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Pietro Archiati

FILOSOFIA DELLA LIBERTà E MONISMO

Commento a

La filosofia della liberta'

di Rudolf Steiner

Volume 10

Cap. IX, dal par. 43 al Cap. X, par. 11

Rocca di Papa ( RM) 29 settembre – 2 ottobre 2011

N.B. Trascrizione integrale del parlato,

NON redatta e NON rivista dall’autore

Indice

Giovedì 29 settembre 2011, sera

Venerdì 30 settembre 2011, mattina

Venerdì 30 settembre 2011, pomeriggio

Cap. X: FILOSOFIA DELLA LIBERTà E MONISMO

Venerdì 30 settembre 2011, sera

Sabato 1 ottobre 2011, mattina

Sabato 1 ottobre 2011, pomeriggio

Sabato 1 ottobre 2011, sera

Domenica 2 ottobre 2011 mattina

Prima aggiunta alla seconda edizione (1918)

Seconda aggiunta alla seconda edizione (1918)

A proposito di Pietro Archiati

Giovedì 29 settembre 2011, sera

A.: Cari amici, benvenuti di nuovo a questi incontri sul testo, nell’umanità moderna, il più importante che si possa immaginare; perché è il testo di base che pone i fondamenti di una moralità, di un sociale, di un modo di convivere, di un modo di trattarsi a vicenda fra esseri umani, che, o la coscienza umana ne prende coscienza, lo prende sul serio, lo realizza, e ne trarrà sempre più pienezza di vita, sempre più gioia, oppure, nella misura in cui avremo individui di mente ottusa, che si rifiutano di compiere questi cammini di coscienza, che magari hanno paura della libertà dell’individuo, della creatività dell’individuo, e la vedono solo in chiave negativa, di qualcosa che rompe le scatole, di qualcosa che rende il sociale più difficile, più complesso, nella stessa misura in cui avremo individui che non afferrano la libertà in senso positivo, il sociale e anche la vita dell’individuo, diventerà sempre più pesante, sempre più difficile; avremo sempre più persone scontente, non realizzate.

Quindi chi di noi c’è già stato a questi incontri sa, per esperienza propria, che si tratta della realtà più importante, nel senso che è quella più vasta che afferra il complesso, la totalità della vita.

L’ultima volta, benché io abbia fatto di tutto per arrivare alla fine del IX° capitolo, mi sono imbattuto – non era la prima volta – con un’assemblea che continuava ad interrompere, che voleva parlare più di me, che… ecc., ecc.; quindi non siamo arrivati alla fine del IX° capitolo, ma quasi!

E se tutto va bene questa volta arriviamo alla fine.

Riprendiamo dal par. 43 – eravamo arrivati alla fine del 44 – per ritornare nel contesto. Par. 43 – Il punto di vista della moralità libera non afferma dunque che lo spirito libero sia l’unica forma in cui l’uomo può esistere. Non è l’unica forma lo spirito libero: se guardiamo al bambino, la fase dell’infanzia, ovviamente ci tocca dire: è un essere umano anche quello!; ma non vive nel modo, nella modalità della moralità libera.

Il bambino vive in una moralità di non libertà?

Il bambino vive in una fase pre-morale dove la moralità ancora non c’è; altrimenti ci toccherebbe dire che vive in una moralità negativa, di non libertà!

Perciò abbiamo distinto – vi ricorderete, in italiano non c’è distinzione – in tedesco distinguono tra “unfrei†e “nicht freiâ€. E non si può tradurre in italiano!

Siccome il testo che stiamo sceverando è scritto in tedesco, mi concedete ogni tanto, sopratutto dov’è importante, di fare un riferimento al tedesco.

“Nicht frei†significa non libero; l’animale è non libero; quindi il fattore di libertà non c’entra con l’animale; cioè il fatto che l’animale non sia libero non è una moralità negativa; non c’è la moralità!

Invece “un frei†è il non libero di un essere che potrebbe essere libero, ma non afferra la libertà; la omette, o la svolge in negativo.

Quindi il bambino piccolo non è non-libero in senso morale, ma è senza libertà, non c’è ancora la libertà; quindi non la può usare né in senso positivo, né in senso negativo; perché non c’è ancora nel bambino piccolo.

Ora consideriamo che tutto il passato dell’umanità fino ad oggi, in fondo, siccome tutti i tipi di genitori, mamme e papà, papà stato e mamma chiesa, ecc., ecc., sono per natura – e va bene, devono dare la controforza a questo bambino umano che cresce – per natura hanno un conservatorismo tale che vorrebbero che questa fase d’infanzia dell’umanità durasse in eterno, in modo che loro potessero, in eterno, essere il papà e la mamma che comanda, che dirige ecc., ecc.

Dicevo altre volte, per prendere l’esempio della chiesa, la chiesa cattolica – adesso, appena tornato in Germania il papa, abbiamo tutti sentito il discorso che ha fatto nel Bundestag… che poi io mi sono chiesto: ma che c’entra? C’entra come i cavoli a merenda che il papa va nel parlamento tedesco… comunque vabbè… sono relitti di passato che ci trasciniamo, e difatti queste cose che io dico non sono polemica, a me non interessa la polemica, a me interessa pulizia di pensiero – se la chiesa si è chiamata “madre†da 2000 anni a questa parte, e se fosse onesta con questa metafora di madre – perché tra l’altro mi pare di aver capito che la chiesa è fatta tutta di maschi e si chiama madre!; questo soltanto tra parentesi – se fosse onesta dovrebbe accettare che ogni madre, che non muoia prematuramente, diventi, nel corso del tempo, nonna! Una bella vecchia! E i bambini crescono!

Quindi è nel concetto… se ci fosse la capacità di essere sinceri, di essere aperti, di non aggrapparsi al potere, è proprio nel concetto, è insito in questo accompagnare un’umanità che è bambina che poi ogni bambino diventa adulto e ogni mamma diventa nonna, che si ritira e lascia il posto al bambino che diventa adulto.

Quindi l’evoluzione umana è un’evoluzione verso la libertà e la libertà è lo stadio adulto, lo stadio dell’adulto nell’uomo.

Come bambino non è ancora libero, e non è ancora libero perché non è ancora capace di farsi pensieri individualizzati propri, pensare con la propria testa; e di volere, proporsi, far dei piani, dei progetti, degli atti di volizione, di volontà, tutti suoi.

E se vogliamo stare a questa metafora della mamma, dei genitori del bambino, diciamo che l’umanità in questi decenni, permettetemi di dire in questi secoli in cui viviamo, passa la fase della pubertà.

L’umanità in quanto tale fa i primi passi della libertà!

E i primi passi della libertà pubertaria devono essere di una libertà negativa perché l’inizio della libertà è quello negativo di liberarsi da tutto ciò che mi vorrebbe gestire dal di fuori, dirigere dal di fuori: via con i genitori, via con la chiesa, via con la società; contro, contro, contro!

Per questa libertà negativa bisogna passarci: è una legge dell’evoluzione che nessun essere umano può conquistarsi la libertà positiva, che consiste nell’esprimersi in positivo della ricchezza immanente del suo essere; nessun essere umano può assurgere a questo tipo di libertà positiva, di essere libero per qualcosa, per una ricchezza da offrire anche agli altri; non può farlo un individuo che non sia passato per la libertà negativa dove deve usare i gomiti per rintuzzare tutti i tentativi che ci sono – e ci saranno sempre, altrimenti l’individuo non avrebbe la possibilità di farsi muscoli sani – di queste forze che hanno il compito di assorbirlo, hanno il compito di fagocitarlo, hanno il compito di volerlo manipolare; e lui deve manifestare, esercitare la sua forza.

Vede nella libera spiritualità nello spirito che si esprime in modo libero, in modo non diretto dal di fuori soltanto l’ultimo stadio dell’evoluzione dell’uomo.

Vediamo come lo mette in tedesco… in italiano viene tradotto con “libera spiritualitàâ€â€¦ un po’ troppo clericale, un po’ troppo spiritualistico!

Il tedesco “freiegeistichkeit †è l’artistico puro che si esprime creando, in un modo libero!

Geist in tedesco è lo spirito; geistichkeit, che non ha una desinenza se volete, tradotto alla lettera è “spiritualitàâ€, e va bene, però è una traduzione letterale che non rende lo spessore culturale!

Spiritualità in italiano mi fa pensare ai seminari cattolici… non dice quello che… Adesso a Roma faremo un convegno dove siete tutti invitati, naturalmente, sulla triarticolazione del sociale, questi tre filoni del sociale.

Il primo, che magari certi antroposofi hanno tradotto con “vita spiritualeâ€, in tedesco si chiama “geisteslebenâ€; è la vita dello spirito, non la vita spirituale!

È la vita dello spirito umano!

La vita dello spirito umano si manifesta anche nell’arte, per esempio. Ora ditemi voi – io vivo in Germania quindi l’italiano me lo dovete rinfrescare voi – quando uno dice “vita spiritualeâ€, pensate all’arte?

No! Roba da chiesa!

Quindi bisogna avere ilcoraggio – perché soltanto così è una traduzione pulita – di non fare una traduzione puramente lessicale che spesso è la peggiore che ci sia; perché è fuorviante!

Ora, l’unica traduzione corretta di “geistesleben†– vita dello spirito – in italiano sarebbe: vita culturale! Quella sì che abbraccia tutto ciò che dice la parola “geisteslebenâ€!

E qui: “geistichkeit†tradotta con “spiritualità†me la mette in sagrestia! Capito!

Quindi è importante rendersi conto che se il traduttore, prima di tutto non ha afferrato lui pulitamente questo discorso aperto, che non puzza di nulla, che è proprio umano; e poi, se addomestica una traduzione, sulla falsariga del linguaggio italiano che è stato, come dire, pesantissimamente intriso, non dico di cristianesimo che sarebbe una gran bella cosa, ma di cattolicesimo, allora mi traduce “spiritualitàâ€â€¦ ma è fuorviante!

Come lo vuoi tradurre?

PUBBLICO: Colmo di spirito!

A.: Colmo di spirito… Cosa abbiamo qui in italiano… (rilegge): “vede nella libera spiritualitàâ€â€¦

“nel libero esprimersi dello spirito umanoâ€! Allora sì che andremmo vicino, nell’italiano; perché lo spirito umano non si può dire che l’abbia incamerato e lo gestisca soltanto la chiesa cattolica. Lo spirito umano è spirito umano: lo spirito umano si esprime nell’arte, nella scienza, si esprime nel sociale, si esprime nella politica, si esprime nel mondo economico, si esprime nella famiglia, si esprime nelle amicizie… Lo spirito umano!

Volevo dire che se io rileggo in italiano “spiritualitàâ€, col sentimento del linguaggio… no! eh! eh!…

Sono riuscito a farmi capire? Mi sono spiegato?

Quello è l’importante!

Che poi non sia sempre facile trovare… alcune volte bisogna avere il coraggio di usare un giro di parole, dove c’è una parola in tedesco ci vuole il coraggio di usarne due o tre in italiano; altrimenti la traduzione veramente accorcia o riduce, ecco!, molte traduzioni riducono! Ciò che in tedesco è molto più aperto, più vasto, viene ridotto ad un settore.

Qui: settore spiritualità! A me viene da pensare al padre spirituale in seminario. Quello ti porta la spiritualità! Che io son ben contento di averla mandata a ramengo! Perché sta stretta se uno la prende così come è intesa.

(IX, 43) …Vede nell’espressione libera dello spirito umano soltanto l’ultimo stadio dell’evoluzione dell’uomo. Con questo non viene negato che l’agire secondo norme abbia la sua giustificazione come gradino dell’evoluzione.

Vi va bene questa frase?

Io sono convinto che se Steiner scrivesse questo testo oggi, dovrebbe… il suo naso – credo che avesse un buon naso allora – lo porrebbe di fronte ad un’umanità, nel corso di un secolo, diventata ancora molto più complessa… In Germania io faccio l’esperienza, continuamente, che parlare in pubblico, soprattutto sui fondamenti di scienza dello spirito, è diventato così difficile, ma proprio così difficile, perché l’umanità diventa sempre più differenziata e anche sempre più ostica e…

LUCIANA: Refrattaria!

A.: Refrattaria, grazie! Ostica per l’oratore e refrattaria in quanto stato interiore di chi ascolta.

Voglio dire: questa frase è giusta e non è giusta: …“con questo non viene negato che l’agire secondo normeâ€â€¦

Il bambino nella fase dell’infanzia… il bambino agisce secondo norme?

PUBBLICO: No!

A.: No!

I. 1: Si dice che agisce con spontaneità. Non si può dire che sia istintivo solamente; c’è qualcosa di più!

A.: Questa frase è complesa, cioè presenta enormi difficoltà! Per il bambino con il pedagogo, anche nell’asilo, non esistono norme!

Ho cercato diverse volte di dimostrare – ve lo ricorderete – che norme non esistono; non hanno motivo di esistere!

Norme, se ci sono, sono sempre un esercizio di potere, illegittimo, di un essere umano su un altro essere umano! È sempre un essere umano che impone la sua volontà su un altro essere umano; altrimenti non c’è bisogno di norme!

Adesso, supponiamo che un adulto viva – affari suoi – le leggi dello stato come norme; le interpreti come se fossero norme.

Va bene?

Sarebbe un inganno interiore, un autoingannarsi; sarebbe un fraintendimento che gli consente di poltrire, nel senso che, invece di creare lui stesso la norma, tra virgolette, individualizzata del suo agire, si accoda, segue, il modo di agire, o la proposta di comportamento, data da un altro essere umano. Per comodità però!

Lo dico in un modo ancora più provocatorio: mi interessano provocazioni al pensare, in modo che, sentendosi provocati, uno si dice: ma che sta dicendo?! È una cosa dell’altro mondo!!!

Lo stabilire delle norme di comportamento è l’essenza dell’immoralità; perché cancella, abolisce, distrugge, la libertà dell’individuo.

Quindi, se ci fosse l’esistenza di norme morali e se addirittura venisse accettata dall’individuo che vi si sottomette, questo fenomeno è l’essenza dell’antiumano, perché distrugge l’essenza dell’umano che è l’individuo, lo spirito individuale liberamente creatore.

Rifaccio cammini già fatti, ogni volta un po’ diversi, anche per coloro che sono nuovi.

A questo punto si presenta l’obiezione fondamentale che abbiamo visto, nel IX° capitolo, svolta in diversi modi: ma allora, cosa stai dicendo! Uno può fare tutto quello che vuole? Che tutto è permesso?

No! Non ho detto questo io! L’abbiamo esercitato insieme, ci eravamo accordati che, così come non dovrebbero assolutamente esserci norme, perché non esistono, così devono esserci dei divieti, delle proibizioni!

Lo scrivo alla lavagna; abbiamo addirittura, se ben ricordo, cercato tutti i sinonimi di: divieti, proibizioni, ecc., no!

Allora abbiamo: comandamenti, ciò che devi fare, il dovere… scrivo “il dovereâ€. Abbiamo detto: i famosi 10 comandamenti di Mosè non sono comandamenti, sono divieti!

Poi: divieti, proibizioni, ecc.

Comandamento dice ciò che devi fare; il divieto ti dice ciò che ti devi proibire di fare, ciò che devi “non fareâ€. Quindi la differenza è abissale!

Comandamenti e doveri sono per natura distruttivi della libertà, lesivi della libertà e immorali!

Non ce n’è bisogno neanche per il bambino di doveri, di comandamenti; perché il bambino ha bisogno di un adulto – che sia il genitore, che sia l’educatore, il maestro o la maestra – un adulto non che gli dà dei doveri, perché allora gli vien voglia di dargli una bella pedata nel sedere se fossse un pochino più adulto e se avesse piedi belli forti – quello che il bmbino cerca, quello di cui ha bisogno, è un maestro, un genitore da imitare! Che agisca per contagio!

Quindi un maestro che è talmente innamorato del bello, del vero, del buono, che questo innamoramento… i cammini di ricerca del vero, di espressione del bello, di attualizzazione del buono, nella misura in cui l’adulto li impersonifica in sé, al bambino viene voglia di diventare adulto!

Che c’entra col dovere?!

La cosa più bella per il bambino è la voglia, la gioia di diventare sempre più come quello lì!

E il dovere dov’è? Non esiste proprio!!

E ci dicevamo, se l’essenza della moralità, quindi l’essenza del bene morale, è la realizzazione dello spirito libero, in campi di scienza, in campi di arte, in campi di religione, in campi di socialità, la realizzazione dello spirito libero in quanto individualizzato, in quanto diverso da ogni altro essere, allora vanno proibite tutte le azioni che ledono, che compromettono questo esprimersi in libertà.

Ogni azione che per natura compromette l’esprimersi in libertà dell’essere umano, va proibita!

Quindi la legislazione, un parlamento, avrà sempre di più, se non resta indietro nell’evoluzione, avrà sempre di più il compito di parlamentare, di venire ad un accordo, su quali azioni vanno proibite nel senso che una maggioranza è convinta – e bisogna andare per maggioranza – questa azione è, per natura, lesiva della libertà: quindi è immorale, quindi va proibita!

E chi la fa va messo in prigione! Non deve essere in grado di poterla ripetere perché continuerebbe a ledere, a distruggere, la libertà.

E stavo chiedendo: la persona libera, la persona che gode sempre di più questa ricchezza del sociale dove ognuno immette nel sociale un frammento di ricchezza irripetibile, proprio unico suo, una persona che gode della libertà, dell’artisticità dell’essere umano, tutte le azioni che ledono la libertà non ha bisogno di proibirsele: non le vuole! E non le farà mai! Quindi resta libero.

Perché tutte le proibizioni, i divieti che sono necessari, se noi avessimo una società così matura che ognuno se le proibisce da sé, proprio non le vuole, andrebbe tutto benissimo!

E quando tutti gli esseri umani non commettono ciò che è vietato, che cosa è permesso?

Tutto ciò che non lede per natura la libertà: tutto è permesso, c’è posto per tutti al mondo!

Quindi noi viviamo – l’ho detto diverse volte – uno dei tratti fondamentali del nostro sociale è la paura della libertà; perché la libertà individualizzata crea, per natura, un sociale molto più ricco, molto più diversificato, non gestibile, non si può gestirlo dal di fuori… ma non ce n’è neanche bisogno!

E questa paura, siccome si è abituati ad un sociale dove le persone vengono tenute a bada, noi non ci rendiamo conto che stiamo creando sempre più milioni di individui non realizzati; quindi insoddisfatti, quindi sempre più depressivi, quindi sempre più aggressivi.

Però la base, la radice profonda è il fatto che l’essere umano diventa depressivo, o diventa aggressivo – depressivo se ha maggiormente il carattere del flemmatico e del melanconico, aggressivo se ha maggiormente il carattere del sanguinico e del collerico – ma tutt’e due queste forme del ribellarsi, del rumoreggiare, sia la depressione, sia l’aggressività, provengono dal fatto che l’individuo non si sente realizzato.

E ancora più a monte c’è la testa bacata che da sempre ha pensato: tu ti realizzi, sei a posto, nella misura in cui osservi i comandamenti, fai il bravo, osservi le leggi.

Quando tu, essere umano, hai osservato tutti i comandamenti di questo mondo e tutte le leggi di questo mondo non sei ancora bravo per nulla! Manca tutto della moralità, perché l’essenza della moralità è il bene, il bello e il vero, che tu costruisci, che tu generi, che tu tiri fuori dal tuo essere.

Il morale comincia dal punto in cui il mondo mi lascia in pace e io lascio in pace il mondo. Allora comincia il morale!

Il morale in positivo se io creo e il morale in negativo se io ometto di creare. L’unico male morale è l’omissione della libertà; altri mali morali non ce ne sono. Neanche il prevaricare, neanche compiere azioni proibite è un male perché lede non la moralità, ma il fondamento della moralità. Attenersi ai divieti, attenersi alle proibizioni è la base della morale: è ciò che permette ad ogni essere umano di costruire il fattore morale, costruire moralità, creando come spirito libero.

(IX, 43) …Con questo non viene negato che l’agire secondo norme abbia la sua giustificazione come gradino di evoluzione. Soltanto, non può venir riconosciuto come punto di vista assoluto della moralità. Lo spirito libero supera le norme nel senso che egli non sente come motivi soltanto i comandamenti, che poi saranno soltanto proibizioni, bensì dirige il suo agire secondo i propri impulsi (intuizioni).

Secondo le proprie intuizioni, secondo la riccheza del proprio essere che vuole manifestarsi, e manifestandosi arricchisce gli altri; non nel senso che gli altri lo copino, ma nel senso che dà agli altri gli strumenti, il fondamento, o se vogliamo il contagio, ma sempre dal di fuori, perché ognuno diventi sempre più creativo, sempre più artisticamente creatore di nuovi mondi.

(IX, 44) Quando Kant dice del dovere {Die Pflicht in tedesco, il fondamento della morale di Immanuel Kant – Die Pflicht –: questo Pflicht viene da pflugen (arare), e pflugen viene da Plugshar (vomere). È il solco dell’aratro, ma questo solco… mantieniti nel solco tracciato!, cioè ciò che gli antenati… il modo di comportarsi consueto; in italiano: il costume, i costumi.}

Cosa sono i costumi? Spiegate a un tedesco cosa sono i costumi! A Napoli dicono: scostumato!

Cos’è il costume? Usi e costumi. Tradizione! Mettiti in riga!

Ecco il solco!

Segui la falsariga di ciò che è stato collaudato, vuoi mica inventare il mondo, tu, come se adesso… È stato collaudato, le generazioni prima di te hanno provato tante cose e poi hanno trovato questa falsariga, questo solco.

E questi usi e costumi, tienili in auge! Non ti credere più bravo di tutta una tradizione di un popolo!

Conclusione: l’individuo è sparito! Non nasce neanche, non esiste, non c’è!

Quindi tutti gli usi e costumi di questo mondo sono per me il fondamento, ma il fattore morale io lo creo se, su questo fondamento, io faccio sprigionare la moralità e il modo di comportarsi di una persona – per dirla in un modo più semplice –.

Adesso una persona in un dato giorno, in una data ora, in una data situzione di vita, chiede: come mi comporto? – ancor più col “devoâ€, il dovere – come mi “devo†comportare?

Mi “devo†comportare… punto di domanda!

Ma scusa, il galateo l’hai studiato, o no! Segui il galateo, segui i costumi.

Sì, supponiamo che mi va di osservare il galateo, per lo meno per essere lasciato in pace, ma poi? Mi basta osservare il galateo? Sono venuto al mondo per osservare il galateo?

No! Ci sono le leggi dello stato!

Il mondo ha soltanto il diritto di lasciarmi in pace, e io ho il dovere di lasciare ogni essere umano in pace! Altri diritti e doveri reciproci non ci sono, non ci sono mai stati: sono solo ricatti.

E adesso il mondo mi lascia in pace! …Allora non esiste questo “devoâ€, questo “devo†viene dal mondo, viene dagli altri che mi dicono: devi, devi, devi!

Via!!!

Come mi comporto?

Va già meglio, abbiamo fatto un enorme passo in avanti: “come mi comporto?â€.

Se uno mi chiede: come mi comporto? Io gli dico: e lo chiedi a me! Io so come mi comporto io, ma come ti comporti tu lo devi sapere te!

Fa quello che vuoi! Basta che non fai azioni proibite, tutto il resto è permesso.

Quindi l’unica domanda della moralità è: cosa vuole, in questo momento, in questa situazione di vita, il mio spirito liberamente creatore.

E, nella misura in cui, nella coscienza dell’io inferiore, mi esercito sempre di più ad aprirmi, a gioire delle intuizioni che mi scendono dall’io superiore, ciò che il mio spirito si è ripromesso di conquistarsi, di fare, cammini di conoscenza, di evoluzione di coscienza, cammini di dedizione di amore all’umanità, cammini di arte, di creatvità ecc., nella misura in cui mi è dato di cogliere ciò che il mio spirito si è ripromesso di fare, di creare, in questo momento, in questa situazione che lui stesso ha creato, faccio ciò che il mio spirito liberamente vuole! Per il bene suo e per il bene di tutti gli altri.

Cosa vuole il mio spirito? Cosa vuole il mio spirito individualizzato, lo spirito diverso dallo spirito di un altro; cosa vuole lo spirito dell’uomo?

Evolversi! Senza limiti!

Ci può essere una volontà migliore, più buona, più morale di questa?

No!

Quindi l’essenza della moralità, l’essenza del bene morale, è questo desiderio individualizzato di vivere sempre più in pienezza; nel pensare, nell’amare, nell’agire, nel creare, nel provare cose e imparare anche dagli sbagli, non fa nulla!

(IX, 44) Quando Kant dice del dovere: «Dovere! O tu, eccelso, gran nome, che non contieni nulla di quello che di caro porta con sé la lusinga, ma esigi sottomissione, che stabilisci una legge… davanti alla quale tutte le inclinazioni ammutoliscono, anche se in segreto ad essa si oppongono», così risponde l’uomo cosciente del suo spirito libero: «O libertà! tu, amichevole umano nome, che contieni in te tutto ciò che di moralmente caro esalta al più alto grado la mia dignità di uomo, che non mi fai servo di nessuno, che non stabilisci alcuna legge, ma attendi ciò che il mio amore morale riconoscerà da sé come legge perché, di fronte a qualsiasi legge soltanto imposta, esso non si sente libero!».

Quindi l’unica legge che esiste è la legge dell’evoluzione, la legge del non fermarsi mai. È una legge?

No! è un volere, un volere libero!

Quindi, vivere in una libertà che non si arresta mai, non è una legge, non è un dovere, è quello che l’essere umano intimissimamente vuole, desidera, nel suo cuore. E più lo realizza e più vive nella pienezza, e si sente contento.

Al Nord della Germania, siccome al Nord – la Prussia di una volta – Kant è ancora molto in auge, l’organizzatore della Filosofia della Libertà, al Nord della Germania, mi ha reagalato una volta, al mio compleanno, tutta la bibiloteca di Kant.

Io gli ho detto: non so se avrò tempo (di leggerla tutta); comunque è servito perché questo passo di Kant è venuto due volte dopo che mi aveva regalato l’opera di Kant e i partecipanti, al Nord della Germania che, insomma, tengono ancora in auge Kant, dicono: ma qui Steiner costruisce un’opposizione tra Kant e la sua Filosofia della Libertà, che poi non esiste perché Kant parla spesso di libertà, ma è una libera sottomissione! Una libera sottomissione al dovere! Tu non devi fare il dovere costretto, lo devi fare liberamente!

Però il dovere!

E dicevano: qui Steiner, per comodo suo – avete visto che anche in italiano ci sono dei puntini, quindi anche in italiano viene lasciato via qualcosa – Steiner di una citazione che è lunga mezza pagina, prende soltanto i pezzetti che gli vanno bene e gli altri li lascia via: se uno prendesse tutta la citazione le cose sarebbero diverse.

Allora io sono venuto con la mia edizione di Kant e ho letto tutta la cosa: era molto peggio che non avendo lasciato fuori quello che Steiner ha lasciato fuori!

Risulta una valanga di soverchiamenti all’individuo dove, insomma, questo Pflicht, il dovere, eh! …anticamente, anche se metafisicamente non è opposto alla libertà, però psicologicamente – e l’essere umano è psicologico, perché lo spirito riguarda il futuro, però nel presente dell’umanità viviamo molto di anima – ora, se nel vissuto, se psicologicamente, questo assillo del dovere che dovrei fare liberamente… sì, però è un assillo tale che, sia il Kaiser, sia la chiesa – anche quella evangelica tra l’altro, la chiesa protestante – mi stanno alle calcagna, che l’uno mi manda a ramengo, l’altra mi manda all’inferno se non compio il mio dovere… metafisicamente parlando posso sentirmi libero, però psicologicamente mi sento asfissiato!

(IX, 45) Questo è il contrasto fra moralità legale e moralità libera.

Oggi mi riguardavo questa frase qui e dicevo come dicono a Napoli: mannaggia!

Luciana, leggimi questa riga che è un paragrafo a sé stante.

LUCIANA: (legge la frase)

A.: Adesso spiega a me, ormai guastato dal tedesco, cos’è una moralità legale? Perché io, dai tempi del ginnasio e del liceo, avevo imparato che legale è l’opposto di illegale.

LUCIANA: Il complesso delle leggi, forse voleva dire.

A.: Sì, però in italiano, l’aggettivo “legale†che vuol dire? Quello che fai è legale…

LUCIANA: Legale: che ha un riferimento alla legge.

A.: No! Non soltanto che ha un riferimento alla legge, ma: “secondo leggeâ€, e “illegale†significa: contro legge.

LUCIANA: Esatto! Fa riferimento alle norme dei codici. Infatti gli avvocati si chiamano anche legali.

A.: No, sta attenta, legale vuol dire buono, illegale vuol dire cattivo.

ROBERTO: C’è un’altra traduzione: “moralità solo fatta di leggi. È un po’ meglio!

CARLO: Beh, è uguale.

A.: È proprio quello che vi dicevo prima: che qualche volta bisogna, per non fare una traduzione fuorviante – io non dico che l’altra è sbagliata, ma è del tutto fuorviante – bisogna avere il coraggio, dove in tedesco c’è una parola sola, che però intedesco non si presta a fraintendimenti, avere il coraggio di mettercene due o tre. Però lì c’è una parole di troppo! Che sarebbe meglio non ci fosse, perché è moraleggiante!

LUCIANA: È “moralitàâ€: ci dovrebbe essere solo “legalità.

ROBERTO: Moralità solo fatta di leggi

LUCIANA: Lui vuole solo una parola.

A.: No, no, diverse parole, ma lì c’è una parola che è moraleggiante e non ci vuole, ed è la parola “soloâ€!

LUCIANA: Questo è il contrasto fra moralità legale e moralità libera.

A.: No, adesso leggi la traduzione con “solo†e poi lascia via la parola solo, e voi ascoltate la differenza.

ROBERTO: Questo è il contrasto fra moralità solo fatta di leggi e moralità libera.

A.: Adesso togliamo “soloâ€.

ROBERTO: Questo è il contrasto fra moralità fatta di leggi e moralità libera.

A.: Così è pulita la traduzione; e io tradurrei ancora meglio, secondo me con: questo è il contrasto tra una moralità “secondo leggeâ€. Questa è la traduzione giusta!

Una moralità secondo legge, o secondo leggi – potete metterla anche al plurale –.

Si potrebbe dire anche: secondo una legge. Una moralità secondo una legge e una moralità libera, che non ha legge.

Il “solo†è un moraleggiamento; perché, diciamoci onestamente, una “moralità legale†non capisce nessuno cosa vuol dire, non esiste una moralità legale, scusate! Perché allora dovreste spiegarmi com’è fatta una moralità illegale.

Una “moralità secondo leggeâ€, e allora capisco!, e una moralità secondo libertà. Perché la moralità non può essere neanche libera, scusate! Il tedesco, la lingua tedesca usa gli aggettivi in altro modo! Il modo più pulito in italiano sarebbe: una moralità secondo legge, quindi che segue una legge, e una moralità secondo libertà.

Che dice il toscano? Vado bene?

MASSIMO: Benissimo!

A.: Il linguaggio italiano è un fatto toscano, da quando s’è deciso di prendere l’aulico idioma di Dante come lingua nazionale. Ve l’ho detto: stando al Dr. Steiner, una cosa importantissima per l’Italia, ogni lingua ha il suo apice di perfezione e raggiunto questo apice, come perfezione della lingua, non può sorpassarlo; potrà diventare più profonda, più ricca, moralmente; tutti i contenuti della scienza dello spirito, ma non rendono il linguaggio come tale più perfetto.

Ora la lingua tedesca ha espresso il suo massimo non superabile di perfezione in Goethe, soltanto 200 anni fa. La lingua italiana ha espresso il suo massimo, non superabile di perfezione intrinseca, in Dante; stando all’affermazione dello scienziato dello spirito. Ed io sono grato al destino che mi ha portato 5 anni in Toscana a risciacqaure i panni in Arno. Poi gli ultimi anni non ho seguito il destino del linguaggio italiano, però mi sa che s’è impoverito sempre più.

PUBBLICO: Certo, altroché!

A.: Questo vale un po’per tutte le lingue. Si legge un articolo, tu credi di leggere in tedesco, ci vuol poco che il 10% delle parole sono inglesi o altro.

Quindi: questo è l’opposizione, il contrasto, tra una moralità secondo legge e una moralità secondo libertà.

(IX, 46) Il conformista ora diventa interessante la cosa: il conformista, il benpensante che vede la moralità personificata negli ordinamenti esteriori, vedrà forse nello spirito libero un uomo pericoloso.

Pericoloso nel senso di sovversivo! Perché non soltanto non appartiene a nessuna legge, ma dice: (la legge) non ci deve essere proprio! Leggi, comandamenti, doveri non ci devono essere proprio; soltanto proibizioni, divieti; basta!, ce n’è che avanza!

Se io fossi un uomo politico, per esempio, farei di tutto per raggiungere una maggioranza e certe transazioni di borsa le proibirei subito! Vanno, secondo me, assolutamente proibite perché ledono la libertà, nel senso che scalzano i risparmi di centinaia, di migliaia, di piccoli risparmiatori, con queste transazioni di borsa. E questo spazzar via i risparmi significa distruggere la libertà; perché vivere in libertà senza soldi non esiste!

In tedesco dicono: (la frase in tedesco non è stata trascritta) senza soldi, senza denaro non si può far nulla.

Viviamo in un’economia di denaro; quindi non distruggere il fondamento, per il suo esprimersi in libertà dell’essere umano, con i suoi risparmi, è una diretta distruzione della libertà dell’altro; e andrebbe, da una sana, umana, legislazione, che ama l’espressione in libertà dell’umano, andrebbe proibito il distruggere il fondamento della libertà.

Quindi siamo in ritardo rispetto a tantissime cose, soprattutto a ciò che riguarda la libertà.

(IX, 46) Il conformista che vede la moralità personificata negli ordinamenti esteriori, stato, chiesa, istituzioni, ditte… vedrà forse nello spirito libero un uomo pericoloso. Ma ciò dipende dal fatto che il suo sguardo è ristretto ad una determinata epoca. Se egli potesse guardare al di là, dovrebbe subito accorgersi che altrettanto raramente quanto lui stesso lo spirito libero ha necessità di trasgredire le leggi dello stato, e mai ha necessità di mettersi in reale contraddizione con esse. Infatti, le leggi degli stati sono tutte scaturite da intuizioni di spiriti liberi, come tutte le altre norme morali oggettive. Non c’è legge che si esercita per autorità di famiglia che non sia stata una volta concepita intuitivamente e stabilita come tale da un antenato; anche le leggi convenzionali della moralità furono stabilite in un primo tempo da determinati uomini; e le leggi dello stato sorgono sempre nella mente di uno statista. Questi spiriti hanno stabilito delle leggi sopra imponendole gli altri uomini, e non libero diviene soltanto chi dimentica tale origine, e fa di esse sia dei comandamenti super-umani, dei concetti di dovere morale oggettivo, indipendenti da ogni elemento umano, sia una voce imperativa della propria interiorità, ritenuta – in senso falsamenrte mistico – costrittiva. {La voce della coscienza.} Ma chi non dimentica l’origine loro, ed in tale origine ricerca l’uomo, le considererà come facenti parte di quello stesso mondo di idee dal quale egli pure prende le sue intuizioni morali. Se crederà di averne delle migliori, cercherà di sostituirle alle esistenti; ma quando troverà che queste sono giustificate, allora agirà conformemente ad esse, come se fossero sue proprie.

Allora ho voluto leggere tutto il paragrafo così che nulla sia tirato fuori dal suo contesto. Vi siete di sicuro resi conto che il testo è scritto in tedesco; gli ultimi anni, sia al Nord, sia al Sud della Germania, l’abbiamo studiato per diversi anni; questo paragrafo porta, almeno in Germania, ogni mente tedesca a pensare al nazismo.

Adesso vi rileggo di nuovo le prime frasi e voi pensate al nazismo, e vediamo se i conti tornano.

(IX, 46) Ma ciò dipende dal fatto che il suo sguardo è ristretto ad una determinata epoca. Se egli potesse guardare al di là, dovrebbe subito accorgersi che altrettanto raramente quanto lui stesso lo spirito libero ha necessità di trasgredire le leggi dello stato, e mai ha necessità di mettersi in reale contraddizione con esse.

E le leggi naziste? E forse anche in Italia, il fascismo? È giusta questa affermazione: che l’uomo libero non ha mai la necessità di mettersi in reale contraddizione con le leggi dello stato in cui si trova?

I. 2: È giusta se le leggi sono imposizioni e non nel caso in cui sono proibizioni o divieti.

A.: Ma questo (imposizioni) può avvenire; prendiamo il caso in cui questo avvenga.

I. 2: Allora deve mettersi in contraddizione.

A.: Ma lui (Steiner) dice: non si mette mai in contraddizione.

I. 2: Ma presuppone che le leggi siano dei divieti. Se le leggi non sono dei divieti, ma sono delle imposizioni, allora in questo caso penso che sia giusto che l’uomo libero si metta in contrasto con queste leggi.

A.: O addirittura doveroso, se vuol difendere la sua libertà!

I. 2: Certo!

A.: Allora prendiamo il caso concreto che una legislazione – tu hai usato giustamente la parola “imposizioneâ€, gli impone qualcosa; qui, avevamo scritto: comandamenti, doveri, imposizioni…

CARLO: Avevamo parlato di ingiunzioni.

A.: Sì, mi ingiunge… però: mi impone! Imposizione è ancora più concreto. Mi impone qualcosa.

Rileggiamo queste due frasi: Se egli potesse guardare al di là, dovrebbe subito accorgersi che altrettanto raramente qui dice “raramenteâ€, poi dice “mai†raramente quanto lui stesso lo spirito libero ha necessità di trasgredire le leggi dello stato, e mai ha necessità di mettersi in reale contraddizione con esse.

Se io ho il convincimento che nessuno stato di questo mondo ha il diritto di impormi qualcosa, di ingiungermi qualcosa, di farmi dovere di qualcosa, di comandarmi qualcosa, considero tutti i tentativi, anche in chiave legislativa, di uno stato, di impormi qualcosa ecc., come qualcosa che non mi riguarda. Non mi riguarda proprio!

Però se tu vieni acciuffato, che non fai ciò che lo stato ti impone di fare, finisci in prigione! Come argomenta lo spirito libero a questo punto?

Meglio libero in prigione che non libero fuori! Perché la libertà è comunque sempre il meglio.

PAOLO: Gandi diceva: finalmente mi mettete in prigione e sono libero di pensare senza che nessuno mi disturbi! Anzi lui lo portava come un valore questo. Piuttosto che sottomettermi alle vostre leggi mettetemi in galera: sono colpevole, sì, sono colpevole! Si è fatto anche degli anni di carcere, eh!

A.: Certo! Perché per voi un uomo libero è colpevole, perché non fa quello che volete voi. Quindi il fatto che mi mettete in prigione conferma la mia libertà. E va tutto bene!

I. 3: Tra le altre cose vi siete dimenticato di scrivere: tasse! Noi siamo schiavi del dio denaro…

A.: Scusa, guarda che le tasse noi le abbiamo affrontate, tu non c’eri. Riassumo il discorso così ci risparmiamo tempo: le tasse sono ingiunzioni… anzi, no!, sono divieti camuffati in doveri. Ma il fatto di presentarle come un dovere è un camuffamento. La realtà non camuffata è un divieto!

Al Nord della Germania in un seminario abbiamo discusso su questa mia tesi e tra i partecipanti c’erano dei giuristi, degli avvocati, che dicevano: ma come!, pagare le tasse è un dovere, un’ingiunzione, una cosa da fare, non è un divieto!

E io ho insistito: no, no, se noi esprimiamo questo cosidetto dovere, o ingiunzione, nel suo contenuto negativo, di ciò che è proibito, la cosa diventa subito pulita!

Qui, quando ho scritto sulla lavagna i tassi in Germania, mi hanno riso tutti dietro perché in Italia sono diversi.

Quali sono le tasse in italiano? Una tassa fondamentale?

PUBBLICO: L’IVA.

A.: L’IVA quanto è?

PUBBLICO: Adesso il 21%

A.: Il 21. In Germania abbiamo il 7% e il 19%. Allora: il 21%. Cioè tu devi pagare un tassa del 21%.

È un dovere?

Se io dico: è una cosa che “devi†fare, il pensiero è bacato! Non è pulito, è sfocato.

Perché il giusto pensiero non è un dovere, il pensiero ti proibisce di tenere per te più del 79%. Ti è proibito di trattenere per te più del 79%!

Hai il dovere di dare il 21%?

No! Perché se io ho voglia di dare il 25%, supponiamo – che nessuno me lo proibisce – è proibito?

No, il fisco è ben contento di pigliarsene di più!

Quindi questo evidenzia che esprimere un divieto, formularlo – la formulazione delle cose è molto importante – perché il modo di formulare un pensiero evidenzia, dimostra, se il pensiero è pulito, oppure se il pensiero non è pulito.

Un divieto se formulato come un dovere diventa immorale, perché ogni dovere è immorale, diventa un soverchiamento dell’individuo.

Se invece mi si dice: una maggioranza ha decretato che, per avere le infrastrutture necessarie perché ognuno possa esprimersi in libertà, in questo caso nessuno deve tenere per sé, è proibito tenere per sé, più del 79%; allora non mi impongono un dovere lesivo della libertà, ma mi dicono quale azione io stesso, liberamente, mi proibisco con la motivazione, con l’argomentazione, che altrimenti io metterei in forse l’infrastruttura che è necessaria per dare a tutti la base per agire in libertà.

Allora: la motivazione di una proibizione di un’azione è la libertà; la motivazione del dovere è il soverchiamento della libertà. La differenza è abissale!

Quindi, quando uno mi dice “devi!†mi sento aggredito nella mia libertà; se uno mi dice: facendo questa azione tu ledi la tua libertà e quella degli altri, la metti in pericolo, allora mi sento portato a riflettere; ah, sì, in effetti è vero!

Se uno tiene per sé il più possibile e dà alla collettività il meno possibile, toglie a tutti la base necessaria per poter vivere liberamente. E in una società complessa come la nostra ci vogliono miliardi per le infrastrutture!

I. 4: Ho sentito prima la persona che parlava di Gandi, e noi non siamo tutti Gandi fortunatamente…

A.: Diventiamolo!

I. 4: Sì, diventiamolo! Però voglio dire che è vero che il potere ha paura della libertà dell’individuo, perché ovviamente nel momento in cui l’individuo diventa libero il potere perde la possibilità di comandare, ecc. Ma è altrettanto vero che l’individuo ha paura della libertà per il semplice fatto che bisognerebbe cambiare mente! L’individuo considera che la libertà gli debba venire dal di fuori, non dal di dentro! Questo è un cambiamento epocale nel vero senso della parola, perché lui ritiene che la libertà sia fuori di sé; ha paura della sua libertà perché non la conosce dall’interno, e non conoscendola ha una paura terribile della libertà.

A.: Allora, lui dice giustamente – la psicologia la conosciamo tutti – quando una persona si sente non libera non pensa normalmente a se stessa che la libertà, o la creo io, o non la posso avere.

Lui guarda il mondo attorno a sé: e quello lì mi fa questo, e quell’altro non mi fa quest’altro, e quell’altro vuol quest’altro da me, e quell’altro mi costringe, e lo stato, e la chiesa… ecc., ecc., ecc. Quindi ecco perché non sono libero!

I. 4: Il nazismo va bene! Concludo con questo concetto: il nazismo va bene!

A.: Cosa vuoi dire? Traduci!

I. 4: Voglio dire: siccome io attribuisco la libertà al di fuori di me, allo stato, a qualcuno che me lo impone, in un certo qual modo; se me lo impone, va bene: sei libero!

È sbagliato! Non sto dicendo che sia giusto, ma questa è la mentalità; non siamo Gandi, dobbiamo diventarlo!

A.: Allora, diciamo che la contraddizione intrinseca della coscienza umana è – per forza d’inerzia, di comodismo, di pigrizia – è di aspettarsi la libertà dal di fuori e di non volerla dal di fuori!

I. 4: Mutate mente!

A.: E la chiamo contraddizione intrinseca alla coscienza umana.

Quindi il primo passo è rendersi conto che c’è questa contraddizione. È la contraddizione tra l’io inferiore, che vuol restare pigro, quindi lasciarsi gestire, e l’io superiore che vuol fare, vuol creare mondi, quindi non sopporta una gestione dal di fuori.

I. 4: È un cammino.

A.: Quindi la prima parte è quella di portare a coscienza il fenomeno. Adesso fermiamoci su questo punto fondamentale, io l’ho messo lì come tesi, vediamo se riusciamo un pochino masticarla… è importante. Perché, in fondo, questo attendersi, questo volere la libertà dal di fuori non è del tutto sbagliato, perché il mondo mi deve lasciar libero.

I. 4: Ma se non mi lascia libero provvedo io!

A.: Allora, lasciarmi libero è compito del mondo e quando vengo lasciato libero, vengo lasciato in pace: ma non sono ancora libero!

Quindi c’è una differenza tra venir lasciato libero e diventare libero!

Diventare libero significa diventare sempre più creatore, creare mondi sempre nuovi, a tutti i livelli, in tutti i campi della vita. Però questo presuppone che il mondo circostante mi lasci libero.

LUCIANA: Mi lasci in pace, come dici te!

A.: Mi lasci in pace! Sì, perché non esiste “mi lasci liberoâ€, in tedesco c’è questa sfumatura.

I. 4: Mi crei le basi necessarie perché io possa essere libero.

A.: Sì, ma anche mi lasci in pace! Qualche volta io ho detto: un rapporto di coppia è nel peggiore dei casi una gestione reciproca al 98%, e nel migliore dei casi una gestione reciproca al 90%!

Cosa ne dite voi?

Ècosì!!! Se no non ci sarebbe una percentuale così stratosferica di divorzi, scusate! Diventa un’asfissia reciproca!

Questa sera una coppia mi ha detto: noi siamo arrivati al punto da darci un pochino più di spazio a vicenda. Bene, bene!, ho detto.

Se fra le note di una sinfonia non ci fosse spazio, non ci sarebbe nulla da godere.

Se l’amore creasse un’unità sarebbe la fine dell’amore; perché “amarsi†possono soltanto due persone, non una.

Sono naturalmente tentativi un po’… paradossali. Spesso le cose più profonde si possono esprimere soltanto in paradossi. I paradossi non vanno presi, come dire, alla lettera: va capito cosa c’è dietro; dietro c’è sempre un mistero complesso.

Qual’è la persona che più mi ama?

Quella che più di tutti mi lascia in pace!

E subito molti pensano: se fosse così andrebbero a ramengo tutti i rapporti di coppia!

Eppure è così!

Non c’è amore più intimo, più forte, più intenso, che lasciare in pace l’altro!

Ci vogliono molte più forze di amore che non continuare a dire quello che devi fare, quello che devi fare, ecc., ecc…

Lasciami respirare!

Colui che più mi ama è la persona a cui io vado sempre bene, comunque io sia.

Tu mi vai bene così come sei!

Questa è la persona che più mi ama.

Luciana: Tu mi vai bene così come sei, e se non mi vai bene tanti saluti!

A.: Nooo, non esiste, perché mi va sempre bene, scusa!

…Ma io mi voglio ammazzare!

Fallo! Ti pago tutto il necessario! …Gli passa la voglia!

Parlo per metafore un po’. L’essere che ci ama più di tutti, ognuno di noi – quello di 2000 anni fa – come dimostra, come fa, in che modo dimostra che ci ama all’infinito?

Ci lascia tutti così in pace che la maggior parte non sa nemmeno che esiste!

Pubblico: Non si fa sentire, non si fa vedere!

A.: Perciò ci lascia tutti in pace!

PUBBLICO: Non ci telefona!

A.: Non ci chiama alla 2 di notte…

I. 5: Mi ricollego un attimo al discorso fatto prima, tu dici: nessuno mi può venire a chiedere come mi comporto; però io potrei chiedere, in una relazione, come ti comporteresti, nel senso che, anche rispetto a questo discorso dell’amore, la relazione, è vero che non deve limitare l’altro, ma nello scambio che io ho con l’altro, in cui l’altro mi dà anche il suo punto di vista, per me è estremamente importante, arricchente, e in qualche maniera crea dei contrasti perché io mi impegno su un’opinione diversa dalla mia, dovrei essere evoluta molto probabilmente per non entrare in vibrazione.

Per cui, secondo me, è normale che in uno scambio ci sia anche questa limitazione, ma è anche una crescita, cioè è una controforza che mi permette di evolvere, il confrontarmi, il relazionarmi.

A.: Cosa c’entra con: come mi devo comportare?

I. 5: È la prima volta che vengo ai tuoi seminari, per cui probabilmente ho perso dei pezzi, ma…

A.: I pezzi che hai perso non sono importanti, sono importanti quelli che ti sei tenuta.

I. 5: Quello che percepisco è quasi un isolamento di questa individualità, mentre per me il fatto di sapere come tu ti comporteresti, in certe situazioni, mi permette di aiutare il mio pensiero a riflettere su quello che è un altro modo di vedere dal mio. Mi permette, in questo scambio, un’evoluzione, e per me è molto importante.

A.: Allora, dobbiamo distinguere tra modo di pensare – il pensiero tende all’oggettivo, alla verità oggettiva, la cerca; invece il modo di comportarsi, come mi devo comportare, il volere, è del tutto individualizzato – e la situazione individualizzata che c’è.

Ora, supponiamo che tu chieda: come ti comporti tu di fronte a uno che la pensa all’opposto?

Come prima risposta – ma è sincera! –: me la godo!

Un pensiero opposto al mio!… (me la godo) molto più che uno che la pensa come me! Perché se uno mi presenta un pensiero come il mio… è noiosa la cosa! L’ho già detto io!

Se uno mi viene con il pensiero opposto sorge una possibilità di fecondazione reciproca nei processi di pensiero, per cui tutt’e due possiamo andare avanti.

Tant’è vero che – vi porto un esempio concreto – in Germania ho stampato due conferenze di Steiner il cui titolo in tedesco è: “cos’è la redenzione†e alla fine del lavoro ci avevo messo un’appendice, siccome c’era questo fenomeno sensazionale di una stigmatizzata, una giovane donna, antroposofa, che dal 2004 non mangia più nulla e che ha delle visioni della vita del Cristo – Judith von Halle si chiama – allora io ho pensato, dato che molte persone mi chiedevano cosa io ne pensassi di questo fenomeno, ho pensato di prendere posizione con un’appendice, sono due paginette, e affronto il suo modo di pensare: se io lo vivo come aiuto al mio processo di pensiero, oppure se mi addormenta.

Tra l’altro io ho parlato con questa stigmatizzata per 3/4 ore, da solo, in un locale di Berlino, quindi l’ho incontrata personalmente.

Praticamente ho detto: non vedo in questo personaggio, nel suo libro che aveva scritto, non vedo un modo di pensare originale che, leggendo quelle pagine, sorgono scintille in me!

Quando leggo Steiner questo accade sempre! Ogni volta che lo riprendo, anche se l’ho già letto 20 volte!

L’editore di Judith von Halle, che era mio amico a Dornach, ha saputo che io stavo stampando una presa di posizione piuttosto negativa – ma affari miei – e mi ha detto: ma, signor Archiati, non vuol dare a questa von Halle la possibilità di prendere posizione su quello che scrive su di lei?

Io gli ho risposto: signor Morel, il libriccino è già in stampa, però per me è così importante offrire al lettore un modo di pensare, soprattutto quando è del tutto opposto al mio, che io le offro di pagare, di tasca mia, un inserto di 4 pagine dove questa brava figliola dice peste e corna di Pietro Archiati!

L’unica cosa disonesta è che lui (Morel) mi aveva promesso che avremmo dato al lettore la possibilità di percepire questa Judith von Halle, invece ha fatto un misto fritto di lei e di un certo Peter Tradowsky, per cui il lettore non ha possibilità alcuna di venirne a capo.

Comunque io ho stampato lo stesso, e ho pagato 1000 euro di tasca mia, perché dicevo: se il lettore di questo libriccino ha soltanto il mio modo di vedere, ha troppo poco come base per un giudizio suo. Se invece ha il mio modo di vedere e il modo di vedere opposto di questa donna, ha un fondamento per farsi un giudizio molto più bello.

Ovviamente, in un seminario come questo quando uno si presenta – cosa bellissima – e dice: Archiati, io la penso all’opposto di lei, io interiormente mi riprometto che me la diverto, però non è che gli rendo facile la cosa! …Un po’ come Socrate, che alla fine aveva sempre ragione lui!

Però a ragion veduta, via!

Se no il discorso sarebbe: mettiti tu qui, a fare il relatore, se il tuo pensiero è più saldo, più pulito.

E difatti Socrate, quando uno, un giovincello diceva: no, no, non è vero quello che dici!, Socrate rispondeva: ah, tu la pensi così? Bene!, mi interessa il tuo pensiero! Dimmi, dimmi! Poi dopo un po’ aggiungeva: ma a questo ci hai pensato? E quest’altro? E a quest’altro? E quest’altro?

E il giovincello doveva constatare: ah, sì, è vero, non ci ho pensato.

Quest’arte dialogica, che non vuol mortificare nessuno, però vuol fare pulizia di pensiero, è il fondamento della nostra cultura! E il fatto che il Logos, dopo Aristotele – Socrate, Platone e Aristotele – si sia personalmente presentato… vabbè, vabbè, per creare in ogni essere umano la potenzialità al pensiero… Però in Socrate, Platone e Aristotele vedo, vivo, l’esercizio del pensiero! E la chiesa ha messo tra parentesi la radice greca della nostra cultura e ha fatto come se il cristianesimo potesse stare da solo, senza questo fondamento che prepara la venuta del Logos.

Quindi l’incarnazione del Logos non è pensabile, non è neanche possibile, senza la filosofia greca, 3/4 secoli prima, che prepara.

Ho sempre detto: il bravo Cristo nel vangelo di Giovanni non si chiama Cristo, si chiama Logos: il pensare universale!

Abbiamo risolto tutti i problemi quest’oggi? Domani speriamo che ne saltino fuori altri. Buonanotte e ci vediamo domani.

Venerdì 30 settembre 2011, mattina

A.: Una buona giornata a tutti quanti. Siamo al paragrafo 45/46, circa il quale vi dicevo che se Steiner avesse scritto la Filosofia della Libertà dopo il nazionalsocialismo, questo paragrafo l’avrebbe scritto in un modo un po’ diverso. Questo non vuol dire che non calza.

Allora dicevamo (par. 45) che ci sono due tipi di moralità: una moralità secondo legge, che uno si deve mettere in riga secondo una legge prefissata, preconcepita, che già c’è; e una moralità fatta di libertà.

Propriamente morale, moralmente buono è solo ciò che è libero. Ciò che non è libero è, o pre-morale, o immorale; perché non è libero.

Allora, il non-libero, per esempio tutto il fondamento di natura – scrivo qui (sulla lavagna) il “non liberoâ€. Il non libero è di due tipi fondamentali ben diversi: tipo a), il non libero che favorisce ciò che è libero, che crea le condizioni necessarie.

L’amore di una persona che mi ama, per quanto mi riguarda non è morale, non fa parte della mia moralità, di ciò che io creo liberamente; però crea le condizioni necessarie, fa parte delle condizioni necessarie perché io possa vivere in libertà.

Per esempio, per fare tante cose liberamente c’è bisogno, tra l’altro, dei soldi. Chi mi dà i soldi perché io possa esplicare il mio essere in libertà, fa parte di questo tipo a), che crea le condizioni necessarie.

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Per me non è libero quello che lui fa; quello che l’altro fa per me non è libero, me lo devo prendere così com’è.

Il tipo b): si oppone alla libertà; quindi l’opposto delle condizioni necessarie: si oppone alla libertà, osteggia la libertà.

Il tipo a) è per esempio il corpo di una persona; il corpo fa parte delle condizioni necessarie per vivere nella libertà.

Chi si oppone alla libertà, osteggia la libertà… lì la cosa diventa più difficile, perché lì devo difendere la mia libertà; e vedremo oggi che il non-libero; ciò che non è libero… adesso: il libero – questo modo di sostantivare non è italiano, è proprio del tedesco: Das Freie: ciò che è libero, in italiano. Ciò che è libero è ciò che, in questo momento, non esiste in assoluto, perché può essere creato da me soltanto qui ed ora; oppure non c’è!

Questo è il concetto di ciò che è libero. O lo creo io in questo momento, in questa situazione di vita, qui e ora, oppure non c’è; oppure ometto!

Quindi questo è il morale, ciò che è moralmente buono.

Quindi di fronte al bene morale, che è la creatività libera dello spirito umano, ci sono solo due possibilità: nessun essere umano può agire contro la sua libertà, la può solo omettere; quindi, o crea liberamente e genera qualcosa che prima non c’era, anche se è un piccolo pensiero, non importa; oppure omette, in questo momento, di essere creatore.

Omettere di essere creatore è il male morale! Perché? Perché non crea moralità, non crea il bene morale. E creare qualcosa di nuovo, di individualizzato, che non c’è mai stato, è il bene morale. Un altro bene morale non c’è.

Quindi, l’unico bene morale che c’è, è lo spirito umano, la persona umana creatrice, liberamente creatrice! Però non è costretta ad essere liberamente creatrice, altrimenti non sarebbe libera! Quindi, di fronte al fatto morale, ciò che è libero, ciò che è morale, dev’essere omissibile; altrimenti non sarebbe libero!

Quindi nessuno di noi può agire contro la libertà: o la realizza, o la omette. Se la realizza la crea, se la omette… la omette, ma non può agire contro la libertà.

Vi ho detto diverse volte: il bilancio dell’evoluzione umana, dove si tirano le somme nella logica del Logos… la logica del Logos è storicamente tramandata nei cosiddetti vangeli. I vangeli contengono la quintessenza, un estratto della logica del Logos. Nella logica di questo Logos, cosa c’è al giudizio finale? Come si fa la resa dei conti?

Non esiste nessun peccato di commissione, nulla che gli esseri umani hanno fatto male; soltanto omissioni: “avevo fame e non mi avete dato da mangiare, avevo sete e non mi avete dato da bereâ€.

Non hanno fatto nulla di male: hanno omesso il bene che è la libertà!

Noi siamo imbottiti di repressione, di intimidazioni, di ricatti di Chiesa, di Stato ecc.; siamo imbottiti di doveri che dovrebbero essere… e pensiamo che il male morale consiste nel “non hai fatto il tuo dovereâ€!

No! Son tutte manipolazioni dell’essere umano, son tutte proibizioni di libertà, da cui ci dobbiamo liberare; e questa liberazione la può fare soltanto l’individuo.

Non esistono comandamenti, non esistono doveri. Esiste la proposta di vivere creando liberamente; ma non sei costretto a farlo questo bene morale che è l’unico che c’è; devi avere la possibilità di ometterlo, altrimenti non sei libero.

Ci siamo chiesti: ma allora non ci sono azioni cattive?

No, non ci sono!

Una persona ammazza un’altra… non è l’azione che è cattiva, è l’omissione di amore che è moralmente cattiva. E il fatto di ammazzare fisicamente è la conseguenza, ma il fattore morale non si trova nelle conseguenze, bisogna acchiapparlo nella radice; perché se questo essere umano non avesse omesso di diventare sempre più amante, non sarebbe mai arrivato ad ammazzare l’altro; non esiste; muore più volentieri lui, come il tipo di 2000 anni fa che dice a Pietro: Pietro lascia la spada, se qui uno dei due deve morire, chi è meglio che muoia?

Quello che è più evoluto, no! L’altro… dagli un po’di tempo ancora sulla terra, che possa migliorare!

Noi gli diremmo: sì, però, a questi livelli di evoluzione stratosferici, campa cavallo che l’erba cresce!

Però è importante essere onesti nella direzione del cammino e non barare; e allora va tutto bene. Se uno dice: io sono ancora molto distante da questi ideali… va bene, va bene.

Allora, rileggiamo il 46, il più difficile, soprattutto in Germania perché il testo è stato scritto in tedesco: pensiamo ad Auschwitz, al nazionalsocialismo.

Questa mattina siamo un po’ più freschi che non ieri sera, quindi adesso siamo agguerriti per un paio di riflessioni che ritengo molto importanti.

(IX, 46) Il conformista, che vede la moralità personificata negli ordinamenti esteriori, vedrà forse nello spirito libero un uomo pericoloso. Sovversivo! Ma ciò dipende dal fatto che il suo sguardo è ristretto ad una determinata epoca. Se egli potesse guardare al di là, dovrebbe subito accorgersi che altrettanto raramente quanto lui stesso lo spirito libero ha necessità in tedesco: ha bisogno di trasgredire le leggi dello stato, {oggi in italiano lo Stato lo si mette in maiuscolo; quindi anche questo fatto… lo stato di cose, uno stato di cose, qui la parola “stato†è in minuscolo, “lo Stato†invece in maiuscolo, oggi! Però, psicologicamente, questo sta a dimostrare la difficoltà, il rovellìo, la ricerca e anche le difficoltà che ci sono nei confronti del papà Stato; così come i bambini hanno vissuto le loro belle difficoltà nei confronti della mamma Chiesa.}

E questi genitori sociali, lo Stato e la Chiesa, perciò vengono messi in maiuscolo adesso; per metterli un po’ da parte, capito! Questo confrontarsi, soprattutto nell’epoca della pubertà dove la libertà comincia, fa parte della crescita degli esseri umani.

(IX, 46) e mai ha la necessità ha bisogno di mettersi in reale contraddizione con esse. Infatti le leggi degli stati sono tutte scaturite da intuizioni di spiriti liberi, {spiriti per lo meno potenzialmente liberi, perché ogni essere umano è uno spirito, tra parentesi, potenzialmente libero. Libero di fare anche il male, libero anche di omettere la libertà; però potenzialmente è libero.}

È la definizione dell’uomo!

Quindi anche un Hitler è uno spirito libero. Se poi lui, omettendo la libertà, crea un vuoto e lascia che demoni, realtà demoniache, si impossessino di lui, fa tutto parte della sua libertà.

L’omettere la sua libertà… lui non era costretto a ometterla; quindi l’affermazione che dice: tutti gli spiriti umani sono spiriti liberi, è giusta! Basta pensare: potenzialmente liberi, perché liberi non si è: o si diventa, o non si è!

Questo l’abbiamo, insomma, già spiegato finora, non c’è bisogno di aggiungerci tutte le qualificazioni ogni volta.

Quindi le leggi, da chi vengono?

Da esseri umani! E gli esseri umani sono per definizione liberi.

E così come erano liberi questi statisti che hanno fatto queste leggi, sono libero anch’io di prendere posizione, di avere altri pensieri, di trovarli giusti, sbagliati, ecc.

Non c’è un essere umano più essere umano di un altro; l’umano è al 100% ugualmente in tutti. E la testa di uno statista che conia leggi, non è una testa e mezza, è una testa come la mia; piena! Magari più vuota della mia, se la mia è piena. Ognuno ha un pensatoio e le leggi sono un bel pensatoio di altri, ma non è detto che il pensatoio di un altro debba essere migliore del mio. Mica perché è papa, il Papa… – quel fatto di appiccicargli quel “papàâ€â€¦ papa è una variante di papà – Mica perché lo chiamano Papa il suo pensatoio deve essere migliore del mio; normalmente è l’opposto: ha tante cose da fare che non gli resta troppo tempo per far cammini di pensiero. Questo detto tra parentesi.

Quindi la prossima volta, se è intelligente, dirà: farò di tutto fuorché fare il Papa; in modo da avere un pochino più di tempo di preoccuparmi della mia propria evoluzione interiore.

Perché come Papa il tempo non ce l’ha. Per dire un esempio.

Cioè, il bambino – e siamo un’umanità ancora bambina, no! – il bambino viene intimorito di fronte all’autorità come se le autorità fossero super-uomini… Non ci sono super-uomini! Non esistono! E non ci sono infra-uomini. Esistono uomini; uomini con potenzialità uguali di pensare in un modo sempre più intuitivo, sempre più coerente, sempre più profondo, sempre più giusto.

(IX, 46) Infatti, le leggi degli stati sono tutte scaturite da intuizioni di spiriti liberi, come tutte le altre norme morali oggettive. Non c’è legge che si esercita per autorità di famiglia che non sia stata una volta concepita intuitivamente e stabilita come tale da un antenato; anche le leggi convenzionali della moralità {i 10 comandamenti di Mosè} furono stabilite in un primo tempo da determinati uomini; {Mosè era un uomo} e le leggi dello stato sorgono sempre nella mente di uno statista. {Che è un uomo, come me; non di più, non di meno.} Questi spiriti hanno stabilito delle leggi sopra gli altri uomini, e non libero diviene soltanto chi dimentica tale origine, {Questa formulazione non è del tutto giusta, perché una maggioranza non è che stabilisce “sopra†gli altri… anche in tedesco: questi spiriti hanno posto queste leggi “sopra†altri uomini… perché nel processo di legislazione, si tratta di parlamentare, di discutere, si tratta di accordarsi; e quando una maggioranza decide: di questa cosa andrebbe fatta una legge, allora non è che io accetto qualcosa che certi esseri umani mi impongono, ma onoro la maggioranza, mi attengo alla maggioranza; perché un’alternativa, ogni alternativa ad attenersi alla maggioranza è lesiva di molti più esseri umani che non… come dire: è più umano chiedere a una minoranza di adeguarsi a una maggioranza – però una maggioranza che argomenta per convinzione, non per potere – che non esigere che una maggioranza si adegui a una minoranza. Proprio perché gli esseri umani son tutti uguali.}

CARLO: Quello sarebbe “sopraâ€, cioè di imporre alla minoranza.

A.: Sì, però, come dire: reagisco allergicamente contro questo “imporreâ€; perché nella libertà non ci sono imposizioni; l’assunto è che, o la minoranza liberamente, non per imposizione, si adegua liberamente, perché lo vuole, alla maggioranza; oppure vive come imposizione ciò che imposizione non è!

Questo è importante!

Perché oggettivamente non è un’imposizione. È imposizione soltanto se loro non vogliono adeguarsi alla maggioranza; ma allora hanno loro un problema!

Voglio dire: non volersi adeguare alla maggioranza… prendiamo un esempio concreto: una maggioranza ha stabilito che una certa azione va proibita, e argomenta pulitamente; in base alla libertà dice: chi compie questa azione lede la libertà sua e quella degli altri, e una minoranza dice: no, invece non viene lesa la libertà – e son padroni di pensarla così! – Ora si vota, e una maggioranza ha la convinzione – non è un esercizio di potere, è un’espressione di convincimento – ha la convinzione che compiere questa azione è lesivo della libertà; dalla minoranza cosa si richiede?

Se colui che è in minoranza è veramente una persona libera, liberamente accetta la maggioranza.

CARLO: Come Socrate!

A.: Come Socrate! Una maggioranza ha deciso che è meglio, per la comunità, che io vada all’altro mondo: devo andare all’altro mondo! Perché mettersi contro la maggioranza è molto più lesivo della libertà che non chiedere a una minoranza che liberamente si adegui alla maggioranza.

Adesso la cosa si complica: nelle riflessioni che io voglio fare, volevo rileggere tutto questo paragrafo 46, per poi fare delle riflessioni.

Il problema si pone quando la legge non è una proibizione, un divieto, ma diventa un’imposizione!

Adesso ci entriamo, però leggiamo il paragrafo fino alla fine.

(IX, 46) Questi spiriti hanno stabilito delle leggi sopra gli altri uomini, {hanno proposto queste leggi ad altri uomini} e non libero diviene soltanto chi dimentica tale origine, e fa di esse sia dei comandamenti super-umani, dei concetti di dovere morale oggettivo, indipendenti da ogni elemento umano, sia una voce imperativa della sua propria interiorità, {la cosiddetta voce della coscienza} ritenuta – in senso falsamente mistico – costrittiva. Ma chi non dimentica l’origine loro, ed in tale origine ricerca l’uomo, le considererà come facenti parte di quello stesso mondo di idee dal quale egli pure prende la sue intuizioni morali. Se crederà di averne delle migliori, cercherà di sostituirle alle esistenti; ma quando troverà che queste sono giustificate, allora agirà conformemente ad esse, come se fossero sue proprie.

Allora, riprendiamo tutto questo paragrafo che affronta – però un secolo prima di noi – il problema dell’obbiettore di coscienza, che di fronte alle leggi dello Stato dice: no, queste leggi vanno contro la mia coscienza, e abdicare alla mia coscienza, mandare a ramengo la mia coscienza, non me la sento; lo ritengo moralmente cattivo, quindi mi oppongo allo Stato.

Questo è il quesito fondamentale di questo paragrafo.

Allora, facciamo una riflessione sulle leggi, le leggi del mio Stato – in tedesco dice: del “mio†Stato, non le leggi dello Stato –. Le leggi dello Stato non ci sono, ci sono le leggi del “mio†Stato; vuol dire dello stato nel quale sono karmicamente, col mio destino, che fa parte della mia biografia.

Ora però voi direte: sì, in tedesco si dice: Meine State, però in italiano non si dice: le leggi del mio Stato, si dice: le leggi dello Stato.

