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Pietro Archiati

esistono limiti
alla conoscenza?

Commento a

La filosofia della libertà

di Rudolf Steiner

Volume 7

dal Cap. VII, par. 8 - Aggiunta al Cap. VII

Rocca di Papa ( RM) 25-28 febbraio 2010

N.B. Trascrizione integrale del parlato,

NON redatta e NON rivista dall’autore

Giovedì 25 febbraio 2010 - sera

ARCHIATI: Cari amici, benvenuti a tutti! Eravamo arrivati al paragrafo 11 del VII capitolo. Riprendiamo comunque dal paragrafo 8.

Questo VII capitolo pone il quesito: ci sono limiti alla conoscenza? E la risposta è: no!, non ci sono limiti nel modo più assoluto!

La prima parte della Filosofia della Libertà – questo testo bellissimo di Steiner – è dedicato al pensare. Adesso, in questo fine settimana faremo il trapasso: terminiamo la prima parte e andiamo nella seconda parte.

Dunque: prima parte: il pensare. Seconda parte… oltre al pensare, che cosa c’è nell’essere umano? L’agire. Dunque: il pensare e l’agire.

L’agire naturalmente presuppone il volere, perché uno agisce in base a volizioni: vuol fare qualcosa e la fa!

E il volere cos’è? Si può volere qualcosa senza pensarlo? No! Quindi, diciamo che il volere è una specie di passaggio tra il pensare e l’agire.

PENSARE

I

VOLERE

I

AGIRE

Io posso pensare senza volere qualcosa; mi interessa unicamente conoscere la realtà che c’è, così com’è. Adesso però mi interessa intervenire nella realtà: voglio mangiare qualcosa, voglio incontrare una persona, voglio fare una partita di calcio…

Devo avere il concetto di una partita di calcio, non posso voler giocare a calcio senza avere il concetto del giocare a calcio.

Quindi l’essere umano è uno spirito che agisce nel mondo della materia in base al pensiero e il volere fa da tramite tra il pensare e l’agire.

Quando diciamo: agire – agere, in latino – intendiamo: muovere gli arti, lo strumento dell’agire è il corpo.

Non mi dite, se io pianto un chiodo nel muro, che lo strumento dell’agire è il martello, perché il martello senza il mio braccio non si muove!

Quindi, diciamo, l’essere umano ha due poli: la struttura del cervello è lo strumento del pensare e il polo opposto, gli arti, sono lo strumento dell’agire.

Perché il cervello è lo strumento del pensare? Perché è del tutto quiescente, non si muove; perché se il cervello potesse muoversi agiremmo nel cervello, non potremmo pensare. Quindi si può pensare sul mondo soltanto fermandosi.

Vi ricorderete, nella mitologia greca c’è la figura della Medusa; la Medusa ha un sacco di capelli! Questa Medusa è un’immaginazione, un ricordo, da parte dei greci, di com’era ogni essere umano ai tempi dell’Atlantide, dove la struttura del cervello, ogni volta che l’essere umano voleva pensare qualcosa, così come quando io voglio afferrare qualcosa, come opera il braccio? Il braccio non è fermo, si muove e… zacchete! L’acchiappo la cosa!

Se andiamo indietro di 7/8000 anni, ogni volta che uno di noi voleva capire qualcosa, mandava un ramo eterico, una corrente eterica, verso la cosa da capire e la capiva.

Cos’è rimasto di questo afferrare eterico?

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La parola “capio”, afferrare. Ma che afferro se sta tutto fermo il cervello?

Erano correnti vere e proprie dell’eterico che venivano mandate fuori e… capio.

In tedesco dicono: begreifen, che significa tastare, palpare da tutte le parti una cosa per capirla.

Poi quando uno capisce qualcosa, che cosa “capio”?

Ora, di questo modo di capire, che la medusa greca ci ricorda, ci è rimasto, a livello fisico il cervello, che è del tutto fermo nella calotta cranica; e restano unicamente correnti eteriche che vanno fuori.

Capire qualcosa significa mandare realmente correnti eteriche che afferrano il concetto della cosa.

E in tutti i linguaggi è rimasto questo mistero dell’afferrare!

Allora dicevo: il pensare; nel pensare l’uomo si pone in posizione di contemplazione.

L’atteggiamento del pensare, in un italiano un po’ romanesco è: “datti una calmata”! Se non ti dai una calmata non puoi pensare oggettivamente; c’è tutta la farraggine della tua soggettività.

Datti una calmata! Calma! Calma! Per essere oggettivi.

Quando invece si tratta di agire: “datti una mossa”! Allora muovi gli arti, muovi il corpo, per fare qualcosa.

La prima parte della Filosofia della Libertà ci ha presentato i misteri del pensare, del capire il mondo e ci siamo detti, sempre di nuovo, che l’essere umano, il pensabile lo riceve dal lato della percezione.

Quanto è pensabile? Tanto quanto è percepibile!

È possibile pensare cose che non si percepiscono? No!, perché non si ha una realtà. Se manca il lato di percezione non c’è una realtà completa. Sarà una fantasia, sarà un’astrazione, una elucubrazione, ma non è una realtà.

Per avere una realtà piena devo avere il lato di percezione e il pensiero dice: ah, quella è la tal cosa! E allora ho la realtà completa.

Quindi, nessun essere umano potrà mai capire, o pensare, più di quanto può percepire. La somma del percepibile è la somma del pensabile.

Dobbiamo preoccuparci se, caso mai, arrivassimo ad aver percepito tutto il percepibile e poi, siccome siamo dei pensatori che si rispettano, abbiamo già pensato tutto il pensabile…?

Allora, un individuo dice: se mi capita di aver già percepito tutto il percepibile e di aver già pensato tutto il pensabile, poi che faccio? …Che gli diciamo? Che ce n’è sempre ancora!

Anche soltanto una foglia, una foglia di un albero… è esauribile la percepibilità di questa foglia? No, no, no! La si poterbbe percepire da angolature sempre diverse!

Che cosa ci evidenzia questa infinità del percepibile? Il microscopio per esempio – a parte la questione molto difficile di sapere cosa vedo io nel microscopio – però, guardando al microscopio questa foglia, dico: gli aspetti potenzialmente percepibili sono all’infinito; e sto parlando soltanto di una foglia!

Quindi, a quel signore che avrebbe la preoccupazione di aver percepito già tutto e dice: mo’ che faccio?, gli diciamo: campa cavallo che l’erba cresce! Per fortuna hai a disposizione ancora diverse vite terrene e… datti da fare!

Allora non c’è il problema di esaurire quantitativamente il percepibile, perché è una questione qualitativa non quantitativa.

Quindi l’altra domanda, di qualità, dice: ma cos’è il percepibile? Cos’è la somma del percepibile?

È quello che il Creatore ha creato, perché il percepibile deve essere stato creato: se c’è, è sorto. È la somma di ciò che ha creato lo spirito creatore – divino se vogliamo, per distinguerlo dallo spirito umano, perché non siamo noi ad averlo creato – chiamatelo mondo, se volete.

L’amore dello spirito creatore dell’essere divino, verso l’essere umano in quanto pensatore in erba, si dimostra per il fatto che, tutti i pensieri divini, la divinità se li è tenuti per sé, e ce li ha nascosti dietro le percezioni.

Il Logos, il pensare divino, si è fatto carne!

Tradotto da noi, che è la stessa cosa: i pensieri divini sono diventati, per noi, percezioni!

E perché? Per dare a noi la soddisfazione di pensare, pensare, pensare, capire, sceverare, approfondire… all’infinito!

Perché non ci sono soltanto gli elementi singoli del cosmo: questo Logos diventato carne; i pensieri divini diventati percezioni non sono soltanto elementi singoli – una prugna, una gazzella, un lapislazzulo ecc., ecc. – ma tutti i rapporti possibili che ci sono fra loro… all’infinito, all’infinito!

Questa la prima parte della Filosofia della Libertà: l’essere umano come luce, che si illumina di logica divina, che diventa pensiero umano.

Adesso arriva uno che dice: ma chi me lo fa fare di fare tutta questa sfacchinata!

È come un giocatore di calcio, bravissimo, campione nazionale, che dice: ma chi me lo fa fare di giocare a calcio!

Ci trova gusto, no!

Una persona che non gode il pensare, non ha ancora mai pensato! Perché nel momento in cui veramente comincia a pensare, a capire qualcosa, fa l’esperienza che pensare è per eccellenza l’esperienza della gioia, della pienezza.

Non capiterà mai di sentir dire una persona: ma quanto mi dispiace: ho capito!

Non è mai successo!

Capire significa sentirsi a casa nel mondo, non capire significa essere spaesati; il pensare è l’organo del sentirsi a casa nel mondo, che ci orienta, ci traccia la strada.

E poi vedremo, la seconda parte della Filosofia della Libertà, pone la domanda, dice: ma se io, questo mondo bellissimo, percezioni all’infinito che io trasformo in concetti, questo sentirmi sempre più profondamente a casa nel mondo, e… mo’ che faccio? Sono soltanto un conoscitore, freddo, che contempla il mondo; che ce le ho a fare le braccia, i piedi, che ce l’ho a fare il cuore, che non soltanto conosce, ma ama, e amando vuol aiutare, vuol favorire, vuol essere solidale, vuol far qualcosa…

Allora, questa libertà creatrice del pensiero la vogliamo realizzare!

E in un certo senso, il ponte più puro tra il pensare, il volere e l’agire, è il comprendere che il pensare è la prima attività dell’essere umano. Il pensare è un agire puramente spirituale.

Prima di nascere noi siamo puri spiriti, supponiamo. Mettiamola come ipotesi, se volete, e come puri spiriti l’unico fare, l’unico agire è il pensare. Perché decidiamo di incarnarci, di incorporarci?

Perché diciamo: se il Logos non si è accontentato di realizzare i suoi pensieri a livello puramente spirituale, di pensare soltanto, ma se li ha resi percezioni, se li ha resi percepibili, allora voglio provarci anch’io a rendere i miei pensieri, che sono un volere e un agire puramente spirituale, voglio rendere i miei pensieri percepibili all’altro.

Cosa sono le azioni? Sono pensieri che diventano percepibili.

Rendendo percepibili i pensieri, il puro pensare diventa amore.

E in un certo senso, la seconda parte della Filosofia della Libertà, che molti trovano più facile, è più difficile, perché va ancora più a fondo; intanto presuppone tutta la prima parte, perché guai se mandiamo a ramengo il pensare: ce lo dobbiamo portar dietro! Però il pensare diventa così intriso di amore che rende percepibili, nelle azioni, i pensieri che l’uomo pensa.

L’agire umano crea nuove percezioni che gli esseri divini non hanno creato.

Adesso immaginate: c’è una mamma con un bambino piccolo, piccolo; lo sta pulendo perché ha insudiciato i pannolini; noi, se avessimo una cinepresa, supponiamo di filmare una sequenza di questo interagire tra la mamma e il bambino, cosa percepiamo?

Percezioni create dall’essere umano, che prima non c’erano nel mondo!

Il modo di muoversi delle mani della mamma, il modo di trattare il bambino, tutto quello che percepiamo realmente sono intuizioni, quindi pensieri intrisi di amore, che con la forza del volere si trasformano in azioni. E guardando l’essere umano che agisce, noi percepiamo cose che la divinità non ha mai reso percepibili.

Quindi l’agire umano raddoppia il percepibile che la divinità ha squadernato nel mondo.

E vedremo che alla base di questo agire, nella misura in cui è moralmente buono, alla base c’è la fantasia dell’amore.

La fantasia dell’amore è fatta di pensiero – perché il pensiero ci deve essere sempre –più l’amore che compie azioni, che non si ferma solo a contemplare, ma che fa qualcosa, interagisce col mondo, incide nel mondo, agisce nel mondo e crea nuove percezioni.

Dante scrive la Divina Commedia, noi la percepiamo. Il Logos non ci ha mai dato questa percezione, un essere umano ce l’ha data.

L’amico dice all’amica parole belle, intrise di amore. Cosa sono queste parole? Percezioni create dall’essere umano. Vengono percepite le parole: sono percezioni.

Non dimentichiamo che noi, le percezioni, non dobbiamo ridurle soltanto all’occhio, abbiamo 12 sensi, ne abbiamo parlato. Quindi le parole che l’essere umano dice all’altro essere umano sono percezioni nuove nel cosmo, nel mondo; non c’erano prima, le crea l’uomo. In che modo? Articolando il suo corpo.

Così come per fare un’azione devo muovere gli arti, per rendere percepibili i miei pensieri in chiave di parole, devo muovere tutta la laringe, in modo da rendere percezioni i miei pensieri.

Quindi parlare significa trasformare pensieri umani – non del Logos – in percezioni, renderli percepibili all’altro. E ogni volta che un essere umano parla crea percezioni che prima non ci sono mai state.

Una gran bella cosa! Se volete anche una bella responsabilità – non prendetela come un moraleggiamento – perché è importante se queste percezioni, che vengono create dall’essere umano, offerte all’altro come percezioni, sono giuste o sbagliate, piene di amore, o piene di odio, ecc..

E questo VII capitolo – ora ci tuffiamo dentro il VII capitolo, come ultimo capitolo della prima parte – ha il titolo: Ci sono limiti alla conoscenza? La risposta è: no!, perché c’è da conoscere soltanto ciò che si percepisce.

Una riflessione: è possibile che l’essere umano percepisca qualcosa che non può capire? È possibile percepire qualcosa che io non posso capire?

Se io non lo posso capire non lo posso neanche percepire!

Quindi la percezione è potenzialità pura a creare il concetto, oppure non c’è percezione.

Abbiamo detto – e questo è molto importante – l’animale, il gatto, anche il cane più intelligente che si possa immaginare – perché ognuno che ha un cane pensa che il suo sia più intelligente di tutti gli altri – prendiamo il cane più intelligente che ci sia: non ha la percezione! Perché se avesse la percezione avrebbe, ipso facto, la potenzialità, cioè la facoltà di pensare.

E dicevamo: il cane non dirà mai: quel colore lì è ocra. Il colore opera sul cane; ci siamo detti, opera sull’astralità, sull’animico del cane, e quindi il cane vive gli effetti, l’operare di quel colore su di sé.

L’esempio estremo è di come opera il rosso sul toro. C’è mai stato un toro che dice: quel panno è rosso? Sarebbe un toro che si dà una calmata! Lo dicevo prima: sarebbe un toro che ha la possibilità di porsi di fronte alla percezione con la pacatezza oggettiva del pensare. Quel colore lì è rosso: mi muovo o non mi muovo?, dice il toro!

Quindi nell’animale non c’è nulla di percezione!

Cos’è allora la percezione? Una domanda che ci siamo posti mille volte in tutta la prima perte della Filosofia della Libertà.

La percezione è l’attività specificamente umana che “decosifica” le cose.

Mi dicevo: stasera presenterò la percezione come un “decosificare” le cose.

La percezione non mi dice: quello lì è un albero… ma perché non mi dice che cos’è? Perché la percezione mi decosifica, mi tira via l’essenza, la “cosa” non c’è nella percezione.

E qual è allora l’essenza? Il concetto!

Nella percezione l’essere umano decosifica le cose, cioè toglie via l’essenza perché è stato creato così che, mancandogli nella percezione l’essenza della cosa, lui la cerca l’essenza di questa cosa, e ce l’appiccica col pensare.

E riflette: ma allora sono io a “decosificare” le cose, in quanto percipiente, e sono io a “ricosificare” le cose col pensare!

E che cosa ci guadagno con questo giochetto? Ci guadagno qualcosa?

Ricreo il mondo!

Perché cosa vuol dire creare il mondo? Pensare le cose nella loro essenza!

Vi dicevo, ogni linguaggio ha tante belle cose: una delle cose belle del linguaggio italiano è il doppio significato di ricreazione. La creazione è la goduta che s’è fatta il Logos, e la gioia dell’essere umano è la ricreazione.

Cos’è la ricreazione? Noi a scuola, al ginnasio, dopo che s’era fatta una stufata di greco, di latino, poi certi professori erano così barbosi! Ah!, finalmente arrivava la ricreazione!

Eri lì, seduto, lui sproloquiava e tu non facevi nulla; una mortificazione all’infinito… e mo’ si usciva fuori e si faceva ricreazione!

Ricreazione significa: adesso voglio fare anch’io qualcosa!

Quindi la ricreazione, questa gioia dell’essere, sta a dire: sì, tu sei stato bravissimo, Logos, pensatore divino, ma sei come il professore che sciorina sapere… ma io, adesso lasciami fare a me la ricreazione!

E lui dice: guarda che se tu vuoi fare la ricreazione, devi esercitare l’arte di ricreare.

Allora hai la ricreazione e potrai ricreare all’infinito.

Il genio del linguaggio, le parole le crea genialmente, perciò è il genio del linguaggio!

E una gran bella cosa questo doppio significato di ricreazione: la gioia, la pienezza artistica, perché creare si può fare solo artisticamente, se no è un imitare, un copiare.

La nostra ricreazione, in chiave di pensiero, dove nella percezione svuotiamo le cose della loro essenza e nel pensare ricreiamo le cose ridandone l’essenza, è copiare la creazione divina?

L’intuito dice: no! Però, perché: no?

Quello che noi chiamiamo ricreazione, per noi è la prima creazione! E il nostro creare è tutto diverso dal Suo creare.

Sarebbe come dire: mandiamo un cuoco, o una cuoca, in cucina, a preparare qualcosa. Due ore dopo mandiamo un altro cuoco nella stessa cucina con gli stessi ingredienti a preparare la stessissima cosa. È la stessa creazione che salta fuori?

No, il materiale è lo stesso, la ricetta è la stessa, ma è diverso il modo di interagire.

Quindi il pensare umano è il modo di interagire col materiale del mondo e ognuno lo può fare, lo può articolare… i temi sono gli stessi, ma le variazioni sono all’infinito. E quindi vedremo che in quanto il pensare è un agire, è un creare, è un ricrearsi da parte dello spirito umano, vedremo che anche nel pensare c’è lo spessore della seconda parte della Filosofia della Libertà, dove Steiner parla di individualismo etico, dove il bene morale sommo… qual è il bene morale sommo?

PUBBLICO: La libertà…

ARCHIATI: Astratto, specificalo meglio. Qual è il bene morale sommo?

L’unicità di ogni spirito umano creatore!

Nessun valore umano può essere moralmente più buono di questo. Quindi il bene morale sommo, dove non c’è nulla che può essere moralmente più buono di questo, è l’unicità di ogni spirito umano creatore: creatore nel pensare, creatore nell’amore, creatore nell’agire.

Se uno lo comprende, questo pensiero, deve dirsi: è ovvio, non gli si può dire nulla contro. Perché trovatemi voi qualcosa di moralmente più alto, cioè che sia un valore morale più elevato che non lo spirito umano creatore!

E realizzare sempre più questo spirito umano creatore, in quanto del tutto unico, significa realizzare il bene morale in assoluto.

Allora, riprendiamo dal paragrafo 8:

8 – I presupposti per il sorgere della conoscenza sono dunque attraverso l’io e per l’io. L’io si pone esso stesso le domande relative al conoscere e le prende proprio dall’elemento in sé perfettamente chiaro e trasparente del pensare. Se ci poniamo domande a cui non possiamo rispondere, allora è il contenuto della domanda che può non essere chiaro ed evidente in tutte le sue parti. Non è il mondo che ci pone le domande, siamo noi stessi che le poniamo.

Quindi una domanda a cui l’essere umano non sa dare una risposta è una domanda che non è chiara. Perciò: chiarifica la domanda che fai!

Spesso avrete notato che quando qualcuno chiede qualcosa, io rifuggo dal voler dare una risposta, perché non serve a nulla!

Spesso io dico: ma cosa vuoi dire? Chiarisci un po’ meglio la domanda: se ti chiarisci di più la domanda, hai già la risposta!

Capire la domanda significa avere la risposta. Ma la risposta non è altro che capire la domanda.

9 – Posso ben pensare che mi mancherebbe qualsiasi possibilità di rispondere ad una domanda che io trovassi scritta in qualche luogo, senza che io conoscessi la sfera da cui è preso il contenuto della domanda.

Quindi, una domanda che non pongo io, non mi riguarda. Una domanda che non pongo io, per me, non è una domanda. Se uno fa una domanda ed io non la faccio una mia domanda, per me non è una domanda; e non c’è nulla da rispondere!

Come faccio io a far mia la domanda di un altro?

Questo è, tra l’altro, l’arte di chi parla: per dare una risposta deve far sua la domanda di chi sta domandando qualcosa. Perciò io chiedo: che cosa vuoi dire, che cosa stai chiedendo?, per capire la domanda.

Nel momento in cui io faccio mia la domanda dell’altro, allora la domanda è la mia e so la risposta.

Vogliamo fare un esempio? Esercitiamoci un minuto o due, insieme: a qualcuno gli viene in mente una domanda? Dai, forza! Non deve essere mica una domanda intelligente… una domanda!

INTERV.1: Perché non è il mondo a porre domande?

ARCHIATI: Perché non è il mondo a porre domande… è una domanda?

È un’affermazione camuffata da domanda. Sei tu a dire che non è il mondo a porre le domanda: se lo affermi perché lo domandi?

Allora, tu dici: partiamo dal presupposto che non è il mondo a porre le domande, e tu chiedi: perché? Adesso sì che è una domanda!

Perché non è il mondo a porre le domande?

PUBBLICO: Risposte confuse .

ARCHIATI: Ti pone una domanda: cosa intendi per “mondo”?

PUBBLICO: Le percezioni!

ARCHIATI: Perché non è la percezione dell’albero a porre la domanda su che cos’è l’albero… È questa la domanda che fai?

Allora, io adesso vi traduco la domanda: tradurre la domanda significa renderla comprensibile, perché nel momento in cui rendiamo comprensibile la domanda, l’abbiamo capita! Vedi!

E com’è che rendiamo comprensibile la domanda?

Se la percezione ponesse domande non sarebbe percezione. Il concetto di percezione è che la percezione è “il nulla del pensare”. Nel nulla del pensare ci può essere il porre domande? No!

Adesso chiedo io una domanda: sono stato io a dare una risposta?

No, state attenti, io non ho dato una risposta, ho chiarificato la domanda; e nel momento in cui la domanda è stata chiarificata, attraverso il concetto di percezione, tutti hanno capito: è chiaro che la percezione non può dare nessuna risposta!

Quindi, se voi avete osservato bene il processo, il cercare una risposta consiste nel capire meglio la domanda.

Tu che avevi posto la domanda, essendo più vicino alla domanda, per te è più convincente.

Puoi ripetere il processo che abbiamo fatto per sommi capi. Parti dalla tua domanda e arriva fino in fondo.

INTERV.: Inizialmente avevo chiesto: perché non è il mondo a porre domande?, in quanto questa era la frase che avevi detto poc’anzi. Giustamente c’è una posizione da chiarire: che cos’è il mondo? E io ho detto: il mondo delle percezioni. A questo punto la mia domanda si trasforma in: perché non sono le percezione a porre le domande? Da questo passaggio in qua si arriva poi alla definizione di percezione dal punto di vista della scienza dello spirito, dove siamo tutti convinti che la percezione non può essere in grado di porre delle domande e non può essere in grado di fare nulla perché non sarebbe più percezione, in quanto la percezione è il nulla del pensare.

Però, dico io, per aggiungere un mio corollario: la percezione ci dà tuttavia l’occasione per far sorgere un pensare.

ARCHIATI: No, perché allora dovrebbe darla anche al cane, anche all’animale, l’occasione. Una provocazione al pensare non è un’occasione!

Sta attento: la percezione è una provocazione al pensare; se tu la poni come “occasione” al pensare, gli dai già uno statuto di un minimo di concausa del pensare.

INTERV.1: No, io non volevo assolutamente arrivare alla causa. So che la percezione non può causare niente!

ARCHIATI: Guarda che “occasionare” è già un inizio di causare!

INTERV.: Allora posso dire che è una condizione per far sì che un pensare sorga.

ARCHIATI: Se la percezione è il nulla del pensare, è un’occasione a pensare?

Vedi che è troppo! Viene detto troppo! Si fa qualcosa della percezione.

Il pensare invece vuol restare in questo concetto puro della percezione, dove la percezione è il nulla del pensare. Nel momento in cui tu dici: la percezione è l’occasione del pensare, la percezione diventa qualcosa. Ma il pensare è un creare dal nulla e dal nulla significa: senza occasione.

Adesso tu dici: ma quel Pietro lì non molla mai, eh!

INTERVENTO 2: Però diciamo: “provocazione”.

ARCHIATI: È vero, però devi concedere che “provocazione” è puramente un’immagine, è una metafora, invece “occasione” è un po’ di più!

Non voglio infierire più di tanto. L’importante è che ci capiamo.

Se noi non portiamo i misteri del pensare fino all’abisso del nulla, non capiamo il concetto di creazione dal nulla.

E il pensare crea dal nulla, oppure non è creazione pura, se presuppone un materiale da elaborare.

Però naturalmente diamo ragione a tutti noi che la maggior parte degli esseri umani, nello stato di caduta del pensare, la percezione è altro che il nulla. Hai ragione psicologicamente, però, ancora più importante, come dire, essere inesauribili in questo concetto puro del pensare.

Quindi il pensare puro in uno spirito umano caduto non c’è; però il concetto di pensare puro va pensato, altrimenti non conosciamo la traiettoria, diciamo, l’evoluzione del pensare.

Cos’è la percezione? Il sonno più profondo del pensare… nell’attesa che si risvegli! E tu dici giustamente: siamo tutti in questo sonno; e lo portiamo a coscienza.

10 – Per la nostra coscienza si tratta (invece, dico io) di domande le quali sorgono per il fatto che ad una sfera della percezione, condizionata da spazio, tempo e organizzazione soggettiva, sta di fronte una sfera del concetto che si rivolge alla totalità del mondo: e il mio compito consiste nel conguaglio (in tedesco: nel compenso) fra queste due sfere a me ben note. Qui non si può parlare di un limite della conoscenza. In una data epoca (in un dato tempo) può rimanere per noi inesplicato questo o quel fatto perché la nostra posizione nella vita ci impedisce di percepire le cose che sono in giuoco (che però sono percepibili, quindi prima o poi, se le percepiamo, troviamo le risposte). Ma quello che non si può scoprire oggi, si potrà scoprire domani. I limiti attuali (togliere: “attuali”) sono soltanto casuali, e col progresso della percezione e del pensiero potranno venir superati.

Quindi c’è unicamente… diciamo: qui c’è l’uomo, l’essere umano; qui c’è l’albero. L’essere umano percepisce l’albero; l’albero è fuori dell’essere umano? Sì, in quanto percezione! E che cos’è la percezione dell’albero? È il nulla dell’albero! Perché l’albero, in quanto percezione, oggi c’è domani è sparito!

E nel momento in cui l’albero, in quanto percezione viene “decosificato”, viene “ricosificato” come concetto, dal pensare.

Il pensante, il pensatore umano, è albero!

L’adagio degli scolastici diceva (traduciamolo nel linguaggio della scienza dello spirito): il pensante nell’atto del pensare e il pensato nell’atto di venir pensato sono una cosa sola, cioè una realtà spirituale sola!

Quindi il pensatore umano che pensa “albero”, è albero! In quel momento! E che altro è?!

L’essere umano è, di volte in volta, ciò che pensa; e che altro?!

E quando s’addormenta?

PUBBLICO: È quello che sogna!

ARCHIATI: Quello è il momento del trapasso. Mentre non sogna che cos’è?

È uno spirito pensatore che non sa di esserlo.

E perché non sa di esserlo?

Perché l’essere umano è uno spirito pensatore che porta a coscienza di esserlo soltanto tramite l’interazione col corpo.

Esce dal corpo?… resta un bravissimo spirito pensatore, ma non sa di esserlo.

Adesso entreremo nel dualismo che dice: l’uomo come “cosa in sé”, l’albero come “cosa in sé”, sono inconoscibili, sono al di là della coscienza.

Metto qui la coscienza (disegna alla lavagna). E cosa c’è nella coscienza? Un riflesso della cosa in sé dell’uomo e un riflesso della cosa in sé dell’albero. Quindi una rappresentazione dell’albero e una rappresentazione “di me”, cioè la coscienza che io ho di me stesso. La coscienza che io ho di me stesso non sono io, ma la coscienza della mia immagine di coscienza del mio essere spirituale; il mio essere spirituale è oltre la mia coscienza.

Così come io ho, del mio essere in sé, soltanto un riflesso nella coscienza; così come io ho dell’albero, non la cosa in sé dell’albero, ma un riflesso nella coscienza, così ho del rapporto reale, degli influssi reali… l’albero reale ha degli influssi reali sull’uomo reale! E un uomo reale – se lo taglia per es. – ha un riflesso reale sull’albero!

Ma di questi influssi reali, che ai tempi di Kant si chiamavano dinamici, che cosa c’è nella coscienza di questo rapporto?

Un’immagine riflessa di questo rapporto!

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Quindi nella coscienza, secondo il dualista, ci sono soltanto immagini: immagini delle cose in sé e immagini dei rapporti che ci sono tra le cose in sé.

E qual è la difficoltà di questo realista metafisico che lui dice: ma io mica posso avere nella coscienza l’albero reale!

È giusto che io non posso avere nella mia coscienza l’albero reale? Posso io avere nella mia coscienza l’albero reale?

CARLO: No…

ARCHIATI: Sìììì! Hai preso il granchio che hai preso la percezione come fosse l’albero reale, vedi! Nella percezione manca l’albero reale, ma nella mia coscienza pensante lì sì che c’è l’albero reale! Perché l’albero reale è il concetto!

Cosa significa questo? Che questi esercizi l’uomo d’oggi deve continuamente ripeterli. E tu (Carlo) ce ne hai dato adesso proprio la prova! Spontaneamente hai detto: oh!, mica posso avere dentro tutto l’albero con tutte le mele che ci sono sopra ecc., ecc..

EDDA: Sarebbe pesante!

ARCHIATI: Pesante… eh!, s’è fatto una piccola dormita, ma poi s’è svegliato subito: s’è accorto: ma cosa ho mai detto! Ancora prima che glielo dicessi io se n’è accorto lui.

È bello rendersi conto di queste cose per esperienza propria. Bisogna rifare gli esercizi, perché la temperie del materialismo significa che l’essere umano si è abituato a prendere la percezione come se fosse la realtà; e spontaneamente la vive così.

L’albero reale è quello là!

T’arriva la sapienza orientale che ti dice: ma quello è MAIA! E l’uomo occidentale gli dice: ma prova a sbatterci contro che ti viene la protuberanza metafisica! Voglio vedere se è MAIA quella!

E cosa risponde l’orientale? Certo che è MAIA, perché quando muoio la protuberanza è sparita.

Sì, però intanto che aspetti di morire, ti fa male!

Anche il male è MAIA!

Cosa diceva Francesco d’Assisi del male fisico?

“Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena m’è diletto!”

Allora: è pena o è diletto?

LUCIANA: Tutt’e due: è una pena che porta al diletto.

ARCHIATI: Invece la risposta è: se tu sei un Francesco d’Assisi, allora è un diletto. Lui non dice: la pena porta al diletto, dice: è!

LUCIANA: Ma per Francesco d’Assisi questo è. Hai fatto male la domanda!

ARCHIATI: Ci sei arrivata adesso! Si tratta sempre di chiarire la domanda, giusto?!

11 – Il dualismo commette l’errore di trasportare la polarità oggetto-soggetto, che ha significato solo dentro il campo della percezione, al di fuori di questo campo, su entità unicamente pensate!

Allora si creano due campi: il campo della coscienza e il campo delle cose in sé. Ma sono inventati questi due campi!

Tra l’altro, se volete, faccio una piccola riflessione di linguaggio, ma soltanto di linguaggio, che faccio in via di eccezione perché mi son guardato un po’ il tedesco.

L’italiano dice: “il dualismo commette l’errore di “trasportare”. Il tedesco ha: trasporre.

Trasportare è un pochino più materiale che non trasporre, perché se veramente lo trasporta, in un certo senso si sta dicendo che il mondo del percepibile è un mondo reale!

Io trasporto un tavolo da qui a là. Ma qui si tratta di trasporre, non di trasportare.

E poi l’altra parola che volevo correggervi: la “polarità”; in tedesco c’è l’ “opposizione” oggetto-soggetto, che ha significato solo dentro il “campo” della percezione.

Trovatemi una parola migliore che non “campo”, perché campo è di nuovo fisico!…

PUBBLICO: Ambito!

ARCHIATI: Bene! L’ambito. Quindi “trasporre” invece di trasportare e “ambito” invece di campo. Il pensare, mentre legge, viene sorretto dal discorso molto di più che non una traduzione che sposta, con i vocaboli, in un mondo fisico.

Quindi: il dualismo commette l’errore, (cade nell’errore), di trasporre l’opposizione che c’è tra oggetto e soggetto, che ha significato solo entro l’ambito della percezione, al di fuori di questo ambito, su entità unicamente pensate (come cose in sé inconoscibili).

Ma poiché le cose che sono separate soltanto fino a quando colui che percepisce si astiene dal pensare, il quale (pensare) abolisce ogni separazione e la fa riconoscere come qualcosa di puramente soggettivo, così il dualista trasporta, su entità poste dietro alle percezioni, determinazioni che anche per le percezioni non hanno valore assoluto, ma relativo.

Scinde così i due fattori che entrano nel processo della conoscenza, percezione e concetto, (scinde il tutto) in quattro:

L’oggetto in sé. (L’albero come cosa in sé).

La percezione che il soggetto ha dell’oggetto. (Quindi, diciamo, l’immagine, l’influsso soggettivo, non reale, che l’albero reale ha dentro la coscienza umana. Questo ambito, nel disegno simboleggiato dall’ovale, è la coscienza umana).

Il soggetto. (Quindi l’essere umano; il soggetto qui è l’essere umano come cosa in sé, l’essere umano reale.

Nella coscienza, cosa ho io del mio soggetto? Un’immagine riflessa, perché, secondo il dualista, ci sono soltanto immagini riflesse).

Il concetto che riferisce la percezione all’oggetto in sé.

(Meglio sarebbe: la rappresentazione, perché non sono concetti, difatti, le rappresentazioni).

Il rapporto fra oggetto e soggetto è un rapporto reale; (quindi gli influssi tra cosa in sé dell’albero e cosa in sé dell’uomo, sono influssi reali, ma nella coscienza sono influssi reali? Se l’uomo come cosa in sé va a sbattere la testa contro l’albero come cosa in sé, nella coscienza c’è il bernoccolo reale? È un’immagine, secondo questa concezione dualistica del mondo).

LUCIANA: Questo dualismo, che stiamo esaminando, sarebbe l’idealismo critico?

ARCHIATI: Sì, che si rifà…, diciamo: il corifeo di questa matrice di pensiero è Immanuel Kant. In lui si è presentata in un modo quasi… e lui ha fatto scuola: fa scuola fino ad oggi, in Germania e nel mondo. Perché poi, anche i pensatori anglosassoni, i pensatori inglesi, hanno pensato in questo modo qui: mandano a ramengo tutti i fenomeni di coscienza e si occupano delle cose reali.

L’uomo anglosassone dice: se è vero che la cosa in sé – che mi pare plausibile – è inconoscibile, cosa risulta per l’uomo anglosassone? Non m’importa la conoscenza, m’importa vedere cosa posso fare. Quindi usa la scienza soltanto in quanto fondamento della tecnica, in quanto la scienza serve a sapere cosa si può fare nel mondo, rinunciando a conoscerlo.

Rinunciando a conoscerlo in base al dogmatismo kantiano che dice: la cosa in sé è per natura non conoscibile. Perché tu, nella coscienza, avrai sempre un’immagine riflessa della cosa in sé, ma mai la cosa in sé reale.

In fondo, che cosa ha creato la disaffezione moderna nei confronti del pensare, del conoscere?

Questo scetticismo che dice: l’albero in sé è per natura al di là della coscienza e perciò non lo potrai mai conoscere. Puoi fare illazioni in base alle immagini che tu hai dell’albero in sé; e l’uomo moderno dice: ma queste illazioni non m’interessano proprio, mi interessa come posso trattare l’albero: che tipi di legno posso tirar fuori ecc., ecc..

Quindi il disinteresse moderno nei confronti della conoscenza, del pensiero che penetra nell’essenza delle cose, risulta dal dogma kantiano che dice che la cosa in sé non potrà mai entrare dentro la coscienza; e non s’è accorto che intende dire che la cosa in sé dell’albero è la materia dell’albero!

Cos’è il materialismo? L’anima umana che vive la materia, la percezione, come unica realtà!

È un vissuto reale dell’anima umana moderna: vive come reale la materia: l’albero là fuori, e come non reale il concetto.

Adesso io vi chiedo: per l’anima, cosa è più reale: l’albero là fuori, o il concetto?

Per l’anima è più reale l’albero là fuori!

Per chi è più reale il concetto?

Per lo spirito, ma non per l’anima!

Quindi l’uomo moderno, il materialista moderno, è l’uomo che è quasi soltanto anima; che vive come il cane, come l’animale, – animale: anima –; vive l’influsso del mondo della percezione sull’anima!

L’influsso, del mondo della percezione sull’anima, c’è?

Ma certo che c’è! L’influsso di una superficie rossa sul toro certo che c’è!

Quindi il mondo della percezione ha un influsso reale, immediato, sull’anima. Quindi, per lo spirito, la percezione è il nulla, ma non per l’anima!

Il rapporto fra oggetto e soggetto è un rapporto reale; il soggetto è veramente (dinamicamente) influenzato dall’oggetto. Questo processo reale non arriva alla nostra coscienza. Ma esso deve suscitare nel soggetto una reazione all’azione proveniente dall’oggetto. Il risultato di questa reazione è la percezione. Questa soltanto arriva alla coscienza. L’oggetto ha una realtà oggettiva (indipendente dal soggetto), la percezione ha una realtà soggettiva. Questa realtà soggettiva mette in rapporto il soggetto con l’oggetto. Tale rapporto è ideale.

Con ciò il dualismo scinde il processo della conoscenza in due parti. Una, la produzione dell’oggetto della percezione dalla cosa in sé, la fa accadere al di fuori della coscienza; (al di fuori della coscienza c’è l’effetto dell’albero reale sull’uomo reale, dentro la coscienza c’è un’immagine riflessa di tutti e due e del rapporto fra i due); l’altra, la connessione della percezione con il concetto e il collegamento del concetto con l’oggetto, la fa accadere dentro la coscienza.

Con queste premesse è ovvio che il dualista creda di acquistare, nei suoi concetti, soltanto dei rappresentanti soggettivi di quello che sta davanti alla sua coscienza.

Quindi: la realtà è là fuori e nel mio pensiero ho soltanto dei rappresentanti soggettivi delle cose. Viene detto proprio l’opposto di quello che diciamo noi. Noi diciamo: nel pensiero c’è la realtà e nella percezione c’è una parvenza; invece il realista ingenuo e l’idealista critico dicono: no, la percezione mi dà la cosa in sé inconoscibile, e quello che c’è dentro di me, anche se è pensiero, è puramente soggettivo, non ha nulla a che fare con la realtà reale, oggettiva.

Il processo reale, oggettivo, attraverso il quale la percezione viene a formarsi e, ancor più, i rapporti oggettivi tra le cose in sé, rimangono, per il dualista, inconoscibili direttamente (restano al di là della coscienza); secondo la sua opinione, l’uomo può soltanto fabbricarsi dei rappresentanti concettuali della realtà oggettiva.

Il vincolo unitario delle cose, che lega queste fra loro e obbiettivamente col nostro spirito individuale (come cosa in sé), sta al di là della coscienza, in un “essere in sé” del quale nella nostra coscienza potremmo parimenti avere solo un rappresentante concettuale.

Quindi, la realtà delle cose in sé e gli influssi, dinamici, sono oltre la coscienza, per natura inconoscibili, compreso il soggetto stesso, in quanto cosa in sé; e nella coscienza c’è soltanto una immagine riflessa, soggettiva, quindi priva di realtà, della realtà che per natura è inconoscibile.

LUCIANA: “Rappresentante concettuale” è come dire “rappresentazione”, no?

ARCHIATI: Sì, forse tu non eri ancora arrivata quando io ho detto: a quel punto lì va meglio “rappresentazione” anziché “concetto”; però tenendo presente che “concettuale” è anche un’immagine: con-capio, concetto, con-capio. All’inizio parlavo della Medusa, al tempo in cui il cervello emetteva tentacoli reali per afferrare le cose.

SIG.RA 1: Ma se la percezione è l’unica cosa reale, io non potrò mai dire: “albero”, perché a me, dell’albero, arriva la percezione di un pino, di un faggio…, quindi il concetto dove sta?

ARCHIATI: Cos’hai detto all’inizio? Se la percezione…

SIG.RA: …è l’unica realtà, è reale.

ARCHIATI: Cosa che non è vero! Però tu stai dicendo: “albero” è un concetto puro.

SIG.RA: Sì, ma da dove nasce? Non da una percezione!

ARCHIATI: Dal pensare!

SIG.RA: Ma se il pensare non è reale, secondo Kant?

ARCHIATI: Allora, tu adesso ti stai ponendo nell’ottica del realismo critico.

SIG.RA: Sì!

ARCHIATI: …che scinde in due: ciò che c’è nel campo della coscienza e le cose in sé, reali, con influssi reali fra di loro. Ripeti la domanda: se, come dicono loro…

SIG.RA: …io non posso mai arrivare a conoscere la cosa in sé, perché gli alberi li chiamo “alberi”…. “albero”, un rappresentante dell’albero?

ARCHIATI: Vuoi rispondere tu alla tua domanda?

SIG.RA: Ma… forse li ho messi in una categoria, ho creato la categoria dell’albero e ho cominciato a vedere quelli che assomigliano e quelli che non assomigliano.

ARCHIATI: Quindi, in un certo senso, tu stai esprimendo il tuo sospetto che questi pensatori disattendono proprio il pensare!

SIG.RA: Appunto! Cioè, loro negano esattamente quello che stanno dicendo, mentre lo dicono.

ARCHIATI: Esatto, quindi si contraddicono! Però è un conto affermarlo e un conto è, adesso, non dico dimostrarlo, ma almeno argomentare! E dove li prendi in castagna?

SIG.RA: Che loro creano la categoria da percezioni che di per sé, essendo reali (per loro), sono una diversa dall’altra. Come fanno a trovare l’elemento comune se non attraverso il pensiero?

MASSIMO: Però Kant parla anche di “a priori”. Cioè, questo concetto giustamente tu dici: da dove lo tira fuori Kant, no!, se disconosce in fondo il pensare e la cosa in sé la considera inconoscibile? Da dove gli viene quello che poi chiama “concetto”?

Ecco, mi vien da pensare che quando Kant usa il termine “a priori” voglia dire: beh, io non lo penso, non lo creo io, mi è inconoscibile, però ce l’ho, in qualche modo, dentro di me, come una realtà a priori.

È questo che vuol dire Kant? È questo che potrebbe rispondere alla tua domanda?

ARCHIATI: Quindi “a priori” significa: in partenza.

SIG.RA: Quindi: al di fuori della percezione! Se è a priori…!

MASSIMO: Appunto, a priori del mio pensare, a priori del mio conoscere attraverso la cosa in sé.

ARCHIATI: In altre parole, Kant dice: se l’essere umano è fatto così, è fatto così! Non c’è nulla da dimostrare! È fatto così che, delle cose in sé, che sono inconoscibili, lui ne ha soltanto un riflesso nella coscienza. È fatto così!

SIG.RA: Sì, ma questo riflesso chi glielo dà?

ARCHIATI: È fatto così!

In altre parole questa affermazione… e perciò lui (Massimo) dice: guarda che Kant parla di “a priori”!

Questa affermazione del realista critico è un assioma; e gli assiomi sono quelle affermazioni che non si possono spiegare, perché sono il punto di partenza!

Ora è importante capire che un pensare umano senza assiomi non esiste! Ci deve essere un punto di partenza; e l’”a priori” è il punto di partenza di Kant.

Qual è il nostro punto di partenza, l’assioma della Filosofia della Libertà?

Che la realtà originaria non è né la cosa in sé, né la coscienza ecc., ecc., ma è il pensare!

Lo dimostra Steiner? No! Dice: l’essere umano è fatto così! Cioè, la realtà non si dimostra.

Quindi Kant, per quanto riguarda me – forse anche voi – è partito dall’assioma sbagliato! Ha messo come cardine del pensare che il punto di partenza è la cosa in sé, inconoscibile.

Invece noi mettiamo come punto di partenza il pensare, per il quale tutto è conoscibile! Per natura! Perché pensare vuol dire conoscere, vuol dire entrare nella realtà più assoluta.

Allora, se avessimo qui Kant e volessimo spiegargli che si sbaglia, cosa direbbe lui?

Non m’hai capito!

SIG.RA: Stavo pensando a un parallelo tra Kant e Platone, potrebbe esserci?

ARCHIATI: Ma certo: i paralleli si possono fare tra tutto e tutti! Che differenza c’è?

SIG.RA: Platone considera che il mondo delle idee è quello reale e la “realtà” è un’immagine. Kant, al contrario. …Più o meno?

ARCHIATI: Si può dire così: Kant era cresciuto alla scuola di un filosofo meno conosciuto: Christian Wolff, sulla falsariga dell’idealismo tedesco ecc.. Poi Kant si è messo a leggere David Hume e dice: Mi sono risvegliato dal sonno metafisico!

Intende dire: lo spirito dell’Europa centrale, gli idealisti – Fichte, Shelling, Hegel – erano metafisici, che pensavano che la realtà si coglie col pensiero… No! Non c’è realtà senza percezione!

Questa affermazione: “non c’è realtà senza percezione”, Kant la riceve dal mondo anglosassone.

Allora, la Filosofia della Libertà crea l’equilibrio fra l’affermazione degli idealisti, che vorrebbero farci credere che si trova realtà senza il lato della percezione e lo spirito anglosassone che vorrebe farci credere che si trova realtà senza il lato del concetto, soltanto con la percezione. E la Filosofia della Libertà ti dice: no!, la realtà ce l’hai quando metti insieme tutti e due.

Quindi, il dogma kantiano dicendo che, in partenza, la realtà è fuori della coscienza, chiedo a voi: c’è una realtà che veramente è fuori della coscienza?

Sì!, ed è la percezione, che proprio per questo non è una realtà, perché è fuori della coscienza!

Quindi il paradosso dell’idealismo critico, o del realismo critico, come volete, è di raddoppiare il mondo della percezione, di ipostatizzarlo, perché questa cosa in sé è presentata fuori della coscienza.

Che cosa ho io realmente fuori della coscienza, fuori della coscienza pensante?

La cosiddetta percezione!

Quindi quella che secondo noi, secondo la Filosofia della Libertà, è in assoluto non realtà, un Kant la ipostatizza come unica realtà, che la realtà vera della cosa in sé è inconoscibile.

In altre parole, il reale è impercepibile perché è fuori, è là fuori!

Quindi Kant ha ricevuto questo influsso enorme del materialismo anglosassone che parte dal presupposto del materialista moderno che dice: la materia è la realtà. L’albero reale è quello che sta là fuori.

Solo che Kant aggiunge: però sta attento, che tu dell’albero reale, come cosa in sé, che sta là fuori e resta là fuori, tu non puoi avere l’albero reale nella tua coscienza: è per natura inconoscibile. La cosa in sé è per natura inconoscibile.

CARLO: Però Kant ci ha dovuto ben pensare!

ARCHIATI: È quello che diceva lei (Sig.ra), lui (Carlo) dice: ci ha dovuto ben pensare, però!

CARLO: Quindi anche Kant vive un paradosso: dimostra di non pensare, pensandoci!

ARCHIATI: Sì, è un paradosso, però non credere mica che lo convinceresti dicendo così. Noi stiamo sbuffando ogni volta! Sono esercizi che vanno sempre ripetuti!

Buona notte a tutti!

Venerdì, 26 febbraio 2010 - mattina

ARCHIATI: Auguro a tutti una buona giornata. Per chi ieri sera non c’era e per chi non avesse notato, qualcuno diceva: ma, quei 4 punti non sono stati elucidati.

Ci sono due tipi fondamentali di persone: c’è il realista ingenuo, che siamo tutti noi come punto di partenza: la persona ordinaria.

Il modo di pensare, o meglio, il modo di sentire, di vivere, del realista ingenuo è che, se gli si chiede cos’è la realtà – che già la domanda gli pare un po’ strana – lui dice: la realtà è quello che vedi, quello che senti, quello che tocchi.

Dei 12 sensi prendiamo i 3 più accessibili, più evidenti.

Se io vedo una persona, io dico: vedi che è reale! Se la sento e poi magari le stringo la mano – quindi: la vista, l’udito e il tatto – sono i 3 sensi più evidenti che danno alla persona ordinaria l’evidenza di una realtà. Reale è ciò che vedo, reale è ciò che sento, reale è ciò che posso toccare; perché toccando sento una resistenza e quindi ho l’evidenza che c’è una realtà diversa da me. Ci siamo?

E il realista ingenuo non è del tutto fuori strada perché la percezione, la percepibilità, quindi l’essere visivo, l’essere udibile e l’essere toccabile, fa parte del reale. E ci siamo sempre detti: nulla è reale che non sia anche percepibile.

Però il realista ingenuo non ha ancora compreso, perché è rimasto nella dimensione spontanea, non si è ancora accorto che, dal lato della percezione, lui non riceve la realtà intera, ma soltanto metà. Non ha mai notato che lui dice: “quello lì è il mio amico”, e l’amico a cui dà la mano, che lo saluta e che lo vede – quindi, lo vede: l’elemento visivo, lo saluta: l’elemento uditivo, gli dà la mano: l’elemento del tatto – è soltanto fuori di lui?

“Il mio amico” è un concetto e lui disattende questo altro lato della realtà che ogni essere umano, in chiave di pensiero, in quanto pensante, di fronte ad ogni percezione dice, pensando, che cos’è!

Allora, la realtà è nel lato di percezione, o è nel pensare che dice che cos’è?

Da soli, né l’uno, né l’altro ci danno la realtà.

Quindi l’essere umano è quell’essere che spacca il reale, che per tutti gli altri esseri è inscindibile – per un angelo il mondo non si spacca in percezione e concetto – quindi lo specifico dell’uomo è che spacca il mondo in percezione, che è quella metà, quell’elemento del reale che viene dal di fuori, mi si presenta dal di fuori, e il concetto.

Quindi, diciamo, la realtà sovrasensibile, non percepibile, ce la mette l’uomo col pensiero.

E qualcosa è reale soltanto quando abbiamo tutti e due i lati.

Quindi se tu mi vuoi presentare qualcosa di reale devi dirmi dove è percepibile e devi dirmi che cos’è. Se mi dici dove io la posso percepire e se mi dici che cos’è, ho una realtà completa.

CARLO: “Che cos’è” è il concetto.

ARCHIATI: Sì, “che cos’è” è il concetto.

CARLO: Ed è dovuto al pensare.

ARCHIATI: È dovuto al pensare, certo!

CARLO: E il pensare è disatteso dal realista ingenuo.

ARCHIATI: Che viene normalmente disatteso dalla persona normale, dal realista ingenuo.

Aggiungiamo adesso un’altra riflessione: il nostro famoso albero, o meglio una pianticella, se volete. (Disegna alla lavagna)

Noi dicevamo – le cose vanno approfondite sempre di più – dicevamo: guarda, qui ci sono altre piante, qui c’è il terreno, quella lì è la realtà! Ed è tutto sbagliato? No! Perché se vado là e addirittura sradico la pianta, la sento col tatto e sento anche il profumo, magari. È una realtà, no!

L’elemento di illusorietà, di non realtà, non si riferisce al tutto della pianta che io percepisco, si riferisce al dato di percezione.

Cos’è che io percepisco della pianta? Perché io non ho detto cosa c’è là, fuori di me!

C’è la manifestazione sensibile del concetto! E che cos’è il concetto?

A questo punto dobbiamo veramente ricorrere ad una scienza spirituale che ci integra e ci dice, elemento per elemento, tutto ciò che non si vede con l’occhio sensibile, che non si percepisce (con i sensi), e cioè, ciò che facendo un riassunto enorme ho chiamato “concetto”, è, nell’origine un essere spirituale che pensa!

Questa pianta deve essere stata pensata: come forma e come metamorfosi, come legge di struttura e come cambiamento di struttura.

Quindi questo essere spirituale che pensa e che crea la pianta – una margherita, per esempio – questo essere creatore deve aver pensato il concetto di margherita!

Allora, questo essere spirituale noi lo chiamiamo LOGOS, il grande pensatore divino; quindi il punto di partenza è lui, come essere spirituale.

In questo Logos c’è il concetto di margherita, lo deve creare… dove lo piglia il concetto?

L’essere spirituale non piglia i concetti dal di fuori, li crea!, dal di dentro.

Quindi il concetto di essere spirituale è che è un essere che crea concetti, se no non è un essere spirituale.

E se viene uno e dice: ma da dove li piglia i concetti per crearli?, non ha capito ancora nulla: lo spirito è creatore di concetti, o altrimenti non è spirito.

Adesso, nella sua mente, nel suo pensatoio c’è il concetto di margherita, come fa a diventare visibile per noi? Deve amarla, deve voler renderla percepibile.

Quindi nel suo spirito c’è il concetto di margherita, nella sua anima c’è l’amore: la voglio! La voglio rendere percepibile agli esseri umani!

Come la rende percepibile? C’è ancora un altro nesso: deve creare una corrente eterica… cioè l’emozione “margherita” dentro l’anima deve diventare nell’etericità una unità eterica. Quindi la margherita, al livello più vicino a noi, però non ancora visibile è una corrente eterica specifica, con un dinamismo proprio, che è diverso da quello della viola, che è diverso da quello del giacinto ecc., ecc..

Questa margherita eterica – vitale puro, non ancora visibile – si rende percepibile intridendosi di materia minerale; e questa materia minerale viene desunta dal terreno.

Allora, cos’è il seme della margherita? Il seme della margherita, a livello fisico percepibile è ridotto al minimo, ma intorno (disegna) dobbiamo immaginare che intorno al seme della margherita, invisibile, c’è una realtà di vita, l’eterico, il vitale.

Adesso questo granellino qui, che ha attorno, invisibile, ma reale questo eterico – l’iniziato lo “vede”, lo percepisce a livello sopra sensibile, perché il primo gradino dell’iniziazione è percepire l’eterico, il secondo è percepire l’animico e il terzo è percepire lo spirituale – quando questo granellino qui, noi lo mettiamo nel terreno, accade un’interazione con tutti i sali, tutti i minerali del terreno, per cui entra, in questo granellino, sempre più materia minerale e si rende visibile, si rende sempre più visibile. Era già visibile il seme, però non tutta la pianta; era tutto qui nell’eterico.

Io l’eterico l’ho disegnato come un’aura tutta attorno al seme, però a livello spirituale sono pensieri di margherita: dal pensiero deve saltar fuori la margherita.

Allora, ritorniamo alla persona normale, al realista ingenuo a cui chiediamo: cos’è la margherita? Lui dice: è quella lì, non vedi!

Quando noi diciamo: la percezione è il nulla del reale, è una “scorciatoia”, perché ho fatto tutto questo lavoro qui sopra, per dire che nella margherita visibile c’è l’eterico all’opera, che opera! L’eterico è una struttura di forma e metamorfosi che struttura tutti gli atomi, le molecole di materia minerale che si dispongono.

In autunno cosa avviene? Il riempitivo di materia minerale che evidenzia le forme, si ritira e la pianta ridiventa invisibile all’occhio normale e resta il seme. Resta il seme per ricominciare di nuovo il ciclo. Quindi “non reale” è soltanto il riempitivo minerale, perché quello evidenzia tutta la realtà e poi sparisce.

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Come un campo magnetico: quando si ha un campo magnetico, qual è la realtà del campo magnetico? Sono correnti di forza sovrasensibili, io le evidenzio con la limatura di ferro finissima. Allora questa limatura di ferro finissima si dispone a seconda di queste correnti magnetiche.

Cosa fa la limatura di ferro? È la realtà del campo magnetico? No, me lo evidenzia!

Quindi il realista ingenuo dice: la pianta, eccola là! E non si accorge che il fenomeno totale della pianta è: uno spirito che la pensa, uno spirito che la ama, un’etericità che le dà vita e una materialità minerale che la evidenzia. Allora sì che ho la pianta!

Quindi la totalità della pianta è lo spirito che la pensa e quindi il pensiero, il concetto, dentro a questo spirito, che corrisponde a questa pianta. Poi l’elemento animico, di amore per l’essere umano, perché il passaggio dal concetto di pianta – di margherita – dal creatore della margherita alla margherita percepibile, cos’è, cos’è che fa da tramite?

L’amore per l’uomo; perché se non ci fosse l’amore dello spirito creatore per l’uomo, non la renderebbe visibile.

Quindi la percepibilità del creato è l’amore degli esseri divini all’uomo, che gli danno tutti i loro pensieri dalla parte della percezione, per lasciare all’essere umano di integrare la percezione con il concetto. E integrando la percezione con il concetto, l’essere umano fa l’esperienza di essere lui stesso creatore, ricreatore.

INTERV.1: Stavo pensando: tutto chiaro, però nella variante del ciclo: il seme diventa pianta, torna seme e ricomincia questo famoso ciclo. Ma la necessità di questo passaggio qual è? Potrebbe consolidarsi tutto in quel momento: la pianta c’è…

ARCHIATI: Allora, dicevo ieri sera, quando si tratta di pensare bisogna darsi una calmata, percepire le cose in opposto all’agire, capito?, lì bisogna muoversi.

Datti una mossa, datti una calmata. Adesso devo dirti: datti una calmata perché c’era in te una certa emotività…

INTERV.1: Sì, io son fatto così, non riesco a calmarmi.

ARCHIATI: No, no, se uno se ne rende conto ci riesce, perché tu in fondo hai fatto il presupposto, ma non serve a nulla. Lì ti dico: vacci piano! Perché se tu, già in partenza hai un’avversione verso questa saggezza, non la cogli.

INTERV.1: No, tutt’altro!

ARCHIATI: Adesso ce la siamo dati una calmata? Bene! Supponiamo che la differenza fondamentale, anzi una delle differenze fondamentali fra il pensatore divino e il pensatore umano, sia che il pensatore divino non ha bisogno di un sacco di tempo per pensare le cose una dopo l’altra: è al di là del tempo. Con un’intuizione eterna, al di là del tempo, ha il tutto.

La differenza con lo spirito umano è che lo spirito umano è capace di pensare le cose soltanto una dopo l’altra e ha bisogno di tempo.

Quindi la creazione, che ripete i cicli della natura sempre uguali, ha il senso dell’amore all’uomo, di dargli tutto il tempo necessario per capire, per pensare le cose.

Se tu fossi capace di pensare tutte le cose con un ciclo solo, il pensatore divino ti darebbe un ciclo solo.

Ora, quanti cicli son già passati? E quanto tu hai intuito a livello completo?

Campa cavallo che l’erba cresce! E cresce ripetendo sempre gli stessi cicli.

Quindi la natura, che ripete, per noi quasi eternamente, sempre uguali i cicli – di percepibilità: sparisce la percepibilità e poi si ripresenta – è l’amore divino verso il tempo di cui l’uomo ha bisogno per pensare tutta la creazione.

INTERV.1: Quindi: repetita iuvant.

ARCHIATI: Repetita iuvant, si diceva. E la natura è questa ripetizione divina, che ci giova, se non dormiamo del tutto; perché se uno dorme del tutto, beh… non si può costringere uno a svegliarsi.

Quindi una differenza fondamentale tra l’essere divino che pensa e l’essere umano che pensa è che l’essere divino pensa oltre il tempo e l’essere umano pensa nel tempo, dentro il tempo, ha bisogno di tempo.

Quindi la margherita si ripresenta per… e, tra l’altro, la natura nell’uomo è il corpo, no! Nel suo libro “Teosofia” Steiner dice: ma anche lo scienziato di scienze naturali dovrebbe porsi la domanda: se nella natura ci sono cicli che si ripetono continuamente uguali, perché la natura dovrebbe “snaturasi”, dovrebbe contraddirsi in assoluto nell’uomo!

Se è legge di natura esplicarsi in un ciclo di manifestazioni per poi ridursi ad un seme e ricominciare da capo un ciclo, perché l’uomo, che è la quintessenza di tutte le forze di natura nel suo corpo, dovrebbe essere miracolisticamente, irrazionalmente, l’unica eccezione?

E la scienza dello spirito dice: no, lo scienziato naturale ci deve ancora arrivare: per questo corpo, per questo organismo, vale lo stesso: muore, resta un seme, che poi ripete il ciclo di nuovo.

Perché se io, con questo nuovo ciclo, non porto dentro di me il risultato di cammini di pensiero di tutti gli altri cicli di pensiero precedenti, a che mi serve questa natura che per millenni si pone alla base del pensare umano, se io ho soltanto una pensata, che è una vita sola?

Quale spirito umano può, in una vita sola, far tutta la pensata che c’è da fare?

Ci vuole tutto il tempo dell’evoluzione, se uno non perde colpi; perché si possono anche perdere colpi.

L’amore divino è tenuto a darci più tempo del necessario? No, il giusto necessario: non sarebbe saggio più tempo del necessario.

Non è che in questo modo si prova apoditticamente la reincarnazione, però si portano pensieri che convincono sempre di più l’essere umano, che li pensa fino in fondo e li prende sul serio. La reincarnazione non si può dimostrare!

Come dimostri che la margherita si era espansa, si era manifestata, e come dimostri che adesso è rimasto soltanto il seme, che se metti il seme nel terreno il ciclo si ripete?

Qual è il tipo di dimostrazione che conosce la scienza naturale? La percezione!

WILMA: Il seme della margherita resta lo stesso, il seme dell’uomo invece? Si riferisce al corpo, suppongo, quello si modifica, penso.

ARCHIATI: La cosa è più complessa, però riferendo i pensieri che diciamo, agli elementi di percezione che abbiamo, le comprendiamo le cose. (Disegna alla lavagna)

Qui c’è lo spirito umano – non lo metto in forma di uomo perché non è ancora formato come corpo – è l’io, un io che si vuole incarnare.

È spirito e qui siamo sulla terra. Dove lo prende il seme?

Qui c’è il futuro padre e qui la futura madre. Il maschile e il femminile si uniscono; c’è nella madre un uovo che viene fecondato dallo sperma maschile: la cosiddetta fecondazione consiste nel fatto che lo sperma che entra nell’uovo femminile caccia fuori tutte le forze formanti, quindi la materia entro questo uovo fecondato è puro caos – il caos dei greci è materia senza forma, materia caotica.

Chi crea questo caos?

L’attrazione irresistibile fra il maschile e il femminile! Ma chi li ha portati insieme questi due qua?

Lui che si vuole incarnare! Lui non è la sola causa – le cose sono complesse – però è la causa principale.

Adesso qui c’è un sostrato di materia caotizzata e un io, una struttura spirituale che si vuole incarnare, dunque una struttura spirituale che chiamiamo: io, una struttura astrale che chiamiamo: anima, una struttura eterica che è il suo corpo eterico – e Steiner descrive in che modo raccoglie tutta l’etericità in tutto il mondo per fare un corpo eterico tutto suo – e qui, cosa piglia dai genitori?

La materia minerale che comincia ad evidenziare la sua struttura eterica, la sua struttura animica, la sua struttura spirituale.

Quindi è lui a dargli una forma. Questo spirito umano ha un fantoma del corpo fisico, cioè forze formanti del fisico, strutture formanti del fisico, non dell’eterico.

Quindi dentro questa materia caotizzata: strutture formanti fisiche, strutture formanti eteriche, strutture formanti animiche, strutture formanti spirituali e, man mano che il suo spirito, la sua anima, la sua vitalità, le sue correnti vitali e le sue correnti formanti forma minerale, lavorano in questa materia, questa materia prende sempre più le forme del suo fantoma fisico, le forme del suo corpo eterico, le forme della sua anima, le forme del suo spirito, e rendono sempre più evidente, a livello fisico, a livello eterico, a livello astrale, a livello spirituale, il suo io.

Poi dopo nove mesi salta fuori.

Quindi tu chiedevi: ma dov’è il seme dell’uomo? È complessa la cosa; però, così come per la margherita c’è un piccolo seme dove poi, come catalizzatore di elementi minerali, l’eterico ci mette le forme della margherita, così qui c’è un sostrato minerale, di materia minerale – Aristotele la chiama: “materia prima”, prote yle, perché non è formata – e lo spirito la informa; a sua immagine.

EDDA: Però non è lo stesso seme.

ARCHIATI: Come: non è lo stesso seme?

EDDA: L’uomo, quando si reincarna, porta nell’evoluzione le esperienze che ha fatto nelle vite precedenti, quindi non è le stesso seme come nella pianta.

ARCHIATI: Qui ci sono tre persone, poi, dopo nove mesi salta fuori il bambino, lo metto qui (disegna) piccolo, piccolo, va bene! Il seme reale, spirituale, i cammini spirituali, il cammino dello spirito, il cammino dell’anima, il cammino dell’etericità e il cammino delle forme fisiche, è quello che hanno combinato, questi tre, la volta precedente, la volta precedente ancora, e ancora.

EDDA: Lo pensavo anch’io.

ARCHIATI: Quindi il seme costante sono gli influssi reciproci che, tra queste tre persone sono fortissimi, molto più forti che non tra altre persone; a livello spirituale, a livello animico, a livello eterico, del vitale, e a livello fisico, delle forme fisiche.

Quindi un seme molto complesso, ma reale!

E si ripete il ciclo; e poi si ripete il ciclo, e poi si ripete il ciclo e va sempre più avanti.

Quindi: la natura ripete il ciclo tale e quale, perché la natura non è il senso finale dell’evoluzione. Invece l’uomo non dovrebbe ripetere il ciclo tale e quale! In quanto ciclo naturale lo ripete tale e quale, che è la base, ma in quanto cammino di spirito dovrebbe ogni volta, andare più avanti, più avanti, più avanti!

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EDDA: Certo!

ARCHIATI: Quindi la ripetizione uguale del dato di natura trova il suo significato soltanto nell’evoluzione sempre nuova dello spirito umano.

CARLO: Quindi si potrebbe dire che il vero seme è l’individualità.

ARCHIATI: Il vero seme è l’individualità. Però l’individualità non è isolata: è inorganata in altre individualità e la direzione dell’evoluzione è la riorganizzazione spirituale e animica di tutti gli spiriti, di tutte le anime umane, in un organismo reale: E per questa riorganizzazione bisogna che, un po’ alla volta, il fisico sparisca! Perché nel fisico c’è separazione, non c’è organizzazione gli uni negli altri.

Il fenomeno primigenio della riorganizzazione spirituale è: ti capisco! Il fenomeno primigenio della riorganizzazione animica è: ti amo! Quindi la comprensione reciproca è diventare uno a livello dello spirito, l’amore reciproco è diventare uno a livello animico; ecc., ecc..

Allora, eravamo arrivati al paragrafo 12: Il dualismo crede di volatilizzare il mondo intero in uno schema concettuale astratto, se accanto ai nessi concettuali degli oggetti non stabilisce anche nessi reali.

Allora il realismo critico dice: qui c’è la coscienza, quello che mi è cosciente, e interpreta la coscienza come un recipiente ermeticamente chiuso; e dice: io nella coscienza ho la percezione dell’albero, poi ho nella mia coscienza l’uomo che vede l’albero – questo uomo posso essere io o un altro uomo –. E questa è la coscienza.

Allora questo pensatore dice – che è il primo passo per superare il realismo ingenuo – dice: se io nella coscienza ho soltanto immagini devo pensare che queste immagini sono un riflesso, sono causate dall’albero reale e dall’uomo reale che è in interazione con l’albero reale.

Allora: 1 è l’albero nella coscienza, 2 è l’uomo nella coscienza, 3 è l’albero reale come cosa in sé, 4 è l’uomo percipiente come cosa in sé. E questa relazione tra l’uomo e l’albero è reale, però nella coscienza c’è soltanto un riflesso.

In altre parole, i principii ideali scopribili per mezzo del pensare appaiono al dualista troppo vaporosi, ed egli cerca anche dei principii reali dai quali i primi possono venir sorretti. (“fondati”, meglio che sorretti)

13 – Guardiamo un po’ più da vicino questi principi reali. L’uomo ingenuo (il realista primitivo) considera gli oggetti dell’esperienza esteriore come realtà.

IL RADDOPPIAMENTO DEL REALE:

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Lui ti dice: l’albero reale è là, guarda!, è quello che vedi. Che in fondo non è del tutto sbagliato, solo che lui pensando ci appiccica l’altro lato, quello che non gli dà la percezione: dicendo “albero” dice un concetto.

Il fatto che egli possa afferrare queste cose con le sue mani e vederle con i suoi occhi, gli vale come prova della loro realtà.

Quindi è vero ciò che vedo, è vero ciò che sento, è vero ciò che tocco. Cosa, vi ripeto, che non è del tutto sbagliata, ma neanche del tutto giusta, perché disattende un elemento fondamentale.

“Nulla esiste che non possa essere percepito”, deve essere proprio considerato il primo assioma dell’uomo primitivo, che riconosce ugualmente valido anche l’inverso: “tutto quello che può essere percepito, esiste”. La miglior prova per questa opinione è la credenza dell’uomo primitivo nell’immortalità e negli spiriti. Egli si rappresenta l’anima come una sottile materia sensibile, che in particolari circostanze può divenire visibile anche per l’uomo ordinario (credenza spontanea nei fantasmi).

Allora, l’uomo muore, il corpo sparisce, cosa resta? Se l’uomo ordinario pensa che l’anima continui ad esistere, la immagina – se non ha ancora studiato la Filosofia della Libertà – come qualcosa di percepibile. Deve essere visibile, deve essere udibile, deve essere toccabile. Ora, siccome i nostri sensi sono troppo grossolani, tu non la vedi questa anima, che lascia il corpo e va nel mondo spirituale, tu non la vedi soltanto perché i tuoi sensi sono troppo grossolani, però un senso di vista più fine la vedrebbe, perché se non fosse per nulla percepibile non sarebbe reale. Ma è giusto! Perché se non c’è il lato di percezione non c’è realtà.

Adesso io vi chiedo: qual è la realtà percepibile all’organo di senso più fine, più sottile che possa esistere? Percepibile però!

È il concetto! Il concetto è percepibile al pensare! Solo che il pensare è un organo di senso così fine che percepisce il concetto; però percezione è. Perché il concetto di margherita, io non lo creo in assoluto, il mio pensare lo percepisce, perché è già stato creato dal Logos.

Però il pensare è un organo di senso, di percezione sensibile, così fine che percepisce concetti.

Come si chiama in filosofia, la percezione di un concetto? Intuizione!

Quindi è giusto ciò che dice il realista ingenuo: se tu mi vuoi presentare una realtà mi devi far vedere che è percepibile. Però noi gli diciamo: guarda che noi ti vediamo con un organo di senso così sottile che percepisce lo spirituale puro; però lo percepisce!

Cos’è “capire” se non un percepire!

Per-cipio, è un “capio” che percorre tutto lo spazio di estraneità e mi diventa più intimo al mio essere che non io stesso, in quanto anima.

Per-capio, è un capire che percorre tutta la dimensione di estraneità e mi diventa intimo al mio essere.

Teniamo presente, però, che la maggior parte degli esseri umani non ha il concetto di margherita, ha una rappresentazione.

CARLO: Ha la parola.

ARCHIATI: Sì, ha la parola. Qual è il concetto dove c’è quasi nulla di rappresentazione, o nulla? Il concetto di concetto!

Cos’è un concetto?

Una percezione puramente spirituale, dove non c’è nulla di rappresentazione.

Il concetto di concetto.

Però il linguaggio ci inganna perché nella parola “concetto” c’è un elemento di rappresentazione: con-capio: questo acchiappare!

Però se noi tiriamo via questo elemento di rappresentazione, che è nella parola, il concetto di concetto è pura intuizione.

Oppure, facciamo un piccolo esercizio insieme: provi qualcuno a dirmi il concetto di intuizione. Cos’è un’intuizione?

PUBBLICO: (vari interventi)

ARCHIATI: Attenti, quante rappresentazioni saltano fuori nelle vostre parole: raccogliere, accogliere…

SIG.RA1: Per me è questo: l’intuizione, attraverso il pensare sul pensare, sempre collegato all’unità che c’è con l’entità spirituale, con il Logos, è accogliere in sé, come verità, il pensare proprio con il pensare divino. C’è un collegamento proprio dell’io, dell’uomo ordinario, con l’uomo…

ARCHIATI: “Accogliere in sé”, no! Qui c’è il pensatoio, il tuo pensatoio; se poi uno segue le tue mani, le tue mani facevano questo gesto di accogliere: è qui, e t’arriva, e tu lo accogli in te!

SIG.RA1: No, è dentro.

ARCHIATI: Ah, è dentro adesso? Allora che c’entra “accogliere in sé” se è dentro?

SIG.RA1: Beh, è un usare male le parole, probabilmente…

ARCHIATI: Esatto, siamo abituati ad usare categorie spaziali e temporali, e il puro spirituale esula da ciò che è spazio e ciò che è tempo.

SIG.RA2: Forse potrebbe essere l’unione tra il pensiero e il sentimento di una cosa. Cioè pensare qualcosa che si sente anche nell’anima.

ARCHIATI: No, io avevo chiesto il concetto di intuizione. Cos’è un’intuizione?

SIG.RA2: Io pensavo proprio questo (che ho detto). È un pensare qualcosa e contemporaneamente sentire un sentimento per questa cosa; contemporaneamente le due cose.

ARCHIATI: Ve l’avevo detto che l’elemento femminile riferisce l’intuito al sentimento

SIG.RA2: No, anche col pensiero, però! Insieme: Per me è unita la cosa.

ARCHIATI: No, nell’intuizione il sentimento viene dopo che l’hai avuta; hai la gioia, per esempio, ma non fa parte della creazione dell’intuizione.

CARLO: Una creazione pura.

ARCHIATI: Una creazione pura, sì però lei intende come creazione anche il cuore.

SIG.RA2: Potrebbe essere un’illuminazione?

ARCHIATI: Ma che vuol dire: illuminazione? Ti folgora dal di fuori? Se qui accendo una lampadina mi illumina la testa…

SIG.RA2: Ma, illumina qualcosa che ho dentro e che non vedo.

INTERV. 3: Non è un processo conoscitivo istantaneo?

ARCHIATI: Quindi non è un processo. Però ci sei vicina, lo noti che ci sei vicina. È difficile esprimerlo con il linguaggio perché il linguaggio si esprime parola per parola, invece l’intuizione arriva… zac!

CARLO: Però ha detto: “processo istantaneo”

NADIA: L’essenza che si manifesta attraverso il processo, completamente.

ARCHIATI: Cosa intendi per essenza?

NADIA: L’essenza è la realtà spirituale che ti riempie, e sei tu in quel momento, sei tu la realtà.

INTERV.4: Una percezione di cui non abbiamo già la rappresentazione, quindi è un lampo praticamente.

ARCHIATI: Si potrebbe dire: l’intuizione è quell’elemento spirituale in cui percezione e concetto sono assolutamente una cosa sola. La percezione è il concetto e il concetto è la percezione. Quella è l’intuizione.

Nell’intuizione ciò che percepisco è il concetto e il concetto è ciò che percepisco.

SCAL.: Ma è anche attività individuale, dipende anche dall’evoluzione dell’individuo in questione che beneficia dell’intuizione.

ARCHIATI: La domanda che fai è più complessa. Ci porta via dal concetto di intuizione. Lo spirito umano pensante diventa intuitivo sempre più in base all’evoluzione. Lo spirito divino è intuitivo per natura.

Quindi il senso dell’evoluzione dello spirito umano è diventare sempre più intuitivo. L’intuitività attuale di uno spirito umano, più o meno accentuata, è il risultato della sua evoluzione in quanto spirito pensante.

E adesso, facendo questo esercizio, si vedono le differenze, senza voler far torto a nessuno. Si vede la differenza tra una persona che afferra, diciamo, il concetto di intuizione maggiormente dal lato della percezione e invece chi tenderebbe ad andare maggiormente dal lato del “non percepibile”; però il “non percepibile è anche quello non realtà; e allora lo sostituisce col sentimento. Perché la realtà dell’intuizione è l’unità assoluta di percezione e concetto. Percezione è concetto e concetto è percezione.

VENETO: per me l’intuizione è il capire ed è anche un’esperienza artistica.

ARCHIATI: Certo!

VENETO: Ed è qualcosa che ti folgora. Vorrei farvi partecipi di un mio momento piccolo di intuizione, che così poi non si dimentica più. In un momento che ho cercato di tradurlo in parole, mi è uscito questo: “ Cos’è capire? Nessuno può dirtelo, soltanto tu, e non puoi dirlo a nessuno”. Quindi è qualcosa che tu sperimenti, che poi entra anche nell’anima e ti infiamma. È come capire il teorema di Pitagora, perché soltanto tu lo vivi e solo tu sai che l’hai capito e un altro non può sapere se tu l’hai capito.

ARCHIATI: Quando sei partito all’inizio e hai detto: vorrei comunicarvi… io volevo quasi fermarti per dirti: guarda che un elemento essenziale, fondamentale del concetto di intuizione è la non comunicabilità; quindi che cosa vuoi comunicare! Poi sono stato zitto e tu ci hai detto proprio questo!

Cioè fa parte essenzialmente dell’intuizione che non è comunicabile, perché ciò che è comunicabile non è intuitivo.

VENETO: Sì, è un voler far partecipare di un qualcosa che non si può far partecipare. Però in questo cercar di far partecipi può forse dare un po’ il concetto.

ARCHIATI: No, ogni concetto è fatto di elementi essenziali ed elementi non essenziali. Ora si tratta di individuare gli elementi essenziali dell’intuizione.

Un elemento esenziale è che percezione e concetto sono un uno assoluto. Un altro elemento essenziale dell’intuizione è che non è comunicabile.

Quindi si tratta, non di comunicarvi l’intuizione, ma di enucleare gli elementi essenziali del concetto di intuizione, allora li può capire anche l’altro; oppure può dire: no, l’intuizione è comunicabile.

Allora dimmi in che modo è comunicabile!

