Prima conferenza
La redenzione
come evento oggettivo
Dornach, 4 ottobre 1921
Cari amici,
è del tutto naturale che emergano difficoltà di comprensione laddove sono riunite persone che prendono le mosse dalle più svariate posizioni. È soprattutto sui punti essenziali che sorgono tali difficoltà.
Posso cercare di superarle a poco a poco solo introducendo in maniera graduale le cose, poiché a lungo andare la consueta procedura di domande e risposte non funziona con questi argomenti. Per questo – anche in considerazione delle domande che mi sono state poste – mi sembra necessario proseguire il tipo di osservazione usato con voi ieri pomeriggio e che a questo punto richiede che ci occupiamo un po’ dell’opera redentrice in quanto tale.
Questa è anche una delle domande, postami nei seguenti termini: “Qual è la differenza fra l’idea luterana di redenzione e quella che risulta dall’osservazione scientifico-spirituale?”
Non è possibile porre e neppure dare una risposta in maniera troppo semplice a questa questione, ma occorre descriverla a partire dalle sue basi. È necessario rendersi conto che proprio nel modo di intendere la redenzione c’è una sostanziale differenza fra la Chiesa cattolica e quella evangelico-protestante, ma che oltre a queste due grandi categorie vanno prese in considerazione anche altre sfumature nella concezione di questa realtà.
Per questo devo occuparmi dell’opera redentrice in quanto tale, e dapprima vedremo le sfumature nel modo di intenderla del cattolicesimo e della Chiesa protestante.
In primo luogo vediamo l’opera redentrice che si presenta a noi nella realtà del mistero del Golgota. Questa realtà, intesa e presentata come fatto storico oggettivo, dev’essere l’oggetto della domanda sul significato per l’uomo di questa “opera redentrice”: in che misura l’evento del Golgota è un’opera di redenzione per l’uomo? Da che cosa redime? E così via.
Ma per la coscienza del giorno d’oggi si può rispondere a questa domanda solo prendendo in considerazione anche il fattore soggettivo, vale a dire il modo in cui l’opera redentrice viene vissuta dal singolo cristiano.
Coloro che hanno un atteggiamento alquanto superficiale nei confronti della vita scientifico-spirituale e che confondono gran parte dei contenuti della scienza dello spirito con le varie opinioni teosofiche del presente, esprimono con molta facilità, per non dire con leggerezza, l’idea opposta affermando: “La dottrina cristiana della redenzione è la redenzione per mezzo del Cristo Gesù, quindi è da ricercare solo nel rapporto fra l’uomo e il Cristo Gesù, mentre la dottrina scientifico-spirituale della redenzione presuppone ‘un’autoredenzione’, in base alla quale l’uomo, nella successione delle vite terrene, arriva a compiere azioni collegate al suo ‘karma’ individuale, passando da un’esistenza piena di peccati ad una priva di peccati.”
Redenzione o autoredenzione – questo è l’aut aut, l’alternativa obbligata, che emerge. E si crede di poter definire non cristiana la scienza dello spirito solo per il fatto di pensare che essa parli di un’autoredenzione dell’uomo.
Le cose tuttavia non stanno così e per la scienza dello spirito questo genere di aut aut non esiste.
Se osserviamo l’opera redentrice avvenuta sul Golgota, il mistero del Golgota, in un primo momento la vediamo manifestarsi all’attuale coscienza dell’umanità in due aspetti opposti. Dapprima la vediamo nella Chiesa cattolica, in una concezione ben definita. E per potere poi passare alla dottrina luterana della redenzione, non la vogliamo mettere in opposizione all’altra, perché in tal modo ci offuscheremmo le idee. La dottrina luterana della redenzione non è del tutto opposta a quella della Chiesa cattolica.
Invece la dottrina della comunione del tutto soggettiva con il Cristo Gesù nella “unio mystica”, o come la si vuole chiamare, costituisce il polo opposto alla prassi cattolica, perlomeno laddove, se si vuol essere coerenti, tutto ciò che viene messo in relazione con la redenzione costituisce un’esperienza umana soggettiva. Si può apporre al Cristo qualsiasi concetto o metafisica, ma ciò che veramente conta nell’opera redentrice è quello che l’uomo può compiere nella propria interiorità per giungere alla redenzione facendo l’esperienza soggettiva del Cristo.
Questi sono i due poli opposti, per il motivo che in realtà la Chiesa cattolica, se vuole essere coerente, e sotto molti aspetti lo è, deve considerare l’evento del Golgota, la redenzione avvenuta sul Golgota – di questo concetto ci occuperemo ancora in seguito – come qualcosa di compiuto per mezzo del Cristo Gesù stesso e l’opera redentrice come qualcosa che si ripete continuamente in una discendenza ininterrotta.
Così che allora da un lato rivolgiamo lo sguardo dapprima a quanto è accaduto sul Golgota, ma poi vediamo celebrare da ogni sacerdote l’eucaristia nella quale il sacrificio compiuto sul Golgota si ripete realmente in qualunque momento. Dunque quello che secondo questa concezione si verifica durante ogni sacrificio eucaristico è assolutamente la ripetizione di quanto è avvenuto sul Golgota – in discendenza diretta dall’evento del Golgota. E l’ordinazione sacerdotale, ovvero tutto quello che attraverso l’ordinazione sacerdotale ha attraversato le varie epoche, è in un certo senso il sangue spirituale che, come quello del primo avo, riproduce in ogni messa ciò che si è compiuto sul Golgota.
Il mistero dell’eucaristia – poiché di mistero si tratta – non consiste solo nel fatto che un qualcosa di sovrasensibile si attui in forme sensibili, ma secondo la Chiesa cattolica consiste essenzialmente nel fatto che ciò che è avvenuto sul Golgota continua a compiersi in modo mistico o forse addirittura magico, così che in ogni sacrificio eucaristico è effettivamente presente la vita reale, la morte reale del Cristo. È in questo che consiste il mistero originario con cui abbiamo a che fare nella messa. Non è necessario credere solo a quello che ci dice la dogmatica cattolica, ma è lecito dirigere il nostro sguardo verso qualcos’altro.
Miei cari amici! Se prendiamo in considerazione quello che davvero conta – prendete i molti personaggi, anche intelligenti, che aumentano di giorno in giorno –, di una cosa possiamo star certi: se al momento giusto non accadrà qualcosa di reale, si vedrà sempre più che proprio quello che per certi versi tende ad annullare i valori della Chiesa evangelico-protestante per il momento ancora validi, come è stato eccellentemente descritto ieri sera, proprio oggi viene avvertito da molte persone un po’ più profonde. E questo le fa tornare nel grembo della Chiesa cattolica. Se vi prestiamo attenzione, vediamo che è questo di cui oggi facciamo spesso l’esperienza. E se non accadrà niente di reale, lo vivremo, come già detto, con una fortissima intensità.
Cari amici, il discutere su questi argomenti è qualcosa che nel futuro prossimo potrebbe costare molto caro alle persone – il voler continuamente discutere senza riflettere sul fatto che in queste discussioni è proprio la maggioranza sotto forma degli individui più intelligenti a scomparire. Per evidenziarne un esempio ci basta considerare un personaggio come Friedrich Schlegel, il romantico tedesco, che ha fatto ritorno alla Chiesa cattolica.
Per comprendere i motivi che hanno riportato alla Chiesa cattolica un personaggio come Friedrich Schlegel, dobbiamo avere una visione complessiva della sua personalità. Fondamentalmente quello che ha ricondotto un tale personaggio in seno alla Chiesa cattolica è stato il mistero del sacrificio eucaristico – perlomeno, in base a quanto so di lui, non ho mai potuto formarmi un’opinione diversa da questa, che si tratti cioè del mistero dell’eucaristia. Ad un certo punto della sua vita è arrivato a dirsi: “Tutto quello che mi è stato dato a livello teorico finché ho fatto parte della comunità evangelico-protestante è in effetti solo una cornice esteriore, qualcosa che non mi inserisce in nessuna realtà. Nell’istante in cui ho compreso come nel sacrificio eucaristico si compie realmente un mistero attraverso il quale il mistero del Golgota può essere presente ogni momento in tutta la sua realtà, ho capito come potevo inserirmi a livello religioso in una realtà.” Questa è più o meno la sensazione che possiamo immaginare riguardo alla “conversione” di Friedrich Schlegel al cattolicesimo.
Abbiamo quindi a che fare col fatto che la via che conduce dal mistero del Golgota ai singoli fedeli viene tracciata dal sacerdote consacrato, che mediante il sacramento trasmette ai singoli credenti ciò che si è verificato sul Golgota. Il processo in quanto tale si svolge quindi al di fuori della soggettività. E allora all’interno del cattolicesimo dobbiamo passare ad un campo del tutto nuovo se vogliamo trovare il complemento soggettivo a quel che si compie come qualcosa di completamente oggettivo, come qualcosa che avviene nel mondo esteriore.
Nella Chiesa cattolica si tratta del fatto che mediante la sua esistenza si è creato un processo reale che si manifesta nel tempo e che, grazie alla continuità dell’istituzione ecclesiastica, collega il singolo cattolico, in qualunque epoca si trovi a vivere, con il mistero del Golgota. In un primo piano abbiamo il vero e proprio evento, che dobbiamo vedere in ciò che si è verificato nell’esistenza terrena dal mistero del Golgota fino all’istante in cui qualcuno riceve il sacramento. Quindi nel sacramento dobbiamo vedere qualcosa di essenziale, qualcosa di cui il governo divino del mondo ha bisogno per condurre alla meta l’evoluzione della Terra.
