può esistere. Vede nella libera spiritualità soltanto l’ultimo {il sommo }stadio dell’evoluzione dell’uomo. Con questo non viene negato che l’agire secondo norme abbia la sua giustificazione come gradino di evoluzione.
Il bambino non è ancora capace di inventare mondi individuali, a partire dalla sua libertà; quindi nella fase bambina c’è soltanto il dato di natura e il dato di cultura: la natura e le leggi; diciamo: la pedagogia della natura… quindi c’è una duplice pedagogia della libertà: la pedagogia della natura e la pedagogia della cultura – i genitori, i maestri, ecc. – . Però ci sono due tipi fondamentali di pedagogo: c’è il pedagogo che non conosce la libertà, che non la vuole, e che quindi non articola tutta la sua pedagogia in funzione, come strumento, per rendere possibile la libertà; e c’è il tipo di pedagogo che ha capito – ed è questo il senso della pedagogia steineriana, se volete – che la pedagogia ha soltanto il senso di rendere possibile, di volerla, di amarla, e rendere possibile la libertà.
E in che modo un maestro, o una maestra, rende massimamente possibile, appetibile, accattivante, la libertà?
Impersonificandola, esercitandola lui stesso!
Quindi soltanto il pedagogo che, qualsiasi materia faccia, non importa nulla, si comporta da artista che liberamente crea; questo creare libero, questo creare artistico, è talmente contagioso che suscita nel bambino il meglio di sé: sì, voglio anch’io essere così!
A quel punto lì, dove l’elemento artistico, l’elemento di creatività libera, è la cosa più sacra in un’aula scolastica, che importa se uno lì fa tutto un (putiferio), ecc., ecc.! Il massimo di probabilità, di possibilità, di prenderlo in questo incantesimo della libertà, la possibilità massima di raggiungere qualcosa con lui, è questo incantesimo – l’ho chiamato incantesimo della libertà – (il bambino) si guarda il maestro e dice: ma, è ancora più forte di me! Io pensavo di fare un putiferio, ma lui ne fa ancora di più!
E si è dato una calmata, basta guardarlo! (il maestro).
Quindi, di fronte ad un bambino che rumoreggia, hai una possibilità, come pedagogo, hai una possibilità soltanto se tu rumoreggi ancora di più, non “di più” nel senso quantitativo: (nel senso) meglio, se lo fai meglio!
Allora lui dice – non è che se lo dice consciamente – ma lo vive: ah!, ma allora non è il mio rumoreggiare: io non lo so ancora fare bene, e lo imparo dal maestro come lo si fa bene!
Se invece il maestro mi dice: devi essere bravo! Allora deve essere bravo anche lui; e per essere bravo deve essere bello morto ecc., ecc.. Allora è tutto morto, tutto un cimitero; allora si ribella, non soltanto lui, ma tutta la scolaresca.
Quindi l’unica pedagogia sana è l’incantesimo nella creazione artistica della libertà. E questo incantesimo deve essere non… il maestro non è che lo deve volere, no!, deve essere lui, perché non si può… se lui è fuori… è come l’artista che vorrebbe essere artista, ma non lo è; no: o lo sei, o non lo sei.
Però se il pedagogo – vale per i genitori, vale per tutti gli adulti nei confronti dei bambini – sono veramente artisti, è un incantesimo tale che il bambino viene preso, viene conquiso; la libertà disarma; è l’arma più micidiale che ci sia!
Però per essere tali bisogna essere artisti, bisogna creare, non si può fare come se, non si può recitare, non si può far finta di.
Non si può fare il pedagogo: bisogna essere pedagoghi.
E nella misura in cui un bambino ha la fortuna di avere due genitori, no, due adulti attorno a sé, che vivono da liberi, è il vantaggio più bello che ci sia, perché nella libertà si può far tutto quello che si vuole. Basta non compiere le azioni che… ma quelle non si vogliono fare!, quelle che precludono la libertà; tutto il resto va bene.
(IX, 43) Con questo non viene negato che l’agire secondo norme abbia la sua giustificazione come gradino di evoluzione. {Dopo queste riflessioni sul bambino, sulla fase infantile… l’umanità sta appena uscendo dalla fase infantile; l’umanità in occidente soprattutto.} Soltanto, non può venir riconosciuto come punto di vista assoluto della moralità. Lo spirito libero supera le norme nel senso che egli non sente come motivi soltanto i comandamenti, bensì dirige il suo agire secondo i propri impulsi (intuizioni).
Questo testo è stato scritto 100 anni fa, se lo si scrivesse oggi bisognerebbe essere ancora più coerenti, perché, in fondo, Steiner fa troppe concessioni a questo vivere secondo le leggi! Spariscono anche le leggi, le cosiddette leggi: o vengono assunte in ciò che appartiene alla libertà, oppure spariscono.