Quindi ciò che noi stiamo facendo è che ci stiamo intendendo sul concetto di intuizione. Però il concetto di intuizione nessuno lo può comunicare ad un altro, ognuno lo può intuire da solo. E come lo intuisce?

Nel momento in cui capisce cosa si intende per unità di percezione e concetto. Se lo capisce, capisce il concetto di intuizione

VENETO: Sì, non c’è dubbio, quando uno lo coglie, non esiste dubbio.

ARCHIATI: Allora, adesso aggiungi un altro elemento. Tu dici: una componente essenziale del concetto di intuizione è che esclude il dubbio. Fa parte del concetto di intuizione?

Quando uno si accorge che non c’era dubbio è già fuori!

Adesso io ti pongo non in senso riflesso questo elemento del concetto, ma te lo pongo nel senso dell’esperienza immanente al concetto: è essenziale al concetto di intuizione l’assoluta certezza!

Adesso te l’ho messo in senso positivo.

E quando guardo questa assoluta certezza, la percepisco e dico: esclude il dubbio, però ne sono già fuori, la guardo dal di fuori.

Però nell’esperienza immanente dell’intuizione c’è l’assoluta certezza e non penso al dubbio, non so neanche cos’è il dubbio.

Quindi l’esclusione del dubbio è il riflesso nell’anima dell’esperienza dell’intuizione.

Però nell’esperienza c’è la certezza e l’anima dice: ah, allora lì non c’è dubbio!

L’anima lo dice. Quindi l’esclusione del dubbio è un sentimento, invece la certezza è illuminazione assoluta dello spirito.

MASSIMO: Quindi si può dire anche, come ulteriore caratteristica questa, dell’intuizione, che non è, proprio come un’eccezione, che non è rappresentabile.

ARCHIATI: Perché la rappresentazione è il concetto!

MASSIMO: Cioè, la percezione è il concetto, no?, quindi quello che io intendo normalmente per rappresentazione, cioè il proiettato, ciò che mi si proietta nell’anima è escluso.

ARCHIATI: No, sta attento, anche la rappresentazione viene portata all’elemento, al punto di autotrascendenza, proprio perché siamo in un elemento di eccezione assoluta.

E qual è l’elemento in cui la rappresentazione si autotrascende?

Dove non rimane più nulla di immagine.

E dov’è che non rimane più nulla di immagine?

Nel concetto che dice: percezione e concetto sono uno. Ma questa è una rappresentazione, scusa! È il mio modo di rappresentarmi l’intuizione!

Però tu dici: è un tipo di rappresentazione del tutto eccezionale. Ma è una rappresentazione, perché è il modo in cui mi rappresento, nello spirito pensante, quindi nella coscienza, la realtà dell’intuizione.

MASSIMO: È il mio modo di dirlo.

ARCHIATI: Ecco! Certo, ogni rappresentazione è un modo di dire, è chiaro!

MASSIMO: Quindi, come è eccezionale in quanto unione tra percetto e concetto, è eccezionale anche a livello di rappresentazione.

ARCHIATI: Di dicibilità!

MASSIMO: Sì, sui generis, però.

ARCHIATI: Certo, sui generis.

MASSIMO: Quindi in un certo modo è indicibile.

ARCHIATI: È indicibile, perciò incomunicabile. Quindi qui trascendiamo anche l’elemento normale della rappresentazione.

MASSIMO: Quindi è un dato fondamentalmente esperienziale, no?

ARCHIATI: Sì, certo, però di esperienza spirituale, non animica.

INTERV.3: Possiamo aggiungere un altro aspetto, potremmo dire che l’intuizione è il concetto quando è liberato da ogni soggettività, quando è diventato puro, diciamo, quando dalle rappresentazioni togliamo proprio l’aspetto soggettivo, e rimane il concetto puro, libero da ogni condizionamento animico.

ARCHIATI: Come concetto vai benissimo, le parole che hanno espresso il concetto, tu stesso, con la tua mano, dici: forse si può dire di meglio. Ci provo. Però il concetto che tu hai detto è giusto.

Che cosa è soggettivo nel nostro modo di conoscere? Perché tu dici: il soggettivo deve sparire, giustamente. Soggettivo è la diversità fra percezione e concetto, la spaccatura! Questo lo crea il soggetto! Ora nel concetto di intuizione c’è la sparizione di questo elemento soggettivo, per cui, percezione e concetto sono due cose diverse; sono invece una cosa sola.

Quindi il soggettivo per eccellenza, la spaccatura, la diversità tra percezione che viene dal di fuori e concetto che viene dal di dentro, sparisce.

Quindi il soggettivo è sparito. Però questo sparire, questo trascendere il soggettivo lo si può dire in un modo, un po’ più filosofico, se vuoi, puramente spirituale, e sono le parole che hai usato tu.

Il concetto di unità assoluta di percezione e concetto è la trascendenza di tutto ciò che è soggettivo; perché il soggetto umano spacca, crea una differenza fra percezione e concetto, ma la differenza fra percezione e concetto è soggettiva, non è oggettiva: oggettivamente sono uno e nell’intuizione ritornano uno.

Quindi un altro elemento di questo concetto di intuizione, fa parte essenzialmente del concetto di intuizione che nell’intuizione tutto ciò che è soggettivo sparisce, viene trasceso. Quindi un’intuizione è per natura assolutamente oggettiva. E il fatto che è assolutamente oggettiva dà questa certezza assoluta!

Perché il dubbio sorge dal non essere sicuro se è oggettivo o soggettivo. Quando io sono assolutamente sicuro che è oggettivo non c’è dubbio.

Quindi l’intuizione è il trascendere tutto ciò che è soggettivo. L’intuizione è l’oggettivo puro. E io divento questo oggettivo puro in quanto spirito pensante, sono io stesso questo oggettivo puro. E in questo diventare l’oggettivo puro c’è questa esperienza di certezza assoluta; che poi nell’anima esclude il dubbio, si riempie di gioia, ecc.; i riflessi nell’anima sono… dà questa esperienza di essere creatori, di essere artisti, di essere all’origine del mondo che sorge.

INTERV.: È corretto dire, per l’intuizione intendo: “io so che è così”. Nel momento in cui proprio c’è. La capisci. L’assoluta certezza di cui parlavi prima.

ARCHIATI: Va bene? Anche tu stessa non sei proprio sicura! Ci sono due cose che si potrebbero togliere da quello che hai detto e allora diventa più pulita la cosa.

Dire: “io so che è così” è ancora un cercare di convincersi, oppure di dirlo all’altro. Non c’entra nulla: “è così!”; “così è!”

14 – Di fronte a questo suo mondo reale, tutto il resto, cioè tutto il mondo delle idee, per il realista primitivo è irreale, “puramente ideale”.

È soltanto un’idea, soltanto un concetto, soltanto un’intuizione; perché non ha ancora compreso che un concetto può divenire percezione. L’essere umano ordinario non ha ancora fatto l’esperienza che un concetto può diventare percezione, e perciò il concetto non gli è reale, è una pura idea, soltanto un’idea. Perché è giusto ciò che dice: finché un concetto non diventa percezione non è una realtà.

Pongo di nuovo la domanda: in che modo un concetto diventa percezione? Per intuizione! Non lo si può spiegare ad un altro. Torniamo a dover spiegare cos’è l’intuizione. Però, cosa spiego l’intuizione ad una persona che non ne ha fatto l’esperienza? E se ha fatto l’esperienza dell’intuizione, lo sa! E sa anche che non si può comunicare.

Si può dire naturalmente, abbiamo cercato di dire che cos’è l’intuizione, ma uno lo capisce in base al fatto che ha già fatto questa esperienza. Se non ha mai fatto questa esperienza, sono parole, parole, parole, ma non ci capisce nulla! Ci siamo?

INTERV.: È possibile non aver fatto questa esperienza?

ARCHIATI: Lui chiede: è possibile non aver fatto l’esperienza? Adesso, sta attento, stiamo parlando dell’esperienza della percezione di un concetto. Roba da niente?

La percezione di un concetto, non di una rappresentazione: la percezione pura di un concetto puro.

Ora, secondo me, la risposta alla tua domanda – che è una domanda importante – è però una risposta complessa, se volete.

Io intendo la scienza dello spirito, che in questo secolo è sorta nell’umanità, come la prima possibilità, per lo spirito umano, di percepire concetti. Cioè, soltanto nel nostro tempo lo spirito umano è progredito ad un livello tale da essere diventato capace, per lo meno potenzialmente – un secolo fa, due secoli fa, non c’era questa possibilità, perché le scienze naturali, l’esercizio del pensiero, non aveva fatto cammini propedeutici necessari – siamo ora, per la prima volta, nell’evoluzione del pensiero umano, in grado di cominciare a percepire direttamente concetti.

E qual è il primo concetto che è in assoluto percepibile, che va percepito prima di tutti gli altri? Il concetto del pensare!

Una persona che non ha mai percepito il concetto del pensare, non può percepire altri concetti, perché è il primo concetto, in quanto puro concetto, percepibile allo spirito umano pensante.

Quindi, ripensate al capitolo III, al capitolo V, questi due pilastri fondamentali sul pensare, che abbiamo fatto passo per passo; di che cosa si trattava? Si trattava di percepire il pensare! E percepire il pensare significa: percezione e concetto del pensare diventano una cosa sola. Intuire il pensare. L’intuizione del pensiero. E qual è il concetto di pensiero? Che il pensare è intuizione pura. Il pensare percepisce concetti a non più finire. Il pensare è l’organo di percezione dei concetti, quindi l’organo che sforna intuizioni all’infinito.

Però la prima intuizione, dove percezione e concetto diventano una cosa sola, è il pensare.

La percezione del pensare e il concetto del pensare sono la stessissima cosa.

Percepisco il concetto e concepisco la percezione; concepisco, capisco, ciò che percepisco.

Si vede che a questi livelli bisogna darsi una calmata! Ed è giusto!

14 – Di fronte a questo suo mondo reale, tutto il resto, cioè il mondo delle idee, per il realista primitivo è irreale, “puramente ideale”. Quel che noi pensando aggiungiamo agli oggetti è semplice pensiero sopra le cose. Il pensiero non aggiunge niente di reale alla percezione.

15 – E non soltanto riguardo all’essere delle cose l’uomo ingenuo ritiene che la percezione dei sensi sia l’unica prova della realtà, ma anche riguardo al divenire.

Quindi, l’essere e il divenire.

L’essere riguarda lo spazio, il divenire riguarda il tempo. Per il realista ingenuo una cosa è reale se occupa spazio. Cosa fa qualcosa che io vedo? Occupa spazio, perché se non occupa spazio non la vedo. Quindi: essere visibile, o toccabile, e occupare spazio, è la stessa cosa.

Ora un processo, il modo di reagire tra l’albero e l’uomo, non è soltanto una faccenda di spazio, ma una questione di tempo.

Quindi nel tempo ci sono i processi, gli eventi, che suppongono il percorso del tempo, e il realista ingenuo sa che c’è qualcosa di reale soltanto se c’è un movimento percepibile.

L’anima del morto deve essere percepibile a sensi più sottili e i suoi movimenti devono essere anche percepibili nel tempo.

Se c’è una persona che ha bisogno di questo morto, vede l’anima che va a visitarlo nella sua stanza, e si muove nel tempo, quindi: movimento.

Spazio: occupa spazio; tempo: movimento nel tempo

Quindi si aggiunge la categoria di processo, evento, movimento, quindi spostamento.

L’occupazione di spazio è una cosa statica, lo spostamento nello spazio presuppone il tempo, quindi: spazio + tempo. Per il realista ingenuo una cosa è reale nella misura in cui è percepibile spazialmente e temporalmente, come occupazione di spazio e come movimento nello spazio.

Secondo il suo modo di vedere, una cosa può agire sopra un’altra cosa soltanto se una forza, esistente per la percezione dei sensi, esce dall’una di esse e afferra l’altra.

Come avviene la percezione dell’albero? Se dall’albero non c’è nulla che si muove, che si stacca dall’albero e va a finire nell’uomo, non avviene la percezione.

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Ma il concetto di margherita io lo desumo dalla margherita, non lo posso mica inventare senza la margherita. Quindi mi viene dalla margherita. Solo che l’interazione tra il lato di percezione della margherita e il concetto che io creo, se è intuitivo, il concetto è talmente veloce che è al di là del tempo, non ci mette tempo, l’intuizione non ci mette tempo; e perciò tutto lo spazio che sarebbe percorribile tra la margherita e l’uomo viene annullato, perché l’intuizione è oltre lo spazio e oltre il tempo.

In altre parole, l’intuizione non è un’interazione tra la margherita e l’uomo, ma un diventare immediatamente uno.

INTERV.: Diventare o essere?

ARCHIATI: Lo spirito divino è, noi diventiamo; noi partiamo dallo spazio e dal tempo e trascendiamo spazio e tempo. Questo si intende col diventare uno.

Perché se tu fossi già uno, saresti solo intuizione; allora saresti uno spirito divino.

In altre parole – usiamo un’immagine – la folgorazione presuppone la tenebra e la tenebra è l’estraneità reciproca tra percezione e concetto.

E la folgorazione: diventano uno, ma diventano uno, non sono uno già in partenza, per quanto riguarda l’uomo.

La vecchia fisica credeva che dai corpi emanassero materie molto sottili e che queste, attraverso i nostri organi di senso, penetrassero nell’anima; e che l’impossibilità di vederle realmente derivasse dalla grossolanità dei nostri sensi rispetto alla finezza di esse. In linea di principio si ammetteva la realtà di quelle materie per la stessa ragione per cui si ammetteva la realtà degli oggetti del mondo dei sensi, cioè per il loro modo di essere che si pensava analogo a quello della realtà sensibile.

Che è giusto nella misura in cui diciamo: una cosa per essere reale deve essere percepibile: E noi aggiungiamo: non basta che sia percepibile, deve essere pensabile e, per essere compresa, bisogna che percezione e concetto diventino una cosa sola.

Abbiamo quasi un’ora per fare esercizi insieme. Come cornice, ripeto per sommi capi: la posizione spontanea è di dire: il reale è quello che vedi, quello che tocchi, quello che senti. Seconda posizione: il critico, il realista critico dice: tu, che cosa hai di questa margherita che dici di vedere, di percepire? Dentro di te, nella tua coscienza non hai la margherita.

Allora (il realista critico) scinde il mondo tra la cosa in sé inconoscibile e un riflesso nella coscienza, della cosa in sé inconoscibile.

Noi diciamo: l’unico modo di trascendere sia la parzialità del realista ingenuo, che dà realtà solo alla percezione, sia la parzialità del realista critico che dà realtà, nella coscienza, soltanto a ciò che è un fatto di coscienza, noi diciamo: una cosa è reale, è una realtà, soltanto quando – e usiamo immagini – il lato di percezione e il lato di concetto si uniscono.

Quindi per avere una realtà devo contemporaneamente sia percepirla, sia pensarla. La percezione mi dà un lato della realtà e il concetto mi dà l’altro lato necessario; tutt’e due sono necessari. La percezione, da sola, non è nulla e il concetto da solo non è nulla.

E in fondo dicevamo: il concetto, o l’intuizione, che ci fa cogliere la realtà, è l’unificazione di percezione e concetto.

ROBERTO: io volevo ritornare – ne abbiamo parlato già ieri sera – abbiamo ricordato la percepibilità del mondo e quindi la pensabilità del mondo, di fronte ad ogni percezione quello che noi facciamo…

ARCHIATI: Ogni percezione è pensabile, se no non sarebbe una percezione.

ROBERTO: Però abbiamo anche osservato che questa percepibilità l’abbiamo detta quasi infinita, perché l’abbiamo vista nel solo esempio della foglia. Allora come mettiamo insieme questa infinità del percepibile con il discorso evolutivo, che è giusto darsi una mossa? In questo caso dovremmo dire: diamoci una mossa, ma diamocela con calma, perché se no non possiamo pensarla per bene.

Allora: diamoci una mossa in questo senso e diamoci calma per pensarci sopra. Però come mettiamo insieme questa infinità del percepibile con l’aspetto evolutivo che dovrebbe, nel non essere infinito, avere una conclusione? Adesso non so se su “terra 4” o su altro.

ARCHIATI: Allora, se il reale è percepibile all’infinito, significa che l’evoluzione umana è all’infinito? Ho tradotto bene la tua domanda?

Allora cerco, non una risposta, eh!, ma di chiarificare la domanda, che poi la risposta si evidenzia. Ogni risposta è un’evidenza, un’intuizione: si tratta di chirificare la domanda.

Chiarifico la domanda, prima con un esempio, un esempio che per voi è una percezione, e poi la concettualizzo in modo da far vedere il paradosso che c’è fra l’infinità della divisibilità dello spazio e il movimento che trascende lo spazio.

L’esempio è Zenone che dice: non c’è movimento, addirittura un movimento che arriva alla fine di una linea.

Qui, questa strada, comincia qui, quindi ha un inizio e una fine qua. E, come tu dicevi, se noi argomentiamo come ha fatto Zenone, Zenone dice: non si può mai arrivare alla fine perché i tratti di strada da percorrere sono: prima devi arrivare alla metà, poi devi fare metà della metà, poi devi fare metà della metà della metà, ecc.. Quanti sono gli spazi da percorrere? Infiniti! Si possono percorrere infiniti spazi in un tempo finito? No! Quindi Achille sta ancora dietro la tartaruga.

Se ci sono 10 metri tra Achille e la tartaruga, Achille deve percorrere i primi 5 metri, ma prima dei 5 metri, deve percorrere 2,5, e così via; quanti frammenti di spazio deve percorrere Achille? Infiniti! Può percorrere infiniti spazi in un tempo infinito? No! E nel frattempo la tartaruga si muove… Si muove la tartaruga? No! Perché il movimento non esiste. Eh, anche la tartaruga prima di fare un passo deve fare metà di un passo, prima di fare quella metà, deve fare metà della metà, e così via.

La percezione è l’illusione dell’atomismo, invece la realtà integra; quindi non esistono infiniti frammenti di spazio: non ci sono! Sono soltanto nell’illusione.

Adesso traduco questo elemento di percezione in un concetto. Tu dici: anche se prendessimo soltanto una foglia il percepibile, potenzialmente percepibile, è all’infinito.

Noi percepiamo infiniti atomi, frammenti, uno dopo l’altro? No! percepiamo la foglia, tutta insieme, in un attimo!

Allora il pensare umano ha bisogno di tempo finché i passi del pensiero sono uno dopo l’altro, e quali sono i passi del pensiero uno dopo l’altro? Sono i passi finché non arriva l’intuito sintetico. E qual è l’intuito sintetico? Il concetto! Il concetto esaurisce il tutto in un lampo. Quindi ogni concetto porta lo spirito umano al termine dell’evoluzione

Quindi non si tratta di avere tutte le percezioni possibili, si tratta di pensare tutti i concetti possibili.

ROBERTO: Arriva dunque ad un certo punto l’intuizione, o meglio l’intuibilità, che servirà a questo: a rendere fuori del tempo la percezione del concetto, perché se no, mi dici anche tu, ci diciamo, che dobbiamo tornare sulla terra perché dobbiamo conoscere questo e quest’altro, probabilmente col processo dell’intuizione la cosa avverrà…

ARCHIATI: Il concetto è questo: nella misura in cui uno spirito umano – che poi siamo tanti, eh!, – però per quanto riguarda uno spirito singolo, ha afferrato il concetto di margherita, termina di aver bisogno della percezione sensibile.

ROBERTO: Della margherita!

ARCHIATI: Sì, di questo stiamo parlando. Quindi tutto l’elemento di percezione sensibile si rende non necessario, quindi sparirà, nella misura in cui gli spiriti umani colgono il concetto.

Quindi per essenza tutto ciò che è elemento di percepibilità esteriore è destinato a sparire, perché diventa spirituale nel pensare umano.

E tu chiedevi: ma questo processo è all’infinito? No, se sparisce finisce!

Un altro esempio: l’alunno e il maestro. Per portare a termine l’evoluzione dell’alunno, è necessario che l’alunno faccia sue tutte le possibili pensate che s’è fatto il maestro? No! Basta che acquisisca la stessa capacità di intuizione, e del maestro non c’è più bisogno!

Quindi da un elemento puramente quantitativo, che andrebbe all’infinito, che però è totalmente astratto, si entra in un elemento qualitativo.

Quindi il pensare umano è quell’elemento, nel cosmo, che vanifica la percezione, fino a che sarà del tutto svanita!

In altre parole, adesso un altro esempio concreto: quando io ho il concetto di margherita ho bisogno io di far sparire, uno ad uno, tutti gli atomi della margherita? Nel concetto è sparita tutta!

Quindi il pensiero che dice: ma io devo far sparire ogni atomo singolo della margherita, è un pensiero illusorio. Quando io muoio e sono puro spirito, sparisce di botto, così come Achille, con un salto, è al di là della tartaruga.

Quindi il lato di percezione è il lato di infinita atomizzazione del reale e perciò diventa irreale. Invece la creazione di concetti è il lato di sintetizzazione del reale: la margherita è una, non è un’infinità di atomi e nel momento in cui io colgo il concetto ce l’ho tutta.

Quindi nel momento in cui tutti gli spiriti umani, supponiamo, no!, avessero il concetto puro di margherita, non c’è più bisogno della margherita percepibile là fuori. Il suo senso era proprio quello di suscitare, di provocare il concetto.

Quindi la percezione atomizza il reale all’infinito, lo rende illusorio e il pensare sintetizza e rende essenziale, rende reale.

CARMINE: Questo sparire della margherita è solo dal lato della percepibilità, l’essenza della margherita rimane comunque, il concetto di margherita nella realtà delle forze rimane comunque, sparisce solo la sua percepibilità per il fatto che non è più intrisa delle forze fisiche.

ARCHIATI: E l’eterico? Le forze vitali? (disegna alla lavagna) terra 1, terra 2, terra 3, siamo adesso a terra 4: Steiner le chiama: terra saturnia, terra solare, terra lunare e adesso la terra-terra, siamo a terra-terra, ora!

Parlo adesso a persone sprovvedute, ma parlo anche a scienziati dello spirito. Facciamo esercizi che ci accomunano, perciò scrivo: T1, T2, T3 e T4, così ci capiamo tutti.

Aristotele, Tommaso d’Aquino, dicono: tra il minerale, il vegetale, l’animale e l’umano c’è un abisso, non c’è continuità, c’è un salto qualitativo. Quindi la creazione, il mondo come noi ce l’abbiamo, a T4, è essenzialmente diverso da un mondo in cui non c’era l’umano, ma c’era come elemento supremo l’animale, l’anima, l’animico.

E il secondo mondo è essenzialmente diverso: se il vegetale, rispetto al minerale, fa sorgere una dimensione del tutto nuova che nel minerale non c’è – zero virgola zero c’è nel minerale – cosa vuol dire questo? Vuol dire che una creazione concepita dallo spirito divino, per cui l’elemento portante, l’elemento essenziale di questa evoluzione è il minerale, se lo spirito divino vuol creare un nuovo mondo, nel quale il minerale non è più l’elemento determinante, ma si pone alla base e l’elemento portante, decidente, fondamentale, è il vegetale, deve rifare il mondo da capo! Perché l’elemento strutturante è tutt’altro.

In altre parole, il mondo va concepito in tutt’altro modo se l’elemento della forma è quello essenziale, o se l’elemento della metamorfosi è quello essenziale.

Allora devo far cadere nel nulla, devo distruggere, far sparire questa creazione in cui le forme erano l’elemento essenziale, per fare una nuova creazione dove la forma è soltanto la base per la metamorfosi. E allora ho una seconda creazione, che ricomincia da capo, dove il minerale, il mondo delle forme, si pone alla base per le metamorfosi della crescita delle piante.

Adesso il creatore dice: ho fatto due creazioni, ma è un mondo troppo lontano da noi, noi siamo spirito, siamo anima, certo che siamo anche vita, certo che siamo anche forme, però facciamo fare altri passi al mondo: aggiungiamo l’animico, l’animale, per poi arrivare all’umano, lì vogliamo arrivare.

Allora deve distruggere, far sparire nel nulla anche la seconda creazione, cioè la terra solare deve sparire e bisogna ricreare la terra, T3, terra lunare, partendo da principi creatori del tutto diversi perché adesso, questa T3, ha l’animico come elemento essenziale di questa evoluzione e il minerale delle forme, il vegetale delle metamorfosi, sono soltanto da base, da strumento, per l’evoluzione dell’anima.

Alla fine di T3, dice: adesso abbiamo fatto 3 belle sudate, però ci manca ancora… un concetto fondamentale di Aristotele è quello che dice: per avere una creazione, un mondo dove il minerale delle forme, il vegetale delle metamorfosi, l’animico delle sensazioni, delle emozioni, dei sentimenti, queste tre fanno da base per lo spirito, per l’evoluzione dello spirito. Le forme vanno riconcepite in modo del tutto diverso perché devono essere la base, non soltanto del vitale, ma anche dell’animico, e tutte e tre devono essere la base dello spirito; quindi tutte e tre vanno riconcepite in modo diverso, come strumenti per l’evoluzione dello spirito.

Cosa vuol dire? Che se ci sarà una T5, T4 deve sparire! Sia nel suo elemento di forme, del minerale, sia nel suo elemento di metamorfosi, sia in tutta la sua realtà animica, sia in tutta la sua realtà spirituale, che è l’io umano, no!, e la nuova creazione, T5, avrà come principio di evoluzione, non l’io, ma il sé spirituale.

E sia il fisico, il minerale, sia il vegetale, sia l’animico, sia lo spirituale a livello di io, tutti e quattro si fanno da strumento per questo quinto elemento che è il sé spirituale.

Sì, però tu adesso dimmi la differenza fra l’io, che viviamo su questa terra, e il sé spirituale?

Masticate un po’ di scienza dello spirito e vi faccio i migliori auguri!

Che cosa possiamo avere, noi sulla T4, del sé spirituale? Soltanto il concetto! Perché tutto l’elemento di percezione ci sarà soltanto quando T5 sorgerà!

E capire che noi del sé spirituale possiamo avere soltanto, in chiave di scienza dello spirito, il concetto, è già capire parecchio! Perché quello è il concetto di sé spirituale, che la sua percezione sorgerà soltanto nella T5.

Una gran bella cosa!

Quindi quando un veggente, non uno Steiner che si presenta sempre con questo io umano, della T4, quando il veggente si presenta come se fosse già al livello di sé spirituale, io gli do un calcio metafisico nel sedere metafisico, perché non ha capito nulla.

INTERV.: Questo vale anche per lo Steiner e per Giovanni?

ARCHIATI: Certo, certo, per quanto mi riguarda non si pigliano un calcio nel sedere soltanto nella misura in cui si attengono alle leggi dell’io.

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INTERV.: No non parlavo del calcio nel sedere, parlavo del vivere il sé spirituale in T4.

ARCHIATI: Sta attento, se una persona, supponiamo uno Steiner, se fosse compreso nel fatto di essere di guida, in fatto di io sulla terra, che loro, come elemento di eccezione, hanno una prima percezione del sé spirituale, dimostrano di averla non dicendone nulla! E ponendo questi misteri come misteri del futuro, altrimenti umiliano soltanto gli altri, e lì li riconosco come non cristici.

INTERV.: Ma nei libri dello Steiner, mi permetta, c’è scritto che alcune persone, alcuni individui, cominciano a precorrere, attraverso l’iniziazione…

ARCHIATI: No, creano il concetto!

INTERV.: Creano solo il concetto?

ARCHIATI: Eh, non dire che sia poco!

INTERV.: È già molto?

ARCHIATI: È tutto quello di cui abbiamo bisogno.

INTERV.: Non altro, non altro?

ARCHIATI: Ma basta, no!, se no il resto è illusione! Scusa, perché dici: non altro?

INTERV.: Non altro perché…

ARCHIATI: Perché il di più sarebbe di meno! Sta attento, il di più sarebbe illusione!

INTERV.: È un assoluto?

ARCHIATI: Eh! in altre parole, l’esperienza che io faccio leggendo Steiner, e lo mastico da più di trent’anni, è che si appella sempre e soltanto al mio io pensante, che è l’elemento centrale della creazione in cui viviamo. Tutto ciò che esulerebbe dalle forze pensanti dell’io, non compare in Steiner, così come non compare nel Cristo nel suo modo di parlare all’umanità di oggi.

Certo che il Cristo ha in sé anche la capacità di interagire con esseri umani che sarebbero su T5, però aspetta finché ci sia T5, perché sa che non capirebbero nulla e si illuderebbero magari di capire qualcosa; il che sarebbe molto peggio!

CARLO: Non si possono fare uomini di serie A e uomini di serie B.

ARCHIATI: No, non ci sono, non ci sono proprio.

Dove sono gli scienziati di scienza dello spirito? Che dicano qualcosa su queste cose molto importanti, eh! se no continuiamo veramente a spaccare l’umanità fra gli antroposofi e quelli che non ci sono ancora arrivati.

INTERV.: Ma l’evoluzione al livello di immaginazione, ispirazione e intuizione è solo nel pensiero?

ARCHIATI: L’unico problema è nella parola “solo”, in quello che hai detto.

INTERV.: Lo chiarifichi.

ARCHIATI: Allora, partiamo da sotto: 1,2,3 e 4. Abbiamo detto: viviamo in una creazione, in un mondo a 4 livelli. Terra 1 era un livello, terra 2: due livelli, terra 3: tre livelli e terra 4: quattro livelli. Minerale, vegetale, animale e umano.

La cosiddetta “iniziazione” è semplicemente avere la percezione a tutti e quattro i livelli, ma non ne salta fuori un quinto! Non esiste!

Allora la percezione a livello fisico ce l’abbiamo tutti, ma solo questa però, perciò lì si tira una linea.

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Il livello immaginativo è la percezione dell’eterico, e quando tu percepisci l’eterico cos’hai? Una mezza realtà! Perché se non ci appiccichi il concetto non hai una realtà.

La cosiddetta ispirazione è la percezione nell’animico, e quando tu hai la percezione nell’animico senza il concetto, che ci aggiungeresti col pensiero, non hai la realtà.

Quindi ad ogni livello di percezione la realtà viene restaurata aggiungendo sempre, in chiave di pensiero, il concetto.

E il quarto livello è la percezione dello spirituale. Cosa significa la percezione dello spirituale? Percezione di esseri spirituali. Ma se io ho soltanto una percezione di un essere spirituale e non ho il concetto, non ho una realtà.

Quindi a tutti i livelli il Logos in noi, ci aggiunge il concetto, se no non ho una realtà.

E il pensiero che aggiunge il concetto, ad ogni livello di percezione, è sempre lo stesso, questa è l’uguaglianza degli esseri umani, in assoluto; perché certi visionari hanno veramente certe percezioni nell’eterico, se non sanno pensare, o se sanno pensare meno di uno che non ce le ha (quelle percezioni), sono molto più ignoranti, perché ampliare l’ambito del percepito, senza ampliare la capacità di creare concetti, significa essere più ignoranti, perché ogni percezione è un frammento di ignoranza. Il concetto mi dà la conoscenza.

Quindi io dico sempre: a che serve raddoppiare, come veggente, il percepito, se non ha ancora capito nulla del visibile, che tutti percepiamo. Perché se non ti dai da fare, in chiave di pensiero, a penetrare il mondo fisico, raddoppi la tua ignoranza quando vedi anche l’eterico.

Quindi una persona che è veggente, nel momento in cui comincia a fare passi di pensiero, il primo passo in avanti nella sua evoluzione è che la veggenza sparisca! Allora sì che ha fatto un passo in avanti! Nel mondo visibile siamo tutti veggenti e ce n’è da pensare!

Quindi, leggendo Steiner, a me non interessa affatto cosa lui percepisce nel mondo eterico, cosa lui percepisce nel mondo astrale, che si fa bello lui e io sono un poveraccio! Non mi interessa proprio. Mi interessano i pensieri che pensa qui, i pensieri che pensa qua; e io posso dire: ah, qui è la differenza di Steiner, se c’è.

VENETO: Non ho capito una cosa: l’ispirazione è un percepire…

ARCHIATI: Nell’animico!

VENETO: Come l’ispirazione, l’immaginazione è un percepire…

ARCHIATI: No, no, un momento! L’immaginazione è un percepire nell’eterico.

VENETO: E l’intuizione è nello spirituale. Ma trovo una contraddizione con quanto detto prima. Dicevamo che l’intuizione è una percezione del pensare, percezione e concetto sono un tutt’uno, quindi rispetto alle prime due, immaginazione e ispirazione, io ho colto una differenza nell’intuizione appunto.

ARCHIATI: Esatto, adesso la cosa si complica un minimo, però se segui questo passaggio i conti tornano. Dicevamo della margherita, e ci chiedevamo: cos’è il concetto di margherita? Cosa fa parte essenziale del concetto di margherita?

Una fisicità ne fa parte, se no non sarebbe percepibile, una etericità, forze vitali, ne fa parte se no non crescerebbe. C’è un astrale, un amore divino che l’ha voluta creare e rendere percepibile. Basta perché ci sia la margherita?

VENETO: Ci vuole il concetto di margherita.

ARCHIATI: Attento, è essenziale alla margherita… che il concetto di margherita esista nello spirito che l’ha creata, se no non esisterebbe proprio! Ecco l’intuizione!

Devo intuire che fa parte del concetto di margherita – come di ogni altro concetto – che la prima origine è nello spirito che la crea, nello spirito divino che crea.

VENETO: È entrare nello spirito, in un certo senso.

ARCHIATI: Sì, sì!, se questo “entrare” non lo prendi troppo fisico! E la parola cosa ti dice? Intus – ire, e diventare uno. Intuizione. Però diventare uno con lo spirito che l’ha concepita! Se no ti manca tutto della margherita!

Quindi l’intuizione, ogni intuizione, è una sintesi di questo quaternario, sempre; perché comprende tutti e quattro i livelli. Una margherita che non sia a tutti e quattro i livelli non esiste. È ovvio, no!, perché la T4… ogni violino si suona su 4 corde. Quindi un concetto, una realtà, io ce l’ho soltanto se ho sia il fisico: il mondo delle forme, sia l’eterico: il vitale, sia l’animico, sia lo spirituale.

Il concetto di uomo non comprende tutti e quattro? E come, e come!

VENETO: Sicché arrivare al quarto è una unicità. Non c’è più divisione fra percezione e concetto.

ARCHIATI: Certo, noi ci arriveremo, però per noi è il punto di arrivo, per la creazione è il punto di partenza. Quindi intuire una cosa significa intuire la sua origine. Perché se capisco l’origine, la capisco la cosa. La margherita che cos’è? Una bella pensata del Logos, perché se il Logos non si fosse mai fatto la pensata margherita, non ci sarebbe nessuna margherita.

E la pensata margherita è una cosa complessa, eh! È un mondo di forme complesso, quindi un pensiero, un concetto complesso. Com’è sorta la margherita? Dallo spirito che l’ha pensata!

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SIG.RA: Scusa, quattro livelli perché siamo a T4. Quindi l’essere umano può arrivare a capire attualmente solo fino al livello spirituale?

ARCHIATI: Non ti basta?

SIG.RA: No, quindi T5: 5 livelli, cioè nel senso che la capacità di conoscere, capire, i concetti del Logos arriva… è condizionata dallo sviluppo dell’essere umano.

ARCHIATI: Perché vuoi sminuire l’umano?

SIG.RA: No, perché mi rendo conto che in fondo quello che crea un limite…

ARCHIATI: Come un limite? Perché un limite?

SIG.RA: Ma io, oltre il quarto livello non posso andare; oltre lo spirito non posso, attualmente.

ARCHIATI: Stai facendo un po’ cilecca, dài! Aggiustiamo un po’ i colpi. Tu stai dicendo: qui c’è un percorso con 7 tratti: 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7. Io mi trovo qui (al 4). È un limite che sono a metà? No! Sarebbe un limite se mi dovessi fermare! Soltanto allora sarebbe un limite. Ma non mi fermo, vado avanti, dov’è il limite? Sta attenta, che stiamo affrontando il capitolo che dice: non ci sono limiti alla conoscenza! E tu dici: ma a me piacerebbe essere già alla fine! Questo lo dice il poltrone!

SIG.RA: No, non è questo che dico. Fino adesso abbiamo detto che per passare da un livello all’altro c’è stata una distruzione e una nuova creazione, un nuovo inizio. Per arrivare al 5 livello ci sarà un nuovo inizio, quindi la fine del 4. Ma finché io sono nel 4 non posso vedere nulla del 5.

ARCHIATI: No! Tu il 5, il 6 e il 7 tu li anticipi al livello del pensiero, ed è più che sufficiente, perché ogni evoluzione ben pensata, se è fatta di 7 gradini, il 4 sta al centro… Io ho pubblicato le conferenze di Steiner sull’Apocalisse, nella prefazione tedesca io dicevo: ma questo Steiner come fa a sapere il futuro? L’Apocalisse significa predire il futuro; ma se il futuro non c’è ancora non si può predirlo.

INTERV.: Ma in questo caso non è Steiner, è Giovanni che predice il futuro.

ARCHIATI: Steiner ne aggiunge un po’ di cose, dai! Non è da meno.

Si possono fare affermazioni sul futuro? Fa parte della tua domanda. Se 1, 2, 3 e 4 insieme ci fanno capire che la direzione dell’evoluzione è l’acquisizione della libertà creatrice pensata da parte dell’essere umano, che l’essere umano diventa sempre più uno spirito creatore, allora l’evoluzione deve essere concepita così, se il Logos vuol essere logico e non illogico, che, una prima metà la conduzione avviene dal di fuori, la svolta dell’evoluzione avviene che c’è… si creano le condizioni necessarie per una conduzione dal di dentro; quindi 1, 2 e 3 sono una pedagogia, dove c’è bisogno del pedagogo, della legge, di Mosè, della Chiesa, di tutto quello che volete, ma il senso della pedagogia, della conduzione dal di fuori, è che c’è una svolta e poi la conduzione dal di dentro.

Quindi il 3 si ripete nel 5, a livello libero; il 2 si ripete nel 6 a livello di conduzione dal di dentro; e l’1 si ripete nel 7 a livello di conduzione dal di dentro, di conquista libera da parte dello spirito umano.

Quindi 1, 2 e 3 erano tre gradini della grazia divina, gli stessi: 5, 6 e 7 sono conquiste della libertà umana.

Quindi si può parlare sul futuro in chiave di condizione necessaria per lo sviluppo della libertà umana.

E qual è la condizione più fondamentale? Che la libertà deve avere la possibilità di scelta, cioè di svolgersi sia in positivo, sia in negativo, se no non è libero.

Qual è il risvolto in negativo della libertà? Ci sono due gradini del male morale, il male morale è la vanificazione della libertà, la distruzione della libertà. Il primo gradino è di omettere ciò che è libero, di essere meno liberi di quanto si potrebbe, meno creatori nel pensare di quanto si potrebbe.

C’è un secondo abisso nella distruzione della libertà? Sì! Nella misura in cui un essere umano omette, omette, omette ciò che potrebbe fare in chiave di realizzazione della libertà, la sua facoltà di libertà, la sua capacità di libertà resta illesa? – un pensiero che abbiamo detto tante volte – la sua capacità di libertà si atrofizza fino ad annullarsi!

Ora abbiamo detto: T1,T2 e T3, a T3 c’era l’animale come elemento supremo. Qual è il concetto di animale? Senza facoltà di libertà! Fa parte dell’essenza del concetto di animale. L’animale è quell’essere che nella sua anima non ha libertà.

Questa assoluta assenza di facoltà di libertà come si chiama in italiano? L’istinto.

Se ciò è vero, e dovete concedermi che è vero, vuol dire che l’evoluzione in negativo, in base a omettere, omettere, omettere una libertà che, in quanto a facoltà sarebbe possibile, l’essere umano ha la possibilità, attraverso ripetute vite terrene – in una sola vita non si può – di disfare la facoltà, la capacità di libertà.

Arriva ad un punto da non avere più la facoltà della libertà. La bestia! L’uomo bestia.
Un concetto pulito della scienza dello spirito è l’essere umano che ha perduto la facoltà di libertà, non è più capace di fare il benché minimo atto di libertà.

SIG.RA.: Si può dire che la bestia è un livello più basso dell’animale? Cioè: l’animale è così com’è, la bestia è un essere che era ad un livello superiore e che è sceso ad un gradino inferiore.

ARCHIATI: Ma certo! La bestia è un fenomeno morale, l’animale non è un fenomeno morale, è un fenomeno di natura. La bestia è un fenomeno umano morale, l’animale è un fenomeno di natura, lì la moralità del bene e del male non c’entra nulla.

Quindi la bestia è il fenomeno primigenio del male umano: aver distrutto tutta la facoltà di libertà. Peggio di così non si può, scusate!

NADIA: A quel punto lì cosa succede?

ARCHIATI: A quel punto cosa succede?

NADIA: Non può reincarnarsi come uomo?

ARCHIATI: A quel punto cosa succede? Tu come essere umano… lui tentava di impaurirci prima, eh!, diceva: no, non possiamo pensare nulla su T5, T6, T7!

No, andiamoci piano! In quanto a leggi della libertà sappiamo che 5, 6 e 7 devono essere 3, 2 e 1 al risvolto. Quindi è chiaro che noi possiamo fare delle affermazioni conoscitive su 5, 6 e 7, in base alle percezioni che abbiamo avuto in 3, 2 e 1, e che abbiamo, in questo 4.

Diciamo che l’evoluzione non si ferma a T4, ma ci deve essere una T5, una T6 e una T7.

Adesso siamo a T5: questi esseri umani, caduti a livello della bestia, sono spariti nel nulla quando la creazione si rifà a 5 livelli col sé spirituale? Avranno il ricordo di un’evoluzione di T4 omessa. E questo ricordo come gli viene? Guardando gli altri!

INTERV.: Ed è un’ancora di salvezza per loro?

ARCHIATI: Fino a metà di Terra 6.

INTERV.: L’aveva già detto diverse volte!

ARCHIATI: Quindi l’amore divino è veramente infinito.

INTERV.: Ma, mi permetta, Budda è stato mandato da Giovanni, da Cristian Rosenkreutz, su Marte; lo vive l’ispirazione, l’intuizione ad un livello che è diverso dal solo concetto?

ARCHIATI: Guarda che devi andarlo a chiedere a Budda.

INTERV.: Per redimere gli spiriti marziani è andato su Marte.

ARCHIATI: Sì, ma guarda che ogni spirito umano, tra una morte e una nuova nascita diventa uno spirito marziano.

INTERV.: Sì, siamo tutti extraterrestri.

ARCHIATI: Posso augurare a tutti un buon appetito?

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Venerdì, 26 febbraio 2010 - pomeriggio

ARCHIATI: Stavamo vedendo che la persona normale – che siamo tutti noi al livello di partenza del cammino spirituale del pensare – la persona normale pensa che la percezione sia la garanzia della realtà; e ci siamo detti: sbagliata la cosa non è!; perché la percezione ci vuole. Però poi, facendo passi successivi, ci siamo detti: c’è percezione e percezione.

Prendiamo i tre esempi fondamentali di percezione: la percezione sensoriale normale, percepisco qualcosa all’esterno: vedo un albero.

Poi prendiamo la percezione di un elemento animico: percepisco un sentimento, una gioia per esempio; quando me ne accorgo, sento di avere gioia. Cosa vuol dire?

Percepisco in me questo vissuto della gioia, è una percezione fatta nell’interiorità.

E fin qui la persona normale potrebbe seguirci, se ha un minimo di coraggio, perché gli diremmo: ma senti un po’, cos’è l’essenza della percezione? Fa parte del concetto di percezione che l’essenza debba essere fuori di te? No! L’essenza della percezione è qualcosa che io trovo e che scopro già fatta, e mi accorgo che c’è.

Quindi il concetto di percezione è qualcosa di già fatto, che io trovo già fatto e scopro che c’è; allora anche la percezione introspettiva è altrettanto una percezione. Questo sentimento della gioia io lo trovo dentro di me, c’è già, e io me ne accorgo e lo percepisco.

Adesso andiamo al terzo tipo fondamentale di percezione… o meglio: un passo indietro, ancora prima del percepire un sentimento, perché il sentimento è proprio “non visibile”, prendiamo la percezione di una rappresentazione. Allora, diciamo ad una persona: tu sta attento, ieri hai visto l’albero di mele che sta davanti alla tua casa – adesso poi siamo partiti, siamo andati a fare un viaggio – ti ricordi quell’albero?

Certo che me lo ricordo!

Cosa percepisce lui in questo momento? Percepisce dentro di sé la rappresentazione dell’albero, d’accordo?; però questa rappresentazione è un’immagine, un’immagine che percepisce dentro di sé.

Poi dicevo: il passo successivo è il sentimento, la gioia. Lì la rappresentazione visiva non c’è più, però la persona normale potrebbe seguirci, non si perderebbe per strada perché potrebbe dirci: sì, in effetti è qualcosa che percepisco dentro di me, la gioia; la trovo, c’è, e io me ne accorgo.

Quindi percepire significa accorgersi di qualcosa che c’è, che non sono io a fare.

Adesso andiamo al terzo livello di percezione – diventa sempre più rarefatta, fatua, più vaporosa la cosa – : il concetto, ad esempio la bontà. Tu sai cos’è la bontà? Se lui dice: certo, lo so cos’è la bontà; allora deve avere dentro di sé, però non tanto nell’anima, ma nello spirito, deve avere un qualche concetto di bontà.

Voi direte: sì, però ce l’ha dal linguaggio! Però non basta il linguaggio, perché se lui il linguaggio non lo capisce, se fosse un cinese che l’italiano non lo capisce, noi diciamo “bontà” e lui non capisce nulla.

Quindi non basta il linguaggio. Allora se gli chiediamo cos’è la bontà, lui deve percepire in sé, nel suo serbatoio di concetti, deve percepire il concetto di bontà. Perché se non si è mai formato il concetto di bontà, deve dire: non so cos’è. Se dice: so cos’è… cosa intende dire se dice: so cos’è? Deve poter percepire dentro di sé qualcosa che gli dice cos’è la bontà. Però questo “qualcosa” ci accorgiamo che non è corporeo, di fuori, chiaro!, non è qualcosa di animico suo, tutto soggettivo come sarebbe la rappresentazione dell’albero di mele, come sarebbe la sua gioia, ma è qualcosa di oggettivo.

Ma allora io sono qualcuno che in continuazione crea concetti! Sono un serbatoio di concetti! Da dove vengono? Da dove so io cos’è la bontà? Da dove so io cos’è la “lentezza”? Da dove so io cos’è l’“acume”?

La lentezza, quella lì ha ancora un po’ di rappresentazione, meglio: l’acume.

Sapete voi cosa vuol dire l’acume?

Sì, sì!

Avete una rappresentazione, un’immagine?

No!

La lentezza magari sì: vedo qualcosa che va lento, lento, magari la tartaruga… però l’acume? Va in direzione del concetto puro. Non c’è nulla di animico, di rappresentazione, di sentimento, di soggettivo.

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Allora questi livelli diversi di percezione, la percezione esteriore; la percezione interiore nell’animico, nell’anima, del soggettivo; la percezione di concetti che io ho già creato, ma che non sono soggettivi, questo percepire concetti, che io capisco, ma che mi sono creato nel corso del tempo, quindi so cosa sono, mi porta alla percezione del pensare, mi porta a notare per la prima volta quello che io faccio sempre.

Perché tutti questi concetti: la bontà, l’acume ecc., ecc., io li ho creati pensando! Eh, se no come saltano fuori!

Allora io penso! Sempre! L’essere umano pensa.

Quindi attraverso questi esercizi, si amplifica il concetto di percezione: la percezione è tutto quello che io trovo già fatto; ma non deve essere esterno, può essere nell’anima e può essere spirituale.

A questo punto un’altra domanda: se io so cos’è l’acume, o la bontà, questo sapere mi può essere stato dato da qualcun altro? No! O l’ho capito io, o… i miei concetti che io ho sono il passato del mio pensare, i risultati del mio pensare. Dunque io sono un essere che continuamente pensa e crea concetti.

Se sono un essere che continuamente pensa e crea concetti, a questo punto qui mi accorgo di una cosa in più, faccio una nuova percezione: percepisco il pensare, percepisco che io sono pensante.

Però per percepire il pensare, posso percepire il pensare che ho già esercitato, il pensare come esercizio, come attività. Il mio pensare diventa percezione man mano che l’ho pensato.

Quindi per induzione deduco che il mio pensare lo creo sempre nel presente. E man mano che questo pensare sforna contenuti, li percepisco.

Ah!, due minuti fa ho pensato questo, un minuto fa ho pensato quest’altro, cinque secondi fa ho pensato quest’altro ancora. E cos’è questa attività che continuamente tira fuori contenuti del pensare? È il pensare!

LUCIANA : Cioè percepisci i pensati.

ARCHIATI: No, adesso sei andata al penultimo passo che ho fatto. I pensati sono i concetti, questi concetti presuppongono che ci sia un’attività.

LUCIANA: Certo!

ARCHIATI: Allora io percepisco questa attività

LUCIANA : Però hai detto a posteriori, dopo che l’hai esercitata…

ARCHIATI: Sì, ma non in quanto contenuti di questa attività, in quanto attività!

In altre parole percepisco in me una facoltà, una potenzialità di sfornare concetti all’infinito. E questa potenzialità, questa facoltà di creare concetti all’infinito noi la chiamiamo “il pensare”.

Allora, la percezione di qualcosa di esteriore: la pianta, l’albero; la percezione di qualcosa di interiore: una rappresentazione dell’albero, per esempio, o un sentimento; la percezione di un’attività spirituale creativa – nell’anima ci sono soltanto risultati passivi – invece il pensare è un’attività che crea, che genera concetti.

Ora si pone le domanda: che cosa è più reale, qualcosa che percepisco là fuori, qualcosa che percepisco dentro, o qualcosa che creo?

ROBERTO: Più importante.

ARCHIATI: Non più importante, più reale. Pongo la domanda in un altro modo. Supponiamo che ci sia una realtà creata e una realtà creante. Creato e creatore, questi due concetti. Adesso io vi chiedo – usate ognuno la propria testa, eh! – C’è un creato e c’è un creatore, la domanda che io pongo è: di questi due, quale dei due è più reale?

PUBBLICO: Il creatore!

ARCHIATI: Perché?

CARLO: Perché senza di lui non avviene il creato.

PUBBLICO: confusione di varie risposte.

ARCHIATI: Perché il secondo (il creato), nel suo essere, nella sua realtà, dipende dal primo; invece il primo non dipende, nella sua realtà, dal secondo; perciò è più reale.

Quindi il secondo, il creato, non c’è senza il creatore, ma il creatore ci può essere senza il creato.

Voi mi direte: sì, però senza creare non può essere creatore! Non vi preoccupate che lui crea! Però la domanda era: a livello di realtà, la realtà che conferisce realtà è più reale della realtà che diventa realtà per grazia ricevuta.

Quindi lo spirito è più reale che non la percezione materiale. E quando io percepisco lo spirituale puro ho, nella percezione e nel concetto, la realtà somma, perché è originaria: origina ogni altra realtà, crea realtà.

Quindi lo spirito crea tutte le realtà dell’anima, tutte le realtà del vivente e tutte le realtà del mondo fisico. È la realtà originaria in assoluto e perciò è più reale.

Però la dicitura “più reale” non è la più bella, se volete, è… l’origine, è essenziale… penso che ci capiamo insomma cosa voglio dire… che la prima si spiega da sola, invece il creato non si spiega da solo, questa è la differenza.

Quindi il realista ingenuo si è fissato sull’esteriorità del mondo, sulla percezione esteriore e non si accorge, perché questo accorgersi è lasciato al cammino della sua libertà, non si accorge che nell’attività del pensare c’è una realtà molto più densa che non la percezione esteriore. Perché la percezione esteriore è stata creata, invece il pensare crea. La percezione esteriore è un frammento di creato, il pensare è creazione pura; il pensare attuale però!, non quello già avvenuto: il pensare già avvenuto è un pensare già esercitato e percependo il pensare già esercitato, deduco che io sono nel presente, sempre, nell’esercizio del pensare. Però il pensare attuale non lo si può contemporaneamente percepire.

SIG.RA 1: Mi sono persa sulla domanda di chi è più reale, fra il creatore e il creato. Allora, se ho ben capito il creatore è quello più reale, che è lo spirito santo.

ARCHIATI: Basta spirito, eh!, è santo per natura!

SIG.RA 1: Quindi lo spirito è il creatore ed è quello più vero perché non ha bisogno del creato per essere reale, invece il creato può diventare reale soltanto con il creatore.

ARCHIATI: …grazie al creatore, in questo senso.

Adesso una variazione di questo esercizio: cos’è più reale i concetti che il pensare ha creato o il pensare che crea i concetti? – i concetti sono il creato del pensare – o è più reale il pensare che crea i concetti?

I concetti sono la creazione passata del pensare, sono il creato del pensare e il pensare è il creatore, che li crea i concetti. Cos’è più reale: i concetti, il creato, o il pensare che li crea?

SIG.RA 1: Il creato… mi confondono un po’ le parole, faccio un po’ fatica a seguirti.

ARCHIATI: No, non fa niente, guarda che parli per tante persone.

Allora, torniamo a quello di prima: tu dicevi il creato e il creatore. Il creato non sarebbe nulla di reale se non ci fosse il creatore, quindi è meno reale che non il creatore. Quindi il creatore esiste da solo, non ha bisogno del creato per esistere, quindi è più reale a livello spirituale.

Adesso ho preso un altro esempio, dove il creatore è il pensare e il suo creato sono i concetti, i pensieri che pensa. I pensieri – i pensieri o i concetti sono la stessa cosa – i pensieri e i concetti sono il creato del pensare, il pensare li crea. E ti chiedevo: cos’è più reale i concetti, i pensieri, che sono il creato del pensare, o il pensare che li crea?

SIG.RA 1: Il pensare che li crea.

ARCHIATI: Vedi, adesso non ti sei più persa; quindi qual è la realtà somma che è percepibile all’essere umano?

SIG.RA 1: Il pensare.

ARCHIATI: Ecco! Però vedi che adesso lo dici perché l’hai capito, non perché lo dice Archiati. Questo è importantissimo, eh!, e l’esercizio va rifatto, rifatto, rifatto, perché il nostro materialismo spontaneamente ci porta a pensare: sì, però l’arancia che sto mangiando è più reale, dài!, di un pensiero. E finché non superiamo il materialismo non andrà avanti l’umanità; andrà sempre più nell’abisso della passività e del perdere se stessi.

Quindi l’essenza della purificazione interiore è la pulizia di pensiero. La purezza del pensiero è la forma di purificazione interiore somma.

Non so se ve l’ho già detto una volta: Steiner tiene ad Amburgo una serie di conferenze sul vangelo di Giovanni – il volume 103 dell’opera omnia –. L’ultima conferenza, dove Steiner parla dei 7 gradini dell’iniziazione cristiana – i 7 gradini a partire dalla lavanda dei piedi, poi la flagellazione, la coronazione di spine, la crocifissione, la morte ecc., ecc. – dice: c’è un libriccino, che in italiano purtroppo è stato tradotto col titolo “L’iniziazione”, che non c’entra niente, ve l’ho sempre detto, perché il titolo in tedesco è: “Come si conseguono conoscenze dei mondi spirituali”; e questo libriccino è un manuale di purificazione interiore, fatto di esercizi, tutti esercizi.

Comunque molti di voi lo conoscono questo libriccino, fatto di esercizi: è un cammino interiore. E in queste conferenze sul vangelo di Giovanni, alla fine, dove tutto culmina, Steiner dice: c’è però un altro modo di purificazione interiore, dove si potrebbe arrivare molto, molto avanti in questo cammino che altrimenti si fa col libriccino “Come si conseguono ecc.”, ed è la “Filosofia della Libertà”.

Ma siccome tante persone si perdono per strada, perché lo trovano troppo arido, troppo noioso, allora a quelli gli diamo il contentino: “Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori”.

Però meglio sarebbe una purificazione interiore molto più sicura quella della Filosofia della Libertà; perché la Filosofia della Libertà sono tutti esercizi di oggettività, e questa è la purificazione dal soggettivo. Il pensare è in assoluto l’esercizio di oggettività, perché il pensare coglie l’oggettivo delle cose, crea concetti e il concetto è proprio l’essenza di ogni oggetto.

Quindi un’umanità che va sempre più avanti spiritualmente, moralmente darà sempre più peso ad un testo, di cammino di pensiero fondamentale, come è la Filosofia della Libertà. Qualcuno di voi sa che una volta, pare sia stato chiesto a Steiner – tutte queste tradizioni vanno prese con grano salis – però viene tramandato che gli è stato chiesto: dottore, cosa rimarrà di lei fra 1000 anni?, e lui ha risposto: la mia Filosofia della Libertà.

E, in sintonia con tutto ciò che mi par di capire di Steiner, di tante altre cose e soprattutto dei contenuti di scienza dello spirito, dico che diventano passibili di essere sempre più approfonditi, sempre più ampliati, ma le leggi fondamentali del pensiero dello spirito umano, non è che cambino da secolo a secolo.

Allora, riassumo dicendo che stiamo portando questo realista ingenuo – che è la persona normale, che siamo tutti noi – dal dar peso di realtà alla percezione esterna e che dice: no, dove c’è la percezione lì ho una realtà, lo portiamo al punto di cogliere una realtà molto più piena dove c’è lo spirito che pensa, perché il pensare è sorgivo di realtà, crea realtà.

LUCIANA: Mi sento più a mio agio se invece di usare il verbo creare uso il verbo ricreare. Sbaglio?

ARCHIATI: Certo che è giusto quello che dici, però c’è anche un risvolto di un ultimo resto di cattolicesimo…

LUCIANA: No!

ARCHIATI: Sì, ma non conscio, perché so che tu personalmente non hai… lo intendo in senso oggettivo. E la parola giusta è quella del creare, non il ricreare, perché il Logos, cioè l’origine della realtà del melo – il melo come albero – non è un processo di ricreazione, ma in assoluto di creazione.

LUCIANA: Sì, a quel livello lì, ma io dico per me.

ARCHIATI: No, no, quello che voglio dire, Luciana, è che se noi usiamo senza metterlo in secondo piano dopo il creare, il ricreare, dimentichiamo l’origine.

LUCIANA: Io dico ricreare proprio perché penso all’origine, che è il Logos.

CARLO: Basterebbe pensare alla macchina.

ARCHIATI: Sì, la macchina è un creare. Io capisco quello che tu vuoi dire e mi pare che tu non capisca quello che io voglio dire. Allora poniamo la domanda in un altro modo: che differenza c’è tra creare e ricreare?

LUCIANA: Questo è un vecchio problema che si è posto tante volte in questa sede, no! Perché noi partiamo dall’affermazione che tutto il pensabile è stato pensato, per questo, come dicevo prima, mi sento più a mio agio nell’usare il verbo ricreare. È vero che quando io “ricreo” un concetto lo faccio per la prima volta per cui sono all’origine. Però hai capito da dove viene: per me il creare lo rapporto al Logos, siccome io non sono il Logos, mi sento più a mio agio se, per l’attività chi io svolgo con il mio pensare, uso il verbo ricreare. Tant’è che abbiamo anche detto che il pensare è quell’organo di percezione finissimo che ci permette di afferrare i concetti primari, primordiali.

Non so se mi sono spiegata.

ARCHIATI: Però non mi hai detto che differenza c’è fra il creare del Logos e il creare del nostro pensare.

LUCIANA: Ti ho detto: perché il creare del nostro pensare, se il pensare è quell’organo che ci permette di afferrare i concetti, è un ricreare nel senso che afferra dei concetti che sono già stati creati, pensati dal Logos. È qui la differenza, che io non sono l’origine primordiale. I miei concetti non sono l’origine primordiale di quei concetti.

ARCHIATI: Ma guarda che è soltanto una differenza nel tempo, eh! Tu hai soltanto detto che noi veniamo dopo, nel tempo. E questo va bene, ma non è essenziale, è accidentale questa differenza. Quello che io voglio dire, Luciana, la differenza è questa: se siamo in grado – perché è soltanto questo che ci fa scienziati dello spirito – di prendere sul serio la frase del Logos, sull’essere umano, che dice: voi siete dèi, theoi esté. È questo che io voglio dire!

Ora questa affermazione sta a dire che tra la creazione di concetti del pensare del Logos e la creazione di concetti del pensare umano non c’è nessuna differenza essenziale, ma proprio nessuna.

E quindi il ricreare si riferisce soltanto ad una accidentalità di posterità in riferimento al tempo. Invece la teologia, questa frase non è mai riuscita a prenderla sul serio, frase che fa rabbrividire in fondo, no! Perché su questa frase c’è la divisione degli spiriti.

LUCIANA: Anche perché questa frase, presa sul serio comporta una grandissima responsabilità ed è quella che fa paura.

ARCHIATI: Esatto, esatto! Soprattutto è la fine di ogni autorità.

SIG.RA 2: Si può dire che qui c’è il punto di passaggio tra il creatore e il creato. Cioè prima abbiamo detto che il creato dipende dal creatore, per cui in realtà ogni essere umano, in quanto spirito, è un’intuizione divina, quindi creata dal divino. Ma nel momento in cui pensa, per cui riesce a pensare un pensiero già pensato, in quel momento – non dico in generale – ma in quel momento in realtà da creato diventa creante. Proprio nel momento in cui si unisce.

ARCHIATI: Certo, certo! Lo spirito che pensa è creatore in assoluto. Perché?

INTERV. 3: Allora, dicevi, fra il pensiero che pensa il creato e il pensiero creante, originario, il Logos, qual è il più reale? Mentre tu adesso hai detto che non c’è nessuna differenza fra il ricreare e il creare. Posso accettare che non ci sia nessuna differenza nel senso che la qualità dell’azione creante è uguale, però il ricreare parte da una percezione, mentre il creare originario è partito dal nulla.

ARCHIATI: Attento, finché si tratta della margherita il nostro creare, il nostro pensare creatore parte dalla percezione, e quando uno costruisce una macchina? Crea anche la percezione! Crea il concetto naturalmente e anche la percezione.

Quindi il pensare umano non è per natura dipendente dalla percezione.

LUCIANA: L’essere umano è creatore solo nel minerale.

ARCHIATI: E va bene! Quindi è una questione di tempo, vedi!, che veniamo dopo! Però la natura non è diversa, se no, questa frase qui, veramente non sarebbe pulita.

Allora, sta attento, tu dicevi… vedi che era giusto il riferimento al cattolicesimo! Lui diceva: però noi presupponiamo il creato, per il nostro pensare; non era questa la domanda. Il creatore, o il creare, o il pensare… il creatore crea il creato; il creare crea il creato; il pensare crea i pensieri.

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Adesso io vi chiedo: chi è il creatore, dov’è il creare, dov’è il pensare? Che il creatore sia un essere divino o l’essere umano non cambia nulla: crea un creato, il pensare crea pensieri. E la domanda non era: più reale è il divino o l’umano; era in rapporto al pensare e al pensato: è più reale il pensare o più reale i pensieri, il pensato, i concetti pensati?

E la risposta era: i pensieri, il pensato, i concetti non possono essere reali senza la realtà del pensare, quindi la realtà del pensare è più reale – tra virgolette, è un modo d’intendersi – che non i pensieri, perché i pensieri sono reali soltanto grazie al pensare.

Il pensare, lo spirito che pensa dipende da qualcosa nella sua realtà?

È eternamente, è eternamente.

Cioè, il concetto dello spirito creatore, dello spirito pensante, che produce il pensiero, il concetto puro dello spirito che produce pensiero è che questo spirito che produce il pensare non è originato da nulla, non ha un’altra causa che debba andare indietro perché l’ha causato.

E questo concetto di primo inizio in assoluto, nello spirito creatore, che pensando crea e creando pensa, è il concetto più difficile per l’uomo d’oggi, perché conosce soltanto nel mondo creato effetti, effetti, effetti, che devono avere una causa.

Quindi, tutte le scienze naturali spiegano ogni fenomeno concependolo come effetto e ne cercano la causa.

C’è un regressum ad infinitum? Aristotele diceva: se il tutto c’è, deve essere cominciato da qualche parte; allora ci deve essere un motore non moto, un primo motore che muove. Cos’è l’inizio assoluto del tutto, che non può venire iniziato da qualcos’altro che sarebbe ancor più iniziale, ancor più originario?

Il primo punto di partenza è lo spirito creatore, se no non parte nulla!

Questione di fede? O lo spirito creatore lo percepisco in me, oppure non mi serve nulla la fede. Però se io percepisco in me lo spirito creatore, esso è ugualmente creatore; quantitativamente molto di meno, ma qualitativamente è la stessa cosa. Perché in una piccola goccia di acqua dell’oceano c’è la stessa natura di tutto l’oceano. Quindi nel pensare umano c’è la stessa natura della creatività dello spirito divino che si pone all’inizio del mondo; altrimenti non è spirito che pensando crea.

SCALIGERO: È una goccia in potenza.

ARCHIATI: No, la natura della goccia è tale e quale come quella di tutto l’oceano!

SCALIGERO: Certo, però noi siamo dèi in facoltà di potenza, è il cammino che è diverso; è ovvio che quando si arriva all’attività del pensare siamo entrambi creatori, però lì è a livello aprioristico. La differenza fra noi e il divino è che noi in potenza possiamo arrivare al pensare.

ARCHIATI: No, sta attento, è giusto e non è giusto quello che che tu dici. “In potenza” sta a dire che lo saremo in futuro e non lo siamo ora?

SCALIGERO: Per come la penso in noi c’è tutto, al momento. La dipendenza è dall’apertura coscienziale, cioè quanto riusciamo ad essere coscienti di quello che siamo e quello ha un divenire; però in noi c’è già tutto, c’è una simultaneità, io non credo nella considerazione spazio-temporale, c’è la simultaneità sia generazionale, sia individuale.

ARCHIATI: Allora cosa intendi dire quando dici: in potenza?

SCALIGERO: Che dobbiamo lavorare per arrivare ad essere dèi.

ARCHIATI: Allora perché lo dice in questo modo: voi siete dèi, theoi esté?

SCALIGERO: Ma dice anche che quando passa per il fico secco che non trova brutto…

ARCHIATI: No, no, lascia stare, lì avremmo bisogno di interpretarlo, lascia perdere adesso, stiamo a questa frase che si riferisce al pensiero. Se invece di dire “in potenza” dicessimo “in divenire”, allora va tutto bene, no!

Siete dèi in divenire, intende dire: lo siete e non lo siete. Se tu dici soltanto no, sei fuori, se tu dici soltanto sì, sei fuori. In processo di divenire sempre più divini.

È come chiedere: un bambino di 5 anni, è un uomo o no?

SCALIGERO: In potenza sì!

ARCHIATI: In potenza non è giusto, in potenza è troppo poco, è in divenire. In potenza è troppo poco, significa non c’è ancora, avverrà da qualche parte.

Certo che questa frase qui l’ha detta anche il serpente, all’inizio, no! Ci sono conferenze di Steiner dove lui proprio fonda tutta la conferenza sulla differenza tra questa frase in bocca a Lucifero, il serpente del paradiso: i vostri occhi si apriranno e sarete come dèi, perché sarete in grado di pensare.

I vostri occhi si apriranno significa avrete la percezione, in base alla percezione sarete in grado di pensare, quindi di capire le cose, e vi sentirete come dèi, che sanno pensare in proprio in base alla percezione.

Cosa intendeva dire il serpente, Lucifero? Intendeva dire senza nessuno sforzo di divenire; magicamente siete già alla fine della vostra evoluzione.

Certo che il Cristo alla svolta dice… il Cristo vuol dire: la prima parte dell’evoluzione è compiuta; quindi quando Lucifero lo dice all’inizio è una bella bugia, perché si devono creare ancora tutte le condizioni perché l’essere umano, qui, al centro dell’evoluzione cominci a vivere la sua divinità.

D’ora in poi voi siete sempre di più in divenire per diventare sempre più divini. Ora non manca nessuna “conditio sine qua non”; tutte le condizioni necessarie per l’esercizio della libertà creatrice nel pensare sono state date. D’ora in poi tocca a voi diventare sempre più dèi, ma realmente però. E questo diventare sempre più dèi, diventare sempre più divini… la natura del divino non è in nulla diversa nell’uomo e nella divinità; altrimenti questa dicitura: “voi siete dèi” non sarebbe giusta.

Quindi l’essere umano è una divinità in divenire.

SCALIGERO: Quindi l’uomo – mi perdoni, lei sa che non posso andarmene con dei dubbi – l’uomo è obbligato a divenire…

ARCHIATI: No!

SCALIGERO: …deve lavorare su di sé per esserlo.

ARCHIATI: È libero, lo può!

SCALIGERO: È libero però anche di diventare bestia.

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ARCHIATI: Lo può, lo può. Però tu hai usato una categoria: lavorare su di sé. Con la vanga? In che consiste questo lavorare su di sé?

SCALIGERO: Adesso viviamo il momento degli spiriti della personalità che stanno lavorando su di noi, se noi…

ARCHIATI: Usa parole che tutti capiamo!

SCALIGERO: Questo è compito suo, io sono un po’ più terra terra.

ARCHIATI: No!, usi termini tecnici della scienza dello spirito, non ti capisce nessuno, scusa! Ma che terra terra, son più terra terra io!

SCALIGERO: Il concetto per me è al di sopra del pensiero; lei prima ha detto che il pensiero è la stessa cosa del concetto, io ho un mio modo di identificazione dell’argomento: per me il concetto è un pensiero puro, nel momento in cui io rientro nella categoria del pensiero, ho il pensiero puro e il pensiero non puro, che è quello suddito dei miei elementi caratteriali e generazionali. Se io non lavoro su di me, a ritroso, dal pensiero riflesso, cioè dal pensiero non puro, a fare il cammino che mi riporta nell’attività dinamica del pensare, io posso anche essere stato citato nella Bibbia come “voi siete dèi”, io me lo sogno di diventare un dio!

ARCHIATI: Alcune cose non le ho capite acusticamente, però altre cose non le ho capite proprio perché presupponi che tutti capiscano esattamente quello che tu dici, eh!

C’è qualcuno qui che mi vuol tradurre quello che lui ha detto?

LUCIANA: Praticamente lui sta dicendo che l’evoluzione non è un fatto automatico, ma questo è scontato.

PAOLO: Secondo me lui insiste sulla “potenza”. Cioè, come dire, se questa attività pensante non la applica nel modo più pulito, più cosciente, più veramente alla ricerca della verità, per cui cerchi di stare nel concetto, se tu non stai nel concetto molto presente, scendi di livello, per cui non sei creatore, sei qualcosa di diluito, non so come dire.

ARCHIATI: Era questo che volevi dire?

SCALIGERO: Grazie per il traduttore.

ARCHIATI: Ma allora, tu dici, se ho ben capito – correggimi – “voi siete dèi” significa però non “siete dèi” automaticamente, “siete dèi” se siete belli svegli, se vi date da fare.

Adesso io ti chiedo: la divinità è divinità automaticamente?

Non c’è automatismo nello spirito che crea, perché l’automatismo è una ripetizione di un “già fatto”. Ogni creazione è dal nulla, come ci può essere automatismo! Quindi è nel concetto di “dèi”, di Dio, che non ci può essere nessun automatismo; è nel concetto stesso. Altrimenti facciamo di nuovo una predica: devi stare attento, devi stare attento, devi stare attento!

Ma è nel concetto: o sei sveglio, e allora sei creatore, ma nel momento in cui ti addormenti minimamente, vivi di rendita.

SCALIGERO: Ma io ho avuto la necessità di precisarlo nel momento in cui lei ha messo in discussione la facoltà “in potenza”. Lei quando me la mette in discussione allora io ho necessità di ulteriore precisazione.

ARCHIATI: Sta attento, la filosofia, la teologia naturalmente sono fatte di un sacco di disquisizioni; il creatore, prima di creare, era creatore?

SCALIGERO: Ma consideriamo delle identificazioni spazio-temporali che per me non esistono, non c’è un prima e dopo lì. Anzi io ho un mio modo di vedere completamente diverso, richiamandomi un po’ alle confessioni di Agostino, dico: altrimenti che Dio sarebbe senza onnipotenza, senza onniscienza e senza onnipresenza. Non c’è un prima e un dopo.

ARCHIATI: Dove, non c’è un prima e un dopo?

SCALIGERO: Nella verità, nella dinamicità del pensare c’è già tutto.

ARCHIATI: E allora!

SCALIGERO: È tutto nel presente, noi siamo in facoltà di potenza per l’acquisizione e lì c’è la nostra creazione.

ARCHIATI: No, no, no, siamo sempre passibili di caderne fuori, ma nella misura in cui siamo dentro, non esiste potenzialità.

SCALIGERO: Sono d’accordo.

ARCHIATI: Eh!, però prima non l’avevi detta così pulita la cosa!

SCALIGERO: La differenza tra me e lei è che lei mi porta a chiarirmi ancora di più, la provocazione serve a questo da parte mia.

ARCHIATI: Bene, d’accordo, adesso l’hai detta pulita la cosa! Quindi, quando noi perdiamo i colpi, ricadiamo nella scissione temporale tra potenzialità ed esplicazione della potenzialità. Ma nella creazione del pensare si è al di là di ogni potenzialità.

SCALIGERO: D’accordissimo.

ARCHIATI: Perché allora tutte queste disquisizioni dei teologi e dei filosofi? Il creatore, per diventare creatore, deve essere creatore potenziale prima di creare; allora c’è anche in lui una potenzialità. E tu dici giustamente: no, nel creare sorge anche il tempo; e prima non c’era il tempo.

E l’unico, l’unico nell’umanità che riporta la creazione – dicevamo: terra 4, terra 3, terra 2 – alla prima formazione della terra, al primo creato… la descrizione della terra saturnia di Steiner comincia con l’inizio del tempo, giustamente.

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E una volta che il tempo inizia saltano fuori tutte queste dualità, del prima e del dopo, della potenzialità e dell’attualizzazione. Potenza e atto: questo è il binomio di Aristotele.

Però prima che ci sia il tempo c’è l’eternità; quindi la domanda che dice: cosa faceva Dio prima di creare il mondo? …Tagliava bacchette per bastonare quelli che facevano domande stupide.

SCALIGERO: Una sola e ultima cosa: perché parte dalla T4 e non dalla T7?

ARCHIATI: Allora: paragrafo 16. L’essenza poggiante in se stessa, di ciò che si può sperimentare idealmente, non ha, per la coscienza primitiva, lo stesso valore di realtà di quello che si può sperimentare coi sensi.

Vedete, questa frase riassume quello che ho cercato di spiegare per tutta un’ora. Quindi per la coscienza primitiva, per l’uomo normale, diciamo, l’essenza che poggia su di sé, del pensare – che io quando percepisco il pensare percepisco qualcosa che è reale in se stesso e non ha bisogno di essere reso reale da qualcos’altro – … allora, l’uomo ordinario, siccome questa realtà somma è di natura spirituale, non se ne accorge neanche che c’è; e ha l’occhio rivolto al creato, agli oggetti della percezione.

Quindi il modo di pensare di partenza dice: L’essenza poggiante in se stessa, quindi la creazione assoluta del pensare, dello spirito che crea pensando, di ciò che si può sperimentare idealmente, non ha, per la coscienza primitiva, lo stesso valore di realtà di quello che si può sperimentare coi sensi.

Perciò io ponevo la domanda in termini di realtà: cos’è più reale? Un oggetto afferrato nella “pura idea”, come la pura idea del pensare, il puro concetto del pensare è semplicemente chimera, per la coscienza primitiva, fino a che attraverso la percezione dei sensi non può venir fornita la prova della sua realtà.

Quindi, per la coscienza primitiva, le cose diventano reali soltanto nella misura in cui diventano sensibilmente percepibili. Per dirla breve, l’uomo primitivo pretende, accanto alla testimonianza ideale fornita dal pensare, anche quella reale dei sensi. E non soltanto quella della percezione perché io, anche il pensare lo percepisco, ma vuole la percezione esteriore – intendiamoci bene! –, quindi la percezione dei sensi, non la percezione pura e semplice!

E dicevamo all’inizio, la percezione si può fare all’esterno, si può fare nell’animico, si può fare nel puro spirituale. …pretende accanto alla testimonianza ideale fornita dal pensare, anche quella reale dei sensi. In questo bisogno dell’uomo primitivo sta la ragione del sorgere delle più elementari forme di una fede basata sulla rivelazione.

Lo spirito divino, che si vuol manifestare, deve squadernarmi qualcosa di sensibilmente percepibile, deve cambiarmi l’acqua in vino; allora ha fatto qualcosa!

Il Dio datoci per via del pensare, rimane per la coscienza ingenua soltanto un Dio “pensato”. Mica un Dio reale! La coscienza primitiva richiede che la rivelazione le venga data con mezzi accessibili alla percezione dei sensi. Il Dio deve apparire corporeo; si dà poco valore alla testimonianza del pensare, e se ne dà soltanto al fatto che la divinità viene provata per mezzo della trasmutazione, constatabile dai sensi, dell’acqua in vino.

PUBBLICO: Trasmutazione o trasformazione?

ARCHIATI: Sì, trasmutazione, trasformazione dell’acqua in vino.

Cos’è avvenuto a Cana, eh!, concretamente! Cana di Galilea.

PUBBLICO: È più giusto uomo ingenuo o primitivo?

ARCHIATI: È uguale: uomo normale, che siamo tutti noi.

Allora, capitolo II del Vangelo di Giovanni; si legge che è stato invitato Gesù di Nazaret, con sua madre e i suoi discepoli, alla nozze. Lo sposo dà il vino più scadente all’inizio e alla fine salta fuori il vino migliore. Però non sapevano che, a un certo punto, il vino non c’era più e allora i servi dicono alla madre: non hanno più vino, che facciamo? Ci fanno una brutta figura se adesso presentano l’acqua.

Allora la madre lo dice al Cristo: questi poveracci non hanno più vino, che facciamo? Il Cristo dice – vi riassumo un po’ il testo – : donna la mia ora non è ancora venuta, però siccome possiamo lavorare insieme, tu ed io, ci sono delle forze tra te e me – non (le traduzioni) : «che cosa ho io a che fare con te», «che c’entro io con te» – per cui, in base a queste forze comuni fra te e me, è possibile cambiare l’acqua in vino.