Questo va tenuto rigorosamente separato da tutto il resto che avviene nella Chiesa cattolica. Il resto è insegnamento, le altre cose permesse all’interno della Chiesa cattolica devono formare il singolo individuo, portarlo ad una comprensione intima di quanto gli succede in qualità di cattolico. Deve quindi essere guidato a lasciarsi coinvolgere da ciò che gli succede a livello oggettivo.
So molto bene che dette così le cose possono sembrare alquanto radicali, ma è assolutamente necessario non esprimerle come vogliono quelli che credono di dover giustificare il cattolicesimo agli occhi del mondo, bensì come le esprimono le vere autorità ecclesiastiche.
Ciò che conta è quindi che nella santificazione di ogni opera il singolo venga portato alla comprensione attiva di ciò che la grazia del sacramento connesso al mistero del Golgota produce su di lui, nell’epoca e nel luogo in cui vive. Allora il fatto che il singolo riceva indegnamente il sacramento può essere considerato tutt’al più un suo peccato, un peccato commesso da lui, che però non può impedire il processo oggettivo dell’evento.
In base alla visione cattolica quindi posso ricevere un sacramento indegnamente macchiandomi così di un grave peccato, ma non posso impedire la realizzazione oggettiva dell’evento. Come sacerdote cattolico posso macchiarmi di un grave peccato se celebro il sacramento indegnamente, ma non posso affatto impedire l’operare del sacramento.
Il fatto da me citato che in singoli casi quello che secondo me dev’essere presente come segno di un avvenimento oggettivo – l’aura intorno all’ostia, visibile dopo la transustanziazione –, lo si può interpretare in modo che chi oggi apprende queste cose mediante la visione sovrasensibile, proprio attraverso questi fenomeni e queste osservazioni può rendersi conto che le cose non stanno così come se le immagina la Chiesa cattolica. Ma per prima cosa vogliamo farci un’idea precisa di come se le immagina la Chiesa cattolica.
E la Chiesa cattolica considererebbe un peccato grave, un’opera del demonio, quello che ho appena detto, cioè di osservare se quello che pensa la Chiesa cattolica è vero. Cattolico è solo il dirsi: uno che si mette a guardare se con un sacerdote l’ostia assume un’aura e con un altro no è posseduto dal demonio, che gli vuole suggerire un’idea sbagliata a proposito di quanto esiste a buon diritto nel cattolicesimo. Quindi per la Chiesa cattolica quanto ho appena affermato non è nient’altro che un inganno messo in atto dal nemico del Cristo Gesù. Questa è l’interpretazione che ne deve dare la Chiesa cattolica, e non può darne un’altra se non vuole giustificare qualcosa davanti al mondo, se è coerente con la propria idea.
Le opinioni ammesse in proposito sono formulate in maniera molto rigida. La Chiesa cattolica l’ha reso possibile inglobando nel proprio mondo concettuale il romanismo, che è in grado di farlo, che permette di trovare dei contorni concettuali molto netti proprio per queste cose.
E in effetti questi argomenti risultano ancor meglio delineati se espressi in una lingua neolatina. Se li si esprime in una lingua romanza, per esempio in latino, questi contorni concettuali emergono con straordinaria nitidezza – cosa che avviene anche nelle lingue romanze del giorno d’oggi, solo che nel francese odierno il concetto si dissolve e fluisce nel semplice involucro delle parole. Ma anche questo involucro può rappresentare qualcosa di nettamente delimitato, al punto che ci si può dire: lì le definizioni precise sono assolutamente possibili. E negli ambiti in cui i sacerdoti sono istruiti con concezioni giuste vengono educati all’uso di definizioni molto rigorose dei concetti, al punto che questo desiderio di rigorosità si estende poi alla vita intera.
Io stesso ho visto quali difficoltà si creano certi sacerdoti cattolici che celebrano quotidianamente il sacrificio eucaristico per capirne l’essenza. Di solito per scoprire come la sostanza materiale del pane e del vino possa essere trasformata nel vero corpo e nel vero sangue del Cristo Gesù prendono le mosse da un’accurata definizione concettuale aristotelica. Ma naturalmente nessun sacerdote di provata formazione cattolica può nutrire il benché minimo dubbio in proposito. Può continuamente tendere a concetti che glielo spieghino, gli è concesso di effettuare tali ricerche, l’importante è che non dubiti del contenuto del dogma.
Per il cattolico i punti di approdo della scienza sono qualcosa di assolutamente precostituito, ma nello spazio compreso fra le capacità umane e l’obiettivo fisso gode di piena libertà. Per questo la scienza cattolica si appella costantemente alla propria libertà e da certi punti di vista riconosce che i fini fissi non sono in contraddizione con la libertà della scienza, poiché essa esiste comunque. Su questo punto si ritorna in continuazione.
Per esempio è assolutamente chiaro che se in una provetta abbiamo dell’idrogeno e in un’altra dell’ossigeno, attraverso un determinato processo questi due elementi si uniranno formando l’acqua. E il nostro compito consiste soltanto nel pervadere con i nostri concetti questo dato di fatto immutabile. Lo stesso avviene con le verità della rivelazione: anch’esse esistono e devono essere pervase dai concetti. Secondo gli studiosi cattolici la scienza non è più libera in ambito naturalistico di quanto non lo sia in quello della rivelazione – nel primo caso è la natura a stabilire la finalità, nel secondo il contenuto della rivelazione.
E se si aggiunge il fatto che il cattolico credente ha con la rivelazione lo stesso rapporto che ha con la natura, che in fin dei conti per lui è indifferente che le cose gli vengano date mediante una vera e propria rivelazione – come per esempio il mistero del Golgota e altre analoghe – o semplicemente dalla natura, allora vediamo che per lui questi due tipi di rivelazione sono del tutto equivalenti. E la scienza è completamente libera sia per l’una che per l’altra: se la si definisce libera in un caso la si deve definire libera anche nell’altro.
Bisogna rendersi conto che la differenza si trova ad un livello molto più profondo di quello su cui oggi si discute da più parti per facilitare la discussione. Occorre continuare a sottolineare che le cose non sono così assurde come si crede spesso in ambito materialista, dove si pensava di liquidarle discutendone con grande presunzione.
Se per esempio ci si accosta senza pregiudizi alle argomentazioni di David Friedrich Strauß, illustrate benissimo da Nietzsche anche in riferimento ad altre cose nel suo libretto David Strauss: l’uomo di fede e lo scrittore, e se si esamina anche ciò che si manifesta dall’altra parte nella Chiesa cattolica con tutte le sue buone vecchie tradizioni, allora bisogna ammettere che quanto si palesa in David Friedrich Strauß è decisamente al di sotto del livello sul quale si svolge la discussione cattolica. Queste cose hanno senso solo se se ne parla in un determinato contesto.
Ovviamente a quello che da un lato devo descrivere come l’effettivo cattolicesimo si oppone quella che con un termine molto usato viene chiamata “mistica”, quella mistica che riconduce tutto ad un’esperienza puramente interiore, che considera come tale anche la comunione con il Cristo.
Lì infatti si ha a che fare con il singolo individuo che può vivere questa “unio mystica” grazie alla sua indole particolare, di modo che quanto si verifica in parallelo nel sacramento, che dal punto di vista cattolico è il fattore principale, si riduce in fondo ad un’opera esteriore, al punto che per molti mistici il fatto realmente verificatosi sul Golgota finisce per svanire del tutto. Scompare ogni relazione con questo fatto oggettivo e tutto ciò a cui si mira viene ridotto ad un processo soggettivo.
È quindi possibile fare l’esperienza soggettiva del Cristo compiendo gli sforzi necessari o avendone la predisposizione o in presenza di altri presupposti, e spesso non ci si accorge affatto che in questo modo ci si allontana a livello intellettuale e sensibile dal mondo per concentrarsi sul soggetto e che con questa mistica soggettiva si finisce per perdere del tutto il Cristo oggettivo.
Ma proprio ai tempi di Lutero, e precisamente nel campo decisivo della prassi religiosa, era presente un forte anelito a questo tipo di mistica. Si può infatti dire che una cospicua parte della battaglia intrapresa da Lutero consiste semplicemente nel suo dover tener conto da un lato di ciò che gli era stato dato come punto di partenza nel sacerdozio cattolico e dall’altro di ciò che aveva notato soprattutto nel suo studio della Theologia deutsch o in altri tentativi mistici – assai diffusi agli albori dell’epoca luterana –, vale a dire all’esperienza puramente soggettiva che per lui comportava il rischio di perdere del tutto il Cristo e di cadere preda dell’opera diabolica, che è la propria esperienza soggettiva.
Lutero infatti non poteva vedere che come opera del demonio l’esperienza puramente soggettiva che perde completamente il Cristo. In questo rischio ravvisava direttamente un’istigazione da parte del demonio che, proponendo all’uomo l’immagine del Cristo a livello interiore, mira a privarlo del Cristo reale. In effetti Lutero deve aver sentito che per sottrarre il Cristo all’umanità il maligno non avrebbe potuto escogitare un sistema migliore di quello di indurre l’umanità intera a riportare tutto a un’esperienza cristica puramente soggettiva.
