Traduzione di Mauro Vaccani
Revisione di Pietro Archiati
L’editore e il redattore non esercitano diritti
sui testi di Rudolf Steiner qui stampati.
ISBN 978 - 88 - 96193 - 18 - 1
www.liberaconoscenza.it
Traduzione di Mauro Vaccani
Revisione di Pietro Archiati
L’editore e il redattore non esercitano diritti
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Rudolf Steiner
Il bello di essere uomini
Per una convivenza giusta e libera
Indice
La globalizzazione dell’amore nei cuori degli uomini
Conferenza tenuta a Dornach – Svizzera, il 10 gennaio 1919
• L’esperienza reale dello spirituale è legata al dolore.
Per questo gli uomini ne hanno timore
• “Le problematiche sociali devono essere risolte in modo scientifico spirituale. Tutto il resto, in questo ambito, è dilettantismo”
• Nell’incontro fra uomo e uomo il pensiero viene “addormentato”
• “Nella vita umana non c’è altro che può essere pensato in modo socialmente giusto che quel che viene pensato con amore materno”
• L’intera umanità può realmente diventare una
famiglia – nell’amore per lo spirito che accomuna
• È molto importante distinguere l’uomo dalle sue
azioni: la natura umana, l’essere interiore di ogni
Pensieri forti per “correggere” la schiena
Conferenza tenuta a Stoccarda – Germania, la domenica di Pentecoste, 8 giugno 1919
• Nel rendere autonoma la vita spirituale si esprime lo spirito pentecostale
• Portiamo in noi una grecità fraintesa e una romanità stravolta
• Le vuote frasi conducono a chiacchiere religiose, le azioni brutali prive di pensiero al militarismo
• L’uomo odierno si sente beato quando si lascia illudere rispetto alla realtà
• L’operaio ha per primo la possibilità di porsi sul
terreno dell’individualità perché si fonda sulla sua
• Oggi esiste una costrizione economica che genera cose terribili nell’organismo sociale
Conferenza tenuta a Delft – Olanda, il 25 febbraio 1921
• Nell’epoca dell’uguaglianza democratica chi fa grossi programmi viene spontaneamente respinto
• Lo scienziato porta nel suo materialismo un profondo desiderio dell’operatività dello spirito
• “Inaridisce e svuota l’anima concepire la vita spirituale come ideologia”
• L’educazione e la ricerca diventano davvero pratiche
per la vita quando sono indipendenti dallo Stato e dall’economia
• L’economia ha bisogno di “Associazioni”: una collabora-zione reciproca fra produttori e consumatori
• Libertà, Uguaglianza e Fraternità possono diventare reali solo nei tre ambiti autonomi della vita
L’UMANITÀ, LA TUA FAMIGLIA
La globalizzazione dell’amore nel cuore degli uomini
Dornach, 10 gennaio 1919
Parlando di ciò che trattiene gli uomini d’oggi dal riconoscere l’esistenza dei mondi spirituali, così come debbono essere presentati dalla scienza dello spirito orientata antroposoficamente[1] vi ho indicato due aspetti della condizione animica umana che generano questa situazione:
• la mancanza di coraggio, di forza nel riconoscere lo Spirito;
• la mancanza di interesse nei confronti della conformazione concreta della vita spirituale.
Oggi vorrei riprendere quei pensieri da un punto di vista su cui finora ho attirato poco la vostra attenzione. Quando si parla di queste cose bisogna sempre tener conto del fatto che, come ho spesso ripetuto, l’usuale sana ragione umana è sufficiente per capire tutti i pensieri della scienza dello spirito, per accoglierli spregiudicatamente.
Grazie al fatto che nel nostro tempo il giusto impiego del sano intelletto umano è sufficiente alla comprensione dei pensieri sul mondo spirituale, in un certo senso proprio grazie alla pura ragione umana e alla comprensione spregiudicata si giunge a tutto quello che il ricercatore spirituale consegue nel corso della sua ricerca.
In questo modo se c’è il coraggio e l’interesse per accogliere in sé con la sana ragione umana questi pensieri, allora sorge la possibilità – lentamente, a brano a brano a seconda dei destini individuali – di ascendere direttamente a quei mondi spirituali. Questo oggi è necessario, e lo diventerà sempre di più per tutti gli uomini: imparare a comprendere i mondi spirituali semplicemente con la ragione umana, così come vengono presentati dalla scienza dello spirito.
Fino a che punto un uomo possa diventare maturo per osservare direttamente nel mondo spirituale è un’altra faccenda, completamente diversa, che ognuno può considerare solo nell’intimo della sua anima. Solo lì può trovare una risposta se cerca di comprendere la realtà del mondo spirituale semplicemente con la sana ragione, non mediante le scienze naturali o altre cose che la compromettono.
Dobbiamo chiederci prima di tutto: perché tante persone oggi evitano di usare il sano intelletto che sa comprendere ed è disposto ad accogliere ciò che proviene dalla scienza dello spirito?
Vedete, per cercare di dare una risposta a questa domanda bisogna prestare attenzione a come si presentano le realtà e gli Esseri del mondo spirituale al ricercatore che penetra in quel mondo. Nei tempi antichi gli iniziati hanno parlato di mondi spirituali in modo molto diverso rispetto a quello che si ha da dire oggi. Ma naturalmente molto di quanto è stato detto allora è simile a quel che può venir detto anche oggi.
Così per esempio è stato detto sempre nello stesso modo, che vale ancora oggi, cosa succede quando una persona interiormente immatura vuole entrare nel mondo spirituale. Oggi una tale persona può dirsi: “Come minimo la sana ragione umana deve fare uno sforzo se ha da afferrare i mondi spirituali!”
Gli uomini non amano questi sforzi. Preferiscono riconoscere quello che affermano autorità cui si crede per fede. Oggi gli uomini amano il sano ragionamento molto meno di quanto si creda. Preferiscono aggirare l’uso della sana ragione ricorrendo a quello che, anche se inconsciamente, ritengono più facile, a tutte le “rimuginate” che chiamamo “meditazione” o a simili cose che li portino direttamente nei mondi spirituali.
Proprio questo è oggi molto diffuso: voler far ingresso nel mondo spirituale eludendo l’uso della sana ragione.
Su questo già gli antichi iniziati si sono espressi in modo giusto, e ancora oggi va ripetuto il loro pensiero: “ Se uno, ancora immaturo, vuole entrare nei mondi spirituali allora accade facilmente che dopo un po’ di tempo abbandoni completamente la sua impresa e rimanga con una sensazione che è simile a quella di chi afferra un carbone ardente e poi si trova nell’alternativa di abbandonarlo oppure di bruciarsi”.
Una sensazione come questa si presenta molto spesso a quelli che meditano. Nell’esecuzione dei cosiddetti esercizi che di per sé sono ben giustificati, queste persone impediscono al loro sano intelletto di essere attivo quanto il loro fervore. Ma è sempre stato ribadito che il sano intelletto non deve essere impedito, deve invece attivarsi, essere impiegato con cura.
Se ci si esercita ripetutamente nel tempo e si esclude l’uso del sano intelletto e anche una certa disciplina morale, che ancora non si ha, allora compare questo di specifico: il tutto viene sperimentato come quando si tocca con le dita un tizzone ardente, e subito si ritrae la mano. Allo stesso modo gli uomini si ritraggono davanti ai mondi spirituali.
Come ho detto, questo è sempre stato sottolineato. Anche perché si tratta di un’esperienza che innumerevoli maestri della scienza spirituale di un tempo hanno fatto, quando questa veniva vissuta in modo atavico, istintivo, un’esperienza che anche oggi può essere fatta in molti modi. Tutto questo è stato detto, ma oggi dobbiamo vedere qual è il motivo per cui si ha questa sensazione del tastare e poi del ritrarsi come con un tizzone ardente.
Se vogliamo capire questo fatto possiamo far ricorso a una verità fondamentale della scienza dello spirito, per noi del tutto scontata, relativa al nostro modo di comportarci quando consideriamo l’insieme della nostra vita, che si alterna tra veglia e sonno.
Usando la vecchia terminologia potremmo dire che, mentre dormiamo, lasciamo giacere nel letto il corpo fisico e il corpo eterico, mentre con l’Io e col corpo astrale siamo “fuoriusciti”[2], se posso esprimermi così, in quel mondo che ci avvolge sempre. Non siamo nella casa del nostro corpo quando dormiamo, ma siamo riversati nel mondo attorno a noi. Per questo la nostra coscienza di essere uomini singoli è molto esigua quando dormiamo. Quando lo stato di sonno non è interrotto dai sogni, che comportano una certa intensificazione della coscienza, quando consideriamo il sonno senza sogni, allora la nostra coscienza è così esile che non siamo consci della somma di esperienze infinitamente importanti che facciamo tra l’addormentarci e il risveglio.
È a questo che dobbiamo guardare, non all’astratta affermazione: durante il sonno il nostro Io e il nostro corpo astrale sono fuori dal corpo fisico. Dobbiamo vedere che la nostra vita tra l’addormentarsi e il risveglio è incredibilmente ricca. Solo che non lo sappiamo, perché la nostra coscienza è indebolita, perché la nostra coscienza nello stato di sonno non è ancora così forte come quella che colleghiamo con lo strumento del corpo fisico.
Di fatto c’è una grandiosa e intensa esperienza dell’Io e del corpo astrale entro quel mondo nel quale viviamo sempre. Solo che l’uomo, in virtù della sua ordinaria condizione terrestre, viene preservato dallo sperimentare immediatamente questa vita che si dipana mentre l’Io e il corpo astrale s’intrufolano, per così dire, in quella realtà in cui siamo anche nello stato di veglia quando facciamo uso del nostro corpo fisico e dei suoi strumenti.
La vita durante il sonno è straordinariamente ricca. Essa non si interrompe quando ci svegliamo e torniamo a immergerci nel nostro corpo fisico e nel nostro corpo eterico. Per mezzo del nostro Io e del nostro corpo astrale siamo collegati col mondo che ci circonda in un modo di cui la nostra coscienza abituale non ha nessuna idea, è solo che non ci si presta neppure attenzione.
Possiamo però osservare più attentamente questo rapporto. Possiamo chiederci: com’è veramente la relazione che si mostra fra la nostra componente animico-spirituale e la nostra componente fisico-corporea?
Vedete, per la nostra attuale condizione terrestre sarebbe un’esperienza molto dolorosa se noi dovessimo continuamente – e in realtà non lo facciamo, ma se lo facessimo dovremmo sperimentarlo in continuazione, non potrebbe essere altrimenti – continuamente percepire ciò che noi sperimentiamo mentre dormiamo delle realtà esterne nello spazio e nel tempo.
Nei confronti di queste esperienze il nostro corpo ha specifiche particolarità. Si potrebbe dire che le indebolisce. Tutto quello che sperimentiamo nella relazione col nostro ambiente viene indebolito dal nostro corpo, e noi percepiamo quel che il corpo attutisce, non le nostre reali esperienze.
Queste esperienze stanno in rapporto con ciò che il nostro corpo ci fa sperimentare del mondo circostante e quella che ora vi dirò è un’immagine molto pertinente, perché non è solo un’immagine ma esprime una verità spirituale, come la luce del sole che brilla sulla pietra – dalla quale viene riflessa, così che noi possiamo vedere la pietra – sta alla reale luce solare che ci viene incontro dal sole là in alto.
Guardate la pietra sulla quale cade la luce del sole: su di essa potete scorgere la luce solare riflessa, i vostri occhi possono sopportarla. Provate invece a spostare il vostro sguardo dalla pietra al sole, e guardate intensamente verso di esso: ne rimarrete accecati. Così è, all’incirca, per quanto riguarda i rapporti delle nostre reali esperienze nei confronti del nostro ambiente rispetto a ciò che sperimentiamo mediante gli strumenti del nostro corpo.