Al che la madre ha capito tutto e dice ai servi: fate venire quelle sei giare piene di acqua! Le hanno fatte venire, il Cristo ci ha infuso la sua forza e distribuiscono. E tutti dicono: ma tu il vino migliore l’hai tenuto fino alla fine! Gli altri fanno l’opposto, danno il vino migliore all’inizio, poi, quando sono mezzi ubriachi, danno il vino più scadente, tanto non notano nulla.

Cos’è avvenuto a Cana?

Manifestazione della potenza divina perché è divenuta percepibile dove, a quale senso? Il senso del gusto! Questo vino è buono… ma era acqua!

Steiner dice: – lo dice parecchie volte nelle sue conferenze – questo passo del vangelo lo si capisce soltanto se si capisce la teoria della conoscenza che sta alla base della mia “Filosofia della libertà”. Continuamente lo dice, tante volte!

Questo passo del vangelo – quello che effettivamente è successo – lo si può capire soltanto mettendo alla base la teoria della conoscenza che viene descritta nella Filosofia della libertà.

Perché mi guardi in cagnesco? ( a Carmine)

CARMINE: No, sto aspettando…

ARCHIATI: E io sto aspettando che venga da te! Mettici tu qualcosa.

CARMINE: Che invece della trasmutazione nella sostanza dell’acqua, possa essere avvenuta una trasmutazione nella coscienza di chi beveva il vino.

ARCHIATI: Benissimo, e quindi la coscienza ha a che fare con la teoria della conoscenza. Quindi l’evento di Cana è un evento di pensiero o un evento di fisica?

CARMINE: Sicuramente di pensiero.

ARCHIATI: È facile dirlo, però spiegami!

(Silenzio)

Il vino – partiamo dall’esperienza ordinaria, quella che hanno bevuto prima – crea un’ebbrezza. Questa ebbrezza è un effetto di un elemento chimico sulla coscienza umana, attraverso il corpo. Quindi questo elemento chimico, che noi chiamiamo vino – l’alcool – opera sul corpo in un modo tale che l’anima esperisce il corpo in un modo tale che si sente ebbra, esuberante.

Questa ebbrezza dell’anima, è possibile che avvenga soltanto grazie all’alcool?

CARMINE: No, assolutamente no!

ARCHIATI: E l’entusiasmo cos’è? È un’ebbrezza animica, senza vino, senza alcool.

Allora, escludiamo che sia stata alterata la natura chimica dell’elemento, altrimenti sarebbe magìa nera: il Cristo vorrebbe costringere a credere il lui. Quindi l’acqua chimicamente è rimasta acqua. Però il Logos ha unito a quest’acqua le forze del Logos; le forze del Logos sono forze di pensiero.

Ora, i commensali, bevendo quest’acqua, la bevono intrisa di forze del Logos. Quindi quest’acqua diventa veicolo di un processo di pensiero più creatore, più intuitivo. Diventando un veicolo di un processo di pensiero creatore, intuitivo, fatto di libertà artistica che crea, come vive l’anima questa maggiorata attività creatrice dello spirito? Con assoluta gioia, ancora più ebbrezza di quella che dava l’alcool.

CARMINE: Pietro, questo è il modo in cui si può guarire anche senza prendere le pasticche?

ARCHIATI: Sarebbe molto meglio! Sarebbe molto meglio.

Però a Cana il Cristo…

LUCIANA: Il Cristo fa appello anche alle forze della madre.

ARCHIATI: Il Cristo fa appello anche alle forze della madre. In altre parole il Cristo evidenzia – e qui entra il discorso che faceva lui (Scaligero) prima di potenzialità e di “in divenire” – evidenzia quali forze di Logos l’essere umano può far sue nel cammino dell’evoluzione e a che tipo di esuberanza, a che tipo di entusiasmo, a che tipo di creatività e di ebbrezza spirituale, queste forze possono portare.

Quindi crea un fenomeno archetipico di ciò che l’uomo può diventare nella sua evoluzione.

CARLO: È la transustanziazione.

ARCHIATI: È la transustanziazione, certo!

Cos’è l’acqua? Qual è l’essenza dell’acqua?

L’essenza dell’acqua è il Logos che la pensa!

SIG.RA1: Allora anche al pozzo, alla samaritana, quando Lui dice: io ti darò un’acqua che ti toglierà la sete, è lo stesso tipo di acqua?

ARCHIATI: Esattamente la stessa! Una sorgiva interiore che crea acqua all’infinito. E questa sorgiva interiore che crea acqua all’infinito cos’è? Il pensare!

SIG.RA 1: Cioè, quella frase si aggancia allo stesso discorso?

ARCHIATI: Alla samaritana lo dice, qui lo fa!

INTERV.: Si chiude con l’acqua del costato quando è crocifisso?

ARCHIATI: Lascia perdere, non complicare le cose ulteriormente.

CARMINE: In che cosa consiste la collaborazione con la madre, allora? Siccome dice che ancora non è venuta la sua ora e ha bisogno di questo rapporto con la madre, da che cosa sorge allora quell’evento che richiede la collaborazione con le forze della madre?

ARCHIATI: Allora, la “sua ora” è alla fine, come dire, il termine dell’evoluzione, dove l’io è in tutto e per tutto creatore – l’ora dell’io, la mia ora – ; fino lì c’è bisogno di un aiuto.

CARMINE: Cosa rappresenta la madre allora?

ARCHIATI: L’anima; e il Cristo è lo spirito. Quindi l’uomo ha bisogno dell’anima finché non diventa puro spirito. E l’anima che cosa gli dà? La percezione.

SIG.RA2: Posso farti una domanda su quello che riguarda “voi siete dèi” in divenire? Allora noi, fino adesso, siamo arrivati ad essere creatori usando solo il mondo minerale, non siamo creatori nel vitale, non siamo creatori negli altri mondi. Allora, “in divenire” poi saremo creatori anche nel vitale, nel mondo astrale e nello spirito?

ARCHIATI: Allora, vedi che i conti tornano; però, siccome sono grosse prospettive di evoluzione nel futuro – tieni presente che la cosa è un po’ astratta – però i conti tornano. T1, T2, T3, adesso siamo a T4: il concetto di terra 4 è che l’essere umano diventa creatore al primo gradino, che è quello minerale…

SIG.RA2: Difatti facciamo macchine, ecc..

ARCHIATI: Allora dimmi il concetto di terra 5?

SIG.RA2: T5 è il vitale, cioè la capacità di far crescere un organo…

ARCHIATI: No!No! L’uomo che diventa creatore nel vitale!

SIG.RA2: Cioè la capacità di far crescere un organo se viene tagliato, adesso tanto per dire una cosa qualsiasi.

ARCHIATI: Esatto! E terra 6?

SIG.RA2: (creatore) sull’animico.

ARCHIATI: E terra 7?

SIG.RA2: Sullo spirito.

ARCHIATI: Vedi che si può anticipare il futuro! Una bella prospettiva di evoluzione!

SIG.RA2: No, dato che dice che siamo dèi creatori, creatori solo sul minerale, adesso. Non siamo tanto creatori!

ARCHIATI: Perché gli vuoi per forza dare una botta in testa all’uomo? Sempre farlo piccolo, sempre farlo piccolo. Soltanto, soltanto, soltanto! Sento la voce della Chiesa! La Chiesa lo vuol far piccolo, soltanto lei è importante. Ce n’è da fare! Basta e avanza! Capito? Questo è il discorso. Ma che ci serve dire: soltanto? Se uno si dà da fare altro che “soltanto”! Il “soltanto” non lo vede proprio. Perché “soltanto” implicherebbe che mi manca qualcosa. È assurdo, È assurdo!

Perciò dicevo: l’antroposofo deve stare attento a non pensare di essere già a T5, o a T6, o a T7!, per non fare quello che c’è da fare a T4! Questo dicevo.

Perché tra l’altro, lui (Carmine) diceva, parlava delle pasticche, ma in fondo cosa intendeva dire? Intendeva dire, supponiamo che noi siamo in grado – prendiamo l’essere umano – di lavorare direttamente soltanto su ciò che è l’elemento fisico, materiale; però i riverberi indiretti, sul vitale, sull’animico e sullo spirito, sono enormi!

È questo che lui voleva dire! Quindi io non ho bisogno di aspettare finché saprò lavorare direttamente, essere creatore direttamente nel vitale, per avere influssi enormi sul vitale, partendo dal modo giusto di trattare tutto ciò che è materiale, tutto ciò che è minerale e che ci è a disposizione.

Perché non sono quattro compartimenti stagni, hanno influssi enormi reciproci gli uni sugli altri. E se uno trovasse il modo di trattare il suo corpo fisico – questo elemento 4 – in modo giusto, sarebbe sano anche nell’eterico, nell’animico e nello spirituale; per riverbero! Non ha bisogno di aspettare fino a T5, T6 e T7.

Questi sono pensieri molto importanti.

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Quindi all’uomo d’oggi non manca nulla! Non manca mai nulla all’uomo.

Perché è stato sempre tenuto piccolo l’uomo? – Attento, questo non lo sai fare! E lì sei superbo! – Per i poteri costituiti, no! Sono i poteri costituiti che vogliono tenere l’uomo piccolo, per gestirlo a modo loro.

Certo che l’essere umano si può mettere in testa di fare quello che non è capace di fare, ma: lascialo provare, no! Perché glielo vuoi proibire? Lascia che si scotti!

Quindi, se l’origine del tutto è lo spirito creatore, la forza portante dell’evoluzione è la fiducia nello spirito creatore; quindi, diciamo, la massima dell’evoluzione non è: sta attento, sta attento, sta attento!, ma: prova, prova, prova! Perché se il Padreterno si fosse detto: ah, ma se devo creare il mondo devo stare attento, devo stare attento, devo stare attento, ci starebbe ancora pensando, invece di farlo.

Quindi, diciamo, la forza propulsiva dell’evoluzione è la fiducia assoluta nella positività dello spirito creatore. Fai, fai, fai!, perché hai la capacità di imparare da ciò che hai fatto e di correggere per fare sempre meglio.

L’autorità, i poteri costituiti, che vogliono usare l’uomo per i loro scopi, dicono sempre: sta attento, sta attento, sta attento. E l’essere umano si salva soltanto dandogli un calcio nel sedere! Calcio metafisico, naturalmente, non un calcio fisico.

Giuda vuol togliersi la vita, cosa dice il Cristo? Attento, non farlo?

O poieis poieson tachion. Letteralmente: ciò che fai, fallo decisamente! Più veloce – tachion –, non essere l’eterno tergiversante, fa! Fai e impara da ciò che fai.

Al che Giuda gli dice: eh, non hai il diritto di dirmi una cosa del genere se ti proponi di non darmi la possibilità di imparare cosa salta fuori e di fare meglio, o di continuare a farlo.

Vi dicevo, altre volte, che diversi anni fa ho chiesto a mia sorella suora: sei sicura che Giuda è all’inferno eterno? E lei mi ha risposto: anni fa ero più sicura, ora non sono mica più sicura.

LUCIANA: Te l’ha detto tua sorella, ma non monsignore!, perché la donna è più ricettiva!

ARCHIATI: La donna è più ricettiva, beh, insomma, non ha un potere da difendere.

Quindi, cosa è successo a Cana?

Una mutazione della coscienza. L’accento si è spostato dalla percezione al Logos, al pensare. Ed è sorto più entusiasmo e più ebbrezza, nell’anima, che non bevendo vino. Perché hanno bevuto acqua, chimicamente era acqua. Ma hanno fatto l’esperienza di un vino ancora migliore di quello di prima.

Perché l’ebbrezza data dall’alcool è peggiore? Perché in quell’ebbrezza sono passivo, invece l’altra ebbrezza è migliore perché quell’ebbrezza lì la vivo soltanto nella misura in cui divento, nel pensare, creativo; perciò migliore.

Cos’è meglio: essere passivi o essere creativi? Essere creativi, è ovvio! E essere passivi o essere creativi sono due stati di coscienza. E allora capiamo perché Steiner dice: per capire l’evento di Cana bisogna mettere alla base la teoria della conoscenza della Filosofia della libertà. L’interazione che c’è fra percepire e pensare. Pecepire è una pura passività, pensare è pura attività che crea. E cosa dà più gioia, all’anima, cosa dà più ebbrezza all’anima? Il creare!

Allora non è vero che l’essere umano può creare soltanto a livello del minerale. Per quanto riguarda il mondo, ma per quanto riguarda se stesso è creatore a tutti i livelli; può essere creatore a tutti i livelli. Però dapprima, su terra 4, soltanto nel suo essere, poi, nei tre gradini successivi anche nel mondo.

Facciamo una pausa.

*****

ARCHIATI: Mosè percepì Jahvè nel roveto ardente. Ne avrete sentito parlare, no!

Che è successo?

CARLO: Un’immaginazione.

ARCHIATI: Una percezione esterna, di un roveto materiale che brucia? Sarebbe una cosa ordinaria, non ti dice più di tanto; se ci metti fuoco, in estate, o in autunno, brucia.

INTERVENTO: Lo vedrebbero anche gli altri.

ARCHIATI: Lo vedrebbero anche gli altri, giusto! Bravo! Ancora meglio!

Quindi il roveto esterno che brucia lo vedrebbero tutti, d’accordo? Escludiamolo. Quindi, lui diceva, è un’immaginazione, una visione, a livello eterico se volete. Una visione.

INTERVENTO: Un’ispirazione.

ARCHIATI: Certo, Mosè chiede: chi sei? E lui dice: io sono Javè. Me lo traduci: Javè?

Io sono. Io sono “io sono”.

Ma chi sei?

Io sono.

Un momento, ti ho chiesto: chi sei?

Io sono. Sono “io sono”.

Un concetto che Mosè non aveva prima, perché non lo capisce; dice: ma un momento, ti chiedo chi sei?

Io sono

Chi sei che cosa?

Sono “io sono”:

Quindi si tratta di una divinità che comunica il concetto dell’io. Io sono io. Quindi abbiamo a che fare col primo sorgere nell’umanità, nel pensare umano – perché Mosè è un essere umano; non sta dormendo, sta pensando – è un primo sorgere nel pensare umano del concetto dell’io.

Il concetto dell’io al livello spirituale è lo spirito che crea, pensando; al livello animico è l’amore al pensare; però, per l’essere umano bisogna partire da sotto, no!, quindi deve diventare percepibile al livello immaginativo, lasciando a Mosè di risalire dal livello immaginativo al livello ispirativo e al livello intuitivo.

Al livello ispirativo entra in colloquio con questo essere e al livello intuitivo chiede: chi sei?, per intuire il suo essere. E si manifesta al livello immaginativo nel roveto ardente.

Questa immaginazione è l’immaginazione della Filosofia della Libertà. È l’essenza di questo libro.

L’ardere fa sorgere luce e calore, quindi nell’ardere c’è la luce del pensare e il calore dell’amore; quindi c’è lo spirito e l’anima. Il Logos e la Sofia.

Quindi lo spirito creatore e l’anima intrisa di amore si son detti: noi vogliamo creare un essere umano, che pensa al livello umano.

E come fa a pensare al livello umano?

Pensa in base alla percezione, ci vuole l’elemento corporeo.

L’uomo che pensa è essenzialmente un roveto ardente.

Il roveto sta per tutte le forze vitali – il roveto è vegetale, eh! – quindi tutto il vegetale portato allo stato di essiccazione, perché sta ardendo… Cosa compie il pensare, i processi di coscienza, sul vitale? Lo ardono, lo consumano!

Quindi, se noi volessimo creare un’immaginazione dell’essenza dell’essere umano… l’essenza dell’essere umano è l’interazione tra spirito e materia, dove lo spirito diventa creatore consumando la materia, annientando la percezione; e quindi anche consumando le forze vitali del suo corpo.

Una persona che diventa sempre più anziana e, se tutto va bene, diventa sempre più ardente, una coscienza sempre più luminosa, un amore sempre più caldo, cos’è?

Un roveto ardente, nel senso realissimo della parola.

La somma delle forze vitali, che si assomma nel corpo eterico dell’uomo, quindi nelle forze vitali dell’uomo che vengono consumate, in questo consumarsi, si sprigiona luce del pensiero e calore dell’amore.

Quindi l’io, il Logos, in quanto io pensante, io sono l’essere dell’io: come aiuta Mosè – che è poi ogni essere umano – a capire il mistero dell’io?

Essere un io significa essere un roveto ardente: consumando materia, far sprigionare luce di pensiero e calore dell’amore. Però l’essere umano lo può fare soltanto consumando materia. Un roveto ardente.

E l’altro roveto ardente archetipico, qual è?

La terra! Il corpo vitale del Logos che la arde: l’ha costruita nella prima parte per consumarla nella seconda parte della sua evoluzione.

Quindi il roveto ardente è un’immaginazione primigenia, sia della terra e dell’interazione dell’io di tutta l’umanità, che è il Logos; sia un’immaginazione primigenia dell’uomo, di ogni uomo, come spirito individuale, che è un roveto ardente nel senso più reale della parola.

Chi sei tu, che ti presenti nell’immaginazione di un roveto ardente?

Lo spirito dell’io che pensa e che ama ardendo la materia, il corporeo.

Allora, così come il pensatore primitivo, di cui stiamo parlando continuamente, pensa che, al livello della percezione, ha una realtà maggiore, e anche la divinità, lo spirituale, lo vuol vedere al livello di percezione, invece ci viene detto: guarda, che tu dove hai la percezione – dove pensi di percepire, a livello gustativo, il vino – devi ritornare, dal livello della percezione, risalire all’eterico, risalire all’astrale, risalire allo spirituale, perché quella era la realtà suprema.

Quindi, questa immaginazione del roveto ardente è una percezione – una visione è una percezione –. Si deve fermare lì Mosè? No, chiede: chi sei? Quindi risale dalla percezione dell’eterico – che è un’immaginazione – al colloquio, al discorso – il livello ispirativo – e questo essere manifesta la sua interiorità e dice chi è; e dicendo chi è, dicendo il suo nome, non soltanto le qualità che ha, i contenuti della sua anima, ma il suo nome, manifesta il suo essere e in Mosè potrebbe sorgere, dovrebbe sorgere, pensando, l’intuizione dell’essere dell’io che pensa. Io sono l’io che pensando crea e ama.

E non troverete mai un’immaginazione più scientifica, più calzante che non quella del roveto ardente; non ce n’è una migliore, scientificamente più precisa, perché se ci fosse, Mosè l’avrebbe vista in quel modo.

CARLO: La candela è un’immaginazione che però non è come il roveto ardente perché il roveto è vitale e la candela invece no.

ARCHIATI: La candela non ha forze eteriche.

MASSIMO: C’è un’altra cosa, mi sembra, almeno nel paragone, proprio calzante: viene consumato il roveto, però mi sembra di ricordare che viene anche continuamente ricreato; per cui lo consuma, ma non lo brucia; nel senso che lo consuma e grazie a questo consumare può ardere; però è anche vero che non va in fumo; è come se continuasse a rinascere, in un certo senso.

ARCHIATI: Perché c’è il seme, però, ora, chiediti onestamente: il ciclo di far rinascere il roveto, si ripete all’infinito? È destinato a terminare. Termina in ogni vita perché il corpo, come integrale di ogni piccola morte di ogni giorno, poi alla fine muore, sparisce.

Tu dici: però viene ricostruito nella vita successiva; all’infinito? No! la materia si consuma, non è eterna.

MASSIMO: Mi vien da pensare come un motorino d’avviamento, no!…

ARCHIATI: No, no, questa immaginazione ci porta fuori perché è meccanica. È meccanica, ci porta fuori.

SIG.RA3: Scusa, un chiarimento: ma non diceva Mosè che vedeva il roveto che bruciava e non si consumava, ricordo male?

ARCHIATI: È proprio la domanda che ha fatto lui (Massimo).

SIG.RA3: Ma “non si consumava”, non diceva che si rigenerava.

ARCHIATI: Esatto. Quindi il roveto bruciò finché disse: io sono. A quel punto lì non ho più bisogno di immaginazione se è al livello intuitivo.

Quindi questo ci fa capire che il livello immaginativo è propedeutico, è il primo gradino per farci salire al livello ispirativo e poi al livello intuitivo.

Proprio perché si pone questa domanda: ma come!, sei una realtà eterna o transeunte? Fino a quanto duri?

Lo spirito umano consuma la materia finché ne ha bisogno, poi passa al livello degli angeli che sono spiriti non più incarnati. Spiriti puri, si diceva.

Naturalmente ho cercato di dirla così, un po’ nella sua essenza, però immaginate la teologia tradizionale senza un minimo di scienza dello spirito, non tornano i conti con questo roveto ardente. Che mi vuol dire che Mosè vede un roveto ardente?, non mi dice proprio nulla se no lo capisco.

INTERV.: Si può dire che il “roveto” viene rigenerato nel sonno?

ARCHIATI: Certo, ma non al 100%. Ogni volta al 99%, sempre di meno, e la conclusione è la morte. Se venisse rigenerato al 100% cosa vorrebbe dire? Che non c’è evoluzione, ci sarebbe la stasi. In altre parole le reincarnazioni avranno un termine.

Ci sono domande da parte vostra?

PATRIZIA: Il concetto di margherita io lo posso avere perché in qualche modo vedo una margherita, ma quando mi si parla di T1, T2, T3 eT4, sono concetti che mi formo dentro? Io dico: no!, sono frasi vuote per me, o meglio, sono concetti di qualcun altro, ma non sono… io non riesco a viverli come concetti, io non ho idea di cos’è T1, non l’ho mai visto.

ARCHIATI: Allora, facciamo un passo indietro. Fare un passo indietro significa: diamoci una calmata. Comunque sei molto più calma di certe altre volte.

PATRIZIA: Hai visto!

ARCHIATI: Sì, sì, si nota!

PATRIZIA: Ho contato fino a 10!

ARCHIATI: Io sto contando fino a 20. Quando tu dici: io il concetto della margherita ce l’ho perché l’ho ben vista.

Primo sbaglio: la rappresentazione della margherita dipende dalla percezione, ma non il concetto. E nella Filosofia della Libertà, abbiamo letto, ci si può formare il concetto di leone senza mai aver visto un leone, basta capire il concetto. Quindi il concetto è qualcosa di puramente spirituale, non ha bisogno del corporeo della percezione e della replica animica della percezione che noi chiamiamo rappresentazione.

Il concetto è qualcosa di puramente spirituale.

Ora ti concedo che il concetto di leone è complesso; abbiamo cercato qualche volta di farlo: l’equilibrio assoluto tra l’elemento metabolico e l’elemento neuro-sensoriale, e l’equilibrio è: l’elemento ritmico.

E ti concedo che se noi volessimo costruire il concetto della margherita prescindendo dalla percezione, prescindendo da ogni rappresentazione, sarebbe una cosa difficile, ma non impossibile, se ci fosse qualcuno che fosse penetrato nella logica, quindi nel concetto che il Logos ha posto alla base. Un concetto intriso di strutture formanti e di tempi di metamorfosi ben specifici. Però, dicendo questo, indichiamo il cammino per crearci il concetto della margherita.

Ora, io ho usato T1, T2, T3, non per indicare dei canali televisivi, ovviamente, quindi usa un’altra terminologia: la prima manifestazione della terra, la seconda manifestazione della terra… il concetto è che ci troviamo alla quarta manifestazione planetaria della terra e che tre manifestazioni planetarie sono precedute, e ognuna è stata conclusa ed è stata “arsa”. Si è conclusa e ogni volta si ricomincia da capo.

E tu dici: ma io, questo concetto, questi pensieri, che la terra che abbiamo oggi presuppone tre incarnazioni, manifestazioni planetarie precedenti della terra, tu dici: io lo devo credere a Steiner, se lo leggo, o ad Archiati (se lo dice)?

Non è necessario che tu lo creda, lo puoi capire, E Aristotele ti aiuta dicendo che se noi abbiamo, in questa manifestazione planetaria della terra – che tutti abbiamo nella percezione, cosicché nessuno deve credere a qualcun altro – quattro livelli dell’essere: Il minerale, il vegetale, l’animale e l’umano, lui dice: il pensare umano – senza dipendere dalla rivelazione di un altro, senza dover credere ad un altro – se è pulito, se è abbastanza penetrante, se è abbastanza logico, arriva a capire che questo tipo, strutturato a quattro livelli, non può essere la prima creazione della terra. Perché?

INTERV.: Perché se l’uomo è nell’insieme di questi quattro livelli, questi quattro livelli già ci devono essere.

ARCHIATI: Già ci devono essere, ma perché non potrebbero svilupparsi parallelamente tutti e quattro?

INTERV.: Uno è la base dell’altro.

ARCHIATI: Tu dici: uno è la base dell’altro. Perché la base deve venire prima?

INTERV.: Perché prima non ha tutte quelle cose che dopo ha.

ARCHIATI: Ma perché deve venire prima, perché non può essere parallelamente, contemporaneamente?

INTERV.: Perché nel mondo della materia le cose sono in successione.

ARCHIATI: Se tu decidi di farle sorgere per successione. Ma noi chiediamo perché non è possibile che siano parallele, che siano in contemporanea?

PAOLO: Perché nella percezione del mondo reale, che è quello da cui io parto, io le trovo così! Le cose avvengono in una sequenza logica e perciò al mio pensare risulta evidente questa cosa.

ARCHIATI: Dov’è la sequenza logica?

INTERV.: Perché c’è il mondo minerale, il mondo vegetale e il mondo animale.

ARCHIATI: Dove sono uno dopo l’altro, qui li abbiamo tutti insieme, no!

INTERV.: L’evoluzione viene fatta…

ARCHIATI: Ma lo dici tu!

VENETO: Se io devo fare un’indagine su me stesso, devo partire da ciò che conosco meglio. Che cosa conosco meglio se non me che sono un uomo. Conoscendo l’uomo posso scoprire poi anche l’animalità, l’istintività che c’è in me, e la vedo poi proiettata nel mondo animale. Posso scoprire in seguito anche la vegetalità, la capacità di metamorfosi che hanno le piante; quindi, proprio dalla mia indagine, se parto da me, posso risalire su, su, fino al corpo finale. E quindi questo qua io lo vedo in una certa consequenza.

ARCHIATI: In una certa consequenza. Però non ci hai detto perché queste quattro creazioni debbano essere una dopo l’altra nel tempo. Nel primo momento c’è il minerale, c’è il vitale, c’è l’animico e c’è lo spirituale.

PAOLO: Per lo stesso motivo per cui il pensatore viene prima del pensato. Una cosa che fa da substrato all’altra non può venire dopo l’altra.

ARCHIATI: Non può venire dopo l’altra te lo concedo, ma perché non insieme?

SIG. RA4: Volevo dire che i primi tre regni: minerale, vegetale e animale, sono dei regni che sono legati al Padre, quindi non sono liberi. Quindi il Creatore forse ha voluto dare una dimostrazione della non libertà.

ARCHIATI: Quindi ci devi credere.

INTERV.: Al primo livello di manifestazione non trovo ciò che c’è negli altri. Al primo livello del minerale non riesco a percepire ciò che c’è negli altri tre livelli. Quindi per forza devo dedurre che c’è una gradualità nel manifestarsi.

ARCHIATI: Temporale?

INTERV.: No, sostanziale!

ARCHIATI: Eh, ma noi ci stiamo ponendo la domanda della successione nel tempo. Quella sostanziale ce l’abbiamo anche qui, dove sono tutti e quattro insieme; c’è una gradualità, addirittura un salto sostanziale dall’uno all’altro. Però la domanda che poniamo noi è temporale.

ROBERTO: Secondo me perché nell’evoluzione si fa una pensata alla volta, quindi c’è una prima pensata che è il minerale, poi dopo c’è la successiva…

ARCHIATI: Ma la domanda è: deve essere così di necessità? Perché le pensate non le può fare tutte insieme?

WILMA: Perché anche l’evoluzione libera dell’uomo è graduale.

INTERV.: Il vegetale non può vivere senza il minerale e l’animale non potrebbe vivere senza il vegetale.

PAOLO: Perché fa in modo che per noi sia possibile comprendere. Fa in modo che per me, io lo possa riconoscere come una cosa che posso capire, perché se fa tutto insieme, per me, che vivo nel tempo, non è possibile percepirlo.

ARCHIATI: Ma qui ce li abbiamo tutti insieme, noi, nella nostra percezione reale, su questa terra; su questa creazione in cui siamo, sono tutti e quattro contemporanei.

ROBERTO: È come dire che terra 5 può nascere da terra 4 senza che scompaia o si consumi. L’avevamo forse detto che per un mondo nuovo bisogna che quello che lo precede scompaia.

ARCHIATI: Perché “bisogna”?

ROBERTO: Perché bisogna ricostruire tutto.

ARCHIATI: Perché? È proprio la domanda che stiamo facendo.

INTERV.: Le condizioni del sorgere del mondo minerale sono diverse da quelle che saranno necessarie per il sorgere del mondo vegetale. E così sarà per il mondo animale; cioè cambiano le condizioni esterne, diciamo, no!

INTERV.: E se il vegetale arrivasse prima del minerale…

ARCHIATI: Lui dice addirittura: e se il vegetale arrivasse prima del minerale?

VENETO: Forse ci arrivo: cioè, se fosse così, se tutto ci fosse stato dato in contemporanea, l’uomo non avrebbe più la possibilità di omettere la seconda parte dell’evoluzione, cioè non potrebbe più esercitare la sua libertà.

ARCHIATI: Quindi, o i passi sono distinti o non c’è evoluzione. E se i passi sono distinti uno dopo l’altro i tre futuri, sono stati tre distinti anche quelli passati, uno dopo l’altro, oppure non c’è evoluzione.

Un altro pensiero che aiuta, che appoggia questo pensiero, è che il vegetale non può sorgere senza che il minerale ci sia già. Non in contemporanea, ci deve essere già. Quindi il vegetale e il minerale non possono sorgere in contemporanea, perché il vegetale sorge soltanto sul già esistente minerale. Quindi deve precedere, il minerale deve già esistere se no non può sorgere il vegetale.

INTERV.: Ma non è il contrario? Il minerale è una prosecuzione del vegetale.

ARCHIATI: Ad altri livelli. Allora adesso mettiamo insieme diversi elementi, non dimenticate quello che ha detto lui, che è molto importante; lui ha dato la dimostrazione animica; io ci ho aggiunto quella vitale, che il vitale presuppone il minerale; adesso diamo quella spirituale, e cioè il problema è che noi partiamo continuamente da sotto.

Ora il partire da sotto è soltanto una dimensione; allora (disegna uno schema): qui c’è il minerale; qui c’è minerale e vegetale, terra 2; qui c’è il minerale, il vegetale e l’animale, quindi dominante è l’animale, terra 3; qui c’è l’umano, l’uomo, con animale, vegetale e minerale.

Però questo tipo di creazione è il riverbero, nel mondo visibile, nel mondo della percezione, di un altro tipo di creazione, dove la prima manifestazione è puramente spirituale, poi scende. Il mondo è all’inizio, il creatore è all’inizio puramente spirituale, il primo gradino: spirituale. Poi la creazione diventa animica, al Logos si aggiunge la Sofia. Terzo gradino: la creazione diventa vitale; quindi la creazione scende dallo spirituale e poi al quarto gradino diventa fisico, materiale.

Quindi abbiamo a che fare… il minerale della terra saturnia è il riverbero di una creazione che è puramente spirituale; la terra 2 dove c’è, al livello della percezione, il minerale e il vegetale, è il riverbero, al livello di percezione, di una realtà che è spirituale e animica; dove c’è l’animale, al terzo gradino, è i riverbero, da sotto, di una creazione che è spirituale, animica e vitale. E qui, al quarto, spirito e materia si incontrano nell’uomo.

Allora il concetto è questo: al livello della percezione si parte da sotto e si va in su: 1, 2, 3 e 4. Qui c’è una evoluzione con forme, soltanto forze formanti, forme. Poi c’è il vegetale, un mondo di metamorfosi, crescita. Poi c’è l’animale, animale vuol dire sensazione, sentimento. Poi c’è l’uomo, spirito pensatore.

Però questi quattro gradini che vanno da giù a su, sono il riverbero di quattro gradini che vanno da su a giù, che devono per natura essere uno dopo l’altro, perché all’inizio c’è lo spirito puro… ci può essere lo spirituale, l’animico, l’eterico e il fisico tutto in una volta?

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All’inizio c’è l’essere, che non parla: il Padreterno che sta zitto. Secondo gradino: si manifesta – la rivelazione –, dice qualcosa di quello che ha dentro di sé: manifestazione con la parola: Logos; lo spirito divino racconta che cosa ha dentro di sé. Terzo livello, l’operare nel mondo. Quarto livello: l’opera finita da cui l’operatore si ritrae.

Allora, prendiamo un artista, come analogia. Un artista è un essere spirituale capace di concepire qualcosa. Finché l’artista sta zitto, io non so cosa sta pensando. Un bel giorno mi dice che tipo di quadro sta pensando; dicendomi che tipo di quadro sta pensando, cosa fa? Manifesta la sua interiorità; e la sua interiorità sono frammenti di animico che manifesta.

Quindi l’essere è il nucleo centrale, lo spirito; invece la manifestazione è ciò che lo spirito ha dentro di sé: è l’anima; e mi racconta quali tipi di quadri, quali tipi di motivi vivono in lui: vorrebbe fare un Mosè, vorrebbe fare un’ultima cena, vorrebbe fare una madonna, quello che volete. In questa automanifestazione cosa mi dice? Mi manifesta la sua interiorità.

Il terzo gradino è che lo vedo col pennello in mano che sta operando nel mondo e dopo un paio di mesi il quadro è finito.

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La domanda a cui stavamo lavorando prima era: è possibile contemporaneamente, di botto, avere il quadro finito? Era questa la domanda!

No!, il quadro finito presuppone tre gradini che sono, per natura, uno dopo l’altro.

Quindi qui, primo gradino: lo spirito che si manifesta come spirito; secondo gradino: lo spirito manifesta la sua anima, la rivelazione, l’automanifestazione; terzo gradino: l’operatività e poi c’è l’opera finita. Cos’è l’opera finita? È la percezione, per noi è la percezione. Lo spirito si è ritirato, non ci sta più lavorando.

Quindi in una prima creazione c’erano soltanto puri spiriti e a livello di manifestazione soltanto forme. In una seconda creazione questi spiriti cominciano a manifestarsi, a rivelarsi, a dire la loro interiorità, a dire che cosa c’è dentro di loro. Nella terza manifestazione sono all’opera nel mondo e nella quarta si sono ritirati e l’essere unano si trova di fronte all’opera morta.

Il minerale è quell’elemento del mondo dal quale gli esseri divini creatori hanno sottratto ogni tipo di operatività, altrimenti vedremmo gli spiriti divini all’opera e non saremmo liberi. Perché siamo liberi di fronte alla percezione? Perché tutta l’attività divina si è ritirata. La percezione ci lascia liberi perché tutto ciò che è divino si è ritirato e la gestione resta tutta a noi.

Quindi cos’è una percezione? Un quadro finito. Ma il quadro finito, appeso alla parete, cosa presuppone?, un’attività che l’ha fatto; questa attività presuppone che i contenuti del quadro erano presenti nell’essere che l’ha creato, che poi si sono esteriorizzati; e all’inizio del tutto c’è l’essere spirituale creatore, questo artista che l’ha concepito – l’artista che ha concepito il quadro –. E da dove l’ha concepito? Dal suo spirito, lo spirito è una potenzialità di concepimento all’infinito.

SCALIGERO: Ma il quadro è già completo!

ARCHIATI: Dove, quando?

SCALIGERO: Era già tutto completo, e quello è il vero quadro: È nella realizzazione la presentazione della frammentazione; nella esecuzione. Ma il quadro gli era già tutto presente.

ARCHIATI: Vacci piano, vacci piano. Adesso tu hai un Michelangelo che vuol fare un Mosè – questo esempio l’abbiamo fatto diverse volte, no! –. Tu dici: il Mosè è già perfetto nel concepimento intellettuale che ha Michelangelo. E lui invece ti dice: no, in questo lavorìo di farlo, gli è saltato fuori diverso, gli ha dato una martellata e l’ha frantumato!

SCALIGERO: Certamente, perché quell’idea unilaterale dell’idea del quadro ha interagito con le forme caratteriali di Michelangelo, tradendo la sua idea, che ha preso spunto dal mondo intuitivo, se n’è accorto, ha preso coscienza, l’ha corretto e l’ha riportato all’idea principale.

PAOLO: Tu all’inizio non puoi sapere già tutto quello che succede dopo. Tant’è vero che nella creazione escono le controforze a un certo punto. Escono proprio perché hanno un ambito di libertà e possono fare qualcosa che non era completamente previsto. È un processo, no!

ARCHIATI: Tant’è vero – speravo che tu lo dicessi – che proprio nella Bibbia, all’inizio della creazione si dice che, dopo aver creato, il Creatore guardò e vide che era bello! E perché non lo sapeva prima? Perché non c’era, non lo aveva ancora fatto.

PAOLO: C’è di più nella sua realizzazione di quello che… è un processo, è un processo vivo, per cui c’è di più di quello che tu, all’inizio, ci metti.

ARCHIATI: Se non ci fosse un elemento di sorpresa, che lui chiama elemento di libertà, tra il concepire e il realizzare, avremmo a che fare con automatismi, non con una creazione libera. La creazione libera è aperta in tutte le direzioni.

SCALIGERO: L’automatismo è il concetto del divenire. Nel creato, nell’essere creatore non c’è divenire. Pensare, volere, amare e agire, nel creato è tutt’uno.

ARCHIATI: Sono astrazioni, è un’astrazione ciò che stai dicendo.

SCALIGERO: È nella realizzazione che avviene la frammentazione, per permettere all’uomo in potenza libero, di poter ricostruire il tutto con la propria creatività e prenderne coscienza.

ARCHIATI: Sì, ma non puoi uscire dalla prospettiva umana e metterti nella prospettiva divina.

SCALIGERO: Appunto!

VENETO: Michelangelo era Michelangelo anche prima di fare il Mosè, quindi lui è sempre lui; ad un certo punto lo pensa (il Mosè), se lo raffigura, va all’opera e poi se lo guarda. È sempre lui che fa tutti questi passaggi.

PAOLO: E tu credi che non sia cambiato dopo averlo fatto?

VENETO: Sì, giusto, sto dicendo: questa è l’evoluzione.

PAOLO: È una crescita sua. Nel momento in cui tu realizzi una cosa ti trasformi tu. Perché è la trasformazione che è nel fare la cosa. Questo è il processo vitale. Tu ti trasformi in qualche cosa che non puoi sapere prima che cosa sarai dopo; perché facendo quel Mosè – tant’è vero che gli viene diverso da quello che lui vorrebbe e perciò lo cambia – però lui si trasforma, no! Tu ti trasformi in un processo artistico, qualunque sia.

ARCHIATI: Allora, diciamo che la divinità si manifesta a due livelli – e nell’uomo c’è il terzo livello, quello dello Spirito Santo –: quello del Padre e quello del Figlio.

Una divinità che restasse – per usare le tue parole, che sono molto importanti – al di là di questa evoluzione, continuo cambiamento dell’umano, potrebbe essere in contemporanea. Ma se il Figlio, se il Logos, decide di diventare uomo, decide di immettersi nella corrente del prima e del dopo, dove il Logos stesso è in evoluzione; ma non per natura sua, ma per amore.

La mamma si evolve col bambino, ma non perché è bambina, ma per amore. Quindi, i quattro gradini che si susseguono nel tempo e che creano l’evoluzione, dove si impara, dove si cambia ecc., ecc., questa successione nel tempo la si può capire soltanto se al Dio che crea aggiungiamo il Dio che ama.

E lì le cose diventano più difficili perché non basta la pura speculazione del pensiero. Bisogna guardare alla divinità com’è realmente.

E se una mamma ama o non ama bisogna vederlo, bisogna percepirlo.

Quindi teoricamente sarebbe concepibile una divinità che dice: io non voglio partecipare all’evoluzione umana: allora potrebbe essere tutto in parallelo.

Se invece è una divinità che decide di partecipare all’evoluzione umana, allora deve, il divino stesso, la creazione divina, percorre un gradino dopo l’altro.

Quindi il Logos ha immesso nell’evoluzione la logica dell’amore. E quello è più difficile, più complesso.

Ed è quello che tu cercavi di dire: la logica dell’amore non può sapere in partenza quali bisogni saltano fuori dal bambino, devi restare in ballo, con quello che succede.

Diciamo allora che, nel cristianesimo, i misteri del Figlio, che interagisce con la creazione in tutt’altro modo che non il Padre, (diciamo allora) che siamo all’inizio. Perché la logica dell’amore è più complessa che non la pura logica intellettuale. La logica intellettuale va per necessità di pensiero, la logica dell’amore è di adattarsi, sempre, alla persona amata.

Voglio dire: un anno prima Giuda non voleva uccidersi; nel corso di un anno salta fuori l’impulso di togliersi la vita. Cosa fa la logica dell’amore? Deve fare scelte nuove che non c’erano un anno fa, comportamenti che non c’erano un anno prima.

VENETO: Mi nasce spontanea questa domanda, perché mi pare che stiamo parlando di un processo di evoluzione. Allora, in questo che tu stai dicendo viene subito da chiedere: ma il Cristo, un anno prima, sapeva che Giuda avrebbe fatto quella cosa?

ARCHIATI: Se l’avesse saputo non ci sarebbe libertà.

VENETO: Questo lo capisco.

ARCHIATI: La logica dell’amore è stata la decisione di immettersi nella corrente del “non sapere”, anzi del “non voler sapere”, per lasciare libero…

INTERV.: Quindi il Cristo non sapeva che doveva avvenire il suicidio?

ARCHIATI: Come faceva a saperlo?

VENETO: Stiamo dicendo cose grosse qui!

ARCHIATI: Eh, lo so! Quindi l’amore divino – ci sono conferenze di Steiner che esprimono proprio questo – il divino è onnipotente nel Padre; onnisciente, che sa tutto, nello Spirito Santo, ma l’amore è possibile soltanto rinunciando liberamente all’onnipotenza e all’onniscienza, ed è amore alla libertà umana.

Sarebbe come chiedere: il Cristo sa, o non sa, se Giuda si toglie veramente la vita?

Se lo sapesse con certezza non ci sarebbe libertà, ci sarebbe determinismo.

Quindi Parsifal – come immagine dell’amore – è l’inerme pazzo, che non sa nulla; soltanto così può amare. Inerme, pazzo. Matto!

VENETO: Dobbiamo rivedere un po’ di pensieri!

ARCHIATI: Perché no! Un’immaginazione fondamentale dell’essere dell’amore è che è crocifisso; senza sentimentalismi, eh!, cosa vuol dire che è crocifisso?

Senza potere perché non può muovere né braccia, né piedi. Quindi ogni potere: via! Altro che onnipotente!, impotente del tutto! E in quanto a sapere? Che stupido! Ha saputo benissimo come aiutare gli altri e non ha la minima idea di come aiutare se stesso! Inerme e stupido! Una immaginazione bellissima! Ancor più bella del roveto ardente.

Cosa ha fatto finora il cristianesimo? Solo sentimentalismi, non ci ha capito nulla!

L’amore è la decisione libera di rinunciare ad ogni potere e a rinunciare ad ogni prescienza, per rendere possibile la libertà.

Fai, Giuda, sei libero!

Che farà Giuda? Forse non lo sa neanche Giuda. Perché Giuda stesso, finché non si è tolta la vita, è sicuro che se la toglie? No!

Dice: magari la corda si rompeva…

La libertà è una gran bella cosa, ma è un abisso!

LUCIANA: D’altra parte la decisione amante del Cristo di esperire l’incarnazione in un corpo fisico porta di conseguenza che non poteva essere né onnipotente, né onniscente, perché doveva fare un’esperienza umana.

ARCHIATI: Però non comporta la totale impotenza e la totale nescienza. Questa è soltanto la scelta dell’amore. Quindi il concetto del Cristo non è che lui non è onnipotente e non è onniscente, è che è del tutto nescente e del tutto impotente; quindi puro amore. Questo è il concetto del Cristo. Noi siamo tutti almeno un minimo di potere, almeno un minimo; ma anche di più di un minimo. Almeno un minimo che vorremmo per saper dominare le cose.

L’amore puro: nulla di potere, nulla di prescienza. Cosa vuol dire nulla di prescienza?

Fiducia, in assoluto!

Perché voler sapere in partenza significa mettersi un po’al sicuro, in modo da…

Per non aver nulla già in partenza bisogna avere fiducia assoluta; quindi questo tipo di amore è fiducia assoluta nell’umano. Ed è una gran bella cosa!

E di fronte a Giuda si esprime: Giuda, dài fiducia alla tua libertà, fai! Non esistono comandamenti, non esistono ordini, non esistono poteri che richiedono da te, la tua evoluzione è nelle tue mani, fai! Impara da quello che fai!

Bello! Bello!

CARLO: Così anche il padre del figliol prodigo, ha rischiato, eh! Cioè non ha rischiato, gli ha dato fiducia: Vai!

ARCHIATI: Perché il padre si dice: se trova qualcosa meglio di me, eh!, trova qualcosa meglio di me. Allora io non sono il meglio. Dovesse essere che io sono il meglio, prima o poi lo vede; e ritorna, capito! E sta di fatto che è tornato.

L’essere umano continua a vedere se il mondo della materia è il meglio che ci sia. Però prima o poi dovrà concedere che non è il meglio che ci sia. E allora che fa?

Ritorna allo spirito. Perché se l’essere umano, veramente si trovasse meglio nel mondo della materia, allora il povero spirito… è un poveraccio! Perché se l’essere umano, veramente, si trovasse meglio nel mondo della materia, non sarebbe uno spirito.

E va tutto bene.

INTERV.: Questa manifestazione di amore è quella che si trova nel bambino. Come ne accenna Steiner, cioè che agiscono proprio le forze del Cristo nei primi anni. È una manifestazione in natura, si potrebbe dire.

ARCHIATI: Quindi non a livello conscio.

INTERV.: Non a livello conscio, sì. Lì abbiamo la fiducia totale: il bambino che si affida completamente, no? È inerme proprio, in fondo.

ARCHIATI: Riacquistate a livello conscio (le forze cristiche), che vuol dire?

Da adulti diventare bambini!

E qual è la conditio “sine qua non” per diventare bambini?

Terminare di esserlo! Perché non si può diventare ciò che si è già. Soltanto l’adulto può diventare bambino.

Quindi il senso dell’evoluzione è di riconquistarsi, liberamente, da adulti, la fiducia che il bambino ha per natura.

INTERV.: Che non è un ritornare…

ARCHIATI: Ma è un diventare. Quindi la dicitura non è: “ritornate” come bambini, ma è “diventate” come bambini.

Buon appetito a tutti, ci rivediamo stasera.

Venerdì, 26 febbraio 2010 - sera

ARCHIATI: Riprendiamo dal versetto 16. Questa sera, casomai, procediamo un po’ più speditamente col testo, in modo da portare a termine il capitolo VII, prima che ve ne accorgiate!

16 – L’essenza, poggiante in se stessa, di ciò che si può sperimentare idealmente, non ha, per la coscienza primitiva, lo stesso valore di realtà di quello che si può sperimentare coi sensi.

Ciò che sperimento coi sensi è più reale che non ciò che sperimento col pensare, dice la coscienza primitiva. Noi abbiamo tutti superato lo stadio primitivo, siamo almeno in seconda elementare!

Un oggetto afferrato nella “pura idea”, è semplicemente chimera, fino a che attraverso la percezione dei sensi non può venir fornita la prova della sua realtà. Per dirla in breve, l’uomo primitivo pretende, accanto alla testimonianza fornita dal pensare, anche quella reale dei sensi.

Quindi, non la testimonianza della percezione in quanto tale, che è a tre livelli, ma la percezione esterna, sensibile corporea.

In questo bisogno dell’uomo primitivo sta la ragione del sorgere delle più elementari forme di una fede basata sulla rivelazione. Il Dio datoci per via del pensare, rimane per la coscienza ingenua soltanto un Dio “pensato”. Eh!, che dio è un dio soltanto pensato!

La coscienza primitiva richiede che la rivelazione le venga data con mezzi accessibili alla percezione dei sensi. Il Dio deve apparire corporeo; si dà poco valore alla testimonianza del pensare, e se ne dà soltanto al fatto che la divinità viene provata per mezzo della trasmutazione, constatabile dai sensi, dell’acqua in vino.

Qualcuno qui ha detto: ma che c’entra l’evento di Cana con la Filosofia della libertà?

Io ho già detto tre volte che Steiner, ogni volta che parla di Cana, dice che per capire Cana si presuppone la teoria della conoscenza posta alla base della Filosofia della libertà, e qualcuno mi dice: che c’entra? C’entra, c’entra!

17 – Anche la conoscenza stessa appare all’uomo primitivo come un processo analogo ai processi dei sensi.

Cosa vuol dire conoscere qualcosa?

Che qualcosa di ciò che percepisco – un amico, una persona – mi viene addosso e io conosco; se no, se non c’è un influsso percepibile, cosa ho io dell’altra persona? Nulla!

Come faccio io a conoscere voi? Eh, percependo tutti gli improperi che mi state mandando, no! E gli improperi che mi mandate partono da là e arrivano qua! Allora sì che c’è qualcosa; ma se voi siete reali soltanto nel mio pensiero, che realtà siete?

Una realtà fatua, vaporosa!

LUCIANA: Che però ti guarda in cagnesco!

ARCHIATI: Eh, eh, eh! Allora quello arriva, capito! Quella guardata lì arriva!

Quindi, come avviene la conoscenza per la coscienza primitiva?

Ci deve essere un influsso, in qualche modo un’osmosi di qualcosa che se noi avessimo dei sensi più sottili… capito! (Disegna) Qui persona A e persona B, come si conoscono? Che passa tra A e B? Carmine, che passa?

CARMINE: Dipende dai sentimenti che ci sono dentro, se passa qualcosa. Se non attivo dei sentimenti…

ARCHIATI: Se ci sono soltanto pensieri, non c’è nulla!

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CARMINE: No, no, ci sono pensieri, ma occorrono anche sentimenti.

CARLO: Per l’uomo primitivo.

ARCHIATI: Eh, lui sta impersonando l’uomo primitivo, giustamente.

SIG.RA: Oggi si parlava di un ricordo, o mi sbaglio.

ARCHIATI: Ma cos’è un ricordo? Una rappresentazione: la percezione di una rappresentazione che mi è rimasta di una situazione vissuta con l’altro.

Allora, 17 – Anche la conoscenza stessa appare all’uomo primitivo come un processo analogo ai processi dei sensi. Le cose fanno un’impressione sull’anima, o danno immagini che vi entrano attraverso i sensi, e così via.

Quindi l’immagine dell’albero che vedo entra dentro di me; un passo dopo l’altro e… arriva dentro! Perché se non m’arriva dentro non c’è dentro!

In quale cassetto?

Tutto pensato sulla falsariga della percezione sensibile.

18 – L’uomo primitivo ritiene reale ciò che può percepire coi sensi; e ciò di cui non ha tale percezione (Dio, anima, conoscenza, ecc.) se lo rappresenta come analogo a quello che viene da lui percepito.

Quindi la conoscenza, il conoscere un’altra persona, dev’essere un qualche tipo di percezione, perché se non la percepisco, eh, non è reale! Quindi il conoscere è un tipo di percezione sottilissima, che sarebbe percepibile a sensi più sottili. Però la coscienza primitiva lo pensa sulla falsariga analoga al percepire.

19 – Se il realismo primitivo vuol fondare una scienza, non può farla consistere che in una precisa descrizione del contenuto della percezione.

In fondo, le scienze naturali sono un realismo primitivo! In che cosa consistono le scienze naturali? In una descrizione dei contenuti di percezione. Un esperimento che cos’è? Far una serie di percezioni e poi descriverle tali e quali come sono state vissute.

Vi ripeto la frase, la rileggo di nuovo e voi pensate alle scienze naturali e ditemi se nelle scienze naturali c’è qualcosa di più di quello che c’è scritto qui; io vi dico che non c’è nulla in più: se il realismo primitivo vuol fondare una scienza e vi dico: sono le scienze naturali non può farla consistere che in una precisa descrizione del contenuto della percezione.

Eh, proprio questo sono le scienze naturali! E dov’è il limite della scienza naturale? – nella fisica delle particelle ecc. – Il limite è dove termina la percezione!

CARMINE: Però oggi non più, non più oggi, questo! Non ci sono più percezioni nell’ambito della fisica teorica ecc.

ARCHIATI: È scienza allora? Continua ad essere scienza se non ci sono più percezioni? È pura speculazione! È pura speculazione perché non c’è più la percezione. Scienza è soltanto dove c’è la percezione. È il concetto moderno di scienza: ci vuole la percezione sensibile se no non è controllabile, non è verificabile.

I concetti sono per lui soltanto mezzi allo scopo. Essi esistono per fornire controimmagini ideali delle percezioni; rispetto alle cose in se stesse non significano nulla. Per il realista primitivo valgono come reali solamente i singoli tulipani che si vedono o si possono vedere; l’idea unica di tulipano cioè il concetto di tulipano è per lui un’astrazione, un’immagine mentale irreale che l’anima si è composta mettendo insieme le caratteristiche comuni a tutti i tulipani veduti.

Cos’è, per questa coscienza primitiva, il concetto di tulipano? Aria fritta! Ma neanche: aria fritta è già qualcosa. Nulla! Quindi, per la coscienza primitiva, lo spirito, lo spirituale – il concetto è una realtà spirituale – è nulla!

Per fare di questo”nulla” – incipiente, di partenza – il tutto della realtà, cosa bisogna fare?

Un cammino di autotrasformazione interiore.

Questa autotrasformazione interiore non si può fare per teoria; convincendosi: ah, no, no, non è vero che il concetto è aria fritta, invece il concetto è l’ambito più pieno di realtà. No!, bisogna esercitarsi, esercitarsi, esercitarsi; si tratta di esercitare una trasformazione interiore. Un cammino di purificazione, se volete.

Quindi, si potrebbe dire: la Filosofia della Libertà è scritta in un modo tale che, esercitando i pensieri esposti, sempre di nuovo, uno dopo l’altro, avviene questa transustanziazione del mondo e dell’uomo; per cui, se in partenza è più sostanziale, più essenziale, più reale, il lato materiale del mondo, alla fine di questo cammino diventa più sostanziale, più essenziale e più reale, ciò che è spirituale: il concetto.

Adesso qualcuno mi dirà: ma tu continui a parlare di cose religiose!

Stavolta te l’ho detto prima, ma ci calza, ci calza!

La transustanziazione che cos’è? È l’essenza della messa cristiana, eh!

Adesso, in chiave di Filosofia della Libertà, che cos’è la transustanziazione?

È un cambiamento di sostanza. Che vuol dire?

La transustanziazione del Logos – che poi è un fenomeno primigenio dell’operare del Logos nell’uomo – è una trasformazione interiore dell’uomo. L’uomo che all’inizio vive come più sostanziale la percezione, si trasforma interiormente in un modo tale che gli diventa più sostanziale il concetto.

Adesso io vi chiedo: che cos’è il pane, quel pezzetto di pane rotondo, bello bianco … so che voi non andate più a messa; però, da bambini, mi ricordo, quando quel pezzetto di pane, dopo la transustanziazione, dopo la consacrazione, veniva alzato, il campanellino suonava… quel paesino: Capriano del colle, si chiamava …questi contadini… un silenzio! Non guardavano mica il pane. Io da piccolino, tra le gambe della mamma pensavo: ma che è successo?

Ditemi voi che cos’è questo pezzetto di pane?

Se mi dite: è un pezzo di materia, siete una massa di teste bacate, bacate! Perché non avete colto assolutamente la realtà.

Non è un pezzetto di materia! La realtà di ogni materia è il pensiero del Logos che la intride! Quella è la realtà!

E quei cristiani, non è che lo facevano al livello di pensiero, come lo facciamo noi con la Filosofia della Libertà, ma il cuore glielo diceva!

Questo pezzo di pane si innalza e quello che non si vede è più reale di ciò che si vede; quello è la realtà; quella, quella è la realtà!

Ecco la transustanziazione! Lo spirito dell’uomo che si pone di fronte alla realtà!

Prima della transustanziazione gli è reale solo la materia; poveraccio! Dopo la transustanziazione gli diviene reale lo spirito che intride la materia.

Il pane è consacrato, o no?

O lo consacra il pensiero dell’individuo o resta eternamente sconsacrato! Soltanto il pensiero dell’uomo lo può consacrare!

C’entra?

MAURIZIO: Non riesco a capire…

ARCHIATI: Mi sono scalmanato e lui mi smonta, dice: non riesco a capire!

MAURIZIO: È una cosa simbolica. Diventa una cosa simbolica…

ARCHIATI: Ma scusa: il concetto di pane, il concetto di grano, è una cosa simbolica? Tu hai un pezzo di pane – non dev’essere rotondo, non importa nulla – hai un pezzo di pane… Un’arancia – lascia via il pane, se no tu dici: sei ancora in chiesa, lascia perdere la chiesa – un’arancia; io ti chiedo: qual è la realta di questa arancia?

MAURIZIO: È quella che vedo.

ARCHIATI: Nooooo! “È quella che vedo”, m’ha detto! Lo picchiamo? Sei rimasto nella coscienza primitiva.

MAURIZIO: Eh, sì.

ARCHIATI: E se la gode, tra l’altro!

MAURIZIO: Eh, me la godo… l’aureola non la vedo!

ARCHIATI: Vorresti vederla con gli occhi materiali! Che ce l’hai a fare il pensare?

MAURIZIO: Ci provo…

ARCHIATI: Eh, è questione di esercizio, vedi! Però prima dicevi: non ci capisco nulla; adesso, insomma …

MAURIZIO: Sì, ci provo.

LUCIANA: Posso dire una cosa? Quello che a lui crea difficoltà è l’atto sacramentale della messa, dove dicono che quel pezzo di pane diventa il corpo del Cristo…

ARCHIATI: Ma è la stessa cosa dell’acqua che diventa vino!

LUCIANA: Sì, lo so, aspetta! Voglio dire: quell’atto sacramentale, secondo me, da parte dell’officiante è: ricordare ai partecipanti – e in prima linea a se stesso che dietro la vera realtà del pezzo di pane, della materia – e di tutte le cose c’è l’essenza.

Questo dovrebbe essere il compito dell’officiante, perché poi quella comunione, noi, la possiamo fare ogni giorno ad ogni momento, quando affrontiamo la realtà con l’anelito della conoscenza, per trovare la vera essenza delle cose.

Adesso tu non ti fossilizzare sull’idea del prete che dice: adesso questo è pane e invece no, questo è il corpo (di Cristo). No, è un atto che ti vuol ricordare che dietro la materia, la vera essenza della materia…

ARCHIATI: È lo spirito!

LUCIANA: È il pensiero del Logos che ha pensato quella materia; che è il pane – che poi nel pane c’è il frumento, c’è il sole, c’è il pane e il vino, adesso non allarghiamo il discorso –. Però, adesso, se tu la cosa la vedi così, ti rimane più chiaro, hai capito? Perché è la pratica… forse anche tu sei cresciuto nella chiesa cattolica per cui trovi questa difficoltà.

MAURIZIO: Penso che chiunque, ogni persona qui presente trova difficoltà a vedere questa situazione. Da parte mia, penso, tutti trovano difficoltà perché se no tutto sarebbe risolto facilmente, sarebbe un elemento semplice da capire.

ARCHIATI: Quindi abbiamo un pezzo di materia: un’arancia, e diciamo: all’inizio del cammino di coscienza, dell’evoluzione della coscienza, la coscienza primitiva vive l’elemento di materia come più reale che non il concetto. Evolversi nella coscienza significa che di passo in passo il concetto lo vivo – ma non è che ci credo, non serve a nulla il crederci – ma mi diventa, nel mio vissuto – non soltanto nel convincimento teorico – vivo, sento il concetto come più reale che non la percezione.

Però è una faccenda di evoluzione interiore della coscienza; e l’affermazione dice: guarda che se tu non molli, se tu continui ad evolverti nella tua coscienza pensante, il concetto ti diventa, prima o poi e sempre più, più reale; una realtà più operante, più decisiva, più sostanziale, che non la materia.

Qual è un criterio per sapere cos’è più reale e cos’è meno reale?

Più reale è una realtà più capace di causare, causare, fare un putiferio; meno reale è qualcosa che non causa nulla, che non sa far nulla !

La materia sa far qualcosa? La materia dell’arancia non sa far nulla, sa soltanto farsi mangiare.

MAURIZIO: Sì.

ARCHIATI. Il concetto dell’arancia sa far qualcosa?

MAURIZIO: Il concetto dell’arancia…

ARCHIATI: Ti crea l’arancia materiale, vedi che è più reale!

MAURIZIO: È molto difficile, sarà difficilissimo questo concetto dell’arancia; solo pensarlo, è difficilissimo tutto quello che ci può essere dietro il concetto dell’arancia. Parlavamo ieri sera: su una foglia si potevano estendere così tanti pensieri che diventava infinito, no!

ARCHIATI: Sì, aspetta, prendiamo un’analogia, prendiamo il campo dove il pensare umano è veramente creatore, dove è talmente reale che ti crea qualcosa: una macchina.

Tu non hai bisogno di dirmi: questa macchina qui – supponiamo… datemi un esempio, una macchina, un’automobile – tu non hai bisogno di dirmi: guarda che questa automobile – complessissima, ecc., ecc., non importa nulla – chi l’ha creata?

Il pensiero! Talmente reale è il pensiero, vedi!

MAURIZIO: Sì, non serve sapere che ci sono 50.000 pezzi…

ARCHIATI: E come sono tutte le articolazioni dei pezzi fra loro.

MAURIZIO: Basta vedere l’insieme e sapere il concetto.

ARCHIATI: All’inizio cosa c’è?

MAURIZIO: C’è il pensiero.

ARCHIATI: Vedi che è reale; cioè il pensiero che sembrerebbe una cosa così fatiscente, così fatua, così irreale, è talmente reale che ti crea la macchina vera – che noi chiamiamo “vera” – talmente reale che è la causa della macchina materiale.

La macchina materiale sa causare qualcosa? Nulla, nulla! Quindi mi tocca dire: il concetto della macchina – complessissimo concetto – nell’architetto della macchina è più reale che non la macchina materiale.

Questa è la transustanziazione del mondo, dell’uomo; la trasformazione interiore.

MAURIZIO: Sì, ecco, ci ho un lampo di luce: dalla macchina dovrò transustanziarlo a questa aureola del pane… ci provo.

ARCHIATI: Ma scusa, se tu come spirito pensante, se tu fai l’esperienza reale, che è qualcosa di spirituale che crea ciò che è materiale, allora tutto ciò che è materiale come è stato creato? Dallo spirito!

E allora ti tocca dire; in tutto il creato materiale, all’origine, che cosa c’è di realtà, più reale che non tutto ciò che è materiale? Lo spirito che l’ha concepito!

MAURIZIO: Il creatore, la creazione.

ARCHIATI: Allora io ti chiedo adesso: come ha concepito la macchina lo spirito umano? Tu mi dici: è una cosa complessa; però un’idea ce l’hai: deve aver avuto un’intuizione complessa di una strutturazione di un sacco di parti.

Lo spirito divino che ha creato l’arancia, come l’ha concepita l’arancia? In un modo analogo.

MAURIZIO: In un modo analogo, sì.

ARCHIATI: Per un processo di intuizione.

MAURIZIO: E adesso invece là, è la stessa cosa?

ARCHIATI: È la stessa cosa: ha avuto l’intuizione del grano, della spiga, un concetto complesso di forme e di metamorfosi – lo stelo bello bello, esile esile, che sale fino a circa un metro, poi l’arista, la spiga, no! – son tutti pensieri, la deve aver pensata questa struttura!

Se tu hai l’intuizione di una macchina di 3.000 pezzi, non è che la metti insieme con 7000 pezzi, e non la puoi far saltare fuori con 50 pezzi. Quindi se la spiga è fatta così, se il grano cresce in questo modo, alla base ci sono pensieri ben precisi, un concetto complesso, però ben preciso.

MAURIZIO: Ben preciso, quello sì, a differenza di Michelangelo che strada facendo decideva poi all’ultimo momento di aggiungere o di tagliare dei pezzi; c’è questa differenza qua.

ARCHIATI: Questo avviene anche nel costruttore della macchina, che pensava di avere il concetto chiaro, però nel fare la macchina, salta fuori che deve rivedere un pochino il concetto, perché questo non si può fare, quest’altro invece non è stato pensato fino in fondo, ecc., ecc., capito!

Che differenza c’è tra il creatore umano e il creatore divino?

Il creatore divino va un po’ più a colpo sicuro!

MAURIZIO: E quanto un po’?

ARCHIATI: Un bel po’! Un bel po!

MAURIZIO: Ma tanto quanto?

ARCHIATI: Non totalmente: era il discorso che faceva lui questo pomeriggio; se non ci fosse nessun fattore di libertà, nessun fattore aperto, non sarebbe creazione, sarebbe determinismo. E perciò la Bibbia dice: l’appurare, il rendersi conto che è “tutto bello”, è venuto dopo! A noi non importa nulla speculare sull’eventualità che il mondo andasse un pochino storto mentre lo stava creando, a noi ci tocca di constatare che l’ha fatto in un modo bellissimo.

Creare è creare, non è un meccanismo, non è un determinismo. Poi creare l’uomo non è mica una cosa da poco, eh! perché manco creato, l’uomo si mette in testa di essere libero e dice: no, no, no, a me non va di fare come vuoi tu, io voglio fare un po’ diverso. Allora anche il Padreterno, soprattutto trattandosi dell’uomo, deve aggiustare il tiro facendo i conti con la libertà dell’uomo. Perché se la divinità avesse deciso di non fare i conti con la libertà dell’uomo, non ci sarebbe libertà. Se decide di fare i conti con la libertà dell’uomo, deve aggiustarsi continuamente. E questo aggiustarsi continuamente è l’elemento dell’amore; non lo si può dedurre per metafisica a suon di pensiero. È la logica dell’amore! La logica dell’amore è un adattamento all’infinito.

PATRIZIA: Ma quella trasmutazione avviene solo ad opera del celebrante? Quindi, voglio dire, anche io sono celebrante nel momento in cui creo questo…

ARCHIATI: Ma certo, ma certo!

PATRIZIA: Ecco perché oltre a pensare che l’aura è attorno a quella particola, c’è anche attorno al cibo che mangio, se io volessi…

ARCHIATI: Se c’è nel tuo pensare, se c’è nella tua coscienza.

PATRIZIA: Quindi la comunione la posso fare quando voglio.

ARCHIATI: Soltanto se la fai tu, per te è reale.

PATRIZIA: Sì, quando voglio io, no?

ARCHIATI: Sì, quindi la messa in chiesa è una pedagogia. Più presto si rende superflua e meglio è!

Il pedagogo è una cosa eterna? No! Più presto si rende superfluo e meglio è!

Questa transustanziazione, in chiesa, ha diritto ad esserci finché gli esseri umani sono bambini, che in chiave pedagogica gli devi dire che cosa sono chiamati a fare. Però, se le cose vanno bene, più presto che si può imparano a farlo, continuamente nella vita, allora il pedagogo che lo fa in chiesa sparisce, scusate!

PATRIZIA: Soprattutto quando c’è qualcuno che sembra che non ci creda lui, per primo.

ARCHIATI: No, ma è perché non ha capito.

PATRIZIA: No, parlo del celebrante.

ARCHIATI: Sì, ma è che non ha capito, non è che non ci crede; non ha capito di che si tratta!

PATRIZIA: È possibile?

ARCHIATI: È possibile nel senso che lui ha sempre pensato che soltanto lì avviene la consacrazione, quindi, non soltanto non ha capito, ma ha capito l’opposto, che se avviene soltanto lì è un menzogna di vita, perché in chiesa si dice una cosa e nella vita si fa l’opposto. Quindi la transustanziazione in chiesa ha diritto di esserci soltanto nella misura in cui la vita tende a diventare tutta così. E allora sparisce quella pedagogia che ti indica la strada.

PATRIZIA: Propedeutica, direi.

ARCHIATI: Pedagogica. È una pedagogia e ogni pedagogia è destinata a sparire il più presto possibile. Allora va tutto bene.

Quindi la transustanziazione… dove avviene la transustanziazione?

O nel pensare o mai!

Il pensare transustanzia la percezione in un concetto; un’altra transustanziazione non esiste!

E questa pedagogia del culto, mentre l’umanità era bambina, non capace di pensare questi pensieri – che in base alla scienza dello spirito cominciamo a pensare – gli mostrava, a livello del culto, alla coscienza bambina, ciò che è chiamata a fare, a compiere, man mano che diventa adulta.

Però, man mano che io divento adulto, il pensare – quindi la transustanziazione che compie il pensare – la compie continuamente!

Mica c’è bisogno di andare in chiesa per vedere che la fa l’altro, che poi non ci capisce nulla, tra l’altro.

PATRIZIA: Perché rischia di rimanere quasi una magìa, voglio dire, no!, che solo qualcuno può operare, e noi solo assistiamo a questo. Sembra veramente poco, per l’essere umano, un ruolo del genere.

ARCHIATI: E allora, a Cana, cos’è stato fatto? Qualcosa che sa fare soltanto lui, o qualcosa che siamo chiamati tutti a fare?

PATRIZIA: Eh, no, perché se quelli erano convinti, che erano lì, vuol dire che è successo in ognuno di loro la trasformazione.

ARCHIATI: Di che cosa?

PATRIZIA: Attraverso il gusto di un… no?

ARCHIATI: Hanno vissuto, in quelle ore, lo spirito come più reale che non la materia.

E una coscienza che vive lo spirito come più reale, più sostanziale, che non la materia, opera sul corpo in un modo tale che il corpo sente, al livello visivo, al livello olfattivo, al livello gustativo, un gusto come quando l’altro, normalmente, si può paragonare soltanto all’ebbrezza del vino.

Ma lo stato di coscienza, la coscienza è diventata diversa; perché il Logos, come dire, ha immesso forze logiche, di logica, di pensiero.

PATRIZIA: Sì, ma nonostante loro però; quasi un’ipnosi…

ARCHIATI: No, sta attenta, sarebbe come dire: il maestro nonostante il bambino gli fa da pedagogo, scusa! La pedagogia è proprio una sostituzione provvisoria, capito! È nel concetto di pedagogia.

LUCIANA: Stiamo parlando del primo segno.

ARCHIATI: Ed è il primo segno, tra l’altro, di sette. Perché poi, Lazzaro non è così passivo come i commensali a Cana di Galilea: Lazzaro è proprio l’essere umano che diventa lui, adesso, il pensatore, capito!

Quindi tutti i segni dell’operare (del Cristo) sono una pedagogia, però una pedagogia che non vuole sostituirsi al pensare umano. Una pedagogia per aiutare l’essere umano a diventare, sempre più lui, un pensatore sempre più micidiale.

PATRIZIA: Sempre più indipendente da un’autorità esterna, no!

ARCHIATI: Ma certo! Ma certo! Il senso delle chiese è che diventino tutte, a ragion veduta, il più presto possibile tutte vuote; se no non raggiungono mai il loro senso. Il senso di un pedagogo si compie quando sparisce, quando non ce n’è più bisogno, scusate! È così ovvio!

Quindi la coscienza che vive la transustanziazione soltanto in chiesa è una coscienza bambina e dimostra di essere bambina perché non ha ancora capito di che si tratta. Si tratta di portala fuori della chiesa, in tutta la vita.

SIG.RA: Scusi, ma per un cattolico convinto che va a prendere l’eucarestia, lì c’è il Cristo?

ARCHIATI: Certo, lui dice: non è più soltanto pane, ma c’è il corpo del Cristo. Ma di che cosa è convinto?

SIG.RA: Di essere cattolico

ARCHIATI: Di essere cattolico, ma che mi dice? Non mi dice nulla! Cioè, se gli chiedo: tu a cosa credi? Cosa è successo a quel pane lì?

SIG.RA: Che lì c’è il Cristo, che s’è incarnato il Cristo in quel pane; quindi lui assume il Cristo.

ARCHIATI: Ma che mi dice? S’è incarnato il Cristo nel pane, non mi dice nulla! Una baggianata! Ma scusa, come fa il Cristo a incarnarsi nel pane?

SIG.RA: Quando viene consacrato che significa? Significa che c’è lo spirito che…

ARCHIATI: Ma si incarna in un pane e non in me che sono uno spirito creatore?

SIG.RA: Sì, sì, questo lo capisco, però questo viene detto in chiesa.

ARCHIATI: Ma noi adesso stiamo – senza polemica, le cose sono serie – stiamo chiedendoci che c’è dietro questa frase: il Cristo si incarna nel pane.

SIG.RA: C’è lo spirito, lo spirito è nella materia

ARCHIATI: Quale spirito?

SIG.RA: Il Cristo.

ARCHIATI: E perché soltanto nel pane, e perché non in mia mamma?

SIG.RA: Perché lì c’è il prete che attraverso di lui, attraverso il culto, effettuano questa…

ARCHIATI: Scusa, ma perché il Cristo dev’essere più presente nel pane che non in mia mamma? Me lo dici?

NADIA: Mangiatene, questo è il mio corpo!

ARCHIATI: Sì, ma soltanto il pane, o il pane rappresenta tutta la materia?

NADIA: Ma se diceva, magari, il pane e salame, allora ci mettevano anche il salame.

ARCHIATI: Io ho chiesto soltanto a te, alla tua testa: vale solo per il pane o il pane rappresenta tutta la materia?

NADIA: No, per loro è simbolico.

ARCHIATI: Che vuol dire simbolico?

NADIA: Cioè hanno preso il pane perché Cristo ha detto: prendete, mangiate, questo è il mio corpo, ma il pane è qualsiasi cosa. Dipende da quello che tu intendi per pane. Il concetto di pane è l’origine del pane che mangiamo, ma tutto il resto è fatto della stessa sostanza.

ARCHIATI: Il pane rappresenta tutta la materia, e di ogni frammento di materia il Logos dice: tutto ciò che è materia è corpo del Logos, o non sarebbe nulla !

LUCIANA: Infatti dice (poi): fate questo in memoria di me…

ARCHIATI: Dell’io.

LUCIANA: Che sono l’essenza di tutto!

ARCHIATI: Io sono l’essenza di tutto!

Fatemi dare i numeri se no non andiamo avanti.

20 – In contraddizione col realista primitivo, col suo principio fondamentale della realtà di quanto è percepito, sta l’esperienza, la quale insegna che il contenuto delle percezioni è di natura transitoria. Un corpo che vedo, il pane che vedo, oggi c’è domani sparisce. Il tulipano che io vedo è oggi reale: fra un anno sarà scomparso nel nulla. Quello che si mantiene è la specie tulipano.

Cos’è la specie tulipano?

CARMINE: Il concetto.

ALTRI: Il pensiero. L’essenza.

ARCHIATI: Il concetto!

Uno crea la vespa – la motoretta – una specie di motoretta; una vespa singola, scassata, è sparita. Cosa resta della vespa? La struttura mentale. Quella è la realtà della vespa.

MAURIZIO: L’immagine.

ARCHIATI: No, no, no, il concetto, non l’immagine, non la rappresentazione: il concetto, il concetto è una struttura mentale.

CARLO: Che ne puoi rifare un’altra!

ARCHIATI: Che ne puoi rifare un’altra, anche una terza, una quarta e una quinta!

Quindi la realtà di ogni cosa è la struttura di pensiero. E come chiamiamo noi la struttura di pensiero? Il concetto.

Quindi la realtà del tulipano che cos’è?

La struttura di pensiero di tulipano, il concetto di tulipano, quella è la realtà.

Il tulipano che io vedo è la realtà somma del tulipano?

No, mi evidenzia esteriormente il tulipano, ma il tulipano è invisibile, è una struttura di pensiero; complessa, naturalmente; così come è complessa la stuttura di pensiero che fa saltar fuori una vespa.

MAURIZIO: Anche l’arancia.

ARCHIATI: L’arancia è la stessa cosa, vale per tutte le cose, vale anche per il pane, tale e quale.

Quindi la realtà del pane, la realtà del grano, cos’è?

Una struttura di pensiero; questo che stavamo dicendo.

Allora, prima della transustanziazione, la mia coscienza è così materializzata, è così decaduta, che mi è più reale la materialità del grano. Se transustanzio la mia coscienza mi diventa sempre più reale la struttura di pensiero.

LUCIANA: E il prete gli dovrebbe far ricordare questa realtà.

ARCHIATI: E se non l’ha capita neanche lui, poveri noi!

INTERV.: Mi è venuto il pensiero: ma è possibile che nessun uomo primitivo sia arrivato al concetto e al pensiero? Che insoddisfatto di avere… ci abbia pensato sopra?

ARCHIATI: Certo, facendo quello (il pensare) termina di essere primitivo.

INTERV.: Ah, quindi è possibile; come è possibile che oggi qualcuno sia ancora primitivo?

ARCHIATI: Scusa, colui che ha scritto la Filosofia della Libertà è rimasto al livello primitivo?

INTERV.: No, già lui mi sembra non sia primitivo. No, io dicevo nel passato storico. Posso anche concepire che un primitivo, lei diceva che primitivo…

ARCHIATI: No, non è primitivo nel senso del tempo, eh! Perché, diciamo, la coscienza, 4.000 anni fa, aveva un sentimento – un sentimento però – della realtà dello spirito. Questo sentimento, questa fede nello spirito è sparita sempre di più. Quindi noi stiamo parlando di coscienza primitiva, che non è primigenia: è la coscienza decaduta dell’uomo materialista d’oggi.

Quindi il concetto di coscienza primitiva è quel tipo di coscienza per la quale la percezione è più reale del concetto. E perché è primitiva? Perché non ha capito nulla! (non ha capito) che l’opposto è vero, che la struttura di pensiero è molto più reale, perché causa tutto ciò che salta fuori a livello di materia, mentre la percezione è molto meno reale che non il concetto.

Prendiamo l’arancia, nell’arancia cos’è più reale, il concetto, la struttura di pensiero, o la materialità? Per la coscienza primitiva è più reale la materialità; nella misura in cui evolve, si transustanzia la coscienza e gli diventa sempre più reale, sempre più sostanziale, il concetto, la struttura di pensiero.