Naturalmente è del tutto possibile eliminare dal mondo il Cristo oggettivo, convincere le persone della necessità dell’esperienza assolutamente pura col dire loro: è sufficiente fare l’esperienza interiore del Cristo. Per Lutero, questa esperienza del Cristo lo priverebbe di ogni oggettività, togliendogli la totalità del processo oggettivo. Per lui una cosa simile sarebbe equivalsa ad una sottrazione del Cristo al genere umano effettuata dal suo grande avversario.
Miei cari amici, proprio questo è appunto uno stratagemma degli “spiriti maligni” – se mi si consente l’espressione religiosa – allo scopo di allontanarci dal mondo sovrasensibile: far sì per esempio che ci accontentiamo delle “immagini” interiori del mondo sovrasensibile. Colui che si trova sul terreno della vera scienza dello spirito sa che le visioni tinte di materialismo non costituiscono un legame con il mondo spirituale bensì un allontanamento, un estraniamento da questo mondo.
Allora, se per esempio lo scienziato che osserva le cose in maniera imparziale viene a trovarsi in una situazione visionaria atavica o patologica, il suo compito non è di soffermarsi in quella situazione, ma di combatterla con tutte le sue forze, poiché queste visioni non ci conducono al mondo sovrasensibile ma ce ne allontanano. Ed è solo un concentrato di questa esperienza visionaria che emerge nella falsa mistica che vuole giungere al Cristo puramente attraverso l’esperienza interiore. È solo un concentrato poiché in linea di massima le persone non sono in grado di arrivare a visioni immaginative autentiche. Per questo si creano dei contenuti immaginari che spingono l’uomo a richiudersi completamente in se stesso.
Al polo opposto c’è quello che può essere ritenuto il rapporto dell’uomo con il Cristo in senso protestante. Ed è così che dapprima viene meno la percezione della realtà dell’opera esteriore, l’occhio rivolto alla Chiesa storico-temporale, temporale in senso fisico, e che al suo posto viene messa non una non-chiesa, ma la chiesa invisibile.
▪ Nel cattolicesimo abbiamo la Chiesa visibile, che altro non è se non l’opera del Cristo, nella quale possiamo vedere una corrente del tutto inserita nel mondo esteriore dei fatti reali, dall’evento del Golgota fino al singolo fedele.
▪ Dall’altra parte abbiamo nel protestantesimo l’allontanamento da questa corrente ininterrotta, per così dire la riduzione di un processo temporale a mero processo sovratemporale.
Così che nel credente protestante questo collegamento è diretto, mentre in quello cattolico, per esempio quando riceve la comunione dal sacerdote, si arriva ad un collegamento con il mistero del Golgota passando attraverso tutta l’evoluzione temporale.
Se vuol essere rigoroso, chi fa la comunione secondo il rito cattolico apostolico romano – o comunque prende parte al rituale cattolico – può immaginarsi di ricevere la comunione direttamente dal Cristo attraverso il sacerdote. Dev’essere cosciente della presenza diretta e immediata del Cristo nell’eucaristia, e precisamente grazie alla mediazione temporale della Chiesa che al proprio interno non ha mai interrotto la continuità.
Al contrario, nella comunione secondo il rito luterano il collegamento dell’uomo con il sovrasensibile, anche col Cristo stesso, può essere visto solo come un atto sovratemporale e non temporale, per cui il singolo viene messo in relazione con il Cristo direttamente – senza la mediazione del tempo, bensì immediatamente – e questo rapporto viene attuato per mezzo della fede. Colui con cui il comunicante sa di essere in relazione attraverso un atto sovratemporale nella coscienza soggettiva è identico a Colui che ha attraversato il mistero del Golgota.
Non esiste un’altra interpretazione coerente della questione, ma si tratta di questo: una persona riceve la comunione presso l’altare e viene così messa in collegamento diretto con il sovrasensibile, in quell’istante è la grazia che agisce. In quell’istante, con la sua azione, la grazia suscita la fede. La fede tuttavia non è semplicemente un astratto e soggettivo credere a qualcosa, ma è una realtà. E per mezzo di questa fede il comunicando incontra il Cristo reale che ha attraversato il mistero del Golgota. Per via dell’azione particolare della grazia nell’immediata presenza del Cristo gli viene donata la fede che nella comunione gli consente di entrare in relazione nel modo giusto con il mondo spirituale.
Certo, anche queste cose vengono “interpretate” nelle maniere più diverse e potete oggi leggere le più svariate interpretazioni in proposito. Devo ammettere di aver letto molte di queste interpretazioni: mi sembra che la maggior parte di quelle pubblicate oggigiorno ed espresse da esponenti della coscienza dell’epoca odierna evitino di giungere ad un’idea completamente chiara e compiuta, per cui se si è abituati a procurarsi delle idee chiare e definitive in queste cose non si sa proprio che farsene di simili interpretazioni.
L’unica possibilità consiste nel prendere quella che in Lutero si presenta come “fede” non come un ritenere vero a livello semplicemente soggettivo, come siamo abituati a fare nella scienza del giorno d’oggi, ma in Lutero il dono della grazia fa sì che nell’atto di fede sia necessariamente presente la forza del Cristo.
E con questo, cari amici, abbiamo indicato la grande differenza che esiste fra la mistica che vi ho descritto poc’anzi e quella che nella confessione luterana è la presenza nell’atto di fede, nella coscienza e nell’anima dell’uomo.
Il mistico deve tendere sempre più a considerare l’intera faccenda come qualcosa di puramente soggettivo, come un rapporto esclusivamente personale con il Cristo, la cui oggettività gli svanisce.
Il credente luterano deve dirsi: se ho la fede giusta, allora devo essere nello stesso tempo un eletto, devo essere predestinato al fatto che nella mia fede vivono non solo le forze della mia personalità, ma anche la forza del Cristo stesso. Questa non mi viene data da qualcosa di interiore, ma mi giunge dall’esterno, e mai attraverso un processo che si svolga esteriormente così che io lo possa osservare anche dal di fuori o pensare come una connessione temporale, ma attraverso un processo sovratemporale che in quanto tale non potrà mai entrare nel flusso del divenire storico, dell’evoluzione storica.
Quindi ciò che si manifesta come atto sovratemporale nell’atto di fede non può collocarsi all’interno del flusso del divenire storico-temporale. In questo senso allora una qualsiasi chiesa visibile non potrebbe costituire una vera guida a ciò che è accaduto attraverso il mistero del Golgota. Un protestante ortodosso può solo affermare che nell’atto di fede si compie un atto sovratemporale. Ma se oltre a questo c’è anche la Chiesa che conduce in modo temporale al mistero del Golgota, allora quest’atto esclusivamente temporale, questa continuità all’interno della Chiesa altro non è che un’istituzione collegata al sovratemporale solo in quanto sua portatrice.
Riflettete sulle conseguenze di quanto esposto:
▪ Se, in base alla concezione cattolica, si vede l’elemento essenziale nella mediazione temporale della Chiesa, allora la continuità non deve mai interrompersi, la “successione apostolica” non può cessare, solo chi è stato ordinato sacerdote può a sua volta ordinare un altro sacerdote, può quindi essere sacerdote solo colui che è stato ordinato da un altro sacerdote. Ci troviamo allora di fronte alla necessità di mantenere in vita la continuità della Chiesa, poiché l’atto temporale è nel contempo l’atto sovrasensibile che non può mai essere interrotto. Questa è la concezione cattolica.
▪ Se invece prendiamo in considerazione la concezione protestante, vediamo che lì l’elemento essenziale è un atto sovratemporale, di cui ciò che nella Chiesa è temporale è solo il portatore. In questo modo allora la “successione” può pure interrompersi. Ogni volta che, attraverso l’atto di grazia sovratemporale, l’elemento sovratemporale si realizza nella singola personalità, si viene congiunti col mistero del Golgota. Si incontra il Cristo, indipendentemente dal tipo di mediazione temporale. Se l’atto sovratemporale si verifica nel modo giusto, è possibile interrompere la continuità storica. Non è affatto necessario che ad un certo punto una qualsiasi successione temporale venga in aiuto all’atto sovratemporale.
Il contrasto fra i modi di vedere è stridente, non lo potete negare. E anche se l’uno o l’altro non percepisce particolarmente questo stato delle cose, è comunque vero che si indietreggia spaventati davanti alle estreme conseguenze. E certe soluzioni si troveranno solo se ci si deciderà a non sgualcire queste cose, a non cancellare la differenza, ma a presentarla all’anima in tutta la sua chiarezza.
Se ora ci occupiamo della questione in senso scientifico-spirituale, da una parte abbiamo la Chiesa cattolica così com’è ancor oggi. Mi sto riferendo alla nostra epoca: quello che dico non potrebbe essere applicato, per esempio, alla Chiesa cattolica del XII secolo. Sto parlando per l’epoca in cui viviamo, poiché abbiamo a che fare direttamente con decisioni che anche a voi incombe attualmente di prendere. E in senso scientifico-spirituale l’evoluzione ci impedisce di applicare ad un’altra epoca quello che diciamo oggi, ma dobbiamo parlare prendendo direttamente le mosse da quelle che sono le necessità del giorno d’oggi.