Ciò che realmente sperimentiamo del nostro ambiente ha la forza della luce del sole, mentre ciò che sperimentiamo attraverso gli strumenti del corpo presenta soltanto un indebolimento di questa forza, simile alla luce attenuata che qualsiasi oggetto ci riflette rispetto all’originaria forza della luce solare.
Nella nostra interiorità siamo esseri solari, ma ora non siamo ancora in grado di reggere questo stato. Perciò dobbiamo percepire ciò che ci circonda attraverso l’attutita esperienza del nostro corpo e dei suoi strumenti – così come con gli occhi fisici possiamo soltanto guardare la luce solare riflessa, perché quella diretta ci ferirebbe – perché non possiamo immediatamente porci di fronte a ciò che sperimentiamo realmente del nostro ambiente.
Effettivamente è questa la nostra condizione umana, come se fossimo accecati dalla luce solare, e ciò che sappiamo di noi e del mondo non è il nostro essere, non è ciò che verrebbe sperimentato come se fosse in piena luce solare, ma è come la luce che ci viene riflessa dagli oggetti e non ferisce più i nostri occhi. Da questo possiamo dedurre che se ci risvegliassimo in quel mondo che la nostra coscienza ordinaria non può sopportare, avremmo la sensazione di essere dentro ai raggi solari, di vivere realmente dentro di essi. È proprio così nella sperimentazione reale, nell’esperienza effettiva: un raggio di sole molto concentrato!
Ecco la spiegazione del fatto che, come ho spesso ripetuto, la gente getta via come se fosse un carbone ardente l’esperienza scientifico spirituale. Si entra in un ambito di esperienza dove si vive quel che succede quando ci si brucia. Si ritrae subito la mano, perché non ci si vuole scottare. Ciò non si può ovviamente ribaltare: Nessuno può giungere all’esperienza spirituale per il fatto di bruciarsi fisicamente le dita. Perciò dico che nella scienza dello spirito ci vuole precisione: l’esperienza animica è come quando ci si brucia le dita.
È proprio così: l’ingresso nei mondi spirituali all’inizio non è tale da preparare per l’uomo una frivola beatitudine; succede piuttosto che sia raggiunto da noi con quella “infelicità” che si sperimenta quando ci si brucia o si fanno molte altre esperienze simili. Con le realtà, gli Esseri e i processi del mondo spirituale si sperimenta dapprima la stessa situazione che si prova, per esempio, quando ci si scotta.
Le esperienze reali dei mondi spirituali devono essere conseguite attraverso simili dolorosi processi. È illusorio ritenere che generi beatitudine questa esperienza del mondo spirituale, che dia soddisfazione alla vita. Chi accoglie questa esperienza tramite comunicazioni[3] e l’afferra con il sano intelletto, può ricevere altrettanto quanto colui che entra nel mondo spirituale. Naturalmente alcuni individui debbono entrarvi, altrimenti mai potrebbe essere sperimentato qualcosa dei mondi spirituali.
Bisogna tener conto dei fatti che ho presentato. Fondamentalmente non è così difficile accoglierli anche partendo dai fatti esteriori che ho spiegato ora. Troverete dappertutto, dove si parla dei mondi spirituali seriamente e non da ciarlatani, che sempre è stato detto che il passaggio fra i due mondi avviene non mediante esperienze gioiose, ma nel dolore.
Voi sapete come spesso io abbia fatto notare che chi ha conquistato reali esperienze del mondo spirituale nella vita non si volge indietro in modo grossolano e spiccio ai dolori della sua esistenza, alle sofferenze da lui vissute.
Un tale individuo dice a se stesso: certo, accolgo con riconoscenza le gioie, i momenti solenni della vita come doni divini e gioisco del mio destino che me ne ha fatto partecipe. Ma in quanto alla mia conoscenza sono debitore ai miei dolori, l’ho conseguita grazie a loro. Questo dirà chiunque abbia conseguito reali conoscenze del mondo spirituale. Qui sul piano fisico non possiamo conseguire le conoscenze spirituali in altro modo.
E ora possiamo capire perché le persone si ritraggono davanti alla comprensione dei mondi spirituali, anche se è da conseguire con la sana razionalità umana. Normalmente nel capire non ci si ritrae soltanto di fronte a ciò da cui non ci si ritrae anche nella vita esteriore.
Sareste naturalmente molto irrazionali e stupidi se voleste volontariamente bruciarvi le dita per sperimentare, una volta, cosa significhi. E poi, se vi bruciaste le dita, prestereste comunque così poca attenzione al lato animico di quella esperienza e non sapreste cosa si vive dentro quando il dito brucia.
C’è un fatto psicologico che viene compreso rettamente solo se viene osservato alla luce di queste conoscenze. Avrete forse ancora notato che chi si brucia le dita grida – forse non voi stessi, ma avrete certo sentito che in genere succede così. Ora, miei cari amici, perché si grida quando ci si brucia le dita? Per il semplice motivo che con quel gridare l’esperienza interiore del dolore viene sopraffatta.
Si urla o ci si lamenta quando si sente dolore per alleggerire quel dolore, per non sperimentarne il contenuto nella coscienza, dovuto al fatto che si grida. Si tratta realmente di soverchiare il dolore, l’espressione del dolore. In breve: nella vita di tutti i giorni l’uomo non ha molte esperienze di quelle realtà che si sperimentano nei mondi spirituali. Però c’è sempre la possibilità che le cose vengano capite con la sana razionalità umana, poiché abbiamo ovunque analogie nel mondo fisico esteriore dove facciamo le nostre esperienze.
Quindi le realtà della vita spirituale non sono incomprensibili. Ma ci si deve decidere a rafforzare certe qualità animiche quali, per esempio, il coraggio. Si deve semplicemente avere il coraggio, che normalmente non si ha, quando si fa qualcosa da cui si scappa via perché fa male. Ci vuole questo coraggio, perché l’ingresso nel mondo procura sempre dolore.
È necessario quindi rafforzare determinate facoltà dell’anima. Molte persone oggi non vogliono farlo, invece occorre applicarsi in modo sistematico a questo lavoro come è indicato per esempio nel mio libro Come si conseguono conoscenze dei mondi spirituali (traduzione italiana: L’Iniziazione). Certe persone non desiderano affatto rafforzare determinate qualità animiche. Se lo facessero, allora agirebbe anche nel mondo dei loro pensieri, nella loro sana ragione ciò che è necessario per capire razionalmente i risultati dell’indagine nei mondi spirituali che, come ho spiegato, è sempre dolorosa.
Viviamo in un’epoca in cui un simile rafforzamento della vita animica è necessario perché altrimenti l’umanità non raggiungerà i suoi obiettivi terrestri e dovranno accadere catastrofi dopo catastrofi, fino al caos finale.
Ma, mentre dicevo queste cose proprio negli ultimi tempi, perché è straordinariamente necessario, ho anche sottolineato con forza qualcosa d’altro. Si tratta del fatto che c’è un certo indebolimento delle condizioni animiche, già presente negli uomini d’oggi, specialmente nei ricercatori di scienze naturali. Con la ragione che li caratterizza, che non è la sana ragione umana ma è la ragione considerata valida in virtù dell’autorità della scienza naturale, si può capire bene ciò che è l’aspetto esteriore del mondo fisico che ci circonda. Non lo si può capire in modo interiore e spirituale, ma l’aspetto esteriore è ben comprensibile.
Quel che non si può conoscere coi concetti che offre la scienza della natura, con l’utilizzo del pensare a cui è abituato l’uomo d’oggi è: portare ordine nella struttura della vita sociale che sta diventando sempre più caotica. In altre parole:
le esigenze sociali del presente e del prossimo futuro non potranno mai trovare soluzione ricorrendo al pensare che si utilizza per indagare la natura e le sue manifestazioni.
Proprio su questo aspetto i nostri contemporanei devono imparare davvero tanto. In questo ambito essi procedono tutt’altro che in modo consono a ciò che la scienza dello spirito ha da dire a partire dalla sua comprensione interiore dell’essenza del nostro mondo.
La scienza dello spirito deve affermare, nonostante tutte le obiezioni che sempre più oggi vengono fatte, proprio questo: tutto quello che viene abborracciato e diagnosticato nell’ambito della questione sociale non porterà assolutamente a nulla; anzi: condurrà ad errori sociali ancora più madornali di quelli che già si manifestano in singoli ambiti della vita terrestre se non si riconoscerà che gli orientamenti riguardanti la questione sociale possono venire solo dalla comprensione spirituale del mondo. La questione sociale deve trovare risposta a partire dalla scienza dello spirito. Tutto il resto, in questo ambito, è dilettantismo.
Perciò per parlare di queste cose da un certo punto di vista, dobbiamo volgerci all’altro motivo che trattiene così tanto gli uomini d’oggi dall’avvicinarsi alla scienza dello spirito, e cioè la mancanza di interesse nei confronti della vita spirituale.
Questa è una caratteristica di quasi tutti gli scienziati odierni: sono indifferenti alla vita spirituale. La negano oppure ne accettano solo quegli aspetti che sono riconducibili a leggi che scaturiscono dall’osservazione coi sensi fisici, oppure col microscopio o col telescopio. Invece non hanno alcun interesse per ciò che rivela ogni sguardo reale rivolto verso la natura, e cioè che dietro ai fenomeni naturali e ai fatti naturali opera lo spirito.
Questa mancanza di interesse nei confronti dello spirito è particolarmente presente in quelli che vogliono abborracciare opinioni o pontificare superficialmente sulla questione sociale. E c’è ancora un altro motivo per questo.
Vedete, cari amici, da varie cose che ho detto negli ultimi anni avrete potuto capire che ci troviamo in una vita dell’anima del tutto speciale quando come uomini stiamo di fronte ad altri esseri umani.
Ho detto in modo molto radicale in quale condizione animica siamo quando ci troviamo di fronte gli uni agli altri. Vi ho detto: in verità il porsi degli uomini gli uni di fronte agli altri ha in sé qualcosa di addormentante. Noi dormiamo davvero rispetto ai tratti caratteristici interiori del nostro essere umano quando questo è in presenza di altre persone.
Non c’è da meravigliarsi per il fatto che noi veniamo ingannati su questo dormire nelle relazioni esterne. Poiché di certo con gli occhi vediamo gli altri e magari stringiamo anche le loro mani, li tocchiamo e via dicendo. Ma questo non impedisce che il nostro più profondo essere umano venga addormentato in presenza dell’altro.
Così come alla sera, secondo i processi della natura esteriore noi ci addormentiamo, altrettanto si addormenta in noi qualcosa dovuto alla presenza dell’altro. Ma se si addormenta non cessa comunque di essere attivo. Così avvengono di continuo influenzamenti da uomo a uomo nella vita sociale, di cui le persone, proprio per il fatto che sono assieme ad altri, non possono avere chiara coscienza.
Proprio quello che è della massima importanza nella vita sociale sfugge alla coscienza abituale degli uomini, perché proprio rispetto a questo le nostre capacità rappresentative vengono addormentate, e l’uomo agisce istintivamente.
Non c’è da meravigliarsi allora se oggi nella vita sociale, dove nel rappresentarsi immagini l’intelletto viene facilmente assopito, si dichiarano giusti gli istinti più selvaggi, perché il pensiero chiaro su queste realtà viene addormentato dal semplice fatto che gli uomini vivono assieme.
Ma nell’istante in cui l’uomo entra nel mondo spirituale si risveglia ciò che era addormentato, diviene chiaro ciò che agisce da uomo a uomo. Allora possono anche essere trovate le soluzioni per la cosiddetta questione sociale, per le esigenze sociali. Come ho già detto esse possono essere trovate solo al di là della soglia della coscienza ordinaria.
Ciò che l’umanità nel futuro vorrà avere quali soluzioni della questione sociale, se dovranno essere vere soluzioni potranno trovarsi solo sulla via della scienza dello spirito, cioè della scienza del soprasensibile, perché ogni convivenza degli uomini è nei suoi aspetti più profondi di natura soprasensibile.
