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Pietro Archiati

LA FANTASIA MORALE

(Darwinismo e moralità)

Commento a

La filosofia della libertà

di Rudolf Steiner

Volume 12

Cap. XII, dal par. 1 al par. 20

Rocca di Papa ( RM) 28 – 30 settembre 2012

N.B. Trascrizione integrale del parlato,

NON redatta e NON rivista dall’autore

Indice

Venerdì 28 settembre 2012, sera 5

Sabato 29 settembre 2012, mattina 28

Sabato 29 settembre 2012, pomeriggio 71

Sabato 29 settembre 2012, sera 111

Domenica 30 settembre 2012, mattina 143

Aggiunta alla seconda edizione (1918) 181

A proposito di Pietro Archiati 186

Venerdì 28 settembre 2012, sera

A.: Allora, cari amici, questa volta iniziamo il cap. XII° della Filosofia della libertà. È difatti, e la vostra presenza numerosa ne è la dimostrazione, il culmine di tutto questo libro!

Perché dico che è il culmine… il culmine dell’umano, che è poi il culmine dell’evoluzione; il culmine dell’evoluzione del mondo visibile a noi, come dire, conoscibile, non è di certo la pietra bella morta, che non sa raccontare niente, che non capisce nulla; non è neanche la pianta; non è neanche, pur stando al darwinismo, l’animale; ma certamente si può dire che il culmine della creazione che noi conosciamo è l’uomo, è l’umano.

E perché?

Perché nel fattore umano – Theilard direbbe: le phénomène humain – nel fenomeno umano, si compie il massimo che ci sia! Neanche la cosiddetta divinità, se c’è – affari suoi, eh! – io non ho mai avuto il telefono privato – ma anche la divinità se ci fosse, e le auguriamo che ci sia, altrimenti non ci sarebbe neanche l’uomo, non può essere più che spirito creatore!

Che poi: “spirito creatoreâ€â€¦ della seconda parola non c’è bisogno: è già compresa nella parola spirito.

Lo spirito è per natura creatore, se no non è spirito.

Adesso io vi chiedo: ci può essere nel cosmo, nel mondo, un gradino moralmente, o intellettualmente, logicamente, più alto, più venerabile, che non lo spirito creatore?

Un gradino superiore non è pensabile!, e non essendo pensabile non può esserci.

È inutile che adesso state lì a pensarci, pensarci, pensarci, che forse lo scoprite!

No, proprio vi assicuro che non c’è, non esiste! E nel mondo che noi conosciamo l’uomo è l’unico – non il minerale, non la pianta, non l’animale, ma l’uomo – è destinato, ha la potenzialità direbbe Aristotele, la facoltà, la capacità di diventare sempre più uno spirito creatore; un artista in assoluto, un creatore!

Un creatore che produce, che non ha bisogno di copiare!

E può diventare, ha la capacità… adesso riassumo cose, ogni volta faccio un piccolo riassunto, anche per chi fosse nuovo, in modo che si orienti un pochino; poi sono esercizi da rifare sempre di nuovo. Se uno chiedesse: ma perché dici tu che lo spirito umano ha la potenzialità, ha la facoltà, può diventare sempre di più uno spirito creatore? Non sarebbe meglio se lo fosse già in partenza?

No, se lo fosse già in partenza sarebbe molto peggio perché allora lo sarebbe di necessità e non lo potrebbe essere per libertà. Quindi il concetto di facoltà, di potenzialità, è intrinseco, è immanente, è contenuto nel concetto di libertà.

E ho detto tante volte, anche quando facevamo il vangelo di Giovanni, la libertà non è una qualità dell’essere umano; ne è l’essenza! Che poi: uno spirito creatore che crea per forza… è uno spirito creatore?

No, è nel concetto di spirito creatore che questa esuberanza artistica è piena di libertà, è intrisa di libertà. La differenza tra la libertà di esseri già divini e l’essere umano, che è in cammino per diventare sempre più divino, ci porterebbe troppo lontano questa sera; sono due gradini di libertà diversi.

Allora, questo spirito creatore nell’uomo si esprime a due livelli: a livello intellettuale e a livello morale.

A livello intellettuale lo spirito creatore dell’uomo intuisce, genera, per fantasia artistica dello spirito creatore, i concetti delle cose.

La rosa – parlo sempre della rosa perché è un fiore che piaceva particolarmente a Goethe, che poi nella rosa c’è la tipologia della pianta, del vegetale, proprio in assoluto – …c’è il concetto di rosa?

Certo che esiste, perché se non ci fosse stato il concetto di rosa, non sarebbero sorte mai rose!

Prima che fosse stato inventato il carro i singoli elementi c’erano già, la ruota era stata inventata, tra l’altro.

La ruota è stata un’invenzione, eh! Perché per mettere insieme tutti questi elementi – i raggi, il mozzo, ecc., – di cui è fatta la ruota, in un modo tale che funzionino unitariamente come ruota, ci vuole l’ingegno.

L’inizio della ruota dov’è?

Nel pensare creatore dell’uomo che l’ha concepita, che ha concepito il concetto di ruota.

Dunque c’era già la ruota, c’erano già le stanghe di legno, c’erano già panche, piane di legno; cosa ha fatto colui che ha creato, che ha inventato il carro?

Ha preso gli elementi che c’erano – e supponiamo che c’erano tutti, non c’è bisogno che abbia inventato altri elementi – ha concepito con un processo di pensiero intuitivo – perché prima non c’era il concetto di carro, non c’erano carri! – in che modo si possono strutturare, mettere in interazione quattro ruote, poi la stanga, poi ecc., ecc.; poi naturalmente bisogna anche guidare, bisogna cambiare rotta, quindi bisogna aver modo di far spostare prima le due ruote, le seconde vengono tirate dietro. ecc… ha creato il concetto di carro!

Questo concetto prima non c’era e l’essere umano che per primo l’ha creato, l’ha creato in quanto è spirito creatore.

Adesso voi direte: però questa creatività dell’uomo in campo conoscitivo, in campo intellettivo, in campo di concetti delle cose che già ci sono, è creativo soltanto nel mondo minerale; ma finora l’uomo non è stato mai capace di inventare anche un solo tipo di pianta finora non esistente.

L’uomo non può creare piante; però nel mondo minerale, nel mondo della materia morta è già creativo. Negli altri campi, nel campo della rosa… il creatore della rosa, lo spirito divino – chiamatelo come volete – il creatore che ha creato la rosa perché non ci dà il concetto di rosa invece di darci la percezione?

Anzitutto nessuno spirito può regalare ad un altro, può dare a un altro, un concetto!

È nel concetto di concetto che va concepito intuitivamente, altrimenti non è un concetto. Quindi il concetto non si può vendere! Nessuno che ha accolto intuitivamente un concetto lo può trapiantare in un altro: l’altro deve compiere lui il processo intuitivo di cogliere questo concetto.

Quindi, il fatto che il concetto, per natura, va concepito, va riconcepito intuitivamente, il creatore dell’universo ce lo dimostra presentandoci i concetti “sconcettizzatiâ€!

Cos’è la percezione?

È il concetto “sconcettizzato†– invento adesso questa parola! – per dire: guarda che tu il concetto della rosa, o lo crei tu, oppure non ce l’hai!

E per evidenziarci che lo dobbiamo creare noi, ci dà la percezione, che è la rosa senza concetto; e noi ci aggiungiamo il concetto!

Allora uno potrebbe dire: sì, però tu stai barando perché io, quando creo il concetto di rosa, mi tocca per forza creare – sì, è una creazione mia – però mi tocca per forza approdare alla stessa rosa che hai creato te, altrimenti non è una rosa.

Quindi il mio ri-creare, non è un creare proprio in assoluto!

E ho sempre detto: soltanto nella lingua italiana questo “ricreare†è un verbo bellissimo, perché chiama questo ricreare la ricreazione dello spirito umano!

La ricreazione non ha soltanto il significato di ricreare, ma anche quello di “ricrearsiâ€! Faccio mezzora di ricreazione… in che modo?

Ricreando i concetti che il creatore delle cose ha squadernato, che ci ha messo davanti ogni giorno.

Allora, se l’essere umano avesse la possibilità di essere spirito creatore soltanto a livello conoscitivo, a livello intellettuale, potrebbe giustamente sentirsi non del tutto soddisfatto. Ma c’è possibilità di essere creatori in modo assoluto, a livello morale!

Cioè, a livello morale, ed è questo il significato del cap. XII°, il livello morale è ciò che si fa, ciò che si compie, non soltanto ciò che si pensa; quindi mondi che non ci sono e che vengono creati; a livello morale l’essere umano ha la possibilità di concepire idee, concetti, di azioni, di comportamenti, di movimenti evolutivi, per il proprio essere e per l’essere di tutta l’umanità; ha la capacità di concepire vie evolutive, passi evolutivi, che non ci sono mai stati.

Non soltanto ha la capacità di concepire, come dire, passi morali, svolgimenti morali dell’essere umano, realizzazioni dell’essere umano che non ci sono mai state, ma ha la possibilità di realizzarle, di farle, di tradurle in azione concreta.

Quindi a livello morale l’essere umano è destinato, è chiamato, ha la potenzialità, di diventare sempre più, non soltanto un ricreatore, ma in assoluto un creatore.

Adesso lì la traduzione italiana chiama questo capitolo: la fantasia morale; anche in tedesco: Die Moralische Fantasie, però è importante non fare di queste cose grandissime, enormi, una questione di terminologia. Accanto a “fantasia†mettiamoci altri due o tre termini italiani: c’è una bella parola italiana che Rosmini avrebbe auspicato che fosse invalsa molto di più in italiano ed è: l’immaginativa.

L’immaginativa morale, l’intuizione morale… ci sono un paio di conferenze, 20/25 anni più tardi, dove Steiner dice: quello che io, nella Filosofia della Libertà, ho chiamato la fantasia morale, è la stessa cosa che l’intuizione morale, l’intuitività morale.

La fantasia morale… se chiedete a me che mi sono spostato un po’ verso il Nord, e faccio un po’ fatica ogni volta che mi devo rituffare nell’italiano, se chiedete a me: quale parola privilegeresti tu? Io direi la creatività morale! Perché questa parola, anche in italiano esprime il nucleo, proprio il centro di ciò di cui stiamo parlando: la capacità in campo morale, nel campo dell’agire, nel campo di comportarsi, nel campo reale dell’evoluzione, di essere creatori, di essere creativi.

La creatività morale.

Comunque mettiamocele tutte queste parole: l’immaginativa morale, l’intuizione morale, la fantasia morale, la creatività morale.

Il sottotitolo dice: Darwinismo e moralità. Un secolo fa quando la Filosofia della Libertà è stata scritta – più di un secolo fa:1893-94, dicembre 93, gennaio 94 – c’era l’ondata enorme del darwinismo. Charles Darwin!

Adesso abbiamo appena pubblicato in tedesco una conferenza pubblica di Steiner, mai pubblicata, sull’origine dell’uomo; e lì si parla molto di Charles Darwin – l’origine della specie: 1859 – un libro che ha fatto epoca come una bomba nel mondo della cultura di allora! Mi sono fatto un po’ di nozioni: il 24 nov. del 1859, a quei tempi altro che la Aulin col suo Harry Potter!, che adesso ne ha scritto anche un altro… anche in Italia c’è la traduzione?

PUBBLICO: Sì, arriva a dicembre la traduzione!

A.: Comunque pare che il grosso furore dell’Harry Potter non ci sia più!

Il 24 novembre del 1859, la prima edizione, 1250 copie, che per allora era un’enormità, nel giorno della comparsa sono sparite tutte!

I teologi di allora… Darwin, questo spirito occidentale, era una persona religiosissima; però il mondo occidentale, a differenza del mondo dell’Europa centrale di lingua tedesca, mantiene, ma proprio assolutamente separati il mondo della fede e il mondo della scienza. Questi due mondi non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro. Guai se l’uno comincia a pasticciare nell’altro! Perché la fede deve essere pura, e per essere pura non deve avere neanche un barlume di scienza; e la scienza deve essere pura scienza, guai se viene contaminata dalla fede!

Michael Faraday, un genio nel campo dell’elettricità, era, in quanto profondamente credente, in una piccola setta, e dice una frase lapidaria: nella mia teologia, quindi nella mia fede, non c’è nulla di razionalità! Philosophy significa scientificità razionale. L’uno non ha nulla a che fare con l’altro.

Allora Charles Darwin nella prima edizione dice sette volte: the Creator; perché era un bravo cristiano! 7 volte! The Creator è il creatore divino; è la divinità, poi, tra l’altro scritta in maiuscolo. E il concetto di Darwin è: il creatore ha creato all’inizio forse soltanto una specie di pianta, o forse pochissime; comunque non tutte quelle che ci sono adesso! Perché tutte quelle che ci sono adesso, con tutta la diversità, son saltate fuori per lotta per l’esistenza, per adattamento all’ambiente: le piante che si sapevano adattare sono sopravvissute, e lo stesso gli animali, no!

E queste cause dell’evoluzione lui le chiama: secondary causes, le cause secondarie; perché questo principino qui, resta la causa principale! Perché se non ci fosse stato lui che dava l’inizio, non ci sarebbe nulla!

Però va capito che allo spirito occidentale come quello di Darwin, lui la divinità la lascia in pace; non gli interessa per nulla! Si tuffa con tutto il suo interesse in questo mondo della percezione, studia la rosa come cresce in tutt’altro modo dove il clima è caldo, invece in tutt’altro modo al Nord dove è freddo, ecc; quindi a lui interessa ciò che è sorto, e anche le differenziazioni delle specie sorte in base alla lotta per l’esistenza, in base all’adattamento all’ambiente.

Ma c’è l’adattamento all’ambiente o no? L’ambiente non ha nessun influsso sull’evoluzione della specie?

Sarebbe da teste bacate non pensarlo, ovviamente! È chiaro che l’ambiente in cui una specie di pianta si trova ha una causalità enorme sul modo di differenziarsi di una pianta; o di sparire! …Di una pianta e di un animale.

Quindi, il nuovo del darwinismo non è tanto che venga negata la causalità dello spirito creatore; lo spirito viene presupposto, ma l’interesse è sparito!

E perché è sparito l’interesse?

Perché manca la percezione! E sulla divinità ognuno può dire quello che vuole!

Forse un Mosè, 1000 anni prima di Cristo, aveva ancora la percezione di questo essere spirituale, e gli chiede, e parla con Lui.

Quindi deve avere un minimo di percezione! Mosè gli dice: guarda che io adesso ritorno dagli israeliti, quelli mi ammazzano se non gli so dire neanche il tuo nome! Dimmi qual è il tuo nome!

E quello gli risponde: JAVE’; Ajèh aschèr ejèh; IO SONO!

Ma che nome è?

Io sono colui che sono!

Ma dimmi allora chi sei?

Io sono l’Io sono!

Allora Mosè scende giù con le tavole della legge, vede quelli che danzavano intorno al vitello d’oro – l’API degli egiziani – quindi volevano tornare indietro nell’evoluzione, al livello degli egiziani, anziché far da ponte al quarto periodo dell’evoluzione, quello greco-romano.

Lui, stando a Michelangelo, spacca le 2 tavole della legge! Allora gli altri gli dicono: ma tu da dove vieni?

Sono stato sul monte, ho parlato con Dio, si chiama “io sonoâ€!

Ma sei matto?

Quindi, da allora, gli esseri umani hanno perso sempre di più ogni tipo di percezione riguardo a ciò che è spirituale …Per fortuna!

Altrimenti non avremmo imparato a pensare come si deve sulla falsariga – che è poi la giusta riga – della percezione sensibile. E soltanto quando avremo sufficientemente imparato la logica del Logos, che si è fatto carne nella percezione, avremo il diritto di cominciare ad avere anche delle percezioni su ciò che è spirituale.

Io potrei parlarvi di tanti antroposofi – non soltanto antroposofi – ma di tante persone che sono convinte che sarebbe meglio, che sarebbero più realizzate, sarebbero più contente – una cosa che vi ho detto spesso – se potessero almeno cominciare a vedere qualcosa di ciò che è spirituale. Una mezza coda di diavolo, un corno, anche uno solo! o di un angelo… una mezza ala!

E questo pensare… c’è gente che fa un sacco di esercizi di meditazione per arrivare finalmente e vedere qualcosa di spirituale!…

È un’illusione!, è un inganno, un grosso inganno! Aumentare le proprie percezioni significa aumentare la propria ignoranza: la ricchezza dello spirito non è nel numero di percezioni che io ho, ma nel numero di concetti.

Se uno dicesse: però io ho già creato tutti i concetti possibili, creabili, in base alla percezione sensibile; adesso avrei il diritto di avere anche la percezione del soprasensibile!

A quel punto lì io gli direi: sei proprio sicuro di aver pensato tutto il pensabile in base alla percezione sensibile?

Io, per quanto mi riguarda, sono ben contento di avere davanti a me ancora un paio di vite!

Allora, Charles Darwin ponendo l’accento sul lato percepibile dell’evoluzione, ci descrive in un modo convincente, in un modo anche scientifico, bello – spiega bene in inglese Darwin – ci descrive tutto il movimento dell’evoluzione e si ferma all’uomo in quanto animale superiore.

Perché chiama l’uomo “un animale superiore�

Perché gli manca il concetto di uomo!

Il concetto di uomo in quanto diverso dal concetto di animale.

L’uomo è qualcosa di del tutto diverso dall’animale, non è un animale superiore. Così come la pianta è una realtà del tutto diversa dalla pietra, dal minerale; così come l’animale è una realtà del tutto diversa dalla pianta; così l’uomo è una realtà del tutto diversa dall’animale.

Solo che il concetto di uomo è il primo che non ha percezione esterna, perché nella percezione esterna io vedo un animale: il corpo è un corpo animale, più complesso, ma è un corpo animale; la differenza specifica tra l’animale e l’uomo è lo spirito, ma lo spirito non lo posso percepire sensibilmente!

Cosa bisogna fare per percepire lo spirito?

Tutta la prima parte della Filosofia della Libertà che abbiamo fatto risponde a questa domanda.

Lo spirito lo puoi percepire soltanto partendo da quel tipo di spirito, da quella manifestazione di spirito, che ti è direttamente accessibile, ed è il pensare!

Quindi, per percepire lo spirito devo, in quanto essere umano, devo percepire il pensare, perché il pensare è il primo elemento, puramente spirituale, accessibile ad ogni essere umano.

E soltanto colui che, in quanto uomo, percepisce il pensare come pura creazione spirituale dell’uomo, può creare il concetto di uomo in quanto spirito. E allora non potrà più dire: l’uomo è un animale superiore; ma dovrà dire: l’uomo è una realtà del tutto diversa, tanto diversa dall’animale, quanto l’animale dalla pianta. C’è un “rubicone†tra l’animale e l’uomo, come c’è tra la pianta e l’animale, come c’è tra la pietra e la pianta.

E parlare del pensare in base alla percezione è l’inizio di un parlare scientifico sullo spirito, di una scienza dello spirito.

Dove abbiamo scienza?

Dove c’è percezione!

C’è scienza dove c’è percezione. E in base alla percezione il pensare umano pensa sulla percezione. Quindi un presupposto fondamentale di un pensare scientifico è la percezione. Se io nel pensare percepisco una realtà puramente spirituale, posso creare l’inizio di una scienza di ciò che è spirituale; di una conoscenza scientifica, in base a percezione e concetto, anche di ciò che è spirituale.

E se l’essere umano è capace, a questo primo gradino, di percepire, di pensare sullo spirituale, partendo dal pensare – che ce l’ho a disposizione perché ogni essere umano sforna, crea, il pensare quando è sveglio – questo ci fa supporre che non può essere negato all’essere umano di percepire, dopo il pensare, dopo aver sufficientemente esercitato la conoscenza scientifica dello spirituale, parlando dei misteri del pensare, tutto ci fa pensare che è nella sua natura di essere umano di poter percepire anche altre realtà spirituali. Però allo stesso modo in cui percepisce il pensare!

Questo io volevo dire come piccola introduzione, un po’, se volete, balbettando su queste cose che sono veramente molto grandi.

XII

LA FANTASIA MORALE

(Darwinismo e moralità)

(XII, 1) Lo spirito libero agisce secondo i suoi impulsi,

Lo “spirito liberoâ€â€¦ quali variazioni ci vogliamo mettere?

Lo spirito creatoreâ€! Lo spirito che crea per intuizione, lo spirito intriso di immaginativa, lo spirito fantasioso. Quindi “libero†significa: artisticamente creatore. Non libero significa: c’è una norma, c’è una regola che lo inquadra, che lo dirige in una certa direzione.

Libero vuol dire senza inceppi, senza imbeccate.

Da un punto di vista socio-psicologico, se volete, mi vien fatto di fare questa piccola riflessione: che l’essere umano di oggi, moderno, la cosa a cui aspira di più, che più desidera, che più vorrebbe far sua, è la libertà.

Ed è giusto così: è nella sua natura!

E dobbiamo dirci: una società, un sociale che si prospetti in questa chiave di libertà, dove noi dovremo imparare, se non vogliamo ucciderci a vicenda, a dare ad ogni individuo il più libertà possibile – non impossibile, ma possibile – dobbiamo imparare a vivere in un sociale sempre più complesso, sempre più difficile; perché una libertà senza la possibilità di “approfittarne†– lo dico in italiano – non sarebbe libertà.

Se le regioni potevano disporre di un milione di euro, avevano la libertà, la possibilità, di “approfittarsi†solo su un milione di euro. Adesso, dovete concedere che anche in Germania siamo del tutto, come dire, informati sulle faccende italiane; adesso le regioni possono disporre – addirittura un salto mortale! – di 14 milioni di euro! Quindi devono avere la possibilità di approfittarsene a livello di 14 milioni!

PUBBLICO: Ci pensa Batman!

A.: Er Batman! E sì, eh! Io ho sciacquato i panni in Arno, ma poi li ho stirati a Roma! In tedesco ci mettono davanti una H micidiale: Herr Batman! Io ho detto: Er Batman; in romanesco, capito!

Luciana, te non sai neanche cos’è Batman; te lo devo spiegare?! Come si chiama questo pinco pallino?

PUBBLICO: Fiorito! Il braccio destro del governatore del Lazio, in senso ironico!

A.: Quindi se prospettiamo un sociale, un tipo di evoluzione nella quale è giusto dare all’individuo sempre più libertà, dobbiamo anche prepararci ad un sociale sempre più difficile, perché nella prima fase della libertà – ce lo siamo detti tante volte – la prima fase della libertà non può essere positiva!

Perché?

…Io, qui a Roma, ho studiato filosofia, quindi non vi lascio scappare!

PUBBLICO: Perché salta fuori l’egoismo!

A.: Questo è un moraleggiamento! Mi devi spiegare metafisicamente, filosoficamente, perché la prima fase della libertà non può che essere negativa!

…Allora, la questione è: pensiamo a tutti i ragazzi – che poi eravamo noi qualche tempo fa – che arrivano ai 13, 14, 15, 16 anni; si presenta l’anelito alla libertà; per la prima volta il figlio, o la figlia, dice: no mamma, non mi va!

Ma come!, sei venuta finora con me, ogni domenica alla messa…

Eh ma adesso sono stufa!

E perché non me l’hai detto prima?

Perché prima non mi ero stufata!

Si presenta l’anelito alla libertà! E adesso io devo spiegare a voi, filosoficamente, dimostrarvi… – ma è una cosa facile – che non può essere diversamente.

La prima fase della libertà viene dopo la fase della non-libertà! Va bene fin qui? Eh, è chiaro! Quindi prima della fase della libertà c’è la non-libertà; se l’inizio della libertà parte dalla non-libertà, cos’è la prima cosa da fare?

La l i b e r a z i o n e!

Quindi devo liberarmi da, da, da! Dando pugni a, a, a! Alla chiesa, ai genitori, alla società, ai benpensanti, ecc., ecc.

Non c’è altra soluzione; quindi la prima fase della libertà è la libertà negativa, perché l’essere umano si deve “liberare daâ€. E soltanto se tutto va bene, se i pugni sono belli robusti, che veramente l’essere umano ha rintuzzato ogni gestione dal di fuori, adesso può concentrare le forze sulla libertà positiva.

Che poi, la prima fase della libertà noi, moraleggiando, la chiamiamo egoismo, la chiamiamo pubertà, ecc., son tutti moralismi!

Parliamo di forze reali nell’anima, parliamo del modo oggettivo di gestire queste forze! Quindi non c’è libertà positiva; la libertà positiva non è libertà contro, contro, contro, liberarsi da, ma essere liberi per qualcosa, per fare qualcosa, per costruire qualcosa; quindi questa libertà positiva presuppone una libertà negativa di affrancamento, di liberazione.

In Germania, per esempio, potrei raccontarvi, non per esperienza diretta – perché per esperienza diretta solo un paio di centinaia – ma a livello di nazione, milioni di persone sono costrette per tutta una vita, a recuperare una pubertà, quindi a “ribellarsi controâ€, perché non è stato loro concesso di farlo quando erano giovani; perché si sono trovati in una società retriva, repressiva.

Quindi abbiamo bisogno di genitori che, quando il bambino è piccolo son contenti perché il bambino segue i genitori, e quando il figlio e la figlia arrivano a 14/16 anni e creano un finimondo, questi genitori dicono: finalmente!, adesso sì che è interessante la cosa! 5 anni fa mi sembravi un mortorio! Eri sempre d’accordo con me! Che noia!

Sì, però a me, mamma, non mi vanno più le regole qui, che devo tornare al più tardi all’una!

E la mamma dice: se non ti vanno più le mie regole vai a vivere per conto tuo!

Eh, però mi mancano i soldi!

E allora stai alle mie regole; se vuoi i miei soldi devi pigliarti anche le mie regole; se non vuoi le mie regole allora non pigli neanche i miei soldi.

Perché deve avere soltanto il giovane la possibilità di ricattare gli adulti e non viceversa?

L’equilibrio del sociale: distribuiamo il potere; perché l’amore è la giusta e sapiente gestione del potere. Se noi pensiamo che un rapporto umano sia possibile senza gestire il potere allora vogliamo essere degli angeli, non degli esseri umani.

Quindi quello che noi chiamiamo l’amore è il miglior modo di gestire il potere, perché crea un equilibrio bellissimo tra amore di sé e amore dell’altro. E capisce sempre di più: non posso amare me stesso senza amare l’altro, e non posso amare l’altro senza amare me stesso.

Queste cose le ho dette commentando la parola “liberoâ€. Intendevo dire: se noi guardiamo l’umanità in questi decenni – lasciatemi dire: in questi secoli – e se ci vien fatto di dire… cosa che l’Islam ci dice, ma in un modo molto forte: sì, la vostra libertà però è un libertinaggio, non è una libertà costruttiva! Noi dovremmo trovare il coraggio di dire: sì, forse noi siamo nella prima fase della libertà, ma questa prima fase della libertà è una fase più avanti che non essere ancora bambini!

Adesso in Siria se ne rendono conto; ricevono dall’occidente, dall’America per esempio, ricevono un vento che non corrisponde alla loro società, alla loro cultura; perché nella loro cultura – nell’Islam – l’individuo, l’emergenza dell’individuo ancora non c’è.

E l’importante è essere sinceri e veri nelle cose; non barare in base a una falsa tolleranza. Ricevono questo vento di pubertà, di liberazione, dall’occidente e vorrebbero nel corso di mesi cambiare una cultura, una religione – l’Islam, il Corano – tutto un modo di vivere nel quale l’individuo non ha quasi nessun peso.

Cosa facciamo? Andiamo con le armi?

Se tutto va bene portiamo, anche a loro, la libertà quasi del tutto negativa, per ora, che abbiamo noi.

Eppure io vi dico che questa libertà negativa è comunque molto meglio che non essere trattati come bambini.

Si capisce il pensiero, o è troppo difficile?

Che poi l’America non capisce che la libertà dell’occidente è quasi tutta negativa, è perché gli americani sono bambini loro stessi. Non hanno il peso della storia che abbiamo noi in Europa; perciò picchiano, picchiano!

Se adesso arriva Romney, si salvi chi può! Non ne avete sentito parlare di Romney? Ha già annunciato che lui farà sparire Tel Aviv come capitale e la sposterà a Gerusalemme…

(XII, 1) Lo spirito libero agisce secondo i suoi impulsi, {vi traduco un po’ dal tedesco: secondo impulsi suoi propri} cioè secondo le intuizioni {questo “le†buttatelo via} secondo intuizioni scelte per mezzo del pensare dal complesso del suo mondo di idee. Per lo spirito non libero, la ragione per cui egli estrae una determinata intuizione dal suo mondo di idee per porla a base di un’azione sta nel mondo a lui dato della percezione, cioè nelle sue esperienze passate.

Ciò che lui ha già fatto, ciò che ha letto nei libri, ciò che ha fatto un Francesco di Assisi, che ha fatto un altro santo, o quell’altra santa, i comandamenti di Mosè, ecc.

Si orienta, per sapere cosa deve fare, a norme estrinseche al suo essere.

È già un po’ di tempo che io picchio senza compromessi sul fatto che il dovere è l’ultima arma di repressione dell’uomo; che funziona per animi che sono ancora bambini. Nella misura in cui l’essere umano sente sempre maggiormente questa chiamata, questo dinamismo dello spirito creatore, si dice: per me, per quanto mi riguarda, nulla ha diritto di essere un dovere; perché un dovere è qualcosa che io devo, un dovere è qualcosa a cui io mi devo sottoporre; ora, tutta la creazione mi è sottoposta! Ma io nel pensare, in quanto spirito creatore, sono sovrano!

Ma come!, io adesso sono la mamma di un bambino piccolo e non ho nessun dovere?

Il dovere sarebbe un problema soltanto se noi non avessimo un’alternativa e soltanto se noi non avessimo un’alternativa migliore!

E non è un problema perché c’è un’alternativa e c’è un’alternativa molto migliore al dovere, che rende il dovere superfluo. E l’alternativa che è molto migliore del dovere è il libero volere!

Allora io mi dico: è impossibile, è impensabile, che addirittura io generi un bambino, dopo averlo gestito, portato nel mio ventre per nove mesi, e tutto questo avvenga per caso, o mi venga fatto un sopruso contro la mia volontà!

Io l’ho fatto liberamente!

E anche se ci fossero stati elementi di non libera volontà, io posso dirmi: ancora prima di nascere io ho scelto, mi son fatta un’idea, un progetto di vita, mi sono detta: adesso questa volta che ritorno sulla terra voglio fare questo e quest’altro, voglio acquisire questa capacità, voglio fare questi passi nel pensare, voglio fare questi passi nella volontà, voglio conquistarmi questo, questo e questo.

In tutto questo volere libero, creatore, è compreso di avere un bambino.

Quindi, tutto quello che va fatto a un bambino piccolo, perché il bambino piccolo non è indipendente, fa parte di ciò che io, nel mio profondissimo essere, liberamente voglio! Non ho mai bisogno di dovere ciò che voglio!

Una persona che nell’io inferiore fa per dovere ciò che il suo io superiore liberamente vuole, è un poveraccio in canna! Se ci fosse di peggio aiutatemi, ci calza! È uno stupido! Perché se tu, quello che va fatto a un bambino piccolo, appena nato, non lo vuoi, fa a meno di essere mamma! Nessuno è costretto ad essere mamma!

Sì, ma questa persona è stata violentata!

La persona violentata ha la possibilità di dirsi: questo essere umano, questo maschio, supponiamo intriso di istintualità, perché ha scelto me e non un’altra donna?

Forse nei corso dei secoli, dei millenni, abbiamo avuto qualcosa a che fare l’una con l’altro; il mio pensare si rifiuta di dirsi che una violenza avvenga per caso!

Una cosa così grave, così enorme, mi viene fatta in base al caso?

È assurdo! È impensabile!

È un autoannientamento un essere umano che pensa una cosa del genere.

Avviene a ragion veduta!

Se poi voi dite: eh, però ce ne vuole per arrivare a questi livelli, non soltanto di comprensione teorica del karma, ma anche di portarlo nelle forze del cuore, allora io vi dico: beh, rimbocchiamoci le maniche: ce n’è da fare!

Ma con questo non è detto che i pensieri sono sbagliati.

Quindi il concetto alla base è che un dovere non esiste; non esiste il dovere per l’uomo; addirittura un dovere che mi viene propinato da un altro essere umano!

Un puro esercizio di potere!

Per l’essere umano, se una cosa veramente la deve, ha la possibilità di trasformarla in un libero volere; oppure non la deve!

Ciò che veramente, oggettivamente, è dovuto a un bambino piccolo, proprio perché gli è dovuto karmicamente, io che sono accanto al bambino ho la possibilità, siccome è dovuto, di trasformarlo tutto questo dovuto, in un libero volere. Se non ci fosse davvero la possibilità di trasformarlo in un libero volere, allora non è dovuto!

Nessuno ha il diritto di richiedere da me qualcosa che non mi è possibile trasformare in un libero volere. Però devo essere sincero con me stesso: devo veramente dimostrare: no, io questa cosa non la posso trasformare in un libero volere, non la posso proprio fare! Allora non mi riguarda!

(XII, 1) Per lo spirito non libero la ragione per cui egli estrae una determinata intuizione {che poi non è un’intuizione, è una rappresentazione} dal suo mondo di idee per porla a base di un’azione sta nel mondo a lui dato della percezione, cioè nelle sue esperienze passate. Prima di giungere a una decisione, egli si ricorda di ciò che altri ha fatto o ha approvato che si facesse in un caso analogo al suo, o di ciò che Dio ha comandato in quel caso, e così via: e secondo ciò egli agisce. Per lo spirito libero creatore queste premesse non sono i soli incentivi all’azione; egli prende le sue decisioni semplicemente di prima mano.

A questo punto lascio la parola che avevo scritto: la fantasia morale, l’immaginativa morale, l’intuizione morale, la creatività morale… morale; aggettivo morale: si riferisce al bene morale. Che cosa è bene per l’uomo? qual è il bene morale per l’uomo?

PUBBLICO 1: Il libero arbitrio.

LUCIANA: La realizzazione dell’umano.

PUBBLICO 2: La libertà.

A.: Scrivo “il bene moraleâ€; il bene. È chiaro che il bene è una categoria morale, lo metto tra parentesi. Il bene (morale) è del tutto individuale, perché ogni essere umano è un’altra specie dell’umano. Quindi il bene morale sommo, che accomuna tutti i beni morali, è la realizzazione dell’io; e l’io è diverso in ogni uomo.

Quindi ciò che è bene per me è un male per te! E ciò che è veramente bene per te è un male per me!

Quindi la forma più moraleggiante, il massimo ricatto dell’uomo è la generalizzazione del bene morale. Il bene morale non è generalizzabile.

CARMINE: Ma l’aggettivo morale… perché mettiamo l’aggettivo morale?

LUCIANA: Ma morale in quanto azione, in quanto agire, non nel senso di moralismo.

CARMINE: Tu distingui tra morale e moralismo.

A.: Vedi che l’ho messo apposta tra parentesi; ho detto: non c’è bisogno di aggiungerci “moraleâ€. D’accordo?! L’ho detto poco fa, l’ho messo tra parentesi; forse ti è sfuggito! Però il senso della tua domanda è un altro: se la parola “morale†è di esubero, perché la usiamo sempre?

Perché i poteri costituiti non vogliono che l’essere umano scopra che il bene è del tutto individuale, e quindi moraleggiano!, e vorrebbero stabilire delle leggi morali valide per tutti! E sono leggi che servono a tenere gli esseri umani nella fase infantile.

Non c’è nulla di comportamento valido per tutti?

LUCIANA: Rispettare la libertà degli altri.

A.: La legge ci deve essere! Anche questo è un pensiero che ho svolto diverse volte. Però la legge, la legislazione, soprattutto nelle nazioni dell’occidente, che si trovano in piena fase pubertaria, negativa, della libertà, dovranno capire che il senso della legge non è mai quello di dire all’essere umano ciò che deve fare, ma di proibire in un modo assoluto tutto ciò che lede la libertà.

Quindi la legge rispettosa della libertà ha il diritto di instaurare soltanto proibizioni, divieti; non comandamenti positivi. Comandamenti positivi non esistono.

Abbiamo fatto esercizi proprio in questa sala che proprio non è possibile formularli.

I. 1: Vorrei che tu mi aiutassi a capire questa cosa. Perché è un grosso passaggio nella storia dell’umanità: grazie a Cristo noi abbandoniamo i 10 comandamenti e iniziamo a lavorare sulle beatitudini, quindi passiamo da una fase di proibizioni, di divieti, passiamo a una fase di “faiâ€. Non è un po’ in contraddizione con quello che stavi dicendo?

A.: È una contraddizione con quello che sto dicendo nella misura in cui è un fraintendimento.

I. 1: Da parte mia senz’altro! Se tu mi aiutassi…

A.: Allora correggiamo un po’! Si chiamano i 10 comandamenti di Mosè, ma non sono comandamenti, sono divieti! L’opposto di comandamenti! Non uccidere non è un comandamento è un divieto. Non rubare non è un comandamento.

I primi tre sembrano espressi in un modo positivo, ma se uno li prende in ebraico, questo “LO†significa “nonâ€.

Arriva il cosiddetto Cristo… ha dei comandamenti?

No!

Cosa che ho spiegato già diverse volte; tu non c’eri, comunque veloce veloce: “vi do un comandamento nuovoâ€â€¦!

Ma “comandare†è una traduzione italiana. Cristo non ha parlato in italiano, se avesse parlato in italiano non avrebbe mai usato la parola comandamento, perché in greco c’è: ENTOLE’; e questa parola greca è l’opposto di un comandamento: vi indico, come concetto conoscitivo che non ha nulla a che fare con il morale, il concetto conoscitivo dell’uomo.

Il concetto conoscitivo dell’uomo è che lui ha dentro di sé – En e TOLE’ – la mèta della sua evoluzione.

Quindi: essere umano, io ti indico, in chiave di conoscenza oggettiva dell’essere umano, qual è il concetto di uomo. E il concetto di uomo è che l’uomo porta immanentemente in sé il dinamismo di andare, sempre più pienamente, verso la mèta, verso la pienezza del suo essere.

Quindi il “da realizzarsiâ€, l’essere umano non lo riceve dal di fuori in chiave di dovere, ma lo porta potenzialmente in sé; quindi ognuno ha da realizzare il suo essere.

È un concetto conoscitivo o un concetto morale?

È conoscitivo, è un’informazione; come quando tu compri una lavastoviglie, hai le istruzioni che ti dicono: questa macchina funziona così.

Tu vuoi spaccarla? Sei libero di spaccarla!

Quindi le leggi di funzionamento sono puri concetti conoscitivi, non sono morali.

Il Cristo ti dice come funziona l’uomo, come è stato fatto. Tu vuoi andare contro l’umano? Sei libero di farlo!

Lui non ti dice cosa devi fare! Vedi come è pulito il discorso!

Ora una cultura che ha tradotto questa parola con “comandamentoâ€, è una cultura ancora bambina; prima di tutto l’amore non si può comandare – già questo fatto, no! – un pensiero che minimamente fa un passo avanti capisce subito: no, il Cristo non può aver comandato di amare, perché uno che ama per comandamento, per sottomissione, non ama! Si sottomette, ubbidisce, ma non ama!

La molla è l’ubbidire, essere dipendente dall’altro, non l’amore. L’amore è intriso di libertà; o c’è libertà e allora c’è amore, o c’è amore e allora c’è libertà; oppure non c’è né l’uno né l’altra.

E poi la parola greca è proprio l’opposto di un comandamento dal di fuori, è un dinamismo evolutivo individualizzato, insito nell’essere umano.

Diventa ogni giorno sempre di più ciò che potenzialmente sei!

Questa è la parola greca!

E il Cristo vuol dire: non si può dare all’essere umano ingiunzioni dal di fuori, perché porta dentro di sé il dinamismo di ciò che è destinato a diventare.

E restano le proibizioni di Mosè! Il Cristo non dice: Mosè lo mettiamo via, dice: non va cambiata neanche uno iota alla legge di Mosè! Quindi anche chiamarli “i dieci comandamenti†è un fraintendimento perché sono proibizioni.

Quindi la legge ha il compito di stabilire – ne abbiamo parlato diverse volte – quali cose, quali azioni, vanno proibite perché ledono la libertà. E la persona libera non ha bisogno che le si proibiscano, perché non le vuole, non le compie mai, e resta libera.

Quindi una norma positiva dell’agire non esiste! È puro soverchiamento di un essere umano da parte di un altro, per strumentalizzazione di potere.

I. 2: Mi stavo chiedendo: di comandamenti positivi me ne vengono in mente del tipo: ama il prossimo tuo come te stesso; onora il padre e la madre; non so se ce n’è qualcun altro, solo questi due mi vengono in mente. Questi sono in positivo?

A.: È un comandamento: ama il prossimo tuo come te stesso?

I. 2: Sembrerebbe, da come è formulato, no!

A.: No, riflettici! Siamo arrivati a un punto dell’evoluzione in cui i conti tornano se ci riflettiamo; e la prima riflessione è di dirci: ama il prossimo tuo come te stesso è una traduzione italiana. Questo è importante!

I. 2: In origine com’era?

A.: Come dire: rendendomi conto che è una traduzione italiana faccio un primo passo, e allora mi rivolgo al contenuto; lascio via la letteralità della dicitura e mi rivolgo al contenuto, d’accordo?

Adesso rivolgiamoci al contenuto: ama il prossimo tuo come te stesso… faccio una variazione sul tema: tratta l’altro come tratti te stesso.

Adesso scrivo: come amo me stesso? Per comandamento?

No!, dici tu!

E allora non è neanche verso l’altro un comandamento perché dice: fai con l’altro come fai con te stesso. “Con te stesso†butti via ogni comandamento, e allora fallo anche con l’altro! Vedi!

Però i conti devono tornare, eh! Non è che tu dici sì per farmi piacere, capito! Cioè, quando si sorpassa questo orpello di fraseologia di linguaggio e si va al contenuto di pensiero, bisogna essere rigorosi e bisogna veramente essere sinceri e veri. Quindi i pensieri che io dico – molte persone qui lo sanno – o sono convincenti, oppure bisogna ritornarci; perciò mi lascio interrompere e bisogna continuare a pensare e riflettere finché uno dice: sì, adesso la cosa è giusta.

Allora, ripeto il pensiero: “ama il prossimo tuo come te stessoâ€. Come amo io me stesso? Lo considero un comandamento di amare me stesso? Lo vivo come un comandamento?

No!

Come lo vivo?

Come la cosa che voglio più di tutte!

Eh, fai così anche con l’altro! Smetti di dover amare l’altro a denti stretti e comincia ad amarlo come ami te stesso, cioè volentieri!

E questi pensieri li può pensare ognuno, perché ognuno ha una testa sulle spalle e nessun essere umano ne ha mai avute due! Perché se ne avesse avute due sarebbe stata una testa spaccata; una ne basta!

(XII, 1) Per lo spirito libero queste premesse non sono i soli incentivi all’azione; egli prende le sue decisioni semplicemente di prima mano. Gli importa altrettanto poco di quello che gli altri hanno fatto, come di quello che hanno ordinato di fare in un caso simile. Egli ha ragioni puramente ideali creative, artistiche, inventive, che lo muovono a scegliere, dalla somma dei suoi concetti, proprio un determinato concetto e a tradurlo in azione. Ma la sua azione apparterrà alla realtà percepibile.

Dopo compiuta, dopo che è stata compiuta!

Posso farmi il concetto dell’azione dell’altro mentre lo percepisco in azione?

LUCIANA: Finché non è ancora compiuta non ho la percezione!

A.: Devo avere la percezione compiuta!

Perché?

Perché se è una percezione che va da A a B, e io la percepisco qui, a tre quarti, ma non so come va avanti… non lo so! Quindi il concetto della sua azione lo posso creare soltanto dopo che l’azione è compiuta.