Allora per la scienza dello spirito c’è da una parte il cattolicesimo, in cui essa non può vedere nient’altro che ciò che porta giù il mondo sovrasensibile nella sfera sensibile, come un rendere terreno quello che non si esaurisce mai del tutto in ciò che è terreno e che, se reso terreno, non può che essere distorto nel suo vero significato. Nel cattolicesimo vediamo quindi da un lato sorgere qualcosa che cala il tutto nell’elemento puramente temporale.
E non possiamo che dirci questo: la coscienza odierna non è ancora progredita al punto che una quantità sufficiente di persone abbia raggiunto la piena chiarezza a proposito di queste cose. Eppure – dato che non c’è contrapposizione assoluta fra l’elemento sovratemporale e quello temporale – le cose stanno semplicemente così: l’elemento sovratemporale può manifestarsi in quello temporale, essere inserito in esso, apparire come qualcosa di temporale e nello stesso tempo rappresentare qualcosa di sovratemporale nella propria realtà. Ed è così che anche nel cattolicesimo da qualche parte si avvera l’evento reale.
La scienza dello spirito non può far suo quel dualismo fra creatore e creatura in base al quale il creatore non potrebbe essere presente in ogni sua singola creatura, e operare nel mondo. Grazie alle sue conoscenze, la scienza dello spirito non può concepire la questione nel senso di scindere il sovrasensibile dal sensibile, ma nel sensibile vede l’operare del sovrasensibile, così che nel sensibile il sovrasensibile possa manifestarsi anche in maniera differenziata.
Ci si può quindi dire ciò che la Chiesa cattolica sostiene essere la propria dottrina: che in singoli rituali l’elemento temporale può esprimere il divino in una differenziazione diretta. Dall’altra parte va detto che non lo si deve mai esprimere nel modo adottato dall’odierna dottrina ecclesiastica, poiché così ci precludiamo la possibilità di introdurre la questione nella coscienza di oggi.
Dobbiamo renderci conto che il considerare la fede come un atto sovratemporale ha la sua profonda giustificazione nel fatto che per l’uomo d’oggi non è solo possibile ma addirittura necessario ottenere un rapporto diretto col divino, un collegamento immediato con il sovrasensibile – appellandosi quindi ad una “chiesa sovrasensibile” – e ricavare dal sovrasensibile quello che poi diventerà il contenuto del culto, del cerimoniale, ma che alla fine diventerà anche il contenuto del patrimonio didattico, così che in un certo senso si potrà dire:
l’uomo può in qualsiasi momento trovare
la via verso il sovrasensibile al di fuori del tempo.
È solo partendo da questa consapevolezza che ho potuto per esempio già nella mia teoria della conoscenza parlare di certe cose che non sarebbero potute scaturire da una coscienza diversa. Vediamo così quanto per “l’atto di fede” sia giustificata l’esigenza di un atto sovrasensibile.
Ed ora prendiamo in considerazione il rapporto con il Cristo Gesù nel mistero del Golgota: con la sua cosmologia la scienza dello spirito riconosce la realtà del mistero del Golgota, l’effettivo far sue dell’entità extraterrena del Cristo delle azioni e delle esperienze di Gesù di Nazareth. Quindi dal lato conoscitivo ciò che proviene dalla cosmologia fluisce in ciò che l’uomo sperimenta dentro di sé grazie all’atto sovratemporale. Quello che proviene dalla cosmologia è allora una piena conferma del fatto che non abbiamo a che fare con qualcosa di puramente soggettivo, ma con un evento che si svolge nell’evoluzione terrestre.
E dal punto di vista scientifico-spirituale giungiamo a doverci dire: se la comunione con il sovratemporale si svolge nel modo giusto, allora grazie all’atto sovratemporale si crea anche la comunione con l’evento storico del Golgota – in maniera sovratemporale. E non è necessario appellarsi alla mediazione temporale in quanto tale, poiché ciò che il mistero del Golgota ha realizzato per la Terra, o più precisamente per i suoi abitanti, è un evento oggettivo per l’evoluzione del nostro pianeta.
La scienza dello spirito ci porta semplicemente a dire: con il mistero del Golgota ha avuto luogo un processo integrante per tutta l’evoluzione terrestre, che dopo questo mistero è diventata qualcosa di diverso da prima. Il Cristo stesso è disceso sulla Terra dalle regioni celesti e dal momento in cui si è verificato il mistero del Golgota prende parte al processo dell’evoluzione terrena, nella quale Egli stesso ha dato origine a un processo sovratemporale che esiste indipendentemente da qualsiasi fondazione temporale di una Chiesa. Per questo motivo ciò che può manifestarsi ad una persona come pura e semplice verità di fede della Chiesa invisibile acquista un contenuto reale grazie alla conoscenza scientifico-spirituale che deve semplicemente presentare come una realtà l’operare del Cristo nell’evoluzione della Terra.
E se questa azione del Cristo all’interno della realtà terrena esiste, cari amici, allora ciò che conta è soltanto la possibilità per l’uomo di trovare il Cristo che opera oggettivamente nel processo terreno. Non c’è bisogno di trovarlo attraverso un’istituzione qualsiasi che può fungere solo da mediatrice, ma lo si può trovare solo in base a ciò che avviene a livello individuale in seguito al lavoro interiore di meditazione. Dal mistero del Golgota in poi, lo si può trovare in ogni momento e in ogni luogo, e una Chiesa può fare solo da intermediario. Essa stessa può, fungendo da Chiesa, santificarsi solo santificando i propri fedeli.
Si può quindi dire che la concezione scientifico-spirituale è semplicemente quella secondo la quale ciò che avviene in ambito religioso dipende dal cammino percorso in direzione del Cristo, ma per cui una dipendenza incondizionata dalla successione nella corrente ecclesiastica costituirebbe una ricaduta nel pensiero precristiano, legittimo per l’umanità di quei tempi, ma che proietta i suoi bagliori nell’evoluzione dell’umanità di oggi dopo la venuta del Cristo solo per via del cattolicesimo.
Miei cari amici! Gli uomini che per esempio in un certo contesto locale dell’antico Oriente venivano avvicinati da un dio – uso l’espressione “un dio” poiché oggi diremmo che questi dei erano di rango inferiore rispetto al Cristo, Dio completamente diverso dagli altri – dovevano considerarlo la fonte reale di tutto il divino che si manifestava nella loro etnia. Con lui si doveva mantenere la continuità nell’ambito della Terra. Questi uomini avevano il compito di creare per questa divinità una veste cerimoniale ininterrotta.
Una volta riusciti ad offrire a questo dio un sacrificio col fuoco sull’altare, ci si era avvicinati a lui, ci si era collegati a lui nell’ambito della realtà sensibile. Allora quel fuoco acceso presso l’altare del sacrificio non doveva più spegnersi, poiché insieme alla fiamma fisica sarebbe svanito pure il dio. Quel fuoco doveva essere mantenuto sempre acceso, c’era sempre una fiamma con cui accenderne un’altra, la fiamma di quel dio doveva durare nel tempo, poiché così si conservava il dio stesso, “acceso” in quella materia.
Ritroviamo questa procedura in forma più spiritualizzata nella continuità dell’ordinazione sacerdotale tipica della Chiesa cattolica, che ha conservato le antiche usanze. La vediamo nella singola chiesa che mantiene accesa la “fiamma ardente”. In ogni chiesa cattolica c’è una fiamma che non può mai estinguersi, una candela che è stata accesa ad un’altra non ancora del tutto consumata. Così oggi nella “lampada eterna” abbiamo la candela alla luce della quale Galileo ha osservato le moderne leggi del pendolo.
Questa fiamma significa che ciò che arde oggi è stato acceso con ciò che ardeva prima, andando a ritroso fino alla prima fiammella. In ogni singola fiamma di ogni singola chiesa andrebbe quindi visto ciò che è stato acceso per la prima volta presso gli apostoli. Si dovrebbe avere anche una “comunione” materiale fra ogni singola fiamma e quello che è stato acceso per la prima volta in seno agli apostoli allo scopo di agire nel mondo.
Vediamo
▪ come da un lato vi sia il cattolicesimo con il suo grande rischio di materializzare tutto, di abbassare tutto al livello degli avvenimenti temporali e materiali, e
▪ dall’altro vi sia il protestantesimo, che corre il rischio dell’atomizzazione, anch’essa da evitare.
E allora dovete porvi questa domanda fondamentale: come si può evitare l’atomizzazione, in cui ogni singolo ha la propria religione e che rende impossibile la creazione di una comunità? A questo tende infatti tutto ciò che dall’altra parte dev’essere inteso come un atto sovratemporale, raggiungibile da ogni singolo individuo. Per questo motivo la Chiesa protestante porta in sé il rischio dell’atomizzazione.
Da un lato la Chiesa cattolica porta in sé il rischio di distruggere completamente l’esistenza del singolo, che vede solo come un membro del processo cristico materializzato; dall’altro la Chiesa protestante, così come si è sviluppata dopo Lutero, corre invece il rischio di spingere verso un individualismo che rende impossibile il costituirsi di una comunità, al punto che la Chiesa si scompone nei propri atomi senza più essere in grado di fornire un’effettiva “cura d’anime”, finendo così per trovarsi di fronte alla propria disgregazione, alla propria inconsistenza. Per come stanno le cose al giorno d’oggi, questa situazione si dovrebbe verificare presto se non verranno fatti dei passi in un’altra direzione.