Ma poi, se vogliamo spiritualmente sperimentare quelle realtà che si riferiscono al rapporto fra uomo e uomo, alla struttura sociale umana, si deve immettere nelle proprie capacità di rappresentazione, in tutto ciò che si sperimenta qualcosa che non è affatto presente oggi nella coscienza abituale.
C’è un’unica realtà qui nel mondo fisico, quale insieme di sensazioni, di sentimenti che ognuno deve avere se vuole indagare gli impulsi sociali, le leggi sociali non in modo vano, ma nella loro vera essenza. Essa è presente nel mondo fisico
quando si vive un pienamente sano e giusto rapporto tra il padre, la madre e il figlio, nel rapporto che c’è fra padre, madre e figlio.
In tutto il resto di ciò che viene sperimentato nelle relazioni fra uomo e uomo non c’è nulla di simile per la coscienza ordinaria.
Chiedetevi – e potete farlo in modo fondato – mentre cercate di chiarirvi cosa sia l’amore materno, quell’amore che la mamma prodiga quando genera un bambino, quell’amore spontaneo che sgorga dalla sua natura, se esso operi anche in tutte le ricerche scientifiche curate dagli esperti, anche in quelle dedicate ai problemi sociali!
Si deve avere questo amore materno verso i pensieri che si elaborano sulle strutture sociali, se essi debbono essere pieni di senso e non insensati.
Nella vita umana può essere pensato sul sociale in modo giusto solo ciò che viene pensato con amore materno.
Prendete i diversi riformatori e pensatori sociali. Provate, per esempio, a lasciare agire su di voi gli scritti di Karl Marx o di simili pensatori, di Schmoller o di Roscher o di chi volete voi, e chiedetevi se costoro, mentre elaboravano le leggi del loro cosiddetto pensiero socio-politico, hanno lasciato agire le stesse forze che operano nell’amore materno per il bambino, quando questo amore si manifesta in modo sano.
È proprio ad esso che bisogna guardare, miei cari amici! Una sana soluzione della cosiddetta questione sociale non è possibile se non proviene da pensatori che – e voi capirete cosa intendo dire esprimendomi così – nel cercare la soluzione dei loro problemi sanno sviluppare amore materno.
È una faccenda molto umana quella da cui dipende oggi la soluzione delle esigenze sociali. Non è una cosa che dipende dall’ingegno, dall’ordinaria intelligenza oppure dalla fiducia negli esperti, ma è invece una faccenda che consiste nell’approfondimento delle forze dell’amore fino al grado che è tipico dell’amore materno oppure, possiamo anche dire così, fino al grado di amore immediato e intimo che c’è fra il padre, la madre e il figlio.
Voi solleverete giustamente un’obiezione. Direte: Sì, qui sulla terra le cose stanno così che la struttura sociale ha come suo nucleo più ristretto e basilare la famiglia, che ovviamente in quanto tale è più che giustificata, qui sulla terra. Ma l’intera umanità non può mica diventare una famiglia!
Questa è una obiezione spontanea, che se si debbono concepire le leggi sociali con amore materno allora dovrebbe naturalmente conseguire che l’intera umanità divenga una sola famiglia, e che questo ovviamente non può essere.
Chi sa distinguere un pensiero astratto da uno concreto dovrà ammettere come ovvio che un uomo non può entrare in relazione con tutti i bambini come se questi fossero suoi figli, e che il bambino non può entrare in relazione con tutte le donne o tutti gli uomini come se essi fossero suo padre o sua madre. Quindi l’umanità non può diventare una sola famiglia!
È del tutto giusto, miei cari amici. Ma proprio per il fatto che ciò è giusto diviene necessario qualcosa d’altro. In quanto individui fisici che vivono sulla terra non possiamo fare dell’intera umanità una sola famiglia. Chi lo volesse auspicherebbe qualcosa di insensato. E tuttavia lo possiamo realizzare in un altro modo, e in quest’altro modo deve accadere.
In quanto individui fisici non possiamo porci quali padri, madri e figli gli uni degli altri. Ma se nell’umanità si facesse strada la conoscenza secondo cui in ogni uomo c’è qualcosa di spirituale e animico, che dagli occhi in ogni uomo irraggia un essere divino-spirituale, che dalle sue parole risuona l’annuncio di un essere divino-spirituale, se, in altre parole, non viene solo astrattamente riconosciuto che l’uomo ha un’anima immortale, ma viene vissuto come sensazione immediata, nel porsi degli uomini gli uni di fronte agli altri, quanto segue: “se fisso un uomo nei suoi occhi, da essi riluce verso di me qualcosa di infinito; se ascolto un uomo mentre parla non sento solo il suono fisico ma sento risuonare il divino spirituale nella sua anima”, se sorge come sensazione immediata, simile a quella che noi sentiamo quando percepiamo che una superficie è blu o rossa, allora sentiremo che quanto si manifesta nell’uomo è di natura divino spirituale. Se impariamo a riconoscere in modo non solo fideistico che l’uomo ha un’anima immortale, ma a percepirla nel manifestarsi esteriore dell’uomo, allora, miei cari amici possiamo entrare in relazione non con l’uomo fisico, ma con quello animico spirituale che è intimamente nascosto nella sua interiorità, e vivere così come se l’intera umanità fosse una grande famiglia.
Con lo spirituale animico di ogni uomo possiamo entrare in una tale relazione. Questo è l’unico modo che renderà possibile la soluzione della cosiddetta questione sociale.
Perciò la soluzione della questione sociale dipende in tutto e per tutto dal riconoscimento della natura spirituale e divina dell’uomo, dal riconoscimento del fatto che il corpo fisico dell’uomo, presente qui sulla Terra, è solo l’espressione esteriore di quel che di eterno riluce in ogni uomo.
Con ciò che brilla in ogni uomo dall’eternità possiamo metterci in relazione nello stesso modo in cui ci mettiamo nella giusta relazione con la nostra famiglia. Lo possiamo fare, è possibile in tutti i sensi. Noi possiamo, se riconosciamo tutto questo, elevare ogni amore umano così che divenga grande come l’amore all’interno della famiglia.
Non regge l’obiezione, che sarebbe anche molto superficiale, di chi dice: “Sì, ma ci sono anche persone cattive!” Miei cari amici: ci sono anche bambini cattivi che noi dobbiamo “correggere”. Ma lo facciamo con amore. Così nel momento in cui vediamo rilucere negli uomini il divino spirituale potremo ricorrere anche alla punizione, se sarà necessario, ma lo faremo con amore.
Impareremo soprattutto una cosa che noi ora esercitiamo, per così dire, solo istintivamente: porci di fronte all’altro uomo in modo “familiare”. Se lo facciamo possiamo anche punirlo, ma non lo odiamo. Non odiamo il nostro fratello anche quando lo puniamo, odiamo invece il vizio che ha. Noi amiamo la persona e perciò, odiamo invece i suoi misfatti, le sue cattive azioni. Lì sappiamo distinguere tra l’uomo e ciò che fa o gli capita.
Quando gli uomini capiranno l’enorme differenza che c’è tra l’amore per la persona e l’odio per le cattive azioni che ha commesso, allora si instaurerà la giusta relazione tra uomo e uomo.
Se seguiamo la nostra intima natura umana non avremo mai la possibilità di odiare un essere umano. Abbiamo invece molte occasioni per odiare i crimini, i misfatti, le debolezze e le mancanze di carattere.
Il più grande sbaglio che commettiamo nelle relazioni sociali consiste allora nel fatto che la reazione che dobbiamo avere nei confronti delle cattive azioni e dei crimini viene rivolta alle persone.
Ciò che oggi facciamo istintivamente, va portato a piena coscienza: il nuovo passo avanti nell’evoluzione dell’umanità consiste nel distinguere l’odio nei confronti del crimine dall’amore che, nonostante ciò, va nutrito nei confronti di chi l’ha commesso.
Miei cari amici, col riconoscimento di tali verità si fa molto di più per la soluzione della bruciante questione sociale che non con le sciocchezze dottrinarie socialiste che oggi sono in voga nel mondo.
È difficile parlare con efficacia contro un materialismo che ha bisogno di ciò che è grossolanamente materiale, per il semplice motivo che gli uomini d’oggi – e questo è molto più dannoso delle teorie materialiste – sono diventati materialisti nei loro istinti. Il misfatto, la mancanza di carattere non possono essere percepiti perché non sono materiali. Ma siccome si sa odiare solo ciò che è materiale, si rivolge il proprio odio agli uomini materiali. Da ciò sorgono innumerevoli fraintendimenti.
Uno dei peggiori sorge quando, a partire da qualche malintesa impressione o sensazione, viene confuso l’uomo con le sue azioni anche in direzione opposta: Si diventa blandi nel giudizio di ciò che l’uomo fa con la scusa che non si vuol provocare dolore all’altro, che l’amore per l’uomo ci spinge a chiudere un occhio sul suo operare”.[4]
Se il giudizio sulle azioni si compie con lo sguardo rivolto a quel che è stato compiuto come delitto, senza confondere l’interiore condizione dell’uomo col suo delitto esterno, allora fluirà il giudizio giusto. È facile essere “giusti” nel proprio giudizio con una persona che non ci garba. Ma è anche facile e comodo “scusare” gli errori con cui un uomo fa danni nel mondo per il semplice fatto che ci è simpatico.
Per la convivenza degli uomini è di estrema importanza la nostra capacità di distinguere nettamente tra ciò su cui va rivolta la nostra antipatia, e ciò che un uomo è in quanto tale.
Miei cari amici, ho spesso sottolineato che quel che viene detto qui non è una critica della cultura e delle condizioni attuali, ma è una semplice descrizione oggettiva. Perciò mi capirete se dico: la cosiddetta umanità occidentale civilizzata, l’umanità europea con il suo retroscena americano[5] ha dovuto per un periodo attraversare questo stadio che consiste non solo nel concepire le cose in modo materialistico e scientifico-naturale, ma anche nel concepire la vita materialisticamente così da scambiare gli uomini con le loro azioni, nel senso che ho indicato.
Era implicito nel sistema educativo: per sviluppare in modo giusto altre qualità gli uomini dovettero attraversare lo stadio del materialismo anche in ambito pedagogico.
Ma chi è rimasto a precedenti stadi di civiltà ha conservato di essi molte cose in cui vigeva l’antica chiaroveggenza istintiva. Essa ha determinato ben precisi indirizzi di sentimento e di disposizioni dell’anima.
Noi Europei possiamo far fronte a ciò che ci minaccia solo se riflettiamo a fondo su quanto or ora esposto. Per esempio non dimentichiamo che pensatori considerati molto illuminati come, per esempio, Immanuel Kant, parlano di un “male radicale” nella natura umana, e questo non proviene certo dai fondamenti del cristianesimo ma solo da una mentalità clericale.
Quanto è diffuso questo errore – possiamo proprio definirlo così – che ritiene cattiva la natura umana nel suo intimo!
Nella civilizzata Europa e nella sua appendice americana si dice: Se la natura umana non viene domata rimane maligna. Questo è un modo di pensare, e viene dalla cultura clericale europea.
C’è un’umanità che non ha queste vedute, che ha conservato dai tempi antichi altre concezioni. Per esempio: il popolo cinese. Nella concezione del mondo dei Cinesi domina il principio secondo il quale l’uomo è per natura buono.
Si tratta di un’enorme differenza, che gioca un ruolo molto più grande di quanto si pensi in quel conflitto dell’umanità che si va delineando. Però se oggi si parla di queste cose si viene creduti così poco come se si avesse parlato alla gente nell’anno 1900 della guerra che è ora in corso.
Eppure è vero che si sta preparando un conflitto tra l’umanità occidentale e quella asiatica. Allora ben altre cose giocheranno un ruolo diverso rispetto a quello che giocano o che hanno giocato in passato nel catastrofico conflitto in cui ci troviamo.