Il concetto su un’azione di un altro è un concetto morale?

Non può essere assolutamente un concetto morale, è un concetto conoscitivo.

L’azione, questo tipo di azione, tutti questi frammenti di percezione, se ci aggiungo gli effetti sul mondo di questa azione, son tutte percezioni.

Uno uccide un altro uomo…

Io adesso ho percepito questa azione. È un’azione moralmente cattiva?

PUBBLICO: Sì!

A.: Non lo so! Non lo so!

PUBBLICO: Ma come! Non uccidere!? È un divieto!

A.: Non lo so!

Posso sapere che è un’azione distruttiva della libertà, ma per sapere che è moralmente cattiva dovrei entrare nel suo essere per vedere se lui aveva un minimo di barlume che lui stava compiendo qualcosa di moralmente cattivo, e questo nessuno può farlo.

Quindi un giudizio morale sull’altro non è mai possibile.

Immaginate voi che che ci sia una sola proibizione che il Logos ha espresso?

Certo che c’è! È: non giudicate!

Basta! È più che sufficiente!

Perché il Logos non esprime altre proibizioni, che per legge ci vogliono perché ci sono altre cose, oltre al giudicare, che ledono la libertà?

Non esprime nient’altro perché, di epoca in epoca, di cultura in cultura, le cose che distruggono la libertà cambiano profondamente. Invece, sempre proibito, sempre impossibile, sempre moralmente distruttivo della libertà, in tutte le culture, in tutta l’evoluzione, è il giudicare moralmente, da parte di un essere umano, un altro essere umano.

Questo va sempre proibito; e la persona libera non giudica – e il testo evangelico dice: non giudicate e non sarete giudicati – perché sa che che il giudizio morale che faccio sull’altro mi ritorna addosso: giudico me stesso come una persona moralmente così abbietta da erigermi a giudice sull’altro, quando invece non ho mai la base conoscitiva per giudicare l’altro moralmente.

Va bene così per oggi? Domani ci ritroviamo alle 10; ci sarà un po’ più di tempo anche per il vostro contributo. Buona notte!

Sabato 29 settembre 2012, mattina

A.: Stavamo considerando una cosa molto fondamentale e cioè stiamo lavorando sul concetto dell’essere umano; l’essere umano è uno spirito in fieri, in divenire; uno spirito in evoluzione, e a differenza della divinità, di Dio, se volete…

Dio dovrebbe essere uno spirito già fatto! Però come sia fatto uno spirito già fatto a noi non interessa perché noi godiamo maggiormente il da farsi; cioè il diventare sempre di più, ogni giorno, uno spirito creatore.

Quindi per l’umano essere già compiutamente uno spirito creatore sarebbe una noia!, sarebbe il cimitero!, sarebbe il termine dell’umano. Quindi l’elemento dell’umano è di non perdere colpi, di non mollare, di continuare, di ricominciare ogni giorno; essere e restare in evoluzione.

E la dinamica, anche, se volete, il termine, la mèta di questa evoluzione è di una crescente all’infinito creatività, artisticità. E cosa crea l’uomo?

Non è che c’è un mondo, il mondo c’è già; crea un nuovo mondo e questo nuovo mondo che crea l’uomo lo possiamo esprimere nel modo migliore con una parola che in italiano ha un peso un pochino minore che non in tedesco, per esempio.

Ha acquistato un certo peso in italiano dovuto al fatto che con la riforma scolastica di Croce e Gentile gli idealisti tedeschi sono stati messi in auge.

Fichte, Shelling e Hegel.

Sto parlando dell’io! L’io! elle apostrofo poi io. Poi… non sappiamo: lo mettiamo maiuscolo, lo mettiamo minuscolo… invece in tedesco, dovuto soprattutto ai tre grandi idealisti tedeschi… Fichte era il filosofo dell’io! – Jean Gottlieb Fichte; tra l’altro l’io ce l’ha dentro proprio nel suo nome: Das Ich – Io mi ricordo, ma vi dico una cosa reale, non inventata, ero al liceo ginnasio e la storia della filosofia grazie a Croce e Gentile era diventata una delle materie più importanti e io ero innamorato della storia della filosofia! Mi rivedo con quaderni interi a fare riassunti, ecc., ecc; ero innamorato di Fichte, il filosofo dell’io.

Cosa io abbia capito a quei tempi di Fichte non ve lo voglio proprio dire, ma ero veramente innamorato. Ora in tedesco: Das Ich, è più…! Calza un po’ di più che non “l’ioâ€. Quindi, se tutto va bene, questo vocabolo acquisirà sempre più peso, anche nella cultura ordinaria, nel parlare ordinario.

Se uno dice: quest’oggi vi parlerò dell’io… eh, nessuno capisce nulla! Non è un buon italiano; non è ancora stato recepito; son tutte conquiste da fare. Ora io stavo dicendo che il tedesco ogni sostantivo lo mette in maiuscolo, in italiano non si mette in maiuscolo, però se ci mettiamo la “i†in minuscolo, quella i… è troppo minuscolino questo io, per poi metterlo al centro del nostro studio!

Quindi anche in base a questa riflessione di carattere semantico, di carattere filologico, ci rendiamo conto che questa scienza dello spirito è propulsiva, va nel senso che anticipa cammini; e la domanda che stavo ponendo era: cosa crea l’uomo come spirito in divenire?

Crea l’Io!

Realizza l’umano in un modo individualizzato, singolo, unico, a tutti i livelli.

Sono livelli di artisticità vertiginosi se uno veramente ci pensa! Svolgere tutto il potenziale umano, che già di per sé è inesauribile, poi, a tutti i livelli in un modo del tutto individualizzato, a livello conscio, e a livello di una cosa che sia vera, che sia bella e che sia buona, moralmente buona, è chiaro che non c’è nulla di moralmente più alto, che abbia un valore morale maggiore dell’Io, perché l’Io è in assoluto un arricchimento di bellezza, di verità e di bontà all’umanità intera.

E ogni Io umano è un membro… l’umanità è stata concepita come un organismo, il concetto di umanità è un organismo. L’umanità intera è stata concepita organicamente e il Creatore di ogni Io umano, creandolo, l’ha concepito come un membro diverso in questo organismo che è l’umanità.

Ora, quel tipo di pensatore che ha concepito, che ha creato tutta l’umanità, e poi, dentro l’umanità ogni Io umano lo ha pensato, potenzialmente, come un arricchimento del tutto diverso.

Quindi il concetto di organismo comprende sia l’organicità del tutto, sia il contributo specifico di ogni organo, anche a livelli minimi. Poi, oltretutto, mettere ogni Io umano in chiave di potenzialità in modo da lasciare ad ogni Io umano la realizzazione, e l’attuazione di questa potenzialità direbbe Aristotele, uno dice: ma che tipo di fantasia morale, di inventiva morale, deve aver avuto questo pensatore!

Per noi è una cosa del tutto vertiginosa!

Però viverci dentro, portare a coscienza il fatto che noi viviamo in questa ricchezza, in questa infinita verità e bellezza e bontà dell’umano, ci dà forza… e se no da dove vengono le forze per vivere contenti, pieni di significato, ecc.; quindi le tre grandi forze dell’Io sono: il vero, il bello e il buono; quelle tre danno forza!

E il vero sommo, l’Io contempla il vero; l’Io gode il bello, o, se volete, ama il bello; e realizza, attualizza, il buono.

Il vero globale, il bello totale e il buono, è l’umanità come chiamata ad essere interlocutrice a pari diritt

i della divinità.

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A Roma, due o tre volte fa, abbiamo fatto un convegno e io ho fatto delle riflessioni di questo tipo, si è presentata una cattolica abbastanza aggressiva che diceva: ma come!, non è superbia, non è sicumera?!

È questione di gusti!

Io le dissi: guarda che nella Bibbia – nella quale tu credi – la prima affermazione è che Dio, la divinità, creò l’uomo a sua immagine e somiglianza; quindi con l’intento di mettergli a disposizione tutto quello che ha! Un essere umano che si capisce, che si interpreta giustamente come essere umano, che comprende ciò che c’è in lui, un essere umano al quale si dicesse: guarda che Dio ti ha creato per ubbidirgli, Lui ha una volontà e tu sei fatto per attuare la sua volontà, e quindi sei puramente uno strumento, un essere umano sano direbbe: ma allora avrebbe fatto meglio a non crearmi!

Se è sano!!!

Se invece è stato bacato da qualche potere di questo mondo si è abituato purtroppo a vivere in un atteggiamento di soggiogamento. Quello che io chiamavo il dovere!

La Filosofia della Libertà ci fa uscire da questo soggiogamento; è chiaro che voi potreste dire che il discorso che io ho fatto ieri sera è sovversivo, rivoluzionario, in assoluto!

Certo che lo è!

E lo deve essere; però non si intende dire che dall’oggi al domani conquistiamo la piena autonomia dell’Io, la creatività artistica dell’Io; parliamo di un’evoluzione che è di natura tale per cui nessun essere umano la può svolgere tutta in una vita sola!

Se uno pensa sinceramente alla potenzialità dell’umano – ripeto: alla potenzialità dell’umano – a ciò che è insito come anelito evolutivo in ogni essere umano, e si pone di fronte sinceramente, spassionatamente, realisticamente, a ciò che un essere umano, anche il più evoluto, può realizzare in una vita sola, si deve dire: no, in una vita sola anche il più evoluto, anche il miglior essere umano realizza, può realizzare, soltanto un piccolo frammento dell’umano; se tutto va bene!

E quindi è necessario che ogni essere umano abbia a disposizione un’evoluzione fatta di diverse vite terrene; non all’infinito…!

Perché non all’infinito?

Perché se fosse all’infinito non sarebbe evoluzione!

Il concetto di infinito abolisce il tempo!

Quindi l’evoluzione deve avere un inizio e un termine, se no non è un’evoluzione reale. Quindi tra i due estremi, di una concezione orientale di cicli che si ripetono eternamente uguali – un pensiero che è desunto dai cicli della natura, perché la pianticella ripete sempre uguale il suo ciclo: dal seme alla pianta e poi di nuovo al seme… per tutta l’eternità, all’infinito?

No!

C’è stato un inizio e ci sarà una fine; perché tutto ciò che è sorto, a livello di percezione sensibile, è destinato a perire, è destinato a sparire!

Però diciamo, l’interpretazione orientale non aveva ancora la capacità di pensiero di cogliere un inizio, in un’evoluzione reale, e una fine; e si è fermata a questi cicli di natura in cui l’uomo è inserito.

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Quindi questi cicli che eternamente si ripetono è un’astrazione, non è una realtà! È un pensare ancora debole. In occidente è sorto l’altro estremo: di una linea di evoluzione all’infinito; sull’inizio si specula; Charles Darwin, vi dicevo ancora ieri sera, parla del Creatore che ha posto l’inizio e poi si è ritirato – cosa Lui faccia non interessa a nessuno – ha posto l’inizio poi qui si studia l’evoluzione che procede per lotta per l’esistenza e adattamento, ecc., ecc.; e dove va?

Va all’infinito in fondo.

La scienza poi ha cancellato l’origine divina e ci ha messo all’inizio il “Big bang†e alla fine l’entropia; quindi è una concezione lineare alla quale interessa soltanto il tratto qui e ora percepibile (disegna alla lavagna). Qui abbiamo Charles Darwin, il mondo della percezione è il mondo in cui vive lo scienziato moderno e la percezione io ce l’ho ora, il mondo mi è percepibile ora, eh!

Che poi io faccia delle illazioni dal mondo di oggi sul mondo com’era 100 anni fa, sul mondo com’era 1000 anni fa, sul mondo com’era all’inizio, è tutta speculazione!

È tutta speculazione per aria perché manca la percezione; e posso estrapolare, posso progettare se si continua così cosa sarà alla fine: alla fine sarà una morte del tutto in base al calore; però è di nuovo tutta speculazione senza fondamento perché manca la percezione.

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Quindi le scienze naturali di oggi si attengono rigorosamente, se sono oneste, al mondo della percezione; e il mondo della percezione è il mondo che c’è oggi; o se si vuole nell’arco di una vita.

Percepita una cosa, un fenomeno, 20 anni fa, lo ripercepisco oggi e parlo dei cambiamenti nell’evoluzione che c’è stata, ma non ho la possibilità di fare affermazioni in base a percezione su ciò che è stato 1000 anni fa, o addirittura un milione di anni fa!

Di fronte a queste due immagini – io adesso le ho messe in un’immagine; tutte le immagini sono soltanto aiuti per il pensiero – il pensiero puro procede senza questi ammennicoli delle immagini – qui ci ho messo l’immagine di un cerchio chiuso, dove non c’è evoluzione, è sempre lo stesso; qui l’immagine di una strada sempre uguale all’infinito; la sintesi tra questi due estremi, dove il pensiero termina, c’è una via di mezzo, ed è di concepire l’evoluzione con un inizio, una svolta e un termine.

Quindi né un cerchio chiuso, né una linea sempre uguale, ma una struttura trinitaria: un’andata, una svolta e un ritorno!

Come la chiamiamo l’andata?

L’andata la teologia la chiama con un termine del tutto negativo, che dimostra la povertà di pensiero: la caduta, il peccato originale… tutto negativo: la caduta!

Quindi essendo termini negativi è chiaro che vanno rispolverati, vanno svolti in chiave positiva. Perché?

Se la divinità avesse concepito un’evoluzione dell’umano la cui prima parte è una caduta, allora io dico: ma chi gliela fatta fare questa pensata così sbagliata! A me non va di perdere tutta la prima metà della mia evoluzione per cadere! Perché poi la seconda metà sarebbe per rialzarsi.

Quindi questo evidenzia una povertà enorme di pensiero, e anche la necessità assoluta che venga questa ventata di Spirito Santo della scienza dello spirito che ci porta i pensieri in modo da rifarci un pochino i conti.

Questo vi spiega anche il fatto personale che io qui, a Roma, ho fatto filosofia e teologia: filosofia ero tutto contento, tutto felice… in teologia… una noia! Ho fatto di tutto per passare agli esami, ma poi, basta, basta! Ho fatto più filosofia che potevo e meno teologia che potevo!

Come la chiamiamo noi la prima metà dell’evoluzione?

L’acquisizione dell’Io!

Eh, se no, se tu non diventi un Io a che serve il tutto?!

E l’acquisizione dell’Io significa che bisogna godersi la cacciata dal paradiso, che non è una cacciata dal paradiso, è un necessario, ottimo, taglio ombelicale, perché se il bambino restasse eternamente nel grembo della madre, a che servirebbe?

Quindi, ben venga che dopo 9 mesi salti fuori! Quindi la cosiddetta cacciata dal paradiso è il primo taglio ombelicale necessario; per fortuna! Se no, se io fossi rimasto un pensiero nella divinità, magari se lo gode lei, la divinità; ma io che mi godo?!

Quindi l’acquisizione dell’Io ne fa parte; l’uomo non può acquisire l’Io senza entrare sempre più nell’elemento che individualizza l’umano.

Qual è l’elemento che individualizza l’umano?

La materia!

“Materia principium individuationisâ€. Soltanto grazie al corpo ognuno di noi dice: Io! Perché quando dormiamo non possiamo dire Io?

Perché siamo fuori del corpo e tutti i nostri pensieri, i nostri corpi astrali, sono tutti una pasta frolla, non si possono separare col coltello l’uno dall’altro.

Torniamo nel corpo e ognuno è separato dall’altro: io, io, io.

Questo è il senso dell’andata: l’acquisizione dell’io dovuto – parlo per sommi capi, eh! Riassumo un po’ le cose! Stiamo riassumendo millenni, quindi anche per questa acquisizione dell’io non basta una vita sola! La maggior parte della gente, anche ora che siamo già dopo la svolta, sono così imbamboliti, che uno dice: datti una mossa!

Se la prima parte dell’evoluzione umana consiste nell’acquisizione dell’Io, nell’acquisizione di un’autonomia intellettuale e morale, come dicevamo già ieri sera, in che cosa consiste la seconda parte?

La prima parte: acquisizione dell’Io, la seconda parte… che cosa proponete voi? Deve essere ancora migliore!

L’esercizio dell’Io!

La prima parte divento capace di suonare e la seconda parte è godere la musica!

Poi ditelo voi! Ognuno trovi le categorie che vuole; l’importante è che ci capiamo sulle realtà di cui stiamo parlando. Quindi, tutta la prima parte, fino al cosiddetto Cristo, la pienezza dei tempi… il concetto di pienezza dei tempi sta a dire: ora tutte le condizioni necessarie per vivere da Io libero, da spirito creatore, ci sono! La pienezza dei tempi significa: non manca più nulla a nessun essere umano perché possa vivere, se vuole, da libero; può ometterlo e può anche realizzarlo. Ora tutti gli strumenti necessari ci sono: questa è la pienezza dei tempi.

E noi viviamo ora, già da 2000 anni dopo la pienezza dei tempi! A nessun essere umano manca qualsiasi cosa che gli sia necessaria per vivere in libertà, in creatività sempre crescente.

Finché mancava ancora qualcosa delle condizioni necessarie per vivere nella libertà, siamo prima della svolta. Il concetto di svolta è che ora non ti manca più nulla!

Questo è il concetto di svolta: ora le cose sono nelle tue mani!

Qualche volta io, le due parti le ho descritte in questo modo: la prima parte la conduzione dal di fuori e la seconda parte la conduzione dal di dentro.

Finché il bambino è piccolo non è capace di condursi dal di dentro, non è capace di un’autogestione, e deve venir gestito dal di fuori. Quindi una gestione dal di fuori dell’umano, fino alla svolta, crea una pedagogia, la pedagogia fino a metà dell’evoluzione; ma il senso della pedagogia è di rendersi superflua, se no che pedagogia è!

Quindi la bontà di ogni pedagogo, di ogni mamma, di ogni genitore moralmente buono, è quello di far di tutto per rendersi superfluo.

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Fino a che punto la chiesa cattolica, come tale, abbia capito questo concetto fondamentale, lo lascio a voi!

Viviamo qui in una cultura, in un paese fortemente cattolico, a tutt’oggi. Guardate che difficoltà ci sono anche soltanto per superare questa categoria retriva del dovere. Tutta roba di chiesa! Che poi lo stato se l’è fatta sua perché gli va bene anche a lui!

In Germania è un po’ diverso; dovuto a questa “protesta†dei protestanti, dal XVI° secolo in poi: Martin Lutero, un terremoto enorme! Quindi tutt’e due le chiese sono costrette ad essere un po’ più sveglie perché si controllano a vicenda; un pochino più di protestantesimo l’avrei da sempre augurato anche all’Italia; ma le cose sono così come sono. E ho sempre detto è importante che anche la chiesa capisca che il destino di ogni madre è di diventare, prima o poi, nonna! E se non si tira indietro lei, di buona volontà, essendo contenta del fatto che i figli raggiungano l’autonomia, ci pensa poi la morte a farla tirare indietro, la madre!

La scienza dello spirito non guarda in faccia a nessuno! È questo che volevo dire a questa ragazza cattolica che voleva intimorire. O si è spregiudicati nel pensare, o non facciamo scienza dello spirito. E questo non vuol dire criticare, significa prendere sul serio l’umano; perché poi, nella misura in cui non presentiamo sinceramente, spassionatamente, spregiudicatamente l’umano in quanto proposta di creatività, avremo una massa sempre crescente di persone umane non realizzate; quindi del tutto scontente, che vivono la loro non realizzazione o dal lato della depressione, o dal lato dell’aggressività.

Quindi i conti non torneranno; i conti possono tornare soltanto se noi diciamo la verità sull’essere umano, e la verità fondamentale dell’essere umano è la destinazione a gestire la creatività a livello dell’Io. Ogni essere umano che lascia valere, che fa valere, un’autorità esterna all’uomo, è ancora un bambino! Psicologicamente è un bambino, anche se ha 60, 70 o 80 anni! E perciò ha bisogno di ritornare sulla terra per fare passi in avanti in quanto Io!

Allora, riprendo il testo:

(XII, 1) Per lo spirito libero queste premesse non sono i soli incentivi all’azione; egli prende la sue decisioni semplicemente di prima mano. Gli importa altrettanto poco di quello che gli altri hanno fatto, come di quello che hanno ordinato di fare in un caso simile. Egli ha ragioni puramente ideali {quindi concepite direttamente da lui stesso, da un pensare che sgorga dal suo spirito direttamente} che lo muovono a scegliere, dalla somma dei suoi concetti, proprio un determinato concetto e a tradurlo in azione. Ma la sua azione apparterrà alla realtà percepibile. Ciò che egli compie coinciderà dunque con un ben determinato contenuto percettivo. Il concetto dovrà realizzarsi in un avvenimento concreto particolare.

In un’azione, un comportamento che uno rende percepibile all’altro; però il punto di provenienza di questa azione, di questo comportamento, è nell’interiorità del suo spirito, nella capacità di creare intuitivamente concetti morali, di escogitare in assoluto modi di comportamento che non ci sono mai stati.

Copiare un altro essere umano vuol dire uccidere se stessi! È così evidente! Basta esprimerlo questo pensiero che la mente sincera dice: eh, per forza! Se io copio un altro, annullo me stesso! Annullo l’unicità, la specificità, l’individualità, per lo meno potenziale del mio essere.

Perché se io sono stato creato per copiare un altro non sono un Io, sono lui! E il cattolico classico – permettetemi di fare questa riflessione, che non vuol essere polemica, le cose sono troppo serie – che va dal padre spirituale per farsi dire come si deve comportare, vuol realizzare i suoi (del padre spirituale) pensieri, quindi annulla il suo Io.

È la cosa più immorale che possa esistere, perché distrugge il valore morale supremo che è l’Io!

Che poi il padre spirituale sia a Roma – il capo dei padri spirituali – o a Dornach, la sostanza della cosa non cambia!

Qui in sala c’è qualcuno che che non ha mai neanche sentito il nome Dornach!?

Orribile dictu!

Chi non sa cos’è Dornach va benissimo, va meglio degli altri! Perciò non ve lo dico cos’è Dornach; gli altri che lo sanno hanno capito!

Però non vi preoccupate, adesso c’è nella presidenza della società antroposofica un Prokofieff che sta facendo uno scisma micidiale dentro la società antroposofica! Cosa che noi ci stiamo godendo a piene mani, perché se il potere di Dornach viene spaccato in due, tutt’e due diminuiscono di metà e noi godiamo: tra i due litiganti il terzo gode, no!

PUBBLICO: Chi è l’altro litigante?

A.: I due litiganti sono le due fazioni, gli ultimi anni sempre più micidialmente opposte l’una all’altra, l’una fazione… riassumo per sommi capi, eh, perché chi non capisce nulla di queste cose sono molto più benvenuti che non gli antroposofi qui in sala – benvenuti anche agli antroposofi, via! Ne faccio parte anch’io – .

Allora le due fazioni sono: la fazione dei borghesi che dicono: ma la scienza dello spirito di Steiner bisogna renderla appetibile all’umanità di oggi; quindi il fatto che Steiner sia stato un razzista, dobbiamo scusarci. Poi, insomma, a questo Steiner gli perdoniamo che un secolo fa sia stato così intollerante da non mettere tutte le religioni alla pari: ti presenta un cristianesimo come se avesse un qualcosa di più che non l’Islam! Una cosa intollerante incredibile! Le religioni son tutte uguali! E il Cristo non ha il diritto di essere qualcosa in più che non Maometto. Tutti uguali! Minimo denominatore comune, si chiama in matematica!

Quindi, quando noi da Steiner, dalla scienza dello spirito, tiriamo via il razzismo, tiriamo via il cristianesimo, per renderla appetibile sulla scena di questo mondo, cosa ci resta?

Nulla!

E l’altra fazione, l’altro estremo… il primo lo chiamiamo degli annacquatori…

LUCIANA: Chi è, Prokofieff?

A.: No, no, i fautori sono Bodo von Plato e Mackay, e l’altra fazione invece sono i dogmatici che dicono: no, no, no, adesso Prokofieff ha scritto sul Goetheanum un libricino –120 pagine che abbiamo subito ordinato – dove l’ultima cosa di questo Prokofieff, che fa parte della presidenza, ha preso una posizione, ma di una veemenza incredibile, dove inveisce contro tutto l’establishment di Dornach, compresa la presidenza, dove lui è dentro, e dice: soprattutto negli ultimi anni c’è stato un enorme disprezzo di Steiner nella società antroposofica; e quindi, a parte che lui è molto ammalato, però se tiene duro ancora un paio di anni sta spaccando, non può più presentarsi di fronte agli altri dopo averli così ingiuriati in un modo così forte.

Quindi Prokofieff dice: no, no, dobbiamo avere il coraggio, dove Steiner viene denigrato, dove Steiner viene vituperato, dove Steiner viene diffamato, dobbiamo avere il dovere di prendere posizione, di difendere Steiner!

Mica la scienza dello spirito!

E si presenta col patema di un papa che decreta, perché lui è la presidenza, di cosa un bravo socio deve fare per difendere Steiner. Lo decreta lui, lo decide lui cosa devo fare io, cosa devono fare gli altri!

Una struttura papale, ma proprio papale che di più non si può!

Queste erano le ultime notizie per chi conosce la parola Dornach, però non per gli altri.

I. 1: Se le edizioni Archiati cercano di essere più fedeli a Steiner, Prokofieff dovrebbe essere cosciente di questo.

A.: No, perché Prokofieff ha il problemino, per esempio, che lui ha canonizzato l’opera omnia tedesca. Noi stiamo mostrando che in questa opera omnia tedesca c’è un’enorme falsificazione, proprio un enorme cambiamento; e adesso lui dovrebbe cambiare tutti i suoi libri dove ha citato, come se fosse sacra scrittura, i testi dell’opera omnia in tedesco.

Per lui, per Prokofieff, l’Archiati verlag non esiste! Perché se esistesse avrebbe un problemino…

(XII, 1) Ma la sua azione {ciò che compie} apparterrà alla realtà percepibile {Ognuno la può percepire}. Ciò che egli compie coinciderà dunque con un ben determinato contenuto percettivo. Il concetto dovrà realizzarsi in un avvenimento concreto particolare. Come concetto, esso non potrà contenere questo caso particolare; si potrà riferire a quest’ultimo soltanto nel modo in cui, in genere, un concetto si riferisce ad una percezione, come per esempio il concetto di leone a un singolo leone.

Quindi dalla percezione di una singola azione… il leone singolo è come una singola azione dell’anima di gruppo del leone, dell’essere spirituale del leone, che compie una “leonata†qui, una “leonata†qua.

Adesso, l’Io umano è un essere spirituale e ti fa una “Iata†qui, una “Iata†qua, cioè una realizzazione dell’Io in questa azione percepibile. Quindi io percepisco l’azione come singola realizzazione dell’io; così come percepisco questo leone come singola realizzazione dell’essere spirituale del leone.

Adesso, come faccio io, dalla percezione di un’azione singola di un Io dell’altro, a risalire al suo concetto?

Non si può! Non si può!

Perché la differenza enorme è che l’essere spirituale del leone, il concetto di leone, l’idea del leone, si esprime tutta in ogni leone; quindi non c’è altro percepibile ancora aperto. Io nella percezione del leone ho il tutto del concetto del leone; invece in un’azione, in una “leonata†di un essere umano ho soltanto un frammento; si esprime soltanto un frammento del suo concetto, del suo spirito. Quindi devo aspettare fino alla fine della sua manifestazione. E quanto devo aspettare?

Fino alla fine dell’evoluzione!

E come esprime il Cristo, il Logos, con la sua logica proprio a suon di martello, una logica che non perde colpi, come esprime questa realtà?

Non giudicate! Non potete giudicare.

Riflettiamo, noi stiamo parlando di libertà, la Filosofia della Libertà: non è un’enorme liberazione sapere, portare in sé questa consapevolezza: nessun essere umano, non soltanto non ha il diritto di giudicarmi, ma proprio non può, non ha gli elementi per giudicarmi!

Aaaah, si respira!

Però questo significa che io non mi arrogo mai il diritto di giudicare l’altro; le due cose si corrispondono; perché ha diritto di rintuzzare i giudizi altrui soltanto colui che non ne fa sugli altri.

(XII, 1) Il concetto dovrà realizzarsi in un avvenimento concreto particolare. Come concetto, esso non potrà contenere questo caso particolare; si potrà riferire a quest’ultimo soltanto nel modo in cui, in genere, un concetto si riferisce ad una percezione, come per esempio il concetto di leone a un singolo leone.

La percezione deve precedere; dopo aver avuto la percezione posso creare il concetto; però la percezione deve essere compiuta; la percezione del leone è una percezione a cui non manca nulla; la percezione di un essere umano è una percezione a cui manca tutto! Ho soltanto una percezione!

Di un altro essere umano, io, di volta in volta, ho soltanto la percezione e il concetto non lo posso avere – non ce l’ha neanche lui (l’altro)! –. Nessuno di noi ce l’ha il concetto dell’Io!

Perché?

Perché dobbiamo annaspare, a forza di sperimentazione, vedere quali azioni ci corrispondono, quali azioni ci realizzano; non lo possiamo sapere in partenza; se lo sapessimo già in partenza avremmo già compiuto il concetto dell’Io e saremmo già compiuti; quindi saremmo già alla fine dell’evoluzione! L’Io non sarebbe in fieri, ma sarebbe già tutto fatto!

Quindi l’evoluzione dell’Io comprende anche una concettualizzazione sempre crescente dell’Io: mi faccio sempre di più un concetto di chi io sono; man mano che mi esprimo e che vedo come il mondo reagisce al mio esprimermi, capisco sempre meglio chi io sono; ma chi io sono non lo posso sapere in toto già in partenza, se no non sarei in evoluzione, sarei oltre il tempo.

E di fronte a questo tipo di libertà sorgono, soprattutto nei poteri costituiti, le più grandi paure, perché l’umano non si può più gestire dal di fuori. E siccome nel passato abbiamo avuto soltanto gestione, soltanto ammansimento, soltanto repressione, soltanto impaurimento, ecc., ecc., ora arriva un testo del genere che ti fa la svolta dell’evoluzione… oh, ma la maggior parte della gente, prima di tutto annaspa che non ci capisce quasi nulla; quando comincia a capire qualcosa salta fuori la paura e dice: oh, ma qui va tutto a rotoli!

Quindi l’importante è non mollare, non mollare, non mollare!

(XII, 1) Il termine intermedio fra concetto e percezione è, come si è visto, la rappresentazione (vedi pag. 90 e seguenti). Allo spirito non libero questo termine intermedio è dato a priori; {cioè in partenza: è già dato, è precostituito} nella sua coscienza i motivi si trovano fin da prima come rappresentazioni. Quando vuol eseguire qualcosa, lo fa come ha veduto fare ad altri, {e ha un’immagine, la rappresentazione è un’immagine di comportamento} o come gli è stato ordinato di fare in quel caso singolo. L’autorità agisce quindi massimamente attraverso esempi, {immagini esemplari, rappresentazioni: San Martino che vede il poverello e taglia in due il suo mantello e gli dà la metà!}

Cosa sono?

Immagini, rappresentazioni! Quando vedi un poverello dagli la metà.

MASSIMO: Non a caso si dice: condotta esemplare!

A.: Condotta esemplare! Certo! Dare il buon esempio!

È nella logica del Logos dargli la metà del mantello?

No! È nella logica della tirchieria! Perché nella logica del Logos l’altro appartiene a me quanto io stesso: è un membro come lo sono io dell’organismo comune dell’umanità. Quindi gli do, non la metà di quello che ho, ma tutto quello che posso, perché gli appartiene tutto.

Quindi la morale che moraleggia, l’orientarsi a degli esempi, è una morale di compromessi: siccome si ha paura della rigorosità, dell’assolutezza dell’Io – l’Io non fa compromessi – orientarmi secondo comportamenti esemplari è un compromesso; però comprometto il mio Io.

Detto in altre parole: l’amore sincero dà la meta?

No!, dà tutto, scusate!, oppure non è amore!

Però la chiesa, le autorità costituite, siccome sanno che l’essere umano non è ancora perfetto, poi sanno che ha paura della rigorosità, dell’assolutezza del pensare, gli propongono un compromesso: dagli la metà!

E lui si sente buono che gli dà la metà!

Non è che io vi voglio smontare il San Martino, voglio smontare il “San†che sta prima… è un Martino! E gli auguriamo di tornare sulla terra – altro che un santo nell’eternità, ecc.! – di tornare sulla terra e di imparare che si va a suon di martello dell’Io; non si fanno compromessi. E l’altro ha il diritto a tutto quello che ho io, perché, come Io, ha il diritto al tutto dell’umano.

Qualcuno direbbe: ma se gli do la metà creo l’uguaglianza! Ma l’uguaglianza non basta, perché l’essere umano non è stato creato per avere la metà delle cose; è stato creato per avere tutto!

Quindi tutt’e due, sia Martino, sia il poverello vogliono avere tutto, non metà e metà.

CARLO: Allora è lo stesso discorso dell’imitazione del Cristo e della sequela del Cristo.

A.: Il greco parla di sequela non di imitazione; il Cristo non si può imitare. Ma fare come ha fatto lui, significa pensare nello stesso spirito; quindi diventare sempre più logici in modo da diventare logici come lo è il Logos; ed essere un Io – ego ei mi – amanti come lo è il Logos.

Ora il Logos, cosa dice quando uno gli chiede la tunica: dagli la metà della tua?

No! Dagli anche il mantello!

E quando uno ti ruba la metà, dice: dagli anche l’altra metà!

Due anni fa, o un anno e mezzo fa, abbiamo pubblicato una serie di conferenze di Steiner, in tedesco, nell’Archiati verlag, col titolo: “Il mio regno non è di questo mondoâ€. E in queste conferenze Steiner commenta, tra le altre cose, proprio queste frasi del Cristo, e dice: prese nella socialità che abbiamo oggi, sono assurde! Perché sarebbe come incentivare, invogliare a rubare, ecc., ecc.

E Steiner dice: il Cristo non intende dire come devono essere le cose qui, nello stato di caduta, dove gli esseri umani sono tutti belli frammentati, che non si sono ancora riorganizzati in un organismo. Il Cristo, il Logos, parla della logica del rimembramento di tutti gli esseri umani!

Qui c’è l’organismo dell’umanità, ora il Cristo dice: tu puoi diventare un membro nell’organismo dell’umanità soltanto nella misura in cui la traiettoria, l’orientamento, dell’evoluzione è che tutto ciò che ti appartiene, appartiene non meno, e tutto, all’altro.

Il sangue che appartiene ad un membro dell’organismo, appartiene non meno a tutti gli altri membri.

Quindi il Cristo non dà ricette di comportamento concreto, queste sono lasciate al singolo individuo, dà concetti: il concetto dell’evoluzione totale; dove va l’evoluzione. E questo orientamento è importantissimo perché soltanto se io so che il fatto che se uno mi ruba qualcosa faccio di tutto per farmela ridare, non è una cosa moralmente buona; è una cosa, per ora, necessaria! Perché siamo in uno stato di frammentazione tale che va preso sul serio. E se io mi comporto ora come se fossimo già alla fine dell’evoluzione sarei uno stupido!

Però, se ho un concetto della perfezione dell’umano, so che questo comportamento di farmi ridare ciò che mi ha rubato, non è moralmente buono, ma è necessario.

Moralmente buono è di essere membri gli uni degli altri; ma è un bene morale da conquistarsi; e nessuno ha il diritto di fare come se noi fossimo già alla fine dell’evoluzione. Però dire: c’è ancora parecchio da fare, e dire: questo comportamento è moralmente buono, sono due cose ben diverse! Quindi farmi ridare ciò che lui mi ha rubato è un sincero affermare che tu ed io siamo ancora del tutto imperfetti. Perché nella logica della perfezione dell’umano tutto ciò che è mio, non è mio: è ugualmente tuo.

Nell’organismo non esistono proprietà private. Quindi la proprietà privata, che è la vacca sacra della borghesia moderna, è l’evidenza dell’imperfezione dell’umano; è la frammentazione dell’umano, che ci dice che c’è da fare, c’è da fare!

(XII, 1) Allo spirito non libero questo termine intermedio è dato a priori; nella sua coscienza i motivi si trovano fin da prima come rappresentazioni. Quando vuol eseguire qualcosa, lo fa come ha veduto fare ad altri, o come gli è stato ordinato di fare in quel caso singolo. L’autorità agisce quindi massimamente attraverso esempi, {Francesco d’Assisi come esempio: un essere esemplare. Dare il buon esempio, in modo che gli altri lo possano copiare} cioè fornendo alla coscienza dello spirito non libero certe determinate singole azioni.

A livello di rappresentazione naturalmente prima.

(XII, 1) Il cristiano agisce meno secondo le dottrine che secondo il modello del Redentore.

L’imitazione del Cristo: lui è il modello e io lo ricalco; e il bravo cristiano è un ricalcatore!

A scuola si imparava a ricalcare, si imparava a disegnare ricalcando. Però, insomma, si diventa artisti quando si smette di ricalcare!

(XII, 1) Le regole valgono meno per l’azione positiva che non per l’astensione da determinate azioni. Le leggi prendono la forma generale di concetti solamente quando vietano azioni, ma non quando ordinano di fare.

Dicevo: ordinare di fare, di fatto è una cosa impossibile. Un ordine non si può riferire ad un’azione concreta, un ordine è per natura astratto; che poi fa agire per paura; per paura del castigo, o degli svantaggi che sorgono se non ti sottometti.

(XII, 1) Le leggi su ciò che si deve fare, bisogna che siano date allo spirito non libero in forma del tutto concreta: pulisci la strada davanti alla porta di casa! Paga le tue imposte in questa determinata misura all’esattoria X! E così via. Hanno invece forma di concetto le leggi che impediscono certe azioni: non rubare! non commettere adulterio! Ma anche queste agiscono sullo spirito non libero soltanto per mezzo del richiamo ad una rappresentazione concreta, per esempio quella della corrispondente pena materiale, o del rimorso di coscienza, o della dannazione eterna, e via dicendo.

(XII, 2) Quando l’impulso ad un’azione si ha nella forma di un concetto universale (per esempio: fa del bene al tuo prossimo!… {Ieri si diceva: ama il prossimo tuo come te stesso} …vivi in maniera da favorire nel miglior modo il tuo benessere!), bisogna anzitutto trovare, in ogni singolo caso, la rappresentazione concreta dell’azione (il rapporto del concetto con un contenuto percettivo). Per lo spirito libero, che non è mosso da esempi o da paura di pene o da altro, questa traduzione del concetto in rappresentazione è sempre necessaria.

Non è data in partenza, la crea lui; e si chiede: come traduco io questo concetto, che mi creo in base ad un pensare libero, artistico; come lo traduco io, ora, nella situazione di vita in cui mi trovo, in un’azione?

Quindi è lui a creare una rappresentazione tutta sua, di un modo di comportamento, di un’azione che poi compirà.

(XII, 3) L’uomo produce rappresentazioni concrete traendole dalla somma delle sue idee anzitutto per mezzo della fantasia. Ciò che occorre allo spirito libero per realizzare le sue idee, per affermarsi, è dunque la fantasia morale. Essa è la sorgente per l’azione dello spirito libero. Questa è la ragione per cui soltanto gli uomini dotati di fantasia morale sono davvero produttivi moralmente. I semplici predicatori di morale, cioè le persone che si fabbricano delle regole etiche senza poterle condensare in rappresentazioni concrete, sono moralmente improduttivi.

Perché non producono orientamenti di comportamento.

(XII, 3) Somigliano ai critici che sanno spiegare con competenza come debba essere fatta un’opera d’arte, ma che non sono essi stessi capaci di crearne una, anche minima.

(XII, 4) Per realizzare la sua rappresentazione, la fantasia morale deve penetrare in una determinata sfera di percezioni. L’azione dell’uomo non crea percezioni, ma trasforma quelle già esistenti, dà loro un nuovo aspetto.

Allora, adesso prima della pausa, in tre campi della morale… il linguaggio italiano è estremamente ricco, anche perché è, insomma, un popolo ricco; quindi lasciamoci guidare un pochino dalla ricchezza del linguaggio italiano.

C’è per la moralità, quindi per l’agire – la moralità riguarda l’agire – c’è un campo – adesso non vi arrabbiate che io uso lo strumentario del linguaggio italiano – c’è un campo di ideazione – perché la domanda è: come agisco? Cosa faccio? Devo ideare, le cose le devo ideare; devo farmi un’idea di cosa voglio fare –. Quindi c’è un campo di ideazione.

In questo ideare ci sono due modi fondamentali: uno è di creare l’idea di ciò che voglio fare, quindi non orientarmi dal di fuori – prendere dal di fuori l’idea di un dovere, ecc., ecc., – ma voglio fare qualcosa di nuovo; mi creo un’idea del tutto nuova. (Qui Archiati Inizia uno schema alla lavagna)

Quindi: A, campo di ideazione. Poi qui C – una polarità –; poi B sarà la mediazione.

Il C, qual è la polarità del campo di ideazione?

Il campo di azione! Il mondo reale in cui inserisco la mia azione.

Quindi: C, campo di azione.

Luciana sta pensando: sì, ma queste cose si possono dire in un modo diverso!

Ma certo! Ognuno le dica a modo suo; importante è capire ciò di cui si tratta. A me non interessa mai canonizzare la mia terminologia, perciò la vario in continuazione, in modo che il pensiero resti bello fresco!

Allora, guardate, una prima riflessione è ovvia: nel campo di ideazione predomina il concetto; nel campo di azione predomina la percezione. Cioè, devo percepire il più capillarmente possibile che tipo di mondo, che tipo di realtà è quella in cui voglio immettere questa nuova idea di comportamento, questa nuova azione, capito!

Se è possibile, se non è possibile; se devo andare più veloce, se devo andare più piano, ecc., ecc.

Quindi il campo di ideazione sono i motivi ideali: idealismo; e nel campo di azione ci metto tutta la dose di: realismo. E se non c’è un sano dialogo tra idealismo e realismo non si può far nulla! Un ideale che non calcola i modi di potersi realizzare, e quindi di diventare realtà, resta campato in aria, e non è più un ideale vero; è un’astrazione, è un’illusione, un inganno, un autoingannarsi.

Quindi un ideale che ha il diritto di chiamarsi ideale, è un ideale soltanto nella misura in cui si realizza; non subito tutto, ma a gradini, nella misura in cui è possibile realizzarlo.

Un ideale che non si realizza per nulla, è un nulla! È molto semplice la cosa!

Aria fritta, dicono a Roma!

Il campo di ideazione mi dice il cosa – adesso vi metto diverse categorie di questa polarità – il cosa , cosa voglio fare.

E nel campo di azione, il realismo, cosa mi dice?

Il come!

Se io ho soltanto un’idea di cosa voglio fare, ma non so come, è campata per aria la cosa; e nella Filosofia della Libertà questo campo di azione, che poi è anche un campo di sperimentazione del come, il realismo la chiama – questa facoltà di fare i conti nel mondo reale, per inserire le proprie intuizioni morali, trasformate attraverso la fantasia in azioni, in comportamenti, nel mondo reale – la chiama la tecnica morale.

Poi qui, B, la fantasia morale, che poi, ve lo dicevo già ieri, la fantasia morale, l’ideazione; e la mediazione fra i due… Io avrei una proposta di terminologia – che poi l’ho fatta anche nel mio libro sulla Filosofia della Libertà, perché in italiano la “fantasiaâ€, a questo livello di ideazione puramente concettuale, non calza più di tanto. Steiner non aveva altri termini che si potevano usare, non c’era ancora la scienza dello spirito; se volete, eh! –. I tre gradini della scienza dello spirito corrispondenti: questo è il livello dell’intuizione; il dialogo tra il mondo ideale e il mondo reale è l’ispirazione; e l’immagine concreta, a livello della percezione, di quale azione io immetto nel mondo reale, e di come il mondo reagisce – cosa che va percepita – la chiamerei: immaginazione.