D’accordo, però se vogliamo fare soltanto una traduzione dove il bel linguaggio è la cosa più importante, non funziona con un testo che deve avere una precisione di pensiero come questo testo. Allora, io faccio un compromesso: le leggi del (mio) Stato, bello in maiuscolo! Questa è la realtà di fronte alla quale, questa mattina, io esprimo dei pensieri e poi, nel dibattito, sentiamo cosa voi avrete da dire.

Ci sono le leggi del (mio) Stato! Ci sono!

Certe leggi per esempio fatte da un tipo che si chiama Berlusconi. È capitato su una sedia che gli dà la possibilità di fare delle leggi. Per esempio una legge che decreta in quale modo certi miliardi, dalla Svizzera, ritornano in Italia, (i suoi), pagando soltanto il 5% di tassa. Cosa che in Germania sarebbe criminale!

Però il premier dello Stato fa le leggi.

Adesso, calma, noi affrontiamo le cose dal punto di vista di un pensare libero, quindi niente patemi d’animo, niente emozionalità qui in sala, siamo tutti al Nord della Germania, spassionatamente, in chiave di pensiero.

Allora: tutte le leggi del mio Stato sono per me percezioni, sono cose che ci sono e le percepisco. Vi confesso che per me certe leggi non sono neanche percezioni, non mi sono mai interessato, non mi sono mai confrontato, ma comunque quelle con cui abbiamo a che fare sono percezioni. Percezioni vuol dire che vengono offerte al mio pensare affinchè io, col pensare, prenda posizione.

Quindi, fondamentale è quali concetti mi formo io, nel mio libero pensare, di fronte a queste percezioni che per me, in quanto percezioni, – non sono comandamenti, comandamento è già un concetto – è qualcosa che leggo.

Percezioni.

E adesso attacchiamo col pensiero: queste percezioni possono essere di due tipi – queste leggi – ci sono due tipi fondamentali di leggi; adesso questo lo dice il pensare – il mio, se volete – perché voi, insomma mi date dei quattrini perché io continui a tornare, dalla Germania, a esprimere i miei pensieri; se i miei pensieri vi fossero del tutto noiosi, avreste già finito di venirmi a sentire. L’accordo è che io sproloquio, vi sforno un po’ di pensieri e poi voi prendete posizione; e l’intento è di camminare nel pensare, diventare sempre più bravi nel pensare, che è la cosa più importante per essere liberi: saper pensare sempre meglio, se no pensano gli altri per me!

Allora le leggi sono di due tipi fondamentali: o sono proibizioni, o sono costrizioni; l’avevamo già detto! E a questo punto diventa fondamentale questa distinzione: o una legge mi proibisce di far qualcosa, o una legge mi costringe a far qualcosa. E vi garantisco che la maggior parte delle leggi, proprio il 99% – e questo è già un’enorme consolazione di pensiero, eh!, non di sentimento perché qui il sentimento non deve giocare nessun ruolo – e anche le leggi che sembrerebbero dei comandamenti, delle ingiunzioni, se noi le riformulassimo pulitamente, vedremmo che difatti non mi costringono a nulla! Sono divieti; il 99%!

E poi dovremo prendere sul serio l’1%, che è il caso di eccezione in assoluto, perché quando tu sei costretto ad andare a comparire in piazza, e leggono la lista, e stendere la mano per il saluto di Hitler, quella non è una proibizione, è una cosa che devi fare.

Però è un caso estremo, rarissimo.

L’altro caso di una legge non proibitiva… perché di fronte a una proibizione, a un divieto, la persona libera si salva nel senso che è capace di sopportare, di sostenere un massimo di divieti. Per esempio: c’è il coprifuoco, è vietato uscire di casa!

Una persona veramente libera, creativa ecc., resta in casa! Questo voglio dire.

Se io so sprigionare da me cose bellissime, ecc., sono in grado di sopportare un massimo di divieti, basta che non mi si costringa a nulla!

Quindi dobbiamo considerare tutt’e due le cose: le leggi del mio Stato sono: primo tipo divieti, proibizioni, e vi ho detto, la maggior parte, la stragrande maggioranza delle leggi – 99% ho detto, come indicazione così, quantitativa – sono formulate in un modo sbagliato.

Ieri abbiamo visto con le tasse, le tasse sono formulate come doveri, come azioni da compiere, come comandamenti; ma sono formulate male; più pulita sarebbe una formulazione come divieto.

Se la tassa è del 20%, è un divieto: ti è proibito, ti è vietato di tenere per te più dell’80%, ma non ti è proibito di tenere per te meno dell’80%. Uno vuol tener per sé soltanto il 70%? Lo può fare! Non gli è proibito.

Quindi non è vero che ha il dovere di pagare il 20%. È formulata male! Perché ha altrettanto la possibilità di pagare il 30%, se vuole.

PUBBLICO: Non ha la possibilità di pagare meno.

A.: È vietato! Quindi se lo formulo… dicevo già ieri, il modo di formulare è molto importante perché se il modo di formulare è un pensiero pulito, allora è giusto; se invece la formulazione è un pensiero un po’ sfasato, allora sorgono problemi.

Quindi, formulato come divieto: ti è proibito di tenere per te più dell’80%! Allora va bene, è giusto, calza!, calza!

Allora se le leggi del mio Stato sono riconducibili a proibizioni, a divieti, –“riconducibiliâ€, e io vi ho detto contate che il 99% è riconducibile a qualcosa che viene vietato, che viene proibito – ci sono due possibilità: divieti sanciti – mettiamoci A e B – divieti sanciti per maggioranza – una maggioranza ha deciso: questa azione va vietata – o divieti sanciti da un dittatore; che non è una maggioranza, è uno solo che vuole imporsi a tutti quanti, perché una minoranza in parlamento, un minoranza che si è imposta alla maggioranza non c’è mai stata, non esiste! L’alternativa è il dittatore.

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Se un divieto è stato sancito da una maggioranza, che ci rappresenta tutti, la persona libera è subito d’accordo; e ciò che una maggioranza vieta, non lo vuole. E non ci sarà mai una maggioranza che vieta cose che, un individuo che non fa quelle cose non può vivere; e alle persone libere gli basta di vivere; perché il modo suo di vivere lo gestisce dal di dentro.

Quindi con tutti i tipi di divieto che sono stabiliti da una maggioranza, la persona libera non ha problemi, dice: son disposta ad accettarli tutti, non mi toccano neanche, perché possono soltanto sancire dei divieti di cose che io non ho mai voluto e mai vorrò; non mi interessano proprio!

Vi vedo un po’ interdetti! Pensate a quante cose sono vietate nelle leggi del traffico! Un sacco di cose sono vietate – anche per te, Luciana, eh! –.

PAOLO: Se è vietato scrivere certe cose, diventa più interessante, è più difficile! È vietato parlare di certe cose sui giornali: è un divieto che comincia a diventare qualcosa di più coercitivo, no!

A.: Vedi che tu, siccome questo A non ti sta bene, sei subito scattato a B! Questo tipo di divieto non verrà mai da una maggioranza.

PAOLO: Eh, però ci sono dei governi che hanno delle maggioranze di cui si può avere qualche dubbio…

A.: No, no!

PAOLO: Maggioranze comperate, come quella che c’è in Italia! Maggioranze pagate… allora cosa fai? In Italia siamo a questo punto: c’è una maggioranza che è stata comprata. Lui continua a dire: sono stati eletti… non sono stati eletti, sono stati acquisiti durante il governo. Allora? Come va a finire questa cosa?

A.: Allora tu hai a che fare col dittatore! Capito! Una maggioranza fasulla non è una maggioranza!

Perciò io ho detto: procediamo con pulizia di pensiero, non con patemi d’animo prettamente italiani. Tu sei scappato subito al B perché su A non ti accorgi che non c’è nulla da dire. Perché se una maggioranza proibisse di scrivere certe cose, lo proibisce anche a se stessa, scusa! Eh! Allora vedi che il pensiero, insomma, le cose le fa pulite.

Allora andiamo al caso B: il dittatore pone dei divieti. Siamo nel caso dei divieti, eh!, perché il vero problema viene dalla coercizione, dall’imposizione, è nel comandamento, nel dovere.

Allora, il divieto viene da un dittatore che si impone su una maggioranza, si impone su tutta la popolazione. A questo punto il dittatore stabilisce, prendiamo il caso estremo, un massimo di divieti. L’unica riflessione che io faccio a questo punto, che però è fondamentale, è che: più una persona è libera e più divieti può rispettare, per salvaguardare la sua libertà.

Ripeto l’affermazione: più una persona è libera, ha una ricchezza interiorre in grado di creare mondi sempre nuovi, e più divieti è in grado di trangugiare!

CARLO: Divieti che sono imposizioni!

A.: Non imposizioni! Adesso arriva il 2, non ci siamo ancora al 2. Quindi la persona libera su tutta la linea dei divieti non ha problemi. Divieti, proibizioni. Adesso arriva la cosa più… Quindi, le leggi del mio Stato, per me sono percezioni e ci sono due tipi fondamentali: primo tipo(1); dove le cosiddette leggi sono divieti, o sono riconducibili a divieti. Secondo tipo(2), invece, queste leggi sono: “mi vogliono costringere a qualcosaâ€, non è che mi proibiscono, mi vogliono costringere a fare qualcosa, e qui prendiamo due esempi, però vi ho detto, questi due esempi fanno parte dell’1%, che è il caso estremo!

E il caso estremo, se l’individuo vi viene posto dentro, è karma suo, non è un caso; ha scelto ancora prima di nascere di porsi in questo caso estremo per darsi la possibilità di prendere posizione in chiave pensante, quindi tirando fuori tutti i registri del pensare e di provocare la sua stessa libertà al massimo.

E qui, come due casi estremi, uno ve l’ho già detto: – l’altro (l’obbiettore) è un po’ più comune – il tuo Stato, le leggi dello Stato vogliono costringerti a presentarti in piazza a fare il saluto, e se non lo fai vieni acciuffato, perché si legge la lista e tu manchi, e vai in galera. Il secondo caso: – dove c’è l’obbiettore di coscienza – lo Stato ti impone di fare il soldato, il servizio militare, ti impone di sparare!

Allora che faccio?

Quindi qui siamo nel caso delle costrizioni, delle ingiunzioni, dei comandamenti, delle imposizioni, del dovere, dell’obbligo, della coercizione! Tutte queste belle parole, che sono l’opposto del divieto.

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Nel divieto basta che io una cosa non la faccia e sono a posto. Invece qui devo farla! Devo presentarmi a fare il saluto a Hitler, devo sparare…

CARLO: Non è l’1%!

A.: È l’1%, non di più! Se tutti i falsi comandamenti vengono puliti, espressi in un modo pulito e ricondotti a divieti, perché lo sono, guarda che l’1% è già troppo!

CARLO: Mi sembrava che il dittatore del tipo B dovesse essere nella categoria 2 delle leggi!

A.: No, no, sta attento, perciò si portava l’esempio di Berlusconi, lui (Paolo) ha portato l’esempio di Berlusconi, però il fenomeno Berlusconi, anche se lui dittatorialmente manipola la maggioranza ecc., no!, sono tutte… non soltanto il 99%, ma ti garantisco il 100%; e quell’1% che sta qui sotto (tipo 2) non viene da Berlusconi, viene da altre leggi che già c’erano; son tutte cose che lui vuole ottenere che non si facciano. Noi sottovalutiamo quante cose sono da ridurre, da ricondurre a divieti, a proibizioni!

CARLO: Tu stesso ci hai sempre detto che, se funzionasse tutto bene, i divieti e le proibizioni diventerebbero minime!

A.: Minime, certo!

CARLO: Invece siamo soffocati…

A.: E ci sarebbero solo quelle! E non ci sarebbero obblighi, imposizioni ecc.

Sta attento, un motivo fondamentale per cui è quasi impossibile obbligare l’individuo a far qualcosa, è che bisognerebbe avere un apparato di controllo che controlla tutte le azioni di tutti gli individui, per acchiapparlo dove lui omette di fare ciò che sarebbe costretto a fare! Perciò il nazismo è un fenomeno di assoluta eccezione, che costringeva gli uomini ad andare in piazza in modo che quelli che non c’erano venivano acciuffati.

In Italia è una cosa impossibile! Perché il popolo italiano…

PUBBLICO: Beh, il fascismo…

A.: Sì, ma il popolo italiano non si lascia controllare a questi livelli! Che, se volete, è un vantaggio!

L’altro esempio che sto portando: “devi sparareâ€, sei soldato e devi sparare.

Io ho un padre che ha fatto la seconda guerra mondiale, lui s’è salvato, non è stato mai acchiappato – in Jugoslavia ha partecipato alla guerra –. Lui diceva: devo sparare a uno che forse è un padre di famiglia come me, con 10 figli… una cosa allucinante! Ho sempre sparato in aria, a destra e a sinistra, e quando potevo tutte le cartucce le ho buttate nel gabinetto.

E non è stato mai acchiappato! Perché se tutto il popolo italiano, se tutti fracessero guerre in questo modo… non c’è modo di vincere una guerra!

Allora: sparo o non sparo?

C’è l’obiezione di coscienza; siamo in questo secondo caso: le leggi mi vogliono costringere a fare qualcosa che io non voglio fare!

In questo caso estremo non si può dare una norma di comportamento, perché ogni norma di comportamento è lesiva della libertà. È il tuo karma, individuale, di esserti posto in questa situazione.

E vedrai che la prima cosa che devi considerare è: se io rischio la mia vita, e io son disposto a dare la mia vita per la non violenza – perché io ho il valore assoluto della non violenza – se il mio karma mi pone come genitore, o come padre, o madre, di figli piccoli, sono responsabile, non soltanto della mia vita, ma anche della loro vita.

E la decisione di come l’individuo si comporta in questo caso, è la sua. Non si può dire dal di fuori cosa dovrebbe fare.

Però il pensare ci dice che la libertà di agire, anche di andare liberamente verso la morte, è tutt’altra se io sono senza figli, se io rispondo soltanto della mia vita, o se questo morire volentieri ha conseguenze pesantissime forse per altri esseri umani.

E queste considerazioni, anche le forze morali che ci sono, o non ci sono, di morire volentieri ecc., non si possono generalizzare. Lì, ancora di più, l’individuo si trova di fronte al suo spirito libero, che delibera con se stesso come agire.

E, nei 12/13 anni del nazismo, è chiaro che tante persone hanno passato giornate, mesi, di agonia, perché si trovavano in un conflitto di coscienza enorme. Come individui avrebbero parlato volentieri, avrebbero detto certe cose, ma si trovavano di fronte al fatto di dover mettere a repentaglio tutta una famiglia, altre persone, ecc.

E nessuno, dal di fuori, ha il diritto di dire: avresti dovuto comportarti così!

Resta all’individuo la decisione di come lui si comporta. Nessuno di noi ha il diritto di dire: tu avresti dovuto avere al forza di morire volentieri!

E tu ce l’hai?

Quindi noi ci limitiamo a dire che questo caso è veramente il caso estremo, rarissimo, dove si manifesta il karma, del tutto individuale dell’individuo.

E uno decide di andare in piazza e fare il bel saluto a Hitler!

Una decisione moralmente cattiva?

Nessuno è in grado di giudicare!

Vi dicevo che il Logos, il pensare pulito, 2000 anni fa, non ha dato nessun comandamento, nessuna ingiuzione – amatevi a vicenda non è un comandamento, non si può comandare l’amore – però ha dato una proibizione: non guidicate! Perché non potete farlo!

E questa proibizione calza perché ognuno si può attenere a questa proibizione: si è liberi nella misura in cui non si giudica; perché soltanto chi non giudica ha il diritto di respingere ogni giudizio fatto su di lui.

Chi invece giudica non ha il diritto di respingere i giudizi fatti su di lui. E perciò la seconda metà di questa affermazione è: non giudicare affinché non veniate giudicati.

Questa logica è ferrea, eh! Il Logos si presenta con una logica ferrea. Il cristianesimo tradizionale non ha neanche cominciato a capire di cosa si tratta!

Adesso l’altra affermazione del testo: …“non ha mai la necessità, il bisogno, di mettersi in reale contraddizione con esse.â€

Scrivo sulla lavagna: mai in reale contraddizione con esse, con le leggi dello Stato.

Non c’è mai bisogno di mettersi in contraddizione con esse…

Ma come?

Il caso 2 che avevamo: posso mettermi in contraddizione! L’obbiettore di coscienza si mette in contraddizione! Chi fa resistenza – una bella parola “resistenza†– chi resiste si mette in contraddizione!

LORETTA: Ma non è una legge, non è una legge contro la quale sta resistendo. È un’imposizione.

A.: Sì, ma è una legge però! Una legge che impone è una legge; è il secondo tipo di legge.

LORETTA: Cioè, se lo fa, resiste a quella legge, si oppone a quella legge; nel caso venga preso e giudicato, non si oppone al giudizio, quindi è nella legge perché…

A.: No, no, agisce contro! Qui dice: non ha mai bisogno di agire contro!

LORETTA: Allora non ho capito! Io pensavo che, siccome è una legge che prevede delle sanzioni, se uno trasgredisce la legge succede questo.

A.: No, no, c’è una legge che ti obbliga a presentarti sulla piazza a fare il saluto a Hitler, e tu non ti presenti. Hai o non hai mai bisogno di metterti in contraddizione con questa legge?

Questo è un uovo di Colombo! Quando io ho presentato ai tedeschi – soprattutto al Nord – questo uovo di Colombo, sono rimasti allibiti! Hanno detto: ci voleva un italiano a darci questa spiegazione!

Il testo dice “contraddizioneâ€, non “opposizioneâ€! Mi metto in opposizione ad una legge che mi impone una cosa che non voglio fare, ma mai in contraddizione!

Contraddizione è un fattore di pensiero, opposizione è un fattore di morale, di comportamento.

Mi oppongo: faccio l’opposto. Due cose si contraddicono a livello di pensiero.

Quindi la contraddizione è un fenomeno di conoscenza, non morale! E quando io mi oppongo ad una legge che mi costringe a fare ciò che non voglio, la confermo; confermo il fatto che è disumana, quindi non la contraddico: la confermo. La confermo opponendomi!

Allora. si può agire in opposizione, in resistenza, in rifiuto dell’obbedienza, ma non in contraddizione; e questo rifiuto dell’obbedienza, questa resistenza, questa opposizione, conferma la disumanità di chi ha stabilito questa legge; e la conferma a tre livelli! Altro che contraddizione! Non la contraddice, la conferma in quanto disumana. La confermo opponendomi… cosa confermo opponendomi?

Confermo che… 1,2,3! Addirittura!

Confermo che questa costrizione viene da uomini, altrimenti non avrei diritto di oppormi; quindi confermo che è una legge dello Stato, di uomini; non di una divinità fatiscente. Quindi, proprio opponendomi, confermo che è una legge stabilita da esseri umani, e sono un essere umano anch’io!

Quindi è importante distinguere in assoluto tra contraddizione – contraddizione è al livello del pensare: due cose si contraddicono – e opposizione, che è al livello dell’agire: mi oppongo, resisto, non faccio quello che lui vorrebbe costringermi a fare. Ma non facendo quello che lui vorrebbe costringermi a fare, opponendomi, confermo che la costrizione viene da un uomo come me, non da un super-uomo.

Poi confermo il fatto che è disumana, che la ritengo disumana e quindi si evince, per me, il dovere, la libertà di oppormi, di mettermi contro.

E in terzo luogo confermo che per la libertà compiere un dovere, quale che sia, non basta.

Ogni dovere, ogni dovuto, è dovuto alla libertà; quindi ogni dovuto, ogni dovere, è un vero dovere soltanto se sfocia nella libertà; se non sfocia nella libertà non ha ragione di essere.

Dovuto è soltanto ciò che è necessario per vivere liberi, il resto non è dovuto, il resto non è un dovere.

Quindi, opponendomi, resistendo – in italiano c’è questa bella parola, sopratutto nata dopo la seconda guerra mondiale: la “resistenza†– confermo – altro che contraddizione! – confermo:

1 – che questa costrizione proviene da uomini come me che non hanno il diritto di impormi qualcosa.

2 – che è disumana, che la ritengo disumana.

3 – che compiere il presunto dovere, in quanto dovere, è immorale. Perché il dovere non può mai essere fine a se stesso; il dovere non è mai morale, da solo. Il dovuto è morale soltanto se è dovuto alla libertà; se è necessario per vivere in libertà. E viene reso moralmente buono soltanto se, sulla base di ciò che è necessario, viene costruito ciò che è libero.

Quindi soltanto l’emergere di ciò che è libero rende moralmente buono il necessario. Se il necessario non sfocia nel libero è per lo stesso fatto moralmente cattivo; perché non sfocia nel libero.

Quindi ciò che è necessario, il dovuto, viene reso moralmente buono soltanto nel caso in cui, realmente, emerge, viene creato, il fattore di libertà.

Prendiamo anche il paragrafo 47, prima della pausa. Considerate, paragonate questi pensieri che sembrano, nell’umanità di oggi molto radicali, ma che invece sono semplici, puliti; paragoniamo questi pensieri, in fondo tuttora nuovi nell’umanità, con la compagine spontanea dell’animo di tantissime persone che dice, che ha questo sentimento: chi disubbidisce allo Stato è moralmete cattivo, non è un bravo uomo.

In Italia non so quante siano le persone, ma in Germania sono tantissime! In Germania tantissime persone hanno questo sentimento, che poi è difficile esprimere in parole: se tu osservi tutte le leggi – sopratutto al Nord della Germania – sei moralmente buono; chi trasgredisce è moralmente cattivo.

E l’altro pensiero è: nessuna legge è moralmente buona se non sfocia, se non si fa da base, per l’individuo, per un reale creare liberamente, che si esprime, che si esercita. Prima che avvenga questo fattore morale, tutto il resto non è nacora moralmente buono.

Detto in un altro modo: nella misura in cui gli esseri umani diventano liberi, una società che diventa sempre più matura a livello di tutti gli individui presenti nella società, stando al fatto che – ripeto – le leggi hanno soltanto il compito di stabilire ciò che non va fatto, una società matura non ha bisogno di leggi!, non ha bisogno di Stato! Perché nessun individuo, nella sua maturità, né vuole, né compie, ciò che è lesivo della libertà.

Se andiamo indietro di 200 anni, parlo di persone che conosciamo, anche se sono scritte in tedesco; Schiller, Goethe, Wilhelm von Humbolt (il fratello di Alexsander von Humbolt) – sono spiriti che hanno espresso, ma in un modo forte, questo pensiero: se noi esseri umani, se ci evolviamo in modo giusto, in 100, 200 anni non avremo bisogno di Stato!

Paradossalmente si potrebbe dire che una persona veramente libera, libera nel senso positivo della libertà, non libera di andare contro, ma di creare, di vivere in pienezza, a tutti i livelli della vita; nei rapporti umani, nella fantasia morale dei rapporti umani per renderli sempre più belli, più profondi, sia nel campo dell’arte, nel campo sociale, nel campo della scienza; la scienza dello spirito che attende di venir afferrata in cammino di libertà ecc.; paradossalmente – perché è il caso mio, se volete – più una persona vive spazi di libertà, meno ha bisogno di conoscere le leggi che ci sono; perché è sicuro che non trasgredisce nulla! Perché le uniche leggi che hanno diritto di esserci sono, sarebbero, divieti, e lui è sicuro che non farà mai qualcosa che giustamente è proibito. Una gran bella cosa! E non ci sarà mai una polizia che viene ad acchiapparlo.

Quindi il caso del conflitto è proprio rarissimo, ed è il secondo caso dove dittatorialmente lo Stato, o il dittatore, mi impone qualcosa e mi controlla!, se lo faccio o non lo faccio.

Perciò nella Germania dell’Est, nei decenni in cui c’era il comunismo, c’era tutto un sistema di controllo, di spionaggio, a livelli proprio capillari del quotidiano.

Soltanto in questo modo lo Stato, dittatoriale, può appurare se l’individuo fa, o non fa, ciò che vorrebbe costringerlo a fare.

Perciò, dicevamo ieri, la libertà significa vivere in pace e lasciare gli altri in pace. E lasciare gli altri in pace significa: non farò mai qualcosa… anche se ho il minimo dubbio che leda la libertà, preferisco non farla.

Nella libertà ci sono tantissime cose da fare, da creare, che non ledono la libertà degli altri!

Uno si mette a scrivere una poesia… non bisogna essere poeti, ognuno ci si può provare; dove lede la libertà altrui se scrive una poesia?

La lima, cambia una parola ecc., ecc.; può godersi delle ore, una giornata intera e non ha bisogno di trasgredire nessuna legge, nessun divieto, nessuna proibizione.

In altre parole, ci stiamo dicendo che l’esercizio della libertà, il vivere nella libertà, la società così come noi siamo, è tutta da conquistare! È questo che stiamo dicendo. E nella misura in cui ce lo conquistiamo, risolviamo gli altri problemi.

Ma gli altri problemi non li possiamo risolvere… il problema del Berlusconi non lo possiamo risolvere soltanto teoricamente; lo risolvo soltanto nella misura in cui io ho abbastanza da fare e mi basta che mi lasci in pace.

E non c’è bisogno di andare in Germania perché mi lasci in pace! Diciamo sinceramente: chi di voi, chi di voi qui in sala ha fatto l’esperienza che il suo quotidiano viene controllato, minuto per minuto, per appurare se fa certe cose che sarebbe costretto a fare?

Non esiste! Siamo sinceri! Ed è una gran bella cosa!

WILMA: Dicevo, che piano piano riusciranno anche a controllarci…

A.: Soltanto se glielo lasci fare! Questo è comodo disfattismo! Nel caso mio non ci riusciranno mai, puoi star sicura!

Lei dice: sta a vedere che piano piano riusciranno a controllarci la giornata… ma rendiamoci conto cosa ci vuole per controllare la giornata di tutti gli individui!

I. 1: Basta un microchip!

ROBERTO: Poi ci vuole il controllore però!

A.: Poi ci vuole il controllore… Sta attento, quello che tu dici è giusto: l’individuo sarà messo sempre più sotto osservazione, è questo che tu vuoi dire. E siccome l’individuo, come tu dici giustamente, sarà messo… il potere lo metterà sempre più sotto osservazione – il cittadino vitreo, trasparente come il vetro, dicono in tedesco – perciò la legge, la legislazione sarà costretta, di pari passo, a distinguere sempre più chiaramente tra ciò che è vietato e ciò che uno è costretto a fare.

Altrimenti non si può… tu immagini di mettere sotto controllo – ciò che succederà sempre di più – gli individui in base a delle cose che sarebbero costretti a fare!

Assurdo! Assurdo!

Già controllare se uno prevarica certi divieti, già è troppo; l’altro è impossibile, assolutamente impossibile.

Quindi, proprio per questo, siccome la tecnica darà al potere una possibilità sempre maggiore di controllo, di guardare ecc., – in Inghilterra adesso non ti puoi girare che c’è una telecamera che filma tutto, sopratutto dopo quel patatrac che è successo in paio di settimane fa – proprio parallelamente a questo fenomeno di tecnica che dà la possibilità di percepire – la percezione – i movimenti della massa degli individui in un modo più capillare, si sarà costretti sempre di più a distinguere, ad attenersi alle cose che sono vietate. Perché controllare tutti i cittadini se fanno, o non fanno, o ciò che sarebbero costretti a fare, è una cosa impossibile!

Si avrebbe bisogno di triplicare, o quadruplicare la popolazione per avere questo modo di controllo nei confronti di ciò che dovrebbero fare. E anche i divieti saranno costretti ad essere ridotti al minimo, altrimenti non sono controllabili.

E la tecnica darà – questo volevi dire tu – sempre più la possibilità di controllare, di guardarti.

Perché poi a Berlino, all’una di notte, alle due di notte, uno ha dato pestate a un altro e quasi l’ha ammazzato; tutte queste persone che poi sbobinano il video, e ci vogliono ore e ore per acchiappare il punto… e poi tutte le stazioni della metropolitana ecc., ecc., sono tutte persone da pagare, eh! Quindi c’è un limite! C’è un limite a tutte le cose.

L’unico fattore che si presenta come senza limiti è la tecnica. Google sa più su di me di quanto io stesso so! E lì uno dice: ma allora non ci sono limiti?!

E proprio perché la tecnica crea modi di controllo, di guardare, illimitati, bisogna limitare l’altro fattore, altrimenti non puoi… Supponiamo che, soltanto a Berlino, o soltanto a Roma, in una notte sono successe 50 scene che andrebbero riviste… immaginiamoci concretamente l’apparato di persone richiesto poi per protocollare tutto questo! Tutto protocollato!… ecc., ecc., ecc.

ROBERTO: E stiamo parlando dei divieti! Già per controllare queste azioni che sono vietate!

A.: Sì, lui diceva: lasciamo aperto che si tratti anche di controllare se uno compie ciò che sarebbe costretto a compiere; perciò era questo il pensiero che io dicevo: parallelamente la legislazione sarà costretta, prima di tutto a distinguere tra divieti e ingiunzioni, e costrizioni; e in secondo luogo di attenersi sempre di più di tenerli al minimo!

Sarà la tecnica a costringere ad andare in questa direzione. E va bene!

Leggiamo il 47, e poi facciamo una pausa. Poi tocca a voi!

(IX, 47) Non si deve coniare la formula che l’uomo esiste per fondare, separato da lui stesso, un ordinamento morale del mondo. Chi pensasse questo sarebbe, riguardo alla scienza dell’uomo, allo stesso punto in cui stava quella scienza naturale che diceva: «il toro ha le corna per poter dare cornate». {Al fine di dare cornate.} Fortunatamente i naturalisti hanno buttato via simili concetti finalistici. L’etica riesce più difficilmente a liberarsene; ma come non ci sono le corna allo scopo di poter dare cornate, ma ci sono le cornate per mezzo tramite delle corna, così non c’è l’uomo allo scopo di fare della moralità, ma c’è la moralità per mezzo dell’uomo.

Ti va bene, Luciana, questa traduzione?: C’è la moralità “per mezzo†dell’uomo!?

Allora l’uomo è un mezzo e la moralità il fine!

Cioè, chi ha tradotto non si è reso conto che qui il pensiero deve essere preciso: avendo scelto la parola “mezzoâ€, è talmente ambivalente, è talmente ambiguo, che allora: ah!, io sono il mezzo perché ci sia la moralità, e la moralità è il fine, e la moralità c’è per mezzo dell’uomo! Quindi l’uomo è il mezzo e la moralità il fine!

Ma contraddice l’affermazione di prima!

In tedesco c’è: Durch des Mensch, Durch!: attraverso, grazie, all’uomo.

PUBBLICO: Mediante! Mediante! (Qualcuno): ma mediante è lo stesso che “per mezzoâ€

A.: Sento un sacco di parole fuorché quella giusta!

Tramite! Nessuno ha pensato a “tramiteâ€!

I. 2: L’energia, la luce!| In quanto l’uomo, quando si parla di spiritualità, di libertà, che va creata, è trovare alternative… prendiamo la scienza, la cancrena; qual’è l’alternativa? L’amputazione!

A.: Sì, ma guarda che qui…

I. 2: No, no, sto andando oltre! La luce in quanto la libertà stessa, non l’utilizzo del potere attraverso tutte le paure che si stavano a dire: il controllo, ecc., ma in quanto la libertà stessa dell’uomo.

Adesso io quella frase lì, non…

Però l’uomo in quanto genere umano, il bambino, la donna… è questo! Perché stiamo qui? Proprio per questo, per trovare alternative a tutto ciò che abbiamo detto fino adesso, se no, non stavo qui manco io, grazie!

!?

A.: Naturalmente la traduzione “per mezzo†intendeva dire: tramite, grazie all’uomo. Però mezzo è mezzo, medium; e il mezzo serve per arrivare al fine! Tant’è vero che si dice: il fine non giustifica i mezzi!

Quindi uno che legge la Filosofia della Libertà – la traduzione che avete in mano – con svegliezza di pensiero, nota questa cosa: no, qui non avrebbe dovuto tradurre “per mezzo dell’uomoâ€, perché per mezzo dell’uomo vuol dire proprio: la moralità è il fine e l’uomo è il mezzo per arrivare a questo fine.

FABIO: E tra l’altro, scusami, la parole “mezzoâ€, ha proprio l’incompletezza: mezzo, cioè il mezzo non è completo, non è autonomo. La sua completezza ce l’ha nel fine, perché è un mezzo per arrivare al fine.

A.: Quindi, diciamo: qui c’è il fine – il fine è la fine! Perciò è la stessa parola – e qui sono nel bel mezzo! (disegna alla lavagna)

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Una cosa incompiuta, come tu dici! Nel bel mezzo! Manca la cosa più importante che è il fine. E tutto questo viene vissuto nella parola, pronunciando la parola “mezzoâ€, che in questo contesto è proprio l’opposto di quello che sta dicendo! Ovviamente.

Allora: ci sono le cornate “tramite†le corna! Così non c’è l’uomo allo scopo, al fine, di fare della moralità, come mezzo, al fine di fare moralità, ma c’è la moralità “tramite†l’uomo, grazie all’uomo.

E senza l’uomo non c’è moralità, perché la crea lui! Morale è la creazione libera.

A-morale è cio che la precede, immorale è l’omissione, oppure la distruzione della libertà.

(IX. 47) L’uomo libero agisce moralmente perché ha un’idea morale {per il fatto di avere un’idea morale}; ma non agisce con lo scopo al fine di far sorgere, col suo agire, una moralità. Gli individui umani, con le loro idee morali appartenenti al loro essere, sono il presupposto dell’ordinamento morale del mondo.

In altre parole il bene morale è sempre qualcosa che ancora non c’è! Sorge soltanto con me, in me, tramite me, qui e ora, in modo individualizzato.

PAOLO: È un processo, come il pensare.

A.: È un creare, è un processo di creazione.

PAOLO: Anche la morale è un processo, cioè vale… il bene morale, il suo valore è che è un processo; per cui è bene morale perché è sempre nuovo nell’attimo in cui io lo faccio, e non ha un fine come quello di creare una legge; cioè il bene è proprio il processo, come nel pensare. Non è il finito, il pensato; è che l’agire liberamente diventa bene morale proprio perché è nuovo tutte le volte; è sempre nuovo.

A.: Quindi, non può alienarsi con un fine che ancora non c’è e non può alienarsi con un passato che non c’è più.

PAOLO: Certo! Con un sedimentato per obbedire a qualcosa che c’era già.

A.: Dove copio, mi ripeto, dove agisco secondo leggi comuni, secondo quello che hanno fatto gli altri ecc.

Quindi il morale, o lo creo qui e ora, io!, oppure non c’è!

Però, sta attento, che tu hai usato la categoria, il concetto, di processo; ma è molto meglio la categoria di creazione. Lo spirito divino creatore – supponiamo che ci sia stato – che crea il mondo, questo fatto del creare, io non lo chiamerei un processo; è una creazione, è un creare!

PAOLO: È una cosa nuova proprio!

A.: Crea dal nulla! La categoria di processo non ci calza

MASSIMO: Mi viene in mente questo: la moralità non è predittibile, predicibile. Non è a priori definibile.

A.: Perché altrimenti non sarebbe libera, e non sarebbe morale! MASSIMO: Quindi, in questo senso, non ha a che fare, né col passato perché non è pensabile che si possa agire in base a qualcosa che non c’è più; e nemmeno per il futuro perché è una questione che si risolve sempre al presente.

A.: Un’immagine calzante è la sorgente, la sorgiva; l’acqua che esce è sempre presente, è zampillante!

E perciò alla samaritana – IV° capitolo del vangelo di Giovanni… samaritana, nemmeno un’ebrea, una giudea… che poi rappresenta l’anima umana – il Logos parla di questa acqua zampillante, vivente, vivace.

Però può essere zampillante soltanto qui e ora, in me! E lei conosceva soltanto l’acqua depositata, cioè i pensieri pensati da Abramo, Giacobbe, ecc., ecc. E il Cristo dice: a che ti servono i pensieri degli altri se tu non sai pensare? Pensali tu, che è molto meglio! E lei dice: dammi, dammi quest’acqua! È molto meglio che venire qui, ogni volta a prendere l’acqua che è depositata!

Quindi è un’immagine calzante al massimo per il pensare vivente, che crea, come una sorgiva.

I pensieri pensati 5 secondi fa… ma chi se li ricorda!

MASSIMO: Acqua passata non macina più!

A.: Acqua passata non macina più. Cosa fatta capo ha! Ecc., ecc., ecc.

Quindi questa vivacità della creatività nel presente, presuppone il superare l’inerzia dei fatti di natura in noi. E rispetto alla libertà siamo tutti grandi poltroni!

Quindi il vero ostacolo della libertà non sono le leggi dello Stato; quelle non mi toccano neanche! È la natura in me, che vorrebbe ripetersi, comodamente, pigramente, invece di farsi da sostrato per una creazione a tutti i livelli, che si compie qui e ora, in un modo individualizzato.

Facciamo una pausa e poi, siccome le cose, questa mattina, erano importanti: sullo Stato, le leggi ecc., toccherà a voi!

I. 3: Volevo chiederti come puoi conciliare due affermazioni opposte, che hai fatto, in contraddizione…

A.: Secondo te!

I. 3: Chiaro!, poi dopo si inizia un dialogo e per iniziarlo faccio questa domanda: hai detto: nessuno può andare contro la propria libertà; non può l’uomo andare contro la propria volontà. Pochi minuti dopo hai detto che non siamo costretti alla libertà, cioè nessuno è costretto alla libertà. Come concili queste due cose che sono in contraddizione?

A.: Perché non sono in contraddizione! Ovviamente!

Allora: – citazioni tutt’e due – la cosa è semplicissima: andare contro la propria libertà, se fosse possibile, presupporrebbe che la libertà ci sia, per andarci contro; e la libertà è quella cosa che non c’è mai!

I. 3: Nel senso che siamo operatori e agiamo? Che non è una cosa, ma nel momento che la nomini non è più lei?

A.: No, la libertà non c’è mai perché la si può solo creare, dall’istante presente verso il futuro! Quindi un istante prima non c’è mai!

I. 3: La nominiamo, ma è giusto per dire qualcosa?

A.: Qualcosa in fìeri – si capisce: in fieri? – C’è e non c’è! Sì e no! Questo è il problema: il divenire. È in fieri!

I. 3: Dunque siamo costretti alla libertà.

A.: Nessuno è costretto a creare liberamente: che è la libertà. Nessuno è costretto a mettere in moto quel processo di creazione attuale, individualizzata, che noi chiamiamo libertà

I. 3: Per parlare in concreto, diciamo, l’operazione emblematica che hai portato della libertà: cioè del poeta che sta una giornata a scrivere, a decidere…

A.: No, non un poeta, una persona qualsiasi!

I. 3: Sì, in quel momento è poeta, nel senso che è una persona che passa la giornata…

A.: Crea una poesia, sta creando una poesia!

I. 3: Ecco, questo come emblema di libertà.

A.: Come fenomeno di libertà.

I. 3: Questo per parlare di qualcosa di concreto.

A.: Aspetta: lui sta creando una poesia; questo processo di creazione libera… la poesia c’è o non c’è?

I. 3: Vabbè, ma adesso non era il punto che volevo fare… C’è o non c’è? È in fieri, d’accordo, ma non è comunque il punto…

A.: Eh, questo riguarda la prima affermazione… anzi, riguarda tutt’e due le affermazioni.

PUBBLICO: Lui sceglie!

A.: Liberamente! Perché se non lo vuole non lo fa!

I. 3: Vabbè, comunque non è questo il punto. Adesso abbiamo conciliato questa cosa perché diciamo: è in fieri, nella dimensione del tempo, cioè nel processo del divenire il paradosso è costitutivo se no non esisterebbe: le due cose sono le due facce della stessa medaglia.

Ma il punto che volevo fare io era quest’altro, che poi non è proprio in contraddizione, però è una considerazione. Ecco, appunto, parlando di qualcosa di concreto: l’operazione di libertà della persona che fa una poesia, quella è una cosa che lui decide di fare liberamente; diciamo che è anche vero che noi, come individui… l’individuo esiste perché è costretto dalla vita. Hai detto tu stesso: ci sono momenti in cui siamo costretti a fare delle cose; sono momenti in cui il nostro karma si manifesta. Dunque noi esistiamo come individui perché siamo obbligati a operazioni come quella che spontaneamente fa il poeta, nel momento in cui la vita ci pone di fronte a momenti di estremo stress, di costrizione, in cui la nostra deliberazione è costitutivamente parte del processo… eh!, quelle sono situazioni che ci costituiscono in quanto individui, per quanto noi ci troviamo ad essere – me che sto parlando con te, in questo processo in fieri di comunicazione – quella è una costrizione, una costrizione e pone anche il nesso fortissimo fra il pensare e la necessità. Pensiero e necessità sono estremamente legati.

A.: Allora, io son sicuro che tante persone qui, dicono…

I. 3: Che non hanno seguito!

A.: No, tutt’altro; dicono: tu adesso affronti cose che noi abbiamo considerato in tante sedute e si vede – dimmi se sbaglio – che una persona che arrivi qui, per la prima volta, vorrebbe risolvere cose che si risolvono soltanto se ci diamo un anno, due anni, ripetute volte, da varie angolature ecc.

Quindi tu, praticamente, invece di prendere il tema che c’era questa mattina, che era il tema delle leggi dello Stato, adesso hai ampliato il campo a tutte le necessità di vita, dove le cose diventano talmente diffuse che non si possono affrontare in una volta.

I. 3: No, era soltanto perché avevo colto questa contraddizione quando avevi detto quelle due frasi. Diciamo: sono vere entrambe le due cose, a seconda o meno che consideri, secondo me, il punto fondamentale: la tua nascita; nascita come individuo in questa vita specifica, in cui stiamo parlando io e te, piuttosto che una situazione che trascende la nascita stessa, perché poi subentrano aspetti appunto karmici e altre questioni: Era soltanto questo.

A.: Naturalmente si può fare un commento a quello che tu dici, ma il campo è così vasto che si tratta soltanto di un avvio di pensiero, che io adesso esprimo. Tenendo conto del fatto che qui ci sono tante persone che sanno che noi le cose le abbiamo affrontate a livelli molto più complessi: non è la prima volta che ci incontriamo!

Allora, prendiamo l’esempio, che secondo me è un esempio forte di quello che tu dici: una persona che è una mamma che ha bambini piccoli. Parlare di libertà in assoluto non è realistico, ci sono delle cose che lei “deve†fare – questa è una concretizzazione della tua argomentazione – lo “deve†solo nella misura in cui non trova il modo, non è capace, di risolverle liberamente. E il modo migliore di volerle liberamente è di dirsi… però qui la discussione diventa molto complessa perché il pensiero non esiste nella cultura occidentale! Se questa persona si dice: ma questo essere mamma l’ho voluto liberamente, io, ancora prima di nascere! In base ai cammini di evoluzione, in base al tipo di fantasia morale della libertà che questo essere mamma genera in me e che mi rende sempre più libera!

Se riesce a fare questi pensieri e se ha questi convincimenti, considera tutto il dovuto tra virgolette, come un voluto liberamente! E resta libera! Oltre al fatto che c’è l’essere mamma che comporta certe azioni che vanno fatte; ma il modo resta comunque libero!

I. 3: O al contrario, perché io mi riferivo invece a una situazione contraria in cui…

A.: È stata costretta a diventare mamma!

I. 3: No, no, è una situazione in cui si cerca il soggetto: io!, io cerco me, il mio soggetto dell’agire, di ciò che è il mio io, tra virgolette, agire. È in questi termini che si pone la mia domanda, no! Perciò è l’opposto, caso mai, della mamma.

Ecco, nel momento in cui cerco il soggetto senz’altro vedo che la struttura di ciò che cerco – sono io che cerco me stessa, diciamo così – è senz’altro determinato da, diciamo, giochi del desiderio nel tempo e coagulazioni dello stesso in atti volitivi che mi portano ad avere poi operato cose, essere entrata in processi di cui io sempre mi ricordo le radici, la genesi; e dunque questa consapevolezza mi porta ad essere un soggetto resistente, sempre più in grado di sopportare proprio perché, diciamo, autentica nella relazione alla mia storia.

Ecco, però senz’altro posso dirmi libera soltanto in un certo senso molto limitato, perché quello che credo, o non credo, o meglio: quello che so, o non so – è la stessa cosa – l’hanno determinata eventi che io posso dire aver voluto solo se mi riferisco a qualcosa che trascende la mia nascita-morte; e però ignoro completamente.

A.: Allora – posso dire anch’io qualcosa? – la chiave è sempre il concetto di libertà, perché la libertà non è un aspetto dell’uomo: è il tutto! E il concetto di libertà ti risolve anche il concetto di agente, di individuo – come l’hai chiamato? Ah!: io come soggetto –. Tu hai presupposto che il soggetto c’è, e questo è un mezzo errore!, perché il soggetto c’è… ma è in fieri! Quindi il soggetto di ieri non ha nessun diritto di determinare il soggetto di oggi, o il soggetto fra un’ora.

Quindi ciò che tu chiami soggetto è un processo aperto! E come questo soggetto, come sostrato, si manifesta liberamente, o non liberamente, in questo momento, lo decido io!

I. 3: Sono costretta a vederlo! Ègià lì! A meno che io non dica: d’accordo, sono io che lo decido per il fatto che son nata!

A.: No, no, non ci siamo…

I. 3: Per il fatto che sono nata sono io che lo decido; ma se no, non riesco a vedere questa cosa; non sono io che lo decido.

A.: No, no, non senti l’altro! Proprio ti rifiuti di sentire l’altro, perché ti smonta!

Ciò che io sono già divenuto non ha il diritto di decidere ciò che io voglio divenire! E ciò che son già divenuto è la metà meno interessante del soggetto, perché non c’è più nulla da cambiare! La metà molto più interessante del soggetto è quella che ancora deve crearsi. Questo voglio dire! Oppure, se io sono anche libero di non considerare questa libertà, di ritenerla una chimera, allora identifico il soggetto col portato del suo passato… per poltrire! Per non continuare a creare questo soggetto!

Se uno chiede a me: chi sei tu? Gli dico: dammi almeno un altro paio di millenni! Per risponderti!

Cioè siamo troppo comodi, siamo troppo statici, siamo troppo conservatori nel nostro modo di pensare! Le autorità, i poteri di questo mondo, sono riusciti a tenerci belli, a bada, che noi proprio non abbiamo neanche la più pallida idea dei mondi che ci sono aperti; ad ogni individuo.

Arranchiamo per osservare le leggi, per non farci acchiappare, per non… ma questa non è una vita, questa è una mezza morte!

Detto paradossalmente: che mi importa chi ero io, come soggetto, un minuto fa? Perché un minuto fa c’erano altri pensieri, poi tu arrivi…

I. 3: Per me invece è molto importante, e io sono in una fase riepilogativa; dunque per me è molto importante.

A.: Me lo spieghi cos’è una fase “riepilogativa� Sei un’ottantenne?

I. 3: Facevo riferimento a una cosa che avevo detto prima, perché se no non riusciamo ad intenderci. Prima avevo parlato del tuo esempio della poesia…

A.: Ho una proposta: di lasciar parlare anche qualcun altro!

I. 3: Certo!

I. 4: Allora, volevo tornare un attimo al discorso della mattina: dello Stato, delle leggi. Lei a un certo punto ha detto questa cosa: che lo Stato vuol controllare quello che noi facciamo, o vogliamo fare, ma alla fine è un’arma spuntata perché questo controllo non può arrivare a molto in realtà. E mi veniva in mente che in realtà il potere dello Stato, i regimi in particolare, hanno affinato una tecnica strepitosa per controllare, non i comportamenti delle persone, ma il pensiero.

Il ministero più importante dei regimi è la propaganda, e oggi c’è la televisione. E qui mi collego ad un’altra cosa che Lei ha detto e cioè: l’umano è umano sempre al 100% e che quindi il pensatoio – per finire la sua frase – il pensatoio è lo stesso; non c’è un pensatoio di più, non c’è un pensatoio di meno, quando c’è l’umano che lo esprime.

Io a volte invece ho questa impressione, cioè che ci sone delle persone talmente assoggettate nel pensiero da questo sistema di controllo del pensiero che ha affinato, nel tempo, il potere dello Stato, che quel pensatoio mi sembra un po’ meno umano rispetto ad altre espressioni di umanità. E questa cosa mi dispiace molto; è un pensiero che si accompagna a un grande, profondo dispiacere, per un’umanità che mi sembra meno umana nella sua espressione di pensiero e quindi; quasi minante proprio alla base, proprio la libertà.

A.: Allora, se ho capito bene, invece se sbaglio dimmelo. Tu dici: – prendiamo il nocciolo del tuo discorso – sì, parlare di libertà è una gran bella cosa, però diventa astratta, diventa teorica la cosa quando noi siamo confrontati con certi livelli di potere che, in questo caso uno pensa al più potente in Italia, che ha una rete televisiva dove il potere ha la capacità di obnubilare la coscienza, il processo di pensiero dell’individuo, di rimbambolirlo, e di sostituirsi al suo processo di pensiero per manipolarlo ecc.

I. 4: Sì, ho un’impressione del genere.

A.: Nessuno è costretto a farsi abbindolare!

I. 4: Questo lo so!

A.: Il lavaggio del cervello funziona soltanto con cervelli vuoti! Perché se sono pieni il lavaggio non funziona!

SERGIO: Dunque, allora io, torniamo al tema della libertà e della legge. Vorrei arrischiarmi in un’operazione un po’ difficile che è quella di confutare alla radice il

tuo ragionamento sulla legge costrittiva e proibitiva, per immettere un terzo elemento che, secondo me, sarebbe quello utile oggi.

A.: Propositivo?

SERGIO: Sì, propositivo, bravo!

A.: Allora non è più una legge!

SERGIO: Allora, siccome tu stesso hai detto, e io condivido pienamente che lo scopo del potere, di qualunque potere, non sia esso una dittatura feroce, una maggioranza bulgara, come si dice, una maggoiranza al 51%, o una minoranza aggressiva – bulgara è una parola in uso, bulgara: sai quelle maggioranze dei paesi al 90% tipo il Kazakistan –.

Allora, qualunque esso sia, questo potere, il suo ruolo, il suo scopo, la sua natura è quella di crearti la controforza affinché tu eserciti la libertà.

Quindi, non è che discutiamo se il potere sia buono o cattivo, il potere fa il suo mestiere. Punto e a capo. Così come Steiner nella triarticolazione… io questo l’ho capito fino in fondo – siccome il rapporto col potere è stato per me un problema abbastanza rilevante – l’ho capito fino in fondo quando, nella triarticolazione, Steiner spiega fino in fondo che il potere… la sfera economica, delle 3 sfere, ha come suo compito quello di distruggere, di creare una distruzione, in un certo senso, dell’ambiente, delle cose.

Come contrasto io questo? Aggredendolo?

No! Ma rinforzando le altre sfere, cioè quella culturale, per esempio in questo caso. Allora qui, come lo contrasto questo potere che fa il suo mestiere?

Se io sto alla tua definizione di legge costrittiva… cioè io rifuto la legge costrittiva e accetto quella proibitiva. Ma tu stesso hai dimostrato bene, e si può dimostrare in 100 esempi, che ogni legge costrittiva posso, manipolandola, più o meno in buona fede, trasformarla in una legge proibitiva. Quindi tutto il milione di leggi che esiste in questo paese, ma, direi in tutta Europa, in tutto il mondo – adesso io non parlo di Berlusconi, perché adesso il potere è mondiale, il potere sta agendo sui soldi, che giustamente tu stesso dicevi: se tu agisci sui soldi, togli il fondamento della libertà – allora, se io sto a questa definizione, sto alle due facce della stessa medaglia e non esco; perché, come dire, qualunque potere può sempre legittimarsi con la legge proibitiva.

Allora io stamattina mi sono svegliato e mi è venuto in mente, dopo essermi addormentato col pensiero di quali argomenti tirar fuori per confutare Pietro Archiati, che non è facile!, mi è venuto in mente il terzo nome; perché i nomi sono importanti, oggi, quando la guerra viene chimata: missione umanitaria; i nomi sono importanti secondo me, le parole…

A.: Le categorie, i concetti.

SERGIO: Si stanno cambiando i significati delle parole. Obama dice: giustizia è fatta, anziché: vendetta è compiuta. Sono due cose esattmente opposte!

Allora, mi è venuto in mente stamattina e l’ho tratto dalla musica, e si chiama “accordoâ€. Perché, anziché legge, perché parlare di una legge costrittiva o proibitiva quando in fondo è la stessa cosa, io legittimo un qualcosa che per sua natura vuole crearmi più difficoltà nella libertà. Se io parlo di “accordo†– uso una tua frase – l’accordo aiuta a non omettere, secondo me, perché l’accordo è positivo; cioè l’accordo è fatto tra due persone, o fra gruppi che si tendono la mano, la proibizione è fatta col dito puntato, no! Quindi l’accordo mi porta, come dire, a fare un passettino in avanti nell’evoluzione, affinché tra 200 anni, o anche di più, io direi anche 500 con i tempi che corrono, lo Stato non abbia più motivo di essere.

Vorrei fare, se mi dài ancora mezzo minuto, un piccolo esempio che mi è venuto…

A.: Chiedi a tutti se te lo danno! Te lo danno? Mezzo minuto tedesco, eh!, non italiano!

SERGIO: Mezzo minuto tedesco: il semaforo rosso; prendiamo l’accordo che chi passa col semaforo rosso prende una multa.

Come si supera il problema di questo accordo?

Con la fantasia morale, con la creatività. Qual’è la creazione nuova del semaforo?

Secondo me c’è già stata, si chiama “rotondaâ€. Chi ha inventato le rotonde ha abolito la necessità di mettere una regola sul semaforo: quando arrivo a una rotonda tutti quelli che arrivano si trovano un cartello davanti che dice: dài la precedenza!

A.: Quindi la regola c’è!

SERGIO: Però tutti! Per tutti!

PUBBLICO: È la stessa cosa, che differenza c’è! (molte voci, molto chiasso)

A.: Guarda che la platea ti sta dicendo: abbozza!

SERGIO: Va bene! Secondo me è un incentivo ad usare la fantasia morale in senso creativo e rendere rapidamente indisponibile lo Stato.

A.: Io faccio un piccolo commento, come avvio di pensiero; e parto dalla cosiddetta triarticolazione sociale, di cui tu (SERGIO) hai parlato – che sarà poi il tema del prossimo convegno a Roma –: una bella pensata geniale di Rudolf Steiner!

E il concetto di questa triarticolazione è che nel sociale noi abbiamo tre campi con leggi di funzionamento profondamente diverse.

Allora: c’è la vita culturale – trovate altre terminologie, se volete, importante è capirci – poi c’è la vita giuridica e infine la vita economica.

PUBBLICO: Manca la vita sociale.

A.: Sono tutte e tre sociali, scusate! È la triarticolazione del sociale! La vita culturale in quanto fenomeno sociale, la vita giuridica in quanto fenomeno sociale, giuridica statale, le leggi… e la vita economica sociale.

(inizia uno sche ma alla lavagna)

Ora il fenomeno primigenio della vita culturale è la ricerca della verità: i pensieri, e il principio di funzionamento dei pensieri è la libertà. Ognuno è libero di avere i pensieri che ha; altri non ne ha! Di farsi pensieri suoi, di esprimere i suoi pensieri, scambiarsi i pensieri, dibattere sui pensieri. È quello che qui facciamo!

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Quello che noi facciamo qui non ha nulla a che fare con la vita giuridica, nulla a che fare con la vita economica, direttamente! Indirettamente sì, certo!, devo pur mangiare per non crollare qui in sala!

I pensieri: ricerca della verità.

La vita giuridica non ha nulla a che fare con questo; la vita giuridica ha a che fare con leggi. Le leggi hanno a che fare con le azioni, non con i pensieri. Quali azioni decidiamo che sono permesse e quali azioni decidiamo che vanno proibite.

Qui (vita culturale) c’è la libertà, non c’è bisogno di un papa che gestisce il cammino dei pensieri umani; però qui (vita giuridica) ci vuole la polizia, che acciuffa chi fa cose proibite, che ammazza un altro, per esempio; perché a chi fa cose proibite, siccome lede la libertà sua e quella degli altri, bisogna ridurre la sua possibilità di ripetere questa lesione della libertà.

Nella vita economica non si tratta, né di pensieri, né di azioni, ma si tratta di merci.

Ha a che fare soltanto con merci, o, se volete, con prestazioni. Ma anche una prestazione è una merce. Io vi faccio una conferenza, ma nella vita economica è una merce; voi la apprezzate in termini di denaro. Poi voi, siccome vi do questa libertà volentieri, che non ne approfittate più di tanto, però per voi è una merce. È una merce che mi vale tanto, mi vale poco ecc., ecc. È una merce! Anche l’educazione di un bambino, Steiner dice: per i genitori è una merce. È una merce buona se è una educazione buona; è una merce cattiva se l’educazione è cattiva.

Ora riguardo alle merci, le leggi non c’entrano nulla e i pensieri non c’entrano nulla. Ci sono i contratti. Il fenomeno fondamentale della sfera economica è il contratto!

Un contratto tra ditta e ditta. Se tu contravvieni ad un contratto che hai firmato, qual’è il modo… perché se tu mi abbindoli, se tu mi ricatti mandando a ramengo un contratto, io devo avere la possibilità di difendermi contro di te.

Il contratto fondamentale è tra produttore e consumatore. Se mi produci una merce così e così, ti do tanto.

I contratti in economia non hanno niente a che fare con una legge. Il contratto è sempre individualizzato, la legge deve essere universale. Una legge che vale soltanto per un caso non è une legge! Quindi l’essenza della legge è di avere un valore universale, vale ugualmente per tutti; e il contratto deve essere di volta in volta individualizzato; perché se il produttore dice: guarda, finora io ho potuto produrti le merci… che poi nelle associazioni si tratta sempre di tovare il prezzo giusto, e il prezzo giusto è quello che va meglio per il produttore e per il consumatore; tenendo conto anche del commerciante, quello che fa da tramite tra il produttore e il consumatore.

Allora il contratto andrebbe fatto sempre tra il produttore, perché lui deve dire a quali condizioni può produrre, e il consumatore.

Quindi, praticamente, nell’associazione tra produttori, consumatori e commercianti, ci si accorda, fanno un contratto su come il prodotto deve essere prodotto, quanto paga il consumatore, ecc.

Il contratto è individuale ed è sempre passibile di revisione. Una legge non è passibile di revisione, deve avere una validità di almeno qualche anno, se no che legge è!, deve essere valida per tutti!

Il contratto no. Se hanno fatto un contratto che il produttore fa la merce in un dato modo, il consumatore paga tanto; dopo un mese le condizioni di produzione sono del tutto cambiate, devono rincontrarsi e il produttore dice: guarda, sono cambiate tante cose, oppure: il costo della carta, per fattori imprevedibili, è aumentato 3 volte, non posso più produrti libri; allora devono rifare il contratto con costi diversi, ecc., ecc., ecc.

Quindi nella vita economica c’è un movimento continuo. Nella vita giuridica ci dev’essere più stabilità possibile, se no non c’è un fondamento su cui fare affidamento, e nella vita culturale c’è libertà, piena espressione di pensiero.

Tu sei di questa opinione, tu sei di questo parere – in italiano c’è anche la bella parola “parere†– a me pare così, a te pare così. Parere e controparere. Parere mio e opinione mia, parere tuo e opinione tua.

All’inizio sei partita (INTERV. 3) dicendo: io vedo una contraddizione in queste due affermazioni che tu hai fatto. Un tuo parere, una tua opinione.

Quindi: la vita giuridica, le leggi… tu (SERGIO) sei partito dalle leggi dello Stato, all’inizio; tutta la sfera dello Stato, della politica, ha a che fare con le azioni umane; e le leggi sono fatte per sancire… Quali azioni sono permesse in uno Stato, in una legislazione intelligente?

Tutte quelle che non sono proibite!

Quindi va stabilito che, siccome sono molte di meno quelle che sono proibite, tutte le altre sono permesse! Quindi il compito della legge è di stabilire, in un modo sempre più chiaro, in una società che diventa sempre più complessa, quali azioni sono proibite. Ce n’è d’avanzo!

I. 5: Ma attualmente la triarticolazione è inapplicabile, allo stato dei fatti, poiché lo Stato fa dei contratti con l’economia.

A.: Allora, Steiner ti dice: uno dei primi passi è di seperare la vita giuridica dalla vita economica, di renderli autonomi l’una dall’altra; e per arrivare a questa separazione, sempre più genuina, qualè la prima cosa da fare?

Il processo di coscientizzazione! Perché se non ci arrivano le teste, non ci arriveranno mai le gambe!

I. 5: Se non si acquista la libertà non ci sarà nemmeno la coscienza di fare questa legge.

A.: Il pensiero è sempre libero, va solo esercitato. Coscientizzazione è un pensiero che tutti potenzialmente abbiamo, che però possiamo non esercitare, perché siamo indaffarati con tante altre cose. Oppure potremmo occuparci del pensiero e portare sempre più avanti il nostro pensiero.

Questo è quello che cerchiamo di fare qui! Allora, portando avanti il nostro pensiero, facendoci pensieri sempre più oggettivi sulla realtà del sociale, saranno milioni a pensarla come dici tu, che una delle sorgenti del caos sociale e anche dei dolori che ci sono, è la mistura tra la vita giuridica e la vita economica.

E la mistura tra la vita giuridica e quella culturale? Dove la vedi? C’è?

I. 5: La vita culturale dovrebbe essere la base di partenza per la vita giuridica ed economica.

A.: No, no! La scuola di Stato!

I. 5: Apposta dico, non ci dovrebbe essere la scuola di Stato; come partenza ci dovrebbe essere la vita culturale libera!

A.: Eh, eh, tu hai parlato soltanto della mistura fra 2 e 3. E io ti ho detto: cerca la mistura fra 1 e 2.

I. 5: Però se partiamo dalla vita culturale libera, avremo anche una vita giuridica autonoma e una vita economica autonoma, perché abbiamo acquisito quella libertà di pensiero che ci porta a considerare le tre sfere ognuna indipendente dall’altra.

A.: E l’inizio sta nella presa di coscienza.

I. 6: Non ti confuto niente Pietro!

A.: Vuoi andare sul sicuro?

I. 6: Sì, sì, assolutamente! Allora io voglio sapere: il pensare di cui parliamo in questo seminario come si concilia, perché ho letto altri libri di Steiner, con il sentire e il volere? Proprio ultimamente ho letto in un libro che la sfera del pensare è l’unica sfera che è al di sopra di tutte le parti.

Allora volevo sapere come il pensare si concilia con il sentire e il volere; sono tre sfere differenti, no! E ho letto proprio ultimamente che la sfera proprio del capo è quella che sta al di sopra di tutto, al di sopra di quello che è un mondo.

A.: In che senso “al di sopraâ€; perché sta più in alto il capo?

I. 6: No, perché è quella più legata alla parte dello spirito. Però ho letto anche che il tutto viene… come posso dire, ci sono delle influenze, sempre a livello di entità spirituali, che influiscono anche sulla sfera del pensare.

Cioè, noi parliamo di pensiero, di pensare sul pensare, di creare il pensiero; però ho anche letto che comunque nel pensare ci può essere l’influenza di un’entità che è al di fuori di quella divina, perché sono delle entità che si immettono proprio per fuorviarci da quello che è il nostro percorso.

Non so se sono riuscita a spiegarmi, perché è molto complesso, non riesco a sintetizzarlo.

A.: Prima di tutto parli di pensiero, sentimento e volontà… qual’è il compito del pensiero. L’affermazione è che nel bambino c’è il sentimento e c’è l’agire; il senso di diventare adulto è di capire, coi pensierei, di orientarsi, di distinguere, tra ciò che favorisce l’umano e ciò che non lo favorisce, tra ciò che mi permette più libertà, tra ciò che vorebbe restringere la mia libertà.

Detto per scorciatoia: capire le cose – che parte dalla testa – capire sempre più a fondo, è la cosa che dà più gioia; ecco il cuore!

Quindi il cuore senza la testa è un mezzo cuore, anzi un quarto.

I. 6: Comunque il pensare è legato al sentire; non è un freddo pensare! ARCHIATI: No, non è legato, si trasfonde, crea gioia; ma crea gioia molto più profonda, molto più intensa che non dove io le cose non le capisco. E creando questa gioia di capire le cose, di sapere cosa voglio fare e cosa voglio evitare, trovo un orientamento anche per la volontà e per le azioni.

Quindi la testa è il presupposto per avere il 100% del cuore e il 100% della volontà. Senza la testa ho un cuore da bambino e una volontà senza orientamento forte, perché l’orientamento forte viene dalla convinzione. Uno che agisce senza convinzione quando arriva il primo vento contro, viene buttato giù.

Una forte convinzione… dov’è l’origine? Nella testa!â€

Una convinzione è un fattore di pensiero. Però la parola convinzione, convincere, vincono insieme il pensare, il sentire e il volere.

Convincere: la parola stessa te lo dice!

Però l’inizio, il punto di partenza di una convinzione è la testa; devo capire ciò di cui sono convinto, se no non capisco, non c’è una convinzione.

Allora se uno straniero chiedesse a un italiano: cos’è una “convinzioneâ€, si troverebbe in difficoltà perché è un fenomeno così complessivo che abbraccia tutto l’umano, parte dalla testa, ma riempie il cuore e infonde forze di volontà negli arti, per agire.

E in fondo, uno dei fenomeni di impoverimento dell’uomo d’oggi, anche nel sociale, è che noi abbiamo sempre meno esseri umani con convinzioni, con veri valori!

Dovuto al relativismo, che è un lavaggio delcervello.

SANTO: Io volevo chiederti, abbiamo parlato prima delle leggi dello Stato, ci sono quelle che fanno divieti, e siamo al 99%, e poi il secondo tipo che costringe e che è questa piccolissima parte.

A.: Ma guarda che però, scusa, andrebbe aggiunto che questa parte della costrizione c’è soltanto in sistemi totalitari, perché in sistemi più o meno democratici, anche minimamente democratici, sorge subito, siccome l’essere umano si ribella di fronte ad ogni minima costrizione, anche dell’1%, sorge subito la possibilità di esere obbiettore di coscienza.

Quindi la necessità di creare un’alternativa al servizio militare, per esempio; perché è insito nel servizio militare che tu devi compiere certe azioni che l’individuo, molti individui ritengono moralmente non giuste.

Quindi questo 1% non è che c’è in ogni assetto sociale; nel nostro assetto sociale non c’è neanche questo 1%. Tu dimmi una cosa, una sola azione, che lo Stato, per legge ti impone di fare, e che ha la possibilità di acciuffarti; dimmene una!

Non c’è! E questa è una gran bella cosa, scusate!

PUBBLICO: Le vaccinazioni obbligatorie. Costringere a vaccinarti!

A.: Costringere a vaccinarti… è una cosa improponibile nelle nostre cosiddette democrazie, proprio perché, per natura, è lesiva della libertà.

SANTO: Volevo farti una domanda: abbiamo costrizioni che ci arrivano da fuori, no! Le leggi possono essere costrizioni o divieti; ecco, ora noi abbiamo qualcosa che ci viene da dentro, abbiamo un corpo fisico e poi tutti gli altri, il vitale ecc.; e da questi ci provengono divieti, per esempio col corpo non posso volare come vola l’uccello – e tante altre cose –. Allora io chiedevo questo – ma in un certo senso mi hai già risposto perché in fondo non esistono – se esiste, nell’ambito di quello che è il corpo fisico, il vitale ecc., un fattore di costrizione come può essere nel caso di cui abbiamo parlato del nazismo, prima.

A.: Non esiste! Tutto ciò che è di natura è necessario, ma non costrittivo. Ciò che è necessario, se io lo accolgo come necessario, lo benedico, non è costrittivo perché è necessario.

SANTO: In un certo senso confermerebbe il fatto che, tutto sommato anche quello che mi viene da fuori non può essere costrittivo.

A.: Perché non viene da fuori, viene dall’umano, e tutto ciò che è umano mi appartiene; basta che io faccia un processo di coscienza che lo interiorizza, allora è dentro!

SANTO: Sì, perché poi alla fine è sempre dentro! È fuori, però se io lo interiorizzo, se lo faccio mio, è dentro.

A.: Perciò in senso ideale, che non è proibito attualizzare questo senso ideale, in senso ideale quelli che parlamentano sono i nostri rappresentanti, in senso ideale! E si può costruire un sociale in modo tale che io so: questa minoranza, o questa maggioranza rappresenta più o meno quello che è il mio pensiero. Altrimenti se non rappresentassero, bene o male, la popolazione, non avrebbero il diritto di parlamentare a nome nostro.

SANTO: Ognuno ha il governo che si merita.

A.: Che gli appartiene! Per cui, si discute su qualcosa, no! Adesso nel parlamento ci sono, più o meno, 3/4 opinioni fondamentali su una questione, dei vari partiti. Beh, mi devo vedere nell’una o nell’altra, mica sono il papa, o il Padreterno che si mette fuori; perché, oltre a questi 4 o 5, in Italia ci sono molti più partiti. Molti partiti ha certi vantaggi e certi svantaggi. Ha certi vantaggi di una possibilità di esprimere pensieri, pareri, a un livello molto più articolato, che è una bella cosa; però d’altra parte la vita giuridica comincia ad andare a ramengo perché vuol godersi la vita culturale dentro la vita politica. Se invece si attiene alla legislazione, ha certi vantaggi ad averne non troppi, se no non si mettono mai d’accordo.