Nel modo di sentire c’è una grande differenza se
• il Cinese è convinto che “l’uomo è per natura buono”
• mentre l’Europeo è convinto che l’uomo è inficiato nella sua stessa natura dal male radicale.
C’è una grande differenza se un individuo pensa in un modo o nell’altro a partire dalla concezione del mondo del popolo al quale appartiene. Che il singolo pensi in un modo o nell’altro si rivela in tutto il suo temperamento esistenziale, nella complessiva condizione della sua vita animica. Gli uomini si limitano per lo più ad osservare gli aspetti esteriori dei conflitti. Alle loro cause profonde prestano di solito poca attenzione.
Voglio richiamare solo un aspetto. Il fatto che l’Europeo, anche se normalmente non lo ammette, sia fondamentalmente convinto che l’uomo è per natura cattivo e che può essere tenuto a bada solo mediante l’educazione e il controllo – grazie allo Stato o a simili strutture di potere – ebbene questa concezione è storicamente unita necessariamente con qualcosa d’altro. È connessa col fatto che l’uomo europeo ha conformato la vita della sua anima secondo la moderna logica e la moderna scienza. Non è il fatto stesso che conta, ma contano i sentimenti da esso prodotti.
Perciò troverete comprensibile che i veri conoscitori dei Cinesi – non quelli europei ma i cinesi stessi, che conoscono l’Europa come per esempio il più volte citato Ku Hung Ming – portano l’attenzione sul fatto che nella lingua cinese non ci sono parole che corrispondono esattamente ai nostri termini “logica” e “scienza”. Quella che noi chiamiamo scienza o logica non ha una parola corrispondente in cinese, perché per il Cinese queste cose non ci sono. Ciò che l’Europeo crede essere la scienza o la logica, secondo il Cinese è qualcosa di completamente diverso rispetto a come la pensiamo noi occidentali, e anche rispetto a come noi Europei pensiamo che sia nell’animo dei Cinesi.
Così diversi tra loro sono gli uomini sulla faccia della Terra! A questo bisogna guardare. Se non lo si fa non è possibile discutere fruttuosamente sul problema sociale. Se invece lo si fa allora si amplia l’orizzonte spirituale. E questo ampliamento è la premessa necessaria per una sana comprensione della scienza dello spirito.
Se ci chiediamo perché oggi abitualmente le persone si tengono ancora lontane dalle conoscenze scientifico spirituali – oggi lo abbiamo fatto su due aspetti, e ora ne aggiungeremo un terzo –, fra gli altri motivi c’è il fatto che l’orizzonte spirituale dell’umanità di oggi è molto ristretto.
Per quanto l’uomo d’oggi si gonfi, per quanto si dia delle arie nei riguardi del suo orizzonte spirituale, esso rimane tuttavia molto limitato. Questa ristrettezza si mostra soprattutto nel fatto che, normalmente, l’uomo d’oggi ha straordinarie difficoltà a uscire da sé in relazione a certe cose. Questo influisce non solo sulle sue capacità di comprensione, ma anche su tutte le sue simpatie e antipatie.
Vi indico un fatto – che in quanto tale è già conosciuto da molti di voi, almeno per quanto riguarda i suoi effetti – che ho già evocato e che ora vi ricordo di nuovo. Sapete che alcuni anni fa ci fu una relazione fra la “Società teosofica” e le persone che oggi formano la “Società antroposofica”.
Proprio con membri autorevoli della Società teosofica ho sperimentato qualcosa di strano. Già all’inizio di questo secolo, come sapete, ho pubblicato comunicazioni che provenivano dalla “cronaca dell’invisibile”,[6] e sulle quali posso dire, come lo posso affermare anche per tutte le altre cose che comunico sul mondo spirituale, che si basano sull’esperienza personale.
Quando queste comunicazioni vennero lette da un autorevole membro della Società teosofica, questi non poteva capacitarsi che ci fosse qualcosa di simile. Mi venne chiesto: “In che modo vengono indagate queste cose?” e non era possibile farsi capire, perché era del tutto sconosciuto, in quell’ambito, il metodo scientifico di ricerca, che è quello giusto per il nostro tempo. Si era soliti indagare con metodi medianici, attraverso un medium. Si pretendeva da me che indicassi il medium che aveva reso accessibili le comunicazioni della cronaca dell’akasha.
Che davvero mediante una certa condizione animica umana si possa entrare nel soprasensibile per via di percezione immediata era ritenuto impossibile. In queste cose si rivela una certa ristrettezza di orizzonti. Anche in un ambito così importante si riteneva possibile solo ciò che era abituale, che si conosceva già.
Ho portato questo esempio proprio perché non si può accedere alla scienza dello spirito se si è gretti. Ma oggi, nella vita di tutti i giorni, questa meschinità è la norma: tutto viene ricondotto a ciò che è personale, a ciò che è familiare. Su questo dovrebbero in prima linea riflettere coloro che abbracciano il nostro movimento scientifico-spirituale.
Miei cari amici ora dirò qualcosa che forse non avrebbe bisogno di essere detta se si presentassero le cose in modo interiormente sistematico, ma che è invece necessario dire nell’ambito delle relazioni esteriori della vita.
Coloro che si occupano con più esattezza del nostro movimento sanno già quanto vengono criticate le sue fonti, quanto osteggiate e, da alcuni, perfino odiate, i quali dapprima erano stati bravi membri. Ho già parlato di questo dai più diversi punti di vista la volta scorsa. Non è superfluo chiarirsi da ulteriori punti di vista i motivi di tale animosità. Ho già accennato la volta scorsa ai motivi di tale ostilità.
Particolarmente intense diventano le loro critiche soprattutto quando chi le esprime appartiene a qualche società segreta. L’odio che i loro membri sviluppano contro la scienza dello spirito rappresentata è talvolta veramente pronunciato e assume, a volte, forme grottesche. Non è superfluo, miei cari amici, guardare a queste cose, perché dobbiamo prestare attenzione in piena serietà a tutto ciò che ci viene incontro, in quanto appartenenti a questo movimento.
È proprio vero: nulla viene portato nel mondo in modo tanto ciarlatanesco come quel che viene esposto delle realtà spirituali da parte di confraternite di ogni tipo. Per questo motivo è ovvio che venga accolto con sospetto quel che si presenta come movimento scientifico spirituale, perché davvero troppa ciarlataneria circola nel mondo. Chi lo desidera può trovare poi facilmente approvazione quando dice: “Sì, è comparsa una Società che ha affermato di voler diffondere nel mondo la saggezza e poi si è scoperto che diffondeva solo ciarlatanerie. Poi è sorta un’altra Società ed è successa la stessa cosa”. Questo deve essere ammesso: di simili ciarlatanerie è pieno il mondo. Perciò si deve avere la capacità di distinguere fra ciò che è vero e ciò che è ciarlataneria.
Ma può presentarsi anche un caso diverso. Per esempio può comparire una certa insicurezza nell’anima e presentarsi in questo modo: una persona di questo tipo viene a conoscenza di ciò che facciamo qui. Se egli ora non ha una comprensione aperta, se persegue scopi personali, allora può arrivare a un conflitto interiore. Può indicare tutti i pericoli e dire a se stesso: “Guarda un po! Ho già sentito parlare così spesso di società segrete o simili. Ma lì non ho mai sperimentato la conoscenza, la vera conoscenza. Si parla di ogni tipo di risultati e si rimanda ai libri dove essi sarebbero contenuti, ai rituali dai quali attingere, ma nessuna vera conoscenza scaturisce da quegli ambienti. Quel che si chiama Antroposofia[7] sarà forse qualcosa di simile a tutto ciò, oppure è qualcosa di diverso?” e così si cade in uno stato di dubbio, di inquietudine interiore.
Detto in modo banale se non si afferra ciò che qui real-mente vive, allora si è portati a chiedersi: sarà forse lo stesso tipo di imbroglio che per me, a dir il vero, è gradito perché non mi chiede troppo?
Miei cari amici: le cose che vado dicendo non sono così irreali. E prima di tutto vengono dette a partire dal fatto che voglio indicare la necessità di essere seri, dignitosi, capaci di discernimento, come ho spesso detto, affinché non sopraggiunga la cosa spiacevole – e succede spesso – che la reale vita spirituale ci stia attorno, mentre noi si preferisce avere “il discorso” sulla vita spirituale, perché è più comodo.
Proprio il fatto che è vero ciò che ho ribadito nel mio libro Teosofia, e cioè che vengono esposte solo esperienze spirituali, proprio questo evoca molte opposizioni. Quella della Società teosofica è sorta nel momento in cui i suoi esponenti si resero conto che io intendevo parlare di reali esperienze spirituali.
Di questo non se ne voleva sapere. Si preferiva avere gente che ripetesse ciò che veniva trasmesso, e lo facesse con un certo fervore. Ma un’autonoma ricerca spirituale era il peccato grave contro lo Spirito santo della Società teosofica. Quest’autonoma ricerca spirituale non ha neanche oggi vita facile in questo mondo. Per questo l’ho ripetuto ancora, concludendo la mia esposizione.
Sarà necessario che voi, miei cari amici, prestiate attenzione proprio a queste cose in modo sano ma anche con estrema serietà. Il momento attuale è serio e perciò deve essere serio ciò che noi, quale medicina per il nostro tempo, vogliamo accogliere dai mondi spirituali.
Domani continueremo a parlarne.
DAL LAVORATORE ALL’UOMO
Pensieri forti per “correggere” la schiena
Stoccarda, 8 giugno 1919
Miei cari amici!
Parlare oggi della Pentecoste come si è soliti fare nel nostro tempo mi sembra un’azione non cristiana rispetto alla gravità del momento, anche se attualmente queste azioni poco cristiane sono all’ordine del giorno.
Eppure, tutto quello che è stato detto nei giorni scorsi per rinnovare il nostro sistema educativo e scolastico da parte di quelli che si riconoscono seriamente nel nostro movimento per la triarticolazione sociale[8] proviene proprio dallo spirito della festa di Pentecoste. Infatti nel rendere autonoma la vita spirituale, nel renderla auto amministrata si esprime il più importante spirito pentecostale del nostro tempo, proprio quello che da tanto tempo è scomparso nelle correnti religiose confessionali del nostro tempo.
Noi vogliamo sperare che proprio dalla emancipazione, dalla liberazione della vita culturale cui noi aspiriamo scaturisca il suo rinnovamento, di cui l’umanità ha così tanto bisogno.
Ciò che oggi deve accadere nel nostro sistema scolastico per rinnovare la vita spirituale, per la discesa del vero spirito pentecostale del presente, può scorgerlo solo chi sappia formarsi un giudizio su come si sia diffuso dappertutto nella vita sociale uno spirito anti-pentecostale, e come lo si ritrovi nei cosiddetti rapporti spirituali tra uomini.
Quando si dicono queste cose, così come van dette nel nostro tempo a partire dai fondamenti scientifico-spirituali, oggi si può perfino – e quest’ultimo termine lo sottolineo tre volte – sentire l’accusa: in questi discorsi non compare mai la parola “tedesco” e neppure la parola “Cristo” o “cristiano”. Miei cari amici! Se non troviamo in noi lo spirito per controbattere una simile ciancia, vuol dire che non abbiamo ancora riconosciuto l’essenza della concezione del mondo scientifico-spirituale. Tali fandonie, infatti, sono frutto della nostra stravolta educazione umana e sociale. In queste chiacchiere vive la stortura della nostra anima causata dall’educazione.
Ne deriva come prima cosa la necessità di capire la relazione che c’è fra queste sciocchezze assurde del nostro tempo e i processi educativi sbagliati. Capire ciò rappresenta la ripartizione delle lingue di fuoco e la loro discesa su ognuna delle teste dei nostri contemporanei.