Quindi, se volete, una cosa un po’ forse immodesta, ma soltanto apparentemente immodesta, se noi scrivessimo oggi la Filosofia della Libertà, con tutta la scienza dello spirito che abbiamo in mano, io chiamerei questo terzo livello: immaginativa morale. Questo primo livello: intuizione morale, o intuitività morale; e questo secondo livello: ispirazione morale.

Non essendo ancora stabilita nella cultura italiana, quindi anche nel linguaggio, la scienza dello spirito, allora cancello tutto quello che ho messo e adesso troviamo tre termini; e qui il toscano si deve far sentire, perché ho sempre detto: tutti gli altri italiani, se tutto va bene, l’italiano ce l’hanno nella testa; i toscani ce l’hanno nel sangue; cosa ben diversa!

Allora: questa tecnica morale… la parola tecnica non calza più di tanto perché in italiano, a differenza del tedesco, la tecnica è molto più tecnica che non in tedesco.

In tedesco, rifacendosi al greco, la tecnica ha una misura maggiore di arte, di artisticità; io la chiamerei l’ingegno morale.

Ve l’ho già detto: l’ingegno morale! Tenendo presente che nella parola “ingegno†c’è il genio! L’Io come genio; che è geniale anche, come dire, nel cogliere a livello di percezione, di concettualizzazione, la passibilità, quindi la possibilità di realizzare un concetto morale, nel mondo, nelle circostanze, nella situazione di vita, in cui uno si trova.

PAOLO: Però, Pietro, “tecnica†mi parla di più della percezione; “ingegno†è già più nel pensiero.

A.: E l’ingegnere?

PAOLO: Eh, hai ragione, però è come la parola fantasia…

A.: Guarda che parliamo di linguaggio italiano, eh! Stiamo chiedendoci che terminologia italiana proponiamo; cosa importante perché ci troviamo in un certo senso al culmine della Filosofia della Libertà; quindi, a questo punto, io ho ritenuto importante anche una riflessione terminologica. Ora tu stai dicendo: a me sembrerebbe meglio la parola “tecnica†anziché la parola “ingegnoâ€.

PAOLO: Hai ragione perché tecnica… è troppo tecnica!

A.: Sì, sta attento che il toscano dietro di te si sta già presentando. Nel frattempo, se tu Paolo sottolinei la tecnica, quindi il lato di percezione, impaurisci subito, vorresti intimorire l’uomo: sta attento che tu dovresti dare maggior peso al mondo così com’è che non al mondo come tu lo vorresti cambiare! Vedi!

Invece l’ingegno morale dà un uguale peso!

PAOLO: Eh, ma è una polarità! Cioè, nell’altra polarità è bella la parola fantasia, secondo me, perché dentro fantasia, rispetto a creatività, rispetto alle parole che ieri abbiamo messo, c’è una qualità che è di una scaturigine di una cosa che però c’è dentro una scintilla di “non mai esistitoâ€; che è bello secondo me, nella lingua italiana.

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A.: No, no, la fantasia è di origine greca: “phantasma†è uno spettro, un’immagine spettrale; un’immagine!

PAOLO: Però parlavi dell’italiano!

A.: Sta attento – però correggimi, eh! – in italiano la parola fantasia ha acquisito uno spessore tale di arbitrarietà che invece la parola tedesca non ha; e arbitrarietà significa: non c’è più nulla di oggettivo! Fantasioso! Significa inventato, significa arbitrario. E tu, nella tua riflessione questo aspetto fondamentale della parola italiana fantasia non l’hai considerato per nulla!

Steiner sottolinea: le parole hanno il significato – in un popolo, nella lingua di un popolo – il significato che hanno, lo dice il sentimento dei membri di questo popolo. Quindi è importantissimo che noi ci chiediamo: che tipo di sentimento sorge di fronte alla parola fantasia?

E io ti dico: non sottovalutiamo l’aspetto di arbitrarietà; perché c’è!

Sì, sì, è molto fantasioso quello che mi stai dicendo! È pieno di fantasia!…

Significa: campato in aria!

MASSIMO: Infatti, fantasia… c’è una parola simile che è questa; dà l’idea proprio del fantastico, quindi qualcosa di irreale, di non concreto. Mentre nella parola ingegno, che come dicevi, Paolo, potrebbe sembrare qualcosa di poco concreto, che viene proprio da un mondo ideale, a parte la persona ingegnosa, è ingegnoso proprio colui che riesce a tradurre concretamente, in una realizzazione concreta e pratica, un’idea percepibile di qualcosa che ha in mente. Ma che ci sia qualcosa che si riferisce proprio al reale, nel modo più concreto possibile, c’è anche la parola “congegnoâ€.

A.: No, il congegno è il risultato!

MASSIMO: Sì, però è una traduzione visibile, percepibile di un’idea. Quindi mi sembra giusto dire “ingegno morale†per riferirsi alla tecnica morale.

A.: Sta attento, la parola congegno, congegnare, ci porta fuori strada, perché uno che ha ideato una macchina, il congegnare… uhmmm… significa: adesso so come mettere insieme tutte le parti.

Però il fatto di congegnare volge lo sguardo a queste parti, a questo processo di sommazione, e si disattende il processo di unificazione del concetto unitario! E noi parliamo di un congegno, non di un congegnare.

Il congegno è la macchina fatta!

MASSIMO: Ecco, sì! È proprio quello!

A.: A livello di percezione io vedo un congegnare; ma lui non fa un congegnare; la mente o ce l’ha unitaria, o non ce l’ha, capito! Chi lo vede dal di fuori vede: ecco, sta congegnando i vari elementi, li sta mettendo insieme. Lui non sta mettendo insieme nulla!

MASSIMO: Sì, però il risultato di questa azione è congegno; quindi è la realizzazione concreta di questa attività mentale, ideale. Quindi si può usare, direi, congegno, ingegno morale, come traduzione di tecnica morale.

A.: Adesso sta attento, se uno ti dicesse, a te toscano: che bella cosa hai congegnato!… Il genio del linguaggio non è contento!, perché l’ideatore direbbe: io non ho congegnato nulla, io ho ideato. Quindi il congegnare non calza.

Ho come risultato di percezione il congegno, perché io lo vedo dal di fuori! Invece chi l’ha creato, l’ha visto dal di dentro; se no non poteva crearlo!

MASSIMO: È un risultato!

A.: Ecco! Quindi per tutti gli altri è un congegno; per lui è un ingegno! Tant’è vero – adesso io non lo so, ditemi voi – la parola congegnare non si usa, non esiste, giustamente! Lo spirito creatore non congegna.

Perché la parola è: cum-gegnare. Uno che guarda dal di fuori vede: quello piglia una parte, poi un’altra parte; è come se fosse… sì, un congegnare; ma soltanto a livello di percezione è un congegnare, solo a livello di percezione.

Allora, naturalmente ognuno fa le sue riflessioni; io proporrei “ingegno moraleâ€, ma se volete la Filosofia della Libertà parla di tecnica morale.

LUCIANA: A me va benissimo!

A.: La tecnica ti va bene!?

LUCIANA: Sì perché si parla del come! Per cui va benissimo la tecnica morale.

A.: Naturalmente man mano che si riflette, proprio anche a livello di linguaggio, si affinano i concetti, perciò è importante quello che stiamo facendo, eh!

I. 2: La tecnica a me dà l’idea di un qualche cosa che seguo di dato, di dogmatico, invece ingegno lo vedo proprio, il come mio lo vedo più come ingegno che come tecnica.

PAOLO: Nell’ingegno c’è più la partecipazione dell’Io che vede la percezione, c’è dentro già lui; c’è dentro più l’individuo che coglie già un insieme di percezioni.

A.: Vi faccio un’altra riflessione, un’altra via di accesso per indicare cosa intendo io, non voglio convincere nessuno, meno che meno il voler imporre; voglio dirvi perché secondo me la parola ingegno calza di più.

Questi 2000 anni di cristianesimo, non erano cristiani; sono stati una continuazione del buddismo! Perché il cristianesimo si fonda sulla decisione morale, sulla intuizione morale dello spirito del sole che ha avuto un’intuizione morale: noi la chiamiamo la redenzione dell’umanità, i teologi la chiamano la redenzione dell’umanità. Ha avuto l’intuizione morale della seconda parte dell’evoluzione dell’umano.

Ora l’intuizione della prima parte, l’intuizione morale della prima parte – da parte del Capo che dirige tutto – era di dire: oh, se io voglio, per intuizione morale mia piena di amore, che gli esseri umani acquisiscano l’individualità, che devo fare?

Devo fargli spazio! Devo ritirarmi!

Perché se io resto dentro il loro mondo li soverchio talmente con l’intuitività del mio pensiero di Logos, col calore assoluto del mio amore, che non gli permetto neanche uno svarione minimo a livello di pensiero, neanche un centesimo di egoismo… come possono diventare autonomi!?

E se n’è andato sul Sole! Perché all’inizio terra e sole erano insieme, no!

Se no come fa la terra a essere terra senza sole!

Ora, lui non è che ha avuto l’intuizione della prima parte dell’evoluzione dell’umano e poi gli è venuta l’intuizione della seconda parte: è un’intuizione articolata, però unica. E 2000 anni fa si è detto: adesso, insomma, basta con la preparazione! Adesso gli esseri umani sono pronti per partire! Ora si tratta di capovolgere il buddismo!

Fino alla svolta in tutta la sapienza orientale – e l’ultima voce autorevole è il Budda, talmente autorevole che tutto il cristianesimo finora è stato buddismo: la vita sulla terra è dolore! – capitolo prossimo della Filosofia della Libertà: pessimismo e ottimismo; il valore della vita – la vita è dolore e quindi l’essere umano deve far di tutto… le 4 verità del Budda, le 4 sacre verità; prima verità: la vita è dolore e sofferenza; seconda verità: l’origine del dolore; l’origine del dolore è la sete, la brama di esistenza sulla terra. L’annullamento del dolore è la vittoria sulla brama, quindi l’annullamento della brama, quindi è il tirarsi fuori, non avere più brama, ma tornare nel nirvana.

E allora, avendo superato la brama di reincarnarsi sulla terra e restando nel nirvana la sofferenza non c’è più! (Questa la terza verità).

La quarta verità: gli otto sentieri di purificazione interiore, l’ottuplice sentiero del Budda, per vincere ogni brama di vita sulla terra.

Il pensiero cristiano anticristiano che l’essere umano vive una volta sola sulla terra e ce n’è che avanza, è buddismo!

Ed è anticristiano nel senso che lo spirito del sole è tornato sulla terra, si è rituffato nell’umano, per fare di tutte le forze di natura sulla terra, il suo corpo!

Quindi di fronte ad uno spirito solare, che è sempre incarnato, questo spirito semicristiano, fatiscentemente cristiano – che poi è anticristiano – vuole al più presto possibile andarsene via dalla terra e poi essere in paradiso al di là della terra!

Pura illusione!

Cosa voglio dire?

Voglio dire: tutto il campo di ideazione morale acquisisce realtà, non è nulla se non comincia a realizzarsi! Ora una Luciana intendeva farci capire – e invece io sono il tipo che non lo vuol capire, perché è sbagliato il pensiero – che qui si tratta del che cosa e qui si tratta del come, invece non è vero!

Qui il cosa non è ancora reale, e qui si tratta del cosa e del come, insieme!!! Perché, o sono insieme, o non c’è né l’uno, né l’altro!

Quindi l’essere umano è essere umano soltanto nello stato incarnato! A livello di pura ideazione è un’astrazione! Quindi, un concetto morale è una pura astrazione finché non comincia a fare i conti col mondo dell’incarnazione! È una pura astrazione; non ha nulla di realtà!

Quindi l’ingegno morale sottolinea che, nel campo dell’azione, c’è un’interazione continua tra il concetto e la percezione; invece la tecnica sottolinea così unilateralmente il lato di percezione che la concettualità, che l’ideazione, va a ramengo.

E l’ho chiamato il cristianesimo disincarnato, che non è cristianesimo perché il Logos si è fatto carne!

Questa è la somma dell’ingegno morale: il Logos in quanto si fa carne; finché non si fa carne non è neanche Logos, dopo la metà dell’evoluzione. E non smette mai di farsi carne, resta sempre incarnato.

Voglio dire: abbiamo in campo morale un sacco di astrazioni in fondo, perché non abbiamo ancora imparato, non vogliamo ancora cimentarci veramente con la complessità del reale. Perché qui, dove tutti e due gli spessori entrano insieme, lo spessore del campo di ideazione che si cimenta proprio realmente col campo della realtà esistente per trasformarla, di minuto in minuto, di secondo in secondo, qui è la realtà del morale.

Se volete la moralità, il bene morale, è la vivacità, la flessibilità assoluta nel voler essere soltanto ciò che aiuta il mondo esistente a fare un piccolo passo in avanti; e di rinunciare a tutto ciò che è di più; di ciò che il mondo, l’umanità, qui e ora è disposta a sopportare.

E questo è il lato dell’amore, che rinuncia a tutto ciò che non è possibile qui e ora.

L’amore è l’arte del possibile, oppure è aria fritta!

Si capisce il discorso?

Ora, di fronte a questa interazione, proprio assoluta, del lato ideale, del lato di Logos, e dell’amore al mondo così com’è – che si tratta del mondo, non di me – e di ciò che posso fare io, che posso contribuire perché il mondo faccia un piccolo passo in avanti, l’ingegnosità – la categoria di ingegnosità – calza, secondo me, di gran lunga meglio che non una tecnica; perché tecnica è qualcosa di oggettivabile; una tecnica deve essere oggettivabile, deve essere resa oggettiva altrimenti non è tecnica; invece questa ingegnosità non è oggettivabile perché è una continua interazione fra il soggettivo e l’oggettivo.

PUBBLICO: La tecnica è stasi.

PAOLO: L’ingegno invece è più fantasioso.

GIANNI: La differenza fra von Braun e un tecnico della NASA.

A.: Allora – poi facciamo una pausa – qui, B: fantasia morale; la fantasia morale è a metà, la sfera mediana; io la chiamerei in italiano la fantasia morale.

La fantasia morale crea rappresentazioni di comportamento, di azioni.

LUCIANA: Ma non l’abbiamo messa nel campo di ideazione, la fantasia morale?

A.: No, no, nel campo di ideazione ci sono concetti, non rappresentazioni! La fantasia crea rappresentazioni, crea immagini. Quindi il primo campo lo chiamerei, in italiano, la creatività, o, diciamo, l’intuizione morale.

Quindi i miei sono: A: intuizione morale, B: fantasia morale e C: ingegno morale. Non trovo migliore sequenza per quanto mi riguarda; tenete presente che io sono, da diversi decenni, lontano dall’italiano, cosa che mi dispiace veramente molto; una lingua che ho amato tanto! Non so se ve l’ho detto: prima di scoprire Steiner, quando ero eremita sul lago di Como, avevo studiato, avevo letto, dall’inizio alla fine la Divina Commedia 11 volte! Stavo cominciando la dodicesima volta, m’è successo il patatrac di scoprire Steiner!

Quindi questo vi dice: io non leggevo Teresa d’Avila, o i mistici, ma la Divina Commedia; per dire l’amore all’italiano.

Poi la Divina Commedia ha fatto del toscano il linguaggio italiano!

Facciamo una pausa.

A.: Allora, c’è qualcuno che vorrebbe dire qualcosa?

CARMINE: Volevo fare semplicemente una riflessione sul come dell’ingegno: nello stato C, è contemplato anche un “come†interiore, uno stato interiore, una qualità di sentimento con cui io vado ad ingegnare questa cosa?

Nell’aspetto della realizzazione non c’è solamente un come esterno, ma c’è anche un qualcosa che mi riguarda più profondamente come un sentire? C’è questo elemento qui?

A.: Certo che c’è! Lo sai che c’è, perché dove c’è l’essere umano c’è tutta la realtà dell’umano. Però tu desideri – la tua domanda – tu intendi dire: svolgi un pochino la cosa! È questo che intendi dire.

Allora, adesso svolgo di nuovo il compito triarticolato in base alla tua domanda, però questo non vuol dire che si può rispondere alla tua domanda soltanto in questo modo; è un tentativo; quello che qui facciamo è un incentivo a pensare ulteriormente.

Allora, ho parlato di A, B e C. L’idea del mio Io, che è il morale sommo, aggiungiamoci subito però che io non posso avere l’idea del mio Io senza avere l’idea del mio Io nell’umanità; quindi l’idea dell’Io comprende l’organismo in cui è inserito, come organo, questo Io.

Quindi, A: l’idea dell’Io nell’umanità. Quindi già nell’idea del mio Io nell’umanità è compreso che devo fare i conti con l’umanità. Ora, il mio Io ce l’ho a livello di concetto nel senso che posso concepire il mio spirito nel suo esercitare il pensare, ma l’umanità la posso percepire soltanto dal di fuori; quindi qui, sul C, faccio i conti con l’umanità reale.

Ora, nella summa teologica di Tommaso d’Aquino c’è una sezione dove parla degli atti buoni, delle azioni moralmente buone, e dice – riassumo cose di cui abbiamo fatto tutto un seminario di laurea in tedesco, a Monaco di Baviera, su questa summa di Tommaso d’Aquino; quindi ce l’ho un pochino più presente. Tommaso d’Aquino era un pensatore non da poco! – e dice: perché un’azione sia buona l’essenza dell’azione consiste nell’intenzione; però non c’è soltanto l’essenza, e quello che noi chiamiamo l’ingegno morale, o la tecnica morale, come volete, Tommaso d’Aquino dice: un’azione non è buona se colui che agisce non soppesa anche circostanze e conseguenze dell’azione.

Le circostanze sono il mondo nel suo stato presente e le conseguenze riguardano il futuro. Questo soppesare fa parte, proprio in un modo centrale, di ciò che stiamo chiamando la tecnica morale, o l’ingegno morale come dicevo io.

È un soppesare in base alla percezione delle circostanze – adesso aggiungo io ciò che Tommaso d’Aquino non dice – circostanze di vita mia, le mie circostanze di vita, perché l’idea del mio Io più l’idea del frammento attuale del mio Io, che voglio realizzare in questo momento, la devo calare nelle mie circostanze di vita, qui e ora: io qui e ora.

Circostanze di vita: cosa mi permette di fare il mondo attuale, la mia vita attuale; per esempio, che io posso realizzare il mio Io in un modo diverso quando ho 20 anni, che non quando ho 80 anni; per dire un esempio delle circostanze di vita.

E le circostanze di vita significano il karma; agire moralmente significa fare i conti col mondo esistente.

L’azione moralmente buona è l’azione compiuta in base alla massima: ama il prossimo tuo come te stesso.

Come amo io me stesso?

Amo me stesso nella tensione alla piena realizzazione del mio Io: agisci in modo tale che la tua azione contribuisca tanto alla realizzazione del tuo Io, quanto alla realizzazione degli altri. La realizzazione del tuo Io la gestisci tu direttamente, personalmente, però dal di fuori dài un contributo agli altri; metti a disposizione gli strumenti di cui ha bisogno ognuno per realizzare il proprio Io.

La capacità morale, la forza morale, di non aver bisogno di far nulla che non sia percepito dagli altri come un aiuto di crescita, si chiama amore. L’amore è la forza morale di non aver bisogno, di rinunciare volentieri a tutto ciò, a ogni tipo di comportamento del quale gli altri mi dicano che non gli serve, che non li aiuta, o che intralcia il loro cammino.

Paradossalmente, moralmente più evoluto è l’uomo che liberamente volentieri agisce come vogliono gli altri!

In altre parole, posso favorire la mia evoluzione soltanto se agisco per amore; e agisco per amore soltanto se volgo l’occhio all’evoluzione di tutti quanti.

Quindi non è vero il moralismo che vorrebbe soggiogare l’uomo con la scusa che altrimenti l’uomo è soltanto egoista. Salta fuori alla fine un soggiogamento che non è un soggiogamento – tra virgolette – per amore… Lo spirito solare ha agito come piaceva a lui, o ha agito adattandosi a noi?!

Ha agito adattandosi a noi! Ha fatto ciò che è importante per noi. Questo è l’ingegno morale.

Per dirvi un piccolo esempio: viene posta la domanda sull’ingegno morale, sulla tecnica morale; che risposta do?

Se io parto in quarta pensando che ci sia una risposta migliore e una risposta peggiore, non è una buona tecnica morale, un buon ingegno morale; ingegno morale significa: guarda, guarda, percepisci! Quel tipo di risposta dove le persone ti dicono: ah, sì, sì, adesso ho capito, ho fatto un piccolo passo in avanti! Quella è moralmente migliore, perché è servita all’altro!

Ed è una cosa non facile; quindi si prova.

Adesso io devo chiedere a chi ha fatto la domanda: è servito un pochino?

Eh, allora andiamo bene!

SANTO: Ancora su questo discorso; su “ingegno†condivido pienamente; mi sembra un termine, una parola, che dà veramente l’idea; più di “tecnica†che è piuttosto fredda e ci fa pensare ad un meccanismo. Ingegno, ingegnosità, ingegnarsi è un processo continuo nel tempo.

A.: E c’è il genio nella parola!

SANTO: C’è il genio appunto, uno pensa a Leonardo, a Pitagora e così via, insomma, per cui c’è questa creatività continua; ed è un rapportarsi appunto con la realtà, un fare i conti con la realtà, perché ingegnarsi significa aggiustare il tiro; bisogna concedere e realizzare, concedere e realizzare; è un continuo rapporto; e c’è il rapporto con gli altri, è un aspetto sociale proprio che ci porta nel rapporto, appunto come dicevi, nel favorire l’altro.

E direi: in questo ci metterei un’altra parola: si realizza il godimento! In questo ingegnarsi, in questa continua realizzazione e concessione e trovare un’altra strada perché uno rinuncia a qualcosa, però poi dopo, magari successivamente, realizza il doppio di quello che poteva fare prima!

E quindi in questo ci vedo dentro, come diceva Carmine nell’aspetto che c’è nell’elemento del sentimento, una creatività che dà un continuo godimento, cioè che riempie la vita dell’anima.

Ecco, mi sembrava questo un altro aspetto e non so, secondo te, se è giusto o no.

A.: Secondo me vai benissimo perché ogni parola che dicevi mi riportava a un’immagine; l’immagine del morale. In questo capitolo c’è la categoria dell’amore: la fantasia morale è la fantasia dell’amore. Massimamente ingegnoso è l’amore! E continuamente mi tornava, ogni parola che dicevi mi riportava all’immagine della mamma col suo bambino appena nato. Adesso ci sono anche un paio di mamme snaturate, ma andiamo a una mamma che è veramente piena di amore per il suo bambino piccolo, appena nato… è ingegnoso questo amore?

SANTO: Al massimo!

A.: È un’ingegnosità naturale, che però ci serve a capire che tipo di ingegnosità noi possiamo conquistarci con tutte le persone, con tutti gli uomini, a tutti i livelli della vita! Perché lei la esercita soltanto col suo bambino e magari con la comare di cui dice peste e corna non usa la stessa ingegnosità dell’amore; però col suo bambino ce l’ha per natura.

Quindi, da questa profondità di ingegnosità della natura, capiamo quali livelli di ingegnosità noi ci possiamo conquistare per libertà.

Ora tu dicevi: che cosa rende ingegnoso l’amore? Il godere la salute dell’altro, l’evoluzione dell’altro, non come se fosse propria, ma vivendola come sua propria: ama il prossimo tuo come ami te stesso!

SANTO: È il capire anche, no! Ho capito! E allora ti vengo incontro e si realizza; ed è un continuo andare e venire; che poi ritorna anche all’idea, poi trova… questo è il bello anche dell’ingegnosità, perché parte magari da un’idea e poi arriva addirittura ad arricchire questa idea, a farla diventare ancora più grande, proprio nel rapporto continuo; ed è questo che l’arricchisce, che gli dà la possibilità di andare oltre; e lì la rinuncia diventa momentanea, diventa un momento di passaggio che poi alla fine porta a realizzare più di quello che uno credeva di realizzare in partenza. È una crescita!

A.: Il problema sono le categorie negative! Credo che te ne accorgi tu stesso: quando usi categorie positive filano, filano, filano; le categorie negative sono come remore; nell’amore non c’è rinuncia, perché la rinuncia è una categoria negativa.

SANTO: Si potrebbe chiamare aggiustamento. Questa ingegnosità riesce a muoversi e quindi a trovare più strade. Ecco, forse in questo senso.

A.: Aggiustamento è un po’ troppo tecnico! Uno sta giocando… Shiller ci riporta sempre, per capire l’umano, al gioco, al giocare. Dice: l’essere umano è sommamente umano giocando; quindi: se non diventate come bambini non entrerete nella creatività dello spirito.

Quindi l’adulto è destinato a diventare bambino coscientemente liberamente. Non restare bambino!, ma diventare come un bambino. E il bambino gioca!

Quando io gioco a tennis non è che aggiusto il mio colpo secondo l’altro; si capisce ciò che tu vuoi dire: che è un continuo aggiustarsi, è un continuo orientarsi.

Ora la categoria di aggiustare presuppone che prima non era giusto, era sbagliato! Ed è di nuovo negativa! Trovami una categoria positiva di questa mobilità, di questa…

PUBBLICO: Adeguarsi/ scelta/ accomodamento/ perfezionare/ correlarsi…

A.: Ve ne trovo una io, c’è in italiano, si usa troppo poco: la svegliezza!

No, non la sveltezza, la sveltezza è delle gambe; la svegliezza è della testa! Restare svegli! La svegliezza… quando lui ha tirato un colpo, certo che mi devo muovere con sveltezza per andare dove la palla arriva; invece la svegliezza mi fa cogliere il suo tiro dal primo movimento che fa!

PUBBLICO: L’attenzione!

A.: Sì, l’attenzione c’è, ma la svegliezza è un maggioramento di attenzione!

Essere vivaci, proprio svegli nel pensare! Se lui muove le gambe in questo modo, adesso mi sta passando una palla corta, però la svegliezza mi fa cogliere il suo intento di passarmi una palla corta dal primo passo che fa. Invece uno che non è sveglio capisce che arriva una palla corta dopo tre passi, e non ce la fa ad andare avanti; può essere svelto quanto vuole, ma non ce la fa.

E la scienza dello spirito sono tre litri di svegliezza al giorno, o non è scienza dello spirito!

Però: svegliezza!

Ora il toscano non mi dirà che non esiste la categoria della svegliezza! Viene poco usata e soprattutto poco praticata, questo è il problema! Però la parola c’è!

LUCIANA: Mai sentita!

A.: Oh! Mai sentita?! Eh, datti una svegliata!

PAOLO: Essere presente!

A.: Essere sveglio è ancora di più che essere presente!

MASSIMO: È una supercoscienza!

A.: Certo, è una supercoscienza. Il buon cattolico è presente, il buon antroposofo è sveglio!

PAOLO: C’è una volontà grossa!

A.: Eh, certo!

I. 3: Intanto la volevo ringraziare perché è da un po’ di anni che la conosco e devo dire che mi ha donato cose enormi che hanno davvero cambiato la mia esistenza, quindi grazie!

Noi qui stiamo facendo ottimi esercizi che ci permettono di portarci dal lato del conoscere e poi tutta la morale riguarda quando usciamo da questa stanza.

Avevo letto una frase, però non ricordo più dove, non sono più riuscito a recuperarla, in cui, se non ricordo male, Steiner diceva che il motivo fondamentale per cui non tutti questi ideali riusciamo a tradurli nella realtà, nelle azioni, buona parte dipende dal fatto che il nostro strumento corporeo non è più ben accordato; e mi sembrava che indicasse l’alimentazione come una causa cruciale di questo passo che risulta difficile. Volevo sapere se avevo interpretato male o se era un ricordo proprio sbagliato.

A.: Ma adesso, a parte che non c’è bisogno di citare Steiner, il pensatoio ce l’hai anche tu sulle spalle, quindi… il problema quando si cita, bisogna metterci da parte noi e occuparci del citato, capito! Non serve a nulla! Però il tuo pensiero è chiaro – lasciamo via Steiner – il tuo pensiero è chiaro.

Ora la tua domanda è: – correggimi se sbaglio il tiro – quali sono le cause più importanti del comportamento umano, o dei colpi che fanno cilecca.

E lo sai! Ci sono tre cause fondamentali: una è il suo corpo, la seconda è la sua anima e la terza il suo spirito.

Quando tu hai queste tre causalità, che sono tre mondi complessissimi, hai tutto! Guarda che quando tu hai corpo, anima e spirito, dell’essere umano hai tutto!

Ora, che uno Steiner ti dica: sta attento che la causazione che si origina dal corpo non va sottovalutata, il tuo cervello cosa ti dice? Che è un’affermazione giusta o sbagliata?

I. 3: No, no, è giustissima! Quello di cui parlavo è però che qui giustamente noi oggi siamo qui per conoscere, però…

A.: No, no, no! L’essere umano è sempre e solo sintetico! O sono tutti e tre presenti: corpo, anima e spirito…

I. 3: Però in questo momento non stanno uscendo azioni da me, in questo momento sono sul piano conoscitivo.

A.: No, non è vero, non è vero! Adesso io ho detto: non è vero e devo dimostrartelo.

Il cosiddetto agire, il fare qualcosa, è il livello più astratto dell’agire; il livello più astratto che ci sia: fare qualcosa! Il pensare è il modo di agire più concreto che esista! Perché nell’agire, nel cosiddetto fare qualcosa, io avrei la possibilità di mandare a ramengo la mia anima, di mandare a ramengo il mio spirito e di far agire soltanto il mio corpo; che è astratto!

Perché astraggo da ciò che è massimamente reale nell’essere umano. Invece, quando io faccio l’azione del pensare devono esserci tutti e tre, perché se non ossigeno a sufficienza il mio cervello, del corpo mando a ramengo anche il pensare!

Quindi il pensare è un’azione massimamente concreta, perché c’è tutto l’essere umano; invece il cosiddetto agire, fare qualcosa, mi consente di diventare così astratto che io agisco automaticamente per routine; quindi si muove il mio corpo, ma l’anima non c’è, il mio spirito non c’è; e astraggo da ciò che è più reale del mio essere.

Allora ripeto: la cosiddetta azione, il fare qualcosa, è il livello più astratto che ci sia, e l’azione del pensare, l’attività del pensare, è il più concreto che ci sia!

Soltanto quando noi abbiamo il coraggio di sfidare il cosiddetto materialismo e quindi il coraggio proprio di ribaltare e di diventare apparentemente assurdi, creiamo una provocazione al pensare tale che l’essere umano si sveglia! Si dà una svegliata, scusa!

Quindi quello che stiamo facendo adesso è estremamente concreto; fra una mezzora, mentre mangiamo, può diventare molto più astratto!

I. 3: Ma non ho parlato di non concretezza; ho parlato che in questo momento siamo meno sul lato dell’azione – parlo per me – mi sento meno sul lato dell’azione, mi sento più…

A.: Purtroppo! Povero te, che la pensi così! È un pensiero sbagliato! È un errore quello che tu dici!

I. 3: E difatti è quello che non riesco a…

A.: Ma perciò ho messo questa provocazione! Tu in questo momento sei tutto presente!

I. 3: Certo!

A.: Per natura! E perché parli che c’è soltanto il pensare?; non esiste soltanto il pensare. Ripeti di nuovo il tuo dire: “in questo momento stiamo facendo soltanto conoscenzaâ€.

I. 3: No, ho detto “prevalentementeâ€, ho usato questo termine nel senso che sento in me poi il desiderio di uscire fuori…

A.: Rispetto al mangiare?

I. 3: No!, magari occuparmi del benessere anche dell’altro; quell’ascolto di cui parlavamo del bisogno dell’altro…

A.: Ah!, scambiarsi dei pensieri significa non occuparci affatto del benessere reciproco!?

I. 3: No! È tantissimo…

A.: I pensieri non hanno nulla a che fare col benessere dell’essere umano!?

I. 3: No, è giusto, è giusto; però…

A.: Però ogni colpo che dài, ti arriva un contro colpo!

I. 3: Però non mi è chiara ancora la risposta alla domanda che avevo fatto riguardo al discorso che, nel momento in cui io mi occupo di fare esercizi di pensiero…

A.: Non ci sono esercizi di pensiero!!

I. 3: Ah! … Certo!

A.: C’è l’attività del pensare che è massimamente concreta, perché è un agire che coinvolge massimamente tutto l’uomo! Tutte le altre attività diminuiscono la presenza dell’uomo; quindi sono meno concrete; sono meno!

I. 3: Se il mio corpo in questo momento fosse in uno stato di digestione, e io in qualche maniera cercassi di occuparmi nella sfera del pensare che è pura attività e creatività…

A.: Sei un attore a tre quarti, o a metà!

I. 3: Ecco!

A.: Se invece sei pienamente presente sei un attore al 100%!

I. 3: Ho capito!

A.: Quindi, nel pensare l’essere umano è un essere umano al 100%; nel mangiare, mentre mangia, se tutto va bene, è al 50 %! Intendiamoci bene!

I. 3: Se quello che uno ha mangiato, per 10 anni – non in questo momento – e ha logorato pesantemente il suo corpo, può anche fare molto allenamento nel pensare, però…

A.: No, non lo può fare!

I. 3: Eh: non lo può fare!

A.: Non lo può fare proprio! Perché il pensare presuppone come strumento… uno strumento musicale che sia ben accordato; se no non puoi pensare come si deve! Se uno ha un forte mal di testa…

I. 3: Quindi, coi tempi che corrono penso sia molto dura che la scienza dello spirito, come fa la media delle persone, cioè per come la media delle persone tratta il corpo, riesca! Anche per motivi proprio fisici!

A.: Ma certo! Ma certo! Per mangiare va bene anche un corpo mezzo trasandato. Per far l’amore va bene anche un corpo… ma per pensare ci vuole un corpo coi fiocchi, se no non funziona! In fondo è questo che volevi dire!

I. 3: Sì!

A.: Però dicendo questo, dici: nel pensare l’essere umano è sommamente uomo.

I. 3: Assolutamente! Grazie!

PUBBLICO (Applausi).

I. 4: Una domanda che mi tengo da prima: abbiamo fatto degli esempi sulla differenza tra San Martino e la logica del Logos. Quando il Logos dice: non dare la metà del tuo mantello, ma daglielo tutto, non stiamo facendo ancora esempi?

A.: Io non ho detto: dare tutto il mantello, ma tutto ciò che hai!

I. 4: No è comunque ancora un esempio?

A.: No, perché tutto ciò che tu hai è un mondo del tutto diverso da tutto ciò che io ho. Tu hai tutt’altri pensieri che i miei e appartengono tutti agli altri, sono da donare! Hai un mondo di sentimenti, un mondo complessissimo, e sono diversi dai miei, e sono da dedicare, in chiave di amore, agli altri.

Quindi la dicitura: dà all’altro tutto ciò che tu sei! Questo “tutto ciò che tu seiâ€â€¦ io non posso prendere un altro essere umano ad esempio per sapere chi sono io.

Il problema è che tu sei partito dal fatto come se io avessi detto: non dargli la metà del mantello, ma dagli tutto il mantello. No! dagli tutto ciò che hai; per dargli tutto ciò che hai, devi dargli tutto ciò che sei.

Quindi, se volete, il significato esoterico, più profondo, della frase: ama il prossimo tuo come te stesso – e l’ebraico consente anche questa traduzione: ama il prossimo tuo, lui è te stesso! – è: se non ami lui non puoi amare te stesso; siete due membri di un unico organismo.

Quindi tutto ciò che appartiene a me, appartiene a lui; tutto ciò che appartiene a lui, appartiene a me. Tutto ciò che è del fegato, appartiene a tutto l’organismo; tutto ciò che è di tutto l’organismo appartiene anche al fegato. Però il punto di origine è individualizzato; quindi l’interazione tra l’organismo e il singolo membro è complessa; la si può pensare giusta e la si può pensare sbagliata.

MILENA: Scusa Pietro, a proposito di questa precisazione, io ho capito: dài all’altro tutto ciò che puoi, o tutto ciò che hai? Perché se io do anche me stessa, non so, qualcosa di costituente di me… e poi cosa rimane di me?

A.: Il problema della tua riflessione – e se togliamo questo problema poi non è più problematica – è il concetto moraleggiante di “dareâ€. Dare è per natura paternalistico! Io non ho mai detto: devo dare all’altro tutto ciò che sono; ho sempre detto: gli appartiene; non meno di come lui appartiene a me.

E questo è il concetto di organismo! Lo metto così, eh!; l’organismo è una realtà vivente! Questi sono gli organi, i singoli organi – uno schizzo, eh! – sono separati o sono uniti?

PUBBLICO: Tutt’e due!

A.: Qui c’è il fegato coi suoi talenti; le sue funzioni, si dice in fisiologia; e qui c’è la milza.

Ora, gli esseri umani non è che sono così congegnati gli uni negli altri dall’ingegno morale del creatore dell’umanità; cioè, questo esempio dell’organismo naturale bisogna prenderlo dal lato in cui calza, non dal lato in cui zoppica; perché è più complesso il modo in cui due Io: qui un Io e qui un altro Io umano… Prendiamo quindi il fegato; se parliamo in termini di tempo, origina certe funzioni, certi contributi; questi si originano nel fegato e l’origine è peculiare del fegato, ma poi sfocia in tutto l’organismo.

Nell’umano l’origine è di un arricchimento, di uno svolgimento dell’umano, così come si avvera nel mio Io; l’origine di questo avviene in me, però sfocia perché appartiene… ma “l’origine è in me�

Sì e no!

Perché in fondo mio è soltanto svolgere il tema universale dell’umano; tema e svolgimento; lo svolgimento è mio, ma neanche soltanto mio, perché senza tutto l’organismo non posso fare neanche lo svolgimento.

Quindi a tutti i livelli c’è un’interazione – perciò l’immagine del gioco! – un’interazione organica di amore – questo tipo di interazione si chiama amore! – che è la categoria più complessa che ci sia da recepire nel pensare! Perché il pensare tende subito all’unilateralità: o favorisce, sottolinea maggiormente, il carattere di isolamento di ciò che è mio, e allora manda a ramengo l’organismo; o sottolinea maggiormente l’organismo e allora manda a ramengo l’Io.

Mantenere nel pensiero, quindi nel processo del pensiero, questa altalena continua, che il gioco non si fermi, perché quando la palla è uscita (dal campo), il gioco si ferma! Il gioco si gioca finché la palla va avanti e indietro; quindi si gioca soltanto finché io continuo a vedere i risvolti, a esprimerli in concetti di pensiero, dalla parte dell’Io e a esprimerli dalla parte dell’umanità.

Quindi l’ingegno morale è la capacità dell’amore di cogliere l’Io nell’umanità.

Cos’è l’Io nell’umanità?

Una realtà di vertiginosa complessità, che richiede il massimo di svegliezza nel pensiero; che continua ad andare indietro e avanti. È una continua interazione! L’ultima aggiunta sulla Filosofia della Libertà sta proprio a dire come avviene l’interazione tra gli esseri umani. E dice: c’è un’oscillare, proprio continuo, velocissimo, tra il mio uscire dai miei pensieri mentre ascolto l’altro, che divento veramente lo spirito dell’altro, se no non lo capisco, non lo ascolto proprio! Se io rimango nel mio spirito, l’altro non lo ascolto; non mi arrivano i suoi pensieri.

E poi, quando io comincio a pensare che cosa gli devo rispondere, lascio il suo spirito, e come spirito ritorno dentro di me. (Vedi nota)

Ora questo gioco che è il più vivace – l’amore è l’ingegno in assoluto – è il più geniale che ci sia, perché questa osmosi, nell’organismo naturale, quanti sono i processi di osmosi, di trapassi tra organo singolo e il tutto?

Una complessità all’infinito!

Immaginiamoci qui dove c’è non soltanto il corpo, ma tutta l’anima e tutto lo spirito!

Quindi l’amore, l’Io dell’umanità, l’amore è la sfida somma della svegliezza del pensare! E l’unica cosa che vale è di restare in ballo, di continuare a ballare!

E per continuare a ballare bisogna continuare a mangiare!

Buon appetito!

Ci vediamo nel pomeriggio!

Nota: questa comunicazione tra A e B è stata già descritta da Archiati alla fine della prima conferenza (giovedì sera) dell’VIII° incontro 30 sett./ 3 ott. 2010. Ne viene riportato uno stralcio qui di seguito:

Steiner descrive come avviene l’interazione tra due persone A e B, e dice: l’interazione tra due persone, quando si capiscono, quando son d’accordo, avviene così che in un lampo, quando io ascolto l’altro (disegna alla lavagna), qui c’è il suo mondo di pensieri; io mi tuffo là dentro e divento una cosa sola col suo spirito; un centesimo di secondo dopo ritorno in me, e penso a ciò che pensa lui; e continua avanti e indietro, così.

Così come nella comunicazione, ma proprio in un movimento di lampo, avanti e indietro: io sono, in un secondo, una cosa sola coi suoi pensieri – se no non posso dire: ti capisco! – e neanche un secondo dopo sono nei miei pensieri, e penso su ciò che io penso che lui ha detto: ma come!, sta dicendo baggianate! Adesso sono nei miei pensieri. Ora sto di nuovo ascoltando: sono nei suoi pensieri.

E questa osservazione, questa percezione, molto sottile, molto più scientifica, della comunicazione e dell’interagire della sfera dello spirito e della sfera dell’anima, a questo livello veramente scientifico, che io sappia, esiste soltanto in Rudolf Steiner.

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Sabato 29 settembre 2012, pomeriggio

A.: Posso chiedere di alzare la mano a coloro che c’erano questa mattina e non sono venuti questo pomeriggio?

PUBBLICO (Grandi risate!)

A.: Un sacco di gente ha alzato la mano! Posso chiedere a coloro che stanno ancora facendo la siesta di smettere di far la siesta e di darsi una svegliatina!

Questo modo di alzare la mano si chiama: automatismo morale! Nulla di intuitività morale! Nulla!

Allora, visto che siamo più o meno tanti quanti questa mattina, ho dimenticato, questa mattina, di presentarvi “Capire il karma†– adesso abbiamo le edizioni “Rudolf Steiner†a Milano; una cosa che si rispetta! –. Questo “Capire il karma†pare che sia molto gradito, è già la seconda edizione – mi pare, no? –: 5 euro! Quindi lo vedete che è difficile, è molto difficile anche soltanto rendere percepibile la scienza dello spirito; predicarla non si può, buttarla giù nel gozzo non si può, si tratta dunque di renderla percepibile, e già far questo è difficile; quindi abbiamo bisogno di persone che, spendendo 5 euro, che poi è una cosa proprio modesta, magari la rendano percepibile a 5 amici, a 10 amici, a 100 amici! Non c’è limite andando in su! Allora sì che si diffonde la scienza dello spirito!

Quindi questo “Capire il karma†probabilmente lo conoscevate già, ma nuovo in assoluto è: “L’anima†– il titolo così succinto mi piace –. “L’animaâ€: fondamenti di psicologia. Sono 4 conferenze che Steiner tenne allora, in occasione della riunione annuale della società teosofica, e di anno in anno si proponeva di esporre dei temi fondamentali, dicendo cose fondamentali.

Quindi, sono le cose più fondamentali che la scienza dello spirito ha da dire sui fenomeni dell’anima. Cosa importantissima per tutti, ovviamente!

Tenete conto poi che, queste edizioni Rudolf Steiner sono la traduzione dell’edizione tedesca fatta da noi – fatta da me, se volete, con Monica Grimm – dove anche qui in italiano, nell’edizione italiana, diamo ai lettori italiani un minimo di possibilità, col raffronto di testi, di rendersi conto del fatto che l’opera omnia in fondo ha stampato un testo che si è allontanato di molto dal dettato di Rudolf Steiner, perché è stato redatto, commentato in parte.