E quando ci sono: opinione e contro opinione, tesi e contro tesi, e una sintesi; quando c’è una triade di opinioni fondamentali, basta! Io mi riconosco, bene o male, nell’1, o nel 2, o nel 3.

Per cui, così come un cosiddetto parlamento a partito unico annulla la vita giuridica perché non c’è un vero parlamentare, non c’è una vera legislazione a maggioranza, così si annulla l’elemento giuridico quando i partiti sono troppi e vanno in direzione di tanti individui, ognuno col pensiero suo; ma quella è vita culturale, non è vita giuridica.

Quindi la vita giuridica, il sano della vita giuridica è una via di mezzo tra troppi partiti e troppo pochi partiti.

Qual’è il limite in Italia perché un partito vada in parlamento?

PUBBLICO: Il 4%

A.: 4%! In Germania è il 5%. Però quello che tu (SANTO) dicevi è la cosa più importante: la capacità maggiore o minore, dell’individuo, di interiorizzare le cose; e lo strumento in assoluto di interiorizzazione è il pensiero; perché una cosa che io capisco è mia! Più interiore di questo non esiste!

L’intuizione pensante è il processo di interiorizzazione massimo che ci sia; diventa un frammento del mio spirito, perché lo capisco.

In campo dell’agire, se io agisco secondo questo pensiero o no; questo è tutt’altro campo. Nella vita culturale si tratta di capire.

Quando uno dice: ti capisco, va tutto bene! Io non ho bisogno di essere d’accordo con l’altro per capirlo, però lo capisco, e rispetto la sua convinzione, la sua opinione quanto la mia; siamo uomini.

La legge della vita culturale è la libertà, abbiamo detto. Qual’è la legge fondamentale della vita giuridica?

L’uguaglianza! Tutti uguali.

Dare uguale peso a tutte le persone significa attenersi alla maggioranza; dare uguale peso e attenersi alla maggioranza è la stessa cosa; perché se io do più peso a una minoranza, hanno più peso questi individui che non gli altri, e questo lede direttamente l’uguaglianza.

E qui, nella vita economica?

La struttura interiore della vita culturale è la libertà, la struttura interiore della vita giuridica è l’uguaglianza… resta la solidarietà. La solidarietà è qui, nella vita economica. E va argomentato, si deve argomentare in base all’aiuto reciproco. Il produttore produce per il consumatore e il consumatore, attraverso il suo consumo si rende in grado di produrre secondo il suo talento.

Quindi qui c’è l’aiuto reciproco, la fratellanza.

Fratellanza, uguaglianza e libertà.

Il modo di funzionare della libertà è tutto diverso dal modo di funzionare dell’uguaglianza, tutto diverso dal modo di funzionare della fraternità.

Buon appetito a tutti!

Venerdì 30 settembre 2011, pomeriggio

A.: Buon pomeriggio a tutti. Mio compito, per la seduta del pomeriggio è di proibire ai presenti di continuare la siesta; quindi di rendere la cosa vivace in modo che, chi avesse il pio desiderio di continuare a fare la siesta, non ci riesca nel modo più assoluto!

Siamo agli ultimi del IX° capitolo. Abbiamo risolto tutti i problemi delle leggi dello Stato questa mattina; in fondo si potrebbe dire che rendere importante lo Stato significa, tra le altre cose, rendere troppo poco importante la realtà locale, il karma nel quale si vive quotidianamente, perché in fondo per l’essere umano che vive più che può, godendo sempre più la creatività, diciamo nei rapporti, nel godersi anche la conoscenza ecc., che gli interessa lo Stato? Non lo riguarda proprio!

Il pensiero che volevo esprimere è questo: se un individuo, nella sua vita concreta… la sua vita concreta non si esprime, non si esercita a Montecitorio, o in parlamento. Se l’individuo nella sua vita concreta promana gioia, positività, creatività, si gode la vita… che cosa gli interessa dello Stato! Lo Stato non lo riguarda proprio. Vuole dallo Stato essere lasciato in pace!

Sì, ma lo Stato pretende da me che paghi le tasse!

Ma nessuno ha mai pagato più tasse di quello che poteva.

In altre parole io sto ponendo la domanda: come mai le leggi, lo Stato, diventa così importante?

Perché l’individuo diventa corrispondentemente meno importante; l’individuo con il suo vissuto concreto, nel suo quotidiano.

Il senso dello Stato, delle leggi dello Stato, è di creare una cornice – così come le leggi del traffico stradale – perché si possa agire. E se uno rispetta queste leggi – che poi sono fatte con saggezza: vanno bene, tutto sommato – non è che ci si concentra sul traffico: il muoversi è uno strumento per andare a fare quello che si ha da fare.

Un problema è attualmente anche che, con i mezzi di comunicazione che abbiamo – radio, televisione ecc. – un capo di governo che ha una sua rete televisiva, come è il caso in Italia, ha la possibilità di focalizzare l’attenzione su di lui, su questa realtà centralizzata, che però, facendo in questo modo, il suo peso morale, se volete, viene esagerato in un modo che non corrisponde al peso che ha realmente nella vita.

Le leggi dello Stato, se vanno bene – e in campo di democrazia più o meno vanno bene – sono come uno strumento musicale: non ci si concentra sullo strumento, si vive la musica!

Quindi le leggi dello Stato sono una cornice nella quale ci muoviamo; ma non si tratta della cornice, si tratta di quello che, in questa cornice, ogni individuo ci immette con pienezza sua, come godimento, come realizzazione dell’umano in chiave del tutto individualizzata. E allora tutto va bene.

Tutto va bene quando io creo la pienezza mia; e se non la creo la colpa è della mia scontentezza, non è lo Stato! Lo Stato non mi può fare né contento, né scontento. È una cornice, le leggi sono una cornice, sono accordi.

E, dicevo, in fondo se uno riformula tante leggi che sembrano comandare, che sembrano ingiungere qualcosa, se le riformula in chiave di ciò che è proibito fare… sono proibite le cose che una persona libera non fa, non vuole!

Se io chiedessi qui in sala: dimmi una cosa che è veramente proibita e che tu vorresti assolutamente fare, perché senti lesa la tua libertà se non la fai; io sono convinto che non ne trovate una!

Ripeto la domanda: c’è una cosa che la legge – la legge reale, in Italia – mi proibisce, quindi la giustificazione di questa legge dovrebbe essere che se uno compie questa azione lede la libeertà sua ed altrui… quindi la mia domanda è: conosci tu una proibizione, un’azione, qualcosa che ti viene proibito di fare e che tu vorresti assolutamente fare e ti senti sminuito nella tua libertà perché ti è proibito di farla?

Pensateci un po’: io sono convinto: non trovate nulla!

A quel punto io dico: e che vuoi di più! Puoi fare quello che vuoi; perché quello che è proibito, ti rendi conto che non è una cosa che vorresti assolutamente fare perché altrimenti non ti senti libero, non ti senti realizzato.

A quel punto lì sparisce l’importanza dello Stato, delle leggi.

Allora uno dice: ah, è soltanto una cornice! E adesso la cosa importante è che io mi muova con movimenti miei, con pienezza mia, con ricerche di cammino con passi miei. Io devo sapere in che modo si esprime il mio essere, in che modo crea mondi, a tutti i livelli, ogni giorno.

E quando si presenta il caso estremo, che, dicevo, è veramente estremo, di eccezione, uno si fa sentire!

E se sono milioni le persone libere, che sono sempre più libere, si presentano in milioni e il potente che vorrebbe schiacciare gli esseri umani è costretto a ritirarsi, a rifarsi i conti.

Lo vediamo adesso nei paesi arabi: società dove noi, anche la Francia, anche l’America, non avrebbe mai pensato che avessero la capacità, che la popolazione avesse una forza di apprezzamento della libertà tale da farsi sentire in un modo così forte… E la spuntano, la spuntano! Una gran bella cosa! Non senza pagare qualcosa.

(IX, 47) Non si deve coniare la formula che l’uomo esiste per fondare, separato da lui stesso, un ordinamento morale del mondo. Chi pensasse questo starebbe, riguardo alla scienza dell’uomo, allo stesso punto che stava quella scienza naturale che diceva: «Il toro ha le corna per poter dare cornate». Fortunatamente i naturalisti hanno buttato via simili concetti finalistici. L’etica riesce più difficilmente a liberarsene; ma come non ci sono le corna allo scopo di poter dare cornate, ma ci sono le cornate tramite le corna, così non c’è l’uomo allo scopo di fare della moralità, ma c’è la moralità tramite l’uomo. L’uomo libero agisce moralmente perché ha un’idea morale; ma non agisce con lo scopo di far sorgere, col suo agire, una moralità.

Ho sempre detto: l’uomo non deve nulla, non c’è qualcosa che “deveâ€; c’è un volere libero, primigenio, originario, del suo essere che è quello di restare sempre in evoluzione, che è quello di conquistarsi una pienezza sempre maggiore; ma questo non è qualcosa che l’essere umano “deveâ€, non glielo impone nessuno, non è obbligato a farlo, può anche ometterlo; e se lo omette va contro il suo intimissimo libero volere; quello del suo io superiore, quello del suo vero essere, che vuole, con passione, con ardore, camminare sempre e continuamente, e creare, creare, creare, a tutti i livelli della vita.

Gli individui umani, con le loro idee morali appartenenti al loro essere, sono il presupposto dell’ordinamento morale del mondo.

In altre parole, l’unico bene morale che c’è è la libertà, o meglio ancora: la libertà è la moralità; non ce n’è un’altra di moralità.

Vivere liberamente significa vivere moralmente; in modo moralmente buono.

Il morale è la libertà e l’immorale è l’omissoine della libertà, e la distruzione della libertà.

E la domanda che c’è a fondo, chiede: conosci tu qualcosa di ancora più morale, ancora più moralmente buono per l’uomo che la libertà?

Non c’è!

Non c’è qualcosa di ancora più moralmente buono, maggiormente realizzante il suo essere, perché il morale è la realizzazione dell’essere; l’essere umano si realizza in libertà, quindi la somma della moralità è la libertà e la somma della non-moralità, o dell’immoralità è la non-libertà.

Quindi immorale è solo la non libertà, e morale è solo la libertà.

Quindi ogni cosa di cui noi vorremmo dire se è bene o se è male, possiamo sapere se una cosa è moralmente bene o male, soltanto in riferimento alla libertà.

Se è qualcosa che favorisce, che esprime, che incrementa la libertà, è moralmente bene; se è qualcosa che diminuisce, che preclude, o mette a repentaglio la libertà, è moralmente non buono.

E ripeto la domanda: conosci tu un bene morale maggiore, che è ancora più bene per l’uomo, che la libertà? Quale sarebbe?

Non esiste! Proprio non esiste; non lo si può trovare perché non esiste.

E questo è molto importante perché ci dà una chiave di interpretazione di ciò che è morale, così semplice, ma così pulita, che ci aiuta a liberarci da un sacco di moralismi che ricattano l’essere umano: tu sei buono, moralmente buono, soltanto se fai questo, se fai quest’altro, se obbedisci, se ti sottometti, se sei bravo, se obbedisci alla Chiesa, se obbedisci allo Stato, se fai quello che vuole il capo ecc., ecc., ecc.

Allora, in altre parole, per essere moralmente buono devo ammazzarmi?

Ammazzarmi è la somma dell’immoralismo, perché l’unica cosa di moralmente buono è di vivere in pienezza, e l’unico modo di vivere in pienezza è di essere liberi, liberamente creatori.

(IX, 48) L’individuo umano è sorgente di tutta la moralità e centro di tutta la vita terrestre. {Ci può essere qualcosa sulla terra più importante dell’uomo?}

Qualcuno viene e dice: però Dio è più importante dell’uomo!

Ma cos’è Dio?

Aria fritta! Nient’altro!

È un fantasma messo là fuori per ricattare l’essere umano. Un fantasma inventato e messo là fuori – dal potere religioso, per esempio – per ricattare l’uomo.

Tutto ciò che non è passibile di essere recepito nel mio pensare, nel pensare umano, non ha diritto di esistere, perché non è nulla. Al di fuori del pensare umano, anzi del pensare, al di fuori del pensare c’è: nulla!

Soltanto ciò che è pensabile è una realtà, ed è una realtà perché è pensabile.

Quindi l’origine del reale è sempre il pensare; e se il cosiddetto Dio vuol essere una realtà deve rendersi pensabile, diventa una realtà soltanto dentro il pensare; ma allora ci son dentro io, e sono una cosa sola. E perciò diciamo che l’essere umano è uno spirito liberamente creatore: la stessa definizione di ciò che chiamiamo Dio!

Allora – non spaventatevi, eh! – Che differenza c’è tra io e Dio?

Soltanto un “Dâ€; basta togliere un “D†e non c’è nessuna differenza, non c’è nessuna differenza!

Nel vangelo di Giovanni, il Logos, il pensatore universale, dice: voi siete dei!

Quante volte vi ho ricordato questa frase: teoi estè. Un’espressione così lapidaria! Voi siete dei: in questa espressione culmina tutta la diatriba con gli scribi e i farisei di allora. Certo che la religione tradizionale, anche la Chiesa, fa fatica a recepire, a prendere sul serio un’affermazione del genere, così lapidaria; perché allora la cosiddetta Chiesa, al massimo, ha un compito di propedeutica, un compito di maestro, di pedagogo; e il senso di un pedagogo è che si renda non più necessario il più presto possibile, e che poi sparisca! Perché un maestro che si renda necessario per tutta la vita è una catastrofe per tutta la vita! È nella natura di un pedagogo che il suo compito è transeunte, è passeggero; si esaurisce nell’arco di tempo di quando poi lo scolaro acquisisce una sua autonomia interiore.

(IX, 48) L’individuo umano è sorgente di tutta la moralità e centro di tutta la vita terrestre. {Il tedesco dice: è sorgente di ogni moralità.}

È lo stesso dire: di “ogni†moraliltà e dire: di “tutta†la moralità?

PAOLO: In “ogni†c’è anche la moralità che non è ancora attuata, “ogni†è quella che manca e “tutta†è quella che c’è già stata.

A.: Quindi tradurre “tutta la moralità†è portare via un bel pezzo all’affermazione di Steiner; perché “tutta la moralità†è come se io già sapessi in che cosa consiste tutta la moralità! E giustamente il senso del linguaggio ti dice: ma tutta la moralità è quella che già c’è! Invece “ogni moralità†è quella eventuale, possibile, che si può anche omettere, e se si omette non c’è!

Dunque: ogni tipo di moralità, ogni moralità.

E in tedesco c’è: ogni moralità, non: tutta la moralità.

Quindi non esiste moralità al di fuori della libertà umana; traducendo: tutta la moralità – l’articolo determinativo “la†– “la†moralità è ben determinata!

E qual’è? Quale moralità?

Non abbiamo ancora neanche cominciato a generare moralità! La moralità, il morale, sta appena cominciando ad esistere, perché la libertà sta appena cominciando ad esistere. Gli esseri umani stanno appena cominciando ad essere morali; e finora erano, o bambini, o immorali, perché son vissuti di paura della libertà. La paura della libertà è immoralismo, perché mortifica l’uomo nella sua essenza; è male morale.

(IX, 48) L’individuo umano è sorgente di ogni moralità e centro di tutta la vita terrestre. {Della vita terrestre, non di tutta la vita terrestre. Che c’entra “di tuttaâ€!}

Lo stato, la società esistono solo perché risultano conseguenze necessarie della vita individuale. Che poi lo stato e la società reagiscano influiscano di riflesso a loro volta sulla vita individuale, è altrettanto comprensibile scontato come il fatto che il cozzare per mezzo delle corna del toro, che si atrofizzerebbero per un lungo disuso. Altrettanto dovrebbe atrofizzarsi l’individuo se egli conducesse un’esistenza isolata, fuori della comunità umana. Proprio per questo si forma l’ordinamento sociale: per reagire, di ritorno, sull’individuo in senso favorevole.

Qui vuol dire che la libertà, lo spessore della libertà, il peso morale della libertà, la bontà della libertà, è tutta nell’individuo.

Non esiste una società libera, non esiste uno stato libero, non esiste una chiesa libera, un gruppo di persone libero: la libertà è un fenomeno dell’individuo.

Quindi morale può essere soltanto l’individuo; immorale può essere soltanto l’individuo. E siccome per questa moralità dell’individuo, l’individuo non vive da solo, ma vive in società; allora questa società sorge, proprio perché appartiene all’individuo, che non può vivere in libertà senza società, senza stato, senza leggi, ecc., come condizione necessaria.

Quindi per l’individuo c’è: tutto ciò che è attorno a lui è condizione necessaria per la libertà, e lui, lui è il fattore morale; lui, nella misura in cui vive liberamente da creatore, incorpora la moralità.

Quindi morale è l’evoluzione dell’individuo, e immorale è la mancata evoluzione dell’individuo. Tutto il resto è soltanto cornice, soltanto conditio sine qua non, soltanto sostrato, fondamento, che rende possibile il fenomeno morale.

In altre parole, il fenomeno umano si esprime nell’individuo, non nel gruppo. Il gruppo ha un senso soltanto se, in quanto gruppo, favorisce l’evoluzione di ogni individuo. Ma la realtà dell’evoluzione, la realtà del creare, la realtà della libertà è nell’individuo, non può essere mai in un gruppo. Come farebbe un gruppo ad essere libero?! La libertà è una somma di pensieri, di sentimenti, di atti volitivi che si possono creare, gestire, soltanto dentro l’individuo. Un gruppo di persone non può mai avere un solo pensiero.

I. 1: Ma è in funzione del gruppo. Lui (Steiner) dice che se l’individuo si separa dal gruppo si atrofizza; per cui, in realtà anche la mia libertà è in funzione anche al gruppo.

Lui dice che l’individuo separato dalla comunità si atrofizza, quindi la mia libertà in realtà è indotta dalla convivenza con gli altri ed è anche, in qualche maniera, funzionale agli altri.

A.: Allora, è come quando nella prima parte della Filosofia della Libertà

abbiamo distinto tra percezione e creazione di concetto.

(Fa uno schema alla lavagna)

Allora qui: la prima parte della Filosofia della Libertà: percezione e concetto; adesso nella seconda parte la società e la libertà dell’individuo.

Allora tu giustamente dici: così come non c’è creazione di concetto senza percezione, così non c’è libertà dell’individuo senza contesto sociale.

In fondo è questo il pensiero fondamentale.

Allora, a questo punto questa realtà che è così ovvia, no!, perché non esiste un individuo senza un contesto sociale; perché l’individuo, l’indivduo umano è un essere politico, come già diceva Aristotele; senza società non esiste l’individuo, perché l’individuo è fatto di interazioni con altri individui.

A questo punto è importante capire che il pensiero, il pensare, può prendere una sgarrata enorme e pensare che, siccome la creazione di concetto non può avvenire senza percezione, allora la percezione è la causa della creazione di concetto!

No! È la conditio sine qua non!

Non posso creare un concetto senza la percezione, però è possibile che ci sia la percezione senza che io crei il concetto, perché la causa della creazione del concetto non è la percezione, ma il mio pensare.

È vero che non c’è la libertà dell’individuo senza la società, ma la società non è la causa, ma la conditio sine qua non. Ora la conditio sine qua non ci vuole, ci deve essere, perché è una conditio sine qua non; però è possibile che, siccome non è la causa della libertà dell’individuuo, tant’è vero che la società c’è e tanti individui sono non liberi; questo ci fa capire che la società non è la causa, ma è la conditio sine qua non.

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Quindi la distinzione tra il concetto di causa e il concetto di condizione necessaria, è per il pensare una distinzione sempre vitale; altrimenti si cade sempre nell’errore, errore che le scienze naturali fanno ad ogni piè sospinto, di scambiare una condizione necessaria come se fosse la causa. Una condizione necessaria non causa nulla, è soltanto una condizione necessaria.

Quindi tutte le percezioni di questo mondo non causano neanche un concetto, però sono necessarie come condizioni necessarie per creare concetti.

La socialità che c’è per tutti, non è in grado di causare nessun frammento di libertà dell’individuo; però nessun individuo può vivere la sua libertà senza il contesto della socialità; ma è la condizione necessaria, non la causa.

I. 1: Un’altra cosa: il concetto serve per avere una percezione più approfondita, più precisa?

A.: No, no, no! Posto di fronte alla percezione il pensare crea il concetto. La percezione è il presupposto, la condizione necessaria. Tra l’altro non l’unica!

C’è un’altra condizione necessaria?

Il corpo per esempio! Il corpo!

Il corpo è un’altra condizione necessaria! Metto qui la socialità e la corporeità: sono due condizioni necessarie. Non c’è libertà senza corporeità, senza essere incarnati. Quando siamo escarnati non possiamo vivere la liberrtà come la viviamo nel mondo incarnato. Però tutta la corporeità di questo mondo non è mai in grado di causare la libertà, perché è una condizione necessaria, una conditio sine qua non.

Per andare in macchina, ci siamo detti, la benzina è una condizione necessaria! Un’altra? La macchina! Un’altra?

(Varie risposte del pubblico)

A.: Necessaria significa perentoria!

PAOLO: La volontà di andare!

A.: No, quella è la causa! …L’autista! La macchina non può andare da sola, quindi l’autista ci vuole; però tutti gli autisti di questo mondo, se non prendono la decisione di guidare la macchina, di farla mettere in moto, la macchina non si mette in moto.

Quindi la causa, la vera causa – ci siamo detti nella prima parte della Filosofia della Libertà, il concetto di causa, già da Aristotele – è che una causa di necessità sortisce l’effetto, altrimenti non è la causa! E la benzina non sortisce di necessità l’effetto che la macchina si muova; l’autista non sortisce di necessità che la macchina si muova. Invece la decisione della volontà di guidare la macchina, quella sì!

Altrimenti non c’era la decisione, ha soltanto barato; ha soltanto detto “che ha decisoâ€, ma non ha deciso. Nel momento in cui dice: ora guido!, e veramente è una decisione della volontà, la macchina si mette in moto.

Un’altra condizione necessaria è la chiave!

Allora, importantissimo – ci siamo detti, di nuovo, ad ogni livello – importantissimo tener presente questa distinzione che, non per il fatto che un fattore, una cosa, è una condizione necessaria, non per questo è la causa! Son due cose ben diverse!

Allora ritorno alla domanda: se è vero che la socialità è una condizione necessaria per la libertà dell’individuo, per l’esercizio e l’esperiennza della libertà; se la corporeità è una condizione necessaria, ma non la causa, qual’è la causa dell’esperienza della libertà?

L’io!, lo spirito umano individualizzato – che noi chiamiamo l’io – che si può soltanto esprimere in quanto creatore libero; oppure si nega la libertà.

Se si esprime così com’è, è subito causa di libertà: è la sua essenza! È il suo essere!

Oppure manca di esprimersi, omette di esprimersi; ma se si esprime, può soltanto esprimersi liberamente, perché è fatto di libertà.

Lo spirito pensante… è pensabile che ci sia uno spirito pensante che si esprima non liberamente?

No, lo spirito pensante significa un pensare libero, creatore, artistico, pieno di invenzioni, non inquadrato, senza binari prefabbricati. Crea liberamente, e perciò qui viene detto: Altrettanto dovrebbe atrofizzarsi l’individuo se egli conducesse un’esistenza isolata, fuori della comunità umana. Proprio per questo si forma l’ordinamento sociale: per reagire, di ritorno, sull’individuo in senso favorevole. La socialità fa parte delle condizioni necessarie per mettere l’individuo in condizioni di poter vivere nella libertà. Da soli non si può essere liberi, ma insieme non si è costretti ad essere liberi; quindi la socialità non è la cusa della libertà: è un presupposto, è una condizione necessaria.

Procediamo al X° capitolo della Filosofia della Libertà. Un capitolo molto più corto: La filosofia della libertà e il monismo.

Se volete un capitolo un po’ da vedere nel contesto del discorso anche filosofico di fine secolo, tra il XIX° e il XX° secolo. Difatti c’è anche un riferimento ad Eduard von Hartmann; teniamo presente che la Filosofia della Libertà è uscita nel 1894, quindi un testo coniato ben più di 100 anni fa, e a quei tempi la questione del monismo era culturalmente molto importante, molto dibattuta.

C’è un mondo solo, o ce ne sono due, o tre? C’è un mondo solo? – un monismo – c’è un mondo solo, o ce ne sono due, o tre? …Il mondo divino, il mondo umano; il divino, l’umano, lo spirito, la materia…

LUCIANA: Scusa, tu hai fatto già questa precisazione nel tuo libro, perché nel testo Steiner usa “monismo†in due accezioni diverse. Infatti mi pare che tu avessi detto: la visione di Steiner è meglio qualificarla come “visione unitaria del mondoâ€, mentre il monismo (tra virgolette) era una corrente di pensiero a cui lui si opponeva.

A.: Allora, giustamente, grazie che mi hai ricordato questo: il monismo tra virgolette. Il monismo di allora, a cui Steiner si opponeva, voleva ridurre tutto il mondo dello spirito al mondo della materia, e in fondo è il monismo che è invalso nelle scienze naturali: c’è soltanto la natura con le sue leggi.

Questo è il monismo moderno, ormai accettato dalla cultura. Il monismo tra virgolette è riduzionista, riduce il mondo della percezione e il mondo del pensare ad un mondo solo. Riduce. Due mondi che in partenza sono veramente due mondi, scissi l’uno dall’altro, li tratta come se fossero un mondo solo e dice: l’unico mondo che c’è è il mondo della percezione.

Quindi il monismo è, in fondo, quello che noi chiamiamo il materialismo: c’è soltanto la natura con le leggi di natura; e anche nell’essere umano, nella biologia dell’essere umano, nella corporeità dell’essere umano, c’è soltanto il mondo della natura; non esistono altri mondi, e la cosiddetta libertà è un’illusione.

Quindi la continuazione di questo monismo di allora, di Haeckel, ecc., è il materialismo delle scienze naturali di oggi.

Invece la visione unitaria del mondo dice: in partenza il processo di conoscenza parte dalla scissione tra percezione e concetto, e questa scissione, che crea due mondi, viene operata dall’uomo; quindi l’uomo che si pone di fronte al mondo scinde realmente il mondo in percezione e concetto; per darsi la possibilità di ricreare l’unità, tra percezione e concetto, nel pensare.

Quindi, ciò che nel monismo e nel materialismo è un fenomeno di riduzione, nel monismo di pensiero è una riunificazione di ciò che si presenta come spaccato.

Nella percezione il mondo si presenta spaccato in due, dualistico, e la visione unitaria del mondo è la capacità dell’essere umano, nel pensiero, nel processo conoscitivo, di rifare l’unità di spirito e materia, di percezione e concetto che inizialmente, l’essere umano stesso spacca in due.

Quindi l’essere umano è quell’essere che spacca in due un mondo originariamente unitario e lo coglie da due lati opposti: dalla percezione e dal concetto; e nel pensare, nel conoscere, riunisce, riunifica, ogni percezione col suo concetto e ne fa di nuovo un’unità.

Quindi l’essere umano è quell’essere nel quale il mondo si spacca in due, realmente, quando l’uomo percepisce; ed è l’essere umano per tramite del quale il mondo ricostruisce, ritrova, la sua unità quando l’essere umano pensa.

Quindi l’essere umano che percepisce spacca il mondo in due: la percezione è là (fuori) e il concetto è qua (dentro), e nel processo di conoscenza ricostruisce l’unità del mondo e trova nel concetto la realtà unica e vera della percezione.

Tutto ciò che è percepibile pare essere fuori di me, e sorgono due mondi: io e il mondo esterno; ma pare soltanto! Perché quando ne creo il concetto, tutto il mondo percepibile diventa parte di me stesso, fa parte di me stesso come pensatore, come spirito che pensa; e ricreo l’unità che io stesso ho spaccato in due, il mondo che io stesso ho spaccato in due.

Quindi tutto ciò che è percepibile è passibile di riunificazione con l’uomo, e tutto ciò che non è percepibile non è nulla!

Tutto ciò che è percepibile è passibile di tornare all’unità con lo spirito umano, tramite il concetto, e tutto ciò che non è percepibile non è una realtà, non è nulla.

In questo contesto chiedo di nuovo. Cos’è Dio?

O è qualcosa di percepibile con cui io divento uno tramite il pensare, oppure non è nulla!

Cos’è la natura?

Il potenziale evolutivo del mio pensare. La natura è tutto ciò che io posso diventare, io stesso diventare, in quanto spirito pensante; liberamente diventare.

L’albero del fico c’è per darmi la possibilità di diventare io, come pensatore, tutta la complessità del concetto, della forma, della crescita, ecc., del fico.

Quindi il senso di tutte le cose sono cammini possibili di pensiero offerti alla libertà dell’uomo.

È diventato percepibile per rendersi pensabile; e diventando pensabile, diventando pensato, sparisce come percezione – perché la percezione oggi c’è, domani non c’è più – e risorge nella sua essenza eterna nel pensare umano.

Gli scolastici dicevano: gli universali… noi diciamo i concetti. Il concetto è sempre universale, la percezione è particolare, la percezione è singola, singolare, il concetto è universale; il concetto di fico vale per tutti i fichi, il concetto di pero vale per tutti gli alberi di pero.

Quindi loro li chimavano “universali†nel medioevo, noi li chiamiamo concetti: ogni concetto è universale, ogni percezione è singola; e dicevamo, Tommaso d’Aquino diceva: ci sono tre tipi di universali, tre tipi di concetti. I concetti prima delle cose, universalia ante res, I concetti nelle cose, universalia in rebus; e i concetti dopo le cose, universalia post res.

Allora, il concetto di pero ante res è prima del pero percepibile, perché nessun albero di pero può sorgere senza che ci sia il concetto che lo crea; così come una macchina non può sorgere senza che qualcuno l’abbia pensata, la struttura di una macchina.

Quindi: ante res, prima della cosa, significa: nel pensiero di chi l’ha pensata, di chi l’ha creata.

In rebus: io vedo un albero di pero …cosa vedo?

Varie risposte: Un’incarnazione di un concetto / Una manifestazione / Foglie e rami / Vedo un pero / creo il concetto e lo unisco alla percezione / vedo quel pero…

A.: Parlate tutti come se il pero fosse uguale a una pietra. È un vivente!

I. 2: Vedo un momento dell’essere pero!

A.: Cos’è l’essere pero? …Vedo spirito operante “peramenteâ€; vedo spirito operante a mo’ di pero! Allora è detto giusto! Perché se io dico: vedo le foglie e i rami, allora non vedo nulla, perché l’essenza del pero è il concetto!

I. 3: Vedo che fa i fiori e poi vedo che fa le pere.

A.: E chi lo fa? Chi fa tutto questo? È questa la domanda che stiamo facendo, vedi! Chi fa tutto questo? Come fa lo spirito ad essere all’opera? Questa è la domanda che tu ti stai ponendo; è la domanda più importante ed è anche la più difficile!

Allora la domanda è: ma come fa lo spirito a mo’ di pero ad operare a mo’ di pero?

Adesso, piano! Noi guardiamo un muratore che sta costruendo una casa. Che cos’è all’opera?

Le mani si muovono, le braccia si muovono, però i movimenti delle braccia e delle mani sono conditio sine qua non, ma non la causa di questo operare! Cos’è la causa di questo operare?

I pensieri!!!

Il pensiero sa: qui, a questo punto ci vuole una finestra, in questo posto ci vuole una porta… Quindi cos’è all’opera, cos’è che opera e che mette i mattoni al posto giusto? …Perché il pero che sta crescendo è un’infinità di piccoli mattoncini che ognuno va al posto giusto: E queste molecole chi le mette tutte al posto giusto per cui salti fuori un pero e non un fico?

Lo spirito che lavora, che opera, a mo’ di pero.

Lì, nel muratore, è lo spirito che lavora a mo’di… quindi con la struttura interiore di una casa che sta facendo.

Tutti tentativi nel nostro modo materialistico di vivere, di riconquistarci il concetto dello spirito. È importantissimo, se no noi sorvoliamo e ignoriamo la realtà più importante. La realtà più importante in tutte le cose è lo spirito creatore.

Io qui sto parlando, parlando, parlando… la causa qual’è?

PUBBLICO: Lo spirito creatore / La lingua…

ROBERTO: No, la lingua è la conditio sine qua non!

A.: La lingua è la conditio sine qua non.

SERGIO: L’io che opera in maniera “archiatescaâ€!

A.: Quindi è l’io di Archiati, lo spirito di Archiati! Voglio dire: con questo ci mettiamo in condizioni di dire: lo spirito è l’unica realtà che è veramente realtà; tutta il resto è realtà soltanto nella misura in cui viene recepito nello spirito.

Quindi la realtà del mondo è lo spirito creatore, un’altra realtà non c’è!

Ma allora, perché lo spirito creatore il pero me l’ha messo là fuori, come se fossi là fuori?

Ha creato l’inganno per darci la possibilità bellissima di disingannarci. Quindi la percezione è l’inganno, che ci inganna perché fa come se il mondo fosse scisso in due mondi: io e il mondo là fuori; e il pensare supera questo inganno e ricrea l’unità.

Allora: ante res, nella mente del creatore del pero: il pero sia e il pero fu! Però prima deve dire: il pero sia; quando dice: il pero sia, cosa esiste?

Il pero come struttura pensata!

Questa macchina sia! …Il creatore della macchina… cosa c’è all’inizio, quando non c’è ancora nulla di materiale?

Il pensiero di questa macchina; la struttura che è un pensiero complesso. Creare una macchina è una cosa complessa! Però c’è tutta, altrimenti non salta fuori la macchina reale: c’è tutta nel creatore della macchina, c’è tutta nel suo pensiero.

Qiundi: ante res: in colui che la crea.

In rebus – e questo è l’esercizio che abbiamo fatto – che lo spirito, se non ci fosse lo spirito, strutturato a mo’di pero, che è all’opera dentro il pero, il pero sarebbe subito una farraggine di polvere, un mucchio di frantumi, di atomi, di polvere.

E gli universali post res: nella mente dell’essere umano. Dopo le cose, dopo la percezione.

In rebus: nella percezione, nel pero che vedo là fuori; e siccome io capisco, in chiave di pensiero, che la realtà del pero è il concetto all’opera nel pero – cosa difficile per l’uomo materialista di oggi – allora questo concetto lo afferro e lo vivo come un frammento dello spirito.

Perché un concetto, o lo capisco – concetto è da concepire, cioè non c’è in me – e dico: colui che ha creato il pero s’è fatto una pensata, prima di tutto bella perché funziona, e poi di enorme complessità!

Perché cosa ci vuole per far saltare fuori un pero come si deve?

Un sacco di cose! Un sacco di cose!

Il concetto di pero è complesso, così come ogni tipo di pianta, ogni tipo di animale, l’animale addirittura ancora più complesso, l’umano ancora più complesso!

Però, per essere diventato percepibile, deve essere stato pensato prima.

Quindi la domanda che viene affrontata in questo X° capitolo è: ci sono due mondi o c’è un mondo solo?

Per chi è rimbambolito ci sono due mondi, per chi si dà una svegliata nel pensare, c’è un mondo solo. Per chi vive il mondo della percezione come se fosse una realtà a sé stante ci sono due mondi: il mondo esterno e il mondo interno. Per chi vive nel pensare non c’è un mondo esterno e un mondo interno, diventa tutto interiorizzato; perché pensare significa diventare uno, una cosa sola, con ciò che si pensa.

Ce lo siamo detti diverse volte: il pensatore nell’atto del pensare e la cosa pensata nell’atto di venir pensata, sono una cosa sola! Una unità in assoluto!

Cap. X: FILOSOFIA DELLA LIBERTà E MONISMO

(X, 1) L’uomo semplice, che non considera come reale se non quello che può vedere con gli occhi e toccare con le mani, il mondo della percezione richiede anche per la sua vita morale delle ragioni di azione che siano percepibili per la via dei sensi. Richiede un essere che gli comunichi queste ragioni in un modo comprensibile ai suoi sensi. Caro Dio, fammi sapere cosa vuoi da me! Perché tu sei là fuori, sei colui che comanda, io voglio ubbidirti; però fammi sapere cosa vuoi.

Come si fa a sapere la volontà di Dio?

Vai dal padre spirituale e quello te la dice!

Finché tutto va bene… quello è convinto che la volontà di Dio è quello che gli dice il padre superiore …Poi arriva un certo punto e dice: un momento, ma quello lì è un uomo come me, non è che ha una testa e mezzo in più, è un uomo come me; non sia mai che quello che lui mi propina come volontà di Dio sia forse la volontà di potere della Chiesa?

Potrebbe anche darsi, chi lo sa!

Allora uno dice: no, no, la volontà di Dio la voglio cercare da solo; e allora adesso non ha più la Chiesa che gli dice qual’è la volontà di Dio.

Il primo passo gli dice: sono io la volontà di Dio, è il mio essere!

Il secondo passo gli dice: un Dio fuori di me non c’è mai stato: è aria fritta! Pura alienazione, inventata per ricattare l’essere umano, per mettergli paura dell’inferno, ecc.

Perciò vi dicevo prima: Dio, o sono io, o non ha il diritto di esistere!

Adesso non vi spaventate, eh!: Per quanto mi riguarda, nulla ha il diritto di esistere oltre che me, fuori di me! Per quanto mi riguarda nulla ha il diritto di esistere fuori di me! Ha il diritto di esistere soltanto se io ho la possibilità di diventare uno, di renderlo uno col mio spirito pensante: allora non sono più fuori!

E se ognuno fa questa pensata, va tutto bene!

Ripeto; il fatto che io dico: nulla ha il diritto di esistere fuori di me: ha il diritto di esistere soltanto come unificabile col mio essere.

E se ognuno pensa così, se ognuno è intento a unificare tutto il mondo col suo io pensante, vedete voi dei problemi? Io non ne vedo nessuno!

Allora siamo tutti in camino per riunificare noi stessi col mondo: me stesso col mondo e il mondo con me stesso. E l’organo del diventare uno è il pensare, è l’intuizione pensante!

E l’intuizione pensante è l’esperienza di libertà, di creatività libera in assoluto.

Un musicista crea una melodia del tutto nuova – non dev’essere un Beethoven – da dove la piglia? Da dove viene questa melodia che non c’è mai stata? O un quadro, o un modo di conversare con un amico che non c’è mai stato prima, da dove viene?

Dalla creatività dello spirito umano che per natura è creatore.

Quindi il mondo fuori di me è un inganno.

Per quanto mi riguarda il mondo diventa reale soltanto in me, nel mio pensare; perché soltanto lì diventa sostanziale, diventa essenziale!

Il mondo in quanto fuori di me è effimero. Tutte le persone qui in sala, in quanto sono fuori di me, sono effimere, transeunti, inessenziali, secondarie, non importanti! Importantissimo di tutti voi qui in sala è ciò che di animico e di spirituale soprattutto, io posso fare mio. Quello è eterno!

E questo discorso vale per ognuno, tale e quale. Quando uno mi comunica un frammento di spirito, io non sono più due persone, se lo capisco; il capire è diventare uno.

WALTER: Non implica anche l’amore tutto questo?

A.: C’è soltanto una forma di amore puro, ed è il pensare; tutto il resto è amore impuro. Quindi il senso dell’amore che ancora non crea unità è un paradosso, è per mantener viva la struggenza di un amore che vuol creare una nullità.

Finché noi siamo ancora in cammino per diventare un’unità in assoluto, il compito è quello di rimembrare tutti gli esseri umani per farne un organismo unico.

Supponiamo che fra un paio di millenni siamo diventati veramente un organismo unico. Diventiamo il presupposto per nuove creazioni che insieme facciamo, come unità spirituale.

Quindi l’amore, che per fortuna ancora non unifica del tutto, perché altrimenti questa evoluzione sarebbe finita, mantiene viva la struggenza di un pensare che unifica del tutto. E questa tensione è la tensione fra il pensare e l’amare.

Il pensare che vuole un’unità assoluta e l’amore che dice: guarda che te la devi conquistare: ce ne vuole ancora un po’.

E va tutto bene! Questo è l’umano: la tensione tra pensare e amare.

Amare è struggersi e pensare è un costruirsi; e l’uno non può essere senza l’altro.

Amare è l’esperienza che dice: io non sono completo senz a di te. E il pensare dice: allora voglio diventare uno con te!

E il divario di tempo tra l’amare e il pensare è il tempo dell’evoluzione umana.

Ti amo perché sei un frammento di me che io non sono ancora diventato e che desidero diventare; e lo posso diventare soltanto in cammino nell’evoluzione del pensare. E questo diventare uno presuppone che l’elemento che ci separa, la corporeità, l’elemento di percezione, receda sempre di più fino a sparire.

Se noi portiamo via la corporeità da questa sala, degli altri, per ognuno di noi, degli altri esiste soltanto ciò che io recepisco dentro il mio pensare; esiste soltanto ciò con cui io divento uno nel processo del pensare; il resto per me non c’è, non esiste.

(X, 1) L’uomo semplice, che non considera come reale se non quello che può vedere con gli occhi e toccare con le mani, richiede anche per la sua vita morale delle ragioni di azione che siano percepibili per la via dei sensi. Richiede un essere che gli comunichi queste ragioni in un modo comprensibile ai suoi sensi.

{Comunichi la volontà di Dio.} Se le farà dettare come comandamenti da un uomo che ritenga più savio e più potente di sé, o che per qualche altro motivo egli riconosca come un’autorità posta al di sopra di lui. {Stiamo parlando dell’uomo semplice, lo stadio infantile, diciamo, della coscienza umana.}

In questo modo sorgono come principii morali quelli già menzionati, dell’autorità familiare, statale, sociale, ecclesiastica e divina. L’uomo più limitato crede ancora ad un altro singolo uomo; quello un po’ più progredito si fa dettare le norme morali da una collettività (stato, società). Sono sempre potenze percepibili quelle sulle quali entrambi si basano. Colui infine, nel quale si fa luce la convinzione che quelli, in sostanza, sono uomini altrettanto deboli quanto lui, si rivolge per illuminazione ad una potenza più alta, ad un essere divino, a cui attribuisce qualità percepibili ai sensi. {Perché un Dio non percepibile non è una realtà, perché la persona semplice, il realista ingenuo, ritiene reale soltanto ciò che, in qualche modo, è percepibile; ciò che non è percepibile non è reale.} Si fa trasmettere da questo essere, e anche questo in modo percepibile, il contenuto concettuale della sua vita morale, sia che Dio gli appaia in un roveto ardente, come Mosè sia che cammini fra gli uomini il cosiddetto Cristo in forma corporea umana e dica in modo afferrabile dagli orecchi quello che gli uomini stessi devono e non devono fare.

Quindi una moralità indotta dal di fuori.

Stamattina, o ieri, avevo posto sulla lavagna:

Che cosa devo fare? Chi me lo dice? Chi decide cosa devo fare? Chi me lo dice!

E dicevamo: non esiste ciò che io devo fare, un dovere …non devo nulla!

C’è in me… lo stadio supremo della moralità è la volontà libera del mio essere di realizzarmi. L’autorealizzazione è il bene morale massimo. E il male morale massimo è l’autodistruzione.

Posta in altro modo la domanda: ci può essere un bene morale superiore a me, in quanto spirito umano?

Assurdo, non pensabile; è inconcepibile che ci possa essere un bene morale superiore, migliore, più buono, un bene maggiore che non l’uomo! Perché io, in quanto essere umano, sarei soltanto un mezzo per raggiungere questo bene superiore. Quindi è importante: la libertà consiste nella forza morale di dirsi: il bene morale supremo, per quanto mi riguarda, sono io! E se non ho il coraggio di formulare, di dire a me questa cosa, è perché mi va di poltrire!

Perché questo io che io concepisco come bene morale supremo non è già realizzato, ma è una potenzialità; quindi il bene morale supremo è l’io umano, lo spirito umano, in via di realizzazione, che si realizza soltanto creando, e creando, e creando; in libertà!

Vivere, io, da spirito creatore, artisticamente creatore, è la somma della morale; e tutto il resto lo prendo nella misura in cui favorisce questa pienezza dell’umano in me, che è individualizzata; e lo lascio nella misura in cui non mi serve.

La corporeità, la mia corporeità, viene assunta, viene incorporata, in questo bene morale, nella misura in cui la mia corporeità concorre al mio vivere da spirito libero; in quanto è strumento – come uno strumento musicale – per vivere da spirito libero, questa corporeità diventa parte, viene assunta in questo bene morale.

Nella misura in cui il corpo lo bistratto, o non mi concede, mi preclude, certi cammini di libertà, diventa un fattore di non moralità, di immoralità.

(X, 2) Il grado più alto di evoluzione del realismo primitivo nel campo della moralità è quello in cui il comandamento morale (o idea morale) viene pensato come indipendente da ogni entità estranea e, ipoteticamente, con forza assoluta nel proprio intimo. Ciò che prima l’uomo sentiva esteriormente come voce di Dio, ora lo sente come potenza a sé nel suo intimo, la cosiddetta coscienza e parla di questa sua voce interna in modo da porla alla pari con la coscienza.

Allora, a questo punto dobbiamo riproporre la domanda, adesso con presupposti nuovi, per dare una risposta alla domanda: cos’è la coscienza?

La coscienza è la moralità del passato, sedimentata nell’animo!

Quindi la coscienza è un fenomeno puramente del passato, non esiste coscienza rispetto al futuro.

(Inizia uno schema alla lavagna)

Allora diciamo: c’è una coscienza buona e una coscienza cattiva; moralmente buona e moralmente cattiva. Perché la coscienza… la libertà prende posizione anche nei confronti della coscienza e quindi, se noi siamo liberi, siamo liberi anche nel nostro agire con la coscienza.

La coscienza si fa sentire e la nostra presa di posizione è libera; ed essendo libera c’è un modo moralmente cattivo di fare i conti con la coscienza e un modo moralmente buono di fare i conti con la coscienza.

Allora, faccio una proposta provocatoria: l’essenza della coscienza cattiva è la paura di sbagliare, è la paura di peccare; e l’essenza della coscienza buona è la spregiudicatezza, il coraggio di provare cose sempre nuove, di dare fiducia all’umano.

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Non permettere al passato di ricattare il mio futuro: ciò che era moralmente buono per me, ieri, se lo ripeto oggi, è moralmente cattivo; perché ripetendomi termino di essere libero, creatore.

PUBBLICO. Il conto dei…(?)

A.: Eh, certo!, perciò dicevo provocatorio! L’ho detto!: ciò che era moralmente buono per me, un’ora fa, se lo ripeto, diventando ripetititvo, facendo morire la creatività della libertà, è moralmente cattivo!

Quindi la coscienza è buona soltanto col coraggio di creare sempre.

Senza garanzie!!!

Perché le garanzie sono la paura! Siccome io ho paura, voglio delle garanzie che quello che faccio sia buono.

PUBBLICO: Allora le abitudini sono cattive?

A.: Certo, tutte! Ogni abitudine diventa cattiva nella misura in cui è la causa di un’azione; se invece si rende come conditio sine qua non, però la causa dell’azione che io compio adesso è una intuizione libera, creatrice, in questo momento, allora la cosiddetta abitudine si fa da sostrato e non causa nulla.

Se invece io agisco per abitudine, dove il ripetermi, il concetto di ripetermi, è la causa – è stato buono, perciò mi ripeto, perché è già stato collaudato, ecc. – uccido il creare libero e moralmente è una cosa cattiva; perché uccido il creare libero.

In altre parole noi sottovalutiamo il fatto che l’essenza dell’immoralità è la staticità, lo stagnare!

Quella è l’essenza dell’immoralità, perché uccide, preclude, la creatività che sforna cose sempre nuove.

Certo che ti manda a ramengo tutta la morale retriva e ricattatoria di tutti i secoli passati! Però ci vuole, eh!; altrimenti non troveremmo mai la libertà. Se non abbiamo il coraggio di pensare le cose radicalmente fino in fondo, se abbiamo paura, ci fermiamo a metà strada; ma allora i conti non tornano.

PAOLO: Scusa Pietro, ma la coscienza non è lo specchiarsi dell’io, del pensare, di me? …Non riesco a capire perché lei è il sedimento del passato!

A.: Dimmi tu cos’è la coscienza!

PAOLO: Eh, già, non lo so!Io ho sempre pensato che la coscienza è il rispecchiarsi di una parte superiore di me, del mio io che si rispecchia; per cui è qualcosa che dovrebbe essere sempre nuovo, non una cosa vecchia!

MASSIMO: Ci sono due valenze del termine coscienza…

A.: Eh, certo! I rimorsi di coscienza! (per esempio) …Capito!

MASSIMO: C’è una coscienza morale, etica, e una coscienza conoscitiva; per cui, ecco, la coscienza, che qui credo si intenda, è quella etica, quella morale, che assume valore, diventa chiara, se io ho già definito, è già stata preceduta dalla coscienza conoscitiva; per cui diventa il passato della mia moralità nel momento in cui io mi volgo indietro, smetto di creare – me, come universale post rem, in un certo senso – mi limito a conoscere ciò che ho già fatto.

Nel momento in cui la facevo, quella moralità, era tale, era morale, perché era una cosa assolutamente nuova perché la creavo nel momento in cui la esercitavo.

Però, se io smetto di creare, la mia moralità di ieri, per me è soltanto un ricordo, una cosa morta, sedimentata; che io credo, magari identifico con una coscienza di tipo morale: ecco quindi lo sbaglio che faccio. Nel momento in cui smetto, rinuncio, dimenticandomi di ieri, o al massimo utilizzandolo come presupposto, continuo questa opera creativa, libera da pregiudizi e preconcetti.

Quindi, due valenze del termine coscienza. Interessante è però che si usi un termine unico per indicarle tutt’e due; perché sono imparentate, in qualche modo.

A.: E sono una polarità, sono opposte a un livello fondamentale.

MASSIMO: Esatto: sono essenziali l’una all’altra, una esiste in funzione dell’altra; anche proprio come definizione: è un’unica realtà con due aspetti, come due facce della stessa medaglia. Cioè, il primo tipo di coscienza l’abbiamo fatto con la prima parte della Filsofia della Libertà, e ora affrontiamo questo secondo elemento; cioè lo stesso elemento visto da un’altra ottica.

A.: Credo di aver raccontato un paio di volte: parecchi anni fa sono venuto a Roma e dovevo fare una conferenza sull’evoluzione della coscienza; e mi ricordo – non posso mai dimenticare una cosa del genere – siccome sono abituato a leggere in tedesco e poi anche a pensare in tedesco, alla fine della conferenza diverse persone mi hanno detto: ma perché hai messo 5,6,7 minuti per venire al sodo!, normalmente parti in quarta da bravo tedesco!

Ed era perché il tedesco ha due parole del tutto diverse: ha Bewusstsein che vuol dire conoscenza conoscitiva e Gewissen che è la coscienza morale.

E io mi son detto: un momento – si trattava della coscienza morale, a Roma, la conferenza – e io dicevo: ma come si dice in italiano Gewissen? Dicevo: ma mica mi son dimenticato l’italiano! Ah! “coscienza†…però “coscienza†significa tutt’e due! …come faccio?

E veramente ho sudato fisicamente, non soltanto metafisicamente, perché mi trovavo di fronte ad un linguaggio che non distingue, a livello di linguaggio, questi due campi completamente diversi.

Questo Bewusstsein è un fenomeno intellettuale, Gewissen è un fenomeno morale; quindi coscienza intellettuale e coscienza morale; e allora ho detto: mi tocca, quasi ogni volta, aggiungere un aggettivo: coscienza “moraleâ€!

Però un linguaggio che mi costringe ad un concetto unico per due mondi del tutto diversi, e mi costringe a qualificare con un aggettivo, è un linguaggio che non mi consentirà di dire le cose in un modo così preciso, così netto, come sarebbe possibile in tedesco. E mi son detto: quasi ogni volta devi aggiungerci la parola morale.

Allora: la coscienza intellettuale …la consapevolezza! Ecco un’altra parola per questa coscienza conoscitiva, intellettuale: consapevolezza, venire a coscienza di qualcosa. Un fenomeno del pensiero.

In fondo la coscienza conoscitiva, la coscienza intellettuale, è la somma dei concetti che un individuo ha creato in base alle percezioni. Quello è il contenuto reale della sua coscienza intellettiva, conoscitiva.

Invece la coscienza in campo morale: ho agito contro coscienza, mi sento la coscienza a posto, sento rimorsi di coscienza, la coscienza sporca – la coscienza si è sporcata – la mia coscienza è pulita… Questo tipo di coscienza morale è la somma dei tentativi di ricattare il mio essere e di farmi paura!

Se io tolgo dalla coscienza tutti i tentativi della Chiesa, dello Stato, della socialità, delle generazioni passate, di farmi paura, di dirmi quello che devo fare, altimenti vado all’inferno, ecc., ecc., ecc., cosa resta di questa coscienza?

Soltanto io!

Allora non dico: la mia coscienza, dico: io!

Quindi l’istanza suprema della moralità non è questa coscienza fantomatica, che è un sacco pieno dei comandamenti, degli impaurimenti messi dal di fuori! Sono io!

E la coscienza ce l’ha pulita soltanto chi agisce liberamente. E la coscienza è del tutto sporca quando non si agisce liberamente.

PAOLO: Ecco perché si dice che è sgombra!

A.: Ha fatto il repulisti!

PAOLO: La coscienza morale praticamente sono tutti gli insegnamenti, tutti i condizionamenti…

A.: Eh, eh! E l’ho detto io! Che altro ho detto io!

PAOLO: Ma praticamente non è una coscienza: sono dei condizionamenti, come dire, non è una cosa che nasce da me, mi arriva, è tutto quello che mi arriva…

A.: La somma dei tentativi di farmi paura! Quindi la coscienza… però parliamo un po’ per paradossi, eh!, se non abbiamo il coraggio di mettere le cose a un livello un po’ provocatorio, il pensiero non ci arriva. La coscienza, la cosiddetta coscienza morale, che poi in italiano la dobbiamo mettere sempre tra virgolette, è la mia non-libertà!

I. 4: Volevo parlare della coscienza morale. Tu haidetto che la ripetitività è una cattiva coscienza, io dico che per la coscienza morale non può esserci ripetibilità, perché la mia coscienza morale di adesso è diversa dalla mia coscienza morale di un’ora fa. Cioè voglio dire: io ho introdotto nella mia coscienza morale altri aspetti.

A.: No, il discorso che tu hai fatto è giusto se uno capisce quello che vuoi dire. Se invece uno si attiene a quello che tu dici è sbagliato! Quello che tu dici è giusto, a livello di pensiero, soltanto se tu, questa parola (coscienza morale) non la usi. Adesso ripeti il pensiero senza usare questa parola! E sta attento a cosa salta fuori.

I. 4: Cioè, il mio stato emotivo, in questo momento, è diverso sicuramente dal mio stato emotivo di un’ora fa; di conseguenza le azioni che io posso intraprendere sono completamente diverse: saranno sempre nuove e sarò sempre io, su questo non c’è dubbio. Non sto dicendo che non ho preconcetti, che non ho immesso ovviamente delle cose mie, però le ho tolte e ne ho messe delle altre; sono sempre io: in questo momento sono io.

A.: Adesso fila il discorso perché hai sostituito questo concetto spurio, con il concetto di io, quindi la cosiddetta coscienza – perciò l’ho messa tra virgolette – o sono io, e allora sparisce questa fatiscenza di esteriorità al mio essere, perché se io dico: “la mia coscienza†intendo dire qualcosa di diverso da me!

E cos’è?

I. 4: Non è qualcosa di diverso da me, assolutamente!

A.: Sì, ma tante persone la sentono come diversa: realmente è il mondo che vuol far di tutto per rendermi non libero. Perciò deve sparire!

Quindi la coscienza è l’ultimo ricatto fatto alla libertà, per impedirla, perché è scomoda! Sia per l’individuo, sia per la socialità.

Ma allora avremo individui senza coscienza?

Se avessmo individui senza il pensare sarebbe una gran brutta cosa, ma se abbiamo individui che sanno pensare sempre meglio, il pensare è molto meglio della coscienza. Perché la coscienza è ricatto e il pensare è liberazione!

I. 5: Se non intervengo adesso, poi se no vado fuori tema…

Otto, nove anni fa quando t’ho conosciuto, non avevo il coraggio, che se no mi mandavi… però siccome so che aumentano sempre i miei colleghi di psicoterapia, qui, tra poco c’è il matrimonio con la psicanalisi, ormai. Dico il piccolo matrimonio con la psicanalisi pian piano sta arrivando, alla lontana, ma insomma, tra io e tu, ci siamo vicini finalmente, ci avviciniamo inevitabilmente, insomma. Mi dispiace! …io sono contento, ci credo ancora alla psicanalisi.

A.: Ti dispiace o sei contento?

I. 5: No, io sono contento! Mi dispiace che ci avviciniamo, tu non volevi avvicinarti anni fa, ma insomma, sempre più…

A.: Ma guarda che io non capisco proprio cosa vuoi dire. Stai parlando solo per te!

I. 5: Grazie!

A.: Facciamo una pausa e poi riprenderemo.

(Pausa)

A.: Allora, prima di cominciare, di entrare nel vivo del dibattito, sono stato pregato di dire una parolina, di spezzare una lancia per il caro Dio; io l’ho fatto sparire e ho lasciato soltanto l’io! Qualcuno ha preso un mezzo infarto, anzi no, 3/4 di infarto cardiaco! E poi addirittura mi sono permesso di dire che Dio era aria fritta! Qualcuno ha detto: ma come ti permetti!

Allora, un attimo di spiegazione. Ovviamente certe affermazioni sono provocazioni al pensare, quindi sono messe lì in un modo un po’ apodittico, e poi ognuno vede cosa ne può fare. Non sono mai a vanvera, la responsabilità nei confronti del pensiero è troppo grossa per buttar lì cose che non hanno fondamento. Quindi potete star sicuri che da parte mia le cose sono sempre intese in un modo serio, soprattutto cose così importanti.

Allora il concetto non è che io, in quanto spirito creatore, io, sono l’unico spirito che c’è, e non ci sono spiriti angelici, non ci sono i tre grandissimi spiriti della Trinità – Dio padre, Dio figlio e Dio spirito santo – non è questo il concetto.

Perché se fossi l’unico spirito divino che esiste, non potrei esistere, perché non sono autocreatore, non mi sono autocreato. Quindi il concetto non è che oltre agli spiriti umani, che siamo tutti noi, non esistano altri spiriti, inizialmente extraumani, dovuto all’imperfezione del pensare umano. E il fatto che siano extraumani è per dare la possibilità al pensare di integrarli nell’umano in chiave di pensiero.

Quindi non importa nulla se esiste un Dio padre, un Dio figlio, un Dio spirito santo, gli angeli, gli arcangeli, ecc.; per quanto mi riguarda, di questi esseri, è reale per me, soltanto ciò che intuitivamente ne faccio io, che diventa parte del mio spirito tramite il pensare.

Tutto il resto che non è stato unificato, integrato, nel mio spirito pensatore, non mi riguarda!

Quindi, ciò che vuol restare estrinseco da me, vuol restare estrinseco e si definisce come per natura estrinseco, vuole soltanto gestirmi dal di fuori, perché si rifiuta di farsi integrare nel mio processo pensante.

E questo Dio che per natura gestisce dal di fuori è l’essenza dell’immoralità, perché è un Dio fatto per essenza per distruggere la libertà. Perché una gestione eteronoma, dal di fuori, è l’opposto della libertà.

È possibile al mio spirito rendersi uno, diventare uno, con lo spirito creatore che ha creato tutto il mondo?

Non ci sono limiti all’evoluzione dello spirito, anche per lo spirito umano.

Dovesse arrivare il mio spirito a livelli vertiginosi, da essere lui capace di creare mondi nuovi, ci vorranno, non soltanto dei millenni, ma diverse evoluzioni, incarnazioni planetarie della terra.

Allora è un processo di unificazione con Dio, dove Dio diventa io.

Il concetto di Dio è il concetto di uno spirito creatore tirchio o pieno di amore?

PUBBLICO: Pieno di amore!

A.: Pieno di amore, dice il pensare! Se è pieno di amore e mi dice: te sei uno spirito molto più piccolo e non ti do la capacità di ampliarti, di approfondirti, di diventare sempre più… di arrivare addirittura al punto di farmi concorrenza!

Se è pieno di amore dice: non metto limiti all’evoluzione del tuo spirito!

Allora non mi importa disquisire teoricamente, astrattamente, su ciò che il mio spirito sarà, quanto divino, quanto creatore sarà quando la terra avrà avuto tre incarnazioni planetarie! Mi importa sapere che sono nel bel mezzo di una evoluzione del pensare senza limiti! Questo è il bello! Senza limiti!

E per quanto mi riguarda diventa reale, per me, e non menzogna di ricatto dal di fuori, soltanto ciò che diventa un frammento del mio pensare. Solo quello è reale. Le cose diventano reali nei concetti che crea il pensare; la percezione non è reale perché è fuori; è un inganno. Quindi il mondo della percezione è il nascondino dello spirito, per dare all’essere umano la gioia di scoprire, togliere la coperta, scoprire.

E vi dicevo già: la parola greca per verità, la verità delle cose… la verità del pero è il concetto del pero, è la struttura concettuale posta alla base del pero. Allora i greci, la verità del pero, il concetto del pero lo chiamano “alètheia†e la parola alètheia significa tirar via la coperta, che nasconde il concetto.

Quindi la percezione nasconde il concetto, si mette in primo piano e dice: io sono la realtà; e il pensare dice: no, tu non sei la realtà, nascondi la realtà, la realtà è il concetto.

Allora, chi è Dio?

Per quanto mi riguarda ogni spirito inizialmente posto fuori di me, per me, diventa reale nella misura in cui diventa per me pensabile, diventa una cosa sola col mio pensare. Dio è per me soltanto ciò che ne capisco!

Il resto, per me, oggettivamente non esiste! Ciò che non capisco è un frammento di non realtà, perché non lo capisco, e non lo penso.

E se uno mi viene in nome di questo Dio: ma guarda che questo Dio richiede da te questo, vuole da te questo, questo e questo, son tutti ricatti, son tutte uccisioni della libertà. È così ovvio!

E siccome siamo abituati a questa gestione dal di fuori, ci vuole veramente spregiudicatezza, ci vuole coraggio di vincere la paura! Perciò ho sottolineato questo risvolto psicologico del coraggio e della vittoria sulla paura.

Mia sorella suora, Fausta; se uno gli porta via la Chiesa, la coscienza imbottita di Chiesa, e questo Dio che poi le dà il cioccolatino del paradiso se è brava… Se uno le porta via tutto questo non le resta nulla! Avrebbe paura se uno le dicesse: ma guarda che Dio, di Dio è reale soltanto ciò che recepisci nel tuo pensiero!

Perciò vi dicevo: il Dio là fuori, è per natura fuori; che non può diventare dentro, che non può essere interiorizzato, è pura manipolazione, pura alienazione; Karl Marx direbbe alienazione dell’uomo, perché l’istanza di gestione non sono io, ma è là fuori. Lui mi dice quello che devo fare.

E se c’è uno spirito che ha creato il mio spirito – cosa che per me è appurata, è sincera, perché non mi sono creato da me – se c’è uno spirito che ha creato il mio spirito, cosa ha voluto creandomi? Cosa vuole da me?

Ha soltanto il diritto di volere me!

Se no, per favore, creasse qualcosa d’altro; se ha creato me, vuole me!

Quindi si tratta, allora per me, se voglio compiere la volontà di Dio su di me, si tratta di capire sempre più genuinamnte, sempre più sinceramente, chi sono io!

Sono uno spirito creatore, ma non a livello generalizzato, sono uno spirito che crea, che gode il creare a livelli individualizzati, unici, irripetibili.

Questo ha voluto e soltanto questo poteva, aveva, il diritto di volere lo spirito che ha creato il mio spirito; perché il mio spirito è così. Se no, se voleva qualcosa d’altro, doveva crearmi in un modo diverso.

Se mi ha creato come spirito creatore, individualmente creatore, vuole da me che io sia, e sempre di più, sempre più fortemente uno spirito creatore. E ogni volta che non sono uno spirito creatore vado contro la volontà di Dio. Ma è così logico, così papale, scusate!

Quindi noi abbiamo una morale retriva, una morale di epressione all’infinito, che pone il fenomeno morale come se il bene fosse un dovere. No! il bene morale è quello che io desidero, quello che io godo, quello che voglio: essere un artista, un creatore all’infinito, godere questa libertà!

Dio ha un dovere morale?

Mi ha creato a sua immagine e somiglianza, sta nella Bibbia, scusate – dico cose che son tutte documentate nella Bibbia – l’uomo è stato creato a sua immagine e somiglianza, allora il bene morale per Lui, se sono a sua immagine e somiglianza deve essere uguale anche il bene morale per me. Qual’è il bene morale per Dio?

Perché sapendo quale bene morale è per Lui, avendomi creato a sua immagine e somiglianza, so qual’è il bene morale per me.

Qual’è il bene morale per Dio?

Fare il Dio!

PUBBLICO: Fare le stesse cose che ha fatto lui!

A.: Sì, ma qual’è il bene morale per Lui? Cos’è per Dio un bene morale?

PUBBLICO: Fare di noi quello che ha fatto lui per noi.

A.: Ma nooo!

PUBBLICO: Pensare, creare.

A.: Eh!, il creatore… che fa?

PUBBLICO: Creare!

A.: Quindi per il creatore c’è soltanto un bene morale: ed è il creare!

PUBBLICO: Creare continuamente.

A.: Certo! Ripetersi non è un creare. Il concetto di creare è che non si ripete mai! Perché se comincia a ripetersi non crea più!

Il problema è che vengono un po’ le vertigini, perché non le abbiamo mai pensate queste cose! Però le vertigini fanno bene, altrimenti non ci tiriamo fuori da questa poltroneria!; e dall’essere imbottiti di ricatti che ci frenano da tutte le parti.

Ci manca la fiducia nell’umano, nella creatività dell’umano. L’umano è uno spirito creatore.

PUBBLICO: È un’omissione dell’uomo.

A.: È un’omissione dell’umano.

PUBBLICO: Certo! È un’omissione dell’umano perché la parola di Dio è molto chiara anche in questo.

A.: Questo volevo aggiungere, perché era seria la cosa quando io, a questo Dio, ho tolto il “D†e ho lasciato l’io. Qui in sala ci saranno persone, magari di una certa età, che si ricorderanno nella religione, con la Chiesa ecc, no!, c’era sempre la domanda: ma cosa vuole Dio da me? Come trovo la volontà di Dio?

Poi c’è un altro essere umano, si va in confessione, per esempio, e quello lì dovrebbe sapere cosa vuole Dio da me! Ma, ha il telefono col padreterno? È lui il buon Dio che sa cosa…

PUBBLICO: Lui sa quello che Dio vuole dal lui.

A.: No, non sa neanche quello! Una cosa, come dire, infantile; un modo di pensare infantile!

I. 6: Volevo ritornare sul mio intervento di stamattina. Lo approcciavo dicendo questa cosa, che anch’io sono arrivata alla conclusione che sono creata, che sono stata creata. Lo spirito mi ha creato, uno spirito mi ha creato, si possono dire tutte queste cose e dunque mi trovo nell’esigenza di capire, di decidere chi sono io; in questo senso direi che sono in una fase di riepilogo, torno al discorso di stamattina.

A.: Come? In una fase di?

I. 6: Di riepilogo, stamattina ho detto così, però m’hai cassato e hai detto: passiamo il microfono ad un altro. E allora volevo tornare sulla cosa appunto per portare avanti il mio discorso. Per decidere chi sono io ho necessità di essere in dialogo, per esempio con te, e questo è un processo necessario.

A.: Embè, che vvuoi ddì? Dicono a Roma.

I. 6: Che ho questa necessità, per cui avrei…

A.: Affari tuoi!

I. 6: Affari miei, però sono qui, sono qui e mi sto relazionando con te!

A.: Al ché io ho detto: embè, lo stanno facendo tutti.

I. 6: Basta, ho detto questa cosa.

A.: Okey, okey.

Nessuno ha niente da dire? …perché sono tutti intimoriti: non mi fido di dire niente perché poi quello lì mi smonta tutto quanto!

Se abbiamo risolto tutti i problemi fino a questo punto, va bene; ne creeremo degli altri e buon appetito!, ci vediamo dopo cena. Questa sera porto a termine il X° capitolo, va bene? Leggo senza commentare!

Venerdì 30 settembre 2011, sera

A.: Una buona serata a tutti! Volevamo portare a termine il X° capitolo della Filosofia della Libertà, fermo restando che voi vi siete riproposti di essere bravi, di compiere il vostro dovere di agire moralmente, che significa fare la volontà, estrinseca al vostro essere, che vi impone il relatore!

Ci siamo? Ci siete o ci fate?

Volevo vedere quanti dormono in sala!

Allora, stiamo affrontando questo quesito fondamentale – le cose che ci diciamo sulla falsariga della Filosofia della Libertà sono tutte cose, come vedete, molto fondamentali, che richiedono anche coraggio, spregiudicatezza, perché la morale che ci trasciniamo e che ormai crea sempre più disaffezione, giustamente, è una morale di gestione dal di fuori – e stiamo dicendo che ogni morale di gestione dal di fuori è immorale!; perché nega, distrugge il bene morale supremo che è l’autonomia interiore, il non gestirsi dal di fuori, ma il gestirsi dal di dentro, dando fiducia allo spirito umano creatore individualizzato.

