fdl_14_fronte.jpg

Pietro Archiati

Individualità
e specie

Commento a

La filosofia della libertà

di Rudolf Steiner

Volume 14

dal Cap. XIII, par. 27 al Cap. XIV

Indice

Venerdì 27 febbraio, sera

Sabato 28 settembre, mattina

Sabato 28 settembre, pomeriggio

Sabato 28 settembre, sera

Domenica 29 settembre, mattina

L’aggiunta alla seconda edizione (1918)

Dibattito

A proposito di Pietro Archiati

Venerdì 27 febbraio, sera

MARGHERITA: Benvenuti a questo incontro, a questo seminario a nome della nostra scuola Rudolf Steiner; vorrei anche esprimere un grande ringraziamento a Pietro Archiati perché questi seminari si svolgeranno qui, nella nostra scuola, a febbraio e settembre. Quindi grazie di essere venuti sperando di potervi vedere sempre così numerosi.

Vi do qualche informazione di servizio: la scuola organizza una mensa domani, quindi il pranzo e la cena, e anche un servizio bar, per cui siete pregati, chi desidera mangiare qua, di rivolgersi in segreteria per prendere dei buoni.

Grazie ancora di essere qua!

LETIZIA: Allora di nuovo due parole solo prima di cedere la parola a Pietro. Volevo dire questo: siamo in chiusura con la lettura e lo studio di questo testo che abbiamo cominciato ad affrontare nel 2007; quindi sono passati parecchi anni! Questo seminario quindi è particolarmente significativo per me, e sempre tra l’altro emozionante, anche entusiasmante, aprire questi incontri; li ritengo particolarmente significativi; questo poi in particolare è un seminario un po’ di chiusura, però sicuramente non per mettere un punto, anzi, i numerosi interrogativi che sorgono l’ampiezza di prospettive che questo testo ci offre, ci ha mosso proprio a voler ricominciare da capo, ma… volevo dire: le note sono quelle ma sicuramente la sinfonia sarà tutt’altro!

Quindi, come diceva Margherita, avrete visto sulle vostre sedie il volantino già fatto appunto per febbraio, e quindi è già un invito, non solo a partecipare attivamente a questo seminario, ma a tornare a febbraio.

Dicevo sarà tutta un’altra cosa se conosco un po’ Pietro, ma c’è una cosa che sarà costante cioè il criterio che adottiamo in questi seminari: rendere accessibile a tutti questi incontri; per cui insieme al volantino avete trovato due buste, una per l’organizzazione e una per il relatore.

Se volete potete contribuire in modo libero alle spese organizzative – che quest’anno sono veramente ridotte all’osso –, e siccome il criterio appunto, da parte di Pietro, di consegnare piena fiducia al partecipante, perché in base alla propria soddisfazione intellettuale e in base alle proprie forze economiche poi riconosca economicamente ciò che vuole; io penso che questo lasci la gioia e insomma anche la possibilità a chi ha più forza economica di contribuire a chi non ha mezzi, e che è ovviamente il benvenuto, sempre e comunque.

Detto questo lascio subito la parola a Pietro e confido poi che questo tipo di comunicazione della gestione venga da parte vostra comunicato al vostro vicino di sedia, se è una persona nuova, in modo che non si debba continuare a ripetere sempre questo appello, che non è poi un appello, ma è semplicemente una questione organizzativa che riteniamo bella. Cedo ora la parola a Pietro, al carissimo Pietro.

A.: Cari amici, buonasera a tutti quanti! Benvenuti a questo ultimo incontro. Chi non c’è stato avrà un’idea di come affrontiamo questo testo fondamentale dell’umanità moderna, e poi a febbraio ripartiamo da capo!

L’arte dell’umano è di ripetere sempre di nuovo le stesse cose… senza ripetersi! Quindi noi ripetiamo la Filosofia della Libertà senza ripeterci!

Per quelli che sono nuovi, ma anche per tutti noi, una piccola osservazione: questa Filosofia della Libertà… che vuol dire “filosofia della libertà�

Uno dice: mah!…filosofia… ma roba da… noiosa!!! Dimmi in poche parole di cosa si tratta in questa filosofia della libertà!

Io direi: è di gran lunga il testo più fondamentale, più importante nell’umanità moderna, e penso che lo sarà per vari secoli ancora.

Una volta venne chiesto al dottor Steiner: dottore, cosa sarà rimasto di lei fra mille anni? Di tutta la sua antroposofia, di tutto l’esoterismo, robe proprio micidiali; cosa sarà rimasto? E lui rispose: la mia Filosofia della Libertà! Quella sarà attuale almeno per altri duemila anni!

Il sole ci mette 2160 anni – lo sapete, una cifra di astronomia – per passare da un segno zodiacale al prossimo segno zodiacale; questo significa, siccome il sole regge le sorti evolutive dell’umanità – per chi non lo sapesse – non meno della terra… diciamo, insomma, che terra e sole si sono intesi all’inizio dell’evoluzione come si spartiscono i compiti; una delle affermazioni fondamentali è che: ogni 2000 anni circa c’è un enorme passo in avanti; un nuovo registro dell’evoluzione.

Naturalmente quando uno legge qualcosa, sente dire qualcosa – adesso io vi ho detto una cosa del genere – che peso ha un’affermazione del genere?

Il peso che ogni testa, qui in sala, gli dà!

Quindi, le cose che tu senti… le senti; arrivano ai sensi. Ciò che la tua testa ne fa – se ti convince, se non ti convince, se ti aiuta a capire altre cose o no – è questione della tua testa! Quindi io, più che raggiungere i vostri sensi non penso e non voglio fare!

Già l’intento di convincere è prevaricatore della libertà! Perché quando si tratta di esprimere qualcosa non si tratta mai di convincere nessuno.

Quando una persona mi dà l’impressione che sta cercando di convincermi, mi viene voglia di dargli un calcio nel sedere! Perché io voglio convincermi da solo! Non ho bisogno dell’altro che mi convinca!

Quindi anche nella misura in cui voi… siccome io sono un tipo che picchia – non volendo convincervi, ma insomma, sono uno che butta lì certe cose di cui sono convinto – se avete l’impressione che io sia un pochino lesivo della libertà, nel seguito della discussione che c’è sempre, voi vi fate sentire e allora ne parliamo!

Diciamo che 2000 anni fa circa – io ho fatto tutto il discorso perché adesso butto lì una cosa papale papale – 2000 anni fa circa dovrebbe essere successo un finimondo! …2160 diciamo.

Poi, non è che nei trapassi spacca l’ora e lì, fino a quel secondo lì c’è stato il registro di prima, adesso c’è l’altro! Diciamo che: gli ultimi 2000 anni – chiamatelo cristianesimo della fede, del cuore… chiamatelo come volete – si è vissuti come… bambini!

Adesso… perché se non fosse vero questo che dirò sareste qui in 4 o 5 persone, invece di tante quanti siete oggi?

Perché ci sono sempre più teste umane che dicono: io… – dovuto anche a 4 o 5 secoli di scienze naturali, quindi di allenamento del pensiero – ripeto:sempre più teste umane, sempre più persone – una cosa bellissima! – che dicono: io adesso vorrei capire un po’ di più dell’evoluzione, del senso del cammino, del senso della vita; più di quello che ha capito mia madre, o dei miei nonni. E la Filosofia della Libertà è il testo più micidiale che ci sia per capire, capire, capire!

Capire le cose, il mondo, l’evoluzione, la vita, l’essere umano.

E lo strumento del capire, per chi non l’avesse ancora capito!, è il pensare!

Non mi fate una faccia così cadaverica! Il pensare è la cosa più bella che ci sia! Essere creativi a tutti i livelli! E abbiamo un’infinità di gente mezza morta perché non ha ancora scoperto la gioia, la prorompente gioia del pensare!

Ma alla base di ogni momento bello, una melodia che si crea, una poesia… da dove nasce una poesia? Nasce mentre uno dorme?

No, nasce dal pensare!

Sì, però tu allora dici: ma questo è un pensare tutto diverso dal pensare astratto, dal raziocinio, dalla razionalità astratta che conosciamo e che disdegnamo perché è troppo astratta, perché astrae dal cuore, astrae dalla vita…

Certo! parliamo di un pensare un po’ diverso – casomai è un concetto nuovo del pensare –; intendiamo dire: col pensare si intende la creatività umana a tutti i livelli.

Perché per ogni processo di creatività, che sia nel cucinare, che sia nell’arte della pedagogia, che sia nell’arte del dialogo fra persone umane, alla base c’è sempre il pensare.

L’intuito del cuore, della mente e del cuore. È un tipo di pensare, quello di cui parliamo, in cui mente e cuore diventano una cosa sola.

E la Filosofia della Libertà ha due parti…

Allora dicevo: 2000 anni fa… cos’è successo 2000 anni fa?

Visto che abbiamo sempre più persone – cosa comprensibilissima, soprattutto in Italia, in Germania un po’ di meno – che del cristianesimo dicono peste e corna, allora io da un po’ di tempo ho mandato a ramengo la parola – la parola però, eh! – la parola Cristo, e lo chiamo: Logos! In greco: Logos.

Il vangelo di Giovanni, mica dice: all’inizio c’era il Cristo; no!: all’inizio c’era il Logos. Mica c’è bisogno della parola Cristo; via!

Uno pensa subito alla chiesa, poveri noi! Tra l’altro io ho dimostrato con la mia biografia che la chiesa l’ho messa (un po’ da parte).

Ci sono andato insieme anch’io finchè ero bambino, poi quando ho cominciato a usare la mia testa non combaciavano le cose e ho detto: vi saluto! E da allora sono felicissimo!

Chi è il Logos?

Il più gran pensatore che ci sia!

E la sua pensata?

Il mondo!!!

Oooh! ‘Mazzalo!

Da dove è sorto il mondo?

Da questo pensatoio. Il pensare è puro creare. Creare intuitivo.

Il pensare non viene causato da qualcosa per cui io devo risalire…

Da dove viene il pensare?

Se io dicessi: “da dove viene il pensare?†dovrei trovare la causa, ancora prima, che causa il pensare! No!, lo spirito che pensa non ha una causa: è un inizio in assoluto!

All’inizio c’è sempre lo spirito che pensa. Non può essere causato; perché per essere causato dovrebbe essere causato da uno spirito che pensa ancora più fortemente, ancora più profondamente, ancora più ampiamente, per causare questo spirito.

E noi siamo fatti, essendo dotati come esseri umani di “pensatoioâ€, siamo della stessa pasta! L’uomo è creatura del Logos: è dotato di spirito creatore.

Ma allora, se son dotato di spirito creatore dovrebbe andar tutto bene, no?!

Come mai ci sono le contestazioni, come mai le scontentezze, ecc.?

Lui (il Logos) è spirito creatore, pensatore in modo creante “in actuâ€, dicevano gli scolastici; noi lo siamo “in potenzaâ€.

Che cosa è meglio, essere spiriti pensatori, artisticamente creatori col pensare, già attualizzati, o in potenza?

Se fossimo già attualizzati, per noi spiriti umani, la cosa sarebbe noiosa! Non ci resterebbe nulla da fare!

Ora, la più bella pensata questo pensatore (Logos) l’ha fatta creando l’uomo. Ha detto: voglio creare un tipo di spirito a cui do la soddisfazione che essere spirito creatore non glielo do già bello e fatto; gli do la possibilità, la facoltà, la potenzialità di diventare spirito creatore in modo che si goda all’infinito il fatto di diventare sempre più uno spirito creatore.

Quindi l’essere umano è uno spirito creatore in potenza. Ha la capacità di diventare sempre più artisticamente creativo nel pensare. Ma nessuno lo costringe a farlo, se no non ci sarebbe la libertà; la cosa più bella è la libertà.

La pedagogia, cosa fa? Inculca qualcosa al bambino?

Nooo! È una pensata tutta sbagliata! La pedagogia fa spazio, e tutte le potenzialità, tutte le energie, tutte le capacità, diciamo latenti, intrinseche, immanenti, che però si vogliono esprimere nel bambino, la pedagogia dà loro spazio in modo che si possano esprimere.

Gli creiamo un campo di azione che poi salterà fuori… può venir fuori soltanto quello che c’è in potenza; cioè come capacità già dentro nel bambino. Non posso io dare al bambino, dal di fuori, qualcosa che non gli appartiene. O gli appartiene, e allora salterà fuori se si creano le condizioni, o non gli appartiene.

2000 anni fa; oggi, diciamo che si sono creati sempre di più i presupposti per diventare creatori; abbiamo sempre più – 2013 – sempre più esseri umani che, come dicevo, vogliono, desiderano, coltivare sempre di più questa potenzialità del pensiero.

E le due parti della Filosofia della Libertà: la prima parte è la libertà nel pensare, e poi la seconda parte è la libertà nell’agire. L’autonomia nel pensare e l’autonomia nell’agire.

Siamo ora nella seconda parte del XIII° capitolo. Cosa vuol dire: autonomia nell’agire? – Steiner lo chiama: individualismo etico –.

Ciò che è bene per me non può essere bene per te, e ciò che è bene per te non può essere bene per me; perché se fosse bene per tutti e due sarebbe la stessa cosa: l’umano si individualizza sempre di più.

L’umanità è un organismo, ma l’organismo è un mistero di unità, da un lato, però di molteplicità, di varietà all’infinito, dall’altro lato.

Quindi il bene morale sommmo per me è ciò che io sono nell’organismo dell’umanità. Io non posso essere moralmente più buono di ciò che il Logos ha pensato creando il mio io. Però il mio modo di svolgere l’umano, il mio modo di attualizzare l’umano, per esser sincero, per essere genuino, io sono chiamato a realizzare l’umano in modo del tutto diverso da ogni altro essere umano; altrimenti non avrei il diritto di usare la parola “ioâ€.

In questa parola, che magari in italiano tendiamo a scrivere sempre più in maiuscolo, c’è il mistero dell’unicità di ogni persona. Quindi ogni tipo di morale generalizzata è immorale! Perché distrugge il valore morale supremo che è l’individualità unica e irripetibile.

Adesso pensate voi – le cose che sto dicendo sono atroci, eh! – pensate voi quanti residui di moralità del dovere generalizzato ci trasciniamo! Tutte cose del passato! Nella misura in cui ci conquistiamo l’autonomia del singolo che ha un contributo, un arricchimento del tutto specifico, unico, da immettere nell’organismo dell’umanità, ci rendiamo conto che noi ci trasciniamo enormi sacche di una moralità del tutto anacronistica. E i poteri costituiti fanno di tutto per non far emergere l’individualità, perché l’individualità è scomoda! Il potere tende a uniformare per poter controllare; è ovvio!, basta capirlo in chiave psicologica.

Quindi l’individuo deve trovare la forza interiore per rintuzzare ogni tentativo di livellarlo.

Se volete due immagini dell’uniformare: il militare… cosa porta il soldato?

L’uniforme! Lo dice la parola!

E l’altro esempio: prendete il clero. Adesso la tonaca non c’è più… quella esterna; però quella psicologica c’è ancora!

Uniformazione!

E io vi sto dicendo: uniformare l’umano significa distruggerlo; perché l’umano si esprime soltanto nell’unicità irripetibile di ogni io umano.

Questo è un tentativo di sguardo d’insieme della Filosofia della Libertà.

Il capitolo XIII°, di cui l’altra volta siamo arrivati a metà, è “il valore della vitaâ€.

Problemi con la lavagna.

Allora, volevo cancellare… in Germania dico sempre che un bravo oratore non perde il filo del discorso perché non ce l’ha!

Allora: cap. XIII°: “Il valore della vita: pessimismo e ottimismoâ€. Ed eravamo arrivati al paragrafo 34; vedo che tutti quanti avete il libro “La Filosofia della Libertàâ€; tutti quanti l’avete imparato a memoria – lo presuppongo naturalmente –.

Qual è il valore della vita?

Il valore della tua vita sei tu! Altro valore non c’è! È illusorio. Sei tu!

Se tu vali al 100%, la tua vita vale il 100%. Se tu sei una mezza cartuccia, la tua vita vale come una mezza cartuccia.

E chi decide quanto io valgo?

Tuuu! Mica io! Io ho abbastanza da fare, se tutto va bene. Ho da fare i conti miei, capito!

Allora, hanno ragione gli ottimisti o i pessimisti?

L’ottimista – mettiamolo concreto – dice: la vita è bella!

Il pessimista dice: la vita è brutta!

Quando uno non sa, non è sicuro, c’è un trucco! E il trucco è di dar ragione a tutti e due, perché dando ragione a tutti e due… se io do ragione soltanto a uno mi costringo in una direzione, poi magari salta fuori che è quella falsa, quella sbagliata, e mi devo ricredere. E ricredersi in fatto di pensare è una cosa un po’ pericolosa! Vado nel sicuro quando io ho apparentemente gli opposti e la sfida massima del pensiero… io ti vedo, vedo la qualità del tuo pensiero nel tuo modo di affrontare gli opposti!

Quindi il pensiero si approfondisce maneggiando il paradosso!

È un paradosso che tutti e due hanno ragione?

Sembrerebbe! Perché: o ha ragione l’uno, o ha ragione l’altro…

No!, hanno ragione tutti e due! Per l’ottimista la vita è bella! Ha ragione!

E per il pessimista la vita è brutta. Ha ragione!

Se tu sei ottimista hai ragione! E se sei pessimista hai ragione!

Sei contento di essere pessimista… va tutto bene! Godi il pessimismo!

Ma allora, se godi il pessimismo ci sarebbe il pericolo… se sei contento di essere pessimista potrebbe saltar fuori il pericolo che magari, non sia mai, cominci a diventare ottimista!

Quindi, sta attento, non devi permettere di essere contento di essere pessimista, perché il pessimista è scontento per natura! Quindi non hai il diritto di andare in giro con la faccia bella sorridente; hai soltanto il diritto, se sei un pessimista, di andare in giro con la faccia cadaverica! La vita è brutta, brutta, brutta!

E perché non te la sei ancora tolta!?

Sei conseguente?

Si può vivere la vita da pessimisti; è permesso, non è proibito! E si può vivere la vita da ottimisti; è permesso, non è proibito!

Adesso voi mi chiederete: ma qualè la differenza?

La differenza tra ottimismo e pessimismo si può dire in tanti modi; non è che io quando butto lì delle frasi oracolari, non è che intendo dire che le cose si possono dire soltanto così; si possono dire in mille modi. Io tiro fuori qualcosa, poi, essendo noi esseri umani sempre più individualizzati il parlare di fronte a 100 persone diventa sempre più difficile, perché ciò che è accessibile a una persona non è accessibile all’altra, e allora le cose bisogna cercare di esprimerle in modi diversi in modo che ognuno ci capisca qualcosa; poi, diciamo, il dialogo, il dibattito, serve a vedere un pochino cosa è saltato fuori.

Allora, diciamo, il pessimista ha ragione di essere pessimista, di vivere la vita come pesante, come triste, nella misura in cui si attende dal di fuori la felicità. Essere passivi è l’essenza del pessimismo. Nella misura in cui una persona è passiva sarà costretta a diventare pessimista, perché la chiave della felicità, la chiave della gioia, è che si può essere felici, si può essere pieni di gioia, soltanto nella misura in cui si diventa attivi nei confronti della vita.

Quindi le persone che bene o male, ognuno a modo suo, trovano il modo di far sprigionare dall’interiorità una certa presa di posizione, quindi una sorgente di attività, non diranno mai che la vita è brutta; diranno la vita è bella: sono ottimisti.

Colui che in qualche modo non attiva dal di dentro la sorgiva della creatività della mente e del cuore, si sente, come dire, spinto e causato da tutto ciò che c’è fuori, e dice: la vita non è bella, è brutta!

La chiave è la passività o l’attività!

Il Budda – lo dicevamo già l’ultima volta – la prima delle quattro nobili verità del Budda è: la vita è dolore! Da lì è nato il pessimismo! Il pessimismo di Schopenhauer, il pessimismo di Eduard von Hartmann – Hartmann che per la Filosofia della Libertà è stato fondamentale, perché ai tempi di Steiner era il filosofo dominante a Berlino –. Quei due sono diventati pessimisti un po’ sulla scia del buddismo.

500 anni prima di questa svolta, dell’anno 0… Dicevo prima che verso l’anno 0 è successo un grosso finimondo! Il Logos è entrato nella potenzialità dell’umano; il Logos si è fatto definitivamente potenzialità dell’umano.

Ora, se noi… il Budda è vissuto 500/600 anni prima; il che vuol dire che la capacità di autonomia, la capacità di pensiero a partire dal proprio io, era del tutto incipiente; neanche cominciava! Tant’è vero che una delle affermazioni fondamentali del buddismo originale è che l’io è un’illusione!

E, a quei tempi, era un’illusione!

Quindi il Budda… siccome l’essere umano a quei tempi, tutti noi a quei tempi, si sentiva determinato dal di fuori; questo venir determinato dal di fuori, essere passivi, subire l’esistenza, creava dolore! E il Budda dice: se la vita è piena di dolore andiamo via! E ha creato tutta una religione – l’ottuplice sentiero – per vincere ogni tipo di brama rivolta alla vita sulla terra, in modo da tornare nel nirvana e non aver più bisogno di incarnarsi.

500 anni dopo, l’anno 0, è venuta un’altra proposta; l’affermazione è stata: c’è di meglio!

C’è di meglio che far fagotto, baracca e burattini, e andar via!

E il meglio è: se è vero che nella fase dell’infanzia, dove le forze dell’io, dove la capacità pensante è soltanto proprio incipiente, anziché andar via, lavora, fa di tutto perché questa forza dell’io diventi sempre più grande, sempre più forte, in modo che tu diventi sempre più attivo nei confronti della vita, e che arrivi al punto di avere una forza interiore tale, di pensiero, di cuore, di forze di volontà, che addirittura tutti gli ostacoli, che prima ti rendevano la vita dolorosa, adesso gli stessi ostacoli li benedici!

Meno male che ci sono gli ostacoli; grazie al vincere gli ostacoli posso diventare sempre più creatore… gli ostacoli del pensare sono i paradossi, per esempio!

Soluzione alla vita come dolore, non è quella di scappar via, ma dicreare una forza interiore tale, un’autonomia nel pensiero e nel cuore tale, un’attività, una sorgiva tale, che l’essere umano dice: ma è bello essere su questa terra, in questo contesto infinito di forze e contro forze, perché son tutte occasioni per diventare sempre più creatore!

E l’essere umano può vivere la libertà e la creatività soltanto sulla terra; non andando a far concorrenza agli angioletti che suonano il violino e il mandolino in paradiso!

Io ho una sorella suora che per tutta la vita è tutta intenta ad andare in paradiso. Manco un po’ si rende la vita sulla terra un inferno per poi andare in paradiso! Ma se hai fatto esperienza soltanto dell’inferno, del dolore, vai giù, no!

Poi una volta ho detto a questa mia sorella: guarda, se in paradiso c’è certa gente che conosco vado più volentieri all’inferno! E poi le ho detto: tutte queste rappresentazioni del paradiso… ci sono questi angioletti che suonano… una mezzoretta … magari due ore di concerto va bene, ma poi…!

Invece nelle rappresentazioni dell’inferno lì sì che c’è qualcosa! Lì sì che ci vado più volentieri!

Ditemi voi: quando si studiava la Divina Commedia, cos’era più interessante, l’inferno o il paradiso?

PUBBLICO: L’inferno!!!

A.: Il paradiso, dài… aria fritta! – per la maggior parte delle testoline che ci sono! –. L’inferno invece… lì è più interessante la cosa!

La vita, o si gode sulla terra, o non si gode nulla! Il paradiso, o c’è qui e ora, o non c’è! Non esiste!

Il paradiso, come anche l’inferno, è uno stato di coscienza: paradiso è uno stato di coscienza che crea, che sprigiona mondi all’infinito, e l’inferno è… lasciarsi fare, subire tutto! Un’inferno peggiore non c’è e non ci sarà mai!

Questo sul XIII° capitolo.

Adesso vi riassumo brevemente alcuni punti fondamentali di quello che avevamo visto l’ultima volta qui a Milano.

Alcuni punti fondamentali, per chi c’era voglio richiamarli alla memoria, per chi non c’era un piccolo modo di tuffarsi poi nella seconda parte (del testo).

Il primo pensiero che riassumo – l’abbiamo visto l’ultima volta per lungo e per largo –: il tendere, il bramare, il volere, il desiderare, è dolore?

Uno Schopenhauer – Artur Schopenhauer – se ne viene e dice: l’appagamento del desiderio è gioia, ma il desiderare… io non ho ciò che desidero!, quindi il desiderare è dolore!

Una pensata giusta?

La testa di ognuno… deve decidere lui, eh! Io qui cerco di esprimere le cose, ma la presa di posizione è lasciata ad ognuno; la Filosofia della Libertà, questo testo, presuppone l’uguaglianza di tutti gli esseri umani; ci mette tutti uguali; perché si appella al pensatoio che ognuno ha!

Che poi l’uno l’abbia esercitato un po’ di più o di meno, non importa; non è quella la differenza: la facoltà del pensare ce l’ha ogni essere umano al 100%.

Ora: io desidero qualcosa, ma in questo desiderare c’è già una speranza, come dire, c’è una gioia intrinseca, no! Quindi appagare un desiderio è la fine della gioia!

O me ne sorge un altro, o sono fregato!

Quindi ci siamo detti all’inizio del capitolo che è un errore di pensiero dire che il desiderare, il bramare, e il tendere, come tale, è dolore; e soltanto l’appagamento, il soddisfacimento, sia gioia. No, non è vero!

Normalmente, se tutto va bene, io sento gioia nel desiderare già nella speranza, come dicevo; e si raddoppia la gioia quando c’è l’appagamento. E l’appagamento raddoppia la gioia, ma resta doppia soltanto se sorge un altro desiderare; altrimenti resta semplice e non è più doppia!

Quindi il valore della tua vita… la tua vita vale tanto quanto tu brami, tu desideri, tu tendi a qualcosa.

Il secondo pensiero – vi metto qui, uno dopo l’altro, che evidenzio adesso (sulla lavagna) –: la vita, gioia e dolore… Come si fa il bilancio?

Il bilancio… c’è più gioia o più dolore nella vita?

Eduard von Hartmann… il filosofo di cui vi parlavo, con cui – in questo capitolo XIII° che è il più lungo della Filosofia della Libertà – Steiner dialoga, colloquia tantissimo; ha preso anche la terminologia da lui.

E Eduard von Hartmann dice: bisogna fare un bilancio della vita, e la vita va vista in chiave ottimistica soltanto nella misura in cui la gioia supera quantitativamente, ovviamente, il dolore. Un’operazione di sottrazione, no!

Se invece il dolore supera la gioia la vita va vista in chiave pessimistica.

Ora, questo calcolo… prima di tutto questo tipo di calcolo è un barare! Sta barando chi fa questo tipo di calcolo! Perché io posso calcolare la somma totale della gioia di una vita e la somma totale del dolore, soltanto se ho tutta la vita! Ma sto ancora vivendo!? Sono ancora vivo!

Che ne sa lui cosa salterà fuori ancora di gioia o di dolore?

Quindi il fatto che la mia testa mi può dire, se io ci rifletto, che difatti sta barando, sta facendo un calcolo, un paragone che lui non può fare; lo si può fare soltanto quando la vita è compiuta; e lui non lo può fare per un altro! Perché lui non può sapere quanta gioia e quanto dolore l’altro ha vissuto; perché gioia e dolore sono il vissuto!

Ora, se io capisco – e tocca alla mia testa capire – che lui difatti sta barando, arrivo poi all’altra affermazione, che Steiner fa direttamente, che questo tipo di paragone, questo tipo di sottrazione, non la fa mai nessuno!

Non importa a nessuno se quantitativamente la somma totale della gioia sia maggiore della somma totale del dolore.

Adesso lo dico in un modo psicologico: supponiamo che nella mia vita… un calcolo astratto che non lo fa nessuno!… ma adesso, psicologicamente, nella mia vita: 500 quantità di dolore e 100 quantità di gioia.

C’è da essere tristi?

Uhmmm… Cosa dice l’animo sano? Cosa dice l’animo sano di quei 500 lì?

A me non me ne frega niente! Non me ne frega niente! Basta che questi 100 qua siano micidiali! Va tutto bene!

Se quei 100 lì sono micidiali sono contento di mettere in conto anche 1000 di dolore, non me ne importa nulla!

Il calcolo, il paragone quantitativo della quantità di dolore, di sofferenza, di gioia non esiste. Questo calcolo non esiste! Lo fa soltanto il filosofo che usa questa razionalità che astrae dall’animo, astrae dal vissuto, astrae dalla psicologia, ecc.

Problemi suoi! Se ha nient’altro da fare!

Tra l’altro Eduard von Hartmann era un ufficiale nell’esercito prussiano che si era rotto il ginocchio, ed ha cominciato a diventar filosofo, filosofo pessimista sul dolore, e allora ha scritto una biblioteca di libri!

Un mese fa ho comprato da un antiquario un libro sul pessimismo: storia e dimostrazione del pessimismo di Eduard von Hartmann.

E calza per lui, proprio calza per lui: era un bravo soldato, s’è rotto il ginocchio e per tutta la vita, con la gamba stesa sul sofà, ha scritto una biblioteca!; proprio una cosa micidiale!

Quindi il bilancio della vita, se la vita è positiva o negativa, non la fa la ragione!

La ragione, il raziocinio, non è competente! Il bilancio lo fa l’animo, il vissuto! Questo è l’importante. E l’animo, il vissuto, non fa mai un’astrazione di quantità; l’animo vive sempre il momento presente! Solo quello ha!

E, nel momento presente, qualè la cosa più importante nel momento presente, qual è la cosa che dà maggiore positività, maggiore ottimismo, maggiore gioia nel momento presente?

Già l’altra volta ci siamo detti: la traduzione italiana addomestica, ammansisce, un po’ troppo il testo tedesco! Il testo tedesco continua ad usare la parola Begierde… e “Begierde†l’italiano lo traduce sempre con “desiderioâ€â€¦ No, no, no!

Se poi uno pensa ai pii desideri… No, Begierde è la brama, la voglia forte di far qualcosa! Begierde è una parola forte! Desiderio è una parola… all’acqua di rose!

Quindi ci sono problemi grossi di traduzione, eh! Ve lo devo far notare.

Oh, oggi è venerdì, tu sei la mia fidanzata, ma guarda che dopodomani c’è la partita di calcio, eh! Ci siamo? E tu mi hai promesso già da due mesi che vieni con me allo stadio!

Lui è un tifoso, di quelli via di testa… ha la brama di vedere la partita di calcio?

Ma certo! L’aspetta da un sacco di tempo! Glielo volete proibire? È fatto così!

E lei che fa?

Lui si gode la partita e lei si gode di esser piena di amore!

E chi va di più in brodo di giuggiole?

Lui! Lui, non lei! A meno che lei non sia molto avanti nel cammino, perché se fosse molto avanti e se potesse avere ancora più voglia di andare, per amore di lui, allora sì!… Però prendiamo la media comune e diciamo che lui, lui sì che ha voglia!

Quindi il segreto della vita è l’intensità della brama! E più la brama è intensa e meno noto tutti gli ostacoli, tutti i dolori, che devo superare per andarci!

Per essere sicuri di trovare un posto allo stadio… il pranzo… ma dài, prendiamo un panino per strada!

Per il tifoso… è doloroso mangiare un panino per strada? Nooo!, non lo nota neanche! L’importante che arrivi abbastanza vicino alla zona (dello stadio).

Lei sì che nota che il pranzo va a ramengo, perché la sua brama della partita non è forte. Quindi, più è forte la brama di qualcosa e più si gode di superare tutto quello che c’è da superare per arrivarci: E più c’è da superare, più aumenta la gioia.

Ma tu vuoi dire allora che noi esseri umani normali siamo senza brame? Che siamo lì che vivacchiamo?

Ci son due tipi di brame: brama A e brama B –. Potete fare anche 15 tipi, se volete, eh! Quando si tratta di distinguere, il pensare fa una prima distinzione; quindi A lo potete poi distinguere in A1, A2, A3, A4 ecc.

Le brame A sono quelle che ti dà la natura. Per esempio la brama di mangiare quando ho fame.

Uno ha fame, è morto di fame… aaah, mi tocca mangiare… non ho voglia…

E muori allora! Che stai a fare!

Eh, se non hai voglia di mangiare, hai voglia di morire; e muori allora!

Le brame B sono quelle che non dà la natura; quelle che son lasciate alla libertà di ognuno.

Se uno è tifoso di calcio, la brama, la voglia, di vivere una partita di calcio gliela dà la natura; non è che ci deve mettere grandi cammini di libertà per conquistarsi… la sua fidanzata non so mica magari, ma lui… non vede l’ora di vedersela ‘sta partita!

Le brame che sono lasciate alla libertà, proprio perché sono conquista di libertà, e posso ometterle, dicono – oh, devo star attento che non mi taglino la testa! – che danno molta più gioia che non quelle che ti dà la natura! Perché sono un fattore di conquista, del tutto libera, del tutto individuale.

E ci troviamo in questa soglia dove sempre più esseri umani arrivano a questo limite: quello che la natura mi dà non mi accontenta più!

Bello, questo!!!

Perché, finché quello che la natura ti dà ti accontenta, sarebbe stupido far saltar fuori brame che non hai! Sei contento! Contento è contento!

Quindi, o l’essere umano è fatto così che prima o poi, ciò che la natura gli dà non gli basta; allora, prima o poi, non gli basterà! Se invece ciò che la natura gli dà gli basta, va tutto bene! E ai moralismi gli diamo un calcio nel sedere, e li mandiamo all’altro mondo!

Ma c’è un sacco di gente che tutta una vita si gode la vita con tutte le brame che la natura gli dà e non gli è mancato mai nulla!

Benissimo! Benissimo!

Mannaggia! Adesso questa scienza dello spirito dice: però devono ritornare e poi la prossima volta vedremo, vedremo se gli basta…

Ma scusa, la prossima volta però, eh!, stavolta lasciali in pace!

Quindi, finché a uno basta ed è felice… felice è felice, scusate! Invece la cosa diventa più interessante quando una persona dice: adesso da un po’ di anni non sono più così contento come prima, perché cerco di più…

Non ti basta più ciò che mamma natura ti ha dato! E ‘mo che faccio?

Ci devi mettere qualcosa di tuo!

Devo???

No! No! Sei libero di diventare sempre più contento! Sei libero!

Però, non ti puoi lamentare se diventi sempre più scontento perché non fai nulla per diventare sempre più contento!

Queste cose ci siamo detti l’ultima volta. Quindi, la ragione fa un conto astratto che non esiste; astrae dal vissuto reale, prende tutta la vita quantitativamente come unità, ma che non c’è nella percezione perché la vita non è ancora finita; invece l’animo vive il momento presente, e il momento presente – lo vedremo poi domani e dopodomani – il momento presente è presente! Ognuno di noi ha sempre a disposizione soltanto il momento presente. Il passato è presente solo nella misura in cui, tramite la facoltà della memoria, rammemorandolo, lo porto nel presente. E il futuro, l’avvenire, è presente solo nella misura in cui, in chiave di pianificazione, ho già nel presente ciò che mi propongo per il futuro. Però, realmente vissuto, io non vivo fra un’ora, io vivo adesso! E ciò che vivrò fra un’ora non lo so.

E non vivo ciò che ho vissuto un’ora fa; è passato, l’ho già vissuto!

Quindi la chiave dell’ottimismo è l’arte di rivolgersi sempre di più al presente, al momento presente. E il momento presente non fa mai il calcolo quantitativo di gioia e di dolore. La domanda che riguarda il momento presente è: cosa vuoi tu in questo momento?

E lo vuoi passionalmente, fortemente, o come… una mezza cartuccia?

Uno sente dire: la prossima volta ricominciamo la Filosofia della Libertà da capo…

Uuuuhmmm!

Uno che reagisce così vuole visceralmente ricominciare, proprio non vede l’ora di ricominciare…

Mmmmmh! E allora sta a casa, no!

Un altro può dire: non è proibito, ricominciamo! Bello, bello, bello!

“Bello†è partito prima da chi non c’era stato, e chi c’era stato… ancora di più!

Quindi, diciamo, la vita si decide nel momento presente in base alle brame reali che ci sono; e la misura della brama non è la quantità di gioia e dolore, è l’intensità!

Ciò che bramo di meno, meno intensamente, sono disposto a pagarlo di meno; ciò che bramo intensamente sono disposto a pagare tutto quello che c’è da pagare, ma non ci voglio rinunciare!

Se una persona – faccio per dire, non è proibito – venisse afferrata dalla brama di conoscenza… si salvi chi può!!!

Sarà capace di superare tutti gli ostacoli; li godrà tutti all’infinito!

Però è un tipo di brama che non ti dà la natura, perché ciò che ti dà la natura è meno interessante, c’è meno da godere che non ciò che l’essere umano si conquista liberamente.

Quindi il massimo di gioia, il massimo di piacere, il massimo di autorealizzazione, non è nel successo… allora qui sono in via, per strada (schema alla lavagna): qui c’è il movimento… il successo, l’appagamento, il soddisfacimento, sarebbero un momento di stasi, di arresto, del movimento.

Uno gioca a tennis… Cosa vuole? Cosa brama?

I soldi che si piglia se vince!?

Un poveraccio in canna! Un poveraccio in canna!

Un altro potrebbe dire: voglio il giocare! Voglio tutto questo movimento!

E quando ha vinto:… adesso è finito! Peccato!

Quindi, diciamo, questa cultura di materialismo… e il successo è in fondo sempre una qualche realizzazione esteriore; i soldi sono esteriori; quindi il materialismo ci ha fatto spostare il vissuto umano dal presente che gode il movimento – la palla che arriva e devo star attento come mandarla indietro, ecc., ecc. – noi distruggiamo il movimento che è il godere sommo della vita, e lo soggioghiamo ad un miraggio che spezza il movimento.

Quindi, ogni bramare un successo è una premessa di delusione; perché il successo massimo è che il mio io succeda, si avveri, si realizzi, nel giocare! Nel creare, nel movimento!

missing image file

Un artista sta creando un quadro, lo sta dipingendo – supponiamo che sia veramente creatore, non tutti i pittori sono creatori –; il quadro finito è una noia rispetto a questo movimento di gesti, di mettere i colori, le pennellate, ecc.!

Stiamo perdendo col materialismo l’arte del movimento, della vivacità del movimento; della svegliezza e anche della creatività che il movimento comporta; perché mi devo continuamente aggiustare; c’è un massimo di attenzione nel movimento.

Quando la palla al termine non torna più indietro… è finito tutto, è finito lo spasso!

Allora faccio una riflessione – tutti tentativi di riassumere quello che abbiamo visto l’ultima volta, per chi c’era e per chi non c’era –.

Allora tu dici: c’è il movimento, il bramare, in quanto vissuto; e poi c’è qui l’appagamento, la soddisfazione, il successo.

Adesso tu, dài, insomma, perché dici peste e corna del successo! Insomma, un po’ di successo… non c’è niente di male, no! Io desidero, desidero, desidero, ma non conseguo mai nulla… alla fine mi stanco di desiderare!

Allora il pensare viene provocato a fare una sintesi! Io voglio tutt’e due!

Non voglio un tipo di successo, di appagamento, che arresti il movimento del bramare, ma non voglio neanche un bramare che non sfoci mai nell’appagamento!

Ah! Si possono avere tutt’e due? Si oppongono, si escludono a vicenda?

Si escludono a vicenda per il poveraccio in canna! Invece l’artista della vita vive sempre di più l’arte di fare una sintesi.

Allora: sintesi di movimento + meta.

Arrivare alla meta. Movimento e meta.

Essere in movimento ed essere alla meta… e no! O sei in movimento, o sei alla meta: si escludono a vicenda!

Si escludono a vicenda… nella misura in cui il mio pensiero non si esercita di fronte al paradosso di fare la sintesi degli opposti!

Coincidentia oppositorum diceva Giordano Bruno!

Allora, c’è una sintesi animica, dell’animo; una sintesi che fa l’animo… in italiano non c’è la parola “animicoâ€, gli antroposofi la usano, ma secondo me bisogna avere un rispetto profondo per il linguaggio comune; altrimenti si crea una setta che la gente dice: ma quelli lì hanno un linguaggio tutto loro!… lasciamoli perdere!

Io ho fatto il classico, adesso poi, a forza di parlare in tedesco, soffro molto che non son più dentro l’italiano; però la parola “animico†non c’è in italiano, quindi la chiamo: sintesi psicologica.

La sintesi psicologica, vissuta, dell’essere in cammino e dell’essere arrivato, è il desiderare. Nel desiderare c’è la speranza; perché se io non ho alcuna speranza, alcuna prospettiva, di conseguire ciò che desidero, termino di desiderare.

Quindi il desiderare non è soltanto un movimernto verso qualcosa, è già una realizzazione in questo momento. Mi realizzo nel desiderare.

E la sintesi spirituale, quindi non a livello dell’anima, tra movimento e meta; ditemi voi un tipo di esperienza che per natura comporta tutti e due: essere in movimento ed essere alla meta?

PUBBLICO: Il creare.

A.: Mi pare di aver sentito la parola giusta… Bravo! Sei bravissimo!