Se chiedete a me – quelli che mi conoscono capiscono subito, gli altri magari ci arrivano – non è polemica è una cosa molto seria – per me è una piccola tragedia, se vogliamo, quello che è successo in questo primo secolo di antroposofia. Queste redazioni che si trovano nell’opera omnia – perché poi l’opera omnia italiana è una traduzione fedele dell’opera omnia tedesca, tra l’altro traduzioni abbastanza buone, qui in Italia ci sono buoni traduttori, però questi sono stati fedeli all’opera omnia tedesca!–.

Ora, l’opera omnia tedesca – di cui vi sto dicendo che, interi volumi, se volete la metà dell’opera omnia, è stata stra-redatta – se chiedete a me di dirvi il succo di quello che è successo, vi dirò che il detto di Steiner che, stando alla complessità delle cose, alla novità delle cose, deve essere sincero, schietto e semplice, è stato – permettetemi la categoria, per me quella più giusta – è stato del tutto imborghesito, infronzolato; e attraverso questo imborghesimento di fare un tedesco più bello, semi-letterario… lo spirito è cambiato! È tutto un altro spirito!

È uno spirito borghese! Invece, quando io leggo i vangeli, per esempio, non è uno spirito borghese; è uno spirito schietto, semplice!

Sono grosse differenze; la più grossa differenza è che, ciò che io chiamo borghese, è la forma che diventa per lo meno altrettanto importante che il contenuto, se non, a volte, più importante del contenuto!

E questo tradisce la cosa. Invece, nella dicitura, nel modo di esprimersi di Steiner…

perché abbiamo scoperto, qualcuno ha fatto foto, anche di manoscritti, scritti allora, – 150mila fotocopie!, da fotografie – e quindi possiamo dimostrarlo; e qui, anche nei testi in italiano, ci sono delle foto che vi dimostrano come è stato redatto; e chi sa il tedesco lo vede! – il testo è stato proprio cambiato, cancellato, aggiunto… paragrafi interi semplicemente aggiunti!

Vi riassumo cose per me molto complesse; per chi fosse interessato, ma lo siamo tutti interessati!, è successo lo stesso fenomeno che è successo 2000 anni fa: lo spirito del Cristo è stato dato… dapprima naturalmente non può essere dato a tutta l’umanità di primo acchito! Steiner doveva rivolgersi a questi teosofi, a questi antroposofi, che erano i soli che avevano voglia di sentirlo, altrimenti non avrebbe avuto un luogo dove esporre l’antroposofia e darla all’umanità.

C’è una parabola nei vangeli che esprime la legge evolutiva dello spirito della libertà, che è lo spirito di cui ci stiamo occupando; quindi, quello che voi chiamate il Cristo, per me è lo spirito della libertà; la parola Cristo ci crea più problemi di quanti ne risolve! Io sarei proprio del tutto d’accordo che questa parola, almeno per 50 anni, venisse proibita! Con una multa di 50mila euro a chi la usa!

Soltanto allora andiamo un po’ avanti! Perché con la parola che crea rappresentazioni del tutto diverse, del tutto opposte, continuiamo a… capito!

Allora, una parabola del Logos; il Logos racconta una parabola e dice: ci sono state le nozze del figlio del re, che poi il figlio del re è lo spirito umano, che fa le nozze con l’anima umana; quindi l’anima umana trova finalmente lo spirito individualizzato, l’Io; e c’erano degli invitati a nozze.

I primi invitati, quali erano?

Quelli che culturalmente avrebbero avuto maggiormente capacità, o strumenti per capirlo, per prenderlo in mano e poi proporlo a tutti. Quindi gli invitati di allora erano dentro al popolo ebraico.

Perché tutto il popolo ebraico era sorto nell’umanità per… la divinità del popolo ebraico si chiama “Io sonoâ€! JAVE’; in ebraico significa: Io sono! Ve lo scrivo in ebraico: J A V È, quattro lettere, Io sono.

Quindi è chiaro che questo Io sono, questo spirito della libertà individualizzata, che adesso porta tutte le forze dell’Io sono dentro la terra, dentro all’umanità, si rivolge come primi ascoltatori al popolo ebraico.

E la parabola dice: gli invitati a nozze avevano altre cose da fare! L’uno aveva da comprare i buoi, l’altro aveva da sposarsi, ecc., ecc., ecc. Vi ricorderete!

E allora il Re mandò i servi e disse: andate di nuovo e invitate tutti quanti!

Quindi con l’antroposofia è successo lo stesso!

Steiner doveva rivolgersi a coloro che avrebbero avuto presupposti maggiori per capirla e poi darla all’umanità.

Riassumo cose molto complesse, concedo a persone qui in sala, che sono addetti ai lavori, di non essere d’accordo con me; non presuppongo mai che l’ascoltatore sia d’accordo con me! Però questo mi dà la libertà di dire cosa io penso.

Questi addetti ai lavori, invece di recepire questi tesori di scienza dello spirito, per darli a tutta l’umanità, si sono talmente occupati di se stessi, che, occupandosi di santificare talmente la società antroposofica, hanno fatto di questo spirito che è così universale, uno spirito settario. L’hanno stravolto, l’hanno imborghesito, invece sarebbe per tutti; per cui adesso, un secolo dopo, dopo la svolta del millennio… lo sapete che viviamo in un’epoca apocalitticamente molto importante, l’Apocalisse dell’unico essere umano che ha avuto un’iniziazione, Lazzaro – il vangelo di Giovanni ci parla di lui, al capitolo XI° – questo Lazzaro che è stato iniziato dal Cristo stesso, a Betania, è stato tre giorni e mezzo, semimorto, oltre la soglia, e poi il Cristo lo richiama dal mondo spirituale: Lazzaro, vieni fuori!, ecc. – questo essere umano che ha scritto il vangelo di Giovanni e l’Apocalisse – nell’Apocalisse dice che il numero della bestia è il numero 666!

Il 666 una prima volta, è l’anno del sorgere dell’Islam!

Cosa vuol dire il numero della bestia?

È il numero delle controforze che sono necessarie per la libertà, perché una libertà senza controforze non esiste, non ci sarebbe la libertà di scelta fra il bene e il male.

Poi, il secondo grande colpo delle controforze: 666x2 = 1332, l’annientamento dei templari da parte di Filippo il Bello; e 666 triplicato, dove quindi raggiunge il massimo di forza, è 1998!

Quindi questo anno, 1998, è un perno enorme! E chi non ha dormito si è ben reso conto di quello che è successo attorno a questo anno; per esempio, attorno a questo anno la società antroposofica, nella sua casa editrice – Verlag am Goetheanum – ha stampato un libro – di un convegno sulle religioni – dove c’è scritto: Maometto è il nuovo portatore dell’impulso del Cristo!

Questo per me è la culminazione delle controforze allo spirito della libertà umana!

È il numero della bestia nel senso che la bestia, l’animale, è il primo gradino di non libertà sotto l’uomo; quindi il numero della bestia rappresenta quelle forze spirituali che portano via all’uomo la libertà. Il Darwinismo che presenta l’essere umano come un animale superiore fa parte di queste controforze. Definire l’uomo come un animale superiore è proprio andare nella direzione della bestia!

Che poi la bestia sia superiore o inferiore non cambia molto, l’importante è che manca la libertà.

Quindi, adesso a questo punto qui si tratta di prendere via, da questi invitati, che sarebbero stati gli antroposofi, la prime tre generazioni, che avrebbero dovuto far di tutto per presentare l’universalità di questo impulso, che invece si sono rivolti tutti su se stessi a rendersi pochi e belli – più siamo pochi più siamo belli! – esoterismi, ecc., ecc. – e gli altri, poveri scalmanati… eh!, ce ne vorranno ancora almeno altre due o tre vite prima che siano al punto da poter aver accesso all’antroposofia!

Quindi questo profondo disdegno degli esseri umani comuni, anziché onorare lo spirito del pensare, la capacità del pensare presente al 100% in ogni essere umano, crea all’inizio del nuovo millennio la necessità evolutiva di riprendere questo impulso, di ripulirlo da questi imborghesimenti, da questi travisamenti di spirito, ritornando alla fonte genuina, e di offrirlo a tutta l’umanità.

Gli invitati all’antroposofia, come dice il vangelo nella parabola, sono oggi tutti gli esseri umani!

Questo è un esempio; tocca a voi, tocca ad ognuno poi rendersi conto… in tedesco il volume è molto più lungo, sono oltre trecento pagine perché abbiamo dato tre versioni di tutte e quattro le conferenze. Se ci sono tre versioni fondamentali… l’opera omnia ha la terza versione… qualcuno si ricorda la pagina dove c’era il numero di parole?…

Ah, eccola qua!

Allora: la prima versione, che è quella che usiamo noi, ha 18600 vocaboli, la seconda di Matilde Sholl, di cui abbiamo tutto il manoscritto, scritto a mano tra l’altro, è un primo allargamento, una prima variazione, da 18000 a 21500 parole; e la versione dell’opera omnia – che è poi quella tradotta in italiano – 30500!

Quindi, da una versione di 18000 si arriva a una di 30000! È quasi raddoppiata!

LUCIANA: Quella di 18000 è quella di cui ti sei servito tu?

A.: Sì! È questa! E se uno… se avete tempo è voglia paragonate pure! Noi abbiamo soltanto da guadagnare! L’unica arma di Dornach nei nostri confronti è di ignorarci; perché nel momento in cui cominciassero a prenderci sul serio avrebbero da sparire, dovrebbero proprio sparire! E l’editrice tedesca ha chiuso i battenti, non pubblica più nulla di Steiner!

LUCIANA: Chi, l’editrice antroposofica?

A.: No, quella tedesca! E non vendono più quasi nulla; Steiner non viene quasi più letto!

E questa io la considero una catastrofe spirituale nell’umanità di oggi!

Questo volumetto costa 10 euro, ma ne varrebbe 100, eh! Quindi non è proibito a nessuno di comprarne anche una decina, una ventina, un centinaio da regalare, capito! Soltanto in questo modo andiamo avanti!

“L’anima, fondamenti di psicologiaâ€.

Ora, visto che siamo in chiave di sproloqui, questa mattina – mi son dimenticato – c’è un cambiamento di registro!

Questa volta non mettiamo le cose ai voti perché tanto voi, in platea, non avete nulla da dire! Ormai lo sapete!

La gente del Nord, giustamente, si è sempre lamentata, dice: Roma… lo sappiamo che è la capitale d’Italia! Però… sempre a Roma! Sempre a Roma! Luciana si è offesa, ma… problemi suoi!

“Proprio per nienteâ€, dice!

Allora, io avrei pensato: a partire dall’inizio dell’anno prossimo, a febbraio, di fare una volta al Nord e una volta al Sud.

Qui, dove siamo, non si fa più perché chiudono, e Luciana ha già due posti, due, eh! Cosa non facile! Quindi ti diamo atto, Luciana, di essere veramente generosa con le tue forze con il tuo tempo, all’età che hai, e quindi ti siamo veramente molto grati!

(Applausi in sala!)

Dice (Luciana): “chissà se a settembre ce la farò ancora!†Sono vent’anni che lo sta dicendo! E va sempre meglio!

Dunque il convegno lo facciamo qui a Roma, in primavera; il seminario (sulla Filosofia della Libertà) lo facciamo al Nord, e stiamo cercando a Milano.

Il secondo convegno (di autunno) si farà a Milano, capito?

Quindi, ci sarà, in primavera, il seminario a Milano e il convegno a Roma; in autunno, il convegno a Milano e il seminario a Roma. Ci siamo?

Tenete conto del fatto che… e siete tutti invitati, non soltanto voi qui in sala, ma anche tutti i vostri amici, siete tutti invitati a Milano! Cercheremo di trovare qualcosa di più a buon mercato possibile – lo sapete che Milano è un pochino più cara di Roma – però chi vuole trova il modo, insomma; si hanno amici, ecc., no!

Non sappiamo ancora dove si farà; se ci lasciano fare in una scuola steineriana di Milano io son d’accordo perché sarebbe ora di fare una dichiarazione di apertura reciproca, tra Archiati e il mondo antroposofico, perché questo modo di osteggiarci fa torto a tutti e due! Adesso si rendono conto che la società antroposofica fa acqua da tutte le parti, quindi può darsi che i tempi siano propizi per una specie di riconciliazione; vedremo se ci lasciano fare!

Do la parola, breve breve, a Letizia Omodeo, che ci dice a che punto si trova con la ricerca di un luogo; quindi a febbraio del 2013 saremo a Milano, dunque al Nord. Continueremo con la Filosofia della Libertà, col XIII° capitolo – questa volta finiremo il XII° – e poi, una volta a Milano e una volta a Roma e ancora una volta a Milano e una volta Roma… io propendo sempre di più di affrontare, dopo la Filosofia della Libertà, un testo altrettanto fondamentale – e voi lo sapete, io commento e faccio agganci con gli eventi del mondo, ecc. – propendo sempre di più per affrontare la Teosofia di Steiner; questo testo fondamentale della scienza dello spirito!

Se ci fosse una maggioranza qui assolutamente contraria si faccia sentire! Io sono disposto ad ascoltare la vox populi.

LUCIANA: Intanto adesso dobbiamo finire questo! Ci vorranno ancora almeno tre seminari!

A.: Sì, la Filosofia della Libertà prenderà ancora, penso, tre seminari.

LETIZIA: L’unica cosa da aggiungere a quello che ha detto Pietro è questa: che le informazioni saranno date sul sito di Libera Conoscenza, oppure potrete aver il mio telefono, o quello della casa editrice Rudolf Steiner, di Salvatore; e lì potrete avere tutte le informazione perché la mia ricerca è cominciata martedì, in settimana; io l’ho saputo tre giorni fa, quindi siamo agli albori nel senso che ho cercato centri congressi, ma sono molto cari; convitti religiosi tipo questo, ma sono tutti nella campagna lombarda, e abbiamo ragionato con Pietro che sarebbe meglio farlo nella città di Milano. Se funziona questa cosa della scuola steineriana, bene; se no ho sentito altre persone di Milano che hanno altre proposte; quindi la settimana prossima faremo il punto della situazione, dopo di ché sarete informati.

Cercheremo la soluzione più economica possibile.

A.: Quando sappiamo dove si fa a Milano, facciamo un volantino, unico per l’inizio, e lo mandiamo in tutta Italia.

(Prosegue la discussione sulla data del prossimo febbraio 2013 e, naturalmente, ci sono varie proposte, ma nulla viene ora deciso)

Allora, eravamo arrivati al paragrafo 4, dove Steiner parla della cosiddetta tecnica morale, l’ingegno morale, che è il fare i conti col mondo esistente; perché ogni azione, ogni comportamento, ogni impulso evolutivo, deve esprimersi – altrimenti l’essere umano dovrebbe decidere di diventare un angelo all’improvviso – deve esprimersi, deve inserirsi nel mondo che c’è!

Ora il mondo che c’è va conosciuto non in chiave morale, ma in chiave di intuizione intellettiva, di intuizione conoscitiva, per percezione e creazione di concetti.

La differenza fondamentale, a carattere di polarità, tra il concetto intuitivo e il concetto morale – l’idea intellettiva e l’idea morale – è che il concetto intuitivo parte dalla percezione: prima c’è la percezione, poi c’è il concetto e poi c’è, come risultato all’interno, interiore: “l’animicoâ€, dicono gli antroposofi.

Tenete presente che parlavo prima di questa arte di rendere la scienza dello spirito accessibile a tutti, di parlare un linguaggio accessibile anche a mio fratello contadino, che legge oggi, finalmente, dopo tanti anni, non più suo fratello Pietro, ma legge solo Rudolf Steiner.

Ora vi faccio presente che la parola animico non esiste in italiano, e quando viene usata per eccezione, mi corregga il toscano, viene usata in senso negativo.

“Eh, tu però porti dentro un elemento animico che non c’entra!†Capito!

Quindi “animicoâ€, già non si usa; non esiste al parola animico in italiano! Ora se la si usa, va bene! Deve venir introdotta! Però un conto è usarla senza rendersi conto che non c’è, e un conto è usarla e sapere che va dosata; e, insomma, questo tener conto del mondo che esiste fa parte dell’ingegno morale; è un esempio dell’ingegno morale, della tecnica morale.

Certi testi antroposofici usano continuamente la parola animico in italiano e mancano di questa tecnica – o ingegno – morale di percepire il mondo così com’è, di usare il linguaggio italiano così com’è, che la parola animico non ce l’ha proprio!

Allora, c’è la percezione, poi il concetto e poi la rappresentazione, in quanto elemento interiore, animico se volete, dentro all’anima. Quindi la direzione è questa:

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Invece in campo morale deve avvenire l’opposto: se uno parte dalla rappresentazione, la rappresentazione è sempre il risultato, il portato interiore di qualcosa che è stato percepito, quindi di qualcosa che già c’è; invece bisognerebbe… diciamo, la libertà consiste nell’avere, prima il concetto di ciò che voglio fare, poi la rappresentazione, e poi il concetto dell’Io, il concetto dell’Io individualizzato, il concetto dell’azione successiva in quanto facente parte di questa realizzazione dell’io: mi faccio una rappresentazione, quindi un’immagine dell’azione che voglio compiere e, in base a questa rappresentazione rendo la mia azione percepibile; percepibile all’altro.

Quindi il rapporto tra concetto e percezione si inverte, si ribalta: è importantissimo!

Se invece uno agisce in base a rappresentazione parte dal mondo che già esiste, e si lascia dirigere, diciamo, si lascia determinare, nel suo agire, dal mondo che già esiste; e quindi non è creatore, non è libero. È diverso. È condotto dal di fuori.

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(XII, 4) Per realizzare la sua rappresentazione, la fantasia morale deve penetrare {entrare, inserirsi} in una determinata sfera di percezioni {il mondo esistente; la situazione di vita} L’azione dell’uomo non crea percezioni, ma trasforma quelle già esistenti, dà loro un nuovo aspetto.

Non crea percezioni in assoluto; perché un’azione… è una percezione? Posso percepire io un’azione?

No!, posso percepire il mondo in quanto viene trasformato dall’agire dell’uomo. Quindi, diciamo, si può fraintendere questo; io ho detto: la rende percepibile, non ho detto: ne fa una percezione! Diventa percepibile in quanto cambia il mondo che esiste; si immette nel mondo che c’è!

(XII, 4) Per poter trasformare conformemente ad una rappresentazione morale un determinato oggetto di percezione, il mondo che c’è, o un complesso di tali oggetti, bisogna aver compreso la legge intrinseca dell’oggetto percettivo stesso, {cioè del mondo che c’è; devo farmi un’idea se il mondo così com’è, con le sue leggi, che io evinco in base a percezione, consente, in questo momento, in questo luogo, qui e ora, l’immettere, se è in grado di far posto, in grado di trasformarsi, in modo da far posto a questo tipo di comportamento che io mi sono proposto di esprimere; a partire dal mio essere; dalla conoscenza intuitiva, concettuale del mio essere.}

…Bisogna aver compreso la legge intrinseca dell’oggetto percettivo stesso (cioè il suo attuale modo di agire, che si vuol trasformare o al quale si vuol imprimere una nuova direzione).

Tutte cose scontate, insomma; se uno le capisce è ovvio!

Occorre inoltre trovare il metodo per cui quella certa legge si lascia trasformare in un’altra.

La legge di funzionamento si lascia trasformare, o per lo meno modificare, oppure trasformare in un’altra.

Questa parte dell’attività morale riposa sulla conoscenza di quel mondo fenomenico col quale si ha da fare; dev’essere perciò ricercata in un ramo della conoscenza scientifica in genere.

Si tratta di conoscenza scientifica, perché il mondo che c’è lo si conosce per percezione e creazione di concetti, non ha nulla a che fare con la moralità. Con la moralità ha a che fare solo ciò che ancora non esiste.

Ciò che ancora non esiste è un fattore morale; ciò che già c’è è un fattore di conoscenza oggettiva, scientifica.

L’agire moralmente presuppone dunque, accanto alla facoltà di idee morali e alla fantasia morale, la capacità di trasformare il mondo delle percezioni senza spezzare la loro connessione basata su leggi naturali.

Perché allora l’agire morale non sarebbe possibile, se ci si mette in testa di voler spezzare, spaccare, o far saltare in aria, la loro connessione basata su leggi naturali.

(XII, 4) Tale capacità è una tecnica morale {un ingegno morale}. La si può imparare nello stesso senso in cui in generale si può imparare la scienza. In generale infatti gli uomini sono più adatti a trovare i concetti corrispondenti al mondo quale esso già è, che non a determinare col lavoro produttivo della fantasia {dell’immaginativa, della facoltà intuitiva} azioni future, non ancora esistenti.

Azioni future non ancora esistenti bisogna crearle intuitivamente! Perché se non sono ancora esistenti, dove mi oriento io per sapere quali sono?

Le devo creare, le devo cogliere intuitivamente! Generare a partire dal pensare!

(XII, 4) In generale infatti gli uomini sono più adatti a trovare i concetti corrispondenti al mondo quale esso già è,…

In altre parole, il comportamento normale, quello più facile, è un comportarsi adattandosi al mondo: il mondo che c’è lo conosco, so cos’è più facile e cos’è meno facile, so cosa mi è riuscito finora e cosa non mi è riuscito, e, in base all’esperienza passata del mondo, mi comporto.

Una specie di automatismo, di routine.

Più difficile, più impegnativo è: io voglio fare oggi qualcosa che non c’è mai stato!

Cosa? Cosa?

Lì diventa più difficile! Perciò dice:

(XII, 4) In generale infatti gli uomini sono più adatti a trovare i concetti corrispondenti al mondo quale esso già è, che non a determinare col lavoro produttivo della fantasia azioni future, non ancora esistenti.

La prova è che, io avendolo formulato così: “oggi voglio fare qualcosa che non c’è mai stato al mondoâ€, vedo qui le vostre teste tutte ad annaspare!

Perché è una cosa molto più difficile. È una cosa molto più difficile! Molto più impegnativa!

LUCIANA: Scusa, Pietro, a che cosa si riferisce quando parla di “trasformare il mondo della percezione� Noi stiamo parlando di qualche cosa che non esiste, invece lui parla di trasformazione… non mi è chiaro.

A.: Allora, le due cose vanno insieme, no! Tu adesso dici: voglio fare una cosa che non c’è mai stata… per esempio: voglio essere con Pietro Archiati dolce dolce!

Non c’è mai stata una cosa del genere! D’accordo?

Ora tu, intervenendo qui, rompendo il filo del discorso, intervenendo per essere dolce dolce con Pietro Archiati – cosa che da parte di Luciana non c’è mai stata! – al contempo trasformi la realtà; perché questa realtà, che era tutta in ascolto di Pietro Archiati, si è trasformata in una realtà in ascolto di Luciana… per la prima volta dolce dolce nei confronti di Pietro Archiati!

Quindi le due cose sono sempre tutt’e due presenti! Può mancare l’elemento intuitivo, ma non può mai mancare l’elemento di tasformazione!

Ogni minimo comportamento dell’uomo trasforma, cambia il mondo!

Io adesso ho detto 4 o 5 parole; un mondo senza queste 4 o 5 parole – le ultime che io ho detto – e un mondo con queste 4 o 5 parole, sono due mondi diversi!

Perché operano!

LUCIANA: Nella testa mia o in quella degli altri?

A.: No, non soltanto, ma anche nel mondo degli angeli, degli spiriti della natura; nel cuore del Logos, per esempio! Il mondo non è soltanto il mondo degli uomini, il mondo è tutta la realtà che c’è!

Quindi è una gran bella cosa, acquisire coscienza che l’uomo è proprio sempre… non soltanto dentro il mondo, ma, come dire, sapere che incide in ogni minimo comportamento suo, anche con un semplice pensiero, su tutto il mondo!

Tante volte Steiner dice: un pensiero elevato, pensato dall’uomo, eleva tutto il mondo! Ed è inteso in senso molto oggettivo!

(XII, 4) In generale infatti gli uomini sono più adatti a trovare i concetti corrispondenti al mondo quale esso già è, che non a determinare col lavoro produttivo della fantasia azioni future, non ancora esistenti. Perciò è possibilissimo che uomini privi di fantasia morale ricevano rappresentazioni morali da altri e imprimano queste abilmente nella realtà.

Cambiandola, trasformandola! Cosa vuol dire “abilmente�

Con ingegno tecnico! Con tecnica ingegnosa! Adesso le potete usare tutt’e due le parole! Abilmente significa: con ingegno, ingegnosamente.

Questo è più facile!

Quindi è più facile prendere in prestito dal mondo che già c’è una qualche rappresentazione del da farsi e imprimerla abilmente – quindi tenendo conto delle leggi di funzionamento, anche perché il mondo si presenta, e mi rintuzza se no! – anziché creare, a partire dai concetti, rappresentazioni del tutto nuove di azioni, e immetterle nel mondo che poi, trasformato, reagisce in base a queste.

(XII, 4) Viceversa può anche verificarsi {cosa che avviene meno spesso}, che uomini dotati di fantasia morale manchino di abilità tecnica {di ingegno morale}, e debbano servirsi di altri uomini per realizzare le loro rappresentazioni.

È il classico predicatore della morale! Che ha tutte le rappresentazioni di ciò che andrebbe fatto, ma non è lui che lo fa, lo fa fare agli altri!

(XII, 5) In quanto per l’agire morale è necessaria la conoscenza degli oggetti del nostro campo di azione, il nostro agire riposa su tale conoscenza.

Il campo di azione c’è già e la conoscenza di questo campo di azione è una conoscenza scientifica; conquistata in base a percezioni e concetti, concetti che ci facciamo in base alla percezioni.

(XII, 5) Quello di cui qui si tratta, son leggi di natura. Abbiamo a che fare con la scienza naturale, non con l’etica.

La scienza naturale non ha nulla a che fare con la morale; perciò vi dicevo: il mondo che già c’è, che è così com’è, non ha nulla a che fare con la morale.

Ma allora, esiste o non esiste un’azione cattiva, moralmente cattiva?

Esiste o non esiste un’azione moralmente buona?

No! Non esiste! Esiste soltanto un’azione morale – e quella è buona perché è morale –, o un’azione non morale; e un’azione non morale è l’azione nella quale io non sono – io stesso – a livello intuitivo, a livello creatore, a livello di libertà, il produttore, il creatore, dell’azione che sto compiendo. Sono un robot, di natura superiore. Puro e semplice. Mi lascio fare, dal mondo!

Quindi, morale è la libertà, è la creatività fantasiosa, artistica, della libertà. Questo è il bene morale; questa è la libertà.

Non morale, o se volete, immorale, è la non libertà. Agire in base a impulsi che vengono dal di fuori; rappresentazioni prese in prestito dal mondo esterno.

E perché è immorale?

Perché uccide la libertà!

Poniamo la domanda da un altro lato: ci può essere un’azione genuinamente creata, ideata, intuitivamente, a livello individuale della creatività artistica che sgorga veramente dalla sorgente creativa dell’Io, e che abbia conseguenze decisamente deleterie, cattive, moralmente cattive nel mondo?

No! Non è possibile!

Se le conseguenze sono deleterie, oggettivamente deleterie, vuol dire che il punto di partenza non è stata la sorgente genuina della creatività dell’Io!

È come dire – prendiamo l’organismo naturale –: è possibile che la genuinità di un organo sano, la sanità di un organo, abbia conseguenze deleterie sull’organismo! No! Non è possibile!

Perché se le conseguenze sono deleterie, è malato l’organo di cui si sta parlando!

Quindi ogni Io umano genuino, sincero, è salute per tutta l’umanità; e se l’umanità deve far fatica a ragguagliarsi a questo Io, sarà tutta salute spirituale!

Tant’è vero che il Logos per tre anni ha immesso un modo di comportamento pieno di creatività e pieno di amore e, come dire, non dico l’imitazione del Logos, ma la sequela del Logos, mettersi sulla stessa linea evolutiva, non è una cosa comoda, ma molto salutare!

Quindi, la domanda dell’Io, perché il mio Io agisca moralmente nell’umanità, il presupposto non è che il mio operare renda le cose comode per gli altri esseri umani, perché il comodo può darsi che sia veramente micidiale!

L’importante è che sia salutare, non che sia comodo. Perché normalmente ciò che più vale non è comodo! Comodo è il lasciarsi andare; ma nel lasciarsi andare l’essere umano perde la sua libertà.

In questo senso ciò che è comodo è immorale.

LUCIANA: Ma quando la sorgente è, diciamo tra virgolette, inquinata…

A.: No! Ti fermo subito: la sorgente non è mai inquinata!

LUCIANA: Tu hai detto: l’effetto negativo è perché la sorgente non è quella giusta.

A.: Sì, quindi non sono andato fino alla sorgente!

LUCIANA: Ah, quindi non ci sei proprio andato alla sorgente! No, perché io pensavo che si potesse fare, a questo punto, un distinguo fra io superiore e io inferiore!

A.: Certo! Certo! Quindi la sorgente di questo tipo di azione è stato comunque l’io inferiore! Che agisce per comodismo, che prende dal di fuori le rappresentazioni, perché è troppo pigro per crearsele lui, a partire dai concetti.

(XII, 6) La fantasia morale e la facoltà di idee morali possono diventare oggetto del sapere solamente dopo essere state prodotte dall’individuo. Così, però, esse non regolano più la vita, ma l’hanno già regolata; {reggono è meglio di regolano} e debbono essere intese come cause efficienti al pari di tutte le altre cause (solo per il soggetto sono scopi). Noi ci occupiamo di esse come di una scienza naturale delle rappresentazioni morali.

Dopo che, attraverso le loro azioni, gli individui umani hanno evidenziato cosa c’è stato dietro – magari solo rappresentazioni, o magari concetti intuitivi – dopo che tutto questo cammino, dal livello interiore, in campo morale, si evidenzia, si rende percepibile nelle azioni, noi studiamo il comportamento morale, già avvenuto, degli esseri umani… e come lo studiamo?

Come ogni altra scienza!

In base a percezione di quello che gli esseri umani hanno fatto, da che mondo è mondo, e creare dei concetti.

Quindi una scienza morale non esiste! Perché la scienza presuppone un mondo di percezioni già esistente. Invece la morale crea un mondo di percezioni che ancora non c’è!

Questo dice in un modo chiarissimo che leggi morali, leggi di comportamento morale, non possono esistere!

Son tutti esercizi di potere camuffati in chiave di leggi morali.

L’unica legge di comportamento morale dell’Io è il suo essere; ma chiamarla “legge†è un uso improprio della parola; perché non è una legge, è un’esuberanza dell’essere!

Quindi il morale, inteso nel senso centrale della parola, è l’esuberanza creativa, artistica, dello spirito. Questo è il morale!

Trovatemi voi una cosa più morale, moralmente più buona, di questo!

L’esuberanza artistica, creativa all’infinito, dello spirito creatore; individualizzato poi! – Lo spirito, o è individualizzato, o non è spirito –.

E questo spirito creatore… c’è qualcosa che deve fare? Ha delle leggi morali da seguire?

No! Sforna, sforna, sforna all’infinito! Crea!

A Van Gogh non gli date mica delle leggi di creazione! Finisce di essere un artista! O a Picasso, se volete! O a Raffaello, o a Michelangelo!

Quindi la morale, o è arte, o non è morale!

O è arte, allora è moralmente buona perché realizza l’Io, la pienezza dell’Io; la estrinseca, la dona agli altri; oppure non è morale.

L’Io, o lo si crea e lo si ricrea continuamente, e questo è moralmente buono; oppure si omette di crearlo. L’ho detto diverse volte: l’unico male morale è l’omissione della creatività. Non ci sono peccati, non c’è un male morale di commissione, di qualcosa che uno fa.

E ho spiegato, già un paio di volte, qualcuno arriva e dice: ma il comportamento dei nazisti nei confronti dei giudei, per esempio, mica mi verrai a dire che è soltanto omissione di un bene morale, no! Sono azioni compiute!

Non sono azioni compiute da uomini!

L’uomo è quell’essere, nel mondo, che non è ancora capace, non ha ancora il livello di essere capace di compiere direttamente il male! Lo può solo omettere!

Per fortuna sua!

Allora il fenomeno del nazismo lo capiamo unicamente – altrimenti facciamo degli errori, quindi anche, come dire, diffamiamo tutto un popolo di persone umane – se non capiamo che la causa del nazismo sono stati decenni di omissione di creatività dello spirito.

Dal 1832 – prendiamo l’anno della morte di Goethe – fino al 1914… ci arriviamo, eh!, siamo circa 100 anni dopo, e la costellazione europea, se vogliamo, è molto simile alla costellazione di 100 anni fa, prima della prima guerra mondiale.

Siamo ora di nuovo al punto dove la Germania deve stare molto attenta a non tirarsi contro tutta l’Europa! Quindi, non abbiate paura: la Germania li paga i soldi! Solo che se li paga volentieri deve pagarli il doppio, quindi non è così stupida, capito!

Se li paga volentieri sa subito di pagare il doppio; se invece li dà un pochino per volta, allora son soltanto duecento miliardi – beh, 190, via! –.

Quindi si ripetono questi cicli, siamo di nuovo allo stesso punto.

Ora, dopo il goetheanismo, dopo l’idealismo – fino al 1850, se volete, con Charles Darwin –1859 – ve lo dicevo ieri sera: “l’origine delle specie†– tutta la cultura dell’Europa centrale è piombata in un materialismo tale – con un Haeckel, ancora più materialista di Darwin! – che si è dimenticata del tutto questa idealità, questo tener in auge lo spirito, che era così forte nell’idealismo e nel goetheanismo.

Questa “materializzazione†sono decenni di omissione della creatività dello spirito; e quando l’essere umano compie questo male, male morale umano, che è omissione della libertà, omissione della creatività, rende possibile a spiriti extra-umani di possederlo!

Quindi, quando sembrerebbe che l’essere umano compia direttamente il male morale, è sempre posseduto! Non è lui, non è l’essere umano ad agire!

E questo è importantissimo!

Già Platone nei suoi dialoghi spiega, e lo spiega proprio minutamente, che l’essere umano, a questo livello dell’evoluzione, non è capace di volere il male! Non lo può proprio volere!

O gira le cose in un modo tale che gli compaia come un bene, allora lo può volere! Ma se è convinto che è un male non lo può volere!

E quindi, in base a questa enorme omissione di tutto un popolo – che poi aveva tutti i presupposti… la scienza dello spirito è nata lì! Quindi, lì dove c’erano i presupposti: questa creatività somma, un linguaggio fatto apposta per la creatività dello spirito, molto di più che non la lingua italiana – dopo le due guerre mondiali, dopo il nazionalsocialismo, si è creato come un vuoto, Steiner lo descrive come un vuoto, che tira dentro questi demoni che posseggono poi l’uomo!

Vi ricordate: nel vangelo di Giovanni si dice: Giuda, il primo uomo che omette la creatività del bene, tira dentro Satana – che la scienza dello spirito chiama Arimane – e dopo che Satana è entrato in Giuda, non è più Giuda ad agire!

Quindi io mi ribello a questo grande torto che noi da sempre – l’America in primo piano – facciamo a questo povero popolo tedesco!

Poi, questi demoni si sono scatenati anche perché la prima guerra mondiale, 1914, è stata voluta, in tutto e per tutto dalla potenza dell’Inghilterra, che non tollerava la concorrenza economica che l’Europa centrale cominciava a farle in tutto il mondo.

Stavo dicendo, ribadendo, che il fatto morale umano si esprime in due modi: il bene morale in assoluto, nella sua essenza, è la creatività dello spirito, che è per natura artistica, per natura del tutto individuale, per natura del tutto intuitiva, primigenia, che è una causa prima, che non è mai causata da qualcos’altro.

Questo è il bene morale in assoluto e ogni bene morale è una partecipazione a questa creatività dello spirito, che è il vero, il bello e il buono supremo; oppure il male morale non è fare qualcosa che è di per sé male, ma è omettere la creatività, la libertà, l’artisticità dello spirito.

Quando un essere umano, invece di limitarsi ad omettere la libertà, la impedisce all’altro, è un posseduto! Ha un’enorme responsabilità che è quella di aver reso possibile, attraverso la sua enorme omissione, questo esser posseduto.

Intendiamoci bene, nessuno, nessun essere umano può diventare strumento di forze contro-umane se non per omissione propria; e questa omissione propria è la responsabilità specifica enorme dell’essere umano.

In un certo senso se uno continua questo tipo di pensiero, l’unica responsabilità che l’essere umano ha è di non omettere la libertà!

Immaginiamo una cultura che ne ha paura, che la libertà la mette sotto sospetto come se fosse una cosa di sobillamento di folle, ecc., ecc.; …è far di tutto perché la libertà non abbia neanche la possibilità di creare!

Allora tocca all’individuo dire: no, l’unica cosa, l’unico bene morale è di sentirmi responsabile, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, di non omettere, di realizzare ciò che è libero, ciò che è creatore, ciò che è artistico, ciò che è individuale, ciò che è intuitivo.

Quindi il paragrafo 7 riassume dicendo:

(XII, 7) Accanto a tale scienza non può esistere un’etica come scienza normativa.

Un’etica come scienza normativa non esiste!

Allora, a questo punto ho pensato che qualcuno di noi, anzi, tutti noi a maggior ragione si chiede: ma allora, torniamo a questa intuizione morale, a questa sorgiva che tu continui a riferirtici; ma rendicela un pochino più concreta!

LUCIANA: Nome, cognome e indirizzo!

A.: Nome cognome e indirizzo. Oh, funziona, eh! Le ho detto di essere dolce dolce e funziona! Sei diventata all’improvviso molto morale!

LUCIANA: Perché prima com’ero?

A.: Omettevi la dolcezza nei miei confronti!

Allora ho pensato: l’intuizione morale… che cos’è l’intuizione morale? Scendi un pochino! Cala! Cala!

Adesso io ho individuato tre campi dell’intuizione morale. Però voi mi direte di tutti e tre: ma sono stratosferici tutti e tre!

Però può aiutare! Teniamo presente che siamo al livello dell’intuizione concettuale, quindi non posso parlarvi di rappresentazioni, se no è l’opposto!

Allora, un primo campo è il concetto dell’Io. E questi son tutti pensieri, non sono rappresentazioni. State attenti che adesso io cercherò di esprimere pensieri, non c’è nulla di rappresentazione; è importante che non ci sia, se no non è questo primo livello, capito! Però questi pensieri aprono campi …ah!, adesso capisco qual è la sorgente dove io posso cogliere concetti individualizzati anche di comportamenti e di azioni! Poi da trasformare in rappresentazioni, ecc.

1) Il concetto dell’Io. Se io mi dico: il bene morale, il tutto, la somma del bene morale – guardate che non ci sono rappresentazioni in quello che sto dicendo, sono tutti concetti – la somma del bene morale è la realizzazione dell’Io; non ci può essere altro bene morale che la realizzazione dell’Io. Che cosa ho io a disposizione del mondo?

Il mio essere!

Io non ho a disposizione, che lo gestisco io, l’essere della rosa! Affari di chi l’ha creata! Non ho a disposizione l’essere del mio amico! Affari suoi!

Quindi, in campo di creazione che è responsabilità mia, ho soltanto il mio Io, il mio essere. Quindi il concetto dell’Io è importantissimo perché allora io mi dico: che cosa è compreso in questa realizzazione dell’Io, in questo concetto dell’Io?

È compresa tutta l’evoluzione! Tutta l’evoluzione è la realizzazione dell’Io.

È chiaro che con questo primo campo del concetto dell’Io, io esprimo qualcosa di infinito, in fondo. Però è tutto concettuale! Perché: cosa fa parte dell’Io, cosa va contro l’Io, son tutti concetti, son tutti pensieri, che ognuno si può fare. E fanno parte di questa sorgente dell’intuizione morale.

Sapere che cosa fa parte del concetto dell’Io e che cosa non fa parte dell’Io. Cosa rende l’essere umano sempre più un Io libero e cosa rende l’essere umano sempre meno un Io non libero. Ci siamo?

Cosa potrebbe essere un secondo campo?

2) Il concetto del mio Io!

Ah! Il mio Io!

Allora, il concetto dell’Io è un campo che vale per tutti gli esseri umani, perché tutti gli esseri umani sono un Io, per lo meno potenzialmente. Però l’Io come fattore morale diventa buono soltanto nella misura in cui ogni Io è diverso da ogni altro Io!

Ah! …Cosa rende il mio Io diverso da tutti gli altri Io? Cosa ho io di specifico dentro l’umanità?

Quindi il secondo campo è la conoscenza di sé.

Ci sono state finora rappresentazioni?

No! Nulla! E mi consentirete che sia 1) sia 2) sono campi enormi!

Ora, nel concetto del mio Io, io ho aggiunto: si tratta dell’evoluzione. Qual è la legge fondamentale dell’evoluzione dell’Io?

È la sua individualizzazione!

La legge fondamentale dell’evoluzione dell’Io è che l’Io umano è destinato per natura, porta in sé il dinamismo, a individualizzarsi su tutta la linea; finché alla fine non c’è più nulla, né che io pensi, né che io ami, né che io faccia, che sia uguale a quello di un altro. Sarebbe un impoverimento pauroso, orribile dell’umanità!

Allora, in che modo il mio Io individualizza, specifica l’Io umano? Cosa c’è in me di diverso da tutti gli altri esseri umani?

Tutto da cogliere a livello di intuizione morale!

Voi direte: una cosa non facile!

Certo! Perciò abbiamo diverse vite, tra l’altro, non soltanto diversi giorni, ma diverse vite! Però è un conto non aver la minima idea di questi bei cammini dell’evoluzione, e un conto è farsi i concetti – e questo è il compito della Filosofia della Libertà, per esempio, tutti i pensieri di questo XII° capitolo che trattano dell’intuizione morale, della fantasia morale –.

Come faccio io a sapere l’unicità, la specificità, del mio Io?

Diciamo: come indicazione terra terra: devo avere il coraggio di fare ciò che mi corrisponde, mandando a ramengo tutto il mondo; come orientamento.

Perché se io non ho mai il coraggio di fare ciò che mi corrisponde, non mi orienterò mai secondo il mio Io. Mi orienterò sempre col mondo, con l’io gli altri, magari. Quindi una morale, il bene morale senza il coraggio di fare i cavoli propri, non esiste!

E nessuno ha il diritto di sindacare! L’abbiamo detto!

Giuda dice: io vorrei provare, non lo so, provare se ammazzarmi mi corrisponde, se mi porta avanti… e il Cristo cosa gli dice? Provaci! Provaci!

E a Giuda, dopo morto, il suo spirito gli dice: eh, è una bella cavolata!

E vabbè, adesso lo sai! Torna sulla terra, la prossima volta vivi ottanta anni… Agostino!… Non s’è più impiccato!

Glielo deve proibire, il Logos, di provare? Di fare ciò che gli corrisponde?

Eh no! E se no…

LUCIANA: È solo una battuta! Hai detto: Giuda, Agostino, non s’è più impiccato, hai aggiunto: però si è fatto strangolare dalla chiesa!

A.: Quello è un problema della chiesa, non di Agostino! Per rispetto a Giuda, dài! Eccetera, eccetera, eccetera!

È chiaro che, sia al punto 1), sia al punto 2), sono mondi! Però son due mondi diversi! Vogliamo mettercene un terzo?

Il concetto…potete trovarne anche altri, questi tre mi sembrano ricchi abbastanza da… poi, tutto quello che trovate mettetecelo, o sotto 1), o sotto 2), o sotto 3): omne trinum est perfectum!

Il concetto… oh! Io voglio sapere chi sono io come diverso da tutti gli altri!

In che cosa? Qual è il mondo, in assoluto, in cui ogni Io umano è diverso da tutti gli altri?

La sua biografia!

Quindi: 3) il concetto della mia biografia!