Perché capisce sempre meglio: il concetto crea la macchina, la vespa reale esterna; ma la vespa reale è talmente irreale che oggi c’è e domani non c’è, e non causa nulla.

MAURIZIO: Ma dopo quelli (i commensali di Cana) ci provavano gusto, gli sembrava che bevessero vino, invece bevevano acqua. Si ritorna sempre su questo…

ARCHIATI: Ma, scusa, se tu fai l’esperienza dell’ebbrezza, io ora ti chiedo: tu ti godi l’esperienza dell’ebbrezza, o ti godi il fatto che sia vino o che sia acqua? Tu vivi l’esperienza dell’ebbrezza. Se puoi vivere l’esperienza dell’ebbrezza bevendo acqua, hai tutti i vantaggi, non pigli la sbornia e non devi pagare.

MAURIZIO: E ma tutto questo, allora, forse, poteva essere carino spiegare come si poteva trasformare anche per noi. Come si può fare questa cosa qua.

ARCHIATI: E cosa stiamo facendo?

MAURIZIO: Se no ci giriamo sempre attorno…

ARCHIATI: No, te ci giri attorno!

MAURIZIO: Allora chiedo se si può, come si può transustanziare da una visione dell’arancia come percezione a quella dell’arancia come concetto. Questo mi piacerebbe…

ARCHIATI: Che io lo facessi per te?

MAURIZIO: Come pedagogo, però. (PUBBLICO: applausi, risate)

ARCHIATI: Ieri sera dicevo: datti una calmata, in questo caso devo dirgli: datti una mossa!

In altre parole, tu chiedi come si fa a render lo spirito – i concetti sono frammenti di spirito – sempre più reali, più sostanziali. Esercitando, provando e riprovando.

C’è una persona cara: finché c’è… finché c’è, diciamo, una bella amicizia; un bel giorno sparisce; magari (era) giovane… sparita!

Tutto dipende da quanto ti è reale la realtà spirituale; perché la realtà spirituale di questa persona, la sua realtà animica resta illesa; tale e quale; solo il corpo è sparito.

Quindi per la persona più materialistica è sparito tutto, perché non ha mai esercitato di vivere come reale ciò che è animico, ciò che è spirituale.

E le persone sono molto diverse, l’una è più materialistica, l’altra… Quindi il senso della scienza dello spirito è di rendere, attraverso esercizi, passo dopo passo, tutto ciò che è spirituale, sempre più reale. E diventa sempre più reale, e il mondo viene transustanziato.

Una persona cara è più reale con la presenza fisica, o è più reale quando è lontana?

Dipende: per il materialista è più reale quando è vicina, quando c’è il pezzo di materia; per una persona più spirituale, può diventare addirittura più reale, più presente, più forte, quando materialmente è lontana .

LUCIANA: Può essere lontanissima quando è presente fisicamente.

ARCHIATI: Sì, può essere lontanissima quando vive soltanto il pezzo di materia.

MAURIZIO: E quindi si ritorna sempre sul pensare, praticamente.

ARCHIATI: Il pensare sforna concetti, per intuizione. Il concetto “vespa” com’è nato? Diccelo.

MAURIZIO: Stavo concentrato sulle ultime frasi, quindi non riuscivo… quello della vespa lo vedevo come una cosa molto superficiale rispetto all’altro.

ARCHIATI: Eh, no è; io ti ho chiesto il concetto, la struttura mentale della vespa.

MAURIZIO: È superficiale.

ARCHIATI: No, la struttura di pensiero della vespa, perché è superficiale?

MAURIZIO: Perchè riesco ad immaginarla, sia come impianto elettrico, sia come impianto di benzina e tutte le parti insomma; riesco ad immaginarle.

ARCHIATI: Quindi, lo riassumiamo, il concetto di vespa; da dove è sorto?

MAURIZIO: È sorto da una progettazione…

ARCHIATI: Dal pensare!

MAURIZIO: Dal pensare. Però questo… è facile pensare alla vespa. È proprio facilissimo!

ARCHIATI: Ah, sì?

MAURIZIO: E magari ce ne fossero 20.000 di vespe!

ARCHIATI: E quando l’hai inventata te la vespa?

MAURIZIO: Ma non l’ho inventata io, però…

ARCHIATI: Però la sapresti fare!

MAURIZIO: Ma sì, si può, si può. Saranno 4000 pezzi, non so, non di più, insomma non sono tanti, no! Invece l’arancia, che ce la portiamo da milioni di anni, ce ne avrà più di 20.000 pezzi, immagino.

ARCHIATI: No, no, no, ciò che fa più complesso il concetto di arancia è che c’è un salto di qualità. Oltre al mondo delle forme, c’è il mondo del vitale.

MAURIZIO: È vegetale, certo, sì. E non solo, ci sarebbe da pensare molto.

ARCHIATI: Lì, noi diciamo, in questa fase evolutiva, lo spirito umano non è creatore al livello del vitale, è creatore soltanto al livello del minerale.

MAURIZIO: Per quello la vespa è più facile. Quindi se arrivassimo al quarto livello, che è quello umano, oppure spirituale, c’è solo un piccolo concetto, si ha bisogno di un’intera vita per poterlo assimilare.

ARCHIATI: Però l’origine, il processo creativo, è lo stesso.

MAURIZIO: Però comunque c’è sempre un piccolo passo. Il cominciare è un piccolo passo: bisogna transustanziare dalla percezione al concetto; da quello che ho capito, non lo so se vale solo per me, giorno dopo giorno, nella vita quotidiana, si riesce a fare questi piccoli esercizi di pensiero; poi, man mano, diventa più facile fare questa transustanziazione, e si ha comunque una visione più elevata rispetto a quella materiale, che è quella della percezione. O c’è, o non c’è. Grazie di quella vista che mi hai dato!

ARCHIATI: Vedi che le capisci allora le cose. Adesso le hai dette con parole tue e va benissimo.

Quindi quello che tu dicevi era: non mollare mai, continuare ad esercitare il pensare, perché il pensare transustanzia ogni cosa; che prima del pensare è reale, è sostanziale, la percezione e col pensare diventa reale e sostanziale il concetto. E si tratta di continuare ad esercitarsi.

MAURIZIO: Sì, a me mancava il fatto che bisognava farlo questo esercizio.

ARCHIATI: Ah, pensavi che dovevo farlo io per te?

MAURIZIO: Ma non conoscevo quale era la strada che si poteva… non ne sentivo l’utilità, invece adesso ho capito qual è la differenza, che è grandissima. Grazie!

ARCHIATI: Bene, bene, sei stato bravo!

Il realismo primitivo deve cioè lasciar sussistere, accanto alle percezioni, anche qualche cosa d’ideale. Esso deve accettare delle entità che non può percepire coi sensi, si mette allora d’accordo con se medesimo, pensando il loro modo di essere analogo a quello degli oggetti dei sensi. Realtà di tal genere, prese come ipotesi, sono le forze invisibili per mezzo delle quali agiscono una sull’altra, reciprocamente, le cose percepibili coi sensi. Una è l’ereditarietà, che si propaga al di là dell’individuo, ed è la ragione per cui da un individuo se ne sviluppa un altro che gli somiglia, assicurando la conservazione della specie. Una seconda è quel principio vitale che penetra tutto il corpo organico, l’anima, il cui concetto nella coscienza primitiva è sempre formato per analogia con le realtà sensibili. Una terza è finalmente, per l’uomo primitivo, l’essere divino. Questo essere divino vien pensato attivo in un modo che corrisponde assolutamente a quello che può essere percepito come modo di agire dell’uomo stesso, cioè antropomorficamente.

L’essere divino parla, si presenta, agisce in un modo analogo a come fa l’essere umano, altrimenti non è una realtà.

Allora, prendiamo l’ereditarietà, l’anima e la divinità – i tre famosi punti di Kant –, quindi corpo, anima e spirito.

A livello corporeo: ereditarietà; a livello di anima, mettiamo: l’immortalità, e come l’anima influisce sul corpo, quindi l’interazione tra anima e corpo; e lo spirito: la divinità, Dio.

Come salta fuori il figlio? Abbiamo papà e mamma che esercitano un influsso sul fantolino. Come avviene questo influsso, di trasmissione di forze ereditarie?

La coscienza primitiva immagina – se noi avessimo dei sensi più sottili lo percepiremmo – delle forze che vengono trasmesse, sottili, sottili, e vanno da papà e mamma al figlio. Se no come salta fuori la somiglianza?

PATRIZIA: Dai cromosomi, dai geni, no! dal punto di vista biologico, materialistico. E invece l’uomo più evoluto che vuol sapere…

ARCHIATI: Allora, supponiamo che, nella mamma e nel papà ci sia un mucchio di geni, come un mucchio di mattoni. Questo mucchio di geni vengono trasmessi al bambino e salta fuori il bambino. È così che avviene?

INTERV.: È lo spirito del bambino che sceglie.

ARCHIATI: E struttura! Con che cosa? Con una sua struttura di pensiero.

Quindi, dire che i materiali vengono tutti dai due genitori è vero, è giusto, ma non dice ancora nulla. È come dire: Tutti i mattoni di una casa vengono dal mucchio che stava là. Ma il mucchio di mattoni, di tegole ecc., che stava là, è la causa della casa?

Quindi il mucchio di mattoni ereditari di papà e mamma non è la causa del corpo del bambino; è soltanto il materiale di cui il bambino si serve, ma la strutturazione – perché la casa è una struttura, non è un mucchio di mattoni – la struttura da chi viene?

Dallo spirito pensante di ciò che noi chiamiamo il figlio.

Quindi l’ereditarietà che cos’è? Mettere a disposizione i mattoni, e basta!

Perché lui li dispone in un modo somigliante?

Perché il suo spirito è somigliante. Essendosi influiti per dei secoli, per dei millenni, per successive incarnazioni, hanno dei tratti comuni, simili, per cui lui, nel suo spirito, architetta i mattoni che gli si mettono a disposizione con certi tratti simili ai genitori. Ma la somiglianza non gli viene data dai genitori. Ce l’ha già lui nel suo spirito.

I tre spiriti hanno tratti simili, e quindi imprimono alla materia dei tratti simili; ma, all’origine, è sempre lo spirito.

INTERV.: Molte volte la somiglianza è più della madre che del padre e non si riconoscono i fratelli perché uno somiglia tutto alla madre e l’altro al padre. Perciò c’è il rapporto solo con quella persona a cui io somiglio, diciamo (rapporto) karmico.

ARCHIATI: E questo sarebbe un aiuto per capire che la somiglianza, allora se è così selettiva, non può venir riferita ai mattoni, perché i mattoni sono uguali per tutti e due i genitori. Perché sarebbe assurdo dire: quello lì ha preso un paio di mattoni in più dalla mamma e quello lì ha preso un paio di mattoni in più dal padre; è assurdo!

È chiaro che la somiglianza vive nello spirito e nell’anima di colui che si incarna. E se nel corso dei secoli ha creato una maggior somiglianza con la madre, questa somiglianza è nel suo spirito e nella sua anima e si esprime nel corpo, come conseguenza.

LUCIANA: Somigliano pure ai nonni.

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ARCHIATI: Certo, anche i nonni fanno la differenza.

PATRIZIA: Saremo sempre in questo circolo famigliare?

INTERV.: Sta alla libertà del bambino…

ARCHATI: Ma non è un bambino, eh!

INTERV.: Sta nello spirito del bambino ad uscire dall’ereditarietà e diventare un io che si evolve.

ARCHIATI: Certo, certo.

INTERV.: A seconda della sua evoluzione.

ARCHIATI: A seconda dello stadio della sua evoluzione

INTERV.: E quindi può cambiare anche i tratti somatici a seconda della sua evoluzione spirituale.

ARCHIATI: Certo!

Esso deve accettare delle entità che non può percepire coi sensi, si mette allora d’accordo con se medesimo, pensando il loro modo di essere analogo a quello degli oggetti dei sensi. Realtà di tal genere, prese come ipotesi, sono le forze invisibili per mezzo delle quali agiscono una sull’altra, reciprocamente, le cose percepibili coi sensi. Una è l’ereditarietà, che si propaga al di là dell’individuo, ed è la ragione per cui da un individuo se ne sviluppa un altro che gli somiglia, assicurando la conservazione della specie. Una seconda è quel principio vitale che penetra tutto il corpo organico, l’anima, il cui concetto nella coscienza primitiva è sempre formato per analogia con le realtà sensibili.

Cosa fa l’anima nel corpo?

Influisce sul corpo in modi sottilissimi, però se noi avessimo dei sensi di percezione più sottili, percepiremmo il modo in cui l’anima agisce sul corpo – secondo la coscienza primitiva –. Perché per la coscienza primitiva è reale soltanto ciò che è, di principio, percepibile. Se non realmente percepibile ai nostri sensi grossolani, per lo meno, per principio percepibile, se noi avessimo dei sensi più fini.

Se noi avessimo dei sensi più fini percepiremmo il modo in cui l’anima agisce sul corpo. Perché se non è assolutamente percepibile non è reale, secondo la coscienza primitiva. Quindi è chiaro che l’assunto fondamentale per la coscienza primitiva è che è reale soltanto ciò che è percepibile ai sensi.

Una seconda è quel principio vitale che penetra tutto il corpo organico, l’anima, il cui concetto nella coscienza primitiva è sempre formato per analogia con le realtà sensibili. Una terza è finalmente, per l’uomo primitivo, l’essere divino. Questo essere divino vien pensato attivo in un modo che corrisponde assolutamente a quello che può essere percepito come modo di agire dell’uomo stesso, cioè antropomorficamente.

Dio diventa reale soltanto se diventa in qualche modo percepibile. A Mosè, si è reso percepibile come roveto ardente; e questo dimostra la sua realtà, perché si rende percepibile – per la coscienza primitiva –. Un Dio puramente spirituale non è reale per la coscienza primitiva, perché è solo pensato.

La vespa, al livello di struttura di pensiero, che è? È una realtà? Che realtà è: ci cavalchi sopra?

MAURIZIO: No, è il concetto!

ARCHIATI: È una realtà?

MAURIZIO: Sì, la ricostruisco mentalmente e quindi…

ARCHIATI: Ma un costrutto mentale non è una realtà.

MAURIZIO: Stai facendo delle prove con me!

ARCHIATI: Certo, certo, sono gli esercizi di cui dicevamo prima, capito! Si tratta di esercitare… tu non mollare! È una realtà o no?

MAURIZIO: Quale realtà, della vespa nella mia testa, se è una realtà?

ARCHIATI: Sì! perché?

MAURIZIO: Perché ho il concetto, non mi interessa di percepirla, riesco ad avere il concetto.

ARCHIATI: Ma è solo pensato, che realtà è?

MAURIZIO: E ti sembra poco il pensare! (PUBBLICO: risate, applausi!)

ARCHIATI: Oh, sta facendo dei passi giganteschi! Te, del pedagogo non ce ne hai più bisogno! Torno in Germania; basta ciao, ci vediamo!

Vedi che funziona! Ma tu, perché non hai mollato adesso? Perché lo sai che da quel pensiero lì è saltata fuori la vespa reale, se no non staremmo a parlare della vespa.

MAURIZIO: Sì, ma va bene anche per un altro oggetto, diciamo. Sì, sì, per la vespa era molto facile perché è materiale, però possiamo estendere…

ARCHIATI: Vale per ogni cosa.

MAURIZIO: Vale anche per il vegetale.

ARCHIATI: Certo, per ogni cosa! Il cane, il cane; qual è la realtà più forte, più reale, del cane?

MAURIZIO: È il segno zodiacale! ( PUBBLICO: risate!)

No, no, è la fedeltà!

ARCHIATI: Io ero sicuro che mi diceva: il concetto! Ah, ah, te lo sei dimenticato?

MAURIZIO: No, no.

ARCHIATI: E cosa aspetti a dirlo! Qual è la realtà più reale del cane?

MAURIZIO: È il concetto

ARCHIATI: E allora, che aspetti a dirmelo!

MAURIZIO: Eh, ma è mica piccolo così, il concetto.

ARCHIATI: E chi l’ha creato questo concetto? Il creatore del cane, eh!

MAURIZIO: Eh, il creatore del cane; sì, è quello!

ARCHIATI: Sì, è quello, è quello. Una bella pensata, no!

MAURIZIO: Altroché!

ARCHIATI: Vedi che si capiscono le cose! E sono fondamentali come dicevi tu prima. Perché senza la pensata del cane non ci sarebbe nessun cane percepibile.

È ben complessa, eh! È più complesso fare un cane che non fare una vespa.

MAURIZIO: Però se facciamo questa scuola, diciamo, possiamo poi riuscire ad arrivare al quarto livello; avere un concetto anche dell’umano, no!

ARCHIATI: Certo, tu come ti chiami?

MAURIZIO: Maurizio.

ARCHIATI: La realtà, il livello più reale di ciò che tu chiami “Maurizio”, cos’è?

MAURIZIO: Il livello più reale…

ARCHIATI: Di te!

MAURIZIO: Il livello più reale è il concetto di me.

ARCHIATI: Eh, eh, e chi l’ha pensato questo concetto? Il creatore di Maurizio! Perché se non ci fosse mai stato un creatore di Maurizio, che si è fatto il concetto di Maurizio, questo Maurizio qui, percepibile, non ci sarebbe. Fila il discorso?

MAURIZIO: Sicuro!

ARCHIATI: Tu volevi aspettare un altro millennio per arrivare al livello umano? Ci siamo subito, no! È sempre la stessa cosa, cioè: il processo creatore del pensare è lo stesso al livello minerale, al livello vegetale, al livello animale e al livello umano.

MAURIZIO: Però era più semplice il concetto della vespa! (PUBBLICO: risate)

ARCHIATI: Ah, vuoi dire che il concetto di Maurizio è un pochino più complesso?

MAURIZIO: Eh, certo, ci vuole più tempo.

ARCHIATI: Se mi stai dando tanto filo da torcere, per forza è più complesso, scusa!

MAURIZIO: Eh, certo.

ARCHIATI: Adesso io ti chiedo però: tu cosa godi di più, un concettino da nulla o un concetto complesso?, dove c’è da…

MAURIZIO: Beh, la difficoltà è affascinante!

ARCHIATI: Eh, eh, eh!

MAURIZIO: Perché poi l’acqua diventa vino, praticamente.(PUBBLICO: risate, applausi)

ARCHIATI: Oh, aveva detto peste e corna che (il discorso dell’acqua in vino) non c’entrava nulla e adesso è lui che tira fuori l’acqua e il vino!

Ma allora è acqua o è vino?

MAURIZIO: È difficile trovare dopo il piacere… diventa molto… si gode di più… facevo l’esempio che poi l’acqua diventava vino.

ARCHIATI: Allora, supponiamo adesso che tu te la stai godendo…

MAURIZIO: Sono d’accordo che è più interessante affrontare una difficoltà di un essere umano, quale il sottoscritto Maurizio, che il concetto di una vespa; quello della penna bic sarebbe ancora più facile. (ancora risate)

21 – La fisica moderna attribuisce le nostre sensazioni a processi delle particelle piccolissime dei corpi e di una materia infinitamente sottile, l’etere, o a qualcosa di simile. Ciò che noi sentiamo, ad esempio, come calore è un movimento, entro lo spazio occupato dal corpo produttore di calore, delle sue particelle. Anche qui si immagina un impercepibile per analogia col percepibile. L’analogo sensibile del concetto “corpo” è in questo senso l’interno di uno spazio chiuso da ogni parte, nel quale delle sfere elastiche si muovono in tutte le direzioni, si urtano fra loro, rimbalzano contro le pareti, e così via.

Cos’è un corpo?

La coscienza primitiva dice: il corpo è un’autopercezione di un’infinità di movimenti, di urti, ecc., e tutto quello che non è percepibile, se avessimo dei sensi più sottili, anche introspettivi, lo percepiremmo.

La coscienza più evoluta dice: no, anche il corpo è una struttura di pensiero. Un concetto complesso. Un organismo.

Certo che c’è anche il modo di interagire delle parti fra loro – anche nella vespa le parti interagiscono fra di loro –. Però questo interagire delle parti, cos’è? Sono tutti pensieri! All’origine sono tutti concetti. E il livello di percezione evidenzia i concetti.

Cos’è un piede?

CARMINE: È una parte del corpo.

ARCHIATI: È un elemento di una struttura di pensiero.

SIG.RA: Ma è un elemento percepibile. Una manifestazione comunque di un pensiero, no!

ARCHIATI: Io non ti ho detto cos’è un piede fisico, io ti ho chiesto cos’è un piede. Vedi! E se ci fosse anche un piede eterico?

SIG.RA: Certo!

ARCHIATI: Non è esteriormente percepibile, però resta un elemento di una struttura di pensiero.

SIG.RA: Ma siccome prima dicevamo: corpo, che cos’è un corpo, allora io intendevo un corpo come manifestazione di un pensiero, una manifestazione percepibile di un pensiero.

ARCHIATI: Però presupponi, spontaneamente, che ci aggiungi la parola: fisico; perché anche il corpo eterico è un corpo, vedi! E questo sta a dimostrare che noi siamo abituati, in questa fase di materialismo, a fissarci sulla sensazione corporea visibile, esteriormente visibile; quindi, corporea, fisica, materiale, l’elemento materiale. E la sapienza orientale ci ricorda: guarda che tutto ciò che è materiale è MAIA, illusione, non è una realtà; perché oggi c’è e domani non c’è; però ti evidenzia, ti rende percepibile la realtà; e la realtà è sempre una realtà spirituale; e soltanto lo spirituale è reale.

Se il piede non fosse mai stato pensato, non ci sarebbe mai stato; quindi l’origine è sempre il pensiero.

Però è stato creato, è stato pensato, nel contesto di un organismo; perché il piede non è una realtà a sé stante, ma fa parte di un organismo.

E il piede individualizzato di Maurizio da dove viene?

MAURIZIO: Dall’evoluzione della specie.

ARCHIATI: No, il piede di Maurizio, in quanto uguale, nei suoi tratti uguali, a tutti gli altri piedi; ma io ti ho detto: il piede individualizzato nei suoi tratti che sono unici.

MAURIZIO: Dipende dall’ereditarietà il mio piede, rispetto a quello unico…

ARCHIATI: Oh, povero me!

LUCIANA: Beh, vabbè. Quanti passi gli vuoi far fare!

MAURIZIO: Hai detto quello lì (indica il disegno), Maurizio quello del disegno?

ARCHIATI: Sì, Maurizio questo fantolino qui, in mezzo (ai genitori nel disegno), eh! Allora, dimmi, guarda che hai barato, hai detto delle cose mica giuste!

MAURIZIO: Una persona per un intero tempo della vita, ha bisogno sempre della percezione. Questa sera ho fatto questo piccolo cambiamento, ma è facilissimo ritornare sempre nella strada che conoscevo.

ARCHIATI: Perciò ora ritorna di nuovo al passo giusto. Da dove viene il tuo piede in quanto unico tuo, diverso da quello di papà e mamma?

MAURIZIO: Viene da una bella pensata.

ARCHIATI: Di chi?

MAURIZIO: La mia pensata…

ARCHIATI: Come spirito che vuole incarnarsi…

MAURIZIO: Come spirito che vuole incarnarsi…

ARCHIATI: Con piedi suoi! Che corrispondono al suo spirito.

MAURIZIO: Con piedi ben pensati, penso, con piedi voluti, che si avvicinano allo spirito che vuole.

ARCHIATI: Esatto! Quindi tu, i mattoni per fare i tuoi piedi, li hai presi dai genitori, ma…

MAURIZIO: Però li ho scelti anche.

ARCIATI: Sì, e la forma che gli hai dato è tua!

MAURIZIO: La forma che gli ho dato è mia. Però c’è da pensarci sopra per toccarlo poi con mano questo pensiero.

ARCHIATI: Toccarlo con mano?

MAURIZIO: Eh, sì, non è semplice perché bisogna risalire a perecchi anni fa.

ARCHIATI: Una ventina d’anni, dài!

MAURIZIO: Beh, diciamo 52.

ARCHIATI: Addirittura!

MAURIZIO: Eh sì! Ma no, anche poi, forse, qualche paio d’anni ancora prima. Non bastano 52… poi c’è un anno… forse un anno prima bisogna prepararlo, no!

ARCHIATI: Sta attento, la scienza dello spirito dice: qui c’è la morte di Maurizio, l’ultima volta, eh!, non quella che verrà – fra 50 anni –; poi si vive nel mondo spirituale, e qui c’è la nascita, avvenuta – ti sei tradito – 52 anni fa.

Steiner – per informazione, eh!, poi tu ne fai quello che vuoi – ti dice: il tempo che si passa nel mondo spirituale è molto più lungo che non quello della vita; sono un paio di secoli. Quindi, in media, supponiamo: 6/7 secoli.

La prima parte – qui c’è la mezzanotte cosmica – la prima parte, quindi 2/3 secoli, sono retrospettivi: fanno il bilancio della vita passata. Poi, a partire dalla metà, per 2/3 secoli, già si lavora al corpo successivo.

MAURIZIO: Così tanto tempo?

ARCHIATI: Sì!

MAURIZIO: È complessa!

ARCHIATI: È anche bella però! Vedi, che se è vero, se questo pensiero è vero, se è una realtà, ti consacra il corpo, te lo rende sacro e quindi ti aiuterebbe a trattarlo bene, il corpo.

Il corpo è una cosa molto seria se insieme… tra l’altro mica da soli, eh!, l’essere spirituale non ce la fa da solo: deve consultarsi con l’angelo custode, con l’arcangelo di popolo, con lo spirito del tempo, con gli spiriti della forma, del movimento, della saggezza, coi troni, serafini, cherubini; ma non bastano questi nove cori di signorini!; poi bisogna fare i conti con la Spirito Santo, col Figlio e col Padre, con la trinità divina!

Aaaaaah!

MAURIZIO: Basta! È finito?

ARCHIATI: Sì, sì, è finito! Alla fine uno dice: ma fammici buttare dentro al mondo della materia che dimentico tutto quanto, se no mi diventa troppo complessa la cosa! E allora abbiamo il Maurizio.

MAURIZIO: Beh, sì, è complessa al cosa.

ARCHIATI: È complessa la cosa, capito!

MAURIZIO: Dopo quell’elenco di persone che avete fatto!…

ARCHIATI: Dopo quell’elenco di personaggi, dici, eh!

MAURIZIO: Ma tanti, proprio!

ARCHIATI: Però adesso, detta così, in linea di fantascienza, ti sembra plausibile, o ti sembra una cosa…

MAURIZIO: Eh, ci penserò stanotte!

ARCHIATI: Sì, mentre dormi! Però tu una cosa l’hai detta; la cosa che ti convince è che deve essere complessa, la cosa.

MAURIZIO: È complessissima!

ARCHIATI: Perché l’organismo è complesso. Riassume tutto… ogni microcosmo…

MAURIZIO: Ma non ce la faccio stanotte!

ARCHIATI: Mica ti concediamo una notte sola, scusa!

MAURIZIO: Ma è impossibile, scherzavo dicendo una notte sola.

ARCHIATI: Guarda che allora ti diamo un paio di decenni per studiarti un po’ di scienza dello spirito, va bene?

MAURIZIO: Questo libro, magari: la Filosofia della Libertà.

ARCHIATI: Eh, per esempio!

Bravo!, sei stato bravissimo, una gran bella cosa!

MAURIZIO: Grazie!

ARCHIATI: Allora, c’è qualche domanda? Domani portiamo a conclusione il capitolo VII. Tutto chiarito questa sera?

LUCIANA: Ci pensiamo stanotte, come Maurizio!

ARCHIATI: Maurizio, ci pensiamo stanotte e domattina abbiamo finito il capitolo VII!

Buona notte a tutti e un grazie particolarissimo a Maurizio!

Sabato, 27 febbraio 2010 - mattina

ARCHIATI: Buona giornata a tutti! Stiamo facendo, da un bel po’ di tempo, esercizi di pensiero per compiere questa trasformazione interiore della coscienza, dell’animo, dello spirito nostro; una trasformazione interiore che parte, oggi, in questo stadio dell’evoluzione, parte da una coscienza materialistica, che abbiamo tutti in comune per necessità di evoluzione storica, diciamo; partiamo da una compagine della coscienza che ritiene reale ciò che sta là fuori, ciò che vedo, ciò che sento, ciò che tocco; e ci diciamo: questo modo di pensare, questo modo di sentire doveva sorgere, doveva avvenire, era necessario nella saggezza dell’evoluzione, nel piano divino dell’evoluzione, che l’essere umano fosse, in un primo tempo… si può dividere l’evoluzione in tre parti – naturalmente ogni realtà si può dividere anche in 16 parti, se volete; anche in 25 – però, siccome: “omne trinum est perfectum”, individuando 3 momenti fondamentali si coglie un’articolazione, un senso. (Disegna alla lavagna)

Un primo terzo, l’essere umano – qui c’è il paradiso – poi c’è la cacciata… cos’è la cacciata dal paradiso?

Il grande primo taglio ombelicale che scaraventa l’essere umano fuori dal grembo divino!

Prima era nel grembo divino, era un pensiero della divinità. E la divinità ha pensato l’essere umano tale che non è contento, che non gli basta restare un’appendice di un altro essere, un pensiero di un altro essere; e la divinità dice: ti ho creato così che ti viene messa a disposizione un’evoluzione: parti e guarda la vita singola che tu hai nella percezione, perché la vita singola ripete in piccolo tutto il percorso dell’evoluzione.

Guarda il bambino quando è nel grembo della madre e, da adulto, tu lo sai che è una gran bella cosa che tu sia stato scaraventato fuori da questo paradiso del grembo materno, col taglio ombelicale. Così il senso di questa “cacciata” dal paradiso – che poi è una definizione veramente moraleggiante – la mette solo in positivo, perché la “cacciata” dal paradiso è la nascita dell’umanità!

Noi, quando un bambino nasce, non diciamo che viene cacciato dal paradiso! Quindi, tante diciture, tante terminologie che noi abbiamo, ci fanno capire che certi elementi fondamentali dell’evoluzione non sono ancora stati capiti. Si sono presi moraleggiamenti, si sono presi dalla parte negativa, ma non si è ancora capito il senso positivo.

Perché il senso delle cose non è mai quello negativo, il negativo è il controsenso, o il non senso. Il negativo è quando si omette il senso, quando manca il senso. Invece il senso è sempre quello positivo.

Allora, per un certo tempo c’è una fase bambina, poi l’umanità bambina si separa, acquisisce sempre di più una propria autonomia; però c’è una fase bambina.

E poi c’è una fase centrale, e in questa siamo.

Se volete, la scienza dello spirito, lasciatemelo dire così, conferma l’affermazione della cultura occidentale – devo stare attento alle parole che uso altrimenti se cadiamo nel vocabolario cattolico le cose diventano subito sbagliate –.

La cultura occidentale, anche se poi negli ultimi anni non le interessa più di tanto, è fondata – sto parlando del Cristianesimo, se non l’avete capito – è fondata sull’affermazione che 2000 anni fa è successa una grande svolta, e cioè – adesso lo dico con parole mie, poi ognuno lo traduce nel suo linguaggio – l’affermazione fondamentale della cultura occidentale, diversamente dal buddismo, dall’induismo, dall’islamismo ecc., la cultura occidentale dice: 2000 anni fa è successa una svolta fondamentale nell’evoluzione perché un essere, di natura immane, ha portato, ha immesso nell’umanità l’essere del sole, lo spirito del sole – chiamiamolo lo spirito del sole, perché quello è difatti –. Questo spirito si è tuffato in tutte le forze della terra, è diventato lo spirito della terra, ed è lo spirito di ogni uomo; è lo spirito dell’autonomia interiore dell’individuo.

Questa è l’essenza di questo spirito, sennò a noi non ci interessa, stia a casa sua!

O porta nell’umanità – è quello che cerchiamo, è quello che ogni essere umano cerca – le forze nella loro definitività dell’autonomia interiore per cui, da 2000 anni in qua: rimboccati le maniche ed hai in mano tutto il necessario per l’inabitare di questo spirito dentro ogni uomo!

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Sei capace, se vuoi, se ti rimbocchi le maniche e se lo fai, di pensare sempre di più con la tua testa, autonomamente, dal momento che sono state immesse forze nell’umanità che consentono ad ogni essere umano di diventare sempre più attivo, sempre più creatore, sempre più artistico nel suo pensare – ed è di questo che parliamo nella prima parte della Filosofia della Libertà – la capacità, la facoltà, la chiamata dell’essere umano a diventare sempre più creatore nel suo pensare; e ci siamo detti ieri: la vespa è stata creata dal pensiero! Eh, da che cosa se no!

Quindi il pensiero è per natura creatore, a meno che uno non poltrisca nel pensiero.

Quindi il livello sommo della realtà è il pensare, quello crea! Nel momento in cui il pensare, intuitivamente, architetta la struttura di pensiero “vespa” – e lui (Maurizio) ci diceva che sono un paio di migliaia di pezzi, eh! – è un concetto ben complesso! Però una volta che lo afferra e lo crea, ti salta fuori la vespa reale su cui puoi far chilometri e chilometri, capito!

Questa è l’affermazione, che poi negli ultimi tempi si è un po’ dimenticata, della cultura occidentale; e la scienza dello spirito conferma questa affermazione e dice:sì, sì, sì, è un fatto realmente avvenuto, questa decisione di questo spirito del pensiero e dell’amore, del Logos e dell’ “io sono”.

Questo spirito si è dato due nomi, nel vangelo di Giovanni ha due nomi: “Logos”, la creatività del pensare e “io sono”. Due nomi greci.

Logos: il pensare creatore, artistico, all’infinito. Lui, al livello di logica cosmica e ogni essere umano come piccolo ricettacolo del Logos, però in partenza per diventare sempre più logico, a livelli microcosmici, del microcosmo uomo; ma la natura delle forze del Logos è la stessa, la stessa natura ci dicevamo ieri. Quindi il pensare è lo stessissimo nel Logos e nell’uomo che si intride di forze di logica.

La natura, la vastità, la profondità è tutt’altra nel Logos che in ognuno di noi, ma la natura del pensare è la stessa: o è pensare, o non è pensare.

E il secondo nome: ego ei mi, “io sono”.

Logos è la prima parte della Filosofia della Libertà, il cammino di pensiero e “ego ei mi”, “io sono”, è la seconda parte.

Io sono un io che nel suo agire… nel pensare l’uomo si universalizza, si oggettivizza, diventa nel suo pensare l’oggettività di ciò che pensa. Quando io penso “vespa”, sono vespa nel pensare; quando io penso “margherita”, sono margherita nel pensare. Se io accendo nel mio pensare il concetto di margherita, cosa sono io sostanzialmente in quanto spirito pensante? Sono, in quel momento, margherita; e mi oggettivizzo.

Invece, dall’altro lato, quando l’uomo agisce – nel pensare l’uomo diventa universale, oggettivo – nell’agire si individualizza.

Quindi il pensare è l’organo che ci consente di universalizzarci e di trovarci d’accordo, in armonia, perché il concetto di margherita è uno solo: o è la margherita, o non è la margherita.

E nel campo morale, dove si tratta di agire, ognuno di noi si individualizza all’infinito: sempre più specializzato, sempre più diverso dagli altri. Quindi in campo morale guai se saltano fuori due esseri umani uguali, che si copiano a vicenda! Perché copiarsi significa annullarsi a vicenda.

Quindi ogni essere umano, in campo morale, è stato concepito come una specie a sé, come una specie unica. E questo mistero dell’individualizzazione in campo morale Steiner lo chiama – ed è tutta la seconda parte della Filosofia della Libertà – lo chiama: individualismo etico.

Prima parte della Filosofia della libertà:

LOGOS: IL PENSARE ARTISTICO CREATORE, LOGICO:

UNIVERSALIZZARSI

Seconda parte della filosofia della libertà

EGO EI MI = IO SONO: INDIVIDUALISMO ETICO:

INDIVIDUALIZZARSI

Nella morale, nel fare, l’uomo si individualizza, diventa del tutto irripetibile, unico. Ciò che è bene per te, non può essere mai bene per un tutt’altro io, che ha tutt’altro da fare, un tutt’altro karma, tutti altri cammini, un altro contributo da dare all’umanità.

Se tu sei il naso, nell’organismo di pensiero dell’umanità, lui forse è l’orecchio. Ma non sia mai, sarebbe una catastrofe, se il naso facesse la stessa cosa, nel corpo, che l’orecchio!

Quindi l’umanità è un duplice mistero di unità, ma di unità nella diversità, così come l’organismo fisico è un’unità, però un’unità non uniformata, ma diversificata all’infinito.

E noi ci troviamo ora in questo percorso di Filosofia della Libertà, questo passaggio tra la prima parte e la seconda parte, tra cammini di pensiero e cammini… diciamo: il pensare e l’amare; e vedremo che la seconda parte si fonda sul pensare.

INTERV.: Ma la seconda parte è sull’agire!…

ARCHIATI: No, tratta dell’agire, ma si fonda sul pensare! Non si capisce nulla senza presupporre tutto ciò che si è fatto nella prima. Si “fonda” sul pensare, ho detto, non “consiste” nel pensare. Perché l’io individuale cos’è in origine? Un concetto! Di colui che l’ha pensato.

Quindi la logica dell’umano, nel Logos – il Logos ha creato la logica dell’umano – come l’ha concepita, intuitivamente, la logica dell’umano?

Voglio creare un organismo di uomini!

L’ha concepita come un organismo e dicendo “organismo” dice subito due dimensioni fondamentali. Organismo significa unità e significa diversità. L’uno non può essere senza l’altro. Se sparisce la diversità muore l’organismo, se sparisce l’unità muore l’organismo.

A livello dell’anima – una piccola parentesi, una riflessione psicologica – se queste due dimensioni sono, ovviamente – non è che ho bisogno di dimostrarvi la cosa: è così palese, così ovvio – se queste sono le due dimensioni dell’umano, quali saranno le due unilateralità a cui soggiace l’uomo; le due tentazioni, perché il bene morale è la tensione fra questi due valori e quando la tensione diventa troppo alta, si soggiace alla tentazione di rendere la cosa un po’ più comoda pigliando un lato, o soltanto l’altro; mandando a ramengo l’alta tensione, perché non si hanno le ossa abbastanza solide da sostenere l’alta tensione.

Quindi il senso del cammino dell’evoluzione dell’umano è quello di diventare sempre più forti nel pensare e nell’amare in modo da godere questa tensione tra questi due elementi fondamentali dell’umano.

Allora le tentazioni del comodo sono: o di pigliarsi soltanto il lato della comunanza, dell’unità, mandando a ramengo l’individualismo, il peso morale dell’individualismo, dell’unicità di ognuno; oppure – il rivoluzionario – privilegiare, diventare unilaterale dal lato dell’individualismo, mandando a ramengo la comunanza.

Più comodo perché non c’è più la tensione!

C’è un aiuto per superare queste tentazioni? L’aiuto c’è ed è il fatto che non funziona!

Volendo conseguire individualità senza comunanza si diventa egoisti, ma non individuali; si perde sempre più forza, si diventa sempre più deboli, perché la forza dell’io è proprio l’impegno per la comunanza umana. Quindi l’io acquisisce la sua forza massima anche di spicco individuale, di unicità, proprio in questo inserire, riorganare tutti gli uomini, spiritualmente e animicamente in un organismo. Se non si dedica, in quanto individuo, a questo compito di unificazione dell’umanità, diventa sempre più debole, sempre più povero, sempre meno individualizzato.

E altrettanto dall’altro lato, quando si sottolinea la comunità, la comunità e la comunità; e l’individuo è un egoista se non serve alla comunità. Quando si ricatta l’individuo rendendolo un puro strumento per la comunità e si vede il bene morale soltanto nella comunità, si impoveriscono di nuovo tutti gli individui e impoverendo gli individui diventa povera la comunità. È una somma di povertà.

Quindi: l’individuo e la comunità o si rafforzano a vicenda, o si indeboliscono a vicenda. È un errore di pensiero quello di ritenere che si possa diventare più individuali sminuendo la comunanza, o che ci possa essere più comunità sminuendo l’individualità.

È un errore di pensiero, uno degli errori di pensiero più grandi che ci possano essere; e il cammino del pensare consiste proprio nel superare, nel rendersi conto di questo errore di fondo, in modo da superarlo.

Io posso diventare sempre più individualizzato soltanto inserendomi sempre più profondamente nel contesto unitario dell’umanità. E l’umanità può essere una comunità organizzata, un organismo vero, soltanto se questa unità serve a rendere più ricca, più spiccata, più unica, ogni individualità.

Questo come riflessione, ora che ci troviamo nel passaggio dall’universale di cui abbiamo parlato – tutta la prima parte parte della Filosofia della Libertà – ai misteri dell’individualismo etico.

E dicevo: psicologicamente, dove vediamo l’unilateralità che sottolinea la comunità a scapito dello spicco dell’individuo, della libertà dell’individuo?

In fondo ogni forma di potere è un tipo di pseudo-comunità che ricatta l’individuo e fa dell’individuo un puro strumento.

Anche la chiesa, nella misura in cui ritiene la comunità moralmente più importante che non l’individuo, svuota l’individuo della sua sacralità individuale e quindi si impoverisce sempre di più; e perde la sua forza propulsiva dell’evoluzione.

E guardando al fenomeno, quando io dico: “chiesa”, vivendo in Germania, io non è che penso subito alla chiesa cattolica, in Germania la chiesa protestante è altrettanto culturalmente forte, presente, come la chiesa cattolica. Ma qui in Italia, se pensiamo adesso alla chiesa cattolica vediamo, nel corso dell’evoluzione, nel corso dei secoli, sempre di nuovo questa tentazione, questo errore di pensiero, di rendere la comunità più importante dell’individuo.

Sarebbe come dire: nell’organismo, l’unità dell’organismo è più importante che non le funzioni singole, individualizzate, degli organi.

È un’assurdità assoluta!

Eppure, psicologicamente, gli esseri umani ci ritentano sempre di nuovo! Allora l’individuo si ribella e molto spesso va all’estremo opposto: vuol realizzarsi come individuo a scapito della comunità; e anche quello è un errore, tale e quale.

INTERV.: C’è qualcosa che non funziona forse anche nella comunità, perché ci può essere anche una difficoltà dell’individuo di dare, di inserirsi nella comunità.

Quindi ci può essere una volontà da parte dell’individuo e una grossa refrattarietà ed essere nemico dell’individuo, per cui l’individuo, anche con una buona volontà, non riesce a dare alla comunità.

ARCHIATI: Interessante, tu, quando non avevi il microfono, eri partito con il concetto di colpa; poi hai preso il microfono e la parola “colpa” non è più tornata.

Tu hai detto: forse ha colpa anche la comunità se l’individuo non ce la fa. Comunque va meglio che poi la colpa l’hai lasciata via.

Torniamo alla dinamica dell’evoluzione; in fondo tu stai dicendo: se il primo momento è per natura, per necessità di evoluzione, è un momento di unilaterale simbiosi, è un’unilateralità.

Addirittura quando si era nel paradiso, quando il bambino è nel grembo materno, è unilaterale, perché non c’è ancora nulla della sua autonomia. E tu stai chiedendo: – io capisco la tua domanda in questo modo, in questo modo è proficua la tua domanda – è possibile, avendo vissuto una unilateralità, passare subito all’equilibrio?

L’evoluzione ti dice: no, non è possibile; bisogna prima vivere l’altra unilateralità e farne l’esperienza; come il pendolo che, essendo andato ad un estremo, non si ferma in mezzo – sarebbe una stasi, non sarebbe una tensione dinamica – deve andare dall’altra parte.

E l’altra unilateralità che deve venir vissuta, perché se no manca all’individuo un’esperienza fondamentale, come la chiamiamo noi?

La pubertà!

La pubertà ci deve essere! In Germania conosco un sacco di persone che sono costrette a recuperare la pubertà a 60 anni perché non gliela hanno concessa a 16, o a 15. Questa non è saggezza! E la cosa migliore è che il ragazzo, o la ragazza, a 14, 15, o 16 anni, dica peste e corna di tutti quanti! Perché se non lo fa allora lo farà 20 anni, 30 anni dopo; e sarà molto peggio, perché allora non calza. Invece in quel tempo lì calza benissimo!

Perché un ragazzo, una ragazza, a 17, 18 anni, che è ubbidiente come lo era 5 anni prima, merita un calcio nel sedere; lì non succede nulla! Non c’è evoluzione!

E il genitore intelligente è agguerrito, sa: no, no, io adesso sono preparato a qualche bufera, a qualche tempesta, se no le cose non vanno bene.

Soltanto dopo aver fatto l’esperienza di un’unilateralità dopo l’altra, l’individuo cerca, e lo cerca volutamente, lo cerca nella sua libertà, perché ha sofferto tutt’e due le unilateralità e dice, per esperienza sua: no, non va bene né la prima unilateralità perché mi manca l’altra e non va bene neanche la seconda perché mi manca la prima; e ne cerca la sintesi.

L’umanità – in quanto umanità – la prima unilateralità della simbiosi, della comunanza, senza autonomia, ce l’ha alle spalle; dove siamo (ora) nell’evoluzione dell’umanità?

In piena pubertà! Con sempre più individui che dicono: no, no, non va bene, ci scanniamo tutti a vicenda in questo modo qua; se cogliamo così unilateralmente il peso dell’individuo nella sua libertà e viviamo la libertà dell’individuo scannandoci a vicenda!

No, dobbiamo fare la sintesi.

C’è un elemento psicologicamente fondamentale della cultura del nostro tempo: è la percezione, ma subdola, se volete, neanche portata a coscienza dall’individuo, che adesso siamo in una fase di “guerra di tutti contro tutti”. Ma è di nuovo unilaterale.

E l’essere umano cerca la sintesi.

Allora, adesso uso altre categorie: qui c’era lo spirito, nello spirito c’è comunanza: il concetto di margherita è uno solo! Cento uomini, mille uomini che pensano “margherita” sono un’unità. La materia è l’elemento di individualizzazione.

Un adagio degli scolastici – Tommaso d’Aquino, Alberto Magno – nel medioevo dicevano: “materia principium individuationis”.

Perché la materia è il principio, è l’elemento cosmico dell’individuazione?

Perché unendoci con la materia ognuno ha un pezzo di materia separato dagli altri; quindi il mondo della materia ci separa gli uni dagli altri.

Era necessario questo secondo stadio dell’evoluzione?

Certo, così com’è necessaria la pubertà!

E come si va avanti?

Per sintesi. Cercando, costruendo sempre di più l’equilibrio; ed è un equilibrio dinamico, labile; l’equilibrio stabile è una stasi, non è equilibrio; è nel concetto di equilibrio che deve essere sempre labile, dinamico. E quindi bisogna stare attenti: prima che uno se ne accorga è diventato un po’ unilaterale dal lato della comunità, prima che se ne accorga, però un po’, come dire, aumentando la vivacità del pensiero e anche la presenza di spirito, uno si accorge più velocemente dell’unilateralità; e allora vive in questa tensione sana dell’equilibrio.

Si ricerca l’equilibrio perché si è capito – e si capisce sempre di più – che la comunità vera è quella che favorisce l’individualizzazione, la ricchezza unica di ognuno.

E l’individualità vera, l’individualizzazione vera, è quella che immette nella comunità tutte le ricchezze dell’individuo, come nell’organismo.

Quindi l’analogia dell’organismo è molto importante, perché quando ci pare di parlare di cose troppo astratte, di cose troppo elevate, troppo fatiscenti, troppo fatue, le rendiamo concrete, in questo stadio del materialismo, riferendoci all’analogia dell’organismo fisico, che è un mistero di equilibrio assoluto, diciamo di tensione sana – la salute è proprio la sana tensione tra l’unità dell’organismo e la sua diversità degli organi, nelle funzioni dei vari organi; nei suoi ritmi: il sistema neurovegetativo, il sistema ritmico e il sistema metabolico.

Dicevo all’inizio, che ci troviamo in questa seconda fase dell’evoluzione, dove siamo diventati unilaterali dal lato della materia, dal lato di ciò che separa, di ciò che frammenta, abbiamo perso di vista lo spirito; ora si tratta di creare sempre di più la sana tensione, il sano equilibrio tra spirito e materia. (disegna alla lavagna)

Allora, l’allacciamento al pensiero iniziale è che l’uomo d’oggi, la coscienza di partenza dell’uomo d’oggi è di ritenere reale ciò che è materiale: reale è ciò che vedo, ciò che tocco, ciò che sento.

È vera o sbagliata questa affermazione? È unilaterale! Coglie soltanto un lato della realtà e disattende, ignora, l’altro lato della realtà.

Non si accorge che mentre tu dici: guarda la margherita!, tu stai dicendo un pensiero, un concetto; perchè la margherita non si può guardare.

Si può guardare la margherita?

No!, la margherita è un concetto! Ciò che vedo è il riempitivo, la materia minerale, di cui si è intrisa la margherita soprasensibile. Quella io vedo! Io vedo la materia, ma non la margherita; la margherita è una struttura di pensiero, che posso vedere soltanto con gli occhi del pensare; la colgo nel pensiero.

Quindi l’uomo materiale ha ragione quando dice: guarda, quella è la margherita!; però disattende, non si rende conto, che lui sta facendo la sintesi di materia e spirito.

La materia gli si presenta dal di fuori, però “margherita” è un concetto che crea il pensare; e non se ne accorge! Pensa che la margherita, anche in quanto concetto, anche in quanto realtà eterna, sia là fuori! No, la margherita in quanto realtà eterna è soltanto nel pensare, perché quella là fuori oggi c’è, domani è sparita.

Paragrafo 22 – Se il realismo primitivo… realismo primitivo è ciò che ho chiamato la coscienza di partenza, così com’è oggi, nell’uomo normale, ordinario; che ritiene reale soltanto il mondo della materia.

LUCIANA: Realismo primitivo e realismo ingenuo sono la stessa cosa?

ARCHIATI: Sì, perché realismo primitivo è anche il realismo critico. Il realismo critico, o idealismo critico, è una costruzione più complesa, però fatta sulla base del realismo ingenuo.

LUCIANA: No, perché ieri “primitivo” aveva dato adito al pensare all’uomo delle caverne!

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ARCHIATI: No!, primitivo significa “di partenza”, il punto di partenza per ogni essere umano d’oggi, dove la coscienza si è materializzata, capito!

Poi il primo passo: pensa di superare questa “primitività”, ma non la supera difatti, la mette soltanto fuori dall’uomo, dice: io nella coscienza ho soltanto riflessi, però qui c’è la cosa in sé della margherita, la cosa in sé dell’uomo e gli influssi reali sono pensati tali e quali come vede le cose il realista ingenuo, la coscienza primitiva…

Quindi ci scusiamo di fronte al bravo Immanuel Kant, però ci tocca di dirgli: caro Kant, a livello di pensieri un pochino più puliti, tu sei rimasto alla coscienza primitiva; hai soltanto complicato un po’ le cose, ma non hai superato questo livello.

Perché, lui, la cosa in sé della margherita e la cosa in sé dell’uomo la concepisce tale e quale come una cosa che si evidenzia soltanto in base a percezione. Perché di cosa è fatta la cosa in sé? Occupa spazio, quindi è esteriormente percepibile; manda influssi dinamici, che quindi sono percepibili ai sensi, ma non essendo direttamente percepibili ai sensi sono pensati come potenzialmente percepibili se noi fossimo capaci di entrare nella cosa in sé.

In altre parole, il dogma di Kant è l’inconoscibilità assoluta del mondo. Nella prefazione alla seconda stampa della Critica della ragion pura, Kant scrive – nella prefazione alla seconda edizione – scrive: ho dovuto spazzar via il sapere – quindi il conoscere – per far posto alla fede! Nella prefazione! Alla Critica della ragion pura!

Tanti protestanti a cui io dico: ma guarda cosa ha scritto Kant nella prefazione alla seconda edizione!
Ma no, non può essere! Kant non può aver detto una cosa del genere!

Io piglio la mia edizione, bella tedesca, e gli dico: guardala qua, pagina tale, leggilo tu eh!, altrimenti…

Ma non può essere, ma come!

L’affermazione fondamentale della Filosofia della Libertà è che non c’è nulla che sia oltre il pensare, inconoscibile al pensare; il pensare è l’organo di identificazione assoluta con l’essenza di tutte le cose. Oppure non è pensare. Non c’è nulla che sia al di là del pensare, inconoscibile. Oppure non si pensa, oppure si smette di pensare.

Quindi la cosa in sé della margherita, cos’è?

La cosa in sé, l’essenza della margherita, la realtà più suprema della margherita è il concetto di margherita.

MAURIZIO: Che si può omettere di pensare.

ARCHIATI: Che si può omettere! Certo! Si può omettere di realizzare nel proprio pensare.

Tu, Maurizio, ieri ci hai fatto una gran bella… l’essenza della vespa, cos’è? – non la vespa che vola, quella che ha le ruote –.

MAURIZIO: È il concetto!

ARCHIATI: È il concetto, quella è l’essenza. È la cosa in sé, al di là, inconoscibile?

Se non fosse conoscibile come avrebbe fatto l’architetto (il costruttore), colui che ha intuito, nel suo pensare, questa struttura di pensiero, come avrebbe fatto a renderla (la vespa) addirittura reale?

È assurda la cosa! Ci voleva un Maurizio a dirci che tutta la bella pensata di Kant è assurda.

Quindi Kant non ha riflettuto, non era ancora in grado di riflettere sulla realtà del pensare; che il pensare crea l’essenza delle cose, perché crea i concetti per forza intuitiva, per facoltà di intuizione.

E l’essenza di una cosa, quella è la cosa in sé! Non esiste altra cosa in sé oltre il concetto; il concetto è la cosa in sé.

INTERV.: Quindi pensare è amore e volontà nello stesso momento.

ARCHIATI: Esatto! E questo ce lo fa vedere la seconda parte della Filosofia della Libertà.

LUCIANA: Cos’ha detto?

ARCHIATI: Pensare è amore e volontà al contempo. E la seconda parte della Filosofia della Libertà ci presenta il risvolto di amore del pensare, di volontà del pensare, che fa agire.

Avete visto i due titoli delle due parti della Filosofia della Libertà?

Com’è il titolo della prima parte? La scienza della libertà. E come si chiama la seconda parte?

PUBBLICO: varie risposte confuse.

ARCHIATI: E cos’è la scienza della libertà? È il concetto di libertà, a livello di pensare puro. Ma a che ci serve… lei diceva adesso… chi è l’ultima persona che ha parlato?

Lui diceva: ma a che ci serve la scienza della libertà, a che ci serve aver creato il concetto di libertà se non la realizziamo?

Come si realizza la libertà?

Noi abbiamo formato il concetto del pensare creatore e il pensare creatore è libertà pura, è il concetto di libertà. Come la realizzo?

Diventando io stesso questo pensare creatore; allora divento io questa libertà; perché un conto è averne il concetto e un conto è diventarlo, cioè vivere in questo modo. Perché io posso avere il concetto di questa libertà del pensare che crea, però restandone fuori; o magari entrandoci dentro una volta all’anno.

Quindi la realtà della libertà è diventare, dinamicamente diventare, in chiave morale, come compito morale, diventare sempre più questo spirito libero creatore, di cui mi sono creato il concetto.

Quindi la prima parte della Filosofia della Libertà crea il concetto di ciò che l’essere umano moralmente, volitivamente, nel suo agire può divenire.

Perché “non deve”, perché “può” soltanto e non deve?

Perché è nel concetto di libertà che non si deve, ma che si può; e si è lasciati liberi.

Allora la domanda che ci fa passare dalla prima parte alla seconda parte della Filosofia della Libertà – la prima parte è il concetto: la libertà somma, la creatività somma, è nel pensare – la seconda parte chiede: vuoi diventarlo? Vuoi esserlo? Nel tuo agire vuoi agire in questo modo?

E questa è una domanda morale.

Quindi la scienza della libertà è il concetto di libertà. Il concetto di libertà è il creare puro del pensare, intuitivo del pensare.

La realizzazione, fare di questa libertà una realtà – seconda parte della Filosofia della Libertà – la realtà della libertà, come realizzo io nel mio essere questa libertà del pensare?

Diventandolo! Diventando io stesso e amando questa libertà; e diventarlo sempre più perché ne posso restar fuori, se no non è nel concetto di libertà. È nel concetto di libertà che io lo posso contemplare e dico: no, non mi va! Troppo impegnativa la cosa!

Il concetto di libertà è la creatività pura del pensare, artistico.

Ora ripropongo la domanda: voglio diventarlo?

Sì, sì, è la cosa più bella che ci sia!

E l’altro? – non sono il solo spirito umano nell’umanità – la mia libertà, il mio pensare sempre più libero, sempre più creatore, sempre più intuitivo, lo posso realizzare soltanto io, è un fattore morale mio in assoluto; e la libertà dell’altro? Affari suoi?

No! Poter afferrare, poter realizzare la libertà del pensiero presuppone un’infinità di “conditio sine qua non”, di strumenti. L’amore di sé è l’impegno di pensare sempre più liberamente, sempre più artisticamente; l’amore dell’altro è mettergli a disposizione tutti gli strumenti necessari perché possa, se vuole, vivere sempre più libero.

Quindi l’amore alla propria libertà è un amore che la realizza. L’amore alla libertà altrui è un amore che la rende possibile: gli dà gli strumenti.

Perché io non posso realizzare la libertà altrui, altrimenti sarebbe la distruzione della sua libertà, della sua individualità.

Quindi nella prima parte della Filosofia della Libertà entriamo in questo duplice mistero dell’amore: c’è l’amore alla propria libertà che lo realizza nel pensare. Teniamo presente che ogni azione, l’essenza di ogni azione, sono i pensieri che si pensano mentre si agisce; il pensare, il contenuto del pensare è la realtà somma anche delle azioni; quindi il duplice mistero dell’amore è l’amore alla propria libertà di pensatore, che la realizza la realtà della libertà, e l’amore alla libertà dello spirito altrui che la rende possibile dandogli tutti gli strumenti; a partire per esempio dai soldi!

Prendiamo l’elemento dei soldi: in una società di denaro, un’economia di denaro dove senza soldi non si muove nulla – lo sappiamo –. Adesso, con la crisi economica, tante persone in Germania, ma di sicuro anche in Italia, fanno sempre più fatica, perché bisogna guardar bene il portafoglio.

Allora a questi livelli concreti la struttura della libertà e dell’amore è tale che, nella misura in cui l’individuo, per sé, gode, realizza, sempre di più questa libertà, questa esuberanza dello spirito che artisticamente crea e realizza la libertà nelle azioni, prende per sé, ha bisogno per sé, di un minimo di soldi: quelli che gli bastano per questo godimento sommo; e tutto il resto lo dà volentieri agli altri.

Quindi l’esperienza di questa libertà è il massimare della circolazione del denaro, in chiave di economia. Le cose si possono subito concretizzare, non c’è nessun problema se si colgono nell’essenza.

E se noi abbiamo una massa di persone dove ognuno vuole avere più soldi possibili per sé, è una società di paura, piene di individui che non fanno mai l’esperienza della libertà; e vivono nella paura.

Essere liberi significa non tollerare di avere più soldi di quelli che bastano per essere liberi. Non si tollera il più! Zavorra insopportabile! Va subito agli altri.

INTERV.: Mi chiedo lo strumento che noi diamo all’altro per avere la possibilità di riconoscere di essere un individuo libero e quindi di essere di esempio…

PUBBLICO: Voci confuse.

INTERV.: Stavo dicendo: tu parlavi prima di essere strumento per l’altro…

ARCHIATI: No!

INTERV.: Di dare gli strumenti…

ARCHIATI.: No! Mettergli a disposizione gli strumenti, non portarglieli via!

INTERV.: Infatti, volevo capire, mettergli a disposizione gli strumenti significa essere di esempio…

ARCHIATI: Nooo! Non esiste l’esempio! Sta attenta; se un individuo viene preso ad esempio, l’altro – che lo prende ad esempio – cancella il suo io! Imitare è l’essenza dell’immoralismo.

INTERV:: E che cosa intendi allora per…

ARCHIATI: Gli do più soldi possibile perché sa lui di che cosa ha bisogno per fare l’esperienza che deve fare.

INTERV.: Soltanto i soldi, ti riferivi soltanto a questo?

ARCHIATI: Volevo dire: viviamo in una vita così complessa dove l’individuo… tu, adesso tu, dimmi concretamente cosa preferisci: che decidiamo noi ciò di cui tu hai bisogno, oppure lasciamo a te di decidere ciò di cui hai bisogno? Se lasciamo a te di decidere ciò di cui hai bisogno, che cosa ti diamo?

INTERV.: La possibilità di poterlo fare.

ARCHIATI: No, dillo più concreto!

INTREV.: I soldi!

ARCHIATI: E allora! Se no ti diamo aria fritta!

INTERV.: Certo!

ARCHIATI: Perché amore senza soldi è aria fritta, in una società così complessa; perché di spiritualismi la chiesa li fa volentieri, perché lei ce li ha i soldi, per esempio.

EDDA: Difatti adesso lo fa. Dà dei soldi senza interessi e fa un sacco di opere di bene.

ARCHIATI: Sì, sì, opere di bene, le conosco bene le “opere di bene”.

A Berlino adesso… il mese prossimo ci sarà un convegno a Berlino, il teme sarà: dare ad ognuno i soldi necessari per vivere in un modo degno dell’essere umano. È il tema di Berlino, relatore Pietro Archiati. Abbiamo dei giovani che si sono già prenotati da Basilea per venire a sentire Pietro Archiati sulla “Grundstein komme fur allen”, in italiano come si dice? Il concetto è: ogni essere umano, nella società che abbiamo oggi – Italia e Germania più o meno siamo un po’ uguali, in Germania i salari sono un po’ di più, ma insomma facciamo che siano uguali – ogni essere umano ha il diritto – perché è un essere umano – ha il diritto ad un minimo di 2000 euro al mese; senza far nulla!, dalla culla fino alla tomba.

PUBBLICO: Molte voci confuse, qualcuno dice: da un punto di vista idealistico chi te li dà questi soldi?

ARCHIATI: Oh, Maurizio, finché parlavamo del concetto puro di margherita andava tutto bene, ora che si tratta di soldi, come mai?

Ma, scusate, che c’entrano i soldi con la Filosofia della Libertà? Hanno qualcosa a che fare con gli strumenti necessari per vivere nella libertà? Eh sì è!, eh sì è!

Però ora che le cose sono calate dallo stato metafisico nel concreto, vedo che l’assemblea qui comincia… però se andiamo a casa senza aver finito il capitolo VII, la colpa ce l’avete voi, eh!

INTERV.: In realtà sto tornando al pensiero di prima: facciamo conto che un architetto ha concepito un’opera; non bastano i 2000 euro per cui lui può vivere, ha bisogno di un sacco di soldi per poter concretizzare la sua opera.

ARCHIATI: No, pensato tutto sbagliato!

INTERV.: Cioè io architetto mi accontento di averlo concepito, è questa la mia libertà?

ARCHIATI: No, no, no, adesso vi dico in nuce… se volete le cose un po’ più articolate venite a Berlino; vi avverto però che è in tedesco, eh!

Allora, ve lo riassumo per sommi capi, però senza perdere il filo che se noi non teniamo presente anche il lato esistenziale che rende possibile la creatività della libertà, è tutta una cosa per aria, perché poi l’individuo deve sbuffare, sbuffare, sbuffare per dover sbarcare il lunario e dice: ma chi se lo può permettere questa cosa elitaria, un seminario sulla Filosofia della Libertà, quando devo stare attento a guadagnare i miei soldi se no non posso mangiare né io, né i miei figli!

Il concetto è questo: partiamo dal presupposto che ci sono montagne di soldi – si chiamano le borse –, queste montagne di soldi distruggono l’umanità, per natura; non possono far altro, perché la loro dinamica è di aumentare sempre di più.

Sullo Spiegel, che è la rivista settimanale che vende milioni di copie in Germania – lo Specchio, si chiama –, c’era che nel giro di un anno il 60% del patrimonio delle borse è sparito, proprio è sparito! Come non ci fosse mai stato.

Quindi tutti questi azionisti che pensavano di avere 100, all’improvviso si ritrovano con soltanto 40! E c’è la gente che muore di fame!

Allora il concetto è questo: se noi avessimo un minimo di coscienza della dignità uguale di tutti gli esseri umani, troveremmo il coraggio sociale di capire che ogni individuo umano, per il fatto di essere uomo, ha il diritto – in quanto uomo – non per quello che fa – perché se è un handicappato, per esempio, non può far nulla, ma è un uomo come tutti gli altri: pari dignità –, ha il diritto di ricevere dalla comunità quello che… 70 milioni di italiani – prendiamo il territorio italiano – 70 milioni di individui, cosa abbiamo tutti insieme? Si calcola il tesoro del terreno, ciò che abbiamo; distribuito, diviso per 70 milioni, ognuno è in grado di ricevere “tanto”; abbiamo “tanto” da distribuire equamente ciò che abbiamo.

E il calcolo è che, se evitiamo queste enormi sacche – le borse – che sfruttano l’umanità, abbiamo a sufficienza per dare ad ognuno, diciamo, per essere più sicuri, 1500 euro dalla culla fino alla bara. Ad ogni essere umano.

NADIA: Però, si meriterebbe chi ha voglia di fare…

ARCHIATI: No, no, no, un momento: se uno poltrisce, non finisce di essere un essere umano, non sparisce la sua dignità; si piglia soltanto questi 1500 euro. Un altro, l’architetto che dicevi te, si piglia questi soldi di base come tutti gli altri – che danno la possibilità, anche se uno non fa nulla, di vivere degnamente – la dignità unana non è comprabile, non è che uno l’acquista perché sbuffa, ce l’ha in quanto essere umano. – Adesso tu dici: lui, come architetto, è produttivo, crea cose ecc., ecc.; ti crea un giro di soldi di 10.000 / 20.000 al mese, chi glielo proibisce? Nessuno glielo proibisce!

Allora lui, suscitando con il suo talento un giro di soldi di 20.000 al mese… Colui che non nè produttivo metà di quello che riceve, o un terzo, lo ridà alla comunità – non al proprietario del suo appartamento – ma alla comunità, perché è la comunità che gli dà questi 1500 euro.

Quell’altro, che ha creato un giro di soldi di 20.000, o anche di 30.000 al mese, cosa ne fa? Li accumula? Se li accumula il suo talento sparisce il più presto possibile; e allora invece di crearne 30 al mese, ne crea 20 al mese, poi 10 al mese e alla fine arriva ai 1500 che gli vengono dati.

Perciò dicevo, è nell’essenza del godere della creatività, sia del pensare, sia dell’amore, che colui che crea un giro di soldi, col suo talento, di 30.000 al mese, di

50.000 al mese, di 100.000 al mese, li faccia circolare, non li ferma, capito!

INTERV.: Ma questo nel caso ottimistico che lui riesca a realizzare (il progetto). Se quell’altro che deve avvallare il progetto gli dice di no, lui sta fermo.

ARCHIATI: E perché mi dice di no quello che deve avvallare il progetto? Ma chi è che deve avvallare il progetto? Sono autorità fasulle; il talento non ha bisogno di avvalli, il talento sfonda!

INTERV.: È pieno il mondo di gente che… Stendhal ha vendute 6 copie di un romanzo favoloso!

ARCHIATI: Perché il mondo è pieno di gente che si fa ricattare, perché altrimenti non campa! Se invece noi avessimo un mondo pieno di gente non ricattabile, perché riceve il necessario per dignità umana, nessuno più può venir ricattato.

Tu vorresti impedirmi di realizzare, come architetto, questo progetto qua? Vado da un’altra parte!

Tu che dici, Luciana?

LUCIANA: No, stavo riflettendo che mi pareva che l’amico avesse chiesto un’altra cosa e cioè avesse detto: se lui ha il progetto ma non ha la società – l’ha chiamato l’avvallo – la società che non gli mette a disposizione i mezzi per realizzarlo, che cosa deve fare? Si deve accontentare di aver pensato il progetto?

Questo io avevo capito che lui avesse chiesto.

ARCHIATI: Un talento che dipende dagli altri è un non-talento!

NADIA: Ma siamo tutti collegati ad una ragnatela, guarda! Ci vuole un’altra società che non è questa!

ARCHIATI: Ma certo, ma certo, è chiaro che si delinea un tutt’altro tipo di società; però il punto di partenza, cioè un elemento fondamentale per quest’altro tipo di società, sono passi in direzione della non ricattabilità dell’individuo.

Finché non diamo all’individuo, perché fa parte della dignità umana, il necessario per vivere degnamente, (l’individuo) è ricattabile.

E allora ci resta una società di un’infinità di persone ricattabili perché ha paura di non avere il necessario per vivere degnamente.

Portiamo a termine il VII capitolo.

Par. 22 – Se il realismo primitivo non facesse ipotesi di questo genere, il mondo si ridurrebbe per esso ad un aggregato sconnesso di percezioni senza reciproci rapporti, non formante unità. Però è evidente che il realismo primitivo può arrivare a tali ipotesi soltanto non restando conseguente con se stesso. Se esso vuol rimanere fedele al suo principio fondamentale, che solo il percepito è reale, non deve supporre alcuna realtà dove non percepisce nulla.

L’anima non la percepisce! Allora deve dire: l’anima è nulla! Perché una cosa non percepibile non esiste, è nulla!

Allora cosa fa? Siccome il suo sentimento gli dice: l’anima è una realtà, no! Il morto io lo vivo, lo sento… allora immagina l’anima come una sostanza sottile sottile, che se noi avessimo organi di senso più sottili la percepiremmo!

Allora, in quanto potenzialmente percepibile, è di nuovo reale; però, difatti, non è percepibile!

Le forze impercepibili emananti dalle cose percepibili sono ipotesi assolutamente ingiustificate, dal punto di vista del realismo primitivo. E poiché esso non conosce altre realtà, correda le sue forze ipotetiche di un contenuto percettivo. Le immagina come se fossero, almeno potenzialmente, di principio, percepibili. Applica quindi un modo di essere (il modo di essere della percezione) ad un campo dove gli manca l’unico mezzo atto a dare testimonianza sopra questo modo di essere: la percezione dei sensi.

INTERV.: Le donne di cui dicevi ieri? Quando dicevi delle donne…

ARCHIATI: Ho parlato delle donne ieri?

INTERV.: Quando dicevi che la percezione sensibile (è un fatto) principalmente femminile.

ARCHIATI: No, no! Quando l’ho detto? Ho detto una cosa del genere?

PUBBLICO: No, assolutamente!

INTERV.: Si parlava dell’intuito, che molto spesso è prerogativa dell’elemento femminile.

ARCHIATI: Ma qui si parla della percezione, non dell’intuito, non dell’intuizione…

Qui il concetto è questo: che la coscienza ordinaria dell’uomo materialistico – che siamo tutti noi oggi, no! – pensa che qualcosa sia reale soltanto se è percepibile. L’anima non è percepibile; e allora se gli va di dire che l’anima è una realtà, la deve immaginare… sarebbe percepibile, la percepiremmo, se avessimo organi di senso più sottili, capito! Questo è il concetto.

23 – Questa concezione, piena di contraddizioni in sé, conduce al realismo metafisico. Esso, accanto alla realtà percepibile, ne costruisce un’altra impercepibile, della cosa in sé che ritiene analoga alla prima. Il realismo metafisico è quindi necessariamente dualismo.

Il mondo della coscienza – che è un mondo – e poi l’altro mondo che è il mondo delle cose in sé. Un dualismo; e questi due mondi non possono mai incontrarsi, perché io, nella coscienza, non posso avere mai la cosa in sé della margherita.

Non posso avere nella coscienza la materia minerale della margherita, ma la materia minerale di cui la margherita è intrisa non è la margherita; l’essenza della margherita è il concetto; quindi la cosa in sé della margherita è il concetto e questa cosa in sé della margherita è, per essenza, conoscibile: è il più conoscibile che ci sia!, perché il concetto è il conoscibile in assoluto! E il concetto è la cosa in sé.

Invece Kant dice: la cosa in sé è per natura inconoscibile; quindi lui, come dire, concepisce la cosa in sé sulla falsariga della percezione, perché la percezione non la posso mai raggiungere, è sempre fuori, è sempre al di là, è inconoscibile.

La margherita, in quanto elemento di percezione (di materia), non può venir recepita nella coscienza, nel pensare.

Perché non posso recepire la materia della margherita nel pensare? Perché la materia è il non pensabile; quindi il concetto di materia è puramente negativo, un concetto puramente negativo. La materia è ciò che è oltre il pensare.

Essendo ciò che è oltre il pensare, cos’è la materia? Il puro nulla!, maia, illusione.

Cammini di pensiero per l’uomo materialista di oggi, non facili, lo vediamo; quindi da prendere come esercizi da rifare continuamente.

Una volta a Bologna, mi ricordo 15 anni fa, in una discussione abbiamo lavorato una mezz’ora sul concetto di materia, cos’è la materia; interessantissimo!

24 – Dove il realismo metafisico rileva una relazione fra cose percepibili (l’avvicinarsi per mezzo di un movimento, il divenir coscienti di qualcosa di obbiettivo, ecc.), ivi suppone una realtà. Ma la relazione che osserva, esso può esprimerla soltanto per mezzo del pensare, non può percepirla. Di una tale relazione ideale fa arbitrariamente qualcosa di analogo al percepibile. Per questo indirizzo di pensiero il mondo reale risulta pertanto composto dagli oggetti della percezione, che sono in perpetuo divenire, che appaiono e scompaiono, e dalle forze impercepibili, le quali producono gli oggetti della percezione e costituiscono l’elemento permanente.

Il rapporto tra mamma e bambino… cosa passa tra l’una e l’altro?

Noi diciamo: forze di amore. Sono percepibili?

PUBBLICO: (Varie risposte confuse)

ARCHIATI: A noi che guardiamo; noi stiamo parlando di questo rapporto: cosa percepiamo di questo rapporto?

PUBBLICO: Varie risposte: la manifestazione, l’amore…

ARCHIATI: No, state attenti, adesso io vi costruisco una mamma che fa dei gesti, delle azioni, dei movimenti delle mani ecc., nei confronti del bambino, pieni di amore.

Mentre fa questi gesti sta pensando pensieri di amore. La cosa è possibile.

Adesso io vi chiedo: è possibile, se noi con la cinepresa filmiamo la stessa mamma – o un’altra mamma – che fa gli stessissimi movimenti, ma che sta dicendo peste e corna, dentro di sé, di suo marito. È possibile anche questo!

Allora, cosa percepisco io nei gesti: l’amore o la rabbia verso il marito?

Non lo so!

Il rapporto non è percepibile. I gesti, i movimenti della mano sono percepibili, ma non il rapporto. Cos’è il rapporto? È un concetto.

E per sapere, per percepire che rapporto c’è in questo momento, deve diventare percepibile il rapporto che c’è. Come diventa percepibile?

Se la mamma mi dice ciò che sta pensando e ciò che sta sentendo!

Allora mi rende percepibile in che modo si sta rapportando col bambino.

E se mi dice: no, no, non sto pensando affatto al bambino, ma sto pensando a quell’altro che mi ha truffato ecc., ecc…

Ciò che vive in lei, mentre interagisce col bambino, mi diventa percepibile per rivelazione; cioè: me lo dice! Le sue parole sono percepibili.

Lei sta zitta e io la vedo agire, cosa percepisco?

Interv.: Mah?

ARCHIATI.: No, percepisco movimenti delle braccia, questo io percepisco!

E il rapporto è un concetto! Finché non mi dice nulla, mi manca la percezione di questo rapporto.

Quindi finché non mi dice in che rapporto sta in questo momento con il bambino, io ho soltanto il concetto di rapporto, ma di questo rapporto non ho la percezione; quindi non ho la realtà completa di questo rapporto.

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Adesso lei mi dice – e io lo percepisco – in che modo si sta rapportando col bambino: adesso ho la realtà completa del rapporto, perché ne ho il concetto e ne ho la percezione.

INTERV.: Sì, però se l’abbraccia (il bambino) questo è un concetto di amore.

ARCHIATI.: No, lo può abbracciare continuando a pensare a quel farabutto di cui dice peste e corna.

INTERV.: Ma c’è un’espressione nella mamma! Un’espressione diversa nella mamma, nel viso…

ARCHIATI: No, no, no.

INTERV.: E se la mamma, mentre gli dice quello che appunto sono i suoi sentimenti ecc., mente?

ARCHIATI: Percepisco una menzogna.

INTERV.: Eh, siamo sicuri che la percepiamo?

ARCHIATI: Allora devi dire: io l’ho sentita dire: questo, questo e questo! Ma ciò che ha pensato… attenta, nella prima parte della Filosofia della Libertà abbiamo detto che è percepibile soltanto il proprio pensare. Ognuno può percepire soltanto il proprio pensare; il pensare dell’altro è, per natura, non percepibile. Perché nel momento in cui si traduce in parole, percepisco le parole!, però ci può essere un divario, o addirittura una contraddizione, tra le parole e ciò che si pensa.

INTERV.: E l’intuizione? Ci può essere l’intuizione del pensiero dell’altro?

ARCHIATI: No! Eh no, eh! Attenta, detto in un modo semplice: se noi potessimo intuire il pensiero dell’altro, sparirebbe la libertà! Nessuno di noi sarebbe più libero. Fa parte proprio della libertà il fatto che il mio processo di pensiero, la mia creazione di pensiero, non è assolutamente gestibile dal di fuori. Perciò è sommamente libero! Nessuno può sapere ciò che io sto pensando!

È una gran bella cosa! È una gran bella cosa!

E perciò il totalitarismo vorrebbe arrivare a determinare il tuo pensiero!

Anche la chiesa diventa totalitaria nella misura in cui vorrebbe inculcarti certe convinzioni; e l’individuo dice: no, le mie convinzioni sono affari miei, nel mio pensare tu non entri!

E dove viene compromesso l’umano a livelli paurosi? In ciò che in italiano chiamiamo il lavaggio del cervello.

INTERV.: Ma tu ieri hai parlato di forze sottili…

ARCHIATI: Lei dice: quando ho parlato di forze sottili? Parlavamo del realista ingenuo che se le immagina, che se noi avessimo organi di senso più sottili percepiremmo questa anima fatiscente.