E quello che si può dire oggi, senza rischiare di perdere la testa… Steiner, 100 anni fa, doveva essere un pochino più attento.
Quindi, dobbiamo, come dire, essere sinceri, intellettualmente onesti, e anche moralmente onesti, sul fatto di questo secolo che è passato, da quando è stata scritta la Filosofia della Libertà.
Perché l’uomo d’oggi dice: no, no, no, devi essere del tutto pulito: non mi dire che c’è uno stadio in cui è giusto seguire delle leggi: non è vero, non è giusto!
C’è uno stadio in cui l’animo bambino non è ancora capace, lui stesso, di generare ciò che è libero; ma questo non vuol dire che deve vivere sotto una legge, questo non esiste mai, questo vuol dire che deve venire esposto dal di fuori a questa creatività, perché è quella che cerca, e la cerca sempre, anche se inconsciamente.
Quindi l’agire secondo leggi è sempre immorale.
Termino… ah, c’è ancora una pagina intera! (per finire il capitolo)
(IX, 44) Quando Kant dice del dovere: «Dovere! O tu eccelso, gran nome, {letto in tedesco, in italiano è bombastica la cosa} che non contieni in te nulla di quello che di caro porta con sé la lusinga, ma esigi sottomissione, che stabilisci una legge… davanti alla quale tutte le inclinazioni ammutoliscono, anche se in segreto ad essa si oppongono», così risponde l’uomo cosciente del suo spirito libero: «O libertà! Tu, amichevole umano nome, che contieni in te quando gli italiani traducono dal tedesco salta fuori un italiano del tutto impossibile «O libertà! Tu, amichevole umano nome, che contieni in te} tutto ciò che di moralmente caro esalta al più alto grado la mia dignità di uomo, adesso abbiamo l’esaltazione che non mi fai servo di nessuno, che non stabilisci alcuna legge, ma attendi ciò che il mio amore morale riconoscerà da sé come legge perché, di fronte a qualsiasi legge soltanto imposta, esso non si sente libero!».
(IX, 45 ) Questo è il contrasto fra moralità legale e moralità illegale. (Al posto di “illegale” nel testo c’è “libera”)
Quelli che non hanno letto questo libro non si sono accorti di nulla: la moralità legale e la moralità illegale!
LUCIANA e altri: (nel testo è scritto) libera!
A.: Se è in contrasto con quella legale puoi essere libero soltanto se è illegale! Vedi! Allora io dicevo, a questo punto scendo giù, e adesso prendete voi la voce, qui abbiamo ancora un quarto d’ora, ce la facciamo senza pause stamattina, perché Luciana diceva: alle 12 devi finire.
Adesso ho portato il contrasto tra agire sulle ali della libertà, con questo animo, con questo desiderio della libertà; e questa libertà, diciamo, la compagine interiore della libertà sussume, porta dentro ad ogni cosiddetta legge, che finisce di essere una legge, perché non è qualcosa che devo, a cui mi sottometto, ma fa parte del poter essere liberi; e d’altra parte – e adesso prendete voi la voce –: un momento, un momento, ma se adesso noi portiamo via tutte le leggi cosa succede?
Contributi da parte vostra. Però pensateli bene, eh!, la questione è veramente fondamentale.
I. 1: Stavo pensando come ci si mette d’accordo se ognuno, per esempio, ha un senso della moralità, un senso – adesso mi sto perdendo – cioè, le leggi legali e quelle illegali, no!, le leggi, chiamiamole leggi morali, come vogliamo chiamarle, quelle che ognuno di noi sente: ognuno di noi, forse, può percepire questa moralità in maniera diversa, no!, e in una società poi ci si mette d’accordo, se non ci sono delle leggi riconosciute un po’ da tutti, come può funzionare?
A.: Tu c’eri ieri o l’altro ieri?
I. 1: Sì.
A.: Allora faccio più presto a riferirmi. Io dicevo: un pensiero che ho espresso in un tema con varie variazioni; io dicevo: se noi nel legiferare vogliamo instaurare, vogliamo stabilire delle leggi che comprendono anche ciò che l’uomo deve fare, quindi non soltanto proibizioni, ma anche comandamenti, non ci intenderemo mai!
Perché ogni legge che comanda qualcosa prevarica la libertà, lede la libertà, per natura! Perché nella libertà non ci sono comandamenti, ci sono solo idee.
Sono proibite, devono esser proibite tutte le azioni che compromettono la libertà; però la persona libera è la prima a non volerle! Non soltanto a non farle, ma a non volerle!, e resta libera!
I. 1: Praticamente su questo caso, in questo senso coincide quello che io voglio liberamente con quello che dice la legge.