La biografia del mio Io è un capolavoro, singolo, assolutamente unico, fatto su misura, architettato intuitivamente, moralmente, dal mio Io superiore, in intimissimo colloquio col mio angelo custode, che mi conosce meglio di quanto mi conosca io; poi con le gerarchie, ecc. ecc. ecc. ; e la domanda era: voglio reincarnarmi, voglio ritornare sulla terra; tutto il vero, il bello e il buono io, come essere umano, lo posso vivere soltanto sulla terra, muoio dalla voglia di ritornare sulla terra e …‘mmò che faccio stavolta?

C’è qualcuno che mi dice cosa devo fare?

So, in base a tirar le somme, ciò che son già divenuto!

Ciò che son già divenuto… poca roba! Comunque non è interessante ciò che son già divenuto, ciò che ancora posso divenire, realizzare nel mio Io… lì sì, ce n’è un sacco!

E cosa scelgo io la prossima volta? Cosa scelgo di ciò che posso ancora diventare, nell’arco di 5, 8, 10 vite! Cosa scelgo io? A che cosa do precedenza nella mia prossima vita che sto per affrontare?

Quello che voglio Io!!!

Ecco la libertà! E me la sono scelta, l’ho architettato, l’ho pianificato, insieme all’angelo custode… Quindi il campo di intuizione morale concettuale, del mio Io unico, privilegiato, è …la mia biografia!

Perché la mia biografia… io non so che cosa ho pensato per domani; però guardando a tutte le pensate, cioè tutti gli avvenimenti che mi sono accaduti finora, posso capire sempre meglio che tipo di essere umano sono io e che cosa mi sono riproposto questa volta di diventare, di essere, ecc., ecc., ecc.

Che cosa ho voluto io liberamente, individualmente, artisticamente, per domani?

Ciò che mi capita!

Se io so, che ciò che apparentemente mi capita, l’ho voluto io, in base a una intuizione concettuale, puramente intuitiva, morale, di una realizzazione del mio Io specifica, diversa da quella di tutti gli altri, allora so che tutto ciò che mi capita è sempre il meglio per tirar fuori, da me stesso, registri sempre nuovi, sempre più belli, sempre più individualizzati, moralmente sempre più buoni.

Quindi il sommo della moralità… il quasi sommo è l’amore al karma, al proprio karma, e il sommo è l’entusiasmo per il karma!

Di meglio non c’è! Perché chi è entusiasta del suo karma, comunque esso sia, ne fa il meglio! E il meglio è che tutto ciò che mi accade è una provocazione ad essere creatore, creatore, creatore; a realizzarmi in un modo sempre più artistico, sempre più bello, sempre più profondo e sempre più individualizzato.

Perché la mia biografia non sarà mai, ma mai!, uguale, o anche simile, a quella di un altro! Pensiamo soltanto ai passi che due persone compiono! Son del tutto individualizzati!

Ma come! Tu parli di entusiasmo del karma e io sono ammalato!…

L’ho sempre detto: una persona nella cui la vita tutto va bene, è un poveraccio in canna!

Picchio, eh! Picchio!

Una persona come un Dante, dove tutto va male… eh, quello sì! Quello sì!!!

Dunque: tre campi dell’intuizione morale:

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Allora, buona pausa!

I. 1: Quando ho letto la frase: l’Io nell’umanità, mi è venuto da pensare a quell’uno nel tutto di Giordano Bruno. Allora, l’Io nell’umanità, in questo caso è simile in questa frase di Giordano Bruno: Dio è l’uno nel tutto? Cosa ha di simile, perché allora ho pensato che Dio è già nell’uomo; è già lì, sta a noi poi farlo… siamo noi che dobbiamo evolvere per avvicinarsi.

A.: Io dicevo: ogni volta che parliamo di Dio, mancando ogni elemento di percezione, ci esprimiamo in enormi astrazioni che sono campate in aria, in fondo.

Ci dici cosa intendi per Dio?

I. 1: È lo spirito vivo dentro di me; lo spirito che vive in me!

A.: E non in me?!

I. 1: E anche in te, in tutti, nell’umanità. Allora se Dio è l’uno nel tutto, corrisponde la frase? È un po’ simile?

A.: Sì, ma adesso tu dici: “lo spirito che vive dentro di meâ€â€¦ capisco meno di prima! Perché io non conosco uno spirito che viva dentro di me, conosco me come spirito!

I. 1: Meglio!

A.: Questo ti evidenzia che tutti i discorsi su Dio, anche se lo traduciamo, restano astrazioni, non ci portano avanti, non servono. Diventa più concreto quando uno dice: l’umanità è un’interazione organica, un organismo. Ora, questo organismo, questa interazione tra me e l’organismo che sono gli altri esseri umani, io ce l’ho nella percezione ogni giorno; non percepisco la mia interazione con tutti gli esseri umani, ma percepisco la mia interazione con gli esseri umani che percepisco; questi ci sono! E mi posso fare dei concetti sul modo di interagire tra l’Io singolo e la comunanza degli Io, restando alle percezioni; restando nel concreto.

I. 1: Grazie!

I. 2: Io non conosco l’inconscio perché è difficile arrivarci, tanto meno lo spirito; quando, io mi riconosco come spirito?

Non è facile afferrare questa cosa, salvo, forse, in alcuni momenti. Ma in realtà lo spirito, diciamo così, lo vogliamo raggiungere … per lo meno io desidero questa cosa, e sento che la cosa è un lavoro di tutta la vita, insomma! Forse è così, non lo so; infatti quando ascoltiamo queste cose non facciamo altro che andare incontro alla conoscenza dello spirito; anche del nostro spirito, perché lui è invisibile.

Poi, scusa Pietro, un’altra cosa che però è più storica. Tu hai detto che quando c’è il male morale sei posseduto…

A.: No! Il male morale è l’omissione del bene.

I. 2: Sì, è l’omissione del bene, e poi quando parli di omissione dici, insomma: se ometti, ometti, ometti, sei anche posseduto; tant’è vero che fai l’esempio della Germania. E allora io mi sono chiesta: ma anche altri popoli hanno fatto cose terribili! …Vabbè, queste due cose.

A.: Partiamo dalla seconda. Chi può omettere di più?: chi può di più, o chi può di meno?

I. 2: Chi può di più!

A.: Chi può di più. Ripeto la domanda: chi può omettere di più: colui che può di più, o colui che può di meno? Chi può omettere di più il bene?: colui che è capace di maggior bene, o colui che è capace di minor bene?

I. 2: Chi è capace di minor bene.

A.: No!

I. 2: Allora non ho capito il senso.

A.: Chi più può, ciò che lui può omettere, è di più che non nel caso di chi può di meno. Quindi un popolo che è capace di omettere a livelli superiori, è un popolo che avrebbe avuto la possibilità di realizzare il bene a livelli superiori. Stando al concetto puro del pensiero, capito! Vogliamo la verità delle cose!

La prima cosa che dicevi – sono avvii di pensiero, eh!, non ci sono risposte esaurienti a queste domande profonde – in fondo tu chiedi: cos’è lo spirito? Cosa si intende per spirito? Tu, Pietro, parli continuamente di spirito, ma che concetto hai di spirito?

E tu giustamente dici: non si può dire con una frase cos’è lo spirito; però si può indicare una qualità fondamentale, specifica dello spirito. E io dico: una qualità fondamentale, specifica dello spirito è la creatività; creatività che è sinonimo di libertà, perché nel creare io sono libero! Se invece è già preordinato non è un creare, è un eseguire!

Allora uno potrebbe dire: sì, vabbè: essere creatore… ma scendi un gradino più giù! Allora io porto l’esempio del pensiero, dei pensieri che ci facciamo, e dico: nel pensare, che svolge ognuno di noi, eccetto quando dormiamo, c’è sempre un processo di pensiero!

Ci sono due qualità fondamentali: c’è un modo di pensare più passivo, e lo sappiamo tutti che c’è! Per esempio quando sto leggendo un articolo di giornale, sono andato già a tre quarti, la testa era altrove e non ero presente, non c’ero neanche! Adesso ricomincio e dico: voglio stare più attento!

Cosa vuol dire: “voglio stare più attento�

Noto una qualità di maggiore attività, di maggiore concentrazione. Io sono più attivo, sono più presente, sono più impegnato, ci metto più di mio che non prima.

Quindi l’esperienza dello spirito la si fa nella misura in cui facciamo l’esperienza di noi stessi in quanto attivi, anziché passivi!

Ora l’essere umano in quanto si vive come passivo, che subisce, subisce, subisce, classicamente la scienza dello spirito chiama questo: anima!

Anima è l’autoesperienza di subire il mondo, spirito è l’esperienza di creare cose nuove; creare, creare! E già questa distinzione, questa qualità fondamentale, mi fa capire quando io mi esperisco, mi vivo, maggiormente come anima, quindi passivamente, che subisco il mondo, e quando mi vivo maggiormente come…

…Un pittore lo sa, la conosce la differenza tra: questa volta so cosa voglio creare! – lui non copia nulla, gli è venuto in mente qualcosa del tutto nuovo – e l’esperienza di un’altra volta dove invece non c’è questa creatività; e allora va in cerca di modelli, va in cerca di qualcosa che poi cambia un pochino, ecc., ecc…

E la conosce questa differenza! E la conosciamo tutti!

Quindi la qualità centrale, fondamentale, del cosiddetto spirito è la creatività attiva e artistica, che è possibile in tutte le cose! Così come è possibile essere passivi in tutte le cose e subire il mondo.

I. 3: Chiedo scusa perché è la prima volta che partecipo quindi sono una novellina e potrei fare una domanda stupida…

A.: Non ci sono domande stupide! Ci son solo risposte stupide!

I. 3: Con la speranza che non sia questo il caso, le domando: nel momento che noi decidiamo di reincarnarci, e stabiliamo con creatività la nostra prossima esperienza, qual è la parte di noi che stabilisce quella che sarà la nostra esperienza?

Suppongo lo spirito, perché è creativo, quindi sa che cosa può essere utile per noi. Suppongo… glielo domando.

A.: Se lo sai così bene perché lo vieni a chiedere a me! Ma è così ovvio quello che stai dicendo! Ti è così ovvio a te!

I. 3 : Ma come è possibile quindi che lo spirito, che è così creativo e che rientra nelle leggi della natura, perché in questa scelta c’è anche il fatto che lo spirito sceglie di incarnarsi, quindi di entrare in un corpo fisico e sceglie di avere un’anima passiva che subisce. Come mai questo spirito che è così creativo, così vicino all’amore, a una creatività che mi sembrerebbe quasi divina, sceglie poi di farsi… ecco, di omettere in alcuni momenti; e come mai succede che addirittura popolazioni scelgono di omettere? C’è un disegno collettivo, c’è un disegno diabolico collettivo? Che cos’è che fa scegliere a intere popolazioni di infierire, per esempio, verso delle minoranze? Che cos’è che spinge questa collettività a fare tutti le stesse cose terribili?

A.: Allora, io dicevo: riguardo a quest’ultima parte non sono esseri umani in quanto tali che compiono queste cose, ma sono posseduti da spiriti extra-umani. Invece l’inizio della tua domanda è molto più importante. Tu dici: ma se questo spirito addirittura è così creatore, è così attivo, che gestisce tutta una vita pianificandola ecc., come mai che poi si trova a svolgere la vita dicendo peste e corna proprio di quello che ha voluto lui, ecc.?

Sta attenta: quando io, ancora prima di nascere ho pianificato tutto, che cosa ho della mia biografia?

Nulla! Nulla!

Una casa pianificata dall’architetto a tavolino… che cosa esiste di questa casa?

Nulla!

Quindi, o noi distinguiamo tra pianificare a livello puramente spirituale e poi tra il realizzare; la realizzazione significa che io ho pianificato di vivere questa trafila di eventi; perché finché restano soltanto pianificati, sono pura teoria!

Quindi questo cosiddetto pianificare è un ripromettersi di fare qualcosa; e per fare qualcosa ho bisogno di connettermi col mio corpo, perché senza il corpo non posso fare nulla, e ho bisogno di mettermi nella corrente del mondo così com’è, perché non posso fare qualcosa se non immettendola nel mondo reale.

Quindi la decisione, non soltanto di pensare la mia biografia, che non serve a nulla soltanto pensare, e poi non realizzarla; la decisione di realizzare la mia biografia comporta, se siamo minimamente intelligenti, di tuffarsi nel mondo, che è l’unico mondo per l’essere umano, dove si può realizzare la biografia, cioè viverla!

Ora, già la necessità di congiungere il mio spirito, di portarlo all’interazione col corpo, comporta, per natura, un obnubilamento enorme dello spirito!

E questo obnubilamento dello spirito – lo spirito chiamiamolo l’Io superiore; è questione di terminologia, eh; lì c’è piena libertà – questo obnubilamento dello spirito lo chiamiamo: anima, lo chiamiamo: l’io inferiore, ed è la coscienza ordinaria!

Io non posso avere nella coscienza ordinaria la chiarezza di pensiero che avevo quando ero fuori dal corpo! Quando ero fuori del corpo c’era il convincimento che tutti questi avvenimenti, comprese le malattie che mi sono cercato, che ho voluto, son tutte le cose migliori per me.

Questo convincimento c’era, questo pensiero era così evidente, così limpido! Invece poi, immettendomi nel corpo, devo vivere la pesantezza anche di questa malattia. Io, finché ero nello spirito non vivevo la pesantezza della malattia! Ne vivevo soltanto la possibilità di cammino del mio spirito, della mia anima, per andare avanti! Adesso, dentro il corpo, la vivo proprio anche dalla parte dell’ostacolo da superare; e questo è un fattore di sorpresa enorme!

Quindi, incarnandosi, se io non entro nella corrente delle controforze, io non ho la libertà!

In quanto realtà spirituale, la mia biografia io l’ho tutta realizzata pensandola! Se voglio vivere la mia biografia nella libertà devo avere la libertà di andare a destra o a sinistra; o almeno la scelta tra due strade. E la libertà di scelta tra due strade è la libertà di scelta che ho sempre di poltrire, di vivermi inerme, di vivermi passivo, di mandare tutti al diavolo, o invece di prendere in mano attivamente e fare il mio meglio in ogni situazione di vita.

Che è poi il tema del prossimo convegno di Napoli, per esempio.

Quindi, dopo che lo spirito si è architettato questa biografia, lui si deve dire: questa biografia resta aria fritta finché io non mi tuffo nella corrente reale, corporea, del mondo e del corpo umano, per realizzarla; cioè per viverla!

Ma io, la biografia, posso viverla soltanto nel corpo! E lì le cose son diverse che averla tutta bella spirituale!

Però non sono cose che si possono dimostrare apoditticamente; non si possono dimostrare, vanno capite; e per capire queste cose più profonde, non basta la mente astratta, ci vuole anche il cuore!

I. 4: Io, Pietro, volevo chiederti qualcosa a proposito di questi esseri posseduti da spiriti demoniaci, e volevo sapere: quindi è nel karma anche di un essere umano quello di confrontarsi con questi esseri sovrumani e quali possibilità un uomo…

A.: Non sovraumani, ma extra umani!

I. 4: …Extra umani, e che possibilità ha un essere umano ordinario di venirne fuori, non so come spiegare; che possibilità ha di confrontarsi, se ha qualche chance, diciamo, comunque …per sopravvivere, …oppure di venirne fuori.

A.: Si è capita la domanda? …Prova a ripeterla!

I. 4: Quando un essere umano ordinario si confronta con questi esseri spirituali extra umani, ha qualche chance, cioè la chance sta sempre nel volgere, in qualche modo, la situazione nel miglior modo possibile per la sua evoluzione. Ma ha in qualche modo la possibilità di redimere queste persone, oppure ci sono delle forze coinvolte troppo grosse per un essere umano ordinario?

A.: Allora, fino alla metà dell’evoluzione è stata tutta una preparazione; il vero esercizio della libertà comincia da quando l’essere umano è un Io libero.

(disegna uno schema alla lavagna) Qui: 2012, siamo ancora al centro, però due passettini oltre! Ma nel complesso siamo ancora verso il centro.

La prospettiva dell’evoluzione è che la libertà comporta sia di fare il bene, sia di fare il male.

Il male è duplice: prima c’è l’omissione del bene, che la compie l’uomo, e poi l’uomo viene posseduto da spiriti extra umani e questi spiriti, attraverso l’uomo, fanno il male. Il maligno opera dentro l’uomo!

Nella misura in cui io ometto un piccolo frammento di creazione, di creatività libera, che mi sarebbe possibile – quindi ometto di essere io ad immettere creatività, anche nel quotidiano – divento passibile di essere posseduto!

Lasciando io il campo libero, perché non ci metto un’attività mia, lascio il campo aperto, lascio il campo vuoto, perché entrino dentro spiriti che attraverso di me possano agire.

Quindi, un Io umano che non fosse per nulla posseduto, sarebbe un io perfetto! Sarebbe alla fine dell’evoluzione! Non esiste!

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PUBBLICO: Un esempio!

A.: O un angelo, o un demone!

Quindi si tratta sempre di percentuale, capito! Ora, prendiamo una persona umana che, sistematicamente, omette la creatività che gli sarebbe possibile… diventa sempre meno capace di creatività. Perché una facoltà – una cosa che ho spiegato diverse volte, ma va esercitata sempre di nuovo; sono pensieri fondamentali, no! – nella misura in cui io, la facoltà della libertà, la capacità di agire, di comportarmi creativamente, non la realizzo, non la uso, non la attualizzo, si atrofizza!

La facoltà non resta illesa! Diventa di meno!

Quindi divento sempre meno capace di libertà creativa. Ora, la prima domanda che si pone e che ho sempre posto, è: è possibile all’essere umano che la potenzialità di libertà, di creatività libera, a questo livello dell’evoluzione – due piccoli passi dopo la svolta, dove quasi tutti gli esseri umani sono ancora, quasi su tutta la linea, liberi, passibili di libertà – è possibile che la potenzialità di libertà venga atrofizzata?

No!, la potenzialità di libertà di ogni essere umano a questo livello dell’evoluzione è enorme, in tutti i campi…

LUCIANA: Non è ancora atrofizzata!

A.: Non è atrofizzabile in toto in una vita sola! Quindi, in una vita, anche se poltrisco tutta la vita, non posso, in una vita sola, atrofizzare in tutto e per tutto, su tutta la linea, la potenzialità della libertà; me ne resta!

Però, una persona che, nel corso di diverse vite, omette sistematicamente sempre di più, arriverà al punto in cui non c’è più nessuna potenzialità di libertà!

A quel punto lì non è più possibile risalire!

Finché c’è un frammento di potenzialità di libertà, c’è la possibilità di agire su questo frammento, allargarlo sempre di più e quindi arrancare, arrancare, arrancare e c’è la possibilità di tornar su; però arriva un punto dove non c’è più nulla di potenzialità di libertà! E questa seconda soglia, l’Apocalisse la chiama la morte seconda! Lì non c’è più nulla da fare!

E l’essere che non è non libero, cioè che è per natura senza facoltà di libertà, qual è?

PUBBLICO: L’animale!

A.: L’animale! La bestia! L’essere umano come bestia, è posseduto al 100%! Perché lui è sparito! Si è disfatto! In quanto potenzialità alla libertà, che è l’essenza dell’umano, l’ha disfatta tutta; non c’è più neanche un frammento di potenzialità di libertà!

PATRIZIA: Neanche reincarnandosi la prossima volta?

A.: Se tu questa possibilità di redenzione la vuoi mettere all’infinito, allora non c’è evoluzione! Ne parlavamo questa mattina: prima o poi le sorti devono decidersi: o del tutto in giù, o del tutto in su!

PUBBLICO: Ma l’Io…

A.: Annullato! Non resta più nulla di questo Io! Se questo non fosse possibile l’uomo non sarebbe libero! Saremmo tutti condannati a finire in paradiso!

I. 5: Ma se l’umanità è un organismo e noi siamo gli organi di questo organismo… in un organismo tutte le cellule hanno la loro importanza, e quindi, se anche uno solo va al livello della bestia, cosa succede all’organismo? …È malato?

A.: Allora, finché restano nell’umano, sono salvabili; perché dell’umano non si perde nulla.

Escono dall’umano! Questo è l’abisso!

Però questa è l’evoluzione di Terra 4; non è l’ultima parola, perché tu giustamente dici: l’amore divino… come la mettiamo con questo abisso? Possibile che non c’è nessuna soluzione?

Teniamo presente che prima o poi, o la libertà c’è e allora ci deve essere la libertà di finire o sopra, o sotto; oppure, se tutti alla fine, comunque avvenga la fine, devono finire sopra, la libertà non c’è! È una farsa!

Allora, la lunganimità, assoluta, dell’amore divino, prevede una Terra 5, addirittura una Terra 6, e una Terra 7. Quindi ce n’è ancora!

Terra 5, che la scienza dello spirito chiama Giove, la terra gioviale! Qui c’è la terra venerea, Venere e poi Vulcano. (Disegna un altro schema alla lavagna)

Ma questi, sono usciti dall’umano!

Qui ci sono, ricompaiono, nel ricordo di coloro che sono finiti qui. Nel loro ricordo ricompaiono. E nel loro ricordo riconquistano un’altra possibilità, a livelli del tutto diversi di evoluzione, di redenzione, come tu dici.

Nel loro ricordo! E in che cosa consiste il loro ricordo?

Il nostro amore all’umano, la nostra creatività non è stata forte abbastanza da conquistarli, anche loro! E allora ricominciamo, riproviamo!

Quindi la loro caduta fuori dell’umano ci fa piangere il cuore! E questo grande amore dei cosiddetti buoni fa rientrare i cosiddetti cattivi dentro questa corrente; e per tutta l’evoluzione di Terra 5, hanno un’altra possibilità di risalire …fino a metà di Terra 6!

Poi basta, eh! Un punto deve esserci dove basta, se no!… Se no c’è un ciclo all’infinito che è assurdo! È del tutto astratto!

Quindi l’abisso ultimo non è dove c’è un 6. Dove c’è un 6 sarebbe… il primo 6: Terra1 – sono sette periodi, qui c’è il primo 6, d’accordo? – Poi, aiutatemi, Terra 6, all’inizio di Terra 6 abbiamo il secondo 6, e alla sesta epoca di Terra 6 abbiamo tre 6!

Il problema è che tre sono i livelli dell’evoluzione; ognuno di questi 6 ha sette periodi. Allora, devo avere il 6 al livello dei cerchi, che è questo; il 6 a livello delle linee e 6 a livello dei dentini, capito!

Quindi a questo punto qui ho: 6 delle sette Terre; 6 delle sette grosse epoche e il sesto periodo di cultura.

I. 6: Vale pure nel momento in cui non c’è l’Io, cioè su Saturno, in quel caso? Vale anche se l’Io non c’è, questo 6? Perché lì l’Io non c’è ancora!

A.: Tutta la preparazione dell’Io fa parte dell’evoluzione dell’Io!

I. 6: Anche se non c’è l’Io individualizzato?

A.: È come se tu chiedessi: ma l’Io autonomo si manifesta soltanto nella pubertà, quindi prima non c’era!

I. 6: Eh, infatti!

A.: Certo che c’era! Si manifesta a un altro livello, ma c’era!

I. 6: Perché io pensavo che su Saturno l’Io fosse ancora collettivo!

A.: No, era del tutto potenziale!

I. 6: C’era l’Io di gruppo, ecco!

A.: Sì, ma l’Io individuale è del tutto potenziale! Però ci deve essere potenzialmente se no, se non c’è potenzialmente, non può saltar fuori!

Nelle cose spirituali non è come nelle cose materiali: o è a destra, o è a sinistra; che se non è a destra è a sinistra!

Nelle cose spirituali il pensiero deve avere la capacità di dire: c’è questo e quest’altro, ci son tutti e due: uno a livello manifesto e l’altro a livello di potenzialità.

L’evoluzione dell’Io abbraccia il tutto, ovviamente! È l’evoluzione dell’Io, se no non è l’evoluzione dell’umano.

FOGGIA: Volevo che finissi il concetto… che sei arrivato lì, ampliare quello che hai fatto prima: della bestia, che poi viene ripresa…

A.: Qui (alla metà circa di Terra 6) è lo spartimento ultimo degli spiriti, a quel punto lì, o sei sotto senza scampo, o sei sopra, senza più possibilità di cadere. Là dove il 6 si triplica! È il 666!

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PATRIZIA: Pietro, scusa, visto che siamo tutti un po’ vittime di omissioni, insomma, debitori rispetto al bene, e pensiamo che magari la possessione avvenga solo ai nazisti, o ai tuztu, ecc.; quando io, nel mio piccolo ometto, e quindi do spazio all’entrata di uno spirito altro, perché pensiamo sempre in grande, ai genocidi, a tutte queste cose, ma nella mia piccola vita di ogni giorno, no!, può succedere a tutti noi – l’hai anche accennato: quando saremo perfetti forse non succederà più – ma come impedirlo?

A.: Tutto ciò che non sono io a gestire attivamente, coscientemente, creativamente, mi gestisce! E ho portato l’esempio della lettura di un articolo di giornale! O sono io… perché i pensieri dell’articolista sono suoi; quindi, in quanto pensieri suoi, se io li recepisco senza prendere attivamente posizione, senza dire col mio pensare cosa io ne penso, è un frammento di possedimento!

Sono posseduto dai suoi pensieri! Ma è così palese la cosa!

Nel quotidiano, sempre! Ometto di creare i miei pensieri sui suoi pensieri! È questo che ometto! E quindi vengo soltanto posseduto: mi imbottisco con i suoi pensieri, e i miei non ce li metto. I miei pensieri sono i suoi, perché sono quelli che sto leggendo!

PATRIZIA: È un pensiero che fin da questa mattina mi arrovellava un po’. Ma può succedere che io leggo l’articolo e quel pensiero, io lo condivido! Ma quando diventa mio?!

A.: No, no, no, non si tratta che diventi tuo o no! Lo puoi condividere soltanto pensandoci sopra! E questo pensarci sopra è la tua attività! Non importa se tu lo condividi o no; importa soltanto se tu generi un processo di pensiero tuo sui suoi pensieri! Che poi sia una condivisione o un non essere d’accordo, non importa. La domanda fondamentale è: se tu ti limiti a recepire, o se, accanto al recepire, generi un processo di pensiero tuo che dice: son d’accordo o non son d’accordo; lo trovo fatto bene o lo trovo fatto male, ecc.

Se uno il concetto lo afferra è così semplice! E come tu dici: è fondamentale! Ed è al livello del quotidiano!

Noi non ci rendiamo conto di quale enormità di creatività possibile omettiamo! Non ce ne rendiamo conto perché siamo abituati a poltrire, a dormire!

Perciò dicevo: la scienza dello spirito è uno svegliarino, è proprio un aiuto a vivere la vita sempre da svegli, svegli, svegli! Cioè prendere posizione, pensare, su tutte le cose!

Adesso te ti lasci, come dire, abbindolare dai miei pensieri… ma non vedi che sei bella stramorta!

Volevo dire: lo facciamo sempre, sia l’essere passivi, sia l’essere attivi; questo è sempre presente!

I. 7: Mi riallaccio a quello che diceva l’altro intervento. Ma questo non è una condizione di giudizio continuo, nel momento in cui noi facciamo il nostro pensiero su quello che, per esempio, ha scritto il giornalista e quindi esprimiamo il nostro giudizio. Non è un giudicare continuo?

A.: Giudizi conoscitivi sono sempre troppo pochi! Non sono mai troppi! Ma fare un giudizio conoscitivo non c’entra nulla col fare un giudizio morale!

I. 7: Ah!

A.: Io ho fatto seminari interi sulla distinzione tra giudizio conoscitivo, che è in base a percezione di qualcosa che esiste, che è l’articolo che è stato scritto…

I. 7: Quindi sull’oggettività di quello…

A.: …Di quello che c’è! Invece un giudizio morale è un giudizio su ciò che dovrebbe esserci! E questo non è concesso a nessuno!

Quindi i giudizi conoscitivi – poi, chiamali concetti conoscitivi, che è meglio – non sono mai troppi!

Possiamo noi immaginare il Logos, il pensatore universale, al quale i concetti che tira fuori diventano troppi! …non esiste! Steiner lo conferma dicendo: non esistono limiti alla conoscenza! Il pensare è una potenzialità svolgibile all’infinito! Questo è il godimento della vita!

I. 8: Io mi ero perso su un punto, che è questo: se io sono arrivato a una condizione tale che ho la possibilità di creare e quindi posso creare, non capisco le motivazioni di una scelta contraria, di una scelta negativa.

Cioè, perché io scelgo di omettere?…

A.: No, non scegli di omettere! Non è una scelta…

I. 8: O mi manca qualche informazione: io credo, sono convinto che non so creare, quindi ometto perché credo di non saper creare; oppure non so di saper creare, quindi non lo faccio. Però mi riesce difficile concepire l’idea di uno spirito che sa benissimo che può creare, però deliberatamente sceglie: io non creo!

A.: No! Il non creare non è una scelta! È un’omissione di scelta!

I. 8: E quindi quando c’è stata quella biforcazione tra il bene e il male, mi era sembrato di capire che lì è un bivio, dove uno sceglie: o vado sopra, o vado sotto.

A.: Ma lo fa continuamente, nel piccolo. E lo fa continuamente scegliendo tra porsi in modo attivo, sia il pensiero, il cuore, le azioni…

I. 8: Ma se scelgo di essere passivo… ma perché lo scelgo? Cioè, qual è la motivazione che mi porta a fare questa scelta? Questo è il punto!

A.: Sì, e io cominciavo a dirti che non è una scelta e tu sei troppo impaziente! Adesso devi lasciarmi parlare! Basta che mi dài mezzo minuto!

Allora, se tu dici: io scelgo di essere passivo, sei già fuori strada! Perché lo scegliere è un atto di attività, capito! Quindi, essere passivo è un’omissione di scelta! E il motivo per cui tante persone, tutti noi, omettiamo un sacco di cose, è che omettere è più comodo, più facile che non creare.

E perché?

Io posso omettere soltanto la creatività dello spirito, non posso omettere la necessità di natura, perché quella c’è, di necessità! Quindi, nel momento in cui io ometto questa sfera superiore, di crearla, della creatività dello spirito, opera in me di giocoforza, perché c’è, tutto ciò che è di elemento di istinto naturale.

Quindi omettere la creatività dello spirito significa ridursi all’elemento di natura che ogni essere umano ha; per natura!

Però un avvio di pensiero c’è! Questo è importante! È importantissimo, le cose vanno capite! Quindi è più facile lasciarsi andare che non prendersi in mano. Perciò ti dicevo: omettere il bene, omettere ciò che è creativo, non è una scelta: è una rinuncia alla scelta; che è più comodo!

Quindi la scelta della libertà è di creare, o di lasciarsi andare.

Quella è la scelta! Allora si comincia a capirla meglio!

E noi adesso non è che vogliamo lasciarci andare, trattandosi di cena! Scegliamo liberamente di andare a cena!

Buon appetito a tutti!

Sabato 29 settembre 2012, sera

A.: Buona sera a tutti! Siamo arrivati al paragrafo 8 di questo bellissimo XII° capitolo; stavo pensando, prima di continuare, se valesse la pena – magari dopo, in chiave di discussione – che qualcuno di voi, che di sicuro c’è, tra di noi, che dice: ma come!, all’improvviso tutte le norme morali dovrebbero essere sparite! Non potrà mica essere vero!

Quindi, se vi va, qualcuno potrebbe fare da bastian contrario e cercare di difendere il fatto che, insomma, non si può avere un sociale senza norme morali! In modo da esercitare insieme e vedere se i conti tornano!

Perché l’affermazione è di una rivoluzione enorme! Copernicana proprio!

Quindi non è che Steiner esageri, eh! Intendiamoci bene! Non esagera proprio. È pulito il discorso; siamo noi che arranchiamo.

Mi sono fatto capire?

Andrebbe esercitato forse un pochino di più rispondere alle obiezioni che ognuno si può fare; che sorgono spontanee…

I. 1: Si potrebbe capire meglio…

A.: Vuoi partire subito? Se tu parti dicendo: si potrebbe capire meglio la cosa, ovviamente, mi interessa subito!

I. 1: Da parte mia vorrei capire meglio perché si aggiunge questa parola: “morale†ad azioni, e da dove viene questa parola, e che differenza c’è tra morale ed etica. Per chi non ha fatto studi filosofici come me… mi trovo alle volte che non capisco bene.

A.: Grazie! È un ottimo modo di chiarire.

La parola “morale†viene dal latino: mos, moris, che significa: costume. Uguale, tale e quale, alla parola “etico†che viene dal greco: etos, che significa: costume.

In tedesco hanno una terza parola: “sittlichâ€, che viene da Sitte; e cosa significa Sitte? Costume!

Quindi tutte e tre le parole significano: agire onorando il costume! L’uso e il costume… tra l’altro in italiano diciamo: l’uso e il costume! Non basta l’uso, diciamo: l’uso e il costume.

Quindi: comportamento d’uso!

E a Napoli, a uno che non segue ciò che è di costume, cosa gli dicono?

È uno scostumato!

Uno scostumato è uno che va fuori del costume; che non rispetta il costume.

Nella fase infantile dell’umanità, l’uso e il costume sono le regole del gioco.

Ora le regole del gioco, per chi sa giocare, sono la cornice; ma il gioco non consiste nel rispettare le regole! Non si esaurisce nel seguire le regole! Così come il senso di guidare la macchina non è quello di osservare le regole del traffico. Il senso di guidare la macchina è di arrivare al posto dove si vuol arrivare!

Quindi, osservare le regole, è una “conditio sine qua non†per arrivare alla mèta, per godersi il gioco.

Quindi, usi e costumi sono le regole.

Ora, il bambino piccolo non ha la capacità di usare ciò che è comune, regola comune, regola del gioco, per giocare! Perché non sa ancora giocare da adulto!

Non sa pensare in un modo individuale, per creare modi di comportamento, azioni, ecc., del tutto individualizzati.

Quindi, nel passato dell’umanità, abbiamo una parola latina e una parola greca – quella poi in tedesco è una parola anglosassone; lasciamola via la terza, crea solo pasticci in Italia – due bastano: latino e greco, no!

Morale, mos moris, è ciò che segue, che si attiene, alla regola comune!

Ciò che si attiene alla regola comune è moralmente buono? – morale significa: buono – È moralmente buono per l’uomo?

Soltanto nella misura in cui, rispettare le regole valide per tutti, serve, fa da base, rende possibile, il creare un mondo del tutto individualizzato, del tutto fantasioso, del tutto artistico, che si crea sulla base di ciò che è comune!

Adesso io vi chiedo: le regole del gioco, del calcio, del traffico – pensateci bene, eh!, la domanda è molto precisa! – sono ingiunzioni di cose da fare, o sono proibizioni?

PUBBLICO: Sono proibizioni!

A.: Sono in assoluto proibizioni!

Ti è proibito toccare il pallone con la mano, per esempio! Sono proibizioni!

Ci sono comandamenti? Si può comandare, in chiave di traffico, dove una persona deve andare?

No! No! Son soltanto proibizioni! Ti è proibito marciare a sinistra, per esempio; devi marciare a destra, in Italia.

Ma “devi marciare a destra†non è un comandamento; è una proibizione di marciare sulla sinistra!

Quindi, con l’emergere della libertà individuale, della creatività dell’individuo, ciò che prima era il tutto del bene, diventa la conditio sine qua non. E diventando la conditio sine qua non, la cornice necessaria, deve limitarsi a proibire ciò che altrimenti lederebbe la libertà di ognuno.

Quindi, la categoria morale, il concetto di morale che intenderebbe dire che morale, moralmente bene per l’uomo, che realizza l’uomo moralmente in positivo, se l’uomo si riduce a ciò che è generalizzabile, a ciò che è di costume, addirittura a ripetere ciò che c’è già stato nel passato, perché è di uso e costume, è un enorme fraintendimento, un enorme errore sull’essere umano!

E poi, trasformato in morale, è un enorme soggiogamento, un esercizio di potere assoluto sull’essere umano! Tacciando di immoralità colui che non segue, che non si adegua, che non si riduce, non si sottomette, a ciò che è di uso e costume.

Quindi, man mano che uno fa questi esercizi di pensiero – tu adesso ci hai dato un’occasione bellissima di farli – si crea proprio una terapia di shock di fronte al tipo di fatiscente morale – che poi è del tutto immorale – che noi ci stiamo trascinando; che poi è l’opposto del bene morale.

Perché l’unico bene morale che c’è è la realizzazione in positivo dell’umano, in chiave irripetibile, unica, in ogni individuo umano.

Sei “morale†nella misura in cui ti metti in riga! Agisci secondo l’uso e il costume.

Mos moris… mi viene in mente una parola italiana, visto che io, stando in Germania, mi devo rinfrescare l’italiano. C’è un’altra parola interessantissima, che poi non si può spiegare a nessun straniero che cosa significa e che parte da mos moris: la persona morigerata!

Massimo tu, toscano, ci spieghi cosa vuol dire: morigerato?

Viene da mos moris …Ci devi pensare bene, eh!

MASSIMO: Sì, morigerato è: che si fa portare anche da una regola di comportamento, da una norma comportamentale.

Quindi che si fa gestire da tutti fuorché da se stesso. Insomma da qualcosa che è già costituito, predisposto.

A.: Ma a me sembrava che “morigerato†fosse una categoria buona! Una persona morigerata è una persona buona! Tu la presenti come una persona castrata!

PUBBLICO: Uno che evita gli eccessi / Né caldo né freddo / moderato / modesto…

A.: No, no, no, morigerato è una categoria morale!

MASSIMO: Ecco, il suo comportamento è uno standard.

A.: Riceve l’approvazione comune! Ha la benedizione comune!

PAOLO: È uno sfigato, secondo me; è l’opposto oggi!

A.: Eh, lo so! Perciò lo stiamo spiegando!

Allora, entrando nel merito di queste parole – tra l’altro: morale, da mos moris! – ci rendiamo conto del paradosso di quale tipo di morale fatiscente – che è diventata immorale – noi ci stiamo trascinando! Addirittura a livello di linguaggio!

Quindi l’urgenza di far pulizia, anche di pensiero, si evidenzia in un modo così chiaro!

MASSIMO: Morigerato: che non dà scandalo, ecco!

A.: Evita gli eccessi! Si tiene in riga! Non esce dai ranghi! Resta bene inquadrato!

MASSIMO: Rispetta l’uso comune!

A.: Eh, certo! Gli usi e i costumi!

PAOLO: Non son d’accordo! Il morigerato non rispetta per niente gli usi comuni!

MASSIMO: Però, Paolo, è nella parola!

A.: È nella parola!

PAOLO: È uno che si ribella al fatto di essere consumatore; è uno che decide, non è passivo! Io parlo di oggi non dell’800!

A.: Paolo, vuol dire che il morigerato milanese è diverso dal morigerato toscano! Che ti devo dire!

PAOLO: È una qualità che non c’è più! È una qualità che è sparita! Cioè: morigerato, oggi, è una persona che decide di stare in mezzo riguardo agli eccessi, cioè di non essere troppo spendaccione, di non vestirsi alla moda, di non consumare troppo…

PUBBLICO: No! No! (Qualcuno dice: sì!)

PAOLO: Come no! Il morigerato decide lui di non buttare via, di tener la macchina per vent’anni, ecc. Io la vedo in positivo perché oggi…

A.: Ma guarda, Paolo, tu non puoi imporre il tuo modo di sentire una parola a tutti gli altri! Gli altri li devi sentire! Sei nella minoranza assoluta!

È importante questo, eh! È importante!

LUCIANA: Io sono d’accordo!

A.: Tu sei d’accordo? Ah, Luciana è d’accordo con te!

Allora, diremmo, il paradosso sta nel fatto che, se noi dovessimo dire le cose sincere, col coraggio della pulizia conoscitiva, dovremo dire che, la categoria del morale: mos moris, nell’epoca della libertà, ciò che si chiamava una volta morale diventa immorale!

Vedere il bene dell’uomo nel seguire ciò che c’è già stato, nel ripetere l’uso e il costume che c’è già stato, nell’esaurirsi in una legge comune, nel non far sorgere nulla di individuale, di creativo, di nuovo, di fantasioso, di artistico, è immorale! Perché taccia di negatività, presenta come se fosse un male morale tutto ciò che non segue l’uso e il costume.

È da far spavento se uno ha il coraggio di esprimerlo in un modo pulito, il pensiero!

Quindi l’assenza della creatività individuale, che è solo potenziale, per cui la sua realizzazione è assente nella fase infantile; questa assenza che è propedeutica, che precede la fase morale che crea il bene morale – morale tra virgolette perché la parola significa l’opposto! – questa assenza di moralità, assenza di creatività individuale propria della fase infantile, viene messa come se fosse in toto, anche per l’adulto, l’essenza della moralità!

Quindi si vede l’essenza della moralità nell’assenza della creatività individuale!

Una cosa allucinante! Se uno si rende conto di quello che si sta dicendo.

Perciò dicevo: se si è coraggiosi e se si è puliti, non si può esagerare in queste cose! Noi ci trasciniamo una morale, come cultura, retriva, retriva! Che è diventata un’antimorale! È diventata del tutto immorale!

I. 1: Ma mi sembra un po’ un discorso a senso unico quello che è stato detto ora. Cioè l’uno non esclude l’altro. Uno, quando nasce in una società, come fa a costruire qualcosa di nuovo, di artistico, di creativo se prima non comprende quello che già c’è?

Già nel comprendere c’è un atteggiamento creativo; poi si costruisce qualcosa di nuovo! Quindi lo trovo vero in parte quello che è stato detto.

A.: Mi piace che ritorni alla carica! Perché godo di non farmi intimorire!

Guarda che son tutti – anche se non consci, eh! – tentativi di intimorire!

Non voluti, eh!, ma son tentativi di intimorire.

Adesso io ti chiedo – perché l’esercizio val la pena di farlo –: tu dici: “prima diâ€, quindi l’hai posto in successione di tempo, no! Prima di permettermi, o che mi si permetta – come se mi si dovesse permettere – di creare qualcosa di individuale, di unico, fantasiosamente, artisticamente, devo ben conoscere ciò che è già stato fatto! E io ti chiedo: e perché?

Poi – ancora più importante –: quanto devo conoscere di ciò che è stato fatto, per avere il diritto di vivere da creatore?

I. 1: Per me già l’atteggiamento di andare in un paese nuovo, di cercare di conoscere quello che c’è per dir la mia, è un atteggiamento creativo, perché conoscere non è facile! Quindi, da bambino, appena uno arriva in questo mondo, se ha questo atteggiamento attraverso l’educazione, credo che sia… il conoscere per me è uno sforzo, è un atteggiamento creativo, non è passivo! Certo, lo scelgo io; se mi viene imposto dall’esterno allora no, giustamente

A.: Allora diciamo che l’essere umano, per natura, porta in sé, già dalla nascita, la potenzialità, la capacità che sviluppa sempre di più, di individualizzare l’umano; e io posso individualizzare l’umano soltanto attraverso un processo creativo.

Se lo individualizzo, lo esprimo nel mio essere in un modo che c’è soltanto in me, questo modo di essere uomini che c’è soltanto in me, lo posso creare soltanto io! Allora diciamo che c’è già in partenza, insito nella natura umana! E non c’entra nulla col fatto di prima o dopo, di dover conoscere il mondo che c’è!

I. 1: D’accordo!

MASSIMO: Mi viene in mente una cosa però: e se il mio creare, quindi non una cosa dovuta, o imposta, ma quello che voglio veramente io, può rientrare il mio volere libero in una, tra virgolette, media; cioè nell’uso e costume. E se quell’uso e costume fosse proprio quello che voglio io…

A.: Termino di essere un Io! e mi riduco a ciò che è comune.

MASSIMO: Okay, però: necessariamente il mio volere, l’espressione della mia individualità deve essere qualcosa di originale, di diverso dagli altri, oppure può rientrare nell’aurea mediocritas?

A.: Nell’aurea mediocritas rientra soltanto l’annullamento dell’io!