25 – Il realismo metafisico è una mescolanza incoerente del realismo primitivo con l’idealismo. Le sue forze ipotetiche sono impercepibili con qualità di percezione. Al di fuori di quel mondo, per la cui forma di esistenza esso ha un mezzo di conoscenza nella percezione, il realismo metafisico ha deciso di ammettere un’altra sfera la sfera della cosa in sé in cui questo mezzo vien meno, e che si può investigare solo mediante il pensare. Ma non può nello stesso tempo decidersi a riconoscere anche la forma dell’essere che il pensare gli fornisce, e cioè il concetto, l’idea, l’intuizione il concetto (l’idea), come un fattore che sta accanto alla percezione in modo altrettanto giustificato.

Se si vuole evitare la contraddizione di una percezione impercepibile, la cosa in sé è una percezione impercepibile, una contraddizione assoluta! È una cosa impercepibile che però è pensata come se fosse percepibile, se no non può essere una cosa in sé.

Se si vuole evitare la contraddizione di una percezione impercepibile, bisogna confessare che i rapporti tra le percezioni trasmessici attraverso il pensare non hanno per noi altra forma d’esistenza che quella del concetto.

Il rapporto tra la mamma e il bambino è un concetto.

CARLO: Manca la percezione.

ARCHIATI: Manca la percezione in quel caso lì.

Se si scarta dal realismo metafisico la parte ingiustificata, il mondo si presenta come somma di percezioni e di rapporti concettuali (ideali) fra le percezioni.

Maurizio, i rapporti fra le parti della vespa, sono percepibili?  

MAURIZIO: Ossia, ci sono due modi: se usiamo di andare nella percezione…

ARCHIATI: No, no, tu la smonti (la vespa) e vedi tutte queste parti una accanto all’altra, ma i rapporti che hanno fra di loro?

MAURIZIO: No, no, non sono percepibili!

ARCHIATI: Sono concetti!

MAURIZIO: Sono concetti.

ARCHIATI: Il modo in cui l’artista, il pensatore, ha pensato l’interagire di queste parti, questi pensieri dell’interazione, sono concetti: tu non li puoi percepire questi pensieri, sono concetti!

LUCIANA: Puoi percepire l’effetto dei rapporti, ma non i rapporti.

ROBERTO: La manifestazione.

ARCHIATI: La manifestazione è il lato di percezione.

MAURIZIO: È come gli indiani, gli indios: quando arrivarono le navi degli spagnoli, non riuscivano a capire cosa potevano essere, perché non avevano il concetto di nave.

ARCHIATI: La percezione c’era!

MAURIZIO: Sì, la percezione c’era.

ARCHIATI: La vedevano!

MAURIZIO: Vedevano, però quasi che non vedevano…

ARCHIATI: Allora, quando c’è la percezione e manca il concetto, cosa dice l’uomo?

Cos’è, cos’è, cos’è? E dicendo: cos’è?, intende dire: mi manca l’essenza, mi manca la cosa.

MAURIZIO: Sì, mi manca qualcosa, perché fa una domanda.

ARCHIATI: No, mi manca la cosa!

MAURIZIO: Che cosa è, la cosa manca.

ARCHIATI: E cos’è la cosa? Il concetto. Il concetto è “la cosa”, il che cos’è.

Gli manca il concetto di nave. E che cos’è il concetto di nave? Una struttura di pensiero.

MAURIZIO: Una struttura di pensiero, sì. Poi un progetto di pensiero.

ARCHIATI: Ma è lo stesso! Cos’è una nave? Una struttura di pensiero, una complessa struttura di pensiero, che articola – in chiave di pensiero – un’infinità di parti.

Però il modo di articolarle è un pensiero, un concetto, un’intuizione; se no hai soltanto una farraggine tutta dispersa.

SIG.RA1: In estrema sintesi: l’apparenza è ingannevole; e vale sempre e comunque.

ARCHIATI: Eh, certo! E come lo dice la sapienza orientale, quello che tu hai detto adesso?

SIG.RA1: È maia!

ARCHIATI: Tutto ciò che è percepibile, il mondo materiale, è maia. La stessa affermazione! Ed è giusta!

Quindi noi stiamo facendo esercizi, non per dirlo come affermazione astratta, ma per far l’esperienza che è veramente così; perché non basta dirlo e poi non viene fatta l’esperienza; quindi man mano che ci esercitiamo arriviamo sempre di più… e tu stessa ce lo dicevi ieri sera: sì, in effetti man mano che esercito, la cosa diventa sempre più convincente. E questo è importante, altrimenti continuiamo a pensare che la realtà sia quella lì, materiale! No, è l’inganno più grande che esista e, come dire, ignoriamo, non vediamo, che la realtà al livello sommo ce l’abbiamo nel pensare!

Perché se non ci fosse mai stata l’intuizione di “nave”, sarebbero sorte la navi?

MAURIZIO: Ci sono le navi però, e tante!

ARCHIATI: Sì, e come sono cominciate, da dove sono partite?

MAURIZIO: Pensieri sopra pensieri, sono diventati sempre più complessi questi pensieri, sono concetti sempre più complessi.

ARCHIATI: Però sono pensieri, non la materia.

MAURIZIO: Però se io non conosco la nave…

ARCHIATI: Eh, se non hai il concetto di nave e hai soltanto la percezione, fai come gli indios, l’hai detto.

MAURIZIO: Ma il concetto esiste, è che non lo conosco io.

ARCHIATI: Ma scusa, il concetto deve esistere per lo meno in colui che ha fatto la nave, se no!…

MAURIZIO: Certo, però per me non esiste perché io non conosco il concetto di nave.

ARCHIATI: Eh, allora che fai? Te lo crei!

MAURIZIO: Lo devo creare, certo!

ARCHIATI: Nel Laos, io sono stato due anni nel Laos, il secondo anno insegnavo già il laotiano alla scuole elementari; ho avuto alunni, in seconda e terza elementare, che non avevano mai visto una casa a due piani, per poi non parlare dell’ascensore.

Li ho portati alla capitale, a Vientiane, dove c’erano un paio di case, non soltanto (abitazioni) di paglia, ce n’erano una o due con l’ascensore, ma loro, tra l’altro, non avevano il concetto di scala. E, – non dimenticherò mai, erano ragazzetti di 7,8 anni – arriviamo, c’era una casa normale, la rampa saliva, poi c’è il pianerottolo, si gira e la scala prosegue in direzione opposta (a quella di partenza). Loro sono andati là, avanti – io gli avevo spiegato il concetto, però a loro mancava la percezione – loro mi hanno guardato, si son fatti una risata: te l’abbiamo detto che non esiste, vedi che arriva solo fino a metà!

Loro pensavano che una scala arrivasse solo fino a metà e sopra non ci arrivi, percepivano soltanto la prima metà.

Quando sono arrivati dove la scala girava, un silenzio! Avevano quasi paura a mettere i piedi sui gradini successivi, poi sono andati al primo piano.

Quindi, embrionalmente, io avevo creato il concetto di scala, però gli mancava la percezione; adesso hanno la percezione, adesso sanno cos’è la scala.

Però l’origine della scala è nel pensiero che l’ha pensata, scusa!

MAURIZIO: La prima scala è stato il primo pensiero, e poi il secondo e poi sempre più complesso.

ARCHIATI: Eh, certo! Così è nata la ruota, così è nato tutto ciò che…

MAURIZIO: Così è nata la scala elettrica che è l’ascensore.

ARCHIATI: L’ascensore, certo, certo.

Finiamo il paragrafo 25.

25 – Se si vuole evitare la contraddizione di una percezione impercepibile, bisogna pur confessare che i rapporti fra le percezioni trasmessici attraverso il pensare non hanno per noi altra forma di esistenza che quella del concetto. Se si scarta dal realismo metafisico la parte ingiustificata, il mondo si presenta allora come somma di percezioni e di rapporti concettuali (ideali) fa le percezioni. Il realismo metafisico si trasforma cioè in una concezione che per la percezione esige il principio della percepibilità, e per i rapporti fra le percezioni esige la pensabilità. Questa concezione non può, accanto ai mondi della percezione e del concetto, far sussistere un terzo mondo, per il quale entrambi i principii, il cosiddetto principio reale e il principio ideale, abbiano valore contemporaneamente.

Cos’è un concetto allora?

Un’infinità di rapporti fra parti. Il concetto di nave è il concetto di un’infinità di rapporti tra tantissime parti. Se non hai il concetto di come queste parti si rapportano l’una con l’altra, non hai la nave.

Il concetto di mamma: un’infinità di rapporti, di interazione col bambino; perché se non interagisce col bambino non è una mamma. Quindi è nel concetto di mamma che c’è un’infinità di modi di rapportarsi col bambino. È nel concetto di mamma, se no non è mamma.

Fa parte del concetto di mamma che c’è un’infinità di modi di rapportarsi col bambino, ma questi modi di rapportarsi col bambino sono percepibili?

No, fanno parte del concetto di mamma. Percepibile è l’espressione materiale, l’espressione nei movimenti delle mani, che possono anche ingannare, tra l’altro; e perciò, siccome i gesti possono ingannare, io non posso mai percepire il rapporto. Il rapporto è solo pensabile – in quanto rapporto –. E questo rapporto reale, in quanto rapporto di pensieri, è per natura non percepibile; è il suo mistero, è il mistero della sua libertà.

Se me ne parla, percepisco le parole, ma non i pensieri. Voi dicevate: può mentire, giustamente! Ognuno può mentire.

Quindi l’elemento creatore del pensare, in ogni essere umano, non è ricattabile.

Questa assoluta libertà che esula da ogni manipolazione dall’esterno, perché si sottrae ad ogni manipolazione, il concetto tecnico nella scrittura cristiana è il concetto di Spirito Santo. Non gestibile dal di fuori, intoccabile, il “sancta sanctorum”…

PAOLO: E per questo non giudicabile.

ARCHIATI: Non giudicabile, certo.

PAOLO: Cristo lo dice tante volte perché io non posso sapere niente di quello che succede nell’altro.

ARCHIATI: Di quello che l’altro pensa!

Vedete, a questi livelli qui, cominciamo a cogliere più nel centro il concetto di libertà.

Io sto parlando del concetto di libertà; il concetto di libertà è che la creazione del pensare dell’altro non è percepibile, quindi non gestibile in assoluto: ognuno è libero!

SIG.RA2: Quindi il rapporto di pensieri, quello solo è il reale.

ARCHIATI: Cosa intendi con rapporto di pensieri?

SIG.RA2: I pensieri che ha la mamma col figlio. È quella la vera realtà del rapporto.

ARCHIATI: Certo, per lei, del suo rapporto.

SIG.RA2: Che non è trasferibile.

ARCHIATI: Non è gestibile, non è comunicabile. Può comunicare soltanto alcuni aspetti, la sua manifestazione, oppure può comunicare un camuffamento, mentendo ecc., ma il nucleo dell’io pensante non è comunicabile, altrimenti non sarebbe un io, altrimenti non sarebbe un io autonomo se fosse comunicabile; proprio questo è il mistero della libertà: che ogni io pensante è uno spirito autonomo, non gestibile dal di fuori, ma soltanto dal di dentro.

Il mio pensare sono io e nessun altro!

SIG.RA3: Però a me sembra che anche il corpo ha un linguaggio che non tradisce, cioè, io posso darti la mano, col sorriso, però tu cogli un certo atteggiamento se è sincero il mio venirti incontro o no…

ARCHIATI: Perché dici: “se è sincero”? Stai dicendo che può darsi che non sia sincero, scusa! Proprio ammettendo questo dici quello che dicevamo prima!

SIG.RA3: Ma no…

ARCHIATI: Tu dicendo “se è sincero”, dici che può anche non essere sincero!

SIG.RA3: Beh, sì…

ARCHIATI: E allora! E se non è sincero?

SIG.RA3: Ma tu dici che il pensiero non si può… tu solo puoi sapere che cosa pensi, l’altro non può saperlo.

ARCHIATI: No, non è questa l’affermazione: il pensare dell’altro non è percepibile.

SIG.RA3: Ma dal suo corpo io lo percepisco!

ARCHIATI: Percepisci il corpo, ma non il pensare! E tra ciò che io percepisco nel suo corpo e il suo pensare, c’è un abisso! Sono due mondi del tutto diversi.

SIG.RA4: Però lei che ti sta parlando, con la sua gestualità e con la sua corporeità sta avvalorando, in fondo, i pensieri che ci comunica.

ARCIATI: No, no, no, perché tu non puoi sapere se io sto pensando: siete tutti una massa di scemi!!!

PUBBLICO: (risate)

ARCHIATI: Lo puoi sapere tu?

SIG.RA4: No, certo!

ARCHIATI: E anche se io lo dicessi, non puoi essere sicura che sto mentendo. Difatti non sai se lo sto dicendo per facezia o no, capito! Quindi il mio pensare non ti riguarda, altrimenti la libertà non ci sarebbe, altrimenti l’essere umano sarebbe gestibile dal di fuori in tutto e per tutto. Allora non sarebbe un individuo autonomo.

SIG.RA1: Ma se si crea il concetto di relazione, di rapporto, se io creo il concetto di rapporto…

ARCHIATI: Sta attenta: il concetto di rapporto è il concetto dell’anima, l’anima è la comunicabilità dell’essere umano, lo spirito è la non comunicabilità. Nell’anima ci comunichiamo e la parola fa parte dell’anima, dell’animico, non dello spirito.

Tu puoi comunicare ad un altro un concetto che tu hai?

No! Puoi aiutarlo a crearsi lui il concetto, ma mica gli puoi vendere il tuo concetto.

Perché non puoi dare all’altro il concetto tuo?

SIG.RA1: Perché è di per sé incomunicabile.

ARCHIATI: È di per sé incomunicabile, altrimenti non è il concetto tuo.

SIG.RA4: Mettiamo in crisi tutta la comunicazione… no, dicevo: sta andando in crisi la comunicazione tra umani!

ARCHIATI: Torniamo al concetto di organismo: l’unità tra cervello e cuore, non sta nel fatto che la pensano allo stesso modo, comunicano eccome! Però il cervello resta cervello e il cuore resta cuore.

Due esserei umani comunicano eccome! Possono comunicare; però uno resta un io e l’altro resta un altro io, altrimenti non ci sarebbe più l’elemento individuale, non gestibile, irraggiungibile, non manipolabile.

Se io potessi capire tutto dell’altro, divento l’altro; e lo posso manipolare in tutto e per tutto.

INTERV.: A quel punto lì non mi interessa neanche più.

ARCHIATI: E non mi interessa neanche più, certo, certo: Quindi, diciamo, che noi siamo agli inizi della creazione del concetto della seconda dimensione dell’umano, viviamo di atavismi di comunità, comunità e comunità e abbiamo paura di fronte a questa seconda sponda dell’umano, che è l’individualità, l’io pensante creatore libero; non gestibile dal di fuori: lì non c’entra nessuno, il “sancta sanctorum”, lì non c’entra nessuno!

Del mio pensare rispondo solo io.

Nel pensare dell’individuo avviene, o non avviene, soltanto ciò che l’individuo ci mette. E un concorrere al mio pensare dal di fuori è assolutamente escluso, altrimenti non è il mio pensare, è il pensare dell’altro.

Facciamo 20 minuti di pausa.

Leggiamo insieme 26, 27, 28 e poi discorriamo un po’ in chiave di discussione.

26 – Quando il realismo metafisico asserisce che, accanto alla relazione ideale fra l’oggetto della percezione e il soggetto della percezione, deve sussistere anche una relazione reale fra la “cosa in sé” della percezione e la “cosa in sé” del soggetto percepibile (cioè del cosiddetto spirito individuale), esso si basa sulla falsa supposizione sul falso presupposto che per l’essere si verifichi un processo, non percepibile, analogo ai processi del mondo dei sensi. Quando poi afferma: « Col mio mondo della percezione io entro in un rapporto cosciente-ideale, ma col mondo reale io posso entrare solo in un rapporto dinamico (rapporto di forze) » cioè reale, un rapporto di forze reali, commette di nuovo lo stesso errore. Di un rapporto di forze si può parlare solo dentro il mondo della percezione (dentro il campo del senso tattile), non al di fuori. (Disegna alla lavagna)

Qui c’è la coscienza, qui c’è il rapporto, qui c’è l’albero reale, qui c’è l’uomo.

Mettiamo la coscienza qui sotto. La coscienza pensante si chiede: che rapporto c’è tra l’uomo e l’albero? L’uomo si pone in duplice rapporto con l’albero: percepisce l’albero e pensa l’albero. Basta! Non c’è bisogno di altro. E unendo la percezione dell’albero con il concetto di albero che il pensare costruisce, ha la realtà completa dell’albero.

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La costruzione che dice: – che poi è un inganno – ma io nella coscienza non ho l’albero reale (la cosa in sé dell’albero) e nella coscienza non ho l’uomo reale: ho soltanto un riflesso, un’immagine riflessa, una rappresentazione dell’albero e una rappresentazione dell’uomo.

La rappresentazione dell’uomo, che è in rapporto con l’albero, che io ho nella coscienza, che cos’è?

Una percezione!

Se io ho una rappresentazione di un uomo in rapporto con l’albero, questa rappresentazione è qualcosa che io percepisco dentro di me, è una percezione.

E quando io dico: questa percezione, ciò che io percepisco in me, dell’uomo in rapporto con l’albero, è una rappresentazione, cosa ho?

In chiave di pensiero creo il concetto di rappresentazione.

Percependo la rappresentazione, l’immagine che ho dentro di me e creando il concetto che è una rappresentazione, ho il tutto della rappresentazione: ho la percezione e il concetto di rappresentazione e non mi manca nulla!

Quindi quando l’uomo, di una realtà ha la percezione e il concetto ha il tutto della realtà.

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Però dire che nella coscienza ho soltanto una rappresentazione soggettiva dell’albero – prendiamo l’albero adesso – è un inganno!

Ho soltanto una rappresentazione soggettiva io, dell’albero, nella coscienza?

Se parlo così disattendo il fatto che io, nella coscienza, ho il concetto di albero e non me ne accorgo! Perché il concetto di albero è altrettanto cosciente quanto la rappresentazione dell’albero.

INTERV.: Subirei passivamente senza prendere posizione.

ARCHIATI: Rispetto al concetto, sì! In altre parole, il pensare avviene spontaneamente a livello, diciamo, molto meno intenso, però l’uomo – a meno che si addormenti – pensa sempre! Nel momento in cui si rende conto, porta a coscienza, il fatto che pensa sempre, può afferrare il suo pensare e gestirlo sempre più liberamente, sempre più intensamente, sempre più creativamente.

Quindi ci dicevamo sempre che il pensare non è una realtà assoluta, ma è passibile di infiniti gradi: nessuno pensa allo 0%, perché pensare 0% significa addormentarsi.

Quando si sveglia, c’è almeno il 10% del pensiero: è il pensiero automatico: quella è una rosa, quello è un amico, quella è una macchina, ecc..

Man mano che ci si rende conto del pensare e il pensare viene afferrato sempre più coscientemente e mi rendo conto che nel pensare io ho l’essenza delle cose, ci lavoro; diventa sempre più intenso, sempre più creativo, sempre più libero e… il 100%?

C’è il concetto di pensare al 100%, di creatività, di intensità, di profondità, di vastità?

Certo che c’è il concetto! Questo concetto l’hanno creato per primi i greci, che sono stati i primi pensatori: Logos!

Il Logos è il concetto del pensatore al 100%, in intensità, in creatività, in profondità, in vastità.

Quindi, tra il Logos (100%) e il dormire (0%), c’è tutto il cammino dell’evoluzione del pensare. Quindi il concetto di Logos è il concetto della perfezione assoluta, della creatività assoluta del pensare. In questo pensare è presente tutto, ci sono tutti i concetti; questo spirito ha presente al suo pensare tutti concetti possibili!

Mamma mia, come fa?!

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È un concetto vertiginoso se uno ci pensa, eh!

MAURIZIO: Bellissimo, proprio! È affascinante!

ARCHIATI: Affascinante. E allora questa prospettiva di evoluzione del pensare diventa bella, uno dice…

MAURIZIO: Ce l’abbiamo questa prospettiva.

ARCHIATI: Eh, certo, la tocchiamo con mano, soprattutto in questi incontri. La tocchiamo con mano!

E proprio perché nessun essere umano è allo 0%, il pensare è afferrabile da ognuno perché se lo porta dentro: non può far altro, no!

E allora, la prima parte della Filosofia della Libertà dice: osserva, percepisci ciò che fai continuamente! Percepisci tutte le altre cose e non hai ancora percepito la cosa più importante che c’è in te, che è il pensare!

E perché non la percepisce, non la nota?

Perché è l’unica cosa che produce lui. È lui! E quindi non ha distanza; deve prendere distanza per poterla percepire! E la distanza è che io posso percepire soltanto i concetti che ho già prodotto.

Però abbiamo detto questa mattina: i concetti che ho già prodotto, in questi concetti che il mio pensare ha già prodotto, c’è stata una cogestione di altri? No!

Se io li percepisco e ne creo il concetto giusto devo dire: percepisco qualcosa che ho creato soltanto io. Se i concetti che io ho, li ho creati soltanto io, dunque io continuamente creo concetti, dunque io penso, in continuazione.

E questo che faccio, questo pensare è l’unica cosa che faccio io da solo; sono del tutto libero perché non c’è una cogestione dal di fuori; allora mi accorgo, per la prima volta, che è la cosa più fenomenale che ho a disposizione; dove sono una creazione tutta mia e tutta libera; allora dico: è la cosa più bella che ci sia, fammela prendere in mano che diventi sempre più bella, sempre più…

E la prospettiva dell’evoluzione del pensare è il Logos, la logica universale, il nodo dell’universo, la totalità dei rapporti possibili di tutti i concetti e di tutti i rapporti di tutti i concetti, all’infinito.

Detto in parole povere: capire il mondo sempre meglio, questo è pensare.

L’arte di capire, creando concetti, creando rapporti di concetti, di capire il mondo sempre meglio, in modo sempre più vasto, sempre più profondo.

Capire il materialismo in cui siamo, cosa vuol dire? Creare il concetto di materialismo significa trovare l’essenza del materialismo. Fa parte del concetto di materialismo che il materialismo è necessario all’evoluzione?

Allora: all’inizio eravamo tutti nel mondo divino, poi ci siamo tuffati nella materia.

Perdere di vista lo spirito – fa parte del concetto di materialismo, il materialista è l’uomo, la coscienza umana, che perde di vista lo spirito – fa parte del concetto di materialismo che è uno stadio necessario nell’evoluzione?

SIG.RA4: Sì.

ARCHIATI: Perché?

SIG.RA4: Perché bisogna riappropriarsi con libertà dello spirito che abbiamo perso.

ARCHIATI: Bisogna?!

SIG.RA4 : No, perché all’uomo sia data facoltà, se vuole, di riappropriarsi dello spirito

ARCHIATI: Ed è bello che gli sia data questa possibilità?

SIG.RA4: Beh, si!

ARCHIATI: Perché soltanto in questo modo se lo riconquista liberamente. E la libertà gli fa bene?

SIG.RA4: È anche il massimo male.

ARCHIATI: Sei sicura?

SIG.RA4: Direi di sì, eh! Soltanto che appunto si ha molta paura di questa libertà, questo è vero, però…

ARCHIATI: Quindi si può riconquistare liberamente soltanto ciò che si è perso.

Quindi il materialismo è la conditio sine qua non, la premessa necessaria perché l’individuo possa, se vuole, perché è libero, riconquistarsi liberamente e individualmente la realtà dello spirito.

Cosa sto facendo? Sto costruendo il concetto di materialismo; come conditio sine qua non della libertà dello spirito pensante, la libertà individuale. E dicevo, il pensare è l’arte del capire le cose sempre più vastamente, sempre più profondamente; l’ho esercitato in questo concetto importantissimo perché se capisco questo concetto, ho capito il materialismo, il suo senso positivo, che è la libertà.

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Adesso arriva uno che dice peste e corna del materialismo, una bruttissima cosa! Non s’è fatto ancora il concetto giusto del materialismo, perché non ne ha colto il senso.

La sete è una cosa brutta? Sì, finchè non si beve. Nel momento in cui bevi è la cosa più bella che ci sia, perché se non hai sete non c’è gusto a bere.

Il materialismo è sete dello spirito, ma se a uno non gli manca lo spirito non c’è gusto a cercarlo: ce l’ha già; allora è rimasto nel grembo materno.

Dio lo trova soltanto colui che l’ha perso – Dio tra virgolette, eh! –. E il credente in Dio è colui che non vuole perderlo; e allora gli verrà portato via.

In altre parole, più andiamo avanti, più la coscienza va avanti e più la cosiddetta fede, non regge. Perché l’essere umano si dice: chi me lo fa fare di credere se posso capire, se posso pensare. Chi me lo fa fare di bere acqua se posso bere chianti! – Chiedo venia agli antroposofi qui in sala! – Il credere, paragonato al pensare, è come l’acqua paragonata a bere chianti, scusate! Non c’è gusto! Quindi il credere è per la fase bambina (dell’umanità) e nella fase bambina ci vuole, non c’è altro!

PUBBLICO: E gli astemi?

(Segni di disapprovazione)

ARCHIATI: Luciana sta sbuffando! C’è una soluzione anche per gli astemi, lo facciamo reincarnare e poi beve volentieri, no! C’è una soluzione a tutto!

27 – La concezione del mondo più sopra accennata, nella quale viene a sboccare il realismo metafisico quando si liberi dai suoi elementi contradditori, la chiameremo monismo, perché essa riunisce il realismo unilaterale e l’idealismo in un’unità più elevata.

Monismo è la facoltà di unificarsi con l’essenza delle cose, col pensare. Unendo percezione e concetto unifico la cosa, non è più separata tra percezione e concetto; e unifico me, come spirito pensante, con la cosa. Divento ciò che penso, sono ciò che penso.

Quindi il pensare è il superamento di ogni estraneità, di ogni dualismo, di ogni alienazione.

28 – Per il realismo primitivo il mondo reale è una somma di oggetti di percezione; il realismo metafisico attribuisce realtà, oltre che alle percezioni, anche alle forze impercepibili; il monismo sostituisce a queste forze i nessi ideali che esso conquista per mezzo del suo pensare. Tali nessi sono le leggi della natura. Una legge naturale non è altro che l’espressione concettuale della connessione fra determinate percezioni.

La legge della crescita di una pianta, la legge naturale: un complesso di concetti. Il concetto di altezza, il concetto di crescita, il concetto di espansione, il concetto di terreno, di vita, di aria, di luce, ecc.; tutti questi concetti, il loro modo di interagire, li chiamo: crescita della pianta.

Le cosiddette leggi di natura sono concetti. È ciò che il Logos ha pensato, intuitivamente, nel creare la margherita. La legge di crescita della margherita è un pensiero, un concetto, di chi l’ha creata.

Voi direte: ma è un concetto complesso! Certo, ogni concetto è complesso, così come è complesso il concetto di vespa. Però nel concetto di vespa c’è questa legge di interazione di tutte le parti, complessa, però è reale; e evidenzia la creatività dello spirito che pensa a livelli sempre più complessi.

Un orologio, se andiamo indietro 6/7000 anni, il pensare umano non era ancora in grado di pensare a livelli così complessi, quindi non c’erano orologi.

La progressione delle forze pensanti sta proprio nella capacità di pensare concetti, e quindi anche rapporti fra concetti, sempre più complessi.

La tecnica moderna è una complessificazione, a livello minerale, a livello materiale naturalmente, però una complessificazione del pensiero sempre maggiore; che in fondo è una gran bella cosa, eh!

Andiamo indietro di 40 anni, vado in una piccola stazione, quello lì doveva scrivere tutto a mano, quando aveva scritto tutto quanto il treno era già partito.

Oggi, in Germania, erano stati annunciati quattro giorni micidiali di sciopero dei voli – 1800 voli al giorno della Lufthansa –. Hanno creato tutto un piano alternativo e come hanno comunicato a noi – sono 80 milioni in Germania, tanta gente che vola ogni giorno –; come hanno comunicato a noi che il volo si spostava? Posta elettronica! Una e-mail; e nella posta elettronica tu gli dici: ho percepito il cambiamento e ti mettono un quadratino dove tu dici: accetto il cambiamento d’orario. Allora loro sanno: questi passeggeri ci saranno ad un’ora diversa.

Questo tipo di tecnica presuppone un pensare umano diventato molto più complesso, e io vi dicevo: è una gran bella cosa! Perché, immaginate se non ci fosse questo modo elettronico di comunicare, sarebbe il caos più assoluto in tutti gli aeroporti. Perché 1800 voli che all’improvviso non ci sono, tutte le persone che vengono, da tutti i vari continenti ecc., è un disastro!

Sono riusciti ad evitare quasi tutto (il disagio).

Quindi se l’essere umano dimostra, nel campo della tecnica, che potenzialmente il pensare umano è di una ricchezza infinita, questo aumenta, nell’essere umano, la gioia e anche la voglia di lavorare al pensare, in modo che diventi creativo, non soltanto nel mondo materiale della tecnica e delle macchine, ma diventi creativo nell’arte dei rapporti fra persone.

Diventi creativo, artistico nell’arte di conoscere anche esseri puramente spirituali, in modo di sapere il modo di interagire fra gli angeli, che sono gli spiriti che reggono le sorti dell’individuo; gli arcangeli che reggono le sorti di tutto un popolo; e gli spiriti del tempo, che sono comuni a tutti popoli in una certa epoca.

Soltanto l’interazione tra un angelo, un arcangelo e uno spirito del tempo, sono concetti di una complessità infinita; però il pensiero ha la capacità di afferrare tutto questo.

E questa scienza che integra la scienza naturale che sfocia nella tecnica, dove il pensare diventa ancora più complesso, ancora più vasto, la chiamiamo scienza spirituale. Ma questa scienza dello spirito è una potenzialità di evoluzione del pensiero all’infinito!

O ti dà gioia, oppure aspetta. Mica uno si mette a farlo per dovere, ci mancherebbe altro! Ce ne son tante di cose fatte per dovere di cui ci vorremmo liberare!

Invece qui è una proposta tutta positiva di creatività all’infinito, di godimento all’infinito.

MAURIZIO: Ma non è un libro la scienza dello spirito?

ARCHIATI: No, la scienza dello spirito di Steiner ha l’opera omnia – adesso noi la stiamo rifacendo un po’ più pulita – 350 volumi circa, da masticare uno dopo l’altro, se vuoi.

MAURIZIO: 350!?

ARCHIATI: Una gran bella cosa, no! Se fossero solo 300… E tu, dopo aver fatto i 300 dici: eh, perché solo 300? Mancano 50!

Sai come ho fatto io: ero in America, ho perso la voce; con la scusa che avevo perso la voce mi hanno dato il permesso di diventare eremita sul lago di Como; avevo 32 anni e ho scoperto Steiner, un nome che non avevo mai sentito prima.

Ho scoperto Steiner attraverso la lettura di Scaligero. Io ero uno che anni prima andava per chiese, ma ormai da un sacco di anni non mi interessavano più le chiese, mi interessavano le librerie; quindi quando avevo un po’ di tempo libero andavo nelle librerie, mi interessavano i libri.

Ero senza voce, però a Milano c’era un gruppetto di suore e qualcuno gli doveva tenere un paio di conferenze e, insomma, ho dovuto fargliele io.

Due mesi prima a Lodi, in una libreria ho trovato un libro di Massimo Scaligero, un nome che io non conoscevo, però… “Guarire col pensare”… eh, non c’è male!

Tieni presente che io ero stato alla scuola di Aristotele, di Tommaso D’Aquino, anche degli idealisti tedeschi, quelli erano i miei grandi maestri!

L’ho comprato. Leggo: parla continuamente del maestro dei tempi nuovi; e io dicevo: ma chi è questo maestro dei tempi nuovi?

Ci saranno degli scaligeriani qui in sala, devo stare ben attento a quello che dico!

Poi allora mi dicevo: ma allora prende un sacco di cose da questo maestro dei tempi nuovi, ma non mi dice chi è. Verso metà del libro c’era una citazione: R u d o l f

S t e i n e r!

Dev’essere un nome tedesco…

Io avevo fatto gli studi a Roma alla Gregoriana, ero l’unico italiano per diversi anni nello studentato degli Oblati di Maria Immacolata e quindi per vivere insieme, per giocare a pallacanestro ecc., dovevamo imparare almeno 3 o 4 lingue, quindi il tedesco lo sapevo un pochino.

Dico: un nome tedesco: Steiner… sta a vedere che è questo il maestro dei tempi nuovi, ho detto io in quel momento. Continuo a leggere: niente più. Nella bibliografia c’erano una ventina di testi di Scaligero, ma nulla del maestro dei tempi nuovi.

Un po’ più tardi ho comperato un altro libro di Scaligero, ma questa volta neanche una citazione di Rudolf Steiner; però io, segretamente, ero alla ricerca di questo Rudolf Steiner… sta a vedere che è lui il maestro dei tempi nuovi.

Ma chi era Rudolf Steiner, dove lo trovo?

Dopo due mesi, a Milano, nel marzo del 1977, mi mandano a tenere delle conferenze a un gruppo di suorine, più col fiato che con la voce, che non c’era, e tra una conferenza e l’altra vado per librerie.

Nella piazza del Duomo, dall’altra parte c’era un‘ “Arcilibreria”, si chiamava così allora, nel “passagio Duomo” – mi dicono che ora non c’è più – sono entrato e la prima cosa che ho visto, ma neanche a un metro dalla porta, due scaffali con Rudolf Steiner!

Mi dicono che ho giubilato in un modo tale che si aveva paura che fossero arrivate le brigate rosse, un terrorista che…

Non avevo soldi, un buon religioso non ha soldi; son tornato dalla suorine, ho raccontato un po’ di fandonie in modo che mi dessero un po’ di soldi perché dovevo comprare dei libri. Son tornato e ho comprato la Filosofia della Libertà e le conferenze sul Vangelo di Giovanni. Le conferenze sul Vangelo di Giovanni non ci ho capito nulla! Però ho capito una cosa: oh!, questo qui presuppone un sacco di cose. Da dove le piglia?

La Filosofia della Libertà… come un miele, come se l’avessi scritta io! I pensieri mi erano tutti trasparenti; tutta la mia filosofia mi aveva preparato per tutti i pensieri: queste cose io le avevo sempre pensate! Proprio così!

E poi ho cominciato: da monaco ero abituato a lavorare in piedi 16 / 17 ore al giorno, in media un volume al giorno! Quindi quanti sono i giorni dell’anno?

MAURIZIO: 365!

ARCHIATI: Basta un anno, vedi! Dopo un anno ho fatto tutta l’opera omnia.

LUCIANA: Poi l’hai rifatta altre 5 volte!

ARCHIATI: Sì, poi ho cominciato in tedesco, i volumi tedeschi erano molto più cari, quelli italiani costavano un terzo.

NADIA: Posso chiederti una cosa riguardo a quella cosa della voce di cui parlavi, che ti era scomparsa e che ti è ricomparsa automaticamente; perché in questi tempi mi trovo in una situazione in cui la voce di certe persone è scomparsa, è diventata un’altra… Stavo chiedendo se Archiati aveva ricuperato immediatamente al voce…

ARCHIATI: No, no, era una cisti alla tiroide; sono stato operato a Milano e il primario mi diceva: guardi che se la voce non ritorna per lo meno 6 mesi dopo l’operazione, non torna più.

NADIA: Ecco, perché ultimamente ho visto dei casi in cui, persone che sono dentro situazioni molto pesanti, stressanti, hanno perso la voce.

ARCHIATI: Certo, certo! Karma.

NADIA: E i medici non riuscivano a capire il perché, né come curare questa cosa; ecco perché mi sono permessa di interrompere il filo logico…

ARCHIATI: Il karma sa un paio di cose in più di quello che sanno i medici, capito! Nel karma c’è un po’ di più di quello che sanno i medici.

INTERV.: Questa mattina, prima dell’intervallo, sono state fatte delle affermazioni che mi hanno un po’ sorpreso e non sono state contestate da nessuno; e son passate così. Tra l’altro sono state accettate anche da me; però c’era qualcosa che mi metteva in imbarazzo. È stato detto che la maia è un inganno, la parvenza è ingannevole: Non è vero! La maia è maia e la parvenza è parvenza. Ingannabili siamo noi, perché non riusciamo a compenetrarle nel modo giusto; non adoperiamo il rapporto giusto che dovremmo avere di fronte a queste cose; ma non possiamo dire che l’inganno sta là, fuori. E loro sono là, chiedono magari un’integrazione da parte della nostra attività spirituale. Soltanto questo volevo precisare.

ARCHIATI: Certo, e quello che tu dici è ovvio. Però è importante che ogni tanto l’ovvio venga articolato, altrimenti sorgono fraintendimenti; e cioè: mondo materiale è maia – maia significa illusione – ora l’illusione è uno stato di coscienza! Allora, la coscienza illusoria si illude di avere una realtà piena con la sola percezione, questa è l’illusione! Mi illudo di avere una realtà completa solo con la percezione e non mi accorgo che difatti la realtà la rendo completa io stesso aggiungendo il concetto alla percezione; e vivo nell’illusione come se io non facessi nulla e come se, dal di fuori, mi venisse la realtà piena.

Questo stato di coscienza che pensa, che ritiene, che la realtà piena mi venga dal di fuori è illusorio. Si illude, si inganna, perché non si accorge che difatti l’altra metà, che costituisce la realtà completa, gliela mette lui col pensare; e non se ne accorge, quindi si illude.

Quindi quello che tu dici è giusto, è ovvio; però l’ovvio si può anche dimenticare, giustamente.

ELENA: Chiedo scusa, ma vorrei fare un passo indietro e tornare a ieri, quando veniva evocato l’episodio di Mosè e del roveto ardente, in cui appunto c’è una manifestazione...

ARCHIATI: Un’immaginazione!

ELENA: Un’immaginazione relativa a Javé che si manifesta come “io sono”, perché Javé è “io sono”…

ARCHIATI: E sorgente di luce e di calore che si genera consumando il vitale.

ELENA: Sì, ma la mia domanda – mi scuso che non è tanto congruente con tutto questo discorso, ma per disperazione la pongo in questo momento – la domanda è questa: questa manifestazione di Jahvè, come appunto “io sono colui che sono” – ricordo di averne sentito già parlare nei suoi scritti, per esempio nella colonna di fumo che accompagnava gli ebrei ecc., ecc., anche questa era un’altra manifestazione – il mio problema è semplicemente quello di definire bene chi era questo Javé, perché da un lato ho letto ripetutamente che il Cristo si manifesta al popolo ebraico – e per esempio queste sarebbero manifestazioni comunque del Cristo –, ma allora io mi sto interrogando su questa figura di Javé che ricordavo di aver identificato, attraverso alcuni scritti di Steiner, come uno delle entità solari che praticamente aveva preso il compito, in sostanza, di guida del popolo ebraico.

Allora, è questo che vorrei capire: la connessione tra la manifestazione del Cristo e questo Javé che, per gli ebrei era concepito, immaginato, come la divinità somma, ma che in realtà non lo era.

Il mio problema è che se questo Cristo si è manifestato al popolo ebraico, non si identifica certo… vorrei capire queste due figure insomma, perché c’è ambiguità.

ARCHIATI: Fermo restando che questi vasti, complessi, misteri non li potrà capire in un minuto.

ELENA: Non pretendo questo!

ARCHIATI: Ogni volta possiamo dare degli avvii di pensiero.

La parola ebraica “Javé” significa “io sono”. Un’altra formula: IE ASHER E IE: io sono colui che era, colui che è, colui che sarà. E cioè l’identità, il rimanere identico a se stesso nel cangiamento di tutto l’animico, di tutto l’eterico, ecc.; quindi quella dimensione dello spirito che resta uguale a se stesso.

La domanda che a noi interessa non è cosa hanno capito gli ebrei di Javé, la nostra domanda è: chi è Javé.

Javé è il Logos che annuncia la sua decisione di incarnarsi nell’umano; e si può incarnare nell’umano soltanto se c’è una compatibilità assoluta con l’umano. E l’umano è la sua creazione in assoluto, perché lui è l’essere dell’io e ha creato l’uomo come io.

Ora, l’essere dell’io – che poi noi lo chiamiamo Cristo, o l’essere del sole, non importa, l’importante è che capiamo di chi si tratta – l’essere dell’io è l’essere che fa sprigionare dal suo spirito il pensare e l’amare; e nel capitolo V del Vangelo di Giovanni c’è questa formulazione: Mosè ha parlato di me.

ELENA: Ma perché allora Javé, così come ce lo presenta l’antico testamento, ci appare spesso come un dio iroso, stizzoso, o per lo meno viene presentato così. Ecco, è questo che volevo chiarire.

ARCHIATI: Perciò ti sto dicendo: sono tutti fraintendimenti degli esseri umani. Quindi, un conto è se noi ci chiediamo come è stato capito, o frainteso Javé finora, e un conto è se noi chiediamo: è in grado la scienza dello spirito di darci un concetto più oggettivo di Javé; a noi interessa il concetto oggettivo di Javé.

ELENA: Quindi diciamo che anche l’antico testamento è ricco di fraintendimenti e così ce l’ha presentato.

ARCHIATI: Ma scusa, se il Logos annuncia la sua venuta – abbiamo detto l’abisso che c’è fra noi e Lui – potranno gli esseri umnai capire subito di che si tratta?

ELENA: Ovvio che no!

ARCHIATI: Hanno bisogno di millenni per capire sempre meglio questo mistero.

ELENA: Grazie, chiarissimo!

ARCHIATI: Buon appetito a tutti!

Sabato, 27 febbraio 2010 - pomeriggio

ARCHIATI: Ci accingiamo a portare a compimento il capitolo VII, finalmente; e poi cominceremo la seconda parte che, in un certo senso, da un punto di vista intellettuale è un po’ più facilina, perché si è già “masticato” abbastanza in chiave di pensiero.

E… dovuto al risvolto morale – la seconda parte – diventa in un certo senso più interessante perché affronta la domanda dell’agire, della vita, del comportamento, di ciò che l’essere umano può e vuol realizzare nella sua evoluzione.

Queste riflessioni di conclusione della prima parte sul monismo – monismo ovviamente è una parola, un termine, che sta ad indicare l’unità – non esiste un dualismo non risolvibile, ogni dualismo che sorge di necessità, in base alla spaccatura tra percezione e pensare, viene trasceso, viene risolto, viene superato, col pensare!

Quindi il pensare è l’organo di unificazione col reale; e unificandosi col reale siamo in questa unità. Monismo significa unità.

Nel momento in cui il pensare, l’attività del pensare si illumina di un concetto, crea un concetto, il pensante – il pensatore – diventa uno, un monos, monistico, con quel concetto. Diventa quel concetto stesso!

Nel momento in cui afferro, creo, nel mio pensare, nella mia attività pensante, il concetto di margherita; o sto lavorando alla creazione di questo concetto, perché non è semplice, ma è un processo di struttura di pensiero, cosa sono io?

Sono margherita, spiritualmente! E il concetto è l’essenza della realtà.

In fondo tutti questi esercizi tendevano, e tendono giustamente, al superamento del materialismo.

Il materialismo è quella posizione della coscienza umana che ritiene – ingannevolmente, ci siamo detti, illusoriamente – come reale ciò che vede là fuori, ciò che tocca materialmente.

E l’inganno, come giustamente si diceva, non è nelle cose, ma è nello stato di coscienza; e il senso di questo inganno iniziale è il disinganno che avviene nel pensare.

E questa sorpresa del disinganno è bella perché ogni volta è come una nuova scoperta che, nel pensare, rifaccio quell’unità col mondo, con le cose, che nella percezione avevo persa.

Quindi l’esperienza della percezione è l’esperienza dell’estraneità, dell’essere fuori. Nella percezione siamo fuori dal mondo, fuori dalle cose; e col pensare ritorniamo dentro, ci rituffiamo nell’essenza delle cose, la creiamo anzi!, diventiamo noi l’essenza delle cose!

E così come la separazione, l’estraneità, la subiamo – perché non è per attività nostra, ma è per necessità corporea del nostro organismo – così il disinganno ci sorprende in modo positivo, perché facciamo l’esperienza che, nel pensare, siamo i pensieri, i concetti, le intuizioni, siamo noi stessi attivi!

Quindi la realtà godibile al massimo è l’attività del pensare.

Nel pensare l’essere umano gode tutto il mondo, tutte le cose, perché diventa le cose, le crea – le ricrea, però per lui è una prima creazione –. Quindi la forma suprema di godimento, la forma suprema di autorealizzazione dell’uomo è l’intuizione.

E vedremo che, sul versante morale, è la stessa struttura che si manifesta; però qui si tratta di intuire comportamenti, azioni, che ancora non ci sono.

E diventa ancora più bello!

Quindi la fantasia dell’amore… la fantasia del pensare, l’attività del pensare, può ricreare soltanto ciò che il Logos ha già pensato; invece la fantasia dell’amore ha un vantaggio enorme, perché la fantasia dell’amore può intuire comportamenti che mai nessuno ha avuto; e crea l’individualismo etico.

Perché il comportamento di una mamma col suo bambino, così come lo crea lei fantasiosamente, con la fantasia dell’amore, che va bene per lei, come individualità unica e per il suo bambino come individualità unica, questo tipo di comportamento nei suoi tratti unici, irripetibili, non c’è mai stato prima; e non ci sarà mai dopo, se continua ad essere creatrice nei suoi gesti di amore.

Quindi, nel versante morale, l’essere umano crea qualcosa di nuovo, e questo “nuovo morale”, dei gesti, delle euritmie dell’amore, il Logos l’ha lasciato alla libertà umana!

Non è mai stato concepito prima! Quindi il “morale” che l’individuo concepisce nella sua unicità, non c’è mai stato prima.

Eh, è logico! È una cosa bellissima questa! E tutto il resto serve da fondamento, da sostrato, per rendere possibile questa creatività morale, della fantasia morale.

E quindi l’assunto fondamentale, l’assioma fondamentale, della seconda parte della Filosofia della Libertà, della morale, è che ciò che è bene per una persona, non può essere bene per l’altra. Perché, cos’è che è bene per una persona?

La realizzazione del suo io unico!

Quindi ciò che realizza il suo io unico non può, al contempo, realizzare un tutt’altro io nella sua unicità.

Eh, questo concetto, se uno l’afferra, è così logico, è così fondamentale! Manda a ramengo tutti i tentativi di imitare i santi, di imitare i bravi, di imitare i guru e di seguire le orme dei grandi esempi ecc., ecc., ecc.; tutta roba da bambini!

Si imita finché non si è ancora capaci di creare qualcosa di unico, di proprio.

Un io umano che ne imita un altro, cancella se stesso nella sua unicità. E questo cancellare se stesso nella sua unicità è l’essenza dell’immoralismo; anzi è l’essenza del male morale; l’uccisione dell’io, di questa intuizione unica della fantasia morale del Logos!

In altre parole, ogni io umano è un’intuizione diversa della fantasia morale del Logos; però questa intuizione è lasciata aperta: il modo di realizzarla è lasciata all’uomo stesso.

Quindi la potenzialità della fantasia dell’amore è una potenzialità aperta, tutta aperta; resta all’individuo di realizzarla.

Par. 29 – Il monismo non giunge mai alla condizione di dover cercare, al di fuori della percezione e del concetto, altri principii per la spiegazione della realtà. Sa che in tutto il campo della realtà non si trova per ciò alcun motivo. Vede nel mondo della percezione, quale si presenta direttamente all’attività del percepire, una mezza realtà;

Naturalmente parlare di una mezza realtà è una metafora: non è che sia “mezza” quantitativamente; intende dire: non ho la realtà nella sua totalità, capito! Non è che sia mezza quantitativamente, perché anzi è proprio nulla, perché la percezione senza il concetto è nulla, ce lo siamo detti tante volte!

… nella riunione di tale mondo col mondo del concetto trova la realtà intera.

Il realista metafisico potrebbe obbiettare al monista: «Può darsi che per la tua organizzazione la tua conoscenza sia completa in sé e non le manchi nessuna parte; ma tu non sai come si rispecchi il mondo in un’intelligenza che sia organizzata altrimenti che la tua».

Tu non sai come si presenta il mondo a un angelo, per esempio!

Eh, è una faccenda che interessa l’angelo, io ho abbastanza da fare un altro paio di millenni a realizzare l’umano!

Non ho neanche cominciato a realizzare l’umano e mi pongo la domanda: sì, però, come potrebbe apparire il mondo ad un angelo che ha tutt’altro tipo di percezione?

Questo tipo di domande, questo tipo di questioni, le chiamavamo, nei nostri dibattiti scolastici, “questioni di lana caprina”!

Oppure si diceva: una questione disputata sul sesso degli angeli!

E ognuno naturalmente trovava argomenti per dire: gli angeli devono per forza essere maschili; e l’altro diceva: no, gli angeli devono essere per forza femminili!

E avevano ragione tutti, eh!

Porsi questa domanda: però, come apparirebbe il mondo ad un essere che fosse dotato di tutti altri sensi ecc., è un voler esulare dall’umano; volersi sottrarre, scappar via dall’antropomorfismo.

Una persona che esula dall’umano cosa fa? Poltrisce!!

Perché se si catapulta al di là dell’umano, prima di tutto è illusorio, e secondo: omette ciò che c’è da fare nell’umano. Ripetiamo questa frase:

«Può darsi che per la tua organizzazione la tua conoscenza sia completa in sé e non le manchi nessuna parte; ma tu non sai come si rispecchi il mondo in un’intelligenza che sia organizzata altrimenti che la tua».

E la risposta è: non mi riguarda! È purissima astrazione voler andare al di là dell’umano per chiedersi come appare il mondo ad un essere non umano.

Come appare il mondo ad un cane?

EDDA: Non siamo cani, perciò…

ARCHIATI: L’unica cosa che possiamo fare, intelligentemente, è di togliere tutto quello che è umano: non, non, non, non. Tutto quello che noi come esseri umani, specificamente come esseri umani, viviamo, lo dobbiamo tirar via.

Quando abbiamo tirato via tutto l’umano cosa ci resta di “canino”?

Non lo sappiamo! Non lo sappiamo!

Noi non possiamo uscire dall’umano, questa è una cosa importante! L’uomo non può uscire dall’umano, deve per forza restare antropomorfico.

È una cosa negativa? No, è positivissima, ce n’è da fare! Per millenni e millenni!

Perché c’è gente che dice: sì, però la tua visione del mondo è antropomorfica!

E la tua no?! Che sei un angelo, un cane, cosa sei?

È ben logico che la prospettiva dell’uomo sul mondo, sia umana! E va bene, no!

Significa che è relativo…. Ma relativo all’uomo! E questa relazione all’uomo è assoluta, non è relativa; ed è giusta: uomini siamo!

La risposta del monista sarà: «Se vi sono intelligenze differenti da quelle umane, se le loro percezioni sono di forma diversa dalle nostre, per me ha importanza soltanto ciò che di esse mi giunge attraverso percezione e concetto.

Quindi, ci dovesse mai essere un angelo che percepisce, che vede, che vive il mondo in un altro modo, a me interessa soltanto nella misura in cui l’angelo mi diventa percepibile e mi diventa pensabile.

Qualcuno ci vuol dire il concetto di angelo?

Il concetto di angelo è che l’angelo è quell’essere che ha un concetto senza percezione. Quindi il concetto di angelo è un concetto puro, il lato di percezione non c’è… al livello dei sensi ordinari, eh! Perché a livello immaginativo si presenta la visione di un angelo; a livello ispirativo può sorgere un colloquio con l’angelo; ma a livello dei sensi ordinari non c’è la percezione.

Quindi devo creare un concetto puro: l’angelo è un essere puramente spirituale senza lato di percezione sensoria, di percezione visibile; e allora ho il concetto di angelo.
E risulta pacato che se c’è un essere spirituale, puramente spirituale di questo tipo, non incarnato, non incorporato come noi, vivrà il mondo in un modo diverso; ma sono affari suoi! Non è un limite nostro!

Perché certuni vorrebbero presentare la cosa come se il fatto di non essere angeli fosse un limite per l’uomo. Il fatto di essere uomo è la perfezione specifica dell’uomo, non il limite specifico dell’uomo. All’umano, in quanto umano, non manca nulla!

L’extraumano non è un limite dell’umano, perché l’umano ha una sua perfezione immanente e di quella si tratta.

E possiamo essere certi che, in un certo senso, se ci sono angeli intelligenti che creano il concetto giusto dell’umano, nella sua completezza immanente, hanno ragione di invidiarci questa perfezione specifica dell’umano che loro non hanno!

Caso mai ci saranno già passati, perché lo stadio umano lo deve percorrere ogni spirito che si evolve.

Quindi gli angeli, per dirla in termini di scienza dello spirito, no!, in Rudolf Steiner si legge che gli angeli, gli arcangeli, gli spiriti del tempo ecc., sono tutti passati, prima di diventare angeli, arcangeli ecc., sono passati per lo stadio “umano”.

«Se vi sono intelligenze differenti da quelle umane, se le loro percezioni sono di forma diversa dalle nostre, per me ha importanza soltanto ciò che di esse mi giunge attraverso percezione e concetto. Io sono posto come soggetto di fronte all’oggetto per mezzo del mio percepire, e precisamente dello specifico percepire umano».

E di altro non ho bisogno. All’uomo non manca nulla!

Tutta la teologia, per esempio, che parla dell’uomo come natura, come creatura imperfetta, o addirittura della caduta come fattore morale negativo, sono in fondo tutti profondi fraintendimenti; perché la natura umana non è imperfetta, è un’assoluta perfezione, altrimenti bisognerebbe dire che il Logos crea cose imperfette, concepisce qualcosa di imperfetto; quindi l’imperfezione, l’errore sarebbe in lui.

Tutte le creazioni del Logos sono immanentemente perfette! Perché i concetti sono tutti perfetti.

Maurizio, di che c’è bisogno perché una “vespa” sia perfetta? C’è bisogno che sia un trattore? È imperfetta perché non è così forte come un trattore?

No, una vespa è una vespa.

MAURIZIO: Ognuno ha la sua caratteristica…

ARCHIATI: …che è la sua perfezione. Quindi per tener buoni gli esseri umani, gli si dice: l’essere umano è un essere imperfetto. È una pensata sbagliata! L’umano è un’assoluta perfezione; che poi l’essere umano sia in cammino verso questa perfezione dell’umano, questa è un’altra cosa, ma il concetto dell’essere umano è un concetto di perfezione, non di qualcosa di imperfetto, altrimenti il Logos penserebbe, creerebbe concetti imperfetti. Una cosa assurda!

Il concetto di margherita non è imperfetto perché invece di essere un animale è soltanto una pianta, scusate! Allora la margherita ha problemi di coscienza perché dice: ah!, che peccato, io non sono un’animale ma sono una pianta, sono un fiore… È assurdo, sono pensieri assurdi.

L’umano è una perfezione immanente, bellissima, completa, a cui non manca nulla.

LUCIANA: Da portare a realizzazione

ARCHIATI: Da portare a realizzazione, naturalmente; noi stiamo parlando del concetto non di ciò che l’individuo ne ha realizzato. Perché che vuol dire: portare a realizzazione?

LUCIANA: Tutto ciò che il Logos ha pensato dell’essere umano. Infatti è l’unica creazione che ha lasciato incompiuta perché sia l’uomo, nella sua libertà, a portarla a compimento.

ARCHIATI: Eh, eh, eh! Vedi che parole che usi!: “l’ha lasciata incompiuta!” Perché questa negatività? Io prima ho detto: l’ha lasciata aperta, non incompiuta!

LUCIANA: Vabbè…

ARCHIATI: No, è una differenza abissale tra “incompiuta e “aperta”!

LUCIANA: Ho sbagliato, ma hai capito benissimo quello che volevo dire.

ARCHIATI: È la prima volta in dieci anni che dici: ho sbagliato!

LUCIANA: Noooo! Stai mentendo!

ARCHIATI: Finalmente, adesso se lo rimangia!

LUCIANA: Ho sbagliato termine.

ARCHIATI: Eh, l’abbiamo capito!

LUCIANA: No, ma è importante: è giustificato dire che al momento attuale non siamo ancora completamente uomini, siamo mezzi uomini

ARCHIATI: No, non è vero! Non è vero! Il concetto di apertura, che l’essere umano è aperto, è la sua perfezione!

LUCIANA: Del concetto!

ARCHIATI: No, del suo essere! Cioè, sta attenta, è una cosa importante. (disegna alla lavagna)

In fondo, qui c’è l’inizio, naturalmente sono, come dire, sono tutte metafore, però ci capiamo, eh! Qui c’e l’inizio e qui c’è la fine – che poi non c’è la vera fine, no! – Allora il problema – che poi è un errore di pensiero – è quello di pensare che la perfezione dell’umano sia soltanto là (alla fine). No, nooooo! L’umano può essere perfetto sempre, dappertutto! Perché il pensiero può avere il tutto nel pensare, in questo momento!

Se io afferro il concetto dell’umano nel pensare, lo creo nella sua bellezza e non ci manca nulla: in questo momento io sono alla fine!

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La perfezione dell’uomo è il pensare che crea, e questa perfezione è sempre a disposizione, è sempre possibile, un’altra perfezione non c’è.

Allora uno dice: sì, però io, adesso, so pensare un po’ meglio… sono nella perfezione adesso un po’ meglio di quanto ero prima, ma posso sempre essere nella perfezione. Quindi ci sono modi più o meno profondi di tuffarsi, di essere nella perfezione dell’umano; però in quanto pensatori che creano nel pensare, siamo nella perfezione specifica dell’umano, un’altra non c’è; e non è da catapultarsi soltanto alla fine, che fino lì siamo imperfetti per tutta l’eternità e soltanto alla fine, adesso: tutto diverso!

Il concetto che dice: uno, per tutta la vita – qui c’è la vita, nascita e morte – per tutta la vita è stato un farabutto, ha passato l’inferno, per guadagnarsi il paradiso, poi, alla morte, va in paradiso! Come fa a far l’esperienza del paradiso uno che ha imparato soltanto a far l’esperienza dell’inferno?

O è diventato paradiso, o è stato paradiso per tutta la vita, e allora si ritrova paradiso; se la coscienza ha vissuto inferno, inferno, inferno, sbuffare e castigarsi ecc., ecc., quello resta dopo la morte! Ognuno è, dopo la morte, ciò che era prima! Non ci sono cambiamenti miracolistici!

Tu prima eri uno che non sapeva pensare, dopo la morte, adesso, sei un pensatore?!

Prima della morte avevi forze di amore 100, dopo la morte hai forze di amore 500? Se prima della morte avevi forze 100, ti restano 100 anche dopo la morte.

Quindi è un pensare del tutto irrazionale quello che prende l’essere umano qui, all’inizio del suo cammino e lo catapulta nella definitività del paradiso o dell’inferno. È un modo di pensare del tutto irrazionale!

Si porta l’esempio – permettimi, Maurizio, un riferimento al Vangelo, ma ci calza, in chiave di pensiero, capito!, non è da preti – si porta l’esempio del ladrone a sinistra – quello a destra dice peste e corna – l’altro dice: ricordati di me quando sarai in paradiso!

E Steiner dice: proprio perché questa coscienza, all’ultimo momento, però basta in quanto coscienza umana, ha una prima intuizione che c’è un altro tipo di regno, il regno dell’amore e non quello di scannarsi a vicenda, che aveva conosciuto fino ad allora; guardando questo crocifisso che sta in mezzo, il modo in cui muore, senza rinfacciare, pieno di amore, dice: ma allora ci deve essere un altro regno, ci deve essere un altro mondo, dove valgono le leggi dell’amore.

E il Cristo gli dice: proprio perché nella tua coscienza sorge un primo inizio di concetto, tu stai creando il concetto di un altro regno, con altre leggi, di modi di trattarsi a vicenda, dopo la morte ti troverai con questo concetto che tu cominci a creare, e sarai con me in questo regno, perché il tuo pensare ha cominciato a creare questo concetto, e fa parte di te.

Però se lui non lo crea, come fa l’altro ladrone, non può andare (in paradiso) perché non fa parte di lui.

Quindi ognuno si trova, dopo la morte tutti i pensieri che ha pensato e nulla dei pensieri che non ha mai pensato.

Ci mancherebbe altro! Non si fa mica torto a nessuno!

E ogni spirito è la somma dei suoi pensieri; che altro?! E uno si ritrova più ricco perché ha creato, col suo pensare, più concetti più vasti, più profondi, e l’altro più povero.

E al più povero si dice: guarda che ti si ridà un’altra possibilità, e un’altra ancora; ritorna sulla terra e datti da fare però, non continuare a perdere colpi, perché se continui a perdere colpi, se pretendi che ti si costringa a realizzare il bene, nessuno ti può costrigere a realizzare il bene perché costringendoti, sarebbe il male morale assoluto che distrugge la tua libertà. È ovvio!

Non si può costringere l’essere umano a realizzare il bene perché il bene sommo è la libertà, e volendolo costringere si distrugge la sua libertà.

L’unica cosa è di dargli tutte le possibilità, mettergli a disposizione tutti gli strumenti perchè lui poi faccia il suo cammino da solo. E l’insieme degli strumenti per camminare come spirito è l’incarnazione.

L’incarnazione è l’insieme del mondo della percezione, la somma del mondo delle percezioni è la somma del possibile cammino di tutti i concetti possibili che il pensare può creare, le intuizioni che l’uomo può avere.

Quindi: «Se vi sono intelligenze differenti da quelle umane, se le loro percezioni sono di forma diversa dalle nostre, per me ha importanza soltanto ciò che di esse mi giunge attraverso percezione e concetto. Io sono posto come soggetto di fronte all’oggetto per mezzo del mio percepire, e precisamente dello specifico percepire umano.» La connessione delle cose è con ciò interrotta. Ma il soggetto la ristabilisce per mezzo del pensare. E in tal modo egli si inserisce di nuovo nell’intero universale. Nel continuum universale.

LUCIANA: Scusa Pietro, a che cosa si riferisce quando dice: “la connessione delle cose è perciò interrotta”?

ARCHIATI: Con la percezione; la percezione interrompe il continuum perché frammenta il mondo. Quindi il percepire è un frammentare il mondo, è un vedere una cosa senza i suoi connessi: cos’è? E il pensiero, il pensare, creando il concetto, reinserisce la percezione nel suo contesto che la spiega. E quindi mi rimette nella comunione con il mondo, mi rimette in comunione con il mondo!

La connessione delle cose è con ciò interrotta. Ma il soggetto la ristabilisce per mezzo del pensare. E in tal modo egli si inserisce di nuovo nell’intero universale. Poiché solo attraverso il nostro soggetto questo intero appare diviso nel punto che sta fra la nostra percezione e il nostro concetto, così nella riunione dei due si ottiene una vera conoscenza. Per esseri con un mondo percettivo diverso (ad esempio con un numero doppio di organi di senso) l’interruzione apparirebbe in un punto diverso, e perciò la riconnessione dovrebbe anche avere una forma adeguata a quegli esseri. Solo il realismo primitivo e il realismo metafisico, che vedono entrambi nel contenuto dell’anima soltanto una rappresentazione del mondo fondata su idee, possono porsi il problema della limitazione della conoscenza. Per essi, ciò che si trova al di fuori del soggetto è qualcosa di assoluto, di finito in sé, e il contenuto del soggetto ne è un’immagine che sta completamente al di fuori di quell’assoluto. La maggior o minor perfezione della conoscenza dipende quindi dalla maggiore o minore somiglianza dell’immagine, rispetto all’oggetto assoluto. Un essere che avesse un numero di sensi minore di quelli che ha l’uomo, percepirebbe meno, del mondo; uno che ne avesse un numero maggiore percepirebbe di più. Il primo avrebbe perciò una conoscenza meno completa del secondo.

Allora il concetto è questo: è vero, o non è vero che un essere che avesse il doppio di organi di senso di quelli che abbiamo noi, avrebbe una conoscenza del mondo più completa di quella che abbiamo noi? Che coglierebbe aspetti del mondo che noi non cogliamo?

NADIA: Come facciamo a saperlo?

ARCHIATI: No, no, no, certo che si può sapere. Allora, l’esempio lo faccio in questo modo qua: ci sono due esseri, due esseri umani, se volete; uno ha 6 sensi e l’altro ha 12 sensi. La domanda è: la conoscenza del mondo di un essere che ha 12 sensi è più completa della conoscenza di un essere che ha solo 6 sensi? Lo stesso mondo!

ELENA: Se io ho il doppio dei sensi avrò la percezione proporzionale a questo numero di sensi. Sarà una percezione più raffinata.

ARCHIATI: La domanda è ottima, va molto bene, la ripeto perché vedo che quello che le teste adesso stanno vivendo è la cosa più importante. Tu hai detto l’opposto di quello che è vero, ma non importa nulla! Importante è l’esercizio.

Allora, ripeto la domanda. Facciamo che siano due esseri umani, naturalmente dobbiamo un po’ immaginarli: l’uno ha 6 sensi e l’altro ne ha 12. La domanda è: la conoscenza del mondo di chi ha 12 sensi è più ampia, più completa, che non la conoscenza del mondo di chi ha soltanto 6 sensi, o è meno ampia, o sono uguali tutt’e due?

CARMINE: Non possiamo dirlo!

ARCHIATI: Certo che possiamo dirlo!

LUCIANA: Il concetto è unico, no!

CARMINE: Dipende dall’attività pensante di quei due esseri e non dall’attività percettiva.

INTERV.: Dipende dall’evoluzione che hanno.

ARCHIATI: Siamo ancora lontani; perché la botta, se non salta fuori, ve la do io poi!

NADIA: Ma, io pensavo, siccome il concetto è uno e il concetto…

ARCHIATI: No, questa non è la risposta alla mia domanda!

NADIA: Aspetta, ci arrivo: il modo attraverso il quale l’essere che abbia 6 sensi, che ne abbia 12… non è fondamentale se uno ha 6 sensi e percepisce meno e quindi capisce di meno e l’altro capisce di più. Semplicemente un diverso modo di arrivare al concetto, no?

ARCHIATI: Ti accorgi tu stessa che hai tentato di chiarirti la cosa mentre parlavi. Eh!, si vedeva!

ROBERTO: Ma vale lo stesso esempio se prendiamo l’uomo che per i sensi elementari ne ha 5 e il cieco che ne ha uno di meno?

ARCHIATI: Sì, certo! La metà di organi di senso e il doppio di organi di senso.

VENETO: Ognuno è completo in sé. Chi ne ha 6, per lui il mondo è completo così. Quello che ne ha 12, lo vive per 12.

ARCHIATI: Ma paragonandoli fra di loro, se sono due uomini, non è più completo quello che ne ha 12?

(Varie risposte del pubblico)

ARCHIATI: Raddoppiare – adesso vi do io la risposta oracolare, quindi sentitela bene perché poi la dovete macinare – raddoppiare la possibilità di percezione significa raddoppiare l’ignoranza! I buchi! Perché ogni percezione è un’ignoranza. Soltanto il concetto mi dà la cosa.

Quindi se tutti e due sono manchevoli della capacità del pensare, rispetto a uno che percepisce con 6 sensi il mondo, e non sa pensare, è doppiamente ignorante quello che percepisce con 12 sensi e non sa pensare. Perché questi è ignorante 12 volte e l’altro è ignorante soltanto 6 volte.

PUBBLICO: Ma se sa pensare?

ARCHIATI: Se sanno pensare tutti e due, sono tutt’e due egualmente sapienti.

NADIA: Quindi era solo nella capacità sensoriale, non nella capacità di conoscere.

ARCHIATI: Adesso che te l’ho detto io… dài che annaspavi!

Quindi una percezione non è un frammento di conoscenza, è un buco, è un’ignoranza, è una domanda. E aumentando gli organi di senso si aumentano soltanto i buchi del conoscere. O corrispondentemente ci aggiungo i concetti, oppure divento sempre più ignorante.

Ma questa domanda è molto importante perché tante persone – e lo sapete, lo sappiamo tutti, no! – abbiamo amici che fanno di tutto, fanno esercizi del libro “L’iniziazione: come si conseguono le conoscenze dei mondi superiori”, con l’intento di percepire non soltanto il mondo visibile, ma di percepire almeno una coda di un diavoletto, o una mezza ala di un angelo!

E la domanda è: quando avessero ampliato, raddoppiato il campo del percepibile, cos’hanno raggiunto? Hanno raddoppiato la loro ignoranza. Sono doppiamente ignoranti. Perché fermarsi alla percezione significa avere il nulla della realtà.

LUCIANA: Se si fermano alla percezione!

ARCHIATI: Sì, noi nel mondo sensibile non ci fermiamo alla percezione perché siamo abituati a questo avvio di pensiero che ce lo dà la natura e quindi, anche se a livelli modesti, siamo abituati ad aggiungere il concetto. Poi il linguaggio ci dà una base, siamo abituati ad aggiungere i concetti. Ma adesso tu prendi colui che diventa visionario. Certo che c’è la persona che percepisce, percepisce e percepisce, e non pensa nulla!, proprio non è capace di pensare!

Quindi io non vi sto parlando di cose campate per aria. E sarebbe importantissimo se ci si rendesse conto che se mi si apre un altro campo di percezione, senza la facoltà corrispondente di pensare, di creare concetti, è molto meglio non percepire.

ELENA: Questo è ovvio, però se ai concetti ci arrivo con 12 sensi è chiaro che ho una pienezza maggiore.

ARCHIATI: No, sta attenta, non è giusto neanche quello. Adesso diciamo le cose come stanno. Perché quello di prima era un esercizio ipotetico, diciamo le cose come stanno: cancello i 6 sensi, perché non ci sono uomini con 6 sensi, e lascio i 12 sensi, perché ogni essere umano ha 12 sensi, d’accordo!

E adesso il tuo pensiero dice, e lo vogliamo esercitare, dice: un essere che avesse 24 sensi – organi di senso – con la facoltà pensante corrispondente, potrebbe cogliere il mondo in un modo più completo.

Se ciò fosse vero, questo essere ci dovrebbe essere! E non c’è!

Perché la totalità degli aspetti del cosmo si esaurisce nel 12, non c’è il 24!

Perché se il 24 ci fosse il Logos l’avrebbe dovuto creare questo essere, e non c’è!

Ecco perché l’essere umano è perfetto!

Ed è importante superare questo moralismo, questi moraleggiamenti è importante superarli, in chiave di pensiero pulito: sono pensieri sbagliati! Sono moralismi che mortificano soltanto l’uomo.

Il 12 è completo!

Perché se fosse completo il 24, 24 organi di senso, il Logos avrebbe dovuto dare, come dire, all’abitacolo del Logos, che è l’essere umano, 24 sensi.

Non può permettersi di dare la metà degli organi di senso che sono necessari per cogliere, in chiave di percezione, tutta la realtà.

ELENA: Ma lei, per farci pensare ci fa le trappoline, allora è chiaro che si casca!

ARCHIATI: Ma scusa, la trappola classica perfetta del pensare mica te la dà Archiati! Qual è la trappola più perfetta del pensare, per il pensare?

La percezione!!!

Perciò ne stiamo parlando! Non credere mica che Archiati ti porti una trappola migliore di quella che ti dà il Logos!

LUCIANA: Pietro, scusa, se io guardo una margherita, che la guardi con 12 sensi o che al guardi con 24 sensi…

ARCHIATI: Guarda che il “guardarla” è soltanto uno dei 12 sensi!

LUCIANA: Va bene, diciamo: che la prenda in considerazione con 12 o con 24 sensi, per conoscere l’interezza della margherita devo unire a questa somma di percezioni, che mi vengano da 12, o da 24, il relativo concetto; che è uno, perché l’essenza della margherita sta nel concetto; per cui è inessenziale il numero di sensi con i quali io mi avvicino alla margherita – non ho detto: “guardo”, ho detto: mi avvicino – .

ARCHIATI: È essenziale o non è essenziale?

LUCIANA: Inessenziale! È inessenziale che io mi avvicini con 12 o con 24!

ARCHIATI: No, no…

PAOLO: Però, Pietro, se tu fai il contrario: cioè, io ho 12 sensi, se però me ne togli 6, la mia percezione della margherita… fa fatica a tirare fuori un concetto.

ARCHIATI: Proprio per questo non esiste un essere umano con solo 6 sensi! Non c’è mai stato! Questo che voglio dire!

Perché la totalità della sensibilità è 12! E l’11 o il 13 non esiste!

Perché i segni dello zodiaco sono 12. Cosa che naturalmente, per evidenziare i vari punti di vista ci sarebbero i 350 volumi da studiare, no!

SIG.RA1: Perché allora Steiner ha scritto il libro “l’iniziazione” e il libro “La scienza occulta”, dove comunque lui spiega, sempre in chiave di pensiero, quello che è il mondo superiore e dice proprio che ognuno può raggiungere questa capacità.

Perché lo fa se poi alla fine non ci dovrebbe interessare, perché dobbiamo completare la nostra opera come esseri umani?

ARCHIATI: Cosa intendi dire con: “non ci dovrebbe interessare”, chi l’ha detto?

SIG.RA1: Allora non ho capito quello che hai detto prima.

ARCHIATI: Probabilmente. Quello che voglio dire è questo: che la mia percezione di Steiner, perché noi, di Steiner, leggendolo, ne abbiamo la percezione. Ora, in base alla mia percezione di Steiner – io posso parlare soltanto per me – mi sono fatto un concetto di Steiner. Il mio concetto di Steiner è che questo tipo qui, quando ha una percezione – per esempio la percezione di un angelo, o quello che sia – non ne parla!

Si proibisce di parlarne finché si sente capace di trasformare questa percezione nel suo concetto corrispondente.

E allora mi descrive l’interazione tra questa percezione e questo concetto, altrimenti sta zitto!

Finché lui di certe cose… per esempio “Teosofia” l’ha scritta nel 1904, “La scienza occulta” ci è arrivato soltanto nel 1910, e perché ha aspettato 6 anni? Lui dice: perché tante cose che io “vedevo”, cioè percepivo, essendo così complesso il tutto dell’evoluzione, non riuscivo ancora, ho avuto bisogno di anni, per concettualizzarla, per portarla ad un organismo di concetti.

E soltanto allora sento il diritto di comunicare agli esseri umani, altrimenti vanno in brodo di giuggiole perché gli descrivo soltanto percezioni, ma ci mancano i concetti.

Quindi Steiner si proibisce di presentare soltanto percezioni, ti dà sempre i concetti corrispondenti per cui tu, avendo percezione e concetto suo, hai la possibilità di afferrare quello che dice col pensiero, afferrando i concetti.

E i concetti li gestisci tu perché sono frammenti di pensiero. Quindi i concetti sono accessibili a tutti. Quindi una percezione, la descrizione di una percezione senza il concetto non esiste in Steiner.

Oh, angelo è un concetto, eh! Come fa a sapere lui che quello che vede è un angelo? E se fosse un diavolo?

Ti descrive i criteri concettuali, il concetto di angelo, il concetto di diavolo; se vedi che questo essere ha certi intenti di intrappolare l’uomo ecc., ecc., quello è un diavolo, perché segue la sua evoluzione servendosi dell’uomo. Se invece è l’angelo, vuole l’evoluzione dell’uomo, vuole mettersi al servizio dell’uomo. Sono tutti concetti; non ti dice soltanto ciò che vede.

E allora dico: qualsiasi cosa mi tira fuori, io vado avanti, ho la possibilità di camminare col pensiero perché mi presenta un concetto dopo l’altro. Se mi presentasse solo percezioni mi annoio subito, chiudo! Basta!

In fondo un romanzo, un romanzo normale, cos’è? Una serie di percezioni.

Io non sono mai riuscito a trovare interesse ai romanzi, perché mi mancano i concetti, sono percezioni, percezioni, percezioni, racconti, racconti, racconti.

Un’eccezione l’ho fatta col “Nome della rosa” perché è un tipo di romanzo dove la concettualizzazione, tutti questi discorsi, questi colloqui, il medioevo ecc., ecc., gli universali, il realismo; lì c’è tutto un insieme dove il mio pensare è stimolato; però è un’eccezione; un romanzo normale dopo 5 pagine, dico: ma che noia!

Vado a rileggere “La scienza occulta” per risarcimento danni!

SIG.RA2: Quando noi percepiamo una cosa, gli appiccichiamo un nome, ed è difficilissimo invece arrivare al concetto della cosa.

ARCHIATI: Il nome è il concetto, eh!

SIG.RA2: È un concetto automatico, diciamo, già pronto!

ARCHIATI: Che ti dà il linguaggio.

SIG.RA2: Che mi dà il linguaggio. Per arrivare ad un concetto un po’ più intenso i 12 sensi mi servono perché io potrei cercare nella cosa delle caratteristiche, attraverso appunto a questi 12 sensi, che mi riportano un po’ all’essenza, cioè che mi portano a crearmi…

ARCHIATI: Tu prendi il concetto di caratteristica – hai usato la parola “caratteristica” – tu hai un frammento di percezione, come fai a sapere che è “caratteristica” questa percezione? Te lo dice il pensare!

Vedi che noi continuiamo ad attribuire alla percezione quello che invece fa il pensare!

È il pensare che ti dice: questo è caratteristico, questo non è caratteristico.

SIG.RA2: Se il pensare non è stimolato dalla percezione di queste caratteristiche?

ARCHIATI: Il pensare che ha bisogno di stimolo non è un pensare. Come può la percezione “stimolare” il pensare? Lo provoca, mica lo può stimolare: è l’opposto! La percezione è il nulla del pensare, come fa a stimolarlo? Gli fa venir voglia di pensare, ma…

LUCIANA: Lei voleva dire: è la provocazione a pensare.

ARCHIATI: Sì, però che vuol dire: stimola il pensare? Dicendo: mi stimola fa già come se fosse la percezione a darmi qualcosa; no, la percezione mi porta via, porta via, porta via; e allora: mancandogli, mancandogli, mancandogli, il pensiero dice: no, fammici mettere, fammici mettere, fammici mettere (il concetto).

Il problema è che noi pensiamo di percepire qualcosa, e questo è l’inizio dell’inganno. Noi percepiamo sempre nulla, il pensare ci aggiunge qualcosa.

La percezione pura non è neanche dicibile, non si può neanche dire che cos’è, perché è il nulla del pensare. La percezione pura si può dire solo in negativo, negando tutto ciò che ci mette il pensare.

ELENA: Si può avere il concetto di un colore senza averne la percezione?

ARCHIATI: Certo! Non la rappresentazione, ma il concetto. Così come si può avere il concetto di leone, senza averne la rappresentazione.