Ah! l’avevo già detto io l’altra volta!? Beh, meno male che non mi contraddico!

Nel creare, a tutti i livelli, eh!, non importa nulla in quale campo, nel creare io sono alla meta nella misura in cui io sono in movimento, e sono in movimento nella misura in cui io realizzo: diventano una cosa sola!

Quindi questi due, sia il desiderare, sia ancora di più il creare, sono il massimo di ottimismo della vita perché danno il massimo di gioia, il massimo di autorealizzazione dell’essere umano.

Eravamo arrivati poi alla fine a questa sottrazione, che poi Steiner trasforma in una divisione, numeratore e denominatore: il numeratore sono le gioie e i piaceri e il denominatore sono i desideri, le brame.

Se io faccio una sottrazione: gioia – dolore, anche matematicamente la sottrazione è una pensata sbagliata, perché se io ho 1 di gioia nella vita e ho 1 di dolore ottengo: 1 – 1 = 0. Allora, ho avuto 0 gioia, oppure ho avuto 1 gioia?

Invece se io faccio 1/ 1= 1, mi resta 1!

Il pessimista tende a fare una sottrazione: 1 – 1 = 0. Ha fatto un calcolo che la vita non fa mai difatti; quindi il pessimismo è un tentativo della testa di impaurire il cuore! Però, se il cuore è forte abbastanza, dice alla testa: no, tu sei una testa bacata! I conti non tornano come li stai facendo tu! E dice: no, si tratta di una divisione e non di una sottrazione.

missing image file

Facendo una divisione salta fuori che una quantità di gioia e di piaceri non è mai 0. Perché per essere 0 bisognerebbe che ci fosse una vita senza nessun piacere, senza nessuna gioia; il che è assurdo!

E l’altro modo in cui… allora qui (al numeratore) dovrei avere 0, e non è mai il caso; se qui fosse 0 il risultato sarebbe 0/1 = 0. C’è un altro caso in cui il risultato sarebbe 0?

Oh, ci sono matematici qui in sala?

ROBERTO: Moltissimi desideri, moltissime brame!

A.: Ci sei vicino, ma non basta!

I.: Se fossero infinite.

A.: Bravo! Infinito, questo è importantissimo! Dovrebbero i desideri, le brame, essere infinite. Però la categoria di infinito è irreale; non esiste qualcosa di infinito, perché “non finito†è una categoria negativa! Quindi le brame, i desideri, non possono essere infiniti, perché l’essere umano è un essere finito!

Sono avvii di pensiero, eh!; non è che la Filosofia della Libertà ti risolve i problemi; ti mette un sacco di pulci nell’orecchio, capito! È un libro di meditazione!

Io l’avrò studiata almeno un centinaio di volte; e ogni volta diventa peggio! E più uno ci medita, più diventa interessantissimo!

Quindi l’altro modo di far saltar fuori 0, è che le brame dovrebbero essere realmente infinite e non tendere all’infinito; perché se tendono all’infinito non sono infinite; e infinite non possono essere perché “infinito†non è reale.

Una linea retta può prolungarsi all’infinito?

È un’astrazione, una pura astrazione! Caso mai, se facesse veramente il giro di tutto il mondo, ritornerebbe allo stesso punto di partenza; e quindi non è infinita. La categoria di infinito è del tutto astratta.

Ora, qual è la persona che si avvicina, che ci prova, che vorrebbe portare i desideri e le brame all’infinito? Pensateci un po’!

PUBBLICO: Il filosofo / l’ottimista.

A.: Colui che cerca la felicità! Vorrebbe avere tutto all’infinito perché non brama nulla di concreto! E quello lì è il candidato al pessimismo, perché avvicinandosi all’infinito, si avvicina a 0, nel risultato della divisione. Quindi una persona è tanto più scontenta, tanto meno realizzata, quanto le sue brame sono diffuse, proprio astratte, nel voler essere felice.

Quando una persona vuol essere felice, l’unica domanda che calza è: ma che vuoi?

Non vuole nulla… no, non è che non vuole nulla: vuole tutto!

Se una persona ricevesse tutto sarebbe una catastrofe dall’inizio alla fine! Quindi la psicologia di chi vuole tutto è di risparmiarsi la fatica di bramare qualcosa!

Perché volendo tutto, ho la scusa che non si può conseguire tutto, e quindi non faccio nulla; invece, nel momento in cui io bramo qualcosa di concreto, allora posso farlo, e non ho più la scusa di fare il fannullone.

Quindi, matematicamente, è importantissimo, Steiner ha avuto un altro paio di conferenze dove ha ripreso questo calcolo della Filosofia della Libertà.

Allora: le gioie non sono mai 0; già la grinta del vivere porta le brame, e i desideri non possono mai andare realmente all’infinito; quindi il risultato non è mai 0! Sarà 0,1 magari, ma mai 0.

È molto bello, perché sta a dire che il Logos ha pensato l’umano in un modo super logico; da bravo Logos!

Buonanotte, ci vediamo domani!

missing image file

Sabato 28 settembre, mattina

ARCHIATI; Ieri non ho affrontato neanche un rigo del testo; adesso ci tuffiamo nel testo direttamente: capitolo XIII°, paragrafo 34.

Ieri sera ho appurato che tutti erano muniti di testo, imparato a memoria ovviamente – qualcuno si chiede: dov’è il mio libro, il mio testo? L’ho perso di vista! –.

Siamo verso la metà, siccome il 34 è un po’… Ci si può immaginare questo valore, il valore di un desiderio, il valore di una gioia…

Dunque, per chi si dovesse raccapezzare è il paragrafo che comincia con: La moderna scienza naturale… Ce l’avete? Pag.186, però non tutte le edizioni sono uguali.

Poi adesso, se ci troviamo per altri 7 anni sulla Filosofia della Libertà la cosa più importante sarebbe quella di mettere i numeri ai paragrafi, così ci troviamo subito. Quindi questo è il paragrafo 34 ed eravamo più avanti, a pag.187, circa una diecina di righe: Ci si può immaginare questo valore come rappresentato da una frazione… Ci siamo? Chi non ha ancora trovato la riga?

Allora: Ci si può immaginare questo valore come rappresentato da una frazione, il cui numeratore sia il godimento realmente presente e il denominatore la somma totale dei bisogni.

Allora: numeratore, godimenti e denominatore, bisogni.

missing image file

La vita vale nella misura in cui si gode! Il valore della vita è il suo godimento!

Già qui tanti si inceppano perché dicono: ma come!? Il valore della vita è il dovere che uno ha da compiere, tu parli di godimento, ma… basta il godimento per dar valore alla vita?

Certo! Perché un dovere – tra virgolette, naturalmente – compiuto, fatto, a denti stretti, ha un valore nullo; non vale nulla!

Vale solo magari per il dentista, perché facendo le cose a denti stretti si rovinano i denti!

Quindi, o trovo il modo, il cosidetto dovere, se c’è… – di queste cose ne parleremo, eh! La Filosofia della Libertà è proprio un testo fondamentale per affrontare, in chiave pulita di pensiero, tutti i fenomeni importanti della vita – quindi il dovere prima o poi ci ritornerà. Ma se un dovere c’è – per quanto mi riguarda non c’è, non esiste proprio! – l’unica cosa importante è di trovare il modo di renderlo un piacere.

Una mamma ha un bambino piccolino… ha dei doveri nei confronti del bambino piccolo?

PUBBLICO: Occorre che faccia… gli cambia il pannolino…

A.: “Occorre che facciaâ€â€¦ Spiega a un tedesco cosa vuol dire: occorre che faccia

PUBBLICO: È un dovere…

A.: “Èun dovere†dici tu che sei un maschio! Il maschio dice: sì, sì, è un dovere!

PUBBLICO: È amore che faccia…

A.: Quindi vedete che è complessa la cosa, eh! Non è cos’ semplice!

Io ho chiesto: è un dovere? Ha dei doveri nei confronti del bambino?

Subito qualcuno dice: sì, sì; altri: no, no, no…

PUBBLICO: Vuole fare; sì, perché ci sono mamme che anche non vogliono fare!

A.: La cosa migliore è se trova il modo – e non è proibito – di godere tutto ciò che c’è da fare! E da fare ce n’è! Il bambino va pulito, ecc., no! Chiaro, deve mangiare, ecc.

Se invece lo fa a denti stretti – cosa che anche è possibile – non potrà ugualmente dire che la vita è bella, piena di gioia, di esuberanza.

E la persona libera non vive nulla come dovere! Perché il concetto di dovere è un soggiogamento dell’uomo. È ovvio: devi, devi, devi! E ti senti inchiodato!

Quindi qui Steiner è pulito, eh! La vita vale nella misura in cui la godo. Il godimento è il valore della vita! Il bambino piccolo, o te lo godi, anche quello che c’è da fare te lo godi, oppure la tua vita vale di meno, tanto di meno quanto non godi.

Ci si può immaginare questo valore come rappresentato da una frazione, il cui numeratore sia il godimento, la somma dei godimenti, realmente presente e il denominatore la somma totale dei bisogni.

(riprende la frazione alla lavagna) Mettiamo qui piacere e sotto dispiacere, o meglio: piacere e dolore.

Il valore della vita è… il valore negativo sono i dolori, il valore positivo sono i piaceri, la gioia. E l’affermazione fondamentale è che l’essere umano, per natura, mira a ciò che gli dà gioia.

(rettifica) Mettiamo: gioia; piacere è un po’ il godimento tipico del corpo e la gioia è il godimento tipico dell’anima, se volete; il linguaggio distingue apposta.

La vita, la mia vita, vale nella misura in cui c’è gioia, c’è piacere, c’è godimento, c’è appagamento, c’è pienezza; c’è realizzazione di sé.

La frazione, quindi è una frazione, ha valore uno quando numeratore e denominatore sono uguali, cioè quando tutti i bisogni vengono soddisfatti.

35 sopra e 35 sotto è uguale a 1. Non è 0!

Diventa maggiore di uno quando un essere vivente prova più piacere di quel che richiedono i suoi desideri;…

Cosa che non è possibile, se uno ci riflette!

È possibile godere di più di quello che si desidera?

È nella misura del desiderio, dei bisogni-desideri, che il desiderio non pone limiti! …ed è minore di uno, questo è il casi più solito, quando la quantità del piacere risulta inferiore rispetto alla somma totale dei desideri. La frazione però non può mai diventare zero, finché il numeratore abbia un sia pur minimo valore.

missing image file

Quindi la vita ha sempre comunque un valore, perché nel momento in cui la vita risultasse senza valore – senza valore significa: non c’è nessun godimento, nessuna gioia, nessun piacere, nessuna voglia di continuare a vivere – se uno fosse coerente dovrebbe togliersi la vita!

Il fatto che coloro che si tolgono la vita – ci siamo già arrivati l’ultima volta – sono pochissimi, significa che la maggior parte della gente vive volentieri.

E se vive volentieri il godimento supera, esubera, il dolore, la carenza.

Se, prima della sua morte, nella Filosofia della Libertà ci sono tanti esempi – una cosa bellissima – tanti esempi anche concreti; è sempre un testo un po’ filosofico, dove bisogna avere il coraggio di camminare a suon di pensieri, quindi in un modo oggettivo. E ci aiutano questi esempi concreti che tirano giù, diciamo, il vissuto.

Se, prima della sua morte, un uomo facesse la chiusura dei conti e pensasse ripartita su tutta la vita la quantità di godimento dovuta a un dato istinto (per esempio la fame) con tutte le esigenze relative a tale istinto, il piacere provato risulterebbe forse di scarso valore; ma del tutto privo di valore non potrebbe mai diventare.

Il piacere di mangiare… o anche il piacere di vivere, può diventare maggiore che non il dolore del vivere?

Se sei qui ancora, se tu ci sei ancora, se vivi ancora, vuol dire che il piacere di vivere, in qualche modo, è sempre stato maggiore del non voler vivere!

Allora, lo dico in un altro modo: se il tuo “voler non vivere†– perché la vita ti dà soltanto dolore, ecc. – fosse più forte del tuo voler vivere, dovresti esser già sparito da un po’ di tempo!

Sei ancora qui! Come ti permetti?

PUBBLICO. Hai paura!

A.: Hai paura di toglierti la vita? Eh, paura… di che cosa?

PUBBLICO: Del nulla!

A.: Del nulla?! Vuol dire che allora la vita…

PUBBLICO: È qualcosa!

A.: È qualcosa! Cioè è un valore positivo: non è zero!

Quindi da qualsiasi lato la cosa la prendiamo arriviamo sempre al risultato che il valore non è mai zero. E quello che c’è, anche se è poco, è quello che dà il coraggio e la voglia di continuare a vivere.

Se poi, naturalmente, il valore positivo, il piacere, aumenta sempre di più: 10, 100, 1000, 10.000, ecc., la voglia, la gioia, il piacere di vivere, il godimento di vivere, diventa sempre più grande. E più diventa grande la gioia, il piacere, il godimento del vivere, più uno è ottimista; ma ottimista di un ottimismo fondato sulla realtà.

Quindi che tu sia ottimista o pessimista, dipende dal tuo modo di affrontare la vita.

E vedremo – oggi, domani – che la grande domanda non è “qual è il mio dovere nella vitaâ€; non esiste questa domanda; è una domanda che castra soltanto l’essere umano; la domanda è: “c’è un modo, cosa si può fare per rendere la vita sempre più bellaâ€. La mia però!

E la chiave – l’abbiamo accennato già ieri sera – è la creatività! Il massimo di godimento è nell’essere creatori; in tutti i campi, eh!, non soltanto nel campo del musicista o del pittore; in tutti i campi si può essere creatori.

Se, prima della sua morte, un uomo facesse la chiusura dei conti e pensasse ripartita su tutta la vita la quantità di godimento dovuta a un dato istinto (per esempio la fame) con tutte le esigenze relative a tale istinto, il piacere provato risulterebbe forse di scarso valore; ma del tutto privo di valore non potrebbe mai diventare. Restando uguale la quantità di piacere, il valore del piacere della vita diminuisce con l’aumentare dei bisogni di un essere vivente.

Io ho bisogno di 6 panini al giorno… sei sono un po’ troppi, stavo pensando a due giorni… Mettiamo: un pasto solo, per godermi un pasto al 100% ho bisogno di almeno 3 panini; va bene? Per qualche stomaco 2 sono pochi!, diciamo 3 panini…

E ne ho soltanto uno!…

Diminuisce il godimento di questo “un panino�

PUBBLICO: Nooo!

A.: Anzi, lo aumenta! Perché ho solo quello! Questo è importante!

Diminuisce il valore… però il valore è una cosa astratta, l’animo non vive il valore!

Se io ho bisogno di 3 panini e ce ne ho uno solo, il valore di questo uno diminuisce, perché il valore sarebbe al 100% se li avessi tutti e 3. Ma non diminuisce il godimento! E quello che l’essere umano vive realmente non è il valore astratto, il calcolo del valore, ma è il godimento.

Quindi, sapendo che ne ho soltanto uno a disposizione, me lo mangio: ogni boccone è una goduria che non finisce più! Invece se ne avessi 3, uno lo gusterei di meno, perché ce ne ho 3!

PUBBLICO: La soddisfazione del povero!

A.: Lei dice: la soddisfazione del povero è questa!

PUBBLICO: Sarebbe l’indifferenza del ricco!

A.: Certo! La povertà del ricco! Però lì, adesso entreremmo in analisi psicologiche che sono complesse, capito!

Se fossimo stati in Germania mica avreste potuto interrompermi già all’inizio! Stavo appena cominciando a svolgere qualcosa e mi interrompete… tra l’altro io poi mi rifaccio pensando a Napoli… due anni fa sono stato a Napoli… lì non mi hanno fatto parlare proprio!

(Risate del pubblico)

Una cosa bellissima! Una cosa bellissima!

Un’altra riflessione su quello che dicevamo: il poveraccio è più fortunato – lo dicevo ieri: il pensare si feconda lavorando ai paradossi; i paradossi sono provocazioni per il pensiero –. Allora uno dice: il poveraccio è un poveraccio, come fai tu a dire che è fortunato?

Il poveraccio ha una capacità maggiore di godersi la vita, perché tende ad avere di più… lotta…e la gioia della vita è nel tendere; invece colui che è sazio… è meno contento di colui che mangia!

È sazio, e la vita diventa noiosa! Perché lui si ferma. Invece il poveraccio non si può fermare, deve sgambettare! E la gioia è nello sgambettare, non nell’avere la tasca piena. Tant’è vero che la depressione è molto più in auge fra le persone ricche che non fra i poveri. I poveri – tra virgolette, naturalmente, non prendete le cose alla lettera – han troppo da fare per diventare depressi, non hanno tempo per la depressione.

Eccetera, eccetera, eccetera; comunque questi esercizi li faremo, eh! Poi la prossima volta ricominciamo da capo, allora sì che…

Lo stesso vale per la totalità della vita, nella natura. Quanto maggiore è il numero degli esseri viventi in confronto al numero di quelli che possono trovare il pieno soddisfacimento dei loro istinti, tanto minore è il valore medio del piacere della vita.

Quindi il valore di questo panino unico che ho, a me non interessa; mi interessa quanto lo godo; è il godimento che mi interessa. Quanto vale rispetto ai 3 che potrei avere, o quanto questo panino vale… Il mio amico ha 3 panini, io ne ho uno…

I suoi 3 panini hanno un certo valore. Il valore dei 3 panini è triplice rispetto al mio, quindi i suoi panini valgono 3 volte il mio; ci siamo?!

Però il fatto che i suoi 3 panini valgano 3 volte più del mio, a me non me ne importa nulla!, perché il godimento di questo uno che io ho, è maggiore che non il suo godimento di tutti e 3!

I.: Quando finisce il panino, il poveretto che ha ancora voglia di mangiare, rimane un po’ così… Deve sgambettare per trovare un altro panino!

A.: Guarda che l’hai detto troppo… È giusto naturalmente, il senso vostro è quello di provocare; però sei andato troppo veloce! Bisogna fermarsi adesso e vedere se… tu hai detto: è scontento però quando ha finito di mangiare il suo panino; se l’è goduto, ecc., ecc., però gli restano due terzi di fame, supponiamo, no!

Tu hai subito supposto che fame sia dolore!; invece noi stiamo cercando di dire, non è che non si può dire che la fame è gioia, sarebbe ugualmente un accorciamento del cammino di pensiero; quello che tutto questo capitolo sta a dire è che la fame, il tendere, l’essere in cammino, il dinamismo, non è di per sé dolore! Anzi, lo si può godere!

Quindi, adesso uno ne ha mangiati 3 ed è sazio; uno ne ha mangiato uno solo di panino, e ha fame ancora… e la domanda è: chi vive più gioia?

Dire semplicemente che colui che è sazio è più contento – adesso, lì è la sfida al pensiero – e dire semplicemente che colui che ha ancora fame è più contento, anche non funziona!

Però ha più possibilità di godere la vita colui che non si è seduto, che non si siede mai; e lì diventa complessa la cosa!

Comunque, colui che è sazio non è in grado di godere la vita come è in grado di goderla colui che vive… naturalmente ci deve essere sempre di nuovo un appagamento, ma l’appagamento non è mai tale da saziarlo; e quindi ricomincia, ricomincia; riparte sempre.

Massimamente felice è l’uomo che riparte sempre! Perché è sempre in cammino!

Quindi il pensiero che dice: più uno è ricco, più ha soldi, e più è felice, è un pensiero sbagliato! Non è vero! Questo è molto importante.

Il che non vuol dire che si è felici automaticamente avendo pochi soldi, perché lì le cose diventano più complesse; ma chi si siede è perduto!

I.: È il nutrimento continuo dell’anima che fa felice l’essere…

A.: Sì, “il nutrimento continuo dell’anima†dobbiamo sminuzzarlo, dobbiamo renderlo concreto, capito! Sono espressioni un po’ astratte!

Il nutrimento dell’anima, i panini dell’anima, quali sono?

PUBBLICO: I pensieri! La lettura!

A.: “La lettura!â€. “Dovete leggere Steiner!â€

Oh, qui, un giubilo in sala che non finisce più!

Stai andando dalla parte del dovere! Fermo!, il dovere ti blocca la vita!

E poi vedremo che ciò che tu chiami nutrire l’anima è un’arte diversa in ognuno! La tua anima anima gode certe imbeccate tutte diverse da quelle che gode un altro. Quindi, facendo esercizi e poi sentendo un pochino… casomai la prima parte mi date la possibilità di creare un contesto e poi, certo, la discussione è fatta per entrare nel concreto.

Oh, qui ho una partitura micidiale, ve la faccio vedere bella grossa; a sinistra ho il testo originale tedesco e qui, a destra, l’italiano; quindi, quando non andiamo bene con l’italiano vi metto in riga con il tedesco: vado a sinistra!

Le cambiali sul godimento della vita, che vengono emesse dai nostri istinti,…

Gli istinti sono le cambiali, se non avessimo gli istinti non ci sarebbe nulla da godere! L’istinto del mangiare, l’istinto del voler bene, l’istinto, la brama di conoscenza, ecc., ecc., tutte le cose che l’essere umano vuole, no!

Le cambiali sul godimento della vita, che vengono emesse dai nostri istinti, valgono tanto di meno quanto minore è la speranza di poterne incassare l’intero importo. Se io per tre giorni ho abbastanza da mangiare, e poi per altri tre giorni devo patire la fame, il godimento dei tre giorni di pasto non diventa per questo minore;…

Il valore è minore se ho da mangiare soltanto per tre giorni e poi per altri tre giorni devo patire la fame. Il valore è minore, ma non il godimento! Questo è importante.

il godimento dei tre giorni di pasto non diventa per questo minore; ma in tal caso devo immaginarlo ripartito su sei giorni, e da ciò il suo valore per il mio bisogno di nutrizione si riduce a metà.

Il valore però!

Lo stesso si verifica – vale – per la quantità del piacere in relazione al grado – l’intensità – del mio bisogno.

Quando voi vedete che io cambio un pochino la traduzione… se dovessi spiegarvi, ogni volta, perderemmo troppo tempo col testo. Quando cambio le parole, le cambio in base al testo tedesco.

Per esempio: lo stesso “si verificaâ€, dice qui la traduzione; invece il tedesco dice: lo stesso “valeâ€!

Son tantissime sfumature di pensiero… tra l’altro, in Italia, se le cose vanno bene, nei prossimi decenni, nei prossimi secoli, bisognerebbe… adesso è stata fatta una traduzione propedeutica, diciamo, provvisoria, no!; però per fare una traduzione veramente coi fiocchi, ci vorrebbero almeno tre persone, ferrate nel campo dello spirito. Uno assolutamente competente in fatto di linguaggio italiano; deve calzare in quanto italiano. Il secondo assolutamente ferrato in fatto di lingua tedesca – e poi ognuno in tutte e due le lingue –; le traduzioni italiane sono buonine, insomma, però la Filosofia della Libertà è un testo anche filosofico, quindi ci vorrebbe una terza persona – e questa non c’è stata nella corrente antroposofica italiana – con una formazione di pensiero, una formazione filosofica, quindi un pensatore.

Se voi mettete insieme un toscano magari, assolutamente competente in fatto di lingua italiana; una persona competentissima in fatto di tedesco, e una persona competente in fatto di pensiero, come filosofo – in tante sfumature si vede: il pensiero non è stato afferrato nella sua precisione – …io direi: se vogliamo avere un testo in Italia veramente coi fiocchi, ci vogliono almeno tre persone!

Non 5, 6 o 7, sarebbero troppe; solo tre persone. Tutti compiti ancora da fare. Questo testo però merita una traduzione fatta coi fiocchi! Perché allora lo studio… io sapendo che la traduzione è fatta coi fiocchi, posso dare affidamento alla traduzione in modo del tutto diverso che sapendo che la traduzione attuale tante cose le sfasa un pochino.

Il “grado†del mio bisogno… in tedesco c’è la parola “gradâ€, però in tedesco la parola “gradâ€â€¦ ecco il motivo per cui vi dicevo che ci vuole una persona del tutto competente in fatto di lingua tedesca… che mi dice: il grado del mio bisogno? Non mi dice nulla! Invece in tedesco la parola significa l’intensità, la forza, del bisogno!

Se io di una cosa non ne posso fare a meno, proprio non ne posso fare a meno, l’intensità del bisogno è forte. Se io di una cosa ne posso fare anche a meno, ne ho bisogno, ma a un grado molto minore, con un’intensità molto minore.

La chiave della vita è l’intensità delle brame, dei bisogni. Si potrebbe dire il grado di intensità, ecco!; non il grado, ma il grado di intensità.

Se ho fame per due panini e ne posso avere uno solo, il godimento tratto da quest’uno ha soltanto metà del valore che avrebbe, se dopo il pasto io fossi sazio. Questo è il modo in cui viene determinato il valore di un piacere nella vita; esso viene misurato sui bisogni della vita. I nostri desideri sono il metro di la misura, il piacere è ciò che viene misurato.

Qui c’è scritto: “i nostri desideri sono la misuraâ€â€¦ è giusta “la misuraâ€?

È il “metro di misuraâ€!, non la “misuraâ€; la “misura†è sbagliato! La “misura†è un pensiero sbagliato.

Chiedo troppo alle teste qui in sala?

I.: Diventa una percentuale.

A.: Diventa una percentuale!

I.: Della soddisfazione dei bisogni che hai; da suddividere poi in primari e secondari. La percentuale di soddisfazione dei bisogni che hai.

A.: No, la domanda era un’altra…

PAOLO: È un numero; è l’intensità con cui desideri qualcosa…

A.: Quindi: il desiderio è la misura, o il metro di misura?

PUBBLICO: Il metro di misura!

A.: Dire che il desiderio è la misura è una stupidaggine; è il metro di misura, o il parametro. Però il metro di misura è meglio. In tedesco c’è il metro di misura, non la misura.

Il piacere è ciò che viene misurato, quindi a decidere sono i desideri nella loro intensità. Quindi l’intensità della brama determina il piacere. Meno intensa è la brama, meno intenso è il piacere; più intensa è la brama, più intenso è il piacere.

Quindi l’affermazione fondamentale è molto semplice: se tu vuoi avere grande piacere in una certa esperienza, fai in modo di bramarla intensamente! Più intensamente la brami e più te la godi.

Quindi un godimento oggettivo non c’è! I tuoi godimenti sono in rapporto all’intensità delle tue brame. Non c’è altro metro di misura. E il metro di misura non può venire da fuori; questo è importantissimo! Quindi tu hai la chiave dell’intensità di godimento, di gioia, di piacere, della tua vita. E la chiave, il metro di misura, è la forza, l’intensità con cui tu brami, desideri, qualcosa.

Una persona brama massimamente, fortissimamente, di soddisfare l’istinto sessuale… se lo godrà massimamente!

BETTINA (tedesca): Sì!

A.: Oh!, per gli italiani è una cosa scontata invece il tedesco ha bisogno di dire: sì! Guarda che per noi era scontata la cosa, eh! Non c’è bisogno del permesso del tedesco per… capito! Bello questo raffronto di psicologie di popoli! Perché senza il tuo “sì†noi mica saremmo stati sicuri, eh!

MASSIMO: Dov’è il confine con l’autolesionismo?

A.: Il confine con l’autolesionismo… lo sapevo che il bastian contrario c’era anche in Italia!

MASSIMO: Il masochismo, poi, dopo.

A.: No, no, resta col primo, la prima categoria; è più facile! Hai detto: dov’è il confine con l’autolesionismo. Tu dici: ma, sta attento, che l’essere umano è capace anche di autoledersi… hai tu qualcosa contro l’autolesione?

Basta che se la goda!!! E va tutto bene!

Finisce di godersela? Andrà a cercare qualcosa d’altro!

Noi siamo abituati a moraleggiare sull’umano, e ci perdiamo tutti, ne scapitiamo tutti. Perchè moraleggiando sull’umano significa che la mia testa vuol essere più intelligente del Padreterno che ha creato l’uomo.

La natura non si può sopraffare in saggezza! Tu augura, a chi gode pienamente la natura corporea, che gli venga la fame anche della natura dell’anima! Allora avrà due godimenti! Se poi saltasse fuori il godimento della natura di spirito… allora sì che è un finimondo!

Ma se quello lì gode per adesso soltanto il corporeo… tu che hai da dire?!

Hai soltanto da tenere il becco chiuso!

È moralmente migliore colui che, oltre a godere il corporeo, gode l’animico e lo spirituale?

PUBBLICO: (Pochi “no!â€)

Sono pochissimi che stanno dicendo spontaneamente: no! E sono quasi tutte donne! Questo è un punto in più per le donne, eh! I maschietti ci stanno pensando un po’ di più!

Allora, ripeto la domanda: è moralmente migliore una persona che gode, oltre al corporeo – ce n’è da godere nel corporeo! – anche l’animico e lo spirituale, rispetto a una persona, che allora sarebbe moralmente meno valida, che gode solamente il corporeo?

PUBBLICO: (varie risposte)

- Se è l’unica cosa che sa fare…

- Ognuno faccia il suo…

A.: Ognuno è così com’è! Siamo abituati a sindacare con la testa sull’essere; la testa deve capire che è l’essere che ci deve guidare, non la testa; se no il moralismo dice allora: c’è un sacco di gente che gode soltanto il corpo e il sociale diventa sempre più difficile!

Che cos’è migliore, il facile o il difficile?

PUBBLICO: Il difficile!

A.: Io ho sempre goduto maggiormente il difficile; il facile l’ho sempre vissuto come una cosa noiosa all’infinito!

Quindi, o ci mettiamo in testa che il sociale… perché se prendiamo sul serio la libertà avremo un sacco di gente che di primo acchito – adesso, siccome non ci sono più tutti i poteri che ti mettono in riga, ecc., ecc., ecc., – è come la pubertà: l’umanità, soprattutto l’umanità occidentale, si trova all’inizio della pubertà e vive di paura della libertà! Questo è l’elemento più fondamentale della nostra società occidentale: la paura assoluta della libertà!

Quindi, dobbiamo prepararci per un sociale dove gli esseri umani accetteranno sempre meno di essere messi in riga, diventeranno sempre di più pubertari che vogliono rompere da tutte le parti e, in un primo momento, ci sarà sempre di più una libertà negativa “di andare controâ€, “di liberarsi da, da, daâ€!

L’essere umano poi, può vivere la libertà positiva per qualcosa, soltanto dopo aver passato la prima fase; la prima fase è sempre la libertà negativa.

Non si può essere liberi per qualcosa se non ci si è liberati da ciò che ci rende non libero, o vorrebbe metterci sotto per soffocarci, o manipolarci, ecc.

Ora, se ci sarà sempre più libertà – e il primo gesto della libertà è quello di godere la libertà a livello corporeo – dobbiamo capire che il sociale nei prossimi anni, nei prossimi decenni, diventerà sempre più difficile.

Ma che diventi sempre più difficile non è un problema per chi impara l’arte di godere il difficile più che il facile! E soffriranno maggiormente coloro che vogliono far di tutto per tenere gli esseri umani belli ordinati! Si piglieranno un calcio nel sedere uno dopo l’altro! Perché gli esseri umani accetteranno sempre meno di venir soggiogati.

E il primo gesto della libertà, ve lo ripeto, è la libertà negativa. Ci deve essere questa fase; ci deve essere!

In Germania c’è un sacco di gente che a 50, 60, 70 anni sta cercando di recuperare quella libertà pubertaria che gli è stata negata quando aveva 15, 16, 17, 18 anni.

Ci mettono tutta una vita! Contro! Contro! Contro!

Se invece diamo la possibilità – prima fase della libertà di andare contro tutti – di godersela questa fase, chi ha dato calci e pugni abbastanza dice: adesso cerco la libertà positiva; ed è la libertà per, per, per costruire e fare cose.

Però nessun essere umano è capace di godere la libertà positiva per qualcosa, se non si sia stufato della libertà negativa. Cioè la libertà positiva la cerca soltanto colui che si è stufato delle botte che piglia in base all’egoismo.

I.: Chi ha sofferto, tra virgolette, in base ad altre scelte…

A.: Come in base ad altre scelte? No, l’egoismo è una scelta sua!

I.: È una scelta l’egoismo, però alla fine non gli sta più bene…

A.: Perché alla fine non gli sta più bene l’egoismo?

I.: Si è stufato di soffrire…

A.: No, no! L’egoista è quello che si piglia più colpi di tutti, perché essere egoista significa mettersi contro tutti; e mettersi contro tutti, pensare solo a sé, significa pigliare un colpo dopo l’altro di ritorno. E quando si è stufato dei colpi che riceve, in quanto arciegoista, comincerà a desiderare di godere il superamento dell’egoismo; soltanto allora funziona!

L’egoismo si vince soltanto quando si finisce di goderlo!

E chi arriva al punto di non poter più godere dell’egoismo?

PUBBLICO: Chi rimane solo.

A.: No!... Colui al quale è stato possibile esprimerlo in tutto e per tutto!

Quindi noi abbiamo un sacco di persone che non sono ancora al punto da desiderare di vincere l’egoismo, perché hanno subito troppi pochi colpi! Perché il dovere dei poteri costituiti ha loro imposto: non essere egoista, non essere egoista, non essere egoista; e questo “non essere egoista†allunga la fase dell’egoismo all’infinito.

Provaci con l’egoismo!!! Provaci al 100%!!! Perché più ci provi al 100%, più sarà breve la fase dell’egoismo. Se invece hai un sacco di moralismi che ti fregano, ci metti tutta una vita a provare con l’egoismo.

Per fortuna che c’è la reincarnazione!

Quindi, nel sociale abbiamo un sacco di gente a cui non è mai stato concesso di fare l’esperienza: adesso io, siccome mi è stato concesso di esprimere l’egoismo al 100%, ho le tasche piene!

Allora sì che funziona!

La proibizione aumenta il godimento. La mela proibita aumenta il godimento.

Il cosiddetto egoismo è stato talmente proibito dal moralismo, che il godimento aumenta, aumenta, aumenta, e le persone, adesso, restano nella fase dell’egoismo molto più a lungo di quanto farebbero se potessero essere al 100% egoisti.

Si capisce il pensiero?

PUBBLICO: Sì, sì!

A.: Fa un po’ paura, vero!

I.: Cosa intende per egoista?

A.: Dare calci e pugni a tutti quanti e pensare solo a se stesso.

I.: Cioè affermarsi solo come individualità, oppure…

A.: …contro gli altri; io contro tutti! Un essere umano che non ha fatto l’esperienza di questa fase non vale una cicca! È ancora un bambino!

E nessun essere umano che faccia questa esperienza, ma veramente fino in fondo, ci resta dentro volentieri; perché si piglia botte all’infinito.

ROBERTO: Non può averla già fatta?

A.: Non sia mai che l’abbia fatta nella vita precedente?!

Allora mi dimostri di comportarsi come un signorino, o una signorina, – che mi dimostri – di averla già fatta questa esperienza!

Da che cosa evinco io che questa persona ha la fase del 100% di egoismo già alle spalle?

PUBBLICO: (varie risposte)

Che è altruista.

Che è contento, senza dover aspettare che…

Di aspettare le situazioni per quello che sono.

Che è libero.

A.: No! Tutti moralismi!

Me lo dimostra se dimostra… che è sincero che gode l’altruismo molto di più che non l’egoismo!

Soltanto se lo gode intensamente, il cosiddetto altruismo, mi dimostra di avere le tasche piene dell’egoismo! Che poi cosa ha fatto in questa vita, o nella vita precedente, non importa nulla. Ma finché non mi dimostra di godere questo cosidetto altruismo… abbiamo tutta una terminologia inficiata di moralismo: l’altruismo è una castrazione, scusate! La parola altruismo… chi di voi qui in sala, adesso siamo sinceri, eh!, associa la parola altruismo col massimo di godimento?!

La maggior parte della gente associa la parola con: “devi essere altruistaâ€!

Quindi se tu hai superato al 100% la fase dell’egoismo, non importa nulla se l’hai fatto in questa vita o nell’altra, però mi devi dimostrare che godi, ma proprio godi a piene mani l’essere per gli altri. E il godimento, la condizione sine qua non del godimento, sono le botte prese; solo quelle fanno sorgere il godimento.

I.: Come faccio a sapere, a verificare dentro di me, che il massimo godimento dell’altruismo – ma proprio lo godo in maniera forte – in realtà sia in me un’altra forma di egoismo?

Io me lo chiedo a volte…

A.: Non è che possiamo risolvere tutti i problemi in un fine settimana, perciò ci incontreremo diverse volte. Metto una pulce nell’orecchio – no, nella testa! – Però è un riassunto che serve a masticare.

L’egoista ama se stesso soltanto a metà, e non l’ha capito ancora. L’altruista ama se stesso pienamente!

L’egoista ama se stesso poco, pochissimo, fa scappar via tutti. Facendo scappar via tutti è disamore verso di sé, e resta solo. Quindi uno che si mette nella posizione di restare solo mica può dirmi che oggettivamente ama se stesso, no! Ha fatto di tutto per disamarsi, ha cacciato via tutti…

L’altruista fa venire a tutti la voglia di vivere con lui! Più amore di sé non c’è!

Quindi l’egoista è stupido. L’altruista è intelligente.

L’egoista non ha ancora capito che essendo egoista si ama poco, poco.

MASSIMO: Quindi l’altruista è un sano egoista!

A.: “Sano†nel senso che è molto più intelligente! E l’egoista è un egoista del tutto imperfetto: ha appena incominciato ad amare se stesso. L’altruista porta l’amore di sé a compimento.

I.: Il Logos come si rapporta con l’egoismo?

A.: Tu dimmi chi è il Logos!

I.: Il Logos è quell’entità di cui lei ha parlato ieri.

A.: No, voglio sapere cos’è il Logos nella tua testa!

I.: Ah, nella mia testa… Il Logos ha il significato di logica, però io adesso sto pensando al Logos come lei l’ha spiegato ieri…

A.: Allora, faccio una riflessione di metodica. Vedete, ci sono tanti interessi in sala – una cosa bellissima! – nel corso degli incontri dovremo sempre di nuovo insieme decidere con quale velocità andare avanti nel testo, oppure quanto tempo ci prendiamo volentieri per il dibattito.

Nella misura in cui viene uno disposto… non che vuole propinarmi dei contenuti – non importa nulla – ma, viene una persona, che magari ha studiato un po’ le cose, ha cercato di farlo, allora le persone dicono: oh, mica lo facciamo tornare in Germania senza aver posto le domande fondamentali, che magari altrove non ce le hanno le risposte!

Quindi dovete capire che per me c’è il problema, sempre, e lo risolviamo insieme, di dire: adesso tante persone qui si arrabbiano che ci perdiamo in queste domande così fondamentali e quante persone vorrebbero andare avanti col testo ecc., ecc.

Quindi restiamo sempre in dialogo.

Perché adesso, per rispondere alla tua domanda, devo fermarmi almeno 5 minuti, d’accordo!

E la risposta a una domanda… non esiste una risposta per cui tu dici: ah, adesso ho capito, adesso ho la risposta! Sarebbe una stasi nel cammino del pensiero, che ti fa

fermare e il godimento è il minimo. La risposta che uno gode di più – la risposta tra virgolette – è quella che ti fa sorgere almeno tre domande nuove!

Allora, parto dal presupposto che il Logos – visto che nel vangelo di Giovanni abbiamo il Logos, ma anche in Filone di Alessandria, e già Aristotele parlava del Logos – parto dal presupposto che se lo chiamano Logos sia logico! Che ha fatto le cose logicamente, se no non ha il diritto di chiamarsi Logos.

Ho dentro di me, ognuno di noi ha dentro di sé la capacità di logica? Che ognuno dice: sì, sì, questo va bene, è pensato giusto?

Certo! Il pensare è l’organo del Logos. Allora gli concediamo soltanto di aver fatto le cose logicamente; se ha fatto le cose logicamente… adesso, ritornando a chi ha fatto la domanda, per avere un minimo di interazione: ci sei soltanto tu al mondo?

I.: No!

A.: Ah! Ci sono anche altri esseri umani? …Sembrerebbe di sì! Quindi vedi che non chiedo molto, io, come logica di partenza. Allora diciamo: non esiste soltanto l’uomo, ma esiste l’umanità. L’umanità… quelli incarnati ora sono 7 miliardi; quelli escarnati, siccome il tempo fra morte e nuova nascita è ancora più lungo, supponiamo che siano, fra gli uni e gli altri, complessivamente 30 miliardi di uomini circa.

Che cosa è più logico, che cosa è più convincente per il pensiero, averli pensati belli creati – nessuno di noi si è creato lui – andiamo bene fin qua? – io adesso sto esprimendo pensieri fondamentali, eh! – quando la vostra mente vi dice: no, qui sbagli: non è giusto, dovete subito farvi sentire, non lasciatemi fare nessun passo dove la vostra mente dice: no, no, no: è sbagliato! – Allora: l’umanità… nessun uomo si è creato, quindi è stato creato! Il creatore dell’umanità, il Logos –supponiamo che sia lui – ha creato l’umanità, quindi tutti gli uomini, e ha creato i singoli uomini.

Tu sei l’uomo A; accanto a te c’è l’uomo B… è la stessissima cosa in tutto e per tutto?