E questo spirito umano creatore è potenzialmente realmente presente in ognuno. È la definizione dell’essere umano.

Anche se uno non se ne accorge, questa potenzialità, questa capacità, questa stoffa reale, che gli dà veramente la possibilità reale di diventare sempre più creatore, ce l’ha ognuno.

E potenzialmente ogni essere umano è stato creato così. Siccome è uno spirito pensante, pensatore, ha la capacità di pensare all’infinito, di capire all’infinito; non ci sono limiti alla conoscenza; quindi non ci sono limiti alla libertà.

Non ci sono limiti a ciò che l’essere umano può intuire, artisticamente, creativamente, e fare suo; perché lo capisce. Quindi non ci sonpo limiti al processo libero, liberamente creatore, del pensare.

E questo vale per ogni essere umano.

Se un essere umano si lamenta di essere poco autonomo, poco libero nel suo processo di pensiero come spirito che artisticamente progetta, crea mondi, è perché, per motivi suoi, questa creatività, di cui sarebbe capace sempre di più, non l’ha esercitata più di tanto!

Motivo ancora di più per cominciare! E il cominciare è sempre possibile! Un cominciare in assoluto non esiste, siamo tutti già in cammino, ed esercitiamo questa creatività; solo che, esercitandola a livelli molto modesti, viviamo molto più forte i momenti di costrizione, di coercizione, i momenti di non libertà che ci vengono dal mondo.

E si tratta di aumentare sempre di più le esperienze di libertà e di gioia, di creatività, di scoperta del bello, del vero e del buono; e allora la vita dà sempre più gioia.

E nel campo della morale, che risponde alla domanda: cosa devo fare?, la gestione dal di fuori si radicalizza perché le due scelte fondamentali della morale sono: o c’è un dovere a cui io mi devo sottomettere, o non c’è questo dovere!

Quello che sto dicendo è che ogni dovere è un esercizio di potere di un essere umano sopra altri esseri umani; perché un dovere oggettivo non esiste, non c’è nulla che un essere umano “deveâ€; deve a se stesso soltanto la pienezza del suo essere; ma questo non è un dovere, è un dovere tra virgolette!.

Il morale, il bene morale è quella pienezza individualizzata, unica irripetibile, a cui ognuno di noi tende, per volontà libera. In altre parole il bene non è ciò che io devo, è ciò che io voglio!, profondissimamente voglio! In quanto realizzazione, autoesperienza, di essere uno spirito creatore, liberamente creatore.

Il ricatto, l’obiezione più complessiva è subito quella che dice: ma se ognuno fa quello che vuole, abbiamo il caos!

Di fronte a questa paura abbiamo creato due strategie fondamentali – riassumo le cose in variazione, in modo che, variando, poi i pensieri fondamentali si mettono a fuoco sempre di più –. Ci siamo detti: non c’è bisogno della paura del caos se ognuno fa quello che vuole, perché, per quanto riguarda il sociale è importante – e questo ci deve essere – che in campo di legislazione ci mettiamo d’accordo su quelle azioni che vanno proibite.

Quindi ci devono essere delle azioni che vanno proibite, e questo già mette un argine al pensiero che dice: ognuno può fare quello che vuole; no!, non abbiamo mai detto: ognuno può fare quello che vuole; io ho sempre detto: ci sono delle azioni che, per il fatto che sono lesive della libertà, vanno proibite; e la persona libera non le vuole!, quindi resta libera, e non le fa.

Quindi partiamo da una società nella quale – idealmente parlando – nessuno fa azioni che ledono la libertà; per cui vengono compiute soltanto azioni che lasciano libero ognuno.

Prima affermazione.

La seconda affermazione è quella che vorrebbe ricattare l’individuo e dice: ma guarda che tu non sei buono moralmente soltanto facendo quello che vuoi, e allora siccome fare quello che vuoi non è un bene morale, fai quello che devi.

Allora, a livello esterno ci vogliono azioni di società, ci vogliono azioni proibite, e quindi partiamo da una società nella quale azioni che ledono la libertà non vengono fatte, liberamente non vengono fatte – non è che deve essere un’imposizione: la persona libera non vuole farle e non le fa –; a livello interiore il ricatto morale più pesante è il moralismo, il moralismo ricattante in senso massimo è quello che dice: ma guarda che tu sei un libertino, sei soltanto… non sei purificato, sei pieno di brame, sei pieno di egoismi, e se fai solo quello che vuoi non salterà fuori quello che vuoi, salterà fuori l’egoismo, non il bene morale.

Allora, la moralità consiste nel coraggio anche di distinguere – i processi sono sempre di pensiero all’inizio – che noi non stiamo dicendo che la libertà sta nel fare quello che mi piace, ma sta nel fare quello che il mio essere vuole, ciò che io veramente voglio.

Quindi c’è una distinzione tra ciò che mi piace – ciò che mi piace è la natura in me che è piena anche di egoismi, piena di brame, piena di desideri che mi rendono non libero – allora la domanda va specificata e va approfondita, variandola e poi chiedendosi: che cosa vuole il mio essere vero? Il mio essere vero non vuole soltanto quello che gli piace…

CARMINE: Come faccio a riconoscere il mio essere vero?

A.: Allora, il bene morale, per quanto mi riguarda, è ciò che realizza in positivo il mio essere; è ciò che mi fa vivere in pienezza, è ciò che mi rende sempre più ricco. Lasciarmi andare alla brame non mi rende sempre più ricco.

Che cosa realizza l’umano al massimo?

Il libero creare!; a immagine del creatore divino che ha creato il mondo.

Se il libero creare realizza al massimo me, come spirito; questo libero creare è ciò che io veramente, nella mia intimissima natura, profondamente voglio!

Quindi, ogni essere umano, anche se non lo porta a coscienza, anche se non lo sa, vuole, nel suo essere, realizzarsi sempre più pienamente; e la realizzazione dell’umano in senso sempre più pieno è di vivere sempre di più come spirito creatore.

E il ragionamento non fa una piega!

Quindi la somma del morale, il bene morale è il vivere sempre di più come spirito artisticamente creatore. E se questo realizza l’umano non può altro che essere il volere intimo, vero, del mio essere. Se sono stato creato potenzialmente come spirito creatore, che crea nel pensare artisticamente, non posso che volere e realizzare sempre di più questa potenzialità.

Allora l’affermazione non dice: fai quello che ti piace; la libertà non sta nel fare quello che ti piace. No! Il tuo essere non può altro che volere, ma profondamente, appassionatamente, di diventare sempre più uno spirito liberamente creatore perché quello è l’essenza dell’umano, è la pienezza dell’umano, è la realizzazione dell’umano; è quello che ti dà più gioia e più contentezza, e quindi anche ti mette in grado di arricchire gli altri al massimo, oltre che te stesso.

Quindi la libertà è il valore più profondo dell’uomo, è la realizzazione più profonda dell’umano ed è il bene morale assoluto; perché il bene morale assoluto è il fenomeno uomo; non c’è un bene morale al di sopra del fenomeno uomo; e bene è tutto ciò che realizza l’umano; male morale è tutto ciò che impoverisce l’umano, che lo distrugge.

Tutto ciò che arricchisce l’umano, che quindi rende l’umano più creatore, più libero, più ricco, è un bene morale. E tutto ciò che impoverisce l’umano… anche l’egoismo, no!, è un male morale soltanto nella misura in cui riesco a dimostrare che impoverisce l’umano. Ma il riferimento della moralità dev’essere sempre la libertà.

Morale, moralmente bene, è ciò che incrementa la libertà; e moralmente male è ciò che rende l’essere umano meno libero.

Allora la tua domanda (CARMINE), messa in modo ancora più concreto, formulata ancora più concretamente è: come faccio io a sapere ciò che mi rende più libero e ciò che mi rende meno libero?

Allora è più concreta la domanda: come fa l’essere umano a sapere quali azioni, quali comportamenti, quali cammini, lo rendono più libero e quali meno libero?

Ci prova, ci prova!

La vita è fatta anche di sperimentare! Tant’è vero, prendiamo un esempio grosso, che tante persone – adesso sono sempre di meno – ma tante persone – andiamo indietro di una generazione, o molti di noi qui, 10 anni fa, 20 anni fa, hanno provato a vedere se – la domanda era adesso: cosa mi rende più libero, cosa mi rende meno libero, come faccio a saperlo? – hanno provato a seguire certi comandamenti della Chiesa… e che cosa ha portato, qual’è il motivo per cui poi un certo individuo – sono tanti – manda a ramengo la Chiesa?

Perché fa l’esperienza che ubbidendo, sottomettendosi ai comandamenti della Chiesa è sempre meno libero!

Allora, per esperienza propria, mando a ramengo la Chiesa e adesso comincio a fare i conti miei: quali cose, quali vie, mi rendono sempre più libero. E un salto qualitativo avviene quando l’individuo si dice: ogni gestione dal di fuori, per struttura, per natura, mi rende non-libero; perché è una gestione dal di fuori.

Essere liberi significa gestirsi – che poi non è più un gestire – dal di dentro.

Quindi il bene morale è la realizzazione del proprio potenziale umano.

Quindi la domanda della moralità è: chi sono io? Perché la realizzazione del mio io è la somma della moralità, per quanto mi riguarda. Quindi la somma del morale, del bene morale, per quanto mi riguarda, è la realizzazione del mio io.

Ora qualcuno diceva oggi: nessuno di noi può realizzare il suo io nell’isolamento; soltanto nella comunità, nella convivenza sociale, nella socialità umana, ognuno realizza il suo io. E allora c’è un’interazione con gli altri esseri umani: io provo, faccio delle cose per vedere se mi appartengono, se fanno parte di me, se sono dimensioni del mio essere o no.

Gli altri mi dicono: sì, sì, sì, quella è una cosa che sai fare bene!, ti appartiene! Più agisci in questo campo, più ti senti libero, più sarai creatore e più feconderai anche gli altri col tuo talento. Oppure gli altri mi dicono: no, no, no, lascia perdere, lascialo fare a un altro!

Quindi la domanda della moralità, centrale, è: quali sono i miei talenti. Perché il bene morale mio è l’esplicazione dei miei talenti. Non c’è un altro bene maggiore! E allora la domanda diventa ancora più concreta: come faccio a sapere quali sono i miei talenti?

Ci provo, e però devo stare attento a quello che mi dicono gli altri! Capito!

Quindi, l’appurare quali sono i talenti… perché l’esplicazione dei talenti è tutta libertà – perché il talento si esprime in libertà, non è che ha delle regole fisse – se uno è bravo in una cosa, è bravo perché sa lui come si fa, e non ha bisogno di norme esterne; se ha bisogno di norme esterne è perché non è bravo.

Quindi è chiaro che è insito nel concetto di talento che si esprime in piena libertà.

Se Dante ha il talento di scrivere la Divina Commedia, non va a chiedere agli altri come la deve scrivere; lo sa lui; è una cosa puramente libera; perché prima che la creasse non c’era la Divina Commedia; e non c’erano delle regole che dicono come deve essere fatta la Divina Commedia; non c’erano proprio!

Allora noi vediamo Dante, leggiamo, e diciamo: questo sì che era talento!

Tra l’altro gli ultimi canti li aveva messi da parte perché diceva: l’umanità deve ancora aspettare prima di arrivare a questi livelli!

Allora la domanda si concretizza: la mia moralità, la mia libertà, sono i miei talenti; i miei talenti sono la mia moralità e la mia libertà, il bene morale e la mia libertà.

Quali sono i miei talenti?

Prova, prova diverse cose!

La gioventù è fatta per provare più cose possibili; il karma mi porta incontro i bisogni degli altri: aiutare, fare un sacco di cose… e facendo più cose possibili, mi rendo conto quali so fare meglio e quali so fare peggio. E gli altri me lo dicono: no, dài, fai qualcosa d’altro! O dicono: sì, sì, lì vai bene! È il tuo mestiere! È la cosa che sai fare.

Quindi, di passo in passo, concretizzando il discorso sempre di più, la moralità, il morale, si assimila ai talenti. Il bene morale di una persona è quello che sa fare bene per gli altri. Più bene morale di quello che io so fare bene per gli altri non esiste! Perché quello che non so fare bene è un male morale perché creo pasticci. Quindi la riccheza specifica di un individuo sono i talenti, quello è il bene morale: di realizzare sempre di più i suoi talenti, di esplicare sempre di più i suoi talenti.

Va avanti lui, e nell’esplicare un talento si è sommamente liberi, perché si è sovrani; non c’è bisogno dell’altro che mi dice come devo fare, come mi devo comportare; se sono in un ambito nel quale non sono talentato… in un ambito in cui, per l’individuo, è il suo talento, lui chiede solo di essere lasciato in pace.

Se noi andassimo a sindacare con Dante che sta scrivendo la Divina Commedia, per dirgli come deve fare, lui dice: no, no, guarda lasciami in pace, la Divina Commedia la scrivo io, non te!

Quindi il valore morale supremo, il bene morale supremo, è l’esplicazione dei talenti. E l’esplicazione dei talenti è puro esercizio di libertà creativa, di creatività libera; perché un talento è una dimensione intrinseca dell’essere, che si esprime, creativamente! Crea mondi sempre nuovi… è come il musicista di talento che ha una potenzialità infinita di melodie; e questo crearle, tirale fuori, esplicare il suo talento, è una creazione libera, che è pienazza dell’essere, che è gioia.

E ogni essere umano, la definizione dell’essere umano – l’ho detto già diverse volte – ogni essere umano è un’infinità di talenti.

Per che cosa ha talento un individuo umano?

Per tutto! Potenzialmente per tutto ciò che è umano; solo che ognuno di noi ha bisogno di diverse vite, e ogni volta ognuno di noi dà precedenza, dà preferenza, ad altri talenti.

E poi il modo di esprimere ogni talento è individualizzato. Però potenzialmente ognuno di noi sa fare tutto, perché è un essere umano, la natura umana gli appartiene in toto, non soltanto un pezzo. Quindi la domanda è: che cosa mi sono riproposto io, questa volta, di mettere in primo pino, come talento, come capacità che alberga potenzialmente nel mio essere.

Vedremo in questo capitolo – ci arriviamo subito – che la morale del dovere è in fondo disumana, antiumana; addirittura la divinità… Eduard von Hartmann e Shopenhauer, sulla falsariga del Budda, per cui l’esistenza è dolore, presentano addirittura l’esistenza umana come creata dalla divinità per liberarsi dal dolore!

Quindi la tua esistenza di uomo – dice von Hartmann – è di contribuire a questo desiderio della divinità di liberarsi dal dolore: ha creato il mondo per liberarsi dal dolore!

Ma allora io sono stato creato soltanto per aiutare Lei a liberarsi dal dolore? Sono soltanto un mezzo per fini suoi?

Questa è la negazione dell’umano!

La risposta della Filosofia della Libertà è che non c’è una morale del dovere e del dolore, ma c’è una morale della gioia e della pienezza, che consiste nel dar fiducia all’umano, presente in ognuno di noi; all’umano individualizzato, di dargli fiducia.

E il senso delle controforze non è quello di darci dolore, ma è quello di aumentare la forza del bene e quindi anche di aumentare la gioia di poterle superare, di poterle vincere.

In altre parole la moralità è anche la scelta tra il pessimismo e l’ottimismo. La morale del dovere è una morale pessimista: tu sei buono, moralmente buono soltanto se fai ciò che devi!

Una persona intelligente, di fronte a questo tipo di morale dice: non si può avere questo tipo di morale senza essere del tutto depressivi! L’unica coerenza sarebbe di diventare depressivi; perché cosa c’è di accattivante, cosa c’è di interessante in una vita dove io devo fare soltanto il dovere! Ho soltanto voglia di andarmene, se sono minimamente intelligente.

(X, 2) Il grado più alto di evoluzione del realismo primitivo nel campo della moralità è quello in cui il comandamento morale (o idea morale) viene pensato come indipendente da ogni entità estranea e, ipoteticamente, con forza assoluta nel proprio intimo. Ciò che prima l’uomo sentiva esteriormente come voce di Dio, ora lo sente come potenza a sé nel suo intimo, la cosiddetta coscienza e parla di questa sua voce interna in modo da porla alla pari con la coscienza.

E di questo abbiamo parlato: della coscienza.

Caso mai poi, nella discussione, può darsi che ci siano ancora cose da dire sulla coscienza, proprio perché constatiamo nell’umanità, gli ultimi anni, che ci sono sempre più persone dove uno si chiede se c’è ancora la coscienza morale.

Tant’e vero che persone più anziane chiedono: ma come, non si fa sentire la voce della coscienza, che certe cose non si fanno!

Quindi è chiaro che sempre più esseri umani vivono, percepiscono il discorso sulla coscienza come moraleggiante, come tentativi di manipolare l’essere umano, di metterlo in riga col ricatto della coscienza. Facendo di tutto perché gli sorgano rimorsi di coscienza, perché si penta, perché abbia la coscienza pulita, deve far di tutto affinché abbia la coscienza pulita; non puoi dormire, hai enormi problemi, ecc., perché hai la coscienza sporca, e allora uno si chiede: ma che significa avere la coscienza sporca; come si sporca la coscienza?

La coscienza dice: devi ubbidire, devi sottometterti, essere insubordinato è una gran brutta cosa! È un male morale!

Questo pensiero c’è in tantissime teste, per la maggoir parte.

Devi ubbidire, puoi essere moralmnte buono soltanto se ubbidisci, se ti sottometti. La coscienza dice: devi fare il tuo dovere! Quindi tantissime persone, anche giovani, sono convinte che c’è un dovere che si deve fare!

Stamattina, quando io dicevo: per una mamma che ha bambini piccoli, si può parlare di dovere? Certo che ci sono certi doveri nei confronti del bambino piccolo! Ed è stato subito scartato perché io stavo dicendo: no, non è necessario viverli come doveri: la mamma con i bambini piccoli può fare tutto ciò che “deve†fare per libera volontà; e farlo in un modo creativo, in un modo pieno di intuizioni artistiche dell’amore, della fantasia dell’amore.

Però, la maggior parte delle persono lo vivono come dovere: devo, devo, devo.

Oppure devi fare la volontà di Dio; la coscienza ti dice che devi fare la volontà di Dio. Perciò abbiamo affrontato la domanda: chi è Dio? Cosa vuole da me?

Io ho fatto la proposta che Dio, supponendo che esista, fuori di me – che non esiste – non ha il diritto di volere nulla da me; non glielo do questo diritto, perché questo diritto sarebbe lesivo della libertà e si contraddirebbe. Lui è libero, mi ha creato a sua immmagine e somiglianza, però vuole che io non sia libero, vuole che io faccia la sua volontà! No, i conti non tornano!

La sua volontà è la mia libertà! Quindi non c’è una sua volontà oltre il mio essere: può soltanto volere il mio essere; e l’essenza del mio essere è la libertà.

Quindi non vuole qualcosa “da meâ€, ma vuole “meâ€! Punto e basta!

Vuole me, e può avere me soltanto se io vivo in piena libertà, altrimenti io non ci sono, mi cancello! Per cui se uno ha il coraggio di pensare queste cose fino in fondo, arriva a certe affermazioni che ti fanno trasalire; affermazioni che dicono: la sottomissione, l’ubbidienza, è l’essenza dell’immoralismo, perché cancella, proprio distrugge, l’autonomia dell’essere umano; e distrugge l’essere umano nella sua essenza; distrugge la libertà. E distruggere la libertà è il male morale di ogni male morale.

Però questa sottomissione, questa obbedienza, viene presentata come il bene morale. Quindi stiamo lavorando ai cardini dell’esistenza, non cose laterali; quindi importante anche è che ci sia un po’ di tempo anche per la discussione in modo che diverse persone, non tutti – non c’è posto per tutti – però diverse persone, ognuno a modo suo, articolino le cose di nuovo e si presentino di nuovo, in problemi di coscienza che si presentano di nuovo, e ci vuole coraggio – ho detto – ci vuole spregiudicatezza per vincere la paura di vivere in piena libertà.

Nessun essere umano, o divino, ha il diritto di dirmi, ha la possibilità di dirmi, ciò che io devo fare; perché ciò che devo fare non esiste! Moralmente buono è soltanto la realizzazione del mio essere più pienamente possibile; e posso realizzare il mio essere soltanto vivendo libero; vivendo liberamente come creatore libero; altrimenti non mi realizzo, e se non mi realizzo sono moralmente morto: il male morale su tutta la linea!

Allora, con la coscienza, no!; abbiamo il gradino di coscienza, quindi la norma morale interiorizzata a livello di coscienza.

(X, 3) Ma con questo è già abbandonato il gradino della coscienza primitiva, e si è entrati nella regione in cui alle leggi morali quali precetti di vita si attribuisce un’esistenza a sé. Esse non hanno più alcun veicolo, ma divengono entità metafisiche che esistono per se stesse. {Perciò dicevo: “devi sottometterti†che tipo di legge morale è?}

Devi ubbidire… da piccolo, mi ricordo, quanti patemi d’animo ogni volta che avevi l’impressione di essere disubbidiente! Gran brutta cosa: disubbidiente! Devi ubbidire ai genitori, al maestro, alla Chiesa, alle autorità. Devi ubbidire!

(X, 3) Ma con questo è già abbandonato il gradino della coscienza primitiva, e si è entrati nella regione in cui alle leggi morali {“devi ubbidire†è una legge morale} quali precetti di vita {“devi ubbidire†è un precetto di vita} si attribuisce un’esistenza a sé.

Da dove viene questo comandamento: “devi ubbidire�

È lì, nella coscienza! Da dove viene?

Non si sa! Non si sa da dove viene… dalla cultura, dalla Chiesa, dall’educazione, dalla società, dall’interesse delle autorità di tenerti bravo e tenerti sotto… Comunque l’individuo ha interiorizzato questa norma morale ed è come un fantasma che lo soggioga!

(X, 3) Esse non hanno più alcun veicolo, ma divengono entità metafisiche che esistono per se stesse.

Devi ubbidire. E di fronte al pensiero di disubbidire ho paura! Ho paura di essere cattivo, ho paura di andare all’inferno: ho paura! Perché questa voce, questa legge morale mi dice: disubbidire è male!

E dicevo: da lì a ribaltare e fare l’affermazione opposta, e dire: ubbidire è l’essenza del male morale, ce ne vuole di coraggio!

E perché ubbidire è l’essenza del male morale?

Perché sta nel soggiogare il mio essere ad un altro essere; sta nel distruggere la mia autonomia, nel distruggere la mia libertà, nel distruggere la mia creatività.

Quindi ubbidire significa distruggere la mia autonomia, distruggere la mia libertà, distruggere il mio essere, e fare quello che vuole un altro, quello che dice un altro!

Più male morale di così non esiste!

Però la coscienza, resa prigioniera dalle paure di fronte al potere, dice l’opposto!

Devi ubbidire, sei buono soltanto se ubbidisci!

Invece la morale della libertà dice: quando ubbidisci sei moralmente morto: cattivo su tutta la linea, perché ti annulli; distruggi la tua libertà, distruggi la tua creatività e la tua autonomia; è il fattore di male morale massimo che si possa immaginare.

E stavo dicendo: immaginiamo di avere qui in sala una platea di cattolici – che ci sono ancora, bene o male – è una cosa terribile che sto dicendo, terribile terribile!

Una persona che dice le cose che sto dicendo, insomma, quando muore – più presto possibile meglio è – va subito all’inferno!

Quindi è importante rendersi conto in quali cammini di coscientizzazione noi ci troviamo; che non serve fare discorsi che si fermano a metà strada, perché non si ha il coraggio di portare i pensieri fino in fondo. Non serve a nulla! Compromessi in questo campo non servono a nulla, non creano pulizia!

Che poi io, per questa svolta copernicana della morale, io abbia bisogno forse di secoli… ma non dobbiamo barare, non dobbiamo scendere a compromessi sulla direzione dell’evoluzione.

E la direzione dice: la moralità ha due fasi: la prima fase è la gestione dal di fuori, la fase dell’infanzia. Nella fase dell’infanzia la gestione dal di fuori è moralmente buona o cattiva?

Né buona, né cattiva; è pre-morale, è necessaria! Come era la corporeità!

A partire dalla svolta, la gestione dal di dentro è il bene morale, e continuare ad essere gestiti dal di fuori è il male morale!

(Schema alla lavagna)

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Qui (sin.) la gestione dal di fuori è necessaria perché non c‘è ancora la possibilità di gestione dal di dentro; qui (dex), dove c’è la possibilità in ogni essere umano, ai nostri tempi, di gestirsi dal di dentro, la gestione dal di fuori è la controforza; però se io cedo alla controforza è un male morale, perché mortifico, annullo, distruggo, la gestione dal di dentro; e la gestione dal di dentro è ciò che noi chiamiamo la libertà, è ciò che chiamiamo la creatività, ciò che chiamiamo la pienezza dell’essere umano.

2000 anni – siamo qui – dovuti all’inerzia insita nella natura umana – in quanto controforza, quest’inerzia –. Dopo 2000 anni siamo ancora all’inizio, che tanti non hanno neanche cominciato a compiere questo capovolgimento della morale; dove l’affermazione fondamentale della morale dice: ogni gestione dal di fuori, e anche la coscienza, nella misura in cui viene vissuta come una voce dal di fuori, che non sono io, ma è “la mia coscienzaâ€, è l’essenza del male morale; perché è l’abdicare, il distruggere, l’autonomia e la libertà dell’io, e anche la sua specificità, la sua unicità, tutta da creare, tutta da esprimere.

(X, 3) Sono analoghe alle forze visibili-invisibili del realismo metafisico che non cerca la realtà attraverso quella partecipazione a tale realtà che l’essere umano esercita nel pensare, ma che col pensiero la aggiunge quale ipotesi a ciò che viene sperimentato. Anche le norme morali extraumane {la volontà di Dio, così come viene concepita, è una norma morale extraumana} appaiono sempre come un fenomeno accompagnatore del realismo metafisico. {Che ha bisogno di esseri che esistano fuori del mio pensiero, che esistano fuori di me, e dal di fuori mi gestiscano, hanno una volontà su di me, che io devo eseguire.}

Il realismo metafisico deve infatti cercare l’origine anche della moralità nel campo di un reale extraumano. {La volontà di Dio è un ottimo esempio: l’origine della morale è la volontà di Dio.} Vi sono qui varie possibilità. Se l’essere umano presupposto è un essere in sé non pensante e agisce per leggi puramente meccaniche, {la natura; esiste soltanto la natura, esistono soltanto leggi di natura: il materialista} come il materialismo se lo rappresenta, allora per pura necessità meccanica originerà da sé anche l’individuo umano {come fatto di natura} insieme con tutto ciò che gli è connesso. {Quindi non c’è la libertà, e quindi, non essendoci la libertà, non c’è moralità.}

La coscienza della libertà non può in tal caso essere che un’illusione perché, mentre io mi considero come creatore delle mie azioni, opera in me la materia di cui sono costituito con i suoi processi di movimento. {Deterministici. Quindi secondo questa visione materialistica anche dell’uomo: l’uomo è fatto di leggi di natura, le forze di natura; nella biologia umana sono così complesse che io, non riuscendo a conoscerle tutte, mi illudo di essere libero! Soltanto perché non conosco tutta la complessità del biologico, tutta la complessità dei geni che mi condizionano, secondo forze di natura determinate, deterministiche, necessitate, tutt’altro che libere.}

Mi credo libero: ma tutte le mie azioni non sono in realtà che risultati di processi materiali che stanno a base del mio organismo corporeo e spirituale.

Quindi, mi illudo di essere libero, ma non lo sono, secondo questa visione.

(X, 3) Abbiamo il senso della libertà soltanto perché ignoriamo i motivi che ci costringono. Citazione «Dobbiamo far rilevare che il sentimento della libertà poggia sull’assenza di motivi esteriori coercitivi». {Ma non perché ci sono motivi esteriori coercitivi vuol dire che non ci sono motivi interiori, a partire dal corpo, che mi costringono ad agire in un certo modo} … il sentimento {illusorio}della libertà poggia sull’assenza di motivi esteriori coercitivi. Il nostro agire è necessitato come il nostro pensare». (Ziehen. Manuale di psicologia fisiologica, pag. 207).

(X, 4) Un’altra possibilità è quella che qualcuno veda in un essere spirituale {quindi non nella materia vede il fattore di conduzione dell’evoluzione del mondo, ma in un essere spirituale che ha creato la materia magari} l’assoluto extraumano che risiede dietro ai fenomeni. Cercherà allora in una tale forza spirituale anche lo stimolo all’azione. Quei principii morali che si trovano nella sua ragione saranno da lui considerati come emanazione di questo essere in sé, che ha le sue particolari intenzioni nei riguardi dell’uomo.

Quindi il creatore dell’uomo, questo essere spirituale chiamato Dio, ha i suoi intenti, persegue i suoi intenti nei riguardi dell’uomo, ha le sue particolari intenzioni nei riguardi dell’uomo, vuole dall’uomo qualcosa; e la moralità consiste nel fare ciò che lui vuole da me.

A questo punto siamo nella morale tradizionale di molti esseri umani che sono ancora in questo atteggiamento di paura, di sottomissione, di fronte a ciò che Lui vuole da me.

Oppure di ribellione del pubertario che dice: no, no, non mi va più di fare la volontà di un altro! A questo punto siamo oggi con la morale.

Però ribellarsi contro la volontà di Dio, non è ancora costruire una libertà positiva: è soltanto libertà negativa: mi affranco da questo fantasma in base al quale mi hanno impaurito, mi hanno ricattato, ma questo non significa che io, mettendo in atto questa liberazione negativa da questa conduzione dal di fuori, ho trovato la libertà positiva! Son due cose diverse!

(X, 4) Le leggi morali appaiono al dualista di questa tendenza come dettate dall’assoluto, {al posto della parola assoluto ci potete mettere Dio. In tedesco l’assoluto sarebbe in maiuscolo: l’essere assoluto, ecco, il creatore del tutto; il capo supremo} e l’uomo, per mezzo della sua ragione, deve semplicemente ricercare ed attuare i decreti dell’essere assoluto. L’ordinamento morale del mondo appare al dualista come un riflesso percepibile di un ordinamento superiore che risiede dietro di esso. {Oltre, al di là, fuori. In questo consiste il dualismo: c’è un mondo dentro di me e un mondo fuori di me. E il mondo fuori di me comprende soprattutto l’essere assoluto, il creatore del mondo, o Dio, che creandomi esprime dei desideri, esprime delle intenzioni, esprime una volontà nei riguardi del mio essere.}

Perciò dicevo oggi: dare un calcio nel sedere a questo Dio inventato per ricattare gli esseri umani, richiede non poco coraggio; però non c’è acquisizione di libertà senza passare per questa morte di Dio, come la chiama Nietszche.

L’ateo è il credente ulteriormente evoluto; l’ateo è colui che ha fatto un passo in più che non il credente; quindi ogni credente è potenzialmente, se non si ferma, un ateo.

Quindi i gradini sono: da bambini si è credenti, poi c’è la fase di pubertà dell’ateo, e questa fase va passata, altrimenti si resta indietro; e dopo, la terza fase è dove io mi riempio del divino, perché l’ateo è senza il divino, nega soltanto il divino. Invece il passo successivo è di riempirmi del divino, di diventare sempre più uno spirito creatore. Allora il Dio, il divino, ritorna, però soltanto dentro di me, e creato da me! Allora va bene!

Allora i tre passi sono: l’essere umano più indietro di tutti è il credente, perché è ancora bambino; un passo più avanti, che tutti devono fare – come la pubertà: bisogna passarci – è l’ateismo; e nessun essere umano ha la possibilità di arrivare al terzo grado senza essere passato per l’ateismo, perché l’ateismo, l’ateo, è colui che ha distrutto un Dio che non c’è mai stato! E distruggere un’illusione è un passo avanti: il Dio là fuori è un’illusione!

L’illusione è una cosa reale o no?

In quanto illusione è reale, e perciò va superata – in quanto illusione! –.

Allora divento ateo.

Goethe aveva un amico, un pastore protestante, si chiamava Jacobi; e questo Jacobi aveva problemi suoi con Goethe perché pensava che Goethe fosse veramente un grande ateo. E Goethe una volta s’è arrabbiato e gli ha scritto una lettera dicendo: campa cavallo che l’erba cresce!, quando tu comincerai a capire certe cose arriverai anche tu ad essere ateo, ciò che tu chiami ateo!

Quindi la fase dell’ateo è la fase in cui, finalmente, il Dio che ricatta fa posto all’essere umano.

Quali erano le due armi massime di ricatto del Dio tradizionale?

Il paradiso e l’inferno!

Puro ricatto, una morale di ricatto! E tantissime persone hanno vissuto l’inferno in terra per poter andare in paradiso. Per fortuna hanno preso una buggerata tale che gli vien voglia di tornare sulla terra e vivere il paradiso sulla terra; perché se non lo vivi sulla terra… se sulla terra vivi l’inferno, perché ti castri, ti maceri, ecc., ecc., ti sei esercitato solo all’inferno, sei capace di vivere soltanto nell’inferno; non sei capace, non puoi essere un candidato per il paradiso. Allora Dio ti rimanda sulla terra e ti dice: vai sulla terra e pratica un pochino cosa significa vivere in paradiso; allora sì, ti troverai a casa tua in paradiso.

Quindi inferno e paradiso sono due stati di coscienza!

Il vero inferno è la gestione dal di fuori e il vero paradiso – l’unico che c’è – è la libertà: la gestione dal di dentro. Un paradiso migliore non esiste; migliore paradiso che la creatività dello spirito, il godimento dell’artistico, dell’amore fantasioso all’infinito! Più paradiso di questo non c’è!

Gli angeli – dice R. Steiner – ci invidiano questo paradiso perché loro non conoscono la libertà dell’uomo: ce la invidiano! E noi che potremmo afferrarla a piene mani, ci lasciamo ricattare! Abbiamo problemini di coscienza ogni volta che ci permettiamo minimamente di essere liberi!

Quindi l’ateo è un gradino di coscienza ulteriormente evoluto rispetto al credente; e ogni credente che non si ferma deve, per forza, passare per la posizione dell’ateo.

Oppure si ferma, che è molto peggio! Il credere è la povertà di chi non sa capire! Ma capire è molto meglio che non credere. Posso credere soltanto in ciò che non capisco. Se lo capisco non dico: ci credo; lo capisco, lo penso, lo capisco.

(X, 4) La morale terrena è la manifestazione dell’ordinamento extraumano dell’universo. Quest’ordine morale non dipende dall’uomo, ma dall’essere in sé, dall’essere extraumano. L’uomo deve ciò che tale essere vuole. {Più castrazione di questa non esiste! Più disumano di così non si può!}

Eduard von Hartmann – che si rifà al buddismo, sulla falsariga di Shopenhauer – tra l’altro Steiner ne parla perché era il filosofo dominante a Berlino, a quei tempi, e gli ha mandato la prima copia della Filosofia della Libertà. E. von Hartmann ci ha scritto un sacco di commenti, dove considera Steiner proprio matto, perché glielo ha rimandato indietro tutto annotato – commenti che abbiamo –. Una volta ho fatto un seminario, in Germania, su questi commenti di E. von Hartmann sulla Filosofia della Libertà di Steiner.

(X, 4) Eduard von Hartmann, che rappresenta l’essere in sé {che pensa l’essere in sé} come una divinità per la quale l’esistenza propria è dolore, {il Budda dice: l’esistenza sulla terra è dolore, quindi nell’umanità la divinità vive il suo dolore; e tu, il tuo dovere morale di individuo, è di contribuire a liberare la divinità da questo immane dolore che è il mondo!}

Fino a che questo mondo poi sparisce e la divinità si è liberata da questo dolore!

Quindi, il mondo è il grande dolore della divinità e la tua vita, il dovere della tua vita, il bene morale della tua vita, è di contribuire, con la tua parte, a liberare la divinità da questo mondo – che sparisca al più presto – e liberarla così dal dolore.

Uno si chiede: come fa una persona intelligente a fare una pensata di questo tipo!

Ed. von Hartmann era militare, nell’esercito; si è fatto male ad un ginocchio, scriveva seduto con la gamba alzata, e ha scritto tutta una biblioteca! E siccome lui, insomma, la sofferenza, il dolore, ce l’aveva nel quotidiano, ne ha fatto una filosofia.

La moralità è un ricatto di un Dio sull’uomo: l’uomo deve fare di tutto per liberare Dio dal suo dolore, che è il mondo!

Se le cose stessero così, c’è da spararsi, scusate!

Eduard von Hartmann, che rappresenta l’essere in sé come una divinità per la quale l’esistenza propria è dolore, crede che questo essere divino abbia creato il mondo allo scopo di venire, per mezzo del mondo stesso, liberato dal proprio infinito dolore. Questo filosofo considera perciò l’evoluzione morale dell’umanità come un processo che esiste appunto per liberare la divinità.

Quindi non è la divinità che libera l’uomo; è l’uomo che libera la divinità! E non ci dice neanche grazie, tra l’altro! Citazione: «Soltanto edificando un ordinamento morale del mondo da parte di individui ragionevoli e autocoscienti, il processo del mondo potrà venir guidato alla sua meta. L’esistenza reale è l’incarnazione della divinità, il processo del mondo è la storia della passione di Dio divenuto carne, e nello stesso tempo la via alla redenzione del crocifisso nella carne; e la morale è il contributo all’abbreviamento di questa via di dolore e di redenzione» (Hartmann: Fenomenologia della coscienza morale, pag. 871).

Un tomo di questa portata! L’ho comprato una volta da un antiquario per 10 marchi, a quei tempi; non l’ho letto tutto, eh! Ci ho provato soltanto quando non riuscivo ad addormentarmi e ha funzionato subito! Ha scritto un volume dopo l’altro: 800/900 pagine come fosse nulla! Ed era il filosofo di guida a quei tempi, a Berlino!

(X, 4) Qui l’uomo non agisce perché vuole, bensì deve agire perché Dio vuole essere liberato. Come il dualista materialista fa dell’uomo un automa il cui agire è unicamente il risultato di leggi puramente meccaniche, così il dualista spiritualista {dualista nel senso che c’è l’umano qui e il divino là} (cioè colui che vede l’assoluto, l’essere in sé, in una essenza spirituale alla quale l’uomo, con la sua esperienza cosciente, non prende alcuna parte) {che è fuori quindi dall’uomo} ne fa uno schiavo della volontà di quell’assoluto. Dal materialismo come dallo spiritualismo unilaterale e, in genere, dal realismo metafisico che si rivolge al sovrumano come a vera realtà, ma che non sperimenta quest’ultima, la libertà è esclusa.

(X, 5) Tanto il realismo primitivo quanto quello metafisico devono per una medesima ragione di coerenza negare la libertà, {se l’uomo è puramente un essere di natura, di leggi di natura, non c’è la libertà; se l’uomo è fatto per eseguire la volontà di un essere divino, di un essere assoluto fuori di lui, quindi non la sua volontà} perché entrambi vedono nell’uomo soltanto l’esecutore o il realizzatore di principii impostigli di necessità. {Dal di fuori: o dalla natura, o dalla divinità.} Il realismo primitivo uccide la libertà sottomettendo l’uomo all’autorità di un essere percepibile o pensato in analogia con le cose percepibili, oppure alla voce astratta interiore che egli interpreta come “coscienzaâ€; il metafisico, che ammette soltanto l’extraumano, non può riconoscere la libertà perché considera l’uomo come determinato, meccanicamente o moralmente, da un “essere in séâ€. Che è fuori di lui!

(Pausa)

A.: Allora, chi c’era che voleva… ti sei dimenticata quello che volevi dire?

I. 1: Tornando al “devi ubbidireâ€, c’è quello schema che è stato fatto: c’è da una parte la gestione dal di fuori che riguarda, abbiamo detto, l’infanzia. L’infanzia sino alla maggiore età, non infanzia intesa soltanto fino al 7° anno…

A.: Con quella fase di trapasso che chiamiamo pubertà, l’adolescenza.

I. 1: Quindi dobbiamo arrivare fino alla formazione dell’io, per superare quella fase; per lo meno Steiner parla del 21° anno. Quindi parliamo adesso della libertà individuale, come prima il bene morale e la realizzazione dell’io, io; prima ci deve essere un io per poter realizzare questo bene morale. Quindi il “devi ubbidire†in senso assoluto, non può essere definito in senso assoluto perché abbiamo una certa fascia di età che a questo punto deve sottostare all’ubbidienza.

A.: (chiede di ripetere)

I. 1: Età, età anagrafica; parliamo appunto dell’infanzia, del bambino che deve ubbidire alla mamma, al maestro; quindi in senso assoluto non possiamo utilizzare la parola, dire: ubbidire è male, il male morale; perché dopo l’ubbidienza, se viene a ledere il mio io, allora in quel caso diventa un male morale, ma fino a quando non c’è questa necessità, perché la gestione dal di fuori è una necessità, è una necessità anche il fatto di ubbidire!

A.: No, proprio no! Un bambino che ubbidisse sarebbe un fenomeno contro natura! Il bambino non sa neanche che cosa sia ubbidire; per fortuna! Il bambino imita e imitare è tutt’altra cosa che ubbidire; quindi l’ubbidire è sempre moralmente male, perché soltanto l’adulto, che non dovrebbe ubbidire, può ubbidire!

LUCIANA: Chiamiamo impropriamente ubbidire quello che il bambino fa nell’imitare. Noi lo chiamiamo impropriamente ubbidire.

A.: Ora, questo “chiamare impropriamente†si esprime nel linguaggio. Il linguaggio improprio all’origine è sempre un errore di pensiero; e un errore di pensiero è un fatto anche morale enorme, importantissimo, capito! Quindi non è soltanto che la terminologia è sbagliata, no, il pensare è sbagliato! Perché una mamma, un genitore, o un maestro, una maestra, che ha in testa il concetto che il bambino deve ubbidire, distrugge enormi forze nel bambino; perché si pone come un’istanza morale a cui va ubbidito, che è assoluta poltroneria morale per risparmiarsi di presentarsi come un’autorità che agisce per contagio!

I. 1: Perché è immorale chi presenta l’ubbidienza.

A.: Certo, certo!

I. 2: A chi giova far ubbidire tutti questi adulti, tutti questi commercianti, questi medici, questi avvocati?

A.: Al potere! Al potere!

I. 2: Perché?

A.: Al potere, ma è chiaro! Dove gli esseri umani ubbidiscono ci sono sempre interessi di poteri! L’ubbidire è il soverchiare di una volontà morale sulla volontà dell’altro. Quindi è un puro esercizio di potere, e di annullamento dell’altro. Quindi giova al potere.

PAOLO: Nel fascismo si diceva: credere, obbedire, combattere. Il motto fascista era questo!

A.: Sul credente abbiamo detto qualcosa, sull’ubbidiente abbiamo detto qualcosa, sul combattente… metteteli insieme tutti e due: il credente e l’ubbidiente è un combattente! Perché si può ubbidire e credere soltanto picchiando.

ELENA: Tutto il discorso sulla libertà mi richiamava, man mano che si svolgeva, alcuni passi evangelici…

A.: Bene! Son contento!

ELENA: …che riportano in fondo l’atteggiamento del Logos durante la sua presenza sulla terra.

A.: Un esempio, uno o due!

ELENA: Allora, tutte le proposte che fa sono le proposte fondamentali, importanti, per l’uomo che vuole mettersi al suo seguito e che quindi vuole andare dietro a lui, e cominciano con: se vuoi! Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai, dirà al giovane ricco. Se qualcuno vuol venire dietro me, rinneghi se stesso, ecc., ecc. Il “se vuoi†è l’introduzione a tutto il suo discorso. E questi due esempi li collego ad un’altra frase, sempre del Cristo, riportata dai vangeli, che dice: il mio giogo è leggero, e perché il mio giogo è leggero?

Forse è una mia inferenza sbagliata, ma il mio giogo è leggero, perché il mio giogo è la libertà!

A.: Certo! Un’altra frase che ritorna continuamente nei vangeli; noi si pensa: l’ha guarito lui il malato! E lui dice sempre: la tua fede ti ha salvato!

Quindi: è la tua forza interiore che ha creato i presupposti perché queste forze corporee possano… se non ci fossero stati in te i presupposti, non esiste che dall’esterno ti si imponga qualcosa che non calza con il tuo essere. Quindi a ogni essere umano succede soltanto ciò che calza col suo essere, perché ciò che non calza col suo essere è una lesione della libertà.

Al cieco dice: che vuoi? E il cieco dice: vorrei vedere! È una domanda retorica?

Il Cristo dice: guarda che la guarigione non può avvenire se non la vuoi; quindi alla base ci deve essere il libero volere.

E i vangeli sono pieni, non soltanto quello di Giovanni, tutti! Sono pieni! E se noi li traducessimo con coraggio e pulitamente, il discorso dei vangeli è molto più radicale del mio! Molto! Perché non ci mette tutte le spiegazioni che aiutano… no!, son botte! Per fortuna che finora non si sono capite!

ELENA: E quindi la Chiesa cattolica, ora tanto per ritornare su un tema…

A.: Attenta, eh! Attenta ora che parli della Chiesa cattolica!

ELENA: Tanto per ritornare su una situazione che hai evocato molto bene, è vero che strada facendo, nei secoli, avrà perso le chiavi di lettura di tutto il messaggio esoterico, però anche il messaggio exoterico è chiaro! Quindi, voglio dire, c’è stato un tradimento di fondo anche in ciò che era palese.

A.: Nella casa editrice Archiati, in Germania, abbiamo, appena un mese fa, pubblicato delle conferenze di Steiner – opera omnia 175: Contributi alla conoscenza del mistero del Golgota –. Noi abbiamo chiamato queste conferenze, il nostro volume si chiama: il mio regno non è di questo mondo.

Da quando, con la dote di Costantino, il cristianesimo è diventato religione di stato, nel IV° secolo, all’inizio del IV° secolo, da allora la Chiesa è diventata, fino ad oggi, un potere di questo mondo.

Ora, il potere di questo mondo è lo spirito diametralmente opposto al Cristo che dice: il mio regno non è di questo mondo!

Quindi i due impulsi fondamentali di cui stiamo parlando sono: la libertà e il potere. E bisogna scegliere! Dove c’è potere non c’è libertà e dove c’è libertà non c’è potere! Chi ha la libertà non ha bisogno dello strapazzo del potere, è una pesantezza infinita!

Ma ritorna quello che mi disse mio padre – ve l’ho raccontato – quando ero ancora piccolo, come si fa col potere. E mi ha detto: hai soltanto due possibilità: o diventi più potente del potente, però pensaci due volte perché avrai da sbuffare! E se poi non ci riesci… Oppure, in che immagine ha espresso la libertà? Avere le gambe buone!

Quindi preoccupati: o devi diventare più potente del potente, e allora lo sopraffai, oppure devi avere gambe buone. E gambe buone sono la libertà. Se no son dolori, dice lui. Gambe buone! Spostarsi un pochino dal potere e lasciarlo fare quello che vuole.

Perciò dicevo questa mattina: la libertà consiste anche nel fatto che lo stato può fare tutte le leggi che vuole, basta che a me non mi “tangano†più di tanto! E ai livelli in cui mi costringono ad andare in piazza a salutare il Furer, non ci siamo, via! E allora di cosa vogliamo lamentarci, tutto sommato! È questo che stavo dicendo. Andiamo cercando scuse per non afferrare la libertà, perché per afferrare la libertà bisogna vincere la pigrizia, bisogna vincere l’inerzia, bisogna… non è che “bisognaâ€: se vuoi! Se vuoi vivere da libero le condizioni sono queste, queste e queste. Non si può vivere da liberi senza far nulla, per la libertà. La libertà è un modo di essere che si conquista, di giorno in giorno.

Interv. 3: Io non posso far altro che usare, sentire, appropriarmi dei tuoi concetti e forse provocare un’altra volta…

A.: Senza capire, o capendoli?

I. 3: No, forse per arrivare ad un costrutto antico che sta contro di me, che non ingoio e che è la simpatia, o la comunanza, un rifiuto poi, per il Vecchio Testamento; perché tutto quello che tu hai detto rispetto al Vecchio Testamento non fa una piega per rifiutarlo, in genere; tutto quanto! Perché non mi sembra che stiamo facendo atto…

A.: Non ti capiamo bene.

INTERV.3: Non mi sembra altro che tutto quello che tu hai detto, e dici sempre, che poi io sintetizzo e rifiuto già questa grande opera, che per me è soltanto un’opera di costruzione umana che è il Vecchio Testamento, che a me non è mai piaciuto e che così facendo io ci vado ancora più a sbattere contro!

A.: La fase dell’infanzia! I Vecchio Testamento è prima della svolta!

I. 3: Allora va letto quando abbiamo tempo, proprio! Perché non serve più! Sì, o no?!

A.: E la Chiesa cattolica ti dimostra il suo crescente anacronismo con il fatto che il Papa va a parlare al Bundestag e cita il Vecchio Testamento, come se il nuovo non esistesse!

I. 3: Senza parlare dei protestanti! Grazie!

A.: La Chiesa cattolica non ha ancora scoperto che esiste il protestantesimo, scusa! …Poi si son trovati cattolici con protestanti, via!

I. 4: Chi ha il potere non è libero!

A.: Certo!

I. 4: Perché esercita una coercizione e quindi se è immorale non è libero.

A.: Sì, però lo dici perché l’hai ripetuto. Ma perché non è libero? È quello che cerchi di dire. L’articolazione del pensiero: perché non è libero?

I. 4: Eh, prima ce l’avevo, adesso mi sono persa!

A.: Eh, si vedeva! Ti è scappato!

I. 4: Però, ecco, questo pensiero è che chi esercita il potere non è un uomo libero.

A.: Perché?

INTERV4: È schiavo del suo egoismo.

A.: Perché? Lo dici solo!

I. 4: Eh, lo dico solo…

A.: Chi ci prova? Articolare il modo in cui rende gli altri non liberi, se lo permettono, è diverso da articolare il modo in cui rende se stesso non libero. È quello che cercava lei, di articolare (INTERV. 4)

I. 5: Penso perché il potere, in quanto realtà, sua spirituale esistente, ha delle regole che devono essere… ha delle regole che devono essere eseguite per continuare ad esistere; per cui se io voglio mantenere il potere devo seguire quelle regole che il potere detta.

A.: Quindi l’esercizio del potere ha delle leggi ferree, che non hanno nulla a che fare con la libertà. E può esercitare il potere, ed essere potente, soltanto attenendosi a queste leggi ferree; altrimenti perde il potere.

I. 6: E quali sono queste leggi ferree?

A.: Te ne dico una grossa! Una grossa, ti basta? Non si può esercitare potere senza mentire! Un potere che comincia a dire la verità termina di essere potente. E questo ti basta.

Quando Barack Obama, il presidente degli Stati Uniti, parla di libertà devi sapere che per forza deve mentire, se no non sarebbe così potente.

La verità la può dire solo chi è libero; chi è potente non può dire la verità, perché spazzerebbe via tutto il suo potere.

Andiamo a bombardare l’Irak, andiamo a bombardare la Libia, adesso arriva la Siria, poi arriverà l’Iran; tutto per difendere la democrazia nell’umanità!

Te ci credi? E allora! Un potere che dice la verità non c’è mai stato!

Se Roma è un potere, la Chiesa cattolica deve mentire, in modo molto raffinato, però deve mentire. E in che modo mentisce?

Ha stravolto il messaggio del Cristo; gli fa dire l’opposto di quello che ha detto! Più menzogna di così!

In queste conferenze: il mio regno non è di questo mondo, Steiner tra le altre cose cita un cattolico francese che dice: per fortuna, nel corso dei secoli, c’è stata la Chiesa cattolica, tra l’altro intimamente connessa con le tradizioni della Francia – nazionalismo, capito! – e per fortuna c’è stata la Chiesa cattolica ad ammansire l’estremo anarchismo del Salvatore!

E la Chiesa cattolica tutta contenta che questo cattolico francese ha scritto queste cose.

Quindi il Cristo viene presentato come un estremo anarchico, e per fortuna c’è stata la Chiesa cattolica che l’ha ammansito!

ELENA: Ma, Pietro, se da una cosa ne tiri fuori un’altra, pensa alla frase che il Cristo dice alla samaritana: donna è venuto il tempo, ed è questo, in cui né sul monte Garizim, né a Gerusalemme, si adorerà Iddio, Dio si adorerà in spirito e verità. Dimmi che cosa ne ha fatto la Chiesa?

A.: Ma scusa, da quando c’è Roma, la città eterna, è chiaro che Gerusalemme non ha più nulla da dire e neanche il monte Garizim. A Roma! Non lo sapevi?

I. 7: Rispetto al potere: però c’è anche il potere che ci si ritrova ad avere per il fatto che gli altri si fidano di te e hanno gratitudine e devozione nei tuoi confronti. Questo è potere di fatto; però non è in conflitto col fatto di dire o meno la verità, anzi!

A.: Allora, gli altri si fidano… si fidano di chi? Dammi un esempio concreto!

I. 7: Ti danno fiducia; a te per esempio.

A.: A me! Allora, il relatore, per esempio un Archiati, esercita un enorme potere perché la gente si fida e crede a tutto quello che dice.

Io non ho il diritto di proibire alle persone in sala di essere bambini, se lo sono! Prima cosa! Perché se qui ci sono bambini, sono bambini! E siccome i bambini credono a tutto quello che dico senza averlo capito, a cosa credono? A nulla! Perché le mie affermazioni hanno senso soltanto se vengono capite! Cioè in quello che io dico – tu hai preso l’esempio concreto, quindi concretizzandolo è più facile – non c’è nulla da credere! Se voi pensate che ci sia qualcosa da credere in quello che dico, ma proprio non avete capito nulla. Non c’è nulla da credere!

O io affermo qualcosa, a modo mio, ognuno a modo suo, e allora lo capisco e vado benissimo, allora faccio passi avanti, ma da credere non c’è nulla.

Dimmi un esempio di qualcosa che si può credere, in quello che io ho detto!

I. 7: Allora cambio esempio, mi è venuto in mente…

A.: Aaah! Allora questo io lo chiamo barare!

I. 7: No, è per dare un altro esempio, perché uno potrebbe anche avere… Uno prende appunti e poi le sue percezioni si trasformano perché tutto ciò che è vero…

A.: Scusa, scusa, l’abbiamo detto prima, che c’è la possibilità in ogni maestro, in ogni genitore, di fraintendere – quello che abbiamo chiamato la gestione dal di fuori, che è necessaria – come esercizio di potere, come richiesta di ubbidienza. Però questo esercizio di potere richiedendo, da parte del bambino, l’ubbidienza, è un errore, è un inganno. Chiedere l’ubbidienza al bambino, come la chiamiamo… è un esercizio di potere illecito! Disumano! Che va contro la natura del bambino.

Interv. 7: Comunque dicevo: cambiare esempio. Per esempio, io tendo a creare, sul lavoro, rapporti in cui il cliente si fida ciecamente nei miei confronti; cioè mi crede e lì mi deve credere; dico delle cose e mi deve credere; e si crea una situazione di fatto in cui, pur non cercandolo, io di fatto vedo che ho un enorme potere, perché sono io che determino il fatto.

Questa è una cosa così: è la mia esperienza; penso che sia una cosa comune, ecco perciò una considerazione perché mi riguarda e ci ho riflettuto in alcuni momenti.

A.: Supponiamo che uno venda delle cose; e vuol vendere!

Esercita potere abbindolando l’eventuale compratore, suggestionandolo, in modo che quello compri!

PAOLO: Eh, ma dipende da come lo usi questo potere, scusa Pietro. Tutti noi abbiamo potere e tu hai un potere, tutti hanno un potere!

A.: Sì e no, sì e no! Adesso lei (INTERV. 7) diceva: il potere a livello quotidiano, il potere capillare, il potere a tutti i livelli nei rapporti; marito e moglie è chiaro che esercitano… però a questo punto la parola potere la dobbiamo mettere tra virgolette, di nuovo!

Un influenzarsi a vicenda, esercitare influssi vicendevoli, non è necessariamente un potere. Facciamo un passo indietro e chiediamoci: qual’è l’essenza del potere?

L’essenza del potere è la lesione della libertà altrui.

PAOLO: Senti Pietro, io sono medico, ho un potere…

A.: No, non necessariamente!

PAOLO: Ascolta, io mi rendo conto che nelle parole che io dico al paziente, su di lui esercito… io gli dico una cosa e lui la prende come una cosa vera! Io sento che devo dirgli una cosa massimamente vera, per non cadere nella coercizione; non so che parola dire, per non influenzarlo al di là di quello che è un’informazione che io gli do. Però mi rendo conto che io gli dico una cosa e lui crede a quello che gli dico!

A.: No! Sei fuori pista! L’esercizio del potere non sta nel fatto che tu dica la verità o no; sta nel fatto che l’altro, senza capire, ti crede. È questo rinunciare a capire che è non-libertà. Però il suo rinunciare a capire, indipendentemente che io dica la verità o no, il suo rinunciare a capire sono affari suoi, io non c’entro!

Se lui invece ha la volontà di capire, resta libero; e ha la libertà di dirmi: questo lo capisco e questo non lo capisco, me lo ripeti un’altra volta?

Ed anche dopo 5 volte, se è sincero, mi dice: non l’ho ancora capito, e resta libero! Quindi la rinuncia a capire… il capire è la gestione dal di dentro. C’è soltanto un tipo di gestione dal di dentro, ed è il capire le cose.

PAOLO: Per cui se io gli riesco a far capire quello che gli voglio dire…

A.: Nooo! Non esiste il far capire!

PAOLO: Gli spiego una cosa che lui non conosce; gli spiego una cosa tecnica che lui non può conoscere.

A.: No!Tu no puoi far capire a un altro, non sei mai la causa del suo capire. Tu puoi essere la condizione necessaria, però la causa del capire, o non capire, è lui! È soltanto lui! E questo è importante, scusa!

ROBERTO: Lui è la “conditio sine qua non†perché non capisca.

A.: Ma no, neanche quello.

PAOLO: Però io me lo domando sempre perché io lo sento questo; cioè, non so come districarmi in questa cosa, perché io sento di avere un potere.

A.: No, no, il fenomeno che tu descrivi e il fenomeno che lei descriveva, è che… e l’avete descritto in un modo errato, proprio colpendo fuori centro.

Il fenomeno che voi state descrivendo è la poltroneria molto diffusa, dove le persone omettono i cammini di pensiero per capire! Non lo fanno!

Tu gli puoi dire tutto quello che vuoi, gli puoi dire tutte le verità che vuoi, puoi far di tutto perché capisca, ma lui, diciamo, i cammini per capire, cioè questo esercizio di libertà, di sforzo di pensiero… se non lo vuol fare questo sforzo di pensiero, tu puoi ripetere 10 volte la stessa cosa, lo sforzo di pensiero lo può fare soltanto lui. E se non lo fa, non lo fa. Punto e basta! Sono affari suoi; io non c’entro nulla.

Se no, adesso, siccome tutti noi esercitiamo potere, ricatto col potere, allora non facciamo più nulla perché se no, nel momento in cui ci soffiamo il naso esercitiamo potere!Capito!

E diventa un altro ricatto!

La tua libertà sono affari tuoi, te la gestisci tu! Tu permetti che le mie parole entrino dentro di te e ci credi, senza averle fatte passare per il setaccio del tuo pensiero: affari tuoi! Io non c’entro!

SANTO: Il discorso del potere: se c’è stato uno che poteva avere il massimo potere è stato il Cristo. E cos’ha fatto? Si è tolto nella sua esistenza fino ad azzerare il proprio potere. Diciamo che la vita del Cristo è stata un rinunciare totalmente al potere.

A.: Tu lo dici, ma lui ti direbbe: e tutta la gente che mi ha creduto, a occhi chiusi! Non è un esercizio di potere? Allora tu dici giustamente: non dipende da chi parla!

SANTO: Non dipende dal Cristo.

A.: Dipende da chi ascolta! Èquesto che dicevamo. Perciò dicevo che un criterio fondamentale per sapere se una persona sta esercitando potere, e lo vuole esercitare, oppure rinuncia al potere, è il modo di rapportarsi alla verità. Se mentisce di sicuro sta esercitando potere, perché mentire è un abbindolare l’altro; e quello è un esercizio di potere. E se dice la verità rinuncia al potere, perché la verità è proprio ciò che ognuno può far suo, singolarmente e liberamente; oppure anche omettere di far suo.

Quindi la verità viene offerta al pensare; la menzogna è coercitiva.

Perché se tu hai due prodotti e gli dici una menzogna: che questo prodotto è doppiamente migliore dell’altro, praticamente lo costringi a comprare il prodotto. E questo potere lo eserciti attraverso la menzogna, dicendo la non-verità.

Se tu invece dici la verità su tutt’e due i prodotti, resta libero; decide poi lui; e tu non hai esercitato potere.

Quindi in fondo il suo discorso, se lo concretizziamo, ma a un livello più concreto, lui sta dicendo: questo essere (il Cristo) non ha esercitato potere perché ha sempre detto la verità. Ed è la verità stessa. E la verità non consente esercizio di potere, è l’opposto.

I. 7: Però di fatto lo fa.

A.: No, no!

I. 7: Io quello che intendevo prima, l’esempio che dicevo prima, per esempio la fidelizzazione del cliente è un effeto del suo fare 2+2=4 nei miei confronti. E allora mi ritrovo ad avere, non so, io lo chiamo potere; ma forse allora non uso il termine giusto.

A.: No, la verità non consente esercizio di potere da parte di chi la dice, perché l’unico rapporto consono alla verità è quello del pensiero che la coglie. Se una persona, invece di coglierla in chiave pensante la verità, ci vuol soltanto credere, è un poltrire suo, non c’entra con chi dice la verità.

I. 7: No, esercitando il suo pensiero però di fatto ha sempre più fiducia nei miei confronti e io questo lo chiamo, lo vedo, come una forma di potere effettivo. Però è il mio modo di considerare un fatto.

A.: No, è chi poltrisce che vuol colpevolizzare l’altro perché dice la verità!

ELENA: Non lo so se è pertinente, potresti spiegare che cosa intendi con la frase che troviamo a proposito del Cristo: ed egli parlava come uno che ha autorità.

A.: Quindi esercitava potere!

ELENA: No, l’autorità non è potere. E vorrei che tu ce lo spiegassi.

A.: Allora, la verità, il Logos si presenta come la verità. Che questa verità abbia autorità presuppone che c’è nell’uomo un organo della verità. Allora, noi presupponiamo, cosa che è così, che ci sia nell’essere umano un organo per la verità, che è il pensare. Il pensare è l’organo della verità, il pensare è l’organo che afferra le verità, il vero; e lo scevera dall’errore, dal falso.

Ora arriva uno che dice la verità, o addirittura è la verità personificata; le sue parole sono recepite dall’organo della verità, immediatamente convincenti, perché sono evidenza! Però dovuta a questa corrispondenza tra la verità e l’organo della verità insito nell’essere umano, che è il pensare.

Questa è l’autorità del Cristo. Parla in un modo che corrisponde – dice la verità – corrisponde all’organo del pensare; ed essendo il pensare l’organo che coglie il vero, l’essenza reale, vera, delle cose, il suo parlare è immediatamente convincente. Però questa evidenza immediata non è un esercizio di potere, non c’entra nulla con l’esercizio di potere; perché allora uno potrebbe dire: ma allora anche la verità è un potere, perché la verità mi costringe a dire: questo è vero, questo è falso!

ELENA: Ma è in appoggio alle risposte che tu davi.

A.: Sì, sì, certo; ma non lo dico a te, lo dico in genere.

I. 8: Vorrei riprendere il discorso del bambino che è credente. Secondo me il bambino, fino ad una certa età, non è credente, perché credere è una struttura mentale; il bambino è assolutamente libero, non lo è sotto un punto di vista fisico…

A.: Non è neanche libero!

I. 8: E vede!Il bambino vede, quindi sa esattamente qual’è la realtà, sia la realtà fisica che la realtà sottile; quindi è libero.

A.: No, no, il bambino, dal primo anno fino al 7° anno, è un puro fenomeno di natura, di imitazione. Il suo organismo è fatto in modo tale che i movimenti, proprio i movimenti reali dei genitori, li imita.

Due genitori, allibiti, si presentano da Rudolf Steiner e dicono: ma il nostro bambino è sempre stato bravo, però adesso ha cominciato a rubare! A 4 anni!

E Steiner chiede: che cosa ha rubato?

C’è un cassetto dove ci sono i soldi, lui mette una sedia, ci monta, e va a prendere lì dei soldi!

Steiner chiede: ma lì non ci va mai nessuno?

Certo, quasi ogni giorno la mamma prende da questo cassetto dei soldi per fare la spesa!

Quindi il bambino non sta rubando: imita la mamma! Percepisce – puro fenomeno di percezione sensoria – percepisce la mamma e imita la mamma. Lui non ci arriva al cassetto, mette la sedia e tira fuori i soldi. Il rubare non esiste: imita ciò che fa la mamma!

I. 8: Sì, ma io dicevo da un punto di vista sottile, cioè vede, lui è veggente e ricorda; è chiaro che anche una persona che gli arriva davanti, lui sa benissimo se è buona o cattiva.

A.: Il bambino non sa nulla!

DAL PUBBLICO: Si rifà a una vita precedente!

A.: Sì, però questi ricordi non sono coscienti, il sapere è un fenomeno di coscienza! E tu giustamente dicevi: non dobbiamo attribuire al bambino fenomeni di coscienza che ancora non ci sono. E giustamente se noi diciamo: il bambino è un credente, io ho detto: è la fase dell’infanzia degli adulti di 3000 anni fa! Non dei bambini. Però se diciamo: il bambino è un credente, ti do ragione che questo credente lo dobbiamo mettere tra virgolette, perché il bambino non è ancora capace di credere, perché credere è un processo di coscienza complesso, che il bambino non sa compiere.

Il bambino non può sapere qualcosa: imita! Senza sapere cosa fa! Imita!

Il suo corpo, la sua laringe, tutta la struttura della laringe si è strutturata imitando le parole, il linguaggio materno!

Dai 7 ai 14 anni questa imitazione corporea diventa un’imitazione animica. E questa imitazione animica è l’innamoramento dell’autorità, soprattutto del maestro, o della maestra. È il desiderio di essere come lui, di essere come il maestro. È un’imitazione animica.

E nel terzo settennio c’è un primo inizio di autonomia.

Quindi la pedagogia steineriana è molto più complessa, molto più scientifica che non la pedagogia invalsa nella cultura moderna.

A fine settimana prossima, a Udine, siete tutti invitati al convegno. Ho intenzione di parlare anche di pedagogia, perché nel Friuli le scuole Waldorf le devono ancora inventare.

PUBBLICO: Beh, c’è qualcosa!

A.: C’è qualcosa? So che a Udine non c’è nulla.

PUBBLICO: No, a Udine no!

A.: Beh, Udine è una città grossa!

I. 9: Abbiamo parlato di menzogna e di verità; e tutto sommato è abbastanza facile riconoscere sia l’una che l’altra.

A.: Ah, tu dici! Che è facile?!

I. 9: Più o meno; adesso però nascono le mezze verità, che sono ancora più difficili da riconoscere! Che momento è questo per l’umanità?

A.: Dacci un esempio.

I. 9: Un fatto che tutti riconoscono essere vero e viene presentato come qualcosa di completamente diverso.

A.: Ma è una menzogna o è una mezza verità?

I. 9: Inizia come una verità; è l’interpretazione che viene data – io parlo dei mezzi di comunicazione, dei giornali, ecc. – che stravolge quello che è il fatto, o il messaggio, che viene dato inizialmente. Quindi non è totalmente vero, né totalmente falso.

A.: Se non porti un esempio concreto non possiamo esercitare il pensare.

I. 9: Adesso un esempio preciso non mi viene in mente.

A.: Pensaci fino a domani, dài! Buona notte a tutti quanti!

Sabato 1 ottobre 2011, mattina

A.: Auguro una buona giornata a tutti!

(Come premessa Archiati fa presente che si rende necessario rivedere l’orario del seminario a partire dai prossimi incontri e ne indica le motivazioni. In sostanza viene proposto di ridurre di un giorno il seminario: cioè 5 conferenze a partire dal venerdì sera, anziché le 8 conferenze a partire dal giovedì sera).

Allora questa mattina pensavo di riprendere un concetto molto fondamentale, dove io mi sono permesso di dire cose dell’altro mondo! Cose che non stanno né in cielo, né in terra! Per esempio, qualcosa che qualcuno ricorderà, che “ubbidire è l’essenza dell’immoralismoâ€!!!

All’improvviso c’era un silenzio qui in sala, che mi son detto: se torno in Germania con la testa sulle spalle va tutto bene!

Allora, riprendo il concetto dell’ubbidienza.

Partendo dal presupposto dell’animo che dice, spontaneamente: ma l’essere umano non è creato per fare quello che gli pare, arbitrariamente; sarebbe un libertinismo; ci deve essere una falsariga, una norma; anche la libertà di cui parliamo ha delle leggi ben specifiche; non tutto è libertà quello che sembra libertà.

E pensavo di prendere l’avvio dal vangelo di Giovanni, dove il Logos, questo spirito, significa il pensiero logico. Però in greco “logos†è anche la parola; quindi Logos significa: pensiero e parola.