MASSIMO: No, perché mi disturbava pensare di dovere essere, quasi per forza, originale in quello che esprimessi in qualche modo!

A.: E perché ti disturba?

MASSIMO: Perché potrebbe essere invece anche corrispondente a quello di un altro, di un altro Io. Penso all’organismo: ogni organo è diverso e specifico e differenziato rispetto a un altro; però è anche vero che esiste anche un tessuto connettivo, insomma qualcosa di comune ai vari organi; non necessariamente il mio comportamento in ogni azione deve essere originale per essere libero. Ecco, è questo che mi pongo!

A.: Quella parte che è originale è la parte libera! La parte che non è originale è la parte non libera! Nessuno sta dicendo che l’essere umano è chiamato ad essere soltanto libero, soltanto originale! Già la sfera corporea soggiace a leggi abbastanza generalizzabili; per esempio l’invecchiamento vale per tutti!

MASSIMO: Ecco, allora si potrebbe mettere la domanda – faccio un po’ l’avvocato del diavolo – cioè, in altro modo: è possibile che due persone in una determinata circostanza, analizzando le circostanze del caso, del qui e ora, vogliano, pur rimanendo libere, la stessa cosa?

A.: No! In assoluto no!

Adesso, mentre tu esprimevi i tuoi pensieri, io avevo espresso il desiderio che mi venissero incontro dei bastian contrari! Era proprio questo che avevo detto!

Per quanto mi riguarda sono ottimi gli esercizi che stiamo facendo.

Adesso, questo fantomatico lato, o aspetto, o diciamo: dimensione individualizzata, la prendo dal punto di vista del vissuto.

Ora il vissuto è in ogni essere umano, in assoluto, unico! Mi spiego?

Non ci sono due persone che possano vivere un vissuto del tutto uguale!

La morale antica, abituata a gestire l’essere umano bambino, con regole di gioco comuni, tende a dire che ciò che è il tuo vissuto, ciò che c’è soltanto in te, e che non c’è negli altri, è meno prezioso per l’umanità che non ciò che tu hai in comune con gli altri!

Invece la morale della libertà, proprio capovolge questo pensiero e dice: ciò che tu hai in comune con gli altri è meno prezioso, perché ce l’hanno tutti! E quindi se mancasse in te niente di male, perché ce l’hanno gli altri!

Invece la cosa moralmente più preziosa perché arricchisce l’umanità, e arricchendola è moralmente preziosa, è ciò che è unico in te!

Questo tipo di morale, la morale vecchia non lo capisce proprio! Non la vuol sentire questa cosa!

Questa ricchezza del tutto individualizzata di una persona, in base al suo vissuto, porta nell’umanità un frammento dell’umano che è del tutto nuovo soltanto lì; arricchisce… io, mentre ascolto un’altra persona, cosa godo di più: ciò che riconosco in me, o ciò che io non ho?

Godo di più ciò che io non ho!

Questo è il nuovo di questo tipo di morale!

MASSIMO: Certo! L’arricchimento, insomma!

A.: Invece la morale antica dice: è moralmente più importante ciò che abbiamo in comune!

MASSIMO: È la paura del nuovo!

A.: Eh!, della libertà individuale!

Allora tu hai una mamma con 5 figli, cos’è che hanno in comune?

La mamma!

Quindi la mamma è più importante di tutti loro 5 messi insieme!

Vedi! Vedi! Il pensiero, se tu lo svolgi, ti trovi di fronte a una morale del tutto retriva, perché non ha la capacità di godere, e quindi di apprezzare moralmente il peso morale dell’individualizzazione dell’umano, diversa in ognuno, e che invece ritiene moralmente più buono ciò che hanno tutti!

Allora, tra lo spirito, dove c’è il massimo di individualizzazione, l’anima dove c’è una sfera media di individualizzazione, e il corpo dove c’è un minimo di individualizzazione possibile, ciò che è moralmente più valido, di un valore morale maggiore dell’umano, dovrebbe essere il corpo, perché quello ce l’abbiamo in comune tutti!

Quindi è una morale di impoverimento dell’umanità!

Quindi, vedi, svolto dal punto di vista del vissuto… perché poi una persona ti porta incontro il suo vissuto; se tu hai un occhio per coglierlo, lo godi! E l’altro, quello che hai in comune, è noioso scusa!, lo so già, l’ho vissuto anch’io! Non mi portare incontro il mal di testa, lo conosco già da me! Portami incontro pensieri che io non ho mai pensato! Allora sì!

MASSIMO: Quindi è la diversità che ha valore!

A.: Esatto! Esatto! Guai se gli organi del corpo cominciassero a sottolineare, a dare maggior peso, a ciò che hanno in comune! Perché allora il polmone vorrebbe andare incontro al cuore sottolineando quello che hanno in comune col risultato di non avere né polmone, né cuore, perché tutt’e due cercano di fare la stessa cosa!

CARLO: Pietro, però tornando indietro, rendiamoci conto che nell’antichità…

A.: “Però rendiamoci conto cheâ€! Voi immaginate – mi conoscete un pochino, no! – immaginate come io reagisco sentendo: “però rendiamoci conto cheâ€!

CARLO: Volevo farti la provocazione, dài!

A.: No, io ti ho sottolineato subito che tu partivi come…

CARLO: Rendiamoci conto, non è più una provocazione, è una constatazione che nell’antico ebraismo era veramente molto più importante il comune! Per esempio trasgredire il sabato era…

A.: Perché?

CARLO: Perché si dava più valore al comune…

A.: No! No! Assolutamente no! Perché la capacità di creare l’individuale non c’era! Io e il padre Abramo siamo una cosa sola!

CARLO: Certo! Certo! Poi storicamente ci siamo anche stati in quel periodo, no!

A.: E ci siamo rimasti!

CARLO: A tutt’oggi!

A.: A tutt’oggi! È questo che stiamo dicendo! Che ci siamo passati va bene! Ognuno passa per l’infanzia! Però ci siamo rimasti!

CARLO: Un altro tipo di provocazione che potrei fare è questa: andare a spasso per il corso principale di Roma con un imbuto in testa è un atto di libertà?

A.: Fammi capire bene: di che corso… di corsi ce ne sono diversi a Roma, con un imbuto in testa! Quanto lungo dev’essere l’imbuto?

CARLO: Ti aggiungo anche, non so, con un’oca al guinzaglio come fanno gli inglesi!

A.: Quanto è lungo il guinzaglio?

CARLO: Un metro e mezzo!

A.: E il tuo concetto di stravaganza, quanto deve essere grossa l’oca per essere stravagante?

No adesso andiamo al nocciolo della questione, lui dice – raccogliamo la provocazione a pensare –: un’azione stupida può esser espressione della creatività libera?

Ciò che per l’altro sia o non sia espressione della sua creatività libera, tu non lo potrai mai sapere, quindi chiudi il becco!

E colui che fa questa azione… non sarà facile neanche per lui sapere se è un’espressione della sua creatività! Perché se lo fa soltanto per provocare, per far bella figura, per farsi guardare…

CARLO: Lo saprà dopo!

A.: No, no, aspetta! Uno fa qualcosa per mettersi in mostra! Lo sa!

Adesso io chiedo – dal di fuori non si può giudicare –: ma quando io sono colui che fa una cosa così vistosa, da costringere gli altri a guardarmi per mettermi in vista, con l’oca, con l’imbuto, ecc., no!

Adesso io so di fare un’azione con lo scopo di mettermi in vista, e tu chiedi: posso io avere la convinzione che questa azione è creata liberamente dalla fantasia morale del mio essere?

CARLO: Come rispondo; che dici?

A.: Eh, colui che fa l’azione…

LUCIANA: Sei tu che devi rispondere!

A.: Certo! Certo! Non può essere creativa perché è stata generata in base a ciò che è generalmente ridicolo o non ridicolo. Quindi si orienta a qualcosa che è generale, non individuale. Quindi la norma di questa azione parte dalla reazione che io mi propongo, che mi riprometto, che anticipo che verrà dal di fuori. Quindi la norma all’origine di questa azione non è in una creatività specifica, artistica, del mio essere, ma da un guardare a ciò che gli esseri umani, in genere, stando all’uso e il costume, ritengono, giudicano, ridicolo!

E lo so!

Se invece dico: no, no, questa è una creazione assolutamente presa dalla creatività del mio Io… sto barando con me stesso! Questa sarebbe la mia risposta!

LUCIANA: Scusa, Pietro, tornando due o tre passi indietro, l’amico là dietro, ti aveva chiesto la differenza tra morale e etica. Da quell’etimologia che tu hai fatto sembrerebbe che siano tutt’e due la stessa cosa…

A.: Certo! Solo che l’origine della parola “etica†è greca e l’origine della parola “morale†è latina. È la stessa cosa!

LUCIANA: Seconda cosa: Massimo ti aveva chiesto: è possibile che due azioni creative, dettate dalla fantasia morale, possano essere uguali?

A.: È escluso in assoluto, ho risposto io, perché la fantasia morale è per natura individualizzata! Ora, siccome è più difficile cogliere l’elemento di individualizzazione a livello di concetto, io glielo ho evidenziato a livello del vissuto.

È più difficile perché dovremmo andare a suon di pensiero e poi la maggior parte delle persone mi direbbe: sei stato astratto, non s’è capito! Allora io gliel’ho svolto a livello del vissuto, perché l’intuizione di un’azione non comporta soltanto l’azione stratosferica, l’essenza di un’azione è ciò che l’individuo vive nel farla! E ciò che l’individuo vive nel farla, è per natura assolutamente individualizzato, perché un vissuto non si può avere, neanche per tre secondi, uguale in due persone! Dovrebbero essere la stessa persona!

Il vissuto in questo momento, in questa sala, è del tutto, ma proprio del tutto individualizzato in ognuno; non ci sono due vissuti in questo momento uguali; è assurdo, proprio impensabile! Oppure si disattende il vissuto; cosa che succede!

I. 2: Si potrebbe dire che un’azione libera non si orienta sulle conseguenze?

Rispetto a quello che ha detto prima…

A.: No, le conseguenze non ci sono ancora!

I. 2: Esatto! Non si orienta sulle conseguenze!

A.: Si orienta, ma soltanto su un elemento però: sulla possibilità umana di anticipare le possibili conseguenze – perché sono ancora possibili – per ora non ci sono, saltano fuori solo dopo!

Quindi, nel progettare l’azione, io posso soltanto anticipare le possibili, probabili, conseguenze ed inserirle nella progettazione. Ma le conseguenze vere e proprie non ci sono ancora.

I. 2: Ma non sono la molla! Questo intendo! Cioè: l’azione libera non è mossa dall’amore per l’azione stessa…

A.: No, no! Nella prima stesura della Filosofia della Libertà Steiner aveva la dicitura: “ amore all’azioneâ€. Nella seconda ha cambiato, in tedesco.

Se io ho un amore all’azione, ricatto il mio agire perché lo subordino all’azione da conseguire! Invece l’agire è molto più libero nell’ “amore all’agireâ€!

Perché l’azione è già il risultato, una conseguenza; ma io non so se salta fuori questa azione; se mentre comincio ad agire, il mondo reagisce e mi fa cambiare mentre sto agendo?

Quindi l’amore puro è l’amore all’agire! Lasciando aperto all’azione che salterà fuori; o che non salta fuori!

I. 2: Diciamo che l’azione dà una percezione…

A.: Certo! Certo! Quindi l’azione è già un ricatto, l’inizio del ricatto della libertà dell’agire.

Quindi la libertà, la libertà pura, è l’esprimersi puro della creatività dell’Io! E dopo guarda cosa salta fuori!

Tanto è vero che il Creatore, nella Bibbia, non si dice che lui ha avuto amore all’azione, perché per aver amore all’azione, avrebbe aver dovuto aver amore alle cose che sta creando, ma allora le deve già conoscere! Non le conosceva!

Lui ha avuto amore al creare e, dopo aver creato, ha visto che le cose erano buone!

Bellissima cosa! E da lì si imparano sempre più sottilmente le leggi della libertà!

Quindi la libertà è l’amore al creare, non al creato che salta fuori!

Il creato è il risultato.

Amore al creare: quindi godere l’essere creatore! Questo è il sommo bene per gli esseri umani; e sono massimamente fecondi, i creatori, quando godono l’essere creatori! Arricchiscono al massimo, perché se io ricatto l’esser creatore, col creato, con l’azione che deve saltar fuori, sarò subito meno creatore!

PUBBLICO: Sarebbe un secondo fine!

A.: Certo! Sarebbe un secondo fine: un agire con un secondo fine. Un secondo fine che è la fine del primo fine!

(XII, 8) Qualcuno ha voluto conservare il carattere normativo delle leggi morali almeno nel senso che l’etica sia da intendere come una specie di dietetica, che dalle condizioni di vita dell’organismo trae delle regole generali, in base alle quali può poi esercitare influenze particolari sul corpo (Paulsen, Sistema di etica). Questo paragone è falso {è errato}, perché la nostra vita morale non si può confrontare con la vita dell’organismo.

Quindi, quando si fa un paragone bisogna prenderlo dai lati in cui calza, e nessun paragone può calzare su tutta la linea; perché se io paragono due cose e il paragone calza su tutta la linea, non son due cose: sono una cosa sola! Beh, è ovvio, no!

(XII, 8) L’attività dell’organismo esiste senza il nostro intervento; noi troviamo nel mondo le sue leggi già belle e fatte; possiamo quindi cercarle e, dopo averle trovate, applicarle. Ma le leggi morali devono prima essere da noi create.

Ora, guardiamo questa frase: “le leggi morali devono prima essere da noi createâ€.

Abbiamo un linguaggio talmente retrivo, talmente antiquato, che ci tocca dire: “le leggi moraliâ€! Ma parlare di leggi morali è un parlare così improprio, perché non esistono leggi morali!

Ora, “leggi morali†– ce l’avete sul testo – metteteci, per lo meno due grossi tra virgolette, santa pace! Perché il concetto di legge… ditemi voi due o tre caratteri fondamentali del concetto di legge!

PUBBLICO: Universalità!

A.: Universalità, bene! E qui stiamo parlando di un morale che non è per nulla universalizzabile!

Un altro carattere fondamentale?

PUBBLICO: Ripetitività!

A.: La ripetitività, la ripetizione… un caso unico non fa una legge! Una legge è qualcosa che si ripete; appunto secondo una legge, no!

Ora, noi stiamo parlando di un morale, di un bene morale, dove è escluso in assoluto il generalizzabile – universale, o generale – e dove è escluso in assoluto il ripetersi; perché ogni ripetersi è un uccidere la creatività fantasiosa che crea qualcosa di sempre nuovo.

Se io mi ripeto, anche soltanto due volte, sono morto la seconda volta! Ometto di ricrearmi la seconda volta. E mi ripeto!

PUBBLICO: È creazione morale il termine di “ legge moraleâ€!

A.: Sì, ma il termine “legge†è l’opposto! È questo che sto dicendo!

PUBBLICO: Ma è quello antico!

A.: Sì, però il linguaggio che noi abbiamo… io volevo dire: questa scienza dello spirito ci fa capire che noi, anche a livello del linguaggio, dobbiamo creare categorie del tutto nuove! Se no ci tocca usare dei termini che dicono l’opposto di quello che si sta dicendo!

Rileggiamo questa frase: …noi troviamo nel mondo le sue leggi già belle e fatte …sono leggi di natura, quelle sì che si possono chiamare leggi! …possiamo quindi cercarle e, dopo averle trovate, applicarle. Ma le leggi morali… lui parla di leggi morali come se ci fossero!

VILMA, LUCIANA: Ma in tedesco cosa c’è?

A.: La traduzione va bene, però non è che sia… (legge la frase tedesca) …per forza, non è che in tedesco sia diverso; il linguaggio è il passato dell’umanità, eh! Però qui la parola “leggi†è del tutto fuori posto!

Il problema è: cosa dovrebbe scrivere Steiner?

Dovrebbe scrivere qualcosa che non è recepito nel linguaggio!

Già questa scienza dello spirito è indigeribile perché porta, a livello di contenuti, anche a livello di evoluzione, degli elementi enormemente nuovi; se poi si permette di rivoluzionare il linguaggio oltre un certo limite, le persone trovano subito la scusa per scartarla del tutto!

LUCIANA: Se uno mettesse: comportamenti?

A.: No! No! Intuizioni morali!

PAOLO: Scusa, ma perché qua lui fa un’obiezione a quelli che gli dicono sulla dietetica…

A.: No, no, sta nella risposta adesso!

PAOLO: Perciò lui parla di leggi perché quelli sono vecchi…

A.: Sì, sì, certo, però lui fa delle concessioni al linguaggio che non ha ancora creato categorie. Bisogna creare parole che non ci sono!

Essere scienziati dello spirito significa, tra le altre cose, avere il coraggio di creare, a ragion veduta e quindi anche con cautela, parole che vanno inserite nel linguaggio comune. Ma vanno create parole che non ci sono!

Perché si tratta di parlare di realtà di cui finora non si è parlato!

VILMA: Possiamo mettere: intuizioni!

A.: Sì, le intuizioni morali! Devono prima essere da noi create! Allora va bene!

(XII, 8) Ma le leggi morali devono prima essere da noi create. Non le possiamo applicare prima che siano create. L’errore nasce dal fatto che le leggi morali non vengono create ogni momento con un contenuto sempre nuovo, ma si tramandano per eredità: {e quindi gli esseri umani fanno in questo modo: tramandano le cosiddette leggi morali per eredità} e quindi le leggi ricevute dagli antenati ci appaiono date allo stesso modo che le leggi naturali dell’organismo. Ma non è vero che una generazione posteriore abbia ragione di applicarle come si applicano le regole dietetiche, perché le leggi morali valgono per l’individuo e non, come le leggi naturali, per l’esemplare della specie. Come organismo, io sono un siffatto esemplare della specie, e vivrò secondo natura se applicherò al mio caso particolare le leggi naturali della specie; come essere morale sono invece un individuo, ed ho leggi del tutto mie particolari.

E ho intuizioni di comportamento del tutto individuali!

Qui la categoria “leggi†stride al massimo! Però si capisce che Steiner non può permettersi di cambiare il linguaggio. Quindi si attiene al linguaggio; sta a noi capire che, a questo punto qui, il linguaggio tramandato fa cilecca! Perché dice: “come essere morale sono un individuo unico e ho leggi mie del tutto particolariâ€. Allora non sono leggi! Il concetto di legge è generalizzabile di qualcosa di ripetibile. Se uno invece di leggi dice intuizioni: “ho intuizioni mie del tutto particolariâ€, allora va bene!

LUCIANA: Tornando un momento indietro, abbiamo cominciato a riflettere sull’uso improprio della parola “legge†morale, che dobbiamo creare…

A.: Comprensibile però, perché Steiner non poteva creare una parola nuova.

LUCIANA: Esatto, però possiamo sostituire con intuizioni di comportamento, che è più adeguato. Però poi, proseguendo la lettura, vediamo: l’errore nasce dal fatto che le leggi morali non vengono create ogni momento con un contenuto sempre nuovo, ma si tramandano per eredità.

A.: Purtroppo!

LUCIANA: Adesso sta facendo riferimento alle leggi della morale corrente…

A.: Certo!

LUCIANA: …anche se adopera lo stesso termine!

A.: Certo! Intende dire: l’errore nasce dal fatto che purtroppo gli esseri umani sono abituati a non creare le leggi morali ogni momento, con un contenuto sempre nuovo, ma si sono abituati, per comodismo, a tramandarle per eredità!

Questo intende dire. È ovvio!

In tedesco il pensiero è più pulito: si capisce che gli esseri umani si sono abituati, per uso e costume, a tramandare le leggi morali da una generazione all’altra.

Le norme morali da una generazione all’altra, come si tramandano le leggi di natura, le forze di natura, da una generazione all’altra. Quindi gli esseri umani si sono abituati a considerare la morale come se fosse un dato di natura, con leggi costituite; da tramandare e da rispettare, con norme a cui sottomettersi.

(XII, 9) L’opinione qui sostenuta sembra essere in contraddizione con quella teoria fondamentale della moderna scienza naturale che si chiama “teoria dell’evoluzioneâ€. Però sembra soltanto. Per evoluzione intendiamo il reale svilupparsi, per via di leggi naturali, di ciò ch’è posteriore da ciò ch’è precedente.

Dal seme si sviluppa la pianta! Chi è la causa della pianta?

La causa della pianta… prendiamola a tre livelli, adesso, in riflessione scientifica di scienza naturale che considera ciò che è percepibile e di scienza spirituale che considera anche ciò che non è percepibile.

Ci sono tre livelli, per lo meno, di cause. Uno sono le forze eteriche che sono attorno alla materia del seme; quella è una causa, ma una sola però. Poi una causa ancora più importante sono i cosiddetti spiriti della natura; chiamiamoli gli gnomi che lavorano nelle forme fisse del minerale, le ondine che lavorano nell’elemento dell’acqua, le silfidi che lavorano nell’elemento dell’aria e le salamandre che lavorano nell’elemento del calore: Se non ci fossero queste quattro causazioni degli spiriti della natura la pianta non salterebbe fuori! Quindi fanno parte della causalità della pianta! …Basta?

No! C’è tutto l’elemento del terreno, dei sali, degli acidi, poi la luce, il calore, l’acqua, ecc.; perché senza tutti questi elementi la pianta non può sorgere!

PUBBLICO: Condizioni, strumenti.

A.: Il concetto di strumento, di condizione, presuppone un essere spirituale pensante che si serve, si avvale, di questo strumento. Il martello è uno strumento e l’essere umano, che è uno spirito, usa lo strumento.

Allora distinguiamo, come fa Aristotele, una causa efficiente, che è lo spirito creatore che crea la pianta. Quindi lo spirito che crea la pianta è la causa efficiente della pianta.

Poi c’è la causa materiale, la causa formale, c’è la causa finale – quattro cause fondamentali – poi Tommaso d’Aquino ce ne ha aggiunte ancora 5 o 6!

Chi è la causa efficiente, quindi determinante in assoluto di una pianta?

Lo spirito che l’ha ideata! Che l’ha pensata! È ovvio!

Il Logos!

La filosofia greca e il vangelo di Giovanni lo chiamano: il Logos! Lo spirito pensatore universale!

E perché non basta lui a far crescere la pianta? Ha bisogno degli spiriti della natura?, ha bisogno della terra?, ha bisogno del seme?

PUBBLICO: Ha pensato tutto, compreso le condizioni.

A.: Tutto il resto… una pianta, a livello di essere spirituale, basta il Logos! Tutto il resto ci vuole per renderla percepibile all’uomo!

Quindi tutto i resto è puro amore all’essere umano; amore che intende rendere questa pianta percepibile all’essere umano, in modo da rendergliela pensabile!

Quindi tutta la creazione visibile, percepibile, è puro amore all’essere umano; ha reso tutti i pensieri divini percepibili per darci la possibilità di pensarli. E, pensandoli, di diventare sempre di più, noi stessi, spiriti creatori!

Allora, è giusto dire che la pianta si evolve dal seme?

PUBBLICO: Non è completo! È povero! Manca!

A.: No! È come dire: uno scrive un romanzo di 10 capitoli, e il settimo capitolo è la causa dell’ottavo! Dal settimo si sviluppa l’ottavo! Quindi il settimo capitolo determina, è la causa, dell’ottavo!

No! La causa dell’ottavo capitolo è lo scrittore!

Però, se lo scrittore non è creatore più di tanto, si lascia imporre dal settimo capitolo ciò che salta fuori nell’ottavo!

E se io, avendo letto il settimo capitolo, già so, già posso anticipare, cosa ci sarà nell’ottavo, so di avere a che fare con uno scrittore pochissimo creatore, e mi annoio! Interessante è la lettura soltanto quando io alla fine del settimo capitolo non ho la minima idea di cosa salterà fuori nell’ottavo!

LUCIANA : E qual è il nesso che stai facendo col seme?

A.: La teoria dell’evoluzione parla, considera, o interpreta, le sequenze nel tempo così: qui c’è il prima e poi il dopo: Il prima e il dopo nel tempo viene interpretata come se fosse un rapporto di causa! Ciò che è prima è causa e ciò che è dopo è effetto! È questo il concetto, eh!

Perché la teoria dell’evoluzione dice: ciò che è prima è la causa; tu capisci ciò che salta fuori dopo considerando causa ciò che c’era prima! E questo è un pensare massimamente impoverito!

LUCIANA: Perché il fine può essere la causa!

A.: Ciò che c’era prima è la causa di ciò che viene dopo per i poveri di pensiero! Invece per chi è ricco di pensiero ciò che viene dopo è la causa di ciò che viene prima!

Allora, io ho quattro passi, adesso vi metto quattro passi consecutivi nel tempo, uno dopo l’altro nel tempo – che poi è stato così! –. Supponiamo che sia sorto nel tempo: primo passo: 1) il minerale; secondo passo: 2) il vegetale; terzo passo: 3) l’animale; quarto passo, ci siamo noi, e fermiamoci lì, di meglio non c’è: 4) l’umano.

Il pensare povero che interpreta il prima e il dopo come causa ed effetto, è un pensare povero perché il pensare forte dice: io voglio raggiungere l’umano! E per raggiungere l’umano devo fare tre passi, quindi l’umano che voglio raggiungere è la causa di 3), come condizione necessaria; è la causa di 2), come condizione necessaria; è la causa di 1), come condizione necessaria.

Quindi il pensare forte procede dalla fine verso l’inizio! Quindi, la causa di ciò che avviene dopo è la causa di ciò che avviene prima!

Il viaggio di andata a Roma, per andare al seminario, avviene prima… qual è la causa di questo viaggio di andata, che avviene prima?

È il seminario, che avviene dopo!

Quindi, ciò che avviene dopo, per lo spirito che agisce secondo scopi, secondo mete, da raggiungere, è la causa di ciò che viene prima! La causa dei passi per arrivarci!

Ora, il fatto che io, come creatore divino, mi serva del minerale, per poi sulla base del minerale far sorgere il vegetale; sulla base del vegetale far sorgere l’animale, ecc.; certo che c’è una causalità concorrente che va in questa direzione (del prima e dopo nel tempo)! Ma non è la causalità decisiva! Presuppone l’altra!

Quindi questo è ciò che, ancora un Darwin, chiama: “le cause secondarieâ€!

La causa principale è l’intento di raggiungere l’umano! E l’umano è la causa del sorgere dell’animale, del sorgere del vegetale e del sorgere del minerale; come tre gradini di condizioni necessarie perché possa sorgere l’umano.

Quindi la persona libera si distingue dal fatto che il dopo è la causa del prima. La persona non libera si lascia spingere da ciò che già c’è! Si lascia determinare da ciò che già c’è. Tutt’e due le cose sono possibili.

Quindi la persona non libera agisce, o reagisce, proprio in questa direzione: ciò che già c’è lo spinge in avanti!

Invece la persona libera dice: io voglio arrivare là – questo lo intuisce creativamente, con la sua fantasia morale – e architetta tutti i passi come conseguenza per arrivare là!

Quindi l’essere umano non libero reagisce, si lascia spingere. Questo è possibile.

Però non ha il diritto di lamentarsi perché avrebbe la possibilità, se la esercita, di non reagire, ma di agire, di creare! E allora avrebbe la possibilità di lavorare, di architettare tutti i passi da fare, sempre di più, a modo suo!

Quindi: il reagire è pura omissione dell’agire! Anche a livello di pensiero!

O si agisce, o si reagisce!

E nessuno che sia reattivo ha il diritto di lamentarsi, perché avrebbe l’alternativa di diventare attivo.

(XII, 9) L’opinione qui sostenuta sembra essere in contraddizione con quella teoria fondamentale della moderna scienza naturale che si chiama “teoria dell’evoluzioneâ€. {Dove il prima è la causa del dopo.}

Però sembra soltanto. Per evoluzione intendiamo il reale svilupparsi, per via di leggi naturali, di ciò ch’è posteriore da ciò ch’è precedente. Nel mondo organico, per evoluzione si intende il fatto che le forme organiche ultime (più perfette) {meglio sarebbe dire: più complesse, perché più complesse non sono necessariamente più perfette} sono vere discendenti delle più antiche (imperfette) {meno complesse} e sono derivate da esse secondo leggi naturali. Il seguace della teoria dell’evoluzione organica dovrebbe propriamente rappresentarsi che ci sia stata una volta sulla terra un’era in cui un essere avrebbe potuto seguire con gli occhi la graduale derivazione dei rettili dai protoamnioti, supposto che avesse potuto essere presente come osservatore {come percipiente}e che fosse stato dotato di una corrispondente longevità.

Per dire che il vegetale si evolve dal minerale… io posso fare quest’affermazione soltanto se percepisco questo passaggio! Ma nessuno l’ha mai percepito! Perché da che l’essere umano ha la percezione, i quattro regni, son tutt’e quattro presenti! Nessun essere umano ha percepito il mondo quando c’era solo il minerale! Sarebbe stato un essere umano non capace di percezione.

E nessun essere umano ha mai percepito il mondo al livello in cui c’è soltanto il minerale e il vegetale; l’uomo non c’era ancora, come essere capace di percezione!

Quindi, quando subentra l’uomo capace di percezione, son già tutti e quattro presenti; quindi una “consecutio temporis†non c’è! C’è una contemporaneità!

Quindi noi, da sempre, percepiamo una contemporaneità. E tutte le specie sparite, sono sparite!, non le percepiamo più!

I. 3: Quindi al punto dell’umano, come obbiettivo è l’organismo sano di cui si parlava oggi?

A.: Certo! Fa parte dell’umano! Ma l’umano non si esaurisce nell’organismo sano, c’è un’anima e uno spirito individualizzato. Un’anima intrisa di forze di amore e uno spirito dotato di creatività all’infinito. Questo è il fattore umano, il fenomeno umano. Il tutto – spirito e anima – incarnato in un corpo con leggi di natura, di funzionamento, che conosciamo: le fasi della vita del corpo, la malattia, la salute, ecc. I tre sistemi fondamentali: il sistema neurosensoriale, i processi di coscienza polarmente opposti ai processi vitali, che i processi di coscienza, per natura, uccidono forze vitali, che vanno, ogni giorno, con la nutrizione, col dormire, ricostituiti, in modo da poterli di nuovo consumare, ecc. Quindi, quando diciamo l’umano, intendiamo dire tutti e tre i livelli: spirito, anima e corpo.

Adesso stai pensando, probabilmente: ma non c’era un tempo in cui la corporeità… perché questa è tutta l’evoluzione del corporeo: corporeo del minerale, poi corporeo del vegetale e corporeo dell’animale e, giustamente, uno scienziato di scienza dello spirito, per il quale non soltanto ciò che è percepibile ai sensi è una realtà, ma anche l’anima e lo spirito, dice: c’è stato tutto un susseguirsi di forme di corpi animali nei quali lo spirito umano non entrava!

Lo spirito umano ha aspettato che il corpo animale raggiungesse un livello di complessità sufficiente per permettere di pensare, di vivere e di volere; e allora ci è entrato dentro!

Quindi, diciamo, riguardo a ciò che si chiama evoluzione, c’è un’evoluzione da sotto, dove le forme corporee diventano sempre più complesse; ma questa evoluzione da sotto è soltanto un lato dell’evoluzione. L’altra evoluzione è l’evoluzione dello spirito. Lo spirito da sempre lavora, è sempre all’opera!

(Archiati fa uno schizzo alla lavagna)

E fra questi spiriti c’è anche lo spirito umano che ancora non si è incarnato. Adesso siamo arrivati… qui ci sono le forme dei corpi animali, corpi animali sempre più complessi… adesso salta fuori un corpo animale, strutturato con un sistema nervoso, con un sistema ritmico ecc., lo spirito umano dice: adesso comincio a entrarvi dentro! Perché questo tipo di strumento è diventato complesso a sufficienza tale che io me ne possa servire come espressione del mio spirito e della mia anima.

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Quindi, l’evoluzione considerata dal punto di vista delle scienze naturali, vede, conosce, soltanto la parte visibile, sensibilmente percepibile, che è quella di effetto, non di causa! La causalità è tutta a livello dello spirito!

I. 4: Mi vien da pensare che la teoria, valida fino ad oggi di causa ed effetto, diventa vecchia, secondo questo schema, dove la causa è la causa della causa? È corretto?

A.: Il mondo della materia: tutto ciò che è percepibile ai sensi corporei, è un mondo di effetti! Perché le cause, il mondo delle cause è lo spirito! Gli spiriti causano ciò che avviene nella materia.

La causalità, diciamo orizzontale, nel mondo della materia, non è che il prima è la causa di ciò che viene dopo! Lo spirito si serve di ciò che c’è già per far sorgere qualcosa di nuovo!

Quindi, al massimo potremmo dire: ciò che c’è prima è una concausa, di cui si serve lo spirito che è la vera causa, per far sorgere ciò che viene dopo.

Ma ciò che c’è prima, da solo, non può mai far sorgere ciò che viene dopo; perché per farsi una minima idea di ciò che deve venire dopo, dovrebbe essere pensante!

Soltanto lo spirito pensante può essere causante!

I. 4: Si può dire che l’evoluzione è l’evoluzione dell’interazione tra lo spirito e la materia?

A.: Certo! Certo! Sai trovare un’alternativa?

Non c’è un’alternativa. È così logico quello che dici!

La realtà, detta nel suo nocciolo, è l’interazione tra ciò che è spirituale, non percepibile, e ciò che è percepibile. Ciò che è percepibile è percepibile, e l’altro è il pensabile.

Quindi l’evoluzione umana è un’interazione tra il pensare – che tu hai chiamato: lo spirito, giustamente – e il percepire.

Cosa stiamo facendo ora?

Stiamo interpretando, in chiave di pensiero, il percepire: il minerale è percepibile, il vegetale è percepibile, l’animale è percepibile, l’umano in quel che è percepibile, è percepibile… e noi stiamo, a livello di pensiero, di spirito, stiamo riflettendoci; quindi stiamo esercitando l’interazione tra spirito e materia.

Tenendo presente che quando cose complessissime si riassumono, il gesto di sintesi del pensiero ci deve essere. Però dobbiamo tener presente che il gesto di sintesi è come la diastole e la sistole: è una posizione fondamentale del pensiero!

Ora, una sintesi senza rituffarsi nella complessità dell’analisi diventa un’astrazione rarefatta che non dice nulla! Un’analisi che diventa sempre più complessa e che non sfocia in una sintesi, è un’atomizzazione in cui ti perdi!

Ora, l’unilateralità della scienza naturale è di essere parziale, unilaterale, di molto dal lato dell’analisi. La filosofia, la teologia tradizionale, che ha disdegnato l’analisi della scienza naturale perché c’è da sbuffare, c’è da far qualcosa, si bea di astrazioni e perde il reale perché non ha la capacità di rituffarsi nell’analitico.

E ho sempre detto: per me la cosa più convincente delle conferenze di Steiner, della scienza dello spirito, è questo che io vivo come un respirare continuo – che è salute – tra un gesto analitico del pensiero, dove io mi dico: oh, ma qui, caro Steiner, le cose diventano veramente complesse! Tira un po’ le somme!

Dopo: giri la pagina e ti fa una sintesi! Una sintesi che ti dà delle vertigini tali, che è talmente poderosa che tu dici: no, no, adesso mi diventa troppo rarefatta, troppo astratta! Giri la pagina e si rituffa di nuovo nell’analisi!

E questo respiro così salubre del pensare, ti porta sempre più avanti nell’arte del pensare! E questa è la cosa migliore che ci sia!

Godersi sempre di più la creatività del pensare; di meglio non c’è nella vita dell’uomo!

(XII, 9) Il seguace della teoria dell’evoluzione organica dovrebbe propriamente rappresentarsi che ci sia stata una volta sulla terra un’era in cui un essere avrebbe potuto seguire con gli occhi la graduale derivazione dei rettili dai protoamnioti {cioè, per sostenere, per dire che una specie si è evoluta nel tempo da un’altra precedente, ho il diritto di fare questa affermazione soltanto se le ho percepite tutte due!} supposto che avesse potuto essere presente come osservatore e che fosse stato dotato di una corrispondente longevità. Ugualmente, i sostenitori della teoria dell’evoluzione dovrebbero ritenere che un essere avrebbe potuto osservare la formazione del sistema solare dalla nebulosa primordiale di Kant-Laplace, se durante quel periodo infinitamente lungo avesse potuto liberamente occupare un posto conveniente nell’etere cosmico. {Per percepire il tutto!} Non si deve qui considerare il fatto che in una simile concezione occorrerebbe pensare tanto l’essenza dei protoamnioti, quanto pure quella della nebulosa cosmica di Kant-Laplace, diversa da come la pensano i pensatori materialisti. Ma a nessun sostenitore della teoria dell’evoluzione dovrebbe passare per la mente di dire che dal suo concetto del protoamnioto egli potrebbe trarre quello del rettile con tutte le sue qualità, anche senza aver mai veduto percepito un rettile.

Dal concetto di animale, si può far evolvere l’uomo senza percepire l’uomo?

Se l’evoluzione, che è l’unica cosa giusta, è retta da uno spirito creatore, pensatore, libero; questo spirito creatore, pensatore, libero, ha fatto finora, qui e ora, – qui nello spazio e ora nel tempo – …è arrivato qui! (schema alla lavagna)

È uno spirito creatore!

Cosa sfornerà dopo? Quale sarà la prossima sfornata?

Non lo si può sapere!

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Perché lo decide lui liberamente, artisticamente, creativamente!

Può andare qui, può andare qui, può andare qui… Punto interrogativo!

La stessissima cosa quando io pongo la domanda: tu finora… io, io, l’Io… Ho espresso di me tutte queste dimensioni, tutte queste cose, fino qui e ora.

Cosa esprimerò di me, cosa salterà fuori di me, che tipo di creazioni genererà il mio Io?

Lo decido io! Nessuno lo può dire dal di fuori!

Se mi lascio determinare da ciò che già c’era, termino, ometto, di essere libero; di creare liberamente.

Ma se creo liberamente non si può anticipare in base a una legge ciò che creerò! Bisogna guardare e percepire! Aspettare e guardare!

Chi sarai tu oggi?

Comprati un paio di occhiali! E guarda! Guarda bene!

Ma come! Hai ripetuto quello di ieri!

Però lo puoi dire soltanto alla fine della giornata che ho ripetuto quello di ieri!

Allora constati, per percezione, che oggi non sono stato creativo; perché ho ripetuto quello che ho fatto ieri. Ho omesso la creatività.

Ma la creatività, artistica, è un elemento di sorpresa in assoluto! Se no non è creatività!

(XII, 9) Altrettanto poco il sistema solare potrebbe venir derivato dal concetto della nebulosa di Kant-Laplace, se questo concetto di una nebulosa primordiale fosse stato pensato, in modo definito, soltanto direttamente sulla base della percezione della nebulosa.

Quando io percepisco una nebulosa, ho soltanto una nebulosa, non ho il sistema solare! E per dire che il sistema solare si è sviluppato, si è evoluto, dalla nebulosa, dovrei essere stato su un seggiolino nel cosmo, ed ho guardato, ho percepito tutta la sequenza che, partendo dalla nebulosa, si è visto che, continuando a percepire, percepire, percepire, dalla nebulosa è saltato fuori il sistema solare!

Ma soltanto con il presupposto che abbia avuto un seggiolino e abbia percepito il tutto! Il che è assurdo!

Perché il seggiolino ce l’hanno soltanto i Troni! E non un seggiolino… un trono! Troni: gli spiriti della volontà!

(XII, 9) Ciò significa, in altre parole: chi professa la teoria dell’evoluzione, se pensa coerentemente, deve ritenere che da fasi di evoluzione precedenti si evolvano realmente le successive; e che, se noi abbiamo come dati il concetto dell’imperfetto e quello del perfetto, possiamo comprenderne il nesso; ma non dovrebbe ammettere a nessun costo che il concetto ottenuto dalla fase precedente sia sufficiente per dedurne le fasi successive.

Quindi, dal concetto di nebulosa originaria, questo concetto di nebulosa originaria non mi basta per tirar fuori, da questo concetto, il sistema solare! Sono due concetti diversi; e quindi devo avere due percezioni diverse! Poi posso capirne il nesso.

I. 5: Non abbiamo però un riflesso di questo, cioè di questa consecuzio, con l’analisi dei fossili?

Cioè i fossili non ci dicono che la vita sulla terra è andata avanti seguendo una linea; quindi da un animale, col tempo, poi ne seguiva un altro, come se qualcuno fosse stato lì a vederlo?

Cioè, l’analisi di oggi ci dice questo!

A.: Non c’è stato lì nessuno, a vederlo! Tu vedi il fossile e fai un processo di illazione!

I. 5: Sì, certo!

A.: Il processo di illazione è per natura passibile di errore, perché manca la percezione!

I. 5: Sembrerebbe chiaro il discorso; analizzando l’età dei vari animali…

A.: No, Steiner sta dicendo un’altra cosa. È giusto che tu la vuoi precisata. Sta dicendo un’altra cosa. Steiner intende dire: qui l’animale 1 e qui l’animale 2 (altro schema alla lavagna). – Adesso non disegno gli animali, dico insomma, che sono abbastanza simili – e lo scienziato dice: l’uno è una forma posteriore dell’altro. La forma posteriore è sorta dopo un’ulteriore complessificazione; nell’evoluzione che percepiamo ora il maggiormente complesso viene dopo, e il meno complesso viene prima.

I. 5: Analizziamo l’età del fossile e quindi sappiamo chi è venuto prima e chi dopo!

A.: No, no, no, piano, piano; lì c’è già una speculazione! Nel bambino l’umano è meno complesso e nell’adulto è più complesso! E quindi noi capiamo che ciò che è più complesso viene dopo rispetto a ciò che è meno complesso; e quindi questa interpretazione la trasponiamo a tutta l’evoluzione dicendo: questo animale 2, che è più complesso, è venuto dopo. Però non abbiamo la percezione del prima e del dopo!

I. 5: Infatti io dicevo che la percezione del prima e del dopo ci poteva essere magari attraverso le analisi delle ere geologiche delle stratificazioni dei fossili. Sappiamo che ogni stratificazione corrisponde a un’epoca e a seguire ci sono le epoche più recenti. Si sono stratificati, nel tempo, nei fondali marini, per esempio; andiamo ad analizzarle…

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A.: Son tutte ipotesi che stai facendo! L’ipotesi che ad ogni stratificazione corrisponda un’era di tempo, è un’ipotesi! Nel momento in cui c’è stato un cataclisma, un terremoto, e questi strati son tutti capovolti, tu ti trovi, come scienziato, ad interpretare di nuovo: quelli sotto sono i più antichi e quelli sopra sono i più recenti, invece in questo caso è l’opposto!

I. 5: E allora il carbonio 14!? È uguale?

A.: Esatto! Son tutte ipotesi! Son tutte ipotesi! Però, quello che volevo dire: Steiner sta dicendo che se l’animale 2 è sorto dopo, come trasformazione dell’animale 1, è ovvio che una certa causalità nell’animale 1 c’è. Steiner non sta negando questo livello di causalità; nega la legittimità di assolutizzarlo! Come se questo animale primo sia la causa sufficiente!…

I. 5: Okay, okay!

A.: …Invece l’affermazione della scienza dello spirito dice: c’è lo spirito all’opera in questo animale 1, che ha già creato il concetto di animale 2; perché la trasformazione non avviene ciecamente, ci vuole il concetto di 2 per trasformare l’1! Quindi si presuppone sempre uno spirito creatore che ha creato il concetto di 2, e quindi sa in che modo vuole trasformare 1 per portarlo a 2.

Quindi la causa vera, decisiva, è lo spirito creatore! Che crea due concetti diversi. Che poi, per attuare il concetto 2 si serve, come di una concausa, del materiale dell’animale 1, è ovvio!

Quindi, in fondo, la scienza naturale, dove non fa astrazioni, ipotesi astratte, dice delle cose ovvie. Il problema è che omette, o disattende, o ignora, la cosa più importante, che è lo spirito creatore!