Abbiamo quindi:
▪ da una parte la materializzazione
▪ e dall’altra la spiritualizzazione.
Entrambe rappresentano un grande pericolo per l’evoluzione della vita religiosa nel mondo civile. E così da un lato c’è la possibilità che si presenti un cattolico che afferma: “La Chiesa è tutto e non va toccata”, mentre dall’altro c’è qualcuno che dichiara: “La Chiesa non è nulla!”
Tutto questo si esprime nelle più svariate sfumature. Per esempio, fra certi protestanti è diffusa la tendenza a cattolicizzare, mentre fra i cattolici c’è sempre la tendenza a protestantizzare – non a protestare, ma a protestantizzare!
Viviamo effettivamente in una situazione caotica, e per chi è alla ricerca di concetti nitidi è estremamente difficile capire qual è la vera conformazione dell’animo di una personalità come quella che ieri si è opposta al Dr. Geyer, che sosteneva che la risurrezione sia semplicemente un fatto storico sulla base di quanto affermato dai testimoni oculari.
Ma proprio qui sta l’enigma: i testimoni “oculari” della risurrezione sono attendibili? Come arriviamo a considerare la risurrezione un fatto storico? Tutta la questione della tradizione viene per comodità messa da parte. Ecco allora che all’interno del protestantesimo troviamo una tendenza a cattolicizzare, proprio come nel cattolicesimo sono presenti tendenze protestantizzanti, soprattutto quando si esprime a livello soggettivo, senza che i pastori d’anime arrivino davvero a lasciare la Chiesa.
Seconda conferenza
La redenzione
come esperienza soggettiva
Dornach, 5 ottobre 1921
Cari amici! Oggi voglio dirvi ancora qualcosa a seguito di quanto accennato ieri e nei giorni scorsi… poiché quello che ho detto ieri rende assolutamente necessario prendere in esame la questione anche dall’altro punto di vista, ragion per cui ci occuperemo oggi dell’esperienza soggettiva della redenzione.
In un certo senso abbiamo illustrato ciò che appartiene all’atto di redenzione al di fuori dell’uomo ed ora dobbiamo parlare un po’ dell’altro aspetto della questione: come si presenta la redenzione in senso luterano, in senso scientifico-spirituale e così via – la redenzione in quanto esperienza soggettiva.
Ovviamente, cari amici, la prima domanda che sorge è: ma da cosa dobbiamo essere redenti? Che cosa c’è nell’uomo che necessita di redenzione?
Devo ammettere che è proprio nell’ambito della cristianità che ho trovato le idee più inesatte su questa domanda, per il fatto che al giorno d’oggi non piace occuparsi a fondo delle cose e formulare con serietà le domande.
Voi naturalmente sapete, come risulta anche da quanto vi ho detto ieri, che in un primo momento l’opera della redenzione si trova al di fuori dell’andamento della consueta evoluzione mondiale esteriore. Dunque anche il rapporto che l’uomo stabilisce con l’atto di redenzione dev’essere qualcosa che lo fa uscire dalla propria soggettività.
Già nel concetto del “peccato originale” si accenna a qualcosa che fa uscire l’uomo dalla propria soggettività, poiché sostanzialmente si tratta della redenzione dal peccato originale. A questo punto nasce naturalmente l’importante domanda: che cos’è il peccato originale?
Ora vediamo che molte concezioni del peccato originale contengono una vera e propria bestemmia. Se infatti si è convinti che tutto quello che vive e agisce nel creato debba la propria origine al creatore divino, allora la presenza di un peccato che viene per così dire iniettato nell’andamento del mondo è da attribuire anch’esso a Dio.
E una simile attribuzione del peccato a Dio non è altro che una bestemmia. Non c’è alcuna possibilità di affermare da una parte il peccato originale e di parlare dall’altra di un dio che, in quanto creatore unitario, è l’origine di tutto ciò che esiste. Se vogliamo formarci un concetto che non implichi una bestemmia nei confronti di Dio, dobbiamo attenerci al Dio in tre Persone.
La triplice personalità di Dio non comporta affatto un passaggio dal monoteismo al politeismo ma, se correttamente intesa, è assolutamente compatibile con una concezione monoteistica del mondo. L’unica cosa da chiedersi è: quale forza accessibile a noi esseri umani a livello soggettivo ci consente di percepire la divinità?
Si può dire che nei misteri, cristiani e non, per quanto riguarda l’accostarsi a Dio non è mai stata concepita un’idea diversa da quella secondo la quale Dio vive nell’amore. È l’affermazione
Dio vive nell’amore
che va capita chiaramente da parte dell’uomo, nel senso che vi ho illustrato stamattina.
Questa frase può essere capita solo se ci si chiede: quali altre vie ci potrebbero essere per raggiungere Dio, se non quella, se mi è consentita l’espressione, lastricata d’amore? Quali altre vie potrebbero esserci per arrivare a Dio o quali altre immagini potremmo farci se non quella dell’amore per vedere Dio?
Esistono altre due possibilità oltre a quella dell’amore per accostarsi a Dio mediante un’esperienza interiore: la via della sapienza e quella del potere. Se ne potrebbero quindi ricavare queste tre affermazioni:
▪ Dio vive nella sapienza;
▪ Dio vive nell’amore;
▪ Dio vive nel potere.
Da certi retroterra religiosi decisamente privi di chiarezza in questo campo è risultata l’eliminazione di tutte le differenziazioni, con la conseguente adorazione o venerazione di Dio come onnipotente, onniamante e onnisciente a un tempo.
L’affermazione “Dio è raggiungibile tramite la sapienza” rende impossibile l’acquisizione di un giusto rapporto con Dio da parte dell’uomo e dell’umanità nella nostra epoca successiva al mistero del Golgota. Una delle frasi più profonde espresse nel Vangelo è per l’appunto: Non si può arrivare a Dio tramite la sapienza.
Naturalmente Dio vive anche nell’elemento della sapienza, ma oggi non può rivelarsi al genere umano in modo da essere trovato solo tramite essa. Se infatti ci immaginiamo il Dio sapiente e attribuiamo a questa rappresentazione un valore reale e concreto, allora questa sapienza di Dio che opera nel mondo dobbiamo immaginarla infinitamente superiore a quella umana.
E vediamo subito che sulla via della sapienza non ci sono ponti per raggiungere Dio. Se vogliamo cercare Dio sulla via della sapienza ci manca il ponte, poiché la sapienza di Dio deve oscurare del tutto quella umana e noi non saremo mai in grado di comprendere l’essenza e l’operare di Dio se vorremo attraversare il ponte con la sapienza umana.
Miei cari amici, quando vogliamo cercare Dio sulla via della sapienza troviamo sempre un abisso, davanti al quale siamo costretti a fermarci. Non sto dicendo che non dobbiamo considerare la nostra sapienza umana come un dono divino, quale in effetti è, ma non è sulla via della sapienza che dobbiamo cercare Dio.
E neppure lo dobbiamo cercare sulla via del potere, poiché se lo cercassimo lì il suo potere d’azione soverchierebbe tutto al punto da escludere ogni libertà individuale. Sulla Terra non potrebbe svilupparsi nessun tipo di libertà umana se noi ci ostinassimo a cercare Dio solo sulla via in cui risulta onnipotente.
L’unica via che conduce veramente a Dio, mettendo in relazione la creatura con il creatore, è quella dell’amore – l’amore che l’uomo nutre liberamente nei confronti della divinità e che altro non è se non la comprensione del tutto umana dell’amore che la divinità nutre per l’uomo. Questa è l’unica via che non ci porta davanti ad un abisso, ma ci permette invece di accedere a Dio. Ecco allora che quando si dice che Dio vive nell’amore non dobbiamo pensare che si tratti di una metafora, ma in questa affermazione dobbiamo vedere una vera e propria realtà.
Con ciò cari amici non vi sto comunicando qualcosa di personale, bensì una saggezza misterica di tutti i tempi – e in questo momento non ci interessa il modo in cui viene ricavata come inizio di tutta la conoscenza, ma quello che conta è che la conoscenza del fatto che Dio è amore o che Dio vive nell’amore è una sapienza misterica comune a tutte le epoche.
Se applicata alla vita, questa conoscenza ha una certa conseguenza, una conseguenza di cui possiamo renderci conto osservando l’evoluzione dell’uomo sulla Terra nel suo insieme.
Ai giorni nostri viviamo in un determinato stato di coscienza. Dalle conferenze dei giorni scorsi sapete che questo stato di coscienza non è sempre stato presente nell’evoluzione dell’umanità, ma che è venuto dopo un altro, molto più ottuso, ma comunque abbastanza illuminato da permettere all’uomo di percepire il divino in immagini simili a quelle di sogno e che il manifestarsi onirico di Dio in tutta la natura ha avuto fine nel periodo intorno al mistero del Golgota, così che si è reso necessario un nuovo approccio, un modo nuovo di trovare la via che porta al divino.