ELENA: Ho avuto a che fare, per ragioni di lavoro professionali, con persone prive di tre sensi: udito, vista e parola ovviamente; comunque la vista e l’udito erano due sensi importanti. E, fra l’altro, queste persone erano degli studenti di facoltà linguistiche; perciò mi sono sempre interrogata che concetto potessero avere, appunto di colori, di suoni, ecco! Appunto le ponevo questa domanda perché mi ha interpellato per tanto tempo.

ARCHIATI: Allora, come orientamento generale, il fenomeno colore ha una polarità fondamentale: il blu da un lato – che poi va verso il violetto e l’ultravioletto – e il rosso dall’altro.

Adesso togliamo ogni aspetto di rappresentazione che noi abbiamo in base ad aver avuto la percezione, perché abbiamo a che fare con esseri umani che non hanno la percezione, e ci poniamo la domanda: è possibile trasporre ogni elemento di percezione nostra, travalicarlo, ogni elemento di rappresentazione, per andare al concetto puro?

Ed è possibile!

Perché il Logos che ha creato i colori, che cosa aveva all’inizio? I concetti! Puri!

In base al concetto è sorto il colore rosso come percezione; dopo però! Per lui prima ci deve essere il concetto, e pensando il concetto: voglio creare quel colore che chiamerò rosso, che concetto ha avuto? E pensando l’altro concetto: voglio creare quel colore che chiamerò blu, che concetto ha avuto?

Il concetto del blu è il concetto della contemplazione pensante: “datti una calmata”!

Questo concetto lo posso comunicare e lo può capire una persona cieca, perché è un concetto puro, non ha nulla di rappresentazione e nulla di percezione, non ne ha bisogno.

Il concetto di rosso: mi sento così forte che voglio dare pugni da tutte le parti! L’esuberanza della volontà, le forze di volontà, rosso, l’aggressività. Un concetto.

ELENA: Lei mi sta aiutando, quindi è un mediatore.

ARCHIATI: No, stiamo parlando a questa persona cieca!

ELENA: Appunto dicevo, ma se questa persona non ha avuto questi strumenti interpretativi che lei mi sta dando, ci arriva? Ce li ha dentro? Ci arriva da sola?

ARCHIATI: Quali strumenti ho io a disposizione?

ELENA: Ma, niente, in questo momento lei mi ha assolutamente visualizzato un concetto.

ARCHIATI: Sì, ma quali strumenti io ho a disposizione? Il p e n s a r e!!! Che abbiamo a disposizione tutti!

ELENA: Ho capito, va bene!

ARCHIATI: E allora!? Ce l’ha anche lui, ce l’ha anche lui, ce l’ha anche lui!

ELENA: Va bene, sono contenta.

ARCHIATI: E lui ti dice: ti capisco, ti capisco. E tu gli dici: guarda che, ovviamente, il pensare è una potenzialità tale che l’essere umano può pensare sempre meglio! Ma questo vale per tutti, capito!

Se poi tu dici, sì, Archiati come media sa pensare un pochino di più della media, eh, se no, se non fosse, resterebbe in Germania, che viene a fare in Italia, no!

Importante è che ti abbia convinto; devi lasciar via tutto il campo della percezione perché non ce l’ha, lasciar via tutto il campo della rappresentazione perché non ce l’ha e afferrare i fenomeni del colore… Goethe, guarda che se uno studiase Goethe, questa polarità del colore… dov’è, a livello di percezione il fenomeno percepibile originario del blu e del rosso?

Il cielo in alto: il blu, il manto blu. E il rosso di sera. La natura te lo fa!

Il blu, il concetto di blu: luce in primo piano, tenebra nello sfondo. La luce: il sole illumina tutta l’area intorno alla terra, lo sfondo infinito è buio. Allora, dove dietro c’è la tenebra e davanti la luce, vivo il blu.

Cosa vuol dire avere davanti la luce e dietro una tenebra all’infinito da illuminare?

È il pensare!

S’illumina e l’illuminabile nello sfondo è all’infinito.

È l’io circondato di luce con uno sfondo di conoscibile, di pensabile, non ancora pensato, all’infinito, buio!

Il sole tramonta; ora il sole viene visto attraverso tutte le esalazioni della terra. Queste esalazioni, rispetto alla luce del sole, cosa sono? Tenebra!

Il rosso: la tenebra in primo piano, la luce, il sole in retroscena.

Blu: l’uomo che pensa, illuminato, e dietro la tenebra: ciò che è ancora oscuro e che vuol essere conosciuto.

E adesso, che esperienza è, fondamentale dell’umano, l’altra polarità: la tenebra in primo piano e la luce dietro?

Il volere, l’agire, è un ottenebrarsi del pensare per dirigersi all’azione; non c’è agire senza brama e la brama ottenebra il pensare.

Come reagisce il toro di fronte al rosso? Bello, calmo, contemplante, pacato?

Quindi il rosso è l’esperienza dell’uomo volente, l’obnubilazione della coscienza in base alla brama di raggiungere qualcosa, di conseguire qualcosa, di fare qualcosa.

Il blu è l’uomo pensante, illuminato dalla luce del Logos, con lo sfondo di universo all’infinito, tutto da conoscere, tutto ancora buio.

Adesso, togliamo via la nostra esperienza e diciamo a colui che non sa parlare, tra l’altro non vede e non sente, il concetto di blu da quest’altro lato, cosmico, e gli dici: quando tu pensi, quando tu rifletti, quando tu contempli – lo fa anche lui, lo sa anche lui che star lì seduto, o parlando o, leggendo qualcosa, con braille per esempio – come ti senti?

Pacato!

Contemplare vuol dire lasciar venire incontro a me le cose nella loro oggettività e tu gli dici: questo è il concetto del blu!

E quando adesso, insieme, facciamo qualcosa, soprattutto quando c’è da esercitare i muscoli ecc., ecc., come ti senti?

Eh, non pacato! C’è l’energia, non la luce che contempla, l’energia, il vivere l’energia volitiva; questa è l’esperienza del rosso, il concetto di rosso.

E lui si fa il concetto di rosso, sa cos’è il rosso.

Una donna che va a trovare un amico, di cui è innamorata cotta e magari quello non lo sa e lei glielo vorrebbe dire, e che si veste di blu… è una scema! Un’imbecille!

(Grandi risate del pubblico)

Perché gli va a dire: guarda che per me tu sei un oggetto di contemplazione pacatissima, platonica!

INTERV.: E il principe azzurro, allora?

ARCHIATI: Perché il rosso ce l’ha l’altra, capito!

Abbiamo una cultura che è diventata povera, povera. Ci sono tante cose da riscoprire; questa scienza dello spirito non è campata per aria, diventa concreta in tutti i…

ELENA: Mi permetta di concludere queste sue bellissime riflessioni che ho goduto, ho proprio goduto, dicendo che ringrazio comunque il mio io superiore di avermi permesso, in questa vita, di poter usufruire anche della percezione.

ARCHIATI: Questo lo dici a noi, vedi! Siccome non l’hai mai potuto dire a loro, ti concediamo di dirlo a noi. Perché nella misura in cui i concetti, i concetti del cromatico, soprattutto di questa polarità, li conquistiamo a livelli così ricchi, apprezziamo a maggior ragione la percezione.

Il rosso è il colore dell’amore, evidenzia e ci fa capire i misteri della volontà. Il blu è l’illuminazione pacata del pensare; e in mezzo ci sono i passaggi (intermedi), naturalmente.

Goethe ha fatto degli studi sui colori veramente molto belli. In tedesco abbiamo 5 volumetti: la teoria dei colori di Goethe, una cosa molto bella!

Dove eravamo arrivati, al paragrafo 30?

Par. 30 – Per il monismo la cosa sta altrimenti. Allora, dicevamo: al p.29 ci siamo posti la domanda: un essere che avesse un numero doppio di organi di sensi, la sua conoscenza del mondo sarebbe più completa? E ci siamo detti: non esiste un essere potenzialmente più completo, più perfetto dell’uomo, perché l’uomo è non uno tra altri esseri, che conosce il mondo per percezione, l’uomo è l’unico essere che conosce il mondo per percezione.

Quindi questo tipo di conoscenza deve avere la sua perfezione intrinseca nell’uomo.

E quindi anche il numero di sensi deve essere quello perfetto, completo. Altrimenti ci dovrebbero essere altri esseri la cui natura, la cui essenza, è quella di conoscere il mondo per percezione e concetto. E non ci sono! Perché gli animali non pensano e gli angeli non hanno la percezione sensibile.

INTERV.: In medio stat virtus.

ARCHIATI: Vabbè, in medio stat virtus.

p. 30 – Per il monismo la cosa sta altrimenti. L’organizzazione dell’essere che percepisce è quella che determina la forma secondo cui il nesso universale appare scisso in soggetto e oggetto. L’oggetto non è un assoluto, ma soltanto un relativo, in rapporto al determinato soggetto. E la conciliazione dei due termini contrapposti non può avvenire che in modo del tutto specifico, precisamente nel modo proprio al soggetto umano. Appena l’io, che nell’atto di percepire è separato dal mondo, torna con l’attività pensante ad inserirsi nell’insieme del mondo, scompaiono tutte le domande che erano soltanto conseguenza della scissione.

31 – Un essere formato altrimenti avrebbe una conoscenza formata altrimenti. Ma non più o meno completa, non più o meno perfetta, sarebbe diversa. La nostra è sufficiente per rispondere alle domande… a tutte le domande …poste dal nostro essere.

In altre parole, non si possono paragonare esseri a dimensioni diverse per poi presentare l’uno come meno perfetto perché l’altro è più perfetto. No!, ogni grado di essere ha la sua perfezione specifica.

L’uomo non è un essere meno completo, meno perfetto dell’angelo, l’uomo ha la perfezione specifica dell’umano, ed è quella di essere in divenire. Ma l’essere in divenire è la perfezione dell’umano, non è un’imperfezione. Il fermarsi è un’imperfezione, ma il divenire è la perfezione dell’umano. La perfezione dell’umano non è arrivare, ma è camminare.

Arrivare cosa sarebbe? L’imperfezione perché si ferma: tant’è vero che il linguaggio dice: è un “arrivato”, poveraccio, s’è fermato!

Quindi il dinamismo del divenire, questo pensare che è un’attività sempre aperta, è la perfezione specifica dell’umano.

Non è un’imperfezione, non è un’incompletezza: è la perfezione specifica dell’umano, più umani di così non si può essere, più bello di così non c’è, moralmente più buono non c’è, più vero il concetto non è. Una creazione sempre aperta nel pensare, una creazione sempre aperta nell’amare, Questo è l’umano. Sempre nuove creazioni nel pensare, sempre nuove creazioni nell’amare.

INTERV.: È sbagliato l’atteggiamento di un essere umano che potrebbe correre e invece cammina? Cioè, c’è la possibilità che abbia la scelta di camminare o di correre. E qual è più giusto, perché sarebbero giusti tutti e due.

ARCHIATI: Naturalmente camminare e correre sono due metafore; dovremmo chiederti camminare e correre sono due rappresentazioni, che concetto intendi tu? Però penso che capiamo cosa vuoi dire: camminare è andare più piano…

INTERV.: Cioè, si prende il lusso di andare più piano.

ARCHIATI: Camminare è andare più piano? No, no!, il correre è andare più forte, ma il camminare non è andare più piano, il camminare è un andare giusto, non più piano! Altrimenti generiamo un concetto ricattandolo con un altro concetto.

Allora: l’uomo è stato creato… è armonico nel camminare o nel correre?

Eh, questa è la domanda!

Allora, come dire, prendiamo la mitologia greca che risponde alla tua domanda con un movimento ancora più veloce: quello di Icaro che vuol volare!… Si brucia le ali e scopre che l’essere umano non è stato creato per volare, non ha le ali. Gli angeli volano – dicono, eh!, non lo so, non li ho mai visti volare – ma un essere umano che vola senza aeroplano, o senza mongolfiera, non c’è: casca giù!

Camminare e correre sono immagini, rappresentazioni. Adesso vi tolgo via le immagini – come abbiamo fatto prima! – cioè, per salire al livello del pensiero, del pensare, bisogna togliere via tutto ciò che è di percezione, togliere via tutto ciò che è di rappresentazione – percezione è del corporeo, rappresentazione è dell’animico – per salire allo spirituale.

Allora, il concetto di correre – vi do il concetto, eh! – è la pretesa di evolversi più velocemente di quello che si può. Vuol correre. E il concetto di fermarsi è evolversi meno di quello che si può.

Tra evolversi più lentamente di quello che si potrebbe e mettersi in testa di evolvere più velocemente di quello che si potrebbe, cosa c’è? Qual è l’elemento dell’umano?

Conquistarmi, in campo di pensiero, in campo dell’amore, tutto ciò che, qui ed ora, sono capace. Non volere di più e non fare di meno.

INTERV.: Ma che strumenti ho dentro di me per sapere che sto andando alla velocità giusta? Che non devo rischiare…

ARCHIATI: Allora, una volta si parlava dell’esamino di coscienza che si può fare alla fine di ogni giorno. Steiner lo chiama: lo sguardo retrospettivo. E uno ti dice: non è che ogni momentino devi inciampare perché stai andando troppo veloce o stai andando troppo piano ecc., no!, si vive la giornata! Però nessuno ti proibisce, alla fine della giornata, di prenderti 5 minuti e di fare un bilancio e di dire: oggi ho poltrito? Oppure sono stato impaziente?

Poltrire è far meno di quello che si sarebbe potuto fare. Essere impaziente è voler forzare le tappe dell’evoluzione.

Per esempio, uno potrebbe dire: la mia facoltà di pensare oggi avrebbe potuto creare almeno 2000/3000 concetti… li ho creati tutti? Nel pensare non si può mai andare troppo veloci!

INTERV.: Sì, ma lei leggeva un libro al giorno!

ARCHIATI: A te che te ne importa! Mica sono affari tuoi, scusa!

INTERV.: No, però io posso paragonare e dire: forse io dovrei leggere almeno un libro al mese!

ARCHIATI: Affari tuoi, scusa! Io ti sto dicendo: fa parte del concetto del pensare – siamo di nuovo in questa polarità, eh!, il pensiero si orienta su polarità – il concetto del pensare è che nel pensare i peccati di esubero, che si pensa troppo, non esistono! Nel pensare ci sono soltanto peccati di omissione. Nessuno può pensare troppo!

PUBBLICO: E pensare male?

ARCHIATI: Questa è un’altra cosa, pensare erroneamente è un’altra cosa. Perché il Logos è una pienezza infinita, quindi è escluso il troppo!

Dov’è che invece sorge la tendenza opposta di voler forzare?

Nell’agire! Uno vuole per forza “das Boxen”. Nell’agire mi vengono per forza parole tedesche perché i tedeschi picchiano, eh!

Quando uno non sta attento a non ledere la libertà altrui.

Quindi nel pensare: vai!, vai!, vai! Non è mai troppo!

Nell’agire e nel volere: attento!, attento!, attento! Che dài sgomitate! Vacci piano! Rispetta la libertà altrui.

E nella misura in cui l’essere umano non è un attore, come dire, non è creatore, non è attivo a sufficienza nel pensare, vuole sostituire l’attività illimitata del pensare, agendo, muovendo i piedi e dando pedate agli altri.

La soluzione è di viversi sempre più attivi, sempre più creatori nel pensare e allora uno non ha bisogno di fare un sacco di cose, lascia fare un po’ anche agli altri.

MASSIMO: Quindi nel blu ci vuole il rosso e nel rosso ci vuole il blu.

ARCHIATI: Eh, eh, l’equilibrio! Tant’è vero che quando uno non fa nulla, neanche nel “pensatoio” non fa nulla… – perché se è attivo nel pensatoio e ci regala una “Divina Commedia”, noi diciamo: va bene, va bene, va bene, quello non c’è bisogno di istruirlo – però se non fa nulla gli diciamo: datti una mossa! Se invece dà soltanto sgomitate gli diciamo: datti una calmata!

Datti una mossa e datti una calmata significa che bisogna trovare il giusto equilibrio tra queste due polarità.

Però è importante afferrare il concetto, e il concetto del pensare è che non si può far troppo; mai! Non è possibile far troppo!

Invece nell’agire, lì si può veramente ledere la libertà altrui.

Adesso io vi chiedo: può l’attività pensante di una persona ledere la libertà altrui?

No! per natura non può! E perciò non ci sono limiti all’attività del pensare, perché non può ledere assolutamente la libertà dell’altro.

Invece l’attività dell’agire, del muovere… è certo che do pedate e sgomitate. Lì bisogna stare attenti.

INTERV.: Parlare è agire?

ARCHIATI: No, parlare è proprio l’incontro… perché se uno parla senza pensieri, che sta dicendo?! Quindi il parlare, la parola è di questa sfera intermedia. Quindi la parola è un incontro tra il pensare e l’agire. Teniamo presente che anche il pensare è un agire, è un agire puramente spirituale.

CARMINE: Il sentimento c’entra pure nella parola!

ARCHIATI: Il sentimento c’entra sia nel pensare, sia nell’agire e quindi anche nella parola.

SIG.RA Una piccola domanda. Voglio chiederti: se uno sta seduto sul divano tante ore e legge un libro, un libro importante, che per lui, o lei, è importante leggere, voglio capire: poltrisce o no?

ARCHIATI: Quando nelle nostre discussioni scolastiche, uno faceva una domanda di questo genere…

SIG.RA: Sì, però a me interessa saperlo perché dicono che poltrisco sempre, e invece io leggo molto e mi interessa sapere se è vero che io poltrisco.

ARCHIATI: E lo vorresti sapere da me! Guarda che a me, proprio non interessa sapere se tu poltrisci! Sono affari tuoi! Ma perché questi qua ti dicono che tu poltrisci?

SIG.RA: Perché sto molto a leggere libri, seduta!

ARCHIATI: E allora gli andrebbe bene che tu facessi anche, ogni tanto, qualcosa d’altro.

SIG.RA: Sì, lo faccio!

ARCHIATI: Ah sì? Ogni tanto!

INTERV.: Scusa, per tornare alla metafora del correre e del camminare, non è giusto dire che a volte si corre e a volte si cammina?

ARCHIATI: E a volte ci si ferma! Prendi tutt’e tre, eh!

INTERV.: Cioè, non è detto. Io ho intuito questo nella domanda dell’amico. La ricerca per forza di voler correre; noi, in natura, siamo anche capaci di correre, quindi quando è il momento in cui ci sentiamo, spontaneamente, possiamo andare liberamente più veloci nel pensare e in altri momenti andiamo più piano. Mi sembra che vadano bene entrambe le cose.

ARCHIATI: Allora, sta attento, dobbiamo uscire dalle metafore e parlare della realtà. Ora, l’evoluzione dell’uomo, la crescita dell’uomo… prendiamo il bambino in crescita: la prima domanda da porsi è – stiamo parlando della velocità giusta di crescita – qui il bambino cresce, (disegna alla lavagna) il concetto di velocità giusta presuppone che ci possa essere un ritardo, una crescita troppo lenta, più lenta del giusto, e una crescita più veloce di ciò che è giusto.

Quale velocità è consona alla natura umana?

Il tipo di velocità che non distrugge nessuna forza e tutte le forze le fa esplicare nel modo ottimale, nel modo migliore.

Quindi, è nel concetto di evoluzione umana che è possibile voler andare troppo veloci, e si distruggono delle forze, perché è contro la natura umana; e c’è la possibilità di andare troppo piano e si distruggono certe altre forze perché è contro la natura umana.

Perché se tu, certe conquiste, per esempio la dentizione definitiva a 7 anni, no!, o la pubertà a 14 anni, se tu la razionalità – faccio degli esempi, in pedagogia queste cose sono importantissime – supponiamo, in modo che non vi presentate subito a contraddire, supponiamo che nel modo armonico del crescere di tutte le forze, un primo sorgere della razionalità sia armonico verso i 7 anni; se noi, con i videogiochi ecc., ecc., costringiamo il bambino, a 3 o 4 anni, a diventare razionale, uccidiamo delle forze, perché non permettiamo a forze che si sviluppano attraverso le fiabe ecc., …uccidiamo certe forze.

Quindi c’è un tipo di crescita prematura che brucia le tappe! E il concetto di bruciare le tappe è molto bello: brucia certe forze!

Se invece, l’estremo opposto, che è ugualmente disumano, non diamo al bambino gli stimoli giusti, oppure il bambino è di natura tale che, ciò che giustamente deve saltar fuori a 7 anni lo fa saltar fuori a 9 anni, allora ritarda, rispetto agli altri bambini, di 2 anni, non è più armonico quello che salta fuori due anni dopo quello che sarebbe giusto.

IL CONCETTO DI VELOCITA’ GIUSTA: IL BAMBINO CHE CRESCE.

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Quindi è nel concetto di evoluzione, del cammino dell’evoluzione, che la libertà ha la possibilità di sfasare l’evoluzione, sia andando troppo lentamente, sia bruciando le tappe.

L’essere spirituale, il tentatore che fa bruciare le tappe, la scienza dello spirito lo chiama, per certi versi, Arimane. Il tentatore che ti fa poltrire la scienza dello spirito lo chiama Lucifero, importa nulla il nome.

Però sono fenomeni molto complessi e l’evoluzione armonica è l’equilibrio giusto tra il troppo veloce e il troppo lento.

Adesso tu dici: eh, dimmelo tu dov’è il giusto equilibrio tra il troppo veloce e il troppo lento!

Per certi aspetti fondamentali della natura umana possiamo dire qual è il momento giusto: la dentizione a 7 anni, la pubertà a 14 anni, ecc., no!

Però a livelli più concreti il troppo veloce e il troppo lento e la velocità giusta, cambiano da persona a persona; quindi ciò che è troppo veloce per te, ciò che è troppo lento per te e ciò che è la giusta velocità per te, lo puoi dire soltanto tu!

Questo è l’individualismo etico.

La giusta velocità, per gli elementi che abbiamo tutti fondamentalmente della natura umana, quelli li conosciamo; ma non c’è soltanto quello nella vita, ci sono un’infinità di fattori che si individualizzano. E allora torniamo a lui che dice: come faccio io a sapere se sto camminando troppo veloce, quindi forzo le cose, o se sto poltrendo, o se invece cammino giustamente?

Lo devi sapere tu! E lo saprai sempre meglio occupandoti di questa domanda, alla fine di ogni giorno…

INTERV.: Considerando me stesso!

ARCHIATI: Eh, certo! E cioè, alla fine di ogni giorno, ripassando la giornata e vedendo dove sono andato giusto c’era armonia, dove ho poltrito e dove ho cercato di forzare le cose.

INTERV.: Però è anche vero che si rischia, uno deve spronare se stesso…

PAOLO: Se sei un flemmatico ti devi sforzare, se sei uno che corre ti devi frenare, come fanno a saperlo gli altri quello che sei tu!

INTERV.: Ma tu lo sai? Tu dici che lo sai…

ARCHIATI: Lui (Paolo) dice: per quanto riguarda te, lo puoi sapere soltanto tu.

PAOLO: Scusa, tu lo sai per te stesso, no!

INTERV.: Non lo so se è vera questa affermazione che fate.

ARCHIATI: Quale affermazione?

INTERV.: Io posso avere un pensiero che è anche sbagliato su di me.

ARCHIATI: Guarda che se ti sbagli, ti corregge la realtà. Se lei dice – chi era, dove sta, è sparita? – Lei dice: io non sono una poltrona! Supponiamo che si sbagli, che è veramente una poltrona: gli altri mica mollano se è veramente una poltrona! Glielo sbattono in faccia affinchè si convinca che è una poltrona!

INTERV.: Ma chi mi dice che hanno ragione gli altri?

PAOLO: Nel mondo sei. Il mondo ti dice quello che sei tu. Se io dico: sono molto simpatico! E tutti sono sempre arrabbiati con me! Forse mi devo fare un dubbio sul fatto che mi dico: sono tanto simpatico! Oppure dico: io sono calmo! E tutti scappano perché sono uno che si arrabbia sempre! Scusa, eh! Il mondo intorno a te ti dice quello che sei tu!

ARCHIATI: Ti aiuta, ti aiuta, ti aiuta! Il mondo ci aiuta, via!

PUBBLICO: Ma nel caso del bambino che non ha ancora…

ARCHIATI: Perciò la pedagogia è importante, perché abbiamo noi la responsabilità. Il bambino non ha ancora la capacità di gestire lui la velocità del suo cammino. La dobbiamo gestire noi..

E quindi dobbiamo… abbiamo il dovere morale di conoscere le leggi, i concetti della velocità giusta; questo è importantissimo. E uno dei contributi più importanti della scienza dello spirito è che ci presenta, in un modo scientifico, queste scadenze giuste. E ci dice: questa razionalità prematura è micidiale per il bambino, perché è prematura!

E queste sono cose importantissime!

INTERV.2: Solo una precisazione rispetto a quello che ha detto l’amico dottore, lì.

Torno al discorso: in medio stat virtus. Perché ci stanno dei contesti in cui tu potresti essere isolato, però hai ragione lo stesso: l’importante è che tu stai bene con te stesso!

Faccio un esempio pratico: io lavoro nella scuola, molti lo sapranno, e quest’anno mi è arrivato un bambino piccolo, in prima elementare. Questo bambino non è pronto, cioè si stanca subito, non è pronto per l’apprendimento; non è pronto per un certo lavoro imposto dalla collettività. Diciamo che la collettività, lo stato, ha indicato: si inizia a 6 anni (la scuola); poi c’è chi è pronto a 6 anni, c’è chi è pronto a 7 anni e, come hai detto te, c’è l’importanza della pedagogia!

Però viviamo in un contesto in cui si dice: in questa nazione – ma anche in altre – si inizia a 6 anni. Allora a quel punto io, nella mia coscienza non lo forzo (il bambino); altri ne farebbero un problema: questo bambino ha bisogno di un sostegno, non ce la fa, forse lo dobbiamo fermare, e così via.

Se dalla mia parte c’è anche la famiglia, riesco a fare qualcosa, però ci potrebbe essere un contesto tale che ti dice: no, questo bambino ha dei problemi, non ce la fa… e creano un “diverso”.

Però io sto in pace con me stesso, ho una certa conoscenza e, tornando al discorso di prima, in medio stat virtus! Si tratta di aiutare quell’entità che non si può difendere perché è un bambino e accompagnarlo in un certo processo, anche se il sistema ti dice tutt’altro. Anzi, in Italia, malgrado tutto, non esiste ancora un livello così rigido. Io ho sentito situazioni, tipo Olanda, un’amica che viveva là, le hanno detto che il bambino non leggeva, non ce le faceva; La mamma ha chiesto: ma scusate, vi siete assicurati che capisce quello che legge? E la risposta è stata: no, il problema non è se capisce o non capisce, è che non rientra nei coefficienti di velocità della lettura…

Siamo in prima elementare! Cioè, siamo proprio alla follia di cui si parlava prima!

ARCHIATI: Per fortuna c’è l’individualismo etico!

Allora, facciamo una pausa, come richiesto dalla amica Luciana.

ARCHIATI: Allora, c’è qualcuno che ha qualcosa da dire, oltre me?

INTERV.3: Quando lei scrive – non so se l’ha detto nelle riunioni – io ho letto quel libro sull’autocurarsi con il pensiero…

ARCHIATI: Quale libro?

INTERV.3: Sì, “Guarire ogni giorno”. A proposito della percezione e del concetto, siamo nell’ambito. Lei dice che – non per farle un demerito, ma l’ha detto Steiner precedentemente – lei apre altre angolazioni a proposito, lei dice che l’umanità, sempre più di frequente, in questa epoca, vedranno il Cristo nel corpo eterico. E uno!

ARCHIATI: Oh, poveri noi!

INTERV.3: Poi, due: vedranno nell’essere umano l’eterico, come immagine del Cristo. Tre…

ARCHIATI: No, fermati!, sii così gentile da fermarti!

C’è nella scienza dello spirito il concetto – tu ci hai continuamente riportato ai concetti perché hai avuto a che fare con persone a cui mancano elementi fondamentali di percezione – c’è il concetto della visione, della contemplazione del Cristo eterico.

Allora questo concetto io ve lo traduco – un concetto è un concetto – quindi vi spiego questo concetto.

Il Cristo, siccome è una parola, non è necessariamente un concetto, è una parola che crea un sacco di problemi a un sacco di gente, sostituiamola con un sinonimo meno problematico: Il Logos! Vi garantisco che è la stessa cosa, d’accordo!

Si parla del corpo eterico del Logos, quindi se è il corpo eterico non è il corpo fisico; dunque: il corpo eterico.

Cos’è il corpo eterico del Logos ? È la somma di tutti i concetti pensabili dal pensare umano; quello è il corpo eterico del Logos, un altro non esiste.

Quindi il corpo eterico del Logos è il pensare!

Quindi la seconda venuta del Logos è la venuta nella coscienza umana pensante; un’altra seconda venuta non c’è! Ed è una venuta che è individuale, non è una venuta come la prima che è universale per tutti, essendo fisica, essendo storica ecc..

La seconda venuta del Logos nell’umanità è una faccenda di individualismo etico, nello spirito umano. E nell’un spirito pensante, il Logos viene di più, più forte, più puro, più genuino; in un altro di meno.

Però la scienza dello spirito è il corpo eterico del Logos: la somma del pensabile. Lì diventa reale, perchè i concetti sono il punto sommo della realtà.

Quindi, o il Logos ritorna, la seconda volta nel mio pensare, oppure per me non esiste proprio! Ma, scusate!, dove altro può venir colto e vissuto il Logos, se non nel pensare!?

Una gran bella cosa!

Vi ho, come dire, interpretato un concetto che tanti antroposofi ne fanno un concetto tutto esoterico, per addetti ai lavori ecc., ecc.; ve l’ho pulito presentandovi… perché il Logos non è mica soltanto per gli addetti ai lavori, eh! Tra l’altro quelli magari sono quelli che di questo Logos ne capiscono un po’ meno degli altri, molto spesso; proprio perché si sentono diversi; e con questo dimostrano di non averlo capito.

Perché il Logos è l’elemento della comunanza assoluta degli esseri umani; quello che ci rende più uguali di tutti. Perché la facoltà del pensare è piena, è completa, è perfetta in ogni essere umano.

Steiner usa tutt’e due le parole, naturalmente, no! Il vangelo di Giovanni usa la parola Logos; Steiner ha usato spesso la parola Cristo, la parola, il vocabolo: Cristo, perché 100 anni fa non c’erano i patemi d’animo, le difficoltà che ci sono per esempio in Italia oggi, però una volta – mi pare a Stoccolma, o nel Nord, lo trovate nel testo: l’uomo e l’angelo, com’è tradotto in italiano? -.

PUBBLICO: Cosa fa l’angelo nell’anima umana.

ARCHIATI: No, no, no, è una serie di conferenze a Dusseldorf… Ma certo che c’è in italiano!: opera omnia 110!

LUCIANA: Le gerarchie spirituali e il loro riflesso nel mondo fisico.

ARCHIATI: No, quello è l’opera omnia 136.

LUCIANA: No, è il 110. Me lo ricordo perché è una…

ARCHIATI: C’è una prefazione mia, lì, in quel volume?

LUCIANA: Il titolo che ti ho detto io è quello dell’Editrice Antroposofica.

Ah, il tuo, sì perché infatti l’ho comprato: vivere con gli angeli….

ARCHIATI: Dov’è Maria Nieddu? C’è o non c’è ‘sto volume in italiano?

MARIA: Pietro, noi non l’abbiamo ancora in corso…

ARCHIATI: E allora, fatti sentire, no! Scusa, ci fai perdere tempo per nulla!

Allora, in queste conferenze… altrimenti vi leggevo quello che ho scritto io nella prefazione al volume tedesco.

In una conferenza Steiner disse: soltanto la persona che non ha capito nulla di questo essere, centrale nell’evoluzione umana, si arroccherà sulla parola Cristo, perché questo essere lo si può chiamare con tutti i nomi possibili, e non c’è bisogno del vocabolo Cristo!

Io capisco quest’affermazione, però mi piacerebbe leggervela nel detto originale perché Steiner, secondo me, ha visto che, col passare di un secolo, questa parola sarebbe diventata, culturalmente, quasi inusabile. E quindi ha ammonito: guardate che gli esseri umani salveranno il cristianesimo soltanto se avranno il coraggio di sostituire la parola Cristo, che crea soltanto fraintendimenti, con altri sinonimi. Lo spirito del sole, lo spirito comune di tutti gli uomini, lo spirito dell’umanità, lo spirito della terra, lo spirito dell’amore, per esempio. E aggiungetene altri: Aura Mazdao di Zaratustra.

Logos, non vi piace la parola Logos? Il Logos. Il vangelo di Giovanni mica lo chiama Cristo, lo chiama Logos! En archè en o Logos. All’inizio c’era il Logos, che prima era nel mondo divino e poi s’è fatto carne, s’è incarnato, è diventato uomo, si è espresso nella dimensione dell’umano.

Quindi nelle edizioni Archiati, sia in tedesco, sia in italiano, noi abbiamo certi volumi, certe serie di conferenze, per esempio le conferenze sull’Apocalisse presuppongono lettori che abbiano un minimo di affezione, un minimo di consonanza interiore col cristianesimo, se no non leggono le conferenze sull’Apocalisse.

Ora, nelle conferenze sull’Apocalisse non si può evitare continuamente la parola Cristo – che Steiner usa continuamente – perché se a uno non interessa l’Apocalisse, non la legge; se gli interessa, non lo disturba la parola Cristo.

A differenza di un altro ciclo di conferenze, che è uscito adesso in tedesco: Das Wahre, Das Schone, Das Gute: il vero, il bello e il buono. È una serie di conferenze tenute a un gruppo di francesi, che sono andati nel 1922 a Dornach, e a questo gruppo di francesi il Dr. Steiner tiene un bellissimo ciclo di conferenze, dove c’è una summa della scienza dello spirito, in chiave di recupero della filosofia: il vero; recupero della cosmologia: cosmos, il bello; e recupero della religione: il buono.

Ora, in queste conferenze, che non sono conferenze di cristologia, verso la fine, Steiner parla di questo Logos, di questo Essere centrale nell’evoluzione della terra e del sole, che 2000 anni fa ha spostato il baricentro della sua operatività dal sole alla terra, e lo chiama Cristo.

Per quei francesi, 100 anni fa non c’era il problema. Noi lo traduciamo oggi; ora, questo ciclo di conferenze non è un ciclo di conferenze di cristologia; e tante persone ci hanno detto: che bella cosa che, in questo ciclo, le edizioni Archiati hanno sostituito la parola Cristo con Sonnengeist : spirito del sole – che in tedesco è una parola sola – E allora tutti coloro che hanno una disaffezione, comprensibile, psicologica, nei confronti del cristianesimo, che avrebbero difficoltà, all’improvviso in questa conferenza sulla filosofia, sulla cosmologia, sulla religione… Cristo, Cristo, Cristo, trovano Sonnengeist, Spirito del sole, dicono: che bello, che bello, che bello! Ma allora questi cristiani che parlano del Cristo non hanno capito nulla!

E si evita una parola che in quel caso lì non sono conferenze di cristologia; e quindi stiamo cercando di ricuperare l’accesso a questo spirito così universale, cercando di non precludere l’accesso in base ad una terminologia che, invece di aiutare, inceppa il cammino, l’accesso.

Anche in Germania, all’inizio abbiamo stampato testi con Christus ecc.; in Italia ancor di più, ma anche in Germania tante persone dicono: Christus, nein danke; Cristo, no grazie! E allora uno deve trovare qualche soluzione.

Steiner ha tenuto al nord quattro conferenze: Cristo e l’anima umana; qualcuno di voi le conosce. Che vi dice se trovate un libriccino col titolo: Il Logos e l’anima umana? Che differenza c’è? Nessuna, è la stessissima cosa.

Però t’arrivano gli antroposofi doc che dicono: Archiati falsifica Steiner! Quando Steiner stesso ha detto: guardate che verrà il tempo in cui questa parola va sostituita.

WALTER: Ma gli antroposofi a lei dicono molto peggio!

ARCHIATI: Per fortuna mia!

WALTER: Ma noi siamo qui per questo.

ARCHIATI: Allora, chi c’era?

SIG.RA: La mia domanda è questa: per chi, per una vita esercita il pensare, il creare concetti, e poi ho capito che li porta dopo la morte nei mondi spirituali, no! Questa cosa nelle incarnazioni future che cosa porta? A creare nuovi organi, a creare nuove possibilità, nuove percezioni, nuovi sensi?

ARCHIATI: Più concetti hai, più cose sai fare! Più concetti una persona ha, più cose può fare. Allora, prendiamo un esempio concreto, che Steiner descrive – ma non importa, ognuno di noi si fa i suoi pensieri – dice: una persona è venuta al mondo e dice: ma il mio rene me l’ha fatto la natura, non sarebbe mica meglio se me lo faccio io!

Cosa deve fare per farlo lui? Deve formarsi un concetto più chiaro possibile del rene!

Allora cosa fa? Lo distrugge e, lottando con un rene distrutto, per renderlo di nuovo sano, deve ricostruire tutti gli aspetti della struttura di pensiero del rene, del concetto del rene. E più afferra, in tutti i minimi particolari, sempre più nitido il concetto del rene, più diventa capace di immettere correnti “renali”, dentro il corpo, che rigenerano il rene.

E la prossima volta, quando rinasce, concorrerà lui, in un modo molto più forte a creare un rene sano, che non la volta precedente, che l’ha fatto soltanto la natura.

Quindi, il senso di una malattia, il senso più alto di una malattia, è di distruggere qualcosa che la natura ha fatto, per imparare a farlo a partire dal pensare umano, con libertà, e sempre più individualizzato.

PATRIZIA: Come dire, un continuo allenamento creativo, studiato in termini di pensiero astratto e poi realizzato quando si parla di fisico.

ARCHIATI: Certo! Certo!

PATRIZIA: E tutti i concetti sono già dentro di noi? I concetti del Logos sono già tutti qui, dentro di me?

ARCHIATI: Potenzialmente. E tutti i concetti che noi abbiamo, in media, come adulti, sono già presenti nel bambino?

Sì e no! Sì e no! È complessa la cosa!

PUBBLICO: È in divenire…

ARCHIATI: A livello di percezione sono presenti. Cos’è una percezione? Un concetto potenziale! Cos’è un rene in quanto percezione? Il concetto potenziale di rene. E quando lo distruggo percepisco il rene in tutti i particolari molto più fortemente, che non la mia possibilità di percepire il rene quando è sano.

Quindi mi viene incontro una potenzialità di concetto di rene, molto più forte che non quando è sano!

Quindi ogni percezione è un concetto potenziale, che si può anche omettere di formare; però lo si può formare, altrimenti non c’è la percezione.

PATRIZIA: Questo quando si parla di concetti in qualche modo già acquisiti, ma dopo aver sentito tutto questo sulla potenzialità del pensare e del pensiero, ma io come faccio a spingermi in un pensare cose che non ho mai percepito, io sono ancora troppo primitiva, faccio parte ancora di quell’uomo primitivo. Io oltre alla percezione come faccio a far pensate se non le ho mai sperimentate, non so come dire.

ARCHIATI: Ci sono un’infinità di gradi. Tu dici i concetti che non ho mai avuto, e i concetti che ho da sempre. Prendi il concetto di “vespa” – non la vespa che vola, quella che ha le ruote – la persona ordinaria che concetto ha di vespa? Per sommi capi! È un concetto che entra in tutti i minimi particolari?

PATRIZIA: No!

ARCHIATI: Quindi vedi che un concetto è passibile di approfondimento, di articolazione all’infinito.

E un conto è averlo per sommi capi e un conto è averlo al grado di poterla costruire una vespa!

PATRIZIA: Quindi è quello che come falsariga viene suggerito come un pensare allenante, prendere una cosa e cominciare a formulare pensieri finché non se ne può più?

Però, però io prendo sempre cose che conosco, capito! Io non potrei mai pensare una cosa che non ho mai saputo esistere. È lì che allora veramente è anche da collegarsi al discorso: cosa si può fare per pensare di più, o più in fretta, o più veloce, o starsene anche là, seduta in poltrona, come la signora.

ARCHIATI: No, lei ha detto che non poltrisce, eh!

PATRIZIA: Beh, lei legge, studia…

ARCHIATI: No, la poltrona poltrisce, ma non lei.

PATRIZIA: Cioè, come pensare al di fuori di quello che già sappiamo, no! È infinito, se oltre alla luce c’è tutto questo buio da scoprire. Come faccio ad entrare in tutto quel buio io? Se vedo la margherita, posso fare 3000 pensieri sulla margherita, ma devo vederla, sono ancora lì, nel prato.

ARCHIATI: Ma che stai dicendo? Stai sfarfugliando! Stai parlando un po’ a vanvera per vedere se approdi da qualche parte!

PATRIZIA: No, no, magari, penso veramente così, non è un farfugliare.

ARCHIATI: Qualcuno ha capito quello che dice? Me lo traduce! Io non ci ho capito quasi nulla!

LUCIANA: Ma, le dispiace di non saper inventare niente. Le dispiace di non essere capace di inventare qualche cosa che non esiste. Però, Patrizia, quello che s’è inventato la vespa c’è riuscito, speriamo che ci riusciremo anche noi!

INTERV.: Io sono nuovo, sono nuovo dell’ambiente, per cui è la prima volta che intervengo…

ARCHIATI: Non importa nulla se sei nuovo, eh!

INTERV.: Lei (Patrizia) ha detto: non ho capito. Forse (Archiati) non ha cercato di capire il pensiero di Patrizia. E (Patrizia) diceva giustamente: se non esiste qualcosa, non si può pensare sul nulla!

Dunque noi dobbiamo avere una realtà sulla quale pensare e sviluppare il nostro pensiero in un senso o in un altro; e ha anche detto verso il buio infinito di cui si parlava all’inizio della discussione, ricorda? Dice: cosa vediamo al di là? Dobbiamo avere sempre conoscenza di qualcosa di concreto per poter sviluppare un pensiero, che abbia un inizio e una fine, ma che abbia un pensiero collegato con gli altri, se no diventa una pura astrazione, un puro pensiero, così, senza nessun collegamento con la realtà, o con quello che noi intendiamo raggiungere col nostro pensiero.

Mi sembra che abbia detto una cosa che non è stata capita, o almeno non si è voluto approfondire il suo pensiero.

ARCHIATI: Era questo che volevi dire (Patrizia)?… Vedi, che non è sicura!

PATRIZIA: No, no, no, stavo ancora riflettendo su come… mi sembra che sia un po’ questo: come si può fare pensieri “altri” rispetto al reale. Come faccio a pensare cose che non… diventano fantasticherie, posso anche pensarle, ma…

ARCHIATI: Ma di un pensare oltre il reale non s’è mai parlato! Chi ha parlato di un pensare oltre il reale?

PATRIZIA: Che si può superare la percezione…

ARCHIATI: No, non si supera la percezione!

PATRIZIA: La percezione è un buco, in che modo allora?

ARCHIATI: La percezione è un’esperienza di sonno; come si supera il sonno? Svegliandosi!

Questa metafora è più giusta dell’altra. Quel “superare” è una metafora che non serve. Ora, quando uno si sveglia, che esperienza fa? Ho dormito! Ora sono sveglio!

Quando ti svegli nel pensare dici: ah, nella percezione ho dormito! Però lo sai soltanto quando ti svegli! E il pensare è l’esperienza dello svegliarsi: sono sveglio!, capisco!, penso! E adesso so: quando avevo soltanto la percezione dormivo! Quindi la percezione è il sonno, o, diciamo, la mancanza del pensare.

SIG.RA: Scusa Pietro, posso fare un esempio? Non so se sono sveglia, o dormo ancora!

Per esempio, quando ci raccontano che sono scesi sulla luna, quasi tutti ci credono. Sono convinti che siano andati sulla luna. Nessuno si domanda se ciò sia stato vero o no. Perché io credo, non sono un’astronoma, sono ignorante, non capisco gran che di astronomia, ma sulla luna non c’è gravità, che io sappia; e quindi com’è possibile…

ARCHIATI: C’è un quinto di gravità sulla luna.

SIG.RA: Ma è possibile che la navicella scenda sulla luna, o viene in qualche modo…

ARCHIATI: Se gli metti dei pacchetti di cemento per renderla 5 volte più pesante, va giù.

SIG.RA: Quindi è possibile che siano scesi!

ARCHIATI: Possibile è…

SIG.RA: Perché io ho sempre pensato, secondo me ci hanno dato una …

ARCHIATI: No, da quello che sappiamo dovrebbe essere possibile. Io non ho la certezza che sia possibile. La certezza che sia possibile l’hai soltanto quando una cosa diventa reale. Soltanto quando una cosa diventa reale sei sicuro che era possibile.

SIG.RA: È quello che cerco di capire, di pensare, se ciò sia stato possibile, perché tutti credono che sia avvenuto, io invece ho qualche dubbio.

ARCHIATI: No, sicuri che sia avvenuto non siamo, perché nessuno ha avuto la percezione di un uomo che tocca col piede il suolo della luna. Abbiamo avuto la percezione delle immagini sugli schermi, ma questa è tutt’altra percezione.

Per avere la percezione di un uomo, la percezione reale dell’occhio umano, di un uomo che pone il piede sulla luna, dovrei essere ad una distanza visiva della luna, quindi massimo 200 metri, no! Cosa impossibile perché dovrei essere là, per aria nello spazio che vedo, percepisco il piede reale, che si poggia sul suolo reale della luna. Questo tipo di percezione non l’ha avuta nessun essere umano.

SIG.RA: E infatti quello che io vedo in TV, non lo credo, per me è impossibile!

ARCHIATI: Affari tuoi! Sei liberissima! Non sei la sola a non crederci!

SIG.RA: Ah, ecco, no, perché sento molti che sono…

ARCHIATI: È importante che ci diciamo: la percezione reale, dell’occhio umano reale, del piede umano che si pone sulla luna, non l’ha avuta nessuno, perché non è possibile.

SIG.RA: Era solo un pensare di essere sveglia secondo le immagini che ci vengono date, no!

ARCHIATI: Sta attenta, colui che è uscito dalla navicella – come si chiama? Armstrong – con tutti quei sacchi di cemento poi per aumentare la gravità di 4/5, che avrebbe dovuto porre il piede sulla luna; lui, se l’ha fatto veramente, ha avuto la percezione.

SIG.RA: Lui sì, io no!

ARCHIATI: Però ha la possibilità di mentire! Quindi la certezza che lui ha veramente posto il piede umano reale, sul suolo reale della luna, non possiamo averla, perché ci manca la percezione.

SIG.RA: Però è anche giusto pensare che non sia stato possibile questo.

ARCHIATI: No, no, no! sta attenta, un’argomentazione, una prova di impossibilità non può mai essere scientifica, perché non si può mai provare l’impossibilità di qualcosa.

Perché per provare l’impossibilità di qualcosa dovresti far passare tutti i casi possibili di tutta l’evoluzione, e in tutti gli uomini, per dire che in tutti i casi che eventualmente sarebbe stato possibile, non è avvenuto! Quindi non è mai possibile dimostrare che qualcosa è impossibile. Mai!

SIG.RA: Beh, in assoluto no, ma 40 anni fa forse!

PAOLO: Ma scusate, questo riguarda qualunque esperienza che noi non abbiamo fatto. Che ne so io: di un alpinista, di un sommozzatore, di un astronomo; di una qualunque esperienza che io personalmente non ho fatto!

Ci devo credere, perché è un’esperienza che io non ho fatto, una percezione che io non ho avuto. Però la storia dell’umanità ha anche una logica, una consequenzialità che mi dice: beh, è possibile che uno abbia fatto un’esperienza che io non ho fatto.

SIG.RA: Ma io non discuto, non dico che è impossibile, non credo a occhi chiusi che ciò sia avvenuto.

ARCHIATI: Guarda, a me interessava soltanto che, nel procedere scientifico, è una cosa importantissima: non è possibile dimostrare che qualcosa è impossibile.

SIG.RA: In quello sono d’accordo!

ARCHIATI: Bene, e allora perché continui a dire che è impossibile?

SIGRA: Nooo, non che è impossibile in assoluto, impossibile che ciò sia accaduto 40 anni fa, ma sarà possibile in futuro.

INTERV.: Vorrei chiarirmi questo concetto della percezione come sonno, perché mi è nuovo.

ARCHIATI: Sonno del pensiero!

INTERV: Sì, sonno del pensiero, ma perché attraverso un brano musicale, un’opera d’arte, io in qualche modo percepisco e quasi in maniera automatica vengo trasportato verso taluni concetti. In questo caso la percezione non mi sembra un momento di sonno, ma quasi un momento invece di veglia!

In questo senso vorrei un po’ che lei mi chiarisse questo concetto.

ARCHIATI: La percezione, di cui di volta in volta si parla, è sempre riferita al suo concetto, non si parla di percezione in generale.

In quanto alla percezione a cui corrisponde un certo concetto, finché non ho il concetto, dormo rispetto al concetto.

Il problema è che noi, l’essere umano, quando è sveglio, eh!, perciò dicevo del sonno, soltanto quando si addormenta esce fuori dal pensare. Quando si risveglia è sempre dentro il pensare, quindi questa posizione del pensare che si sospende è soltanto un esercizio cavilloso che difatti ci dà una posizione che non esiste: serve soltanto a dimostrare che siamo sempre nel pensare. E per il fatto che ci svegliamo automaticamente, e subito, di fronte alla percezione, è questo risveglio del concetto che dà realtà alla percezione.

Perché se avessi la possibilità, che normalmente non c’è, di non creare subito il concetto, cosa sarebbe la percezione senza il concetto? Un’assenza di pensiero!

INTERV.: Quindi quando io ho letto, che so, l’infinito di Leopardi e in qualche modo mi si schiudono degli orizzonti e accade in me, come in migliaia di altre persone, questo avviene in me perché ho già chiaro il concetto di infinito.

ARCHIATI: Certo! È un potenziamento di processo di pensiero che tu descrivi. È un’intensificazione di processo di pensiero, dove in base alla percezione – perché la percezione che cos’è? Le lettere scritte, quelle sono la percezione – tu fai l’esperienza di un pensiero che si intensifica. Altro che addormentarti, sei più sveglio, capito!

Però la percezione pura – abbiamo fatto degli esercizi, no! – è fittizia, perché la percezione pura in assoluto non c’è: la percezione pura in assoluto c’è soltanto quando si dorme; ma allora non si percepisce nulla, non c’è neanche la percezione.

Quindi la percezioe da sola, in assoluto, non c’è!

Però, come aiuto, quando tu vedi qualcosa… cos’è, una nuvola? Poi quando vai più vicino: ah!, uno sciame di moscerini! Te lo dico io adesso, però non lo sai.

Cos’è? Quella è la percezione pura. E che esperienza è? Mi manca il concetto, non lo so, non so cos’è.

Questo voglio dire, perché nel momento in cui dico: è uno sciame di moscerini, so cos’è! E sono nel pensare.

Ma fintanto che non ho il concetto, ho soltanto la percezione, ho il nulla del pensiero, il nulla del concetto.

Quindi la percezione pura la si può dire soltanto in negativo. La percezione pura è quell’esperienza in cui mi manca il concetto. Che è un’esperienza di eccezione in assoluto, perché normalmente so cosa sono le cose, già il linguaggio me lo dice.

Però questi casi limite ci aiutano ad evidenziare che siamo abituati, spontaneamente, a rituffarci, a costruire il reale sempre nel pensare. E siccome lo facciamo sempre, non lo notiamo e pensiamo che il reale ce lo dà la percezione; no!, il reale ce lo dà il pensare!

Tant’è vero che quando io ho soltanto la percezione dico: cos’è? E non ho la realtà perché non so cos’è!

E quindi io mi sono servito di una metafora per caratterizzare la percezione pura: se ci fosse, perché non c’è quasi mai, ma se ci fosse è un momento di addormentamento del pensiero, perché non so cos’è, non ho il concetto!

Son tutte metafore, però uno le può fraintendere; sono modi di evidenziare la creazione assoluta che compie il pensare; il pensare crea la realtà, perché quando dico: uno sciame di moscerini, la creo questa realtà, che è un concetto.

La creo col mio pensare e so cos’è, pensando.

No, sono 5 elicotteri americani: erano lontani, il rumore non lo sentivo, adesso: due, tre minuti… oh, sono 5 elicotteri degli americani – siamo in Afganistan – tre minuti prima dicevo: cos’è? La percezione c’era, cosa manca? Mancava il concetto!

Era l’ultima domanda, Luciana, buon appetito!

Sabato, 27 febbraio 2010 - sera

ARCHIATI: Eravamo arrivati al paragrafo 31 del VII capitolo e ci siamo proposti, questa sera, che voi state belli zitti e tranquilli e io, con velocità supersonica, porterò a termine, per lo meno fino all’aggiunta, il VII capitolo.

31 – Un essere formato altrimenti avrebbe una conoscenza formata altrimenti. La nostra è sufficiente per rispondere alla domande poste dal nostro essere.

Un essere formato altrimenti, diverso dall’uomo. Noi ci dicevamo: ci interessa, a noi, ciò che è diverso dall’umano? Né ci può interessare, ma neanche ce ne possiamo occupare. Anche se ci interessasse, non ce ne possiamo occupare.

Noi ci possiamo occupare di tutto ciò che esiste soltanto nella misura in cui ricade nell’umano. Se resta fuori dell’umano non abbiamo neanche la possibilità di parlarne, perché non sappiamo cos’è.

E in che modo, tutto ciò che ci riguarda, compreso il cane, compreso il vegetale, compreso il minerale, ricade nell’umano? Attraverso la percezione!

Nel momento in cui diventa, a noi, all’essere umano, percepibile, fa parte dell’umano. E tutto ciò che ci diventa percepibile – tutto, tutto senza eccezioni – è gestibile perché è pensabile; altrimenti non sarebbe percepibile. Ipso facto, per il fatto stesso che diventa percepibile, è pensabile; altrimenti non sarebbe percepibile.

Quindi problemi non ce ne sono. Si tratta soltanto: a ogni percezione che capita – che sia un cane, che sia una margherita, che sia quello che si voglia – di appiccicarci, con la creazione del pensare, di metterci il concetto.

E limiti alla conoscenza non ce ne sono.

Quindi ciò che è oltre la percezione e oltre il pensare non esiste, non c’è, è puro nulla!

La fisica – lo vedremo fra un paio di paragrafi – ci parla di cose non ancora percepite – particelle magari ancora più piccole – però le presuppone come di natura percepibile; man mano che avremo strumenti di percezione sempre più sottili – microscopio, per esempio, o quello che volete – li percepiremmo.

Però, l’assunto fondamentale è che diventano una realtà soltanto se dimostrano, prima o poi, di diventare percepibili; quindi che vengano percepite.

Finché una cosa non è percepita, che è soltanto pensata, non è ancora una realtà; diventa una realtà soltanto quando è percepita e pensata; e allora va tutto bene.

32 – Il realismo metafisico deve domandarsi: «Per quale via ci è dato quello che ci è dato come percezione?, in quale modo ne è affetto il soggetto?»

33 – Per il monismo la percezione è determinata dal soggetto; ma contemporaneamente il soggetto ha, nel pensare, il mezzo per annullare la determinatezza da lui stesso provocata.

Luciana mi diceva: fai un accenno al fatto del monismo, cosa intende Steiner per “monismo”.

C’è una piccola cosa stridente, se volete, una piccola contraddizione – cosa che se Steiner avesse la possibilità di fare una nuova edizione della Filosofia della Libertà, gli direi: correggi ciò che, insomma, crea soltanto problemi – .

Verso l’inizio del libro, Steiner chiama “monismo” un modo di pensare, una filosofia, che lui non fa sua, che è sbagliata! Che non distingue… che dice: materia e spirito sono la stessa cosa; e poi, ora, in questo capitolo, “monismo” è la sua teoria! D’accordo?!

Quindi, io nel mio libro dicevo: allora, visto che c’è questa leggera contraddizione di terminologia, nella Filosofia della Libertà, nel mio libro ho proposto di chiamare questo che lui chiama monismo – che è la sua concezione – : la visione unitaria del mondo; in base a percezione e concetto; e pensare.

Questa, una piccola noticina agli addetti ai lavori che avessero notato e che si ricordano che c’è questa discrepanza tra ciò che Steiner chiama “monismo” all’inizio della Filosofia della Libertà e ciò che chiama “monismo” qui, alla fine della prima parte. Sono due cose ben diverse!

Però, concedetemi, che è una pura questione di terminologia. Non ho capito come mai (Steiner) non ha notato che c’era questa piccola contraddizione.

33 – Per il monismo la visione unitaria del mondo, quella che noi pensatori riteniamo sia quella giusta la percezione è determinata dal soggetto; ma contemporaneamente il soggetto ha, nel pensare, il mezzo per annullare la determinatezza da lui stesso provocata.

34 – Il realismo metafisico sta davanti ad un’altra difficoltà, quando vuole spiegare la somiglianza delle immagini del mondo nei diversi individui umani. Esso deve domandarsi: «Da che cosa proviene che l’immagine del mondo che io costruisco con la mia percezione determinata soggettivamente e coi miei concetti, risulta simile a quella che un altro individuo umano costruisce con gli stessi due fattori soggettivi? E, in generale, come posso io, sulla base della mia immagine soggettiva del mondo, concludere riguardo a quella di un altro uomo?». Come fanno gli esseri umani a capirsi se ognuno è chiuso nella scatola ermetica della sua coscienza dalla quale non può uscire!?

Per induzione? Per il fatto che più o meno, insomma, sembra che ci capiamo, che sembra che parliamo in un modo simile; allora, per induzione concludo che, probabilmente quello che percepisce e che pensa l’altro è analogo, o più o meno uguale a quello che penso io?

Però, per deduzione lo dico, non per percezione diretta della sua coscienza.

Allora, torniamo a questo assunto fondamentale, che noi riteniamo errato – del realismo metafisico, come lo chiama Steiner – che dice: l’individuo A, che ha il suo ambito di coscienza, bello chiuso, con percezione soggettiva e concetti tutti suoi, tutte realtà della sua coscienza; poi, l’individuo B, che ha il suo ambito di coscienza, con le sue percezioni e i suoi concetti; e tutti e due vengono concepiti, pensati, come soggettivi; perché ogni coscienza, se viene pensata come chiusa in se stessa è soggettiva, non è oggettiva, non è oggettivabile.

E la domanda è: come fanno queste due persone ad intendersi, se ognuna ha un mondo suo?

In altre parole, se si parte dal presupposto che il mondo delle tue percezioni, il mondo dei tuoi concetti, è il tuo mondo; io non ci posso entrar dentro, altrimenti sarebbe il mio mondo. E il mio mondo, delle mie percezioni, dei miei concetti, è il mio mondo, nel quale tu non puoi entrare, altrimenti tu saresti me.

Allora, quando ognuno ha un mondo suo, soggettivo, chiuso in se stesso, di percezione e di concetti, di percezione e di concetti; come fanno a capirsi?

Però sembra che gli esseri umani, più o meno, sembra che si capiscano, via! Per sommi capi. Per lo meno per somiglianza.

Allora, per il fatto che pare che ci capiamo – per il fatto che quando diciamo “margherita”, più o meno tutti pensiamo alla stessa cosa – deduciamo che allora c’è una somiglianza; il modo di percepire e di formare concetti dell’uno, di A, è simile al modo di percepire e di formare concetti di B; e lo deduciamo dal fatto che si capiscono, dal modo in cui percepiamo la comunicazione che avviene tra A e B.

Ora, il metodo induttivo non dà certezza assoluta, perché io penso di capire cosa intende B, quando parla di margherita. Penso, però; ma sicuro non lo so se è proprio lo stesso, o se è lo stesso all’80%, o al 90%; non lo so perché io non posso entrare nell’ambito della sua coscienza.

Allora il realismo metafisico è costretto a pensare che, in fondo, gli esseri umani si capiscono per sommi capi; e che il fraintendimento è insito nel comunicare.

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Invece la nostra riflessione ci ha portato al punto da dire che: nella percezione ognuno è soggettivo, ma il concetto, l’attività del pensare che crea il concetto, non ha nulla di soggettivo; e il concetto è assolutamente oggettivo. C’è un solo concetto di margherita, non ce ne sono due. C’è un solo concetto di triangolo, non ce ne sono due. C’è un solo concetto di cerchio, non ce ne sono due.

Quindi, 10, 20, 30 persone umane che, contemporaneamente, creano il concetto di cerchio, sono spiritualmente un’unità assoluta. Quindi l’intesa è assoluta, la consonanza è assoluta; perché sono unificati nel concetto unico di cerchio; o di triangolo, o di margherita, o di quello che sia; o della vespa!

Quindi nel pensare non esiste il soggettivo; oppure non è pensare; è un sentire magari, un sentimento.

Un sentimento cos’è?

A livello di percezione è soggettivo… Attenti!: quello che percepisco in me quando ho il sentimento della gioia… la percezione è soggettiva: non è che percepisco qualcosa che vivono tutti allo stesso modo; però il concetto di sentimento è oggettivo! Perché un sentimento è un sentimento per tutti, il concetto di sentimento è uno solo. E qual è il concetto di sentimento? Il concetto oggettivo, valido per tutti?

Il sentimento è il vissuto soggettivo. Questo è il concetto oggettivo di sentimento.

Dal fatto che gli uomini si trovano praticamente d’accordo l’uno con l’altro, o più o meno d’accordo, o pensano di essere d’accordo il realista metafisico crede di poter dedurre la somiglianza fra le loro immagini soggettive del mondo: e dalla somiglianza fra tali immagini del mondo crede di poter ulteriormente dedurre l’uguaglianza degli spiriti individuali che stanno alla base dei singoli soggetti umani della percezione, o degli “io in sé” su cui si fondano tali soggetti.

Dal fatto che ci si capisce deduco che dobbiamo essere più o meno uguali.

35 – Questa conclusione è dunque di quelle che ricavano, da una somma di effetti, il carattere delle cause che stanno alla loro base. Ammette cioè che da un numero sufficientemente grande di casi si possa conoscere lo stato delle cose, in modo da sapere come le cause, così escogitate, si comporteranno in altri casi. Una simile conclusione è del tipo che si chiama induttivo. Ci vedremo obbligati a modificare i suoi risultati se un’ulteriore osservazione ci darà qualcosa di inatteso, poiché il carattere del risultato è determinato proprio solo dall’aspetto individuale delle avvenute osservazioni.

Quindi un numero sufficiente di casi simili non dà mai una certezza assoluta su tutti i casi possibili.

Il realista metafisico ritiene però che questa conoscenza condizionata delle cause sia più che sufficiente per la vita pratica.

36 – Il ragionamento per induzione è il fondamento metodico per il realismo metafisico moderno. Vi fu un tempo in cui si riteneva che dai concetti si potesse sviluppare qualcosa che non fosse più concetto. Si credeva che dai concetti si potesse ottenere la conoscenza di quegli esseri reali metafisici, di cui il realismo metafisico ha proprio bisogno. Questo genere di filosofia appartiene oggi alle cose superate; in sua vece si ritiene che, da un numero sufficientemente grande di fatti percettivi, si possa dedurre il carattere della “cosa in sé” che sta alla base di essi. Come prima si cercava di sviluppare l’elemento metafisico dai concetti, così oggi si cerca di svilupparlo dalle percezioni. Poiché i concetti stanno davanti a noi in trasparente chiarezza, si riteneva un tempo di poter derivare da essi con assoluta sicurezza anche l’elemento metafisico. Le percezioni non ci stanno davanti con uguale trasparente chiarezza. Ognuna che segue, si presenta un po’ diversa dalle analoghe che l’avevano preceduta. La margherita, di giorno in giorno, è sempre un po’ diversa. In sostanza, quello che si era concluso in base alle precedenti, viene un po’ modificato da ognuna delle successive. Il quadro che in tal maniera si ottiene per il lato metafisico, si può quindi ritenere solo relativamente esatto; è soggetto a correzioni per effetto di casi futuri. Caratterizzata da questo principio metodico è la metafisica di Eduard von Hartmann, il quale, sul frontespizio della sua prima grande opera, ha posto il sottotitolo: «Risultati speculativi secondo il metodo induttivo delle scienze naturali».

Da un numero sufficiente di casi indagati, da un numero sufficiente di esperimenti fatti, si cerca di indurre – o di dedurre – una specie di legge che più o meno dovrebbero seguire tutti i casi analoghi.

Come fa lo scienziato a fare un’ipotesi?

Crea delle condizioni del suo esperimento, rimanendo uguali le condizioni del suo esperimento, dovrebbe sortire in ogni caso, più o meno, lo stesso risultato.

È una certezza empirica, non una certezza assoluta, oggettiva. E la scienza moderna dice: una certezza più di questa non c’è, non esiste.

37 – Il quadro che oggi il realista metafisico si fa delle sue “cose in sé”, è un quadro ottenuto per induzione. Dell’esistenza di una connessione reale-oggettiva del mondo, accanto a quella “soggettiva” conoscibile per mezzo di percezione e concetto, egli si convince per mezzo di considerazioni sul processo della conoscenza. Come sia sorta questa realtà oggettiva, egli crede di poterlo determinare per mezzo di induzioni tratte dalle sue percezioni.

Quindi la cosa in sé (disegna)… qui c’è l’albero, qui c’è l’essere umano: la cosa in sé dell’uomo e la cosa in sé dell’albero è inconoscibile, è al di là della coscienza; qui c’è la coscienza. Nella coscienza c’è un riflesso, un’immagine riflessa dell’albero, un’immagine riflessa dell’uomo – della cosa in sé dell’uomo – e un riflesso del rapporto.

Cosa conosco io della cosa in sé di quest’altro uomo che sta guardando l’albero e del loro rapporto?

Gli effetti che producono nella mia coscienza!

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Posso risalire, dagli effetti che producono nella mia coscienza, alla causa? Posso fare affermazioni sulla causa? Soltanto se c’è una somiglianza di natura fra la causa e l’effetto.

C’è una somiglianza di natura fra la causa e l’effetto? Cioè, della cosa in sé dell’albero e dell’immagine riflessa dell’albero nella mia coscienza? C’è una somiglianza?

No!, sono una l’opposto dell’altra: altro che somiglianza! Perché l’una è reale e l’altra non è reale.

Come fa una causa reale a sortire un effetto di non realtà?

Il realista metafisico dice: la cosa in sé, nella coscienza, non è reale; io non ho la cosa in sé: è inconoscibile; quindi non entra nella coscienza. Nella coscienza entra soltanto un effetto e questo effetto è un effetto di non realtà.

Ma la domanda è… la contraddizione intrinseca di questa visione del mondo sta nello spiegare una cosa assurda: come una realtà crei, come effetto, una non realtà.

Una realtà può causare soltanto effetti reali, perché se crea effetti non reali è essa stessa una non realtà, e il tutto diventa assurdo.

CARLO: E lo specchio? L’immagine causata nello specchio è non reale.

ARCHIATI: Allora qual è la causa dell’immagine?

CARLO: La luce. Se c’è l’immagine, l’immagine rimanda a una realtà.

ARCHIATI: Sì, ma qual è la causa che fa sorgere l’immagine?

La luce! Non la cosa in sé!

Per esempio: io sono la cosa in sé, voi mi vedete, e qui c’è lo specchio, d’accordo! E nello specchio sorge un’immagine – prendiamo lo specchio come esempio della coscienza – e nella coscienza sorge un’immagine: Io sono la cosa in sé e nella coscienza c’è l’immagine di me.

La domanda che stiamo ponendo è: chi è la causa del sorgere dell’immagine? Sono io? Se fossi io la causa… il concetto di causa è che quando la causa c’è, causa per natura, causa di necessità!

Ma se è buio, qui io ci sono, si evidenzia che non sono la causa dell’immagine perché l’immagine non sorge. Quindi io sono una condizione necessaria perché sorga l’immagine di me, ma non la causa!

Anche l’immagine speculare è una condizione necessaria, ma non la causa.

La causa è la luce!

PUBBLICO: Anche lo specchio (non è causa).

ARCHIATI: È una condizione necessaria, non la causa! Perché tu hai lo specchio, ma senza luce lo specchio non ti dà nulla. Lo specchio c’è, però senza la luce, ti evidenzia che non è lo specchio la causa.

PUBBLICO: Anche lei…

ARCHIATI: Sì, quindi sono anch’io una delle condizioni necessarie, ma non la causa!

PUBBLICO: Ma senza di lei, anche se c’è la luce, non c’è la sua immagine.

ARCHIATI: Certo, il che significa che sono una “conditio sine qua non”, ma una condizione necessaria non è la causa!

È un esercizio che abbiamo fatto diverse volte!

PUBBLICO: Ma è anche l’ombra.

ARCHIATI: È l’ombra la causa del sorgere dell’immagine?

PUBBLICO: La luce e l’ombra insieme.

ARCHIATI: Sì, basta dire: la luce; è nel concetto di luce che ci deve essere anche l’ombra. Non c’è luce senza ombra.

Quindi l’analogia della luce, che è la luce che fa sorgere l’immagine, non la cosa in sé, ci fa capire che è la luce del pensare a far sorgere il concetto, che è la cosa in sé.

Quindi il pensare è luce spirituale, che fa luce sulla cosa in sé e ci dà la cosa in sé, l’essenza della cosa. Quindi il concetto è pura luce spirituale e questa luce spirituale gli scolastici la chiamavano; evidenza!

Ex-video. Mi fa vedere la realtà, il concetto, l’essenza delle cose. Mi evidenzia.

Il concetto di margherita cos’è?

È un’esperienza di evidenza, per illuminazione dello spirito che pensa.

Un’intuizione, un’evidenza.

Perché sai cos’è la margherita, lo sai per evidenza, non puoi metterlo in dubbio!

Oppure non lo sai; e allora la luce non s’è accesa, non c’è la luce. Ma se c’è la luce: è evidente!

L’origine della parola “idea”, l’idea che è poi il concetto, è dal latino “video”; e in greco “ideis” significa vedere; ma vedere non dell’occhio fisico, vedere del pensare.

Quindi il pensare è una visione spirituale, è un vedere spirituale: illumina i concetti e li rende evidenti; e l’uomo dice: capisco!

Platone è stato l’ultimo… all’inizio gli esseri umani vedevano gli esseri spirituali, poi udivano la comunicazione, la rivelazione dell’interiorità degli esseri spirituali; al terzo gradino avevano le immaginazioni.

Quindi le idee di Platone sono immaginazioni – le idee platoniche – .

Una volta sparito questo ultimo rimasuglio di chiaroveggenza – delle idee platoniche che sono immaginazioni vere e proprie – Aristotele è il primo che “vede” i concetti.

Quindi le immaginazioni sono ciò che si vede nell’eterico, nel vitale, e i concetti sono ciò che si vede nel pensare.

Che differenza c’è fra le idee platoniche e i concetti logici di Aristotele?

Che i concetti logici di Aristotele hanno perso ogni aspetto di percezione, sono puri concetti; in Platone erano ancora percezioni eteriche, cioè immaginazioni; e perciò dovevano sparire, perché nella creazione dei concetti, in base al pensare, l’essere umano diventa del tutto attivo. Quindi le idee di Platone avevano ancora un’enormità di passività: si presentavano, erano qualcosa che si “vedeva” veramente.

Son dovute sparire e con Aristotele comincia un modo di gestire i contenuti del mondo, per cui li crea, in modo puramente spirituale, il pensare stesso.

E che tipo di percezione sorge ora, come stimolo, come pungolo di questo modo nuovo di pensare?

La percezione sensoria esterna, che è il nulla della realtà; e quindi provoca l’essere umano a creare lui, nel pensare, il tutto della realtà, nei concetti.

Consideriamo il nostro modo di comunicare con un artista. Perché questi esseri spirituali, che si sono a mano a mano ritirati, sono artisti! Quindi usiamo l’analogia del nostro modo di vivere un artista – e lo dicevo già ieri, o l’altro ieri – c’è l’artista in quanto essere spirituale pensante che crea: crea statue, nel suo spirito, intuisce nuovi quadri da dipingere.

Questo essere spirituale ha un’anima, un insieme di contenuti nel suo spirito, e se comincia a parlarmi, se comincia a descrivermi con la parola, può rivelarmi ciò che porta dentro di sé: i progetti che ha, le forme a cui sta pensando, un nuovo tipo di arte, forse!

Ora che comincia a parlarmi mi manifesta la sua interiorità, i contenuti del suo spirito, della sua anima.

Poi lo vedo all’opera, quindi: vedo, eh!, percepisco, ma non il quadro finito, dove l’artista non c’è più, lo percepisco mentre dipinge.

Questo percepire un essere spirituale, mentre opera nel mondo, era il gradino di Platone che, in queste immagini – le idee platoniche – vedeva gli esseri spirituali all’opera nel mondo.

Ora l’artista, il mio amico artista, è sparito e ho soltanto il quadro finito.

Cos’è il quadro finito? Una percezione esteriore, morta!

E tutto ciò che questo quadro finito, morto, da cui è sparito, per lo meno esteriormente l’artista, tutto ciò che questo quadro contiene, in quanto pensieri, in quanto intuizioni, in quanto contenuti spirituali dell’artista, lo devo ricostruire io a partire dalla percezione.

Che tipo di artista è, che cosa ha pensato, che cosa ha sentito… Quindi il concetto del quadro è il modo specifico del pensare, di risalire, in base alla percezione, all’essere spirituale che l’ha creato.

Percepisco la margherita e il pensare mi dice la struttura di pensiero di cui si è intriso il Logos che l’ha pensata.

Però questo risalire dalla percezione morta, esterna, materiale, della margherita, al concetto di margherita, che è un frammento di interiorità del Logos che l’ha creata, è un percorso che è lasciato tutto al pensare umano.

La persona si pone di fronte alla Madonna sistina di Raffaello, prendiamo questo esempio; cosa gli dice questa percezione?

Questa percezione è una percezione esterna, morta, esteriore – a Dresda – . Uno ci passa davanti, non sa che cos’è, non gli importa proprio nulla, forse ha una percezione fuggevole, ma non ci fa neanche caso.

Un altro è andato apposta a Dresda per vederla, per avere la percezione diretta. Ora, da sempre ha saputo che c’è questa opera di Raffaello e finalmente si trova di fronte ad essa: ha questa percezione diretta – una rappresentazione è tutt’altra cosa, eh! – . A parte i colori che sono un po’ sfocati ecc., però lì c’è ciò che resta di quello che ha fatto Raffaello.

Ora si trova di fronte a questa percezione, cosa pensa?

Dipende dalla capacità pensante, di colui che è esposto a questa percezione, di risalire – dalla percezione – all’interiorità, sia animica, sia spirituale di colui che l’ha creata.

Un esempio: questo è il quadro – ve lo ricordate? – qui c’è tutta una cornice di angioletti, sono tutti ormai sfocati, però si vedono ancora, no! Qui c’è la Madonna; e uno di questi – zacchete! – qui (in grembo alla Madonna).

Come è stato concepito il bambino in braccio alla Madonna? Che concetto ha avuto Raffaello?

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Da come l’ha costruito, da come l’ha espresso, deve aver pensato che questo bambino è uno degli angioletti che dal cielo si sposta sulla terra!

Ogni bambino che nasce è un angioletto che dal cielo viene giù sulla terra.

Raffaello deve aver avuto un concetto di questo tipo, magari con sfumature diverse, ma il concetto, nella sua essenza, deve essere stato questo, altrimenti non avrebbe potuto fare il bambino, nelle braccia della Madonna, in quel modo lì.

Voglio dire: l’interazione tra percezione e concetto è il cammino del pensiero che dalla percezione – ogni percezione è l’operato morto di chi l’ha creata – il pensare risale al processo di pensiero, di logos creativo, che ha creato questo concetto.

Oppure, un’altra riflessione: noi abbiamo, oggi, in base alla scienze naturali, un concetto di ereditarietà.

Secondo il nostro concetto di ereditarietà, non dico tutti, ma la maggior parte degli uomini d’oggi dicono: il bambino che una mamma, una mamma qualsiasi, ha in braccio, è il risultato di forze ereditarie. Quindi tutte le cartteristiche dell’animo del padre e della madre, tutto il materiale fisico, messo in una certa combinazione, dal di sotto salta fuori, come risultato dell’ereditarietà, il nostro concetto di bambino.

Il concetto comune di bambino è che è risultato di forze che vengono dal di sotto: dai genitori, dall’anima dei genitori, dallo spirito dei genitori ecc..

Raffaello ha questo concetto di ereditarietà, o dell’origine del bambino, nel suo modo di mettere il bambino nelle braccia della mamma?

No! Dimostra, nel suo quadro, di avere il concetto opposto dell’origine del bambino!

Lui dice: il bambino viene dal mondo spirituale, non dal mondo materiale! È un altro concetto dell’origine dell’uomo: il concetto opposto a quello che è comune oggi.

Voglio dire: noi, è importante che ci rendiamo conto sempre di nuovo, in chiave di esercizi, quali processi enormi di pensiero, e poi passibili di diventare sempre più vivaci, sempre più artistici, avvengono di fronte ad una percezione.

E quando una persona, di fronte alla Sistina, non si fa nessun pensiero, è una povertà sua, perché ogni percezione e passibile di cammini di pensiero all’infinito!

È come chiedere a uno: quanti pensieri ti puoi fare in base alla percezione della vespa? Te ne puoi fare all’infinito!

Perché i processi di pensiero che hanno portato alla vespa reale – o alla gilera reale, se volete – sono veramente complessi! È ovvio che devono essere complessi! Per non parlare poi dei processi di pensiero che hanno portato a costruire aerei che non cadono! Eh, se n’è provate di cose! E in questo provare era tutto interazione tra percezione e concetto, tra percezione e concetto.

Hai fatto un’ala lunga tanto e adesso percepisci la sua interazione col vento ecc., e dici: no, no, no, per essere sicuri che non cada dev’essere più lunga; percepisci, per altri mesi, che cosa avviene quando è più lunga e dici: no, adesso è troppo lunga. E a forza di provare arrivi all’ala giusta!

E arrivi ad avere degli aerei che cadono soltanto in caso di eccezione, perché ci sono altri fattori, ma non perché la dinamica dell’aereo è sbagliata.