No! L’essere uomini ha qualcosa di comune, che è la natura umana, però questa natura umana è specificata, individualizzata, all’infinito! Ci siamo fin qui?

Quindi in comune con te… A e B hanno in comune la natura umana, che però, finché non si specifica, non si individualizza, resta astratta.

Per esempio, comune a tutti gli esseri umani è la facoltà del pensare; nessuno ha sulle spalle due teste e nessuno ce ne ha mezza! Se uno ne usa soltanto mezza, affari suoi!, però ce ne ha una intera di testa!

Allora, se lui ha creato tutti i singoli uomini e l’umanità come una unità, se ha fatto le cose logicamente, essendo il Logos, deve aver esercitato l’arte del paradosso! Che l’umano è al contempo una unità in assoluto e al contempo una differenziazione all’infinito! (fa uno schema alla lavagna)

L’essere umano e l’umanità.

L’umanità è un organismo vivente e tutti gli individui sono i membri.

Ma dell’organismo hanno preso – in tutti i tempi, tutte le religioni, tutte le vecchie filosofie, ecc. – hanno preso l’esempio!

Siccome il pensare diventa subito astratto quando pensiamo l’umanità – non abbiamo la percezione di tutta l’umanità –, allora si prende un paragone con l’organismo, l’organismo corporeo ce l’abbiamo a disposizione.

La caratteristica fondamentale dell’organismo è che mette insieme due dimensioni che sembrano paradossalmente opposte: l’unità e la diversità. L’organismo non può vivere se non è unitario e non può vivere se non è differenziato in modo che il cervello abbia tutte altre funzioni che non il cuore, la milza, il polmone, i reni, ecc.

Torniamo alla tua domanda: come avevi formulato la tua domanda?

I.: Che rapporto ha l’egoismo con il Logos.

A.: Allora, in che rapporto stanno fra di loro l’amore per il membro singolo, per il fegato, e l’amore per tutto il corpo.

Ciò che noi chiamiamo altruismo è amore per tutto il corpo dell’umanità, ciò che noi chiamiamo egoismo è l’amore per un individuo singolo; ci siamo?

Ora uno degli errori più fondamentali del pensiero è di pensare – cosa sbagliata – che si possa amare il singolo diminuendo l’amore per l’umanità; o che si possa aumentare l’amore per l’umanità diminuendo l’amore per il singolo.

È pensato sbagliato!

In un organismo – adesso metto qui: il cuore, i reni, il polmone… cioè i singoli membri –: nell’organismo dell’umanità l’amore del singolo individuo e l’amore dell’umanità, o crescono insieme, o diminuiscono insieme.

In altre parole: io posso aumentare il mio amore per l’essere umano singolo soltanto aumentando il mio amore per tutta l’umanità; e posso aumentare il mio amore per tutta l’umanità unicamente aumentando il mio amore per l’individuo singolo.

E l’errore fondamentale del pensiero è che individualità e comunanza si escludano a vicenda; più spicco dell’individuo e meno comunanza – pensare sbagliato –, più comunanza e meno spicco all’individuo. E quindi anche nella storia recente, diciamo geograficamente, il comunismo ha sottolineato la comunità – Russia, ecc. –; però nella misura in cui ciò viene fatto a scapito del favorire i talenti individuali del singolo, viene impoverita la comunità; non viene amata.

Il capitalismo – di nuovo, il peccato originale del pensiero è l’unilateralità; l’unilateralità è un errore di pensiero – l’occidente, il capitalismo, ha sottolineato lo spicco dell’individuo nei suoi talenti, a scapito della comunità; e quindi toglie all’individuo la base necessaria, il contesto, e perciò l’individuo si trova adesso, nel mondo occidentale, in una realtà sempre più precaria che gli toglie la base per poter esprimersi come individuo.

O aumentano tutti e due, o diminuiscono tutti e due.

L’unico modo di amare se stesso al massimo è di amare il suo organismo al massimo. Se non ami il tuo organismo che ti fa vivere, e che è l’umanità intera, non ami te stesso. Ti voti alla morte, perché vivi soltanto in quest’organismo che è l’umanità!

Però questo ci sta a dire: se io sono un organo vivente nell’umanità, nel momento in cui in me si eleva l’umanità, moralmente in me si eleva tutta l’umanità. E quando io calo moralmente, o calo intellettualmente, cala tutta l’umanità.

Quindi ogni individuo decide delle sorti – siccome è dentro in quest’organismo reale – decide delle sorti di tutta l’umanità. Quindi in me si eleva, o si abbassa, tutta l’umanità, perché il mio organismo è nell’umanità.

I.: Quindi lo stato ideale sarebbe la comunione tra comunismo e capitalismo.

A.: La sintesi è una cosa molto complessa, non si può dire in una parola; sopratutto perché non è stata quasi per nulla esercitata. Adesso a me interessava dire: noi predichiamo da 2000 anni, come minimo, l’altruismo; finché l’altruismo lo predichiamo non facciamo sorgere il godimento dell’altruismo, perché lo presentiamo come un dovere. Adesso io vi chiedo, in base alle riflessioni che ho fatto, c’è un modo di godere l’altruismo al massimo?

Certo! Nella misura in cui io vivo l’altruismo come il massimo dell’amore di me!

Allora sì che mi viene voglia!

Quindi l’unica molla pulita, non moraleggiante, è sempre l’amore di sé; e questo va bene.

E perché funziona l’amore di sé?

Perché te lo dà mamma natura!

Ama il prossimo tuo come tu ami te stesso: se l’amore di sé viene posto a modello per l’amore per gli altri, vuol dire che è pulito, perfetto!

Quindi ogni essere umano si ama in un modo perfetto. Ma non ha ancora capito le conseguenze di questo amore: per voler amarsi sempre di più deve arrivare a capire che più ama gli altri più ama se stesso, e meno ama gli altri meno ama se stesso; perché si piglia un sacco di botte.

L’economia, il bene fondamentale del sociale; la cultura, dove c’è il principio di libertà; la politica, dove si tratta dell’uguaglianza… ci sarà un convegno l’anno prossimo, a Roma, sul maschile e il feminile; una conferenza prevista il sabato sera sull’omosessualità, e ho intenzione di presentarla… la chiave per capire l’omosessualità – in Germania, in tanti paesi, un sacco di dibattiti sul matrimonio omosessuale – è sul mistero dell’uguaglianza.

In economia… la legge dell’economia è la fratellanza, l’aiuto reciproco.

I.: Ma per politica si intende la sfera giuridica?

A.: Sì. Un accenno soltanto: la politica deve smettere di occuparsi di leggi, cioè di ingiunzioni, e deve attenersi in un modo assoluto, pulito, alle proibizioni. La sfera giuridica, la sfera politica, ha soltanto il diritto di sancire quali azioni sono proibite, e basta! E vanno proibite soltanto quelle azioni che, per natura, ledono la libertà; tutto il resto è permesso!

Esercizi che quelli che mi conoscono, sanno come vanno fatti.

L’economia… adesso voglio dire soltanto questo: che l’umanità sia veramente un organismo vivente unico, unificato, per ora ce lo dimostra soltanto l’economia.

Da un bel po’ di tempo si parla di economia mondiale. La globalizzazione ci sta dimostrando, dal lato concreto, dal lato della produzione, del consumo, del commercio, della distribuzione dei beni, che l’umanità è una unità; una sola.

Le sorti economiche dell’Italia, soprattutto adesso che siamo in Europa, e la vogliamo questa Europa unita – che poi l’Europa è un pensiero fasullo perché è un pezzo di umanità; però è meglio che avere tante piccole nazioni in Europa, una contro l’altra – ora, se abbiamo una moneta comune addirittura, è inconcepibile che le sorti economiche dell’Italia siano del tutto indipendenti dalle sorti economiche della Germania, perché sono due membri in un organismo vivente.

È come dire: il fegato non ha nulla a che fare con il cuore!

E’ questo un modo di pensare organico, di pensare tutti i fenomeni in una umanità che, a partire dall’economia – poi il diritto internazionale, lì siamo molto più indietro addirittura – e poi, diciamo, dalla vita spirituale, con una scienza dello spirito, che integra il materialismo delle scienze sociali, man mano che dall’economia, nella sfera giuridica e nella sfera culturale, ci conquistiamo la prospettiva dell’umanità, avremo sempre più esseri umani che si vivono completamente come un membro dentro un organismo più grande.

Pensiamo a un sacco di gente che dice: non me ne frega nulla degli altri, ognuno faccia i cavoli suoi. E’ illusorio, è tutto illusorio!

Noi, nel contesto della Filosofia della Libertà, non ci interessa dire che è male moralmente; ci basta dire che è illusorio; essendo illusorio mi scontro con la realtà!

Come un organo dell’organismo che dice: io mi faccio i cavoli miei, non m’importa niente del resto dell’organismo…

I.: Ma tutto questo discorso… e ci siamo scordati dell’individualismo etico. Perché andiamo a trattare dei massimi sistemi, del capitalismo, del comunismo, anche degli aspetti sociali, però l’individuo etico è l’atomo dell’umanità. Perché a porsi gli infiniti problemi poi si perde…

A.: Si è sentito acusticamente?

PUBBLICO: No, non c’è il microfono!

A.: È importantissimo quello che tu dici, eh! Ripetilo, e facciamo un minimo di esercizio di pensiero.

I.: Dicevo, abbiamo toccato tanti problemi enormi: umanità, altruismo, comunismo, gli aspetti sociali così… però rimanendo nel tema, morale, altruismo, direi il tema inerente al principio dell’individualismo etico, dell’individuo non collettivista dunque, che ha un agire etico…

A.: Ferma, ferma, ferma! Che cosa rende etico, morale, l’agire?

I.: Etico lo rende quando si dà al proprio agire… si dà lui i valori morali; trova i valori morali entro di sé, l’individuo; le produce lui le norme morali, non le va a prendere dal capitalismo, dal comunismo, da qui, da là; questo direi è un po’ il succo…

A.: Certo! Ci arriviamo poi nel corso di oggi, o domani, eh! La domanda che ci occupava appartiene a questo che tu dici: se l’individuo non è ancora capace – come forse la maggior parte, poi neanche incipientemente – di far sgorgare dal di dentro mete etiche individualizzate, cosa facciamo nel frattempo?

E questo complessifica la cosa! Non sminuisce le tue affermazioni. Se noi avessimo un’enorme quantità di esseri umani a questo punto, non avremo il problema!

Ma i problemi ci sono! E siccome ci sono i problemi, che sono quelli delle persone non ancora a questo punto, dobbiamo occuparci dei tentativi enormi del potere di mettere sotto sospetto la libertà!

I poteri ti sbattono indietro e ti dicono: moralmente buono è soltanto l’essere umano che si mette in riga, che fa il suo dovere, che si sottomette, che è bravo.

Tu hai scavalcato la pubertà, con la tua mente! L’umanità non l’ha ancora scavalcata!

Non si scavalca: bisogna passarci dentro!

Allora, come aggancio alla tua riflessione, l’individualista etico è colui che gode l’amore per l’altro, in quanto amore di sé. Ha già capito: non posso amare me stesso… l’individualista etico è amore di sé; che uno ami la pienezza del suo io, specifica, così come è stata pensata dal Logos che ha creato il mio io; ma la posso amare e godere soltanto nella misura in cui capisco che il mio massimo contributo all’umanità è la realizzazione del mio io.

I.: È la rappresentazione dell’anarchia!

A.: È il massimo dell’anarchia e il massimo dell’opposto!

PAOLO: Esatto! Tu ci arrivi dal di dentro, nessuno ti costringe dal di fuori; è la conquista della libertà massima che è quella di capire che il tuo egoismo fa parte dell’umanità; per cui si realizza nel bene dell’umanità.

I.: Stiamo dicendo la stessa cosa, forse Paolo ha un’altra angolazione, ma il concetto è lo stesso.

I.: Vorrei sostituire, se possibile, la parola amore con la parola libertà.

Perché quando diciamo: amore, ci si illumina la mente e ci viene in mente San Francesco, o due innamorati, ecc.; la parola libertà basterebbe per risolvere qualsiasi problema.

A.: Tu dici: se usiamo la categoria di libertà c’è più pulizia. Ma così come l’amore ognuno lo intende a modo suo, altrettanto lo è per la libertà.

Cosa intendi tu per libertà? Me lo dici in una parola?

I.: La libertà è non porsi limiti nel rispetto degli altri.

A.: La parola limite per me è una parola negativa e non mi dice gran che; e il rispetto dell’altro per me è una semicastrazione. Io non voglio essere rispettato da te, non mi basta!

I.: Vuoi che ti amo?!

A.: Non mi basta!

PUBBLICO: Che ti comprendo!

A.: Non mi basta!

PUBBLICO: Che ti godo!

A.: Brava! Ecco la parola giusta! O hai un minimo di godimento stando con me, oppure io scappo! E questo è il salto qualitativo, noi non siamo abituati a vivere nel positivo; siamo pieni di moralismi, e il linguaggio ce lo dice: l’essere umano cerca il godimento e, guarda che tu, se cerchi di godere la vita, o l’essere, o tutto quello che vuoi nell’isolamento, godi al minimo!

I.: Vuoi dire che la felicità è contagiosa in sostanza?

A.: Il perché dobbiamo incontrarci diverse volte è che non te la cavi con altre due parole! Capito! Perché quando dici: contagio, io sento la parola contagio…

O impariamo tutti quanti che il microfono lo prendono uno dopo l’altro tutti quanti – quindi dobbiamo tornare ad incontrarci – o tu, invece di una parola ci metti una frase, una frase è un minimo di espressione di pensiero, allora io mi posso agganciare; ma finché tu dici… hai usato due categorie: contagiare e poi?

I.: Felicità.

A.: Felicità la capisce ognuno a modo suo! Una persona mi descrive cosa la fa felice e io dico: no, questo è il mio concetto di infelicità in assoluto!

Quindi la Filosofia della Libertà è un esercizio del pensare dove non basta metter lì due parole! Non basta! Bisogna trovare il coraggio… e il compito del direttore d’orchestra è di non mortificare nessuno, capito!

Quindi, ognuno a modo suo, però si tratta di esprimere pensieri, non delle parole soltanto!

Mi dici cos’è la felicità?

I.: La felicità è un concetto è diverso per ognuno perché siamo singoli completamente diversi…

A.: L’avevo appena detto io!

I.: Quindi la felicità è un concetto che nell’umanità è diverso per ognuno di noi. Quando io ho detto che la felicità è contagiosa intendevo dire che, se tu sei felice, quindi ami te stesso, per non usare la parola amore, fai felici gli altri…

A.: No, no, il tuo modo di essere felice, se mi contagia, è perché sono morto! Perché il mio modo di essere felice è diverso! Può essere tutt’altro! Quindi, la tua felicità, per me, è pura noia!

Allora, se io chiedo: come fa quello lì ad essere così felice, posso trovare elementi comuni per essere felici; però stiamo dicendo che l’individualismo etico sta nel fatto che tutto ciò che è comune, e che esiste, va poi specificato, individualizzato.

Che cosa è comune nella felicità?

I.: Io vorrei un chiarimento sull’individualismo etico perché tu hai detto ieri: ciò che è bene per me non può essere bene per te. In questo caso nell’umanità “ciò che è bene per me†…non mi trovo nei parametri.

A.: Ciò che rende sano il polmone non può ugualmente sanare, render sana la milza!

I.: Ma tu dici che è addirittura male per l’altro!

A.: Certo! Perché se la milza comincia a voler essere sana al modo del polmone, diventa subito malata!

I.: Non mi è molto chiara questa cosa perché prima si è detto che il bene mio è anche bene per l’umanità: amando me stesso in modo non egoistico faccio il bene anche all’umanità; mentre ieri si era detto che l’individualismo etico è: ciò che è bene per me non è bene per l’altro. Ecco, questa cosa non riesco ancora a chiarirla.

A.: È paradossale! È paradossale!

I.: Ah, ecco!

NADIA: Io volevo dire che parecchi anni fa mi sono accorta del contagio che certe persone potevano esercitare su di me, e io prendevo questa loro felicità quale modo giusto anche per me, per ottenerla. E allora magari cercavo di fare le stesse cose, o di assomigliare, o di copiare un poco; ma rimanevo sempre delusa perché questo non mi dava felicità. Pian piano ho scoperto che la felicità è mia! Nel senso che io, anche se vedo gli altri felici, non mi lasciano delle tracce che mi mettano inquietudine, perché so che il mio modo di essere felice è diverso, e mi lascia tranquilla la felicità degli altri; sono contenta per loro e so che la mia felicità dipende dalle mie scelte e da quello che io sento di voler fare.

I.: Scusate il mio italiano, faccio un ragionamento alla sudamericana perché credo che una delle condizioni in sudamerica sia legato all’economia della speranza; e vedendo che voi parlate così… noi abbiamo un detto: quando uno del popolo ha fame noi non siamo liberi dalla fame, e questo punto di vista, quando ancora uno ha fame, quando manca un panino, noi non siamo liberi dalla fame. E’ un punto di vista molto diverso di vedere come fate voi.

A.: E’ molto giusto quello che tu dici! Allora: riassumo veloce veloce una delle piste di pensiero che stiamo seguendo. Però, riassumendola è un po’ falsata la cosa.

Uno dei pensieri fondamentali di questo libro è che l’individualismo etico, nella sua affermazione fondamentale, è che il valore morale supremo, il bene morale supremo, è la realizzazione dell’io unico! E’ un valore morale supremo per lui e di fecondazione e di arricchimento per tutta l’umanità. Quindi morale in assoluto; di bene morale in assoluto. Ci siamo fin qui? Andiamo bene?

Ora, l’individuo si realizza… l’individuo è minimamente individualizzato a livello del corpo, perché lì ci sono forze di natura – leggi di natura – massimamente generalizzate!

È semi-individualizzato nella sfera dell’anima, e diventa, ha la possibilità, potenzialmente di individualizzarsi del tutto, di diventare uno spicco unico, irripetibile, nella sfera della creatività dello spirito; dove si crea qualcosa che ancora non c’è!

Perché qualcosa che c’è ha un dato di natura per lo meno parzialmente uguale per tutti. Nella misura in cui – e questa è la risposta diretta alla tua domanda – avremo sempre più persone che godono la semi-individualizzazione nella sfera dell’anima, e godono ancora di più la piena individualizzazione nello spirito, allora avremo sempre più persone che per il corporeo vogliono soltanto il necessario per essere sani e godere lo spirito al massimo! E ce ne sarà abbastanza per tutti!

Finché avremo un sacco di esseri umani che non sono ancora capaci di questi godimenti superiori dell’individualizzazione a livello dello spirito, che arrancano nella sfera dell’anima, e che si godono soltanto il corporeo, continueremo a scannarci a vicenda!

Ma la soluzione non è quella di predicare: smettila di essere egoista! L’unico modo di smettere di essere egoista è di ammazzarsi! E chi ci guadagna se tutti ci ammazziamo?

Sei troppo poco egoista! Ti accontenti delle briciole della vita! Il corporeo sono le briciole della vita! L’animico sono i panini… e lo spirito… per questa terza sfera ci mancano le parole!!!

I.: Per lo spirito la tavola magica di un motivo.

A.: Sono immagini, sono immagini! Deve diventare esperienza vera e propria; allora sì stiamo parlando di… manca molto nell’umanità la percezione, cioè l’esperienza reale; c’è troppa gente che si accontenta di godere ciò che è corporeo.

BETTINA: Io credo che abbiamo troppo poca gente che si gode…

A.: Parli per te o parli per me?

BETTINA: Voglio capire un po’ e aggiungere qualcosa. Allora mi è piaciuto molto che prima questo signore (Interv. 11) ha cercato di usare, anziché la parola amore, la parola libertà; voleva sostituire la parola amore con la parola libertà perché la parola amore, così a fior di pelle, sa molto di qualcosa di sentimento…

A.: Ma da quando in qua il tedesco si commuove! Io vivo da una vita in Germania e non ho mai visto nessuno commuoversi; neanche la Merkel si commuove!

PUBBLICO: Ma (Bettina) è venuta in Italia!

A.: Ah, è venuta in Italia per comuoversi!

BETTINA: …invece la parola libertà è molto affine al pensiero, e lui però cercava di distinguere questi due termini: amore e libertà. Se invece li congiungiamo e diciamo: quanto sarebbe bello in amore far tutti un passo in avanti. Se invece non cerchiamo di valutare come anima e corpo la sfera del sesso, ma invece se godiamo far amore in maniera liberamente, intensamente…

A.: Ho l’impressione che è da parecchio in Italia!

PUBBLICO (Risate!)

BETTINA: …dolcemente e creativamente, allora saremo tutti un poco in avanti.

Io credo proprio che, oltre ad educare lo spirito con tanti studi e tutto quanto, l’umanità diventerà molto più buona se iniziamo a darci da fare a fare amore l i b e r a m e n t e.

A.: Bello questo panegirico dell’amore! Guarda che l’italiano non ha bisogno di un panegirico sull’amore! Non ce n’ha bisogno!

BETTINA: Non credo, non essere così pesante!

(Viene proposta una breve pausa)

A.: (Riprende presentando Monica Grimm alla quale si deve il lavoro di una nuova redazione dell’opera omnia delle conferenze di Steiner)

Allora: riassumo la situazione animica in Italia: ci sono due eserciti l’un contro l’altro; due fronti! Gli uni dicono: che bello che questo relatore non ha nessun filo del discorso e si lascia interrompere in modo che ognuno dica la sua; e l’altro fronte invece dice: ma no, non esiste che l’oratore non possa esporre per lo meno per un’oretta, santa pace!

Alzate la mano, per favore, …coloro che appartengono al fronte, diciamo, dell’anarchia… Quindi, gli amanti dell’anarchia e gli amanti del relatore! Mi son fatto capire?!

Naturalmente non vale alzare la mano due volte!

Allora: a chi va bene che ci sia un colloquio, diciamo, più libero, e chi vorrebbe invece dare al relatore almeno un’ora di esposizione?

( Prevalenza del secondo fronte)

Allora, questo pomeriggio la strategia di un bravo relatore è che la prima volta lasciate parlare lui, in modo che la maggior parte delle persone si stanca… allora, questo pomeriggio, mentre voi fate la siesta, io vado avanti con il libro – voi non ve ne accorgete – ma avete tutta una vita per imparare il testo.

Allora abbiamo ora circa 20 minuti a disposizione; io direi: è inutile che mi metta a continuare col testo, continuiamo con le domande. C’erano delle domande molto importanti, non buttate lì parole singole, frasette, è importante un pensiero minimamente articolato. Allora, qualcuno che non ha avuto modo di parlare…

I.: Dunque, io ho un problemino non da poco, che ritengo che nostra madre terra sia più importante di noi, come umanità; e ce lo dimentichiamo sempre, perché se nostra madre terra sta male stiamo male anche noi, se lei sta bene stiamo bene anche noi. Per lo meno io la penso così.

Allora io credo che di questo bisogna parlare, dare questa priorità; noi dimentichiamo le nostre priorità; le cose che diciamo, siamo tutti diversi, questo è vero; la libertà di uno è diversa dalla libertà dell’altro, la libertà di Hitler era quella di far fuori 6 milioni di persone; e allora ci devono essere delle priorità umane che derivano dal rispetto di nostra madre terra. Questa è la prima cosa.

Poi ci sono i termini che hanno significati diversi; tu prima hai fatto solo un accenno dicendo che limite è un vocabolo negativo; io invece penso che sia uno dei più importanti vocaboli positivi perché se non andiamo contro il consumismo, che significa limitare i nostri sprechi, nostra madre terra ci si rivolterà contro. Grazie!

A.: Ogni intervento è per noi occasione di riflessioni; se no a che serve!

Torniamo alla tua prima affermazione, che poi hai fatto: la terra è più importante dell’uomo!...

I.: Noi siamo parte della terra, quindi…

A.: Se la terra è più importante dell’uomo, perché non ti rivolgi alla terra? Parlagli alla terra! Tu ti sei rivolto al nostro pensiero: perché rendi l’uomo così importante?

Le sorti della terra dipendono dall’uomo, o l’uomo dipende dalle sorti della terra?

PUBBLICO: Tutte e due!

A.: È reciproca la cosa! E dei due, chi è capace di capire le sorti comuni della terra e dell’uomo? La terra lo può capire?

I.: No! Lo subisce!

A.: Lo subisce, quindi se è il capire il determinare sia le sorti dell’uomo, sia quelle della terra – che sono sorti comuni – dobbiamo occuparci del capire!

E occuparci del capire significa mettere la testa dell’uomo in priorità; e tu l’hai fatto! A chi ti sei rivolto? Ti sei rivolto alle mie unghie?

Nel mondo dell’uomo, l’uomo non è una parte e la terra è un’altra parte. L’uomo è il tutto; il fenomeno umano comprende la terra, però la terra non comprende l’uomo in quanto terra.

Detta così – adesso io le vedo le teste, no! – le teste mi stanno dicendo – e dico: i conti tornano –: quello lì ti mette lì le cose che non ti dà la possibilità di dire si o no, ti fa pensare! E allora va bene, e allora va bene!

Quando pensiamo di aver afferrato qualcosa siamo persi! Il pensare non è fatto per aver afferrato qualcosa, è fatto per creare all’infinito!

Quindi il mistero dell’interazione fra l’uomo e la terra è una provocazione a pensare all’infinito. Questo è il bello!

Come riduciamo l’immondizia?

I.: Producendone pochissima!

A.: Producendone pochissima. (inizia uno schema alla lavagna)

Il corpo… – quello che dico sono sempre riassunti, sono semplificazioni, se no su ogni cosa dovrei parlare per lo meno due o tre giorni; quindi prendete le semplificazioni come un concentrato di pensiero che poi va sviluppato – il corpo, il corporeo, si caratterizza in base ai bisogni; uno che ha fame ha bisogno di mangiare! Uno che è stanco morto ha bisogno di riposarsi.

L’anima… il campo di azione dell’anima – son tutti riassunti, eh!; son tutte semplificazioni. Le semplificazioni sono provocazioni a ritrovare la complessità –.

Il campo di azione dell’anima sono i desideri. Il desiderio di amicizia, per esempio. Il desiderio di amicizia, godere l’amicizia, non è un bisogno! La parola bisogno calza meglio verso il corpo.

Man mano che si va in su verso lo spirito – già la parola spirito, siccome siamo in tempi di materialismo, la parola spirito è rarefatta – cosa mettiamo?

Mettiamoci creatività; e mettiamoci anche un’altra parola: libertà.

Lo spirito non ha bisogni! Presuppone che siano appagati i bisogni fondamentali del corpo, e l’anima ha due possibilità fondamentali: può rivolgere le brame sul corpo e i desideri può rivolgerli verso lo spirito.

Se una persona gode la creatività, la libertà, l’espressione di volare individualizzata in ciò che crea, la sua anima gode di questa creatività, di questa libertà.

Il corpo, di che cosa ha bisogno?

PUBBLICO: Di essere sano.

A.: Di essere sano, certo! Come strumento per i desideri dell’anima e soprattutto come strumento del godimento massimo che è la creatività dello spirito.

Quindi il problema è che, in tempi di materialismo, quando parliamo di spirito, e di creatività e di libertà, se una persona non ha un minimo di esperienza dice: ma che noia! Quello lì si scalda tanto per lo spirito, ma io vivo bene anche senza!

Allora si accontenta di ciò che dà l’anima e ciò che dà il corpo.

Consideriamo adesso quello che c’è sulla lavagna in chiave di egoismo, amore di sé e amore dell’altro. Una persona che gode, fissata, incentrata, sui godimenti del corpo, è massimamente avanti agli altri?

PUBBLICO: No!

A.: Perché?

PAOLO: Perché è il massimo della separazione. Nel corpo noi siamo al massimo della separazione, io non posso entrare nell’altro, ho un limite fisico, i corpi son separati di natura. Più salgo in questo percorso (indica lo schema), più c’è condivisione.

A.: Quindi una buona mangiata… una buona mangiata vale soltanto per il mio corpo. Io non posso fare una buona mangiata che sia contemporaneamente una buona mangiata per l’altro! La deve fare lui!

missing image file

PAOLO: Mentre quando io ho dei pensieri interessanti li posso condividere con tutti gli altri. I tuoi pensieri tu li esprimi, poi ognuno di noi li usa, o non li usa, li muove, o non li muove; per cui diventano immediatamente comunitari, immediatamente patrimonio di tutti noi.

A.: Quindi, corporeo è il massimo di separazione, per cui c’è un massimo di egoità, senza subito tacciare di diversità, oggettivamente; e ciò che riguarda lo spirito crea il massimo di condivisione.

Se Rudolf Steiner ci portasse una bella focaccia, o la mangi te, o la mangia un altro! Se ci porta la Filosofia della Libertà la possono mangiare tutti, perché è un mangiare spirituale! Quindi è nella struttura dell’essere umano che, più è incentrato sul corporeo, più si chiude in se stesso, oggettivamente; – lasciamo perdere adesso la valutazione morale – e più si apre nella direzione dell’anima e dello spirito, più entra in ciò che è comune, in ciò che è condivisibile.

I.: Le risorse del corporeo sono limitate; quindi, o le prendo io, o le prendi tu; in questo letto, o ci dormo io, o ci dormi tu. Quelle dello spirito invece sono illimitate e io godo di più nel condividerle con gli altri; quindi io non tolgo niente a te, ma anzi la nostra interazione aggiunge un qualcosa nello spirituale.

A.: Le risorse sono limitate; la terra è avara?

I.: No!, dà esattamente le quantità di cui c’è bisogno, però siccome io voglio godere del corporeo, non voglio soltanto tenerlo sano, ma voglio godere del piacere del corporeo, quindi tendo a volerne sempre di più rispetto a quello che è necessario.

A.: Quindi, uno che ha soltanto il corporeo – i soldi fanno parte del corporeo – tende ad aumentarlo all’infinito perché ha solo quello! Tendendo ad aumentarlo all’infinito toglie agli altri ciò che per gli altri sarebbe il necessario! Quindi si riempie le tasche di ciò che per lui non è necessario, perché non ha altre brame, non conosce altre brame, e riempiendosi le tasche, avendo più del necessario a livello corporeo, lo toglie agli altri.

Se invece ci fosse un maggiore godimento dell’animico e dello spirituale, la natura è piena di doni: è doviziosa, non è avara! E ci sarebbe il più che sufficiente per tutti!

I.: Non c’è forse un elemento di paura in questo accaparrarsi materiale?

Rispetto ai soldi di cui si parlava prima, no!, perché uno vuole tanti soldi, per quale motivo se non gli dà questo godimento alla fine?

A.: Allora, ieri accennavo che l’elemento che in realtà fa più paura è la libertà! Il fegato dice – prendiamo l’analogia del corpo, dell’organismo umano – il fegato dice: ma io non son sicuro che l’organismo, anche domani, anche dopodomani, mi mandi il sangue di cui io ho bisogno! Oh!, io per essere sicuro mi faccio una piccola sacca – chiamiamola la banca, o la borsa – di sangue, e mi tengo indietro questo sangue, casomai l’organismo non mi desse abbastanza sangue, io ce l’ho!

Tu dici: è comprensibile! Certo! Nulla è più comprensibile quanto la paura! È umana!

Cosa ci aiuta a superare la paura?

Il pensiero che dice: più abbiamo persone che, in base alla paura che l’organismo non gli ridia il sangue che gli dà la vita, si fanno delle sacche, più roviniamo l’organismo e più ci perdiamo tutti! E allora chi comincia?

Per quanto mi riguarda o comincio io, o non comincia nessuno! Quindi la libertà è un rischio per natura: o arrivo – però ci arrivo in base a processi di pensiero, eh! – al colpo che mi godo il rischio al massimo, oppure non funziona!

Libero è colui che gode al massimo il rischio, perché la libertà è il rischio più grande che ci sia!

E il ritorno poi è una sorpresa perché uno non è mai sicuro; se fosse sicuro non c’è il rischio, e se non ci fosse il rischio lo farebbero tutti!

Quindi io, mettere lì una scatola – è un esempio, eh! – per il relatore, poi bella nascosta in modo che nessuno la vede, è un gesto da suicidio! È un rischio eh!

E la mia sorpresa, che sono quarant’anni che lo faccio, è che non sono ancora morto! E mi basta!

Arrivato il momento in cui nessuno ci mette dentro qualcosa, io dico: se la gente è contenta che io non venga a Milano, avrei dovuto smetterci di venire già da un po’ di tempo. Se invece sono contenti, la prossima volta, o ci mettete dentro qualcosa in più, o io non posso venirci. Continuano a non metterci nulla, ho perso io non gli altri. Voglio dire: libero è soltanto colui che gode il rischio, perché la libertà è un rischio.

In cosa consiste il rischio?

Che l’amore di sé senza l’amore altrui è di colui che perde, e per guadagnare si può soltanto amare se stessi amando gli altri. Col problema che la parola amore crea un sacco di pasticci; però nel contesto ci capiamo, eh!

Il rischio è di capire: posso amare me stesso soltanto amando gli altri. E questo è un rischio; e la libertà è un rischio.

E tutta la cultura borghese, tutta la cultura ecclesiastica, hanno creato una morale di andare sul sicuro: essere bravi!

Andare sul sicuro non c’è esperienza di libertà.

Un altro esempio: se tu vuoi imparare a nuotare devi buttarti! Prima o poi ti deve venir la voglia di buttarti! Però è un rischio! Eh, senza rischio non impari a nuotare!

Il bambino vuol imparare a camminare… eh, un paio di cadute se le deve fare!

E poi salta fuori… sorpresa, però, eh! Ah, ah, cammina!

I bambini ci sono sempre, per noi adulti averne la percezione è una cosa straordinaria: questa gioia del bambino… adesso è capace… non cade più!

O si vive a rischio, o non si è liberi. E ognuno deve scegliere!

Buon appetito!

Sabato 28 settembre, pomeriggio

A.: Mi sentite con la mia voce scassata?...

Allora: come piccola introduzione questo pomeriggio – poi lasciatemi andare avanti col testo –: questa mattina tante persone hanno detto: no, diamo anche al relatore la possibilità di svolgere alcuni pensieri in modo che poi gli interventi abbiano un campo comune di riferimento, se no si fanno sin troppe digressioni.

Dunque quello che Steiner sta facendo è un’analisi della natura umana: cioè come è fatto l’uomo!

Un’affermazione fondamentale del XIII° capitolo è: l’uomo è fatto così, ognuno è fatto così, anche se non se ne accorge, che non fa un calcolo quantitativo di quanto piacere c’è e quanto dolore c’è nella vita. Se esubera il piacere vale la pena di vivere, se esubera il dolore non vale la pena di vivere e quindi vado all’altro mondo.

No! Non esiste questo calcolo! Lo fa magari il filosofo; o la chiesa che vorrebbe cambiare la natura umana a modo suo; e farla funzionare in un modo che faccia piacere a lei, alla chiesa!

E Steiner dice: no, non funziona!

L’essere umano sano – e lo siamo tutti! – non permette a nessuno di cambiarmi la natura. E allora, come funziona la natura umana?

Funziona così – anche se nessuno se n’è ancora accorto, e si tratta di rendersene conto – funziona così che le cose che una persona vuole raggiungere, sia, diciamo noi come orientamento, a livello maggiormente del corpo, sia a livello maggiormente dell’anima, del vissuto, sia maggiormente a livello spirituale – qui, è un po’ più aria fritta – sono concrete!; cioè, comunque, ogni essere umano vuole qualcosa! E ciò che vuole è: al momento presente!

Ciò che mi ha appassionato un anno fa non c’è adesso, e ciò che mi appassionerà fra un anno non c’è adesso. Quindi le voglie, le brame, i desideri sono sempre al presente – prima cosa! –.

Seconda cosa, sono cose concrete! Se io ho fame in questo momento, non ho voglia di un quantitativo di piacere che mi si può dare anche facendo una passeggiata… No!, se ho fame l’unico modo di appagare questa fame è di mangiare!

Quindi il voluto – permettetemi questa parola che non c’è – è concreto! Quindi se prendiamo queste due categorie sul serio, le brame, i desideri – la traduzione più esatta sarebbe: i desideri –, però il tedesco è più aderente alla natura viscerale, parla sempre di “brame†– Begierden –. Nella traduzione italiana si nota il disagio della borghesia moderna, anche antroposofica, permettetemelo di dire, di fronte alla natura umana! La paura della natura umana!

E questo disagio nei confronti della natura umana fa capire tutte le cariche di moralismi per mettere a bada la natura umana! La natura umana va benissimo così com’è! Problemi hanno soltanto le persone che hanno paura di fronte alla natura umana! Sono problemi loro però, non miei! Non della persona libera!

Quindi si tratta di prendere sul serio l’orientamento morale della natura umana.

Nel momento in cui l’essere umano va contro natura, non soltanto la pagherà di grosso, ma moralmente è immorale! Perché va contro la natura!

Non c’è nulla di più morale della natura, ma scusate!

Adesso prendete il fenomeno culturale dell’ascesi cattolica o religiosa. Ascesi è un fenomeno contro natura! Immorale! Castigare il corpo significa andare contro la natura che si esprime nel corpo, e tutto ciò che è contro natura è immorale! Perché nulla può essere più morale, più sano, più buono, per l’essere umano, che la natura!

Qualcuno stamattina ci ha perorato la bontà intrinseca della terra… Perché è buona? Perché è natura pura!

La natura sono i pensieri più puliti del Logos!

Ma allora tu dici: se l’ascesi è contro natura, allora io devo lasciarmi andare?...

È naturale “lasciarsi andare�

Diciamo, abbiamo scoperto finora, abbiamo trovato una mezza natura! Quindi il problema è che ci manca l’altra metà, il problema non è della (prima) metà!

E la mezza natura che c’è per forza, è la natura che ci dà la natura. Tutti i desideri e le brame che ci dà la natura.

Adesso arriva la domanda fondamentale: ciò che l’essere umano può conquistarsi, ciò che non gli è dato, che è libero, che ha la potenzialità di conquistarsi in quanto libertà… le conquiste della libertà fanno parte della natura umana o no?

La libertà è la parte più bella della natura umana!!!

È la parte più bella perché?

Perché dà più gioia; consente delle brame, dei desideri molto più forti, dà un’intensità di beatitudine, di godimento all’infinito, che fa impallidire i godimenti della natura, diciamo, corporea.

Detto in altre parole: non ci sono peccati di commissione; tutto ciò che c’è va bene! Il male morale è sempre e solo nell’omissione! Perché l’essere umano omette di esercitare una natura superiore tutta libera, che la natura non gli dà per forza!

La natura gli dà la potenzialità, gli dà la capacità, però questa capacità la deve esercitare lui!

Nella misura in cui l’altra mezza natura – cerco di evitare tutti i vocaboli moralistici, non dico: mezza natura “superiore o inferioreâ€, perché sarebbe già una specie di connotazione moraleggiante – l’altra mezza natura, che è quella della libertà, si rende conto che la struttura della natura umana è che questa prima mezza natura che c’è in tutti, ha il senso di farsi da strumento, da base, per godere i grandi godimenti della vita!

Quindi in questa mezza natura qui ci sono i piccoli godimenti della vita e in quest’altra mezza natura che è libera, ci sono i grossi godimenti della vita.

Quindi l’unico problema dell’umanità è che una massa enorme di individui umani non vive mai, non sperimenta mai, omette sempre, i grandi godimenti della vita!

E sono scontenti! E pensano… allora il moralista pensa: sei scontento perché tu dài troppo spazio (alla natura inferiore): castiga questa natura qui!; e poi ancora di meno…

Se una persona gode soltanto il corpo e glielo volete portar via… non ha più nulla, scusate! È una baggianata che peggio non si può!

Quindi, diciamo, l’affermazione fondamentale di questo capitolo è: attieniti alla natura umana! Non sentirti più saggio della natura umana! Nel momento in cui tu, con la tua ragione, pensi di saperla meglio, di essere più intelligente, andrai male!

E se ti orienti sulla natura umana ti accorgi che è strutturata in un modo tale che c’è una base di forze, di brame, che ti dà la natura stessa, e poi c’è una fascia, che siccome è lasciata alla tua libertà, ti dà, nella misura in cui tu l’affronti, ti dà una gioia, una soddisfazione, e anche una pienezza dell’essere, che fa impallidire tutti i godimenti, tutti i piaceri, diciamo, del corpo.

Par. 35 – Le esigenze insoddisfatte della nostra vita gettano la loro ombra anche sui desideri esauditi e pregiudicano il valore delle ore piacevoli. Ma si può parlare anche del valore presente di un sentimento di piacere.

Questa frase è importante: il valore presente! Ve lo dicevo all’inizio: l’essere umano vive nel presente; cosa vuole in questo momento, cosa brama in questo momento, cosa desidera in questo momento. Il vissuto passato è passato, non c’è più, il futuro non c’è; si può parlare, e si deve parlare, del valore presente di un sentimento di piacere.

Questo valore è tanto minore, quanto minore è il piacere in rapporto con la durata e con l’intensità del nostro desiderio.

Tenete sempre presente che ogni volta che nella traduzione abbiamo la parola desiderio, quasi ogni volta, nel tedesco c’è “Begierden†che è molto più forte! La brama, via!