Dobbiamo allora distinguere chiaramente la via imboccata di generazione in generazione dal genere umano fino al periodo immediatamente precedente al mistero del Golgota, in cui la coscienza non era vigile come oggi. Certo, per quanto riguarda le questioni esteriori era simile al nostro attuale stato di coscienza, ma sempre in grado di entrare in stati intermedi fra il sonno e la veglia che portano direttamente al divino – mediante la visione atavica, immaginativa, mediante la visione del divino in immagini. I documenti più antichi parlano spesso di questo modo di accostarsi al divino, che avveniva tramite la sapienza umana.
Come mai a quei tempi ci si poteva avvicinare al divino con la sapienza umana? Vedete, lo stato di coscienza era obnubilato, il che proteggeva l’uomo dal vivere con l’intensità di oggi le caratteristiche ereditarie della sua struttura fisica, lo preservava dal vivere tutto ciò che fluisce nell’individuo per via dell’ereditarietà. Indubbiamente anche nei tempi antichi gli uomini hanno attribuito un certo valore alle loro caratteristiche ereditarie, agli attributi razziali, alla consanguineità e ad altri elementi analoghi, ma questo era controbilanciato dalla convinzione che tali requisiti ereditari fossero intrisi di spirito.
Quando è comparso sulla Terra, l’uomo è entrato con il processo evolutivo fisico in una comunità tale per cui ha dovuto assumersi l’ereditarietà, così che attraverso il sangue si trasmetteva davvero qualcosa. Ma il suo stato di coscienza non gli consentiva ancora di vivere con piena coscienza in queste caratteristiche ereditarie. In realtà l’uomo “sognava” dentro di sé le caratteristiche ereditarie del peccato originale, gli impulsi che lo allontanano costantemente dal divino, che lo spingono in continuazione ad abbassarsi al di sotto del livello della sua natura umana. Trovava per così dire una compensazione nella chiaroveggenza atavica, così da non farsi assorbire del tutto da questa corrente ereditaria.
È solo nel periodo in cui ha avuto luogo il mistero del Golgota che è emerso il fatto che l’uomo si è inserito a livello pienamente cosciente in questa corrente ereditaria. Allora vi si è immerso con maggior profondità e intensità, per cui si può dire che nel corso della sua evoluzione l’uomo è stato indotto a sperimentare sempre più il peccato originale e che ha avuto bisogno di essere redento da questo male. La necessità della redenzione gli è sorta nel momento in cui il mistero del Golgota ha fatto il proprio ingresso nell’evoluzione umana.
Quando l’uomo – per usare l’immagine biblica – fece il proprio ingresso come “Adamo” sulla Terra venne fatto scendere nella sfera delle forze ereditarie, ma la sua coscienza non era ancora abbastanza progredita perché lui potesse farsi trascinare da tutto ciò che proviene da queste caratteristiche. Anche il “peccato originale” è in evoluzione e non meno il venir calati nelle caratteristiche ereditarie. Si tratta di qualcosa che è stato dato a tutto il genere umano, qualcosa che vive nell’evoluzione come impulso evolutivo per tutto il genere umano.
A questo impulso ha dovuto esserne contrapposto un altro, uno che fosse in grado di elevare nuovamente la coscienza umana, che la potesse sollevare dalla sfera delle caratteristiche ereditarie. L’impulso cristico era destinato a diventare un tale impulso. L’uomo doveva imparare a vivere in modo animico-spirituale tutto quello che prima aveva vissuto solo nel sangue, nel succedersi delle generazioni, che però allora era diventato qualcosa che non poteva più essere sperimentato solo nel sangue.
Così nei tempi antichi l’umanità ha potuto cercare la via per arrivare a Dio attraverso la sapienza, quella sapienza umana non ancora pienamente irretita nel peccato originale. Questo è entrato in declino nelle ultime fasi sia del paganesimo che dell’ebraismo, solo che le notizie storiche si limitano a riferire queste ultime fasi e non parlano della situazione precedente.
Ma allora cos’è che sulla Terra spinge l’uomo nella sfera delle caratteristiche ereditarie? Se ce lo chiediamo, arriviamo a dei concetti piuttosto imbarazzanti per l’uomo d’oggi. Si arriva infatti a parlare di un campo da cui l’uomo d’oggi si tira fuori facilmente con ogni genere di battute di spirito o che viene inteso, com’è consuetudine di questi tempi, in senso psicanalitico, mentre la scienza dello spirito lo può interpretare solo come l’ultima fase della coscienza decaduta.
Giungiamo ad una sfera in cui è necessario toccare la fase più bassa – solo in rapporto all’orientamento mondiale – dell’atto d’amore, quella dell’atto sessuale. Quello che veniva vissuto dall’uomo nell’antica sapienza scaturiva dallo stesso elemento per cui veniva messo al mondo in modo umano. Solo che in quell’antica sapienza l’uomo non veniva risvegliato completamente negli impulsi dell’ereditarietà.
Qui sulla Terra l’uomo viene risvegliato pienamente solo dall’amore, che in un primo tempo si manifesta come amore sessuale e prosegue poi nell’amore filiale e genitoriale che, finché resta legato al sangue, contiene sempre qualcosa che spinge l’uomo ad un livello inferiore rispetto a quello che secondo l’intenzione originaria divina dovrebbe occupare in questo mondo.
E così nasce la necessità di redimere questo amore proprio a partire dall’amore, mettendo al posto dell’antenato di sangue, della consanguineità, quell’avo in cui ci riconosciamo non per via delle caratteristiche ereditarie, ma delle qualità individuali che al di là di quelle ereditarie possono essere sviluppate dentro di noi in quanto uomini.
Il riconoscere un simile antenato equivale ad accogliere nella coscienza, in aggiunta alla parentela di sangue, quella parentela liberamente scelta, l’affinità che deriva da una libera decisione. Significa accogliere non solo la consanguineità ma anche l’affinità elettiva col Cristo, con quello che si manifesta come antenato dell’amore, dell’amore spiritualizzato che non ha più niente a che vedere con il sangue ma che può conquistare l’umanità intera proprio perché nasce da una libera scelta, perché rappresenta un’affinità elettiva.
Allora si è formata l’idea di cercare gli impulsi interiori nei confronti di un essere da scegliere liberamente, di ricevere nel corso della vita individuale un’educazione che permetta di compiere una libera scelta, ma anche di riconoscere questo antenato liberamente scelto nello stesso modo in cui prima si riconosceva il “Dio di Abramo” mediante la consanguineità.
Alla base di tutte le religioni antiche ci sono dei legami diretti di sangue. Quello che esisteva nel politeismo delle epoche successive non era nient’altro che una trasformazione del culto degli antenati, vale a dire del legame di parentela che si sentiva di avere nei confronti del dio degli antenati, percepito come un consanguineo.
A quel punto è sopraggiunta la grande scoperta che quello che fino ad allora sulla Terra era vissuto solo nel sangue, quello che era in qualche modo connesso col sangue, era stato trasferito alla vita spirituale e animica dell’uomo. Chi ha effettuato questo passaggio? Colui che vive nella consanguineità e che da essa ha trasfuso l’antica sapienza nella coscienza umana. Di chi si tratta? Di “Dio Padre”!
Bisogna riconoscere che Dio Padre viveva negli uomini in modo che essi potessero in un certo senso restare uomini fino all’epoca del mistero del Golgota. Allora Dio ha dovuto prendere la decisione – e la coscienza umana non solo viene elevata ad esperienza ultraterrena, ma anche a decisione ultraterrena solo per il fatto di capire questo – di offrire alla Terra colui con il quale era sempre stato in unione, “il Figlio”, e fargli vivere un evento dopo il quale loro due non sarebbero più stati uniti come prima, ma in cui dal rapporto del Figlio con l’umanità sarebbe scaturito un rapporto diverso anche fra il Padre e il Figlio.
È estremamente difficile esprimere queste cose a parole, ma cercherò di farlo nella maniera più chiara possibile.
Tutto questo ci rimanda al riconoscimento di Dio Padre nei tempi antichi, che attraversava le generazioni a livello inconscio con il sangue, che ha incluso anche il Figlio e con la sapienza ha dato agli uomini l’esperienza dell’amore – e nello stesso tempo tutto questo ci rimanda agli antichi sacrifici.
Vedete, cari amici, nella tarda epoca pagana ed ebraica, ormai in declino, si è smesso di cercare l’essenza del sacrificio nel sacrificio stesso. Prendiamo il sacrificio tipico, quello degli animali. In che cosa consiste la sua essenza? L’essenza del sacrificio non consisteva soltanto nell’immolazione di un animale, ma anche nel fatto che un individuo o una comunità offrisse qualcosa che possedeva, in tal modo privandosene. Questa è una componente fondamentale del sacrificio.
Quanto più indietro andiamo nell’evoluzione dei tempi, tanto più ci accorgiamo che al concetto di sacrificio è indissolubilmente legata l’idea di offrire qualcosa che si possiede. Il sacrificio animale avveniva solo gettando nel fuoco la bestia – e in tempi ancora più antichi i sacrifici venivano compiuti sull’animale vivo, e in tal modo veniva offerta anche la vita.
Mediante il sacrificio si credeva quindi di riscattarsi da un possesso che, inteso nel consueto senso egoistico, consiste in qualcosa che torna a proprio vantaggio, qualcosa ottenuto in eredità. In senso spirituale il possesso è qualcosa che porta l’uomo al di sotto della natura umana, qualcosa che si riceve solo attraverso il sangue. Per questo doveva essere offerto in un sacrificio di sangue, doveva essere sottratto all’uomo in questo modo.