Adesso noi possiamo dire di avere degli aerei la cui dinamica è giusta, e quando cadono, cadono per altri fattori estrinseci, non intrinseci all’articolazione delle forme dell’aereo, se no, se fossimo ancora a quei livelli lì, non volerebbe nessuno volentieri. Si vola perché si sa che se tutto va bene, l’aereo non cade; anche quando c’è turbolenza non cade, proprio non cade.

Però il processo enorme di interazione tra percezione e concetto, tra percezione e pensare, per arrivare a questo tipo di perfezione, è un cammino enorme degli esseri umani, compiuto nell’umanità.

Allora, questa aggiunta alla seconda edizione, aggiunta al capitolo VII…

PUBBLICO: Qualcuno dice che manca il paragrafo 37.

ARCHIATI: Sì, l’avevo finito. (comunque lo riprende)

37 – Il quadro che oggi il realista metafisico si fa delle sue “cose in sé”, è un quadro ottenuto per induzione. Dell’esistenza di una connesione reale-oggettiva del mondo, accanto a quella “soggettiva” conoscibile per mezzo di percezione e concetto, egli si convince ed è questo che ho fatto alla lavagna per mezzo di considerazioni sul processo della conoscenza. Come sia sorta questa realtà oggettiva, egli crede di poterlo determinare per mezzo di induzioni tratte dalle sue percezioni.

Fa delle illazioni che non danno la certezza assoluta, e noi dicevamo: il pensare è l’organo della certezza assoluta! Oppure non c’è il pensare.

Può errare il pensare?

No! Quando l’essere umano erra, erra per deficienza di pensiero, per mancanza di pensiero. Quindi non è il pensiero a errare, ma la mancanza di pensiero.

Un’analogia – l’ho usata in una prefazione di testi tedeschi – la bussola può errare? L’ago magnetico può errare, può indicare il Sud? È possibile che l’ago magnetico della bussola indichi il Sud?

CARMINE: Se c’è una calamita che lo devia.

ARCHIATI: Lascia perdere la calamita: non c’è.

CARMINE: Allora no, non può.

ARCHIATI: E quando è scassata? Quando è scassata cosa avviene?

Quando è scassata l’ago non indica una direzione sbagliata. Attenzione, è importante!: l’ago non indica nulla! Che è diverso! Non è che l’ago si è fermato e indica una direzione, non indica proprio nulla!

Un’altra analogia è la luce.

Se la luce c’è, si vedono le cose? Sì, si vedono.

Posso sbagliarmi io, in piena luce: c’è un tavolo che è chiaramente un tavolo e una sedia che è chiaramente una sedia, posso io commettere l’errore di dire che la sedia è un tavolo?

Quando non so distinguere la sedia dal tavolo e dico: ma quello è un tavolo, e punto sulla sedia, è perché la luce è fiochissima!

Quindi il problema dell’errore non è una faccenda del pensare, è una faccenda della mancanza del pensiero.

Venendo meno la forza del pensare, sorge l’errore; per mancanza di forza di pensiero. Più forte, più creativo è il pensare e più si esclude l’errore.

Quindi nel Logos l’errore è escluso in assoluto.

Quindi, anche l’errore non è una cosa che c’è, ma è una mancanza di intuito. Quindi l’errore non è mai un intuito sbagliato, intuiti sbagliati non ce ne sono; l’errore non è mai un concetto sbagliato, l’errore è sempre un concetto che manca.

Concetti sbagliati non ce ne sono; ditemi voi un concetto sbagliato di margherita? Non è la margherita. Un concetto sbagliato di margherita non c’è! O c’è il concetto, o manca; ma non esiste un concetto errato di margherita.

Oppure è un concetto manchevole: gli mancano tratti fondamentali, ma allora è un concetto manchevole, non errato, non sbagliato. E un concetto insufficiente: aggiungi col tuo pensiero questo tratto, quest’altro elemento, quest’altra dimensione.

Quindi l’errore è sempre un vuoto di pensiero.

Cominciamo questa aggiunta, vi dicevo, è una conclusione non soltanto del capitolo VII, ma una conclusione di tutta la prima parte. Poi all’inizio del capitolo VIII – forse inizieremo a leggerlo domani, non lo so – fa un riassunto di tutta la prima parte della Filosofia della Libertà, perciò forse ci arriviamo.

Allora, teniamo presente che queste pagine, questa aggiunta, Steiner l’ha scritta 25 anni dopo, quindi quando lui era già un teosofo, un antroposofo, di quelli che, insomma, si rispettano; dopo aver dato cicli di conferenze, un dopo l’altro, su contenuti, come dire, oggettivi di scienza dello spirito, nel 1918 fa una seconda edizione della Filosofia della Libertà lasciandola tale e quale, in fondo; cambiando soltanto alcune cose che un Eduard von Hartmann aveva frainteso, ma non cambia nulla del contenuto; e l’unica cosa che fa è di metterci delle aggiunte per spiegare un po’, per approfondire, per creare agganci con i contenuti della scienza dello spirito.

Quindi noi, adesso, facciamo un salto di 25 anni, dal 1894 – anzi dal dicembre 1893, quando è uscita difatti la Filosofia della Libertà, però lui ci ha messo la data del 1894 – fino al 1918 sono 25 anni.

Quindi ristampare la Filosofia della Libertà, 25 anni dopo, tale e quale, in sostanza tale e quale, dopo questa fondazione enorme di scienza dello spirito, ci sta a dire che le leggi del pensare umano non cambiano ogni 25 anni; e non cambiano neanche ogni 100 anni.

Dicono che una volta è stato chiesto a Steiner: dottore, cosa resterà di lei fra 1000 anni? E lui si dice abbia risposto: fra 1000 anni resterà di me la Filosofia della Libertà.

Tutto il resto è passibile molto più di integrazione, di ulteriore evoluzione, di complessificazione, anche di variazione, anche di correzione di certe cose, se si vuole, ma non cambia nulla, tra 1000 anni, sulle leggi del pensare umano, perché fanno parte della natura dell’uomo, dello spirito umano.

Aggiunta alla seconda edizione 1918:

L’osservazione imparziale dello sperimentare basato su percezione e concetto, secondo quello che si è tentato di prospettare nella nostra precedente esposizione, verrà sempre turbata da certe rappresentazioni derivate dalla considerazione della natura. Se ci si pone su questo terreno, si conclude che per mezzo dell’occhio si percepiscono i colori nello spettro della luce, dal rosso al violetto. Ma oltre il violetto si trovano, nel campo radiante dello spettro, forze alle quali non corrisponde alcuna percezione colorata da parte dell’occhio, bensì un effetto chimico; similmente, al di qua del limite di attività del rosso, si trovano radiazioni che producono soltanto calore. Il cosiddetto infrarosso: sono effetti calorici.

Le riflessioni su questi ed altri fenomeni analoghi conducono alla conclusione conducono la maggior parte degli scienziati di scienza naturale, alla conclusione che i limiti del mondo delle percezioni umane sono determinati dai limiti dei sensi dell’uomo, e che questo avrebbe davanti a sé un mondo completamente diverso, se ai sensi di cui dispone potesse aggiungerne altri, o se addirittura possedesse dei sensi diversi.

Chi si compiace delle stravaganti fantasie alle quali, in questa direzione, forniscono un assai seducente appiglio specialmente le brillanti scoperte delle recenti investigazioni delle scienze naturali, può ben arrivare alla persuasione che soltanto ciò che può agire sui sensi, formatisi in conseguenza dell’umana organizzazione, rientra nel campo di osservazione dell’uomo; che egli non ha nessun diritto di considerare come determinante per la realtà quanto è da lui percepito entro limiti postigli dal suo organismo, e che ogni nuovo senso doverbbe porlo davanti ad un quadro diverso dalla realtà. Tutto questo, pensato entro limiti adeguati, costituisce un’opinione perfettamente giustificata. Giustificata nel senso che ogni eventuale nuovo organo di senso ci darebbe una serie nuova di percezioni – in questo senso è giustificata – che senza questo nuovo organo di senso noi non avremmo. Se però qualcuno, da questa opinione, si lascia traviare dall’osservazione obbiettiva dei rapporti fra percezione e concetto che sono stati rilevati in queste nostre considerazioni, si chiude da se stesso la via che conduce ad una conoscenza, radicata nella realtà, del mondo e degli uomini. Sperimentare l’essere del pensare, ossia l’elaborazione attiva del mondo concettuale, è qualcosa di completamente differente dallo sperimentare quello che si può percepire coi sensi. Di qualunque senso l’uomo possa mai essere dotato, non potrebbe avere da esso la realtà se egli, pensando, non compenetrasse di concetti quanto ha percepito, trasmessogli da quel senso; e qualsiasi senso, così compenetrato, dà all’uomo la possibilità di vivere dentro la realtà. Le fantasie sull’aspetto completamente diverso che potrebbe avere il mondo delle percezioni, se l’uomo fosse dotato di altri sensi, non ha nulla a che fare con la questione della posizione dell’uomo entro il mondo reale.

In altre parole, tutte le percezioni possibili sono una faccenda del corpo, sono una faccenda dei sensi, ma non riguardano l’uomo pensante, perché l’uomo pensante, qualsiasi eventuale nuova percezione l’afferra in chiave di pensiero.

E le due dimensioni: percepire e pensare, non sono commensurabili fra loro, perché la percezione è una domanda e il pensare dà la risposta.

Bisogna appunto intendere che qualunque immagine data dalla percezione riceve la sua forma dall’organizzazione dell’essere che percepisce, ma che l’immagine percepita, compenetrata dalla sperimentata attività pensante, quindi da un’attività pensante vissuta in proprio conduce alla realtà. Non in una raffigurazione fantastica di come il mondo apparirebbe a sensi che fossero diversi dai nostri, può spingere l’uomo a cercare di conoscere il suo rapporto col mondo, bensì la comprensione che qualsiasi percezione dà solamente una parte della realtà che in essa si trova, e allontana quindi dalla sua propria realtà. A questa comprensione si aggiunge allora l’altra, che il pensare conduce a quella parte della realtà che la percezione nasconde in se stessa.

Quindi la percezione nasconde il concetto!

Troviamo un altro modo di creare il concetto di percezione: cos’è la percezione, cos’è il concetto di percezione?

La percezione è quell’interazione dell’uomo col mondo che gli nasconde il concetto!

Quindi la percezione pura, la percezione della margherita è ciò che nasconde il concetto di margherita; e il pensare lo riscopre!

I greci hanno, per ciò che noi chiamiamo: la verità – quindi il reale, la realtà delle cose – una bella parola: aletheia: verità. “a” significa: via!, letheia viene da lantano che significa: coprire.

Quindi la percezione copre il concetto e il pensare scopre il concetto, e scoprendo il concetto che sta dietro la percezione trova la verità.

Quindi la parola greca per dire la verità, è letteralmente: “scoprimento”.

La percezione ci mette una coperta e il pensare scopre l’essenza. La percezione mi dà la parvenza e il pensare scopre, oltre la parvenza, l’essenza.

Quindi la percezione della margherita è la parvenza della margherita, che mi copre l’essenza; e il pensare scopre l’essenza. E come la scopre?

Facendo una scoperta! Quindi il pensare è l’arte dello scoprire.

Adesso ditemi voi, in italiano, il concetto di una scoperta, che vuol dire?

Non è forse un’intuizione? Eh, una scoperta è un’intuizione! Però la parola dice: c’era una coperta, adesso è scoperta.

È la ricreazione: nel pensare l’uomo crea di nuovo ciò che è stato già creato.

Quindi il Logos l’ha già scoperta, lui, la margherita, perché l’ha creata! Noi la scopriamo, la riscopriamo, la ricreiamo.

ROBERTO: L’ha coperta apposta!

ARCHIATI: Sì, sì, per darci la possibilità di ri–scoprirla e di fare la scoperta!

Bello, questo gioco del linguaggio italiano: scoprire e la scoperta!

Perché nel concetto di scoperta… “ah, che bella scoperta hai fatto!”, noi non pensiamo alla coperta, pensiamo all’attività creatrice di scoprire qualcosa.

Però nello scoprire, nell’immagine, c’è qualcosa che è stato coperto, se no non lo puoi scoprire.

È geniale il genio del linguaggio, eh!

Quindi il mondo delle percezioni è la coperta dei pensieri del Logos, che dà al pensare umano la possibilità di scoprire, scoprire, scoprire: via la coperta, via la coperta, via la coperta. Molto bello!

Quindi pensare vuol dire scoprire l’essenza, perché la percezione te la copre, te la nasconde.

PUBBLICO: In tedesco è la stessa cosa?

ARCHIATI: No, tutta un’altra area semantica. Zudecken (coprire), però loro dicono: erfinden: ritrovare

Allora: l’immagine di coprire e tu scopri, la coperta. Il “trovare” che immagine presuppone?

Che è stato nascosto!

Allora, che differenza c’è tra dire: la percezione mi copre – ci metto una coperta sopra – e me la nasconde?

Nascondere è più spirituale. “Tu mi stai nascondendo qualcosa” – non c’è la coperta – non me la dici giusta; mi stai nascondendo qualcosa.

Quindi la percezione non me la dice tutta, mi nasconde qualcosa; e il pensare trova!

È un’altra immagine, un’altra serie di immagini, però leggermente più spirituale, meno materiale.

CARMINE: Tra il pensare che trova e il pensare che crea, qual è la differenza? Perché se io trovo vuol dire che la cosa c’è già, ma se la creo, vuol dire che non c’è!

E allora? Allora la verità è un fatto di trovarla o di crearla?

ARCHIATI: Tutt’e due: sotto un certo aspetto è un trovare ciò che c’è già e sotto un altro aspetto è un creare ciò che non c’è. E cioè, se noi invece di fare soltanto un paio di anni la Filosofia della Libertà, facessimo una scuola di filosofia di pensiero, dove ci troviamo ogni settimana, allora dovremmo distinguere a livelli ancora più minuti.

Quando tu crei il concetto di margherita, devi distinguere tra il contenuto di questo concetto, ma il contenuto di questo concetto lo scopri, c’è già, l’ha pensato il Logos; però l’attività è una creazione tua!

Quindi nel pensare bisogna distinguere tra il pensare in quanto attività e il pensare in quanto contenuti.

Poi c’è un terzo (fattore), ancora da distinguere: è il pensato.

Omne trinum est perfectum!

Quindi il pensare è fatto di tre dimensioni fondamentali che vanno distinte; e lo sai, dimmele tu!

Anche questo è un esercizio che abbiamo già fatto.

Allora, nel pensare… noi diciamo “pensare”, ma intendiamo tre cose che vanno distinte. Primo: c’è chi pensa, il pensante; secondo: il pensare, quindi l’attività; e terzo: il pensato.

Quando io penso la margherita, il pensante sono io; l’attività del pensare è un’attività che genero io stesso, c’è soltanto nella misura in cui io la genero; posso omettere di pensare, quindi io sono la causa del pensare, in quanto pensante; ma il pensato, il concetto di margherita lo scopro c’è già.

Ora, c’è un caso in cui questi tre diventano uno solo?

PUBBLICO: Quando penso sul pensare.

ARCHIATI: È giusto, ma non proprio preciso. Quando penso il pensare!

Quando io penso il pensare, chi è il pensante? Sono io. Quando io penso il pensare: è un pensare; e quando io penso il pensare, cos’è il pensato? Il pensare!

Quindi nell’io il pensante è l’io; il pensare è l’attività dell’io; e il pensato è l’io, che faccio oggetto del mio pensiero.

La definizione che Aristotele dà dello spirito divino creatore è: NOESIS NOESEOS – in greco – . Lo spirito pensatore autocosciente, che ha coscienza di sé, che sa di pensare; non soltanto che pensa, ma che sa di pensare. E che gode il pensare!

L’autopensarsi del pensare. L’autocoscienza del processo creatore del pensare.

Questa è la definizione di Dio che dà Aristotele.

Il pensiero che pensa se stesso. Il Logos. Potevamo scriverci: Logos, è la stessa cosa.

Il Logos è il pensante, è il pensare cosmico ed è il pensato cosmico. Logos.

Il Logos è il pensante cosmico in tutto ciò che viene pensato, è lui il pensante; è il pensare, è l’attività del pensare; ed è tutti i contenuti del pensare suo: il pensato.

MAURIZIO: Una domanda: ma la libertà di poter creare qualcosa; tutto quello là è già stato fatto…

ARCHIATI: Ma dove? La libertà nostra, dici?

MAURIZIO: Sì, la nostra, individuale.

ARCHIATI: Sì, sta attento: non c’è nessuna libertà per quanto riguarda i contenuti del pensare – era sulla domanda prima – ma c’è piena libertà per quanto riguarda l’attività del pensare; non ti basta? Ce n’è che avanza!

MAURIZIO: Ma lui ha già pensato tutto.

ARCHIATI: Certo, il Logos ha la libertà di pensare quello che vuole.

MAURIZIO: Ma non io però!

ARCHIATI: No, sta attento: l’io è il pensante, il pensare e il pensato…

MAURIZIO: È il Logos!

ARCHIATI: Sì, tira via il Logos, tu adesso volevi tornare all’io.

MAURIZIO: Eh, certo!

ARCHIATI: Volevi tornare all’io. Sta attento: tu chiedi: se l’io è il pensante, l’io è il pensare e l’io è il pensato, dov’è la libertà?

Qui, nel pensare, nell’attività del pensare: nel farla, nell’ometterla, nel renderla più intensa, più diluita. Qui c’è la libertà, e ce n’è che avanza! Diciamo: l’io umano è il logos microcosmico; il Logos è l’io macrocosmico, capito! Però questa trinità, questi tre che diventano uno sono presenti in tutti e due. Il Logos è libero a tutti e tre i livelli…

MAURIZIO: C’è lo scoprire e c’è anche il creare.

ARCHIATI: Certo, certo, certo. Non ti basta la libertà di scoprire, o di poltrire? Ti senti libero soltanto se fossi tu il creatore del mondo? Ce n’è che avanza di libertà, non c’è bisogno che sia libero di creare io il concetto di margherita!

MAURIZIO: Ma qualche altra cosina più piccola…

ARCHIATI: La vespa! Te l’ho detto, perciò ti sto parlando continuamente della vespa.

MAURIZIO: Sì, ma ormai la vespa…

PUBBLICO: Il frullatore, il frigorifero, e tante altre cose da creare…

MAURIZIO: Ma pure gli aerei si possono creare. Si può scrivere anche un libro più bello della Filosofia della Libertà.

ARCHIATI: Certo! Fallo!

MAURIZIO: Ma non è che lo faccio, ma si può!

ARCHIATI: Il concetto è: basta che ci intendiamo, che sappiamo che ce n’è di libertà, che avanza! E poi, naturalmente, tieni presente che la prospettiva dell’evoluzione è che l’essere umano diventerà creatore, non soltanto nel minerale, ma nel vegetale, nell’animale e nell’umano! Quindi gli spazi della libertà aumenteranno sempre di più.

MAURIZIO: Volevo dire che c’è il film Avatar che mette in evidenza queste cose qua.

ARCHIATI: Quali?

MAURIZIO: Quello della luce, del creare, dello scoprire anche. E poi c’è anche questo fatto di creare al quarto livello, creare altri esseri viventi. Però è un film di fantascienza; un po’ come faceva Giulio Verne, praticamente.

ARCHIATI: L’essere umano è in grado di creare macchine, ma non ancora di creare piante.

ELENA: C’è una questione che mi assilla un po’, ed è il poltrire. Il poltrire potrebbe essere una decisione legata appunto alla libertà, quindi uno è libero di poltrire, o invece di lavorare. Non pensa che a volte il poltrire sia legato ad una incapacità di pensare? Sto pensando ora, tanto per fare un taglio netto, che a volte non si hanno neanche gli strumenti per esercitare il pensiero.

Sto pensando a una persona non acculturata, no!, che proprio non ce la fa! Ma è una questione appunto che ha tante implicazioni, no! Ecco perché mi assilla e mi piacerebbe sapere il suo pensiero.

ARCHIATI: Allora, tu ci poni il quesito della differenza marcata, enorme, dei livelli di coscienza e quindi anche della facoltà di pensiero.

Ora una prospettiva specifica della scienza dello spirito, per quanto riguarda il mondo occidentale, è che tutte le cose vengono considerate dal punto di vista – lo dico con parole mie – a partire dal convincimento, o se vuoi, a partire dalla realtà oggettiva, che ogni essere umano ha diverse vite a disposizione.

Allora, se prendiamo l’altra ipotesi fondamentale, che è quella invalsa finora in occidente, che ogni essere umano vive una volta sola, il mio pensare dice: non riesco a spiegare, in una vita sola, se si è partiti tutti uguali, queste differenze enormi di stadi evolutivi, nell’evoluzione della coscienza pensante.

Queste differenze enormi possono essere sorte in base a cammini di secoli, di millenni.

Allora, (disegna) qui: una vita, una seconda vita, una terza vita, una quarta vita, una quinta vita, una sesta vita, poi nel mondo spirituale, una settima vita… Adesso questo individuo, poverello, che tu ci descrivi… se uno spirito in base ad un cammino lungo – io ne ho messe solo 7, ma sono molte di più – per ragioni che possono essere le più diverse, no!, come dire, si trova ad un livello di evoluzione del pensare, rispetto alla media, modesto, eh, non gli calza, non sarebbe (logico) incarnarsi in una cultura che non corrisponde al suo grado di evoluzione.

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Quindi ognuno sceglie gli elementi di incarnazione, le condizioni incarnatorie che corrispondono al suo gradino di evoluzione, giustamente!, se no… ripromettendosi ogni volta di fare tutti i passi in avanti che è capace di fare; perché passibile di evoluzione, capace di evolversi, è ogni essere umano, qualsiasi sia il punto in cui si trova ora.

E l’importante è di aiutare ognuno, e che ognuno si dia da fare, per fare i passi che è capace di fare; anche se ha perso tanti colpi nel passato.

Supponiamo che questa modestia presente sia il risultato di tante omissioni – che tu hai chiamato poltrire – non importa, l’importante è che tu ora faccia il massimo di quello che sai fare; e crei le condizioni che la prossima volta ti troverai meno svantaggiato.

ELENA: Appunto qualcuno avrebbe la possibilità di leggersi, o di meditare insieme a noi la Filosofia della Libertà.

ARCHIATI: No, non c’è bisogno di speculare, basta vedere se… è una faccenda di percezione, non c’è bisogno di speculare; c’è un individuo che se la compra la Filosofia della Libertà; supponiamo che sia tradotta nella sua lingua – non è tradotta in tutte le lingue – e per percezione si rende conto se capisce, o se non ci capisce nulla. Tu adesso dici: è un individuo che non ci capisce nulla, e allora?

ELENA: È un po’ tarato, si arena insomma, è fregato, ecco!

ARCHIATI: E che deve fare?

ELENA: È lì, ma questa è un’inquietudine che mi porto dietro per tanta fetta di miei fratelli umani, insomma.

ARCHIATI: (Lui) deve partiere a livelli più modesti e non incominciare la trigonometria se non ha fatto i fondamenti della matematica. Allora, tu in fondo… forse la risposta migliore è di raccontarti una situazione esistenziale che io ho vissuto per anni: 5 anni in Sudafrica.

Adesso, io non voglio fare nessun discorso di razzismo, vi dico le cose sinceramente come sono, perché barare non serve a nulla: ora, il Sudafrica è l’unico paese al mondo dove ci sono tutte le razze – in Sudafrica ci sono anche più di un milione di indiani, Gandhi ha cominciato la sua missione in Sudafrica – poi non soltanto tutte le etnie nere, ma tutte le “mescolanze” varie. Quindi io, come docente in Sudafrica, avevo davanti a me una rappresentanza di tutta l’umanità, ma proprio di tutti i livelli di coscienza, da quello più modesto, che non capiva neanche l’inglese, tra l’altro – le lezioni erano in inglese, no! – all’europeo che aveva articolazione di coscienza molto più complessa, non dico migliore, più complessa.

L’arte era quella… un’arte socratica, se vuoi, ma non da poco!, di cogliere nelle lezioni – ed io sono grato che nel mio karma c’è stato questo destino – di fare dei processi di pensiero che siano così universalmente umani, che ognuno li può cogliere a seconda del suo livello; per cui, colui che ha una coscienza più complessa li può cogliere a livelli più complessi, però li capisce anche chi è molto più sprovveduto, e a suo modo può fare i passi che è capace di fare.

Questo esercizio è stato per me quello più importante in tutta la mia vita, perché un esercizio di universalità umana dimostra che il pensiero lo si può afferrare a tutti i livelli; e quando qualcuno mi diceva: non t’ho capito, io pensavo sempre: la colpa è mia; non dicevo mai: la colpa è tua, perché non serve a nulla umiliare, no! Allora ripeti di nuovo, senza diventare banale in modo tale che… il Logos si è presentato sulla scena di questo mondo…

ELENA: Aveva due linguaggi!

ARCHIATI: No, quando parlava per tutti – non è che avesse due linguaggi…

ELENA: Le parabole, no!

ARCHIATI: Sì.

ELENA: Invece con i suoi (discepoli) le spiegava.

ARCHIATI: Le spiegava. C’è un terzo gradino?

ELENA: Non lo so.

ARCHIATI: Certo! In cui non c’è bisogno della spiegazione, perché la so dare io! Quindi in queste immagini semplicissime – erano storielle – ci sono tutte le profondità dei misteri del Logos; e ognuno, a seconda del suo livello di coscienza, parte da lì, da dov’è.

E il Logos, praticamente, raccontando queste storielle, ti dice: l’importante è camminare, non importa dove si è, l’importante è camminare.

Questa è la fratellanza umana, non l’essere uguali in quanto a gradino di coscienza, perché lì siamo diversi, è inutile barare, siamo molto diversi. Ma nel camminare, nel masticare… anche qui (nello studio che stiamo facendo) siamo molto diversi, lo si vede che siamo molto diversi, ma è una gran bella cosa perché a forza di lottare insieme, di arrovellarci ecc., si trovano modi in cui, insomma, ci capiamo!

Era mica facile farsi capire da un Maurizio, eh! Però abbiamo avuto la fortuna che lui non ha mollato; e il non aver mollato mi ha aiutato a trovare la traiettoria sua. Ma la traiettoria sua non è né migliore, né peggiore di un’altra, è il suo modo di capire le cose.

E allora lui dice adesso: sì, mi sembra di fare un passo in avanti; e quello va bene! quello va bene!

SIG.RA: Allora il vangelo ti dice pure: chi ha orecchie per intendere, intenda. Perciò non è che poi tutti capivano quello che diceva il Cristo, no!

ARCHIATI: Sì.

SIG.RA: Quella frase è molto chiara, no!

ARCHIATI: Sì, ma chi è che non ha orecchie per intendere? Soltanto chi non vuol intendere! Solo lui, perché vuol difendere il suo potere, non perché non sa intendere; non lo pensare mai, perché essere uomini significa saper intendere; se no non si è uomini. In italiano si dice anche: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Eh, scusate, il genio della lingua ci aiuta, il vero sordo è chi non vuol sentire, perché non gli va di sentire.

Altri contributi? O ci diamo la buona notte?

Buonanotte, a domani!

Sabato 27 febbraio 2010 - sera

ARCHIATI: Eravamo arrivati al paragrafo 31 del capitolo VII e ci siamo proposti, questa sera, che voi state belli zitti e tranquilli e io, con velocità supersonica, porterò a termine, per lo meno fino all’aggiunta, il capitolo VII.

31 – Un essere formato altrimenti avrebbe una conoscenza formata altrimenti. La nostra è sufficiente per rispondere alla domande poste dal nostro essere.

Un essere formato altrimenti, diverso dall’uomo. Noi ci dicevamo: ci interessa, a noi, ciò che è diverso dall’umano? Né ci può interessare, ma neanche ce ne possiamo occupare. Anche se ci interessasse, non ce ne possiamo occupare.

Noi ci possiamo occupare di tutto ciò che esiste soltanto nella misura in cui ricade nell’umano. Se resta fuori dell’umano non abbiamo neanche la possibilità di parlarne, perché non sappiamo cos’è.

E in che modo, tutto ciò che ci riguarda, compreso il cane, compreso il vegetale, compreso il minerale, ricade nell’umano? Attraverso la percezione!

Nel momento in cui diventa, a noi, all’essere umano, percepibile, fa parte dell’umano. E tutto ciò che ci diventa percepibile – tutto, tutto senza eccezioni – è gestibile perché è pensabile; altrimenti non sarebbe percepibile. Ipso facto, per il fatto stesso che diventa percepibile, è pensabile; altrimenti non sarebbe percepibile.

Quindi problemi non ce ne sono. Si tratta soltanto: a ogni percezione che capita – che sia un cane, che sia una margherita, che sia quello che si voglia – di appiccicarci, con la creazione del pensare, di metterci il concetto.

E limiti alla conoscenza non ce ne sono.

Quindi ciò che è oltre la percezione e oltre il pensare non esiste, non c’è, è puro nulla!

La fisica – lo vedremo fra un paio di paragrafi – ci parla di cose non ancora percepite – particelle magari ancora più piccole – però le presuppone come di natura percepibile; man mano che avremo strumenti di percezione sempre più sottili – microscopio, per esempio, o quello che volete – li percepiremmo.

Però, l’assunto fondamentale è che diventano una realtà soltanto se dimostrano, prima o poi, di diventare percepibili; quindi che vengano percepite.

Finché una cosa non è percepita, che è soltanto pensata, non è ancora una realtà; diventa una realtà soltanto quando è percepita e pensata; e allora va tutto bene.

32 – Il realismo metafisico deve domandarsi: «Per quale via ci è dato quello che ci è dato come percezione?, in quale modo ne è affetto il soggetto?»

33 – Per il monismo la percezione è determinata dal soggetto; ma contemporaneamente il soggetto ha, nel pensare, il mezzo per annullare la determinatezza da lui stesso provocata.

Luciana mi diceva: fai un accenno al fatto del monismo, cosa intende Steiner per “monismo”.

C’è una piccola cosa stridente, se volete, una piccola contraddizione – cosa che se Steiner avesse la possibilità di fare una nuova edizione della Filosofia della Libertà, gli direi: correggi ciò che, insomma, crea soltanto problemi – .

Verso l’inizio del libro, Steiner chiama “monismo” un modo di pensare, una filosofia, che lui non fa sua, che è sbagliata! Che non distingue… che dice: materia e spirito sono la stessa cosa; e poi, ora, in questo capitolo, “monismo” è la sua teoria! D’accordo?!

Quindi, io nel mio libro dicevo: allora, visto che c’è questa leggera contraddizione di terminologia, nella Filosofia della Libertà, nel mio libro ho proposto di chiamare questo che lui chiama monismo – che è la sua concezione – : la visione unitaria del mondo; in base a percezione e concetto; e pensare.

Questa, una piccola noticina agli addetti ai lavori che avessero notato e che si ricordano che c’è questa discrepanza tra ciò che Steiner chiama “monismo” all’inizio della Filosofia della Libertà e ciò che chiama “monismo” qui, alla fine della prima parte. Sono due cose ben diverse!

Però, concedetemi, che è una pura questione di terminologia. Non ho capito come mai (Steiner) non ha notato che c’era questa piccola contraddizione.

33 – Per il monismo la visione unitaria del mondo, quella che noi pensatori riteniamo sia quella giusta la percezione è determinata dal soggetto; ma contemporaneamente il soggetto ha, nel pensare, il mezzo per annullare la determinatezza da lui stesso provocata.

34 – Il realismo metafisico sta davanti ad un’altra difficoltà, quando vuole spiegare la somiglianza delle immagini del mondo nei diversi individui umani. Esso deve domandarsi: «Da che cosa proviene che l’immagine del mondo che io costruisco con la mia percezione determinata soggettivamente e coi miei concetti, risulta simile a quella che un altro individuo umano costruisce con gli stessi due fattori soggettivi? E, in generale, come posso io, sulla base della mia immagine soggettiva del mondo, concludere riguardo a quella di un altro uomo?». Come fanno gli esseri umani a capirsi se ognuno è chiuso nella scatola ermetica della sua coscienza dalla quale non può uscire!?

Per induzione? Per il fatto che più o meno, insomma, sembra che ci capiamo, che sembra che parliamo in un modo simile; allora, per induzione concludo che, probabilmente quello che percepisce e che pensa l’altro è analogo, o più o meno uguale a quello che penso io?

Però, per deduzione lo dico, non per percezione diretta della sua coscienza.

Allora, torniamo a questo assunto fondamentale, che noi riteniamo errato – del realismo metafisico, come lo chiama Steiner – che dice: l’individuo A, che ha il suo ambito di coscienza, bello chiuso, con percezione soggettiva e concetti tutti suoi, tutte realtà della sua coscienza; poi, l’individuo B, che ha il suo ambito di coscienza, con le sue percezioni e i suoi concetti; e tutti e due vengono concepiti, pensati, come soggettivi; perché ogni coscienza, se viene pensata come chiusa in se stessa è soggettiva, non è oggettiva, non è oggettivabile.

E la domanda è: come fanno queste due persone ad intendersi, se ognuna ha un mondo suo?

In altre parole, se si parte dal presupposto che il mondo delle tue percezioni, il mondo dei tuoi concetti, è il tuo mondo; io non ci posso entrar dentro, altrimenti sarebbe il mio mondo. E il mio mondo, delle mie percezioni, dei miei concetti, è il mio mondo, nel quale tu non puoi entrare, altrimenti tu saresti me.

Allora, quando ognuno ha un mondo suo, soggettivo, chiuso in se stesso, di percezione e di concetti, di percezione e di concetti; come fanno a capirsi?

Però sembra che gli esseri umani, più o meno, sembra che si capiscano, via! Per sommi capi. Per lo meno per somiglianza.

Allora, per il fatto che pare che ci capiamo – per il fatto che quando diciamo “margherita”, più o meno tutti pensiamo alla stessa cosa – deduciamo che allora c’è una somiglianza; il modo di percepire e di formare concetti dell’uno, di A, è simile al modo di percepire e di formare concetti di B; e lo deduciamo dal fatto che si capiscono, dal modo in cui percepiamo la comunicazione che avviene tra A e B.

Ora, il metodo induttivo non dà certezza assoluta, perché io penso di capire cosa intende B, quando parla di margherita. Penso, però; ma sicuro non lo so se è proprio lo stesso, o se è lo stesso all’80%, o al 90%; non lo so perché io non posso entrare nell’ambito della sua coscienza.

Allora il realismo metafisico è costretto a pensare che, in fondo, gli esseri umani si capiscono per sommi capi; e che il fraintendimento è insito nel comunicare.

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Invece la nostra riflessione ci ha portato al punto da dire che: nella percezione ognuno è soggettivo, ma il concetto, l’attività del pensare che crea il concetto, non ha nulla di soggettivo; e il concetto è assolutamente oggettivo. C’è un solo concetto di margherita, non ce ne sono due. C’è un solo concetto di triangolo, non ce ne sono due. C’è un solo concetto di cerchio, non ce ne sono due.

Quindi, 10, 20, 30 persone umane che, contemporaneamente, creano il concetto di cerchio, sono spiritualmente un’unità assoluta. Quindi l’intesa è assoluta, la consonanza è assoluta; perché sono unificati nel concetto unico di cerchio; o di triangolo, o di margherita, o di quello che sia; o della vespa!

Quindi nel pensare non esiste il soggettivo; oppure non è pensare; è un sentire magari, un sentimento.

Un sentimento cos’è?

A livello di percezione è soggettivo… Attenti!: quello che percepisco in me quando ho il sentimento della gioia… la percezione è soggettiva: non è che percepisco qualcosa che vivono tutti allo stesso modo; però il concetto di sentimento è oggettivo! Perché un sentimento è un sentimento per tutti, il concetto di sentimento è uno solo. E qual è il concetto di sentimento? Il concetto oggettivo, valido per tutti?

Il sentimento è il vissuto soggettivo. Questo è il concetto oggettivo di sentimento.

Dal fatto che gli uomini si trovano praticamente d’accordo l’uno con l’altro, o più o meno d’accordo, o pensano di essere d’accordo il realista metafisico crede di poter dedurre la somiglianza fra le loro immagini soggettive del mondo: e dalla somiglianza fra tali immagini del mondo crede di poter ulteriormente dedurre l’uguaglianza degli spiriti individuali che stanno alla base dei singoli soggetti umani della percezione, o degli “io in sé” su cui si fondano tali soggetti.

Dal fatto che ci si capisce deduco che dobbiamo essere più o meno uguali.

35 – Questa conclusione è dunque di quelle che ricavano, da una somma di effetti, il carattere delle cause che stanno alla loro base. Ammette cioè che da un numero sufficientemente grande di casi si possa conoscere lo stato delle cose, in modo da sapere come le cause, così escogitate, si comporteranno in altri casi. Una simile conclusione è del tipo che si chiama induttivo. Ci vedremo obbligati a modificare i suoi risultati se un’ulteriore osservazione ci darà qualcosa di inatteso, poiché il carattere del risultato è determinato proprio solo dall’aspetto individuale delle avvenute osservazioni.

Quindi un numero sufficiente di casi simili non dà mai una certezza assoluta su tutti i casi possibili.

Il realista metafisico ritiene però che questa conoscenza condizionata delle cause sia più che sufficiente per la vita pratica.

36 – Il ragionamento per induzione è il fondamento metodico per il realismo metafisico moderno. Vi fu un tempo in cui si riteneva che dai concetti si potesse sviluppare qualcosa che non fosse più concetto. Si credeva che dai concetti si potesse ottenere la conoscenza di quegli esseri reali metafisici, di cui il realismo metafisico ha proprio bisogno. Questo genere di filosofia appartiene oggi alle cose superate; in sua vece si ritiene che, da un numero sufficientemente grande di fatti percettivi, si possa dedurre il carattere della “cosa in sé” che sta alla base di essi. Come prima si cercava di sviluppare l’elemento metafisico dai concetti, così oggi si cerca di svilupparlo dalle percezioni. Poiché i concetti stanno davanti a noi in trasparente chiarezza, si riteneva un tempo di poter derivare da essi con assoluta sicurezza anche l’elemento metafisico. Le percezioni non ci stanno davanti con uguale trasparente chiarezza. Ognuna che segue, si presenta un po’ diversa dalle analoghe che l’avevano preceduta. La margherita, di giorno in giorno, è sempre un po’ diversa. In sostanza, quello che si era concluso in base alle precedenti, viene un po’ modificato da ognuna delle successive. Il quadro che in tal maniera si ottiene per il lato metafisico, si può quindi ritenere solo relativamente esatto; è soggetto a correzioni per effetto di casi futuri. Caratterizzata da questo principio metodico è la metafisica di Eduard von Hartmann, il quale, sul frontespizio della sua prima grande opera, ha posto il sottotitolo: «Risultati speculativi secondo il metodo induttivo delle scienze naturali».

Da un numero sufficiente di casi indagati, da un numero sufficiente di esperimenti fatti, si cerca di indurre – o di dedurre – una specie di legge che più o meno dovrebbero seguire tutti i casi analoghi.

Come fa lo scienziato a fare un’ipotesi?

Crea delle condizioni del suo esperimento, rimanendo uguali le condizioni del suo esperimento, dovrebbe sortire in ogni caso, più o meno, lo stesso risultato.

È una certezza empirica, non una certezza assoluta, oggettiva. E la scienza moderna dice: una certezza più di questa non c’è, non esiste.

37 – Il quadro che oggi il realista metafisico si fa delle sue “cose in sé”, è un quadro ottenuto per induzione. Dell’esistenza di una connessione reale-oggettiva del mondo, accanto a quella “soggettiva” conoscibile per mezzo di percezione e concetto, egli si convince per mezzo di considerazioni sul processo della conoscenza. Come sia sorta questa realtà oggettiva, egli crede di poterlo determinare per mezzo di induzioni tratte dalle sue percezioni.

Quindi la cosa in sé (disegna)… qui c’è l’albero, qui c’è l’essere umano: la cosa in sé dell’uomo e la cosa in sé dell’albero è inconoscibile, è al di là della coscienza; qui c’è la coscienza. Nella coscienza c’è un riflesso, un’immagine riflessa dell’albero, un’immagine riflessa dell’uomo – della cosa in sé dell’uomo – e un riflesso del rapporto.

Cosa conosco io della cosa in sé di quest’altro uomo che sta guardando l’albero e del loro rapporto?

Gli effetti che producono nella mia coscienza!

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Posso risalire, dagli effetti che producono nella mia coscienza, alla causa? Posso fare affermazioni sulla causa? Soltanto se c’è una somiglianza di natura fra la causa e l’effetto.

C’è una somiglianza di natura fra la causa e l’effetto? Cioè, della cosa in sé dell’albero e dell’immagine riflessa dell’albero nella mia coscienza? C’è una somiglianza?

No!, sono una l’opposto dell’altra: altro che somiglianza! Perché l’una è reale e l’altra non è reale.

Come fa una causa reale a sortire un effetto di non realtà?

Il realista metafisico dice: la cosa in sé, nella coscienza, non è reale; io non ho la cosa in sé: è inconoscibile; quindi non entra nella coscienza. Nella coscienza entra soltanto un effetto e questo effetto è un effetto di non realtà.

Ma la domanda è… la contraddizione intrinseca di questa visione del mondo sta nello spiegare una cosa assurda: come una realtà crei, come effetto, una non realtà.

Una realtà può causare soltanto effetti reali, perché se crea effetti non reali è essa stessa una non realtà, e il tutto diventa assurdo.

CARLO: E lo specchio? L’immagine causata nello specchio è non reale.

ARCHIATI: Allora qual è la causa dell’immagine?

CARLO: La luce. Se c’è l’immagine, l’immagine rimanda a una realtà.

ARCHIATI: Sì, ma qual è la causa che fa sorgere l’immagine?

La luce! Non la cosa in sé!

Per esempio: io sono la cosa in sé, voi mi vedete, e qui c’è lo specchio, d’accordo! E nello specchio sorge un’immagine – prendiamo lo specchio come esempio della coscienza – e nella coscienza sorge un’immagine: Io sono la cosa in sé e nella coscienza c’è l’immagine di me.

La domanda che stiamo ponendo è: chi è la causa del sorgere dell’immagine? Sono io? Se fossi io la causa… il concetto di causa è che quando la causa c’è, causa per natura, causa di necessità!

Ma se è buio, qui io ci sono, si evidenzia che non sono la causa dell’immagine perché l’immagine non sorge. Quindi io sono una condizione necessaria perché sorga l’immagine di me, ma non la causa!

Anche l’immagine speculare è una condizione necessaria, ma non la causa.

La causa è la luce!

PUBBLICO: Anche lo specchio (non è causa).

ARCHIATI: È una condizione necessaria, non la causa! Perché tu hai lo specchio, ma senza luce lo specchio non ti dà nulla. Lo specchio c’è, però senza la luce, ti evidenzia che non è lo specchio la causa.

PUBBLICO: Anche lei…

ARCHIATI: Sì, quindi sono anch’io una delle condizioni necessarie, ma non la causa!

PUBBLICO: Ma senza di lei, anche se c’è la luce, non c’è la sua immagine.

ARCHIATI: Certo, il che significa che sono una “conditio sine qua non”, ma una condizione necessaria non è la causa!

È un esercizio che abbiamo fatto diverse volte!

PUBBLICO: Ma è anche l’ombra.

ARCHIATI: È l’ombra la causa del sorgere dell’immagine?

PUBBLICO: La luce e l’ombra insieme.

ARCHIATI: Sì, basta dire: la luce; è nel concetto di luce che ci deve essere anche l’ombra. Non c’è luce senza ombra.

Quindi l’analogia della luce, che è la luce che fa sorgere l’immagine, non la cosa in sé, ci fa capire che è la luce del pensare a far sorgere il concetto, che è la cosa in sé.

Quindi il pensare è luce spirituale, che fa luce sulla cosa in sé e ci dà la cosa in sé, l’essenza della cosa. Quindi il concetto è pura luce spirituale e questa luce spirituale gli scolastici la chiamavano; evidenza!

Ex-video. Mi fa vedere la realtà, il concetto, l’essenza delle cose. Mi evidenzia.

Il concetto di margherita cos’è?

È un’esperienza di evidenza, per illuminazione dello spirito che pensa.

Un’intuizione, un’evidenza.

Perché sai cos’è la margherita, lo sai per evidenza, non puoi metterlo in dubbio!

Oppure non lo sai; e allora la luce non s’è accesa, non c’è la luce. Ma se c’è la luce: è evidente!

L’origine della parola “idea”, l’idea che è poi il concetto, è dal latino “video”; e in greco “ideis” significa vedere; ma vedere non dell’occhio fisico, vedere del pensare.

Quindi il pensare è una visione spirituale, è un vedere spirituale: illumina i concetti e li rende evidenti; e l’uomo dice: capisco!

Platone è stato l’ultimo… all’inizio gli esseri umani vedevano gli esseri spirituali, poi udivano la comunicazione, la rivelazione dell’interiorità degli esseri spirituali; al terzo gradino avevano le immaginazioni.

Quindi le idee di Platone sono immaginazioni – le idee platoniche – .

Una volta sparito questo ultimo rimasuglio di chiaroveggenza – delle idee platoniche che sono immaginazioni vere e proprie – Aristotele è il primo che “vede” i concetti.

Quindi le immaginazioni sono ciò che si vede nell’eterico, nel vitale, e i concetti sono ciò che si vede nel pensare.

Che differenza c’è fra le idee platoniche e i concetti logici di Aristotele?

Che i concetti logici di Aristotele hanno perso ogni aspetto di percezione, sono puri concetti; in Platone erano ancora percezioni eteriche, cioè immaginazioni; e perciò dovevano sparire, perché nella creazione dei concetti, in base al pensare, l’essere umano diventa del tutto attivo. Quindi le idee di Platone avevano ancora un’enormità di passività: si presentavano, erano qualcosa che si “vedeva” veramente.

Son dovute sparire e con Aristotele comincia un modo di gestire i contenuti del mondo, per cui li crea, in modo puramente spirituale, il pensare stesso.

E che tipo di percezione sorge ora, come stimolo, come pungolo di questo modo nuovo di pensare?

La percezione sensoria esterna, che è il nulla della realtà; e quindi provoca l’essere umano a creare lui, nel pensare, il tutto della realtà, nei concetti.

Consideriamo il nostro modo di comunicare con un artista. Perché questi esseri spirituali, che si sono a mano a mano ritirati, sono artisti! Quindi usiamo l’analogia del nostro modo di vivere un artista – e lo dicevo già ieri, o l’altro ieri – c’è l’artista in quanto essere spirituale pensante che crea: crea statue, nel suo spirito, intuisce nuovi quadri da dipingere.

Questo essere spirituale ha un’anima, un insieme di contenuti nel suo spirito, e se comincia a parlarmi, se comincia a descrivermi con la parola, può rivelarmi ciò che porta dentro di sé: i progetti che ha, le forme a cui sta pensando, un nuovo tipo di arte, forse!

Ora che comincia a parlarmi mi manifesta la sua interiorità, i contenuti del suo spirito, della sua anima.

Poi lo vedo all’opera, quindi: vedo, eh!, percepisco, ma non il quadro finito, dove l’artista non c’è più, lo percepisco mentre dipinge.

Questo percepire un essere spirituale, mentre opera nel mondo, era il gradino di Platone che, in queste immagini – le idee platoniche – vedeva gli esseri spirituali all’opera nel mondo.

Ora l’artista, il mio amico artista, è sparito e ho soltanto il quadro finito.

Cos’è il quadro finito? Una percezione esteriore, morta!

E tutto ciò che questo quadro finito, morto, da cui è sparito, per lo meno esteriormente l’artista, tutto ciò che questo quadro contiene, in quanto pensieri, in quanto intuizioni, in quanto contenuti spirituali dell’artista, lo devo ricostruire io a partire dalla percezione.

Che tipo di artista è, che cosa ha pensato, che cosa ha sentito… Quindi il concetto del quadro è il modo specifico del pensare, di risalire, in base alla percezione, all’essere spirituale che l’ha creato.

Percepisco la margherita e il pensare mi dice la struttura di pensiero di cui si è intriso il Logos che l’ha pensata.

Però questo risalire dalla percezione morta, esterna, materiale, della margherita, al concetto di margherita, che è un frammento di interiorità del Logos che l’ha creata, è un percorso che è lasciato tutto al pensare umano.

La persona si pone di fronte alla Madonna sistina di Raffaello, prendiamo questo esempio; cosa gli dice questa percezione?

Questa percezione è una percezione esterna, morta, esteriore – a Dresda – . Uno ci passa davanti, non sa che cos’è, non gli importa proprio nulla, forse ha una percezione fuggevole, ma non ci fa neanche caso.

Un altro è andato apposta a Dresda per vederla, per avere la percezione diretta. Ora, da sempre ha saputo che c’è questa opera di Raffaello e finalmente si trova di fronte ad essa: ha questa percezione diretta – una rappresentazione è tutt’altra cosa, eh! – . A parte i colori che sono un po’ sfocati ecc., però lì c’è ciò che resta di quello che ha fatto Raffaello.

Ora si trova di fronte a questa percezione, cosa pensa?

Dipende dalla capacità pensante, di colui che è esposto a questa percezione, di risalire – dalla percezione – all’interiorità, sia animica, sia spirituale di colui che l’ha creata.

Un esempio: questo è il quadro – ve lo ricordate? – qui c’è tutta una cornice di angioletti, sono tutti ormai sfocati, però si vedono ancora, no! Qui c’è la Madonna; e uno di questi – zacchete! – qui (in grembo alla Madonna).

Come è stato concepito il bambino in braccio alla Madonna? Che concetto ha avuto Raffaello?

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Da come l’ha costruito, da come l’ha espresso, deve aver pensato che questo bambino è uno degli angioletti che dal cielo si sposta sulla terra!

Ogni bambino che nasce è un angioletto che dal cielo viene giù sulla terra.

Raffaello deve aver avuto un concetto di questo tipo, magari con sfumature diverse, ma il concetto, nella sua essenza, deve essere stato questo, altrimenti non avrebbe potuto fare il bambino, nelle braccia della Madonna, in quel modo lì.

Voglio dire: l’interazione tra percezione e concetto è il cammino del pensiero che dalla percezione – ogni percezione è l’operato morto di chi l’ha creata – il pensare risale al processo di pensiero, di logos creativo, che ha creato questo concetto.

Oppure, un’altra riflessione: noi abbiamo, oggi, in base alla scienze naturali, un concetto di ereditarietà.

Secondo il nostro concetto di ereditarietà, non dico tutti, ma la maggior parte degli uomini d’oggi dicono: il bambino che una mamma, una mamma qualsiasi, ha in braccio, è il risultato di forze ereditarie. Quindi tutte le caratteristiche dell’animo del padre e della madre, tutto il materiale fisico, messo in una certa combinazione, dal di sotto salta fuori, come risultato dell’ereditarietà, il nostro concetto di bambino.

Il concetto comune di bambino è che è risultato di forze che vengono dal di sotto: dai genitori, dall’anima dei genitori, dallo spirito dei genitori ecc..

Raffaello ha questo concetto di ereditarietà, o dell’origine del bambino, nel suo modo di mettere il bambino nelle braccia della mamma?

No! Dimostra, nel suo quadro, di avere il concetto opposto dell’origine del bambino!

Lui dice: il bambino viene dal mondo spirituale, non dal mondo materiale! È un altro concetto dell’origine dell’uomo: il concetto opposto a quello che è comune oggi.

Voglio dire: noi, è importante che ci rendiamo conto sempre di nuovo, in chiave di esercizi, quali processi enormi di pensiero, e poi passibili di diventare sempre più vivaci, sempre più artistici, avvengono di fronte ad una percezione.

E quando una persona, di fronte alla Sistina, non si fa nessun pensiero, è una povertà sua, perché ogni percezione e passibile di cammini di pensiero all’infinito!

È come chiedere a uno: quanti pensieri ti puoi fare in base alla percezione della vespa? Te ne puoi fare all’infinito!

Perché i processi di pensiero che hanno portato alla vespa reale – o alla gilera reale, se volete – sono veramente complessi! È ovvio che devono essere complessi! Per non parlare poi dei processi di pensiero che hanno portato a costruire aerei che non cadono! Eh, se n’è provate di cose! E in questo provare era tutto interazione tra percezione e concetto, tra percezione e concetto.

Hai fatto un’ala lunga tanto e adesso percepisci la sua interazione col vento ecc., e dici: no, no, no, per essere sicuri che non cada dev’essere più lunga; percepisci, per altri mesi, che cosa avviene quando è più lunga e dici: no, adesso è troppo lunga. E a forza di provare arrivi all’ala giusta!

E arrivi ad avere degli aerei che cadono soltanto in caso di eccezione, perché ci sono altri fattori, ma non perché la dinamica dell’aereo è sbagliata.

Adesso noi possiamo dire di avere degli aerei la cui dinamica è giusta, e quando cadono, cadono per altri fattori estrinseci, non intrinseci all’articolazione delle forme dell’aereo, se no, se fossimo ancora a quei livelli lì, non volerebbe nessuno volentieri. Si vola perché si sa che se tutto va bene, l’aereo non cade; anche quando c’è turbolenza non cade, proprio non cade.

Però il processo enorme di interazione tra percezione e concetto, tra percezione e pensare, per arrivare a questo tipo di perfezione, è un cammino enorme degli esseri umani, compiuto nell’umanità.

Allora, questa aggiunta alla seconda edizione, aggiunta al capitolo VII…

PUBBLICO: Qualcuno dice che manca il paragrafo 37.

ARCHIATI: Sì, l’avevo finito. (comunque lo riprende)

37 – Il quadro che oggi il realista metafisico si fa delle sue “cose in sé”, è un quadro ottenuto per induzione. Dell’esistenza di una connesione reale-oggettiva del mondo, accanto a quella “soggettiva” conoscibile per mezzo di percezione e concetto, egli si convince ed è questo che ho fatto alla lavagna per mezzo di considerazioni sul processo della conoscenza. Come sia sorta questa realtà oggettiva, egli crede di poterlo determinare per mezzo di induzioni tratte dalle sue percezioni.

Fa delle illazioni che non danno la certezza assoluta, e noi dicevamo: il pensare è l’organo della certezza assoluta! Oppure non c’è il pensare.

Può errare il pensare?

No! Quando l’essere umano erra, erra per deficienza di pensiero, per mancanza di pensiero. Quindi non è il pensiero a errare, ma la mancanza di pensiero.

Un’analogia – l’ho usata in una prefazione di testi tedeschi – la bussola può errare? L’ago magnetico può errare, può indicare il Sud? È possibile che l’ago magnetico della bussola indichi il Sud?

CARMINE: Se c’è una calamita che lo devia.

ARCHIATI: Lascia perdere la calamita: non c’è.

CARMINE: Allora no, non può.

ARCHIATI: E quando è scassata? Quando è scassata cosa avviene?

Quando è scassata l’ago non indica una direzione sbagliata. Attenzione, è importante!: l’ago non indica nulla! Che è diverso! Non è che l’ago si è fermato e indica una direzione, non indica proprio nulla!

Un’altra analogia è la luce.

Se la luce c’è, si vedono le cose? Sì, si vedono.

Posso sbagliarmi io, in piena luce: c’è un tavolo che è chiaramente un tavolo e una sedia che è chiaramente una sedia, posso io commettere l’errore di dire che la sedia è un tavolo?

Quando non so distinguere la sedia dal tavolo e dico: ma quello è un tavolo, e punto sulla sedia, è perché la luce è fiochissima!

Quindi il problema dell’errore non è una faccenda del pensare, è una faccenda della mancanza del pensiero.

Venendo meno la forza del pensare, sorge l’errore; per mancanza di forza di pensiero. Più forte, più creativo è il pensare e più si esclude l’errore.

Quindi nel Logos l’errore è escluso in assoluto.

Quindi, anche l’errore non è una cosa che c’è, ma è una mancanza di intuito. Quindi l’errore non è mai un intuito sbagliato, intuiti sbagliati non ce ne sono; l’errore non è mai un concetto sbagliato, l’errore è sempre un concetto che manca.

Concetti sbagliati non ce ne sono; ditemi voi un concetto sbagliato di margherita? Non è la margherita. Un concetto sbagliato di margherita non c’è! O c’è il concetto, o manca; ma non esiste un concetto errato di margherita.

Oppure è un concetto manchevole: gli mancano tratti fondamentali, ma allora è un concetto manchevole, non errato, non sbagliato. E un concetto insufficiente: aggiungi col tuo pensiero questo tratto, quest’altro elemento, quest’altra dimensione.

Quindi l’errore è sempre un vuoto di pensiero.

Cominciamo questa aggiunta, vi dicevo, è una conclusione non soltanto del capitolo VII, ma una conclusione di tutta la prima parte. Poi all’inizo del capitolo VIII– forse inizieremo a leggerlo domani, non lo so – fa un riassunto di tutta la prima parte della Filosofia della Libertà, perciò forse ci arriviamo.

Allora, teniamo presente che queste pagine, questa aggiunta, Steiner l’ha scritta 25 anni dopo, quindi quando lui era già un teosofo, un antroposofo, di quelli che, insomma, si rispettano; dopo aver dato cicli di conferenze, un dopo l’altro, su contenuti, come dire, oggettivi di scienza dello spirito, nel 1918 fa una seconda edizione della Filosofia della Libertà lasciandola tale e quale, in fondo; cambiando soltanto alcune cose che un Eduard von Hartmann aveva frainteso, ma non cambia nulla del contenuto; e l’unica cosa che fa è di metterci delle aggiunte per spiegare un po’, per approfondire, per creare agganci con i contenuti della scienza dello spirito.

Quindi noi, adesso, facciamo un salto di 25 anni, dal 1894 – anzi dal dicembre 1893, quando è uscita difatti la Filosofia della Libertà, però lui ci ha messo la data del 1894 – fino al 1918 sono 25 anni.

Quindi ristampare la Filosofia della Libertà, 25 anni dopo, tale e quale, in sostanza tale e quale, dopo questa fondazione enorme di scienza dello spirito, ci sta a dire che le leggi del pensare umano non cambiano ogni 25 anni; e non cambiano neanche ogni 100 anni.

Dicono che una volta è stato chiesto a Steiner: dottore, cosa resterà di lei fra 1000 anni? E lui si dice abbia risposto: fra 1000 anni resterà di me la Filosofia della Libertà.

Tutto il resto è passibile molto più di integrazione, di ulteriore evoluzione, di complessificazione, anche di variazione, anche di correzione di certe cose, se si vuole, ma non cambia nulla, tra 1000 anni, sulle leggi del pensare umano, perché fanno parte della natura dell’uomo, dello spirito umano.

Aggiunta alla seconda edizione del 1918:

L’osservazione imparziale dello sperimentare basato su percezione e concetto, secondo quello che si è tentato di prospettare nella nostra precedente esposizione, verrà sempre turbata da certe rappresentazioni derivate dalla considerazione della natura. Se ci si pone su questo terreno, si conclude che per mezzo dell’occhio si percepiscono i colori nello spettro della luce, dal rosso al violetto. Ma oltre il violetto si trovano, nel campo radiante dello spettro, forze alle quali non corrisponde alcuna percezione colorata da parte dell’occhio, bensì un effetto chimico; similmente, al di qua del limite di attività del rosso, si trovano radiazioni che producono soltanto calore. Il cosiddetto infrarosso: sono effetti calorici.

Le riflessioni su questi ed altri fenomeni analoghi conducono alla conclusione conducono la maggior parte degli scienziati di scienza naturale, alla conclusione che i limiti del mondo delle percezioni umane sono determinati dai limiti dei sensi dell’uomo, e che questo avrebbe davanti a sé un mondo completamente diverso, se ai sensi di cui dispone potesse aggiungerne altri, o se addirittura possedesse dei sensi diversi.

Chi si compiace delle stravaganti fantasie alle quali, in questa direzione, forniscono un assai seducente appiglio specialmente le brillanti scoperte delle recenti investigazioni delle scienze naturali, può ben arrivare alla persuasione che soltanto ciò che può agire sui sensi, formatisi in conseguenza dell’umana organizzazione, rientra nel campo di osservazione dell’uomo; che egli non ha nessun diritto di considerare come determinante per la realtà quanto è da lui percepito entro limiti postigli dal suo organismo, e che ogni nuovo senso doverbbe porlo davanti ad un quadro diverso dalla realtà. Tutto questo, pensato entro limiti adeguati, costituisce un’opinione perfettamente giustificata. Giustificata nel senso che ogni eventuale nuovo organo di senso ci darebbe una serie nuova di percezioni – in questo senso è giustificata – che senza questo nuovo organo di senso noi non avremmo. Se però qualcuno, da questa opinione, si lascia traviare dall’osservazione obbiettiva dei rapporti fra percezione e concetto che sono stati rilevati in queste nostre considerazioni, si chiude da se stesso la via che conduce ad una conoscenza, radicata nella realtà, del mondo e degli uomini. Sperimentare l’essere del pensare, ossia l’elaborazione attiva del mondo concettuale, è qualcosa di completamente differente dallo sperimentare quello che si può percepire coi sensi. Di qualunque senso l’uomo possa mai essere dotato, non potrebbe avere da esso la realtà se egli, pensando, non compenetrasse di concetti quanto ha percepito, trasmessogli da quel senso; e qualsiasi senso, così compenetrato, dà all’uomo la possibilità di vivere dentro la realtà. Le fantasie sull’aspetto completamente diverso che potrebbe avere il mondo delle percezioni, se l’uomo fosse dotato di altri sensi, non ha nulla a che fare con la questione della posizione dell’uomo entro il mondo reale.

In altre parole, tutte le percezioni possibili sono una faccenda del corpo, sono una faccenda dei sensi, ma non riguardano l’uomo pensante, perché l’uomo pensante, qualsiasi eventuale nuova percezione l’afferra in chiave di pensiero.

E le due dimensioni: percepire e pensare, non sono commensurabili fra loro, perché la percezione è una domanda e il pensare dà la risposta.

Bisogna appunto intendere che qualunque immagine data dalla percezione riceve la sua forma dall’organizzazione dell’essere che percepisce, ma che l’immagine percepita, compenetrata dalla sperimentata attività pensante, quindi da un’attività pensante vissuta in proprio conduce alla realtà. Non in una raffigurazione fantastica di come il mondo apparirebbe a sensi che fossero diversi dai nostri, può spingere l’uomo a cercare di conoscere il suo rapporto col mondo, bensì la comprensione che qualsiasi percezione dà solamente una parte della realtà che in essa si trova, e allontana quindi dalla sua propria realtà. A questa comprensione si aggiunge allora l’altra, che il pensare conduce a quella parte della realtà che la percezione nasconde in se stessa.

Quindi la percezione nasconde il concetto!

Troviamo un altro modo di creare il concetto di percezione: cos’è la percezione, cos’è il concetto di percezione?

La percezione è quell’interazione dell’uomo col mondo che gli nasconde il concetto!

Quindi la percezione pura, la percezione della margherita è ciò che nasconde il concetto di margherita; e il pensare lo riscopre!

I greci hanno, per ciò che noi chiamiamo: la verità – quindi il reale, la realtà delle cose – una bella parola: aletheia: verità. “a” significa: via!, letheia viene da lantano che significa: coprire.

Quindi la percezione copre il concetto e il pensare scopre il concetto, e scoprendo il concetto che sta dietro la percezione trova la verità.

Quindi la parola greca per dire la verità, è letteralmente: “scoprimento”.

La percezione ci mette una coperta e il pensare scopre l’essenza. La percezione mi dà la parvenza e il pensare scopre, oltre la parvenza, l’essenza.

Quindi la percezione della margherita è la parvenza della margherita, che mi copre l’essenza; e il pensare scopre l’essenza. E come la scopre?

Facendo una scoperta! Quindi il pensare è l’arte dello scoprire.

Adesso ditemi voi, in italiano, il concetto di una scoperta, che vuol dire?

Non è forse un’intuizione? Eh, una scoperta è un’intuizione! Però la parola dice: c’era una coperta, adesso è scoperta.

È la ricreazione: nel pensare l’uomo crea di nuovo ciò che è stato già creato.

Quindi il Logos l’ha già scoperta, lui, la margherita, perché l’ha creata! Noi la scopriamo, la riscopriamo, la ricreiamo.

ROBERTO: L’ha coperta apposta!

ARCHIATI: Sì, sì, per darci la possibilità di ri–scoprirla e di fare la scoperta!

Bello, questo gioco del linguaggio italiano: scoprire e la scoperta!

Perché nel concetto di scoperta… “ah, che bella scoperta hai fatto!”, noi non pensiamo alla coperta, pensiamo all’attività creatrice di scoprire qualcosa.

Però nello scoprire, nell’immagine, c’è qualcosa che è stato coperto, se no non lo puoi scoprire.

È geniale il genio del linguaggio, eh!

Quindi il mondo delle percezioni è la coperta dei pensieri del Logos, che dà al pensare umano la possibilità di scoprire, scoprire, scoprire: via la coperta, via la coperta, via la coperta. Molto bello!

Quindi pensare vuol dire scoprire l’essenza, perché la percezione te la copre, te la nasconde.

PUBBLICO: In tedesco è la stessa cosa?

ARCHIATI: No, tutta un’altra area semantica. Zudecken (coprire), però loro dicono: erfinden: ritrovare

Allora: l’immagine di coprire e tu scopri, la coperta. Il “trovare” che immagine presuppone?

Che è stato nascosto!

Allora, che differenza c’è tra dire: la percezione mi copre – ci metto una coperta sopra – e me la nasconde?

Nascondere è più spirituale. “Tu mi stai nascondendo qualcosa” – non c’è la coperta – non me la dici giusta; mi stai nascondendo qualcosa.

Quindi la percezione non me la dice tutta, mi nasconde qualcosa; e il pensare trova!

È un’altra immagine, un’altra serie di immagini, però leggermente più spirituale, meno materiale.

CARMINE: Tra il pensare che trova e il pensare che crea, qual è la differenza? Perché se io trovo vuol dire che la cosa c’è già, ma se la creo, vuol dire che non c’è!

E allora? Allora la verità è un fatto di trovarla o di crearla?

ARCHIATI: Tutt’e due: sotto un certo aspetto è un trovare ciò che c’è già e sotto un altro aspetto è un creare ciò che non c’è. E cioè, se noi invece di fare soltanto un paio di anni la Filosofia della Libertà, facessimo una scuola di filosofia di pensiero, dove ci troviamo ogni settimana, allora dovremmo distinguere a livelli ancora più minuti.

Quando tu crei il concetto di margherita, devi distinguere tra il contenuto di questo concetto, ma il contenuto di questo concetto lo scopri, c’è già, l’ha pensato il Logos; però l’attività è una creazione tua!

Quindi nel pensare bisogna distinguere tra il pensare in quanto attività e il pensare in quanto contenuti.

Poi c’è un terzo (fattore), ancora da distinguere: è il pensato.

Omne trinum est perfectum!

Quindi il pensare è fatto di tre dimensioni fondamentali che vanno distinte; e lo sai, dimmele tu!

Anche questo è un esercizio che abbiamo già fatto.

Allora, nel pensare… noi diciamo “pensare”, ma intendiamo tre cose che vanno distinte. Primo: c’è chi pensa, il pensante; secondo: il pensare, quindi l’attività; e terzo: il pensato.

Quando io penso la margherita, il pensante sono io; l’attività del pensare è un’attività che genero io stesso, c’è soltanto nella misura in cui io la genero; posso omettere di pensare, quindi io sono la causa del pensare, in quanto pensante; ma il pensato, il concetto di margherita lo scopro c’è già.

Ora, c’è un caso in cui questi tre diventano uno solo?

PUBBLICO: Quando penso sul pensare.

ARCHIATI: È giusto, ma non proprio preciso. Quando penso il pensare!

Quando io penso il pensare, chi è il pensante? Sono io. Quando io penso il pensare: è un pensare; e quando io penso il pensare, cos’è il pensato? Il pensare!

Quindi nell’io il pensante è l’io; il pensare è l’attività dell’io; e il pensato è l’io, che faccio oggetto del mio pensiero.

La definizione che Aristotele dà dello spirito divino creatore è: NOESIS NOESEOS – in greco – . Lo spirito pensatore autocosciente, che ha coscienza di sé, che sa di pensare; non soltanto che pensa, ma che sa di pensare. E che gode il pensare!

L’autopensarsi del pensare. L’autocoscienza del processo creatore del pensare.

Questa è la definizione di Dio che dà Aristotele.

Il pensiero che pensa se stesso. Il Logos. Potevemo scriverci: Logos, è la stessa cosa.

Il Logos è il pensante, è il pensare cosmico ed è il pensato cosmico. Logos.

Il Logos è il pensante cosmico in tutto ciò che viene pensato, è lui il pensante; è il pensare, è l’attività del pensare; ed è tutti i contenuti del pensare suo: il pensato.

MAURIZIO: Una domanda: ma la libertà di poter creare qualcosa; tutto quello là è già stato fatto…

ARCHIATI: Ma dove? La libertà nostra, dici?

MAURIZIO: Sì, la nostra, individuale.

ARCHIATI: Sì, sta attento: non c’è nessuna libertà per quanto riguarda i contenuti del pensare – era sulla domanda prima – ma c’è piena libertà per quanto riguarda l’attività del pensare; non ti basta? Ce n’è che avanza!

MAURIZIO: Ma lui ha già pensato tutto.

ARCHIATI: Certo, il Logos ha la libertà di pensare quello che vuole.

MAURIZIO: Ma non io però!

ARCHIATI: No, sta attento: l’io è il pensante, il pensare e il pensato…

MAURIZIO: È il Logos!

ARCHIATI: Sì, tira via il Logos, tu adesso volevi tornare all’io.

MAURIZIO: Eh, certo!

ARCHIATI: Volevi tornare all’io. Sta attento: tu chiedi: se l’io è il pensante, l’io è il pensare e l’io è il pensato, dov’è la libertà?

Qui, nel pensare, nell’attività del pensare: nel farla, nell’ometterla, nel renderla più intensa, più diluita. Qui c’è la libertà, e ce n’è che avanza! Diciamo: l’io umano è il logos microcosmico; il Logos è l’io macrocosmico, capito! Però questa trinità, questi tre che diventano uno sono presenti in tutti e due. Il Logos è libero a tutti e tre i livelli…

MAURIZIO: C’è lo scoprire e c’è anche il creare.

ARCHIATI: Certo, certo, certo. Non ti basta la libertà di scoprire, o di poltrire? Ti senti libero soltanto se fossi tu il creatore del mondo? Ce n’è che avanza di libertà, non c’è bisogno che sia libero di creare io il concetto di margherita!

MAURIZIO: Ma qualche altra cosina più piccola…

ARCHIATI: La vespa! Te l’ho detto, perciò ti sto parlando continuamente della vespa.

MAURIZIO: Sì, ma ormai la vespa…

PUBBLICO: Il frullatore, il frigorifero, e tante altre cose da creare…

MAURIZIO: Ma pure gli aerei si possono creare. Si può scrivere anche un libro più bello della Filosofia della Libertà.

ARCHIATOI: Certo! Fallo!

MAURIZIO: Ma non è che lo faccio, ma si può!

ARCHIATI: Il concetto è: basta che ci intendiamo, che sappiamo che ce n’è di libertà, che avanza! E poi, naturalmente, tieni presente che la prospettiva dell’evoluzione è che l’essere umano diventerà creatore, non soltanto nel minerale, ma nel vegetale, nell’animale e nell’umano! Quindi gli spazi della libertà aumenteranno sempre di più.

MAURIZIO: Volevo dire che c’è il film Avatar che mette in evidenza queste cose qua.

ARCHIATI: Quali?

MAURIZIO: Quello della luce, del creare, dello scoprire anche. E poi c’è anche questo fatto di creare al quarto livello, creare altri esseri viventi. Però è un film di fantascienza; un po’ come faceva Giulio Verne, praticamente.

ARCHIATI: L’essere umano è in grado di creare macchine, ma non ancora di creare piante.

ELENA: C’è una questione che mi assilla un po’, ed è il poltrire. Il poltrire potrebbe essere una decisione legata appunto alla libertà, quindi uno è libero di poltrire, o invece di lavorare. Non pensa che a volte il poltrire sia legato ad una incapacità di pensare? Sto pensando ora, tanto per fare un taglio netto, che a volte non si hanno neanche gli strumenti per esercitare il pensiero.

Sto pensando a una persona non acculturata, no!, che proprio non ce la fa! Ma è una questione appunto che ha tante implicazioni, no! Ecco perché mi assilla e mi piacerebbe sapere il suo pensiero.

ARCHIATI: Allora, tu ci poni il quesito della differenza marcata, enorme, dei livelli di coscienza e quindi anche della facoltà di pensiero.

Ora una prospettiva specifica della scienza dello spirito, per quanto riguarda il mondo occidentale, è che tutte le cose vengono considerate dal punto di vista – lo dico con parole mie – a partire dal convincimento, o se vuoi, a partire dalla realtà oggettiva, che ogni essere umano ha diverse vite a disposizione.

Allora, se prendiamo l’altra ipotesi fondamentale, che è quella invalsa finora in occidente, che ogni essere umano vive una volta sola, il mio pensare dice: non riesco a spiegare, in una vita sola, se si è partiti tutti uguali, queste differenze enormi di stadi evolutivi, nell’evoluzione della coscienza pensante.

Queste differenze enormi possono essere sorte in base a cammini di secoli, di millenni.

Allora, (disegna) qui: una vita, una seconda vita, una terza vita, una quarta vita, una quinta vita, una sesta vita, poi nel mondo spirituale, una settima vita… Adesso questo individuo, poverello, che tu ci descrivi… se uno spirito in base ad un cammino lungo – io ne ho messe solo 7, ma sono molte di più – per ragioni che possono essere le più diverse, no!, come dire, si trova ad un livello di evoluzione del pensare, rispetto alla media, modesto, eh, non gli calza, non sarebbe (logico) incarnarsi in una cultura che non corrisponde al suo grado di evoluzione.

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Quindi ognuno sceglie gli elementi di incarnazione, le condizioni incarnatorie che corrispondono al suo gradino di evoluzione, giustamente!, se no… ripromettendosi ogni volta di fare tutti i passi in avanti che è capace di fare; perché passibile di evoluzione, capace di evolversi, è ogni essere umano, qualsiasi sia il punto in cui si trova ora.

E l’importante è di aiutare ognuno, e che ognuno si dia da fare, per fare i passi che è capace di fare; anche se ha perso tanti colpi nel passato.

Supponiamo che questa modestia presente sia il risultato di tante omissioni – che tu hai chiamato poltrire – non importa, l’importante è che tu ora faccia il massimo di quello che sai fare; e crei le condizioni che la prossima volta ti troverai meno svantaggiato.

ELENA: Appunto qualcuno avrebbe la possibilità di leggersi, o di meditare insieme a noi la Filosofia della Libertà.

ARCHIATI: No, non c’è bisogno di speculare, basta vedere se… è una faccenda di percezione, non c’è bisogno di speculare; c’è un individuo che se la compra la Filosofia della Libertà; supponiamo che sia tradotta nella sua lingua – non è tradotta in tutte le lingue – e per percezione si rende conto se capisce, o se non ci capisce nulla. Tu adesso dici: è un individuo che non ci capisce nulla, e allora?

ELENA: È un po’ tarato, si arena insomma, è fregato, ecco!

ARCHIATI: E che deve fare?

ELENA: È lì, ma questa è un’inquietudine che mi porto dietro per tanta fetta di miei fratelli umani, insomma.

ARCHIATI: (Lui) deve partiere a livelli più modesti e non incominciare la trigonometria se non ha fatto i fondamenti della matematica. Allora, tu in fondo… forse la risposta migliore è di raccontarti una situazione esistenziale che io ho vissuto per anni: 5 anni in Sudafrica.

Adesso, io non voglio fare nessun discorso di razzismo, vi dico le cose sinceramente come sono, perché barare non serve a nulla: ora, il Sudafrica è l’unico paese al mondo dove ci sono tutte le razze – in Sudafrica ci sono anche più di un milione di indiani, Gandhi ha cominciato la sua missione in Sudafrica – poi non soltanto tutte le etnie nere, ma tutte le “mescolanze” varie. Quindi io, come docente in Sudafrica, avevo davanti a me una rappresentanza di tutta l’umanità, ma proprio di tutti i livelli di coscienza, da quello più modesto, che non capiva neanche l’inglese, tra l’altro – le lezioni erano in inglese, no! – all’europeo che aveva articolazione di coscienza molto più complessa, non dico migliore, più complessa.

L’arte era quella… un’arte socratica, se vuoi, ma non da poco!, di cogliere nelle lezioni – ed io sono grato che nel mio karma c’è stato questo destino – di fare dei processi di pensiero che siano così universalmente umani, che ognuno li può cogliere a seconda del suo livello; per cui, colui che ha una coscienza più complessa li può cogliere a livelli più complessi, però li capisce anche chi è molto più sprovveduto, e a suo modo può fare i passi che è capace di fare.

Questo esercizio è stato per me quello più importante in tutta la mia vita, perché un esercizio di universalità umana dimostra che il pensiero lo si può afferrare a tutti i livelli; e quando qualcuno mi diceva: non t’ho capito, io pensavo sempre: la colpa è mia; non dicevo mai: la colpa è tua, perché non serve a nulla umiliare, no! Allora ripeti di nuovo, senza diventare banale in modo tale che… il Logos si è presentato sulla scena di questo mondo…

ELENA: Aveva due linguaggi!

ARCHIATI: No, quando parlava per tutti – non è che avesse due linguaggi…

ELENA: Le parabole, no!

ARCHIATI: Sì.

ELENA: Invece con i suoi (discepoli) le spiegava.

ARCHIATI: Le spiegava. C’è un terzo gradino?

ELENA: Non lo so.

ARCHIATI: Certo! In cui non c’è bisogno della spiegazione, perché la so dare io! Quindi in queste immagini semplicissime – erano storielle – ci sono tutte le profondità dei misteri del Logos; e ognuno, a seconda del suo livello di coscienza, parte da lì, da dov’è.

E il Logos, praticamente, raccontando queste storielle, ti dice: l’importante è camminare, non importa dove si è, l’importante è camminare.

Questa è la fratellanza umana, non l’essere uguali in quanto a gradino di coscienza, perché lì siamo diversi, è inutile barare, siamo molto diversi. Ma nel camminare, nel masticare… anche qui (nello studio che stiamo facendo) siamo molto diversi, lo si vede che siamo molto diversi, ma è una gran bella cosa perché a forza di lottare insieme, di arrovellarci ecc., si trovano modi in cui, insomma, ci capiamo!