Par. 36 – Per noi ha pieno valore una quantità di piacere che, per durata e per grado, (per intensità) corrisponde esattamente al nostro desiderio. Una quantità di piacere più piccola del nostro desiderio diminuisce il valore del piacere; una più grande produce un’eccedenza non richiesta che viene sentita come piacere solamente fino a quando, durante il godimento, abbiamo la possibilità di accrescere il desiderio. Se non siamo in grado di far andare di pari passo l’accrescimento della nostra richiesta con l’aumento del piacere, questo si trasforma in dispiacere. L’oggetto, che altrimenti ci darebbe soddisfazione, ci sopraffà senza che lo vogliamo, e noi ne soffriamo. Ciò è una prova (una dimostrazione) del fatto che il piacere ha per noi valore soltanto fino a che noi lo possiamo commisurare al nostro desiderio.

…fino a che lo possiamo misurare col nostro desiderio, con la brama.

Quindi noi paragoniamo il piacere all’intensità del desiderio, non alla quantità di dispiacere che c’è da subire per conseguire ciò che vogliamo raggiungere.

Quindi decisivo nella natura umana, decisivo per il comportamento dell’uomo, non sono soltanto i desideri e le brame che l’uomo ha, ma la loro intensità!

Perché se uno ha un desideriuccio di qualcosa, la forza che ci mette sarà molto minore che non quando una certa brama, un certo desiderio, è di una tale intensità che sono disposto a tutto pur di conseguirla!

Ed essere disposto così significa: non m’importa nulla quanta sofferenza, quanti ostacoli, quanto dolore ci sia da superare! Resterà abbastanza intensità, abbastanza forza, per conseguirlo.

Quindi, la domanda della vita è: come si fa, cosa devo fare per generare in me brame talmente micidiali che non mollano mai!

Una brama che si appaga in tutto e per tutto… molla! Nel momento in cui è appagata, molla!

La brama di mangiare, la fame per esempio: mi faccio una mangiata… la brama non è più micidiale, anzi, è sparita del tutto!

Quindi, è nella natura del corporeo che il bramare e l’appagamento si alternano. È quando l’appagamento della brama, fa sparire la brama.

La sazietà fa sparire la fame.

Quindi: o ho la brama, allora mi godo la brama, o mi godo l’appagamento, ma non tutti e due insieme. E io già ieri dicevo che il massimo di godimento è nel godere sia la brama, sia il godimento, cioè l’appagamento della brama.

Quindi le brame che ci danno più godimento sono quelle che sono sempre in corso di appagamento, ma mai del tutto! E siccome si appagano sempre di più, ci danno sempre più gioia, e siccome non sono mai del tutto appagate, resta la brama!

E un esempio classico è la sete, la brama, di conoscenza! Più uno conosce, più uno ha fame di conoscenza. Quindi l’appagamento aumenta la brama.

Quando ho fame – fame fisica – l’appagamento fa sparire la brama. Sono sazio: non ho più fame! Quindi è meno interessante questo tipo di brama perché: o ho la barama e non c’è l’appagamento, la sazietà; oppure ho la sazietà e allora finisce la brama.

Invece io vorrei avere tutt’e due, santa pace! Vorrei godermi la brama e l’appagamento, tutt’e due insieme!

E le cosidette brame dello spirito – chiamatele come vorrete – hanno questa specie di incantesimo che fanno aumentare tutt’e due! Siccome l’appagamento non avviene mai del tutto, ma dà sempre più gioia; dando sempre più gioia aumenta sempre più la brama! Sempre più brama, sempre più appagamento; sempre più brama, sempre più appagamento; contemporaneamente! E lì si vive nel settimo cielo!

Se vado indietro di trent’anni fa… Sono circa 35 anni che macino dalla mattina alla sera le conferenze di Steiner… l’ho scoperto quando son diventato eremita sul lago di Como – ero a New York, mi era sparita la voce e allora mi hanno permesso di far l’eremita –. Ho scoperto Steiner, non sapevo chi era! Macino da 35 anni, giorno e notte le conferenze di Steiner. Ma è una cosa, proprio una cosa da matti! La brama sempre più forte, il godimento sempre più forte, fino ad oggi! E le cose stanno andando sempre peggio!, tra virgolette, naturalmente!

E tutto il resto impallidisce di fronte a una pienezza, a una gioia di questo tipo qui! L’auguro a tutti quanti, ma non è che la si può predicare… tra l’altro, se voi state zitti abbastanza da farmi finire il capitolo, alla fine tutto il discorso si incentra sulla natura umana completa, perciò vi ho messo qui tutt’e due le dimensioni della natura umana!

Perché la religione, la religione cattolica che non ha quasi nulla a che fare col cristianesimo – cattolicesimo e cristianesimo sono due cose del tutto diverse, e ve lo dice uno che se ne intende un pochino; la barca la conosce! Quindi, quando parliamo di cattolicesimo, non è detto che stiamo parlando di cristianesimo –, riguardo al concetto della natura umana, il cattolicesimo tende a metterci come se la grazia divina fosse una sovra-natura! Ma se è sovra-natura allora esula dalla natura, allora non fa parte di me!

Quindi non c’è una sovra-natura! C’è quella parte della natura che è ancora più naturale perché è specificamente umana.

Che cosa fa maggiormente parte della natura umana, ciò che io ho in comune con la natura dell’animale – istinti corporei, ecc., ecc. – o ciò che è specifico della natura umana?

Fa parte maggiormente della natura umana – non della sovra-natura, del sopranaturale – ciò che è specifico dell’uomo e che non ha l’animale. E ciò che è specifico dell’uomo lo chiamiamo la libertà!

Quindi la libertà, ciò che è libero, ciò che è artistico, creatore, fa parte molto più profondamente della natura umana, che non ciò che ho in comune con la natura dell’animale.

…Se non siamo in grado di far andare di pari passo l’accrescimento della nostra richiesta con l’aumento del piacere, questo si trasforma in dispiacere. L’oggetto, che altrimenti ci darebbe soddisfazione, ci sopraffà senza che lo vogliamo, e noi ne soffriamo. Ciò è una prova (una dimostrazione) del fatto che il piacere ha per noi valore soltanto fino a che noi lo possiamo commisurare al nostro desiderio. Un eccesso di sentimento piacevole si risolve in dolore. Possiamo osservarlo specialmente in quegli uomini nei quali sia esigua la domanda per un certo genere di piacere. Alle persone in cui l’istinto della nutrizione sia attutito, (certe persone anziane, per esempio, che non mangiano più volentieri) il mangiare dà facilmente disgusto. Da ciò risulta ancora come il desiderio sia il misuratore del piacere.

Da ciò risulta ancora il fatto che il desiderio è la misura, il metro di misura del piacere.

Se uno ha una gran voglia di mangiare, mangiando sente gioia; se uno non ha voglia più di tanto di mangiare, mangiando sentirà molto meno gioia. Quindi il metro di paragone, il parametro, è l’intensità del desiderio.

Par. 37 – Ora il pessimismo può dire che l’istinto insoddisfatto di nutrizione non soltanto provoca il dispiacere del mancato godimento, ma porta nel mondo dolori positivi, tormento e miseria. Esso può, per questo, appellarsi all’indicibile miseria degli uomini provati dalle preoccupazioni per il nutrimento, a tutti i dispiaceri che indirettamente sorgono per qusti uomini dalla mancanza di cibo. E se si vuole estendere la sua affermazione anche alla natura extraumana, esso (il pessimismo) può additare i tormenti degli animali che in certe stagioni muoiono di fame per mancanza di cibo. Circa questi mali, il pessimista afferma che essi superano di gran lunga la quantità di godimento portata nel mondo dall’istinto di nutrizione.

Par. 38 – È senz’altro fuor di dubbio che sia possibile confrontare tra loro piacere e dispiacere,…

…quindi è senz’altro possibile… per lo meno si può tentare di calcolare, benché la vita di chi fa questo calcolo non sia ancora finita, la quantità di piacere – quindi un calcolo quantitativo – e la quantità di dispiacere.

Anche se risultasse – Steiner sta dicendo – che nella mia vita la quantità di dispiacere, di dolore, è maggiore della quantità di piacere, a me non (me ne) importa nulla! Presupponendo che la quantità di piacere che c’è, sia da me bramata, desiderata, in un modo tale che sono ben disposto, ben volentieri, a subirne questa quantità di dispiacere!

Quindi, per la natura umana, non è determinante il calcolo, il paragone, tra quantità e quantità! L’unica domanda importante, determinante, per la tua vita è: cosa vuoi?

E la seconda domanda: quanto fortemente lo vuoi!

Adesso… quando ricominceremo da capo, ovviamente arriveremo preparati a certe affermazioni; adesso che siamo alla fine, sopratutto per tutti coloro che sono nuovi, ritorniamo al pensiero: ma se uno ha voglia viscerale di ammazzare un sacco di persone?

PUBBLICO: Eh!, se ha piacere!...

A.: Eh, già! Forte! Forte! Intenso il piacere! Che facciamo?

PUBBLICO: Varie risposte: Glielo impediamo / …ma non è colpa sua! / È contro la libertà / Ecc., ecc…

A.: Lei (quella che ha detto: ma non è colpa sua) dice – moralismo, eh! –: ma non è lui, la natura sincera non vuole ammazzare l’altro!...

Lo dici te!

Ci vuole un accordo, che poi si esprime nella legge: il sociale non è possibile senza un accordo fondamentale, non su ciò che va comandato, ma su ciò che va proibito!

Faccio la domanda in un altro modo: è possibile permettere tutto?

PUBBLICO: No!

A.: Perché no?

PUBBLICO: (risposte confuse)

A.: Siccome la libertà è il valore supremo, è l’essenza dell’umano, deve essere proibito tutto ciò che distrugge la libertà; e soltanto quello!

Basta! Ce n’è che avanza!

Però va proibito! Quindi, ad una persona che distrugge la libertà dell’altro, per esempio uccidendo, uccidere va proibito!

E bisogna avere la possibilità, se questo tipo rischia di ripetere i suoi atti che distruggono la libertà, di ridurre la sua libertà che non è libertà; perché la prevaricazione, il distruggere la libertà altrui, non è libertà!

Era questo che tu volevi dire!

PUBBLICO: Ma la devianza di un malato?

A.: Devi entrare nel merito di quale devianza; cosa fa?, cosa combina?, devi dirmi cosa combina!

PUBBLICO: Un pedofilo, per esempio!

A.: Allora, il parlamentare diventerà sempre più complesso. Il discutere, il venire ad un accordo, che sarà sempre un accordo di maggioranza, dove si discutono quali azioni devono venire proibite – e devono venire individuate in un modo molto concreto quali azioni sono per natura lesive della libertà e quali no – questo tipo di parlamentazione diventerà sempre più complesso!

Quindi bisogna guardare quali azioni compie questo individuo, che conseguenze hanno, a quali gradi ledono, o non ledono, la libertà; e poi c’è un consenso di maggioranza dove una maggioranza dice: questo tipo specifico, preciso, di azione lede la libertà e va proibita!

Però vi ho subito detto: diventa sempre più complessa la cosa! Perché quando i cosidetti terroristi buttano giù le due torri a New York, sembra evidente a tutti che hanno ucciso! E quando l’America fa guerra in tutto il mondo è evidente a molte meno persone che uccidono! Però ci possono essere delle persone che dicono: no, sono terroristi anche quelli, perché uccidono un sacco di gente.

PUBBLICO: Ma la domanda è: come si fa a riconoscere la brama?

A.: No!, non si tratta di riconoscere la brama! La brama sono affari suoi! Noi guardiamo al risultato, a quello che compie uno con le sue azioni!

(Qui Archiati non termina il par. 38; lo riportiamo tutto noi)

Par. 38 – È senz’altro fuor di dubbio che sia possibile confrontare tra loro piacere e dispiacere, e determinare l’eccedenza dell’uno o dell’altro, così come si fa per i profitti e le perdite. Quando però il pessimismo crede di poter concludere, per il fatto che dal lato del dispiacere risulta un’eccedenza, che la vita non ha valore, esso cade in errore, in quanto fa un calcolo che nella vita reale non viene mai eseguito.

Par. 39 – Il nostro desiderio si rivolge in ogni singolo caso ad un determinato oggetto.

Allora dicevo, le tre cose: il presente, 1) le brame sono nel presente; 2) sono concrete,

determinate; quello che una persona vuole è determinato: non vuole la felicità in generale, vuole mangiare, vuole dare un calcio nel sedere a quell’altro, vuole avere una conversazione, vuole fare una telefonata… quindi sono concrete e determinate.

Se noi facciamo 1 + 2… avete una proposta?

Ma 1 + 2 fa 3! Il momento presente è concreto (1+2), e 3) individuale! Ecco l’individualismo etico!

Ciò che una persona vuole, brama, in questo momento è del tutto individuale.

In questo momento, qui in sala, se noi avessimo una capacità di percepire la natura umana sincera, nei minimi particolari di ognuno, scopriremmo, percepiremmo, in ogni persona, ognuno in sé, una compagine, una temperie, di brame, al presente, in questo momento presente, molto concreta e determinata, e del tutto individualizzata.

E va bene così!

Quindi ogni etica morale generale è immorale!; perché cancella ciò che è individuale! Generalizzabile è soltanto – ve lo dicevo prima – ciò che è proibito. Ciò che è proibito ci rende tutti uguali; è uguale per tutti. Quindi ciò che è proibito va proibito ugualmente per tutti, perché sono le azioni che ledono la libertà.

Ciò che è permesso… ma “permesso†…è già un paternalismo parlare di “permessoâ€; (meglio): ciò che “non è proibitoâ€, il comportamento “oltre ciò che è proibito†– partiamo dal presupposto che una persona che vuole vivere sempre più in libertà non vuole compiere azioni che ledono la libertà altrui e la propria – è che ognuno faccia ciò che vuole! E ciò che uno vuole è del tutto individualizzato. Ognuno ha in sé la brama di realizzare l’umano in un modo del tutto diverso.

Quindi, il male morale è ciò che è proibito, è uguale per tutti; il bene morale, per quanto riguarda te, il bene morale sei tu! Tu, la pienezza del tuo essere!, la ricchezza che tu hai da offrire all’umanità!

Ma ciò che c’è in te come potenzialità, come capacità, ecc., come individualizzazione dell’umano, lo devi dire tu!

Se io vengo a dire a te che cosa è bene per te, sono nell’intento di imporre a te la pienezza del mio essere, e questo è immoralismo!

Quindi l’umano è una sinfonia, un’unità, un tema unitario, ma le variazioni sono all’infinito in ogni essere umano. Chi tu sei nell’umanità lo puoi dire e lo puoi realizzare soltanto tu. E un valore morale più buono, moralmente più buono, più valido, più sacro, del tuo essere, non c’è; non esiste per l’umanità.

Però devi renderti conto che il tuo essere non è realizzato in tutto e per tutto, altrimenti non ci sarebbe la libertà; il tuo essere tu lo vivi come una potenzialità.

Quali potenzialità, quali dinamismi del divenire senti dentro di te… lo devi dire tu!

Esprimi il tuo essere più genuinamente che puoi! Un valore morale più grande non c’è! Perché, adesso, pensate un momentino quanto è abissale: c’è un valore morale a cui io devo adeguare il mio essere, quindi c’è qualcosa di moralmente più valido dell’uomo!... Una cosa assurda, allucinante!

Più morale della pensata che il Logos s’è fatto creando il mio essere, più bello, più vero e più buono di questo, cosa ci può essere?

Però me l’ha dato in chiave di potenzialità; in chiave di facoltà ha lasciato a me la realizzazione non aleatoria, ma, diciamo, in consonanza con ciò che c’è in me che vuole esprimersi.

Il bene morale è l’arte di conoscersi e di amarsi, per amore altrui. Non c’è amore più grande per l’altro, che offrigli la ricchezza che io sono. C’è qualcosa di moralmente più valido, più buono, che io possa offrirgli?

No! Non può esserci. E per amare l’altro di più, devo amare me di più, diventare più ricco, più bello, più buono, in modo da aver di più da offrire.

Amare sé per amore dell’altro e amare l’altro per amore di sé. Non si possono disgiungere, non si possono staccare l’uno dall’altro.

Par. 39 – Il nostro desiderio si rivolge (si volge) in ogni singolo caso ad un determinato oggetto.

Una piccola riflessione di linguaggio: il tedesco dice: si volge, tende!

Che differenza c’è tra dire: il nostro desiderio si rivolge e il nostro desiderio si volge?

È lo stesso?

No! Si “rivolge†potrebbe essere anche una questione di arzigogolazione del cervello!

Si rivolge… la mia domanda si rivolge…

Invece “si volge†è il campo della volontà! Si volge, si dirige! Tende verso!

Quindi, traducendo con questo “si rivolge†lo sminuisce, lo ammansisce.

PUBBLICO: In italiano si dice: rivolgersi a qualcuno.

A.: Allora tu diresti, se capisco bene, che non si può dire: il nostro desiderio “si rivolgeâ€â€¦

PUBBLICO. No, no.

A.: Io ho cancellato subito il “ri†e ho lasciato il “volgeâ€!

Si “volge†è chiaramente nel campo delle forze volitive, dove c’è la forza reale; si “rivolge†vale anche, in italiano, nel campo della disquisizione.

PUBBLICO: No, la differenza è che “si volge†è arcaico e invece “si rivolge†è attuale.

A.: Sei toscana te?

PUBBLICO: No!

A.: E allora stai zitta! Dico giusto? O tu, tosco (Massimo), dicci tu da buon toscano, c’è una differenza o non c’è, tra si rivolge e volge?

MASSIMO: Allora, volgersi è forte, cioè è qualcosa che ha a che fare con una cosa concreta; è la volontà che si esprime, che determina un’azione, un movimento, ecco!

Tant’è vero che si dice: volta, o svolta, a destra o a sinistra…

A.: …e non “rivolgersi†a destra o a sinistra!

MASSIMO: Esatto! …Rivolgersi si usa nel senso, ad esempio, di parlare ad una persona. Io mi rivolgo a… È qualcosa di più elevato…

A.: …di più teorico; che non succede nulla!

MASSIMO: …più mentale!

A.: …perché se io mi volgo a lui… insomma!

MASSIMO: È come volgersi due volte: una volta avanti e una volta indietro, quindi si rimane dove siamo, insomma!

A.: Mi fa piacere che non ho dimenticato del tutto l’italiano, via!

Vi faccio presente alcune cose, ma il testo è pieno di questi ammansimenti!

(riprende il testo)

…Il valore del piacere della soddisfazione… ma è il valore del piacere o della soddisfazione?

Se voi cambiate e invece di “del†ci mettete “diâ€, allora si capisce subito: il valore di piacere! Quale valore di piacere ha la soddisfazione!

E in tedesco il valore di piacere è una parola sola! Quindi, chi ha tradotto: “il valore del piacereâ€, non ha capito la sfumatura di pensiero.

…il valore di piacere della soddisfazione, come abbiamo veduto, sarà tanto maggiore, quanto più grande è la quantità del piacere in confronto alla grandezza del nostro desiderio.

All’intensità del nostro desiderio, anzi: all’intensità del nostro desiderare, del nostro bramare c’è in tedesco.

Ma dalla grandezza del nostro desiderio dipende pure la quantità di dispiacere che siamo disposti a sopportare per conseguire il piacere. Noi non confrontiamo la quantità del dispiacere con quella del piacere, ma con la grandezza del nostro desiderio. Con l’intensità del nostro desiderio. Chi prova grande gioia nel mangiare, saprà, in vista di un godimento in tempi migliori, superare un periodo di fame più facilmente di un altro cui manchi questa gioia nella soddisfazione dell’istinto di nutrizione. La donna che vuole avere un bambino (vuole fortemente avere un bambino) non confronta il piacere che le viene dal possesso di esso con le quantità di dispiacere dovute a gravidanza, parto, allattamento, e così via, ma col suo desiderio (con la forza della sua brama) di avere il bambino.

Par. 40 – Noi non aspiriamo mai ad un piacere astratto di una determinata grandezza (quantità), ma alla soddisfazione concreta in un modo ben specificato (del tutto specifico).

Che differenza c’è fra specifico e specificato?

PUBBLICO: Concreto / catalogato / ben certo…

A.: Specifico va meglio! “Specificatoâ€â€¦ si è introdotto, si è messo in mezzo l’arzigogolare del cervello, e ciò che è specifico l’ha voluto specificare!

Specificato è il risultato dell’atto, dell’azione, dello specificare: allora è specificato.

Altro esempio: contattare, contattato.

Se aspiriamo ad un piacere che deve venire appagato mediante un determinato oggetto o una determinata sensazione, non possiamo sentirci soddisfatti se ci viene dato un altro oggetto o fornita un’altra sensazione che ci procuri altrettanta quantità di piacere. Chi aspira a mangiare non può sostituire il piacere del mangiare con un altro piacere ugualmente grande, ma dovuto a una passeggiata. Solamente nel caso che aspirasse genericamente ad una determinata quantità di piacere, il nostro desiderio dovrebbe subito sparire se il piacere non potesse essere raggiunto senza una quantità maggiore di dispiacere. Ma poiché si aspira sempre ad una soddisfazione di un genere determinato, (in un modo ben determinato, quindi individualizzato), così il piacere della soddisfazione si prova anche quando si debba insieme (al contempo) sopportare una quantità anche (pur) maggiore di dispiacere. Per il fatto che gli istinti degli esseri viventi si muovono in una determinata direzione e mirano ad una meta concreta, viene meno (cessa) la possibilità di mettere in conto come fattore di compensazione la quantità di dispiacere che si incontra sulla via verso quella meta. Purché il desiderio sia (resti) abbastanza forte da persistere ancora ad un grado qualsiasi (a un qualche grado) dopo aver superato il dispiacere – per quanto grande questo sia in valore assoluto – rimane la possibilità di apprezzare (è possibile gustare, godere) nella sua piena misura il piacere della soddisfazione (appagamento). Il desiderio non pone dunque il dispiacere direttamente in rapporto col piacere raggiunto, ma indirettamente, in quanto pone la sua propria grandezza in relazione – proporzionale – col dispiacere. La questione dunque non è già se sia maggiore il piacere da raggiungere o il dispiacere da superare, ma se sia maggiore il desiderio di una determinata meta (della meta agognata) o l’ostacolo del dispiacere che si incontra. Se questo ostacolo è maggiore del desiderio, quest’ultimo cede all’inevitabile, resta paralizzato e non spinge più oltre. Ma per il fatto che si chiede il soddisfacimento del desiderio in un determinato modo (in un modo concreto, individualizzato) il piacere che è connesso a tale soddisfacimento acquista un’importanza che permette, dopo raggiunta la soddisfazione, di mettere in conto la necessaria quantità di dispiacere solamente nella misura di cui ha diminuito il nosro desiderio. Se sono un appassionato amico dei panorami, non calcolo mai quanto piacere mi dia la vista che si gode dalla vetta di una montagna in confronto diretto col dispiacere (paragonata alla quantità di dispiacere) della fatica sopportata nella salita e nella discesa; ma rifletto se, dopo aver superato le difficoltà, il mio desiderio della veduta sarà ancora abbastanza acuto. Soltanto mediatamente, attraverso la grandezza del desiderio, piacere e dispiacere possono essere commisurati. Non si tratta dunque di vedere se vi sia in prevalenza piacere o dispiacere, bensì se la volontà di conseguire il piacere sia forte abbastanza da superare il dispiacere.

Par. 41 – Una prova della giustezza di questa affermazione sta nel fatto che il valore del piacere è più altamente apprezzato quando il piacere stesso sia acquisito a prezzo di molto dispiacere, che non quando ci cada in grembo come un dono del cielo. Quando pene e tormenti hanno attenuato il nostro desiderio, ma la meta viene poi ugualmente raggiunta, il piacere è di tanto maggiore in rapporto alla quantità residua di desiderio. Ora è proprio questo rapporto, come ho mostrato più sopra (v. pag.187 e segg.), che rappresenta il valore del piacere. Un’altra prova è data dal fatto che gli esseri viventi (compreso l’uomo) svolgono i loro impulsi (i loro istinti, le loro brame) fino a che siano in grado di sopportare i dolori e i tormenti che vi si oppongono. E la lotta per l’esistenza è soltanto la conseguenza di questo fatto. La vita tende a svolgersi, e di essa abbandona la lotta soltanto quella parte (di uomini) i cui desideri rimangono soffocati dalla forza delle difficoltà che si ergono contro.

Quindi è nella natura del vivente – della pianta, dell’animale ancora di più, dell’uomo ancora di più – di lottare per l’esistenza; di voler vivere.

Allora, se c’è questa volontà di natura, innata, di vivere, la prima lettura di questo dato di natura è che, questa brama intensa di vivere, per cui ognuno di noi affronta e vince tutte le difficoltà che ci sono pur di continuare a vivere, qual è l’affermazione successiva che consegue subito?

Ognuno vuol vivere il più pienamente possibile!

Se la vita viene affermata, se la vita è il valore supremo, allora la vogliamo a piene mani! Quindi: che cosa mi fa vivere sempre più pienamente!

PUBBLICO: La libertà!

A.: Ci arriviamo un po’ alla volta! Detta così è un po’ un’astrazione.

E cos’è la libertà?

PUBBLICO: Di vivere a differenza degli animali.

A.: Il problema è che la voglia di vivere è lo stesso che il godere il vivere.

La voglia del vivere c’è, fa parte della natura, perché fa parte della natura godere di vivere! Vedi che con la libertà non ci siamo subito!

PUBBLICO: Godere più libertà!

A.: No! Godere la libertà, non: godere più libertà.

Allora, il godimento della vita – mangiare fa parte del godimento della vita, per fare un esempio fondamentale –, godere la vita, ce lo dà la natura. Per godere le creazioni della libertà devo prima crearle! Perché non ci sono! La vita c’è già! La vita devo solo goderla; e la godo per natura.

Quindi ciò che mi dà la natura – la prima natura, la prima mezza natura – c’è di per sé ed è godibile in assoluto!

Per godere l’altra metà della natura umana, la devo prima creare perché prima non c’è! E siccome quest’altra metà della vita umana, della natura umana, la devo creare io, sarò in grado di goderla, a un livello molto più forte perché è la mia creazione.

Quindi l’uomo gode ciò che la natura gli dà e gode al quadrato ciò che crea.

Finché gode soltanto ciò che la natura gli dà, prima o poi, non gli basta!

Finché gli basta, va bene!

Dove il moralismo cozza contro muri, e si rompe la testa continuamente, è che il moralismo vorrebbe sindacare sulla natura umana dicendo che la natura umana non è giusta, e lui dovrebba correggere la natura!... No, la natura umana non è sindacabile.

Solo che della natura umana, metà mi è data e l’altra metà è lasciata alla mia libertà.

Ma è la metà migliore della natura umana, perché è una creazione della mia libertà. E in questa seconda metà, ogni individuo umano si realizza in un modo del tutto diverso da ogni altro essere umano.

Però può anche omettere questa natura ancora più profonda. E nella misura in cui la omette, non la crea, sarà, prima o poi, scontento; perché non si sente realizzato.

L’essere umano è realizzato soltanto se esprime tutt’e due le metà della natura umana: quello che ti dà la natura e quello che crei a partire dalla tua libertà.

Ripeto il concetto: finché una persona è contenta della natura umana che gli viene data – basta che non compia azioni proibite che sarebbero lesive della libertà – tutto il resto va bene! Faccia quello che vuole!

E se qualcuno viene a dirmi: no, no, no, questo non è bene, questo è moralmente male, ecc., ecc., gli do un calcio nel sedere!

Quindi, in un certo senso, questa filosofia della libertà semplifica un po’ le cose, perché il moralismo fa una specie di critica alla natura umana, e rende le cose molto più ingarbugliate.

La natura umana non è criticabile: è sacra!

La vita tende a svolgersi, e di essa abbandona la lotta soltanto quella parte i cui desideri rimangono soffocati dalla forza delle difficoltà che si ergono contro. Ogni essere vivente cerca nutrimento fino a quando la mancanza di nutrimento non distrugga la sua vita. Ed anche l’uomo si uccide soltanto quando (a ragione o a torto) crede di non poter raggiungere gli scopi della vita per lui degni di lotta. Ma finché crede ancora alla possibilità di conseguire ciò che secondo lui è degno di lotta, egli combatterà (combatte) contro tutti i tormenti e dolori.

In tedesco c’è egli combatte!..

Che differenza c’è tra: egli “combatte†ed egli “combatterà�

Un po’ attutito, eh!, “egli combatteràâ€â€¦ Un po’ smussato… speriamo che lo faccia…

Combatte!!! Non: combatterà… Santa pace!

La filosofia dovrebbe anzitutto dare all’uomo l’idea che il volere ha un senso solamente quando il piacere sia maggiore del dispiacere: secondo la sua natura, l’uomo vuole raggiungere gli oggetti del suo desiderio se egli può sopportare il dispiacere che per ciò diventa necessario, per (quanto) grande esso sia. Ma una tale filosofia sarebbe errata, perché fa dipendere il volere umano da una circostanza (eccedenza del piacere sul dispiacere) che originariamente è estranea all’uomo.

L’uomo se ne frega assai dell’eccedenza del piacere o dispiacere: vuole ciò che vuole!

Diciamo che l’unico problema che ci può essere è quello di un essere umano che vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe, e… non vuole mai nulla!

E il “vorrebbe†è un pio desiderio, è una volontà sminuita a un punto tale che non vuole nulla. Invece un volere, quando uno vuole veramente, sfonda!!! Oppure non è una volontà.

Gli inglesi dicono: Where there is the will, there is a way. Volere è potere!

PUBBLICO: Il desiderio può essere fisico, animico, o spirituale, quindi un volere può essere una parte di questo.

A.: Sto parlando dell’intensità del volere.

Io voglio mangiare, ho fame: voglio mangiare. È possibile metterci una forza di volontà, energumena… voglio m a n g i a r e!!!?

Ho fame!

Dove è possibile una volontà forte, che diventa sempre più forte?

PUBBLICO: Dove ci sono gli ostacoli.

A.: Dove ci sono gli ostacoli. E l’ostacolo principale è l’inerzia della natura. Lì dove mi devo vincere, devo vincere la mia pigrizia, la mia inerzia, lì devo far sorgere una voglia… siccome non avrei voglia più di tanto, allora per volerlo ci devo io mettere la forza di volontà!

E allora si capisce subito, se uno afferra questo concetto, che funziona soltanto nella misura in cui lo esercito ogni giorno. Non ho voglia più di tanto e perciò lo v o g l i o!

Questo lo esercito oggi, domani, dopodomani, e la volontà diventa sempre più forte; finché uno sfonda, poi!

Una volontà forte è il tesoro più bello della vita.

Il desiderio di cose grandi… perciò io mi ribello ogni volta che “Begierde†viene tradotto con “desiderioâ€. Begierde è: brama!

Un piccolo esercizio poi facciamo una pausa, eh! Che differenza c’è tra brama e desiderio?

PUBBLICO: Brama è un desiderio più potenziato.

A.: “La brama†è un desiderio più forte, che non “il desiderioâ€. Siccome noi – esseri umani normali come siamo tutti noi – conosciamo soltanto le brame date dalla natura, quindi riferite al corpo, tendiamo a moraleggiare nei confronti della brama.

Brama? …No, no, sta attento, sta attento!

Allora ogni volta che lui dice: brama, te lo traduce con: desiderio.

Ma il desiderio è una brama castrata! Dico bene?

Il desiderio è una brama castrata dal moralismo!

PUBBLICO: Si può avere un desiderio semplice e una brama forte.

A.: Sì, ma il desiderio non è forte per natura! La parola “desiderio†ti dice che non è forte!

PUBBLICO: La brama è più forte!

A.: La brama è più forte: è questo che sto dicendo!

PUBBLICO: La brama è passione!

L’originaria misura della volontà è il desiderio, e questo si impone finché può. Il calcolo che la vita, e non già una filosofia razionale, (lascia via il “giàâ€) esegue ogni volta che dispiacere o piacere entrano in giuoco per l’appagamento di un desiderio, si può paragonare a quanto segue.

Questo paragone è classico nella filosofia della libertà!

Se nell’acquistare una determinata quantità di mele, sono costretto a prendermi due parti di mele cattive per una di due buone,…

Non è che sono costretto, insomma, posso comprare queste mele soltanto se son disposto a prendermi due parti di mele cattive per una di buone.

…perché il venditore vuole far piazza pulita, non esiterò un istante a prendere anche le mele cattive (che sono due volte di più) se la quantità minore di mele buone possa avere (ha) per me un valore tale che mi sia vantaggioso di aggiungere al prezzo di acquisto anche le spese occorrenti (e tutto il da fare) per l’eliminazione di quelle cattive. Questo esempio chiarisce il rapporto fra le quantità di piacere e dispiacere procurate da un impulso. Io non determino il valore delle mele buone sottraendo il loro importo da quelle cattive, ma considerando se le prime, malgrado la presenza delle seconde, conservino ancora un valore.

Cioè continuino a restare per me “bramabiliâ€!

Se invece, dovendo portar via il doppio di mele cattive, mi sparisce la brama di quelle buone, allora non le compro! Le compro soltanto nella misura in cui, pur prendendo con me due volte di più quelle cattive, mi resta la brama di quelle buone.

Quindi determinante è l’intensità della brama; o del desiderio.

Par. 42 – E come nel gustare le mele buone non tengo conto di quelle cattive, (le ho mandate a ramengo), così mi godo la soddisfazione di un desiderio dopo aver scrollato via le relative inevitabili pene.

Facciamo una pausa di venti minuti, e poi tocca a voi!

Archiati riprende la parola presentando l’editore italiano Salvatore Nicastro della casa editrice italiana: Edizioni Rudolf Steiner.

PUBBLICO: Abbiamo detto che la voglia di vivere è la voglia di godere la vita e che il soddisfacimento è in funzione dell’intensità della brama; ma chi non trova alcuna cosa che sia degna di essere bramata, insomma che non ha desideri, vuol dire forse che non ha ancora scoperto l’altra metà della natura umana? Cioè il discorso della metà conosciuta e della metà sconosciuta.

A.: Si è capita la domanda?

PUBBLICO: Il depresso, insomma.

A.: Eh, da lì volevo partire! Allora, partiamo dalla constatazione che nessuno nasce depresso. Depressi non si nasce, si diventa! C’è la complicazione – di sicuro anche in Italia, in Germania occupa sempre più menti – di depressioni che si avvicinano sempre di più alla gioventù; addirittura quindicenni, ventenni, depressivi!

Un fenomeno che vent’anni fa, trent’anni fa, era impensabile! Comunque diventano depressi a 15, 20 anni!

Allora, la mia proposta di cammino di pensiero, è di analizzare come mai, se tutto va bene, se tutto va secondo natura, un bambino a 10 anni non può essere depresso.

Perché?

PUBBLICO: Secondo me perché vive e brama come natura; lo spinge l’istinto. E inizia ad essere depresso quando è costretto da un adulto, o comunque da chi gli sta intorno, non solo a soddisfare, ma neanche più a desiderare…

A.: Stai correndo, eh! Quindi, la cosiddetta depressione non è mai un dato di natura! Sopravviene nel corso del tempo. Ma ciò che gli dà la natura, il dato di partenza, non è un fenomeno di depressione, è un fenomeno di voglia spontanea naturale di vivere!

Allora, lasciamo da parte il caso di eccezione del quindicenne, del ventenne, che diviene depresso; prendiamo una persona che a trent’anni, quarant’anni – caso classico –: perché diventa depresso? Perché non lo era; vent’anni prima non lo era!

Cosa è successo di questa persona che vent’anni prima si muoveva spontaneamente, con gioia, e adesso non ha più voglia di nulla? Cosa è successo? Chi ci vuol provare?

PUBBLICO: Secondo il mio punto di vista sono cmbiati gli stati esistenziali intorno a questa persona.

A.: Cosa è cambiato e come?

PUBBLICO: È cambiata la relazione con le persone, e quindi le persone che gli stanno intorno hanno diminuito la considerazione e il rispetto verso questa persona. Questa persona si è sentita trascurata e quindi non ha avuto la capacità di…

A.: Mi vorresti dire che le cause sono fuori?

PUBBLICO: No, sono dentro di lui, sono dentro la persona…

A.: Quali sono? Allora lascia stare il fatto che sia diminuita negli altri la stima, cos’è cambiato in lui?

PUBBLICO: Lui non ha più ascoltato l’anima, per esempio.

A.: Ah! Ah! Lui non ha più ascoltato l’anima!...

PUBLICO: Questo è quello che sto cercando di capire anch’io.

A.: “Lui non ha più ascoltato l’animaâ€, non ti capisco, eh! Spiegami un po’ la cosa. Non so cos’è l’anima, non so cosa vuol dire ascoltare l’anima… dimmelo in un modo più concreto.

PUBBLICO: Non ha più avuto stima di se stesso.

A.: “Non ha più avuto stima di se stessoâ€â€¦ Troppo teorica la cosa!

MICHELE: Fino a un certo punto ha avuto dalla natura quelle forze per entrare nella vita con l’energia ecc…

A.: Questo lo sapevamo!

MICHELE: A un certo punto, quando ha dovuto mettercele lui…

A.: Quando ha dovuto metterci lui cosa?

MICHELE: Questa energia, questa capacità di volontà, questa conoscenza di sé…

A.: Allora tu dici: arriva un punto dove l’essere umano ci deve mettere qualcosa che prima non c’era. Me lo spieghi, concretamente? Che fenomeno è? Cosa è successo?

MICHELE: Diciamo che l’esigenza a questo punto è più complessa; più a livello del suo io, più a livello della sua persona; lì non ha avuto strumenti e chiarezza a sufficienza per cui quei talenti, quelle sue possibilità, soffocate magari nell’infanzia o nell’adolescenza, non sono, come dire, fiorite; e quindi a questo punto è giunto a una percezione di sé confusa, astratta, un’infelicità senza desideri… non saprei…

A.: Secondo me il discorso è troppo moraleggiante, perché vorresti dire che qualcosa è andato storto! Invece non è andato nulla storto! È un moraleggiare quello di dire: c’è qualcosa che non va!

PUBBLICO: Secondo me, se io oggi sono depresso dipende dalla mia vita precedente, che mi ha posto nella condizione di essere, oggi, un depresso.

A.: Cos’hai detto all’inzio?...

PUBBLICO: Ho detto che se io oggi sono depresso…

A.: Mah!, tu sei una donna e dici: se io oggi sono depresso!?...

PUBBLICO: Okay: depressa!

A.: Siamo abituati a parlare di astrazioni! Se io oggi sono depressa…

PUBBLICO: …se mi sono disposta, oggi, ad essere depressa rispetto alla vita precedente; cioè, ciò che ho vissuto nella vita precedente, che poi mi sono portata in quella attuale, determina la mia situazione di persona depressa.

A.: Ma con questo non mi hai detto che cosa è successo! Io volevo sapere che cosa è successo!

(molte mani alzate, molto rumore in sala!)

A.: Ascoltiamo ogni persona che parla: è importante!

PUBBLICO: Secondo me, le brame che aveva non le bastano più!

A.: Allora, allora, questo coglie nel centro! C’è una differenza enorme tra il dire che qualcosa è andato storto e dire: manca qualcosa! E ciò che manca non è una mancanza compiuta; sta nel fatto che ciò che prima gli bastava, gli riempiva la vita, non gli basta più!

Quindi il fenomeno è a-morale: né bene né male: è amorale! Non gli basta più.

Quindi la depressione – la parola lo dice: depresso –… una gomma compressa… è compressa, c’è dentro aria; se la sgonfi ci manca l’aria. Il fatto che l’aria ci manca è moralmente cattivo? No, ci manca l’aria.

Il depresso è sgonfio. E l’unica domanda importante è: c’è una possibilità di rigonfiarsi?

PUBBLICO: Datti una mossa!

A.: “Datti una mossa†è un moralismo! Spiegami come mi do una mossa. Io adesso sono un depresso, ma proprio… spiegami come faccio a darmi una mossa!

FOGGIA: Io penso che momenti di depressione, di tristezza, bene o male, capitano un po’a tutti, perché non è che si sta sempre perennemente bene. E ci sono dei momenti in cui uno pensa di più, ci sono dei momenti più tristi dove…

A.: No, prendiamo un depresso che passa una depressione di sei mesi, un anno, ecc.

FOGGIA: Eh, quello è un po’ più difficile, perché quello si chiude tutto in se stesso! Io posso parlare soltanto della mia esperienza. A me è capitato un momento del genere…

A.: Di due o tre ore?

FOGGIA: No, un periodo; un periodo; non di depressione di quelle proprio potenti, però un periodo di quelli in cui tu pensi e dici: non è possibile che la vita possa essere soltanto quello che mi hanno fatto vedere fino ad ora. Non mi bastava. Questa cosa mi è capitata quando è morto mio padre. Non è possibile che una persona nasce, vive, lavora, si dà da fare, tutto quanto, e finisce là!

Io, quando ho vissuto quel momento, ho vissuto questa forte tristezza, ma non solo perché era morto mio padre, ma perché mi dicevo che non era possibile che la vita fosse solo questo; c’è qualcos’altro da sapere, che io so che c’è, ma che io non conosco.