E Steiner vuol dire: se non c’è in nessuno spirito, il concetto di animale 2, da 1 non salta mai fuori 2!

MASSIMO: Quindi si può dire che: nell’animale 1 non c’è tutta la causa dell’animale 2…

A.: Ma nulla di causa! È soltanto uno strumento!

MASSIMO: Ecco, soltanto uno strumento. O per lo meno, essendo una concausa, la causa totale dell’animale 2, di ciò che viene dopo, non è tutta presente nell’animale che viene prima.

A.: Per un pensare pulito è per nulla presente! Un pensare pulito non fa queste concessioni non pulite. Perché, quando io uso un martello per piantare un chiodo nel muro… il martello è una causa?

È uno strumento!

Il concetto di strumento è un concetto tutto diverso dal concetto di causa! Il concetto di causa sono io! La mia decisione di piantare un chiodo nel muro, capito! Il martello non si muove da solo.

Quindi bisogna distinguere nettamente tra concetto di causa – che è causante! – e concetto di strumento, che non causa nulla, da solo!

Vogliamo leggere fino alla fine questo paragrafo e poi andiamo a dormire.

(XII, 9) Da questo consegue che il moralista può ben comprendere il nesso di concetti morali più recenti con quelli più antichi, ma non che anche una sola idea morale nuova possa essere ricavata da quelle precedenti.

Così come l’animale 2 non può venir ricavato dall’animale 1. Ci vuole un concetto, un’intuizione nuova!

(XII, 9) L’individuo, come essere morale, produce il suo proprio contenuto. {Crea il suo proprio contenuto. Lui ne è la causa, in assoluto! Si avvale di tanti strumenti, ma lui è la causa.} Per il moralista il contenuto così prodotto è un dato, così come i rettili sono un dato per il naturalista. I rettili sono derivati dai protoamnioti, ma il naturalista non può trarre il concetto dei rettili da quello dei protoamnioti. Le idee morali più recenti si evolvono da quelle più antiche; ma il moralista non può estrarre dai concetti morali di un anteriore periodo di civiltà quelli di una civiltà posteriore.

Li deve percepire: sono concetti del tutto diversi; sono concetti del tutto nuovi, i concetti morali.

(XII, 9) La confusione nasce dal fatto che, come naturalisti, abbiamo anzitutto già davanti a noi i fatti e soltanto dopo li osserviamo per conoscerli, mentre nell’agire morale dobbiamo prima creare noi stessi i fatti che in seguito conosciamo. Nel processo evolutivo dell’ordinamento morale del mondo facciamo noi quello che, su un gradino, più basso fa la natura: modifichiamo una parte del mondo percettivo. La norma etica {norma, vi prego, tra virgolette! Perché non è una norma!} non può dunque essere direttamente conosciuta, come una legge naturale, ma deve prima essere creata. {Dall’uomo!} Solo quando sia stata creata, può divenire oggetto della conoscenza.

Quindi le intuizioni etiche non vengono create dal Creatore come i comportamenti della natura. I comportamenti della natura, che noi percepiamo, vengono creati dal Creatore; invece le intuizioni etiche vengono create dall’essere umano, quindi dobbiamo percepire l’essere umano.

E questa diversità di origine di creazione, crea la confusione!

PAOLO: Per cui, Pietro, l’uomo è creatore anche nella morale, non solo nel… cioè, nel mondo materiale è creatore degli oggetti della tecnica, e poi è un grande creatore di tutta questa fantasia morale!

A.: L’hai detta un po’ storta la cosa!

PAOLO: Cioè, il Creatore, che è la causa dell’evoluzione, lui (Steiner) lo paragona a questo uomo che è creatore di fantasia morale. Infatti dice: non c’è ancora la percezione di quello che tu realizzerai, perché spetta a te farlo! Per cui, dal passato io non posso sapere cosa farai nel futuro perché è una tua creazione, no?

A.: Ci stai mettendo un po’ di emozionalità perché il pensiero non è del tutto pulito! Adesso io lo pulisco, ma il pensiero è molto fondamentale.

Il pensare divino crea la natura; il pensare umano crea ciò che noi chiamiamo: moralità!

PAOLO: Dei comportamenti nuovi?

A.: No, no; ciò che noi chiamiamo la moralità! Il modo di essere!

È una creazione dell’uomo!

E perché chiamiamo la creatività dell’uomo: moralità; semplicemente, tout court?

Perché quando l’essere umano diventa creatore è buono a livello sommo; quindi è morale a livello sommo! Più morale che essere creativi non c’è!

E l’essenza dell’immoralità è di omettere la creatività.

Perché, adesso, qual è il creato di questa creazione umana? Cosa crea?

L’Io!

La realtà umana individualizzata in ogni essere umano!

Più moralmente buono di questo non c’è. È la cosa più bella, più buona, più vera che ci possa essere. Tutto il resto è strumento.

Quindi la creatività umana è pura moralità; e la non creatività umana è pura immoralità. I conti tornano!

Buona notte ci vediamo domani!

Domenica 30 settembre 2012, mattina

A.: Allora, una buona giornata a tutti; una buona domenica.

Domenica, come sapete è il dies domonicus. Il dominus è l’Io che domina, col pensiero, il tutto dell’evoluzione; lo padroneggia, lo signoreggia …il signore!

Il significato di kyrios è l’Io, dentro all’essere umano, però! Quindi tutti i nostri pensieri, in questo fine settimana, si rivolgono all’Io umano come culmine dell’evoluzione.

Dicevo all’inizio: il senso dell’Io è il sorgere dello spirito creatore dentro l’uomo.

In altre parole, lo spirito creatore c’è già, se no non ci sarebbe il creato, il mondo!

Ora, psicologicamente, siccome non abbiamo il telefono per interpellare questo spirito creatore e dirgli: ma, dicci un po’ cosa… dobbiamo partire da noi stessi.

Nella misura in cui ci viviamo come spiriti creatori possiamo immedesimarci in lui, perché psicologici siamo e psicologici dobbiamo restare!

E allora, in questa chiave psicologica… che poi è importante, perché la psicologia è una invenzione sua, ovviamente!, che è una categoria del vissuto umano; lo spirito in quanto viene vissuto!

Allora, in chiave di psicologia si potrebbe dire: il Creatore divino dice: io sono già uno spirito creatore! Potrebbe mai… cosa succederebbe se fosse possibile creare uno spirito che diventa creatore, sempre di più!?

È l’intuizione dell’uomo!

Da parte della cosiddetta divinità, chiamatela come volete, io non la conosco, dove sta di casa personalmente; ma, percependo l’evoluzione, percependo il fenomeno umano, cercando di costruire, a livello del pensiero, il concetto di uomo, dico: l’uomo è un essere che è in evoluzione, quindi in divenire; ciò che la divinità è già da sempre, in eterno, l’uomo lo diventa! Con passi evolutivi!

E cos’è meglio? Essere uno spirito creatore, o diventarlo sempre di più?

Per l’uomo non c’è di meglio che diventarlo sempre di più; perché è la sua natura!

Nella misura in cui pensasse di esserlo già, muore! …Perché?

Perché smette di tendere, di evolversi.

Però tutti questi discorsi sono psicologici, ovviamente! È il mio modo, in questo momento, di mettermi nella psicologia della divinità, perché dove c’è lo spirito c’è sempre l’anima – ci può essere anima senza spirito: nel bambino, in un certo senso, per esempio; o nell’animale, nell’animale c’è anima senza spirito – ma non ci può essere spirito senza anima! Non ci può essere luce di pensiero senza il calore dell’amore; della gioia, della gratitudine.

Quindi, l’anima è sempre l’eco dello spirito: dove c’è spirito c’è anche anima.

E allora ci immedesimiamo nell’anima del Creatore che dice: lo spirito che già da sempre crea ed è creatore, sono io! Quindi per me la cosa è un po’ noiosa… Invece per me la cosa diventa più interessante se mi riesce di creare una creatura, che parte da creatura, e diventa sempre più creatore! In chiave psicologica!

Avesse avuto paura che poi questa creatura, diventando sempre più creatore, arrivasse a fargli concorrenza!?…

Il mito greco dice: eh!, per questo motivo Giove ha spaccato gli uomini in due – la cesura dei sessi, la spaccatura dei sessi – aveva paura che Prometeo cominciasse a fargli concorrenza; a quei tempi l’uomo era ermafrodito, era maschio e femmina in uno solo; allora dice: no, no, no, ‘mo ti spacco in due, così non puoi farmi concorrenza: ogni essere umano è la metà!

Sexus, il sesso, viene dal latino: secare. Sexus è il secato! Ha segato gli esseri umani in due!

PUBBLICO: Segare, con la “gâ€.

A.: In latino con la “câ€, in italiano con la “gâ€.

Perché in italiano con la “g�

Perché è diventato un pochino più rantolante questo suono; è disceso un altro pezzo di più nella materia! In latino è secare con la “câ€!

Oh! Mi vuoi disorientare nel mio latino! Io ho fatto l’università, qui a Roma: otto semestri in latino, tutte le lezioni!!!

Che poi lo dico sempre con enorme soddisfazione: avevamo professori dall’America che facevano discipline tutte moderne, per esempio psicologia sperimentale, e dovevano insegnarle in latino – immaginate, alla Gregoriana, qui a Roma – e tutta la terminologia non c’era, in latino!

Allora noi avevamo la possibilità di fare, sia l’esame scritto, sia l’esame orale. Con questi signori facevamo tutti gli esami orali perché noi, il latino, lo parlavamo benissimo! Perciò parlando in latino, veloce veloce, il professore non capiva quasi nulla e, per non fare brutta figura diceva: ita, ita, ita – che in latino significa: sì, sì, sì – e ci dava le note più alte! Noi… se quello che dicevamo era giusto o no, non importava nulla! Importante era che non capisse nulla lui!

Quindi, non mi confondete adesso il mio latino, capito!

Stavo chiedendo: non è che il Creatore dell’uomo avesse avuto, psicologicamente, paura che… no, no! Non che avesse avuto di questi problemi!

Prima di tutto il buon pedagogo gode del fatto che l’allievo oltrepassi le sue capacità!…

PUBBLICO: Leonardo dice: tristo è quell’allievo che non avanza lo suo maestro!

A.: Tristo è quell’allievo che non avanza lo suo maestro! Triste è quella generazione più giovane che non fa andare avanti di un passo l’evoluzione!

Eh, è un pensiero dinamico!

Comunque non era questo il pensiero che stavo dicendo.

Il Creatore sa quale trafila l’essere umano deve fare per arrivare a fargli concorrenza! Deve passare non soltanto per tutto l’umano, poi lo stadio angelico, lo stadio arcangelico – non vi meravigliate, eh! – poi lo stadio dei Principati, gli spiriti dei tempi; poi lo stadio degli spiriti della forma, spiriti del movimento, spiriti della saggezza; poi… aspetta: campa cavallo che l’erba cresce! Poi i Troni, i Cherubini, i Serafini… a livello dei Serafini ecco, sì, adesso cominci a capirmi veramente! Altro che farmi concorrenza! Cominci un pochino a capirmi!

I Serafini sono quelli che cominciano a capire la Trinità divina!

Questo sta a dire che, insomma, l’affermazione alla base è che lo spirito è una ricchezza all’infinito. E noi siamo agli inizi! Che è una gran bella cosa!

Allora, stavamo dicendo: adesso, nei paragrafi che vengono, Steiner dice che si può arrivare all’individualismo etico, sia da un’analisi di tutta l’evoluzione – e quest’analisi, la teoria evolutiva, una teoria dell’evoluzione che si rispetti, deve procedere per percezione e concetto; e dove non ci sono percezioni bisogna proibirsi di creare concetti campati in aria – .

Ma nell’evoluzione… se noi prendiamo un Darwin – che è proprio l’evoluzionista per eccellenza, in un certo senso – lui resta alla percezione! (riprende uno schema già fatto)

Il fatto che Darwin, il Padreterno lo lascia in pace, e ne parla soltanto per mettere a tacere i teologi, è giusto! Perché lui dice: io non ho la percezione del Padreterno, non mi interessa dove non c’è la percezione; invece qui, nel bel mezzo dell’evoluzione, dove c’è la percezione, no!, perché tutte le specie, di piante, di animali, sono tante e le vediamo! Prendiamo la rosa, per esempio: tutta la fenomenologia della rosa, in tutti i paesi, in tutti i climi, ecc., ecc., ce n’è da percepire, ce n’è da studiare!

Allora diciamo: la teoria dell’evoluzione constata, in termini di percezione, che c’è una quadruplice manifestazione.

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C’è uno stadio minerale di forme fisse, poi c’è, nell’evoluzione, il vivente, la vita, che è quella capacità straordinaria, misteriosa – non miracolosa, ma misteriosa – di trasformare la forma. Che una foglia che 5 giorni fa era più piccola, adesso è diventata più grande! Ma non è diventata più grande soltanto per sommazione perché ha aggiunto materia; è diventata più grande mantenendo la forma della foglia.

Quindi primo fenomeno dell’evoluzione: la forma fissa. Secondo fenomeno dell’evoluzione, fenomeno primigenio: la forma in trasformazione, che in italiano si chiama: vita, se volete! Una volta afferrato il concetto, la terminologia, le parole, uno se le gioca! E, più si è sovrani nell’afferrare il concetto, più si è liberi, come dire, più ci si può muovere liberamente!

Il concetto è come un tema, e la terminologia sono le variazioni sul tema, perché ogni termine privilegia un certo aspetto; un altro termine privilegia un altro aspetto.

Invece chi non afferra il concetto diventa dogmatico, perché si aggrappa alle parole: no, no, no, soltanto questo termine va usato! E l’altro non lo capisce! Quindi si diventa dogmatici nella misura in cui si scende al livello del linguaggio e si lascia il campo di sovranità del pensare – Uber licht –, dello sguardo d’insieme!

Ogni lingua ha tante parole belle che è difficile tradurre – io adesso son tanti anni che sono talmente immerso nel tedesco, che mi arrabatto a tradurre qui in italiano!

Terzo fenomeno primigenio dell’evoluzione: il sentimento, il vivere il sentimento.

Il cagnolino sente… ha fame! La fame non è vita! Non è un pulsare di forze vitali che fanno crescere la foglia! È un sentire! È un vissuto! Quindi presuppone un elemento materiale nuovo – chiamiamolo il sistema neurosensoriale – la scienza dello spirito ci aggiunge il corpo astrale, la pianta ha soltanto il corpo eterico, non ha nulla di corpo astrale; il corpo astrale è ciò che noi chiamiamo: l’anima; l’anima è il corpo astrale, tale e quale.

Allora, animale è anima, è l’essere fatto di anima. L’essere fatto di anima sente, vive – empfinden – anche quella lì è una parola fondamentale in tedesco, non si può rendere così bene in italiano! Sente fame, sente freddo, sente caldo!

Può un cagnolino sentire gioia?

PUBBLICO: Sì!

A.: No! La gioia è una categoria umana!

PUBBLICO: La sente e la manifesta anche!

A.: Ma non la gioia! Mancano le parole! Perché il nostro linguaggio, non avendo ancora recepito le distinzioni ulteriori che fa la scienza dello spirito, va a spanne! Un sacco di cose che noi diciamo, vanno a spanne! Se il pensiero farà passi ulteriori bisognerà distinguere, distinguere, distinguere.

Quindi, se io uso la parola gioia per la gioia dell’uomo, essendo la cosiddetta gioia dell’animale un fenomeno del tutto diverso, dovrei avere a disposizione un’altra parola!

PUBBLICO: Felicità!

A.: Felicità… gioia …son tutt’e due categorie umane! L’animale non può essere felice!

PUBBLICO: La brama!

A.: Sì, la brama! Però la brama non è gioia!

PUBBLICO: Prova piacere!

A.: Ce n’è una che va vicino! Ed è una variazione – sto parlando in italiano, eh!, voi dovreste essere molto più bravi di me! – di brama.

PUBBLICO: Bramosia!

A.: Brava! La bramosia! Vedete, il linguaggio italiano ha sentito la necessità di creare questa parola! Nessuna parola viene creata – a parte gli ultimi decenni, dove gli esseri umani diventano arbitrari nel linguaggio – ma finché era lo spirito del popolo a creare parole, nessuna parola è stata creata a vanvera, cioè non a ragion veduta! Quindi il linguaggio ha creato la bramosia.

Questa bramosia va vicino, però non coglie il centro del tipo di gioia che l’animale sente. Però va vicino; questa parola va vicino; e sta ad indicare che il genio del linguaggio italiano sapeva che qui mancava qualcosa; se ci fosse soltanto la parola brama, mancherebbe qualcosa.

E c’è la parola bramosia! Una parola bellissima! Una parola che nessun italiano sa spiegare a un tedesco, che cosa sia la bramosia – mi dispiace Michael! –.

Troppo difficile! Una parola che l’italiano sa cos’è, ma spiegarla ad un altro!… Anche perché tutto ciò che è umano lo si può spiegare meglio perché è umano; mentre tutto ciò che è specifico dell’animale…

Un uomo pieno di bramosia… humm, humm! Troppo vicino all’animale! Nessuno si lascerebbe dire volentieri che lui è pieno di bramosia! Per l’uomo è una cosa negativa, perché va troppo vicino all’animale! Si riduce a bramosia!

Il concetto di bramosia è che questo pulsare di forze animiche coinvolge tutto l’essere! “È pieno di bramosia!†Bramosia a metà non esiste!

Invece la brama è uno dei tanti impulsi che ci sono nell’uomo, e io lo guardo oggettivamente, come guardo tutte le altre cose. L’istinto lo guardo e ne creo il concetto; la brama la guardo e ne creo il concetto, la felicità la guardo e ne creo il concetto. Invece la bramosia è il modo di essere dell’animale, il suo modo di essere; non c’è altro!

Allora si potrebbe dire: nella pietra c’è la forma fissa, nella pianta c’è la vita; nell’animale c’è la bramosia. E chi sa bene l’italiano dice: sì, funziona!

Continuo: qual è il quarto fenomeno, archetipico dell’umano?

PUBBLICO: Lo spirito / La conoscenza / Il pensare /Il pensiero …

A.: È interessante che andate a cercare tutte cose che vanno benissimo, eh!, ma manca quella più…

PUBBLICO: La coscienza!

A.: Uno vi dice: ma che è la coscienza? Io sono un incosciente!

Avete detto un sacco di cose e non ho sentito da nessuno la parola dove ogni essere umano direbbe: sìììììì!

PUBBLICO: L’io, l’io!

A.: La libertààà!!!

Ma non è venuta in mente a nessuno! Avete detto 15, 20 cose!… Nessuno ha detto la parola libertà! Per cogliere a livello psicologico, immediato, l’essenza dell’umano!

Eh! Stiamo facendo la Filosofia della Libertà! Io faccio i tre fenomeni primigeni per arrivare all’umano e vi dico: adesso, che parola usiamo in italiano per cogliere il centro di questo fenomeno umano? Mi tirate fuori un sacco di roba teologica, filosofica, ecc., ecc., ecc… Nessuno ha pensato alla parola libertà!

Questo sta a dire che siamo veramente agli inizi! Per me ne è la dimostrazione!

La libertà, santa pace! Perché la libertà… se io dico la coscienza, l’altro mi dice: ma te sei incosciente, scusa! Il pensare… che è, cos’è il pensare! Poi che altro: l’io, l’io.. traducete in inglese l’io… the I…? Non esiste in inglese, non esiste proprio!

ROBERTO: Come fanno, allora? Come studiano certe cose?

A.: Eh, devono arrampicarsi sugli specchi! Capito!

Quindi, certo che l’essenza dell’umano è il pensare… poi qualcuno diceva: lo spirito! Tutto giusto, eh! Ho soltanto constatato che a nessuno di questi bravi italiani è venuto in mente che, sì, può darsi che anche la parola libertà indicasse qualcosina dell’umano!

E adesso, se mettiamo… naturalmente ogni categoria centrale è un’astrazione, no!; adesso mettiamo una accanto all’altra la categoria centrale – io ho proposto, insomma, un po’ di umore ci vuole, non voglio dogmatizzare i miei pensieri – abbiamo detto: bramosia per l’animale, ed è una cosa centrale nell’animale, e accanto: libertà… Io direi: ci calza! Perché la bramosia è la non libertà!

E la libertà è la sovranità, è essere sovrani sulla bramosia! Se è la bramosia a condurmi, a spingermi, a determinarmi, non sono libero.

Quindi si può essere liberi solo senza brame!

Si può bramare il pensare?

No! Lo si può solo godere! Non si può bramare. Si può bramare solo ciò che non si ha! Il pensare, se ci sono dentro non posso bramarlo; lo godo!

PAOLO: Però, Pietro, a volte ho bisogno di pensarci, devo proprio pensarci a questa cosa; cioè, non è una bramosia, ma è un bisogno. Ci sono dei momenti in cui non hai tempo, ci sono dei momenti in cui hai poco tempo, sei preso dalla vita, insomma a questa cosa ci devo proprio pensare, è una necessità! Devo trovare il tempo di pensare a questa cosa con calma, con concentrazione. Adesso non è proprio una brama, è una necessità quasi, no?

A.: Allora, la bramosia l’abbiamo presa come categoria fondamentale, centrale dell’animale, quindi dell’anima… l’uomo ha tutto dell’animale!

L’uomo non è specifico, rispetto all’animale, in ciò che ha in comune con l’animale; ma è specifico in ciò che l’animale non ha; e che ha soltanto l’uomo!

E ciò che l’animale non ha e soltanto l’uomo ha, o può avere, è lo spirito!

Adesso tu stai dicendo: nell’anima sento il bisogno, il desiderio, la brama, di conoscenza, di… ecc.; e lo spirito è l’attualizzazione di questi desideri dell’anima. Tu stai dicendo: il rapporto tra anima e spirito non è statico, ma è dinamico!

È quello che stiamo dicendo: l’uomo è un essere in evoluzione! Però resta il fatto che anima è anima e lo spirito è spirito!

In quanto io sento delle brame, sono anima, ma dentro allo spirito, l’esperienza dell’intuizione, se la faccio, non la posso bramare allo stesso tempo! Questo è il concetto!

La posso bramare quando non ce l’ho! Quando ne sono uscito fuori! E uscirne fuori è subito fatto, perché l’uomo non è uno spirito costituito in tutto e per tutto, già perfetto, già fatto! Quello è il concetto dello spirito divino; l’uomo è uno spirito in divenire.

I. 1: Però nella vita, insomma, non è che posso vivere di pensieri, devo comprarmi delle camicie, devo cambiare la macchina…

A.: Guarda che “comprare la camicia†è un pensiero, eh! Non la compri mai mentre dormi!

I. 1: Voglio dire, il contrario dell’uomo che vive nella brama, mi viene da dire: è l’asceta! Quello che dice: avrei bisogno di questa cosa, però, in fondo, posso farne a meno; ha sempre questo pensiero.

Allora io mi domando: quand’è che un desiderio – uso questa parola – non è più una brama? Dov’è l’equilibrio giusto?

A.: Credo di non aver capito il centro della tua domanda; la ripeti, per farmi capire!

I. 1: Tu dici: io divento un uomo libero quando mi libero dalla brama!

A.: No, no! Spero di non liberarmi mai dalla brama! Altrimenti devo sparire!

I. 1: Non hai usato queste parole, prima?

A.: No! Il senso di un desiderio è di venir appagato; o di una brama, è sempre di venir appagata! Ma l’appagarla è soltanto la metà del discorso; perché se io appago una brama, senza farne sorgere una maggiore, una più forte, sarò del tutto scontento! Quindi la cosa più fondamentale è di non perdere mai di vista il dinamismo continuo dell’evoluzione!

Noi vogliamo afferrare le cose in un’immagine fotografica, o come in un film, cioè in foto singole; e spezziamo qualcosa che è un continuo.

Se io desidero capire qualcosa… tu, poniamo adesso, hai la brama, il desiderio, di cercare di capire quello che stai cercando di capire… supponiamo che, in base alle riflessioni che io faccio – io non ti posso vendere il capire, il capire lo puoi generare soltanto tu – adesso, grazie anche al mio contributo, ai pensieri che io esprimo, tu dici: ah!, ho capito!

Nel momento in cui tu, questo aver capito, lo godi più di tanto, diventa una tristezza! Perché ti fermi!

Quindi, soltanto quel capire qualcosa è utile all’uomo, che, nel capire qualcosa, saltano fuori almeno tre cose nuove, che non ho ancora capito!

Allora ho capito veramente!

Quindi l’uomo capisce soltanto ciò che gli allarga ciò che ancora ha da capire!

I. 1: Questo lo capisco, nel pensare lo capisco nel ragionamento; non riesco a coglierlo nella materia, nel desiderio delle cose!

A.: È la stessa cosa! L’auto-inganno dell’uomo sta… adesso te lo metto psicologicamente, dalla parte dell’anima, è quello che va capito ora: cosa fa, come si vive l’uomo che sposta la sua auto-esperienza quasi tutta dalla parte dell’anima!

La maggior parte degli esseri umani, siccome sono ancora quasi tutto anima e poco spirito, credono che il senso di bramare qualcosa sia di averla, di comprare la cosa, e di goderla!

E questa è un’illusione!

Non si può godere ciò che si ha! Si può godere solo ciò che si cerca!

I. 1: Si gode la brama!

A.: Esatto! Però la brama ha un senso soltanto se sono nella tensione di trovare qualcosa! E una brama che non ne crea un’altra maggiore è una buggerata assoluta! Perché mi porta via il più bello della vita, che è il bramare!

Il bramare però adesso in senso lato: la tensione evolutiva.

In altre parole: quando io mi sto godendo una passeggiata, un camminare… adesso tu stavi facendo come se ci fosse il godimento di ogni singolo passo…

No! perché se io godessi questo passo qui, mi fermerei, se no, se non mi fermo a godere, non lo posso godere!

Quindi è un’illusione pensare che il godimento sia riferito, come nel film, ai singoli fotogrammi! Cioè, il processo di movimento continuo, che è un’unità, viene spezzato; e spezzandolo esco dalla realtà. Quindi è falso, è erroneo, pensare che si godano i passi singoli! No, i passi singoli non ci sono, io voglio il camminare!

Adesso voglio godermi questo passo!…

Fine del godimento! Perché fermo il camminare!

I. 1:Sì, sì! Adesso non vorrei tirarla troppo lunga, ma facciamo un esempio concreto…

A.: Bravo!

I. 1: Io, da qualche giorno, mi sono messo in testa di cambiare la macchina.

Io so perfettamente che godrò di questa cosa, ma, tra qualche anno, tra sei mesi, o quando sarà, mi riscatterà ancora questa cosa: ne vorrò un’altra, più grande!

Dunque io a questo punto mi pongo la domanda: ma è una brama questa, o è una necessità? Me la devo godere questa cosa? Oppure sono in questo mondo delle brame per cui non è mai finita? Che è la realtà dell’uomo d’oggi!

E io capisco che desiderare questa cosa, da questo pensiero che dentro di me cresce, capisco che non sono libero; lo sento! Perché io lo voglio soddisfare questo desiderio!

A.: No! Lì cominci a moraleggiare! Lì vai fuori! Lascialo!

I. 1: Ecco! È qua che mi perdo!

A.: Esatto! E perciò ti ho fermato subito! Chi è capace di godere soltanto la macchina nuova… è l’unico godimento che ha! Glielo vuoi portar via anche quello? In altre parole: una persona umana che non gode nulla, è stupida! Perché il senso della vita è il godere!

Ora, ci sono tre campi fondamentali del godere. Tieni presente che la mia morale dice: più uno gode e meglio è! Il mio concetto della divinità è l’essere che ha la goduria più immane che ci possa essere, se no è uno stupido anche lui! D’accordo?

Quindi, già il mettere in negativo la categoria del godere è un moraleggiamento che vuol proprio mortificare l’uomo!

Questo è il primo pensiero: siamo nati, siamo creati per godere! Santa pace!

Prima liberazione!

Adesso le tre fonti fondamentali del godere sono: il corpo… eh, una buona mangiata è una buona mangiata! Tu pensi che non ci sia gente che si gode una buona mangiata? Eh, no! Padroni, no!?

Secondo grande campo dei godimenti: l’anima!

Uno gode una conversazione, gode l’amicizia! L’amicizia non è una bistecca! L’amicizia è fatta di sentimenti; è l’elemento animico.

Poi, dicono, c’è un certo grande campo di godimento che chiamano lo spirito! C’è qualcuno che ne ha parlato finora! Quel godimento lì, insomma, per la maggior parte della gente… te lo lascio volentieri, capito!

Allora, senza moraleggiare eh!, restando nell’oggettività delle cose – se pensate che moraleggio, su questa cosa importantissima, fatevi sentire – è che: uno che sa godere – padronissimo! – soltanto i godimenti che dà il corpo, godrà molto meno che non uno che sa godere tutti i godimenti del corpo, però ci aggiunge tutti i godimenti che dà l’anima, e i godimenti del corpo diventano strumento… il corpo diventa strumento perché lui – questo secondo essere umano – dice: no! Il godimento delle cose dell’anima mi dà più gioia, mi dà più godimento! E allora uso il corpo per i godimenti superiori che sono quelli dell’anima.

E quello che sa godere soltanto il corpo dice: ma di cosa stai parlando!?

Affari miei! Se non ci capisci nulla, sono affari miei, capito!

Quindi, chi gode soltanto il corpo, c’è! Anzi, ce ne saranno sempre di più di questa gente. Non capisce nulla dei godimenti dell’anima, proprio non ci capisce nulla, non li conosce, non sa di che si sta parlando!

Poi addirittura ti arriva qualcuno, come un Rudolf Steiner, che dice: i godimenti dell’anima… sono noiosi rispetto ai godimenti dello spirito!

Allora tutti quanti dicono: ma di che stai parlando?

Affari miei!

Nella misura in cui una persona, un essere umano, gode ciò che noi chiamiamo lo spirito… per esempio: gestire un processo di pensiero sempre più creatore, sempre più artistico, sempre più… dove io dico: adesso capisco meglio, capisco meglio, capisco meglio, sempre meglio… questi sono godimenti dello spirito, non dell’anima. L’anima non capisce, l’anima gode! Lo spirito capisce!

Nella misura in cui l’essere umano vive, è a casa sua nello spirito, usa il corpo e l’anima per questi godimenti superiori.

E questa è la dinamica dell’evoluzione!

Il godimento del corpo… non c’è bisogno di sforzarsi, ce lo dà la natura! A partire dal bambino che…

I. 1: Mi accorgo proprio che il nostro pensare è pieno di sensi di colpa!

A.: Sì, è vero! È vero! Perciò vi dicevo, ieri e l’altro ieri, non pensate che stiamo esagerando! No! No! È importantissimo renderci conto che la libertà individuale, la creatività individuale, è stata messa in negativo, come se fosse una prevaricazione.

Invece è proprio il senso dell’evoluzione, il culmine dell’evoluzione!

Ma il culmine dell’evoluzione non nel senso che è il massimo di ciò che tu devi!

No! È il massimo del godimento! Per godere sei nato! Se il Creatore mi ha creato perché io debba qualcosa, gli do un calcio nel sedere!; dico: tienitelo per te! Io accetto soltanto qualcosa che posso godere all’infinito!

Tu mi vuoi dare lo spirito per castrarmi, che per vivere come spirito devo vivere come asceta, ecc., ecc… tientelo lo spirito!, se è una noia di questo tipo!

Nooo! Lo spirito è godimento, godimento, gioia!

Ah, sì, sì! Allora lo voglio!

Fila adesso il discorso?

I. 1: Cambio la macchina! A questo punto mi godo questa cosa!

(Risate del pubblico)

A.: E se cambi l’automobile ti auguro di goderla più della vecchia, se no, tieni la vecchia, scusa!

Attenzione che con la decisione morale di comprare una nuova macchina c’entra tutto il sociale, eh! Ogni azione ha anche delle conseguenze! Adesso siamo in regime di risparmio e la Germania è mica pronta a dare soldi all’infinito all’Italia!

Quindi pensaci! Tu, comprando una macchina nuova, porti via parecchi soldi a gente che non ne ha; che non ha neanche i soldi per dare 5 euro a Pietro Archiati che fa un seminario a Roma!

Quindi la decisione di comprare una macchina nuova è una decisione sociale! Non riguarda solo l’individuo; questo volevo dire!

Allora, ritorno al concetto fondamentale: un individuo che fa qualcosa senza goderlo, ciò che fa è stupido! Perché il senso, animico, di tutto ciò che lo spirito fa è il godimento! Perché il senso dell’evoluzione è la pienezza, e mirare a sempre maggiore pienezza. E la pienezza, o è godimento, o non è pienezza!

E la morale tradizionale non usa questi concetti, capito! Insiste sul dovere! Che è una castrazione dell’uomo!

Per me, la prima domanda è: chi decide cosa io devo? Decidi tu?

Decidi quello che devi tu, casomai! Ma per quanto mi riguarda, lasciami in pace!

Decido io quello che voglio!

Certo che lo decido nel contesto di tutta l’umanità; anche soltanto per amore di me stesso, debbo tener conto degli altri membri del mio organismo! Ma qualsiasi cosa io voglia fare, voglio che sia un aumento, un incremento, della mia pienezza di essere umano in quanto spirito, in quanto anima, in quanto corpo. E questo è godimento, è gioia, è gratitudine!

L’esercizio della positività è uno dei fondamentali per camminare! Ogni negatività è un’omissione di pensiero, di pensieri giusti. Nulla è negativo se non nei buchi delle teste umane.

Quindi la negatività, il negativo, sono i buchi del pensare umano.

Una malattia è negativa?

È negativa soltanto se ometto il pensiero, e poi il realizzarlo, di tutto il positivo che posso far sorgere da me soltanto lottando, attraversando, questa malattia! E allora la godo! E dico: non sia mai che mi venga portata via!

Se un medico mi arriva con l’intenzione di portarmela via questa malattia, di farmi guarire, gli do un calcio nel sedere! Voglio un medico che mi aiuta a lottare contro questa malattia!

E fin quando ho la gioia di lottare contro questa malattia?

Solo fin che c’è! E quando ne ho fatto il meglio, non ce n’è più bisogno!

Quindi il senso di una malattia non è il guarire, è il lottare!

Guarire è finire qualcosa! Fermarsi!

Lottare è continuare a camminare!

Quindi la libertà è proprio anche passare da questo pensiero, che si è abituato ad essere statico, da appoggino a appoggino, a un pensiero dinamico, che vive dentro il movimento stesso! Perché è lui stesso un movimento di creazione!

E se l’io superiore, ancora prima di nascere, si è augurato una malattia, al 45° anno della sua vita, che duri almeno un mese! È un disastro farla durare solo 5 giorni!

Lo costringi a sceglierne un’altra! Gli porti via 25 giorni di lotta contro questa malattia, che sarebbe stata per lui la cosa migliore per andare avanti!

I. 1: È molto difficile questo pensiero! Io non ho…

A.: Tu fai il terapeuta quindi parli per esperienza!

I. 1: Non ho un paziente mio a cui potrei fare un pensiero del genere, ecco!

A.: Non è necessario!

I. 1: Sì, sì! Certo! Certo!

A.: Importantissimo che ce l’abbia tu!

I. 1: Lo so! E sento comunque che dentro di me c’è qualche resistenza a coglierlo fino in fondo. Se pure ci sono. Però non è così facile!

A.: Ma io non ho detto che debba essere facile! La testa c’è e il cuore no! Quindi continua a terapizzare te stesso, e allora le cose andranno sempre meglio!

I. 1: Sì, sì! Certo! Certo!

A.: Un medico, un terapeuta, che porta in sé il pensiero: io voglio aiutarti a vincere, a superare, a terminare, questa malattia il più presto possibile… Questa struttura mentale agisce, opera! Non è aria fritta! È una realtà spirituale! E crea nel paziente una negatività nei rispetti della malattia che ha!

Adesso prendiamo il secondo medico, il secondo terapeuta, che porta in sé, non soltanto a livello di testa, come tu dici, ma a livello del cuore, questo atteggiamento del tutto positivo, che non dice: finalmente!, sei evoluto abbastanza per poterti permettere… altri non possono ancora permettersi una malattia del genere! Non sarebbero capaci di affrontarla, tu invece sei capace – tutte riflessioni che lui fa tra sé e sé, non lo dice al paziente! –, però porta tutt’altri pensieri che operano!

Pensa: ah, tu sei già al punto da poter affrontare una tale depressione!? Tanto di cappello! Adesso si tratta, non di farla sparire al più presto, non è questo il senso! Si tratta di vedere che cosa tu puoi generare, quali registri, quali dimensioni dell’umano tu puoi generare, lottando contro questa depressione; vivendola!

E quanto tempo dura la lotta, contro questa depressione, che il tuo Io superiore si è ripromesso, lo lasciamo aperto! Lo sa lui! Si mostrerà!

Comunque, sta di fatto che io, come terapeuta, come medico, posso aiutarti nel modo migliore soltanto pensando la positività di questa malattia, di questa depressione, ecc.

Quindi la categoria di malattia è un moraleggiamento! Perché ogni malattia è una forma di salute! Quindi è incredibile la massa di negatività che il pensare proprio morto ha portato nell’umanità!

E un medico, un terapeuta, che ha in sé questi pensieri, proprio portati al cuore, li trasmette, anche senza dire una parola, come forze di gioia, di godimento della malattia! E allora il paziente ne fa il meglio possibile! E allora ha il diritto che non duri più del necessario! Ma non deve durare neanche meno del necessario!

Quindi la cosa più importante di un medico, di un terapeuta, sono i suoi pensieri!

Questi pensieri sono la realtà più operante che ci sia!

Di fronte a una macchina, un’automobile, che cosa è più reale di un’automobile: il pensiero che l’ha congegnata, o la materia dell’automobile?

Il pensiero è più reale! Perché il pensiero è talmente reale che ha fatto saltar fuori la macchina visibile, percepibile! Ma la macchina visibile non è capace di tirar fuori neanche un mezzo pensiero!

Quindi la scienza dello spirito serve a riconquistarci, a livello di coscienza, la realtà dello spirito! Noi pensiamo che sia reale la materia, ma tutta la sapienza orientale ci dice che la cosiddetta materia è illusione, è maya! Non è una realtà perché oggi c’è e domani non c’è; lo spirito è una realtà!

Quindi un medico che ha i pensieri sbagliati, ammala ancora di più il paziente; perché lo uccide: gli dà iniezioni di negatività che lavorano, che operano.

Se io vado da un terapeuta che mi dice in qualche modo, che mi comunica: sei un depresso! Che bella cosa! Un’ottima occasione! Tanti non se la possono permettere perché non ce la fanno, ma tu… una gran bella cosa!… Se vado da un terapeuta che mi comunica questo modo di pensare, perché lui ce l’ha, allora sì che la piglio in mano questa depressione! E ne faccio il meglio!

Se la vede negativa anche lui… mi rende doppiamente ammalato e gli devo dare addirittura dei soldi! Robe da matti!

I. 2: Non era una domanda, pensavo che chiamarla “malattia†potrebbe essere sbagliato, no? Sarebbe una “benettiaâ€

A.: Certo! Certo! Una benettia! Ogni malattia è una benettia!

Allora, mi permettete di leggere il capitolo fino alla fine?

(XII, 10) Ma non possiamo allora misurare il nuovo sull’antico? Non sarà ogni uomo costretto a giudicare la produzione della sua fantasia morale in base alle dottrine etiche tradizionali? Per ciò che deve rivelarsi come moralmente produttivo, il far questo sarebbe altrettanto assurdo come il voler misurare una nuova forma naturale sulle antiche, e dire che i rettili sono una forma illegittima (patologica) {malata!} perché non concordano con i protoamnioti.

(XII, 11) Dunque l’individualismo etico non è in contrasto con una bene intesa teoria dell’evoluzione, ma anzi deriva direttamente da essa. L’albero genealogico di Haeckel, che va dai protozoi fino all’uomo considerato come essere organico, dovrebbe poter essere proseguito, senza infrangere le leggi naturali e senza spezzare l’unità dell’evoluzione, fino all’individuo considerato come essere morale in senso definito. {Nel senso che è stato definito.} In nessun caso però, si potrebbe dall’essenza di una stirpe di antenati far derivare l’essenza di una stirpe di discendenti. Mentre è senz’altro vero che le idee morali dell’individuo sono derivate {non causate, ma procedute: son venute dopo!} per via di percezione da quelle dei suoi antenati, d’altra parte è pur vero che l’individuo è moralmente improduttivo se non possiede idee morali proprie.

Il problema è che, in questo punto dell’evoluzione in cui ci troviamo, la maggior parte degli esseri umani… le idee morali del passato, sono le idee morali che hanno generato, che hanno ideato, creato, esseri umano nel passato.

Il problema, rispetto all’evoluzione delle idee morali, è che, se noi percepiamo, se noi consideriamo, se noi osserviamo, la maggior parte degli individui oggi, ci tocca di constatare che non hanno, quasi nulla, di idee morali proprie, individualizzate, create, ex novo!

E quindi, non avendo quasi nulla, recepiscono le idee morali del passato – i 10 comandamenti di Mosè, per esempio – e ne fanno norme morali – che poi sono immorali – della propria vita!

Il fare, delle idee morali delle generazioni passate, la norma, qualcosa che dirige la mia vita, è l’essenza dell’immoralismo; nel senso che uccide, addirittura taccia di negatività, la creatività dell’individuo in campo morale!

Quindi recepire le norme morali dal passato è omettere in assoluto di crearle in proprio, a livello individuale. E questo omettere è il male morale tout court, semplicemente.

Perché in quanto essere moralmente creativo, sono del tutto morto! Non sono per nulla creativo! Quindi il bene morale, che è la creatività in campo etico, che è il campo dell’agire; il bene morale, che è la creatività nel campo dell’agire, che idèa azioni sempre nuove, questa creatività io la ometto su tutta la linea; e quindi recepisco passivamente, perpetuando da persona morta, le idee morali create dalle generazioni passate.

Mosé ha detto, tremila anni fa: non uccidere!

Affari suoi!

Non uccidere per me ha un significato, mi dà godimento, soltanto nella misura in cui io dico: non uccidere… certo, in quanto categoria valida sempre, non ho nulla in contrario! Sono d’accordo! Però in quanto categoria che vale per tutta l’evoluzione è talmente astratta che non dice nulla! Concreta diventa subito quando qualcuno si permette di uccidere qualcosa in me! Allora diventa concreta! Perché si individualizza!

Allora, questo “non uccidereâ€, o lo individualizzo, o per me è aria fritta!

E come lo individualizzo?

Lo individualizzo creando io aspetti dell’uccidere l’umano del tutto nuovi, prima mai pensati! E gli aspetti dell’umano, individualizzati, che possono venir a uccidere, li posso comprendere soltanto nella misura in cui li creo.

Creando aspetti dell’umano del tutto individuali, che prima non ci sono mai stati, adesso colgo aspetti nuovi, individualizzati, di ciò che si potrebbe anche uccidere, o omettere.

Quindi, questo “non uccidere†diventa, attraverso la fantasia, l’ingegno morale, attraverso soprattutto la creatività, l’intuizione morale del tutto individualizzata: cosa significa non uccidere per me, nella mia situazione e per quanto riguarda me!

Quindi, ogni omissione di un’intuizione morale possibile, di creatività possibile, ogni omissione di una creatività che mi sarebbe possibile, è un’auto-uccisione!

E la pienezza dell’umano mi dice: non uccidere… ma non uccidere significa: non omettere di creare; perché, con ogni omissione di creazione, uccidi qualcosa che in te potrebbe venire all’essere! Lo uccidi in partenza! Non lo fai neanche nascere!

Perché la forma più fondamentale dell’uccidere è non far neanche nascere!