Era mica facile farsi capire da un Maurizio, eh! Però abbiamo avuto la fortuna che lui non ha mollato; e il non aver mollato mi ha aiutato a trovare la traiettoria sua. Ma la traiettoria sua non è né migliore, né peggiore di un’altra, è il suo modo di capire le cose.

E allora lui dice adesso: sì, mi sembra di fare un passo in avanti; e quello va bene! quello va bene!

SIG.RA: Allora il vangelo ti dice pure: chi ha orecchie per intendere, intenda. Perciò non è che poi tutti capivano quello che diceva il Cristo, no!

ARCHIATI: Sì.

SIG.RA: Quella frase è molto chiara, no!

ARCHIATI: Sì, ma chi è che non ha orecchie per intendere? Soltanto chi non vuol intendere! Solo lui, perché vuol difendere il suo potere, non perché non sa intendere; non lo pensare mai, perché essere uomini significa saper intendere; se no non si è uomini. In italiano si dice anche: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Eh, scusate, il genio della lingua ci aiuta, il vero sordo è chi non vuol sentire, perché non gli va di sentire.

Altri contributi? O ci diamo la buona notte?

Buonanotte, a domani!

Domenica, 28 febbraio 2010 - mattina

ARCHIATI: Auguro a tutti una buona giornata! Portiamo a termine la prima parte della Filosofia della Libertà, con profonda soddisfazione della organizzatrice Luciana Martucci, che continuava a dire peste e corna perché io andavo troppo lentamente; però questa volta mi ha fatto leggere pagine intere senza nemmeno poterle commentare, ho fatto un sacrificio solo per far contenta te, eh!…

LUCIANA: Guarda che non sono contenta solo io!

ARCHIATI: Ah!, non sei soltanto tu contenta che leggo pagine intere senza commentare!

LUCIANA: Molti avevano la mia stessa ansia!

Archiati: La prima parte termina, guarda caso, con una giunta, un po’ lunghina; però la fine della giunta, termina che dice – e Steiner si riferisce ad un incontro che aveva avuto a Berlino con Eduard von Hartmann – dice: è essenziale allargare il concetto di percezione!

Così termina la prime parte – adesso lo leggeremo, perché se io anticipo poi non arrivo a leggerlo tutto. – Eduard von Hartmann era, a Berlino a quei tempi, il filosofo più in auge; sulla scia di Kant – la cosa in sé inconoscibile – però in base ai riflessi, agli effetti che la cosa in sé fa nella coscienza, per illazione, si possono fare delle induzioni sulla cosa in sé. E di fronte al concetto di percezione che si trova nella Filosofia della Libertà, perché Steiner gliela aveva mandata, una delle prime copie, a questo filosofo; Eduard von Hartmann l’ha letta e l’ha commentata tantissimo – io ho studiato tutti i particolari di questi commenti che Eduard von Hartmann ha fatto e che ha rimandato a Steiner, nel giro di 2 settimane! – E Steiner, quando ha fatto la seconda edizione, ha tenuto conto soprattutto di queste repliche, di queste obiezioni che faceva E. von Hartmann; e una delle cose sulle quali i due non si capirono era il concetto di percezione; perché E. von Hartmann dice: eh, ma non è questo il concetto di percezione a cui noi siamo abituati!

Vediamo, è a pagina 110: E alle volte è anche necessario aggiungere dell’altro a ciò che in un primo tempo è stato pensato in un concetto, affinché quello che fu così pensato trovi la sua giustificazione o la sua rettifica. Si trova detto, per esempio, in questo libro: « la rappresentazione è dunque un concetto individualizzato ». Mi si è fatto l’appunto – è E. von Hartmann che lo fa – a proposito di questa espressione, di aver fatto un uso insolito della parola.

Un uso insolito! Allora E. von Hartmann dice: ma il nostro concetto solito di percezione è questo, tu ci cambi la terminologia!

E Steiner vuol dire: il concetto che è invalso finora di percezione è un concetto sbagliato, perché è troppo stretto! Cioè chiama percezione soltanto una parte di ciò che va chiamato percezione; e l’altra parte, che è percezione tale e quale, fa come se non fosse percezione, per esempio la rappresentazione.

Una rappresentazione, la rappresentazione della margherita che noi vediamo dentro di noi, quell’immagine… come ci si presenta, a noi, quell’immagine della margherita che abbiamo dentro di noi e che chiamiamo rappresentazione?

È una percezione! Una percezione introspettiva; ma non importa se la percezione è esteriore – che vedo là, la margherita – o se la percezione è introspettiva, che la vedo dentro di me questa immagine. È una percezione!

Quindi il concetto di percezione di Steiner è che tutto quello che mi si presenta già fatto, già costituito, è percezione. Non importa se è dentro, se è fuori, se è su, se è giù, se è di natura corporea, o animica, o spirituale; non importa nulla.

Quindi l’essenza del concetto di percezione è che “mi si presenta!”

Perchè c’era fino ad allora, fino alla scienza dello spirito di Steiner… perché poi, tra l’altro, queste precisazioni le fa 25 anni dopo, questo è il bello!; quindi questo ponte che noi questa mattina facciamo, tra la prima parte e la seconda parte, in fondo lo facciamo su parole scritte da Steiner nel 1918, dopo che aveva presentato una somma infinita di contenuti concreti di scienza dello spirito.

Quindi la scienza dello spirito che cos’è, nella chiave di questa aggiunta?

La scienza dello spirito è un enorme ampliamento del concetto di percezione!

Amplia il concetto di percezione che l’uomo moderno restringe al mondo materiale, lo amplia anche al mondo spirituale e dice: se tu, oltre a conoscere il mondo materiale, vuoi conoscere anche il mondo spirituale, guarda che l’essere umano è fatto così che può conoscere qualsiasi cosa di cui si tratti, solo per percezione e concetto.

Quindi, o hai la possibilità di svilupparti in modo tale che ti sorga, che ti si presenti lo spirituale come percezione, oppure campa cavallo che l’erba cresce!

Tu dello spirituale non potrai conoscere nulla, perché è nell’essenza dell’essere umano che la sua struttura conoscitiva, sempre, in tutti i campi, opera per percezione e concetto, per percezione e pensare.

Quindi mancava – prima della scienza dello spirito, in un E. von Hartmann, che nella tradizione di Kant era un pensatore non da poco! Immanuel Kant non è da prendere sotto gamba – mancava in questa umanità moderna, diventata materialistica, non soltanto il concetto giusto di percezione, ma mancava ancora di più… perché il correlato del concetto di percezione, qual è? Qual è il corrispondente del concetto di percezione?

Devo trovare il concetto giusto del concetto di percezione; soltanto se ho il concetto giusto di percezione avrò il concetto giusto… Beh!, del pensare!!!

Questi due concetti si richiamano a vicenda: se è sbagliato l’uno è sbagliato anche l’altro. Quindi, essendoci nell’umanità un concetto errato di percezione, che restringe la percezione al dato corporeo esterno, che non include neanche la rappresentazione, che è una percezione nell’animico – percezione nel corporeo, per intenderci in un modo semplice, percezione nell’animico, non parliamo poi: percezione nello spirituale – essendo decurtato il concetto di percezione e riferito soltanto al corporeo, mancandoci quella dell’animico e dello spirituale, questo evidenzia che manca, mancava nell’umanità il concetto del pensare; perché il concetto del pensare si evidenzia soltanto se tutto ciò che non è pensare, è percezione.

E qual è la polarità?

Percezione è tutto ciò che mi si presenta passivamente; il pensare è l’unica cosa che creo attivamente. Non c’è nulla in mezzo! O è l’uno, o è l’altra!

Quindi tutto ciò che non è creazione attiva, me lo trovo! Non importa se è materiale – cosiddetto materiale – o animico, o spirituale.

Tutto ciò che trovo non fatto da me è percezione; perché il concetto del pensare è che il pensare lo si crea attivamente, artisticamente, oppure non è pensare.

Quindi qui vediamo che, sull’onda della Filosofia della Libertà, soprattutto tirando i conti di tutta la prima parte, che parla dello spicco evolutivo del pensare, è proprio la soglia che ci porta dentro la scienza dello spirito; perché se tutta la prima parte è servita a costruire questo concetto di percezione, che si evidenzia, lo si capisce soltanto come opposto al concetto del pensare, allora è chiaro che, essendo percezione tutto quello che non creo io attivamente, essendo il pensare l’unica cosa che creo io attivamente, si pone la domanda: ma allora l’essere umano percepisce soltanto cose materiali?

Prima di tutto, facciamo un passo indietro, se tiriamo questa somma, diciamo al signorino Rudolf Steiner: ah!, tu sei preso in castagna mettendoci all’inizio la Filosofia della Libertà, perché adesso ti prendiamo noi in castagna: stando alle tue premesse, stando ai tuoi fondamenti, stando al tuo fondamento di ogni scienza naturale, di ogni scienza spirituale, al tuo fondamento della struttura conoscitiva dello spirito umano, tu, caro Steiner, se caso mai ti venisse in mente di presentarti come scienziato dello spirituale, guarda che hai soltanto il diritto di spacciarti per scienziato spirituale se tu ci dimostri di avere, nello spirituale, percezioni sulle quali pensi, col pensare!

Perché il pensare è sempre lo stesso: un’attività creatrice.

Lo scienziato naturale come si presenta? Come si presenta da scienziato?

Ti dice: la scienza sta nell’indicare la percezione: la margherita, guardala là, il pensiero ci pensa sopra, ne coglie la struttura di pensiero di margherita, no!, e in questa interazione tra percezione e concetto, che compie il pensare, c’è scientificità, c’è conoscenza oggettiva.

La conoscenza oggettiva è in tutti i campi la stessa: è un’interazione tra percezione e pensare.

Se tu, scienziato spirituale, che ti ritieni tale, mi sforni soltanto una serie di percezioni, sei come un bambino di un anno e mezzo, che ha soltanto percezioni.

Abbiamo sempre di nuovo cercato una definizione, tra virgolette, della percezione pura, dove non c’è il pensare, e ci siamo detti: cosa difficile, perché noi siamo abituati a metterci sempre il concetto: “quella è una margherita!”. E ci siamo detti una o due volte – adesso ci calza ancora meglio – in fondo però noi non siamo più bambini e quindi bisogna di nuovo, diciamo, psicologicamente rimetterci… la percezione pura è nello sguardo del bambino di un anno, quella è la percezione pura.

Cosa vede? Tutto e nulla!

Quindi la percezione pura è il vedere senza vedere, o il guardare senza vedere.

E poi il linguaggio, la lingua materna, la mamma gli dice, parola per parola: cos’è, cos’è, cos’è. Quella è una mucca, quello è il cucchiaio, quella è una tavola, quello è il nonno.

E sull’onda del linguaggio il bambino impara a pensare. Quindi trasforma sempre più le parole in concetti, perché capisce sempre più le parole riferendo le parole alla percezione: ah, quello è il cucchiaio!

Ripetendo il congiungimento tra la sua percezione pura – perché il cucchiaio lo vede, non è cieco – e la mamma che lo chiama cucchiaio, a forza di “quella roba lì” che vede, e sentire: “cucchiaio”, gli resta l’appartenenza reciproca tra la percezione del cucchiaio e il concetto del cucchiaio.

E poi se la fa sua; poi non ha più bisogno del linguaggio della mamma che gli dice: cos’è questo?; lo sa che è il cucchiaio, lo sa da solo.

Quindi in base a questo ampliamento del concetto di percezione, come risultato dell’analisi del pensiero, del pensare, nella prima parte della Filosofia della Libertà, si crea la soglia per un ampliamento della scienza naturale con la scienza dello spirito.

Perché scienza è scienza, allo stesso modo.

Se c’è una conoscenza scientifica, se è possibile una conoscenza scientifica di ciò che è spirituale, di ciò che non è percepibile ai sensi corporei, il presupposto, le condizioni necessarie, per il pensatore umano di avere una conoscenza scientifica di ciò che è spirituale, è che ci sia la percezione di ciò che è spirituale.

Perché il pensare umano può pensare soltanto in base a percezione, creando concetti.

Dove non c’è nulla da percepire, per l’uomo, non c’è nulla da pensare. Perché è fatto così: è nella sua natura, nella sua struttura.

Cosa sono allora le immaginazioni? – faccio ora un riassunto – Steiner dice: il primo gradino della conoscenza scientifica della realtà spirituale è l’immaginazione – una terminologia, eh!, se volete trovate (altre parole). – Immaginazione, in tedesco, calza un pochino meglio, la parola; caso mai se uno studiasse Rosmini, può darsi che la facoltà delle immaginazioni è l’immaginativa, però la parola “immaginazione”, in italiano… purtroppo, io, insomma, mi è sempre dispiaciuto che in tutta la tradizione di decenni di antroposofia in Italia, non ci sia stato quasi nessuno che sia stato un vero filosofo, magari sulla falsariga del tomismo, dell’aristotelismo ecc., che abbia coniato, tradotto un pochino più scientificamente certi termini.

Per esempio: “l’anima senziente”… ci sarebbero altri termini. Oppure: “l’anima razionale”; Tommaso d’Aquino, Rosmini, direbbero più volentieri “l’anima intellettiva”, non razionale.

Poi: “l’anima cosciente”… insomma, ci attende in Italia, secondo me, una più pacata disanima; però dialogando con la cultura ufficiale, non facendo antroposofia da setta, in salotto: noi siamo belli e pochi e più siamo pochi, più siamo belli!

Ora, come dire, venendo a colloquio… perché veramente, o la scienza dello spirito la mettiamo resa accessibile a tutti, oppure non è scienza dello spirito. Allora bisogna fare i conti col linguaggio così com’è, così come le persone lo parlano, e non creare un linguaggio da setta!

Io all’inizio, siccome i libri in tedesco erano troppo cari, avevo comprato quelli italiani, però certe cose non mi tornavano più di tanto; dicevo: questi qua fanno una terminologia tutta loro; il povero cattolico, magari anche colto dice: ma qui non ci siamo in fatto di linguaggio! – questo detto tra parentesi – .

Allora l’immaginazione… Steiner chiama l’immaginazione… tra virgolette, c’è l’immagine, nella parola, naturalmente, no!… io in fondo, l’ “azione” ce la toglierei da questa parola, m’andrebbe meglio “immagine”; perché nell’azione c’è sempre un’azione.

Allora cos’è il gradino dell’immaginazione nella scienza dello spirito?

L’immaginazione è una percezione di qualcosa di spirituale, ed è solo una percezione!

Se resti a quel livello non hai nulla! Sei come il bambino che vede il cane, che guarda il cane, ma non lo vede, perché non sa che è il cane.

Il bambino piccolo piccolo, eh!, devo ripeterlo ogni volta, ci comprendiamo! Il bambino a 1 anno, anzi, diciamo a 6 mesi; a 6 mesi l’occhio è già tutto a posto: il bambino vede.

Il bambino cosa ha del cane? Solo la percezione: l’immagine, l’immagine! Colpisce l’occhio.

Il livello immaginativo è un’immagine spirituale, quindi fatta di luce – noi, poveri materialisti, dobbiamo un pochino arrabattarci, ma insomma – è intrisa di luce.

L’immaginazione è una struttura di luce, che è pura percezione, è qualcosa che si “vede”. Per sapere che cos’è – così come il bambino per sapere cos’è il cane – deve sopravvenire il secondo gradino che è la creazione di concetti; e l’ “ispirazione” è la creazione di concetti. Mettendo insieme l’immaginazione + ispirazione = conoscenza; e la conoscenza di esseri spirituali, di realtà spirituali si chiama intuizione.

Volevo dire: la struttura conoscitiva è la stessa.

E cos’è che fa questi tre passi?, che trasforma l’immagine in un concetto, che trasforma la percezione – l’immaginazione è una percezione non materiale, non corporea, per la quale non ci vogliono gli organi di senso del corpo, ma ci vogliono gli organi di senso dell’anima – .

Adesso voi direte: ma perché gli organi di senso del corpo ce li dà mamma natura e invece gli organi di senso dell’anima, per percepire lo spirituale non ce li dà mamma natura?

Eh, scusa, se mamma natura ti desse tutto quanto non avresti nulla da fare, non ci sarebbe gusto, no!

Al cagnolino gli dà tutto mamma natura, perciò non può avere la gioia della creatività dell’umano. Quindi lo spessore morale della libertà è che gli organi di senso dell’anima, che percepiscono lo spirituale, creare questi organi, formare questi organi, è lasciato alla libertà umana.

Quindi il cammino interiore sta nel formare, nell’anima, organi di senso animici che colgono, che percepiscono lo spirituale.

Però adesso, quando la mia anima si è purificata ad un punto tale, si è evoluta ad un punto tale da essere capace di percepire lo spirituale, di avere immaginazioni… eh, sono pure percezioni! Che mi manca? Nulla! Il pensare ce l’hai già, rimane sempre lo stesso, il pensare!

E ti trovi di nuovo di fronte: oh, ho dovuto esercitare il pensare di fronte a tutte le percezioni corporee, ora cominciano a sorgere delle percezioni spirituali, e che cosa mi occorre? Lo stesso pensare!

Quindi, qual è la cosa più importante di tutto, in assoluto? Il pensare!!!

Tornano i conti?!

In Germania, di certo anche in Italia, ci sono terapie reincarnatorie: il terapeuta aiuta il paziente a far l’anamnesi, a rammemorare, a ricordarsi di chi lui è stato, o lei è stata, nella vita precedente.

Allora ci si mette sul divano, tutto bello rilassato: tu immagina chi sei stato nella vita precedente. Allora capita che saltano fuori delle immagini; siccome a lei piace di essere stata una badessa nel medioevo, vede una badessa… ma quella, son sicura, ero io!

Mica si vede come monaca in cucina, eh! No, la badessa, che comandava soltanto!

PUBBLICO: Anche una regina!

ARCHIATI: Certo, anche una regina! Io adesso sto prendendo un esempio più modesto, capito!, se no… Una volta Steiner disse: stamattina ho incontrato la 24ma Maria Maddalena!!

Supponiamo che questa persona ha queste immagini; sorgono queste immagini di questa badessa, del convento, del monastero ecc., che sono? Percezioni! Percezioni!

Se è vero, se non è vero, se ha a che fare con lei, o lui; se non ha niente a che fare, è pura fantasia ecc., è tutta faccenda del pensare.

Non mi dice nulla il fatto che sorgano delle immagini: sono percezioni! La fantasia ne crea all’infinito di percezioni interiori.

PUBBLICO: Immaginazioni.

ARCHIATI: No, sta attento, io l’ho detta più cautamente, la cosa; perché la fantasia, se non è creativa al sommo, compone le percezioni interiori sulla falsariga delle percezioni che ha avuto, e quindi sono rappresentazioni. Perché questa badessa che gli salta fuori cos’è? Una rappresentazione, dài! Deve aver avuto, in qualche modo, la percezione del vestito di una badessa, della tonaca ecc., ecc., se no non gli salta fuori l’immagine di una badessa; non sa neanche com’è fatta! Capito?!

MAURIZIO: Una percezione spirituale si può avere?

ARCHIATI: No, una percezione non è né spirituale, né nulla: una percezione è una percezione. La percezione è nulla!

Tu dici: si può avere la percezione di un angelo?

MAURIZIO: L’immaginazione di un angelo.

ARCHIATI: Ecco, vedi! Allora l’immaginazione è il lato di percezione di un essere spirituale, di una realtà spirituale. Lato di percezione, però!

MAURIZIO: Ma posso percepire di avere un occhio?

ARCHIATI: Spirituale, dell’anima?

MAURIZIO: No, un occhio materiale, del corpo; l’occhio sinistro per esempio.

ARCHIATI: No, l’occhio del corpo non ti fa vedere un angelo, perché l’angelo non ha nulla di corporeo, stando al mio concetto di angelo; non so se tu conosci angeli fatti di corpo.

MAURIZIO: Posso immaginare nelle pitture del ‘500. Nelle pitture del ‘500 c’erano gli angeli; e basta, non ho altre idee di angeli.

ARCHIATI: Sono raffigurati. Sono raffigurati come se avessero un corpo, ma ce l’hanno veramente, o no?

MAURIZIO: No, ci hanno le ali… la testa e le ali.

ARCHIATI: Sì, ho capito, ma sono materiali, o no, la testa e le ali? Ah, non lo sapevi?

MAURIZIO: No, non sono materiali, perché non hanno un corpo.

ARCHIATI: E allora!

MAURIZIO: Io chiedevo: la percezione nel corporeo, che può essere una cosa materiale.

ARCHIATI: La margherita. Ma se è nel corporeo dev’essere materiale! Non dire: può essere materiale.

MAURIZIO: È materiale! Per astrazione posso avere una percezione spirituale? Chiedo troppo?

ARCHIATI: Cosa intendi per percezione spirituale? Percepire una realtà non corporea?

MAURIZIO: Sì, si può?

ARCHIATI: Allora qui: calma! Diamoci una calmata! Tu stai chiedendo. Così come noi, grazie agli organi di senso del corpo, percepiamo realtà corporee, sarà mai possibile… è la domanda che fai, eh!

MAURIZIO: È la domanda.

ARCHIATI: Calma, calma, sto andando piano, se no, se si corre poi uno si perde per strada. Tu poni la domanda fondamentale che è la domanda della scienza naturale nei confronti della scienza dello spirito: sarà possibile, può essere possibile – o lo escludiamo in partenza – che possano sorgere organi di senso tali che non sono corporei – cosa esattamente siano non lo sappiamo perché stiamo ipotizzando – che colgono, che percepiscono qualcosa che non è materiale, ma che è spirituale?

Lo puoi escludere? Non lo puoi…

MAURIZIO: Ma lo voglio includere!

ARCHIATI: Aaaaah! Allora dimostraci che tu, non soltanto hai la percezione di qualcosa di spirituale, ma ne sai parlare, ci sai pensare sopra, ne sai creare i concetti; e allora dico: questo Maurizio mi sta parlando di qualcosa, mi dimostra di percepire qualcosa, non soltanto di percepire qualcosa che non è materiale, ma che se ne intende, che sa usare il pensare, non meno sovranamente, che sa orientarsi anche dentro queste percezioni spirituali e mi sa dire: questo è “questo”, questo è “quest’altro”.

MAURIZIO: Qui mi sono già perso.

ARCHIATI: Tu hai detto: non soltanto….

MAURIZIO: Vorrei, in futuro, includere…

ARCHIATI: Sì, andiamo un passo indietro. Tu hai detto non soltanto vorrei non escludere che possa essere… cosa? Che ci possa essere la percezione di qualcosa di spirituale, ma vorrei includerlo! Cioè vorrei farlo!!! Come dimostri di farlo?

MAURIZIO: Avere una percezione di un qualcosa di spirituale.

ARCHIATI: Come il bambino di 6 mesi che guarda…

MAURIZIO: No, come qualcuno di 50 anni, per esempio.

ARCHIATI: Come te! E allora non c’è soltanto la percezione, cosa si aggiunge? MAURIZIO: Il pensare!

ARCHIATI: Eeeeeeh! Allora, perché dici che ti sei perso, l’hai capito il concetto!

Tu hai detto il concetto di Steiner. (Steiner) è il primo individuo, alla grande, no!, che ha avuto un sacco di percezioni nello spirituale e ci pensa, ci pensa, ci pensa e ti dice: questo è “questo”, questo è “quest’altro” ecc., ecc.. Perciò ti ho detto: studia i 350 volumi; nelle edizioni Archiati sono un po’ meno; comincia da quelle, magari! Ci siamo?

Ne saltasse fuori un altro, un altro alla pari di Steiner, o ancora migliore: ben venga!, ben venga!

Però, io volevo dirti, stando alla struttura conoscitiva dell’essere umano, che non basta la percezione: con la percezione non ho la realtà completa, capito! Stando alla struttura conoscitiva dell’essere umano, ben venga chiunque mi dimostra, non soltanto di avere percezioni nello spirituale, ma di aggiungerci il pensare; quello mi interessa!

Perché la differenza tra le persone, no!, che magari qui c’è un Pietro, anziché un Maurizio… perché non sei tu qui e io là, seduto, bello comodo? Eh, la differenza è nella percezione, i tuoi occhi sono magari migliori dei miei; importante è il pensare, non il percepire; quello ce l’abbiamo tutti.

Quindi nello spirituale l’importante non è il percepire, l’importante è il pensare. E quello che a me convince di Steiner non è che percepisce un sacco di cose, quello non m’interessa nulla, visionari ce ne sono stati abbastanza; mi convince la penetranza del suo pensare, quello mi interessa! Perché di cose, di percezioni ce ne ho anch’io… Ce ne abbiamo troppe o troppo poche, di percezioni?

MAURIZIO: Troppe, ma sono tutte materiali.

ARCHIATI: No, sono materiali perché quelle che trasformiamo in spirituali sono troppo poche! Perché quando noi una percezione la trasformiamo in concetto finisce di essere materiale, scusa!

MAURIZIO: Sì.

ARCHIATI: Eh! Quindi di percezioni che non trasformiamo in una realtà spirituale, tramite il pensare, ce ne sono fin troppe! Quindi c’è ancora parecchio da fare nel trasformare in una realtà spirituale, col pensare, tutte le percezioni corporee… Tanta gente dice: no, no, a me non mi va di fare questo lavoro, di trasformare tutte le percezioni corporee in concetto, voglio raddoppiare, triplicare le percezioni, voglio percepire anche lo spirituale!

Raddoppi la tua ignoranza! Perché una percezione cos’è? Un frammento di ignoranza!

Il bambino che ha soltanto la percezione è ignorante: ignora il concetto.

MAURIZIO: (La percezione) è nulla!

ARCHIATI: Eh, eh! Ci siamo capiti un po’ meglio? Un pochino dice.

LUCIANA: Ci manca un pezzetto! Voglio dire: forse per capire tutto intero questo…

ARCHIATI: No, ma guarda che lui ha fatto così con la mano: (come per dire:) sì, siamo andati avanti di un pezzettino.

LUCIANA: Appunto…

ARCHIATI: Non sottovalutarlo, eh!

LUCIANA: No, no, no, volevo soltanto dire che forse diventa più chiaro se ripeti quello che hai già detto prima, e cioè che i sensi per percepire il mondo spirituale non ce li dà madre natura, ma li dobbiamo sviluppare per nostra libera decisione.

ARCHIATI: Gli organi di senso che ci danno la possibilità di percepire ciò che non è corporeo, ma spirituale, non ce li dà la natura, altrimenti ce li avremmo tutti.

Oppure diciamo così, che è ancora meglio: gli organi di senso che percepiscono lo spirituale c’erano, ce li avevamo tutti, quando non eravamo capaci di pensare; quando eravamo bambini.

Nel corso dell’evoluzione questa percezione chiaroveggente, atavica, antica, dello spirituale, è sparita! Per darci la possibilità di esercitare il pensare, pensando sulla percezione corporea che tutti abbiamo.

E quando avremo esercitato il pensare a sufficienza, avremo il diritto di ricevere di nuovo, di avere di nuovo la percezione dello spirituale, perché saremo in grado di pensare anche su quella.

La percezione spirituale che non intridevamo di pensiero doveva sparire, perché non serviva alla libertà! È sparita per darci la possibilità dell’evoluzione del pensiero, in chiave di libertà, che si compie nell’interazione tra la percezione degli organi di senso corporei, che tutti abbiamo, e il pensare.

Allora, quand’è che un individuo è pronto per affrontare la percezione dello spirituale?

SIG.RA: Quando comincia ad averne.

ARCHIATI: Bella! Bella risposta!

SIG.RA: Quando comincia ad averne.

ARCHIATI: Però, se dimostra di avere le percezioni; perché se mi fa capire che lui prende le percezioni come se fossero realtà, vuol dire che non è ancora pronto.

NADIA: Quando avviene il rovesciamento dei meccanismi di natura, cioè quando la persona si accorge che la realtà è ciò che sorge in lui; ciò di cui si accorge, si accorge che lui, colui che pensa, colui che vede, e che quello che vede è il mezzo perché lui se ne accorga.

ARCHIATI: E cammini nel pensare; e si evolva ulteriormente nel pensare.

Vi do un’altra risposta: gli individui umani – però prendetela con grano salis – gli individui umani che percepiscono lo spirituale a buon diritto, e hanno il diritto di farlo soltanto se sono oltre la media evoluti nell’arte del pensare – sto parlando per esempio di un Rudolf Steiner, sto creando il concetto di Rudolf Steiner – . Ricomincio da capo: gli individui umani che sono talmente evoluti nel pensare da essere capaci di afferrare ogni percezione spirituale, in chiave di pensiero, ritenendola, da sola, un nulla, di questi individui ne basta uno ogni 2160 anni. E basta! È più che sufficiente!

Quando il sole, dopo 2160 anni entra in un’altra costellazione dello zodiaco, tutta la compagine del percepibile corporeo, e quindi anche tutta la compagine del percepibile spirituale, diventa profondamente diversa.

Allora ci vuole un altro affrontare l’insieme del percepibile con lo stesso pensare umano.

Quindi, se voi chiedete a me, se mi interessa avere immaginazioni ecc., ecc., la mia risposta sincera, magari 20 anni fa era diversa, ma oggi è: non mi interessa proprio!

Ma proprio non mi interessa! Ce ne sono di percezioni, santa pace!; sto arrancando a macinarle col pensare, adesso voglio raddoppiare le percezioni?

Una stupidaggine, scusate! Una stupidaggine assoluta!

Che ci sia qualcuno che ce le ha sfornate, questo sì, se no non ho da masticare col pensare; ma c’è! Tant’è vero che Maurizio ci diceva: eh, se son 350 volumi, campa cavallo che l’erba cresce!

E sì eh!, non soltanto: campa cavallo che l’erba cresce, ma anche: campa l’uomo!

MASSIMO: Scusa Pietro, una domanda: quella domanda che hai fatto tu, no! M’è venuto in mente questo: che quando siamo arrivati a questa soglia, per cui si va, si passa da una conoscenza naturale a una conoscenza, diciamo, spirituale di cui…

ARCHIATI: No, scusa, ti devo fermare: non c’è una “conoscenza naturale”, il pensare è per natura spirituale.

MASSIMO: Sì.

ARCHIATI: Tu dici: si passa dal pensare su cose che percepiscono i sensi corporei, al pensare su cose che percepiscono i sensi dell’anima.

MASSIMO: Sì, questo volevo dire. Ecco, si inverte la situazione. In che senso? Mentre nel mondo materiale la percezione di tipo materiale è la percezione che mi stimola il pensare: ciò che mi è dato è la percezione, e il pensare viene pungolato da essa.

Una volta che io ho esercitato il pensare, ne ho fatto uso, formando concetti, lavorandoci sopra, arrivando addirittura a percepire il pensare, la situazione mi si può capovolgere nel senso che, a differenza di prima, una volta che io ho padroneggiato il pensare, è questo pensare che va a stimolare, quasi a cercare, la percezione, a riconoscere la percezione spirituale.

Vale a dire: non mi è più dato ciò che di spirituale c’è da percepire, non è più dato, ma è, diciamo, cercato dal pensare. Cioè come uno che va a tastare con le mani finché trova quello che cerca.

Ma nel senso proprio del rovesciamento: il pensare questa volta, si potrebbe quasi dire, mi stimola la percezione.

ARCHIATI: Ho capito, ho capito. Adesso ti chiedo: – una domanda psicologica – è assolutamente convincente quello che dici, o ti pare di esprimere pensieri inquirenti?

MASSIMO: Sì, ho l’impressione che manchi qualche passaggio in questa…

ARCHIATI: Bravo, bravo, questo è importante, altrimenti… Ora, quello che tu hai descritto come caratteristica specifica del pensare che si riferisce alla percezione spirituale, vale tale e quale per il pensare che si riferisce alla percezione sensoria, corporea. Perché la natura del pensare è unica, è sempre la stessa; e tu cercavi di far sorgere, nel pensare, due nature un po’ diverse del pensare, il che non è vero.

L’elemento che rimane veramente nella sua natura lo stesso, è il pensare: è la natura del Logos; perché le percezioni materiali sono il Logos fatto carne, non è qualcosa d’altro !

Ora io partirei dal tuo inizio, dove tu hai detto, hai usato l’immagine, la categoria del “pungolare”; che la percezione corporea ci aiuta nel senso che “pungola” il pensare.

Mi è piaciuta molto questa immagine, perché è sbagliata!

Sta attento – è un errore, eh! – perché se ci fosse un concorrere della percezione al pensare, allora la percezione dovrebbe pungolare il pensare anche nel bambino di 6 mesi! Dov’è il pungolo? Non c’è!

Quindi il pensare è una realtà immanente che, quando afferra la coscienza, quando afferra il corpo dopo averlo costruito in un modo sufficiente, tutto ciò che avviene nel pensare è dovuto al pensare, e non c’è un nulla di concorso, da parte della percezione, al pensare.

MASSIMO: La percezione provoca il pensare, ecco!

ARCHIATI: Allora, sta attento, giustamente anch’io ho dovuto usare immagini, perché se no dovremmo ammutolire; però la differenza tra “provocare” e “pungolare” è enorme; perché pungolare è attivo, invece il provocare… è il pensare stesso che dice: mi manca qualcosa!

La provocazione che mi viene da un buco è diversa dalla provocazione che mi viene da una spinta. Sono diversità molto grosse.

Adesso faccio due esempi: Il “pungolare” della percezione, che io chiamo “provocare”, naturalmente, ma insomma… dove la percezione non basta, ma il pensare dice: cosa manca qui, manca tutto, ci devo mettere il concetto. Prendiamo Galileo, il grande scienziato Galileo che studia Giove, il pianeta Giove: fino ad allora si conoscevano 3 lune di Giove, si conoscevano soltanto 3 lune, si erano percepite 3 lune.

Tu dici: la percezione pungola il pensare, e io ti dimostro che il pungolare è lo stesso anche di fronte alla percezione spirituale, con un esempio.

Galileo studia a livelli molto più precisi – naturalmente tutto dipende anche dagli strumenti ottici ecc. – Galileo dice: stando alla percezione che io ho dei movimenti di queste 3 lune, non mi tornano i conti!

La sua percezione gli pungola il pensare, lo provoca!; perché dice: se sono soltanto 3 non possono muoversi in quel modo, si muovono in modo tale che fanno come se tutte e tre volessero evitare una quarta. Ci dev’essere questa quarta, se no, se veramente fossero soltanto tre si muoverebbero in un altro modo; girano tutte e tre attorno ad un “buco”.

Allora, fa strumenti ancora più perfetti ecc., ecc.; adesso tutto il mondo sa che le lune di Giove – almeno quelle più grosse, quelle più piccole sono tantissime – sono 4 lune!, Giove ha 4 lune!

Ora è questo che tu dicevi, no!: la percezione, siccome c’è nell’essere umano adulto, non nel bambino, un’interazione continua, spontanea, tra percezione e pensare, percepire e pensare, in base a ciò che percepisce dice: con quante lune ho a che fare? Quante lune ha Giove?

La percezione… fino ad allora, ne erano state percepite tre; il pensare di Galileo dice: se uno coglie la natura di questi movimenti, di queste orbite, deve fare sperimentalmente… la sperimentazione fa un’ipotesi e poi sperimenta in modo da provare o contraddire l’ipotesi; e lui dice: il mio pensare fa l’ipotesi che ci deve essere una quarta luna, ma una quarta luna, se c’è veramente, è percepibile o no?

MASSIMO: Sì.

ARCHIATI: Eh, dev’essere percepibile, se no non è una quarta luna!

MASSIMO: Quindi il pensare mi può acuire il senso corrispondente.

ARCHIATI: Cioè?

MASSIMO: Cioè, mentre nel mondo materiale è l’organo di senso che mi dà l’occasione con la percezione, al pensare, dopo, quando fossi abituato a pensare nella maniera corretta e divento “pratico” del pensare, in un certo senso, questa mia acuita facoltà pensante mi può, questa, essere di stimolo per la formazione dell’organo corrispondente spirituale?

Può essere questo un modo per sviluppare quell’organo di senso di cui si parlava prima?

Perché allora… l’organo di senso deve essere della stessa natura di ciò che percepisco; cioè, se io ho una percezione materiale l’organo di senso in grado di percepire qualcosa deve essere di analoga natura. Ora, di fronte ad una percezione spirituale è ovvio che l’organo di senso debba avere una natura corrispondente, quindi deve essere esso stesso spirituale.

Una volta che io ho abituato il pensare, mi sono abituato a percepire il pensare e l’ho fatto diventare più forte, è questo in grado di sviluppare in me l’organo di senso spirituale? In grado di cogliere la percezione spirituale?

ARCHIATI: Stai attento, la tua domanda è enormemente complessa, noi siamo… la devo mettere in chiave psicologica, perché la psiche è il mondo che fa da cerniera, è il mondo mediano, che media tra il corporeo e lo spirituale, perché in termini puramente spirituali è difficile, il corporeo non ci serve.

Allora, in chiave di psicologia, noi siamo tutti troppo impazienti! Pensiamo che sarebbe meglio se avessimo la percezione anche dello spirituale, e questa impazienza è pigrizia dello spirito; e in secondo luogo viviamo di atavismi paternalistici tali che noi guardiamo alle persone come se certune fossero migliori delle altre.

Allora chi ha anche la percezione spirituale è migliore, è più evoluto; e tutti questi due pensieri fondamentali, se vuoi della borghesia moderna, sono errati; perché minano l’uguaglianza assoluta degli esseri umani.

Ora io ti dico: guarda che le cose stanno già strutturalmente nel senso che tu dici, perché ogni volta che moriamo – e moriamo tutti – siamo candidati tutti egualmente e in assoluto a percepire lo spirituale; e lo facciamo per molti più secoli, per molti più anni che non quando abbiamo il compito di macinare ciò che è materiale, ciò che è la percezione materiale.

Però il tuo discorso è giusto nel senso che tu dici… ma adesso, sta attento che io ti metto sulla lavagna alcune decine di migliaia di anni, capito!

Allora, prendendo tutta l’evoluzione della terra, dall’inizio fino alla fine, queste sono tutte incarnazioni, no! – aspetta, lo faccio in modo dinamico, da includere anche la terza dimensione, se volete – … perché poi tu, l’analogia non me l’hai fatta fare, mi hai subito frenato, io volevo andare da Galileo che scopre la quarta luna, al farti un esempio spirituale dove tu analizzi il comportamento di un bambino e dici: no, no, no, qui manca qualcosa; se io non faccio l’ipotesi che c’è un essere spirituale chiamato angelo custode, non spiego tutte le percezioni che ho.

Quindi il pensare viene pungolato, viene provocato, ugualmente anche a cercare la percezione spirituale; così come viene pungolato a cercare la percezione materiale, che integra il quadro di un concetto quando manca qualcosa.

Allora, quello che tu stai dicendo si riferisce al tutto dell’evoluzione, non all’individuo impaziente che adesso vorrebe vedere lo spirituale!

Nel tutto dell’evoluzione eravamo tutti molto di più nel mondo spirituale, poi nella metà dell’evoluzione le vite terrene diventano sempre più fondamentali; man mano che continuiamo ad evolverci diventiamo sempre più spirituali.

In questa sfera media, diciamo: 10.000 anni prima di Cristo, dico una cosa ridotta, eh!, possono essere anche 30.000, poi qui c’è la svolta, fino a 10.000 dopo Cristo il compito che sta in primo piano non è quello di masticare la percezione spirituale, ma il compito che sta in primo piano è di masticare la percezione materiale.

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E il senso della scienza dello spirito non è che la percezione dello spirituale ci dà qualcosa in più, o ci rende più belli. Nooo! È che soltanto la percezione dello spirituale in aggiunta ci spiega la percezione del materiale, altrimenti non ci capiamo nulla!

Quindi l’unica legittimità della percezione del Logos spirituale è che mi permette di compiere il compito attuale dell’evoluzione, che è quello di capire il Logos fatto carne. Quindi l’unico motivo per cui io ho bisogno di uno Steiner – e uno basta! – che mi presenta i dati di percezione spirituale, è che mi servono per capire il mondo materiale, se no non lo spiego!

Di occasioni per macinare direttamente lo spirituale, come compito, diciamo, in primo piano, abbiamo avuto un’eternità all’inizio, avremo un’eternità alla fine e ce ne abbiamo un’eternità ogni volta che moriamo!

Voglio dire: dobbiamo stare attenti a non sminuire il peso morale del Logos fatto carne!

SIG.RA: Allora tutto è il Logos che si fa carne.

ARCHIATI: Ma certo che tutto è il Logos che si fa carne!

SIG.RA: Dico, tutto è il Logos che si fa carne.

ARCHIATI: Certo!

SIG.RA: In assoluto, la margherita, la mela… perciò è il Logos che si è fatto carne e ci ha fatto, come dire, capire che tutto è Logos che si fa carne.

ARCHIATI: Tutto! Ma chi te lo dice?

SIG.RA: Me lo dice il pensiero.

ARCHIATI: Te lo dice il pensare che tutto è Logos, che altro è!

Fatemi tornare al toscano (Massimo), siccome io mi godo l’italiano che parla – io il toscano lo noto subito – . Devo premettere però: se i conti non tornano fatti sentire, eh, capito!, non mollare!

Quello che stavo dicendo, adesso lo metto in chiave moralistica, ma per capirci: stiamo attenti ai misticismi!

MASSIMO: Certo!

ARCHIATI: Perché altrimenti voliamo e disdegnamo tutto…

MASSIMO: Non sarebbe scienza!

ARCHIATI: Bravo, non sarebbe scienza! E di moralismi, di spiritualismi, di misticismi, anche la chiesa cattolica ne ha fatti tantissimi, perché non ha mai avuto la forza di pensiero di prendere sul serio questo Logos fatto carne, diventato percepibile ai sensi corporei. Perché questo è un compito che ancora incombe all’umanità.

Quindi, in un certo senso, questi primi 2000 anni di cristianesimo sono più una continuazione del buddismo, nel senso di disaffezione nei confronti del mondo materiale, col desiderio di tornare in paradiso, di tornare nel nirvana.

Invece la direzione del Logos è quella opposta: il Logos si è fatto carne, per dare alla libertà dell’essere pensante umano, la possibilità di ricreare tutto questo Logos, macinandolo col pensare.

MASSIMO: Quindi l’ampliamento della percezione, nel senso della risposta di Steiner ad Hartmann, cioè nel senso della Filosofia della Libertà, è proprio per comprendere meglio il mondo che abbiamo ora.

ARCHIATI: Certo! Un altro non c’è! non credere mica che gli angeli, se ci sono, appartengano ad un altro mondo! A me interessano soltanto se appartengono a questo mondo. L’angelo custode mi interessa soltanto se mi consente di spiegare il comportamento del bambino, che evita tutti gli ostacoli dove io dico: no, no, no, qui se non c’è una “quarta luna”, se non c’è un angelo custode, non è possibile che eviti tutti questi ostacoli: ci cascherebbe una volta o l’altra.

Quindi il mio pensare che indaga il mondo visibile, il bambino concreto con tutti i pericoli – lì c’è un fosso, lì c’è una ruota – dice: se io faccio l’ipotesi che non c’è nessun essere spirituale che veramente lo custodisce, lo preserva dai pericoli, non spiego i fenomeni.

Ma l’angelo mi interessa soltanto perché mi spiega i fenomeni che io percepisco.

MASSIMO: Quindi per conoscere il mondo visibile è necessario sviluppare in noi una capacità di percezione spirituale invisibile, in un certo senso, non per uscire da questo mondo, ma per conoscere meglio questo!

ARCHIATI: No, no: sviluppare in noi il pensare, a livelli sempre più alti per cui… cioè: a chi manca l’angelo custode? Manca a chi ha la percezione dello spirituale? No! manca a chi sa pensare meglio!

Ripeto la domanda: chi sente la provocazione a cercare una spiegazione attraverso un essere spirituale? A chi manca l’angelo? E che cosa glielo dà l’angelo, la percezione dell’angelo? No! Il pensare che ti dice: qui manca qualcosa!

Poi per l’affermazione che ti dice che c’è l’angelo, mica c’è bisogno di Steiner, leggi la Divina Commedia – te che sei toscano – che ci ha dato il linguaggio italiano, tra l’altro!

Eh, scusa, mica li ha inventati Steiner gli angeli!

Però la facoltà che prende sul serio, cioè che dà uno spessore di realtà assoluta agli angeli è il pensare. Costituente di realtà è il pensare. Soltanto il pensare costituisce la realtà, perché creando concetti crea la realtà, il concetto è la realtà delle cose.

Per questo bambino ci deve essere un essere spirituale, individuale, perché se questo essere spirituale avesse il compito di stare attento a 70 milioni di italiani, questo bambino qui sarebbe già caduto nel fosso. Ci deve essere un essere spirituale apposta per lui, allora sì che spiego i fenomeni.

E allora leggo la Divina Commedia e dico: ma qui si parla di angelo, come essere spirituale preposto all’evoluzione di un singolo essere umano; poi gli arcangeli preposti all’evoluzione di un popolo, gli spiriti del tempo preposti all’evoluzione di tutti i popoli contemporaneamente in un certo tempo. O li leggo nella Bibbia – la Bibbia parla di angeli – nei vangeli, nell’antico testamento ecc.; poi naturalmente col materialismo tante cose non si sono più capite; uno dei compiti della scienza dello spirito è di farmi capire quello che c’è nella Divina Commedia; di farmi capire quello che c’è nei vangeli, nella Bibbia.

SCALIGERO: Il disabile mentale, non so perché, il mio pensiero, in risposta a tutto quanto è stato detto fino adesso, mi fa vedere che il disabile mentale è una manifestazione di un’esperienza di uno spirito più evoluto.

ARCHIATI: Non lo puoi dire in generale. In base all’individualismo etico, ma cosa si intende con individualismo etico? Per individualismo etico si intende che c’è la libertà, perché se non ci fosse la libertà non ci sarebbero diversità di velocità nell’evoluzione.

Per cui un individuo, un io, si trova qui, un altro io si trova qui, un terzo qui. Ora se questo io, disabile mentale, no!, sia più o meno evoluto degli altri, va percepito!

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Perché tutt’e due le cose sono possibili: può essere disabile mentale sia perché ha perso tanti colpi, tanti colpi del cammino di pensiero nel passato, sia, è possibile – e va percepito nel caso concreto e deve essere una percezione spirituale – può essere un individuo che dice: se questa volta dessi priorità alla mia evoluzione, afferrerei il corpo in un modo normale, ci entrerei dentro in modo da percepire e pensare in un modo normale e fare passi miei. Però lui dice: io, questa volta, voglio dare precedenza all’amore all’evoluzione altrui; allora mi tuffo in un’umanità così materialistica, che ritiene reale soltanto ciò che i sensi del corpo percepiscono, allora cosa faccio io per dare un contributo al superamento del materialismo?

Invece di afferrare il corpo dal di dentro – la laringe, il cervello ecc., in modo da pensare in modo normale – resto come spirito, qui, il mio io superiore, l’io spirituale, aleggia su questo corpo, che gli altri penseranno che sono uno scemo… ma io non sono uno scemo!, ho soltanto deciso di non afferrare il corpo, in modo da presentarmi sulla scena di questo mondo come un inerme, impotente e scemo.

E cosa evidenzio? La vostra intelligenza che conosce soltanto il mondo materiale e il vostro potere che conosce soltanto lo schiacciare l’essere spirituale dell’uomo; la vostra cosiddetta intelligenza è la vera scemenza e il vostro potere è la debolezza dello spirito umano.

E ti presenta l’assurdità del materialismo, che è una scemenza perché conosce soltanto il materiale e non conosce la realtà vera dello spirituale; e il potere che schiaccia l’uomo invece di favorirlo, te lo dimostra dicendo: la vostra sicumera, il vostro potere non mi dice nulla, non mi tocca!

Se uno leggesse in questa chiave, questo fenomeno, gli direbbe: beh, grazie, dài, che ci aiuti, ci dài la percezione della vanità del mondo che noi riteniamo reale e della disumanità della potenza; perché la potenza come si esprime? Con gli arti che si muovono sgomitando, con i piedi che danno pedate, col cervello che sa come speculare in borsa, in modo che 5 miliardi diventino 10, 20, mandando tutti gli altri a ramengo.

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Allora io dico: il vostro cervello bacato, io ve lo lascio! I vostri arti che esercitano solo strapotere che schiaccia l’uomo, ve li lascio!

Guardando un fenomeno così, ci diciamo: cosa abbiamo noi, nella nostra cosiddetta intelligenza scientifica e nel nostro potere? Abbiamo soltanto disumanità! Grazie, grazie che ce lo dici, grazie che ce lo evidenzi!

Però se questo individuo qui abbia avuto questi pensieri nel suo io e li abbia posti alla base – questi pensieri di amore, no!, per aiutarci a superare il materialismo – li abbia posti alla base di questa incarnazione, o se invece si tratti di uno spirito che non è capace, proprio è rimasto così indietro nel suo pensiero che non è capace di compenetrare il corpo; se sia l’uno o l’altro, in questo caso qui va percepito, non si può speculare a vanvera!

LUCIANA: Come si percepisce?

ARCHIATI: Luciana dice: come si percepisce?

LUCIANA: Ho raccolto la domanda.

ARCHIATI: Ah, scusa, eri tu (Wilma) che dicevi come si percepisce? E la margherita come la percepisci?

WILMA: Con i sensi…

ARCHIATI: Eh! Guardandola!

Voglio dire: se una margherita invece di avere 25 petalini, ne ha 20, lo posso dedurre metafisicamente? Io voglio sapere se questa margherita ha più o meno di 20 petali, come faccio a saperlo?

WILMA: La guardo, chiaramente, però…

ARCHIATI: Io voglio sapere se questo, che noi chiamiamo malato mentale, è più o meno evoluto della media, come faccio a saperlo?

WILMA: Guardandolo.

ARCHIATI: Eh, eh, eh!

PUBBLICO: Ma non si potrà mai cogliere l’essenza vera. Dell’handicappato non si potrà mai sapere la sua essenza, non sta a noi giudicare, cioè non potremo mai…

ARCHIATI: Guarda che io non sto parlando della sua essenza; il gradino di evoluzione del pensiero di un essere non è la sua entità di io, unico, ma è un aspetto.

Ciò che tu dici è che l’essere, un essere spirituale, è inconoscibile in toto. E io ti dico: è inconoscibile nel suo nucleo – è questo che tu vuoi dire – ma, sta attento, che in un essere non c’è soltanto il nucleo, ci sono un’infinità di manifestazioni.

Ora noi non stiamo ponendo la domanda: chi è lui come essere unico, perché l’intuizione di un essere da parte di un altro essere non esiste: dovrebbe essere l’altro essere; tra l’altro, se tu sei un mezzo antroposofo, la scienza dello spirito ti dice che c’è un livello di conoscenza spirituale dove è possibile immedesimarsi in tutto e per tutto in un altro essere, però a condizione che non si perda il proprio.

A quei livelli diventa vertiginosa la cosa! Quindi questo concetto di unificazione assoluta di due esseri, senza perdersi della propria unicità, c’è nella scienza dello spirito.

Però, giustamente tu dici: se stai parlando di questo, stai parlando del livello più alto che ci sia; ed è giusto! Ma noi non stiamo ponendo la domanda: chi è lui in quanto essere unico, io sto domandando: fammi vedere se l’evoluzione del suo pensiero, se il suo pensiero è più evoluto della media, più o meno, o meno della media. Questa è la domanda. E questo aspetto è un aspetto di manifestazione dell’essere, non è il nucleo dell’essere.

PUBBLICO: Certo, quindi a livello superficiale, è come guardare un geranio, io non so che radice ha, se questo geranio ha una radice potente o piccola, dall’aspetto della pianta oltre il suolo.

ARCHIATI: Attento, non chiamare superficiale la manifestazione ad-extra di un essere, perché allora la chiami falsa. La manifestazione di un essere non è superficiale; se attraverso la manifestazione il pensare coglie tratti centrali dell’essere. Noi andiamo troppo alla svelta nelle cose!

PUBBLICO: Evidentemente non sono un mezzo antroposofo, non sono neanche un quarto.

ARCHIATI: Però l’importante è adesso, oltre la battuta, è importante che ci capiamo. Ci siamo capiti o no?

PUBBLICO: Sì, sì.

ARCHIATI: Eh, sono cose molto importanti! Cioè non andiamo per estremi: o capisco il tutto dell’essere o non capisco nulla, o è superficiale. No, la cosa è complessa, però il suo pensiero è molto importante, di non credere che nel momento in cui io ho due esseri umani, sono due amici, è questo che lui voleva dire, no!, qui un amico, qui l’altro amico. Lui diceva: un essere non può cogliere l’intimissimo, la natura intima dell’altro, altrimenti dovrebbe essere l’altro, dovrebbe diventare l’altro! È questo che lui voleva dire.

Però, tra il cogliere il tutto, il centro dell’altro, e cogliere nulla, c’è un sacco di comunicabilità, che non deve essere tutta superficiale. Perché se è tutto superficiale allora entriamo in questi spiritualismi del tutto o nulla: o ho tutto di te, o ho nulla! No, no, no! O ho il tutto del capire il Logos fatto carne, o ho il nulla! Tra il tutto e il nulla c’è tutto il cammino dell’evoluzione, dove può diventare sempre di più; questo è il discorso.

Allora, leggiamo fino alla fine questa aggiunta e poi facciamo una pausa.

Non una raffigurazione fantastica di come il mondo apparirebbe diverso a sensi che fossero diversi dai nostri, può spingere l’uomo “spingere”, tu usavi la categoria del pungolare; spingere è un pochino di meno; provocare: ancora di meno, lascia più liberi; comunque, dicevamo, son tutte metafore spingere l’uomo a cercare di conoscere il suo rapporto col mondo, bensì la comprensione che qualsiasi percezione dà solamente una parte della realtà che in essa si trova, e allontana quindi dalla sua propria realtà. A questa comprensione si aggiunge allora l’altra, che il pensare conduce a quella parte della realtà che la percezione nasconde in se stessa. Ieri dicevo: in tedesco si dice erfinden, ma in tedesco c’è anche ent decken, che significa proprio scoprire.

Decke è la coperta – die Decke – che si mette sopra; coprire; la percezione copre e il pensiero: ent deckt, e in tedesco ent decken significa proprio: togliere la coperta, scoprire. Il fatto che nel campo dell’esperienza si presenta la necessità di non parlare affatto di elementi direttamente visibili e percepibili, ma di grandezze non visibili, come le linee di forza elettriche o magnetiche e così via, può essere disturbante per l’osservazione imparziale del qui indicato rapporto fra percezione e concetto eleborato pensando. Potrebbe sembrare che gli elementi della realtà dei quali parla la fisica non abbiano a che fare né con ciò che è percepibile, né coi concetti eleborati nel pensare attivo. Scusate, le cose di cui parla la fisica, che non si sono ancora viste, perché sono troppo piccole ecc., sono pensate per natura percepibili; così come la quarta luna, che non era stata percepita; fino a quel tempo era rimasta invisibile, non percepita.

Però Galileo la concepisce come una cosa che prima o poi deve dimostrare di essere percepibile, se no non è una realtà.

Quindi la fisica non parla, come il realismo metafisico, di realtà che sono difatti per natura non percepibili; ma parla, all’opposto, di realtà che dovrebbero per natura essere percepibili; e soltanto facendo l’ipotesi che devono essere per natura percepibili, per la fisica sono realtà; soltanto in base a questa ipotesi.

Invece il realista metafisco incappa in questa contraddizione assoluta: che postula delle realtà a cui deve attribuire delle qualità fondamentali del percepibile – che occupa spazio, o è in movimento ecc. – però la pone come, per natura, inconoscibile; quindi non percepibile. E si contraddice perché gli dà delle qualifiche che sono solo della cosa percepibile, però dice: non è percepibile, non è conoscibile per nulla.

Quindi c’è una bella differenza tra il realista metafisico che si contraddice essenzialmente, e la fisica che parte dal presupposto che se qualcosa è reale, prima o poi dev’essere percepibile; e se non è mai percepibile non è reale.

E questo modo di pensare è sano.

Questa sarebbe tuttavia un’opinione basata sopra un’illusione creata da noi stessi. Importa innanzi tutto rilevare che tutto quanto viene elaborato dalla fisica, purché non si tratti di ipotesi infondate le quali devono restare escluse, è acquistato attraverso percezione e concetto. Ciò che è un contenuto apparentemente invisibile viene trasposto, da un retto istinto conoscitivo del fisico, nel campo delle percezioni, e pensato in quei concetti con i quali in quel campo si è attivi. Le azioni delle forze nel campo elettrico o magnetico, e simili, non si acquisiscono, nella loro vera essenza, con un processo conoscitivo diverso da quello che si svolge fra percezione concetto. Solo che la percezione magari finora non c’è stata, ma se è una realtà deve essere percepibile, e se non è percepibile per natura non è una realtà.

Un maggior numero o una diversa formazione dei sensi umani ci darebbe immagini percepite diverse dalle attuali, e un arricchimento o una diversa formazione dell’esperienza umana, ma anche di fronte a tale esperienza una vera conoscenza dovrebbe sempre essere acquisita per via dell’azione reciproca di concetto e percezione.

Quindi il modo di pensare del fisico è sano; non è un metafisico, un realista metafisico; è sano e dice: io ho qualcosa di reale soltanto se prima o poi salta fuori la percezione, finché non c’è la percezione non posso farne qualcosa di reale; però, in base ai fenomeni che ho, faccio l’ipotesi che lì ci deve essere qualcosa di non percepito, però di principio percepibile. Così come Galileo diceva: questa quarta luna non è stata finora percepita, ma ci deve essere! E che cosa mi dimostra che c’è? La percezione! La dimostrazione apodittica che c’è, è che salta fuori la percezione.

L’approfondimento della conoscenza dipende dalle forze dell’intuizione che si esplicano nel pensare (cfr. pag. 79). Tale intuizione, in quell’esperienza che si svolge nel pensare, può penetrare in substrati più o meno profondi della realtà. Per forza di pensiero, non per pungolo della percezione; perché se noi rendessimo il pungolo della percezione concomitante a livelli un pochino più forti, dovremmo essere tutti pensatori a livelli abbastanza uguali, perché il pungolo della percezione è uguale per tutti.

Allora diciamo, restando all’immagine, che il pungolo della percezione “punge”, di più o di meno, a seconda del pensare! Per la mente ottusa il pungolo non c’è, non ci arriva. Perché?, perché è ottusa, non è acuta. Per la mente acuta la percezione diventa acuta e punge, sorgono un sacco di domande; quello è il pungolo! Le domande non me le dà la percezione, me le dà il pensare.

Attraverso l’allargamento del quadro della percezione, questo approfondimento può ricevere nuovi stimoli e venire in questo modo indirettamente alimentato. Allora: non “pungolato”, ma “alimentato”, dal mangiare, però i denti ce li devo mettere io, e “indirettamente”. Quindi vedi quanta precauzione per evitare di dare alla percezione una partecipazione attiva a quello che fa il pensare! È il pane per i denti, la percezione – i denti sono il pensare – però a che ti serve… Il pane è concausa del mangiare?

No! È condizione necessaria, ma non causa, perché io posso far a meno di mangiare.

PAOLO: Però, Pietro, quello che diceva lui, in fondo, è che tu ricevi, nell’approfondire il tuo pensare, delle percezioni nuove dalle quali sei stimolato a pensare. Cioè quello che dice qui, in fondo è indirettamente alimentato. È interessante però perché tu, nell’approfondire la tua capacità pensante, ti trovi davanti qualcosa sulla quale devi pensarci di nuovo. Cioè, è come uno scambio, un percorso che va avanti fra percezione e concetto, ma arrivano nuove percezioni, cioè ti arrivano delle cose che non avevi ancora pensato, perciò su quelle ci devi pensare, no?

ARCHIATI: No, no. Sta attento, difatti tu stesso cercavi di mettere a fuoco… ma ogni tentativo di attribuire alla percezione un qualsiasi concorrere all’evento, alla creazione del pensare, è un errore, è un’illusione.

PAOLO: Diciamo che il tuo pensare svela qualcosa, sulla quale poi deve subito intervenire, perché svelando si trova davanti anche qualcosa di nuovo.

ARCHIATI: Voglio dire questo, però credo che sia importante capirci in chiave psicologica: essendo abituati ad essere passivi, vorremmo che la percezione ci aiutasse, ma non ci aiuta, e non può aiutarci. Allora, psicologicamente io ti dico, però non è che voglio aver ragione, l’importante è capirci: noi viviamo in tempi in cui questo manducare, questa alimentazione – che è la percezione – si è moltiplicata all’infinito! – il mangiare, il mangiabile – e il pensare non è mai stato così povero come oggi!

Questa è la controprova che mi fa capire: no, no, no, ogni tentativo di attribuire alla percezione una qualsiasi partecipazione alla creazione del pensare, è un errore, è un’illusione.

PAOLO: Per cui quando tu dicevi: è vero che tu cogli nel bambino che manca qualcosa, tu ti accorgi… sì, però in una tua percezione del bambino ti accorgi che lì ti manca qualcosa, perché ci vuole qualcos’altro per cogliere…

ARCHIATI: Sì, e qual è il contributo della percezione a questa intuizione che io ho che manca qualcosa? Nulla! Perché lui non ce l’ha e a un altro non gli manca nulla. Perché se la percezione contribuisse anche soltanto del 3%, il 3% ce l’avrebbe anche l’altro, invece l’altro: io non ho bisogno del tuo angelo custode!

MASSIMO: Scusa, Pietro, posso dire a questo punto allora che, una volta esercitato questo pensare, sviluppato dalla persona adulta che ha fatto un cammino di esercizio utilizzando le percezioni dovute agli organi di senso materiali, ecco, una volta che questo pensare è cresciuto nel suo esercizio, questo pensare, che prima mi lavorava sulla percezione, ora diventa esso stesso un organo di senso; cioè si capovolge un po’, è un po’un Giano bivalente, nel senso che mentre prima lavorava sulla percezione pensando i concetti, questa volta diventa lui stesso, nell’intuizione, trasformandosi, raggiungendo il livello intuitivo, diventa organo di senso. Quindi, da una parte l’accoglie, la percezione, dall’altra la pensa.

ARCHIATI: Non ti serve creare una struttura alternativa dello spirito umano: ce n’è una sola! E la struttura dello spirito umano, sia che affronti la percezione dei sensi del corpo, sia che affronti la percezione dei sensi dell’anima, dei sensi dello spirito, o quello che vuoi, è sempre, e rimane sempre, la stessa struttura.

La soglia di cui tu parli, dove c’è una specie di rispecchiamento, una specie di inversione, non riferirla alla natura dello spirito umano, perché allora dovresti cambiare tutti i registri. Riferiscila alla luce. Alla luce!

Io, stamattina, verso le 5 mi sono messo a tavolino e ho detto: vediamo un po’ se stamattina mi riesce di presentare un pochino i misteri della luce. Cosa non da poco!

Ci sono tre tipi di luce – allora, fatemi vedere un po’ qui, la terminologia italiana che mi sono inventato – .

Allora: c’è la luce che conosciamo, chiamiamola fisica, materiale; però la luce non è percepibile, è il limite del percepibile; la luce ci fa percepire tutte le cose fuorché la luce!

Quindi questo primo mistero della luce, Steiner l’ha indicato tante volte, perché lavorando a questi concetti limite – la luce è un concetto limite, perché è il primo percepibile non percepibile – è percepibile indirettamente perché percependo le cose che sono illuminate dalle luce sappiamo per illazione, che ci dev’essere la luce; ma la luce non è percepibile. Se ci fosse solo luce non percepiremmo nulla! Solo nel momento in cui crea l’ombra, come contrasto, l’ombra la percepiamo, ma la luce no.

Perciò la chiamo: luce fisica–materiale, ma tutto tra virgolette perché non è percepibile. Questa luce fisica–materiale ci evidenzia, ci rende visibili, ci rende percepibili, evidenzia la percezione sensibile, la percezione chiamiamola corporea.

Cos’è che mi consente di percepire la margherita? La luce del sole! Il sole magari è percepibile, quella palla di fuoco, se volete; però la luce in quanto tale non è percepibile. Importante questo!

Una delle cose che in fisica pura dà parecchio da masticare al pensare umano, perché il fisico deve dirsi: la luce in quanto tale non è percepibile: che facciamo? Come la evidenziamo?

Il secondo tipo di luce…

PUBBLICO: La luce elettrica.

ARCHIATI: No! La luce elettrica è luce fisica–materiale imprigionata; quindi la luce elettrica è la sottonatura della luce naturale, materiale naturale. La luce elettrica è la luce naturale, snaturata; resa prigioniera! Tutti concetti limite che non sono facili, eh!

Il secondo tipo fondamentale di luce: la luce del pensiero, la luce del pensare, che mi illumina di concetti!

Che luce è? È luce: capisco, vedo, capisco. È luce, però non è più luce che illumina una percezione materiale, illumina una percezione spirituale che è il concetto; me lo illumina: lo capisco.

Questa luce è la luce umana, la chiamo luce umana. È la luce specifica dell’uomo. È la luce generata dall’uomo. È la luce del pensare.

SIG.RA: Non è una metafora.

ARCHIATI: Se vuoi, perché se tu dici: questa luce è una metafora rispetto all’altra, è, come dire, ti costringi ad essere povera nel pensare. Se invece vuoi essere più ricca nel pensare dici: posso fare anche l’opposto: quella prima è una metafora della seconda. Questa è la vera luce, quella è soltanto una metafora e allora ti muovi più liberamente, e allora eviti i dogmi. Perché i dogmi saltano fuori quando uno prende una dimensione, che per il pensare sarebbe più feconda se restasse mobile, e l’assolutizza.

SIG.RA: Diciamo che nel materialismo è l’inverso.

ARCHIATI: Ecco! Perché la luce di cui noi parliamo, non la percepiamo; quindi il termine “luce” è una metafora di cosa? Di qualcosa che non percepiamo.

Il secondo tipo di luce evidenzia, rende visibili, rende percepibili, evidenzia i concetti.

Il terzo tipo di luce: la luce spirituale, il Logos.

Cosa evidenzia, cosa rende percepibili questa luce spirituale?

Rende percepibili esseri spirituali, evidenzia esseri spirituali. Perché il Logos dice: l’angelo sia e l’angelo fu, evidenzia esseri spirituali, crea esseri spirituali.

Quindi la luce materiale crea le percezioni corporee, la luce del pensare crea i concetti, la luce spirituale del Logos crea esseri spirituali.

3 – LUCE SPIRITUALE - IL LOGOS

EVIDENZIA ESSERI SPIRITUALI

2 – LUCE DEL PENSARE – LUCE UMANA

EVIDENZIA I CONCETTI

1 – LUCE FISICA MATERIALE – LUCE NATURALE

EVIDENZIA LA PERCEZIONE CORPOREA

NADIA: Mi vien da dire che tutto è luce

ARCHIATI: Sì, certo!

NADIA: E il nostro è un ritorno a ciò che siamo; e la non-luce è una carenza di luce e la sentiamo come un bisogno di cammino. Da quello che hai detto io ho percepito in me…

ARCHIATI: Ho capito, dài!

NADIA: …ho capito che tutto è luce e questi passaggi, questa differenza di tipi di luce è il nostro cammino per tornare nella luce; ma tutto è luce e quello che non comprendiamo è carenza di luce, cioè siamo nella carenza della luce. Cioè, diventa semplice.

ARCHIATI: Serve quello che stai dicendo? A che serve?

NADIA: Non so.

ARCHIATI: Allora questo tipo centrale di luce, soltanto questa luce è la nostra creazione, qui siamo a casa: Questa è la nostra creazione! La luce di sotto ci dà percezioni, come foraggio per questa luce e la luce di sopra ci dà esattamente percezioni per il pensare, ne più ne meno.

Quindi tutta la scienza dello spirito di Steiner, per me, è percezione; e tutto sta a vedere cosa io ne faccio col pensare. Però questa luce del pensare, non soltanto la luce del pensare è sua, dell’uomo, ma è lui questa luce! Lui illumina, illuminare significa concettualizzare, illuminare significa trasformare una percezione in concetto.

Quindi il concetto di percezione è per natura (cosa) buia, oscura, non so cos’è! Quindi la percezione è un frammento di oscurità nel pensare e il pensare illumina questo buio creando il concetto. E il concetto è un’illuminazione.

Però l’illuminare avviene, per l’uomo, nel pensare; e illumina sia il buio del mondo fisico, sia, tale e quale, il buio del mondo spirituale. Perché per l’uomo, sia le cose materiali, sia le cose spirituali si illuminano soltanto nel pensare. Finché io non ho il concetto di angelo, ma soltanto la descrizione di Steiner, di ciò che lui percepisce, cosa ho io dell’angelo? Il buio! Creando il concetto di angelo con lo stesso processo di pensiero con cui creo i concetti delle cose materiali, illumino nel mio pensare la realtà dell’angelo, perché la realtà dell’angelo è il concetto dell’angelo, scusate!

Per il concetto non c’è bisogno della percezione materiale. Per la rappresentazione ho bisogno della percezione.

Torniamo indietro, ho detto: un essere umano può costruirsi il concetto di leone senza la percezione; basta che l’altro, che si è formato il concetto in base alla percezione glielo descrive, gli descrive la percezione, per esempio.

Ma comunque il concetto non è dipendente dalla percezione; anche questo tra l’altro sta a dire quanto poco la percezione contribuisce al pensare: il concetto si può costruire anche senza la percezione diretta.

Qualcuno deve averlo percepito il leone, ma non io; e perciò io, leggendo Steiner, dico: guarda che tu mi presenti la realtà dell’angelo soltanto se mi evidenzi due lati: che tu l’hai percepito e che ci hai pensato sopra; ma non ho bisogno di percepirlo io.

INTERV.: Scusa Pietro, volevo dire una cosa riguardante la luce fisica; per quello che posso vedere io, sia gli esseri umani, sia gli animali, sia le piante, reagiscono tutti alla luce. Infatti se la pupilla è dilatata al buio, come arriva la luce di una lampadina, la pupilla si contrae; così come allo stesso modo gli alberi, cioè gli esseri vegetali, si orientano verso la luce, quindi reagiscono alla luce, indipendentemente dal fatto di vedere le cose che vengono illuminate dalla luce.

ARCHIATI: Ripeti il tuo concetto fondamentale.

INTERV.: Il mio concetto è questo: che se noi siamo al buio, abbiamo la pupilla dilatata, se arriva la luce di una lampadina la pupilla si contrae; questo vale per gli esseri umani e per gli animali, mentre per quanto riguarda le piante, così come per gli esseri umani e per gli animali, alcune vitamine vengono prodotte soltanto quando c’è la luce; allo stesso modo nei vegetali la sintesi clorofilliana avviene solo se c’è la luce; così come le piante si orientano verso la luce.

Quindi c’è un agire diretto della luce, sia sugli umani e sugli animali, sia sugli esseri vegetali.

ARCHIATI: Lei qui dice… allora qual è la domanda?

INTERV.: Eh, che è percepibile, cioè la luce è una cosa percepibile.

ARCHIATI: No, no, no! percepisci gli effetti della luce. Gli occhi che si contraggono o che si dilatano… non percepisci la luce, percepisci gli effetti della luce, non la luce in quanto tale.

INTERV.: Beh, insomma, è un po’ dubbia come cosa! È un po’ dubbio se uno percepisce un effetto, o se è l’effetto diretto della luce!

ARCHIATI: L’effetto diretto non è la luce, non è la causa. L’effetto diretto è l’effetto diretto di una causa, sono due cose diverse.

Allora, visto che è già mezzogiorno propongo di terminare di leggere la prima parte, poi, leggere insieme l’inizio della seconda perché riassume tutta la prima parte, e di andare a casa con questa sintesi di tutta la prima parte fatta all’inizio della seconda.

L’approfondimento della conoscenza dipende dalle forze dell’intuizione che si esplicano nel pensare (cfr. pag. 79). Tale intuizione, in quell’esperienza che si svolge nel pensare, può penetrare in substrati più o meno profondi della realtà. Attraverso l’allargamento del quadro della percezione, questo approfondimento può ricevere nuovi stimoli e venire in questo modo indirettamente alimentato. Ma in nessun caso né il penetrare nei profondi substrati, né il raggiungimento della realtà, dovrebbero essere scambiati con lo star di fronte ad un’immagine di percezione più o meno vasta, in cui sempre si trova solamente una metà della realtà, così come essa viene condizionata dall’organizzazione del soggetto conoscente. Chi non si perde fra le astrazioni come il realista metafisico intende capirà, si convincerà del fatto che per la conoscenza dell’essere umano va preso in considerazione pure il fatto che per la fisica devono essere resi accessibili, nel campo della percezione, elementi per i quali non vi è un organo di senso determinato, come vi è per colore e suono.

Però si tratta di percezioni e di percepibilità, anche se non così netta, così precisa, come quando c’è un organo di senso localizzato. Fra i 12 organi di senso di cui parla Steiner, non tutti sono localizzati come l’udito, o l’occhio, ecc.. Per esempio l’organo di senso del vitale, del senso della vita, l’organo di senso che percepisce lo stato vitale, o devitalizzato dell’organismo, è il corpo intero; quindi l’organo di senso diventa molto più complesso.

Ora, l’organo di senso che percepisce onde magnetiche, oppure realtà elettriche ecc., si va a livelli in cui l’organo di senso è molto più complesso. Però il fisico, che procede pulitamente, mette alla base sempre il presupposto che una cosa è reale soltanto se è percepibile, anche se a organi di senso che possono essere molto complessi.

Il concreto essere dell’uomo non è soltanto determinato da quello che egli, per mezzo del suo organismo, si pone davanti come percezione immediata, ma anche dal fatto che c’è dell’altro che egli esclude da tale percezione immediata.

Cos’è che si esclude da tale percezione immediata?

Il vitale, l’animico e lo spirituale; l’eterico, l’astrale e lo spirituale!

Quindi, già a partire da qui, come soglia che la Filosofia della Libertà ci indica come limite del percepibile ai sensi corporei, ci chiediamo: ma se ogni realtà dev’essere percepibile, ci sono delle realtà che sono, per i sensi corporei, per natura non percepibili?

L’anima, per esempio; lo spirito, per esempio.

Allora, o saltano fuori organi di percezione di ciò che non è percepibile agli organi di senso corporei, oppure resterà per noi una non realtà.

Come per la vita è necessario lo stato incosciente di sonno accanto a quello cosciente di veglia, così per l’auto-esperienza dell’uomo è necessario che, accanto alla sfera della sua percezione sensibile, si trovi, nel medesimo campo dal quale provengono le percezioni sensibili, una sfera, assai più grande dell’altra, di elementi non percepibili sensibilmente. Tutto ciò è stato indirettamente già detto nel testo originario di questo libro, il cui autore fa qui questa aggiunta, perché ha constatato per esperienza che vari lettori non lo hanno letto con sufficiente precisione. Occorre anche considerare che l’idea di percezione è questo che dicevo all’inizio, stamattina: il concetto allargato di percezione quale è svolta in questo libro, non va confusa con quella di percezione sensoria esteriore, che della prima costituisce soltanto un caso particolare. Già da quanto precede, ma più ancora da quanto verrà più oltre sviluppato, nella seconda parte della Filosofia della Libertà si vedrà che qui si considera percezione tutto ciò che viene incontro all’uomo, sensibilmente e spiritualmente, prima di venire afferrato dal concetto attivamente eleborato. Dal pensare Per avere delle percezioni di natura animica o spirituale, non occorrono dei sensi del genere che comunemente si intende. Si potrebbe dire che è inammissibile questo allargamento dell’uso comune del linguaggio questa correzione del concetto di percezione se non che esso è assolutamente necessario se non si vuole che, in certi campi, proprio l’uso del linguaggio ci incateni nel nostro sforzo di ampliare la conoscenza.

È questo che volevamo dire: non ampliando il concetto di percezione si attribuisce alla percezione un certo concorrere al pensare che difatti non ha, perché il concetto puro di percezione è: il nulla del pensare!; perché è qualcosa che trovo indipendentemente dal pensare; e il pensare è una creazione dal nulla.

Solo con questo concetto di percezione; di passività assoluta, di qualcosa che trovo senza un minimo di concorrere mio, e di attività assoluta, posso servirmi – di questo concetto di percezione – anche per percezioni fatte sull’animico, fatte sullo spirituale; e il pensare resta lo stesso, che prende posizione, che attivamente crea concetti.

Chi parla di percezione soltanto nel senso di percezione sensoria non arriva a formarsi neppure su questa percezione sensoria un concetto utilizzabile per la conoscenza. Occorre talvolta ampliare bisogna, si deve, è necessario! un concetto perché esso consegua, in un campo più ristretto, il significato ad esso adeguato.

Quindi il concetto che l’uomo normale ha di percezione, ritenendo percezione soltanto la percezione sensoria, ha un concetto sbagliato di percezione, e le attribuisce un concorrere al pensare che difatti la percezione non ha; e pulisce, rende il concetto di percezione puro, scientificamente esatto, soltanto se amplia il concetto di percezione, per includere anche la percezione nell’animico e la percezione nello spirituale.

E alle volte è anche necessario aggiungere dell’altro a ciò che in un primo tempo è stato pensato in un concetto, affinché quello che fu così pensato trovi la sua giustificazione o la sua rettifica. Si trova detto, per esempio, in questo libro (pag.89): « la rappresentazione è dunque un concetto individualizzato ». Mi si è fatto l’appunto, a proposito di questa espressione, di aver fatto un uso insolito della parola. Ma era necessario che facessi così, per arrivare a far vedere che cosa veramente sia la rappresentazione. Che accadrebbe del progresso della conoscenza, se ad ognuno che si trovi nella necessità di rettificare dei concetti si facesse l’obiezione: «Questo è un uso insolito della parola?»

ARRIVEDERCI AL PROSSIMO INCONTRO!

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A proposito di Pietro Archiati

Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capriano del Colle (Brescia). Ha studiato teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università statale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).

Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.

Nel 1977, durante un periodo di eremitaggio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito – destinata a diventare la grande passione della sua vita – indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invisibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.

Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafrica durante gli ultimi anni della segregazione razziale.

Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, indipendente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.

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