E quindi ho cominciato a farmi questa domanda, e la conseguenza di questa domanda mi ha portato appunto a capire che veramente la vita è di più di quello che…

A.: Quindi, tutto quello che tu sapevi, o pensavi di aver capito, ecc., ecc., a quel punto lì non ti bastava più!

FOGGIA: Esattamente, questo!

TERAPEUTA: Ma questa non è la depressione!

A.: Fatti dare il microfono. Dicci ciò che fai. Il mestiere tuo qual è?

TERAP.: Mi capitano questo tipo di pazienti; quindi cerco di dare una mano a persone la cui volontà, spesso, si trova quasi azzerata. Adesso esprimo un dubbio che mi è venuto ascoltandoti prima. Quando tu dici: a un certo punto questa persona, che ha perso i desideri, deve provare a dire: lo voglio!, deve trovare la spinta a questa reazione; tu dici questa cosa perché in te è naturale…

A.: No, io non ho mai detto “deveâ€!

TERAP.: Sì, d’accordo, ma la soluzione è là! La persona che non dice “lo voglioâ€, non ha nemmeno la forza per dirlo! Io il depresso ce l’ho ben presente!...

PUBBLICO: Se la goda!

TERAP.: Eeeeeh! “Se la godeâ€! Mammamia… quando noi diciamo: se la gode, è come quelli che dicono: ma quello è uno che non vuole guarire! Facciamo presto a dire questa cosa qua! Anche qui c’è un po’ un moraleggiamento, insomma! L’atteggiamento di compassione… è come dire: ma questo veramente non ha nemmeno negli organi le forze fisiche che gli permettono di poter far nascere un pensiero del genere. Questa è la patologia! Uscire da questa situazione sicuramente non è un percorso da un giorno all’altro. Non è un solo fatto che ti fa cadere in uno stato del genere. Qui c’è un lasciarsi andare lento negli anni, che dura a lungo; e probabilmente c’è anche un nascere con un minimo di predisposizione, per cui nei fatti della vita che ti succedono a un certo punto tu non hai la forza di reagire come un altro. Il percorso è estremamente lungo, e uscire da quella situazione è di una difficoltà… io la soluzione non ce l’ho! Devo dire: non ho ancora trovato come aiutarmi.

A.: Allora, adesso riferisco i pensieri alla fenomenologia che tu hai detto.

In quanto fenomenologia è insindacabile.

Fa parte della tendenza a moraleggiare… – e adesso dovrai incassare un paio di colpi in quanto terapeuta classico, però terapeuta coi fiocchi perché non con tutti i terapeuti si possono fare certi discorsi –. Cominciamo col moraleggiare, ma proprio massiccio, pensando che la depressione sia un fenomeno negativo! Primo sbaglio del pensiero!

Il secondo sbaglio, secondo moraleggiamento, è che noi terrorizziamo il cosidetto depresso pensando che debba uscirne fuori. Peggio delle prediche della chiesa cattolica! Perché deve uscirne fuori?

Guarda che “uscirne fuoriâ€â€¦ io prendo le tue categorie e te le risbatto in faccia come enormi moraleggiamenti borghesi! E io dico: l’unico problema con la cosidetta depressione siamo noi, non depressi! Perché siamo troppo impazienti, siamo troppo fissati sul lavoro manuale fisico, che deve dare profitto, e quindi vogliamo soggiogare ogni essere umano ad essere produttivo.

PUBBLICO: Ma quelli che vanno dal terapeuta è perché vogliono…

A.: Aspetta!... Una persona passa un anno nella depressione, un secondo anno ancora più depresso, un terzo anno ancora più depresso… Per quanto mi riguarda va tutto bene! La nostra impazienza, il nostro moraleggiare, vorrebbe accelerare i tempi di cui lui ha bisogno perché gli venga voglia di riempire questo vuoto, e lo costringiamo a sprecare un sacco di energie per difendersi!

TERAP.: Sì, voglio aggiungere però un particolare, Pietro; quello che mi pare di intuire è che la persona che scende a un livello così patologico…

A.: Ma perché patologico!?

TERAP.: …di così non voglia di vivere, ecco! In una persona di questo genere, io osservo, nasce la paura, che è quella di non riuscire a fare uno sforzo per risalire e, sapendo che può scendere ancora più in basso, sempre più in basso, conosco quelli che arrivano a buttarsi dalla finestra, a tentare il suicidio, o che si tagliano le vene. Per cui il loro psicanalista, appena li vede che cominciano a fare di questi pensieri, li imbottiscono di farmaci e così li tengono sotto controllo.

Loro si trovano in una situzione in cui sentono che stanno per precipitare e non trovano la forza per reagire. Che facciamo? È come essere posseduti, di fatto; loro sentono che c’è una forza, un pensiero, che li possiede e che li trascina sempre più in basso; a cui non sanno reagire.

A.: Faccio un piccolo salto: la filosofia della libertà non entra nel merito specifico di dati della scienza dello spirito, però noi commentando, soprattutto quando affrontiamo questi problemi margine, dobbiamo avere il coraggio di tirare in ballo fattori che altri non hanno.

Fa parte della depressione, sopratutto a certi livelli, di avere queste paure grosse, e va bene! L’unico terapeuta che ha veramente la possibilità di aiutarlo, è il terapeuta che lo accompagna, anche magari senza dirlo – non c’è bisogno che lo dica, perché i pensieri operano – se è capace di non aver paura.

Quindi l’unico terapeuta che veramente può guarire… ma come? Io ho paura, ma il mio terapeuta non ha paura! Lo sa che io sto pensando al suicidio e non ha paura!

Quindi la “non paura†è una liberazione da tutte le condanne! L’essere umano va bene sempre!

Allora, siccome 2000 anni fa è successo – permettetemi di dire così, eh!, l’archetipo dell’umano serve perché abbiamo tutti gli elementi archetipici dell’umano – che il Logos, quale logica dell’umano mette in moto di fronte a Giuda che non soltanto minaccia di suicidarsi, ma che si è tolto la vita?

Giuda!, se adesso, nel tuo cammino, devi affrontare questo abisso ultimo dell’autodistruzione… va bene anche quello! Perché la vita ti viene ridonata, di nuovo, e di nuovo! E un essere umano che non si è mai distrutto, che non ha mai fatto l’esperienza di distruggersi in qualche modo – non dico che debba essere per forza fisico – ma un essere umano che non ha mai fatto l’esperienza di autodistruggersi, non vale una cicca! Perché allora costruire l’umano lo deve fare per dovere, non per convinzione. L’umano lo costruisce per convinzione soltanto colui che ha fatto l’esperienza di distruggerlo!

E lì nasce la paura borghese, e clericale; atavica!

E il Cristo, il Logos – nel vangelo di Giovanni – dice: Giuda, su quello che tu devi fare, non tergiversare! Adesso, se tu devi passare per questa cruna dell’ago dell’autodistruzione, che ti fa capire, in proprio, per convinzione tua, che questa via distrugge l’umano, se ne fai l’esperienza poi non la vuoi più!

Allora sì che sono libero!

Ma se io evito di distruggere l’umano per dovere… non funziona prima o poi! Non c’è la convinzione!

O facciamo sparire il dovere, allora subentra la convinzione; ma se restiamo col dovere non c’è la convinzione.

BETTINA: Premesso che volevo dire tutto quello che hai detto tu adesso, vorrei aggiungere che questa mattina parlavamo di egoismo e altruismo, e mi par di ricordare che se possiamo vivere pienamente un sano, bello, pieno e ricco egoismo, possiamo conquistarci un meraviglioso altruismo.

E vorrei dire una cosa personale: per fortuna sono una terapeuta del secondo tipo, perché sono fortunatamente anche mamma, e faccio l’esperienza quotidiana di essere messa alla prova con tutte le cose che i miei figli…

A.: Che età hanno i figli?

BETTINA: Quasi 10 e 8. Capisco che è un privilegio essere mamma, anche soprattutto dal punto di vista professionale e umano perché sono terapeuta anche io, e quindi è possibile accompagnare anche stando zitti… Insomma, volevo dire tutto quello che hai detto tu, grazie!

(Ora vuol parlare di nuovo il terapeuta di prima e il pubblico rumoreggia)

A.: Scusate, il nostro bravissimo amico l’ho picchiato talmente che non sarebbe onesto non ridargli il microfono, capito!

TERAP.: Sono assolutamente d’accordo!

A.: Addirittura! Sei un bravo incassatore!

TERAP.: Apposta vengo qua!

A.: È importante che tu lo dica, eh! Le cose che ci stiamo scambiando sono fondamentali.

NATURALISTA: Io non sono terapeuta, sono un ragazzino della strada. Allora io dico che una persona non grave – almeno io parlo di persone non gravi, ecco, situazioni non gravi – per me c’è una cattiva gestione delle emozioni. Cosa significa questo? Significa che, a mio avviso, le motivazioni potenti che lo facevano vivere vengono, per un certo periodo breve della vita, vengono soverchiate, diciamo, dalle bastonate che arrivano. Queste bastonate non sono vissute come una capacità di crescita e di reazione, ma in quel momento ti travolgono. Come uscirne?

Mah! Ripensare, rinvigorire, le emozioni e le motivazioni forti che mi fanno vivere; magari facendosi aiutare da qualche amico o quant’altro; senza andare, ma senza sconfessare i terapeuti, è chiaro!

A.: Allora, commento adesso tutti e due, naturalmente bisognerebbe metter via tutto il cattolicesimo che ha impolverato questi testi supremi dell’umanità: il Logos ai discepoli, agli addetti ai lavori, spiegava le cose in concetti, ma alla gente comune il Logos raccontava delle storielle, che noi chiamiamo le parabole. Ma le parabole sono storielle super-logiche perché sono del Logos!

E una delle storielle, una parabola, dice: l’essere umano era all’inizio col Padreterno, poi c’erano due figli, Il figlio maggiore era l’umanità più vecchia, quella che aveva ancora la chiaroveggenza atavica, poi il figlio minore è l’umanità più giovane; e l’umanità più giovane si sente sempre più a casa nel mondo della materia che nel mondo dello spirito, insomma… E il figlio più giovane dice: papà, io ne ho le tasche piene di te, dammi la mia parte e me ne vado!

E il padre dice: era ora! Perché finché resti un’appendice di me non sei nulla! E gli ha dato volentieri la sua parte.

Quindi è l’essere umano, tutti noi, che perde l’esperienza diretta dello spirituale, che non era stata conquistata per libertà, che era data per grazia divina, e che quindi andava persa!

Piomba sempre di più nel mondo della materia – noi lo chiamiamo il corporeo, o come vogliamo – e… torna o non ritorna?

PUBBLICO: Ritorna!

A.: Allora, la parabola dice che il padre guardava ogni giorno se ritornava, quindi il padre – colui che ha fabbricato l’uomo, il creatore dell’uomo, no! – lo sa che non può vivere in eterno senza, perché la conosce la natura umana! Quindi, se certi terapeuti avessero questa convinzione, guarirebbero e come!

Quindi è un conto se noi, se io ho il convincimento che fa parte strutturalmente della natura umana di non poter all’infinito vivere senza la realtà dello spirito, oppure se sono convinto che l’essere umano può vivere senza; e allora vivrà senza!

E la parabola, questa storiellina, ti sta a dire: no, la natura umana è stata fatta così che magari ci mette 5 vite, 10 vite, 15, quelle che vuoi, ma prima o poi ritorna; non è capace di vivere senza spirito.

E quand’è che torna?

Quando… È pulito tornare, è moralmente legittimo tornare, soltanto quando non ce la fa più!

E la terapia del padre… è la pazienza …è la pazienza!

Hai bisogno di tutta una vita? Hai bisogno di due? Ma ce le hai, te le do!

Perché se tu tornassi un momento prima che “non ce la fai piùâ€, la spinta non sarà sufficiente.

Allora la domanda è: ce l’ho o non ce l’ho io questa lettura della natura umana e questa fiducia assoluta?

Questo presuppone naturalmente l’altra domanda: ma allora sono convinto io che ogni essere umano ha a disposizione soltanto una vita?, e allora dico: guarda che tu in questa vita devi, se no non ce ne hai una seconda!

Se il Cristo di fronte a Giuda ha il convincimento che Giuda ritorna come sant’Agostino… dice: Giuda, adesso vuoi fare questa esperienza? Falla! E poi tirerai le somme!

SCALIGERO: Lì è un po’ diverso! Dice il Logos: hai vissuto il momento con me – Logos, Luce! – hai potuto permetterti di confrontarti con…

A.: Sentite tutti? Un pochino più distante dal microfono! Articola bene! Stai parlando di Giuda, eh!, Logos e Giuda. Logos, il massimo di logica e Giuda, il massimo di depressione, che minaccia di suicidarsi!?

SCALIGERO: Certo! Certo! Dice il Logos: hai vissuto questi momenti con me – Luce – non sono stati sufficienti per te, per superare le tue brame caratteriali, quelle della coscienza ordinaria…

A.: Noooo! Noooo! Un Logos super-moraleggiante! Vabbè, continua!

SCALIGERO: Chiedo scusa, voglio finire il pensiero; me lo sono conquistato con anni di silenzio!

…non sei riuscito, tant’è che ti sei preoccupato…

A.: …sei stato tre anni con me…

SCALIGERO: …tre anni con me, dovevi chiarirti, prendere luce e guardarti nella tua essenza. Sei rimasto ramificato nella tua coscienza ordinaria, tant’è che ti sei preoccupato di parlare con Barabba di sconfiggere i romani…

A.: …ti sei fatto dare i 30 denari…

SCALIGERO: …benissimo, quindi non sono stato esaustivo io per permetterti questo stato evolutivo. Bene! Vuoi fare l’esperienza del suicidio? Vai!

Voglio allargarla ad un momento del presente. Noi viviamo in un’epoca dove i poteri forti non si sono solo preoccupati del “comeâ€, ma anche del “cosaâ€; quindi se noi avversiamo il moralismo dobbiamo avversare anche le brame che ci sono state indotte a vivere. La mancanza, la più grande sofferenza del depresso è di accorgersi di non vivere la sua brama, ma di vivere le brame che sono state imposte.

Anche la fame, la più semplice; anche nell’alimentazione, noi non seguiamo solo il nostro segnale istintuale, quello della pienezza, quello di dover riempire un vuoto; tant’è vero che c’è l’obesità che si allarga a dismisura. Ci è stato trasmesso un concetto di fame che non ci appartiene più!

Io dico allora, perché sicuramente c’è da pulire un po’ il mio pensiero, perché non posso pensare che tu creda al destino, cioè che per forza l’umano è costretto, quasi in maniera induttiva, ad evolversi.

Il pericolo della bestia c’è sempre! Tu dici: dobbiamo vivere con il rischio! Però io dico: in un momento come questo, dove ci accorgiamo che siamo succubi del moralismo e anche delle brame altrui, sarebbe il caso di allargare anche il sistema educativo in una maniera diversa; anche il pedagogico dovrebbe essere corretto. Perché la scienza dello spirito non dovrebbe diventare argomento – questo risponde ad un passaggio tuo sul fatto che sei contrario alla scuola statale, no!...

A.: Sono innamorato della pedagogia steineriana, ma non sono contrario alla… non sono contrario a nulla!

SCALIGERO: Potrebbero integrarsi! Potrebbe essere, per alcuni individui, il proprio compito di allargare…

A.: Ho una proposta! Ci auguri buon appetito?

SCALIGERO e PUBBLICO: Buon appetito!

A.: Buon appetito a tutti quanti

Sabato 28 settembre, sera

A.: Speravo questa sera di portare a termine il XIII° capitolo, se tutto va bene; se mi lasciate leggere veloce veloce! Poi, domattina, ci sarebbe il XIV° capitolo da affrontare, corto corto; e c’è poi una specie di appendice: in italiano vengono chiamate “le ultime questioniâ€â€¦Che dice il toscano, va bene “le ultime questioni†come traduzione?

Guardate il testo che avete, alla fine ci sono: “le ultime questioniâ€!

Va bene, in italiano: “le ultime questioni�…

PUBBLICO: Gli ultimi problemi!

A.: Il mio testo dice: le ultime questioni.

“Le ultime questioni†è sbagliato!

MASSIMO: Però si dice: non “questioniamoâ€â€¦

A.: Sì… Va tradotto: Le questioni ultime! Non “le ultime questioniâ€.

“Le ultime questioni†sta a dire che ci sono le terzultime, le penultime, e poi arrivano le ultime! E questo non è vero!

C’è una differenza tra dire: le ultime questioni e dire: le questioni ultime, scusate!

Le ultime questioni presuppone una fila (di questioni) e poi adesso arrivano le ultime! Ma le terzultime e le penultime non ci sono! Sono le questioni ultime!

Perciò vi dicevo, insomma, …il discorso che facciamo insieme è anche nel vedere un pochino in che misura sia stato tradotto bene il testo.

Prima di portare a termine questo XIII° capitolo, faccio di nuovo un tentativo di riassumere il pensiero fondamentale di questo XIII° capitolo: IL VALORE DELLA VITA (pessimismo e ottimismo).

La vita è piena di bellezza, di bontà, di godimento, oppure la vogliamo vedere in chiave pessimistica?

Il valore della tua vita, dice Steiner - poi, sta a vedere in che misura convince me, convince te, convince la tua testa; ognuno prende la posizione con la sua testa - il valore della tua vita sei tu! La tua vita non può avere più valore di quanto tu vali!; ai tuoi occhi, di quanto tu realizzi.

E, quanto vale il singolo umano?

Allora, se l’umano si esplica in un modo individuale in ognuno, qual è il valore dell’individuo, di ogni individuo?

È i n f i n i t o ! Non c’è un limite! Ha le risorse di realizzazione individualizzata dell’umano all’infinito.

Perché potenzialmente il Logos - ci siamo intesi di chiamarlo il Logos… credo che ci capiamo, no! - il Logos crea l’uomo dotato di facoltà di pensiero, dotato di spirito, quindi di immaginativa morale; abbiamo visto che l’immaginativa morale è triplice: 1) a livello di spirito; 2) a livello di anima, la fantasia morale, anche in questo capitolo ne sentiremo parlare, la fantasia morale è la capacità fantasiosa di creare immagini di azioni, di comportamenti; alla base della fantasia morale le immagini di azioni sorgono in base alla capacità di ideazione morale, prima ci deve essere l’idea di quello che voglio diventare, no! Quindi 1) l’ideazione morale - sarebbero parole che vanno create in italiano - e 3) l’ingegno morale, che è sotto tradotto con “tecnica moraleâ€, però io vi dicevo in italiano meglio forse: l’ingegno morale.

Il valore della tua vita sta nel renderti conto che c’è in te una sorgente di ideazione morale, una sorgente di fantasia morale, di immagini di comportamenti, poi l’ingegno morale, la tecnica morale, che è la capacità di interagire col mondo che già c’è, senza romperne le leggi di funzionamento se no non si realizza il nuovo e, mettendo in moto tutte queste tre dimensioni della moralità, la dimensione dell’ideazione di realizzazioni nuove, di fantasia morale e di ingegno morale, non c’è limite alla pienezza di ogni io umano!

Perché la sorgente è il Logos che crea ideali, idee di comportamenti, fantasie, immagini, di comportamenti e ingegno, il modo di tradurre in atto nel mondo che c’è, all’infinito!

Esiste un dovere?

No, non esiste un dovere, perché la pienezza del proprio essere, arricchire l’umanità con la fantasia dell’amore - la fantasia morale la chiama anche: la fantasia dell’amore - non è ciò che l’essere umano deve, perché il concetto di dovere è che gli viene imposto dal di fuori supponendo che sia qualcosa che lui non vuole.

Invece il bene morale è ciò che l’essere umano vuole, se esplica in tutto e per tutto la sua capacità di volere il bene.

Diciamo che l’essere umano comincia da bambino con ciò che la natura gli dà - le forze di natura - e poi scopre sempre di più una sfera di libertà dove diventa creatore a livello individuale. Quindi più l’essere umano diventa creatore, più si realizza; e questa auto-realizzazione - l’individualismo etico - è puro godimento, è pura gioia!

L’unico problema… problema nel senso che, quando una persona gode solo la natura inferiore - la parola cadrà adesso nel testo -, quindi gli istinti, le brame corporee, ecc., il moralismo, diciamo l’arma del moralismo è subito pronta a dire: ma tu parli di libertà come se fosse assoluta, ma il mondo è pieno di gente che vuole soltanto godere e si dedica soltanto agli istinti di natura, e non gli importa nulla degli altri… come facciamo con le persone che godono soltanto la natura inferiore!?

A quel punto lì noi ci siamo detti: - e lo esercitiamo di nuovo questa sera - una persona che gode la natura inferiore va benissimo! Non c’è nulla da sindacare, non c’è nulla da ridire; basta che non compia le azioni che sono proibite!

Ma le azioni proibite sono proibite anche per la persona che si ritiene, o che è creatore! Le azioni proibite sono un fattore di uguaglianza assoluta. Ciò che va proibito, va proibito ugualmente per tutti, perché è lesivo della libertà per natura. Ciò che non è lesivo della libertà, va bene!

Supponiamo che una persona passa tutta una vita in questa sfera inferiore… io non ho problemi a concederglielo! Perché so, per esperienza, e se siamo sinceri lo dobbiamo dire tutti, che nella misura in cui la bombardiamo dicendo: no, dovresti essere più bravo, dovresti avere dei doveri superiori, la situazione peggiora! Perché lo costringiamo a difendersi!

Perché lui è fatto così! Se è fatto così, è fatto così!

Il discorso che dice: - l’abbiamo fatto oggi - la natura umana è fatta così, strutturalmente è fatta così, che prima o poi, all’essere umano non basta questo esaudire gli istinti inferiori che la natura gli dà; non gli basterà!

Abbiamo parlato della depressione, e se siamo convinti che, prima o poi, non gli basterà, con questo diciamo: ci sono nella natura umana, in ogni essere umano, forze reali presenti - e prima o poi, se ci sono si presentano - per cui l’individuo dice: non mi basta più questa sfera del corpo, questa sfera della natura inferiore!

Nel momento in cui dice: non mi basta più!, cercherà qualcosa di più!

Se passa tutta una vita in questa sfera inferiore - e sono tante persone - e se io ho il convincimento che per natura, prima o poi, non gli deve bastare, cosa segue logicamente, secondo la logica del Logos?

Che il Logos non ha il diritto di concedere all’essere umano una vita sola, se è possibile passare tutta una vita senza scoprire, senza l’eros della sfera superiore!

O tu gli dai la possibilità immanente, nell’arco di una vita, di diventare scontento nell’arco della vita di ciò che è inferiore, allora può bastare una vita! Se invece l’essere umano è capace di passare tutta una vita - se gli sta bene, se è contento - con questa sfera inferiore, e tu mi dici che è nella natura umana di cercare quella superiore, allora gli devi mettere a disposizione più di una vita!

E si ritorna, in fondo, anche al discorso della terapia di fronte alla persona che minaccia il suicidio, dove le questioni diventano veramente ultime, quelle più profonde, e si pone la domanda: c’è una differenza tra un terapeuta che accompagna una persona che lotta col pensiero di suicidarsi, un terapeuta che ti accompagna col convincimento che anche se tu ti togli la vita, ritorni, e puoi imparare da quello che hai fatto, o se invece vieni accompagnato da un terapeuta che non ha questo convincimento?

C’è una differenza enorme in questi due tipi di accompagnamento!; dove la posizione diventa così radicale per cui, se quello si toglie la vita, non può farci più nulla!

A quel punto lì è fondamentale se io ho il convincimento che è finito tutto, o se io dico: guarda che adesso tu, caro signorino, come ogni essere umano, hai la possibilità di fare il bilancio della tua vita, hai in più un enorme vantaggio rispetto a chi questa esperienza non l’ha fatta, hai in più l’esperienza dell’autodistruzione, in modo che adesso tu, vedendo cosa salta fuori dall’autodistruzione, sarà una cosa che tu non vorrai più, e non ci sarà bisogno di dirti dal di fuori: non ti ammazzare!, non ti ammazzare! Per esperienza adesso vorrai soltanto costruire l’umano.

Quindi il terapeuta che accompagna colui che minaccia di suicidarsi col convincimento che l’arco di evoluzione dell’umano abbraccia abbraccia più vite, lo accompagna con tutt’altre forze, con una positività, con tutt’altro valore della vita, che non la prospettiva: se ti togli la vita vai all’inferno, o chissà dove!

Siamo sinceri: senza prospettiva, senza il pensiero che dice: ritorniamo tutti sulla terra!, dove va a finire l’essere umano? Senza scienza dello spirito, dove sono le conoscenze che ci dicono dove va a finire l’essere umano?

…Torna alla casa del padre!…

Non mi dice nulla, scusate!

C’è il padre con la barba, con la casetta… e lui torna alla casa del padre…

Ma sono pensieri bambini, scusate! ma proprio bambini, infantili!

Quindi nell’umanità lo spessore morale di questa scienza dello spirito è che, di fronte ai fenomeni ultimi, proprio limite, ti dice: guarda che tu, o l’evoluzione dell’umano la vedi in un arco molto più ampio di quello che si è visto finora, oppure il problema di chi si suicida non lo risolvi! Non lo risolvi proprio!

Continui a moraleggiare dicendogli: non farlo, non farlo, non farlo!; se lo fai è un male, male, male!

Ma non è vero invece! Non è verità questa, perché se lui, o lei, non ha più forze per vivere… non ce le ha! E bombardarlo è tirargli via quel barlume di forze che ancora gli restava.

Quindi è la verità che ci dobbiamo conquistare, perché siamo ancora in una coscienza bambina che vuole catapultare l’essere umano… il valore della vita sta nel fatto che in ogni vita ho la possibilità di fare dei bei passi in avanti. Ma se io la vita la assolutizzo così: ho soltanto questa vita a disposizione… allora, o sono perfetto e vado in paradiso, o sono del tutto un farabutto e vado all’inferno; ma i conti non tornano perché è sbagliato il pensiero, non è vero! Siamo tutti all’inizio di un lungo cammino, e ogni vita ha il valore di darci la possibilità di fare degli enormi passi in avanti.

Perché non può essere il suicidio un passo in avanti!? Me lo dite voi?

Il suicidio può essere un passo in avanti! Se è un’esperienza da cui io imparo e ne faccio un frammento di libertà, in base all’esperienza mia propria, perché tutto quello che distrugge l’umano la prossima volta - se il Logos, logicamente, mi dà un’occasione di imparare, quindi di farne un cammino in avanti - la prossima volta tutto ciò che distrugge l’umano liberamente non lo voglio! Non c’è bisogno che uno mi imponga: non farlo, non farlo, non farlo!

Un altro esempio estremo è il ragazzo, o la ragazza - 15, 16, 17 anni -, che vuol provare droghe che magari rovinano il corpo per tutta una vita…

È la stessa domanda! Se tu il corpo l’hai rovinato a certi livelli, in questa vita qui non lo puoi più riparare!

Allora, glielo proibiamo?

Il proibire non soltanto non funziona, ma funziona all’opposto! Il proibire aumenta la voglia di provare le cose!

TERAPEUTA: Però Pietro, scusami, il problema nasce dal fatto che questa persona - ne ho avuta una questa settimana, quindi so di cosa parlo - viene da me e mi dice: Antonio, sto per fare questa cosa, aiutami!

A.: Quale cosa? Togliermi la vita?

TERAPEUTA: Eeeeh! Peggio! Sono nel mio momento peggiore, fa qualcosa!

Io, che faccio? Le dico: vai per la tua strada… Qual è il mio dovere di terapeuta?

A.: No, non esistono doveri! O hai la fantasia morale giusta, o sei perduto!

Allora, la fantasia morale - perché è morale, eh! - è fantasiosa abbastanza da fare un paio di domande prima di partire in quarta con le risposte!

Quindi la prima cosa è di dire: cosa intendi riguardo all’aiuto che vuoi da me? Come te lo immagini questo aiuto?

Allora adesso tu impersonifica l’altro e io sono te (il terapeuta): che tipo di aiuto vuoi da me?

TERAPEUTA: Lui sta dicendo: fai tu qualcosa che io non sono più in grado di fare.

A.: Sì, ma tu dimmi cosa devo fare!

TERAPEUTA: Eh, lui ti dice: salvami!

A.: Salvami?

TERAPEUTA: Dove sei dottore (Massimo)? Quando uno ti viene col male…

A.: No, no, no! Stiamo colloquiando! Tu sei colui che si sta suicidando, e io sono te, capito! Ti sto chiedendo: come faccio ad aiutarti? Come faccio a salvarti?

TERAPEUTA: Sì. sì, lo capisco…

A.: No, no! Rispondi! È una domanda che ti pongo!

TERAPEUTA: Lui dice: non lo so… Io sono nella disperazione, sei tu che sei savio, in te; io sono perso! Il malato questo dice.

A.: No, no, no! Allora io comincio a dirgli: guarda che c’è un gran differenza tra essere disperati ed essere perduti. Perché perduti sono magari coloro che non hanno ancora capito di essere disperati; tu invece l’hai capito, quindi sei un passo più avanti!

Allora, ti viene in mente qualcosa? Adesso la palla è a te!

TERAPEUTA: Purtroppo non sono così disperato da poter avere la risposta giusta! Non conosco quello stato e quindi non so cosa dirti!

A.: Ma lui non è disperato, eh!

PUBBLICO: Ma uno che vuol suicidarsi non va a dire… lo fa e basta! È uno che non si vuol salvare proprio; non ha nessuna intenzione di salvarsi.

A.: La fantasia morale… Una piccola riflessione: sulle cose grandi si possono, ogni volta, fare delle riflessioni e non è che si può esaurire il discorso.

Se tu, nel tuo cuore - poi è il tuo mestiere di accompagnare queste persone - non ti sei fatto almeno migliaia di discorsi interiori con queste persone, non hai attivato la sorgiva morale che ti dà, nel momento giusto, l’intuizione giusta per dirgli la parola che l’aiuta vivere… almeno fino a domani! Perché se vive fino a domani, vivrà anche fino a dopo domani!

TERAPEUTA: Sì, sì!

A.: Però tu non puoi pretendere di avere l’ispirazione giusta senza aver esercitato questo discorso con lui, nel tuo cuore, almeno mille volte!

Perché è soltanto l’amore che dà l’intuizione giusta! E tu lo ami veramente soltanto se hai discorso con lui, almeno mille volte nel tuo cuore!

Allora hai finito di essere il terapeuta…

TERAPEUTA: Certo! Certo!

A.: Il terapeuta è l’omicida per mestiere. Fare il terapeuta significa ammazzare l’altro! Significa avvallare: tu sei malato e io ti guarisco! E questo è il moralismo più brutto che ci sia, capito!

TERAPEUTA: Certo! Certo!

A.: Che poi… il discorso non è una metafora… parli con lui, magari nella meditazione col cuore, no! …Una delle prove che uno fa… adesso sta attento perché il pensare, la fantasia dell’amore… o hai il coraggio di essere proprio spregiudicato, che non è vantaggioso abbastanza.

Ora, se tu non hai mai provato nel tuo cuore - uno che ti dice: io mi sto ammazzando - se tu non hai provato nel tuo cuore a dirgli: e a me che me ne frega!, non sei un terapeuta, non lo puoi guarire! Perché di questo mistero fa parte il fatto che a te non te ne frega nulla; sono affari suoi se si toglie la vita! Non sei il suo paparino, capito!

E quando lui si sente dire - però attorno a mille altre cose che il tuo cuore gli dice; e devi averle preparate, devi averle pronte, per sapere quale registro tiri fuori in quel momento, no!; che può saltar fuori che sia giusto il registro che tu gli dici: e a me che me ne frega - nel momento in cui gli hai detto: che me ne frega!, lui se ne va e diventa autonomo nei tuoi confronti molto più di prima!

E questo lo salva!

Però io non ti garantisco che la situazione sia tale che proprio questa intuizione dell’amore sia quella giusta. Te lo deve dire il cuore, la fantasia dell’amore!

Però la fantasia dell’amore te lo dice soltanto se la eserciti ogni giorno. Quindi la parola giusta la trovi soltanto se hai colloquiato con lui mille volte almeno! E dopo salta fuori!

Perché, in fondo, se quello si toglie la vita a te cosa te ne importa! Cosa ha a che fare con te? nulla! C’è solo il fatto che gli hai spillato un sacco di soldi!

Voi direte: ma è incredibile quello che stai dicendo!

Ma se la fantasia dell’amore non ha la capacità di diventare incredibile, non è fantasiosa! È brava; è ammansita borghesemente!

Quindi, la fantasia dell’amore ti dà il coraggio ultimo, perché lui sta rischiando, eh! E perché tu non vuoi rischiare?

Lui sta giocando con te rischiando! E quindi l’unico modo che va bene è di rischiare tu stesso! E puoi rischiare soltanto mettendogli lì una provocazione tale che lo spiazza! E se lo spiazzi continua a vivere!

Perché continua a vivere?

Perché il giorno dopo vuole ritornare alla carica! E per poter ritornare alla carica, il giorno dopo, con te, deve continuare a vivere …vedi!

Però queste strategie dell’amore non si inventano, vanno esercitate.

Quando Steiner parla della fantasia dell’amore intende dire qualcosa di enorme!, che noi lasciamo non usato; siamo di una tale povertà interiore, abbiamo tante paure, siamo presi da paure, da moralismi, ecc., ci vediamo guardati da tutte le parti, che non abbiamo il coraggio di provare e riprovare l’umano in tutte le sue direzioni. E quindi quando saltano fuori queste situazioni estreme siamo spiazzati!

Se tu t’ammazzi, credi che io venga al tuo funerale? …No, eh!

È cattiva la battuta?

Andateci piano! Andateci piano!

Se io gli ho dimostrato, nel corso del tempo in cui ci conosciamo, un cuore veramente sincero, che mi sta a cuore la sorte di ogni essere umano, lo sa cosa sto dicendo!

“Io sto per ammazzarmi… dai, salvami!â€

Un’altra risposta è: no, no, non mi lascio ricattare da te! Non mi conosci abbastanza!

Quello capisce: ah, ah, io sto ricattando il mio terapeuta!…

Sì, questo sta facendo. Che altro sta facendo?

Ti vuol ricattare, scusa!

TERAPEUTA: Mi carica di una responsabilità per me eccessiva.

A.: Esatto! Nel momento in cui tu dici: no, no, non mi faccio ricattare… gli togli il gusto del gioco; e domani prova un altro modo, capito!

Cioè, l’arte di… non dico che devi, ma si tratta, in questi casi estremi, di rendere la vita ancora interessante, fino a domani interessante!

Se tu la vita la rendi interessante fino a domani, che lui ci deve pensare domani come ti affronta, non si uccide stanotte! E allora tutto va bene!

Tutte le persone che stanotte non si uccidono, domani ci sono! Che volete di più?!

Tu non puoi raggiungere che lui decida di vivere i prossimi 10 anni; ti basta che lui oggi, o questa notte, non si uccida. Se domani ritorna va tutto benissimo; però tu devi aver pensato nel tuo cuore altri 100 modi di affrontarlo; se no sei perso!

Siamo poverelli! Il dovere, tutta questa morale del dovere, ci ha messo una tale cappa di piombo sulla testa, che non conosciamo l’arte di essere, come dire, artefici in tutti i sensi: in questa posizione che faccio, con questa persona cosa faccio, ecc., ecc., ecc.; e non tiriamo fuori neanche un centesimo dei registri che avremmo dentro di noi, nella fantasia dell’amore!

La sorgente della fantasia dell’amore ce l’ha ogni essere umano, come facoltà. È che non viene esercitata.

Ti ammazzi stanotte!?

No!!!

Mi sarebbe tanto piaciuto venire al tuo funerale! Adesso non lo vuoi fare!

È terribile scherzare… adesso stavo scherzando, no! È terribile scherzare con chi pensi di togliersi la vita?…

No, no, no; può darsi che sia la cosa giusta!

Shiller diceva: l’essere umano è massimamente umano nel giocare.

Ora, lo scherzo è un gioco, no! Se tu riesci, come dire, a contagiarlo col gioco, lo riporti nel gioco della vita. E lui dice: se è così bello giocare con questo terapeuta, non mi ammazzo stanotte, se no domani non posso di nuovo giocare con lui. Adesso ha trovato delle battute così estrose, domani voglio vedere io di trovarne un paio!

Gli fai rinascere la voglia di vivere.

E tu sai, se veramente si uccide, che ritorna!

Mia sorella suora ha il convincimento - l’ho detto diverse volte - che suo fratello Pietro, con questo diavolo, super-diavolo di Steiner, quando muore va subito all’inferno!

Come può questa mia sorella, nei miei confronti, avere un minimo di tolleranza… Una tragedia! Quando io muoio per lei è una tragedia, perché vado subito all’inferno!

PUBBLICO: Una doppia tragedia!

A.: Una doppia tragedia!

Ora, il convincimento che si vive una volta sola, è nella nostra cultura, eh! Fa parte della nostra cultura. Sto dicendo, questo convincimento ci rende intolleranti, ma a livelli allucinanti, scusate! Mia sorella mi vuol costringere ad andare in paradiso!

Io le ho già detto che il paradiso a cui pensa lei è per me noioso! Che vado più volentieri all’inferno… Tutti problemi suoi, eh! Per fortuna! …Però è così!

Oh, …tu vuoi toglierti la vita?

Guarda, quando muoio io vengo là con un bicchiere di chianti e beviamo insieme!

O tu pensi che non ci sei più?

Se pensi che non ci sei più dopo la morte, allora … che tu vada prima o dopo!…

Provocazioni a pensare! L’essere umano gode, per natura, provocazioni a pensare!

Siamo talmente ammansiti, da bravi borghesi, che noi non godiamo più le provocazioni, perché abbiamo paura di queste provocazioni!

Ma cosa sta dicendo! È una cosa incredibile!

E se il bicchiere di chianti non lo beviamo di là insieme, ti aspetto quando ritorniamo tutti e due; a quel punto lì il chianti sarà ancora migliore, magari; nasceremo tutti e due in Toscana - o dov’è il chianti migliore? …in Toscana, no! - e ce lo beviamo!

Ma come!, mi stai a dire che noi ritorniamo sulla terra?…

E tu come fai a sapere che non si ritorna?

Se tu imbastisci un discorso del genere, lui, il suicidio se l’è dimenticato!

Se l’è dimenticato! …Fantasia! Fantasia! Fantasia!

A quel punto lì tu mi dirai però, che tutta la formazione classica, non ti dà nulla di tutto questo; ti dice soltanto cosa devi fare per metterlo in riga, per inquadrarlo, per far di tutto che non si tolga la vita.

Hai voglia veramente di toglierti la vita?… Cosa aspetti!!!

Che fa? …Che fa?

Gli passa la voglia!

PUBBLICO: L’80 %!

A.: …l’80 %! Poi il 20% fatti saltar in mente qualcosa di diverso, capito!

Posso finire il capitolo?

Par. 43 - Se anche il pessimismo avesse ragione nell’affermare che nel mondo c’è più dispiacere che piacere, tale fatto non influirebbe sulla volontà, poiché gli esseri viventi aspirano tuttavia al residuo di piacere. La dimostrazione empirica che il dolore prevale sulla gioia sarebbe invero idonea, quando vi riuscisse, a rivelare l’inanità di quella tendenza filosofica che vede il valore della vita nell’eccedenza del piacere (eudemonismo), ma non mai a stabilire che la volontà è irragionevole: poiché la volontà non si basa sull’eccedenza del piacere, ma su quella qualsiasi quantità di piacere che ancora rimane dopo la detrazione del dispiacere. Questo residuo appare pur sempre una meta degna di essere perseguita.

Anche se il dolore eccede, è maggiore, a me interessa il piacere che c’è! Più dolore devo passare per godermi un piacere, più forte è il piacere, più forte è il godimento.

Più ostacoli ci sono per conquistare qualcosa, più me lo godo!

Par. 44 - Si è tentato di confutare il pessimismo sostenendo che è impossibile calcolare l’eccedenza di piacere o di dispiacere nel mondo. La possibilità di qualsiasi calcolo dipende dal fatto che le cose che debbono entrare in conto possano essere confrontate reciprocamente secondo la loro grandezza.

Qui sta a dire che il problema non è che non si possa fare il calcolo della quantità di piacere e della quantità di dispiacere; questo calcolo si può fare!

Quindi il problema non è che dice: non si può fare il calcolo! Il problema è che, da questo calcolo, per la volontà non risulta nulla! Anche se fosse una quantità maggiore di dispiacere, non m’importa nulla! M’importa la quantità, pur minima che sia, di piacere che c’è. Quella m’importa!

Basta che la desideri a sufficienza, fortemente, da superare tutto ciò che c’è di dispiacere!