A.: No, la legge non dice nulla! La legge dice soltanto ciò che non hai il diritto di fare.
I. 1: Eh, per esempio non puoi uccidere, però ti può mandare in galera!
A.: Se lo fai!
I. 1: Se lo fai.
A.: E tu lo fai?
I. 1: No, non lo voglio fare.
A.: E allora! Va tutto bene.
I. 1: Se coincidesse quello che è la legge esterna con quella…
A.: Ma io ti ho detto – hai dimenticato quello che ho detto – io ti ho detto: se tu hai delle leggi che non soltanto ti proibiscono azioni proibite, ma che vogliono comandarti di fare qualcosa, tu non potrai mai essere d’accordo.
I. 1: Ah beh, certo!
A.: Eh, questo stavo dicendo!
I. 2: Spero di non uscire fuori tema.
A.: Dal tema non si esce mai.
I. 2: La differenza di lasciar vivere gli altri esseri umani, la differenza invece di lasciar vivere gli animali?
A.: La differenza è abissale, un salto qualitativo. Perché lasciar vivere l’uomo significa dargli tutto, rendere possibile, favorire la libertà: Ed è proprio questo che l’animale non ha.
I. 2: Quindi è eticamente, moralmente giusto anche uccidere gli animali?
A.: No! l’animale fa parte delle condizioni necessarie per la libertà umana. Quindi, o spiego in che modo il rispetto della vita dell’animale fa parte, è un frammento necessario per la libertà e dimostro che un essere umano che uccide un animale diventa meno libero, allora è convincente.
Quindi il criterio della morale è sempre la libertà.
O tu mi dimostri che io facendo questa azione divento un pochino meno umano, quindi meno libero; allora mi dimostri che la mia azione è moralmente cattiva.
Se non mi dimostri che uccidere l’animale mi rende un frammento meno umano, un pochino meno libero, allora non mi hai dimostrato perché non lo devo fare.
Adesso io chiedo a tutti noi: c’è un modo convincente – quindi deve essere pensato giusto – possiamo noi dire che l’essere umano che uccide la vita, sopratutto l’animale, diventa meno umano, diventa meno libero?
Sì, perché uccidere la vita è sempre istintuale, non è mai libero. Soltanto l’istinto può portare ad uccidere la vita, e quando sono guidato dall’istinto non sono libero.
Quindi una persona libera, nella misura in cui è libera, non uccide mai la vita.
Uccidere è istinto di natura.
I. 2: Perché ci è detto: non uccidere, non: non commettere omicidio.
A.: Eh, non dice non uccidere soltanto l’uomo, no: non uccidere punto e basta.
Perché uccidendo, uccidi l’umano, ti riduci a natura, ti riduci a istintulità, e cancelli la sfera della libertà.
Per l’essere umano che è libero tutto ciò che vive è sacro. La libertà si vive.
La pianta, quando tu la falci, non viene uccisa; viene uccisa soltanto quando tu la sradichi, quando tiri fuori anche le radici.
E se fosse necessario tirar fuori la radice, la persona veramente libera, che sa di uccidere la vita della pianta, chiede allo spirito della terra perdono, perché è una cosa necessaria.
Quando la mamma deve far soffrire il bambino perché il bambino sta facendo le bizze ecc., ecc., in fondo chiede perdono al bambino; adesso questa sofferenza è necessaria per la sua crescita.
Quindi un coltivatore, un agricoltore, deve sapere che quando si tirano fuori le radici, la terra soffre e deve avere una giustificazione della sofferenza. Se non ha la giustificazione le radici devono restare nella terra; oppure uccide un frammento di umano dentro di sé.
Adesso noi immaginiamo quanti animali vengono uccisi! E questo ci spiega, ci aiuta a capire perché la libertà… la libertà, scusate, è finezza d’animo. Uccidere gli animali rende gli animi sempre più brutalizzati; come possono essere liberi!
Come può un animo così brutalizzato, che uccide la vita, essere libero!?
Si può essere liberi soltanto passando accanto all’altro come un soffio, che non lo vuol neanche toccare, non diciamo intaccare, addirittura uccidere!
E soltanto quando io passo accanto all’altro come un soffio, suscito in lui volenti (?) e un soffio accanto a me, che non mi intacca più di tanto.
Abbiamo una società piena di brutalità, l’opposto della libertà.
Il musicista sta suonando, il pittore sta dipingendo, qual’è l’elemento di questa libera creatività? È fragile, è fragile; nel momento in cui ci metti qualcosa di brutale, l’hai frantumato.
Perciò ho usato prima la parola incantesimo, il creativo è come un incantesimo, non ti fa nulla, perché è un incantesimo, un incantesimo non ti fa nulla, però incanta!
E il disincanto… è difficile spiegarlo perché uno dice: ma come mai è sparito l’incanto?