Che rapporto c’è tra pensiero e parola?

Il pensiero è la parola interna, non ancora espressa, e la parola esprime il pensiero; lo es-prime, lo spreme fuori!

Allora è il pensiero logico espresso nella parola.

Tutti e due questi significati: il pensiero logico espresso con la parola, sono compresi nella parola Logos.

E quello che i cristiani chiamano Cristo, che si è presentato 2000 anni fa per tre anni – ci ha messo tre anni a rendersi così inappetibile che l’hanno fatto fuori – il vangelo di Giovanni non lo chiama Cristo, lo chiama Logos.

E noi ci chiediamo: se il pensare logico – ancora meglio che pensiero: “pensare†– è espresso con la parola, chi è il pensatore che si esprime?

Lui (il Logos) lo chiama il Padre!

Io sono la parola del Padre, sono il pensare logico e questo pensare logico, finchè non si esprime nella parola, resta nella mente del Padre, che sta zitto!

Quando il Padre si esprime questo è il Logos.

E qual’è il Logos del Padre creatore?

Il mondo, la creazione!

La luce sia e la luce fu; l’animale sia e l’animale fu; l’uomo sia e l’uomo fu!

Quindi c’è un pensante e la parola che lo esprime, il verbo che lo esprime.

In italiano questo Logos è stato tradotto anche con “il Verboâ€. Il verbo a differenza di un sostantivo, di un aggettivo. Ma il verbo significa la parola, il Verbo del Padreterno, di Dio.

Quindi il mondo, in origine, è nei pensieri del creatore del mondo, che rende percepibile il mondo, rende percepibili i suoi pensieri, con la parola. I pensieri vengono resi percepibili esprimendoli con la parola.

Una gran bella cosa!

E adesso, parlando di ubbidienza – è questo il filo conduttore del discorso che sto facendo – questo Logos, che è l’espressione del pensare creatore dello spirito divino, dice continuamente, sopratutto nel vangelo di Giovanni: io non sono venuto per fare la mia volontà, sono venuto per ubbidire alla volontà del Padre!

Il V° capitolo, per esempio, già all’inizio, la prima diatriba (con i Giudei). Loro dicono: devi ubbidire alle leggi di Mosè, Lui invece ubbidiva al Padre! E lì ci sono proprio grossi litigi, lunghe discussioni, nel vangelo di Giovanni.

Allora: ubbidire è una bella cosa! Non è una cosa negativa!

Ancora, quando si tratta di morire dice: se fosse possibile passi da me questo calice, però non sia fatta la mia, ma la tua volontà; come se addirittura ci fosse la possibilità di una scissione, di un dissenso, tra la sua volontà e quella del Padre.

Però ci sono anche delle frasi dove dice: io e il Padre siamo una cosa sola!

Quindi il vangelo di Giovanni è sempre il vangelo del Logos, è il vangelo del pensare, che quindi ci dà da masticare! L’abbiamo fatto per anni interi, chi di voi c’è stato si ricorderà: io mi riferivo al testo greco originale, frase per frase, parola per parola.

Allora il Padre… La struttura dello spirito creatore è trinitaria.

Io, la divinità in sé e per sé, devo confessarvi non ci ho mai parlato, quindi non chiedete a me di dirvi com’è la divinità in sé e per sé; però vi posso spifferare qualcosa su come il divino vive nell’umano; perché qui abbiamo la percezione.

Allora il divino si esprime nell’uomo come “padre†– tutto tra virgolette perché se non avessimo una matrice cristiana, o logica – del Logos – avremmo altre parole; il nostro linguaggio è intriso di cristianesimo; e vi dimostrerò che va benissimo, è la cosa più bella che ci sia, perché altre matrici di pensiero ancora più profonde, ancora più giuste, non ci sono, e non ci saranno mai, perché: “omne trinum est perfectumâ€; questo è il concetto –.

Allora diciamo: lo spirito creatore che noi percepiamo nell’uomo, ha una dimensione di “Padreâ€, una dimensione di “Figlio†e una dimensione di “Spirito Santo†– tutto tra virgolette! –.

Perché noi adesso vogliamo capire cosa vogliono dire queste parole che, nel corso di 2000 anni, sono state manipolate, fraintese, usate a scopi di potere, ecc., ecc.

(Archiati inizia uno schema alla lavagna)

Il “Padre†è il dato di natura. Lo spirito umano creatore non è concepibile, non è logicamente pensabile, senza un fondamento, uno strumento corporeo, un dato di natura. Perché così è; è nella sua natura.

C’è nello spirito umano creatore, nell’essere umano, nella natura dell’uomo, soltanto il dato di natura?

Se ciò fosse l’uomo sarebbe un animale, non sarebbe uomo; perché il concetto puro di animale è l’insieme totale delle forze di natura, ma solo quelle! Cioè tutte le forze del minerale, tutte le forze del vegetale, tutte le forze dell’animale – alle piante mancano le forze dell’animale –.

Tutte le forze di natura, sommate insieme, sono presenti nell’animale; ma lì c’è soltanto il dato di natura.

Se vogliamo parlare dell’uomo, oltre al Padre, c’è in più, oltre al dato di natura… natura… ci metto: corpo – corpo è la somma delle forze di natura, forze di natura significano: determinismo, non-libertà –.

Cosa c’è nell’uomo oltre il dato di natura?

PUBBLICO: Varie risposte: La libertà / La potenzialità della libertà / L’io individuale. Ecc.

A.: C’è soltanto una cosa in più, o due? Ci salviamo con due: natura e libertà?

PUBBLICO: Spiritualità / Il pensare / C’è la libertà perché è uno spirito: sono uno spirito per cui sono libero. Ecc.

A.: Se la libertà c’è, è non - libera, perché c’è per natura!

PAOLO: La libertà è una conseguenza dell’attività spirituale; lo spirito si manifesta in un’attività libera.

MASSIMO: C’è la potenzialità della libertà.

I. 1: L’uomo sa di essere natura!

A.: E che vuol dire?

I. 1: Che è cosciente di questo stato.

A.: Dunque è cosciente che in lui c’è soltanto natura! Quindi è cosciente di non essere libero?

(Varie discussioni in sala)

Ciò a cui miriamo, ciò di cui abbiamo assolutamente bisogno, è la distinzione che già Aristotele, il primo pensatore che ha scritto una logica nel senso del pensare universale gestito dall’uomo… in Platone non c’è ancora un pensare in quanto gestito dall’uomo; c’è un pensare più rivelato, una specie di ispirazione divina. Invece Aristotele manda a ramengo ogni ispirazione divina e gestisce il pensare a partire da un processo discorsivo nel quale lavora la capacità pensante dell’uomo. È Aristotele sul quale si fonda la nostra cultura – i filosofi greci, soprattutto Aristotele, perché Platone viveva ancora della visione… le idee di Platone sono una contemplazione spirituale, non pensieri pensati logicamente dall’uomo –. Una delle distinzioni che Aristotele fa è che, se l’uomo è un essere in divenire – ed è fondamentale perché il dato di natura ripete i suoi cicli sempre uguali, non c’è una vera evoluzione; nel ciclo della pianta, la pianta ripete il suo ciclo sempre uguale, in fondo – Aristotele dice: una evoluzione vera, un fare passi essenzialmente nuovi nell’evoluzione dell’uomo, è possibile soltanto se noi distuinguiamo tra potenzialità e attuazione della potenzialità.

Una facoltà, una potenzialità, una capacità, una possibilità di evoluzione, che però non ti costringe; puoi anche omettere di evolverti in quel senso.

Quindi la seconda cosa – la prima è il dato di natura – non è la natura, ma è la potenzialità alla libertà! E siccome questo concetto è un po’ astratto per la maggior parte delle menti di oggi, perciò ho aspettato un pochino, sono state fatte diverse proposte, perché il concetto è un po’ astratto; perché: che significa potenzialità?

Significa che tu, se lavori, se il pensiero lo eserciti, se questa libertà la eserciti sempre di più, se ti sforzi, diventa una realtà sempre più densa, sempre più forte; però non sei costretto a farla!, altrimenti sarebbe un dato di natura e il dato di natura non è libertà. Puoi anche omettere di costruire sempre più libertà.

E l’organo, la facoltà… qual’è la facoltà massima della libertà?

La facoltà del pensare!

Allora qui scrivo: il Logos nell’uomo, è la potenzialità, la capacità, la facoltà del pensare.

La capacità di pensare ce l’hanno tutti gli uomini, se no non sarebbero uomini! Tu non saresti essere umano se non fossi capace di pensare; saresti un animale!

Però la facoltà del pensare non mi costringe a pensare i pensieri, ad attualizzare la facoltà creando pensieri, intuizioni. La facoltà del pensare – che è una potenzialità – si realizza sfornando pensieri, concetti, intuizioni, una dopo l’altra. E questo sfornare – capacità ce l’abbiamo tutti, potenzialità ce l’abbiamo tutti – però questo esercitare, questo attualizzare – un concetto è un’attualizzazione puntuale della facoltà del pensare, un’intuizione è un’attualizzazione puntuale della facoltà del pensare – questo attualizzare – come di Aristotele e degli scolastici del medioevo – questo continuo sempre più frequente, sempre più intenso, sempre più creativo, sempre più vivace, attualizzare attraverso creazioni di concetti sempre nuovi, di intuizioni sempre nuove ecc., ecc., non si è costretti a farlo! Viene lasciato ad ognuno.

Quindi il Logos, il Figlio nell’uomo, è la facoltà del pensare!

Quindi, il Padre nell’uomo è il corpo, la natura, la non libertà; il Figlio, il Logos nell’uomo è la facoltà del pensare; cosa ci mettiamo qua? Lo Spirito Santo nell’uomo cos’è? Cosa ci mettiamo?

PUBBLICO: L’attualizzazione!

A.: L’attualizzazione. Ah, ma all’improvviso vi vanno bene questi termini astratti!

PAOLO: L’attualizzazione è un po’ troppo astratto.

ROBERTO: L’esercizio del pensare.

(Varie altre proposte)

A.: All’improvviso siete molto più complicati voi che non quello che a me viene spontaneo di esprimere!

(Varie altre proposte; qualcuno dice: il pensare)

A.: Una volta che dici una cosa giusta… te la sei rimangiata subito!

Il P e n s a r e!!!

(Tante voci, varie proposte)

A.: Ma guarda che nel pensare…

(Ancora gran confusione)

A.: Non possiamo parlare in 150 persone alla volta, qui in sala! Posso parlare, posso dire qualcosa?

Nel pensare non c’è mai errore, non c’è mai non-verità, nel pensare c’è solo verità. Quando un essere umano esprime un errore è perché è saltato fuori dal pensare!

Quando c’è la luce le cose si vedono, e quando non ci si vede è perché manca la luce.

ELENA: Veni creator spiritus! Allora lo spirito è comunque eminentemente il pensare che è un pensare creativo; quindi la creazione è assolutamente legata al pensare.

A.: È, il pensare!

ELENA: Perfetto!

A.: Altrimenti non è pensare! Sarà digerire, sarà passeggiare, sarà conversare con qualcuno, ma non è pensare.

I. 1: Forse sarebbe più appropriato dire “pensiero†più che “pensareâ€.

PUBBLICO: Noooo!

A.: No! No! Il pensiero – tu intendi il pensiero – un pensiero è qualcosa che il pensare ti crea e ti sforna. Noi ci riferiamo… Il pensiero puro è un’espressione impropria in italiano. Da qui mi pare di capire che nella prima parte della Filosofia della Libertà tu non c’eri!

I. 1: No!

A.: Eh, vedi! Lo si capisce subito. Sta attenta, ti do una scorciatoia per arrivarci. Io ho avuto la fortuna di fare il ginnasio e il liceo, alla abbadia fiesolana a Firenze, subito dopo la riforma di Gentile e Croce, in Italia. Loro erano idealisti, tenevano in massima auge i tre idealisti tedeschi: Hegel, Fichte e Shelling, e quindi hanno messo nel liceo la storia della filosofia. – Una grossa gioia per me, come materia molto importante; io ero innamorato della storia della filosofia, tutta una vita, l’ho fatta almeno 20 volte la storia della filosofia! – E quindi il pensare, il pensiero, si riferisce a questi idealisti tedeschi; e siccome noi adesso stiamo facendo la Filosofia della Libertà, che è scritta in tedesco, quello che a forse a te adesso mancava, o ti manca come informazione aggiuntiva, è che in tedesco: Das Denken – il pensiero – non è un sostantivo, ma un verbo! Un’azione! Un’attività! Il pensare! L’attività del pensare! Lo sfornare il pensare! Il vivere come pensante!

E un pensiero è il risultato, ciò che il pensare produce!

Però un conto è l’attività e un conto è ciò che l’attività di volta in volta produce.

Che cosa è più importante, i singoli prodotti o l’attività che è in grado di tirali fuori all’infinito?

L’attività che è in grado di tirarli fuori all’infinito!

Li crea! Quindi il pensare crea i pensieri. E tradurre “il pensiero puro†è un fraintendimento, non esiste il pensiero puro, esiste il pensare puro, non inquinato da nessun obnubilamento, non offuscato in nessun senso; pura luce, pura evidenza, pura contemplazione intellettuale, come direbbe Shelling.

Allora qui (Nello Spirito Santo) io ci metterei il pensare come attività attuale; il pensare! Perché un conto è la facoltà del pensare, tu hai la facoltà del pensare, ma se non pensi mai!?

MASSIMO: Quindi è il Logos attualizzato!

A.: Certo!

LUCIANA: È l’esercizio del pensare; per me è meglio.

MASSIMO: Espresso, manifestato.

A.: No, è troppo esterno! È il Logos “logizzanteâ€!

I. 1: Fatto!

A.: Ci mancano le parole! Ci mancano le parole perché siamo ancora agli inizi di capire… per capire questa dinamica, questa tensione fra il cosiddetto Figlio e il cosiddetto Spirito Santo.

MASSIMO: Il Logos non in azione.

A.: Il Logos non in azione non c’è! Questo è il problema di quello che tu dici. Sono io che divento Logos, non lui in azione in me, vedi!, che sarebbe ancora esterno! Io divento Logos. Quello è lo Spirito Santo! Io che vivo come Logos, creatura del Logos.

LUCIANA: Il Cristo interiorizzato.

A.: Sì, il Cristo interiorizzato, individualizzato, ecc.

Quindi: il pensare! Punto e basta!

Perché il pensare, o è pensare, o non è pensare!

Il pensare, in quanto tale, è per natura intuizione pura; meglio ancora: attività intuitiva pura. E le intuizioni te le sforna, te le esprime una dopo l’altra.

Quindi la struttura dello spirito creatore nell’uomo – uomini siamo, non ci interessa parlare della divinità in sé e per sé – è trinitaria: ha un fondamento di natura, una facoltà, una potenzialità, una capacità che gli dà di attuarla, di esercitarla, di viverci dentro, di goderla, di potenziarla sempre di più, di portarla sempre più avanti; oppure la possibilità di mandarla a ramengo, di fare qualcosa d’altro, che non gli interessa, che gode il corpo per esempio!

L’intuizione, il concetto, un concetto prodotto, creato, dal pensare – un concetto viene creato dal pensare – è un concepimento!

Quante volte ho detto: questo concepimento è a livello dello spirito; concepire è un partorire, a livello dello spirito, di qualcosa che prima non c’era. Lo creo io col pensare, il concetto.

Allora uno viene e dice: ma chi me lo fa fare, tutta questa fatica di concepimento a livello astratto, stratosferico… quando qui, invece, a livello corporeo, concepire è così bello! Capito! Ti dà un sacco di soddisfazione, viene da sé, lo fa mamma natura!

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Allora, il concetto è: proprio perché questo tipo di orgasmo non costa niente, lo fa la natura, ti darà, per natura, molto meno gioia che quest’altro tipo di orgasmo, di concepimento, di partorire, che puoi costruire soltanto tu a partire dalla tue forze.

E ciò che noi chiamiamo inerzia è il fatto che la natura – e va bene così, deve essere così – è una somma di controforze a questa libertà, perché l’uomo tende a ripiegarsi su se stesso, ad accontentarsi di quello che la natura gli dà, perché è più facile!

È più facile poltrire che non darsi una mossa, e quindi dà meno soddisfazione, perché è più facile.

CARMINE: È il processo per cui si dice: si nasce dall’alto?

A.: Qui si nasce dal basso, dalla natura; qui si nasce dall’alto, dallo spirito.

Allora, questa era soltanto una introduzione al concetto di ubbidienza; da lì ero partito! Dunque il Figlio, il Cristo, il Logos, dice: io sono venuto per fare la volontà del Padre, non agisco aleatoriamente, non agisco arbitrariamente, ma mi attengo alla volontà del Padre. La volontà del Padre nell’uomo è la natura dell’uomo; perché è quello che lui ha creato; quindi la volontà di Diopadre sull’uomo non è sulle nuvole, è l’uomo stesso!

Dio, il creatore dell’uomo, non può creare l’uomo per qualcosa d’altro; perché lo spirito – l’uomo è spirito, lo sappiamo per esperienza, lo sappiamo per percezione – lo spirito non è mai strumento per qualcosa d’altro! Lo spirito è primo principio e fine ultimo dell’evoluzione. Non c’è qualcosa per cui lo spirito possa essere strumentalizzato per qualcosa di ancora più alto. Non c’è qualcosa di più alto dello spirito. Lo spirito è il livello supremo del mondo che noi conosciamo.

Quindi l’uomo, essendo spirito è fine a se stesso.

Quindi il creatore dell’uomo ha voluto l’uomo; si tratta di capire l’uomo. La volontà del creatore dell’uomo non può essere che la pienezza della natura umana.

Allora restiamo sulla natura umana e chiediamoci in che cosa consiste la pienezza della natura umana

Un essere umano che non vive nella libertà, va contro natura; perché è nella natura dell’uomo di vivere nella libertà. E questa è la volontà di chi ha creato l’uomo.

Io faccio la volontà del Padre; la volontà del Padre sull’uomo è una natura che non può essere contenta, non può essere realizzata, se resta soltanto natura.

Quindi è nella natura dell’uomo di essere più che natura; e questo “più che natura†è la libertà; la libertà che gli è data come capacità; e lì vedo che è nella natura dell’uomo che c’è, oltre al dato di natura come nell’animale, la facoltà della libertà, la facoltà del pensare, la potenzialità di diventare sempre più liberi.

Quindi chi non cerca la libertà disubbidisce alla volontà del creatore dell’uomo. E chi vive, chi cerca la libertà e vive sempre di più nella libertà, ubbidisce alla volontà del creatore dell’uomo, che ha posto nella natura dell’uomo la ricerca, la tensione, il desiderio di una libertà sempre più grande.

Quindi la somma del bene morale è la pienezza della natura umana; un bene morale maggiore non c’è, che non la natura uman; perché la natura umana è il bene sommo di tutto il creato che noi percepibilmente conosciamo; e in questa natura umana la libertà è molto più intima, a questa natura, che non il dato di natura; il dato di natura l’uomo ce l’ha in comune con gli animali, con le piante, con le pietre; ciò che fa parte della sua natura più intimamente, perché ce l’ha soltanto lui, perché è specifico della natura umana, è la libertà.

Quindi specifico della natura è il sovranaturale, che è la libertà, che è lo spirito creatore libero. Però questo vivere come creatore libero non può venire dato all’uomo per natura, se no non sarebbe libero; quindi lo può ricevere soltanto come facoltà, come potenzialità. Quindi la facoltà della libertà è un dinamismo insito nella natura umana: è la facoltà del pensare, la potenzialità a diventare sempre più creatore, sempre più inventore, sempre più artisticamente fantasioso, in tutti i campi della vita.

E un essere umano che omette la libertà, ciò che gli è reso possibile come creazione libera, va contro la sua natura, non ubbidisce alla sua natura; e la sua natura è la volontà del creatore che l’ha creato.

Detto in un risvolto filosofico – questo è un pensiero minimamente filosofico – colui che mi ha creato come natura umana, o ha voluto me, e allora si tratta di vedere in che modo porto il mio essere a pienezza: questa è la sua volontà: io!; oppure ha voluto me come mezzo per raggiungere qualcos’altro.

Queste sono le due possibilità fondamentali.

Ora, se avesse voluto l’uomo in vista di qualcosa d’altro, sarebbe un creatore così poveraccio, così impotente, che quest’altro che lui vuol raggiungere non lo può creare direttamente, ma è soltanto capace di raggiungerlo attraverso, per mezzo, di me!… Che creatore è?

Ma gli do un calcio nel sedere!

E il concetto dello spirito creatore… lo spirito creatore non ha bisogno di qualcosa per raggiungere qualcosa d’altro; va subito a colpo sicuro!

Quindi, a livello di pensiero, di un pensare puro, è impensabile che l’essere umano sia stato creato per qualcosa d’altro; che la moralità consista nello strumentalizzarmi per raggiungere qualcosa d’altro; perché questo farebbe dello spirito creatore divino un pinco pallino che non sa subito raggiungere direttamente le cose.

Quando vuol creare la luce… non c’è scritto nella Bibbia: siccome non sapeva farlo direttamente allora ha creato qualcosa d’altro, tramite cui raggiunge il poter creare la luce. Ma che creatore è!

Crea la luce!

Se crea l’uomo è perché vuole l’uomo! Non attraverso l’uomo qualcosa che potrebbe raggiungere senza passare per l’uomo! Ci siamo capiti!

Quindi tutta questa morale che eternamente vuole soggiogare l’uomo, perché il criterio di pienezza è sempre fuori dell’uomo: tu sei per, devi fare per…

Ma come! Io sono per me! Il padreterno, se mi ha creato, ha soltanto il diritto di aver voluto me! Se mi ha voluto per qualcosa d’altro, ha problemi lui, non io!

Si capisce il discorso?

Son cose fondamentali, altrimenti noi, perché poi i poteri costituiti non si rendono neanche conto di stabilire certi tipi di morale soltanto per tenere saldi i loro seggiolini e il loro potere. Compresa la Chiesa, evidentemente.

La Chiesa ha sempre e soltanto conosciuto una morale eteronoma, mai una morale autonoma, perché se cominciasse a mettere in auge una morale autonoma sparisce come Chiesa; chi ne ha bisogno!?

Zavorra!, che ritarda soltanto l’evoluzione!

Finché gli esseri umani erano bambini ci vuole la madre. Poi, insomma, a 20, 30 anni, delle gonne della mamma non ce n’è più bisogno! Però tocca al figlio, alla figlia, scostarsi dalle gonne, e non dire peste e corna della madre perché ci sta ancora vicino. Se ci vai lontano, va tutto a posto.

I. 1: Ma lo scopo non dovrebbe essere la realizzazione dell’amore, dopo la libertà? Cioè il creatore non chiede niente, il creatore crea l’uomo…

A.: Guarda che tu ci hai concesso che tu per la prima parte non c’eri! Questo presuppone che un minimo, un pensierino piccolo piccolo, non pretendo il pensare puro di cui parlavi, ma un pensierino piccolo piccolo sarebbe: forse è meglio che io tenga il becco chiuso!

I. 1: Perché lo scopo del creatore dice: non vuole niente dall’uomo, ma in sostanza vuole la sua libertà in funzione dell’amore.

A.: Se uno capisce la libertà come qualcosa che in funzione dell’amore, non ha capito della libertà nulla! Ma non te lo posso spiegare adesso siccome tu non ci sei mai stata! Capito! Quindi l’unica pensata giusta, nel caso tuo, è di…(stare zitta!)

Allora, riassumo: il Cristo, il Logos, ubbidisce al Padre in tutto e per tutto: non sia fatta la mia, ma la tua volontà.

Ovviamente se il Cristo parla della sua volontà, vuol dire che si fa dei pensieri, vuol dire che la fa sua (la volontà del Padre), altrimenti non la conosce.

Ciò che l’essere umano conosce, lo fa suo. Ora, il Cristo ubbidisce al Padre significa: la libertà – il Cristo è la libertà – si attiene alla natura.

O la libertà è secondo natura, ubbidisce alla natura, realizza la natura; oppure la libertà non dovrebbe esserci.

Quindi la libertà è l’unico modo di attenersi alla natura dell’uomo, perché è la sua natura.

Allora, la libertà si attiene alla natura; non è contro natura, anzi, è la natura più intima dell’uomo, la libertà. E il corporeo è la conditio sine qua non; ma la conditio sine qua non, non ha senso se non sfocia in ciò per cui è una condizione necessaria.

La benzina è una conditio sine qua non per andare in auto, ma se la benzina non sfocia mai nel guidare l’auto, non ha senso.

Quindi una condizione necessaria ha senso soltanto quando serve a ciò per cui è condizione necessaria.

La natura diventa contro-natura – nell’uomo naturalmente – diventa assurda, un controsenso, illogica, nella misura in cui non sfocia nella libertà; perché è fatta per essere strumento della libertà.

Sarebbe come un violino che non suona mai! Uno strumento musicale su cui non si suona mai non è uno strumento musicale, di fatto; neanche potenzialmente se non si suona mai.

Quindi, se nell’essere umano il dato di natura non sfocia mai nella libertà, va contro natura; l’uomo va contro la sua natura, perché è nella sua natura che tutto ciò che è naturale si faccia da strumento per la libertà; ma se la libertà non c’è, lo strumento diventa assurdo, illogico; e la libertà non è una realtà fissa, che si ha o non si ha; la libertà è un esercizio, la libertà è una facoltà, la libertà è una potenzialità, la libertà è un divenire, un dinamismo interiore; la libertà è un dinamismo interiore dell’uomo; e vivere senza dinamismo significa essere morto, come uomo.

Il volere di chi ti ha creato è che tu non segua alcuna norma esterna; il volere di chi ti ha creato è che tu non segua alcuna legge esterna, perché altrimenti vivresti nella non libertà, e vivendo nella non libertà vai contro il suo volere, disubbidisci al suo volere; perché l’unico volere che lui ha su dite è la chiamata, l’aspirazione, il dinamismo verso la libertà. Se non vivi questo dinamismo verso la libertà disubbidisci direttamente al suo volere; vai contro il suo volere e non fai la sua volontà.

E ogni tentativo di orientarmi secondo una norma esterna, che sia un padreterno sulle nuvole, che sia la Chiesa, o quello che volete, è un disubbidire in assoluto alla volontà di chi ha creato lo spirito umano. Perché l’ha creato lo spirito umano nella cui natura è di essere, di diventare, sempre più libero.

Il suo volere è la tua autonomia, il suo volere è la tua libertà; disubbidisci a lui se ubbidisci, e ubbidisci a lui soltanto se non ubbidisci a nessuno, fuorché al tuo essere. Quindi, ognuno che ubbidisce a una norma che non sia il suo essere intimissimo di creatore pensante, che è il pensare creatore, disubbidisce direttamente, in toto, alla volontà di colui che l’ha creato come spirito, per natura creatore.

La Filosofia della Libertà è il fondamento di questa scienza dello spirito che accompagnerà l’umanità nei secoli successivi, e non è da prendere sotto gamba.

Io conosco in Germania tanti antroposofi che non l’hanno mai neanche letta; e anche tanti antroposofi che l’hanno letta forse una volta senza capirci quasi nulla! Ma prendere questo testo e coglierne la serietà morale, il peso morale, questo è il nostro compito, altrimenti non andiamo avanti nell’umanità. Perché immaginiamo quanti poteri sono lì per intimorire, per soggiogare, per far paura all’uomo; paura, paura, paura!; viviamo soltanto di paura, santa pace!

Avremo sempre più un mondo di persone scontente, non realizzate, che diventano aggressive perché sono scontente e non realizzate, o diventano depresse perché sono scontente e non realizzate. E il sociale diventerà sempre più difficile se non abbiamo il coraggio di essere radicali in fatto di libertà.

Sulla natura umana non si bara, e se si bara si paga!

Disubbidisci a lui, alla tua natura; a chi ha creato la tua natura se tu ubbidisci a una qualsiasi istanza che non sia il tuo essere, la tua natura, la tua stessa pienezza. Ubbidisci a lui solo quando sei libero, che diventi sempre più libero. E la libertà di un minuto fa non può essere quella di adesso; se la ripeto sono morto.

Permettetemi una parentesi, volevo dirvi: ci parliamo sinceramente, queste cose sono molto importanti, sono fondamentali per il destino dell’umanità. A questi livelli di intensità e di concentrazione mi concederete che un fine settimana basta e avanza, se noi veramente siamo presenti a questo livello dello spirito.

Se invece facciamo quattro giorni viene diluito. È gioco forza!

Dobbiamo anche misurare sinceramente, oggettivamente e relisticamente le nostre forze di pensiero – parlo delle forze di pensiero. – Ci sono certe conferenze di Steiner, anche conferenze pubbliche – ne stiamo pubblicando adesso 10, son già in stampa – 10 conferenze tenute a Vienna nel 1922, due anni prima che morisse, di fronte a 2000 persone; quindi Steiner parla alla fine della sua vita, poi non ha più avuto la possibilità, è diventato pericoloso; a Vienna ci fu un sacco di gente che veniva da tutto il mondo, 2000 ascoltatori!, e fa un riassunto della scienza dello spirito in un modo accessibile a tutti; 2000 persone!, c’è il lavoratore, c’è il professore di università, c’è di tutto, una cosa straordinaria! Io ho detto alle edizioni Archiati date la precedenza a questo testo, va tradotto al più presto possibile; tra l’altro c’è tutta una prospettiva sociale di un’intesa tra l’Europa e l’America che ci accompagnerà nei secoli futuri…Ma quello che volevo dire è che, dopo giornate – erano 11 giorni a Vienna – dove altri oratori… Steiner ha parlato alla sera, alle 8,30 di sera, altri oratori ecc., ecc., ogni sera circa due ore, di fronte a 2000 persone, son cose che richiedono una concentrazione di pensiero enorme!

Ciò che 100 anni fa – 1922 – era ancora possibile, oggi è impensabile!

La televisione, i telefonini ecc., ci hanno talmente distratti, rimbamboliti, che le forze di concentrazione sono molto diminuite; dobbiamo essere realisti se vogliamo veramente coltivare lo spirito e fare passi in avanti in questa sovranità creativa dello spirito, che crea sempre più uno sguardo d’insieme.

La forza della scienza dello spirito è lo sguardo d’insieme!

Tutta la situazione finanziaria del mondo d’oggi, se non c’è uno sguardo d’insieme, anche il cosiddetto esperto, non ci capisce nulla. E lo sguardo d’insieme si evince soltanto da uno sguardo su tutta l’evoluzione, sulla costellazione di forze nelle quali, non soltanto fisiche, ma animiche e spirituali, nelle quali ci troviamo ora, in vista di un futuro aperto alla libertà di ognuno.

LUCIANA: A proposito di concentrazione qualcuno mi ha chiesto che tu, invece di parlare per un’ora e mezza, si faccia la pausa un po’ prima.

PUBBLICO: No! No!

LUCIANA: Io ripeto quello che mi è stato chiesto, non è una mia istanza: sono un potavoce.

A.: Certo! Un elemento benvenuto nel senso che – parlavo prima di realismo – se queste persone ci sono, ci sono! Ovviamente! E vanno prese sul serio; ogni persona è infinitamente di valore. Conferma, scusate, quello che vi stavo dicendo; perché se, in base alle forze di concentrazione io adesso dovessi costringere il mio processo di pensiero per una cosa che mi dice: non devi passare l’ora e poi devi fare la pausa… allora distruggete la mia libertà già in partenza!

Cioè, il processo che io svolgo davanti a voi ha un senso soltanto se ha un minimo, per lo meno cerca, di metterci dentro un minimo di questa libertà. E in questo minimo di libertà significa che io stesso devo lasciarlo aperto al processo di pensare se salta fuori in’ora e dieci minuti, o un’ora e venti minuti!

È proprio nell’essenza delle cose!

Se invece ho un pubblico che mi chiede di fermarmi dopo un’ora, allora io non posso dare al mio spirito la possibilità di muoversi più liberamente di tanto!

E poi troncare un processo perché adesso bisogna… è ucciderlo, significa ucciderlo il processo!

E questo è una conferma, perché il desiderio di queste persone è legittimo; però è una conferma del fatto che dobbiamo un pochino vedere come gestiamo il fatto che le forze di concentrazione sono diminuite e le persone vanno prese così come sono; e d’altra parte io non sono disposto a rinunciare a ciò che è proprio la cosa più importante: questo coraggio, per quanto lo sappiamo fare, di dare lo spazio allo spirito creatore che si esprime, ma secondo leggi sue, non secondo il comandamento che dice: dopo un’ora ti devi fermare! Lo spirito santo non conosce un’ora dopo la quale si deve fermare; non si ferma mai! Questo voglio dire!

Io, quando comincio, all’inizio so naturalmente… ho detto stamattina: riprendo il concetto dell’ubbidire, però non posso dirvi… c’è un’interazione, mi interrompete ecc., se io dico: no, non si parla!, non è neanche giusto!; un minimo di interazione ci vuole! Io non posso dirvi se durerà un’ora, o un’ora e dieci! Se fossimo in Germania, per lo meno un’ora e mezza! Per lo meno! In Italia un po’ meno!

Quindi queste persone dovrebbero dire, se fossero oneste, ben venga che di questi sproloqui, che vanno troppo a lungo, ben venga che anziché quattro giorni sia soltanto un fine settimana! Allora sono oneste e i conti tornano!

Allora, il paragrafo 6. Caso mai leggiamolo perché volevo arrivare a questa dicitura, verso la metà del paragrafo, dove c’è la dicitura, l’espressione: “ubbidisce solo a se stessoâ€. Lì vorrei arrivare.

(X, 6) Il monismo dovrà ammettere una parziale giustificazione del realismo primitivo, perché dà una giustificazione al mondo percettivo. Chi è incapace di produrre le idee morali mediante intuizione {attualizzando la facoltà del pensare, che è per natura creatore}, deve riceverle da altri {Perché non le sa sfornare lui}. Per tutto il tempo in cui l’uomo riceve i suoi principii morali da fuori, egli effettivamente non è libero. {Viene condotto, viene guidato dal di fuori: è ovvio!} Il monismo però attribuisce, accanto alla percezione, una uguale importanza all’idea. {Vedi tutta la prima parte della Filosofia della Libertà.} Ma l’idea può manifestarsi nell’individuo umano.

Quindi l’idea, l’individuo umano è uno spirito pensante, quindi l’idea si manifesta nell’individuo umano, non salta fuori… fuori si manifestano le idee del creatore divino, se vogliamo; chiamatelo come volete. Il pero, là fuori, non è un’idea mia; caso mai io la faccio mia nel pensare, ma in origine non è mia!

Però essendo io, nel pensare, con la facoltà del pensare, uno spirito creatore, sono capace – altrimenti non sono uno spirito creatore – di generare da me le idee; e sono capace, ho la facoltà – ecco la facoltà del pensare anche in campo morale – sono capace di generare in me non soltanto idee conoscitive, concetti conoscitivi, ma anche idee morali. Cioè concetti di azioni, di comportamenti, che io voglio mettere in atto.

Chi mi dà la risposta alla domanda: Che faccio ‘mmò?

Quello che voglio! Lo invento io quello che faccio!

E come lo inventi?

Io sono uno spirito che pensa e perché non posso sfornare, come spirito che pensa, un’azione? Progettare ecc.?

Lo conosciamo il progettare: cosa significa progettare?

Intuitivamente cogliere azioni che non ci sono ancora, che non ci sono mai state; quindi non sono percepibili, sono solo pensabili. Un progetto sono solo azioni pensate, dapprima.

Quindi mi vien dato di constatare che ho in me la facoltà del pensare non soltanto al livello conoscitivo, ma anche al livello morale; che ho dentro di me tutto il necessario per rispondere alla domanda: cosa faccio! E cosa faccio?

Realizzo un nuovo frammento del mio essere come potenzialità all’infinito. Sono libero se ogni azione è una realizzazione, una manifestazione, del mio essere.

Quindi non posso ricevere da nessun altro la norma del mio comportamento.

Cosa vuole il mio essere più intimo, cosa voglio io; cosa vuole realizzare in questo momento.

Quindi, come c’è nello spirito pensante una sorgiva intuitiva, che coglie concetti, diciamo di cose già esistenti, così c’è nello spirito pensante una sorgiva morale intrisa di fantasia; una sorgiva morale dove i pensieri di azioni future vengono creati dall’uomo stesso.

Inventa tu! Il modo in cui il tuo essere vuole esprimersi in questo momento. E allora sei libero tu stesso e arricchisci l’umanità, tutti gli altri, di un frammento di umanità che può venire soltanto da te. Il tuo modo di essere uomo, il tuo modo di realizzare l’umano è unico; l’altro è chiamato a realizzare l’umano in tutt’altro modo, su tutta la linea.

(X, 6) Ma l’idea può manifestarsi nell’individuo umano. {Cosa c’è in questo “può�}

La facoltà… l’uomo ha la facoltà di diventare il luogo in cui lo spirito, in cui si manifesta l’idea; viene colta intuitivamente anche l’idea morale di un’azione, di un comportamento; viene colta, creata intuitivamente, e si manifesta come?

Nel comportamento percepibile!

Che vuoi fare?

Lasciamelo fare, poi vedrai!

Lo sto facendo! E man mano che lo esprimo, lo vedi!

Che cosa voleva lo spirito creatore all’inizio del mondo?

Le cose che ha fatto!

E ripeto il pensiero: se avesse fatto delle cose per raggiugere qualcosa d’altro, sarebbe un poverino; non sarebbe capace di raggiungere, di creare direttamente quello che vuole. Quindi, per quanto riguarda l’uomo, ha il diritto soltanto di aver voluto l’uomo; non l’uomo per qualcosa d’altro che lui, poveretto, sa raggiungere soltanto attraverso l’uomo.

SANTO: Dio ama l’uomo; la realizzazione dell’uomo è puro amore. L’agire dell’uomo creativamente è amare la cosa che compie. Questo è l’essenza di quello che viene realizzato: è amore e libertà insieme.

A.: Il problema, di quello che tu dici, è che, soprattutto nel linguaggio italiano, la categoria “amore†dalla maggior parte delle persone è intesa come un tipo di esperienza di cui la testa quasi non fa parte! Invece noi stiamo dicendo che l’intuizione, nel pensare creatore, è la forma suprema di amore; e questo concetto di amore non c’è!

Quindi se tu parti con la parola “amore†presupponendo che ci siamo già intesi per che cos’è l’amore, non tornano i conti; perché la maggior parte delle persone pensa: ah! il cuore! Il cuore! Invece noi stiamo dicendo la forma suprema di amore!

SANTO: Cioè, è uno con quello che compie, con quello che realizza; è uno, un’unità. E comprende tutto! Lui è quello!

A.: Quello che voglio dirti è che la maggior parte delle persone ti chiede: cosa c’entra il pensare con l’amore? L’amore non c’entra nulla col pensare! Vedi!

E questo non è il mio concetto di amore. L’amore, o c’è nel pensare, o non c’è! l’amore senza pensare è un dato di natura. E parlare come se questo fraintendimento non ci fosse rincara la dose di fraintendimenti. Questo è il problema!

La Bibbia racconta come Dio ha creato il mondo, cosa c’entra l’amore?

La Bibbia dice: la luce sia e la luce fu! C’entra con l’amore?

Non c’è nulla di più amabile, nulla di più grande, di più bello che l’atto di creazione!

È immanente! Però è amabile dovuto al fatto che è pensare creatore! Non senza il fatto che sia pensare creatore!

Quindi amabile in sommo grado perché è bello in sommo grado, è godibile in sommo grado; é il pensare creatore!, e soltanto quello!

Perché la maggior parte delle persone quando noi parliamo in italiano – stiamo parlando in italiano –; se usassimo la categoria “Liebe†in tedesco, è già un’area semantica del tutto diversa! Ma la maggior parte delle persone, anche qui in sala – non è che siamo tutti filosofi, o scienziati dello spirito – mette, proprio nel gioco di lingua, per effetto di lingua, l’amore – tu parli di amore – lo mette vicino al: “fare l’amoreâ€, per esempio. E io dico: fare l’amore è l’opposto dell’amore, perché per me l’amore umano è l’espressione somma di libertà, invece “fare l’amore†è pura natura, pura non-libertà; che va benissimo, ma non c’entra nulla con la libertà!

Quindi non c’entra nulla con l’amore in quanto riferito alla libertà dello spirito creatore.

Voglio dire quando noi abbiamo il coraggio proprio anche di macinare, di arrovellarci col linguaggio, ecc., ecc., dopo un’ora e mezza, uno è stanco, cioè proprio suda! Oppure si è addormentato; ma allora non serve a nulla fare un giorno in più! Tanto vale magari un pochino più concentrato e… non mi dite che sono bravo a fare “Cicero pro domo suaâ€, lo so che son bravo! Lo so che son bravo! Però basta che i conti tornino, basta che le cose siano giuste!

(X, 6) Ma l’idea può manifestarsi nell’individuo umano. {Dentro l’individuo umano, non fuori.} In quanto l’uomo segue gli impulsi provenienti da questa parte, egli si sente libero. D’altra parte il monismo rifiuta ogni giustificazione alla metafisica che procede soltanto per ragionamenti, e di conseguenza anche agli impulsi verso l’azione provenienti dal cosiddetto “essere in séâ€. {Là fuori, Dio, che ti conduce, come una marionetta dal di fuori.} Secondo il concetto monistico, l’uomo non può agire liberamente quando segue una coercizione esteriore percepibile, può agire liberamente quando ubbidisce soltanto a se stesso.

Ora qui c’è la parola “ubbidisceâ€, perciò avevo detto: faccio tutta una riflessione sull’ubbidire.

“Ubbidisce a se stessoâ€â€¦ ma è una contraddizione! Se ubbidisco a me stesso non ubbidisco, perché il concetto di ubbidire è di ubbidire a qualcun altro.

Quindi entriamo nel paradosso di nuovo!

Allora, come un minimo di aiuto per la meditazione del singolo: quello che facciamo qui insieme ha soltanto un senso: il senso di dare spunti; il lavoro vero poi che porta avanti è la meditazione del singolo su questo testo.

Allora: “ubbidisce a se stessoâ€. Che vuol dire? Come faccio io a ubbidire a me stesso?

Ubbidire… ah, ce l’avevo qui l’obbedienza! L’udienza e l’ubbidienza!

Noi sappiamo che l’italiano viene dal latino; qualche volta, di tanto in tanto, poi ognuno lo può fare molto di più, qui, insieme, ogni tanto un cesellare etimologico può servire a cogliere… diciamo… “ob-oedioâ€(ubbidisco). “Obâ€Ã¨: sopra; e “oedio†significa udire. Quindi nell’ubbidire c’è l’udire: ob-oedio, è un udire con interesse, con attenzione. Un ubbidire senza interesse, senza attenzione è un udire (soltanto).

Se noi all’udire ci aggiungiamo l’interesse e l’attenzione diventa un “ascoltareâ€. E se seguiamo, nel comportamento, ciò che abbiamo ascoltato, diventa un ubbidire.

Quindi la falsariga è: un udire, maggiorato dall’ascoltare con l’attenzione, e poi dare importanza a ciò che ho ascoltato è come ubbidire; cioè comportarsi secondo questa norma che mi sovrasta, in un certo senso.

In tedesco – è questo che mi interessava!, cosa che facciamo in chiave di eccezione – c’è “ge-horchtâ€; e questo “horcht†– ge è il participio – significa: ascoltare con attenzione.

Quindi il tedesco non arriva a questo “ubbidire†che crea soltanto problemi, parla soltanto di ascoltare con attenzione.

Quindi l’essere umano libero è colui che ascolta con attenzione soltanto se stesso!

Ascolta con attenzione soltanto il suo essere! Coglie – ascoltare con attenzione significa: cogliere, capire – coglie il suo essere!

Quindi, tradurre questo “ascolta il suo essereâ€, segue il suo essere, con “ubbidire†in italiano, ci mette una dimensione moraleggiante e animica, che poi vive tanti passati del linguaggio italiano, che viene ad inquinare il dettato tedesco, che è assolutamente pulito!

Ascolta con attenzione, e quindi vuole cogliere genuinamente, vuole capire se stesso, la sua natura. E segue – ge-horcht significa anche “segue†– e segue, nel suo comportamento, la sua natura.

Quindi agisce secondo la sua natura, che è quella di essere uno spirito liberamnte creatore. E se non vive come spirito liberamente creatore non ubbidisce, non segue, non ascolta la sua natura.

Quindi quello che in tedesco… in tedesco c’è la categoria del seguire, di essere conseguente: l’essere libero agisce conseguentemente al suo essere. Allora il pensiero è pulito, è bellissimo! Un attenersi fedelmente a una realtà!

Quindi colui che vive nella libertà dello spirito creatore, vive in conseguenza, conseguentemente, consequenzialmente, con la sua natura; segue coerentemente se stesso, la propria natura.

E questo elemento conoscitivo pulito, traducendolo in italiano, se volete per giocoforza… io non avrei messo qui la parola “ubbidireâ€, perché crea problemi! – simile al problema con “l’amore†–. Io avrei tradotto: segue soltanto se stesso, non ubbidisce a se stesso. Perché ubbidisce a se stesso, in italiano, è una contraddizione. Se ubbidisce a se stesso, non ubbidisce proprio!, perché è nel concetto di ubbidire, di ubbidire a qualcun altro! In italiano!

E questa contraddizione animica dell’ubbidire la lingua tedesca non ce l’ha proprio!

In tedesco c’è ge-horcht: udire, ascoltare, seguire, seguire fedelmente, seguire conseguentemente; è la consequenzialità, è la coerenza immanente dello spirito creatore: è coerente con se stesso, agisce in coerenza con la propria natura, ascoltando e cogliendo con attenzione la propria natura.

Se ci metto la categoria dell’ubbidire mi porta via, dal livello oggettivo dello spirito, si scende al livello dell’anima, dei sentimenti. Tant’è vero che, in italiano, “disubbidiente†è una gran brutta cosa!

Che categoria è questo “disubbidiente�

Una parola inventata da poteri che vogliono soggiogare l’uomo. Perché il disubbidiente è l’unico essere che agisce moralmente bene; perché rifiuta ogni norma esterna; la respinge! Invece nel linguaggio italiano: sei disubbidiente, sei cattivo!

FABIO: Per esempio si dice anche: udienza…

A.: Andare in udienza dal Papa!

FABIO: Andare in udienza dal Papa; quindi andare ad “audire†cosa dice lui. ARCHIATI: Tu sei soltanto uditore, solo lui è il parlatore. Vai in udienza: lui parla e tu odi – Udienza! – e tieni il becco chiuso, come si fa nel seminario di Archiati!

Buona pausa!

A.: Si dà il caso che ci sia qualcuno che, oltre a me, avesse casomai qualcosa da dire? …Sto facendo esercizi di italiano!

SIG.RA TEDESCA: Allora, ieri ha detto: chi si decide per la libertà, anziché per il potere…

A.: È commossa perché, da tedesca, sta parlando in italiano!

TEDESCA: No, non è per questo!

A.: Questo dimostra quanto commovente sia il linguaggio italiano! Grazie del complimento!

TEDESCA: No, la mia commozione non mi piace, facciamo ora per scherzo!

A.: Quando il tedesco è commosso si vergogna! Che bello!

(Il pubblico batte le mani!)

A.: Invece in Italia ti battono le mani! Adesso vediamo se oltre alla commozione c’è qualcosa!

TEDESCA: Allora, ha detto che nella libertà c’è la verità, non c’è la bugìa.

A.: L’errore, la menzogna. (Archiati spiega in tedesco la differenza tra bugia e menzogna).

TEDESCA: OK, allora il problema è risolto perché il mio pensiero è che dire una bugìa, volerla dire e saperla dire ci vuole molto coraggio, molta autonomia e forse molta libertà – su questo termine non sono molto sicura – ci vuole comunque molto coraggio, le palle quadrate, così per sostenerla, e molto coraggio!

(Fragorosa risata del pubblico)

A.: Un po’ d’italiano se l’è masticato, eh!

TEDESCA: Tutto qui; ora voglio sentire se mi contraddice o no!

A.: Allora, la differenza tra bugia e menzogna, in italiano, è che una bugìa è una menzogna piccola; invece la “menzogna†è grossa, ha conseguenze molto maggiori! Detto adesso così: una prima spiegazione.

Una bugìa, una bugìola. Ai bambini si dice: non dire le bugìe!; non si dice: non dire le menzogne! Il bambino non è capace di dire menzogne, è capace di dire bugìe.

L’hai rubato tu il cioccolato?

No! … Una bugìa!

E tu dicevi… adesso prendo 150 cose… 155! …ne prendo una o due delle più importanti. Tu dicevi: per dire una menzogna ci vuole coraggio!

Allora, Barack Obama dice: andiamo nella Libia, andiamo nell’Irak, a difendere la democrazia! Supponiamo che sia una menzogna, il potere deve mentire!

Ci vuole coraggio?

Nooo! Nooo! Ci vuole…

TEDESCA: Abilità!

A.: Ci vuole potere!

TEDESCA: Potere? ci vuole anche coraggio, lo sai! Se tu hai dentro qualcosa e sai che non è vero; ce l’hai dentro, e si annida questa cosa dentro, perché sai che non è vero; e poi ti azzardi ad alzare la voce, esprimi il contrario di quello che sai, guardando negli occhi colui che hai di fronte, non abbassando lo sguardo… ci vuole un grande coraggio!

A.: Quant’è bello il linguaggio italiano!

TEDESCA: Ce ne vuole tanto per fare questo! E forse ci vuole anche tanta libertà per permettersi di arrivare a tale punto!

A.: Quando le cose diventano complesse, perché gli esseri umani sono diversi gli uni dagli altri, il processo di differenziazione procede sempre oltre; allora per salvarsi si dice se ci voglia, o non ci voglia, coraggio per dire una bella menzogna: è questione di gusti! È una questione individuale: l’uno ha bisogno di coraggio, l’altro lo fa senza nessun problema, capito!

La persona un pochino più coscienziosa, quella sì che ha bisogno di un po’ di coraggio, magari di bere un pochino di… per dire una bella menzogna! Ma una persona potente e scaltra non ha bisogno di coraggio!

PUBBLICO: Lui ha bisogno di coraggio per dire la verità!

A.: Lui avrebbe bisogno di un enorme coraggio per dire la verità!

TEDESCA: Però, quello che volevo dire, invece, è che ci sono anche delle persone come me…

A.: Ah, adesso cambi, specifichi!

TEDESCA: …come me, perché proprio l’ho vissuto sulla mia pelle, che ci vuole questo pizzico di coraggio a farlo, di ripeterlo pure, di non vergognarsi nemmeno, di non concedere…

A.: Di non battere ciglio! (aggiunge un’espressione in tedesco).

TEDESCA: Esatto! E quindi la qualità della bugìa, fatta bene, credibile…

A.: Che allora è una menzogna!

TEDESCA: Bravo! Allora la qualità della menzogna fatta bene è un indice della libertà che uno possiede?

(Il pubblico si esprime sostanzialmente dissentendo).

A.: Eh, la platea ti dice: eh, no, qui non ci siamo. Qui è cascato il pupo!

PAOLO: Quando dicono che costui è intelligente, è che è furbo!, non è intelligente!

TEDESCA: Per me è libero! Perché si concede questa cosa. Farà anche altre cose, ma pure farà quella!

A.: Faccio una proposta: la libertà tedesca è un pochino diversa da quella italiana!

ROMANACCIO: Tutto sommato ha ragione la signora (tedesca)! Perché se Berlusconi, scusate, non è che io voglio rispondere… voglio dire una cosa mia!

A.: È un maschietto che si presenta, eh!

ROM.: Voglio dire: rapportato alla libertà; perché noi al governo abbiamo una persona che fa come gli pare; ha coraggio …e noi non si reagisce!

Hai detto una cosa bellissima, a proposito di libertà, quando hai detto che lo scrittore di questo libro – la flosofia della libertà – è diventato pericoloso. Questa anche è una cosa seria: si diventa pericolosi nel momento in cui è la verità che mette paura; e bisogna continuare ad alimentare la verità, cioè lo spirito. E continuare! Non si può fermare solo in questa stanza, perché hanno detto che hanno distrutto tutto! I partiti non riescono a mettere insieme tutte le persone che stanno qua dentro! Questo è coraggio! Da parte sua (Berlusconi?) sua nel senso che ha coraggio. È anche vero quello che dice la signora, perché ha coraggio: un infame che è a capo del governo, tratta, compra, vende, e fa come gli pare! È una miseria! E forse è vero quello che ha detto quel tedesco: ha un altro sistema di vita…

A.: Siamo a “Mondo Miglioreâ€, o al parlamento!?

ROM.: Ah, no, scusa! Mondo Migliore! Comunque la mia domanda era un’altra: sull’amore…

A.: Ah, era un’altra!? Fai la domanda! La prima non l’avevo capita proprio!

ROM.: Io volevo fare la domanda che è sull’amore. Io misono trovato e mi trovo sempre non a mettere paura e neanche a subirla, però mi trovo a far scoppiare la contraddizione tra le due cose. Mi sono fermato tante volte a prendere i vasi dei fiori davanti alla Madonna. Cioè, lasciano i ciclamini alla Madonna e se ne vanno, e di solito si seccano! E io faccio l’ambulatorio: tante volte li prendo e li rianimo. Può essere assurdo quello che dico…

A.: Voi capite tutto quello che dice?

ROM.: Cioè, l’atto di amore di una persona che lascia i fiori alla Madonna…

A.: Ma tu parli più con le mani che con la bocca, scusa!

ROM.: Eh, no, perché è un atto d’amore da parte di chi lascia un vaso con i fiori; è una pianta viva, è l’argomento che discutiamo qui: che tutto è vivo! Ma la natura è una cosa e lo spirito è un’altra. Io cerco di far scoppiare la contraddizione tra la natura e l’amore di una persona nel rispetto della Madonna, e lo spirito della libertà; perché non volendo commette un omicidio nei confronti di quella pianta, perché se non viene annaffiata, muore! Scusate, forse è assurdo quello che dico!…

A.: Aspetta, aspetta, io già… a me bastano quei tre: Padre, Figlio e Spirito Santo. Tu ci hai messo anche la Madonna! Le cose diventano un po’ troppo complesse per la mia piccola mente! Mi spieghi cos’è la Madonna?

ROM.: La Madonna dovrebbe essere la pietà, eh, ma bisognerà cambiarla, non può essere sempre la pietà!

A.: La pietà!?

ROM.: Eh, sì! È un’opera d’arte che va capita, rispettata e amata. Perché è la terra, è colei che dà la natura e la vita. E noi dovremmo essere lo spirito, insieme a lei!

Comunque la domanda era sull’amore e sulla libertà. Tutti coloro che amano la libertà inconsciamente o consciamente, mettono paura e stanno sempre in uno stato di essere pericolosi, ma non nel male, ma nei confronti dell’incoscienza. Èuna persona cosciente. Era questa la domanda. Grazie!

A.: A me capita molto raramente di ammutolire, ma in questo momento… sono perso del tutto! Passiamo la parola!

Hai fatto tre attacchi per esprimere la domanda, ma io non ho ancora capito dov’era la domanda!

ROM.: La domanda era: che l’amore è una cultura che va insegnata da piccoli, perché non esiste, non c’è; la gente lascia i bambini, non reagisce…

A.: Non esiste più l’amore, quindi andrebbe insegnato ai bambini l’amore.

ROM.: C’è bisogno di amore, ma di amore quello vero! Perché lei non sta all’università?! Ma non per dovere, per compito suo…

A.: Povero me! Lasciami respirare!

ROM.: Cioè, voglio dire: gli strumenti ci sono, c’è la televisione, c’è l’università, ci sono le scuole; ecco il periodo della libertà; il tutto rifluisce negli interessi individuali dei vari poteri. E allora va a ricostruire il tutto, che ha delle basi per buttar giù un futuro. Un futuro più maturo, più dignità. Tutto qua.

A.: Siamo d’accordo! Vogliamo costruire un futuro più bello. Subito d’accordo! Non ho capito dov’era la domanda!

SERGIO: Perché non sei all’università!

A.: Ah, la domanda era perché non sono all’università!

ROM.: È una scelta di libertà la sua, perché per salvaguardare…

A.: Ah, per salvaguardare la mia libertà!

ROBERTO: Se era all’università, non stavamo qui noi!

A.: Allora, chi ha in mano il microfono?

PATRIZIA: Sembrerebbe semplicissimo, a parte straordinario, la possibilità che è concessa potenzialmente all’essere umano; ma sembrerebbe una semplicissima facoltà, quasi da insegnare, o da dire, al bambino; quindi tutti quelli che vengono educati a scrivere, a leggere, a far tante cose, ma non si educa – educati, quindi edotti – a questo tipo di apprendimento, a questo mondo, a questa realtà.

Perché, voglio dire, si arriva a 30, 40, 50 anni, da grandissimi ormai, a svelare questa essenzialità dell’essere… ma perché passiamo troppo tempo senza sapere che esiste?

Allora veramente il significato della pedagogia e l’importanza di un’educazione, e come potrebbe veramente risvegliare nell’essere… e se è dalla scuola che può nascere questo!…

A.: Certo, certo, certo! È giusto quello che tu dici! Però il primo principio di pedagogia, che si evince dal discorso che abbiamo fatto, è che ogni genitore, ogni pedagogo, non può insegnare… nessun pedagogo può insegnare una qualsiasi cosa! Non si può insegnare al bambino nulla!

Il bambino recepisce, per un processo imponderabile di osmosi, ciò che c’è e che vive nel genitore, nel maestro. L’importante della tua affermazoine è che l’educazione diventerà socialmente sempre più importante; però gli adulti possono dare al bambino soltanto ciò che sono!

PATRIZIA: Difatti dicevo: e-ducare, e-ducere, in quel significato lì!

A.: È immanente nella natura umana! Ma io posso tirar fuori dalla natura umana del bambino soltanto ciò che ho esplicato, ciò che ho attualizzato, nella mia natura.

Perché la differenza tra il bambino e l’adulto è che il bambino è pura potenzialità e l’adulto gli porta incontro soltanto quei frammenti di attualizzazione della sua potenzialità, che lui ha realmente attualizzato.

Se della libertà non ha attualizzato nulla, il bambino non recepisce nulla! Recepisce soltanto il dato di natura, perché il maestro, o il genitore, è rimasto un puro dato di natura. Un animale superiore, o inferiore, se vogliamo.

Nella misura in cui il maestro, o il genitore, è questo tipo di persona che tu auguri al bambino – giustamente! – però soltanto nella misura in cui lo è, che ha fatto certi cammini di consapevolezza, della struttura del rapporto tra natura e libertà; che è nella natura dell’uomo il vivere contro natura se non prende sempre più a mani piene e vive sempre più nella libertà, nella misura in cui l’adulto, l’educatore è strutturalmente nel godimento, in questo processo di creatività, il bambino dice: voglio anch’io, voglio anch’io essere così!

Ma non può dire: voglio essere così se quello non lo è!

Parecchi anni fa, c’era Stefania Carosi, per fare un esempio, che era incaricata della formazione della pedagogia steineriana in Italia, che ha alla base questo pensiero fondamentale che stiamo dicendo; e lei voleva da me che io facessi qualcosa.

Ed eravamo subito d’accordo sul fatto che oggi, da come stanno le cose, la formazione dei pedagoghi è molto più importante che non la formazione dei bambini; perché la formazione dei bambini è una conseguenza di quello che sono i pedagoghi.

Ed è quello che stiamo facendo qui, perché ogni adulto è potenzialmente di fronte… ogni adulto è un pedagogo, o buono, o cattivo; o benefico, o malefico, a seconda di com’è! Ma ogni adulto è, per natura, un pedagogo di fronte a un bambino! Perché il bambino si deve orientare sull’adulto, perché è quella la direzione verso la quale è incamminato.

Quindi torniamo al problema degli adulti!

E una società ha una pedagogia a seconda di come sono gli adulti, di come sono però! In pedagogia non esistono espedienti che funzionano, funziona soltanto il maestro così com’è; e se è uno spirito creatore contagia, contagia, contagia! Il bambino muore dalla voglia di diventare come lui!

E questo sì che porta avanti!

E il tuo pensiero non lo si può esagerare; è che noi… non è possibile esagerare l’importanza della pedagogia; la pedagogia siamo noi, sono gli adulti! Un’altra pedagogia i bambini non ce l’hanno! Quale pedagogia dovrebbero avere?

Sono gli adulti così come sono!

Se noi facciamo cammini di queste liberazioni importantissime, che ci rendiamo conto di quali portate di ricatto c’è in una parola come “l’ubbidienzaâ€, che è un esempio, ma molto importante; se facciamo cammini di liberazione interiore, i nostri bambini – quelli che abbiamo noi, qui, a casa – ci vedranno, dopo un fine settimana di questo tipo, in un modo diverso! E diranno: oh, oh, oh, bello essere così!

INSEGNANTE: Era solo per avvalorare quello che dicevi. Sono un’insegnante e mi è accaduta questa cosa, per avvalorare quello che dicevi. Spesso, quasi sempre, quando io vengo a questi fine settimana, ovviemente i miei bambini non lo sanno; manco un giorno e poi, quando torno, mi dicono: maestra, come sei bella!

A.: Grazie! Grazie del complimento! Stando così le cose torno volentieri in Italia, finché la carcassa regge, via!

È questo il succo del discorso, scusate! Se no! …Una gran bella cosa!

E chi glielo dice ai bambini?

Lo sentono, lo vivono!

Tra l’altro, l’udire – ubbidire - udire – un sinonimo di udire è sentire: ho sentito! Sentito – sentore! Ho sentito con l’orecchio.

Le parole italiane sulla fisiologia dei sensi… sarebbe uno studio da andare in brodo di giuggiole! Una cosa interessantissima!

Ho sentito! Hai sentito, o hai udito? Hai sentito, o hai ascoltato? Ho sentito dire! Mi par d’aver sentito… Tante cose che in tedesco non sarebbero traducibili; perché è il linguaggio dell’anima affettiva.

(Prende la parola I. 1)

A.: Ma tu non avevi già parlato?! Dài la parola a qualcun altro, sù!

I. 1: No, intanto volevo chiedere scusa per stamattina se l’ho interrotta, che in francese rende bene la parola: pardon!

A.: Pardon?!

I. 1: Pardon, scusi se l’ho interrotta perché in fondo ho limitato la sua libertà, interrompendola.

A.: Quando?

I. 1: Stamattina, quando mi ha azzittita, quando dovevo star zitta! Ho ubbidito e ho ascoltato.

A.: Hai ubbidito!

I. 1: Sì!

A.: Ma ho detto che è una cosa atroce l’ubbidire! Che brutta cosa!

I. 1: Ho ascoltato, ho ascoltato! Quindi, il discorso era sull’amore; della creazione per amore. Non si parlava dell’amore legato al sentire, al sentimento, perché se no arriviamo al discorso di questo signore (ROMANACCIO) che parlava dell’amore per la Madonna, che è un amore mistico, non è un amore spirituale in questo senso.

A.: Ah, quello m’era sfuggito! Parlava dell’amore per la Madonna?, per la pianta l’avevo capito!

I. 1: Ma è legato al sentimento!

ROMANACCIO: Ho parlato dei due amori: la persona che porta un vaso di fiori, di ciclamini, vivi, in dono alla Madonna, è un atto di amore; però nello stesso tempo, inconsciamente, è disumano, perché non ha amore per la natura! Mentre la Madonna va amata per quello che è, per una donna, per i sacrifici che ha subito. Quando si è parlato dell’obbiettore di coscienza, è vero! Questo va capito! E la Madonna lo sa! Allora l’atto di amore di chi si mette a posto la coscienza e dà il ciclamino alla Madonna e poi il ciclamino muore perché viene abbandonato lì; prende il freddo, il gelo, ecc…

A.: Ma tu, prima eri venuto con tre domande, adesso ne hai altre quattro! Come facciamo?

ROM.: Scusate! No! Era questo: non vorrei che fosse frainteso, io rispetto la persona che ha portato i fiori alla Madonna, ma non era questo, inconsciamente ne facciamo tante di cose, siamo qui anche per questo, eh!

A.: Ti ha azzittita, oppure…

I. 1: No, ho ascoltato! Quindi parlando dell’amore universale, non inteso…

A.: Scusa, cerca, spendi una frase, due frasi, per dirci cosa intendi con la parola “amoreâ€.

I. 1: Perché la questione stamattina era perché Dio, il creatore Padre, per volontà, non chiede all’uomo niente, in questo senso, perché non crea la libertà perché chiede all’uomo, dà la libertà per il raggiungimento dell’amore; ma è l’amore, non l’amore nel senso del sentimento, del sentire, perché sennò il pensiero non… se è legato al pensiero, al sentire, tramite la volontà allora realizziamo l’amore, in libertà.

(nessuna risposta)

I. 2: Volevo solo sapere: nasce prima la libertà, o prima l’amore?

A.: Allora, quando nascono prima e dopo, non importa chi sia prima o chi sia dopo, non sono né libertà, né amore. O sono tutt’e due insieme, o non c’è né l’una, né l’altro.

O è libertà, e allora è amore; o è amore, e allora è libertà.

Se non è libertà, non è neanche amore. Se non è amore, non è neanche libertà. Libertà e amore sono due lati della stessa medaglia.

Allora ti chiedo: cosa intendi per libertà, cosa intendi per amore?

Soltanto allora io posso risponderti e dirti: vanno insieme, o non vanno insieme. Cos’è libertà?

I. 2: Ho afferrato che scaturisce nel momento – sì, è vero, accade in contemporanea probabilmente – scaturisce però l’innamoramento della libertà. Nel momento che io sto attualizzando quello che voglio realizzare…

A.: Liberamente!

I. 2: …liberamente, sì!, in quel momento mi scaturisce l’amore per quello che sto facendo, e quindi io lo vedevo come una conseguenza.

A.: Io sono amore a questa libertà che sto vivendo! Sono io; la mia natura! Non è prima o dopo, da sempre sono così; perché sono stato fatto come spirito creatore.

In questo creare… il creare è pura libertà e puro amore; ma non paralleli! Perché due cose parallele, l’immagine del parallelo sta a dire che restano due cose diverse, solo che marciano parallelamente; invece non sono due cose parallele, sono una cosa sola!

I. 1: Perché Steiner dice che andiamo verso il pianeta dell’amore!

A.: Lascia via Steiner! È già complessa la cosa con le nostre teste, adesso ci mettiamo pure la testa di Steiner!

I. 1: Andiamo verso il pianeta dell’amore; siamo proiettati verso il pianeta dell’amore.

A.: Lui dice: la terra ha avuto già tre incarnazioni planetarie precedenti – cosa che ci siamo già spiegati –. Tu hai detto che non ci sei stata le prime volte alla Filosofia della Libertà…

I. 1: E allora?

A.: E allora! Stà un po’ zitta, no! Se no… Dice: allora? Glielo avevo detto prima (di stare zitta)! Mica molla, eh!

(Archiati inizia uno schema alla lavagna)

Allora: Terra 1, Terra 2, Terra 3. La Terra 1 (Steiner) la chiama la Terra saturnia, saturnale, saturnina; la Terra 2 la chiama la Terra solare; la Terra 3 la chiama la Terra lunare; qui, quella nostra – facciamola bella grossa! – la Terra 4, la Terra! La Terra in senso vero e proprio! Perché di 1, 2, 3, noi ce ne siamo scordati; poi non ci riguarda più di tanto: ce n’è qui da fare, che avanza!

Qui, con tutte le varie epoche: l’epoca polare, l’epoca iperborea, l’epoca lemurica, l’epoca atlantica qui al centro; noi siamo nell’epoca postaltlantica…

Questa epoca postatlantica ha 7 periodi di cultura: l’indiano, il persiano, l’egizio-caldaico, il greco-romano, poi noialtri che siamo più importanti di tutti!; poi verranno gli slavi, poi il patatrac! E dopo andiamo alla 6° epoca, poi alla 7°; e poi arriva Terra 5 – se la matematica non è un’opinione! – poi Terra 6…

Terra 5: Giove! La Terra gioviale! Visto che qui (T4) abbiamo fatto tante sfacchinate, allora un po’di giovialità ci vorrà, no!, per cogliere i frutti di queste sfacchinate fatte sulla terra. Tant’è vero che la religione tradizionale ci dice: datti da fare che poi andrai in paradiso!

Allora la terra gioviale è la giovialità del paradiso dopo aver sfacchinato sulla terra!

Poi c’è la Terra 6, la Terra venerea, Venus, Venere; e poi il principino Vulcano: Terra 7!

I giorni della settimana! Sabato: Saturno; domenica: il Sole; lunedì: la Luna; martedì e mercoledì sono le due metà della Terra 4: Marte e Mercurio.

La prima parte: Marte… Cos’ha fatto Marte? – la prima parte ce l’abbiamo alla spalle – Cos’ha fatto Marte?

PUBBLICO: La guerra!

A.: L’individualizzazione che ci ha messo tutti contro tutti!

Ha lavorato bene Marte?

PUBBLICO: Eeeeh!

A.: Eccome! Eccome! Meglio non si può!

Allora adesso arriva Mercurio, questo elemento mercuriale, insomma, attutisce questo elemento marziale della guerra di tutti contro tutti, per riportarci… per rimembrare l’umanità.

Allora: martedì e mercoledì abbracciano… perciò l’ho disegnata grossa (T4) perché ci dovevo mettere martedì e mercoledì – mi viene in mente adesso! –.