Spesso nel nostro tempo si dice che non si deve prestare molta attenzione alla “parola”, perché “in principio c’era l’azione”. Miei cari amici, un tempo come il nostro userà questo argomento solo in modo falso. Perché nel nostro tempo
• la parola è diventata frase vuota e
• l’azione è diventata brutalità priva di pensiero.
Per un tempo come il nostro è comodo allontanarsi dalla parola perché in essa, così come oggi la si sente usare, risuona soltanto la frase vuota, mentre nell’azione si riconosce solo brutalità priva di pensiero.
C’è una profonda relazione tra la nostra educazione, il nostro percorso scolastico e i fatti che ora ho indicato. Portiamo in noi le duplici sorgenti di una umanità balorda:
• una grecità fraintesa e
• una romanità stravolta
Non sappiamo collocare la grecità nel suo tempo e nel suo luogo, così com’era. Non capiamo come le nobili personalità di Socrate e di Platone avessero compiuto tutti gli sforzi possibili per strappare i Greci dalla loro irresistibile tendenza all’illusione. Il greco era costituito in modo tale da sentire continuamente l’impulso a staccarsi dalla serietà della vita per rifugiarsi nell’illusione priva di senso, cercando in essa la sua felicità. I grandi maestri greci, Socrate e Platone, hanno dovuto con estremo rigore portare l’attenzione alla realtà dello spirito perché i Greci non ricadessero sempre di nuovo nei loro errori di popolo, nei loro pregiudizi di razza: sentirsi beati nell’illusione e sfuggire dalla serietà della vita.
I Greci hanno tollerato che Socrate parlasse loro della serietà della vita solo fin tanto che quel bighellone gli sembrò non pericoloso. Ma quando hanno cominciato a capire quanta serietà ci fosse nelle parole di quel fannullone di Socrate, allora lo hanno avvelenato.
Noi non abbiamo in noi, come uomini del nostro tempo, lo spirito di serietà di Socrate. Preferiamo far nostro quello spirito greco che ha avvelenato Socrate, e ci sguazziamo dentro. Permettiamo perfino che quella perla della letteratura universale che è il Vangelo di Giovanni, venga avvelenato fin dalle sue prime righe, perché come dice l’Antico Testamento dove l’uomo fa piombare la parola entro la sua illusione, permette che cielo e terra siano distrutti, perché qui la “parola” viene presa, letteralmente, vuota di contenuto.
Miei cari amici! “In principio era la Parola” – così comincia il Vangelo di Giovanni. L’uomo di oggi è felice di trovare qui il termine “parola”, perché lo intende nel suo odierno senso svuotato. Invece qui c’è qualcosa che può spazzar via tutte le illusioni che conducono l’uomo alla frase vuota. “Il cielo e la terra” delle nostre illusioni precipitano, se sappiamo prendere seriamente la verità del “Logos” (della Parola) che si trova in quel versetto.[9]
La nostra civiltà è riuscita ad offuscare la serietà della vita edulcorandola con la mistica oppure brutalizzandola con l’azione. Questo è ciò che oggi dobbiamo innanzitutto riconoscere e ammettere.
Oggi dovremmo espellere dalla nostra anima con l’educazione dei primi anni e poi con l’istruzione scolastica – e proseguire poi fino ai gradi più alti – dovremmo imparare a togliere dall’uomo ciò che volevano levarvi anche Socrate e Platone, quando rivolgendosi ai Greci dicevano: “Preservatevi dalle illusioni. Lo spirito è qualcosa di reale, nell’idea c’è realtà, e non quello che come frase fatta e illusoria voi volete vedere nell’idea”.
Non facciamo passi in avanti se continuiamo a cianciare di etica e di religione. Perché il Vangelo stesso è un fatto reale in seno al divenire cosmico. Oggi, invece, anche il Vangelo è diventato una chiacchiera. Ne è derivato un agire brutale, privo di pensieri. Noi dobbiamo invece accogliere nella nostra anima ciò che realmente ci ricolma di spirito quando parliamo.
Dobbiamo fare in modo che il cuore partecipi a quel che dicono le labbra. Dobbiamo portare ad espressione tutto l’uomo quando parliamo, altrimenti la parola diventerà educatrice d’illusione, porterà a una comoda fuga dalla serietà insita nella realtà.
Dobbiamo dire addio a quello spirito che ci fa entrare in chiesa per strapparci dalla serietà della vita e lasciarci cullare da pensieri comodi del tipo: “Il buon Dio metterà tutto a posto, vi libererà da tutti i vostri mali”.
Dobbiamo trovare in noi quelle forze che sono le forze divine nelle nostre anime stesse. Vi sono state deposte dal divenire cosmico perché noi le usiamo e possiamo così accogliere il divino nelle nostre anime, e non soltanto lasciarci parlare di un Dio là fuori così che la nostra anima si sdrai in una comoda quiete su un farisaico sofà come amiamo tanto fare quando si tratta della vita spirituale.
Il nostro sistema scolastico deve andare oltre a quella che ancora oggi dobbiamo ormai chiamare frase vuota basata solo sulla tradizione antica, greca o romana che sia.
Per la romanità era giusto quello che ancora oggi il nostro tempo adora come lo spirito della legge. Perché allora era giusto? La leggenda della fondazione di Roma contiene una grande verità: si aveva a che fare con bande di predoni e si doveva combattere contro i loro istinti brutali, più animaleschi che umani. Ecco a cosa serviva la legge: per domare delle “bestie” selvagge.
Dobbiamo però riflettere sul fatto che siamo diventati “uomini” e non dobbiamo più adorare quello spirito delle leggi, che era giustificato nei confronti degli istinti della romanità proprio per contenere quelle selvagge passioni più bestiali che umane. Ma quel che noi dobbiamo conservare dello spirito romano del diritto e che opera ancora dentro di noi, è proprio questo suo contributo a non lasciare agire in libertà le selvagge passioni umane.
Le persone dicono di non sentir mai risuonare nelle conferenze che vengono tenute la parola “cristiano”. Ma dimenticano sempre una vera parola cristiana, una parola di San Paolo che dice: “Il peccato è venuto in forza della Legge, non la legge mediante il peccato. Se non ci fosse la legge il peccato sarebbe morto”.[10]
Questo forse può anche non valere per il nostro tempo, perché gli uomini non sono più cristiani. Ma la parola di Paolo ha un senso profondo che va compreso. Questo è cristiano: il fatto di strappare allo Stato, che è diventato per noi contemporanei l’ente che può e fa tutto, e questa è eredità della romanità, proprio la vita spirituale e quella economica che debbono potersi organizzare autonomamente.
Gli uomini non vogliono lo spirito cristiano. Per questo motivo preferiscono venire consolati con frasi fatte dove ricorre quel termine. E lo stesso dicasi per il termine “tedesco”.
Lo spirito tedesco è ben all’opera in Goethe. Il nuovo spirito dell’Europa centrale non è più tedesco e ha il suo illuminato rappresentante in quello scienziato berlinese che ha detto davanti ai suoi colleghi accademici: “L’onore di questi signori, che sono le odierne guide spirituali della società, consiste nel fatto di sentire se stessi quali truppe di difesa scientifica degli Hohenzollern”.[11]
La stessa persona che ha detto queste cose ha scientificamente tenuto un discorso secondo le regole moderne, e cioè riempiendolo di frasi fatte, su Goethe senza fine. Di fatto in quel discorso ha frantumato lo spirito scientifico di Goethe. Ha avuto il cattivo gusto di dire che “Goethe avrebbe fatto meglio a presentarci Faust come lo scopritore della pompa ad aria e il marito di Gretchen, invece di essere quello che è stato”.
Questo è il nuovo spirito tedesco, quello che ha messo sotto i piedi il vero spirito tedesco che non ha sempre sulle labbra la vana parola “tedesco”; questo nuovo spirito è esattamente come il nuovo spirito cristiano, che di cristiano non ha proprio più niente se non il nome, e che ripete spesso e vanamente la parola “Cristo” dimenticandosi del comandamento: “Non nominare il nome di Dio invano”.
Si dovrebbe sentire ciò che è cristiano e non essere costretti a sentire sempre delle ciance sul cristianesimo. Questo è oggi lo spirito pentecostale!
Non si può dire, oggi, che se questo spirito pentecostale non viene custodito e curato cada facilmente su terreno fertile. Si ha occasione di vedere come venga misconosciuto a destra e a sinistra. Non è questa una chiarissima dimostrazione – se posso scendere, per un istante, dall’altezza delle considerazioni alla vita di tutti i giorni – dello spirito del nostro tempo, così come si presenta realmente?
Il nostro movimento per la triarticolazione sociale si propone di tradurre in realtà una direttiva importante. Per farsi capire si appoggia alle parole usate da una personalità che parla di socializzazione, parole che si possono usare benissimo in questo contesto, che possono essere citate se questi germi di pensiero diventassero fatti, perchè avrebbero lo stesso significato che gli attribuiamo noi.
Cosa accade, invece? Che da parte di colui che le ha pronunciate viene combattuto radicalmente quel che ne dovrebbe derivare quale azione. Per l’interiorità dell’uomo tutto questo cosa significa? Significa: “Guai a voi se prendete le nostre parole come realtà e non come vuota frase! Nel momento stesso in cui le prendete sul serio diventate nostri nemici”. Così ha operato l’educazione dei tempi recenti nelle scuole statali. E questo è solo un aspetto del problema.
Dall’altro lato abbiamo il cortese enunciato: “Siamo completamente d’accordo con quel che propone Steiner per combattere il capitalismo. Con i pensieri della sua triarticolazione dell’organismo sociale siamo perfettamente d’accordo. Ma lo combattiamo perché non vogliamo che sia un ‘visionario’ a dirci queste cose”.
Ci sarebbero ragioni sufficienti per chiedersi: cosa si può fare in un tempo che, in questo modo, non accetta se non vuote frasi oppure azioni brutali prive di pensiero, e nega tutto ciò che non si conforma a questi due modi di fare sebbene porti in sé il germe della vera realtà dell’uomo?
Perché non sorga il bisogno di pensare si tira in ballo la “lotta di classe”, una realtà priva di pensiero. Perché i propri pensieri non diventino realtà si finisce per pronunciare le frasi più belle. E se poi altre persone le prendono sul serio, allora le si combatte fino all’ultimo sangue.
Questa domanda deve penetrare nel nostro cuore: gli uomini generati da un simile spirito hanno ancora il diritto di sciacquarsi la bocca con frasi così belle sul miracolo della Pentecoste?
Miei cari amici! La sbrodolatura dedicata al miracolo della Pentecoste scaturisce dalle medesime ghiandole che secernono il veleno spruzzato su tutto quello che riguarda lo spirito, mentre si preferiscono le frasi vuote, prive di sostanza, nonché le azioni brutali, prive di ragionamento.
Le frasi prive di sostanza sono diventate le chiacchiere religiose del mondo.
Le azioni brutali e prive di spirito sono diventate militarismo, il male fondamentale del nostro tempo.
Finché non si riconosce che queste due realtà scaturiscono da un’educazione sbagliata impartita nelle scuole non si potrà pensare nulla di fruttuoso su quel che deve accadere. Tutto il resto è ciarlataneria.
Miei cari amici! Bisogna partire dalla realtà per fare le cose che vanno fatte. Perché la realtà porta in sé lo spirito, e ogni negazione dello spirito conduce, nella realtà, al non senso e all’assurdità.
Ma quando qualcuno tenta di portare l’attenzione sulla realtà spirituale allora è un “illuso”, è un “visionario”. Così viene catalogato nel nostro tempo, perché nelle cerchie più vaste manca del tutto il sentimento per la realtà vera.