E non si può dire come è sparito l’incanto, si può solo dire come è subentrata la brutalità.
E la brutalità ha fatto sparire l’incanto, ma l’incanto ti lascia talmente libero che non sai neanche cos’è!
Quindi la libertà è l’incanto, l’incantesimo degli esseri umani, e lo cogli soltanto quando la brutalità te lo spezza.
Ah, ah, cosa c’era prima che è sparito?
Era la libertà.
Quindi non si può parlare di libertà a martellate, e il mondo oggi è pieno di martellate.
Un capo di stato in Italia, no!, conosce soltanto il mondo del materiale; andate a fargli questo discorso: non capisce nulla, scusate!, proprio non capisce nulla! Non sa neanche di cosa si sta parlando e dice: ma quelli lì sono scemi!
Eh, certo, non capisce nulla, conosce solo le martellate, la brutalità.
SANTO: Volevo solo confermare questo incantesimo. Io parlo per esperienza diretta, e quando si suona in un concerto, alla fine, la cosa più bella è, quando si sente che c’è proprio il rapporto col pubblico, è il silenzio.
A.: Certo!
SANTO: Questo silenzio è quello che appaga più di tutto. E che è bello quando l’applauso è distanziato, è più distanziato; e ci si gode veramente di questo silenzio che è proprio il percepire questo incantesimo effettivamente.
Ed è proprio la bellezza, si sente che tutti hanno vissuto questa realtà.
A.: Crea uno spazio libero. Ed essendo libero non puoi dire cos’è perché vive; ognuno ci mette nel suo animo, in quel momento di silenzio, ciò che vuole, ciò che lui ha dentro di sé.
Adesso mi veniva di dire: senza applausi facciamo un momento di silenzio, ma subito lui… rompi l’incantesimo, dài!
I. 4: Volevo sapere se ipocritamente…
A.: Cosa intendi per “ipocritamente”? Io l’italiano l’ho dimenticato.
I. 4: Cercherò, posso sbagliare, non so, voglio comunque cercare di dire quello che ho in mente. Cioè, io, per qualche forma strana di cortocircuito che avviene, ipotesi, nel mio cervello, io compio un assassinio, cioè non un assassinio, ma ammazzo un animale. Posso comunque dimenticarmi, o volutamente e ipocritamente ignorare di aver disatteso alla cosa e recuperare totalmente il ritmo di libertà, e godere di questa libertà anche avendo compiuto questo che non è umano?
A.: No, uccidere un animale non è un atto singolo: evidenzia uno stato d’animo, un tipo d’animo. Allora, di fronte all’uccidere un animale fa parte dell’incantesimo parlare per metafore. Dove le cose diventano profonde, sottili, bisogna usare metafore, perché non ci si può andare con l’accetta a distinguere le cose.
La metafora che uso è quella di riferirmi al modo in cui mia mamma doveva uccidere i polli, perché non c’era altra possibilità di campare, oltre alla polenta se non si… e io non dimenticherò mai, ma proprio mai – è impossibile dimenticare queste cose – come mia mamma faceva ad uccidere i polli.
Non era una brutalità fatta all’animale, era una brutalità fatta alla sua anima; però, per amore dei bambini, siccome non c’era nient’altro, allora lei lo metteva, il collo del pollo, sotto un bastone, metteva il piede sul bastone, si girava dall’altra parte e lo tirava…
E le faceva male! Certe volte piangeva per due o tre giorni!
PAOLO: Lei voleva bene ai polli, li conosceva.
A.: Come?
PAOLO: Poi vuoi bene ai polli, quando c’è il contadino che li conosce uno per uno, eh!
A.: Però, dovendo scegliere tra far morire i bambini e i polli…
Allora: buona giornata e arrivederci alla prossima volta!
(Applausi).
A proposito di Pietro Archiati
Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capriano del Colle (Brescia). Ha studiato teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università statale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).
Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.
Nel 1977, durante un periodo di eremitaggio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito – destinata a diventare la grande passione della sua vita – indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invisibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.
Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafrica durante gli ultimi anni della segregazione razziale.
Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, indipendente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.
Gli autori difendono la gratuità del prestito bibliotecario e sono contrari a norme o direttive che, monetizzando tale servizio, limitino l’accesso alla cultura.
Gli autori e l’editore rinunciano a riscuotere eventuali royalties derivanti dal prestito bibliotecario di quest’opera. Tale opera è pubblicata sotto Licenza Creative Commons, che recita: si consente la riproduzione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione per via telematica, pubblicazione su diversi formati, esecuzione o modifica, purché non a scopi commerciali o di lucro e a condizione che vengano indicati gli autori e che questa dicitura sia riprodotta.
Ogni licenza relativa a un’opera deve essere identica alla licenza relativa all’opera originaria.