Poi: giovedì: Giove; venerdì: Venere; e poi questo che non ci sta più dentro nei giorni della settimana: il Vulcano; perché poi si ritorna a lunedì; non sono 8 i giorni della settimana, sono 7, capito!

Quindi, nei giorni della settimana gli iniziati hanno scritto tutto questo settenario, tutti questi 7 passi evolutivi, enormi!, della terra; allora tu dicevi – l’affermazione è questa –: l’incarnazione planetaria della terra allo stadio lunare – Terra 3 – era un cosmo, un mondo, intriso di sapienza, di saggezza. Ora questa saggezza, il portato di tutte le tre precedenti, è posta alla base… la Terra 4 si porta la saggezza alla base, e deve sorgere un elemento nuovo, se no, a che serve Terra 4 se non sorge un elemento nuovo!

La saggezza è il sostrato di tutto il portato di T 1, T 2 e T 3… dove la vediamo la saggezza sulla terra?

PUBBLICO: La natura!

A.: La natura! Saggezza dall’inizio alla fine! Basta prendere in mano una fogliolina di betulla ed è strepitoso (vedere) quale saggezza c’è in una fogliolina di betulla! L’ordine, no!

E il nuovo? (cos’è?)

L’amore! Trasformare un mondo di saggezza in un mondo di amore!

E amore è libertà: è la stessa cosa! Saggezza non è libertà: è natura!

Arricchire il senso della terra è arricchire un mondo di saggezza, di non-libertà di natura, con l’emergere del fattore evolutivo enorme, infinito, dell’amore e della libertà; amore e libertà che per natura sono individualizzati.

Un amore generalizzato, una libertà che è la stessa per tutti non esiste; quindi c’è qui l’individualità: l’io; quindi il senso della terra (T4) è la costruzione, il sorgere dell’io!

Il problema linguistico con l’io è che non esiste in italiano l’io; siamo agli inizi! Se facciamo altri 50, 100, 2 secoli, di scienza dello spirito, allora questo io diventa un sostantivo! Invece in tedesco, siccome ci sono stati questi idealisti, io, nel liceo, ho cominciato a studiare il tedesco, ero innamorato di Fichte, mica di Hegel e di Shelling, perché era il filosofo dell’Io! – vattelapesca perché! – perché tutta la filosofia di Fichte è: Das Ich! (l’Io). La teoria della scienza, l’ha rifondata, rimaneggiata 12, 13 volte; tutto sull’io!

L’io, il concetto di io, è lo spirito individualizzato che liberamente crea; e questa libera creazione è puro amore! È la stessa cosa! Perché tutto quello che crea è bello! Se no, non lo crea! È degno di essere amato.

Ogni mamma trova bello il suo bambino, anche se è un po’ bruttino; perché l’ha creato lei; è la sua creatura!

Quindi ciò che la libertà crea è bello perché è creato in libertà. È la libertà che lo rende bello, per natura

Per esempio, la libertà crea il capire le cose! …È bello capire?

Eccome! Eccome! …L’uomo ama il capire?

Eccome! Lo cerca! Lo desidera! Vorrebbe capire! E quando capisce è contento, è pieno di gratitudine.

E allora datti da fare per capire sempre più, sempre meglio, sempre più a fondo, ecc., ecc. E tutto va bene.

E allora, quanto ci metti tu a trasformare un cosmo di saggezza in un cosmo di amore?

PUBBLICO: Varie incarnazioni!

A.: Parecchie! Se tutto va bene! Perché si possono anche perdere colpi!

BARBARA: Io volevo tornare alla frase: ubbidire a se stessi, dove si deve appunto cogliere se stessi; e questo è anche molto importante proprio per il pedagogo, che deve cogliere l’essenza del bambino che si trova di fronte. In pedagogia curativa, secondo me, è ancora più…

A.: Cos’è la pedagogia curativa? Spiegaci!

BARBARA: Praticamente si occupa dei bambini con dei problemi fisici, per cui c’è una responsabilità maggiore. E il mio problema è capire dove intervengo e se, quando intervengo, posso ledere anche la libertà di questi bambini.

A.: Allora: la prima cosa, in campo normale – tu dicevi – si tratta di cogliere l’essenza del bambino…

BARBARA: Assolutamente, anche per la pedagogia curativa, ma…

A.: Sì, prima senza pedagogia curativa, poi pedagogia curativa dove si tratta di… secondo noi; sono categorie che usiamo noi, uso le due frasi: un bambino che ha problemi fisici e: ancora di più è importante cogliere il suo essere!

Allora, come spunto, uno spunto di pensiero: il concetto di cogliere l’essenza del bambino è un concetto errato! Perché la cosa non esiste, è impossibile!

Se io sono un’altra individualità non posso mai avere il concetto di un’altra individualità: dovrei essere lui!

Quindi il pedgogo che si mette in testa di cogliere l’essere del bambino è l’inizio di volerlo gestire! Il pedagogo ha il compito molto più enorme di fargli spazio! E guardare cosa salta fuori; perché non lo può sapere!

E ciò che salta fuori non è l’io, perché l’io non può saltar fuori: l’io è pura immanenza!

Salta fuori la fenomenologia dell’io; quindi frammenti di questa interiorità assoluta; espressioni, modi espressione dell’io. Ne ha avuti miliardi nelle vite passate e adesso io lo vedo, come al rallentatore, in questi anni vedo… cosa sta sfornando di sé questo io?

E guardo! Lo devo percepire!

E lui mi dice: ora voglio far questo, voglio far quest’altro!

Io faccio di tutto per rendergli possibile tutto quello che vuole!

A questo punto, in pedagogia curativa, è importantissimo correggersi l’altro errore fondamentale: di mettersi in testa che ci sono bambini con problemi fisici! Non ci sono mai stati!

BARBARA: Mi sono espressa così per farmi capire, ma so benissimo che sono categorie che dobbiamo usare perché non abbiamo altre parole.

A.: No! Le usiamo perché abbiamo pensieri sbagliati!

Questo corpo che è diverso dal normale l’ha voluto lui!, perché è l’unico corpo che gli corrisponde; perché magari è più evoluto della norma – della norma che vorrebbe farsi normativa; ecco la norma morale dal di fuori! – essendo più evoluto può concedersi controforze maggiori dell’altro (“normaleâ€) che non ne è capace ancora.

E allora gli faccio spazio; faccio spazio a lui esattamente come faccio spazio a quell’altro che non ha problemi; perché non ha problemi neanche lui (il primo).

Ce li ho io i problemi!

Il bambino è quell’essere che non ha problemi, oppure non è bambino. Ce li abbiamo noi i problemi!

Fa fatica a camminare?… Una gran bella cosa!

È meglio camminare con facilità, o camminare con fatica?

È una faccenda individuale!

L’uno sceglie di camminare con facilità, perché si è ripromesso di fare altre cose; l’altro sceglie di camminare con fatica perché vuole concentrare le sue forze sul camminare. Va bene l’uno, va bene l’altro!

ELENA: Soltanto una precisazione a quello che dici – parlo fortissimo che mi sentono tutti –. Questo non esclude, spero, ma me lo chiedo, l’intervento del fisioterapista che aiuta comunque, in mezzo alle difficoltà, a destreggiarsi un po’ meglio. Ma è una domanda, non lo so, chiedo una risposta.

A.: Allora: assumiamo questo stato corporeo sotto il concetto, aristotelico principale, di malattia; facciamo una riflessione sulla malattia:

Sul fenomeno malattia, che è molto complesso, ci sono diversi tipi di malattia; per esempio: ci sono malattie karmiche e malattie non karmiche.

Le malattie karmiche sono quelle scelte e volute liberamente dall’io ancora prima di nascere: quelle le vuole e le sceglie per vincerle.

È questo quello che tu mi vuoi dire! Perché le forze che lui si ripromette di conquistarsi interagendo con la malattia, saltano fuori soltanto facendo di tutto per vincerla, la malattia!

Il fenomeno estremo della malattia sono le malattie croniche; per natura non vincibili!

Se queste gambe un po’ rotte sono state scelte in chiave di malattia cronica, se le vuol tenere per tutta la vita. Quindi, è certo che se le vuol tenere per tutta la vita, come ostacolo, per cui interagendo con l’ostacolo diventa sempre più forte come io! – ora lo vedremo nel capitolo prossimo, che già forse affronteremo oggi – la nostra cultura, siccome siamo agli inizi della comprensione dei misteri della libertà, siamo agli inizi del godere il momento attuale, e vogliamo sempre raggiungere qualcosa!

Quindi, lo scopo da raggiungere distrugge, uccide, la libertà!, perché la libertà non ha scopi! È puro godimento! Attuale! Nel momento attuale!

E questo puro godimento attuale, del creare in libertà e in amore, non ha uno scopo da raggiungere ancora superiore! È lo scopo supremo dell’essere: il vivere il momento presente come spirito creatore.

Lui interagisce in questo momento con questa controforza, e diventa nel suo spirito, non soltanto nel suo corpo, sempre più forte: questo è lo scopo!

Uno scopo maggiore da raggiungere non c’è.

Se invece è una malattia non cronica, se l’è scelta soltanto per un periodo – poveretto! – perché non ce la fa a tenersela per tutta la vita!

E salta fuori, dovrà saltar fuori a seconda di come lui interagisce, perché il suo io mi deve dire se vuole avere a che fare con queste gambe per tutta la vita, o se invece, grazie anche all’aiuto del fisioterapista, vuole avere a che fare soltanto per due, o tre anni.

Deve saltar fuori da lui, lui ce lo deve dire!, capito!

Però se noi pensiamo che sia meglio che dopo due anni sia sparita, allora il nostro pensiero compie l’errore di porsi al di sopra del suo io. Il meglio è quello che lui vuole per sé; e lo manifesterà! Io non posso saperlo!

Quindi, il senso della fisioterapia non è quello di guarire, di portargli via l’ostacolo; ma è quello di aiutarlo nel modo migliore a confrontarsi con l’ostacolo; e di momento in momento far sorgere forze sempre maggiori.

E non importa quello che sarà domani, quello che sarà dopodomani, altrimenti vanifico, nullifico, il presente.

Ora, in campo sociale, in campo economico, qual’è la versione laica, borghese, di questa morale ricattante che tu devi agire per uno scopo; sei virtuoso solo se agisci per uno scopo, per raggiungere la volontò di Dio, che è fuori e devo fare la volontà di Dio?

La versione laica, borghese è: il fantasma del successo!

Il successo è il modo migliore di vanificare il presente; perché è nella parola stessa: sub-cedere: cadere dopo.

Ora immaginiamo il ruolo che il successo giuoca nella società materialistica, nella società borghese che noi abbiamo! Milioni di persone che strutturalmente non conoscno neanche dove sta di casa il godere al massimo la pienezza dell’essere che è nel presente, o non c’è mai!

E siccome non godono, non conoscono neanche questo godimento di una creazione che è sempre in atto; gli resta il contentino di un successo che rincorrono per tutta la vita.

Rincorrere il successo: nel momento in cui si attua, tu non hai neanche il tempo di goderlo: pensi subito a dell’altro! Hai guadagnato un milione, pensi subito al milione successivo!

E quindi una forma fondamentale di alienazione dell’essere umano è di svuotargli il presente e farlo vivere solo in un futuro che non c’è mai!

Domani è il giorno che non c’è mai! Il giorno che c’è sempre si chiama oggi; e neanche tutto!

Quello che c’è sempre è il momento presente; il momento successivo è il momento che non c’è mai!

Serve come spunto?

Quindi, di fronte a un bambino dico: guarda!, guarda! Fagli spazio!

Vuol far quello? Faglielo fare!

Sporca? Ma sì, che sporchi!

È meglio avere muri puliti e bambini castrati? È meglio? Avremo un sociale migliore fra 10, 20 anni?

Godiamo i muri sporchi se i bambini crescono, che poi, dopo 10 anni, non li sporcheranno più! Però il sociale sarà bello!

Detto in un’immagine, però ci capiamo cosa si intende dire.

E quindi, in un certo senso la pedagogia steineriana, sulle basi della scienza dello spirito, con un minimo di consapevolezza che questo fantolino è uno spirito che ha già millenni di evoluzione passata, è una pedagogia alternativa tutta diversa!

Non dico che tutti i pedagoghi siano bravi, non è di questo che parliamo, parliamo di questa pedagogia che, paragonata con la pedagogia di stato, è come vivere su due pianeti del tutto diversi.

I. 3: Ho capito che il pensare è l’atto creativo anche se non è seguito da un’azione, perché è qui ed ora.

A.: Il pensare è la forma suprema dell’agire!

I. 3: Anche se poi…

A.: Noooo! È un’azione! È la forma suprema di essere in azione! Tu vai in cerca dell’azione che segue! L’azione che segue è quella che non c’è mai, perché segue sempre, segue sempre! O sei in azione adesso, o mai!

E come sei in azione adesso?

Pensando! Oppure dormi!

Oppure mangi!

Buon appetito! Ci vediamo nel pomeriggio.

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Sabato 1 ottobre 2011, pomeriggio

archiati: Prima di tutto una precisazione terminologica sul monismo. Accennavamo già ieri che c’è un piccolo impiccio di terminologia nella Filosofia della Libertà perché, nel 2° capitolo per esempio, Steiner parla del monismo come di una visione del mondo non sua, che lui critica! Nel senso che lui intende per monismo – in questo 2° capitolo – il ridurre il mondo spirituale e il mondo materiale ad un mondo solo, però riducendo, cancellando sia lo spirituale e sia cancellando il materiale.

Invece in questo capitolo – il X° capitolo – parla di monismo nel senso di una visione giusta, che è la sua! E quindi io dicevo: se fosse permesso di dare a Rudolf Steiner un piccolo suggerimento, gli diremmo: se dovesse capitare di ritornare in vita e riscrivere la Filosofia della Libertà una seconda volta, gli diremmo di risolvere questo mezzo pasticcio.

Allora qui “monismo†significa la visione unitaria del mondo.

Una visione unitaria del mondo è l’unitarietà, il carattere di unitarietà del mondo che viene costruito… il mondo non è unitario in partenza per l’uomo! In partenza il mondo è spaccato in due; ed è spaccato in due quando noi percepiamo; perché uno dice: ma, l’albero del pero è là e io sono qua: c’è il mondo e c’è l’io; quindi sono due mondi diversi!

Qui “io penso†– un fattore di spiritualità, se vogliamo – e lì vedo materia!

Quindi (di fronte all’essere umano) l’essere umano apre gli occhi, apre le orecchie ecc., spacca il mondo in due: spacca il mondo in un dato di percezione e un dato di concetto. Percependo il mondo come spaccato dice: no, (non mi va), non può essere che il mondo sia spaccato in due, e allora scopre il senso di questa spaccatura quando la risolve: (cioè) riunifica le due sponde del mondo e dice: nel concetto, nella realtà spirituale, io ho la realtà unitaria del mondo, perché il concetto “pero†è all’opera prima del pero percepibile, è all’opera dentro il pero percepibile come l’essenza vera del pero, ed è all’opera nel mio pensare quando io colgo e creo, come spirito pensante, il concetto del pero.

Quindi c’è soltanto una realtà del pero! E la realtà di percezione del pero è in un certo senso ingannevole, perché non è una realtà. Prima di tutto è transeunte, è effimera, è passeggera, oggi c’è e domani non c’è.

Quindi la concezione unitaria del mondo sta a dire che nel pensare, in questo processo di creazione di pensiero, di intuizione artistica pura, che è attività creatrice del pensare, l’essere umano coglie l’unità del mondo.

E l’unità del mondo è il Logos, lo spirito creatore!

Dentro lo spirito creatore… prima di tutto il mondo è tutto lì, dentro; e poi come una unità, come un organismo.

Perché prendiamo i quattro regni del mondo percepibile: minerale, vegetale, animale e umano: se il Logos, la logica, il pensatore divino universale che li ha pensati, se li avesse pensati senza connessione, senza un minimo di essere gli uni per gli altri, allora noi non potremmo dire: nella natura c’è una sapienza, c’è una saggezza. La saggezza sta nel fatto che tutta la natura è stata pensata organicamente come una unità!

Quindi, pietre, piante, animali e l’uomo formano un’unità, un’unità però di un organismo articolato; così come un organismo umano, il corpo umano, è un’unità! Non sono due corpi! Però un’unità articolata, diversificata, con tanti organi, con tante funzioni che sono presenti in modo tale che fanno un’unità: sono tutti gli uni per gli altri.

I polmoni per il cuore, il cuore per i polmoni, per il cervello, per la milza ecc.

Questo si intende dire qui, in questo capitolo, per “monismoâ€.

In chiave di morale tutto ciò che sembrerebbe un’istanza morale – potesse essere, o fosse un’istanza morale – fuori di me, una legge che mi dice dal di fuori ciò che io devo fare, una divinità che ha dei comandamenti nei miei confronti, i conti tornano, per l’uomo, soltanto quando lui crea questo monismo; per cui tutto ciò che, ingannevolmente, come percezione, sembrerebbe essere una realtà al di fuori, non lo è più! Così come il pero sembrerebbe essere una realtà al di fuori, ma invece si evidenzia che è una realtà soltanto quando io lo interiorizzo e lo faccio parte di me.

E allora se pongo la domanda che si chiede: qual’è la volontà di Dio su di me? Cosa vuole Dio da me? Il punto di partenza è un dualismo: Dio là e io qua.

E questo punto di partenza va superato. Se restiamo a questo punto di spaccatura io resterò gestito dal di fuori in eterno; e questo essere gestito dal di fuori è l’essenza della distruzione dell’umano!

Perché l’essenza dell’umano è l’autogestione, l’autonomia interiore, la libertà. È il sapere dal di dentro cosa il mio essere vuol fare per vivere sempre più in pienezza, per diventare sempre più spirito creatore.

Allora è un’illusione, è un inganno di partenza quello di pensare che ci sia questa dualità, di un’istanza morale là fuori, la volontà di Dio, ecc., ecc.

E il senso di questo inganno di partenza è di venir superato.

Allora dico: come tiro il Dio là fuori, dentro di me? Come tiro la volontà di Dio, che sta in lui, per farla mia, che diventi la mia volontà? Come faccio del Dio, un io?

Oh tosco!, dimmi tu quale verbo ha Dante che noi abbiamo perso?

MASSIMO: Indiarsi!

A.: Indiarsi! Ma che peccato! Parole così belle, così cristiane, così logiche, sono andate perse!

E chi ha fatto di tutto perché andassero perse?

La chiesa cattolica!

Perché non le andava bene che tutti gli esseri umani fossero in cammino per “indiarsi†sempre più profondamente, sempre più sinceramente.

Prima di scoprire Rudolf Steiner – non ne conoscevo neanche il nome – ero eremita sul lago di Como e ho studiato dall’inizio alla fine, 11 volte, la Divina Commedia! Era la cosa più bella che conoscevo. Ero innamorato della Divina Commedia, e stavo cominciando la 12ma volta! …Mi è andata male perché ho scoperto Rudolf Steiner!

M’è andata bene, via!

In Dante ci sono parole così belle, io godrei se venissero rinfrescate!

E questo “indiarsiâ€, traduciamolo nel senso della Filosofia della Libertà, o del vangelo di Giovanni, se volete: l’uomo si “india†intridendosi di forze del Logos a livelli sempre più profondi. Più diventi logico e più il Logos diventa spirito del tuo spirito, carne della tua carne.

E allora la norma morale non è più fuori di te, e ti dici: sì, colui che ha creato lo spirito umano, la volontà era quella di creare uno spirito umano; quindi, più io divento uno spirito umano, più eseguo la sua volontà, faccio la sua volontà. Più mortifico l’umano e più vado contro la sua volontà.

Allora la norma morale è l’umano, non ce ne può essere un’altra! La norma morale è la natura umana! La natura umana che però… ce l’ho o non ce l’ho?

Se ce l’ho, non può essere una norma del divenire perché ce l’ho; se non ce l’ho non può essere perché mi è esterna…

Allora la natura umana è una potenzialità! Una potenzialità come falsariga, come compito di trasformare questa potenzialità sempre di più in una attualità, in una realtà vissuta.

E la struttura del dinamismo tra una facoltà, una capacità, una potenzialità, che si trasforma sempre di più in una realtà, come la chiamiamo noi, che parola c’è in italiano per esprimere questo mistero dell’essenza dell’umano che trasforma sempre di più ciò che potrebbe essere in ciò che è realmente?

La chiamiamo libertà!

Libertà significa trasformare sempre di più – e non devo farlo: sono libero, posso anche ometterlo – trasformare me sempre di più in quello che sono stato pensato! – non è italiano, eh! – Il creatore del mio io l’ha pensato; quindi nel pensiero c’è già in lui il mio io; io lo realizzo a livello di morale, a livello di comportamento. Quindi ognuno di noi può diventare soltanto ciò che è, in quanto è stato pensato da chi ha pensato su di me.

Ma allora, lo sono o non lo sono ancora?

Lo sono nella mente del Logos e non lo sono ancora, o lo divento sempre di più a livello della mia mente, del mio cuore, delle mie azioni.

Allora parliamo di una morale positiva, propositiva, come antipode assoluto di una morale… l’ho chiamata castrante, negativa: devi, devi, devi, questo non puoi, quest’altro non puoi ecc.

La morale della libertà è una morale propositiva: tu sei un progetto evolutivo, individualizzato, dell’umano in te. Pensando il tuo io, creando il tuo io, il creatore del tuo io ha pensato un progetto di realizzazione dell’umano del tutto individualizzato all’infinito, ricco all’infinito, e te lo ha proposto come prospettiva di evoluzione del tuo io, del tuo essere.

Quindi c’è soltanto una morale del bene morale, che è la pienezza; e c’è soltanto un male morale ed è la povertà, la carenza. L’unico male morale sono i colpi persi!

E ve l’ho detto: al giudizio universale viene soltanto detto: potevi far questo, potevi far quest’altro e non l’hai fatto – avevo fame e non mi hai dato da mangiare –.

Non ci sono peccati di commissione, ci sono soltanto peccati di omissione!

Tra l’altro nel vangelo di Matteo – scusate questi accenni ai vangeli, che non sono né pii, né sentimentali, ma sono per evidenziare che bacchettonerie sono state fatte su un cristinesimo che è così pulito, così logico – Matteo 25, questo giudizio universale di cui sto parlando, dice: questi qui andranno al godimento eterno e gli altri andranno alle pene eterne, alla condanna eterna! …Ma che Dio è?!

Può essere mai che un povero cristiano …nella vita ha fatto quello che poteva … non era in grado subito di pigliare questa “buggerata†della scienza dello spirito che ti dà, ti dice: devi darti una mossa! …Mi son goduto un po’ di vino, un po’ di Chianti, mi son goduto, da maschietto, un po’ le donne… e che altro dovevo fare? Non sono avanti più di tanto!…

Quello ti dà una botta e ti manda all’inferno eterno! …Nooo!

Il Padreterno gli dice: guarda, ritorna sulla terra e forse ti verrà voglia di capire che sì, le belle donne sono una bella cosa, però ci può essere qualcosa di ancora meglio! – Qui in sala la donne non hanno sentito, vero! –.

Nel vangelo (di Matteo) ci sono due parole a proposito di questa condanna eterna e tutt’e due le parole greche significano l’opposto di quello che trovate nelle traduzioni italiane.

KOLASIS – vi scrivo (alla lavagna) le parole greche; allora siamo a Matteo 25, le potete andare a trovare – e AIONION.

KOLASIN (accusativo) questo termine greco significa coloro che scopriranno, si renderanno conto di essere manchevoli, come uno che gli manca un membro: monchi, mutilati! Gli manca qualcosa!

In altre parole faranno l’esperienza della tristezza del constatare: avrei potuto diventare di più, avrei potuto realizzare di più in positivo, la potenzialità, la capacità del mio essere, ma, insomma, ho poltrito troppo, sono stato troppo pigro, l’inerzia mi ha fatto realizzare soltanto una parte del mio essere.

Cosa c’entra questo con la condanna, addirittura la pena… No, è un processo di coscienza: si rendono conto che la vita gli avrebbe offerto molto di più se nella loro libertà l’avessero… Quindi questa presa di coscienza è il presupposto per tornare sulla terra e perdere meno colpi! Allora sì che è logica la cosa!

E questa parola: Aionion è stata tradotta con “eterno†ed è l’opposto di eterno.

AIONION significa: dura un “eoneâ€. AION è un eone! E un eone – c’è la parola in italiano, eh!, “un eone†si chiama – un eone è un lasso di tempo, magari molto grande, però è nel concetto di eone che ha un inizio e che ha una fine. Non eterno!

Perché il concetto di eterno significa che non finsce mai!

E Giuda, se è all’inferno, non esce mai!

L’ho detto a mia sorella suora: oh, adesso noi, in tempi di coscienza ecologica, quello ti scalda l’inferno all’infinito, spreca un sacco di energia e magari non c’è dentro nessuno… insomma bisogna pensarle bene le cose, capito!

Invece il greco dice: questa presa di coscienza, questo bilancio, questo tirar le somme della vita passata, durerà un eone, un tempo che ha un inizio e una fine: e dov’è l’inizio?

La morte!

E dov’è la fine?

Quando ritorna sulla terra!

Quindi, per un eone, durante un eone, ci sarà la presa di coscienza di tutto ciò che ho omesso: sono monco, sono mutilato, mi manca qualcosa che avrei potuto costruire nel mio essere.

Però questa presa di coscienza è di nuovo piena di amore per aiutare l’individuo umano e dirgli: guarda che ce ne manca ancora, per quanto tu pensi di essere perfetto, ce ne manca ancora!

Ah, sì, allora torno sulla terra e voglio continuare ad evolvermi!

Ma questa cosa così bella, così logica, così propositiva, così dinamica… cos’hanno fatto le traduzioni? L’opposto! Lo manda alla pena eterna, la punizione eterna!

E in greco è l’opposto, tutt’e due le parole sono esattamente l’opposto!

Tutto questo adesso parlando di monismo; era questo il punto di partenza. Qual’era il filo del discorso 5 minuti fa?

PUBBLICO: L’uomo che si india!

A.: L’uomo che si india, ecco! Dicevamo, in campo di morale, il monismo… c’è un dualismo di partenza anche in campo morale, già per il fatto che tutti i poteri costituiti hanno interesse a gestirmi dal di fuori.

Quindi questo è il dualismo di partenza: cioè che ci saranno sempre poteri – e questa controforza ci vuole, se no io non ho nulla da fare! –.

Quindi il punto di partenza della morale, il punto di partenza quando io mi chiedo: cosa faccio ora?, devo sapere che il punto di partenza è sempre una spaccatura, un dualismo; che ci sono tante voci che hanno la pretesa di dirmi ciò che io devo fare; e io creo il monismo, tiro dentro di me tutte queste norme che vorrebbero gestirmi dal di fuori, nella misura in cui trovo la forza interiore di dire: nooo!, la cosa che io devo fare – prima di tutto non esiste ciò che io devo fare, esiste soltanto ciò che il mio essere vuole per vivere sempre di più in pienezza, per realizzarsi sempre di più.

Allora mi chiedo: in questa situazione, in questo momento, qual’è la cosa che voglio liberamente fare perché in questa cosa esprimo e vivo un frammento di autorealizzazione?

E allora ho vinto di nuovo questa spaccatura iniziale di gestioni che si presentano, di forze di potere che si presentano per gestirmi dal di fuori: le mando tutte a ramengo e trovo, dal di dentro, questa sorgente zampillante che progetta: la fantasia dell’amore – lo vedremo poi, nel XII°, XIII° capitolo – dove l’uomo dice: faccio questo, lo decido io, deve corrispondere al mio essere; ogni altro può sapere al massimo cosa fa lui, cosa corrisponde al suo essere, ma nessuno è il mio essere, il mio essere sono soltanto io, e io soltanto posso sapere che cosa mi corrisponde, che cosa mi realizza, in questo momento, in questa situazione, con queste persone ecc., ecc., ecc.

Quindi, che cosa una persona ha da fare, non si può dire dal di fuori, in assoluto!

E perciò il Logos dice: non giudicate!

Perché nessuno di voi è in grado di sapere qual’è la cosa giusta per un altro: dovresti essere l’altro per sapere cosa lo realizza, in questo momento, così com’è, stando a tutto ciò che si è conquistato e le precedenze che stabilisce, in questo momento, per quanto riguarda l’avvenire.

Si ripresenta di nuovo subito (qualcuno che dice): sì, però ci sono delle cose che vanno fatte!

Le cose che vanno fatte sono, diciamo, le condizioni di cornice, le condizioni per dare ad ognuno la possibilità di far emergere ciò che è individuale, ciò che è libero, ciò che è del tutto artistico.

Ora, le cose che vanno fatte, la persona libera le fa! Sempre!

Perché sono necessarie per poter vivere tutti in libertà.

Quindi, le cose che veramente vanno fatte, la persona libera non le mette neanche in questione: le fa senza metterle in discussione, perché sono il presupposto, la condizione necessaria. E poi, il più presto possibile son fatte, poi va a ciò che è libero!

Quali cose sono necessarie? Quali cose sono necessarie per vivere da liberi?

Pochissime! Il meno posssibile!

Lo stretto necessario, di più non è necessario se uno si gode ciò che è libero! Lo stretto necessario!

E lo stretto necessario è un corpo sano!

Tutto ciò che è necessario, che occorre, per avere un corpo sano! Ce n’è che avanza!

Sì, però per avere, per vivere questi livelli dello spirito dovrei avere anche un’anima sana! Dovrei fare anche tutte le terapie dallo psicoterapeuta ecc., ecc.; non è necessario avere anche un’anima sana?

No! L’anima sana te la dà lo spirito! Soltanto il corpo sano è un presupposto che deve precedere; e basta!

Quindi, il necessario per vivere a piene mani la gioia della libertà è il corporeo, è il dato di natura; lo dicevamo anche questa mattina.

E per tutto ciò che c’è da fare per avere un corpo il più sano possibile – anche con le gambe rotte, se le gambe son rotte – che corrisponde a tutto ciò che c’è da fare per avere un corpo come il mio spirito vuole, come strumento per godersi la libertà, non sono tantissime!

Noi facciamo un sacco di cose… no!: 5 sacchi di cose, 10 sacchi di cose, che non sarebbero necessarie; le facciamo soltanto perché non riusciamo mai a goderci la libertà.

Allora per riempire questo vuoto, cerchiamo di riempire questo vuoto facendo un sacco di cose, che poi evidenziano sempre più il nostro vuoto interiore.

Nella misura in cui afferriamo il coraggio di vivere sempre di più nella libertà, di diventare sempre più creatori, di masticare un paio di conferenze di Steiner – non di Archiati – di Steiner!, che ti fanno scintillare, sprizzare, ecc., ecc., io mi rendo conto che tante cose le mando subito a ramengo! Non sono necessarie! Zavorra!

E mi risparmio un sacco di soldi, tra l’altro!

Quanti soldi sono necessari per godersi la libertà?

I soldi necessari per avere un corpo sano!

Sì, ma io ho bisogno almeno di due vacanze all’anno!

Povero farabutto! Sei un poveraccio in canna, perciò hai bisogno di almeno due vacanze all’anno! Se invece tu godessi veramente a piene mani la libertà, non sai nemmeno dove sta di casa la vacanza!

Scusate, quelli di noi che conoscono questo signor Rudolf Steiner, se lo immaginano che ha bisogno ogni anno di andare in vacanza?

Assurdo, no! …E perché?

Perché la vacanza ce l’ha sempre; la vacanza più bella che c’è è la libertà!

Quando invece “vacat†– vacanza viene da “vacatâ€, vuoto – è vuota la testa e il cuore, e allora uno ha bisogno della vacanza, capito!

Però torna a casa ancora più esausto di quando è partito!

Io conosco un sacco di persone che, quando tornano a casa dalle vacanze, hanno bisogno di due settimane per riprendersi dalle vacanze! Avevo sempre pensato che le vacanze servono per riposarsi, per ritrovare le forze… arrivano a casa dalle vacanze stramorti! …Allora a che serve?

Luciana, sto esagerando?

LUCIANA: No, no!

A.: No, no, se Luciana mi dà l’imprimatur allora vuol dire che va bene! Sai cos’è l’imprimatur?

LUCIANA: Sì, lo so, dillo tu!

A.: “Si stampiâ€!

LUCIANA: Eh, lo fa il papa!

A.: Anche il vescovo, perché il papa non può leggere tutto, capito! Il vescovo… la licenza di stampare!

LUCIANA: E c’è pure il “disimprimatur�

A.: No, non c’è quello! La Filosofia della Libertà è stata stampata senza imprimatur, non c’è qui imprimatur all’inizio, capito!

Allora, rileggiamo il paragrafo 6, dopo tutti questi sproloqui da parte mia; li faccio quando in platea c’è un po’ di siesta, pensando che mi vada tutto bene, capito!; invece poi, quando le persone si svegliano, devo star più attento!

Il monismo, questa visione unitaria del mondo, questa gioia di spazzar via tutto ciò che è fuori di me, perché non esiste ciò che c’è fuori di me! Voi, tutti qui in sala, per me – per me naturalmente, ognuno deve parlare per sé – esistete soltanto nella misura in cui diventate un frammento di me! Ciò che non diventate un frammento di me, non mi riguarda!

LUCIANA: Speriamo che non ti facciamo indigestione!

A.: Noooo! Siamo a livelli animici e spirituali naturalmente!

(X, 6) Il monismo dovrà ammettere una parziale giustificazione del realismo primitivo {perché quello è il punto di partenza: la spaccatura, il dualismo, è il punto di partenza}, perché dà una giustificazione al mondo percettivo. Chi è incapace di produrre le idee morali mediante intuizione, deve riceverle da altri. Per tutto il tempo in cui l’uomo riceve i suoi principii morali da fuori, egli effettivamente non è libero. Il monismo però attribuisce, accanto alla percezione, un uguale importanza all’idea. Ma l’idea può manifestarsi nell’individuo umano. {Dentro, nel suo spirito. In quanto l’uomo segue gli impulsi provenienti da questa parte, egli si sente libero. D’altra parte il monismo rifiuta ogni giustificazione alla metafisica che procede soltanto per ragionamenti, e di conseguenza anche agli impulsi verso l’azione provenienti dal cosiddetto “essere in séâ€. Secondo il concetto monistico, l’uomo non può agire liberamente quando segue una coercizione esteriore percepibile; può agire liberamente quando ubbidisce soltanto a se stesso.

E qui eravamo questa mattina, che dicevo, questo Gehorchen, gehorcht, in tedesco, che è molto più libero, non ha questa componente animica dell’ubbidire, del sottomettersi, del fare l’inchino: sì, lui sa e io non so, lui è la guida e io sono il guidato, lui è il padre spirituale e io il figliuolo – il padre spirituale diceva: figliuolo, figlio mio, figlio bello! –.

Tutto questo viene evocato con la parola “ubbidireâ€, questo dicevo stamattina.

Trova la norma dell’agire nel suo pensare. Trova… la genera!, la costruisce! Perché il pensare è una fonte zampillante… così come il pensare è una fonte zampillante sul lato conoscitivo e crea le intuizioni conoscitive, così è una fonte zampillante, fantasiosa, artistica, che crea, dal versante morale della vita, concetti di azioni, o di comportamenti, che prima non ci sono mai stati.

Se io, in risposta alla domanda: cosa faccio in questo momento?, mi ripeto, non sono libero: sono morto! Perché mi ripeto!

Se invece ho la capacità di far zampillare vivacemente, in questo momento, da me, liberamente, come creazione nuova, un modo di essere, un modo di comportarsi, un modo di mettermi in interazione col mondo, un modo di coniare i miei pensieri, di formulare i miei pensieri, che è anche un fattore morale perché è un’azione, allora vivo nella libertà, nella creatività del mio spirito.

Perché, naturalmente, quando uno si chiede: come lo formulo questo pensiero?

Questa domanda è un domanda morale, perché riguarda un comportamento, riguarda un’azione, riguarda un modo di esprimersi del mio essere. E tutto ciò che riguarda il modo di esprimersi del mio essere, come individualismo etico, è un fattore morale!

Fattore intellettuale è quando disquisiamo di cose che sono uuniversalmente valide, valide per tutti.

(X, 6) Il monismo non può ammettere una coercizione incosciente che risieda dietro alla percezione ed al concetto. Se qualcuno sostiene che un’azione di un suo simile è stata compiuta non liberamente, deve indicare entro il mondo percepibile la cosa, o l’uomo, o l’istituzione che ha spinto quel tale all’azione;…

Ma il Cristo mi dice di agire così!

Però il Cristo (costui) ce l’ha dal lato di percezione! Così come è stato percepito 2000 anni fa, così come (glielo) hanno tramandato coi vangeli. Lui i vangeli li ha letti: tutto un fatto di percezione! E si orienta secondo questa percezione!

Tutt’altro se invece dice: un momento, qui io ho in mano… allora comincia il suo processo di pensiero dicendosi: ma io qui non ho in mano quello che il Cristo ha detto!, ho in mano una traduzione, per esempio.

Questo rendersi conto: ho in mano una traduzione, poi questa è una traduzione dal greco – va a sapere, va a vedere se il greco è veramente corrispondente a ciò che Lui ha detto – in aramaico, tra l’altro; lui l’ha dette in ebraico –.

Ma supponiamo che io abbia in mano le parole che Lui ha detto… resta da capirle, da interpretarle! E il capirle e interpretarle non è più questione di percezione, è questione di pensiero!

Nel momento in cui io, io stesso, non un altro, non il teologo, io stesso mi cimento ad interpretare, a capire, col mio pensiero, che devono essere logiche le cose che il Logos dice – non può permettersi di dire cose illogiche se si chiama il Logos! –.

Nel momento in cui cerco di entrare in questa logica, sono dentro il mio processo di pensiero; sono io stesso! E divento autonomo!

E allora capisco io cosa intende dire con queste parole che Lui dice!

Per esempio, se ci fosse nei vangeli, nelle parole del Logos, se ci fossero delle frasi che sembrerebbero dei comandamenti, il mio pensiero dice: di sicuro sono dei fraintendimenti! Perché il Logos si contraddice se dà dei comandamenti, perché il Logos significa autonomia pensante e volente interiore.

Quindi, se lui è il Logos, la sola logica a cui si deve attenere è quella di dire all’uomo: guarda che non esistono ingiunzioni, comandamenti, dal di fuori; perché allora tu distruggi l’umano! Perché l’essenza dell’umano è il creare, dal di dentro, fantasiosamente, liberamente, modi di comportamento che ti realizzano sempre di più come spirito, come frammento dell’umano del tutto individualizzato, del tutto singolo, del tutto diverso da ogni altro essere umano.

(X, 6) Se qualcuno sostiene che un’azione di un suo simile è stata compiuta non liberamente, deve indicare entro il mondo percepibile la cosa, o l’uomo, o l’istituzione che ha spinto quel tale all’azione; se si richiama a cause dell’azione poste al di fuori del mondo reale dei sensi e dello spirito, il monismo non può impegnarsi in tale asserzione. {Non la può prendere sul serio, non è da considerare.}

(X, 7) Secondo la concezione monistica, l’uomo nelle sue azioni è in parte libero a in parte non libero. Entro il mondo delle percezioni egli si trova in condizione di non-libertà, mentre in se stesso realizza lo spirito libero.

Nel corpo l’uomo non è libero, perché il corpo è la quintessenza delle forze di natura, che agiscono con determinismo, che agiscono di necessità!

Allora si pone la domanda: come faccio io a essere libero se sono dentro una somma di forze di natura non libere?

L’uomo è dentro una somma di forze di natura non libere, e la scienza naturale, la neurobiologia sempre più irrompentemente ti dice: dunque, la cosiddetta libertà è un’illusione: non sei libero!

Ci siamo detti diverse volte, e va precisato sempre di nuovo, che questa discussione che tende a negare la libertà, diventerà nel sociale, diventerà nei nostri paesi di matrice democratica, sempre più la discussione fondamentale, quella più importante che è in corso.

Allora io dicevo – vi ricorderete – (disegna) qui c’è l’essere umano, qui c’è la struttura del cervello, e la scienza, la neurobiologia, proprio dimostra che i fenomeni di coscienza, i fenomeni di consapevolezza, i fenomeni di coscienza intellettiva, tutto quello che avviene nella coscienza, il pensare ordinario… mettiamola così: ci sono due tipi di pensare, il pensare che mi dà la natura, ed è quello che abbiamo tutti, perché ognuno di noi mette in moto, interagendo col suo cervello, un processo di pensiero per cui ci si parla, ci si capisce ecc., ecc.

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Quindi c’è un pensare di natura – questo ce l’abbiamo tutti perché è di natura – ed è il pensare che è fatto così come il mio cervello, il tuo cervello, il suo cervello, lo consente.

E siccome questo pensare determinato dalla natura, determinato dalla struttura del cervello, dai geni del cervello ecc., è non libero, è deterministico, pieno di meccanismi, le scienze naturali vengono sempre più forti con l’affermazione: eh, lo vedi che non sei libero!

Parlo per scorciatoie, senza fare tutti i passaggi – la scienza dello spirito dice: certo che c’è questo pensare che dà la natura; è il pensare che ti dà la natura per il fatto di essere sveglio, di essere connesso col cervello. La natura ti dà questo tipo di pensare, non hai bisogno di liberamente sforzarti e di metterci dentro la tua libertà; no, ti viene spontaneo! Così come tu sai pensare te lo dà la natura.

E la scienza dello spirito, l’essenza della scienza dello spirito è l’affermazione che dice: c’è un altro tipo fondamentale di pensare, di pensiero, che non dà la natura! E siccome la natura non te lo dà, te lo conquisti soltanto per libertà!

Oppure non lo fai, perché la natura non te lo dà.

Allora la persona normale dice: ma di che cosa sta parlando questo Rudolf Steiner?

Sta dicendo che se noi fossimo onesti – e sarà questa la questione sociale, la più importante che ci occuperà nei prossimi anni, nei prossimi decenni – se fosse vero che in tutto e per tutto il pensare di natura è tutto quello che c’è, allora la libertà è un’illusione, allora la morale è un’illusione!

Io ho ammazzato un altro, ma non sono io ad ammazzare l’altro, è il mio cervello, è il mio sostrato biologico che ha ammazzato, perché io non sono libero; se non sono libero la morale non esiste, la morale è un’illusione!

Allora tutti i giudici che ci sono mangiano a sbafo! …Via! Facciamogli fare qualcosa d’altro! L’uomo, se non è libero, non ha colpa di quello che fa!

Quindi ci troviamo in una società che inorridisce, che ha paura di essere conseguente, ha paura di tirar le somme, di essere coerente con quello che la scienza sta dicendo.

Perché la scienza fa questa affermazione: che la coscienza ordinaria te la dà la natura, il pensare ordinario te lo dà la natura, quindi non c’entra la libertà! E la scienza lo dimostra, e ha ragione; ve l’ho detto diverse volte: ha ragione, è proprio così!

E la scienza dello spirito dice: quando gli esseri umani, di anno in anno, di decennio in decennio, quando si avranno sempre più esseri umani impotenti di fronte alla natura, sempre più depressivi perché allora dicono: ma allora io sono un trastullo, sono in balìa delle forze di natura!… C’è da spararsi! Davvero divento depressivo se capisco minimamente… l’io non esiste!

Oppure divento aggressivo e mi ribello!

Oppure dico: non sia mai che il senso di questo pensare cattivo, perché è captivo, è prigioniero, dipende in tutto e per tutto dalla costituzione biologica, fisiologica del cervello, non sarà mai che questa prigionia di partenza del pensiero di natura, sia fatta apposta per darmi la voglia, per farmi capire che il pensiero libero è libero soltanto se è lasciato a me?!

Ah, allora la potenzialità evolutiva di cui si sta parlando è la capacità di costruire sempre di più un tipo di pensiero non dipendente dal cervello!

Se il cosiddetto Padreterno, se il creatore dell’uomo non mi dà questa possibilità… mi ha fatto che io sono pensante – questi pensieri li stiamo pensando tutti insieme, adesso attenti, la cosa è molto seria – se mi ha fatto veramente in questo modo che io ho soltanto la possibilità di un pensare che dà la natura, che non è libera – la libertà è un’illusione, la morale è un’illusione – e mi dà addirittura la possibilità di capire queste cose, di capire che io sono un captivo, sono un prigioniero, se è vero che si ferma lì il mio essere e che non mi dà nessuna possibilità di liberarmi sempre di più, se non mi dà questa possibilità, se non me l’ha data… si piglia un calcio nel sedere!!! Che lo manda lui all’altro mondo!

Perché non ha il diritto di crearmi in questo modo, come uomo! Allora avrebbe dovuto crearmi come animale, che l’animale sta zitto, non si lamenta, perché non ha il pensare.

Se questo non evidenzia – io sto balbettando, eh!, però sto dicendo delle cose così fondamentali – se questo non evidenzia in un modo chiaro l’urgenza e la pulizia di questa scienza dello spirito, io vi chiedo: ditemi voi come va vanti l’umanità?!

E allora dico: oh, il senso della vita non è un pensare libero, perché se ce l’avessi già, non avrei nulla da fare! E se ce l’avessi già per natura, non sarebbe libero.

Allora il senso della vita è un pensare libero datomi come potenzialità, come capacità, come dinamismo di conquista!

In altre parole il dualismo del pensiero di partenza è un pensiero di percezione, lo percepisco, un pensiero prigioniero delle strutture del cervello, e questo pensiero, estraneo a me come spirito, che trovo prigioniero nella biologia, crea in me la voglia di creare la visione unitaria, di superare questa spaccatura tra il pensiero di natura e il pensare libero; e man mano che libero il mio pensare divento io stesso sempre più libero.

(X, 7) Secondo la concezione monistica, l’uomo nelle sue azioni è in parte libero e in parte non libero. Entro il mondo delle percezioni egli si trova in condizioni di non libertà, mentre in se stesso realizza lo spirito libero. {Quindi anche nel campo morale c’è un progettare di azioni, di comportamenti, che provengono da un pensare dipendente dal cervello e c’è un processo di pensiero che moralmente progetta azioni, che è libero; e ripeto, ciò che è libero deve essere omissibile, se no non è libero.}

Quindi le due possibilità della moralità sono: o la realizzazione della libertà, di ciò che è libero anche in campo morale; oppure l’omissione della libertà.

E ripeto, azioni cattive non ce ne sono, con l’unica eccezione che sono azioni che distruggono la libertà; ma quelle non sono azioni mancate, sono azioni che tutti dovrebbero proibirsi.

Quindi se uno fa… prendiamo una società dove nessuno compie azioni proibite; quindi azioni proibite nessune le compie: adesso restano soltanto due tipi di azioni fondamentali: un tipo di azioni – e vi chiedo se sono tutte e due buone; quelle cattive non ci sono, non vengono fatte, d’accordo? – adesso ci sono due tipi di azioni: un tipo di azioni non libero, perché è la natura che agisce in me – la rabbia, l’istinto, quello che sia – e un tipo di azioni dove il movente è la libertà, è il mio pensiero che liberamente la sceglie e la vuole.

Adesso io vi chiedo: un’azione che non è un’azione proibita, quindi non è un’azione moralmente cattiva, un’azione in cui è la natura ad agire in me, è moralmente cattiva o buona?

PUBBLICO: Varie risposte.

A.: Se è necessaria nel mio corpo per farsi da sostrato per ciò che è libero, viene assunta in ciò che è libero; se invece non è necessaria per vivere nella libertà il compierla è un frammento di omissione di libertà; e in questo sta il male morale, non nel fatto che l’azione in sé e per sé è male.

Quindi, un’azione in sé moralmente cattiva non c’è; proprio non esiste!

Se è proibito uccidere l’altro, proprio corporalmente uccidere l’altro, e uno uccide l’altro – l’ho detto tante volte – il male di questa azione di uccidere l’altro non è l’azione di uccidere, è la carenza di amore, è l’omissione dell’amore.

E che la mano si muova per premere il grilletto, quello è una conseguenza del vuoto di amore! Quindi il fattore morale è sempre riferito alla libertà e all’amore; che poi sono una cosa sola, l’abbiamo detto questa mattina.

(X, 8) I comandamenti morali, che il metafisico esclusivamente sillogizzante deve considerare come emanazione di una potenza superiore, per il seguace del monismo sono pensieri degli uomini;

Tutti i comandamenti morali che ci sono stati nell’umanità, dove sono sorti?

Nei cervelli umani!

Conoscete voi altri cervelli oltre a quelli umani? Altri cervelli, cervelli extraumani, che abbiano imbastito comandamenti morali?

Io non conosco, non ho mai percepito cervelli extraumani!

Quindi tutti i comandamenti che siano mai esistiti, sono sorti in cervelli di uomini; altri non ce ne sono!

E si ripone la domanda: perché il cervello suo deve essere, per me, meglio del cervello mio?

Caso mai il cervello suo, se è fortunato sarà meglio per lui, ma di sicuro non è meglio per me. Ciò che io ho da fare, che cosa realizza il mio essere, qui e ora, lo posso dire soltanto io; nessuno me lo può dire dal di fuori.

Quindi tutti gli altri hanno soltanto il diritto, in chiave di accordo, di dirmi quali azioni io non devo fare, o devo non fare. Lì mi attengo; ma quali azioni io devo fare non me lo può dire nessuno, ma proprio in assoluto nessuno! Perché nessuno è “ioâ€, soltanto io sono io.

L’ordinamento morale del mondo non è per lui la copia di un ordinamento puramente meccanico della natura o di un governo divino del mondo, ma libera opera degli uomini. L’uomo non ha da compiere la volontà di un essere che esiste fuori di lui nel mondo, ma la sua propria; non attua i decreti e le intenzioni di un altro essere, ma i propri.

La sua propria! Non ciò che gli piace, o di cui ha voglia, ma il volere, la volontà profonda del suo essere. E ci siamo detti la volontà vera, genuina, dell’essere di ognuno, è di vivere sempre più pienamente, a livelli sempre più individualizzati, nella libertà della creatività dell’amore.

Questo è il volere, il desiderio. Tant’è vero che dicevo che di fronte a questa chiusura, che vorrebbe dirmi che io non ci posso far nulla di fronte al fatto che le strutture del cervello condizionino in tutto e per tutto la mia coscienza, il mio pensare, io mi ribello!

E se la mia natura si ribella vuol dire che la mia natura porta in sé, per natura, il diritto e l’aspirazione a creazioni libere; sia in campo intellettivo, sia in campo morale.

Allora, chiediamoci, perché ci sono tante persone che non si sentono realizzate?

Perché in fondo, senza chiarircelo più di tanto, cerchiamo la realizzazione dal di fuori!

La tua realizzazione non c’è! la devi creare tu!

O la inventi momento per momento; tiri fuori da questa sorgente zampillante della fantasia morale, modi di comportamento, azioni ecc., tutte tue; oppure non sarai mai realizzato!

Ti puoi realizzare soltanto attivando la tua individualissima inventiva morale; e finora non hai avuto neanche la minima idea che c’è questa potenzialità, questa facoltà di un’inventiva morale, di una sorgente fantasiosa che crea modi di comportamento; guardi al di fuori che cosa devi fare, che cosa si aspettano gli altri, che cosa diranno gli altri… sarai libero soltanto se dài un calcio nel sedere a tutto quello che dicono gli altri e crei tu, dal di dentro, ciò che ti corrisponde, ciò che ti realizza, ciò che ti dà gioia, ciò che ti dà pienezza, ciò che arricchisce l’umanità in modo diverso che non tutti gli altri esseri umani.

Sto cercando, arrabattandomi, di evidenziare che noi viviamo veramente di una moralità mortificante, fatta di comandamenti, fatta di trappole: fermati, fermati, sta attento, sta attento!, ecc., ecc.; quando invece questa è tutta immoralità, è tutto contro l’umano, distrugge l’umano; e perciò siamo tutti scontenti!

Invece la vera moralità, non quella disumana, ma quella umana, ti dice: ma guarda che il bene morale è ciò che tu hai la capacità di inventare, di creare! Quello è il bene morale: ciò che tu crei amandolo, ciò che tu ami creandolo, quello è il bene morale, perché ti realizza come creatore.

Però ti puoi realizzare come creatore soltanto creando, a modo tuo. Quindi tutto il mondo che esiste non potrà mai darti una regola, un orientamento; tutto il mondo intorno a me è un disorientamento morale, perché l’unico orientamento che è veramente morale, che è moralmente buono, è il mio essere; e tutto il mondo intorno a me è il “non ioâ€.

Quindi tutto il mondo intorno a me, in chiave morale, è un disorientamento! Non sia mai che io mi orienti a ciò che è “non io†per realizzare il mio io!

Il mondo è fatto per essere capito, non per gestirmi moralmente; il mio io è l’orientamento per la moralità, per ciò che devo fare.

Non il mondo, non gli altri.

In campo morale, di ciò che è moralmente bene per me, non ha nessuno voce in capitolo! Nessuno! Allora si è liberi! E questo vale per tutti, è chiaro!

E come fondamento per poter vivere così tutti quanti, basta che individuiamo un minimo di azioni che vanno proibite, che però le persone libere non compiono, non vogliono compiere, perché altrimenti lederebbero la libertà.

E c’è posto per tutti!

Perché se il Logos, se la logica che ha creato il fenomeno umano avesse creato tutti questi spiriti individualizzati con il dinamismo interiore di realizzarsi sempre di più e non gli avesse dato sufficiente spazio, a tutti, di realizzarsi, sarebbe di nuovo illogico, si contraddirebbe!

Quindi è in questa logica dell’amore che è stata creata una terra, uno spazio sufficiente, perché per muoversi in libertà ci vuole anche un minimo di spazio fisico, così come ci vogliono i soldi in un’economia di denaro ecc.

Però la logica del Logos non è stupida: se ci ha creato, ognuno, con un potenziale di individualizzazione, con un orientamento morale dal di dentro, vuol dire che è possibile socialmente e che vivremo felici tutti soltanto se ognuno fa ciò che il suo essere vuole! E non lederà mai la libertà dell’altro. Lo farà soltanto quando compie un’azione proibita.

Ogni volta che noi vorremmo l’altro in un certo modo, distruggiamo l’umano! Nessuno ha il diritto di volere l’altro in un certo modo! Perché nessuno ha diritti sull’altro. L’unico diritto che io ho nei confronti degli altri, è che non compiano azioni proibite; altri diritti non ce li ho, e non li voglio, ho abbastanza da fare!

(X, 8) Dietro l’uomo che agisce, il monismo non vede il finalismo di una guida del mondo a lui estranea, che determina gli uomini secondo la sua volontà. Gli uomini, in quanto realizzano idee intuitive, seguono soltanto i loro propri scopi umani. Anzi, ogni individuo segue i suoi scopi particolari: {individuali, unici, irripetibili} infatti il mondo delle idee non esplica la sua vita in una comunità di uomini, ma soltanto nei singoli individui umani.

Quindi, nel pensare intellettivo l’umano si unifica, nel pensare morale l’umano si diversifica. Nei concetti intellettivi l’umano diventa uno, nei concetti morali diventa ricco all’infinito, diversificato all’infinito.

E questa altalena, tra il concetto intellettivo, che vuol capire la realtà, e il concetto morale che realizza l’io nella sua unicità, è proprio l’altalena dell’umano che si muove tra l’universale e l’individuale.

Quindi la comunione non esiste nell’agire, ma nel pensare! Due persone che fanno la stessa cosa è un fenomeno di immoralità, perché o l’uno, o l’altro, o tutt’e due, cancellano il proprio io del tutto singolo e individuale.

Vi dicevo parecchio tempo fa: due persone, due mamme di famiglia – può essere anche un papà – stanno cuocendo lo stesso pranzo, le stesse pentole, gli stessi cibi ecc., ecc.; se noi avessimo una cinepresa (che riprende), tutt’e due le sequenze sarebbero del tutto uguali.

È la stessa azione?

L’essenza dell’azione non è l’esteriorità, ma sono i pensieri, i sentimenti, il vissuto della mente e del cuore che, mentre le mani si muovono in un certo modo, (esprime) tutto ciò che animicamente e spiritualmente viene vissuto.

Ora immaginate che queste due persone fossero in grado – cosa impossibile, ma immaginiamola come ipotesi – fossero in grado di pensare gli stessi pensieri e vivere gli stessi sentimenti… Non sarebbero più due persone, sarebbe un impoverimento dell’umano pauroso!

Invece restano nel processo di pensiero e nel cammino del cuore due individui del tutto diversi; e ognuno si realizza, in queste azioni che esteriormente sono le stesse, in un modo diverso. I pensieri dell’uno sono tutti diversi dai pensieri dell’altro; i sentimenti dell’uno sono tutti diversi dai sentimenti dell’altro.

(X, 8) Anzi, ogni individuo segue i suoi scopi particolari: infatti il mondo delle idee non esplica la sua vita in una comunità di uomini, ma soltanto nei singoli individui umani. Ciò che risulta come mèta comune di una comunità umana non è che il risultato dei singoli atti di volontà degli individui, e precisamente, per lo più, di pochi eletti che gli altri seguono riconoscendoli come autorità. Ognuno di noi è chiamato allo spirito libero, {a diventare uno spirito libero, a diventare sempre più uno spirito libero} come ogni germe di rosa è chiamato a diventare rosa.

Facciamo una pausa.

A.: Luciana ha una domanda.

LUCIANA: volevo chiederti se ti puoi soffermare un momento su una delle ultime frasi che abbiamo letto e cioè. …il risultato dei singoli atti di volontà degli individui, e precisamente, per lo più, di pochi eletti che gli altri seguono riconoscendoli come autorità. Così come viene formulata mi suona male!

A.: Ti suona male… intende dire… diciamo che è un’affermazione di realismo che si riferisce alla situazione attuale dell’umanità, partendo dal presupposto che siamo agli inizi, se tutto va bene, di questa libertà che si individualizza sempre di più. Quindi la situazione attuale è di poche autorità, pochissime autorità, e moltissime pecore!

Che altra situazione c’è? Non ce n’è un’altra! Questo vuol dire.

E da questa situazione sarebbe una gran bella cosa se ci muovessimo nella direzione che ha come mèta… quante autorità ci sono poi alla fine?

Tante autorità quanti sono gli individui umani! Ognuno è autorità assoluta per se stesso e solo per se stesso.

Quindi, se leggiamo questa frase come constatazione, come percezione della situazione attuale dell’umanità, la capiamo subito: ciò che risulta come mèta comune di una comunità umana non è che il risultato… forse… prendiamo l’esempio di una scuola in cui gli insegnanti si riuniscono e dicono: ma una scuola ha senso soltanto se c’è una mèta comune… Una mèta comune è un fattore morale, non soltanto un fattore intellettuale; una mèta comune sarebbe uno scopo comune da raggiungere; quindi tu ti comporti moralmente bene se concorri a questa mèta comune, se ti adegui al bene comune.

Allora la domanda fondamentale è: c’è in una scuola un bene comune?

PUBBLICO: Teoricamente sì: il bene degli alunni.

A.: No, non esiste il bene degli alunni!

PUBBLICO: Come no!

A.: No, non è comune, non appartiene a nessuno.

PUBBLICO: L’educazione del sapere!

A.: Ma questo non è comune, non dice nulla.

PUBBLICO: Il bene della società!

A.: E in che cosa consiste? … L’unico bene comune, reale, che c’è, è un bene comune negativo, non positivo; ed è quello di evitare le azioni proibite! Ma non è un bene, è il presupposto, è la condizione necessaria perché il bene morale possa avvenire; e il bene morale è sempre individualizzato! Ciò che è bene per uno è il male per l’altro, perché il bene dell’altro è tutt’altra cosa!

Quindi, diciamo, il soverchiare, il modo in cui una comunità soverchia l’individuo, lo fagocita, lo manipola, è di creare un fantasma di bene comune al quale l’individuo si deve adeguare e deve concorrere alla realizzazione di questo bene comune, altrimenti non è bravo, non è buono.

E cos’è questo bene comune?

La volontà di qualcuno imposta agli altri!

Altrimenti un bene comune oggettivo non c’è, non è mai esistito! Se ci fosse un bene comune l’individuo umano non ci sarebbe!

Il bene, l’unico bene morale è l’individuo unico, irripetibile; altri beni morali non ci sono!

Quindi il bene comune non c’è! È un ricatto di potere!

I. 1: Ma il creare la possibilità al bambino di crescere e quindi stimolare, stimolarlo, dargli l’opportunità di crescere, è un bene comune!

A.: No, è dargli la possibilità di creare un bene che è del tutto suo, individuale, perché il bene di un altro bambino è tutt’altra cosa!

I. 1: Sì, ma nel momento in cui io permetto a dei bambini di svilupapre uno spirito libero…

A.: No, non glielo permetti, glielo rendi possibile!

I. 1: Glielo rendo possibile, sì! … creo un bene comune!

A.: No, crei le condizioni! Perché il bene sono questi individui, ognuno diverso dall’altro; e io rendo possibile la loro realizzazione; e se questi beni si realizzano non c’è nulla di comune: sono tutti beni individuali, son tutti io, uno diverso dall’altro! Solo quello è il bene morale, tutto il resto lo rende possibile; o lo preclude.

Quindi ogni discorso di bene comune è un esercizio di potere che tende ad annullare l’individuo; e non ce ne rendiamo conto, perché viviamo di questi atavismi, dove l’individuo ancora non comincia neanche a respirare!

LUCIANA: Ma se invece di parlare di bene comune, come poi dice Steiner, parliamo di mèta comune, allora è tutt’altra cosa.

A.: La mèta comune è ancora peggio!

LUCIANA: È un’altra cosa!

A.: Sì, è tutt’altra cosa perché è ancora peggio, non è la stessa! Però siccome è diversa – che è ancora peggio – bisogna argomentare un pochino diversamente.

Allora adesso… eh, no!, il discorso non è ancora stato fatto, se tu rifiuti in partenza il discorso, poi non t’arriva…

LUCIANA: Ti sto ascoltando!

A.: Facendo così? Mi guarda in cagnesco e mi dice: ti sto ascoltando!

LUCIANA: Prima devo sentire cosa dici, poi caso mai ti guardo in cagnesco; dopo!

A.: No, tu mi guardi in cagnesco prima, quello è il problema!

Allora, una scuola, un collegio di docenti, di maestri, dovrebbero avere una mèta comune …C’è qualcuno qui che me la dice? Io non la vedo! Aiuto, aiuto, qual’è la mèta comune, lo scopo, la mèta che devono raggiungere? … La mèta comune … Ditemi cos’è, qual’è? …Siete in tanti!

I. 2: La formazione. La mèta dell’insegnante è cercare di formare l’alunno suscitando nell’alunno l’interesse a tutto ciò che lui vuole imparare, la sua volontà appunto.

A.: Questo creare le condizioni perché il bambino si esprima secondo il suo essere è soltanto una mèta che ancora non esiste, o c’è adesso?

I. 2: Ma c’è, c’è!

A.: E allora perché parli di mèta? Son sempre alla mèta! Se sono un bravo maestro son sempre alla mèta; e se sono un cattivo maestro non sono mai alla mèta!

Ma allora, se siamo sempre alla mèta, la mèta non c’è! Io ti ho chiesto qual’è la mèta. Il concetto di “mèta†è qualcosa da raggiungere perché non è ancora raggiunto. Non mi dite che me lo sono dimenticato del tutto l’italiano!

Allora vi chiedo di nuovo: qualè la mèta comune di 10 maestri e maestre?

I. 3: Ma, dico, neanche il funzionamento della scuola assunta liberamente da tutti i componenti, dagli individui, dal collegio, dai genitori, quando liberamente scelgono di esplicare i loro talenti in un’organizzazione che funzioni, non può essere un qualcosa che li accomuni, per fare delle esperienze individuali che poi li formano?

A.: Sta attento: le condizioni necessarie per tutti, quindi le condizioni comuni per poter vivere sempre più in libertà, queste condizioni necessarie precedono! Il concetto di mèta è proprio l’opposto! Tu stai parlando delle condizioni dalle quali tutti dipendono; e le condizioni comuni, che valgono per tutti, sono le azioni proibite, e le persone libere non le compiono! Ditemi voi che altro c’è di comune?!

Tu hai parlato delle condizioni necessarie per far emergere in ognuno, in ogni maestro, in ogni alunno, l’assolutamente individuale: ciò che è unico in assoluto!

Dov’è il comune?

L’unica mèta morale che veramente c’è è la realizzazione dell’io; e questa mèta è per natura non comune, altrimenti non è un io!

I. 4: Mi è venuto in mente che Steiner esprime questo concetto in un’immagine…

A.: Scusa se ti interrompo: già è complessa la cosa se usiamo le nostre teste, se poi tu citi, rendi la nostra conversazione impossibile perché ci dobbiamo occupare del fatto se tu citi giusto o citi sbagliato; lascia perdere Steiner, usa la tua testa: che ci stai dicendo?

I. 4: Io sposo quell’idea perché mi è piaciuta; l’idea è questa: quando un gruppo di persone si riuniscono per un qualunque motivo, come può essere un gruppo di docenti in una scuola steineriana, per dire; quello che devono fare è creare un mare – mi è piaciuta questa immagine – un mare in cui tutti possono nuotare. Queste possono essere le condizioni affinché… ecc., ecc. E poi Steiner aggiunge che quando si creano queste condizioni un essere spirituale scende in questo gruppo…

A.: …A salvaguardare le condizioni necessarie per tutti! Ma dov’è la mèta comune?

I. 4: La mèta comune è quella che verrà fuori da questo mare in cui tutti nuotano.

A.: Non c’è!

I. 4: Sarà quella a cui arriveranno. Se è una scuola steineriana dopo tre anni avranno raggiunto dei risultati; in divenire voglio dire.

A.: L’unico risultato legittimo, morale, moralmente buono, è la crescente individualizzazione di ogni individuo; che è l’opposto di qualcosa di comune!

Quindi, nella misura in cui tutti gli individui, i bambini, i genitori, i maestri, ognuno si individualizza sempre di più, questo è il bene morale.

Nella misura in cui questa individualizzazione, che è la realizzazione dell’io in quanto unico, viene omessa, questo è il male morale; e ci si riduce a ciò che è comune; perché manca tutto il fattore morale, che è quello dell’esplicazione dell’individualità del tutto unica.

Devo constatare che, spazzandovi via il bene comune, spazzandovi via la mèta comune, qui in sala c’è un mortorio dove, ho l’impressione, che non è rimasto più niente!

È così, è così! Cioè, se volete, la base comune… in tedesco ci sono parole un po’ più forti, non sono traducibili in italiano… condizioni di cornice …non dice proprio nulla…

(Archiati parla in tedesco e una tedesca in sala capisce visibilmente)

Ecco, lei (la tedesca) sta dicendo: adesso sì che capisco!

Allora, la base comune è il non fare azioni proibite. Adesso uno dice: ma qui c’è l’orario scolastico, per esempio: dalle 9 alle 10 matematica, dalle 10 alle 11 fisica, dalle 11 alle 12 italiano, dalle 12 alle 13 tedesco, ecc.

Che c’entra con la base comune, con le condizioni necessarie perché ognuno possa muoversi liberamente?

Sono proibizioni? Sono ingiunzioni o sono proibizioni?

Se io dico: il maestro di italiano… è un comandamento che lui dalle 11 alle 12 deve comparire? No, perché se è malato non compare! È una proibizione al maestro di tedesco di venire qui (dalle 11 alle 12) perché trova il maestro di italiano!

Quindi, se tu sei il maestro di tedesco non ti è concesso di entrare in aula dalle 11 alla 12, dalle 10 alle11, e dalle 9 alle 10; tu entri in aula dalle 12 alle 13!

Quindi ogni base comune di movimento in piena libertà individualizzata, comporta il rispetto – che è poi negativo – di non fare le azioni proibite.

Ripeto: se dalle 11 alle 12 c’è il maestro di italiano in aula – parlo di una stessa aula – non è consentito al maestro di tedesco di entrare nello sesso orario.

Quindi anche questo orario scolastico lo si può… anzi; in chiave di pensiero molto più pulito lo si può ricondurre alla base comune, che consiste soltanto di divieti, cioè che sono proibite le azioni che altrimenti ledono la libertà.

Perché se si presenta il maestro di tedesco dove l’altro insegna l’italiano, lede la libertà di quest’ultimo, perché gli impedisce di insegnare l’italiano; se sta via, va tutto bene!

Quindi si chiede: tu, maestro di tedesco, dalle 11 alla 12 stai via, non ti presentare!

Lui non si presenta: va tutto benissimo! E il maestro di italiano può insegnare l’italiano.

I. 4: Quello posso anche chiamarlo accordo.

A.: Sì, ma l’accordo è soltanto sulla azioni che non vanno fatte! Altri accordi non esistono! Ogni altro tipo di accordo è il tentativo di un essere umano di fagocitare l’altro: siamo d’accordo perché tu ti accordi con me! E mi segui! E io ti incamero!

Una ditta, in campo economico, una ditta qualsiasi; ditemi voi lo scopo comune, la mèta comune di una ditta?!

ROBERTO: Che non è comune come bene.

PUBBLICO: Fare i soldi.

A.: È lo scopo comune? È del tutto individuale quello di fare i soldi il più possibile, non scopo comune! Perché i soldi che saltano fuori non sono comuni! Vanno in tasche del tutto individuali; e molto differenziate, tra l’altro!