LUCIANA: Pietro, la prima frase del paragrafo 11: “deriva direttamente da essaâ€; me la spieghi un po’ meglio?

La frase intera è: Dunque l’individualismo etico non è in contrasto con una bene intesa teoria dell’evoluzione, ma anzi deriva direttamente da essa.

Quel “deriva†non capisco!

A.: Consegue!

LUCIANA: Che viene dopo?

A.: No! Consegue, sgorga! (riprende il disegno precedente)

La teoria dell’evoluzione… l’ho fatto all’inizio! Qui, diciamo, c’è l’evoluzione percepibile; noi siamo qui, mettiamoci anche le percezioni che gli scienziati ci hanno tramandato, hanno scritto, ecc. Le percezioni che ha fatto Charles Darwin, tu e io, non le facciamo direttamente, però le ha scritte! Mettiamoci tutte queste percezioni! Cosa percepiamo? – L’ho fatto all’inizio! – Cosa percepiamo in tutto l’elemento dell’evoluzione?

La teoria dell’evoluzione deve stare alla percezione! Percepiamo quattro livelli fondamentali! E, nel livello umano, percepiamo il dinamismo assoluto, dovuto al pensare, dovuto alla creatività dell’uomo, ad individualizzarsi sempre di più, a diventare sempre più liberamente creatore, capito!

Lo constatiamo osservando l’evoluzione!

Il problema tuo è che il linguaggio italiano, siccome è stato intriso, non di cristianesimo, ma di cattolicesimo, tante categorie, anziché lasciarle pulite pulite, il cattolicesimo gli ha messo delle sfumature morali – che poi sono moraleggianti – e che vanno in direzione di una causazione che non c’entra nulla!

Fammi vedere il tedesco… deriva, proprio si evidenzia…

Dallo studio dei fenomeni dell’evoluzione, e in questi fenomeni c’è anche il fenomeno umano, da questo studio sgorga – sgorga!, di giocoforza! – l’emergere dell’individuo umano libero!

Non puoi studiare l’evoluzione senza notare, senza percepire, che salta fuori, come culmine dell’evoluzione, l’individuo umano, che grazie al pensare, vuol essere sempre più creatore!

“Derivaâ€, sgorga direttamente da essa… risulta, risulta!

Mi son fatto capire, Luciana?

Cioè, il testo non è stato scritto in italiano, va tenuto sempre presente: è una traduzione! Quindi le parole italiane vanno lasciate…

LUCIANA: Sembrerebbe, così espresso, un po’ una causazione!

A.: Ecco! Questo che ti stavo dicendo! Invece il linguaggio tedesco è più cauto, capito! Perché ha di più la consapevolezza che alle spalle c’è sempre lo spirito, che è la causa di tutto ciò che avviene!

“Emergeâ€! Da uno studio dell’evoluzione emerge!, emerge! “Emerge†tradurrebbe meglio la parola tedesca, perché “emerge†non dice nulla di causazione!

Però, insomma, sta ad ognuno capire un po’ le cose!

Tu ti lamentavi che non arriviamo mai al termine e sei tu, adesso, a fermarci!

(XII, 12) Si potrebbe derivare anche dalla teoria dell’evoluzione l’individualismo etico {il tedesco dice: lo stesso individualismo etico} che ho svolto sulla base delle precedenti considerazioni. {Fatte sull’analisi dell’uomo.} La conclusione finale sarebbe la medesima; sarebbe soltanto diversa la via per la quale essa verrebbe raggiunta.

Allora dice: all’individualismo etico, cioè all’individuo liberamente creatore, ci si arriva per due vie: la Filosofia della Libertà ci arriva attraverso un’analisi dell’uomo; non fa l’analisi di tutta l’evoluzione. E lui dice: se noi facessimo un’analisi di tutta l’evoluzione, arriveremmo allo stesso risultato soltanto per una via diversa; un po’ più lunga!

Eh, è ovvio il pensiero!

Il risultato deve essere lo stesso se no i conti non tornano!

(XII, 13) Per la teoria dell’evoluzione è altrettanto poco miracoloso {cioè inspiegabile, irrazionale}, che idee etiche del tutto nuove {idee nel campo dell’agire, morale significa: ciò che concerne il campo dell’agire}.

La parola morale, per Steiner, non è una categoria morale, significa: riguarda l’agire, intellettuale e morale. Invece noi moraleggiamo subito sulla parola morale, questo è il problema!

Allora ripeto: la categoria morale, per Steiner, ma anche per Aristotele è il corrispondente della categoria intellettuale; intellettuale sono processi di pensiero; morale sono processi di azione, dell’agire. Invece noi pensiamo: morale significa: buono! No! Morale significa che riguarda l’agire!

P(XII, 13) Per la teoria dell’evoluzione è altrettanto poco miracoloso che idee etiche del tutto nuove si sviluppino dalla fantasia morale, quanto che una nuova specie animale si sviluppi da un’altra. Soltanto, quella teoria, come concezione monistica del mondo, deve respingere, nella vita morale come in quella naturale, ogni influenza dell’al di là (metafisica) che sia soltanto dedotta, e non sperimentabile in idee.

I teologi che si sono arrabbiati di brutto quando uscì il libro di Charles Darwin sull’origine delle specie… loro dicevano che: qui c’è il cambiamento delle forme – semplificato: l’evoluzione , evoluzione in quanto percepibile –. Qui c’è una forma di pianta A e qui c’è una forma di pianta un po’ diversa A1. Poi qui nasce un’altra forma di pianta B.

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I teologi, anche di oggi, siccome sono… chi è il teologo? Il teologo è il pensatore povero, se no, quando diventa un pensatore migliore si chiama: filosofo – tanto per capirci –. Allora siccome sono pensatori poverelli, fanno astrazioni, e dicono: no, no, no, per ogni minimo cambiamento la divinità deve intervenire: te sei una pianta così, adesso sei cambiata! No, la causa del cambiamento è la divinità, se no, se tu mandi a ramengo la divinità, questa diventa disoccupata, e c’è abbastanza disoccupazione nel mondo! Addirittura poi quando c’è una nuova specie di pianta! Chi è la causa? La specie A non comprende in sé la specie B, è tutt’altra cosa; quindi un nuovo concetto della divinità.

Allora mancano… questa trascendenza – tra - scendenza – che è lo stesso che astrazione, non spiega i fenomeni perché, Charles Darwin dice: che sia stata la divinità a spingere, a cambiare, questa pianta e farla diventare in questo modo qua, a me non m’importa nulla!

A me interessa studiare come questa qui sia cambiata, in quali condizioni, in che modo si cambia più veloce, quando fa freddo, quando fa caldo, ecc., ecc., ecc.

Mi interessa il come! Che poi sia Lui a dirigere tutto questo, visto che non si fa neanche vedere, non mi interessa più di tanto!

Però resta il fatto che A non può essere la causa di B. Una specie di pianta non può essere la causa di una specie del tutto diversa!

Mancano due livelli di mediazione – adesso arriva la scienza dello spirito – e dice: mancano due livelli di mediazione! L’umanità moderna ha spaccato la realtà in due: lo spirito l’ha messo lontano dalla materia, e la materia la vede senza spirito dentro!

Allora mettiamoci le cose che mancano: qui dentro ci sono spiriti della natura che lavorano a trasformare! E il concetto di una nuova pianta… la divinità dice agli spiriti della saggezza – il concetto lo crea lo spirito della saggezza – qui, finora non c’è stata la rosa, sorga la rosa!

Come sorge la rosa?

Ci vuole il concetto di rosa! Spiriti della saggezza: concetto. Spiriti della forma, la forma. Perché la rosa, di volta in volta, deve avere una forma: la forma di rosa. E per la trasformazione: gli spiriti del movimento! (tutta la 2° gerarchia). Allora la Trinità dice: fate voi!

E gli spiriti della saggezza dicono: e dove lo trovo io il concetto?

Però gli spiriti della saggezza hanno tutt’altra capacità, che non gli esseri umani, di afferrare un concetto; se no, che stanno a fare lì, così in alto!

Ah, ho capito cosa intendi quando parli di rosa, vabbè, facciamola!

E questi spiriti non possono loro, direttamente, essere all’opera nella rosa, altrimenti, come dire, brucerebbero le tappe! Quindi l’operare degli spiriti della natura è l’evoluzione al rallentatore, se no non sarebbe percepibile per l’uomo!

E il massimo di rallentamento è la forma fisica! Secondo gradino di rallentamento è la metamorfosi; terzo gradino di rallentamento sono gli stati d’animo, uno dopo l’altro; quarto gradino di rallentamento è il pensare umano che arranca, arranca, arranca!

Ma senza rallentamento non c’è evoluzione! Il pensare divino ha sempre il tutto, in un attimo! Nell’attimo c’è l’eternità!

Quindi, ciò che noi chiamiamo evoluzione, comprende vari livelli, che è una cosa molto complessa! E lo scienziato naturale vede, conosce, soltanto il livello di percezione e quindi pensa la forma dopo, come se fosse la forma prima a causarla! Come fa?

Addirittura poi: la specie pianta A, il tulipano, per es., causa B, la rosa!

Una cosa assurda!

Tu dimmi che la rosa è sorta, supponiamo, dopo il tulipano! Ma il fatto che sia sorta dopo non ti autorizza a dire che il tulipano è la causa della rosa!

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(XII, 13) Per la teoria dell’evoluzione è altrettanto poco miracoloso che idee etiche del tutto nuove si sviluppino dalla fantasia morale, quanto che una nuova specie animale si sviluppi da un’altra.

Questo “da un’altra†non sta a dire che la precedente è la causa esauriente, sufficiente, per spiegare una nuova specie!

I. 4: Parlando dell’opera degli esseri elementari e delle gerarchie, non siamo ancora fermi alla concezione teologica in cui ho qualcosa che non è perfettibile?

A.: Prima di tutto la teologia non c’entra nulla! Io ho fatto tutta la teologia che si possa immaginare e mai ha parlato di spiriti all’opera nella natura! Mai! Come prima cosa. Seconda cosa: se tu dicessi: lo spirito umano… è trascendente. Di cosa parli?

Resti tu con la domanda: sorge una nuova specie di pianta… chi l’ha fatta sorgere? Qual è la causa? Da dove viene?

Devi dar tu la risposta! Soltanto una risposta che dai tu può convincere te! Ce l’hai in mano il microfono? Usalo!

I. 4: Non so cosa rispondere!

A.: No, lo sai! Non vuoi rispondere!

Salta fuori un nuovo tipo di dolce… la gente dice: ma questo dolce non c’è mai stato! Non l’ho mai visto! La causa?

I. 4: Eh, il pasticcere!

A.: Il corpo del pasticcere, o che cosa?

I. 4: Il pensiero del pasticcere che l’ha creato!

A.: Eh! Eh! E allora la sai la risposta! Perché dicevi di non saperla?

Quello che stiamo dicendo è che la causa di tutto ciò che c’è è lo spirito che crea, se no non succede nulla! Senza lo spirito che crea non succede nulla! Non ci sarebbe nulla !

E per quanto riguarda il mondo percepibile, percepiamo la pietra e diciamo: dentro la pietra non c’è uno spirito che crea, se no la pietra comincerebbe a pensare e a dire: ho questa idea, ho quest’altra idea, ecc.

Dentro la pianta non c’è uno spirito che crea, se no la pianta, la rosa comincerebbe a dire: ‘mo mi va di far questo, no, questo non lo faccio! E tu lasciami in pace, non hai il diritto di recideremi!

Andiamo all’animale, l’animale… qualcuno dice: tutti gli altri cani non sono intelligenti, ma il mio!… È così poco intelligente quest’uomo che il suo cane è costretto ad esser più intelligente di lui!

Arriviamo al fenomeno umano e qui, all’improvviso: io penso! Io voglio! Io dico: son d’accordo, non son d’accordo…

Quindi nell’essere umano salta fuori lo spirito creatore! Un fatto di percezione; una cosa che percepiamo. Non sono teorie: restiamo sempre, diciamo cose sempre soltanto in base alla percezione.

E lo spirito umano dice: cose nuove, le può creare solo lo spirito, col pensiero!

(XII, 13) Soltanto, quella teoria, come concezione monistica del mondo, deve respingere, nella vita morale come in quella naturale, ogni influenza dell’al di là (metafisica)…

Questo “al di làâ€â€¦ Noi, l’al di là lo lasciamo, non ci interessa l’al di là; quindi qui c’è l’uomo; ci interessa ciò che constatiamo, ciò che percepiamo nell’uomo! L’uomo, qui, a tutti i livelli!

Ciò che è pensato oltre l’uomo – un pensiero che ho detto diverse volte – un Dio oltre l’uomo, al di là dell’uomo, è un nulla! Oltre l’uomo c’è, per quanto ci riguarda, – uomini siamo – il nulla! Il cosiddetto Dio diventa reale soltanto nella misura in cui lo colgo in me! E cosa posso cogliere in me del cosiddetto Dio che sarebbe fuori?

La cosa più essenziale, che è lo spirito creatore! Di più non si può!

In me incipientemente, però questo inizio è di natura uguale allo spirito creatore della divinità. Spirito creatore è spirito creatore! La natura è la stessa. È soltanto questione di vastità e di profondità, ma la natura è la stessa!

Come la natura di una goccia nell’oceano, è la stessissima di tutto l’oceano!

Però con una goccia non posso spostare una montagna! Quindi non posso dire la goccia è la stessa cosa dell’oceano, ma è della stessa natura.

Quindi lo spirito umano non è la stessa cosa che lo spirito divino, ma è della stessa natura! Spirito è spirito. Punto e basta!

E datti da fare per diventare sempre di più spirito creatore!

Devi farlo?

No!

Tendi per natura a godere sempre più l’essere creatore! E godrai solo nella misura in cui diventi sempre più creatore.

Se tu, attraverso questa depressione, ti inventi nuovi modi di essere sano, ben venga! Te la godrai! Perché hai un’occasione di diventare sempre più creatore.

(XII, 13) Con ciò essa segue il medesimo principio su cui si basa nel ricercare la causa di nuove forme organiche, e in questo non si richiama all’intervento di un Essere posto fuori del mondo, che produca per influenza soprannaturale ogni nuova specie secondo un nuovo pensiero creativo. Come il monismo non può valersi di alcun pensiero creativo soprannaturale per la spiegazione dell’essenza della vita, così gli è pure impossibile di dedurre l’ordinamento morale del mondo da cause che non risiedano dentro il mondo sperimentabile. {Percepibile e pensabile!}

Non può spiegare esaurientemente l’essenza di una volizione di un atto di volontà come di qualcosa di morale, né riferendola ad un’azione soprannaturale continuativa sulla vita morale (governo divino del mondo dal di fuori), né a una speciale rivelazione temporanea (imposizione dei dieci comandamenti), né all’apparizione di Dio sulla terra (Cristo). {Il povero Cristo! “Povero†ce l’ho messo io!}

Tutto ciò che per queste vie accade all’uomo e nell’uomo, acquista valore morale solo quando, con l’esperienza umana, l’individuo lo abbia fatto proprio.

Quindi per l’uomo diventa reale solo ciò che lui fa proprio col pensare. Le cose diventano reali solo nel pensare; fuori del pensare c’è il non reale. C’è il nulla!

PAOLO: Quello che diceva questo ragazzo, che si poneva il dubbio di dire: vabbè però anche quello che dici tu assomiglia molto a questa divinità; la grande differenza è che le idee di Steiner sono pensabili. Cioè articola questa divinità che agisce nella materia in un modo così articolato e così logico, che noi possiamo pensarla; per cui non è più un’astrazione di una divinità messa fuori, che agisce per i fatti suoi, ma ci dà la possibilità di pensare questo processo. È questo il punto?

A.: E quindi sulla divinità che dovrebbe stare oltre non dice proprio nulla! Non interessa proprio!

PAOLO: Esatto! Ci dà tutti gli strumenti per vederla all’opera, in quello che noi possiamo vedere. Ci dà le percezioni.

A.: No, no, ti dice soltanto: smetti di dormire! Lui non ti può dare niente che tu non abbia! Finora hai soltanto guardato e non pensato! Se tu, oltre a guardare, pensi, vedi lo spirito all’opera nel mondo dappertutto! Perché vivi tu stesso come spirito che pensa!

Quindi, in fondo, – riassumo – Steiner dice: le cosiddette scienze naturali consistono nel ridurre l’uomo a uno che percepisce! Senza pensare! E le scienze naturali hanno di pensiero, se uno vuol essere sincero e onesto, nulla!

Il cosiddetto pensiero dello scienziato serve soltanto… non è un pensiero, è una razionalità che serve soltanto a catalogare, a sistematizzare, le percezioni!

È come avere un trattore, smontarlo, avere tremila parti e catalogarle! Metterci ad ogni parte un numero! Adesso le ho catalogate, e quelle più o meno uguali le metto insieme; come un museo! In un museo sono catalogate, le cose!

Quindi, le scienze naturali, con questa ipertrofia della percezione, sono diventate il museo del pensiero! E la scienza dello spirito ci aggiunge il pensiero!

E allora, pensando, l’essere umano dice: ah!, è il pensare che causa tutto! e tutte le percezioni che ci sono sono l’effetto del pensare. Sono tutte pensate; sono tutti concetti.

CARMINE: Volevo dire che in maniera complementare a questo catalogare le percezioni, c’è tutto un fiorire di teorie astratte che si allontanano completamente dalla percezione; quindi è come se l’aspetto pensare e l’aspetto percepire seguissero due binari che non si incontrano mai.

A.: Esatto! Allora, il big bang, al di là del percepibile, è tale e quale al Dio al di là del percepibile; è la stessissima cosa! È una pura astrazione senza nulla di realtà! E perché?

Perché manca la percezione!

Allora la Filosofia della Libertà ti dice: quando manca la percezione non hai una realtà; ma quando hai soltanto la percezione, neppure hai una realtà! E le scienze naturali hanno soltanto la percezione! E quando non manca la percezione sei colmo a vanvera, ma non trovi di sicuro una realtà.

La trovata del big bang è una baggianata che peggio non si può! Il big bang, per me, è la stessa cosa del Dio sulle nuvole; la stessissima cosa!

PUBBLICO: E chi ha provocato il big bang?

A.: Il Creatore! Se non è lui il big bang, che ha creato tutto il putiferio… che tu lo chiami il Dio creatore, o lo chiami il big bang che ha dato origine a tutto, è la stessissima cosa! È un nulla del pensare umano.

Quindi l’essere umano, la realtà ce l’ha soltanto quando percezione e concetto, e pensare, si uniscono..

Riassumendo si potrebbe dire: le scienze naturali ci forniscono un’infinità di percezioni e la scienza dello spirito ci mette i concetti. Allora sì che funziona!

Vi dicevo altre volte che in Germania, con certi scienziati, uno si scoraggia perché dice: non val la pena, non sanno pensare, non hanno neanche le minime categorie, neanche le categorie fondamentali di Aristotele, che distingue tra forma e materia, tra potenzialità e attualizzazione; non hanno nulla, mi portano soltanto percezioni… e allora che stiamo a discutere! Andiamo a bere una birra insieme!

(XII, 13) Non può spiegare esaurientemente l’essenza di una volizione come di qualcosa di morale, né riferendola ad un’azione soprannaturale continuativa sulla vita morale (governo divino del mondo dal di fuori), né a una speciale rivelazione temporanea (imposizione dei dieci comandamenti), né all’apparizione di Dio sulla terra (Cristo).

Il Cristo, il povero Cristo, per me, è qualcosa soltanto nella misura in cui sono io un Cristo incipiente! Perché se è bello solo lui e non io… che mi interessa! E se lui è un povero Cristo, io avrò ragione di diventare un bravo Cristo!

Il povero Cristo è quello immaginato fuori dell’uomo! È talmente povero che gli manca tutto l’umano; e se gli portiamo via l’umano sparisce tutto del Cristo!

Quindi, il cosiddetto Cristo, o è la realtà del mio pensiero – Logos, lo chiama il vangelo di Giovanni! – o sono io un frammento del Logos, o non mi interessa proprio!

(XII, 13) Tutto ciò che per queste vie accade all’uomo e nell’uomo, acquista valore morale solo quando, con l’esperienza umana, l’individuo lo abbia fatto proprio. Per il monismo i processi morali sono prodotti del mondo, come tutto ciò che esiste, e le loro cause debbono essere ricercate nel mondo, cioè nell’uomo, poiché l’uomo è il portatore della moralità.

Moralità e libertà sono sinonimi. Morale è ciò che è libero; non morale è ciò che è non libero. E il non morale si distingue in due categorie: a-morale e immorale.

Riassumendo:

morale = libero

non morale cioè immorale = non libero, ma potrebbe essere libero

amorale = non può mai essere libero

Dunque: amorale è tutto ciò che non può essere libero; come gli animali, le piante e le pietre. E l’essere umano può essere, o soltanto morale, oppure non morale cioè immorale; che è non libero, ma lo potrebbe essere! Omette la libertà!

(XII, 14) L’individualismo etico è, in tal modo, il coronamento dell’edificio che Darwin ed Haeckel hanno costruito per la scienza naturale. È la teoria dell’evoluzione spiritualizzata e trasportata nella vita morale.

Tutto in base a percezione! Percepiamo le pietre e constatiamo questo, questo e questo. Guardando le piante constatiamo questo, questo e questo; l’emergere della vita. Guardando gli animali constatiamo l’emergere della sensazione, ecc. Guardiamo all’umano e percepiamo l’emergere della libertà individualizzata; dovuta allo spirito creatore che pensa.

Lo constatiamo! Ognuno lo constata in se stesso, altrimenti non è uomo. E dice: questa creatività è come una potenzialità, non mi è data in toto – allora non ci sarebbe nulla da fare! – mi è data come una potenzialità, come una capacità, una facoltà che io posso sviluppare e realizzare sempre di più, sempre più profondamente, sempre più vastamente.

E il senso del tutto è: godimento all’infinito!

“ Nati non foste per viver come bruti, ma per seguir virtude – la morale – e conoscenza.

E virtude: la creatività morale, e conoscenza: la creatività intellettuale… se non è godimento questo!

Nella morale tradizionale retriva bisogna chiedere il permesso per godere qualcosa, se no non è permesso. Godere è già sospetto! Perché?

Perché si sottintende – una cosa allucinante eh! – che altrimenti l’uomo sa godere soltanto gli istinti del corpo; e quei godimenti si vorrebbe proibirli, senza procurarne di più grandi!

E questo proibire i godimenti spiccioli, comuni, senza proporne di più grandi, io la chiamo: castrazione! Quindi la morale tradizionale è una castrazione dell’uomo dall’inizio alla fine. È importante che ci rendiamo conto di questo!

(XII, 15) Chi, con mentalità ristretta, assegna in anticipo al concetto del naturale un campo arbitrariamente limitato, può facilmente arrivare a non trovarvi posto per la libera attività individuale.

Quindi il concetto del naturale… cos’è la natura?

Il minerale in me, il vivente in me, l’animale in me, l’umano in me… natura è ciò che mi è dato!

O, ma se io sono soltanto natura, allora sono stato il risultato di ciò che la natura mi ha dato. Sono soltanto un effetto, un risultato che… e io?, e io? … non c’è nulla di mio?

Dentro ciò che mi è dato c’è qualcosa che mi è dato, senza essermi dato!

E cos’è che… noi siamo tutti aristotelici, pensatori a livelli elevati; che categoria vogliamo formare noi per qualcosa che mi è dato, però non ho il diritto di consideralo come dato?

Una facoltà, una potenzialità…la capacità di vivere sempre più liberi!

La potenzialità della libertà fa parte della natura umana! Non è sovranaturale!

Però è una facoltà, che ha il suo senso soltanto nella misura in cui la esercito e la realizzo.

Invece “snaturale†è trattarla, la libertà, come se ce l’avessi già!

Quindi la struttura della libertà è che non si può dare la libertà; si può dare la facoltà della libertà; e bisogna lasciare all’essere umano – se no non è libero – che lui, liberamente,… e quali sono le due scelte fondamentali della mia libertà rispetto alla libertà?

Di afferrarla, di realizzarla, di realizzarla sempre di più, oppure di ometterla! Allora sono libero!

(XII, 15) Ma l’evoluzionista conseguente non può incorrere in una siffatta ristrettezza di idee. Non può arrestare alla scimmia il processo naturale di evoluzione e ammettere per l’uomo un’origine “soprannaturaleâ€. Anche nel cercare gli antenati naturali dell’uomo, egli deve cercare lo spirito già nella natura; {dappertutto, sempre, anche nella pietra, anche nella pianta, anche nell’animale; dappertutto lo spirito è all’opera nella natura} e anche per le funzioni organiche dell’uomo egli non può arrestarsi ad esse e considerare soltanto queste come naturali, ma deve considerare anche la vita morale libera come spirituale continuazione delle funzioni organiche.

Quindi, “naturale†è la creatività dello spirito. La creatività dello spirito è la cosa più naturale che ci sia! E crea tutta la natura! E crea la cosiddetta natura umana, che è una pensata del tutto speciale, perché nella natura umana è compresa la capacità di diventare sempre di più uno spirito creatore. Ma fa parte della natura umana!

(XII, 16) Il seguace della teoria dell’evoluzione, in base alla sua concezione fondamentale, può ritenere soltanto che l’agire morale attuale derivi da altre forme del divenire del mondo; ma deve lasciare la caratterizzazione dell’agire, cioè la sua determinazione come libero, alla diretta osservazione dell’agire stesso.

È in base alla percezione del pensare che noi creiamo il concetto del pensare. E percependo il pensare diciamo: il pensare è quell’elemento in cui l’essere umano crea liberamente; oppure il pensare non c’è.

Si resta sempre alla percezione.

Questo concetto del pensare è stato creato nella prima parte della Filosofia della Libertà.

(XII, 16) Egli reputa infatti che gli uomini si siano sviluppati da progenitori non ancora umani. Come siano fatti gli uomini, questo può essere però stabilito soltanto per mezzo dell’osservazione degli uomini stessi. I risultati di tale osservazione non possono riuscire in contraddizione con una storia dell’evoluzione giustamente intesa. Solamente l’affermazione che i risultati sono tali da escludere un ordinamento naturale del mondo potrebbe essere ritenuta in contraddizione con la tendenza più recente della scienza naturale.

(XII, 17) Da una scienza naturale che capisca se stessa {che interpreti rettamente se stessa}, l’individualismo etico non ha nulla da temere: l’osservazione rivela la libertà come elemento caratteristico della forma perfetta dell’attività umana. La libertà deve venire attribuita al volere umano, in quanto esso realizzi intuizioni puramente ideali. Perché queste non sono risultati di una necessità agente su di esse dal di fuori, ma qualcosa che si regge su di sé. Se l’uomo trova che un’azione è il riflesso di una simile intuizione ideale, egli la sente come libera. In questo carattere di un’azione risiede la libertà.

Libero è tutto ciò che io stesso creo. Ma questo non dice che tutto in me è libero; nessun essere umano intelligente dice: in me è tutto puramente creazione mia! Tutta la mia corporeità non è creazione mia; tutto l’animico non è creazione mia. Noi riferiamo l’elemento della libertà creatrice, della libertà artistica, al pensare che pensa, escogita, crea anche, idee di comportamenti, idee morali.

Quindi anche per la morale, anche per il comportamento, l’elemento di libertà si può percepire soltanto nel pensare; nel momento in cui io parlo di sentimento c’è subito una grossa fetta di non libertà; addirittura poi quando parlo di fenomeni corporei!:::

Ora, siccome è possibile omettere, e omettere abbastanza vistosamente, questa creatività libera nel pensare; nella misura in cui l’essere umano la omette, in tutta la sfera animica, in tutta la sfera corporea, c’è il dato di non libertà.

Quindi non si sta dicendo che, a questi livelli dell’evoluzione, l’essere umano sia in grado di creare liberamente il tutto del suo essere; sarebbe una stupidaggine!

Crea concetti di azioni; crea idee concettuali delle cose che ci sono; ma non può creare il funzionamento della bile, o del polmone. E perciò diventa, il pensare, così importante perché, essendo l’unico elemento dove la creatività è possibile in assoluto, e illimitata, è l’elemento di pienezza somma dell’essere umano; tutto il resto glielo dà la natura.

(XII, 18) Ora, dal punto di vista citato, che cosa dobbiamo pensare della distinzione menzionata più sopra (v. pag. 14 e seguenti) fra le due sentenze: “esser libero significa poter fare ciò che si vuole†e l’altra: “poter desiderare a piacimento e poter non desiderare costituiscono il vero significato del dogma del libero arbitrio�

Hamerling fonda la sua concezione del libero arbitrio proprio su questa distinzione, in quanto dichiara giusta la prima sentenza, e chiama la seconda un’assurda tautologia. Egli dice: “io posso fare ciò che voglio. Ma dire: posso volere ciò che voglio è una vana tautologiaâ€. Che io possa fare, vale a dire trasformare in realtà esterna, percepibile ciò che io voglio, ciò che mi sono proposto come idea della mia azione, è cosa che dipende da circostanze esterne e dalla mia capacità tecnica (v. pag. 163 e seguenti). Essere libero significa poter determinare da sé, con la fantasia morale, le rappresentazioni {i concetti}, che stanno alla base dell’agire (i motivi). La libertà è impossibile se qualcosa al di fuori di me (un processo meccanico, oppure un Dio posto al di fuori del mondo e frutto di una pura illazione) determina le mie rappresentazioni morali. Io sono dunque libero solamente quando produco io stesso queste rappresentazioni {questi concetti, queste idee} e non quando posso semplicemente dare esecuzione ai motivi che un altro essere ha posti in me.

Quindi la libertà non è nell’eseguire liberamente ciò che un altro vuole. La libertà non sta nell’eseguire liberamente la volontà di Dio! No, no, no, voglio che sia la mia volontà; soltanto allora sono libero!

Quindi una teologia che dice: ma guarda che tu, la volontà di Dio, la puoi fare liberamente, e allora sei libero! Questo pensiero è un cavillo, è un inganno!

Io posso decidere liberamente di fare la volontà di Dio che è fuori di me, ma questa decisione libera è la decisione di perdere la mia libertà, la mia autonomia.

Libertà significa autonomia.

Decido di perdere la mia libertà e di essere un’appendice del Dio fuori di me, e faccio la sua volontà. Se invece voglio essere libero gli devo dare un calcio nel sedere! E devo fare la mia volontà; soltanto allora sono libero.

Quindi devo decidere io, devo creare io ciò che voglio.

Quindi la morale tradizionale ha spostato la libertà sul fare la volontà di Dio, fare “liberamente†la volontà di Dio. Invece la vera libertà sta nel volere, nel creare, la volontà; ciò che io voglio.

Soltanto quando io faccio ciò che io stesso voglio e creo liberamente, sono libero. Quindi non posso essere libero facendo liberamente ciò che vuole un altro.

È un cavillo, è un’illusione! Un auto inganno!

E in Kant, per esempio, si trova su tutte le pagine. Parla di Pflicht, il dovere, quindi una volontà estrinseca all’uomo, però dice: tu puoi essere libero: puoi fare il tuo dovere liberamente! È un inganno, un cavillo! O non c’è dovere e faccio quello che voglio, o se c’è un dovere non sono libero! Punto e basta!

Certo che un discorso del genere spazza via tutta la chiesa e tutte le autorità! E lì le cose vanno lentamente, ce ne accorgiamo!

(XII, 18) Io sono dunque libero solamente quando produco io stesso queste rappresentazioni, e non quando posso semplicemente dare esecuzione ai motivi che un altro essere ha posti in me.

Fare la volontà di Dio… e che vuole ‘sto Dio da me?

Te lo dico io, sono il tuo superiore! Ma allora è la volontà tua, scusa!, te mica sei Dio! A quel punto lì mi hanno detto: dai, tu nella chiesa proprio non ci stai! E io ho detto: sì, sì, mi rendo conto, me ne vado, me ne vado, e vi lascio in pace!

(XII, 18) Un essere libero è quello che può volere ciò che egli stesso ritiene giusto. Chi fa cosa diversa da ciò che vuole, deve essere spinto a farla da motivi che non risiedono in lui. Chi fa così non agisce liberamente. Poter volere a proprio piacimento ciò che si ritiene giusto o non giusto significa dunque: potere a proprio piacimento essere libero o non libero. Questo è naturalmente altrettanto assurdo quanto il vedere la libertà nella facoltà di poter fare quello che si deve volere. {In base alla volontà altrui!}

Ma è proprio questo che Hamerling sostiene quando dice: “È perfettamente vero che la volontà viene sempre determinata da motivi {determinata quindi non libera}, ma è assurdo dire che essa perciò non sia libera; poiché per essa non può essere desiderata e pensata nessuna libertà maggiore di quella di poter realizzare se stessa a misura della propria forza e della propria decisioneâ€. Ebbene, si può invece desiderare una libertà maggiore, e allora soltanto si ha quella vera: la libertà cioè di determinarsi da sé i motivi del proprio volere.

Le intuizioni, le azioni, i concetti delle azioni stesse che io voglio realizzare, compiere.

(XII, 19) In certe circostanze l’uomo può essere indotto a tralasciare l’esecuzione di quello che vuole.

Quando io voglio qualcosa, in questo voler qualcosa che sto ideando io, c’è il godimento della creatività libera. In questo godimento della creatività libera è compreso il fatto che il mondo mi permetta di eseguirlo e di farlo?

No!

Lo dicevamo ieri sera: Quindi il fatto che il mondo mi permetta di eseguire, di fare tutto, un pezzettino, o per adesso nulla, è esterno, è estrinseco alla creatività in base alla quale io ho concepito qualcosa che adesso urge, o forse attraverso la mia individualità bussa alle porte dell’umanità; e io lo porto dentro di me come una creazione, che se è forte abbastanza, sa anche aspettare il momento in cui si tradurrà in percezioni visibili.

Ma la creazione non è dipendente dalla possibilità di tradursi in percezioni visibili.

È perfetta già a livello di creazione spirituale! Perché allo spirito non manca nulla!

(XII, 19) Ma a lasciarsi prescrivere ciò che deve fare, vale a dire a volere ciò che altri e non egli stesso ritiene giusto, l’uomo si presta solamente in quanto non si sente libero.

(XII, 20) Le forze esteriori possono impedirmi di fare quello che voglio; {ma non possono impedirmi di volere, di ideare, di creare un volere, una direzione, un dinamismo evolutivo del mio essere. Questo non me lo può impedire nessuno!} e allora mi condannano semplicemente all’inazione o alla non libertà.

Non libertà esteriore però, nel fare, non nel creare – questo è uno dei casi problematici nella Filosofia della Libertà –.

(XII, 20) Soltanto quando esse asserviscano il mio spirito, e mi scaccino dalla testa i miei motivi per mettere i propri al loro posto, soltanto allora attentano alla mia libertà. Perciò la chiesa si volge {Steiner non è che parla spesso della chiesa nella Filosofia della Libertà, però qui, vedete che, insomma, i discorso non era fuori posto!} non solo contro l’azione, ma specialmente contro i pensieri impuri, cioè contro i motivi del mio agire. Essa mi rende non libero, quando tutti i motivi che essa non prescrive le appaiono impuri. Una chiesa o un’altra comunità generano non libertà quando i suoi preti, {“pretiâ€, insomma, se i traduttori antroposofici non fossero stati anticlericali come la maggior parte lo sono, avrebbero tradotto: “quando i suoi sacerdotiâ€, come in tedesco. Dato che sta già picchiando abbastanza, perché metterci “pretiâ€, capito! Erano traduttori anticlericali! Glielo concediamo, dài! – Io sono diventato il peggiore della categoria! –. Volevo soltanto farvi notare che un traduttore più intelligente, visto che picchia così contro la chiesa, avrebbe messo “sacerdotiâ€; allora calza ancora di più! Questo elemento di polemica – la parola “preti†– diminuisce il colpo, secondo me!} o i suoi maestri si fanno dominatori delle coscienze, vale a dire quando i credenti devono prendere da loro, dal confessionale, i motivi delle proprie azioni.

Quindi la non libertà è quando un essere umano dice a un altro, o impone ad un altro, ciò che lui deve volere; non solo ciò che deve fare. Perché finché l’altro mi costringe a fare qualcosa, ma mi lascia fare nel volere, posso restare libero!

E abbiamo Victor Frankel che, in campo di concentramento, ha vissuto il massimo di libertà, perché lo costringevano a fare, fare, fare, ma non potevano costringerlo nell’elemento del volere! Invece la chiesa tradizionale – lo dice qui – vorrebbe gestire il mio volere! E quindi attacca proprio direttamente la libertà.

Aggiunta alla seconda edizione (1918)

Quindi, 1918, 25 anni più tardi; adesso Steiner è diventato un antroposofo coi fiocchi, ha sfornato un ciclo dopo l’altro di antroposofia, che adesso, nelle edizioni Rudolf Steiner, vengono date per la prima volta pulite pulite, come tutti sapete! Adesso fa una seconda edizione della Filosofia della Libertà, e non cambia nulla, praticamente; fa delle aggiunte per precisare cose che erano state travisate, che erano state fraintese. Quindi queste aggiunte sono fatte, non perché lui abbia cambiato idea, non ha cambiato proprio nulla! Tutta la scienza dello spirito è una conferma della Filosofia della Libertà.

Era stata fraintesa questa Filosofia della Libertà, tra l’altro, lo saprete, la Filosofia della Libertà era stata messa nel registro della letteratura anarchica, a quei tempi! Quindi non è stata recepita per nulla nella cultura ufficiale!

Quindi queste aggiunte sono precisazioni per correggere fraintendimenti che erano sorti.

(XII, 21) In queste considerazioni sul volere umano è rappresentato {viene esposto} quello che l’uomo può sperimentare compiendo le sue azioni, per giungere, attraverso questa esperienza, alla coscienza del fatto che il suo volere è libero. {Tu puoi volere ciò che vuoi. Hai la capacità tu di gestire il tuo volere!} È di particolare importanza che la giustificazione del fatto di designare un volere come libero venga raggiunta con l’attraversare l’esperienza che nel volere si realizza un’intuizione ideale {colta col pensare}. Ciò può essere soltanto un risultato di osservazione, ma lo è nel senso in cui il volere umano osserva se stesso in una corrente di evoluzione il cui scopo {la cui mèta, mèta è meglio di scopo}, consiste nel raggiungere una tale possibilità del volere, sostenuta da un’intuizione puramente ideale {Individuale, artisticamente creativa, libera}. Essa può venir raggiunta perché nell’intuizione ideale non agisce altro che l’entità propria di questa, poggiata su se stessa.

Quando io concepisco qualcosa di nuovo da fare, ne concepisco il concetto; di fronte a questo concetto nuovo vale soltanto: sei bello!

Dio vide che era tutto bello quello che ha fatto! E dicendo: sei bello!… voglio realizzarti nel mondo spirituale, voglio renderti visibile, percepibile anche agli altri esseri umani.

(XII, 21) Essa può venir raggiunta perché nell’intuizione ideale non agisce altro che l’entità propria di questa, poggiata su se stessa.

La sua bellezza, la sua bontà, è intrinseca, se no non la posso volere. Io posso volere soltanto qualcosa che mi conquide. Dire che lo voglio e dire che mi conquide è la stessa cosa! È questo che intendevo dire col “godimentoâ€.

Invece qualcosa che devo senza volerlo, è l’opposto del conquidermi. È a denti stretti! E allora gli do un calcio, scusa! L’essere umano tende a fare soltanto ciò che vuole, non ciò che deve; perché facendo ciò che deve si castra, perché gli manca la volontà! Lo fa perché deve, non perché lo vuole.

(XII, 21) Se una simile intuizione è presente nella coscienza umana, allora essa non è sviluppata e tratta {“e tratta†via!} dai processi dell’organismo (v. pag.122 e seguenti). Al contrario: l’attività organica si è ritirata per far posto a quella ideale.

Quindi la scienza naturale conosce soltanto il lato di percezione; nel lato di percezione ci sono le pulsazioni corporee, chiamiamole così, no!; la fame, per esempio, è una pulsazione corporea. Quindi, come moventi al volere, come moventi al bisogno di mangiare, la scienza naturale conosce soltanto “motoriâ€, moventi, percepibili, corporei! E non sa che c’è un tipo di movente di natura puramente spirituale, che è l’intuizione artistica.

L’intuizione artistica di un’opera d’arte, muove l’uomo?

Eccome! Lo muove tutto, e la realizza! Ma non è un pulsare di forze di natura. È un movimento, una commozione che sorge dalla creatività dello spirito!

Quindi si potrebbe dire: il corporeo muove l’uomo; lo spirito lo com-muove! Che è molto meglio!

Solo che lo spirito che commuove va conquistato, non te lo dà la natura; se no, non sarebbe spirito!

(XII, 21) Al contrario: l’attività organica si è ritirata per far posto a quella ideale.

Quindi, dove c’è la commozione dello spirito, tutto il corporeo non muove, riposa, fa da strumento; non causa nulla: fa da strumento; lo usa come strumento.

E Steiner intende dire: si arriverebbe, già analizzando l’uomo, al concetto che fenomeni di coscienza e fenomeni vitali, coscienza e vita, pensiero e natura, sono polarmente opposti!

Più è in movimento, in azione, la coscienza – l’elemento supremo della coscienza è il pensare puro – più questo processo consuma forze vitali!

Quindi il corporeo si ritira! Invece di pullulare, di spingermi in base all’istinto, ecc., ecc., si ritira! Non soltanto fa da strumento, ma viene consumato!

E nella misura in cui si ristabiliscono, si ricostituiscono, le forze vitali, non può, contemporaneamente, svolgersi, in piena creatività, il processo di coscienza del pensare creatore.

(XII, 21) Al contrario: l’attività organica si è ritirata per far posto a quella ideale. Se io osservo una volontà che sia {a me questi congiuntivi non è che mi piacciano più di tanto, eh! In tedesco c’è: una volontà che è, santa pace!} il riflesso dell’intuizione, allora da questo volere si è anche ritirata la necessaria attività organica. La volontà è libera.

La volontà è allora libera! Perché l’attività organica non causa nulla! Si ritira; si consuma! Fa posto, fa spazio!

(XII, 21) Non può però osservare questa libertà della volontà chi non sia {chi non è} in grado di vedere che la libera volontà consista nel fatto che soltanto dall’elemento intuitivo la necessaria attività dell’organismo umano viene paralizzata, respinta, {consumata, mortificata} e sostituita dall’attività spirituale della volontà piena di idee. Solamente chi non può fare questa osservazione {che è poi questa auto-esperienza – questa osservazione è l’osservazione di un auto-esperienza – quindi, o uno fa questa auto-esperienza, e la osserva, oppure non fa}, non può fare questa osservazione della duplice articolazione di un libero volere, {che consiste: la prima metà è nel respingere indietro e consumare l’organico, e la seconda metà è mettere al suo posto la creatività della luce dello spirito che consuma l’organico}.

Solamente chi non può fare questa osservazione della duplice articolazione di un libero volere crede alla non-libertà di ogni volere. Chi invece sia in grado {è in grado} di osservarla si apre un varco alla comprensione del fatto che, in tanto l’uomo non è libero, in quanto non è capace di compiere fino in fondo il processo di repressione dell’attività organica {rintuzzarla, farla diminuire, addirittura consumarla!} e che però questa non-libertà anela alla libertà, la quale non è per nulla un ideale astratto, bensì una forza dirigente un dinamismo evolutivo che risiede nell’essere umano {Nell’essere umano stesso, nella sua intimissima natura}. L’uomo è libero nella misura in cui può realizzare e realizza nella sua volontà la stessa disposizione d’anima {lo stato d’animo, che io ho chiamato il godimento} che vive in lui quando egli è cosciente dell’elaborazione di intuizioni puramente ideali (spirituali).

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Come l’artista che crea.

Che fa l’organismo mentre l’artista crea?

Viene consumato!

E perciò deve smettere di creare e andare a mangiare!

Buon appetito!

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