Ora, ogni dispiacere e ogni piacere hanno una determinata grandezza (intensità e durata). Ed è possibile confrontare fra loro, almeno approssimativamente, anche la grandezza di sensazioni di piacere di genere diverso. Noi sappiamo bene se ci dà maggior piacere un buon sigaro o un buon motto di spirito. Una barzelletta - esempio concreto -. Nulla si può dunque obiettare alla possibilità di confrontare fra loro, riguardo alla loro grandezza, specie diverse di piaceri e dispiaceri. E l’indagatore che si prefigge il compito di determinare l’eccedenza di piacere o di dispiacere nel mondo, parte da premesse assolutamente giustificate. Si può affermare l’erroneità dei risultati pessimistici, ma non si può porre in dubbio la possibilità di una valutazione scientifica delle quantità di piacere e di dispiacere, e quindi di una determinazione del bilancio del piacere. Però non si è nel giusto quando si sostiene che dal risultato di questo conto derivi qualcosa per il volere umano. I casi nei quali facciamo davvero dipendere il valore della nostra attività dall’eccedenza di piacere o di dispiacere, sono quelli in cui gli oggetti sui quali si esplica la nostra azione ci sono indifferenti. E porta subito un esempio! Quando, dopo il lavoro, voglio procurarmi un divertimento, o con un gioco, o con una conversazione leggera, e mi è completamente indifferente che cosa fare pur di raggiungere lo scopo, mi chiederò che cosa mi rechi la massima eccedenza di piacere: e tralascerò senz’altro l’azione, se la bilancia pende dalla parte del dispiacere.

Quindi, soltanto quando mi è indifferente quale tipo di attività faccio per procurarmi un divertimento.

Così, nello scegliere un giocattolo per un bambino, noi riflettiamo quale potrà procurargli la gioia più grande. In tutti gli altri casi, però, non ci determiniamo esclusivamente secondo il bilancio del piacere.

Io, non è che voglio qualcosa che mi dà più piacere: voglio quello che voglio!; indipendentemente dal fatto che mi dia più piacere che non dispiacere.

Quindi l’essere umano non vuole mai il piacere! Vuole qualcosa di concreto! Costi quel che costi! E, più fortemente lo vuole, più è disposto a tutti i dispiaceri di questo mondo …perché lo vuole!

Quindi la caccia alla felicità non esiste! Non è vero che l’uomo cerca la felicità; perché uno che vuole la felicità non vuole nulla! La felicità non c’è!

Se io voglio godermi una partita di calcio, non voglio la felicità; voglio il godimento di una partita di calcio.

Che cosa ha a che fare la felicità con una partita di calcio?

La felicità è un’enorme astrazione! La partita di calcio è concreta!

E se voglio godermi una partita di calcio, non voglio la quantità di piacere che adesso mi dico: ah!, allora andiamo a fare un giro in bicicletta, e il giro in bicicletta mi dà lo stesso quantitativo di piacere che vedere la partita di calcio …no!, voglio vedere la partita di calcio! Punto e basta!

Ora, questo orientamento, individuale, concreto, qui e ora, è la cosa più bella della natura umana, perché ti dà, diciamo, l’orientamento per sapere cosa vuoi.

Fa quello che vuoi! Sempre!

E a Giuda, che si sta togliendo la vita, il Cristo dice: compi sempre la tua volontà! O sei immorale! Se vai contro la tua volontà, vai contro natura; la tua natura. E se vai contro la natura, sei immorale.

Ma come!, la sua volontà è di togliersi la vita?!

Embè! Embè! Chi ha il diritto di dire che non ha il diritto a questo tipo di volontà?

Ce l’ha! Fa parte della natura umana!

Tu, terapeuta, che hai da ridire contro la volontà di ammazzarsi?

Sei ammutolito? Che hai da ridire?

Vedi! Il coraggio della fantasia morale!

Se tu dici: è qualcosa di moralmente cattivo, stai moraleggiando tu! Come fai a sapere che è qualcosa di moralmente cattivo?, dove lo sai?, come fai a saperlo?

Se fa parte della natura umana …fa parte della natura umana! Punto e basta!

E andar contro natura è sempre male! È sempre immorale!

Adesso stiamo giocando con questo esempio - è molto fecondo un esempio del genere - perché lì la fantasia deve diventare al massimo fantasiosa!

Sai, all’ultimo momento cosa mi salterebbe fuori di dirgli: sei sicuro che lo vuoi?! Sei sicuro? Sei sicuro? Sei sicuro?

PUBBLICO: Se va a dirglielo, no!

A.: Ci prova! Ci prova! Ci prova! E allora lo provochi, in quanto terapeuta, con la fantasia dell’amore, a indagare fino in fondo la volontà umana!

Lo vuoi veramente? E se lo vuoi veramente, fallo eh! Guai se non lo fai! Però sei sicuro che lo vuoi?

E finché lui ci pensa e non è proprio sicuro che lo vuole, continua a vivere!

PUBBLICO: Mi scusi, e se vuol uccidere qualcun altro invece?

A.: È proibito! È proibito dalla legge!

PUBBLICO: Ah, lì non c’entra la volontà umana che…

A.: No, no, no: ci sono azioni che vanno proibite, perché ledono per natura la libertà! Tutto il resto è permesso!

Ammazzarsi, lede la libertà altrui?

No! Quindi non è possibile proibire il suicidio. Pensateci bene! Non è possibile proibire il suicidio; e non c’è bisogno!

Una volta ho raccontato… ero a New York, mi arriva un prete - anche lui era un mezzo terapeuta, fabbricato un po’ meno professionalmente, ma insomma - mi manda uno di 26, 27 anni, un giovane, e dice: io mi voglio togliere la vita perché non sopporto di essere costretto a respirare; io voglio essere libero, santa pace! Invece sono costretto a respirare!

Trovava un’imposizione assoluta alla sua libertà che doveva …respirare!

Io dicevo: ma sta scherzando, o…

No, no, no!

Sai cosa mi è saltato in mente - ancora senza scienza dello spirito, non conoscevo ancora Rudolf Steiner -, io gli ho detto: ma se tu ti vuoi togliere la vita, sei liberissimo! Però sta attento, quando sei morto, sei costretto a restare morto! Non hai la libertà di tornare indietro!

Mi ha guardato con due occhi… è stato zitto, è uscito via, e ho saputo, da altri, che ha continuato a vivere …pacatamente! E si è subito la costrizione di respirare! Perché ha capito che: se vai all’altro mondo, non hai la libertà: sei costretto a restarci! Non hai la possibilità di tornare indietro!

Ha funzionato benissimo! Io ero allibito! Ero a corto di idee… come faccio a salvare questo tizio?!

Se mi porta incontro questa assurdità: che lui vuol essere libero dove la libertà non c’è!… Tu non puoi essere libero sopprimendo il corpo, puoi essere libero soltanto rispettando le leggi della corporeità. Allora gli dico: guarda che la libertà in assoluto, non c’è! E quindi, se tu ti ammazzi, sei costretto a restare morto!

E ha funzionato! Ha funzionato. Suppongo che viva ancora, perché era molto più giovane di me!

La fantasia dell’amore di cui parla questo testo - la filosofia della libertà parla della fantasia dell’amore - può raggiungere livelli di creatività artistica che sono micidiali!

Hanno una forza tale, assolutamente convincente, che creano positività all’infinito. Però, dicevo, va esercitata. E in fondo, questi incontri sono un modo di esercitare insieme questa sorgiva di positività, di fantasia dell’amore, all’infinito.

Par. 45 - Se dunque i seguaci dell’etica pessimistica, con la dimostrazione dell’esistenza di maggior quantità di dispiacere che non di piacere, credono di preparare all’uomo il terreno per dedicarsi disinteressatamente alle opere della civiltà, non pensano che la volontà umana, per sua natura, non si lascia influenzare da tale conoscenza. Lo sforzo degli uomini si regola sulla misura della soddisfazione che rimane possibile dopo il superamento di tutte le difficoltà. La speranza di questa soddisfazione è la base dell’attività umana. Il lavoro di ogni singolo, e tutto il lavoro della civiltà, scaturiscono da questa speranza.

Dalla gioia di attuare i desideri, le brame, i piaceri, a tutti i livelli.

L’etica pessimistica crede di dover presentare all’uomo il raggiungimento della felicità come impossibile…

Guarda che non è possibile raggiungere la felicità, dimentica la felicità, e fai il tuo dovere!… Dimenticare la felicità e fare il proprio dovere è andare contro la natura! Immoralismo puro! Perché l’essere umano non cerca la felicità, cerca l’esplicazione, l’espressione, delle dimensioni individuali che sono dentro di lui.

Che poi tu dica - come qui a sinistra -: però, chi uccide l’altro, non si rende conto che uccidere non fa parte di lui… Se ancora non lo capisce, basta che glielo proibiamo; e se lo fa, deve veramente andare in prigione! Finché si farà i conti e speriamo che arrivi a capire che nessun essere umano può essere libero distruggendo la libertà altrui. E chi distrugge la libertà altrui distrugge la propria. È ovvio!

Si può distruggere la libertà altrui soltanto essendo non libero; la persona libera onora, favorisce, la libertà di ogni essere umano.

L’etica pessimistica crede di dover presentare all’uomo il raggiungimento della felicità come impossibile, affinché egli si dedichi ai suoi veri compiti morali. Ma questi compiti morali non sono altro che gli istinti (adesso qui picchia Steiner, eh!) naturali e spirituali concreti (individualizzati);

Quindi Steiner usa la parola istinto, sia per gli istinti naturali, sia per gli istinti spirituali! Qui è tradotto bene: le brame, gli istinti - naturali e spirituali -.

Gli “istinti naturaliâ€â€¦ va bene, non c’è problema: l’istinto della procreazione, l’istinto della conservazione, l’istinto alla vita, ecc.; d’accordo!

Poi, gli “istinti spiritualiâ€â€¦ Oh, ci va bene la parola “istinto†con “spiritualeâ€?

Il bravo borghese dice: no, non calza! Quelli lì non sono istinti!

Finché l’essere umano è castrato, questi non sono istinti; ma, se termina di essere castrato, sono istinti ancora più potenti che non quegli altri istinti!

L’amore è un istinto?

Adesso vi dico una cosa grossa, eh!: l’amore, la fantasia dell’amore esercitata all’infinito, e goduta all’infinito, diventa un istinto irresistibile! Ancora più irresistibile che non un istinto corporale.

Però col presupposto - siccome è lasciato alla libertà, perché non devo farlo - che io la eserciti all’infinito e la goda all’infinito!

L’istinto naturale lo esercito per natura: devo ogni giorno mangiare; quindi anche il godimento, che è inferiore, c’è di per sé. Qui (nell’istinto spirituale) l’esercizio e il godimento è lasciato alla libertà; ma, nella misura in cui io, mille volte e mille volte, esercito questo istinto della fantasia morale, e lo godo, diventa un istinto molto più potente che non l’istinto di mangiare e di bere.

A quel punto lì la vita diventa molto bella, veramente molto bella!

E questa via è aperta a tutti!

A quel punto lì, dove la fantasia dell’amore diventa un istinto superiore, che si esercita ogni giorno, con godimento infinito, di fronte a questo tipo di discorso, che impressione vi fa parlare di “dovere�

Fuori posto! Fuori posto! Una deviazione dell’umano!

Quindi, quando noi parliamo di dovere, il fatto morale manca tutto!, manca il fenomeno morale! Perché il fenomeno primigenio della moralità è di esercitare e di godere la sorgente della fantasia morale, della fantasia dell’amore.

Rifaccio la domanda: ti viene uno che pensa di togliersi la vita… qual è il tuo dovere?

Vedi che non calza!

Accanto a quello che ho cercato arrabattandomi, perché siamo agli inizi, di dire, di quello che potremmo attivare dentro di noi, adesso ti rendi conto che parlare di dovere è assurdo in fondo!

C’è un dovere, c’è un tipo di dovere, nei confronti di uno che si sta ammazzando?

O sei fantasioso nell’amore, o sei perduto!

Che devi fa’ …Che devi fa’…

Chi non ha fantasia dell’amore, chi non la vuole esercitare, si pigli il dovere… Poveraccio lui!

Però dovrà sapere che il dovere non renderà contento né lui, né chi vuole, diciamo, appestare con questa dose di immoralismo che è il dovere.

Non c’è nulla che l’essere umano deve! Il bene morale non è qualcosa che l’uomo deve, è qualcosa che vuole! Appassionatamente! Con un istinto spirituale! E mi piace tantissimo che Steiner parla di istinti spirituali!

Tra l’altro fra poco arriva questa descrizione, che fa il paragrafo 47, alla fine: gli idealisti si beano spiritualmente, quando i loro ideali si trasformano in realtà …vanno in brodo di giuggiole!

Ma questi compiti morali non sono altro che gli istinti naturali e spirituali concreti…

Concreto… concreto… istinto concreto…

Portiamo la riflessione ancora un passo più avanti: fra il terapeuta e questa persona (il suicida) vuol dire che c’è un karma comune, che ha, di sicuro, almeno un paio di vite alle spalle; se no non c’è un rapporto fra il terapeuta e la persona.

Quindi, o c’è un’osmosi di forze karmiche, per cui l’uno ha le forze reali per iniettare una dose di positività nell’altro, in modo che gli passi la voglia di togliersi la vita, oppure la costellazione karmica è tale che… questo non è possibile.

E col karma non si può barare!

Quindi, in fondo, ci resta soltanto la modestia, l’umiltà, di vedere, di star a vedere, quali forze karmiche di aiuto reciproco ci sono, e quali non ci sono.

E se non ci sono… non ci sono!

E se tu soffri abbastanza per il fatto che non ci siano, sarà il presupposto perché la prossima volta ci siano!

E il presupposto è sempre l’amore!

Steiner ha tenuto diverse conferenze dove ha esplicato questo pensiero che dice: terapeutico, quindi che guarisce veramente, è soltanto l’amore!

Quindi, soltanto forze di amore possono, come dire, karmicamente aggiungere dal di fuori… che poi l’amore non è dal di fuori… ma solo l’amore però, non la conoscenza tecnica di quello che va fatto di fronte ad uno che si sta suicidando.

Ma questi compiti morali non sono altro che gli istinti naturali e spirituali concreti; e alla loro soddisfazione egli aspira, nonostante il dispiacere che incontra per via. La caccia alla felicità, che il pessimismo vuol estirpare, non esiste dunque affatto.

Non c’è la caccia alla felicità, perché la felicità è… aria fritta!

La felicità è nulla! È talmente astratta che non ha nulla di concreto!

Ma l’uomo adempie i compiti che deve adempiere perché, per la sua stessa essenza, quando abbia veramente riconosciuta l’essenza di essi, egli vuole adempierli. L’etica pessimistica ritiene che solamente quando abbia rinunciato ad aspirare al piacere l’uomo possa dedicarsi a quello che egli riconosce come compito della sua vita. Ma nessuna etica potrà mai ideare altri compiti della vita all’infuori della realizzazione delle soddisfazioni richieste dai desideri dell’uomo, e dall’esaudimento dei suoi ideali morali.

Quindi, o uno si gode i suoi ideali morali, si gode di realizzarsi, oppure è un poveraccio in canna!

Nessuna etica può togliergli il piacere che egli sente per il raggiungimento di quello che egli desidera. Se il pessimista dice: «Non aspirare al piacere, perché non lo puoi mai raggiungere; aspira a ciò che tu riconosci come tuo compito», si può rispondere: «Quest’ultima aspirazione è spontanea nell’uomo, ed è un’invenzione di una filosofia che procede per vie sbagliate il credere che l’uomo aspiri soltanto alla felicità. Egli aspira alla soddisfazione di ciò che la sua natura desidera,…

In tedesco non c’è “ di ciò che la sua natura desideraâ€. Allora scrivo qui: “ciò che la mia natura desideraâ€â€¦ cosa direste voi, va bene in tutto e per tutto questa dicitura?

La “mia naturaâ€â€¦ che è?

La mia natura è ciò che mi dà la natura!

In tedesco non c’è “naturaâ€, c’è il mio essere! Vi piace di più “il mio essereâ€?

A me piace di più, perché “il mio essere†comprende, sia il sostrato di natura - quello che mi dà la natura - e “il mio essere†comprende anche il fattore di libertà che voglio conquistarmi liberamente.

Certo che se noi capiamo rettamente la natura - l’abbiamo fatto oggi, no! - nella natura umana è compresa anche la libertà; però, diciamo, la comprensione normale degli esseri umani di “natura†non comprende la libertà! E perciò è un testo più intelligente quello che dice: qui bisogna stare attenti, se io ci metto “la mia naturaâ€, la maggior parte delle persone pensa la “natura†come a: “ciò che mi dà la naturaâ€. E non include nella natura ciò che io mi conquisto per libertà.

Allora, per evitare questo frainteso, lui ci ha messo: “il mio essere!â€

E permettetemi che tradurre, dove c’è chiaramente in tedesco: “ciò che il mio essereâ€, tradurre con “naturaâ€, è un po’ fuorviante, via! Per lo meno non si è vista la trappola che salta fuori con la parola natura.

Poi, tra l’altro, anche qui: Begierde = brama… “ciò che la mia natura desideraâ€â€¦ “ciò che il mio essere bramaâ€!

PUBBLICO: Alcuni riferiscono che nella traduzione di Bavastro c’è la parola “essereâ€, invece che “naturaâ€.

A.: Bene, bene. Quindi alcune volte è migliore l’una, altre volte è migliore l’altra.

Egli aspira alla soddisfazione di ciò che il suo essere brama, ed ha di mira gli oggetti concreti di questa sua aspirazione, non una “felicità astrattaâ€; e l’esaudimento è per lui piacere».

Quando l’etica pessimistica chiede che non si aspiri al piacere ma al raggiungimento di ciò che si riconosce come compito della propria vita, essa coglie proprio quello che l’uomo, per sua natura, vuole. Non occorre che l’uomo, per essere morale, sia prima sconvolto (stravolto) dalla filosofia e rinneghi la sua natura. La moralità consiste nell’aspirare ad uno scopo riconosciuto giusto; il perseguirlo è insito nell’essere dell’uomo finché un dispiacere concomitante non paralizzi il desiderio. E questa è l’essenza di ogni vero volere. L’etica non poggia sull’annientamento di ogni aspirazione al piacere, affinché anemiche idee astratte possano stabilire la loro signoria là dove più non si opponga loro nessuna forte bramosia di godimento, ma poggia sulla forte volontà, portata da intuizioni ideali, che raggiunge la meta anche quando la via è spinosa.

Par. 46 - Gli ideali morali scaturiscono dalla fantasia morale dell’uomo. La loro realizzazione dipende dal fatto che l’uomo li desideri abbastanza fortemente da superare dolori e tormenti per raggiungerli. Essi sono le sue intuizioni, le molle che il suo spirito tende; egli li vuole, perché la loro realizzazione è il suo più alto piacere. Egli non ha bisogno di farsi proibire dall’etica di aspirare al piacere, per farsi poi comandare a che cosa debba aspirare. Egli aspirerà a ideali morali, quando la sua fantasia morale sarà abbastanza attiva da suscitare in lui delle intuizioni che conferiscano alla sua volontà la forza di superare le resistenze che gli vengono opposte dal suo organismo, e delle quali fa parte anche un certo necessario dispiacere.

Par. 47 - Chi aspira a ideali di altezza sublime, lo fa perché essi sono il contenuto della sua essenza (del suo essere, di nuovo, in tedesco), e la loro realizzazione sarà per lui un godimento in confronto al quale è una piccolezza il piacere che gli animi meschini traggono dalla soddisfazione degli istinti comuni.

Volevo vedere dove sono, in tedesco, “gli animi meschiniâ€; perché è troppo moraleggiante; non è bello… Guardate, in tedesco, “gli animi meschini†non ci sono proprio!

A me tornava strano, eh! Dico: no, no, parlare di animi meschini è un’umiliazione dell’umano, è un moraleggiare… no, non esistono animi meschini!

Quindi vado a vedere - è un po’complesso il tedesco ( legge in tedesco varie frasi) -: la povertà che sgorga dal soddisfacimento delle brame quotidiane… quindi diciamo: le briciole!, ecco, le briciole! Le briciole che risultano dall’appagamento delle brame quotidiane.

Quindi: la povertà che salta fuori dall’appagamento delle brame quotidiane… Quindi questa povertà, queste briciole della vita, che risultano dall’appagamento delle brame quotidiane, in italiano l’hanno tradotto con: è una piccolezza il piacere che gli animi meschini - che in tedesco non ci sono - traggono dalla soddisfazione degli istinti comuni. Non è “comuni†in tedesco, è: “quotidianiâ€!

L’ultima frase: Gli idealisti si beano spiritualmente quando i loro ideali si trasformano in realtà.

E questa beatitudine fa impallidire la gioia, che è legittima, che è necessaria, per render possibile l’altra, di fronte ai desideri degli istinti comuni, degli istinti di natura, quotidiani, diciamo.

Par. 48 - Chi vuole estirpare il piacere dell’appagamento del desiderio umano, deve prima fare dell’uomo uno schiavo, che agisce non perché vuole, ma soltanto perché deve. Infatti il conseguimento di quello che si vuole dà piacere. Ciò che si chiama il bene non è quello che l’uomo deve, ma quello che egli vuole allorché esplica (quando esplichi) la vera e piena natura umana.

Non “mezzaâ€, perché la mezza natura umana è quella che ti viene per natura. Quindi l’altra metà è lasciata alla libertà.

Nella misura in cui l’essere umano esplica, porta a esplicazione, la vera e piena natura umana, fa il bene che è quello che vuole; non è quello che deve.

Chi non riconosce questo deve prima espellere dall’uomo ciò che l’uomo vuole, per fargli poi prescrivere da fuori quello che deve essere il contenuto della sua volontà.

Par. 49 - All’esaudimento di un desiderio l’uomo attribuisce valore, perché il desiderio scaturisce dal suo proprio essere. Ciò che viene conseguito ha il suo valore perché è stato voluto. Se allo scopo, in quanto tale, della volontà umana si nega il suo valore, bisogna trarre gli scopi aventi valore da qualcosa che l’uomo non vuole. E che si impone dal di fuori come dovere.

Basta così, per oggi, da parte mia. Abbiamo adesso circa tre quarti d’ora, partiamo subito col dibattito o vogliamo fare una breve pausa?

(Il pubblico è per il dibattito subito)

A.: C’è qualcuno che, oltre a me, ha qualcosa da dire?

I.: Mi è venuto un pensiero: c’è qualcuno che sostiene che il raggiungimento di un obbiettivo dia la soddisfazione massima nel tragitto prima di arrivarci, e io sono convinto che sia così.

(Archiati invita a ripetere il pensiero per problemi di audio)

… C’è chi sostiene - e io sono fra questi - che la soddisfazione massima nel raggiungimento di un obbiettivo sia il tragitto che ti porta a quell’obbiettivo, e non il conseguirlo. E quindi vorrei capire…

A.: Tu, stamattina e ieri sera, c’eri o non c’eri?

I.: Ieri sera non c’ero; chiedo venia!

A.: Eh, l’abbiamo fatto ieri sera; comunque va sempre di nuovo esercitato!

Lui dice: tendere a qualcosa dà più gioia che non raggiungere! Mentre si corre c’è più gioia che non quando sei arrivato!

PUBBLICO: Sì, sì!

A.: Tu dici sì, come se fosse una cosa semplice! Non è semplice!

Allora: ieri sera - mi pare che era ieri sera - ho spiegato che il massimo di godimento è quando io ho la sintesi di tutti e due: vivere l’essere per strada come una realizzazione, e… come posso vivere io l’essere arrivato, il conseguimento, l’appagamento, come l’essere per strada?

Godere il movimento in quanto pienezza in sé e per sé, lo si può capire meglio; per esempio dal gioco, ecc., no! Nell’altro invece (nell’essere arrivato), il pensiero ci deve mettere un minimo più di attenzione.

Io dicevo: l’appagamento è la fine del godimento! …Peccato!

Allora, quando l’appagamento mi raddoppia la voglia di ricominciare, nell’appagamento ho anche il movimento! Si capisce?

Quindi il dinamismo aumenta sempre di più.

E, da un punto di vista intellettuale io dicevo - c’è una domanda, qui la domanda è un movimento, vuole sfociare in una risposta; se uno ti dà una risposta, una bella botta, un dogma… un dogma è una proibizione a continuare a pensare, è un arresto! E un arresto non è godimento - e dicevo: l’unico modo moralmente buono di dare una risposta, è che la risposta sia coniata in modo tale che ti susciti almeno tre domande nuove! Allora sì, c’è gusto!

Eh, però, dai! Sempre in movimento!… alla fine uno si stufa, no!

MICHELE: Stavo osservando che: io dipingo, no!; nella pittura o è così, o non ha senso. Cioè, una volta che hai terminato un quadro, diciamo per un lavoro, dentro lì c’è già qualcosa che vuol andare da un’altra parte a manifestarsi. Però quella cosa lì è comunque completa, è finita; però ormai non mi interessa più. Cioè, devo andare avanti, perché, quello che è il percorso, è interessante, però comunque l’ho provata quella cosa lì!

A.: Ecco, esatto!, quindi dove il movimento finisce l’uomo è morto! O ricomincia, o è morto; è finito lui; è perso!

Allora, dov’è la chiave per non arrivare mai nella posizione psicologica dove uno dice: eh, ma insomma, sono stufo di continuare sempre a muovermi! Essere sempre in movimento… ma dai, lasciami riposare un pochino, santa pace!

I.: Godere la pausa!

(Pubblico: risate!)

A.: Ti piglio in contropiede, eh! Il fenomeno archetipico di godersi la pausa c’è sulle tombe, al cimitero: requiescat in pace!

(Pubblico: altre risate!)

Si goda la pausa! Questa è la concezione cattolica del dopo morte: requiescat in pace: si goda la pausa!

(Qualcuno dice: pace eterna)

Magari non è vero… ma come può essere vero, scusa! No, non c’è: “eternaâ€!

PUBBLICO: Può essere una pausa ogni tanto, quindi non una pausa eterna.

A.: E quella che c’è sulle tombe è eterna o non è eterna?

Non si sa! Non si sa! Importante è che riposi in pace!

Ma quello sta in pace! Non ha mai disturbato nessuno! No, glielo scrivono apposta sulla tomba: riposi in pace!

Però tu volevi dire un’altra cosa: nella musica ci sono le pause - parlando di pausa, ho pensato subito alla musica - tu sei pittore, però… dove sono i musicisti qui? Cos’è la pausa? Tu devi dirmi cos’è la pausa, se no non hai il diritto di essere un musicista!

I.: La pausa fa sempre parte della musica!

A.: Eh, lo sapevo!

I.: Nel momento in cui il suono cessa…

A.: Vedi che non ti convince, i tuoi occhi vanno così: eh, eh…

I.: No, sto cercando!

A.: Eh, si vede! Però ti diamo il tempo: la cosa non è semplice! Ti accorgi che non ci hai mai pensato più di tanto!

I.: Certo!

A.: È già molto!…

Allora, quando Dio creò la luce, c’era solo la luce e… non si vedeva nulla!

Si vede qualcosa se c’è solo la luce?

Nulla! non si vede neanche la luce!

Allora Dio, adesso… ah, ah, ah, qua mi manca il diavoletto che ci metta un pochino di tenebra, se no non si vede la luce!

Allora il diavolo gli ha detto: eh, tu la tenebra non la sai fare, perciò hai bisogno di me! Ci ha messo un sacco di punti neri e… adesso si vedeva la luce!

Se non ci fossero le pause nella musica, non si vivrebbe il movimento!

Nella pausa ti accorgi: ah!…

Se invece c’è sempre solo movimento… è come una luce che non la vedi, perché c’è solo luce.

Il godimento!… perché uno se ne accorga, e lo goda veramente, ha bisogno delle pause!

I.: Il movimento io lo percepisco anche se non c’è la pausa.

A.: Perché c’è!

I.: Perché c’è un respiro.

A.: No, il respiro umano non fa parte della musica. Il respiro, nella musica, è la pausa. Tu respiri anche quando non suoni, scusa! Quindi il respiro umano non è un fatto prettamente musicale, se no saremmo tutti musicisti.

I.: Ma una frase musicale, anche se all’interno non ha una pausa, ha comunque un respiro suo.

A.: Una frase con una pausa, non è una frase!

I.: No: senza una pausa!

A.: Una frase con una pausa, non è una frase: sono due frasi!

I.: O.K.

A.: Perché la pausa è come il punto; quando tu hai un testo, in una proposizione, in una frase, non c’è il punto; se no non è una frase! E quando c’è il punto è una pausa tra una frase e l’altra.

Quindi, se tu, in una melodia, diciamo in una variazione del tema, ci metti una pausa, spezzi la variazione! La variazione è una variazione, e la pausa viene dopo la variazione del tema. Quindi le pause mi evidenziano le unità; ma se ci metto una pausa nell’unità, son due unità!

Quali sono le pause del godimento che aumentano il godimento?

PUBBLICO: Il dolore!

A.: Una persona non capace di dolore, non è capace di godimento!

È come uno che vuol avere la luce senza la tenebra. Non esiste la luce senza la tenebra! È un abbaglio!

I.: A proposito di luce, io volevo che mi aiutasse a fare un po’ più di luce su questa accoppiata dell’istinto spirituale, perché non mi convince secondo i significati che do io alle due parole.

A.: L’istinto spirituale… non ti convince!…

I.: No! perché l’istinto è per me…

A.: Ma, goditi il tuo non convincimento, scusa! Vuoi che io venga a martellarti, a fare il terrorista, per convincerti? Se non sei convinta, non sei convinta, scusa!

I.: Beh, dammi una mano!

A.: No! No! Io sono esperto di calci nel sedere, non di dare una mano!

Parti spiegandoci cosa intendi per istinto spirituale!

I.: No, sono le due parole che non mi calzano! Perché per me l’istinto è qualche cosa di automatico, e quindi non riesco ad accoppiarlo all’idea che ho io, invece, di elemento spirituale.

A.: Allora, adesso pigliamo il musicista - col pittore sarebbe un po’ più difficile la cosa -. Lei sta dicendo che la creatività non può diventare istinto!

Lui dice subito: non son d’accordo! E io son d’accordo con lui!

Io non dico che il virtuosismo ti dia l’evidenza che la creatività può diventare una seconda natura; l’istinto si vive in una seconda natura. Quindi lasciamo via il virtuosismo che è una specie di meccanizzazione, non di istinto. Ma la parola istinto sta a dire che la natura ti dà una prima natura, e tu, con la libertà, puoi creare in te una seconda natura, che mira con la stessa precisione, con la stessa forza, di un istinto!

Tu hai soltanto il diritto di dire: il fenomeno non lo conosco! Allora va tutto bene!

Perché se uno è veramente un bravo musicista… diventa un istinto, scusa! Se ci deve pensare continuamente… allora che vada a pascere i gallinacci!

Diventa una seconda natura!

La fantasia dell’amore diventa talmente… istintiva - esercitata, esercitata, esercitata - che va a colpo sicuro quanto l’istinto! È infallibile!

Il concetto di istinto comprende il carattere di infallibilità. L’istinto è infallibile!

Perché non può diventare l’amore, infallibile?!

Una seconda natura che crea istinti: una gran bella cosa!

PUBBLICO: L’istinto materno!

A.: Eh, l’istinto materno! Però lei ti direbbe: sì, ma l’istinto materno te lo dà la natura!

Quindi, Steiner vuol dire: le facoltà spirituali, del conoscere, dell’amare, l’arte, la conoscenza, ecc., uno le può godere, le può portare ad un livello di una seconda natura, che è istintiva, che ha la forza dell’istinto, che però ti dà un godimento molto maggiore perché te lo sei conquistato liberamente.

Se l’affermazione è vera, è una prospettiva di evoluzione bellissima!

L’amore è talmente infallibile, quando è veramente amore, che Agostino dice: ama e fa ciò che vuoi! Ama et fac quod vis. Perché l’amore, nella misura in cui è amore, è infallibile; come l’istinto. È un istinto superiore!

Oppure non è amore! È questo che cercavo di dire prima!

O tu eserciti l’amore come terapeuta, fino al punto che l’amore diventa un istinto superiore, una seconda natura; e tu diventi infallibile!

Quello che tu fai, partendo dalla sorgente dell’amore, non è sindacabile! Anche se tutti gli uomini di questo mondo verranno a dirti che hai fatto male, sbagliano loro! L’amore non sbaglia mai! O non è amore!

Abbiamo risolto tutti i problemi del mondo? Buonanotte!, e ci vediamo domani.

Domenica 29 settembre, mattina

A.: Una buona domenica a tutti quanti! Questa mattina ho intenzione di portare a termine la Filosofia della Liberta’, cosicché la prossima volta ricominciamo da capo; conto che porterete tutti i vostri amici del Nord dell’Italia, del Centro, del Sud, e vedremo se la sala qui basta.

Perché la Filosofia della Liberta’ è il finimondo più micidiale che ci sia, e quindi sarò felice di ricominciar da capo finché il karma, come dire, mi lascia sulla scia di questo mondo.

Quando vado all’altro mondo ve lo farò sapere, eh!

Allora, leggiamo insieme gli ultimi tre paragrafi del capitolo XIII° – il più lungo che c’è stato – quindi questi due ultimi incontri, qui a Milano, sono stati un po’ come un battesimo del fuoco, dovendo io correre un pochino, ma insomma, vi siete accorti che è nella natura delle cose.

Questa mattina non si tratterà di correre di nuovo, ma cercherò di fare un po’ una sintesi anche sul XIV° capitolo: “L’individuo e la specieâ€, e poi “le questioni ultime†– una specie di sintesi di tutto questo libro – in vista di uno scambio, anche questa mattina – se ci sarà –. E poi, è chiaro che non tutti possono prendere la parola, però chi parla, di volta in volta, parla a nome di tante altre persone; ed è importante che le cose vengano dette in modo tale che ognuno, a modo suo, attivi la testa che ha, e faccia passi in avanti, diciamo, nella facoltà del pensare; e poi, soprattutto, ricordo che la seconda parte della Filosofia della Libertà risponde alla domanda: che devo fare?

La seconda parte è la parte morale dell’agire; e abbiamo detto: non esiste ciò che tu devi fare, esiste ciò che il tuo essere, ciò che è consono al tuo essere, perché tu cresca ulteriormente. Abbiamo detto: puoi crescere tu ulteriormente, soltanto se contribuisci alla crescita di tutti gli organi del tuo organismo. Quindi una persona può amare se stessa soltanto amando gli altri; perché soltanto amando gli altri diventa sempre più amante, sempre più valida, sempre più ricca.

La ricchezza più profonda è quella dell’amore; l’amore rende ricca la vita. L’amore è fantasioso; addirittura in un testo sulla Filosofia della Libertà, tutta la seconda parte è incentrata sulla fantasia dell’amore!

Certe pensate le poteva fare soltanto un Rudolf Steiner!

E il primo colpo di fantasia è di capire che, io non posso amare me stesso senza amare l’altro! Favorisco, cresco, vado avanti, divento più ricco, soltanto amando l’altro. Però è un ricatto se diciamo soltanto la prima parte (della frase)! Diventa non più un ricatto se aggiungiamo la seconda parte.

Allora, quando uno mi dice: guarda che tu ami te stesso soltanto se ami l’altro… uno gli dice: beh, se ti fermi lì arrivi di nuovo col moralismo… insomma, mi dici che devo amare l’altro!

No! “Puoi amare te stesso amando l’altro†è metà della verità; e se si ferma lì non tornano i conti!

Puoi amare te stesso solo amando l’altro… virgola, e come continua?

Continua con: “E puoi amare l’altro soltanto amando te stessoâ€! Perché tu puoi dare all’altro soltanto ciò che hai! O arricchisci te stesso, quindi ami te stesso, e soltanto allora, nella misura in cui tu ami te stesso, sei in grado di dare, di contribuire, all’azione altrui.

Quindi l’egoismo prende soltanto questa seconda affermazione e il moralismo prende soltanto la prima!

Invece liberante è mettere tutt’e due insieme, e soltanto insieme abbiamo la realtà vera.

Quindi l’amore di sé e l’amore dell’altro non sono scindibili. O ci sono tutt’e due, o non c’è nessuno dei due! Questo è un concetto fondamentale.

Allora, paragrafi 50, 51 e 52, li leggiamo insieme, una specie di piccola meditazione, stamattina!

Par. 50 – L’etica che si edifica sul pessimismo scaturisce dal non tener in conto la fantasia morale (la fantasia dell’amore). Soltanto chi non ritiene lo spirito umano individuale capace di darsi da sé il contenuto della propria aspirazione, può cercare la somma del volere nella bramosia del piacere. L’uomo privo di fantasia morale non produce idee morali; esse debbono venirgli date (dal di fuori, da altre persone). La natura fisica provvede a farlo aspirare alla soddisfazione dei suoi desideri inferiori (della natura inferiore, del corporeo abbiamo detto). Ma all’esplicazione dell’intero uomo sono pertinenti anche i desideri derivanti dallo spirito (gli istinti dello spirito, le brame dello spirito, le passioni dello spirito; non soltanto i “desideriâ€. Vi dicevo che il tedesco è più forte, usa delle parole più forti che non l’italiano; quando si tratta di ciò che è spirituale le cose, in italiano, diventano troppo rarefatte!). Soltanto quando si sia dell’opinione che, di questi ultimi, l’uomo non ne abbia affatto, si può credere che egli debba riceverli dal di fuori. Allora si è anche autorizzati a dire che egli è obbligato a fare qualcosa che non vuole. Ogni etica che esiga dall’uomo di reprimere la propria volontà per adempiere compiti che egli non voglia non considera l’uomo completo, ma un uomo a cui manca la capacità di desideri spirituali.

Mi viene in mente… forse voi, cresciuti in un contesto laico, e non lo conoscete più di tanto, ma, nel mondo ecclesiastico – quindi in tutta la religione, la chiesa, ecc., – c’è sempre stato questo concetto: tu sei buono, sei moralmente buono, nella misura in cui fai la “volontà di Dioâ€â€¦ Quindi, il tuo compito è fare la volontà di Dio!

Io, già da giovane, dicevo: mah, questo Dio… prima di tutto non so dove sta di casa! Poi, va a sapere che cosa vuole!

Quindi la “volontà†di “Dio†sono due astrazioni stratosferiche!

Finché poi ho cominciato a capire in che modo la volontà di Dio diventa concreta!

Come si concretizzava la “volontà di Dio�

PUBBLICO: Togliendola…

A.: No! La volontà del Superiore! Lì diventava concreta!

Sta attento: tu la volontà di Dio, non la puoi capire da solo! Dio esprime la sua volontà attraverso… il Superiore!

Adesso, via dalla chiesa, prendete un’azienda, una ditta qualsiasi nel mondo economico, no! Che cosa ho da fare io, in questa ditta?

La volontà del capo! Se no non piglio i soldi!

Quindi si fa alla svelta a soggiogare, ad ammansire l’essere umano, e a metterlo in riga in base a una volontà che lo gestisce dal di fuori.

Perciò, tentativi di gestire dal di fuori, ce ne sono tanti! Perché gestendo l’uomo dal di fuori ne fai uno strumento del tuo potere; di quello che tu vuoi raggiungere attraverso l’uomo.

E questo: la gestione dal di fuori, è l’essenza dell’immoralità! Perché distrugge l’autonomia interiore. La gestione dal di fuori distrugge la libertà. Libertà significa: gestirsi da sé! Mi pare ovvia la cosa!

Quindi il bene morale è la forza di gestirsi da sé, nella libertà. E ogni gestione dal di fuori che distrugge la libertà è moralmente cattiva.

E ogni essere umano è in questa lotta, complessa poi tra l’altro, che rende le cose difficili: che è molto complesso vedere tutti i tentativi che ci sono di gestirmi dal di fuori, di imbottirmi, di impaurirmi, con doveri – e dovresti far questo!, ecc., ecc., ecc. – per cui è difficile liberarmi da tutto questo, senza diventare un arci-egoista e gestirmi dal di dentro. Se no non sono né libero, né moralmente buono; moralmente buono è soltanto l’uomo che è libero. La non-libertà è il moralmente cattivo. È il male morale. È ovvia la cosa!

Essere non liberi è il male morale per eccellenza, che riassume tutti i mali morali.

E tutti i nostri discorsi, tutte le nostre discussioni, tendono sempre a concretizzare questo trapasso, questo complesso trapasso, tra tanti tentativi di gestirti dal di fuori, all’arte – complesa anche quella – di gestirti dal di dentro.

(Riprende il testo già letto)

Allora si è anche autorizzati a dire che egli è obbligato a fare qualcosa che non vuole. Che vogliono gli altri, che vuole Dio, che vuole il Superiore, che vuole il capo, che vuole, che so, la gestione della scuola, o dell’ospedale… Ogni etica che esiga dall’uomo di reprimere la propria volontà per adempiere compiti che egli non voglia (a partire dal proprio essere) non considera l’uomo completo, ma un uomo a cui manca la capacità di desideri spirituali.

La traduzione più fedele sarebbe: “la facoltà spirituale del bramareâ€! Lo traducono con “la capacità di desideri spiritualiâ€â€¦ una cosa un po’ evenescente!

Per l’uomo armonicamente evoluto (sviluppatosi armonicamente) le cosiddette idee del bene non sono fuori, ma dentro la sfera del suo essere. Non nell’estirpazione di una unilaterale volontà propria sta l’attività morale, ma nello sviluppo pieno della (propria) natura umana. Chi ritiene gli ideali morali raggiungibili soltanto se l’uomo uccide la sua volontà individuale, non sa che questi ideali sono voluti dall’uomo proprio altrettanto quanto la soddisfazione dei cosiddetti istinti animali.