Paragonare l’organismo sociale con l’organismo umano o con un altro organismo è diventato, nel nostro tempo, una frase fatta, di poco conto. Se in questo campo non si vuol parlare in questo modo, allora bisogna appellarsi ai fondamenti che ho fornito nel mio libro Enigmi dell’anima. Che senso avrebbe parlare oggi della triarticolazione dell’organismo sociale se prima non venisse indicato il fondamento di questa triarticolazione nell’organismo umano stesso, a sua volta triarticolato in sistema dei nervi e dei sensi, sistema ritmico e sistema del ricambio? Questa è una reale conoscenza scientifico-naturale che deve essere posta di fronte agli uomini. Ma per loro è più comodo attenersi alle rappresentazioni scientifiche che sono state loro inculcate durante gli anni scolastici, invece di correggerle a partire da quanto emerge dalla vera realtà.
C’è un’altra orribile rappresentazione nella scienza odierna creduta dogmaticamente da tutti. Questa scienza partecipa all’adorazione feticistica di tutto ciò che nel nostro tempo scorre quale “alta cultura”. Come potrebbe non farlo soprattutto quando vuole esprimere qualcosa di particolarmente misterioso?
Così per la scienza il sistema nervoso, tutta l’attività neurosensoriale, è un insieme di linee telegrafiche, una complessa rete di linee telegrafiche.
L’occhio o la pelle percepiscono. Poi, mediante i nervi sensori, queste percezioni vengono inviate alla stazione telegrafica del cervello che così percepisce quel che è stato sperimentato all’esterno. Lì nel cervello c’è un qualcosa – naturalmente non un essere spirituale, perché la scienza nega queste cose – c’è un “essere” che è diventato vuota frase che trasforma il percepito mediante i nervi “motori” così da trasformarlo in impulsi di volontà. Questa distinzione fra nervi sensori e nervi motori viene inculcata nei giovani studenti, e su questa erronea distinzione viene poi costruita tutta la concezione dell’uomo.
Da anni combatto contro l’assurda distinzione tra nervi “sensori” e nervi “motori”. È un’assurdità, perché i cosiddetti nervi motori non compiono nulla di differente rispetto a quel che fanno i nervi sensori. Un nervo sensore, un nervo dei sensi, funziona da strumento per percepire quel che avviene nella nostra organizzazione dei sensi. Un cosiddetto nervo motore non è affatto un nervo motore: è anch’esso un nervo sensore. Solo che il suo compito è quello di permettermi di percepire il muoversi delle mie mani, come qualunque altro movimento, che è causato da tutt’altro che dai nervi motori. Questi ultimi sono nervi sensori interni che mi permettono di percepire le mie proprie decisioni volitive.
Affinché possa percepire ciò che il mio sistema dei sensi mi trasmette ci sono i nervi sensori. E affinché io non resti ignoto a me stesso mentre cammino, colpisco o afferro, affinché mi renda conto di tutto questo, ci sono i cosiddetti nervi motori che non mettono affatto in moto la volontà, ma permettono soltanto di percepire quel che la nostra volontà stessa attiva in noi.
Tutto ciò che è stato elaborato al riguardo dalla scienza moderna, dalla contorta razionalità del nostro tempo, è veramente un’assurdità scientifica. Questo è un motivo per cui da anni la combatto.
C’è poi anche un altro motivo per cui questa assurdità va sradicata, questa superstizione dei nervi sensori e motori, fra i quali non c’è alcuna differenza se non che i nervi sensori servono a percepire ciò che è esterno, mentre gli altri sono ugualmente sensori e servono a percepire ciò che succede nel proprio corpo. Il secondo motivo è il seguente.
Nessuno, nell’ambito delle scienze sociali, potrà conquistarsi una giusta comprensione della relazione dell’uomo col lavoro se forma i suoi concetti partendo dalla falsa distinzione tra nervi sensori e nervi motori.
Scaturirebbero curiosi concetti sulla realtà del lavoro umano se qualcuno chiedesse: “Cosa succede veramente nell’uomo quando lavora, quando mette in movimento i suoi muscoli?” e non avesse alcuna idea del fatto che il mettersi in movimento dei muscoli non parte dai cosiddetti nervi motori, ma dall’immediato vivere dell’anima nel mondo esterno.
Posso soltanto accennare a questo quesito, perchè oggi, in questo ambito, mancano anche i concetti più elementari. Le persone non capiscono queste cose anche perché il sistema scolastico non ha ancora fornito i concetti elementari per capire questi processi, e continua imperterrito con l’assurda distinzione fra nervi sensori e nervi motori.
Se interagisco con una macchina lo devo fare con tutto il mio essere. Devo dapprima stabilire un relazione fra me come uomo e la macchina. Questa è la relazione su cui si basa fondamentalmente il lavoro umano. Deriva da questa relazione il valore sociale del lavoro, dal rapporto del tutto particolare fra l’uomo e gli strumenti del suo lavoro.
Con quale concetto di lavoro operiamo oggi? Quel che succede nell’uomo quando si dice che “lavora” non cambia se lui s’affaccenda attorno a una macchina, oppure spacca legna, oppure pratica uno sport per la propria soddisfazione. Può infatti usare altrettanta forza lavoro per praticare uno sport socialmente superfluo quanta può usarne per altri lavori che, invece, sono socialmente utili.
L’illusione sulla differenza fra nervi motori e nervi sensori sta anche nel fatto che trattiene psicologicamente gli uomini dal creare un concetto esatto del lavoro, il che può essere fatto solo se non ci si limita a considerare il logorìo che l’uomo sperimenta, ma anche come si pone in relazione con l’ambiente sociale che lo circonda.
Credo che non riusciamo a farcene un concetto adeguato perché quelli che in questo ambito abbiamo ricevuto dalla scuola sono del tutto sbagliati, e dovrà passare del tempo prima che si superi l’attuale concetto di lavoro, socialmente insensato, basato sulla “scientificamente” falsa distinzione fra nervi sensori e nervi motori.
Questo è anche il motivo per cui noi pensiamo in un modo così poco pratico. Come può infatti l’umanità pensare praticamente sulla realtà quando parte dall’idea insulsa secondo la quale dentro di noi opera un apparecchio telegrafico nel quale i fili vanno verso il cervello (nervi sensori) e da lì vengono trasformati in altri fili (nervi motori)? Dal nostro stravolto sistema scolastico scaturiscono conoscenze non scientifiche che si diffondono anche grazie alla peste dei giornali fra il vasto pubblico, e rendono impossibile un pensare davvero sociale.
Questo è quello che dobbiamo riconoscere quale spirito pentecostale, e come sarebbe meglio se le singole lingue di fuoco scendessero sugli uomini d’oggi per correggere questo o quello di ciò che oggi viene pensato in modo abborracciato.
Se oggi si dice che l’umanità deve cambiare completamente il suo modo di imparare e di pensare, per lo più le persone intendono questo pensiero alla stregua delle frasi vuote che vengono dette di solito, perché ovviamente gli uomini tendono a trasformare in frase vuota tutto quello che viene detto.
Non c’è forse differenza se un redattore qualsiasi dice: “L’umanità deve capovolgere il suo modo di pensare”, oppure se si dice la stessa cosa a partire dalla consapevolezza del fatto che fin nella più profonda interiorità l’umanità di oggi è abituata a pensare falsi pensieri imposti dall’autorità che obbliga a credere fermamente nella distinzione fra nervi sensori e nervi motori?
Questo sarebbe il compito della Società antroposofica: far capire a tutti che quando si parla di cambiare il modo di pensare e lo si fa a partire dalle premesse del movimento scientifico-spirituale, allora si parla attingendo dalla realtà, e si parla della realtà in modo diverso.
Il discorso vuoto, la frase fatta oggi ha tanta forza che chi non ha la capacità di distinguere tra la realtà e la parola senza sostanza può arrivare a dire: guarda che anche nell’articolo di fondo del giornale di oggi si parla di cambiare radicalmente il modo di pensare.
Ma oggi non si tratta di mettere a confronto delle parole, perché così facendo ricadremmo di nuovo nelle frasi fatte. Oggi dobbiamo afferrare la realtà e stare ben attenti a non cadere in frasi fatte.
Molte volte ho dovuto, controvoglia, assumere atteggiamenti negativi quando mi sentivo rimbalzare parole come queste: “Perfino dal pulpito abbiamo sentito una predica che sembrava fatta a partire dalla scienza dello spirito”. Queste cose sono le peggiori, perché mostrano quanta poca capacità di discernimento ci sia che sa distinguere fra una conoscenza reale e un comodo abbandonarsi a frasi fatte.
La festa di Pentecoste dovrebbe una buona volta spronare gli uomini ad abbandonare le frasi fatte per occuparsi della realtà.
Nel campo della scienza, dell’arte e della religione attualmente risuonano soltanto frasi fatte che si fermano in gola e non afferrano tutto l’uomo, e questo perché l’uomo ha fede nel fatto che le sensazioni che gli trasmettono i suoi sensi vanno a finire da qualche parte nel cervello e non afferrano il suo apparato motorio.
Ci sono dei nessi molto precisi che legano tutte queste cose. Prima che la completa trasformazione del nostro tempo afferri anche quelle abitudini di pensiero che sono state formate dall’autoritarismo scientifico di oggi, dal papato scientifico, si potrebbe dire, fino a quel momento non ci sarà alcun reale rinnovamento. Ogni altro tipo di riforma proviene dalla superficie e non da dove dovrebbe provenire: dalla vera interiorità.
Se si deve davvero riformare il nostro sistema scolastico si deve prestare attenzione, mediante le cose che sono state trattate qui, a proteggere le persone da quello che così facilmente fluisce nell’umanità di oggi e che porta in sé il retaggio della civiltà romana.
Deve essere combattuta la tendenza all’illusione, l’amore stesso per l’illusione così diffuso nell’umanità di oggi.
L’uomo odierno si sente beato quando si lascia illudere rispetto alla realtà, quando può dirsi: “Non voglio il Cristo all’opera in me, che sollecita e rinvigorisce le mie proprie forze; preferisco un Cristo che senza di me in virtù della sua grazia mi libera dai peccati, senza che io vi concorra minimamente con la mia forza”.
Miei cari amici! Sempre di nuovo in numerose lettere mi viene presentata questa fede in Cristo contrapposta a quel che la scienza dello spirito deve e vuole fare. Innumerevoli volte ho riscontrato negli uomini il desiderio che preferisce le frasi fatte “popolari”, perché gli uomini capiscano, invece di presentare la realtà dello spirito in modo preciso come deve essere fatto oggi.
Eppure nel momento in cui le verità scientifico spirituali venissero presentate in forma di frasi fatte, la scienza dello spirito diventerebbe proprio quel che oggi è così in voga: un’insieme di parole vuote che comunicano soltanto sciocchezze del mercato, oppure banalità della scienza.
Vengo continuamente sollecitato a fare sia l’uno sia l’altro, e ho fatto di tutto per evitare entrambe queste tentazioni, quella di rendere la scienza dello spirito “popolare”, oppure di parlare in modo che gli uomini di scienza di oggi capiscano. Spesso sono stato sollecitato ad andare in queste due direzioni.
Avrei dovuto parlare in modo da trovare ascolto presso l’astrusità della scienza attuale. Invece io preferisco che le persone si comportino come quel professore di Tubinga, che lo fece seguendo il sentimento scientifico attuale. Mi sembra meglio che ci sia verità nel modo di agire, perché simili atteggiamenti sono la prova migliore di quanto la vita culturale abbia bisogno di essere cambiata di sana pianta.
Questo vale particolarmente quando si vuole trovare l’accesso verso l’autentico spirito pentecostale, che fa passare dalle ciance alle parole che hanno in sé sostanza. Allora ci si dovrà proibire di portare le anime continuamente alle antiche abituali rappresentazioni per capire quel che non si vuole capire con le nuove rappresentazioni, quel che con le vecchie chiacchiere può venir sproloquiato ma non di certo capito.
Non ha un gran senso ascoltare dalla bocca dei borghesi qualcosa che ha il valore delle parole di oggi, soprattutto là dove si dice che certi ambienti proletari capiscono molto meglio della borghesia quello che va detto a proposito della triarticolazione dell’organismo sociale. Si vorrebbe invece dire: “Abbiate anche voi questa buona volontà, cari borghesi!”