Tuttavia questo modo di pensare era valido finché si poteva “credere”, finché si manteneva il grado di innocenza della coscienza, che non giunge al peccato originale nello stesso momento in cui il sangue viene assorbito dal fuoco. Il dissolversi del sangue nel fuoco è infatti l’opposto di quanto avviene nell’infiltrarsi e nel pulsare del sangue nell’organismo umano e che promuove il peccato originale.
Ma affinché tutto il genere umano potesse essere liberato allo stesso modo di ciò che è contenuto nell’operare di Dio Padre nel sangue, è stato necessario dare all’umanità il mistero del Golgota per mezzo del sacrificio del Figlio, così che da allora in poi quest’ultimo non viva più nella successione delle nascite, con il Padre, ma nell’elemento in cui si immerge la coscienza umana che volge lo sguardo a colui (il Figlio) che è passato attraverso la morte sul Golgota.
Nell’antico cristianesimo, quello dei misteri, si diceva che le cose annunciate riguardo a questa morte e ciò che si può provare in proposito strappano l’uomo al peccato originale. L’affinità elettiva con il Cristo libera dal peccato originale della consanguineità.
▪ Puoi avere una vaga percezione del tuo rapporto con l’evento del Golgota, allora questa tua percezione produrrà al massimo la “sapienza” che esisteva già prima dell’evento del Golgota.
▪ Ma puoi anche sentire così intensamente il tuo legame con il Cristo, approfondire il rapporto con Lui al punto da amarlo come il sangue ama il proprio sangue. Allora dentro di te questo sentimento d’amore per il Cristo agisce in contrapposizione al peccato originale, vincendolo.
E allora Dio Padre – Colui che sta alla base del mondo, Colui che rappresenta un aspetto, una persona, una “maschera” o una forma della divinità comunque collegata all’altra maschera o forma – agisce insieme all’altra persona della divinità, il Figlio. Ma se pensiamo all’epoca che da prima del mistero del Golgota risale fino ai tempi remoti della comparsa dell’umanità, pensiamo al dio che opera attraverso il sangue e il susseguirsi delle generazioni.
E pensiamo a Dio Padre che ha sacrificato il Figlio, l’amore per il quale – amore che, come abbiamo detto, è l’unica via che porta l’uomo a Dio – può essere ravvivato nell’anima e nello spirito dell’uomo in modo che, quando da un lato osserva tutta la tragicità del mistero del Golgota e dall’altro tutto l’orrore, dentro di lui vi possa essere davvero una forza che vince e guarisce il peccato originale.
Allora la forza emerge pur sempre dal corpo – nell’azione del sangue, nel peccato originale, nelle caratteristiche ereditarie –, tuttavia noi non ci esauriamo in queste caratteristiche ereditarie ma, dirigendo con il sentimento e la volontà il nostro sguardo sul Golgota, ci innalziamo al di sopra dell’esperienza del peccato originale in seno alla coscienza stessa, producendo in essa una forza così intensa da poter resistere al peccato originale.
L’unica possibilità di contrastare il peccato originale consiste in questo dirigere lo sguardo sul mistero del Golgota. Miei cari amici, non esiste autoredenzione che ci permetta di opporci a questo peccato originale, ma solo la redenzione attraverso il Cristo, la redenzione offertaci dalla vista del Cristo che attraversa la passione e la morte.
E mentre sviluppiamo questo sentimento di amore nei confronti del Cristo, ci è lecito puntare lo sguardo sul dio della potenza, su Dio Padre, che sta alla base della creazione nel sangue e che ha permesso che questa sua potenza passasse nell’operare del Figlio. Possiamo quindi dirci: per come siamo inseriti attualmente nell’evoluzione temporale, non dobbiamo prendere in considerazione l’onnipotenza, ma lasciarla agire oltre l’amore. L’onnipotenza fa certo parte di Dio, ma non è seguendo questo cammino che possiamo giungere a Lui.
E l’ultimo prodotto del principio del peccato originale, miei cari amici, è quella conoscenza umana che si fonda in tutto e per tutto sulle caratteristiche ereditarie. Nel momento in cui dagli ultimi impulsi presenti nel sangue che scorre attraverso le generazioni emerge un’ultima fase in cui questo si trasforma in conoscenza, abbiamo la nascita della conoscenza intellettualistica, quella della scienza moderna.
È l’ultima fase del peccato originale, è lo spirito dell’antichità trasposto nell’astrazione. È ciò che ha bisogno di redenzione, ciò che rende necessario che l’uomo smetta di credere di poter arrivare a Dio solo attraverso lo spirito, com’era possibile nei tempi antichi in cui il divino è stato raggiunto tramite la sapienza. È necessario rendersi conto che il mondo e l’uomo non possono arrivare al divino attraverso la sapienza, ma che questa via della sapienza dev’essere risanata e “santificata”.
E questo accade grazie agli effetti dell’evento del Golgota: attraverso la conoscenza in base alla forza dello “Spirito Santo”. Eccoci arrivati alla terza persona della divinità. Dobbiamo vedere il Dio unitario in tre figure.
Adesso sappiamo che non lo possiamo contemplare nel potere senza la mediazione del Cristo nell’amore, riflettendo sul Dio del potere ciò che ci viene dato nel Cristo, al quale siamo legati da vero amore. E sappiamo pure che non possiamo accogliere nessuna sapienza senza prima redimerla, senza santificarla mediante lo spirito inviato all’umanità per mezzo del Cristo.
Dobbiamo elevare la coscienza umana con la forza del Cristo, quella forza che abbiamo dentro di noi mentre contempliamo l’evento del Golgota. La dobbiamo innalzare considerandola malata, la dobbiamo guarire pervadendola di ogni elemento sovrasensibile che può giungere a noi grazie alla santificazione per mezzo del Cristo.
Così, cari amici, non può esserci redenzione dal peccato originale se non quella mediante il Cristo Gesù. Gli altri peccati sono secondari. I peccati individuali vengono commessi dall’uomo poiché il peccato originale l’ha indebolito, reso incline al peccato. Questi peccati individuali trovano la loro compensazione in quello che può essere ottenuto con “l’autoredenzione”, vanno pareggiati tramite l’autoredenzione (il karma) nel corso della vita terrena o ultraterrena.
Ma il peccato originale, la madre di tutti gli altri peccati, ha potuto essere tolto al genere umano solo grazie all’atto redentore del Cristo.
E nel momento in cui se ne prende coscienza – chiamatelo “antroposofia”, “cristianesimo” o “religione”, il nome non ha nessuna importanza –, nell’istante in cui ci si accosta alla vera conoscenza di queste cose, non può più sussistere alcun dubbio. Se permane un dubbio, dipende dall’inadeguatezza delle parole con cui dev’essere rivestita questa verità. Ma in ciò che nell’amore conduce al Cristo storico e alla sua opera, l’evento del Golgota, dev’esserci qualcosa di immediatamente convincente.
Non è una via che può portare al Cristo quella che, tanto per darvi un esempio concreto, si trova nel libro L’essenza del cristianesimo di Harnack. Il vedere il Cristo come maestro del Padre, il credere che la cosa più importante consista nell’insegnamento può solo allontanare dal Cristo. No, la via per giungere al Cristo, al mistero del Golgota, non sta in una dottrina, bensì nell’amore che sorge e fluisce liberamente. Solo così si può raggiungere la via che porta al Cristo.
E quando ci sarà questo amore che sgorga liberamente, anche la nostra sapienza accoglierà dentro di sé lo spirito, che è lo spirito guaritore, lo “Spirito Santo”. Ma nel contempo ciò dimostra che non c’è altro rapporto che possa redimere l’uomo se non quello con il Cristo storico, quello che è passato attraverso il mistero del Golgota. Non esiste altro rapporto umano che possa togliere all’uomo il peccato originale se non il rapporto con il Cristo storico passato attraverso il mistero del Golgota.
Quella sapienza che ora si rivela per quello che è, cioè l’ultimo rampollo del peccato originale, ci dice più o meno con Harnack: “Non vogliamo dilungarci su quello che è difatti successo nell’orto del Getsemani. Comunque stiano le cose con la risurrezione, è da essa che ha avuto origine la fede nella risurrezione, vale a dire la fede pasquale.”
Una simile affermazione non è cristiana. E quando molti anni fa, presso l’Associazione Giordano Bruno, non presso la Lega Giordano Bruno, ho spiegato come chi si esprime come Harnack non abbia nessun diritto di definirsi cristiano – soprattutto alla luce della nuova coscienza spirituale –, ho fatto riferimento al passaggio in cui Harnack nel suo L’essenza del cristianesimo dice che quello che conta non è l’oggettività della risurrezione, ma la fede soggettiva nella risurrezione. Allora il presidente, che era un uomo istruito e si considerava un cristiano ben informato, disse: “Questo non sta scritto da nessuna parte nel l’Essenza del cristianesimo di Harnack. Se così fosse, non sarebbe protestante, ma cattolico-pagano, poiché equivarrebbe semplicemente all’affermazione” – non l’ho detto io, ma il presidente – “che è stata fatta anche a proposito della veste sacra di Treviri. Non è il dato di fatto che conta, ma la fede collegata alla veste sacra di Treviri. Ma questo non è evangelico, bensì cattolico-pagano. E non l’ho trovato nell’Essenza del cristianesimo di Harnack.” Alle sue parole replicai che non avevo il libro con me, ma che il giorno dopo gli avrei comunicato con una cartolina il numero della pagina.