L’uomo libero, che si è liberato da ogni costrizione dal di fuori, vuole appassionatamente ciò che è bene per lui e per l’altro!

Già Platone lo dimostrava: l’uomo è fatto in modo tale che vuole soltanto il bene!

E se è nella natura dell’uomo di volere ciò che gli fa bene, perché deve volere soltanto ciò che fa bene al suo corpo?

Se si vive come anima vuole ciò che fa bene alla sua anima!

Se poi comincia a viversi come spirito creatore, vuole ciò che fa bene, ciò che favorisce lo spirito creatore!

È nella natura dell’uomo di volere ciò che fa bene al corpo, ciò che fa bene all’anima e ciò che fa bene allo spirito. E volere significa amare!

Tutto sta a veder poi, concretamente, che cosa fa bene in questo momento, in questa giornata, in questo tempo, al mio corpo; che cosa favorisce il cammino della mia anima e che cosa favorisce il cammino del mio spirito.

E, volendo bene a me stesso, voglio bene agli altri, perché ho qualcosa da contribuire.

Gli altri avranno voglia di vivere con me, di conversare con me, di essere con me, perché si sentono arricchiti, si sentono amati, nel proprio essere.

Par. 51 – Non si può negare che le vedute qui esposte e caratterizzate possano facilmente venir fraintese.

Certo! Non so se lo sapete: appena uscita la Filosofia della Libertà nel 1894, la prima edizione, hanno spacciato questo libro come anarchico, l’hanno messo sotto la rubrica dell’anarchismo! E quindi tutta la borghesia, in Germania, non l’ha neanche considerato. Sui giornali c’erano delle stroncature micidiali, proprio terribili!

Questo libro qui, che parla dell’autonomia interiore nel pensare e nell’amare… anarchismo!

Quindi è certo che si può fraintendere; e trovo anch’io, insomma, persone che, siccome il tipo di discorso che faccio – che cerco di fare – non è comodo più di tanto alle autorità e ai poteri costituiti… ci sono persone che si sforzano di fraintendere quello che io dico. Si sforzano proprio, eh!

Uomini immaturi senza fantasia morale prendono volentieri gli istinti della loro natura incompletamente sviluppata per l’intero contenuto dell’umanità, e respingono tutte le idee morali non prodotte da loro, per poter “vivere la vita†indisturbati.

Vi dicevo; io sono, in campo antroposofico, un po’ un battitore libero; e lo sono volentieri perché ogni tipo di intruppamento, come dire, decurta, mette a repentaglio la libertà.

Vi do un piccolo esempio di come la setta fa a calunniare, a diffamare, colui che non fa parte della setta; e per setta intendo, al 100%, la società antroposofica.

E vi racconto qualcosa – ma soltanto una piccola parentesi – per dire come le cose si possono volentieri fraintendere quando le si vogliono fraintendere. E quando si vuole, come dire, calunniare una persona, vi racconto qualcosa successa un paio di giorni fa: c’è il segretario… no, il generale della società antroposofica che si chiama S.P. che dice – mi è stato riferito che dice –: sì, sì, sì, quello che Archiati fa… – tra l’altro vi do l’informazione che lui, io non l’ho mai visto 5 minuti davanti a me!; quindi non ha mai percepito quello che io dico, quello che io faccio! – però lui dice: sì, però Steiner fa un cerchio, ma non lo chiude mai il cerchio; invece Archiati chiude il cerchio…

E adesso le pecorelle sanno – è chiarissimo – che quello che Archiati fa non è antroposofia! Perché Steiner non chiude il cerchio, invece Archiati chiude il cerchio!

La cosa è chiarissima, no! Avete capito tutti di che si tratta, no!

E anche lui dice (di sé): io non chiudo il cerchio…

Questo è il modo in cui la setta, con un’arroganza proprio stratosferica, taccia di non antroposofia quello che fa l’altro, perché non gli fa comodo; perché magari gli sono scomodo.

Tra l’altro ha anche stampato cose dove diffamava la nostra casa editrice; ha stampato, questo signorino, che noi abbiamo perso una causa in Germania; invece l’abbiamo vinta!

È il “Lascito†di Rudolf Steiner che ci ha fatto la causa, e quelli del “Lascito†l’hanno persa! È stato stampato in Italia, da questo signorino, che l’hanno vinta!...

Quindi questo modo di sbaragliare l’altra persona è di una primitività settaria, ma secondo me allucinante! E le pecorelle sanno che, quello che Archiati fa, non è antroposofia perché l’arcivescovo antroposo ha detto: no, lui chiude il cerchio invece Steiner non lo chiude; quindi quella non è antroposofia; e loro lo sanno!

E la persona che mi ha riferito questo, che cerco di dirvi il più fedele possibile, in modo che abbiate la percezione, mi ha riassunto il tutto con: è una gran bella persona!

Una gran bella persona! Perché è arcivescovo!

Calunnia, diffama l’altro, poi le pecorelle lo credono: quello che io faccio non è antroposofia, invece quello che lui fa è antroposofia!

Siamo a questi livelli di settarismo così primitivo, che io non riuscivo a credere a quello che sentivo!

Oh, se poi, in base a quello che io ho detto, la prossima volta un paio di persone, che adesso sono qui, non ci sono più, sono felicissimo! Non crediate che io non mi renda conto di certe cose. In Germania ho fatto di tutto, nel corso di 15, 20 anni, perché certe persone sparissero dalle mie conferenze! Perché solo quando sono sparite, sono entrate altre che si sentivano a casa loro soltanto perché altri erano andati via.

Uomini immaturi senza fantasia morale prendono volentieri gli istinti della loro natura incompletamente sviluppata per l’intero contenuto dell’umanità, e respingono tutte le idee morali non prodotte da loro…

Quindi il modo di fare antroposofia che non è secondo lui (l’arcivescovo), non è antroposfia! Perché non è come la fa lui. Perché si chiude il cerchio e lui il cerchio non lo chiude.

È evidente che ciò che è giusto per l’uomo completo non possa valere per una natura umana semisviluppata. Quello che vale per l’uomo maturo (in tedesco c’è: per l’uomo completo), non lo si può pretendere da chi debba ancora essere portato, mediante l’educazione, al punto in cui la sua natura morale si liberi, rompendolo, dal guscio delle passioni inferiori.

Scusate, visto che ero in tema, c’è qualcuno che ha l’edizione antroposofica, l’ultima del libro?

2011, non 1011, il medioevo! …In quarta pagina – non dite che sono polemico! – qui si stampano diffamazioni, stampando la menzogna, la non-verità, e nessuno si accorge!

Un’enormità di persone illuminate… e nessuno si accorge! Qui c’è scritto: tutti i diritti, anche di traduzione, sono riservati alla Rudolf Steiner - Nachlassverwaltung.

La legge, in Germania, in Italia, in Svizzera, adesso viene sempre più equiparata in Europa. La legge prevede che un autore – Rudolf Steiner – ha dei diritti, che a quei tempi erano solo 30 anni dopo la morte, adesso: 70 anni dopo la morte.

Quindi, 70 anni dopo la morte di Rudolf Steiner, arriviamo al 1995; dopodiché Rudolf Steiner non ha più nessun diritto, e la Rudolf Steiner Nachlassverwaltung (il “Lascitoâ€) non ha più nessun diritto.

Qui, 2011, stampano che le edizioni Rudolf Steiner in Italia, se facessero una traduzione – e noi le facciamo! – senza l’autorizzazione del Lascito di Rudolf Steiner, stampano contro legge!

E questa è una diffamazione! Perché loro (l’editrice antroposofica) non hanno nessun diritto! C’è scritto: Tutti i diritti anche di traduzione sono riservati… No!, questi diritti non ci sono più!

I.: Hanno portato avanti la stessa cosa anche delle vecchie edizioni fino al 2003.

A.: Sì! Siccome questa dicitura l’hanno fatta per decenni, è legittimo che dormano e continuano a farla fino adesso! Che vuoi dire con questo! I diritti non ci sono più! Punto e basta!

I.: Ma lo sto dicendo ironicamente!

A.: Sì, ma non ti rendi conto che tu, adesso, mettendo al centro questo tipo di riflessione ci stai fuorviando! Perché in fondo stai dicendo: sì, l’hanno sempre stampata questa dicitura, non ci hanno badato e l’hanno ripetuta. Ma queste sono le manovre non occulte, ma ben palesi, per cui, proprio la borghesia sempre: …via!,via!, via!

Ci fosse stata una persona… perché se ci fosse stata, io son ben contento di non essere costretto ad evidenziare queste cose; perché sento un dovere morale in assoluto! Se ci fosse stata una persona in Italia, sveglia abbastanza, da vedere che lì si stampa nel 2011 una non verità, quindi una menzogna, che calunnia – tra l’altro Pietro Archiati – e lo fanno molto volentieri, e vi ho appena raccontato in che modo – e una casa editrice che, secondo loro, non ha il diritto di fare le sue traduzioni.

Trovatemi una persona che si è accorta di questo!

I.: Pietro scusa, sul bollettino della società antroposofica, un mese fa, questo signore ti ha chiesto scusa, perché ha sbagliato…

A.: No, non ha chiesto scusa, non ha chiesto scusa! Scusate, se io dovessi entrare nel merito di tutte le oscenità che questa setta si permette nei confronti di quelli che non … avrei bisogno di tutta la mattinata.

Quindi questa faccenda qui io non l’ho tirata fuori perché voglio andare avanti con la Filosofia della Libertà.

Sta attento (all’interv. 2): lui, questo S.P., 6, 7 anni fa, ha stampato sul bollettino, firmato da una Claudia Gasparini, che l’Archiati Verlag ha perso una causa, cosa non vera, quindi una diffamazione perché noi abbiamo invece vinto la causa!

Quando il bollettino della società antroposofica stampa che Archiati ha perso una causa, significa, per i ben-pensanti borghesi – ed è pieno il mondo anche antroposofico – che Archiati ha fatto delle cose contro legge, ha stampato contro legge! Questo ha comportato che tutte le associazioni antroposofiche, tutte le scuole antroposofiche, non hanno comprato quasi nulla, in questi anni, dei libri nostri.

Adesso lui, dopo 7 anni, siccome noi abbiamo messo in internet addirittura il verdetto del giudizio a Monaco e non abbiamo mollato, adesso lui aveva preparato – tu non lo sai questo! – aveva preparato una rettifica, dove non si scusa – neanche di quello che ha stampato adesso si scusa – una rettifica dove diceva: quello che ho stampato 7 anni fa era errato e lo correggo… Non è vero! Ora questa rettifica ce l’ha mandata per essere sicuro e noi gli abbiamo subito risposto: signor S.P., questa rettifica è di nuovo del tutto sbagliata! Dice di nuovo delle cose del tutto sbagliate!

Al che lui, questa rettifica l’ha ritirata, quindi voi non l’avete mai vista; e ha stampato quello che tu (interv. 2) adesso hai letto, dicendo: a quei tempi ho fatto delle affermazioni che erano errate; però adesso, siccome lui due volte ha contattato quelli di Dornach e per due volte ha affermato la non verità, adesso che, per la prima volta ci siamo presentati noi – adesso la cosa gli era troppo (scappata di mano) – lui: ah, ho capito: ognuno la cosa la presenta a modo suo, andate a vedere in internet, e ha dato il sito tedesco, così gli italiani non ci capiscono nulla!

E noi gli abbiamo scritto una lettera… io avrei desiderato di mettere in questa lettera che io e Monica Grimm gli abbiamo scritto, perché lui il tedesco lo sa benissimo, in cui diciamo: ma Sig. S.P., non sarebbe una cosa onesta che almeno lei si scusi di aver stampato la non verità?!

E non si è scusato! Guarda che tu ti sbagli se tu mi dici che in quel testo lui si scusa! Lui rettifica l’affermazione sbagliata! Ma rettificare – ho sbagliato, quindi non era vero – non significa scusarsi!

Non si è scusato!

I.: Un cerchio che non si chiude non c’è!

A.: Ma alla setta non importa nulla! L’affermazione del cerchio è una stupidaggine, scusa!

Poi tra l’altro in questa lettera gli abbiamo detto: se tu stampi qualcosa e dici che questa casa editrice ha perso una causa, è chiaro che, se ha perso una causa, sta stampando contro legge; e noi gli abbiamo detto: se non è vero è una diffamazione! Lui, invece di accettare che è una diffamazione, ha detto: sì, ho scritto qualcosa che loro considerano diffamatorio!

Quindi, dire la menzogna che noi abbiamo perso la causa non è una diffamazione! Noi così la sentiamo perché siamo così suscettibili… capito! È la nostra suscettibilità che la prende come una diffamazione!

Diamo una calmata al relatore e leggiamo l’ultimo paragrafo.

(Applausi)

Che bella borghesia!!! Quando colui che alza un pochino la voce si calma, piglia un applauso… Ve lo sbatto in faccia l’applauso! Tutti quelli che hanno applaudito sono, per me, borghesi schifosi! Ti applaudiamo solo quando ti dai una calmata!: è abissale la cosa!

(Dissenso)

Non è vero!? Non è vero!?

Volete star zitti, o no!? Oh, ma scusate, il relatore sono io la calmata ve la dovete dare voi!

I.: Abbiamo applaudito per quello che hai detto, non per la calmata!

PUBBLICO: Brava! Brava! (applausi)

A.: Eh, eh, vedi che adesso c’è un applausino!

Insomma, vedete che io, queste cose, siccome fanno parte del mio mestiere, me le godo anche. Però quando si tratta della figura che l’antroposofia ci fa, quando vedo fenomeni di setta mi piange il cuore, perché dico: si toglie all’antroposofia ogni possibilità di presentarla come qualcosa di ragionevole, come qualcosa di veramente solido, a questi livelli di primitività, di setta…

I.: Scusa Pietro, non mi hai dato la parola perché sono stato lì avanti, volevo solamente dire che, secondo me…

A.: Come, dire a me! Tu parli a tutti, non soltanto a me!

I.: Volevo solamente dire che, secondo me, un attimo fa avevi frainteso il senso di questo applauso: è stata un’approvazione a tutto quello che hai detto e un appoggio di questa platea alla tua persona e al tuo modo di agire.

PUBBLICO: Bravo! Bravo! (Ancora applausi)

A.: Per amor di pace, per andare avanti ti do ragione, dai!

Par. 52 – Ogni uomo (intedesco c’è: questo uomo, questo tipo di uomo) giunto a maturità dà a se stesso il proprio valore.

Anche soltanto questa frase: dà a se stesso il proprio valore…A nessun essere umano si può dare, dal di fuori, più o meno valore di quello che lui vale! E ciò che vale, il valore che crea in sé, è lui l’artefice di quello che diventa, di quello che non diventa.

Non aspira al piacere che gli venga offerto come una grazia dalla natura o dal creatore; e neppure compie il dovere astratto che riconosce come tale dopo aver superato l’aspirazione al piacere. Egli agisce come vuole, cioè secondo la misura delle sue intuizioni etiche; e prova come vero godimento della sua vita il raggiungimento di ciò che vuole. Egli determina il valore della vita dal rapporto fra quello che ha conseguito e quello a cui ha aspirato. L’etica che pone il solo dovere al posto del volere, il solo obbligo al posto dell’inclinazione, è coerente nel determinare il valore dell’uomo dal rapporto fra ciò che il dovere esige e ciò che egli compie; essa misura l’uomo con un metro che è al si fuori dell’essere dell’uomo stesso.

Quindi, se vogliamo salvare la parola “dovereâ€, “dovutoâ€, per quanto mi riguarda c’è soltanto ciò che devo al mio essere! Ciò che è dovuto al mio essere!

E cosa devo io al mio essere?

Di crescere, di crescere, di crescere, sempre di più! Devo al mio essere sempre più ricchezza, sempre più profondità, sempre più bellezza! Una fantasia morale sempre più intima, più forte!

Questo lo devo al mio essere, perché il mio essere lo esige, lo cerca, lo vuole!

Vivere sempre di più in pienezza!

Quindi il dovere, la somma del dovere, è ciò che ognuno deve al suo essere, perché lo esige! Il suo essere però, non dal di fuori!

Quindi nessuno che non sia io, può dirmi che cosa è dovuto al mio essere; perché nessuno è io. Soltanto io posso sapere cosa è dovuto, cosa è consono, cosa corrisponde al mio essere, perché continui a camminare.

Perciò vi dicevo, si tratta proprio di una cultura – andiamo indietro di 1000, 2000, 3000 anni, tutto il passato – in cui c’era un’umanità ancora bambina; e nella fase bambina viene gestita dal di fuori.

E siamo adesso in questo trapasso enorme di decenni, di secoli, dove ognuno sente sempre di più – bellissima cosa! – l’aspirazione a gestirsi dal di dentro.

L’orientamento per sapere cosa è bene, cosa è male, per me, sono io! È il mio essere! Soltanto il mio essere mi può dire cosa è bene per me, cosa è male per me.

Par. 53 – L’ordine di idee qui esposto rivolge l’uomo verso se medesimo.

Quindi non si cerca più il dovere dal di fuori, ma per sapere cosa devo, io devo… – un altro modo di formulare – i modi di formulare sono sfumature di pensiero – io devo soltanto ciò che il mio essere vuole. Solo questo devo! E basta e avanza!

Io pensavo ieri, oggi, stamattina, siccome c’è questo colpo di sbaragliare, di buttar via ogni tentativo di gestirmi dal di fuori, naturalmente ci sentiamo un po’ disorientati perché abbiamo paura che allora ognuno fa quello che vuole, e quello che vuole è egoista, non è amante!

Allora io dicevo: – e poi ne discutiamo, perché le cose vanno concretizzate – per attutire questa paura che nasce di fronte alla gestione dall’interno, dove non esiste più nessuna gestione dal di fuori, avevo pensato di introdurre una categoria, che è pulita, però ti dà un colpo dall’altra parte!

Adesso se io mi chiedo: che cosa voglio io, che cosa vuole il mio essere più intimo?

E allora, come risposta provocatoria, avevo pensato – però la cosa deve essere giusta, eh!, ma è un colpo! –: il mio io vero, sovraconscio, profondo, vuole ciò che è facile, ma vuole molto più intensamente ciò che è difficile!!!

Perché?

Perché quando io affronto ciò che è facile tiro fuori meno registri del mio essere; quando invece sono in grado, posso permettermi, di affrontare qualcosa che è difficile amo me stesso molto di più, perché tiro fuori tutt’altre forze, tutt’altre capacità; e mi evolvo molto di più col difficile che non con il facile.

L’amore piccolo vuole il facile. L’amore grande vuole il difficile.

E guai, se la vita è soltanto facile! Mi sento una pastafrolla!

Noi, a chi diamo compiti più difficili?

Alla persona che stimiamo di più!

E all’altro diciamo: no, quello non ce la fa, lasciamolo in pace.

Quindi non è vero che togliendo la gestione dal di fuori tutti quanti si lasciano andare; lasciarsi andare è il facile; è più facile.

Si presenta dal di dentro prima o poi; e lì ci vuole un po’ di pazienza, ma prima o poi l’esperienza… se io affronto soltanto il facile, in un rapporto di coppia, ecc., se le difficoltà, il difficile, io lo raggiro, divento sempre di più una pastafrolla; e questo non lo voglio. E mi rendo conto che io, il difficile lo voglio, lo amo, dal di dentro!

E allora i conti tornano.

Però, state attenti che a questo punto può sorgere il ricatto: ah, ma allora tu ci stai ripresentando il dovere del difficile… No! O ti rendi conto che lo ami, e allora lo ami! E potrai renderti conto che lo ami, e amarlo veramente nella misura in cui hai la percezione – quindi l’esperienza, fai l’esperienza del difficile – che veramente ti porta avanti: oh!, stavolta ho affrontato qualcosa di difficile, adesso che l’ho fatto dico: una gran bella cosa! Lo ripeto! Lo ripeto! Lo ripeto!

E mi rendo conto che il modo migliore di amare me stesso, di trarre il meglio di me, è amare il difficile.

E allora lo amo; e lo faccio perché lo voglio!

Significa non voler nulla del facile?

E vabbè, il facile sono le pause della musica! Il facile è per ridarsi una boccata d’aria!

Però per rimettermi in grado di rimboccarmi le maniche, capito!

Perchè se i musicisti, in concerto, mi fanno solo pause… gli dico: ridatemi i soldi, eh! Io le pause le faccio anche a casa!

Ne discutiamo poi, eh! Su questo grosso mistero: che l’amore di sé, quello forte, non sopporta una vita facile, perché una vita facile è disamore di sé. Chi cerca la vita facile non si ama. In una vita facile non si va avanti, non ci si arricchisce.

Però, vi dicevo, anche questo si può fraintendere come di nuovo una predica, capito!

Quando si presenta il difficile… se si presenta vuol dire che ha a che fare con te!

Puoi star sicuro che il tuo io superiore non vuole mollare! E chi vuole mollare è sempre l’io inferiore. Questo aiuta, aiuta molto.

Par. 53 – L’ordine di idee qui esposto rivolge l’uomo verso se medesimo. Riconosce come vero valore della vita soltanto quello che il singolo considera tale secondo la misura della propria volontà. Ignora tanto un valore della vita che non sia riconosciuto dall’individuo, quanto uno scopo della vita che non scaturisca da lui. Vede nell’individuo vivente, considerato da tutti i punti di vista (in tutta la sua complessità: corporea, animica e spirituale), il signore di se stesso e il giudice del proprio valore.

La tua vita ha il valore che gli dai tu! Nessuno può, dal di fuori, aggiungere un minimo, o togliere un minimo di valore a ciò che tu sei. E ciò che tu sei, ciò che costruisci in te, dipende in tutto e per tutto da te.

Anche la tua dipendenza dai poteri costituiti, anche il tuo cercare, diciamo, una gestione dal di fuori, fa parte di te; sei tu che ti impoverisci; sei tu che sminuisci di grosso il valore della tua vita.

L’aggiunta alla seconda edizione (1918)

Si può fraintendere ciò che in questo capitolo è esposto, se ci si irrigidisce nell’apparente obiezione che la volontà dell’uomo come tale sia proprio l’irragionevole, e che, dimostrandogli questa irragionevolezza egli riconoscerà che la meta dell’aspirazione etica deve consistere nella liberazione finale dalla volontà.

Cioè, diciamo, si ripresenta sempre di nuovo l’obiezione: ma l’uomo spontaneamente è egoista; quindi ha voleri egoistici! Togli allora l’egoismo: vengono le autorità, i moralisti e dicono: vinci l’egoismo, manda via l’egoismo e dedicati all’amore!

Egoismo: amore di sé senza amore dell’altro, è un male morale?

No! È un errore di pensiero!

Amore dell’altro vincendo, mandando via l’amore di sé, è un bene morale?

No! È un errore di pensiero!

Quindi l’egoista che pensa solo a sé e manda al diavolo tutto il mondo vive in un errore di pensiero; vive in un’illusione. Ciò che c’è da fare per aiutarlo è che si svegli e che capisca che, volendo amare soltanto se stesso, si distrugge; non si ama! E quindi il cammino sta nel capire che io posso amare me stesso solo amando gli altri; e amo gli altri soltanto amando me stesso.

Quindi il moralismo che dice di vincere l’egoismo, è illusorio; è del tutto illusorio. Non si può amare gli altri vincendo l’egoismo; si può amare gli altri soltanto amando se stessi! Quindi, in fondo, il vero cammino è di creare pulizia nel pensare. Questo è il vero cammino!

E i due inganni fondamentali nella morale è quello di pensare che io possa amare l’altro soltanto smettendo di amare me stesso – illusione! Un errore in assoluto – e l’altro inganno dell’egoista e che io posso amare soltanto me stesso, mandando a ramengo l’altro – illusorio: non amerai mai te stesso mandando a ramengo l’altro.

Da parte competente (Eduard von Hartmann gli ha fatto questa obiezione) infatti mi è stata mossa questa apparente obiezione, col dirmi che è appunto la funzione del filosofo il riparare a ciò che la spensieratezza degli animali e della maggior parte degli uomini omette di fare, e cioè il redigere un vero bilancio della vita. Ma chi fa questa obiezione non vede appunto l’elemento più importante: se la libertà deve realizzarsi,…

Se vogliamo che l’essere umano sia libero, allora l’amore di sé e l’amore dell’altro lo deve volere liberamente! Dovere è non libertà! L’abbiamo fatta diverse volte questa riflessione: è nel concetto di “dovere†che non guarda se io lo voglio o no: lo devi! E quindi non sono libero. La libertà è il superamento assoluto di ogni tipo di dovere.

E se c’è qualcosa che io devo a me e devo agli altri, perché corrisponde al mio essere e corrisponde all’essere altrui, termina di essere un dovere: è ciò che voglio!

Quindi il linguaggio, diciamo, il genio della lingua, ci dà la possibilità di svolgere il dovere… il dovere è qualcosa, insomma, che vuol mettermi in riga dal di fuori; e poi usiamo lo stesso verbo quando diciamo: eh, però questa bella vacanza la devo a me stesso! È lo stesso verbo! Che vuol dire: la devi a te stesso?

La meriti, ti fa bene, ti corrisponde; la meriti!

Quindi l’amore non è un dovere, è ciò che ogni essere umano deve a se stesso!

Dicevo: il linguaggio ci permette, anche psicologicamente, proprio di fare questo passaggio, perché un dovere… ah, dico: un dovere mi toglie la forza, perché lo devo. Invece se io dico: lo devo a me stesso, mi devo questa cosa, è lo stesso verbo, però tutta un’altra connotazione psicologica! Adesso lo faccio volentieri perché lo devo a me stesso!

Soprattutto il difficile! Lo devo a me stesso! Perché ne sono capace! Lo amo profondamente, perché mi porta più avanti.

…se la libertà deve realizzarsi, bisogna che nella natura umana la volontà sia sorretta dal pensiero intuitivo; nello stesso tempo risulta che una volizione può venir determinata anche da altro che non sia l’intuizione, e soltanto dal libero attuarsi, fluente dall’entità umana, dell’intuizione risulta la moralità e il suo valore. L’individualismo etico è idoneo a rappresentare la moralità in tutta la sua dignità, poiché esso non reputa veramente morale ciò che produce in maniera esteriore un accordo fra una volizione e una norma, bensì ciò che scaturisce dall’uomo stesso, quando questi sviluppa in sé la volontà morale come un organo del suo pieno essere, così che il fare ciò che è immorale gli appaia come una deformazione, una mutilazione del proprio essere.

Il bene morale, la pienezza, non è ciò che l’uomo deve: è ciò che vuole! Perché si sente monco, si sente manchevole, nella misura in cui compie meno bene di ciò che sarebbe capace di fare.

Nella morale della libertà ci sono soltanto peccati di omissione; l’abbiamo spiegato diverse volte.

Faccio un aggancio, se mi permettete, oggi è domenica, siamo nella festa di San Michele… San Michele col drago! ...Cos’è il drago?

La non libertà! Tutto ciò che è non libertà, è il drago!

Le più antiche rappresentazioni di San Michele – io sono cresciuto a Capriano del Colle; nella pianura padana c’è soltanto questo colle, più di 100 metri, e su questo colle, dove io andavo da bambino, c’è una chiesa di San Michele – le più antiche rappresentazioni di San Michele… San Michele non è lì con la spada che vuole uccidere il drago! Troneggia! Non deve fare nessuno sforzo per… Troneggia sul drago! Poi, man mano che il drago diventa sempre più… allora bisogna rintuzzarlo!

La libertà non è mai un andar contro, è far tutto a favore di sé, ma non va contro nessuno!

Quindi il drago è la tentazione della pigrizia; di omettere! La tentazione del facile!

E più mi lascio tentare da ciò che è facile, più ometto, sono incompleto, non tiro fuori, non realizzo frammenti di me, che potrei realizzare soltanto affrontando il drago.

Un aspetto fondamentale del drago è il facile!

La forza dell’amore non sopporta soltanto il facile; lasciarsi andare al facile è diventare monchi, mutilati; cioè avere meno membra di quelle che si potrebbero avere, nello spirito, nell’anima.

Allora, l’aggancio che volevo fare è che – breve breve, però, perché dovete anche voi dire la vostra –, se noi riprendiamo i cosiddetti vangeli in chiave di scienza dello spirito, saltano fuori dei testi di una prorompenza che è proprio abissale; fanno paura! Tipo la Filosofia della Libertà!

Vi do un esempio come commento alla festa di San Michele: adesso, questa lotta tra il facile… il facile è facile… mi dite voi perché la parola “difficile†suona negativa?!

Mi trovo in difficoltà, perché vorrei trovare una parola che dica: difficile… e però l’animo dice: bello!, bello!, bello!

PUBBLICO: Il coraggio!

A.: No, il difficile da farsi, non il coraggio!

PUBBLICO: Problematico!

A.: Problematico… ancora più negativo!

PUBBLICO: Provocatorio / complesso / ecc., ecc.

A.: Vivere… Io sono la moglie di un tossico dipendente: vivere con un tossico dipendente è difficile; questo voglio dire!

Non abbiamo parole che dicano: “difficileâ€, e uno dice: bello, bello, bello!

Invece: difficile, no grazie!

PUBBLICO: Impegnativo!

A.: Vai in brodo di giuggiole quando dici “impegnativo�

PUBBLICO: No!

A.: Ma è questo che voglio evidenziare!

PUBBLICO: Opportunità!

A.: No, no, no… Allora faccio una proposta, eh!, perché non c’è… ci rendiamo conto che, diciamo, la compagine animica ha questa forte avversione nei confronti del difficile. Allora ci metto: il bel difficile!

PUBBLICO: (sorpresa, risate)

missing image file

A.: Ci capiamo, eh! Importante è che ci capiamo su quello che sto cercando di dire. Se io mi metto nello stato d’animo che il difficile lo vedo come il bel difficile, che è meglio il difficile che non il facile, allora mi rendo conto che se io amo, godo, soltanto ciò che è facile e non affronto il bel difficile, dopo la morte mi presento nel mondo spirituale mutilato, monco! Mi mancheranno un sacco di cose che avrei potuto diventare; avrei potuto creare dimensioni del mio essere soltanto affrontando il bel difficile. Invece il difficile non mi era bello. Questo sto cercando di dire! Importante che ci capiamo, eh!; perché il linguaggio non ci aiuta per tutte le cose; la scienza dello spirito comporterebbe un arricchimento del linguaggio, soprattutto termini positivi per tutta una sfera che non c’è!

E vi dicevo: i vangeli… – non mi dite che io adesso vi sto vendendo il cristianesimo, eh!, non m’importa proprio nulla! – i vangeli: Matteo 25: il giudizio universale – andatelo a leggere; è il primo dei 4 vangeli per chi non lo sapesse – dice: il giudice, il Logos – il Logos è la logica – il Logos dice: ci sono due categorie fondamentali di persone: i buoni e cattivi… Noooo! Il Logos non parla di buoni e cattivi! Parla di intelligenti e di scemi! È ovvio, no, scusate!

E chi è intelligente?

Chi gode il difficile!

Perché ha tirato fuori un sacco di energie! È andato avanti! È diventato sempre più ricco! E gli scemi sono quelli che si accontentano del facile.

Ora chiediamo al toscano: che vuol dire scemo?

Gli manca qualcosa! È scemato! In Dante c’è questo bellissimo: “lo scemo della lunaâ€â€¦ Lo scemo della luna, qui c’è la luna, la parte che si vede, no!, e lo “scemo†è quello che manca!

Quindi il Logos dice: guarda che te sei scemo! Non hai capito, per tutta una vita ti sei dato al facile e non hai capito che invece saresti diventato sempre più pieno, sempre più ricco, sempre più appetibile agli altri, se avessi affrontato anche il difficile!

Quindi, arrivi qui manchevole, ti mancano un sacco di cose, sei monco!

Essere monchi è un male morale?

No! È la conseguenza del fatto che eri scemo. Torna sulla terra e svegliati! E diventa intelligente!

Vedi come spariscono i moralismi!

E in greco – casomai non lo sapeste – il testo originale è il greco, non l’italiano – le traduzioni sono… traduttori traditori! Alcuni al cubo! –, allora dice: “io avevo fame e mi avete dato da mangiareâ€â€¦ io!, l’io in ogni essere umano ha fame di diventare sempre più un io libero, indipendente e autonomo, e tu hai dato, a questa autonomia interiore, da mangiare, l’hai costruita, portata sempre più avanti affrontando non soltanto ciò che è facile, ma proprio anche ciò che è difficile.

E a quegli altri, gli scemi, ho detto: io avevo fame – io, in ogni essere, l’io in te, – l’io aveva fame e non mi hai dato da mangiare; avevo sete e non mi hai dato da bere…

Mica hanno fatto niente di male! Gli manca, gli manca, gli manca. Non, non, non. Scemi!

Una parola bellissima: scemo! In tedesco non si può dire, perché ha tutti e due i significati: il connotato intellettuale che è scemo, che manca qui, è manchevole qui (in testa), e quindi anche moralmente si presenta mutilato.

E dice: questi qui – vi ricorderete forse, da bambini – gli uni vanno in paradiso e gli altri vanno… alla “condanna eternaâ€!!!

È un’affermazione scema! Ma proprio scema!

Adesso io mi rendo conto che mi mancano un sacco di cose e tu mi mandi all’inferno eterno, alla condanna eterna! Ma sei scemo tu! Che Logos sei!?

Tra l’altro in un mondo dove devono stare attenti a non sprecare l’energia, tu mi metti in piedi un inferno, lo riscaldi per tutta l’eternità… uno spreco di energia, poi magari non ci sta dentro nessuno!…

Il testo dice: COLASIS AIONIOS.

Per chi di voi sa un po’ di greco, COLASIS significa essere monchi, essere manchevoli. Colazo significa mancare.

Quindi nulla di male! Manca! Avresti potuto diventare molto di più, sei diventato molto di meno di quello che potevi.

E ‘mo che faccio?

Torna sulla terra e datti una mossa!

Questo è logico, scusate!

COLASIS non eterno, ma: AIONIOS! AIONIOS significa per “un eoneâ€; quindi per un lasso di tempo vivranno da monchi. E qual è questo lasso di tempo?

Quindi questo AIONIOS è stato tradotto con “eternamenteâ€, perché questi lassi di tempo non si conoscevano più! Invece un eone ha un inizio e una fine!

Conoscete la parola italiana: un eone?

PUBBLICO: Un “evoâ€!

ARCIATI: Un evo! Meglio: un evo. Un evo può durare… eternamente, tra virgolette!

Però ha un inizio e una fine, se no non è un evo! Il concetto di eternità è del tutto astratto, in greco non c’è la parola eternità!

Quindi il testo del vangelo dice: per l’evo che va dalla morte alla nuova nascita, avranno da contemplare tutto ciò che non sono divenuti – e che potevano diventare – mentre gli altri si godono maggiore pienezza!

E gli uni si dicono: adesso, la prossima volta, sappiamo cosa possiamo fare per riparare le “manchevolezzeâ€!

Manchevolezza, anche una bella parola! Manchevolezza: manca qualcosa! Mettici la cosa giusta, e tutto va bene!

Quindi, avendo mal tradotto tutte le due parole, in italiano avete l’opposto di tutt’e due le parole! Questa non è una condanna; è l’appurare che mi manca tanto. Cioè questa non è la condanna eterna, è l’opposto di eterna: ha un inizio e una fine: è un evo. Inizia col dopo morte e termina quando uno si reincarna di nuovo.

Questi elementi così fondamentali, puliti, di scienza dello spirito, ci sono nei vangeli!

Quindi bisognerebbe buttar via tutta la farraggine, tutto l’obnubilamento di questi 2000 anni, se volete, di cattolicesimo, che non ha quasi nulla a che fare col cristianesimo; trovare il modo di leggere questi testi, però tornando al greco, che in chiave di scienza dello spirito calzano, ma sono di una pulizia strabiliante!

Oh! Sono i testi del Logos! Pretendo bene che siano logici, scusate!

Se uno mi dice… arriva il pinco pallino – la cappella sistina di Michelangelo, no! – che mi dice: voi siete bravi, andate in paradiso; voi siete malvagi, andate all’inferno… No! Non è logica la cosa!

Se invece mi si dice: ognuno tira il bilancio della sua vita: ognuno vede ciò che ha fatto, e ognuno vede ciò che ha omesso, quindi il monco, lo scemo è ciò che mi manca; e ciò che mi manca è ciò che ho omesso di fare.

Libertà significa omettere il meno possibile; e fare il più possibile! E la forza per fare il più possibile non me la dà il dovere; il dovere dal di fuori, chi mi gestisce dal di fuori, mi toglie le forze, perché mi devo adeguare a lui. La forza maggiore, di far il massimo di me, è il volere sincero che capisce che questa dimensione, quest’altra dimensione, quest’altra dimensione, la devo al mio essere; la cerca, la vuole, ne gode!

Faccio un breve commento sul XIV° capitolo. Un brevissimo commento sulle questioni ultime – non le ultime questioni –; poi facciamo una pausa, e poi non mancherò di lasciar dire a voi tutto quello che volete. Non voglio andar via scemo, che mi mancano i vostri contributi!

Allora, capitolo XIV°: INDIVIDUALITÀ E SPECIE.

L’uomo e la donna, l’essere umano, è un fatto di gruppo, o ognuno è diverso?

Tutt’e due sì e no! Il fattore di gruppo, i tratti di gruppo ci sono per natura. I tratti individuali si possono omettere in questo contesto.

PUBBLICO: Ce li abbiamo come potenzialità.

A.: Ce li abbiamo come potenzialità! Esatto!

I.: La mezza natura come denominatore comune e l’altra mezza natura che attiene alla libertà.

A.: Quindi, chi nasce in Italia, chi vive in Italia, i caratteri, tutte le forze di natura comuni, ecc., ci sono! Per natura! Che poi uno faccia di questo, degli elementi di gruppo, degli elementi comuni, una base per costruire, per creare, fantasiosamente, con gioia, perché lo vuole, una espressione del tutto individuale, è lasciato alla sua libertà!

E pensavo di fare con voi, brevissimamente, 2, 3, 4 esempi fondamentali di ciò che è di gruppo e della possibilità di individualizzarlo.

Un esempio fondamentale è il linguaggio.

Il linguaggio è una faccenda di gruppo o ognuno ha un suo linguaggio tutto individualizzato?

La lingua italiana è uguale per tutti, le regole sono uguali per tutti, no! Non ci potremmo capire se ognuno facesse un linguaggio tutto suo.

Però nella capacità, nell’esercizio, nella gioia, di individualizzare il linguaggio, gli esseri umani si differenziano sempre di più. E tu esprimi un’individualità spiccata nella misura in cui si vede, quando parli, come non ti lasci guidare sull’onda di ciò che la lingua italiana vuole che si dica… No! Non si dice così… E perciò lo dico!

Infrangendo le regole?

No, le regole sono comuni a tutti. Il poeta, lo scrittore, ma tutti noi, quando sentiamo una persona parlare, se siamo attenti, se creiamo un organo per ciò che è comune – il linguaggio comune – e ciò che è individualizzato, vediamo subito: questa persona qui si lascia condurre dal linguaggio; invece un’altra persona afferra il linguaggio, magari gli fa un po’ di violenza, e si vede che lui, come dire, decide, a partire dai suoi pensieri individuali, in che modo maneggia il linguaggio.

E in questi due modi di essere ci sono differenziazioni enormi.

Perché se uno parla, e io dico: quello lì è un italiano… noiosa la cosa!

Se uno parla e dico: ma che bel modo individuale, del tutto pieno di sorprese; non sai mai la frase successiva come sarà! Allora sì che è più interessante!

Quindi il linguaggio è uno dei fenomeni bellissimi di interazione tra ciò che è comune, di gruppo, e ciò che può venire individualizzato.

Il linguaggio è individualizzabile all’infinito!

Se voi, in Google, ci mettete due parole in italiano, vi verranno fuori almeno un milione di… Due parole, una dopo l’altra, esempio: “sta zittoâ€â€¦ “Sta zitto†salterà fuori almeno un paio di milioni di volte!

Se ci mettete tre parole si diminuisce già della metà. Se ci mettete cinque parole, quante volte salta fuori?

Andiamo già nelle centinaia, non più nelle migliaia!

Se ci mettete dieci parole, una dopo l’altra… una volta sola! Ed è tutto individuale. Quindi anche se uno non se ne accorge, quando usa dieci parole, una dopo l’altra, è quasi escluso, quasi impossibile che la sequenza, quindi l’ordine delle parole… certo, le parole sono tutte nel linguaggio, ma che lui metta questo ordine di parole – sono dieci parole – sarà soltanto nel caso suo!

E questo è molto bello, questo è molto bello!

Un altro fenomeno di interazione è il sesso; che poi in questo capitolo viene sottolineato perché Steiner dice, già un secolo fa, molto moderno, che i maschietti non concedono alla donna – al sesso femminile – di individualizzarsi più di tanto, perché vedono nella donna ciò che è del genere, ciò che è comune!

Se io incontro una persona e dico: è una tipica donna… è noiosa la cosa! Perché di uomini ce ne sono tanti.

Se io invece dico: questa persona ha una capacità forte di individualizzare il femminile, mi si presenta il femminile in un modo che io vivo soltanto incontrando questa persona, allora è più interessante la cosa!