Il lavoratore ovviamente ride di questo appello alla buona volontà dei borghesi, perché è vero che lui è in grado di capire certe cose meglio del borghese, e le capisce anche a partire da una tutt’altra base esistenziale. Ride quando si dice che ci si deve appellare alla buona volontà della borghesia perché capisca, soprattutto quando ci si aspetta qualcosa da tali appelli.
Perché lui sa benissimo che la sua migliore capacità di comprensione deriva da qualcosa di completamente diverso: se domani lui cessa di lavorare finisce sul lastrico. È congiunto solo in un punto, per così dire, con l’ordine sociale, non su tutta la linea come il borghese burocratizzato. Parla a partire dalla sua umanità, perché l’odierno ordine sociale ha fatto sì che lui abbia soltanto interessi umani. Infatti di lui resta semplicemente l’uomo se domani viene gettato sul lastrico. Da questo sorge la sua migliore capacità di capire!
Lo Stato si prende cura il più presto possibile del borghese, soprattutto del futuro funzionario statale. Non troppo presto, però, perché sarebbe una cosa igienicamente non troppo pulita farlo fin dai primissimi anni, e allora si preferisce lasciarlo nelle mani della mamma o della bambinaia. Ma appena ha finito di farsela addosso, subito il bambino finisce sotto la tutela dello Stato che lo addestra a diventare non tanto un uomo quanto un buon funzionario pubblico.
Tesse le fila in modo che non sia connesso con l’ordine sociale solo in un punto come l’operaio, ma mediante un insieme di legami, mediante la totalità dei suoi interessi l’individuo venga collegato all’ordine sociale esistente e mantenuto dallo Stato. Lo si prepara in modo che in tutto il suo comportamento divenga la giusta espressione di quell’ordine sociale.
Gli si dà da mangiare, e allora è contento. Non ci si limita al cibo: ci si cura di lui in modo che lui non debba più preoccuparsi di sé. Quando non può più lavorare lo Stato gli procura una pensione, così che senza la sua collaborazione venga mantenuto da quell’istituzione di cui è stato fedele espressione. E va avanti così fino alla morte.
Poi di lui continua a preoccuparsi la religione, la quale non gli propone una salvezza che dipende dalle forze interiori dell’anima, no, ma da una “Grazia” che viene da fuori. Si fa in modo che l’anima venga “pensionata” anche dopo la morte.
Questo è il vero contenuto della saggezza politica e della saggezza religiosa. Perciò non c’è da meravigliarsi che l’uomo sia così legato agli interessi politico-religiosi dai quali è così dipendente.
Questi sono gli schieramenti sociali: un certo interesse da una parte e un tutt’altro interesse dall’altra.
E l’interesse dell’altra parte fa sì che un certo numero di persone aspiri a ciò cui tende l’umanità nel periodo dell’anima cosciente,[12] di cui ho spesso parlato: a porsi sul terreno della singola individualità. L’operaio ha per primo la possibilità di porsi sul terreno dell’individualità per il semplice fatto che non ha avuto la possibilità di porsi sull’altro terreno. Infatti quanto più vi si integra e tanto peggio è per lui.
Sull’altro versante abbiamo infatti persone che vengono sistemate ai loro posti in modo analogo dal proletariato: sono i funzionari sindacali. Anche se chiamano in altro modo le loro cariche, fanno propri i modi di fare degli altri e combattono contro tutto ciò che minaccia le loro posizioni finendo così per mimetizzarsi, passo dopo passo, nelle abitudini della borghesia.
Nel mondo operaio si parla oggi di “sindacalismo”. In Inghilterra circa un quinto di tutti gli operai sono organizzati in sindacati: una quota relativamente alta. Ne consegue che l’attuale proletariato inglese è di fatto cresciuto pienamente inserito nello spirito e nell’organizzazione della borghesia. In Germania gli iscritti a un sindacato sono soltanto un ottavo, gli altri sono lavoratori non organizzati.
Questi ultimi sono oggi quelli che possono contare sulla loro personalità. Sono le forze portanti assieme a quelli che, per quanto inseriti nelle loro organizzazioni, hanno salvato la loro coscienza individuale, sanno cosa significhi rimanere uomini e non venire arruolati per tutta la vita fisica, poi pensionati ed infine ripensionati anche per la vita dell’anima dopo la morte.
Quelle persone che esternamente, economicamente possono contare solo sulla propria individualità hanno, come dire, l’indole interiore adatta per ciò che vuole emergere in tutta l’umanità e fa sì che le esigenze del lavoratore odierno siano esigenze universali.
Il nuovo tipo di struttura economica ha costretto i lavoratori nelle fabbriche e nel capitalismo, dove gli è più facile comprendere quali siano le esigenze del nostro tempo rispetto a quel che possono capire i borghesi legati con tutta la vita alle loro sicurezze e alle loro pensioni, e che non vogliono pensare a nulla.
Se il borghese pensasse davvero, se comprendesse davvero quel che succede nel nostro tempo, non capiterebbe che un professore di Tubinga parlasse sulla falsariga di quel signore che in una discussione sosteneva: lei dice che quando un operaio riceve una paga per il suo lavoro viene anche seppellita la sua dignità umana. Non succede così anche col cantante di successo, con Caruso? Non viene pagato anche lui per il suo lavoro, sebbene in una sola serata guadagni molto di più di un operaio, dai trenta ai quarantamila marchi? Oppure sarebbe meglio che non venisse pagato? – proseguiva quel bravo signore e concludeva che lui non si sentiva certo menomato nella sua dignità umana quando andava ad incassare lo stipendio del suo lavoro. Come certo succedeva anche a Caruso con le migliaia di marchi.
Questo era il succo del discorso, e alla fine diceva: “C’è solo una piccola differenza nell’entità del guadagno, nel senso che uno riceve di più e l’altro di meno, ma sostanzialmente tutti vengono pagati per il loro lavoro”.
Miei cari amici! Questo è lo spirito che scaturisce dall’attuale sistema educativo. Ed è il medesimo che afferma: “Noi diventeremo un povero popolo, non potremo più pagare la scuola. Allora dovrà intervenire lo Stato a pagare la scuola”.
Chi riflette spregiudicatamente non può che obiettare: “Sì, ma se tutti sono poveri come farà lo Stato a diventare un re Mida che trasforma in oro tutto ciò che tocca, così da pagare i debiti che noi tutti insieme non siamo in grado di pagare?” Lo Stato raccoglie sotto forma di tasse le sue entrate. Non può fare miracoli se la gente non ha nulla.
Ma quella classe di persone non l’ha ancora capito. Questo è ciò che dovrebbero cominciare a capire quelli che ricevono dallo Stato quei mezzi di sussistenza che provengono dalle tasche di quelli che anche economicamente non hanno altro che la propria individualità. Ma finché le persone non capiscono queste cose, costretti dalle strettoie della vita, non c’è modo di farglielo entrare in testa.
Così a me sembra che un gran numero di persone oggi semplicemente voglia far sorgere un’epoca nella quale si potrà ricevere la lezione di finire sul lastrico per il fatto che non si vuole instaurare un ordine sociale diverso a partire dalla forza dei pensieri.
Potrebbe infatti succedere che le pensioni di cui ho parlato finiscono di venir corrisposte, e io credo che quando qualcuno non potrà più incassare la sua pensione materiale, l’altra pensione, quella spirituale, finirà per non interessargli più, non gli interesserà più la pensione destinata all’anima dopo la morte, pagata dalle comunità religiose oggi così dipendenti dal potere politico.
E quando si presenta qualcosa che non vuole essere solo una frase fatta ma esprimere germi di pensiero protesi verso l’azione, si finisce per essere ascoltati come di solito vengono ascoltate le frasi fatte. Non si avverte che queste cose si fondano fin nei minimi particolari su una reale conoscenza della vita, quella che permette di riconoscere l’insulsa distinzione che fa la scienza fra i nervi sensori e quelli motori, distinzione che preclude nell’ambito delle scienze sociali la via a un reale concetto di lavoro.
Oggi è veramente necessario che almeno alcune persone si rendano conto di questi nessi profondi.
È urgentemente necessario che i singoli individui non si lascino ingannare e vengano a dire: “Noi socializziamo la vita economica esteriore, ma la scuola, soprattutto quella secondaria e universitaria, non vanno toccate”. Questo è il peggio che può succedere perché si continuerà a produrre anche in futuro, e in modo ancora peggiore, quello che è stato prodotto finora.
Se venisse socializzata solo l’economia e la vita culturale rimanesse così com’è, avremmo in brevissimo tempo proprio a partire da una tale socializzazione apparente una tirannia ancora peggiore nonché relazioni di vita ben peggiori di quelle che si sono sviluppate nel presente.
È chiaro che oggi esiste una costrizione economica che genera cose terribili nell’organismo sociale. Ma deve forse essere sostituita dall’arrivismo, dall’arido burocratismo? L’umanità crede forse, dopo aver imparato anche se tardi a non appellarsi al “trono e all’altare”, che sarebbe meglio confidare nello stesso spirito nell’amministrazione statale?
Il capitalismo ha saputo trasferire la sua venerazione per l’altare alla cassaforte a prova di fuoco. Un socialismo illusorio si accinge a trasferire l’attuale falsa venerazione per poteri che vivono ormai solo nelle frasi fatte, all’idolatria del sindacato e del carrierismo.
Ciò di cui l’umanità ha bisogno per il suo rinnovamento spirituale è il coraggio di ammettere che l’esperienza spirituale, così come è diventata oggi nell’interiorità umana, ha condotto da un lato alle ciance religiose e dall’altro lato alle azioni brutali, al militarismo.
Chi come individuo contemporaneo si sente una creazione del sistema capitalistico sta bene quando va a incassare i dividendi delle sue azioni, senza voler guardare a cosa succede nei processi che producono i suoi tagliandi, e sguazza senza problemi fra le chiacchiere religiose che gli parlano di amore del prossimo e di fraternità da un lato, e il suo vivere di rendita dall’altro, sicuro di non dover preoccuparsi in prima persona di difendere il sistema dei suoi affari perché questa protezione gliela fornisce lo Stato che sforna le spade.
In tempi recenti abbiamo ben sperimentato, quale risultato del legame fra la vita economica e quella politica, la catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Cos’è diventato lo Stato, di cui tanti uomini vanno così fieri, se non il grande protettore della vita economica che si è sviluppata sotto il capitalismo?
Miei cari amici! C’è da sperare che i “patrioti” del passato intoccabili sul piano dei loro sentimenti – in quanto autentici patrioti che avevano riempito i loro discorsi di patriottismo così che era una pessima cosa nei decenni scorsi indicare quale fosse il reale fondamento di questa retorica patriottica che esaltava lo Stato, e cioè il fatto che lo Stato è diventato il protettore delle banconote – c’è da sperare che il nostro tempo non fornisca un prova convincente del fatto che quelle persone, che erano così patriottiche, ora cambiano “patria” perché hanno capito che le potenze dell’Intesa, quelle che hanno vinto la guerra, sanno proteggere meglio i loro soldi. In quattro e quattrotto danno una bella rinfrescata al loro patriottismo.
Non voglio soffermarmi oltre su questa eventualità. Voglio solo mostrare la facilità con cui la frase fatta del patriottismo cambia indirizzo e diventa antipatriottismo. Molti indizi rivelano questo processo.
Questi sono i pensieri che oggi, come riflessioni a carattere pentecostale, devono essere espressi in connessione con il necessario rinnovamento del sistema educativo e scolastico. Si dovrebbe smettere di offrire all’umanità i discorsi untuosi che le sono stati serviti finora. Le persone dovrebbero abituarsi ad ascoltare parole che toccano la realtà attuale.