Non esistono scopi comuni, non esistono mète comuni, non esistono beni comuni. Il bene comune non c’è: è un’arma del potere per schiacciare l’individuo. Ciò che è bene per un individuo è male per l’altro, perché è un altro individuo; il suo bene è un altro.

I. 5: C’è un bene comune ed è l’aria! L’aria è un bene comune.

A.: Fra poco diventa un male comune!

I. 5: Ce la stanno inquinando, però dobbiamo pur respirare per vivere, no? ARCHIATI: Questo è un bene? Tutto ciò che è di natura non è un bene, è la condizione necessaria per il bene! Bene morale è soltanto ciò che è libero! Ciò che la natura ti dà è neutro rispetto al fatto morale; ciò che la natura ti dà non è né bene, né male. Ciò che tu ne fai, se tu realizzi la tua individualità ne fai, lo fai concorrere al tuo bene; se invece ometti l’umano a che ti serve? Per te l’aria non è stata buona. Se uno non realizza l’io, l’aria che ha respirato, è stata buona o cattiva?

I. 5: Inutile, forse.

A.: No, negativa!

I. 5: Eh, sì!

A.: Eh, eh; quindi la natura non è né buona, né cattiva; la natura è premorale, è amorale, è necessaria. Respirare è necessario, non è né un bene, né un male. Quindi, diciamo: respirare è necessario a tutti, non è un bene comune.

I. 6: Una buona sanità è un bene comune…

A.: Però la sanità tua è malattia mia! E allora, dov’è il comune?

I. 6: Dicevo: una buona sanità è un bene comune di tutti!

A.: Noooo!

I. 6: Dovrebbe esserlo!

A.: No, perché è del tutto differenziata: il modo tuo di essere sano, per me sarebbe malattia!

I. 6: Ma no, non salute nel senso di igiene! Sanità come servizio, sanità nel senso di servizio ospedaliero!

A.: Ma questa è una condizione necessaria!

I. 6: Sì, per me una sanità che funziona è un bene comune: l’ospedale, il servizio sanitario…

A.: Sì, sì, sta attento: le infrastrutture sono condizioni necessarie!

Nel momento in cui noi usiamo la parola “beneâ€â€¦ il potere è perciò molto scaltro, perché ha esperienza di millenni per inglobare l’individuo.

Ora c’è un abisso di differenza tra parlare dell’aria sana, delle infrastrutture, delle strade ecc., come condizioni necessarie perché l’individuo si esplichi in piena libertà e dire che siano un bene! Perché l’individuo che si serve delle strade, per esempio, per ammazzare, ecc., ecc., per lui le strade non sono un bene! L’individuo che si serve della sanità che abbiamo per ammazzare, o per rubare i soldi agli altri, è un bene per lui il servizio ospedaliero? Lo usa in senso di male!

Allora diciamo: il fattore morale c’è soltanto rispetto alla sfera della libertà; tutto ciò che è di necessità, di natura, non è né morale, né immorale; è premorale, è amorale. Dipende da come lo utilizzo, dipende dal modo in cui me ne servo.

I. 7: Mi viene da pensare che il bene comune potrebbe essere dato, a questo punto, se tutti rispettassero i divieti comuni, ci sarebbe il bene per tutti.

A.: No, no, il pensiero è forse pensato giusto, ma espresso sbagliato. Tu stai dicendo l’opposto di quello che hai pensato!

I. 7: Oddio!

A.: Se noi rispettiamo i divieti, il bene comune è negativo! Sono le azioni che non vengono fatte! Quindi è un’assenza!

I. 7: Certo! Però se queste azioni che ledono la libertà dell’altro, non vengono fatte da nessuno…

A.: Vedi! Vedi che il bene comune è negativo! Non è qualcosa!

Allora diciamo… faccio una proposta …io ho fatto di tutto per sbaragliare, proprio spazzar via questa categoria del bene comune, perché è uno dei ricatti del potere più subdoli che ci siano; però adesso, se volete, perché qualcuno ha l’impressione che io esagero – non è vero che esagero – allora, voglio salvare il bene comune, tra virgolette però!

Il bene comune è far sì che ognuno possa muoversi secondo la sua individualità, osservando i divieti!

Quindi è un bene comune negativo!

Quindi il bene comune a tutti è la possibilità reale di vivere liberi, individualmente liberi; il bene comune a tutti – e altri non ce ne sono – è la possibilità – quindi non è qualcosa di attuale – è una possibilità, rende possibile il vivere del tutto individualizzato e libero ad ognuno.

Quindi è un bene comune negativo perché permette, rende possibile il vero bene che è comune a tutti perché è diverso in ognuno.

Quindi noi abbiamo tutti in comune il fatto che non abbiamo nulla in comune, e ognuno ce l’ha questo; ognuno di noi ha in comune il fatto di non aver nulla in comune; ce l’abbiamo tutti, quindi l’unicità ce l’abbiamo tutti egualmente.

In altre parole: il mistero dell’umano lo si può esprimere soltanto paradossalmente. Il fatto che io non ho nulla in comune con gli altri e gli altri non hanno nulla in comune con me, vale per tutti; ce l’abbiamo tutti in comune; tutti abbiamo in comune di non aver nulla in comune.

MASSIMO: Allora, tanto più, o tanto peggio, vale per la “mèta comuneâ€! Perché “bene comune†è semmai una condizione di partenza; la mèta è un punto di arrivo, quindi se non vale per il punto di partenza figuriamoci quanto possa valere per il punto di arrivo!

A.: Ed era quello che io ho detto subito all’inizio a lei (Luciana), ancora peggio parlare di mèta comune!

MASSIMO: Quindi quando Steiner dice: la mèta comune di una collettività umana è solo conseguenza di singoli atti volitivi di individui…

A.: Per lo più di individui che abdicano, rinunciano, omettono la realizzazione dell’unico bene che è individuale.

MASSIMO: Ecco, loro proprio, individuale!

A.: E quindi la cosiddetta mèta comune non esiste; è la volontà di pochi alla quale gli altri si accodano. E questo è il fenomeno primigenio del male morale; perché da un lato è l’omissoine della realizzazione dell’io singolo e dall’altro è il potere che fa di tutto, ti impedisce addirittura, vorrebbe impedirti di realizzarlo. Questo è il male morale!

Si può avere una mèta comune soltanto cancellando gli individui; peggio non si può! Di moralmente peggio non c’è; se uno l’afferra il concetto è così semplice!

E tu l’hai svolto, l’hai detto: se questo vale per il bene comune, che per lo meno dovrebbe vivere adesso, nel presente, figuriamoci poi di soggiogare, di strumentalizzare, per tutto un periodo di tempo, magari per tutta l’eternità, tutti questi individui a raggiungere una mèta comune!

Hai la possibilità di ricattarmi per tutto il tempo: tu non hai contribuito alla mèta comune! Attento, stai andando fuori riga! Attento, attento! …Non posso più respirare per l’eternità!

Chi ci dice qual’è stata la mèta comune di milioni e milioni di persone per tanti anni, tanti secoli?

Se non viene in mente a nessuno ve lo dico io! Subito!

Quella di andare in paradiso!

La mèta comune! Devi far di tutto per andare in paradiso! Ecco, quella è la mèta comune; altrimenti vai all’inferno!

PUBBLICO: Ma allora, Quello ha fatto tanto per cacciarli via dal paradiso e questi ce rivonno andà!

A.: Bravo, bravo! Questa è una bella trovata, ooooh! Tu sei nuovo, gli altri l’hanno già sentito da me, però tu sei nuovo e te la racconto a te: mia sorella monaca – Fausta si chiama – fa tutto, prega per la salvezza della mia anima perché è sicura che, stando con Steiner, vado subito all’inferno. Io, l’ultima volta 10 anni fa, le ho detto: guarda che se in paradiso ci va certa gente che io conosco, non sono mica sicuro che ci vado volentieri! Forse preferisco andare all’inferno!

È ammutolita, è diventata tutta bianca, non ha più parlato di paradiso!

Era la mèta comune, scusate! Ora immaginiamoci quali ricatti enormi delle persone ché si comportino in modo che vadano in paradiso!

L’importante è che facciano quello che vuole il clero, che vuole la chiesa.

Perché poi questa mèta comune è una tale buggerata, scusate, perché adesso, parlando seriamente: un individuo ha fatto di tutto per andare in paradiso, e per andare in paradiso ha seguito tutti i comandamenti, tutte le regole; quindi si è attenuto alle norme morali stabilite per andare in paradiso.

Ora va in paradiso, e in paradiso c’è, se non mi sbaglio, questo Logos che dice: beh, dov’è la logica del tutto? Ma, scusa, gli dice: l’unico paradiso dell’essere umano è l’autonomia e la libertà; te ti sei fatto condurre dal di fuori dall’inizio alla fine, ma allora in paradiso ci devo mettere la chiesa che ti ha condotto; tu non sei nulla, sei un’appendice; chi risponde delle tue azioni? La chiesa, non tu.

Hai fatto quello che ti diceva la chiesa, allora mando in paradiso la chiesa, ma non tu!

Un essere umano dovrebbe diventare moralmente buono facendo ciò che gli impone un altro!… Livelli di coscienza di una primitività proprio raccapricciante, scusate! Il bene morale dovrebbe stare nel compiere la volontà di un altro! Diventare non libero nel non farsi pensieri suoi…

A Norimberga cos’hanno detto quelle persone?

Abbiamo ubbidito agli ordini!

E cosa gli ha detto la logica dell’umano?

Non basta ubbidire, non perché tu ubbidisci le azioni che compi sono buone!

Perciò vi ho detto, come provocazione, questa mattina: l’ubbidire è l’essenza dell’immoralità, perché distrugge la libertà dell’individuo. E il popolo tedesco, a tutt’oggi, fa fatica con questo grosso mistero che c’è stato, perché è forte per collettività e ha paura dell’emergenza dell’individuo, perché dove emerge l’individuo c’è sempre meno potere.

Sarebbe bello un popolo senza potere perché conosce solo la bellezza di tutti gli individui, ognuno diverso; questo sarebbe bello e moralmente buono.

Ce n’è da fare!!!

ELENA: Temevo che tu mi tacciassi da eccessivamente pessimista sviluppando quello che hai detto ora. Mi stavo chiedendo se saremmo autorizzati a vedere l’assetto del mondo attuale come un immenso coacervo di controforze per l’esplicazione della libertà dell’individuo, perché…

A.: Cos’è un coacervo?

ELENA: Un ammasso gigantesco.

A.: Un mucchio!

ELENA: Questa espressione me la passeresti? Questa immmagine che ti ho dato, me la passeresti, oppure è esagerata?

A.: Certo che te la passo, io passo tutto!

ELENA: Allora se me la passi ti direi…

A.: Io sono venuto al mondo con la voglia di godermi Aristotele – aristotelismo-tomismo, si chiama – poi il tomismo – qui a Roma l’ho fatto, eh! – è l’arte del distinguo. Quindi, di fronte al tuo ragionamento io ti dico: distinguo!

Sta attenta, adesso devi sentire la distinzione che faccio.

In questa percezione della massa ti do pienamente ragione! Ma la massa, tutta l’umanità in quanto massa, in quanto non emerge ancora l’individuo, guardata 2000 anni fa, dov’era ancora più massa di oggi, non vale nulla di fronte a questo io che da solo ha realizzato tutto l’umano!

Quindi un argomento di quantità è un argomento del tutto fuori posto; l’umano non è un fattore di quantità, è un fattore di qualità. Basta che ci sia uno che realizzi la libertà! Basta! E questo uno posso essere io, puoi essere tu!

ELENA: Perfetto!

A.: La massa è fatta per trafiggere il cuore e darci la forza, dopo l’evoluzione della terra, di ricominciare da capo; con la speranza che questa massa cominci a smassificarsi un pochino.

ELENA: Certo! Io stavo pensando a qualcosa che tu hai commentato così bene, così a lungo, prima della Filosofia della Libertà, e cioè al vangelo di Giovanni. E allora mi veniva in mente il principe di questo mondo, di cui parla il Logos, e mi veniva in mente la preghiera finale del Cristo, prima di salire al Golgota, quando, pregando per i suoi, dice – quindi sapendo che il mondo sarebbe stato comunque difficile da vivere –: io non ti prego, Padre, perché tu li tolga dal mondo, ma perché tu li preservi dal male. Ecco, pensavo a questo…

A.: Traduci, che vuoi dire? Lascia via il vangelo, che vuoi dire?

ELENA: Volevo dirti appunto se queste frasi mi risuonavano proprio perché ti ho chiesto prima se è lecito pensare il mondo come un insieme di controforze. Quindi lo legavo a questa cosa qua, capito!

A.: Allora, il problema rispetto a questo tipo di pensieri è che l’animo si ribella un pochino, capito! Perché in fondo siamo tutti noi; e si ha l’impressione, molti hanno l’impressione, che si faccia un discorso razzistico, un discorso discriminante; quindi voglio essere cauto in quello che sto dicendo.

È uno schizzo, eh! (disegna) Qui c’è la natura, i determinismi di natura, il corpo. Che cosa è più facile, la via larga, dove ci va più gente – per usare un’immagine biblica, evangelica – che cosa è più facile: lasciarsi andare, ridursi, far sì che in me ci sia soltanto ciò che fa la natura, o è più facile costruire tutto un mondo individualizzato all’infinito che si chima io?

Se io ometto – perché è omissibile, avviene soltanto se lo compio liberamente e non devo, perché è omissibile – se io smetto di creare questo essere spirituale che, in un processo pensante e amante, crea mondi sempre nuovi… l’operare della natura c’è per natura!

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Quindi, è insito nella struttura dell’umano che numericamente, quantitativamente, saranno molti di più quelli che lasciano fare ciò che la natura fa di necessità, e omettono ciò per la cui costruzione bisogna sbuffare.

Ma non importa nulla! Va benissimo!

Quanti numericamente è necessario che ci siano per salvare l’umano?

Basta uno! Ne basta uno!

E l’affermazione fondamentale del cristianesimo è che questo uno c’è! Quindi l’umano è già salvato! E a noi tocca la bellissima cosa di lasciarci contagiare!

E guardando Lui diciamo: è bello, è bello, è bello! Però Lui dice: guarda che non te lo dà la natura questo bello, questo vero, questo buono. Te lo puoi conquistare soltanto per libertà.

E man mano che uno se lo conquista dice: sì, sì è bello, è vero, è buono!

Allora, l’abbiamo detto diverse volte: quando poi alla fine si fanno i conti, quelli – la massa di cui tu parlavi – che va giù nell’abisso – son tutte metafore – l’abisso della bestia; cioè si riducono allo stato di natura, dove non c’è più neanche la facoltà di libertà, perché hanno distrutto addirittura la potenzialità della libertà, nel giudizio universale, vengono esclusi certi uomini?

No! si sono loro esclusi dall’umano, si sono disumanizzati!

Quindi, nella misura in cui un essere umano ha ancora, anche un solo frammento di umanità, quindi anche un solo frammento di potenzialità di libertà, è salvabile! Perché può agganciare l’io e può incrementarlo.

Nel momento in cui – che è la morte seconda, il concetto dell’Apocalisse – un individuo ha perso ogni frammento di potenzialità di libertà, non lo possiamo più chiamare uomo! E attende un nuovo ciclo evolutivo della terra; tutte nuove condizioni, in tutt’altre condizioni, in cui l’amore divino, che è infinito, l’amore all’umano crea nuove condizioni di redenzione anche per questi esseri.

Però numericamente all’inizio, numericamente è molto maggiore; perché la natura lavora di necessità e la libertà viene costruita individualmente.

In fondo, se uno è occupato, tutto incentrato in questa costruzione, non gli interessa sentirsi soltanto bello paragonandosi agli altri; non lo fa proprio!

Questa è la compassione di Parsifal – non commiserazione, compassione – questi esseri diventano passivi, vivono la passione del ridursi al fatto di natura, e colui che vive la libertà sente compassione. E questa compassione è l’elemento che li redime, che crea le condizioni del redimere.

Buon appetito, ci vediamo dopo cena.

Sabato 1 ottobre 2011, sera

A.: Eravamo arrivati, in questo X° capitolo, al paragrafo 9, che dice: la visione unitaria del mondo – il monismo inteso in senso giusto – cioè il senso del cammino umano di ricondurre all’unità ogni parvenza di spaccatura, di dualità, causata dalla percezione… la percezione dice: il mondo è fuori di me e il pensare dice: il mondo è in me, sono io. Ogni essere umano è ciò che pensa, e ciò che pensa è lui, fa parte del suo essere.

Quando io penso a un frammento di mondo, questo frammento di mondo diventa parte del mio essere, che è un essere pensante, liberamente pensante.

Questo diventare uno a livello di pensiero, di intuizione pensante, è la forma suprema di amore, di ciò che gli esseri umani chiamano amore.

(X, 9) Il monismo dunque, nel campo dell’agire veramente morale, è la filosofia della libertà. E poiché è la filosofia della realtà, respinge le limitazioni metafisiche dello spirito libero, non reali, come riconosce quelle fisiche e storiche (reali in senso primitivo) dell’uomo ingenuo. Esso infatti non considera l’uomo come un prodotto finito, che ad ogni momento della sua vita dispieghi tutto il proprio essere; e quindi la discussione se l’uomo, come tale, sia o non sia libero gli sembra vana. Vede nell’uomo un essere che si sta evolvendo e chiede se su questa via evolutiva possa venire raggiunto anche lo stadio dello spirito libero.

Liberi non si è, si diventa; si può diventare perché se liberi si fosse per natura, si sarebbe liberi non liberamente, e quindi si sarebbe non liberi.

Questo intendevamo dire, questa mattina, dicendo che la libertà per natura, se afferriamo giustamente il concetto di libertà, dobbiamo scinderla in due momenti fondamentali che, come dato di natura, dato a tutti gli uomini per natura in partenza, dato a noi senza che ce lo conquistiamo per libertà, è soltanto la capacità di diventare sempre più liberi; perché se non ne fossimo capaci allora non ci potremmo neanche conquistare la libertà.

Quindi è nel concetto… se uno afferra col pensare, senza bisogno di istruzioni o di studi di filosofia, proprio col pensare – e lo può fare ognuno nella misura in cui coglie, pensando, il concetto di libertà – lo deve – è nella natura della libertà – lo deve distinguere in una potenzialità, una facoltà, una capacità, con un dinamismo evolutivo che, nel tempo, attraverso pensieri ripetuti, si attualizza sempre di più.

Il bambino è un uomo in potenza. L’essenza dell’umano… ma, dicendo che è un uomo in potenza non stiamo dicendo che non è uomo; è uomo!, però in potenza!

Non è un uomo attualizzato a livello dell’adulto, perché l’essenza dell’umano è saper pensare in proprio e saper agire in proprio. Tutt’e due il bambino non le sa ancora fare, ma ne ha la potenzialità!

E se si sviluppa ulteriormente salta fuori questa potenzialità, che nell’animale non c’è. L’animale cresce, passano gli anni, ma questa capacità di pensare con la propria testa e volere con il proprio cuore non c’è nell’animale.

Il rapporto tra una potenzialità e il modo in cui questa potenzialità si attualizza è complesso; è una cosa molto complessa! Perché se uno mi chiedesse: ma come fa un bambino, come ho fatto io, come fa ognuno di noi, a 5 anni, a non poter fare tante cose e come salta fuori, col passar del tempo, che le sa fare?

È una cosa molto complessa, però è reale! Lo vediamo: è reale! Succede!

Quindi, come fa l’essere umano, l’umanità in quanto tale, in certi periodi storici, prima della svolta – detto grosso modo – ad aver soltanto la potenzialità della libertà – e si presenta un po’ come bambina – e come salta fuori poi che, adesso, per esempio, 2000 anni dopo la svolta, ci troviamo di fronte ad un’urgenza di realizzare la potenzialità di una libertà individuale, dove gli individui rumoreggiano sempre di più perché sentono che non riescono più a vivere bene, a vivere contenti, a vivere realizzati, senza livelli superiori, maggiori di quelli di 100 anni fa, di 500 anni fa, di realizzazione di questa libertà?

Quindi ci basta (constatare)… la percezione dell’umanità di oggi è che la potenzialità come tale della libertà – che poi ci dà la natura – basta sempre di meno!

E sempre più persone dicono: no, no, no, io questa potenzialità la voglio realizzare, la voglio vivere, la voglio che si attualizzi sempre di più; non mi basta che mi si dica: sei chiamato ad essere libero e quando andrai in paradiso allora sarai libero!

No, no, no, questa potenzialità, se è reale, voglio realizzarla, voglio attualizzarla, voglio attualizzarla sempre di più!

Quindi il rimandare l’attualizzazione, l’esperienza attuale, presente, della libertà alle calende greche, non accontenta più nessuno.

Quindi questo diritto, questa aspirazione – giusta, perché è nell’umano – di non posporre sempre alle calende greche, ma di voler vivere la pienezza, non soltanto la potenzialità dell’umano, ma la realizzazione dell’umano, qui ed ora, diventa sempre più forte.

E quindi ci troveremo sempre di più a fare i conti con la libertà; ma non con una libertà promessa, ma con una libertà che si realizza.

E la libertà si realizza nell’individuo, non nella collettività, non in una comunità. Ogni collettività, ogni gruppo è la cornice, crea la base, il fondamento necessario, le condizioni necessarie per la libertà; però la base necessaria non è la libertà, è soltanto la base che la rende possibile; crearla, renderla reale è faccenda pura e propria dell’individuo.

Quindi la tua liberrtà, o la crei tu, o la fabbrichi tu, o non ci sarà mai!

E abbiamo un sacco di persone vivono in questo atteggiamento bambino che dà la colpa a destra e a sinistra a tutti quanti perché non si sentono liberi! Ma il compito della collettività non è quello di farti libero, è quello di lasciarti in pace!

E quando vieni lasciato in pace non sei ancora libero, sei soltanto in pace!

E questa pace la perdi subito nel momento in cui non lavori dal di dentro a creare questi mondi di libertà, perché la libertà sono mondi, sono creazioni del tutto individualizzate, a tutti i livelli della vita; e queste creazioni individualizzate le può compiere soltanto l’individuo.

E allora che aspetti?! Datti da fare! E più ti dài da fare per creare questi mondi, per tirar fuori questa ricchezza, più ti accorgi che in fondo quello che pretendi, il minimo di base per poterti muovere liberamente, in fondo, la società te lo dà.

Quindi il grosso problema sociale non è tanto che la libertà non viene resa possibile, è che non viene esercitata! Perché nel momento in cui uno si mette ad esercitarla… che poi l’esercitarla non è questione di muoversi con le braccia e di guidare 10 auto ecc., esercitare la libertà è questione di pienezza interiore; uno lo può fare in una stanzetta senza disturbare nessuno!

Nella misura in cui vivo questa pienezza interiore, vivo questa ricchezza creativa, sorgiva, artistica, il mondo in fondo me lo piglio così com’è! Perché poi volermi mettere a cambiare il mondo è un rinunciare a una pienezza interiore che non vale la pena, insomma!

Chi gode se stesso si piglia il mondo così com’è, e si dice, tra l’altro – però non prendete questo come ricatto – si dice: in fondo il mondo nel quale mi trovo è quello che ho scelto io liberamente, singolarmente e individualmente ancora prima di nascere. Quindi è quello che va bene per me.

Certo che fa parte di questa libertà interiore far tutto quello che si può perché il sociale diventi sempre più umano, perché le azioni che vanno proibite veramente vengano proibite e non vengano permesse ecc.; però nessuno può fare più di quello che può, e ci sono tante persone scontente perché vorrebbero che il sociale fosse diverso; ma il problema non è che il sociale è più umano di quanto sia, il problema è che non costruiscono abbastanza una ricchezza interiore.

Quindi il senso della vita è di minimizzare ciò che chiedo agli altri e massimizzare, proprio di espandere al massimo, ciò che creo io; e più uno crea e meno pretende dagli altri; soprattutto non pretende dagli altri la gioia, la realizzazione del proprio essere.

Quindi la domanda: ma l’essere umano è libero o non è libero?, è una domanda posta male!

È possibile, ha la capacità di diventare sempre più libero, ma non è costretto a farlo. E in partenza, di natura, abbiamo tutti questa capacità.

Però una capacità vuota, una capacità, una facoltà che non si realizza mai, è vuota; è puramente teorica; diventa concreta, reale, nella misura in cui si realizza, si attualizza.

Perché se uno dice: ma io, in quanto essere umano, è nella natura dell’essere umano che ho la facoltà, la capacità di vivere, di creare liberamente mondi… ma se non lo faccio mai, dov’è questa facoltà?

Si atrofizza!

Ma poi, se non viene minimamente realizzata c’è stata teoricamente, ma non c’è mai stata realmente.

Quindi la facoltà che io veramente sono capace, ho la capacità di diventare sempre più libero, questa facoltà, questa capacità, la tocco, la sento e la vivo veramente quando la realizzo.

(X, 10) Il monismo sa che la natura non congeda dalle proprie braccia l’uomo bell’e pronto come spirito libero, ma lo conduce fino ad un determinato gradino, dal quale egli continua ad evolversi più oltre come essere non libero, finché raggiunge il punto in cui trova se stesso.

Scrivo alla lavagna: trovare me stesso!

Allora, di fronte a questa formulazione che si tratta di trovare me stesso, questo è il compito del cammino dell’uomo: trovare me stesso!

Se è vero che, prima o poi, l’essere umano trova se stesso, ciò significa che ciò che cerca è se stesso. Ognuno cerca se stesso!

Quindi se riponiamo la domanda che ci siamo posti tante volte: cosa vuoi tu, cosa vuole l’essere umano, cosa cerca l’essere umano? Adesso troviamo la risposta molto concreta: ognuno cerca se stesso! Cioè cerca il suo io; e lo cerca per realizzarlo, e lo trova realizzandolo, quindi lo crea.

Quindi tu trovi te stesso creando te stesso; perché se non crei mondi che sono potenzialmente dentro di te, non puoi trovare te stesso. Puoi trovare te stesso nella misura in cui crei il tuo io, lo realizzi! E nella misura in cui non ti realizzi non ci sei.

(X, 11) Il monismo è ben chiaro sul fatto che un essere il quale agisca sotto una pressione fisica o morale non può essere veramente morale. {Perché non è libero.} Considera lo stadio dell’azione automatica (secondo passioni e istinti naturali) e quello dell’azione obbediente (secondo norme morali) come necessari gradi preparatorii della moralità; ma vede la possibilità di superare entrambi questi gradi per mezzo dello spirito libero.

Allora: azione automatica e azione comandata, obbediente.

Azione obbediente è quando io obbedisco a una norma, a una legge, ad una ingiunzione, a un comandamento che viene da un altro, da un’autorità umana o divina, che comunque è fuori di me.

L’azione automatica è quando la natura agisce in me; sono gli automatismi di natura, il corpo.

In tempi di materialismo il discorso sulla libertà diventa non facile, si espone a fraintendimenti perché tante persone spontaneamente – e perciò va chiarito ogni volta sempre di nuovo – pensano che la libertà significhi, in fondo, fare quello che si vuole o lascarsi andare.

Lo spirito umano è massimamente libero quando il corpo non causa nulla; allora lo spirito ha tutto il campo libero!

E quand’è che il corpo non causa nulla?

Quando è così sano che io non lo noto!

Questo è come uno strumento musicale; permette di vivere nell’elemento musicale nella misura in cui lo strumento è così ben accordato che non si nota.

Nel momento in cui sono costretto a concentrarmi sullo strumento perché s’è rotta una corda, o s’è allentata, o s’è scassato qualcosa, questo mi preclude di vivere liberamente nell’elemento musicale.

Quindi la libertà presuppone una disciplina, se volete; un modo di interagire col corpo per cui il corpo viene portato al punto da non essere notato, da non venir notato; altrimenti sorgono azioni automatiche, azioni la cui causa è nella natura, nel corpo.

Vediamo la stanchezza, per dire un esempio; nella misura in cui io sono stanco, più aumenta la stanchezza più diminuisce la libertà, perché il corpo mi condiziona. E quindi, condizionandomi, non mi consente di usare il corpo in tutto e per tutto secondo ciò che lo spirito cerca, ciò che lo spirito vuol creare.

E allora dico: lascio perdere tutto quello che sto facendo e vado a dormire; e il dormire ha il senso di superare questa stanchezza, di buttarla via, in modo che risvegliandomi alla mattina – ed è importantissimo per la libertà che io dorma abbastanza altrimenti la pesantezza del corpo, se io non dormo abbastanza, quindi anche il dormire troppo poco è lesivo della libertà come il dormire troppo, per esempio – soltanto quando io ho dormito abbastanza, né troppo, né troppo poco, il corpo è fresco al massimo in modo da poter permettere di compiere cammini dell’anima, cammini dello spirito, artistici, di pensiero, di amore, dove il corpo è lo strumento più adatto che ci sia! Perché non lo noto!

Oppure, un altro fenomeno: ogni volta che bevendo alcool, per esempio, – io non sto dicendo si deve o non si deve bere alcool – sto cercando di descrivere, in chiave conoscitiva, l’oggettività dei fenomeni; nella misura in cui bevo alcool, oppure mangio troppo – lo stesso vale all’opposto se mangio troppo poco – ma, diciamo, nelle ore dopo aver mangiato troppo l’organismo è talmente… tutte le forze dell’organismo, che altrimenti potrebbero diventare strumenti di pensiero, sono talmente occupate dalla digestione che non posso, contemporaneamente, dove troppe forze sono occupate dalla digestione, servirmi del cervello a livelli di concentrazione molto più alti che non quando la digestione è finita.

Quindi una grossa domanda nella vita è: quale tipo di corpo consente il massimo di creazione libera?

E la risposta da sempre è data: ci sono due, da tutti e due i lati si può uscire dalla libertà: dal lato dell’ascesi, della macerazione e dal lato del lasciarsi andare alla dissolutezza – ci sono altre parole in italiano –.

Allora, già le virtù platoniche dicevano: guarda, nel modo di interagire col tuo corpo, che è lo strumento più perfetto per l’esercizio della libertà, esci dalla libertà sia a destra che a sinistra; sia picchiandolo troppo, mortificandolo troppo, che allora senti dolore magari, o è troppo fiacco, troppo debole, sia volendo godere soltanto i piaceri del corpo.

In tutt’e due i campi il corpo si mette in primo piano e lo spirito è costretto a recedere in secondo piano; e c’è una diminuzione di godimento di libertà, di creatività dello spirito e dell’anima.

Questo intendevo dire sull’azione automatica, dove gli automatismi di natura – la natura è fatta di automatismi, di leggi automatiche – prendono il sopravvento.

Diverse volte, nella prima parte della Filosofia della Libertà, ho portato l’esempio di una persona che dice: ma io, la scelta di bermi una bottiglia di wisky – o mezza – ho scelto io liberamente di farlo, quindi sono libero!

È la libera scelta di perdere la libertà, perché dopo che hai bevuto non sei più libero: nello stato di ubriachezza non sei libero! Quindi hai scelto liberamente di perdere la libertà! Non per sempre, ma almeno per un paio d’ore, o magari per una giornata intera.

Quindi se la scelta è di perdere la libertà, è un barare il dire: ma io l’ho fatto liberamente, quindi resto libero. No!, hai scelto di smettere di essere libero e adesso non sei più libero quando sei ubriaco!

È assurdo dire che una persona non ubriaca sia altrettanto libera quanto… oppure non possiamo dire che una persona ubriaca fradicia sia altrettanto libera quanto una persona che è sobria; se vogliamo essere sinceri, se vogliamo creare i concetti giusti rispetto alle percezioni.

(X, 11) Il monismo è ben chiaro sul fatto che un essere il quale agisca sotto una pressione fisica o morale non può essere veramente morale. Considera lo stadio dell’azione automatica (secondo passioni e istinti naturali) {questo ho cercato un po’ di elucidare} e quello dell’azione obbediente (secondo norme morali) come necessari gradi preparatorii della moralità; ma vede la possibilità di superare entrambi questi gradi per mezzo dello spirito libero.

Il monismo {la visione unitaria del mondo emancipa la vera concezione morale del mondo, in generale, sia dai vincoli interiori delle massime morali del realista primitivo, sia dalla massime morali esteriori del metafisico speculativo. Non può eliminare i primi dal mondo, così come non può eliminare dal mondo la percezione. Respinge le seconde perché cerca tutti i principii di spiegazione dei fenomeni del mondo entro il mondo stesso, e non al di fuori. Come il monismo si rifiuta anche soltanto di pensare, per l’uomo, ad altri principii conoscitivi, come tali, (v. pag. 103 e seguenti), così respinge pure decisamente in campo morale l’idea di altre massime morali, come tali, per l’uomo. La moralità umana è condizionata dalla natura umana altrettanto come lo è la conoscenza umana.

Quindi la moralità umana si evince dalla natura dell’uomo, così come la conoscenza umana la si capisce partendo dalla natura umana.

È nella natura dell’uomo, in chiave di conoscenza, di spaccare il mondo in due, all’inizio, percependo se stesso e percependo la situazione di vita; e poi di rifare l’unità con la situazione di vita e con la percezione di se stesso, creando il concetto di un’azione che è un frammento di me e che mi realizza ulteriormente, e quindi mi ricrea l’unità con me stesso.

(X, 11) La moralità umana è condizionata dalla natura umana altrettanto come lo è la conoscenza umana. E come altri esseri intederebbero per conoscenza una cosa affatto diversa da ciò che intendiamno noi, così esseri diversi avrebbero anche una diversa moralità. {Ma questo non ci riguarda, non siamo altri esseri, siamo esseri umani.} Per il seguace del monismo la moralità è una proprietà specificamente umana, e la libertà è il modo umano di essere morali.

In che modo l’uomo è morale?, moralmente buono?

Vivendo nella liberrtà!

In che modo l’uomo è non morale?, moralmente non buono?

Se vive nella non libertà, se è schiavo di norme altrui, o se è schiavo degli impulsi della natura del corpo dentro di lui.

Se invece diventa sovrano su ogni tentativo di gestirlo dal di fuori e diventa sovrano su tutte le forze della natura, che ne fa uno strumento musicale per le melodie della sua anima e del suo corpo, diventa sempre più libero.

LUCIANA: Scusa Pietro, mi pare che tu abbia detto: la moralità umana “si evince†dalla natura umana, è vero? Perché qui è scritto: “è condizionata†dalla natura umana.

Ecco, mi pare che invece di “condizionata†hai usato “si evinceâ€, che mi pare molto più chiaro!

A.: Sì, l’ho tradotto… l’ho cambiato io! Cioè è un sinonimo che ho usato per acchiappare meglio il tedesco.

LUCIANA: Infatti va molto meglio

A.: Sì, certo! Perché “condizionata†è moraleggiante, e poi è l’opposto della libertà, capito!

LUCIANA: Appunto! “Condizionata†non c’entra niente!

A.: È in sintonia con, è in sintonia con… “bedingt†in tedesco…

PUBBLICO: Ma “bedingt†non è “condizionato†?

A.: No! Bedingt ha due significati del tutto diversi… “sancitaâ€! La moralità umana viene sancita dalla natura umana.

Però in tedesco c’è una parola che se uno non conosce tutt’e due i significati significa anche “condizionata†in altri contesti, ma non in questo contesto. In questo contesto ha l’altro significato.

È “in corrispondenzaâ€â€¦ Trovate un’altra parola; c’è un’altra parola; anche in italiano si potrebbe fraintendere… “dipendeâ€â€¦

LUCIANA: È vero che si potrebbe fraintendere come “condizionataâ€!

A.: Esatto! No, no, no, di meno però! Anche “dipendeâ€. Dipende non significa che è condizionata!

LUCIANA: No, si potrebbe fraintendere…

A.: Però è più giusto “dipendeâ€, perché “dipende†non ha la connotazione di un condizionamento: l’uno dipende dall’altro, ma non si condizionano a vicenda.

Il fatto che la salute della mamma e quella del bambino piccolo dipendono una dall’altra, non significa che è un condizionamento reciproco: è un favorirsi reciproco, non un condizionamento. Però dipendono una dall’altra, cioè si corrispondono; seguono l’una dall’altra.

La parola tedesca dice: “dipendeâ€; e “condizionata†è moraleggiamento, è una connotazione negativa che non ci va.

LUCIANA: Sembrerebbe “limitata†anche! Una limitazione che non c’entra niente!

A.: Sì, certo!, “condizionata†è un concetto negativo, “condizionata†è un concetto negativo!

La moralità umana viene decisa, viene sancita, dalla natura umana, altrettanto come lo è la conoscenza umana.

Viene sancita, viene decisa, si evince… in fondo la mia prima spontanea era la più giusta, perché il pensiero… se uno coglie il pensiero è chiaro che tutto il resto son tentativi di… la prima spontanea era quella giusta, via!

Quella che crea meno problemi: si evince… Consegue, ecco! “Consegueâ€!

LUCIANA: No, meglio “si evinceâ€!

A.: È conseguenza… Però “è conseguenza†son troppo due cose diverse, è insita, si evince… interessante: la prima cosa che ho detto era in fondo quella migliore!

(X, 11) E come altri esseri intederebbero per conoscenza una cosa affatto diversa da ciò che intendiamno noi, così esseri diversi avrebbero anche una diversa moralità. {Un diverso tipo di bene, un diverso tipo di realizzazione del proprio essere. Il bene morale è sempre… il bene morale di un essere è la realizzazione di questo essere; e il male morale di un certo essere è la distruzione di questo essere.}

E il bene morale dell’uomo è la libertà. E ogni diminuzione di libertà è un frammento di distruzione dell’umano, e perciò è moralmente un male, è moralmente cattivo.

Prima aggiunta alla seconda edizione del 1918:

Una difficoltà nel giudicare ciò che è stato esposto… Allora teniamo conto che l’aggiunta Steiner la fa 25 anni dopo; e in quei 25 anni ne è passata di acqua sotto i ponti! Tutti i fondamenti dell’antroposofia, prima dei teosofi, poi dal ‘12 al ’13 piena antroposofia, un corso dopo l’altro, parecchie cose – ce ne avete anche nelle edizioni Archiati –.

Steiner rifà un’edizione della Filosofia della Libertà tale e quale! Alcune precisazioni nel testo, nelle cose che Eduard von Hartmann aveva frainteso; non è che dice altre cose: precisa!

Quindi Steiner, dopo 25 anni, non si rimangia nulla! E aggiunge a molti capitoli alcune precisazioni per farsi capire meglio, perché era stato profondamente frainteso.

La Filosofia della Libertà venne subito annoverata nella categoria degli “anarchistiâ€! Anarchici!… Sì, sì, letteratura anarchica!

PUBBLICO: Beh, un complimento!

A.: Però, per la polizia di allora, e anche quella di oggi, non è che sia un complimento più di tanto!

Anarchismo puro! La borghesia di allora vide nella Filosofia della Libertà una cosa estremamente pericolosa perché parla di un anarchismo puro!

(X, 11) Una difficoltà nel giudicare ciò che è stato esposto nei due capitoli precedenti può sorgere dal fatto che noi crediamo di trovarci davanti ad una contraddizione. {Quando qualcuno parla di contraddizioni io godo! Perché il pensiero, il pensare, compie passi particolarmente (significativi) quando riceve la provocazione di due affermazioni che sembrano contradditorie, e lo sforzo di trovare un livello superiore dove due affermazioni, che a un certo livello inferiore si contradddicono, ma ad un livello superiore non si contraddicono più, è tutto cammino di pensiero!}

E allora guardiamo qual’è il tipo di contraddizione; apparente, perché poi va risolta! Pensare è sempre un risolvere contraddizioni apparenti, che non sono tali!

E qual’è la grande contraddizione apparente che continuamente si ripresenta?

La contraddizione tra percezione e concetto!

Più contraddizione di così!!!

Perché se è realtà ciò che ho nella percezione, è mica realtà questo nulla che ho qui nella mia testa! Se è realtà il concetto allora lo spiritualista che cerca la realtà in ciò che è spirituale, mica è realtà (la percezione)!

Allora il punto di partenza è quello di una contraddizione, per lo meno apparente.

(X, 11) Da un lato si parla di uno sperimentare il pensare, a cui si attribuisce un’importanza generale, ugualmente valida per ogni coscienza umana; {il concetto di ciliegio… ce n’è uno solo ed è oggettivo e valido per tutti! Non esiste un concetto soggettivo di ciliegio!} dall’altro lato si mostra che le idee, che vengono realizzate nella vita morale e che sono congeneri {dello stesso tipo} con le idee elaborate nel penasre, si esplicano in modo individuale in ogni coscienza umana.

Ma allora, il pensare partorisce qualcosa di universalmente valido, o partorisce qualcosa di assolutamente individuale?

In vista del conoscere partorisce qualcosa di universamente valido; in vista dell’agire, in campo morale, partorisce qualcosa di assolutamente individuale: vale solo per me!

È una contraddizione?

No! Sarebbe una contraddizione se tutt’e due fossero nello stesso campo; invece l’una è nel campo conoscitivo, l’altro è nel campo morale!

Quindi, conoscere il mondo significa diventare uno col mondo; realizzare l’io significa diventare unici, irripetibili.

Di mondo ce n’è uno solo e di io ce ne sono tanti quanti sono gli esseri umani, ognuno diverso dagli altri.

Il mondo è fatto per venir conosciuto, perché c’è già! L’io è fatto per venir realizzato, c’è soltanto in potenza!

Se uno ti chiede: chi sei tu in questo momento? Cosa gli rispondereste?

Guarda! Guarda! per te, ciò che io sono in questo momento è percezione; quindi guarda! Apri gli occhi e apri le orecchie! E allora percepisci chi io sono, il mio modo di realizzarmi, del tutto individuale, in questo momento.

Non lo puoi evincere in campo conoscitivo speculando, perché il mio modo di realizzarmi, nel momento presente, è in divenire, è in fieri, sta avvenendo.

Il mondo è già fatto, l’io viene fatto dalla libertà.

Il mondo è stato fatto dalla libertà del creatore divino, l’io viene fatto dalla libertà dell’uomo, dell’uomo singolo, dell’uomo individuale.

Oppure omette di diventare ciò che potrebbe diventare.

(X, 11) Chi, di fronte a questa contrapposizione, si sente portato a fermarsi, come davanti ad una “contraddizioneâ€, e non riconosce che appunto nella vivente contemplazione di questo contrasto effettivamente esistente {è un contrasto, è una tensione, una polarità, realmente esistente nell’uomo.}

Quindi questa polarità, del conoscere e dell’agire, del fattore intellettivo e del fattore morale, fa parte del concetto di uomo.

Essere uomini significa muoversi liberamente tra il polo della conoscenza e il polo dell’azione.

Nel polo della conoscenza mi universalizzo, nel polo dell’azione mi individualizzo. E tutti e due fanno parte del concetto di uomo; sei uomo nella misura in cui, conoscendo, ti universalizzi e agendo moralmente ti individualizzi; allora sei uomo.

Quindi questa apparente contraddizione è una tensione, una tensione che fa parte necessaria, è intrinseca alla natura dell’uomo.

Quindi l’uomo è un essere polare, non c’è soltanto il dinamismo del divenire, ma c’è… e il cuore, l’amore, fa da tramite perché il senso umano dell’universalizzazione è che il cuore ritorna a desiderare l’individualizzazione: mica mi voglio perdere io in questa verità oggettiva, dove non c’è nulla di soggettivo, di individuale!

Quindi la conoscenza fa sorgere l’amore dell’io.

Adesso sono nell’altro polo, nel polo dell’agire, dove vivo nulla di universale, ma soltanto l’individualità del mio io; e questo isolamento metafisico fa sorgere nel cuore il desiderio di comunanza.

Nell’individualizzazione mi manca la comunanza e nella comunanza mi manca l’io.

E la vita è un’altalena che gioca tra l’io, del tutto individualizzato, con le vertigini della libertà, e l’io, l’uomo universalizzato, nel grembo che tende ad assorbirlo, della conoscenza oggettiva, dei concetti che sono uguali per tutti.

Non ci sono due concetti di triangolo! E 100 persone nell’atto del pensare il concetto di triangolo annullano la loro individualità!

In questo momento in cui pensano, nell’atto di pensare, annullano la loro individualità e fanno sorgere nel cuore il desiderio di riviverla.

Allora lasciano via il concetto di triangolo e chiedono: e ‘mo che faccio?

E gli altri sono via, gli altri 99 sono spariti perché non possono dirmi ciò che io voglio fare! Io sono con me, a casa mia.

E adesso vivo questa solitudine, questo isolamento.

La paura della libertà è proprio anche la paura di restar soli, non c’è più nessuna norma; per la realizzazione del tuo io non ti può venire neanche un aiuto dal di fuori; nulla! Tutto il mondo esterno può soltanto permetterti di farlo, ma non lo può gestire per nulla.

La gestione della realizzazione dell’io è in tutto e per tutto tua. Sei solo!

Quindi la libertà è la cosa che l’essere umano massimamente ama e di cui ha massimamente paura!

E la comunanza è l’altra cosa che l’essere umano massimamente ama e di cui ha massimamente paura, perché sparisce come individuo.

Allora, l’amore dell’universale ci fa andare dentro e la paura che crea ci fa uscire fuori; e ci fa tornare all’individuo.

L’amore all’individuo ci fa entrare nella libertà e la paura della libertà ci fa uscire per tornare nell’universalità.

E questo binomio è il dinamismo del divenire, della vita.

E più uno diventa libero, più diventa capace dell’universale, e più uno vive l’universale, più diventa capace di libertà, perché ognuno crea un crescente desiderio dell’altro.

E l’alternativa è di non avere né l’uno, né l’altro. Allora resta il dato di natura e la gestione dal di fuori.

Nella misura in cui il cammino conoscitivo lo prendo in mano e ne faccio l’opera della mia libertà, sono io quello che cerca con passione l’universale, in chiave conoscitiva; e sono io che, di fronte a questa paura di perdermi nell’universale, cerca con altrettanta passione l’individualizzazione.

…E poi cerca, per questa vertigine, per questa paura della libertà, ricerca l’universale…

Quindi si rimandano a vicenda, si potenziano a vicenda, si approfondiscono a vicenda.

L’alternativa è che mancano tutte e due, sono solo incipienti tutte e due; non è che si condizionino a vicenda, oscillano, si richiamano a vicenda; l’uno decide dell’altro e l’altro decide dell’uno. Il pendolo.

SCALIGERO: Molto semplicemente, non per interromperla: non capisco perché la spinta della diversità della polarità dipende dalla paura.

A.: Allora, la paura è una metafora, tutto è metafora! Quindi quando vogliamo creare il concetto… la paura è un vissuto… adesso tu dici: non mi va che tu usi questa metafora e vuoi cavartela così! Voglio costringerti a tirar fuori un concetto!

Allora ti scrivo sulla lavagna la paura tra virgolette! Adesso ne cerchiamo il concetto. E quando ne cerchiamo il concetto può darsi che tu trovi una categoria, una parola, se vuoi, ancora meglio della paura! Ma sarà un sinonimo!

E dirai poi, se la pensata è stata fatta bene, dirai: sì, sì, in fondo è quello!

PUBBLICO: La brama!

A.: No, no! La paura e la brama sono due fenomeni opposti. La paura è di incappare in ciò che non voglio; invece la brama è di incappare in ciò che voglio.

Quindi la paura mi respinge da qualcosa, voglio andar via. Quando io ho brama di qualcosa voglio andarci.

Quindi paura e brama è una polarità, sono due concetti opposti.

Allora, adesso esercitiamo quello che io ho detto: 100 persone pensano il concetto di triangolo, e io dicevo: – adesso lo esplico esperienzialmente, perché la paura è un’esperienza, è cosa viene vissuto –: 100 persone pensano il concetto di triangolo,

io sono una di queste persone e mentre penso il concetto di triangolo mi manca qualcosa: la mia individualità!

Perché mentre penso il triangolo sono puro triangolo nel mio spirito, e non c’è altro!

Il corpo non lo noto, l’anima ama il triangolo che lo spirito sta pensando, e non sono altro; però mi manca l’individualità.

PUBBLICO: C’è nostalgia dell’altra polarità!

A.: Sì, certo! Questo sarebbe il risvolto di brama e io sto dicendo: mettiamoci tutt’e due: la paura fa sorgere la brama, la nostalgia è brama… nostalgia… desiderio…

Allora lui dice… la risposta alla sua domanda che è: come sorge il desiderio, la forza che mi fa tornare all’individualizzazione?

Allora (disegna), ci metto una lemniscata: qui c’è l’universale (sopra) e qui c’è l’individuale (sotto), l’individuale sono io, però! Ognuno è l’individuale, sono io, (“io†scrive).

E quello che sto dicendo – adesso però parliamo di risvolti psicologici, del vissuto animico – non può sorgere un desiderio, non può sorgere una brama, non può sorgere una nostalgia, che non sia concomitante col fenomeno collaterale della paura; vanno sempre insieme!

E la paura è quella di perdermi se io resto troppo a lungo in questa universalizzazione; perché se io non ho paura di perdermi, non ho nessun motivo di bramare di ritornare nell’io!

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MASSIMO: C’è anche il dolore della mancanza.

A.: Sì, sì, nel dolore ci sta la paura. Però come sorge il dolore della mancanza? Da dove viene?

Quindi, siccome la paura è l’origine, viene ignorata, non la si nota più di tanto; ma non c’è mai brama senza che abbia alle spalle la paura: vanno sempre insieme!

Quando io ho la brama di qualcosa, qual’è la paura?

Di non averla!

Quando io ho paura di qualcosa, cos’è la brama?

LUCIANA: La paura di perderla!

A.: Eh, eh, eh! Tutt’e due insieme mi fanno ritornare giù!

Allora la brama è il desiderio dell’individuale; la paura è… come lo traduco in italiano… “repulsaâ€, ecco la paura! Se io resto troppo a lungo… repulsa e attrazione!

PUBBLICO: Repulsione!

A.: C’è anche la parola “repulsaâ€, scusate!

LUCIANA: C’è anche la repulsa, che è diversa da repulsione.

A.: In tedesco è più facile perché c’è: abneigung e zuneigung, in italiano è un po’ più difficile tradurlo.

Allora, la paura è un inizio di repulsa, di rifiuto.

PUBBLICO: Andare e ritornare?

A.: No, no, no! Ho paura che mi faccia sparire, che mi risucchi, che mi vanifichi come individualità, se ci resto troppo a lungo!

Se non ci fosse questa paura non sorgerebbe l’attrattiva, la brama, la nostalgia, il desiderio dell’individualizzazione.

Il concetto di evoluzione è che, nel tempo, l’essere umano può avere l’universsale e l’individuale soltanto in alternativa. E la perfezione dell’umano è di averli l’uno dentro l’altro; ma questo sarebbe oltre il tempo: cioè un tipo di universalizzazione nella quale non perdo l’io, ma addirittura lo porto a perfezione: resto, nel pensare il concetto di triangolo, resto contemporaneamente assolutamente un io, uno spirito individualizzato.

E nell’esperienza dell’io contemporaneamente ho l’esperienza di tutti gli io umani in quanto un organismo spirituale unico!

Campa cavallo che l’erba cresce!!!

Il concetto stesso di questo tipo di evoluzione, di alternanza nel tempo, uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, con l’intento di mettermi sempre di più l’uno dentro l’altro, ci dice che deve essere un’evoluzione molto lunga! Perché il da farsi è enorme!

Quindi la differenza tra evoluzione nel tempo e il termine dell’evoluzione – che per noi è astratto, perché siamo nel mezzo dell’evoluzione – è che, nell’evoluzione del tempo, le polarità vengono vissute una dopo l’altra, in alternanza.

Non puoi tu, a questo stadio dell’evoluzione, vivere contemporaneamente il tuo io unico e contemporaneamente l’universale. Li puoi vivere soltanto in alternanza, uno dopo l’altro.

L’uno crea il desiderio dell’altro. L’uno crea la paura di perdere l’altro.

E allora ti rituffi nell’altro e quando ti rituffi in 2 hai paura di perdere 1, e allora ritorni in 1.

Quindi la paura di perdere l’altra polarità fa parte di questa esperienza; e rendersi conto che la paura ne fa parte strutturalmente è, al contempo, vincere la paura; perché se io so che è soltanto la paura di perdermi, di perdere il mio io, che mi fa sorgere la brama di riconquistarlo, allora dico: la paura ci vuole!

La paura è un fattore necessario all’evoluzione dell’uomo, altrimenti poltrirebbe, non combinerebbe nulla!

PUBBLICO: Quindi poi diventa un piacere!

A.: Sì, una gioia! La categoria della gioia è meglio del piacere. La categoria del piacere si riferisce al corpo, la categoria della gioia si riferisce maggiormente allo spirito e all’anima.

E allora godo anche – questo è quello che tu vuoi dire – godo anche del fatto che ringrazio la paura altrimenti non avrei la forza necessaria per rituffarmi nell’altra polarità.

Quindi c’è una paura sana, due paure sane, insite nella natura umana: la paura di perdersi nell’universale, di perdere sé nel mondo, e la paura di perdere il mondo chiudendosi soltanto in sé.

Queste due paure ci vogliono, altrimenti l’essere umano dorme!

I. 1: Mi scusi, c’è un passaggio che non mi è chiaro, cioè per esempio penso al triangolo, il triangolo platonico, l’iperuranio, il concetto universale di triangolo, poi magari penso al mio triangolo, un triangolo che mi viene in mente, che ho disegnato ultimamente, che ho visto da qualche parte…

A.: No, il tuo triangolo non esiste: hai lasciato il concetto di triangolo e sei entrato nella percezione, in un triangolo in quanto percezione; e tu dici… perché il triangolo che tu hai fatto non ha nulla a che fare con il concetto di triangolo: è una percezione!, e perciò l’hai subito sottolineato: l’ho fatto io!,questo triangolo l’ho fatto io! Vedi! Che sei piombato subito in un frammento del tuo io!

I. 1: Ecco, appunto; però non c’è stata un’azione di repulsione o attrazione; non c’è stata un’azione del passaggio dall’universale all’individuale derivante dalla paura o dalla brama…

A.: L’hai fatto!

I. 1: È stato il pensiero che mi ci ha portato! No, non lo so, ecco è questo il passaggio che non capisco.

A.: Ma guarda che se all’uomo gli porti via il pensiero resta aria fritta! Il corpo sparisce con la morte e poi, di che cosa è fatto l’uomo? L’uomo è fatto di pensiero: ciò che tu pensi è ciò che tu sei, punto e basta!

ROBERTO: Ma dice che lui non ha sentito la paura! Così ho capito.

I. 1: Esatto!

A.: Tu adessso il gioco l’hai fatto portando un esempio; però se tu questo cammino l’hai fatto in qualche modo, la paura tu non l’hai notata, perché c’è sempre! E la psicologia, gli ultimi decenni, ha portato in primo piano l’inconscio! Io sto dicendo: rendiamoci conto, portiamo a coscienza questi elementi dell’inconscio che sono fondamentali, e ci devono essere se no non sorge il dinamismo di questo movimento.

Prendo un altro fenomeno – adesso calma, eh! –: una persona dice: sento, da un po’ di tempo, rimorsi di coscienza. …Esiste!

Adesso non mi dite: sì, però in questo caso… lasciatemi prendere alcuni elementi comuni di questo fenomeno.

“Rimorsi di coscienza†significa; è partito in quarta, ha mandato a ramengo certe norme morali che volevano inquadrarlo; come dire, ha voluto vivere un pochino di autonomia morale ecc., ecc., …adesso sono arrivati i rimorsi di coscienza!

La paura di essere soli! Eh, questo è!

Se io lo colgo adesso: ah, …ah, …forse, se sento questi rimorsi allora dico: io sono in grado, per ora, sono al punto di sopportare certe dosi di solitudine, di libertà individuale, dove mando a ramengo tutto il mondo; e questa volta però ho esagerato la dose di ciò che io sono capace. E il fatto che ho esagerato la dose mi porta rimorsi di coscienza, perché gli altri… ho l’impressione che mi lasciano troppo solo e mi dicono: no, no, tu non vai bene!

Se io avessi maggior forza di libertà quando gli altri mi dicono: tu non vai bene!, per me è il segno che vado benissimo! E son contento!

Allora, adesso io ho preso questo fenomeno dei rimorsi di coscienza, non dico che abbia soltanto questo risvolto di paura, ma ce l’ha di sicuro!

E questo risvolto di paura mi dice: adesso la dose comincia a diventare troppo grossa; e ritorna nella comunanza, e vince quella paura.

Manco ha cominciato a vivere nella comunanza, a osservare i comandamenti in modo che gli dicono: sei bravo, sei bravo! … ha di nuovo rimorsi di coscienza!

I rimorsi di coscienza sono adesso di essersi inquadrato, di essersi dato un’intruppata, per paura ecc., …e adesso cosa dicono i rimorsi di coscienza?

È la paura di perdersi nella comunanza! E ritorna, ridà una botta dall’altra parte.

La paura della solitudine fa sorgere la brama di comunanza, la paura del perdersi nella comunanza fa sorgere la brama dell’io; se li prendiamo tutti e due, la brama e la paura, abbiamo il fenomeno completo; però con tutti i risvolti subconsci, perché sono talmenti sottili, sono talmente insiti nella natura umana, che noi non lo notiamo; non ce ne accorgiamo.

CARLO: Diamo più valore alla brama che ci spinge fuori.

A.: Certo, diamo più valore alla brama e lasciamo inconscio ciò che crea la brama; perché se io ci sto bene nell’universale, come faccio a bramare di andarne fuori?

PUBBLICO: E viceversa!

A.: E viceversa, vabbè, facciamolo da una parte, almeno!

Quindi deve sorgere un elemento che non mi fa star bene, e quello è la paura.

I. 2: Rispetto alla paura della comunanza ci può essere anche una paura di impazzire, che non è la paura…

A.: Paura di…?

I. 2: Paura di impazzire, cioè di un rifiuto, sentirsi rifiutati nel processo di creare una relazione, dunque di sentirsi in comunanza, di sentirsi nell’amore; e questo non è una paura di appartenere, di perdersi nell’appartenenza, ma al contrario è proprio l’impossibilità, il fatto di essere partiti a cuore aperto, perciò con la coscienza totalmente a posto, ma l’impossibilità strutturale di venir accolti dall’altro, e nell’impossibilità di accogliere l’altro; dunque non ci può essere comunanza.

Questo genera rabbia, repulsione, ma repulsione da rinculo; e se si parla di paura, l’unica paura che sussiste a questo punto, chiaramente, è la paura di impazzire, che significa l’impossibilità strutturale di essere in rapporto.

A.: Il problema strutturale, o se vuoi l’errore strutturale di ciò che tu stai dicendo è che tu svolgi il fenomeno paura e brama soltanto da un lato; e i conti non tornano. I conti tornano soltanto se noi la fenomenologia, sia della paura, sia della brama, la studiamo sia qui: paura e brama (sopra), e paura e brama qui (sotto).

Questa brama, brama dell’universale, è tutt’altra brama che non la brama dell’individuale, perché è polarmente opposta.

La paura dell’io isolato è opposta alla paura dell’io che ha paura di perdersi.

Sono quattro fenomeni da guardare concretamente; e allora c’è il tutto!

E a questo punto non serve usare altre categorie, l’accogliere una categoria così diffusa che conoscitivamente non serve; è puramente psicologica, ma neanche più di tanto. È importante usare categorie che ci portano a dei concetti, …concetto dell’io, e quindi, quando io vivo la mia unicità, cosa creo negli altri quando sottolineo e metto lì fortemente il mio io ? Cosa mi dicono gli altri?

In romanaccio: vaffa…

Quella è la paura, è quella la paura!

Ma è insito nel fenomeno: non si può sottolineare l’io senza creare una repulsa da parte degli altri! …Eh!, è insito nel fenomeno!

Quindi repulsa, paura e repulsa, brama e attrazione; tutte e due.

Qui (sopra): attrazione e repulsa, anche qui (sotto): tutte e due. Sono una variazione di brama e paura.

I. 2: Non c’entra con quello che dicevo, ma va bene lo stesso.

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A.: Domani vedremo – dovessi dimenticarlo ricordatemi perché è molto importante – che la maggior parte dei problemi del sociale, della convivenza sociale, delle comunità, dei rapporti umani, sta nel fatto che, siccome nel passato, nei secoli e nei millenni del passato, l’io non c’era ancora, era puramente incipiente, sta nel fatto che, comunque, l’io non era ancora in grado di costituire una polarità di pari peso alla comunità.

Io e comunità sono diventati due fattori di pari peso soltanto negli ultimi decenni, negli ultimi secoli.

Quindi noi abbiamo un passato dove la comunità era una realtà e l’io non era una realtà. Allora, siccome nel passato dell’umanità l’io non c’era – c’era l’anima di gruppo – era possibile esperire comunanza, non soltanto nel conoscere, ma anche nell’agire. C’era comunanza nell’agire – il bene comune, gli scopi comuni – perché non era ancora sorta la volontà individualizzata dell’io.

Ora che è sorta, nella misura in cui sorge la volontà tutta diversa di ogni io, non c’è comunanza! È distruzione dell’io cercare la comunanza in campo dell’agire e del volere.

Volere e agire.

In campo dell’agire e del volere, cercare la comunanza è distruggere l’io: è immorale!

Quindi la comunità del futuro, la comunità non anacronistica, è una comunità di accordo conoscitivo; e nell’agire ognuno è chiamato a fare i fatti suoi! E una comunità che pretende dal singolo una solidarietà nell’agire – il bene comune – è una comunità di pecore!, di bambini!

E siccome questo non sta bene a nessuno perché c’è in tutti noi l’aspirazione ad essere, in campo morale, dell’azione, un io individualizzato, non ci rendiamo conto che i problemi del sociale vengono da questo anacronismo così stridente: che noi cerchiamo la comunità, il comune, là dove ci deve essere soltanto l’individuale.

E là dove c’è la possibilità di mettersi d’accordo, di vivere la comunanza nella verità oggettiva, poltriamo nel pensiero all’infinito!

E quindi cerchiamo comunità qui (sotto), dove la comunità non esiste e distrugge soltanto l’io, e diventiamo scontenti. Qui (sopra), dove potrebbe esserci e si può costruire soltanto con lo spirito che pensando crea concetti, siccome poltriamo e non creiamo questa libertà, non esperiamo comunità né qui, né qui, e la cerchiamo là dove distruggiamo l’io e creiamo una massa di persone sempre più scontente.

L’accordo esiste soltanto nella verità, nella conoscenza. Non può esserci un accordo sull’azione; un accordo sull’azione è la distruzione degli individui, dell’individuale.

E il potere delle comunità che si fa forte dei tempi in cui l’individuo, con la sua volontà individualizzata ancora non c’era, è così retriva, così conservatrice, che vuole continuare a dire: no!, l’individuo non ha motivo di esistere! E ogni tentativo dell’individuo di farsi valere è sovversione immorale!

Ma questo esercizio di potere è l’essenza dell’immorale, perché vuol schiacciare, vuol distruggere l’io, la libertà dell’io.

Quindi, con la “nostra morale†che chiede comunità nel campo morale dell’azione, siamo vecchi bacucchi, ma proprio vecchi di secoli; siamo indietro, santa pace!

La comunità, l’accordo ci deve essere nella conoscenza: sul concetto di triangolo dobbiamo metterci d’accordo: ce n’è uno solo, oggettivo!

I. 3: Se io ho realizzato l’io, non dovrei…

A.: Diciamo che sei nel processo di realizzarlo! Se no ti mandiamo sulla terra Gioviana!

I. 3: Ecco, realizzando l’io non dovrei avere più paura, sparisce la paura! ARCHIATI: Sì!

I. 3: Perché l’io, la dimensione dell’io è dovuta al pensiero volitivo, la paura non dovrebbe esistere, non dovrebbe esistere nemmeno la brama…

A.: Nella misura in cui l’io diventa più perfetto diminuisce la paura. Quando l’io fosse – te ci sei arrivata, io ho bisogno ancora di un po’ di tempo – del tutto perfetto, allora soltanto è del tutto sparita la paura. Per quanto mi riguarda io ho bisogno ancora di un po’ di tempo; te ci sei già arrivata?

I. 3: No, non ci sono già arrivata, però stiamo parlando di un qualcosa appunto della realizzazione. Se parliamo della realizzazione dell’io, l’io realizzato, non dà la paura, né la brama.

A.: L’io realizzato non c’è! Se tutto va bene c’è un io in via di realizzazione e finché è in via di crescente realizzazione c’è una paura, sempre decrescente, ma c’è! E se non la vuoi vedere i conti non tornano.

Pubblico: … (silenzio)

Qua, oh, molti dicono: ma quello lì vuol sempre avere ragione lui, allora stimo tutti zitti …Buona notte, e ci vediamo domani alla 10!

Domenica 2 ottobre 2011 mattina

A.: Una buona giornata a tutti, una buona domenica. Stiamo affrontando l’aggiunta, scritta 25 anni dopo… ci stavamo dicendo ieri che l’essere umano se vive da artista, se vive da creatore libero, esercita l’arte del “pendolare†– allora preferite che la lemniscata ve la faccia da sopra a sotto o da destra a sinistra? –.

Allora, da sopra a sotto c’è il vantaggio che sopra c’è la testa, che se tutto va bene dovrebbe finalmente cominciare a pensare, e sotto ci sono gli arti, che sono lo strumento del volere, dell’agire, del muoversi nel mondo; perché l’essere umano, scusate, quando non dorme, sta in piedi; quindi qui (disegna) ci sarebbe la testa (sopra) e qui gli arti (sotto).

Invece l’altra, quella orizzontale, è un modo un po’ più conoscitivo di vedere la cose.

Allora, va bene anche quella in piedi?… visto che c’era ieri, togliamo queste due ali… Allora: io penso e metto in movimento la testa – non la testa fisica, insomma il pensatoio – io penso. “Io penso†è un’attività, il pensare è un’attività, svolgo l’attività del pensare. Quando io penso sparisco in quanto individualità separata dal mondo. Quando non penso il triangolo io sono una realtà diversa dal triangolo, perché non lo penso. Quando penso triangolo, io sono il triangolo; e sparisco, in quel momento, in quanto individuo separato dal triangolo: sono una cosa sola col triangolo.

Quindi ciò che l’essere umano pensa lo è direttamente; tutto il resto sparisce nel nulla.

E pendolare a “io pensoâ€, il polo opposto – cosa ci mettiamo sotto? –: io agisco!

Certo che l’agire presuppone il volere, però il rapporto tra volere a agire, è che il volere, l’atto di volizione, il riproporsi qualcosa, volere significa riproporsi di fare qualcosa – se volete: io faccio, però io faccio è troppo diffuso, è troppo confuso, io faccio… che fai? – meglio: io agisco, compio un’azione, io compio un’azione. Il volere è ancora un atto interno e il volere è un pensare. Il volere è un pensare che le forze del cuore intridono di volontà; quindi è diretto all’azione; però finché resta un volere che non si decide ad agire, resta interno. Nel momento in cui io agisco il mio volere incide sul mondo.

Anche se io dico: voglio camminare, quando compio l’azione del camminare agisco sul mondo, agisco addirittura su questo frammento di mondo che è questa giovane fanciulla chiamata Luciana. Ho agito su di lei talmente che si è stupita che: ma guarda!, sa anche camminare! Mi ha guardato così!!

Ho agito sul mondo camminando! E te (Luciana) sei un pezzo di mondo, inutile che… capito!

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LUCIANA: Spero almeno! Finché sono viva! Sono ancora un pezzo di mondo, poi dopo…

A.: Non vorresti essere fuori dal mondo, ho capito. Sì, adesso sei un piccolo pezzo di mondo, dài consolati. Però campa cavallo che l’erba cresce, ce n’è ancora di tempo, non c’è mai fretta, capito! Tanto lì ci arriviamo tutti, non si deve aver fretta. Ti concediamo altri 20 anni almeno, ti bastano? O lo lasci all’angelo custode, lo lasci al Padreterno?

LUCIANA: Bravo, mi hai letto nel pensiero!

A.: Allora, qualcuno dice: ma come mai Steiner si rifà, se volete, a Zaratustra? Zaratustra è stato il primo grande pensatore delle polarità: luce e tenebra, Ormuzd e Ariman, Angria maniu e Aura mazdao, luce e tenebra, il bene e il male.

E gli artisti dicono: e il cuore? E la parte del cuore?

Cose che ci siamo già detti – il cuore, il sentimento – Pensare, volere e agire e il sentire, il sentimento?

Ieri il sentimento era in primo piano, perché ci avevamo messo la brama: la brama quando vado giù e la brama quando voglio tornar su. Quando poi sono andato troppo su, ho paura di perdermi, sorge la paura; quando sono andato troppo giù sorge la paura.

Quindi l’abbiamo fatto, l’ho spiegato ieri sera: brama e paura in tutte le direzioni. Allora il sentimento è il dinamismo su tutta la linea: Il vissuto è proprio questo movimento; il dinamismo… non c’è arresto!

Qui è brama, brama dell’individuale, dell’individualizzazione. Oh!, se io devo soltanto essere mondo, perdermi nell’oggettivo del mondo… io chi sono? Allora voglio diventare un io: brama verso l’io.

Adesso io vivo la mia individualità, faccio qualcosa; gli altri son costretti a prenederselo così com’è quello cho io faccio, a reagire, a prendere posizione verso di me…e sorge la paura dell’isolamento, ho le vertigini che poi mi condannino ecc., ecc.; allora sorge la brama di tornare indietro.