Ma nello stesso tempo questo mi ha fatto capire come al giorno d’oggi si concepiscano simili idee, quanto poco sul serio si prendano queste cose e quanto superficialmente ci si occupi di esse. Non ci si accorge minimamente del fatto che i prodotti letterari che vengono pubblicati in ambito teologico non sono più cristiani. Non ci si rende più conto che Overbeck, che a Basilea ha esercitato una notevole influsso su Nietzsche, aveva pienamente ragione nei suoi scritti sulla teologia moderna riguardo alla domanda: “La teologia moderna è ancora cristiana?” Già allora, negli anni settanta del secolo scorso, aveva fornito la prova che la teologia moderna può essere tutto quello che si vuole, fuorché un prodotto del cristianesimo. E un testo come L’essenza del cristianesimo di Harnack non ha più niente a che fare col cristianesimo. Se prendete questo libro e sostituite il nome di Cristo con quello di Jahwe o di Dio Padre, vedrete che non cambia nulla. Chi ha scritto questo libro non sa più qual è il vero rapporto che deve intercorrere fra il cristiano e il suo Cristo.
Cari amici, non credo che possiamo renderci conto pienamente della serietà di ciò che è necessario per un rinnovamento della vita religiosa cristiana se non cogliamo la gravità del fatto che spesso oggi le persone più distanti dal cristianesimo sono proprio quelle che, pur volendo tenerlo in vita, sacrificano tutto – perfino il loro rapporto con il Cristo – a quel grande sforzo di giustificazione intrapreso dalla teologia.
E non possiamo immaginarci niente di più anticristiano di questo principio enunciato da Harnack: “Del Vangelo non fa parte il Figlio, ma solo il Padre; e il Vangelo non è un messaggio del Figlio, ma solo il messaggio del Padre comunicato tramite il Figlio.” Oggi ci può essere chi, in seguito alla pressione del materialismo moderno, assume questo punto di vista, ma allora dovrebbe avere l’onestà di smettere di dichiararsi cristiano.
Non possiamo far altro che presentare queste cose in tutta la loro complessità e arrivare così a riconoscere che la redenzione dal peccato originale significa avere col Cristo storico che ha attraversato il mistero del Golgota un rapporto che pulsa nelle nostre vene a livello animico-spirituale proprio come fa il sangue a livello fisico. Questa è la forza della fede. È questa forza che va cercata nella fede, non un concetto astratto.
Credere vuol dire trovare dentro di sé nel rapporto con il Cristo una forza tale da agire come i legami di sangue. Allora troveremo la via verso il Cristo comune a tutta l’umanità, verso quel Cristo unitario che in virtù dell’evento del Golgota è anche la fonte reale e oggettiva di ogni esperienza soggettiva di redenzione.
Ma allora smettiamo di cercare il processo di redenzione nei segni esteriori e cerchiamo invece anche per i sacramenti il vero rapporto dell’anima umana col Cristo, di cui parleremo nel prossimo incontro. E non cerchiamo neppure un rapporto con un Cristo evanescente su un piano mistico e astratto, ma fondiamo nel cuore e nella mente dell’uomo, in tutto il suo essere, un rapporto di libera affinità con il Cristo, così come abbiamo un rapporto di sangue nella vita di Dio Padre nella misura in cui questa vita si esprime nel sangue dell’umanità, vale a dire nella facoltà umana di creare la vita sul piano fisico.
E con ciò ho cercato di presentarvi il lato soggettivo dell’esperienza della redenzione. Non credo che al giorno d’oggi si possa arrivare ad una comprensione del concetto oggettivo e soggettivo di redenzione partendo da altre premesse.
Appendice 1
Appunti autografi di Rudolf Steiner
sulla seconda conferenza
▪ L’appartenenza attraverso il sangue, lo spirito del sangue.A cui si oppone il principio individualizzatore.
▪ Ereditarietà – l’appartenenza attraverso la volontà.
Redenzione – dagli impulsi ereditari:
derivano dall’amore sensibile che agisce nella procreazione.
Ad esso si contrappone l’amore cristiano.
▪ Se non ci fosse l’amore fisico, allora
l’interiorità animica dell’uomo sarebbe spirituale-terrena
e l’esteriorità animica sarebbe celeste.
▪ Sacrificio: qualcosa che non si ha più quando viene sacrificato.
▪ Il Padre non ha più il Figlio:
il popolo ebraico non può avere niente del Cristo.
la mancanza di senso plastico.
Il Padre non ha più il Figlio:
la sensazione delle immagini non viene più trasmessa per ereditarietà.
Sentirsi uniti al Cristo.
* *
*
▪ Chiesa = sostituzione del rapporto familiare.
Ma allora ogni rapporto terreno (è) peccaminoso.
Rapporto familiare: figli degli dei, figlie degli uomini;
rapporto ecclesiastico: figlie degli dei, figli degli uomini.
* *
*
▪ La morte della morale –
il peccato originale viene trasposto nella coscienza.
▪ La legge salva il mondo –
ma non l’uomo.
Appendice 2
Una stigmatizzata “antroposofica”
(Pietro Archiati)
Oggi queste conferenze di Steiner risultano particolarmente attuali, anche perché nel 2004 si è venuti a conoscenza del fatto che a Berlino in una giovane appartenente alla Società Antroposofica e alla “classe”, chiaroveggente fin dalla nascita, sono comparse le stigmate, accompagnate dall’assenza di nutrizione. Katharina Emmerich, Therese Neumann, Gemma Galgani, Padre Pio o Marthe Robin sono stati stigmatizzati e visionari nell’ambito del cristianesimo tradizionale. Per quanto riguarda Judith von Halle, la novità consiste soprattutto nel suo ricorrere alla scienza dello spirito di Rudolf Steiner per fornire un’interpretazione sia della comparsa delle stigmate e del cessare del bisogno di nutrirsi, sia del contenuto delle sue visioni. Nel suo libro Und wäre Er nicht auferstanden… la Halle scrive: “poiché – come tutti i membri della Società Antroposofica – anch’io mi valgo dell’antroposofia di Rudolf Steiner come base per tutta la ricerca spirituale.” (pag. 13-14). E ancora: “È importante parlarne proprio in ambiente antroposofico, si potrebbe addirittura dire che in un primo tempo di queste cose andrebbe parlato solo in ambito antroposofico.” (pag. 158)
La sua interpretazione “antroposofica” dei fenomeni che si manifestano in lei va in direzione di un’esaltazione acritica, dal momento che le numerose affermazioni pertinenti di Steiner che non vengono citate possono saltare agli occhi con maggiore evidenza delle poche riportate nel testo. Nel modo di pensare la sua interpretazione dell’evento cristico si differenzia sostanzialmente da tutto ciò che una persona dei nostri giorni può produrre a partire dal proprio Io grazie al pensiero umano; è quindi profondamente diversa dalle argomentazioni volte a stimolare il pensiero individuale e autonomo che troviamo in ogni pagina di Rudolf Steiner.
La direzione della Società antroposofica, con sede a Dornach in Svizzera, ha dovuto affontare il problema della pubblicazione del libro di Judith von Halle da parte della sua casa editrice – il Verlag am Goetheanum, diretto da Joseph Morel. Sergej Prokofieff, membro del consiglio di amministrazione, ha scritto: “Morel non dovrebbe essere licenziato, né per via del libro di Judith von Halle né per altri motivi … Sul libro della Halle non mi sono espresso” (Freies Forum Anthroposophie, inverno 2005/06, pag. 36).
Gli sguardi ora puntati su Berlino sono in parte gli stessi che per decenni sono rimasti fissi su Dornach, sulla “Società Antroposofica” come istituzione fisica, dal momento che la consideravano la prosecuzione dell’opera di Steiner.
Nel Vangelo, il Cristo manifesta la sua opinione sull’inequivocabile legame fra lo spirito e ogni istituzione visibile con parole che possono valere sia per Roma che per Dornach o Berlino: “Allora se qualcuno vi dirà: ‘Ecco, il Cristo è qui; ecco è là’, non gli credete! Sorgeranno, infatti, falsi Messia e falsi profeti, i quali faranno segni e prodigi per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti. Voi dunque state attenti: ecco, vi ho tutto predetto.” (Marco 13, 21-23). In Luca leggiamo: “Il regno di Dio non viene con sfarzo. Non si potrà dire: ‘Ecco è qui’, oppure: ‘È là’: infatti, il regno di Dio è dentro di voi. … E vi diranno: ‘Ecco è là; ecco è qui!’. Voi non vi movete, né andatene in cerca.” (Luca 17, 20-21.23)
Una traduzione posteriore della Bibbia protestante sostituisce l’espressione “dentro di voi” con “in mezzo a voi”, stravolgendo la versione di Lutero che diceva l’esatto contrario. Con “in mezzo a voi” vien fatto di pensare a qualcuno fisicamente presente, tangibile, materialmente percepibile. In greco troviamo εντος υµων (entos hymon; εντος equivale al latino intus), che significa: dentro di voi, nella vostra anima e nel vostro spirito.