Se voi donne incontrate un maschietto e vedete soltanto il maschietto… è noiosa la cosa, no! Di maschietti, vi garantisco, ce ne sono abbastanza nel mondo!

Interessante diventa quando il maschile, in questo tipo qui, diventa così individualizzato che io dico: ah, ah, questo tipo di individualizzazione maschile la vivo soltanto in questo qui!

Quindi l’interessante, ciò che dà gioia, non è la base di natura comune; quello è il facile; il difficile, perciò più bello, è di individualizzarlo, quindi di esprimerlo – il sesso, il maschile o il femminile – in un modo del tutto individuale.

Questo qui è un maschio diverso da tutti gli altri! Allora sì che mi tolgo il cappello!

Se è un maschio come tutti gli altri… che mi offre di speciale?

Ogni individuo è una specie a sé, diceva già Aristotele.

Un altro esempio: il sociale. Il sociale…prendiamo una scuola, un ospedale… cos’è più importante la scuola o l’individuo, nella scuola?

PUBBLICO: Tutt’e due!

A.: Allora, ripeto la domanda: che cosa è più importante, moralmente più importante: la scuola o l’individuo?

L’individuo, scusate! La scuola non è una realtà! La scuola è un insieme di strumenti, è un tipo di organizzazione, è un modo di interagire di individui che, se tutto va bene, se è imbastita bene, permette ad ogni individuo di diventare sempre più ricco, sempre più realizzato.

Quindi la scuola è per l’individuo, mai l’individuo per la scuola!

Il sabato è per l’uomo, mai l’uomo per il sabato!

L’uomo non deve essere mai fatto strumento per qualcosa, per un fine maggiore, più importante che non l’uomo.

Quindi una scuola ha il diritto di essere, è sana solo nella misura in cui si fa da strumento, serve, all’arricchimento, al cammino, all’evoluzione di ogni singolo individuo. Ma il reale, il reale dell’umano, non è la scuola! La scuola è una somma di individui, oppure soltanto l’edificio.

Adesso immaginiamo, siccome la scuola ha degli intoppi, ha, diciamo, delle difficoltà economiche, ecc., ecc., ecc., quanti ricatti si fanno all’individuo, perché dovrebbe non essere così egoista, e mettersi al servizio della scuola!

L’uomo, l’individuo, al servizio della scuola è immorale! Perché dev’essere la scuola al servizio dell’individuo umano.

Ecc., ecc., ecc..

Si potrebbe dire anche il sociale, come tale.

Le questioni ultime, visto che mi date altri 5 minuti:

LE CONSEGUENZE DEL MONISMO

Tiro, in 5 minuti, veloce veloce, le somme della Filosofia della Libertà. Per far venir l’appetito di tornare la prossima volta e ricominciare da capo! Anche a coloro che c’erano già.

Dei volantini che ci sono prendetene 50, 100, ognuno, e dateli a tutti i vostri amici, in modo che riempiamo la sala la prossima volta.

Allora, ovviamente, individuando 2, 3, 4 elementi fondamentali di questo testo, è chiaro che è soltanto astratta la cosa; però cercherò di metterli in modo tale che serva poi a un dibattito vivace, che succederà subito dopo.

Un concetto fondamentale, di questo testo, è che non esiste un al di là!

Dio, al di là! Aria fritta!

Per l’uomo è reale soltanto ciò che percepisce, quindi ne fa l’esperienza diretta, e, avendo la capacità di percepirlo, attacca col pensiero, col pensare, e crea un concetto.

Quindi, realtà per me, per l’uomo soltanto, è ciò di cui ha percezione e di cui costruisce il concetto. Tutto il resto non lo riguarda, non è una realtà.

Il Dio vecchio con la barba, ecc., è una realtà soltanto sul libro, dove lo vedo.

Sulla carta, un’immagine. Ma una realtà di carta!

Provocazione, eh! Non da poco! Dopo ci sentiamo, magari!

Quindi la realtà – secondo punto – ce l’ho soltanto nella sintesi di percezione e concetto. Allora diventa una realtà.

Quindi, allargare il mondo della realtà in cui vivo, significa allargare sempre più: percepire, percepire, percepire, e sempre più: concetto, concetto, concetto.

E quando uno mi parla di qualcosa come se fosse una realtà, ho il diritto di chiedergli: dov’è la percezione e dov’è il concetto.

Se non mi presenta la percezione, non è una realtà; sta parlando di aria fritta!

Una realtà di concetto senza percezione si chiama tecnicamente: un’astrazione!

Astrae dalla percezione! Un’astrazione non è una realtà.

Qual è l’astrazione più stratosferica che ci sia?

Dio!

Non è una realtà perché manca la percezione!

In italiano il povero Dio l’hanno castigato: è l’unica parola che si deve scrivere maiuscola! Si può rendere reale questo Dio, che non è reale, è astratto, senza cambiare la sua natura? Che resta veramente divino, che resta un dio, ma diventa reale?

Ma certo! Basta un cancellino! (Ha scritto sulla lavagna DIO, cancella D e resta IO)

IO

Quello è il Dio reale!

Il divino, la creatività, lo spirito creatore, o è reale in me, nel mio io, o non è reale per me!

E quindi abbiamo risolto anche il problema della maiuscola.

I greci invece, i greci erano un po’ avvantaggiati… il cristianesimo – anche l’islamismo – hanno sottolineato il monoteismo: soltanto lui è Dio e tutti gli altri… invece i greci hanno il politeismo: ci sono tanti spiriti creati divini, creatori!

Zeus, Giove, è il capo… però lo mettono sempre in discussione, insomma; poi tutte le donne, l’una dopo l’altra, che si alternano…

O Dio sono io, o Dio non c’è!

Non ditelo alla chiesa, se no vi salta la testa!

La seconda parte della Filosofia della Libertà: l’agire, il morale.

L’agire buono, in che cosa consiste? Cos’è l’agire buono?

Tutto ciò che favorisce me e l’altro!

Favorisco me stesso favorendo l’altro, e favorisco l’altro soltanto favorendo me stesso, se no non ho nulla da dare, nulla da offrire!

Quindi la domanda della moralità è: che cosa favorisce, fa crescere, approfondisce, arricchisce, l’umano. Quello è buono!

E impoverire l’umano… vi ricordate una categoria dell’impoverimento che avevamo poco fa?

Lo scemo! Impoverire è mancanza.

Quindi tutto ciò che impoverisce l’umano, dove manca, manca, manca, è moralmente maligno. È il male morale! Quindi le carenze sono il male morale.

Avresti potuto vivere molto più in pienezza, molto più gioia, molta più ricchezza; ti sei accontentato delle briciole della vita. E il linguaggio italiano… stamattina ci rifacciamo con l’italiano; normalmente io tiro fuori ciò che il tedesco può dire, che invece l’italiano non può dire. Invece in questo caso l’italiano ha una botta così pulita che il tedesco non ha: quando uno si è impoverito, si è accontentato delle briciole della vita, in italiano diciamo: che peccato!

Quindi il peccato è essere scemi! Non c’è altro peccato: ti manca, ti manca, ti manca!

Dai, ritorna sulla terra e datti una mossa!

Una monaca si presenta al Padreterno e dice: io voglio andare in paradiso, ho sempre ubbidito alla chiesa… il Cristo le dice: oh, ma sei scema del tutto! Ti manca la volontà tua! Ti manca tutto! Perché se tu hai fatto sempre la volontà della chiesa, allora io mando all’inferno o al paradiso tutti i preti e monsignori e vescovi, ma mica te! Torna sulla terra e impara a volere tu qualcosa!, che allora sei responsabile di quello che fai e di quello che non fai. Perché se ti presenti qui dicendo che hai ubbidito alla chiesa, sei un bravo bambino. Torna sulla terra e cresci un po’!

Non l’ho detto questo alla mia sorella suora! Pericolosa la cosa! Però conto che sarà così quando andrà dal Padreterno!

Una volta ha detto: a me, anche se dovessi in paradiso pulire i pavimenti, scopare i pavimenti, non m’importa nulla; importante è che vada in paradiso!

Che concetti… diciamo poverelli, no!

Manca, manca, manca! Manca qui però, eh! Nel pensatoio manca!

Quindi la fantasia morale è la facoltà di ideazione della pienezza. La fantasia morale crea momenti, vie, cammini, di pienezza all’infinito! Amando soprattutto quello che avete chiamato l’impegnativo – che altre parole avete detto? Tutte parole oscene! – l’impegnativo… il difficile…

PUBBLICO: Stimolante!

A.: Stimolante… Non ci sono le parole! Proprio non ci sono le parole.

PUBBLICO: La sfida!

A.: La sfida è una qualità del difficile, capito!

PUBBLICO: Arduo!

A.: Arduo… il simpatico arduo… insomma, stiamo arrampicandoci sui muri!

Facciamo una pausa e fra un quarto d’ora ci ritroviamo e tocca a voi!

Dibattito

I.: Io avrei bisogno di ritornare sull’idea di fare pulizia nel pensiero. Grazie!

A.: Ah, hai finito?...

Chiedi cosa intendo quando dico pulizia di pensiero?

Il pensare, il pensiero è pulito quando è logico! ...Visto che ho parlato un po’ del Logos. …La domanda è molto importante, merita almeno un minuto.

C’è una logica a livello di percezione?

Il mondo! È una sua pensata!

Se si fosse permesso di creare un mondo non logico andrebbe tutto a rotoli! Invece, oh!, il minerale, il vegetale, l’animale e l’umano… un’armonia logica che per noi è stratosferica! L’essere umano è la quintessenza della logica divina!

E il pensare umano è logico nella misura in cui legge correttamente l’umano.

Però detta così è ancora un po’ troppo… qualcuno ci aiuta a sminuzzarla?

Pulizia di pensiero, diceva lei; io ho sostituito la categoria di pulizia, che è un po’ moraleggiante, con la categoria di logico; e ho riferito il logico all’essere umano.

Logico sei tu, o non c’è logica per te!

Logico è tutto ciò che è consono, che costruisce l’umano; illogico è tutto ciò che va contro l’umano. …Qualcuno vuol aggiungere? Dirlo forse in un modo più semplice?

NADIA: A me viene in mente quello che il bambino vive – io posso parlare solo per me, ovviamente – e il trovarsi nella vita, in una vita da scoprire, e via via che le cose si presentano, il bisogno, il desiderio, di capire cosa sono queste cose che avvengono, perché avvengono. I rapporti, le relazioni, la legge di causa ed effetto, i sentimenti…

A.: Vai un po’ via dalla domanda. La sua domanda era: come faccio a sapere: questo movimento di pensiero è pulito e quest’altro movimento di pensiero non è pulito. E io ho detto: mettiamoci insieme la categoria di logico.

NADIA: Perché in te, in te!, senti che le cose sono perfette. Cioè, è una sensazione che non viene dalla tua testa, ti viene da altro – io la chiamo la fonte – ed è quello il Nord di se stessi, no! E il nostro mancare è il non ascoltarla, o metterla da parte, perché intorno si dice altro, riguardo a quello che magari uno sente rispetto a una cosa.

I.: Relativamente alla domanda, quando lei ha detto pulizia, ho associato la parola “sporcoâ€; quindi, se questo pavimento è pulito vuol dire che nessuno ha aggiunto qualcosa che è estraneo al pavimento, quindi la sporcizia come qualcosa di estraneo al pavimento; dunque pulito vuol dire che non ha niente di estraneo. Ma non soltanto che non è estraneo nel senso di logico; quindi è suo, gli appartiene, è nella sua natura, non ci abbiamo aggiunto niente, quindi non l’abbiamo sporcato; e nella logica ci vedo anche questo ordine chiaro, che io posso poi ricostruire perché sono in grado di poterlo ricostruire.

Quindi, pulito nel senso di non sporcato, quindi non aggiungi niente a quello che c’è, e quello che c’è lo comprendi ed ha un ordine preciso. Mi sembra di aver capito in questo modo.

A.: Allora, diciamo che ciò che inquina il pensiero sono gli interessi: la sfera dei sentimenti. Il pensiero è logico nella misura in cui è oggettivo ed è meno inquinato da interessi. Interessi di potere, simpatie, antipatie.

Il pensiero è pulito per te quando… – siamo tutti in cammino, no! – per te, per me, per ognuno, il pensiero è pulito quando tu dici: la cosa mi convince!

“Mi convince†significa: la vedo oggettiva. Non c’è nulla di suo, che lui la metta così perché gli interessa, o perché c’è la sua emotività dentro. Mi convince!

Mi convince: il pensiero è pulito! Oggettivo! È così!

Quindi quando la mia mente dice: è così! Per me il pensiero è pulito; è oggettivo.

Un altro dice: no, non è così!

E allora si entra in dialogo! Perché io posso pensare di essere oggettivo in uno svolgimento di pensiero, però senza essere oggettivo! E allora l’altro mi dice: no, no, no, non è così! Ah!... Allora ascolto l’altro e dico: ah, si è vero! C’era dentro forse emozionalità nel mio pensiero.

Quindi l’intento di uno scambio, come noi stiamo facendo adesso, è di ridurre al minimo, o addirittura far sparire, tutto ciò che è soggettivo, e la pulizia… è l’oggettivo! Ciò che è oggettivo è pulito!

PAOLO: Devi aggiungere per pulire! Lui diceva: tu togli quello che c’è, ma invece per far il pensiero pulito alle volte devi aggiungere, non togliere. Perché hai un pensiero che è solo una parte di un pensiero. Quello che dici tu del dialogo… nel dialogo sia togli, sia aggiungi, però; perché una parte non l’avevi pensata fino in fondo e dall’altra parte invece tu avevi messo qualcosa che non era pertinente.

Per cui un lavoro di pulizia non vuol dire solo togliere, alle volte devi aggiungere: perché era carente, non era pulito perché era carente; oppure non è pulito perché c’è troppo, di emotività, ecc.

A.: Quando io ho un pavimento sporco, non c’è nulla da aggiungere! Il pavimento c’è! Però il pavimento pulito, c’è o non c’è?

Un esercizio di pensiero, eh! Io non vi do esercizi di pensiero facili, se no che vengo a fare dalla Germania; noi siamo tutti amanti del difficile, e del bel difficile!

Vi avverto è un esercizio non facile!

Il pavimento è sporco… e la mia domanda è: il pavimento pulito c’è o non c’è?

(mormorio, voci)

C’è e non c’è!!!

Il pavimento pulito non c’è adesso! Io non ho chiesto se c’è il pavimento o no; ho chiesto: il pavimento pulito, c’è o non c’è?

Tutt’e due! Tutt’e due!

È lì la sfida al pensare! Il comodismo, il facile del pensare, è di pigliare un aspetto e mandare a ramengo l’altro! Perciò vi ho detto: il peccato originale del pensare, del logos, è l’unilateralità! Il problema dell’unilateralità… quello che tu stai dicendo è giusto!, ma non ti accorgi di ciò che disattendi! Quindi ciò che stai dicendo è parziale!

Ora, una verità parziale, è una verità, o un errore?

(Soliti pareri discordi)

Tutti e due!!!

E quando dico: tutti e due, l’uno e l’opposto, il massimo di provocazione è continuare a pensare! Perché adesso li devo mettere insieme!

Ripeto la domanda: il pavimento è sporco – adesso andateci piano, eh!, la testa si deve muovere – la domanda era: il pavimento è pulito…

PUBBLICO: Dov’è?

A.: Non è questa la domanda! Sei fuori! Ti pigli una sberla se rompi! La domanda non è: dov’è! Perché se dici: dov’è, hai già dato la risposta che c’è!

Allora, il pavimento è sporco – adesso sta zitta, però, eh! … è importante, perché se no ci butti fuori dal processo – il pavimento pulito c’è o non c’è?...

Devo distinguere tra: “in potenza†e “in attoâ€! Soltanto così mi salvo.

Quindi, manco si è passati da Platone ad Aristotele… Platone contemplava ancore le idee, come immagini visuali – diciamo, l’antica chiaroveggenza – mentre Aristotele è stato il primo essere umano che ha mandato a ramengo le idee, e ha scritto una logica, quindi ha cominciato a gestire il pensiero dal di dentro.

Una delle categorie fondamentali della filosofia di Aristotele è la distinzione tra potenzialità e attualizzazione.

L’essere umano è completo, o non è completo?

Tutt’e due!

Quando c’è una questione – questo come pulce nell’orecchio – e sembra di dover scegliere; quando non siete sicuri, per andar sicuri dite sempre: tutt’e due!

Gli scolastici, tutta la scolastica – Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, ecc… io ho fatto ancora otto semestri all’università, in latino – le lezioni erano in latino, alla Gregoriana di Roma – e l’arte degli scolastici era sempre: è così, o è così?

Distinguo!

Fatta la distinzione hai due corna della distinzione, no! Ci son tutt’e due! E poi?

Sub-distinguo! Poi continuava: sub, sub-distinguo!

Il mondo è uno, o molteplice?

PUBBLICO: Tutt’e due!

A.: Ah! L’avete imparato alla svelta, eh!

PUBBLICO: Anche l’organismo.

A.: Anche l’organismo! L’arte del pensare è di dar ragione a tutti, a ragion veduta! Perché tutti hanno ragione! Non si può dire qualcosa senza avere un frammento di ragione! Quindi deve essere un frammento del reale.

Il problema è quello che manca: lo scemo!

I.: È come essere davanti a un fiume e non chiedersi quale sia la sorgente di quel fiume.

A.: Un’immagine, che ti ha aiutato. Ce la traduci in concetti?

I.: In concetti… se devo usare il concetto di pulizia…

A.: È di nuovo un’immagine!

I.: Eh, sì! Allora è quello che è indicato nella Filosofia della Libertà, insomma: per sapere che cos’è il pensiero che mi è venuto in testa, al di là che sia giusto o sbagliato, dovrei andare a rivederlo; per forza! Quindi c’è un’attività empirico-pratica e dialettica; per forza!

A.: Un piccolo esercizio che abbiamo fatto: la sporcizia del pensiero è sempre qualcosa che manca!

I.: Ci aveva colpito e interessato molto, quando ha fatto l’esempio del gioco del tennis; cioè provare piacere mentre si gioca, al di là del risultato. Ma quando il pensiero funziona male, questo non avviene. Cioè, ho colto anche, non so come dire, condivido quello che lei esponeva ieri; però di fatto, personalmente per esempio, è difficile che mi accada di provare gioia nel bel difficile. Insomma di solito provo più ansia, stress, ecc. Allora penso che sia un malfunzionamento del pensiero; e mi domando proprio: tra la potenzialità e l’attuazione, come si fa?

A.: Allora, svolgo la tua domanda in un modo un po’ più accessibile a tutti.

Se a uno gli piace di più star comodo, di star fermo, come si fa a fargli venire voglia del movimento?

I.: Gli togli la seggiola da sotto!

A.: Lei dice: gli togli la seggiola!... Casca per terra, no! E sporca il pavimento!

Era la questione della depressione; anche di uno che arriva al suicidio.

Uno non ha voglia di nulla! Era questa in fondo la domanda, no! Cioè, cercare il facile, non ho voglia del difficile, tu mi predichi il difficile, ma io non ne ho voglia.

I.: Gliene metto altre di sedie a fianco! Così poi si stufa e avrà voglia di qualcos’altro!

A.: E se non si stufa mai?

I.: Va bene lo stesso! Magari non è stufa abbastanza!

A.: Adesso riprendi il microfono e specifica. L’importante è di articolare i pensieri, non buttar lì una parola! Perché articolandoli allora saltano fuori idee. Che vuoi dire?

I.: Stufa, probabilmente ero stufa dall’età… sono sempre in movimento in realtà; cioè non è quello il punto. È che al contempo quel movimento che è indispensabile per me, anzi forse troppo, però non è mai con piacere… insomma il piacere per me è un’altra cosa; è una fatica, lo riconosco come fatica; non riesco a trasformarlo nel bel difficile: è il difficile!

A.: Quindi, in fondo, lei ci sta chiedendo: come si fa a godere il difficile!

Lei dice: mica si può godere il difficile, no! Il difficile è difficile! E tu parli di “godere†il difficile!?

Prendiamo l’esempio del tennis. Uno, uno qualsiasi di noi… tu sei bravino, non dico un campione, ma bravino; e dall’altra parte c’è uno che ti manda le palle troppo facili. Più bello, no! È più facile!...

Ah, ah, ah, all’improvviso diventa bello il difficile!

PUBBLICO. Anche se è faticoso!

A.: Ma non ci penso neanche che è faticoso! Finalmente si è dato una mossa! Finalmente una palla un po’ difficile che posso dimostrare di essere un po’ bravino, no!

Dire che l’essere umano ama il facile più che il difficile è un auto-inganno! Perché non è vero! È un errore di pensiero! Non è mai vero! Cerca una scusa per comodismo. E se cerca una scusa è perché ne ha bisogno! Perché la sua realtà cerca la sfida, cerca ciò che è difficile.

Ma il difficile… io non ho detto: godere l’impossibile! Perché il difficile resta possibile! E la vita… se il difficile che io amo e godo, poi arriva al punto di diventare impossibile, me lo dimostra la vita, non c’è problema! E allora mollo!

Quando vedo che è veramente impossibile, lascio; vado a fare un’altra cosa. Ma finché è possibile, me lo godo!

Adesso ho di fronte a me uno che è molto migliore di me… eh!, le palle… non ne afferro nessuna: è impossibile! E allora finisco di giocare! Non è neanche più un gioco! Ma finché è difficile… lo godo! Lo godo! Rende migliore anche me. Più mi sfida, più divento migliore anch’io nel giocare.

I.: Ovviamente ci deve essere una misura in questo, perché un campione che gioca con uno che non sa giocare proprio…

A.: No, no, ma non c’è bisogno di estremi: un campione e una schiappa!

I.: Ci deve essere una misura nel senso che, quello che io mi propongo di attuare, di arrivare, non deve essere impossibile…

A.: Eh, l’ho detto! L’ho appena detto!

I.: Dico: chi sa giocare a tennis non deve essere un super-campione che con me non riesce neanche a giocare…

A.: Ma guarda che un tipo di partita del genere non comincia neanche, eh!

I.: Allora, a me invece sembra che manchi qualcosa, nel senso che mi sembra che qui ci sia la proposta di un percorso, che riguarderà anche più vite…

A.: Mmmh, mmmh mmmh… C’è soltanto quel progetto… perché, tutte le nostre parole sono inficiate di moralismi: quindi il “percorsoâ€â€¦ guarda che tu devi percorrere un percorso… no! Ci sei soltanto tu!!! Per quanto ti riguarda! Parla di te, che vai bene!

I.: Okay; e quindi quando auspicabilmente arriverò ad evolvere questa, che è la mia situazione attuale e, quando magari anche gli altri, visto che mi pare di aver colto che è un processo comune, …che cosa accade?...

A.: Tu hai catapultato te stessa in un futuro ipotetico, fatiscente, e sei sparita come persona presente! E io stavo dicendo: ma di che sta parlando? È andata via da sé, e adesso dov’è?

Il godere il camminare, o lo vivi adesso, o non c’è per te, scusa!

I.: Quello senz’altro… quindi: non posso ipotizzare nessun futuro…

A.: Non c’è nessun futuro! Per la persona libera il futuro è soltanto il ricatto del presente! Perché non ti godi i bei pensieri che stai esprimendo adesso?! Mica tutti son capaci di prendere in mano un microfono ed esporsi a questo Archiati, che poi non ti lascia neanche parlare!

I.: Ci vuole coraggio! È un rischio!

A.: No, no! È mio compito rendere la cosa difficile! E tu stai amando il difficile… godilo, no!

Invece no: tu hai annientato il presente… “quando arriveròâ€â€¦ …Vedi!

Quindi i poteri costituiti, siccome loro hanno degli scopi da raggiungere, vogliono catapultare l’essere umano: tu devi compiere un percorso per arrivare là dove voglio io, capito! Svuotano il presente – dove la libertà è possibile soltanto nel presente – e subordinano, assoggettano, il presente a un futuro, dove tu devi arrivare al punto da lasciar dire a loro!

Tutto pensiero sporco! Se fai pulizia di pensiero c’è soltanto ciò che tu sei adesso; quello che pensi adesso!

Sei partita e sei andata via! E io mi son goduto quello che stavi dicendo. Adesso però, non quello che dirai domani! Che io magari son già andato via!

I.: Stavo pensando a questa cosa della difficoltà; come qualcosa che mi blocca. Cioè, sembra quasi un assurdo il fatto che, essere nella difficoltà, si possa provare piacere. È un esercizio che sto facendo molto in questo periodo…

A.: E ci siamo detti: noi godiamo gli assurdi, i paradossi!

I.: Ecco!, l’ho sperimentato qualche giorno fa: avevo una cosa antipatica da fare; scocciante, difficile; per me in quel momento difficile; e per tanti giorni tutte le volte che cominciavo… oddio!, è troppo difficile! E la lasciavo andare.

Quindi un senso di fallimento, di frustrazione, una cosa sempre più impossibile…

A.: Un’angoscia!

I.: Sì, una roba che… proprio questa difficoltà nel non riuscire più a capire da che parte neanche cominciare…

A.: Quindi la cosa diventava sempre più difficile!

I.: Esatto! Però c’era anche… diciamo, il dovere di doverla a un certo punto fare, perché era una cosa necessaria, no!

A.: Non ci dici di che si tratta! Beh, comunque…

I.: Sì, era una cosa burocratica; una cosa che deve essere fatta a un certo punto, e non poteva farla nessun altro se non io. Quindi…

A.: La burocrazia è una cosa difficile, ma non necessaria, eh!

I.: Sì, ma è stata un pochino una prova sulla mia capacità, ecco!

Finché a un certo punto, un giorno, okay, mi metto lì e… è successo che la difficoltà in quel momento non c’era più!

Mi sentivo più rilassata e qualche cosa è emerso; per cui, lentamente, come in un puzzle, dove uno non sa da dove cominciare, però c’è stato lì sopra per vario tempo, improvvisamente, prima una cosa, poi un’altra… funzionava!, e non me ne ero accorta! Ah, quest’altro! Ah quest’altro! E poco alla volte le cose sono andate avanti. E a quel punto ho cominciato a sentire un grosso entusiasmo!

Quindi non c’era all’inizio, ma il processo che ha compreso sia la frustrazione dei giorni precedenti, sia… ma l’ho visto in qualche modo un po’ dopo, diciamo non subito… ho cominciato poi a provare gusto un po’ verso la fine…

A.: Si capisce, si capisce! È chiaro il discorso!

Adesso cerco di tirar fuori la quintessenza, da questa tua esperienza personale, e i tratti che valgono per tutti.

Lei sta dicendo… a livello di pulizia di pensiero, quindi che vale oggettivamente. Attenta che traduco con parole mie, eh! Quindi se tu poi dici: no, no, no; tieni presente.

Io ho capito che lei sta dicendo – e la cosa è ovvia, oggettiva –: il difficile, nella misura in cui lo ami… diventa tutto facile!

Questo hai detto! E io ti dico: sì, sì, è così!

Adesso, questo meccanismo per cui tu sei arrivata a volerlo, in te è stato molto più complesso perché non ci hai messo, già in partenza questa struttura mentale che dice: quando si presenta il difficile la cosa che mi salva più di tutto è di amarlo!

Allora questo amore ti è stato dato un po’ alla volta, diciamo, no! Un semi-amore!

Invece se io, in partenza, esercito da sempre, sempre di più che una cosa difficile diventa facile se la amo… e allora la amo!, e allora è facile!

Quindi il difficile è solo ciò che non amo!

Ciò che io amo, o è facile, o… è impossibile! Ma mai difficile!

Una cosa che amo non può essere difficile, scusate! La faccio volentieri! Se poi risulta impossibile… è impossibile! Io non vado a sbattere la testa contro i muri!

– Qualcuno mi dice: tu hai una testa che se sbatti contro il muro si rompe il muro –.

In fondo è questo che tu (Interv. 7) ci dicevi. È una conferma!

I.: Si è compiuto un poco alla volta!

A.: Sì, un poco alla volta. È diventato facile!

Ma come!, era difficile o era facile?

Decide l’atteggiamento interiore! Le cose non sono mai oggettivamente facili o difficili. È tutto difficile ciò che non voglio, ed è tutto facile ciò che voglio!

I.: Se pensiamo a Socrate che è stato condannato a bere la cicuta con l’accusa che rendeva i giovani a liberarsi dai luoghi comuni – la filosofia antica chiamava topoi i luoghi comuni – …

A.: Liberarsi anche dai vecchi dei della mitologia, eh!

I.: Allora, questo Socrate, che rendeva i giovani – gli uomini – liberi dagli schemi, dai pregiudizi, dalle credenze, dalle religioni, dalle istituzioni, creava un po’ di subbuglio…

A.: Da ogni gestione dal di fuori!

I.: …“da ogni gestione dal di fuoriâ€â€¦ è stato condannato a bere la cicuta…

A.: Ma guarda che era una maggioranza molto stretta, eh! Hanno messo ai voti, e una piccola maggioranza ha deciso che doveva morire.

I.: Nonostante che, in quel tempo, quell’epoca della magna grecia era considerata un’epoca della democrazia, della libertà, del pensiero assoluto. Diciamo che il nucleo del pensiero europeo è nato lì. Però nonostante tutto…

A.: Certo! Certo! Però nella legislazione di Atene era previsto che uno che viene condannato a morte ha il diritto di espatriare! E giovani attorno gli dicono: perché non vai dai Traci?! E Socrate dice: la nostra legislazione è la più moderna che ci sia! E, se io sono un sobillatore qui, se vado dai Traci, calzerò ancora meno; e quindi vado volentieri nel mondo spirituale di cui parlo da sempre, capito!

- Però era previsto che lui poteva espatriare! -. Ma lì, dai Traci, sarò ancora di meno a casa mia, perché non sono pensatori greci, con la democrazia, ecc. Quindi ha bevuto liberamente, volentieri, la cicuta!

I.: Io è la seconda volta che la seguo – sono stato a Roma a maggio e adesso qui – e nella parte finale di questi convegni veramente mi sembra di rivivere nella magna grecia, in cui c’è veramente un dialogo, e in questo dialogo, in questo confronto, fra noi e lei, nasce un pensiero puro, o può nascere un pensiero puro.

E allora questa libertà dell’uomo – la Filosofia della Libertà – che veramente essere liberi dai topoi – questa parola bellissima che significa: luoghi comuni, credenze, tradizioni, quello che pensano gli altri, quello che ci ha insegnato la religione – è difficilissimo…

A.: L’anima di gruppo!

I.: …l’anima di gruppo! È difficilissimo essere liberi da questo condizionamento del passato che vive dentro di noi…

A.: “Difficilissimoâ€!!! …Ancora meglio di “difficileâ€!

Io ero innamorato del difficile, adesso “difficilissimoâ€: ancora di più!; dai!

I.: No, dico, siamo una strenua minoranza che cerchiamo la verità e che cerchiamo il pensiero libero; siamo qui in 150, 200…

A.: Nooo, nooo…

I.: Per finire volevo concludere…

A.: Non parlare male dell’umano! Vai subito fuori riga! Dell’umano si possono dire soltanto cose buone! Per lo meno potenzialmente!

I.: Va bene, parlo di me! Il fatto che noi siamo adesso qui, veramente, …lei prima parlava del cerchio chiuso e del cerchio aperto… c’è sempre il rischio che quando un uomo si erge ed esprime un pensiero puro, come lei, come Socrate, come Platone, come qualsiasi uomo che si rende libero da ogni istituzione e manifesta il proprio io individuale, originale, assoluto, viene emulato, viene seguito, da chi aspira a divenire libero, e che cosa succede? Il pericolo qual è?

Che il facile è che io seguo Archiati nelle sue conferenze, poi quando parlo con gli amici dico il pensiero di Archiati!

A.: No, sta attento: emulare, copiare, è l’opposto dell’individualismo!

I.: Ecco, ecco! L’altro rischio è che, in questo momento che noi siamo qui, l’ho visto in me! Io, dopo che ho sentito la sua conferenza, parlavo di Archiati, del suo pensiero; però dico: faccio fatica a trovare il mio pensiero originale, che è fuori dal suo e fuori dal topoi! Allora è più faticoso trovare il mio pensiero! Ed è difficile questo lavoro! Lo vedo su me stesso quando devo esprimere un pensiero: lo analizzo e dico: no, questo non è mio, quest’altro non è mio; però poi scavando viene fuori il mio pensiero. Allora comincio veramente a goderne, e avere la gioia di avere un pensiero mio; e questo è straordinario perché…

A.: Hai finito la conferenza?

I.: Finito! Grazie!

A.: Chi vorrebbe avere l’ultima parola?

I.: Volevo chiedere: come possiamo affermare con certezza della ciclicità della vita? Io, almeno, non ne ho la percezione a livello cosciente.

A.: Non ti ho capito!

I.: Come si può affermare la ciclicità della vita; ovvero che abbiamo più vite? Su che base possiamo dire con certezza che c’è la reincarnazione?

A.: Allora, tu poni la domanda di come si consegua una conoscenza scientifica; quindi oggettiva.

I.: Di logica o di percezione, insomma.

A.: E dicevamo: conoscenza oggettiva c’è soltanto in base a percezione e a concetto.

Tu leggi, ne “L’origine della specie†di Charles Darwin, descrizioni di percezioni che lui ha fatto, girando attorno al globo su questa nave, e tu dici: mah, gli devo credere! Perché io non ho avuto queste percezioni!

Ora, la conoscenza scientifica non consiste nel fatto che io ripeto tutti gli esperimenti ottici di Isaac Newton, devo ripetere tutti gli studi, tutte le percezioni che ha fatto lui, per farmi un giudizio mio! No, non è questo che si richiede; perché nessun scienziato può ripetere tutto! Tutte le percezioni, tutti gli esperimenti, fatti da tutti gli scienziati; sarebbe del tutto impossibile!

La scientificità – è una cosa complessa – si consegue nell’essere capaci di giudizio in un campo – nella biologia, nell’astrofisica, come volete –; cioè, un individuo conosce un campo in un modo tale che, in base alle conoscenze che ha, ti sa dire – su questa percezione che Charles Darwin descrive, su questa percezione che, come conclusione che tira, fra l’altro, Isaac Newton nell’ottica – ti sa dire: sì, sì, mi spiega i fenomeni!

Una percezione che fa un altro, per me, è un’ipotesi! Perché non l’ho fatta io!

Un altro esempio: andiamo indietro di alcuni secoli; l’astronomia diceva: Giove ha tre lune – adesso se ne sono scoperte tantissime piccole, ma a quei tempi si conoscevano solo le tre più grandi –. T’arriva Galileo e dice: no, no, no, non possono essere tre; queste tre qui si muovono in un modo tale che sembrano evitare, tutte quante, una quarta! I movimenti li spiego soltanto se ci deve essere una quarta luna! Perché fanno un giro, e questo giro qui si spiega soltanto se lo fanno per non collidere con questa quarta!

Con strumenti di osservazione più potenti, Galileo scopre la quarta luna di Giove!

I.: Quindi per il momento…

A.: Aspetta! La cultura che noi conosciamo – il luogo comune, topos – ti dice: l’uomo vive una volta sola. La cultura ti dice: si vive una volta sola – la chiesa cattolica –; poi, devi stare attento perché se non vai in paradiso vai all’inferno!

Sì, c’è un’area di parcheggio, in mezzo… il purgatorio… Però pare che duri soltanto un evo, e poi finisce, insomma! A parte il limbo che non ho mai capito cosa fosse, comunque “si vive una volta solaâ€!

T’arriva uno Steiner che dice: io percepisco… non è che faccio teorie – questo Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti, vivente ai suoi tempi, eh!, l’ha apostrofato come un… – quello lì, io percepisco la sua vita precedente – quindi Steiner percepisce le ripetute vite – e nelle vite precedenti è stato uno degli immediati successori di Maometto!

Allora io chiedo alla chiesa cattolica: tu, cosa ne pensi del “si vive una volta sola� – Tra l’altro, io potrei chiedere: tu chiesa, hai la percezione che non ci sono altre vite? – e già lì è speculativa!

Invece Steiner non viene con una speculazione; dice: io percepisco.

Allora, adesso ho due ipotesi – e la conoscenza scientifica non esiste senza fare ipotesi di lavoro – e l’esperimento è un tipo di ipotesi; l’esperimento serve a verificare, o a falsificare, un’ipotesi.

Adesso io dico: – e questo è il punto centrale del modo di affrontare la cosiddetta antroposofia – ho la possibilità io, di convincere la mia mente che c’è, o non c’è, la reincarnazione? Come spiego i fattori della vita, che mi sono percepibili, con l’ipotesi che si vive una volta sola, e come li spiego con l’ipotesi che si vive più volte?

Adesso ti riassumo il cammino che ho fatto io con queste due ipotesi. Perché io, all’inizio, le ipotesi le lascio tutte aperte! Se no sono bacato! Sono scemo!

Ho fatto un bel po’ di cammino con l’unica ipotesi che c’era – l’altra non c’era nella nostra cultura – e mi son trovato un sacco di cose che non si spiegano!

L’ingiustizia, per esempio! La mia mente si ribella al fatto che, a un farabutto che imbroglia per tutta una vita, gli vada tutto bene, e a uno stinco di santo invece tutto male… Nooo!, la mia mente non sopporta che ci sia un’ingiustizia del genere!

Oppure un bambino nato menomato… O la pedofilia, per esempio!

I.: Un cieco nato…

A.: Un cieco nato, per esempio!

Adesso, t’arriva quest’altra ipotesi di quello lì che ti dice: si vive più volte!… E allora ricomincio da capo con questa ipotesi: ah!, adesso posso spiegare questo, posso spiegare questo, posso spiegare questo… tutte le assurdità mi si spiegano!

Allora io ti dico: io sono fatto così, la mia mente è fatta così, che spiego, che trovo un senso di mille cose – se ci sono ripetute vite terrene – che sono un’assurdità se si vive una volta sola!

Giuda si è impiccato, con la cintola dei pantaloni… – ho scritto un libriccino apposta – dove dico: ma tu, saresti il dio dell’amore e non mi daresti neanche una seconda possibilità di imparare da quello che ho fatto? Tu che sei il Logos, sei così assurdo?

E il Cristo dice: eh, non c’è bisogno che mi fai la predica; sei te che non sapevi che ci sono le ripetute vite terrene; io lo so da sempre!

Dove lo metteresti Giuda?... Io ho chiesto sempre a mia sorella suora: dove lo metti Giuda?

15 anni fa lei, Fausta, non aveva problemi a metterlo all’inferno; ma l’ultima volta che ho parlato con lei mi diceva: eh, non sono mica più sicura se Giuda è all’inferno eterno!...

Fausta, vai bene! Continua! Continua!

Però il modo in cui tu, la tua mente, gioca con queste due ipotesi, e ti chiedi: quale delle due ipotesi mi convince di più?, mi spiega i fenomeni di più?, sono affari della tua mente! Io ti sto dicendo soltanto come io ho affrontato il problema.

Quindi io non credo alla reincarnazione, ne sono assolutamente convinto! Perché la mia mente non sopporta l’assurdo, in un mondo creato dal Logos!

E se quello lì è stato un farabutto per tutta la vita… la prossima volta deve essere confontato con le conseguenze!

Perché una conduzione divina che non confronta l’essere umano con le conseguenze della sua auto-distruzione, lo condanna ad auto-distruggersi sempre di più! E la mia mente si ribella!

Allora: hai fatto il farabutto per tutta la vita… la prossima volta ti pigli botte tali che ti si aiuterà a non continuare a distruggerti. E allora va tutto bene! Allora va tutto bene!

Eeeeh, però! Finché torniamo la prossima volta…

Il nostro problema è che siamo diventati troppo impazienti. Essere liberi significa godere tutti i farabutti che ci sono! Perché il tempo verrà!...

I.: Grazie!

I.: Sei stanco? Posso farti l’ultima domanda?

A.: Io, stanco!? Non so dove sta di casa la stanchezza!

I.: Oggi ho imparato una cosa che, più o meno, siamo tutti un po’ scemi!

A.: Aspetta!, di quanto tempo hai bisogno?

I.: Pochissimo! Dal prologo del vangelo di Giovanni, invece ho acquisito questa cosa: dalla Sua pienezza noi abbiamo ricevuto amore e verità. Cioè…

A.: Oh, lo sapevo!, la domenica mattina, prima o poi la predica bisogna farla!

I.: Cioè, volevo dire: solo Lui non è scemo!

A.: Grazie della vostra partecipazione!

(Applausi per la fine del seminario)

Gli autori difendono la gratuità del prestito bibliotecario e sono contrari a norme o direttive che, monetizzando tale servizio, limitino l’accesso alla cultura.

Gli autori e l’editore rinunciano a riscuotere eventuali royalties derivanti dal prestito bibliotecario di quest’opera. Tale opera è pubblicata sotto Licenza Creative Commons, che recita: si consente la riproduzione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione per via telematica, pubblicazione su diversi formati, esecuzione o modifica, purché non a scopi commerciali o di lucro e a condizione che vengano indicati gli autori e che questa dicitura sia riprodotta.

Ogni licenza relativa a un’opera deve essere identica alla licenza relativa all’opera originaria.

by-nc-sa_eu.png
CC.TIF
fdl_14_retro.jpg