E questo movimento vivace è sempre in noi, si tratta di portarlo a coscienza; quindi questo continuare a scambiarsi: bramo qualcosa, quando ce l’ho comincio ad aver paura perché è unilaterale e allora comincio a bramare l’opposto. Quando ce l’ho, l’ho bramato, l’ho conseguito, ce l’ho, lo vivo e ne sento l’unilateralità; e allora comincio a bramare l’opposto!

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Noi fissiamo questo in due polarità, ma non sono due posizioni fisse, è un dinamismo, un movimento continuo che si inverte in tutt’e due i poli.

E questo movimento continuo è ciò che noi chiamiamo l’amore, il dinamismo, il sentimento, il vissuto, l’arte. L’arte è un movimento continuo. L’artistico, ciò che è artistico, che sia una conversazione dove ci si mette la creatività del cuore, non ha momenti di arresto; quindi una qualità fondamentale dell’artistico è il movimento vivace, aperto, che non si sa dove va a finire; perché sappiamo che se partiamo da sotto andiamo a finire di sopra, ma in quale modo, in quale sfumatura, quale pensiero… se io adesso penso un cerchio, o penso un triangolo, o penso alla realtà di un bambino della scuola ecc., questo non è deciso.

Risalgo al polo del pensiero, però tutto è sempre aperto; decido io a cosa penso e come ci penso, e quali aspetti voglio mettere in primo piano ecc., ecc.

Quindi questa è la realtà dell’uomo, e se volete è polare, ma ogni polarità – l’uno e il due, tesi e antitesi – hanno un senso soltanto se la sintesi si muove. La sintesi non è mai statica, si muove fra tesi e antitesi. Se uno studia il filosofo Hegel, per esempio, non è che la sintesi sia una cosa statica dove tu fai: uno è la tesi, più due l’antitesi, uguale a tre; e adesso ti siedi sul tre, bello comodo! No! ti fa ripartire dall’uno a un altro livello, poi il due a un altro livello, poi il tre a un altro livello; e poi riparti (di nuovo).

Quindi il terzo elemento della triarticolazione è il movimento artistico puro che non si arresta mai. Questo è il bello! E più lo si esercita, più dà gioia, e quindi in questo dinamismo c’è anche l’elemento della gioia; io ve l’ho tradotta, in chiave di pensiero, spesso, con la categoria della pienezza. L’essere umano vive la sua pienezza come pensatore e come agente, come persona che fa, e vivendo questa pienezza, muovendosi tra il mondo e l’io, tra l’io e il mondo, è la gioia del vivere; la pienezza dell’io, la pienezza dell’umano, è la gioia di vivere; e la gioia di vivere consiste nel vivere sempre di più in pienezza; di metterci sempre più pensieri, di metterci sempre più volizioni, sempre più azioni; sempre più trasformazione del mondo, con l’impronta del mio io unico, sempre più concetti che colgono, che si immergono nella realtà oggettiva del mondo.

Qualcuno ieri diceva: ma perché invece di brama e paura… e io dicevo: ciò che noi bramiamo, ogni volta che noi bramiamo qualcosa ne abbiamo paura; soltanto che la paura sta dietro. Quando la paura sta davanti la brama sta dietro; ma vanno sempre insieme.

Io bramo di fare i fatti miei, quindi bramo di vivermi nella mia libertà, nella mia individualità. Dietro questa brama c’è la paura, perché inconsciamente so che quando io veramente faccio l’esperienza di fare i fatti miei, lo posso fare soltanto mandando a ramengo tutti gli altri, se no non posso… capito! Non è che tutto il mondo sta lì ad aspettare, a far di tutto che io possa fare i fatti miei; anzi, sta lì a far di tutto che io non possa fare i fatti miei, ma faccia i fatti suoi.

Quindi, dietro questa brama di una mezza giornata in cui vengo lasciato in pace e faccio i fatti miei, c’è la paura che quando poi ho mandato al diavolo tutti quanti, “loroâ€, insomma, si fanno sentire; e allora devo dare un colpo dall’altra parte.

E qualcuno diceva: perché non chiami la brama simpatia e al paura antipatia?

Ma scusate, i sinonimi ci sono apposta per usarli! Va bene anche simpatia al posto di brama: brama è simpatia, paura è antipatia.

CARLO: Avevi detto: ripulsa e attrazione.

I. 1: La brama è più giusto, dà un senso più forte, più intenso; la simpatia è più generale.

A.: Difatti io ho detto alla persona – dov’è la persona che me l’aveva detto? – vedi che salta fuori il risvolto del linguaggio, che il linguaggio italiano, la simpatia e l’antipatia invece di considerarli fenomeni a livello di spirito, a livello di anima e a livello di corpo, li ha ridotti a fenomeni psicologici. Invece, sumpatos e antipatos, in greco, è una posizione di tutto l’essere verso qualcosa. Lo spirito che brama, l’anima che brama, il corpo che brama: tutti e tre. E in tedesco – tu forse ti riferivi alla Teosofia di Steiner, lì c’è la simpatia e l’antipatia – il tedesco ha preso tantissime parole direttamente dal greco. Quindi sympathie e antipathie in tedesco hanno una gamma semantica molto più vasta che non la simpatiuccia e l’antipatiuccia italiana, che è puramente animica! Perciò, in chiave di scienza dello spirito, nel contesto di un seminario come questo, dove non siamo gli ultimi sprovveduti, val la pena di ritornare a parole più forti. La simpatia e l’antipatia… è una questione del tutto personale. Però, diciamo, potenzialmente la brama sta a dire la stessa cosa come in greco la simpatia e l’antipatia. Che altro ci avevo messo: attrazione e repulsione; voglio qualcosa e non voglio qualcosa.

Allora, questa mattina portiamo a termine il X° capitolo della Filosofia della Libertà, e ciò che mi sono proposto di fare insieme, tutti quanti, è di vedere come l’unico problema che c’è, l’unico problema che c’è nel mondo oggi, ma proprio l’unico: tante persone si chiedono: ma come mai sono malato, come mai son depresso? Cosa ho fatto di male, cosa sto facendo di male? C’è qualcosa di non giusto che faccio, sto facendo qualcosa di sbagliato?

Nooo! Nooo! Io non conosco persone che stanno facendo cose sbagliate, conosco un sacco, anzi un milione di sacchi di persone che omettono la cosa più bella che c’è! Di diventare sempre più attivi nel pensare! Non fanno quasi nulla in questo campo, quindi non sperimentano la libertà e la creatività; questa è l’unica vera malattia.

E non fanno quasi nulla! Agiscono, ma non è un agire, fanno da automi; ma non ci mettono l’impronta cosciente dell’io individuale; non esperiscono – perché non lo pensano in questo modo – l’agire come realizzazione dell’io, assolutamente individuale.

Quindi l’unico peccato che c’è, la vera origine dei mali anche sociali che abbiamo, non è qualcosa di sbagliato che noi facciamo – azioni cattive – no! Mancano le azioni buone! Il grande peccato dell’umanità di oggi è il peccato di omissione, e quasi su tutta la linea! Èquesto che io volevo dire questa mattina.

E perché viene così largamente omessa questa artisticità nel pensare, che dà gioia, che dà pienezza?

Io mi indìo, divento mondo, io stesso divento mondo, ma non mi dite che diventare il mondo, diventare uno con questo frammento di mondo, con questo frammento di mondo, con questo frammento di mondo, diventare uno potenzialmente con tutto il mondo, non sia una cosa bella!

Il mondo è una cosa strabiliante, scusate! Pensiamo a chi l’ha fatto il mondo, che testa doveva avere! Un artista vertiginoso; vertiginosamente artista! Ora, tuffarsi dentro, capire questa cosa, pensare quest’altra cosa è gioia all’infinito, pienezza all’infinito. E le persone chiedono: cosa sto facendo di sbagliato?

Il problema non è che tu stai facendo qualcosa di sbagliato, il problema è che tu non stai facendo nulla! O quasi nulla!

Perché l’essere umano è contento, è realizzato, è pieno di gioia solo nella misura in cui ha piene mani più che può. Nessuno può fare più che può, ma stiamo tutti facendo enormemente meno di quello he potremmo, e non ce ne accorgiamo.

Questo è il discorso della Filosofia della Libertà, il messaggio fondamentale!

Datti una sveglia! Non dar la colpa agli altri, o alle tue azioni, per il fatto che non sei contento. Guarda a quello che potresti e che ometti ogni giorno. E allora la sofferenza, la carenza, è il pungolo che ti aiuta a perdere sempre meno colpi.

Quindi il problema del mondo d’oggi, il problema del sociale, il problema della mia vita, il problema mio, non è mai il male; questo è un moralismo più micidiale che si possa immaginare.

Èstato messo nella testa di milioni di persone che il problema sia il male! Allora io devo star attento a “non fare il maleâ€, allora per paura di fare il male la gente fa sempre di meno, sempre di meno, e viene sempre più mortificata.

Il problema non è il male che c’è, è il bene che manca! Solo quello è il problema!

Il bene che viene omesso: quello è il vero male morale!

Perché un’azione compiuta… io dico: no, con questa persona qui non va bene così, provo in un altro modo. Non è un male! Ho provato! Provare non è un male, scusate!

Quindi una delle armi più micidiali dei poteri costituiti è di aver concepito, di aver propinato il male come qualcosa di reale, in modo che le persone vivano sempre di più nella paura che se faccio questo è forse male, che se faccio quest’altro è forse male, e allora mi faccio mettere in regola per essere sicuro di non fare il male: osservo tutte le regole, tutti i comandamenti che ci sono… il risultato? Addormentato l’io a tutti i livelli!

È questo il risultato: una povertà interiore allucinante! E questo è il male, la povertà interiore, la carenza, la mancanza, l’omissione del vero, del bello, del buono.

Qui (indica il disegno alla lavagna) c’è vivere il vero, l’oggettività delle cose; il vero, io penso il vero; e io faccio, io agisco, compio il bene: Cos’è il bene? Bene morale ce n’è uno solo: la realizzazione dell’io! E di male morale ce n’è soltanto uno: la mancata realizzazione dell’io. Altri mali morali non ci sono, ma veramente non ci sono, non è che io stia esagerando; è incredibile questo ricatto del moralismo dei poteri costituiti che imbottiscono l’uomo di paura; alla fine ci si mette in testa che comunque mi muova faccio qualcosa di male e di sbagliato, perché arriva sempre qualcuno che dice: ma, e ma, e ma…!

O trovo il coraggio e la forza di dar calci nel sedere a tutti quanti, oppure sarò sempre un bambino, non soltanto per questa vita, ma anche per tutte quelle successive. Però se io per comodismo resto bambino, non ho il diritto di accusare gli altri delle mie depressioni, delle mie scontentezze ecc., ecc.; io sono l’origine.

Non vi chiedo se fila il discorso, vi chiedo se si capisce il discorso, o no?

(Applausi)

Che fila lo so io, che si capisce me lo dovete dire voi, scusate! Beh, state lì come tante mummie! Sto parlando cinese o sto parlando italiano? Perché le cose sono fondamentali, scusate! Sono veramente fondamentali. E abbiamo un sacco di generazione di antroposofi, cosiddetti, che questa Filosofia della Libertà l’hanno scartata, non l’hanno neanche afferrata.

PUBBLICO: È pericolosa!

A.: Magari fosse pericolosa! Perché diventa pericolosa soltanto quando l’hai capita. Invece la gente la mette via perché ha un sentore che non la capisce neanche, capito!

Allora, rileggiamo questa prima aggiunta – la seconda è di carattere più tecnico, di laboratorio, se volete – ma la prima aggiunta è importante; perché poi voglio concretizzare, fare un esercizio insieme con voi, concreto; e questo esercizio di pensiero e di volizione, come dire, è come una suonata, una suonata non si può dire, bisogna suonare!

Quindi questo esercizio lo facciamo insieme e bisogna farlo fino in fondo.

E l’esercizio che mi sono proposto è di… (riprende la lemniscata) allora qui. A, il polo del pensiero lo chiamo A, il polo della volontà lo chiamo B; e prendiamo l’esempio di una scuola, la realtà di questa scuola, qual’è la situazione di questa scuola. Quando un gruppo di persone – di maestri, di genitori – si chiedono qual’è la situazione di questa scuola. Non si tratta di volontà, di far qualcosa, ma si tratta di conoscere qualcosa di oggettivo; e su ciò che è oggettivo, la situazione della scuola, non è così a seconda che ti pare o non ti pare, a seconda del tuo parere: è oggettiva, è una sola.

Quindi, se si esamina, se si parla sulla situazione di una scuola, si tratta di venire ad un accordo sull’oggettività della situazione. Ora la situazione di una scuola è una cosa molto complessa, però ogni elemento è oggettivamente così com’è.

Poi, siccome la situazione della nostra scuola è una cosa molto complessa, come compito intuitivo del pensare, che si immerge in questa verità oggettiva e la coglie, e diventa questa realtà oggettiva; allora, come seconda istanza, c’è la realtà di questo bambino, un bambino di 8 anni.

Che realtà abbiamo davanti a noi?

Tutti i maestri hanno fatto l’esperienza, uno in geografia, l’altro in matematica, l’altro in ginnastica ecc.; la realtà di questo bambino! Ma, voi mi direte: anche la realtà di un bambino, da pensare, da cogliere intuitivamente nel pensiero, è estremamente complessa!

Però è meno complessa che non la scuola che abbraccia un sacco di bambini, un sacco di genitori, di maestri ecc., ecc.

Ogni realtà è estremamente complessa. Anche se noi avessimo, qui adesso, una foglia di betulla, come dicevo, e la passassimo in giro e ci chiedessimo: vogliamo col pensiero cogliere la realtà, l’essere, il concetto di questa foglia, sarebbe ugualmente una realtà enormemente complessa.

E poi, allora: io penso la realtà di questa scuola, penso la realtà di questo bambino… che faccio? Ora che faccio? Come mi comporto?

In questa scuola, che è così e così e così, e con questo bambino che è mio alunno – magari io sono un maestro di scuola ed è mio alunno – Ora, questo “cosa faccioâ€, questa polarità consiste nel fatto che il vero è stato costituito dal passato fino al presente, ed è diventato percepibile; quindi il vero si coglie dal lato della percezione – l’abbiamo detto sempre – e per essere percepibile ci deve essere già.

L’azione che io voglio compiere non è ancora percepibile, quindi la struttura del volere e dell’agire parte dal presente – ciò che io ora voglio – e va verso il futuro.

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Quindi la struttura del conoscibile viene dal passato e si presenta come percezione nel presente e lì si ferma. Perché in questo momento la realtà è arrivata fino a questo punto, non si è svolta oltre, perché io non sono oltre, sono in questo momento, la voglio conoscere in questo momento.

Invece la struttura del volere, dell’agire, del compiere azioni, parte dal presente: io voglio far questo in questo momento, e va verso il futuro.

Quindi il volere è nel presente e l’agire – quando io voglio – l’agire è ancora futuro; non ho ancora agito, non ho ancora fatto ciò che voglio.

Quindi, anche temporalmente, non soltanto spazialmente – la testa e gli arti – ma nel mistero del tempo la struttura del conoscibile è polarmente opposta alla struttura del fattibile, perché il fattibile parte dal presente ed è aperto verso il futuro. Aperto! Perché io non so come andrà a finire l’azione che voglio compiere! Ce l’ho nell’intuizione pensante di volerla fare, ma poi, mentre la faccio, io non posso sapere in che modo l’interazione col mondo influisce sull’azione.

Io ho pensato di fare una bella corsa senza intoppi, però il mondo mi dà degli intoppi! E allora, mentre faccio l’azione, il mondo influisce sulla mia azione, quindi nessuno può mai anticipare in tutto e per tutto l’azione.

Quindi il volere è nel presente gestibile dal pensare, ma l’azione è aperta verso il futuro; perché è un’interazione che ancora non c’è con il mondo, tra io e il mondo.

Il fattibile è aperto verso il futuro, invece il pensabile è partito dal passato e si chiude nel presente. Si chiude vuol dire: si rende preciso, non aperto.

La percezione di un ciliegio… il ciliegio in questo momento non è aperto: è così com’è, è ben definito, non aperto. Ogni percezione è definita, non aperta. L’azione non è definita perché ancora non la compio: è indefinita, è aperta – Ecc., ecc., ecc. – Io sto soltanto dicendo alcune cose per evidenziare quale dinamismo c’è, vissuto realmente, ma troppo poco portato a coscienza; perché portandolo a coscienza possiamo a livelli sempre più vivaci, sempre più minuti, sempre più sfumati, vivere questa realtà dell’umano.

C’è questa polarità, questa tensione assoluta tra il passato che mi definisce la percezione presente come provocazione a pensare, e il presente e il futuro, dove io, nel presente definisco ciò che voglio, ma l’azione è aperta verso il futuro perché devo vedere in che modo il mondo reagisce alla mia azione, nel mentre io agisco.

E tutto questo è questione di attenzione, è questione di vivacità, questione di vivezza interiore, di coscienza sveglia. E non c’è limite alla svegliezza della coscienza.

Prima aggiunta alla seconda edizione (1918)

Una difficoltà nel giudicare ciò che è stato esposto nei due capitoli precedenti può sorgere dal fatto che noi crediamo di trovarci davanti ad una contraddizione. Questa polarità: ma come!, non è una contraddizione?! Da un lato si parla di uno sperimentare il pensare, di un vivere il pensare, creare il pensare; il pensare non si sperimenta, si crea, si genera, si fa prorompere dall’essere, a cui si attribuisce un’importanza generale, universale, valida per tutti, ugualmente valida per tutti ugualmente valida per ogni coscienza umana; dall’altro lato si mostra che le idee, che vengono realizzate nella vita morale e che sono congeneri della stessa natura con le idee elaborate nel pensare, si esplicano in modo individuale in ogni coscienza umana.

L’idea di un’azione da compiere, il voluto, con quale organo, con quale attività colgo io, nel volere, un’azione che voglio compiere?

Col pensare!

È lo stesso pensare con il quale colgo l’essenza, il concetto, intuitivamente il concetto di una cosa che c’è.

Quindi è lo stesso pensare in posizione conoscitiva ed è lo stesso pensare che si pone in posizione volitiva. Eh, non ci sono due pensari! Chiaro?

E allora uno dice: ma allora, non è una contraddizione? Qui il pensare mi fa entrare in qualcosa di universalmente valido, di oggettivo, che è lo stesso per tutti – e divento triangolo! – Poi lo stesso pensare dovrebbe sortire l’effetto opposto di individualizzarmi, di pormi di fronte al mondo in quanto io fondato su se stesso… Non è una contraddizione, è proprio il dinamismo, la polarità dell’essere umano, che l’essere umano consiste in questo movimento artistico che lui, con la stessa attività del pensare, è capace non soltanto di universalizzarsi, ma addirittura di individualizzarsi; e non è capace soltanto di individualizzarsi, ma anche sempre di nuovo di universalizzarsi.

E che volete di più!!!

Quindi non è una contraddizione, ma proprio fa parte del concetto di uomo. L’uomo è quello spirito che, pensando, pensantemente, nel pensare, creando il pensare, si muove pendolarmete – perché l’un polo fa sorgere il desiderio dell’altro e l’altro fa sorgere il desiderio del primo – nel pensare, col pensare, creando il pensare, si muove alternativamente tra l’immergersi nel mondo, nella realtà oggettiva del mondo, di frammento in frammento, e tirarsi fuori dal mondo – tirarsi fuori fra virgolette, non è spaziale la cosa – e realizzarsi in quanto io unico, diverso da tutti gli altri io.

Chi, di fronte a questa contrapposizione, si sente pronto a fermarsi, come davanti ad una “contraddizioneâ€, e non riconosce che appunto nella vivente contemplazione di questo contrasto effettivamente esistente si rivela una parte dell’essere dell’uomo, mica solo una parte: l’essenza dell’uomo – la traduzione è un pochino… insomma! – non potrà vedere nella giusta luce né l’idea della conoscenza, là sopra (nel disegno) né l’idea della libertà. là sotto (nel disegno)

Per quel modo di vedere che pensa i suoi concetti solamente come ricavati (astratti) dal mondo dei sensi, e che non concede all’intuizione la parte che le spetta, l’intuizione è la capacità di diventare una cosa sola con ciò che si pensa, il pensiero qui assunto come realtà rimane una “mera contraddizioneâ€. Invece per il modo di vedere che intende come le idee vengano intuitivamente sperimentate vissute, create: Io divento l’idea che creo nel pensare, sono io ciò che penso quali essenzialità poggianti ciascuna su se stessa, il triangolo, il concetto di triangolo, la realtà spirituale del triangolo… che vuol dire “che poggia su se stessaâ€? Che non le manca nulla! È completa! Non ha bisogno di complementi, di aggiunte. Io col concetto di triangolo ho tutto del triangolo, basta che diventi in tutto e per tutto triangolo.

Alla pensata “triangolo†ci manca qualcosa? No! basta che abbia tre angoli, tre lati chiusi, non gli manca nulla!

Quindi ogni concetto, diciamo, ogni frammento del pensiero del Logos è una realtà non manchevole: è piena! Perché se fosse manchevole sarebbe uno che non sa pensare bene. Quindi al concetto di triangolo non manca nulla. Può essere manchevole il mio modo di pensarlo, perché allora non sono ancora diventato del tutto uno col concetto di triangolo, nel mio pensare, diventa chiaro che l’uomo, entro l’ambito del mondo delle idee, siamo adesso sopra (nel disegno) penetra e vive, in tedesco non c’è questo “penetra, è troppo fisico, è troppo materiale; in tedesco è: si immette, si inserisce vivacemente; nel pensare si inserisce vivacemente, viventemente, artisticamente, come creazione, nel concetto, nell’essenzialità triangolo.

PUBBLICO: Connettersi…

A.: No, due cose connesse rimangono esterne l’una all’altra, si appiccicano, ma restano esterne l’una all’altra.

I. 2: La connessione serve per fondersi, per passare attraverso ed entrare dentro.

A.: No, tutte metafore che diventano troppo spaziali, troppo materiali. Perciò io dico: diventare uno. È più forte la cosa, è più forte la cosa.

Il concetto di triangolo… non il triangolo come percezione, il concetto! È diventare uno!

PUBBLICO: Fondersi…

A.: Si identifica… Il tedesco… naturalmente anche Steiner cerca il linguaggio, ma non è che… il linguaggio sarà a livelli un po’ più metafisici… quando avremo pensato altri 100, 200, 300 anni, se tutto va bene! Lui usa, come il tedesco è adesso, lui usa “sich (se stesso) hineinâ€. Hinein è un movimento dell’entrare dentro, però entrare dentro il concetto, non nel triangolo. Io non entro nel triangolo, entro nel concetto del triangolo col pensiero.

“Sich hinein lebtâ€, e “lebt†è il vivere, vivacemente diventare uno, immergersi, col pensiero però, vivacemente nel triangolo.

Quindi a questo punto serve meno disquisire in italiano quali sinonimi vogliamo usare e serve di più vedere se riusciamo – ed è questo il compito – a capire sempre meglio cosa avviene, cosa faccio io col pensiero quando mi immedesimo, divento uno, quando penso triangolo.

E a quel punto lì, detto fra parentesi, il dottor Rudolf Steiner ci ammonisce, ci dice: la stragrande maggioranza degli esseri umani, oggi, non s’è mai fatta un solo concetto! Ha soltanto le parole del linguaggio; e perciò questo lo evidenziamo col fatto che godiamo di questa disquisizione sui sinonimi perché ci manca molto – ed è questo che vogliamo esercitare, no! – l’esperienza dell’intuizione!

Intus ire: l’intuizione è diventare uno. E più avremo l’esperienza dell’intuizione conoscitiva, dell’idea conoscitiva, del pensare attraverso il quale l’io si “indìaâ€, si logicizza, avremo, creeremo anche nuove parole.

Qualcuno mi ha detto che c’è un libro: io e Dio, di Mancuso, io e Dio. Vi dicevo: Dio forse con la maiuscola ancora, perché forse fa paura metterci la minuscola: l’italiano l’io lo mette con la minuscola, io maiuscolo non c’è in italiano; per gli antroposofi c’è, ma loro hanno un linguaggio tutto loro. In italiano Dio è maiuscolo e l’io è minuscolo. Io vi ho detto addirittura – ma cose dell’altro mondo! – che Dio è aria fritta e l’io va scritto maiuscolo… Niente paura, cardinali cattolici non ci sono qui in sala.

Pensare il triangolo, pensare il concetto di triangolo – volevo tornare a Dante, questo che volevo fare – pensare il concetto di triangolo è un’esperienza di ciò che Dante chiama “l’indiarsiâ€. Perché il concetto di triangolo è un frammento dello spirito divino che l’ha creato, del Logos. Allora, “illogizzarsi†non c’è, però “indiarsi†c’era in Dante; e io vi ho detto che son convinto che se noi andiamo avanti col pensare, certe parole, come indiarsi, le riscopriremo di nuovo; e questo sarà molto importante, perché servono. Indiarsi… servono queste parole.

VENETO: E allora usiamola: invece di “penetraâ€, si “india†e vive.

A.: Certo! una parola si instaura nella misura in cui viene usata. Si indìa. Però lo devi spiegare, eh!, è tutto un processo di coscienza, di cammino di coscienza, di cammino di pensiero.

Invece per il modo di vedere che intende come le idee vengano intuitivamente sperimentate quali essenzialità poggianti ciascuna su se stessa, diventa chiaro che l’uomo, entro l’ambito del mondo delle idee, penetra e vive, nel conoscere,

si inserisce vivacemente con l’attività del conoscere – non “nel conoscere†– in un elemento unitario per tutti gli uomini, il tedesco non ha “un elementoâ€, in una realtà che è unitaria, una per tutti gli uomini. La parola elemento non c’è in tedesco ed è un po’ fuorviante, non è un elemento: è una realtà unitaria. Una realtà non è una realtà accanto a un’altra; un elemento è per natura un elemento accanto a tanti altri, un elemento fra altri. Il tedesco dice: una realtà che è unitaria per tutti gli uomini, ma che quando da quel mondo di idee prende estrae, trae le intuizioni le “prende†è troppo fisico, poi “prendere†è passivo, è molto più attivo “traeâ€, o “estraeâ€. Questo estrarre è molto più attivo: le tiro fuori e le realizzo col volere. Quindi, il tirar fuori è il volere e realizzare è l’azione: voglio fare questo! Quindi estraggo dal mondo delle idee questa idea, che è l’idea di un’azione che voglio compiere con lo stesso procedimento, e poi, con l’azione, nell’agire la compio, la manifesto verso l’esterno, la rendo percepibile trae le intuizioni per i suoi atti volitivi, egli individualizza un membro di quel mondo di idee per mezzo tramite, compiendo della stessa attività che nel in un processo spirituale–ideale del nel conoscere egli sviluppa come attività umana universale. Ciò che appare come contraddizione logica, cioè la natura universale delle idee conoscitive io penso il triangolo e la natura individuale delle idee morali, do da mangiare al bambino, quando viene contemplato se contemplato nella sua realtà, si tramuta proprio nel in un concetto vivente.

Vario un pochino il testo che avete per riportarlo al tedesco.

Una caratteristica della realtà umana sta precisamente proprio nel fatto che quanto può venir afferrato intuitivamente nell’uomo si muove di qua e di là, come in un moto pendolare vivente, fra la conoscenza avente valore universale e lo sperimentare individuale il vivere individualizzato di quell’universale.

Per chi non è in grado di contemplare nella sua realtà una di queste oscillazioni, il pensare rimane solo un’attività umana soggettiva; a chi non è capace di afferrare l’altra, sembrerà che con l’attività pensante dell’uomo vada perduta ogni vita individuale. Per un pensatore della prima specie la conoscenza è un fatto impenetrabile, per l’altro è impenetrabile la vita morale. Per spiegare l’uno e l’altro dei due casi, entrambi addurranno una sorta di ragionamenti, che sono tutti inadeguati, perché da ambedue la sperimentabilità del pensare che il pensare non è qualcosa che è fuori di me, ma è qualcosa che io sono quando penso; è il mio essere il pensare quando penso. “La sperimentabilità del pensare “ in tedesco dice: che il pensare è qualcosa che può diventare, che è passibile di diventare la sostanza intima del mio essere: io ho la capacità, in quanto uomo, di diventare pensare vivente. E quando penso creativamente sono io stesso, nel mio essere intimissimo, pensare vivente, creatore intuitivo.

E nel volere traduco nell’azione, realizzo nel mondo visibile, rendo percepibile, un frammento di questo mondo ideale che colgo con lo stesso pensiero con cui afferro la realtà del mondo che c’è.

E con lo stesso pensiero intuisco, creo, un frammento di mondo che ancora non c’è, e perciò lo realizzo io! Perché l’azione che io voglio compiere non c’è ancora, la compio io! E il modo in cui io la penso è tutto mio; perché l’azione, l’azione in quanto tale, potrebbe essere la stessa in mille persone. Una lezione a scuola, presa in generale, è la stessa per tutti, però il contenuto di un’azione è il modo individuale di compierla.

Il camminare per esempio… esistono due camminari uguali? È impossibile! Impensabile che ci siano due camminari uguali; anche soltanto se il passo è diverso di 1 cm dall’uno all’altro: è tutto un altro camminare! Perché 1 cm di differenza sono due mondi diversi. Quello ti fa un passo di 70 cm e l’altro ti fa un tutt’altro passo se è 71 cm.

Questo per prendere soltanto un piccolo esempio. Poi immaginiamo tutta la compagine delle forze vitali immesse nell’alzare il piede, nella spinta in avanti e nel portarlo giù; questa complessità infinita di forze vitali è impensabile che sia la stessa da un uomo all’altro; poi la velocità dei passi, ciò che penso mentre cammino, ciò che vivo mentre cammino… ecc., ecc., ecc.

Quindi, vista dal di fuori, generalizzata, l’azione del camminare è la stessa in 10 persone – generalizzata! – ma colta a livello individuale è su tutta la linea diversa in ogni persona.

È individualizzata: è un frammento di realizzazione di un io che è unico, che è diverso da ogni altro io. E porre attenzione a questo mistero dell’io che continuamente nell’agire si individualizza, proprio sciorina la sua unicità, questa è la gioia dell’essere! Se io non colgo, non vivo, il mio modo di realizzare la mia individualità, allora non mi realizzo e divento depresso, sono scontento, sono irrealizato perché non mi realizzo.

Quindi il problema è che io non sto facendo qualcosa di sbagliato, il problema è che manca questo cammino di coscienza: ometto questa vivacità, questa presenza, questa attenzione, sia riguardo me, sia riguardo gli altri, che vive il mistero dell’io di ognuno e ne gode! Però per goderne devo coglierlo!

Per chi non è in grado di contemplare nella sua realtà una di queste oscillazioni, il pensare rimane solo un’attività umana soggettiva; tantissima gente pensa che il pensare sia un’attività soggettiva di ognuno, che ognuno fa a modo suo; quello sarà arzigogolare, se volete, ma non pensare! Il pensare è l’organo che ci immette nel reale, nel vero oggettivo, che è uguale per tutti. Ripeto: del triangolo c’è un concetto solo, non ce ne sono due. Del cerchio c’è un concetto solo, non ce ne sono due; a chi non è capace di afferrare l’altra, sembrerà che con l’attività pensante dell’uomo vada perduta ogni vita individuale.

Invece quando l’uomo pensa un’azione, altro che perdere il contenuto individuale! Lo realizza sempre di più; perché ciò che io voglio è sempre qualcosa di individuale; io non posso volere ciò che vuole l’altro; nessuno può volere ciò che vuole l’altro.

Quando io dico: voglio camminare… due persone dicono: voglio camminare, voglio camminare con te; tutt’e due vogliono camminare; il “voluto†è del tutto diverso in tutt’e due, perché ciò che vivranno, ciò che sperimenteranno, ciò che rientrerà di riflesso nel loro io, nei due io mentre camminano, sarà tutto diverso, del tutto individualizzato, nell’uomo A e nell’uomo B.

Ciò che manca è la nostra attenzione a questo processo di individualizzazione che è sempre in atto.

Mentre parlo state tutti ascoltando bene o male, però il modo è individualizzato in ogni persona; perché io dico una frase di 5 parole, l’uno sottolinea la prima parola, l’altro sottolinea la seconda parola – mentalmente, non se ne accorge – l’altro le mette tutte assieme; il modo concreto viene vissuto, non portato a coscienza, ma viene vissuto del tutto individualizzato. Tant’è vero che poi uno si presenta e dice: ma tu hai detto questo e questo e gli altri dicono: no, non l’ha detto, ha detto tutt’altra cosa!

Questo evidenzia che il modo, l’azione dell’ascoltare, essendo un’azione, è del tutto individualizzata. E questo è bello! Non si scappa!

Parlo del modo di ascoltare, eh!, perché capire quello che sto dicendo è l’intento di superare la differenziazione individualizzante e di cogliere la realtà oggettiva di quello che io sto dicendo.

Allora siamo d’accordo, ci accordiamo, che è quello che stavo dicendo, che cercavo di dire. Ma allora non siamo nel processo di ascoltare, siamo nel processo di capire, di pensare, quello che il relatore sta dicendo.

Per un pensatore della prima specie la conoscenza è un fatto impenetrabile, per l’altro è impenetrabile la vita morale. Per spiegare l’uno e l’altro dei due casi, entrambi addurranno una sorta di ragionamenti, che sono tutti inadeguati, perché da ambedue la sperimentabilità del pensare…è qui che non trovo una traduzione più… letteralmente in tedesco sarebbe: la vivibilità del pensare, il pensare è vivibile in assoluto, il pensare lo possiamo vivere in assoluto, il pensare è ciò che io posso fare vita della mia vita, essere del mio essere, in modo assoluto. Tutto il resto, oltre il pensare, è parzialmente, è soltanto parzialmente recepibile dal mio essere; invece il pensare lo posso fare, in tutto e per tutto, sostanza del mio essere. Soltanto rispetto al pensare posso andarci dentro del tutto e identificarmi! Per tutte le altre cose ci resto fuori, in qualche modo. Soltanto del pensare, quando io penso, posso dire: io sono attività pensante. Punto e basta. In tutto e per tutto. Un’identificazione assoluta: è il mio essere mentre penso.

Se mangio una carota non posso dire: io sono carota… per fortuna! Se penso la carota, sono carota. Però il concetto di carota, non la carota che si mangia!

…la sperimentabilità del pensare o non è compresa affatto, o è disconosciuta perché ritenuta un’attività di mera astrazione.

Allora adesso, prima della pausa, facciamo questo esercizio, siccome qualcuno diceva: ma stamattina è così astratto, così stratosferico, santa pace! Allora caliamo, caliamo, caliamo e adesso abbiamo una scuola, se volete una scuola Waldorf, abbiamo un collegio di maestri, mettiamoci anche i genitori, se volete. (Riprende alla lavagna la lemniscata). Allora, qui (sopra) il pensiero, o meglio: il pensare – qualcuno ieri, o l’altro ieri, mi voleva ammazzare perché io non dico sempre “il pensareâ€, ma qualche volta dico “il pensieroâ€, e allora dice: no!, è il pensare di cui stiamo parlando, non il pensiero! Non ammazzatemi, aspettate almeno fino a domenica quando è finito il seminario! – Il pensare come attività naturalmente; e l’agire (sotto).

Il pensare e l’agire.

E l’esercizio che facciamo, che propongo di farvi, è che ci troviamo in una scuola, abbiamo a che fare con una scuola, con un numero di insegnanti e un numero di genitori, se volete, ci sono anch’io, altrimenti non è un esercizio per me.

Stiamo scambiandoci pensieri sulla realtà attuale, la situazione attuale della nostra scuola: 1) La realta attuale della nostra scuola.

È una cosa soggettiva o una cosa oggettiva?

La realtà è sempre così com’è! La realtà che c’è è sempre oggettiva, se volete inesauribile, se volete ognuno ne può cogliere aspetti sempre diversi, ma ogni aspetto che si coglie è così com’è, non c’è nulla di arbitrario; gli elementi possono esere infiniti, ma nessuno è arbitrario, ognuno è oggetttivamente così com’è. Se la scuola come edificio ha complessivamente 25 finestre, nessuno mi potrà dire: ne ha 30! Sono 25! O sono 25, o sono 30!

Quindi il pensare si riferisce sempre alla realtà oggettiva. E siccoma la realtà è sempre oggettiva, anche se inesauribile, anche se complessa, nel pensare, nel conoscere, nel deliberare sulla realtà, si tratta di mettersi d’accordo.

E uno dice: è così. “È così†tra virgolette! L’altro invece pensa: no, non è così!

Cosa fa, gli dà ragione: sì, sì è così? Nooo, non è così!…Ah, ah!…

Cos’è questa posizione psicologica di ribellarsi: “no, non è così�

Evidenzia in un modo così chiaro, così pacato, che nel conoscere, nel pensare ci dev’essere – se no distruggiamo il pensare – l’intento onesto di cogliere le cose come sono. Quindi la verità non è questione di opinione personale, la verità non è opinabile, è pensabile.

Quando la corrente del relativismo – che poi è poltroneria di pensiero su tutta la linea – dice: ma in fondo ognuno la pensa come vuole; è una menzogna!

Non è che uno la pensa come la vuole, intende dire che la realtà è così complessa che ognuno ne coglie aspetti diversi.

Ma allora di fronte alla complessità della realtà, la reazione più proficua, più amica dell’uomo, più favorente l’umano, è il disfattismo?

Il relativismo è il disfattismo nei confronti del pensare e rende le persone sempre più tristi; perché omettono, non fanno l’esperienza più bella che ci sia. Allora, diciamo, che il problema – il vero problema non è un problema – è una provocazione che la realtà è inesauribile in ogni sua manifestazione!

Ragione di più per non mollare!

Per considerare ogni fenomeno – il fenomeno scuola – da questo aspetto, da questo aspetto, da questo aspetto… allora uno dice: no, adesso non stiamo considerando questo elemento della scuola, stiamo considerando quest’altro elemento della scuola; e tu non divergere! E se stiamo considerando questo elemento della scuola vogliamo venirne a capo, vogliamo andare in fondo, vogliamo accordarci su com’è questo elemento, oggettivamente.

PUBBLICO: Convergere…

A.: Convergere, sì! Accordarsi, accordarsi è più del cuore.

Perciò ho pensato di prendere di una scuola… – tu stai parlando dell’edificio, tu stai parlando dei bambini – allora: un bambino, questo bambino, o questa bambina, adesso stiamo parlando di questo bambino, la realtà di questo bambino.

2) La realtà di questo bambino: che bambino è?

È anche una realtà estremamente complesa, con infiniti elementi, con infiniti fattori; però, rispetto alla scuola, che è un insieme di bambini, un insieme di maestri, un insieme di genitori, ecc., ecc., è una realtà molto più circoscritta.

Allora il pensare è fatto per cogliere sempre più intuitivamente la realtà di questo bambino. Questo bambino che temperamento ha?

In Italia questo bambino qui è un po’ un caso di eccezione perché è raro trovare un bambino veramente melanconico; ma questo bambino è veramente un puro melanconico; perciò lo stiamo studiando.

Però, melanconico è un temperamento generalizzante, il temperamento è qualcosa di generale, la melanconia è uno dei quattro temperamenti, quindi un quarto – in Italia forse 1/7 – dell’umanità sono tutti melanconici.

Quindi la realtà di questo bambino è il suo modo individuale di essere melanconico.

E lì diventa più complessa la cosa. Allora, come si manifesta in lui la sua melanconia, il modo in cui questo bambino manifesta il suo temperamento melanconico che è del tutto individuale? Come cogliamo noi l’oggettività della melanconia di questo bambino?

Col pensare! Un pensare che diventa sempre più creatore, sempre più sottile, sempre più vivace, sempre più attento; e ce n’è da capire, ce n’è da cogliere! All’ifinito!

Quindi, finché restiamo nel polo della conoscenza oggettiva si tratta di accordarsi sulla oggettività del reale che c’è; perché noi non possiamo parlare di come si comporterà questo bambino domani: non c’è ancora! Stiamo parlando delle percezioni che abbiamo avuto finora e creiamo i concetti sulle percezioni che abbiamo di questo bambino, che abbiamo avuto finora.

Quante percezioni, questi maestri, questi genitori, soprattutto i suoi genitori, hanno avuto di questo bambino? All’infinito!

Ora, il pensare è l’arte, una creazione artistica, di afferrare intuitivamente il carattere comune di tutte queste percezioni diverse. E allora capisco sempre meglio l’essere di questo bambino, non soltanto le manifestazioni, perché le manifestazioni sono di volta in volta un frammento del bambino. E nella misura in cui ho l’intuizione – mai totale, eh!, perché io resto un altro io – vado vicino all’essere di questo bambino, mi immedesimo nel suo essere, e man mano che lui agisce lo capisco, lo capisco, lo capisco, perché è così, il suo essere è così.

Ripetiamo che il pensare, a livello conoscitivo, è la capacità artistica di immedesimarsi, di entrare dentro, di diventare uno con questo essere.

E il maestro migliore, il genitore migliore, è colui che diventa, nel pensiero, questo bambino, più che si può.

Perfetta sarà l’unità soltanto alla fine dell’evoluzione… ce n’è di tempo! Però il cammino è andarci sempre più vicino.

E il bambino vive, fa l’esperienza – non lo porta a coscienza – ma vive, fa l’esperienza: questo maestro, questa maestra, mi capisce molto meglio di quell’altra. E questo capire che, diciamo, a livello dell’amore, è un’intuizione del cuore, siccome l’intuizione del cuore ce lo dà la natura, ora ci troviamo ad un trapasso dell’evoluzione dove tutto ciò che la natura ci dava – l’intuizione del cuore di tante mamme, di tanti pedagoghi – si ritira sempre di più, per far posto all’intuizione conquistata liberamente; non data per natura.

E l’intuizione conquistata liberamente la si può conquistare soltanto nel pensare!

Quindi: mamme, papà, genitori, maestri, che hanno l’intuizione del cuore di ciò che questo bambino è – e lo capiscono col cuore – ce ne saranno sempre di meno!

E così deve essere! Altrimenti non facciamo posto a questo nuovo tipo di intuizione che dà molto più gioia, perché viene creata attivamente, artisticamente, liberamente, dall’uomo che pensa; e che nella percezione non vede soltanto questo bambino melanconico camminare, non basta che lo veda camminare… vi sono 100 qualità individuali in questo camminare… Le vedo? Le percepisco? Le colgo?

Questi sono i cammini del pensiero, l’attività artistica del pensiero che ci attende su tutta la linea; ma è molto bello! Perché se io lo vedo soltanto camminare… dormo! Non lo vedo proprio! Perché a camminare son 100 bambini, ma il suo camminare è tutto diverso, è tutto diverso. Ogni volta che mette il tallone… oh!, per arrivare alla punta è quasi se uno dovesse dargli una spinta dal di fuori!

Il sanguinico… il tallone non c’è neanche, è subito alla punta! E lui, il melanconico, il passo ce l’ha maggiormente nel passaggio dal tallone alla punta che non nel salto. Con quel bambino lì, se insegno l’italiano, devo trovare tutt’altri esempi che non con il bambino sanguinico. E quali? E come spiegarli?

Allora passiamo a B… A è la domanda a cui risponde il pensiero: qual’è la realtà? Il pensare si chiede qual’è la realtà oggettiva, presente, percepibile; quindi, in chiave di pensiero, il pensare si rivolge sempre a qualcosa che percepisce; se non è percepibile non è una realtà per il pensare – l’abbiamo visto nella prima parte della Filosofia della Libertà – un reale c’è soltanto se c’è il lato di percezione e il lato di concetto. Qual’è la realtà oggettiva di questa scuola? Qual’è la realtà oggettiva, la situazione oggettiva, attuale, della scuola? Qual’è la realtà oggettiva di questo bambino, di questo bambino melanconico? Il modo suo di essere melanconico, abbiamo detto.

Adesso entriamo sotto; ora abbiamo discusso, ci siamo scambiati pensieri, ognuno ha presentato risvolti diversi, gli altri: sì,sì, c’è anche questo, oppure: no, no, non è così; si può naturalmente parlamentare all’infinito… Supponiamo per assurdo che stiano disquisendo sulla realtà oggettiva della scuola e sulla realtà oggettiva del bambino già da 15 ore! – in Germania andrebbaro avanti altre 15 ore!… in Italia che succede? Oh, sono stufo! –.

Allora, adesso voglio far qualcosa, eh!, basta parlare! Si presenta l’altro polo, la brama dell’altro polo; e l’altro polo risponde alla domanda: in questa scuola, in questo momento, qui e ora, cosa faccio, come mi comporto io? In questa scuola con questo bambino?

È il polo opposto; qui non si tratta di conoscere qualcosa, si tratta di fare qualcosa; di architettare, di inventare intuitivamente, di creare dalla sorgiva della fantasia morale – di cui parleremo nel prossimo capitolo – un modo di comportamento.

Come lo tratto questo bambino, come mi comporto con questo bambino?

Così come capire il concetto di qualcosa, capire la realtà, presuppone l’intuizione intellettiva, l’intuizione conoscitiva, così l’agire presuppone una facoltà di intuizione morale che mi fa intuire, mi fa pensare qualcosa che voglio fare.

Da dove traggo questo concetto di un’azione che voglio compiere? Io e il modo individualizzato che porta l’impronta del mio essere?

Dal pensare!

La colgo col pensare. Però non in vista di farmi uno con qualcosa che c’è, con l’oggettività del mondo, ma in vista di realizzarmi, in quanto io unico; perché il mio modo di trattare, di interagire con questo bambino, in questo momento, non sarà mai lo stesso che il modo di un altro genitore, o di un altro maestro, di interagire con questo bambino, in questo momento.

Quindi nel volere e nell’agire realizzo l’unicità del mio io, divento sempre di più un io, assolutamente unico e irripetibile.

E cosa avviene, in quest’ora di scuola, tra me e questo bambino?

Un’infinità di scambi di forze karmiche, astrali, reali però; che non esistono in nessun altro luogo del mondo; esistono soltanto in quest’ora tra me e questo bambino. E presupposti per questa individualizzazione assoluta li abbiamo creati nel corso dei secoli e dei millenni; ci conosciamo già da lungo tempo!, ce ne siam fatte a vicenda!

Quasi la metà del tuo essere l’ho costruita io; più della metà sei sempre tu, così come più della metà del mio essere l’ho costruita io. Ma una buona parte del tuo essere l’ho costruita io; ho contribuito nel tutto del tuo essere, in buona parte, quando l’altra volta io sono stato la tua mamma, o tu sei stato la mia mamma.

E due volte fa abbiamo lavorato insieme. Il modo in cui, a livello dell’anima, a livello astrale, che è reale, i nostri due esseri interagiscono, è un’opera d’arte unica! Eh, scusate, non può essere che così!

Ditemi voi se è possibile un’altra interazione, anche soltanto lo stesso bambino, con un altro maestro, con cui avvengono gli stessi trapassi di forze!?

Impensabile una cosa del genere! È ovvio!

Quindi parliamo di verità, di realtà, che ci devono essere, altrimenti non c’è questo vivace chiedersi come tratto, come mi viene incontro, che onde mi porta incontro, quali richieste mi porta incontro, inconsciamente, questo bambino, e come rispondo io!

O partiamo dal presupposto che queste realtà invisibili sono realtà, e se abbiamo la convinzione che sono realtà si evidenzia subito, è evidente che sono del tutto individuali, del tutto uniche.

E con un’altra persona dev’essere tutto diverso. Quindi, ciò che questo bambino, lo stesso bambino, vive con un maestro un quarto d’ora, un’ora, è tutto diverso; vive tutt’altra serie di cose, di vissuto interiore, che non con un altro.

Un altro maestro è un altro mondo!

Un bambino che interagisce col secondo maestro vive in un altro mondo, perché due maestri sono due mondi diversi. E tutto questo avviene! Viene vissuto! Non soltanto dal bambino, ma anche dal maestro.

E quello che manca, cioè i grandi peccati di omissione di cui parlavo all’inizio, è che noi ci chiediamo: ma perché non sono realizzato?

Crediamo che sia la società, crediamo che sia la legge, crediamo che sia colpa di Berlusconi ecc., ecc., ecc., e invece non ci rendiamo conto che… noi non stiamo facendo nulla di male, non è quello il problema, cioè: non è che stiamo facendo qualcosa di sbagliato; il problema è che noi non stiamo facendo quasi nulla di bene – non dico nulla, ma quasi nulla –.

Quindi il problema dell’uomo d’oggi è che non fa nulla di male – e quello non è un problema – ma non fa nulla di bene! E quello è un enorme problema, perché è vuoto, vuoto, vuoto; e poi è scontento, non è realizzato.

E il bene, questa polarità del bene, che è artistico e creatore a tutt’e due i livelli, riempie il cuore di gioia; perché il cuore è proprio questa vivacità che si sposta in continuazione, non si ferma mai: manco mi sono goduto un pochino il mio io e gli altri mi dicono: datti una mossa, e allora rientro, mi rituffo di nuovo nell’universalità, nell’oggettività del mondo.

Io divento mondo, io divento sempre di più io, divento me stesso; mi realizzo.

Come si fa, c’è una possibilità di non viverli soltanto uno dopo l’altro, ma un pochino l’uno dentro l’altro? Sarebbe bello averli tutt’e due insieme! Sempre uno e manca l’altro, sempre uno e manca l’altro…

Semplice la cosa: mettiamo lo zoom e guardiamo più da vicino quello che avviene qui, nel pensare.

PAOLO: Ma il problema è che qualcuno ci dice che tu non puoi farlo come vuoi tu; questa è la grande difficoltà. Dire: adesso cosa faccio io? No, no! te lo dico io cosa devi fare! E questo crea tutta la difficoltà. È tanto carino, ma nella scuola avrai 10 colleghi che ti dicono: alt, no!, tu non hai capito cosa si deve fare!

A.: Da quello che tu dici risulta chiarissimamente che tu non sei maestro, e non puoi essere maestro altrimenti parleresti in un modo diverso. Sarebbe come dici tu se si desse il caso che non si dà, neanche nella nostra società retriva, oppimente.

Se si desse il caso che per un maestro che facesse un’ora di interazione con un bambino, ce n’è un altro che in tutto e per tutto decide e decreta sul suo modo di fare la lezione. Questo non c’è! C’è un maestro solo e l’interazione la imbastisce lui, e gli basta! Se poi, al di là, fuori di questa interazione, c’è un sacco di quello che tu dici, gli importa sempre di meno; ed è disposto ad accettarlo nella misura in cui si gode, si gode, si gode, questa pienezza!

Se invece non se la gode allora si lamenta di quest’altro.

Quindi l’arte della vita non sta nel lamentarsi degli spazi che non mi sono liberi, sta nel godere a piene mani quelli che mi sono liberi.

E quale essere umano viene osservato da 5 poliziotti dalla mattina alla sera?!

Anche se venisse osservato, che deve muoversi piedi e mani come vogliono loro, non può venir costretto a muovere i suoi pensieri come vogliono loro.

E un certo Victor Frankel, il fondatore della logoterapia – che in Germania è molto forte: la terapia del Logos! – questo tipo ha scritto e ha detto che l’esperienza somma di libertà l’ha fatta nel campo di concentramento!

Tu adesso cos’hai ottenuto? Ci hai tirato via! Perché non sei un maestro!

I. 2: Agiscono tre fattori: abbiamo l’intuizione del cuore, che possiamo riferirla ai genitori, l’intuizione del pensiero riferita al maestro, e poi l’agire che in fondo è una forma di natura.

A.: E allora abbiamo un maestro senza cuore!

I. 2: No, quindi l’interazione fra l’intuizione del pensiero e l’intuizione del cuore e la volontà, danno al maestro… questo, diciamo, è il rapporto con l’anima del bambino. Per questo si dice che il maestro si deve accostare al bambino con l’anima; però passando per l’intuizione del pensare e l’intuizione del cuore, dove, nel pensare, immettendo la volontà come forma di agire, perché mettendo volontà nel pensiero abbiamo il pensiero in movimento, il pensiero vero, vivente.

Come applichiamo la volontà in natura e ci muoviamo, applicando la volontà al pensiero abbiamo il pensiero in movimento, pensiero vero, pensiero vivente.

A.: Proposta: una pausa fino alle 12 e poi tocca a me! No, tocca a noi, via!

A.: Allora, vogliamo continuare? Portare a termine… la seconda aggiunta la leggo veloce veloce perché è di natura maggiormente tecnica e lasciamo ad ognuno il commento.

Seconda aggiunta alla seconda edizione (1918)

A pagina 147 e seguenti si parla di materialismo. Sono ben cosciente che vi sono pensatori i quali, come il citato T. Ziehen non designano affatto se stessi come materialisti, ma che tuttavia, dal punto di vista adottato in questo libro, devono venir annoverati sotto questo concetto. Pensano di non essere materialisti, ma lo sono! Perché i concetti che loro si son fatti valgono soltanto per ciò che è materialmente percepibile, non per ciò che non è materialmente percepibile, come il pensare. Non importa che uno affermi che per lui il mondo non finisce nell’esistenza puramente materiale e che quindi egli non è un materialista. Si tratta di vedere se egli svolge dei concetti che siano unicamente applicabili a un’esistenza materiale. Chi afferma: < il nostro agire è determinato da necessità come il nostro pensare >, ha con ciò stabilito un concetto che è applicabile solamente a processi materiali, ma non all’azione, né all’essere; non all’azione dell’uomo, né all’essere dell’uomo; e, se pensasse il suo concetto fino in fondo, dovrebbe pensare, per l’appunto, materialisticamente. Se non lo fa, è soltanto per quell’incongruenza che così spesso è il risultato di un pensare non portato alle sue ultime conseguenze. Spesso si sente ora dire che il materialismo del secolo decimonono è scientificamente superato. Ma in verità non lo è affatto. Soltanto, al giorno d’oggi, assai spesso non ci si accorge che non abbiamo altre idee all’infuori di quelle con le quali ci si può accostare soltanto a quanto è materiale. Così si occulta attualmente il materialismo, mentre nella seconda metà del secolo decimonono si palesava apertamente. E adesso, tra l’altro, il materialismo è diventato ancora più micidiale, perché gli esseri umani perdono sempre di più la capacità di pensare qualcosa di non materiale.

Ma verso una concezione che comprenda il mondo spiritualmente, il celato materialismo contemporaneo non è meno intollerante di quello, confessato, del secolo scorso. Solamente, esso inganna molti uomini, i quali credono di dover respingere una concezione del mondo che tende alla spiritualità, per il fatto che la concezione delle scienze naturali ha <ormai da lungo tempo abbandonato il materialismo>.

Questo solo come noticina di una discussione che allora era molto importante.

Allora, ritorniamo a questa polarità, abbiamo cercato di fare, di concretizzare con l’esempio della scuola, la mia situazione di vita. Ognuno può dire: la mia situazione di vita; la mia situazione di vita la colgo, è tutto ciò che già c’è, tutto ciò che è percepibile. Ciò che non è percepibile non fa parte della mia situazione di vita. È ciò che già c’è, e lo colgo con intuizioni conoscitive.

Intuizioni morali sorgono nel momento in cui io mi chiedo che cosa realizzo di me, che potenzialmente è in me, un frammento di me che non c’è ancora, non è ancora oggetto di percezione: lo rendo percepibile io mentre compio l’azione.

Quindi le due grosse domande: la domanda della conoscenza è: che cosa c’è, qual’è la realtà; e la domanda della morale è: cosa faccio.

Adesso tocca a voi!

ROBERTO: Allora, provo a riformulare quello che stavo pensando: questa mattina ci hai illustrato, con quello schema, in maniera molto chiara, questo dinamismo, questo movimento artistico che nell’uomo si muove in un certo modo.

Io ero convinto che, conoscendo alcuni individui, alcune persone che ci circondano tutti quanti, che avrei chiesto se era corretto rappresentarsi, riferirsi – per esempio di un mio amico – che secondo me sarebbe rappresentabile con quella lemniscata che hai fatto, ma dove il cerchietto dell’io penso era piccolo e il cerchietto dell’io faccio era molto più grande. Ero convinto che si potesse fare in questo modo… poi c’è stata la tua risposta.

A.: Allora, la domanda è molto importante. La domanda chiede: è possibile – stiamo facendo un esercizio di intuizione conoscitiva, vogliamo conoscere un frammento della realtà dell’uomo, come stanno le cose nell’uomo – e lui chiede: è possibile o non è possibile che, in un certo tipo di uomo – e lui dice: sono tanti – l’uomo A, il polo del pensare è atrofizzato, è piccolo piccolo, e il polo del fare è grosso grosso? C’è un tipo così? E poi il tipo del guru, o il chiacchierone Pietro Archiati, dove il polo del pensatoio è grosso, e qui sotto, parla, parla, ma non fa niente: l’uomo B! È possibile? C’è’?

No, non esiste e non è mai esistito! E non potrà mai esistere né il tipo A, né il tipo B.

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I. 3: Esiste chi omette di camminare meno da una parte e sviluppare più la seconda, però…

TEDESCA: Io credo che è un vero e proprio otto volante che fa venire i brividi, e tanto quanto è sviluppata la parte sopra, tanto ugualmente si rispecchia come intensità la parte sotto. E così vanno insieme, reciprocamente si nutrono insieme, sono a specchio.

A.: Vedi che il tedesco va subito… il padreterno non può ever creato l’uomo squilibrato!

I. 4: Scusa, lì però manca il terzo elemento che è il sentire, che dovrebbe equilibrare le due polarità squilibrate.

A.: Il sentire è il movimento, non ci serve adesso che tu distrugga la polarità aggiungendo un terzo. Cioè il sentire, il cuore, l’amore, se tu esci da questa metafora spaziale – che poi è uno schema – il sentire è la mancanza della volontà quando sono nel pensare e sentire la mancanza del pensiero quando sono nella volontà; questo è il sentimento. Quindi la brama e la paura: questo è il sentimento. E il sentimento di brama e di paura mi mantiene in continuo movimento. Ora, io qui, ho fatto due esseri umani che non esistono. Quindi torniamo all’essere umano che c’è, che è fatto così: tanto sopra quanto sotto.

Ve lo voglio dimostrare – 5 minuti, 10 minuti – però prima lasciamo parlare un paio di persone.

MASSIMO: Non è possibile questa asimmetria perché in realtà – mi è sembrato di averlo colto prima anche nel paragrafo, in uno dei due paragrafi precedenti – in realtà quello che si fa lo si fa veramente solo se si pensa, e viceversa. Nel senso che non incidiamo nel mondo se il mondo lo sognamo, lo sognamo e basta, invece di conoscerlo.

Se lo conosciamo veramente, quindi penetriamo nella realtà del mondo conoscendolo, allora soltanto siamo in grado di agire corrispondentemente con la stessa intensità con cui lo conosciamo: siamo in grado di incidere sul mondo e viceversa.

Quindi le dimensioni dei due cerchi che costituiscono l’otto, grandi o piccoli che siano, sono sempre uguali.

A.: Vai bene, vai bene. Un inizio, eh! Ti sei accorto: vado bene, però c’è un sacco di cose ancora che… Lei (la tedesca) l’aveva messa al livello dell’intuizione del cuore, se vuoi: no, no, non può essere squilibrato l’uomo! Tu ci hai aggiunto un inizio di ragionamento che è convincente. Però vedi, mentre parlavi… è un inizio, un inizio però. È convincente quello che hai detto, non è facile da capire però.

I. 5: Sì, è vero che posso dire quello che ho pensato, però dai capitoli precedenti ho intuito che ci sono tre sfumature del pensare: Il pensare sui pensati: la percezione; il pensare sui concetti e il pensare sulle azioni.

Io potrei avere uno squilibrio su queste tre parti del pensare. Potrei avere un rispecchiamento apparentemente simmetrico, potrei pensare solamente sui pensati, per esempio.

A.: Se mi riesce poi… lasciamo parlare un altro paio di persone. Cercherò di spiegare che ciò che tu dici non è possibile, non esiste mai. Però dopo, se mi riesce, perché qui entriamo in cose non del tutto facili.

I. 6: Io ho una domanda su questa cosa: ieri ho capito che il motore, diciamo, del movimento polare – bipolare – è dato dal doppio sentimento di paura e brama, sentimenti che sono collegati…

A.: Il motore animico!

I. 6: Il motore animico, sì! La domanda è: è possibile…in realtà non sono 2, sono 4, se vogliamo, nel senso che c’è la paura dalla parte del pensiero, la paura dalla parte dell’azione e altrettanto per la brama.

La domanda è: è possibile che questi sentimenti non siano bilanciati, che io abbia, per esempio, più paura dell’azione anziché del pensiero, o viceversa…

A.: È la stessa domanda! È la stessa domanda posta dal lato dell’esperienza dell’anima, del vissuto animico. E la risposta che io cercherò di dare è che…

LUCIANA: Se gliela fate dare!

A.: No, ci arrivo, dài! Allora qui (sotto) adesso lo chiamo, per evidenziare la paura, lo chiamo l’isolamento e qui (sopra) lo chiamo l’intruppamento. La ricerca della verità è l’intruppamento micidiale: o ti metti in riga, o non ci sei. Di fronte alla verità bisogna capitolare… l’intruppamento non è una parola giusta… meglio: mi affermo e mi adeguo. Va bene? Mi adeguo alla verità. La verità non si adegua a me, io devo adeguarmi alla verità, oppure ne devo pagare i conti.

Allora, se io mi affermo poco la paura dell’isolamento è piccola, e quindi il contraccolpo mi fa andare poco. Nella misura in cui mi isolo di più, la vertigine, la paura di restar solo diventa sempre più forte e il contraccolpo è corrispondentemente forte.

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Si corrispondono sempre, si corrispondono sempre.

Allora, adesso, prima di… c’era qualcun altro che voleva aggiungere elementi?

CARLO: La mia domanda era questa: quando parliamo della sfera del pensare, il pensare creativo ecc., già nella definizione di creativo è insito il concetto di vivente, ma la nostra trafila, abbiamo visto in passato che passa attraverso la condizione eccezionale. Io volevo dire che questo passaggio l’abbiamo apparentemente saltato.

A.: Quale passaggio?

CARLO: Il passaggio attraverso la condizione eccezionale.

A.: Del pensare sul pensare.

CARLO: Esatto, per raggiungere la dimensione del pensare… qui non salta fuori in nessun modo. Ritornando un attimo alla prima parte della Filosofia della Libertà.

A.: Sta attento, per quanto mi riguarda non c’è il passaggio per questa posizione di eccezione: io non ne sono mai uscito! Altro che passarci! Per quanto mi riguarda! Per quanto mi riguarda anche questa mattina, ma anche ieri e l’altro ieri, io ho fatto soltanto osservazioni del pensare, percezione del pensare; pensare sul pensare. Io altro non faccio mai!

CARLO: Ecco appunto, non era più saltato fuori!

A.: Quando io ti descrivo il modo di camminare di questo bambino di 8 anni melanconico…

CARLO: Stai osservando…

A.: No, sto pensando sul pensare.

CARLO: Sì, pensare sul pensare.

A.: Eh, vedi! Sto osservando il pensare, sto percependo il pensare, creando concetti su concetti; quindi questa nota metodologica ci porterebbe via adesso. Quanto l’uno o l’altro pensare resti dentro o salti fuori, o ci sia dentro per eccezione, sono affari del tutto individuali. È inutile che tu voglia comandarci di starci dentro.

CARLO: Infatti era una perplessità mia.

A.: No, puoi parlare solo di te, questo voglio dire!

CARLO: Eh, sì, certo!

A.: Allora, prima di arrivare a suon di concetti prendiamo una rappresentazione che ci aiuta, e la rappresentazione, l’esempio, la metafora, la usa anche il testo: è quella del pendolo. (Disegna) Qui ho il pendolo, una palla se volete… torna indietro… il pendolo si muove, ci son tutte le posizioni; è in movimento. O è fermo, o è in movimento. Prendiamo un pendolo in movimento; e la domanda che lui poneva – qui l’uomo è un pendolo in movimento – lui chiedeva: è possibile che l’oscillazione in una direzione sia più o meno ampia dell’oscillazione opposta?

Nel caso del pendolo, lo sappiamo, non è possibile: tanto va di qua (A), tanto va di là (A’).

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Adesso io vi chiedo: perché non è possibile che siano diverse?

Perché non sono due!

Potrebbero essere diverse soltanto se sono due, e se fossero due sarebbero diverse, se no non sarebbero due.

È un movimento solo! Nel momento in cui io questo movimento lo divido in due parti distruggo il movimento, perché faccio come se qui (al centro C) potesse fermarsi. Se qui si fermasse può decidere di andare solo fin qua (punto P), ma solo spezzando il movimento e farne due!

Allora qui (al centro C) c’è la decisione di fermarmi, ci vuole la decisione di fermarmi, e poi ci vuole la decisione di andare solo fin qui (punto P). E questa è una pensata fuori dal reale!

Quindi è un movimento come quello di Zenone di Elea, che ha dimostrato che non c’è movimento! Ve lo ricordate? Achille e la tartaruga: alla tartaruga diamo un metro di vantaggio, siccome cammina piano piano, Achille piè veloce parte un metro più indietro; e Achille, nonostante i suoi piedi veloci, prima di percorrere questo metro deve percorrere mezzo metro, e, prima di percorrere mezzo metro, deve percorrere 25 cm; prima di percorrere 25 cm, deve percorrere la metà di 25 cm. Quanti spazi deve percorrere Achille per raggiungere la tartaruga – non parliamo poi di sorpassarla – ? Infiniti spazi! Non può percorrere infiniti spazi in un tempo infinito, e ancora oggi Achille sta dietro la tartaruga.

Noi guardiamo e Achille, in men che non si dica, ha superato la tartaruga!

Allora il pensiero, la grossa trappola del pensiero è l’astrazione: astrae dalla realtà. E il pensiero astrae dalla realtà quando astrae dalla realtà del fatto che il movimento è un’unità, e nel momento in cui tu lo dividi, anche soltanto in due, hai distrutto la realtà del movimento, non parli più di nulla perché il movimento non c’è più: l’hai distrutto!

Adesso spiegami riguardo l’uomo: il pensare, siccome prima, per non prendere le cose troppo difficili, impegnative, vi ho messo qui l’agire, ma adesso dovendo spiegare questa faccenda qui, non serve l’agire, perché la maggior parte delle persone non agisce proprio! Fa, si muove, ma non agisce.

Allora ci metto il volere: il pensare e il volere. Un agire, un fare, un muoversi, che non ha alla spalle il volere, è un fatto di natura, non umano: agisce la natura nell’uomo.

Il volere, e il volere è un pensare.

Quindi nel volere non posso essere un migliore o peggior pensatore che non nel conoscere – ecco, qui (sopra) va cambiato “pensare†con “conoscere†–.

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Il conoscere e il volere. Tutt’e due sono un’attività di pensiero. Il pensare produce il conoscere e produce il volere. D’accordo?

Il pensare produce un concetto conoscitivo e produce una volizione, un concetto di un’azione che vuol compiere.

Ora, se è il pensare, lo stesso pensare, a produrre il conoscere – i concetti conoscitivi e le idee morali, il voluto, le intenzioni morali – una persona non può avere un pensare più penetrante, migliore o peggiore in un campo, piuttosto che in un altro. Lo stadio evolutivo del suo pensiero è uguale di sopra e di sotto.

Quindi una persona che non sa pensare nulla, non sa volere nulla! Si muove come un automa. Forze di natura ce ne sono nell’uomo! A iosa!

Quindi quando io dicevo che quello che ci rende irrealizzati, non realizzati, quindi ci manca qualcosa, non è il fatto che qui è atrofizzato e qui è ipertrofizzato, no!, è il fatto che i due cerchi dell’otto son sempre uguali in ogni essere umano.

Allora io dico: io avrei la capacità reale, non dico di essere già quasi ai livelli del Logos – quello abbraccia tutto sopra e tutto sotto, pensa tutto e vuole tutto – ci vorrà ancora un pochino di tempo per arrivarci, però io, tu, mi viene detto che tu fai questo movimentino qui, invece avresti la capacità, se ti dài una mossa, di far così, e poi così, e poi così. Questo è il discorso, si capisce?

E man mano che allarghi sopra e sotto ti viene ancora di più, e poi ancora di più, e poi ancora di più!

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Che altalena è se l’oscillazione è piccola! Il bambino non si diverte più di tanto! Invece se lo si lancia più in alto adesso sì che gli viene la paura! E con la paura c’è più godimento, no? La paura, ne abbiamo parlato, la paura fa tornare indietro. Però la paura non sorge se si fa un movimentino.

PUBBLICO: Il dondolare fa addormentare!

A.: Esatto! Quindi noi, la maggior parte delle persone conosce soltanto il pendolare, il dondolare che fa addormentare. Altro che brame e paure!

Perché se io, il mio io lo vivo soltanto un “pendolinoâ€â€¦ non mi viene voglia più di tanto, ma se metto lì un io che fa paura a tutti quanti, mi viene la brama, quando mi manca, e la paura quando ce l’ho. Allora sì che c’è movimento! Allora c’è poderosità nell’essere!

Mi son fatto capire un pochino?

Buon appetito e ci vediamo la prossima volta!

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