Allora sarebbe possibile che lo spirito della Pentecoste si ripartisca così che in futuro le sue singole fiamme raggiungano tutto ciò che deve sorgere sul fondamento della libera vita culturale, dalla scuola primaria fino a quella di grado più elevato, così che lo Spirito liberato, che è il vero Spirito Santo, possa essere efficace per un reale sviluppo spirituale dell’umanità a partire dalla vita culturale emancipata.
Così sto dicendo forse qualcosa che i retorici della religione non riterranno “cristiano”. Ma l’umanità attuale dovrà chiedersi se i discorsi cristiani di oggi non scaturiscano forse da quello spirito che portò Pietro a rinnegare Cristo tre volte, oppure se scaturiscono da quello spirito che ha detto: “Quel che vi ho rivelato non vale per un solo periodo storico, ma varrà per sempre. Non cesserò di comunicarvi la verità e sarò con voi fino alla fine dei tempi”.
Quelli che oggi nella cristianità sanno ascoltare solo lo spirito del passato saranno i chiacchieroni, quelli delle frasi fatte. Si riconosceranno i veri cristiani in quelli, invece, che colgono lo Spirito vivente che ispira la conformazione e la riedificazione dell’ordinamento umano.
Possa venire quest’epoca, a partire da uno spirito pentecostale accolto in modo verace!
CON LA FORZA DELL’AMORE
Un’economia per uomini liberi
Delft, 25 Febbraio 1921
Gentili Signore e Signori,
Vorrei innanzitutto ringraziare cordialmente l’egregio Presidente per il suo amichevole invito e in modo speciale il professor Hallo per le gentili parole che ha appena pronunciato.
È mio compito farlo anche per il fatto che tutto quel che si è in condizione di dire oggi attorno a un problema che tocca così nel profondo l’umanità, quale è quello sul quale dovremo concentrarci ora, può essere solo un tentativo, forse anche soltanto l’inizio di un tentativo alla ricerca di una soluzione. Perciò è necessario che mi appelli alla benevolenza e alla comprensione delle persone.
Preciso subito qual è la principale differenza fra le cose che dirò e quelle che di solito si sentono dire oggi attorno ai problemi economici in senso stretto, o alla questione sociale nel suo significato più vasto.
Abbiamo sperimentato fin troppe utopie o costruzioni ipotetiche in questo campo, scaturite da retroscena comprensibili dell’aspirazione umana dei tempi moderni.
La tecnica moderna ha reso complicata la vita economica, ha fatto sorgere nella vita sociale una quantità straordinaria di nuove relazioni rispetto a quelle cui era abituata l’umanità precedente. Così in molte teste è sorta la convinzione secondo cui la complicata vita sociale moderna possa essere conformata secondo dogmi in modo da permettere a ogni uomo, ma anche alle vaste masse, di essere in condizione di condurre un’esistenza degna dell’essere umano.
Tuttavia si deve dire: chi oggi è convinto di poter lasciare una traccia sugli uomini contemporanei a partire da decreti utopici o dogmatici rivela di non comprendere minimamente l’essenza dell’attuale civiltà, della vita umana di oggi.
Posto che qualcuno, egregi signori, sia in grado di escogitare anche in modo geniale dei modelli economici o sociali, oppure sia capace a partire da una vasta esperienza di vita di strutturare dogmaticamente una soluzione, se si presenta così all’umanità, magari anche con le più geniali proposte, non può suscitare nessuna impressione.
Viviamo in un tempo in cui i profeti dovrebbero essere spariti. Viviamo in un’epoca in cui gli uomini non sono più disposti ad accogliere qualcosa che proviene dall’autorità o dall’oracolo. Di questo deve tener conto chi con serietà e onestà riflette sulla questione sociale, oppure sulla possibile strutturazione della vita economica di oggi e dell’immediato futuro.
L’uomo d’oggi parte dalla convinzione di voler trovare da sé le linee direttive della vita. Vuole determinarne in modo autonomo gli obiettivi, vuole conformarli a partire dalle proprie elementari forze animiche e organiche.
Proprio su questo “punto di partenza democratico” inteso nel senso più universale si pone quel che io chiamo l’impulso per la triarticolazione dell’organismo sociale. Esso non dice: le relazioni sociali e quelle economiche vanno conformate in questo o in quest’altro modo. Cerca invece di indicare come gli uomini possano essere messi nella condizione di vivere conformemente alle esigenze attuali, alle esigenze della loro stessa anima, indipendentemente dal fatto che ne abbiamo coscienza o meno.
L’impulso per la triarticolazione dell’organismo sociale si appella agli uomini, non alla descrizione di qualche istituzione o condizione particolare. Si rivolge alle persone, e vuole ascoltare da loro ciò che esse ritengono giusto. Questo impulso dice come si creano le condizioni perché gli uomini possano lavorare in prima persona alla costruzione del loro destino.
Così vuole operare l’impulso per la triarticolazione dell’organismo sociale, restando del tutto aderente alle consuetudini di vita o alle tendenze del presente, senza utopismi, basandosi solo sulla realtà della vita. Parte perciò da due presupposti. Il primo, che pochi forse vorranno accettare, scaturisce da ciò che io ritengo necessario caratterizzare brevemente in apertura: la “scienza dello spirito orientata antroposoficamente”.
Si tratta della convinzione secondo la quale l’umanità attraversa epoche che hanno un senso compiuto, e questo ci permette dapprima di guardare indietro ai tempi passati. Si vede subito che ci sono state diverse epoche e che in ognuna di esse l’umanità attraversa una fase della sua esistenza, un modo specifico di configurare il suo mondo animico e spirituale. Ciò che si è espresso in un’epoca non può ripetersi in una successiva.
Quel che l’umanità ha potuto attraversare con la sua evoluzione nel corso del tempo si manifesta quale specifica “missione” delle varie epoche che si succedono. Nella nostra epoca che dura già da tre, quattro secoli, si è lentamente preparato quel che ora è giunto a un certo apice: nella nostra epoca vediamo scaturire dalle profondità dell’anima umana quello che potrei chiamare l’anelito democratico che si presenta in tutto il mondo civilizzato moderno.
Non intendo l’espressione nel senso banale e grossolano che gli si attribuisce frequentemente oggi. Quando parlo di “anelito democratico” intendo quella forma dell’autocoscienza umana che si sviluppa nel nostro tempo grazie a cui ogni individuo può trovare in se stesso la fonte per una vita spirituale che sgorga dalla sua stessa interiorità – nella sua dimensione conoscitiva, di fede o artistica – e in cui ogni uomo può sviluppare da se stesso quei sentimenti con cui mettersi in relazione con gli altri uomini, senza che questa relazione sia strettamente determinata dal principio di autorità.
L’uomo vuole instaurare il giusto rapporto con gli altri a partire dalla sua libera interiorità. Anche nel campo dell’economia l’uomo vuole giungere a un tipo di relazioni che gli rendano possibili quei fondamenti della vita animica e spirituale così che possa vivere, nel senso più alto del termine, l’aspirazione alla democrazia.
Questa non c’era in modo così universale nelle epoche precedenti dell’evoluzione umana. Nell’organismo sociale dominava il principio di autorità. Solo verso la metà del quindicesimo secolo ha iniziato lentamente a prepararsi quello che poi, per così dire, è esploso in modo clamoroso alla fine del diciottesimo secolo,[13] e ha raggiunto un apice nel nostro tempo dove emerge dall’umanità civilizzata attraverso convulsioni, difficili prove e miserie fino alla terribile catastrofe che abbiamo sperimentato nel secondo decennio del ventesimo secolo.
A questo dapprima deve guardare colui che giunge all’impulso della triarticolazione dell’organismo sociale. Costui si domanda: qual è la caratteristica storicamente più importante nell’uomo contemporaneo?
L’altro punto di partenza della triarticolazione dell’organismo sociale posso caratterizzarlo ricorrendo in un certo senso a esperienze personali.
Per decenni mi è stato dato di osservare da diversi punti di vista la vita economica europea, quella politica e quella culturale. Queste osservazioni, sviluppate nel corso di trentanni, si sono svolte in un territorio sperimentalmente interessante per farle, l’Austria, dove ho vissuto, cioè in quella terra che proprio ora ha mostrato con il suo tracollo come i rapporti vigenti non fossero più in grado di risolvere in qualche modo le grandi questioni del presente.
Queste e molte altre realtà dell’intera civiltà europea mostrano che davvero ovunque, nel profondo delle anime umane, è presente un “istinto” – non si potrebbe parlare di “coscienza” perché nella maggioranza delle anime molto vive ancora nella sfera dell’inconscio o del subconscio – che esige la creazione di nuove forme sociali.
E quello che io presento come triarticolazione dell’organismo sociale non è qualcosa di inventato o di fantasticato, ma qualcosa che in un certo senso può essere desunto dalle osservazioni fatte con sguardo spregiudicato allo sviluppo economico, politico e spirituale del presente e degli ultimi decenni. Quanto voglio presentarvi è il risultato dell’osservazione e dell’esperienza.
Se prendete quello che è stato presentato come contributo alla comprensione della questione sociale e economica a partire da Karl Marx e da quelli che sono venuti dopo, troverete ovunque che si tratta di sistemi logicamente ben congeniati nei quali è stato riversato molto acume. Ma ciò di cui ha bisogno l’uomo odierno non è questo. È qualcosa non meno complesso di quanto sia complessa la realtà stessa.
La realtà spesso ci si presenta in modo che la forma che essa assume potrebbe anche essere diversa. E se fosse anche così, mai si potrebbe dire che essa sia meno perfetta. La realtà non è univoca! Perciò chi parla di queste cose a partire dalla realtà non può essere così categorico come spesso succede quando lo si fa a partire da certe premesse assunte dogmaticamente.
Succederà quindi, egregi signori, che nei confronti di alcune cose che dirò ci possano essere obiezioni, perché così è quando si parla a partire dalla realtà. Ma non è importante il fatto che sia possibile fare obiezioni: lo è molto di più il fatto che i pensieri esposti siano portatori di forze di vita nell’ambito sociale, che siano di impulso per il presente e il prossimo futuro.
Oggi devo parlarvi, dal punto di vista della triarticolazione dell’organismo sociale, della vita economica propriamente detta.
Ma non potrei farlo se non vi presentassi almeno per cenni qualcosa dell’essenza di questo impulso della triarticolazione dell’organismo sociale, nonché di quel che sta alla base di quell’impulso e che mi permetterà di caratterizzare in un modo specifico la vita economica: la scienza dello spirito orientata antroposoficamente.
Quando si parla di scienza dello spirito si pensa facilmente che sia qualcosa di misticamente nebuloso, lontano ed estraneo dalla realtà. Si è abituati, quando si prendono in considerazione tutti i movimenti settari, mistico-teosofici o simili, a identificare l’antroposofia come qualcosa di simile. Così facendo si cadrebbe in un equivoco di fondo.
La scienza dello spirito si basa sugli stessi presupposti sui quali è fondato il modo di pensare scientifico moderno, che ha portato a straordinarie conoscenze del mondo esterno, che ha permesso lo sviluppo di tutta la tecnica odierna e che ha trasformato in misura molto elevata la nostra vita sociale. La scienza dello spirito orientata antroposoficamente riconosce pienamente il valore e l’importanza della ricerca scientifica e della tecnica moderna, e proprio per questo motivo non si può limitare ai soli metodi elaborati dalla scienza attuale. A partire da essi deve elaborare metodi scientifico-spirituali che introducano, partendo dal mondo sensibile, in un mondo soprasensibile.
Perché tutto quel che ci circonda qui nel mondo sensibile germina dal mondo soprasensibile. L’uomo può percepirlo se, a partire dalle forze conoscitive che ha ricevuto per via ereditaria ed educato con la solita formazione scolastica e accademica, sviluppa ulteriori forze conoscitive che in un certo senso non si presentano né si attivano nelle scienze abituali, ma che dapprima giacciono nascoste nella vita dell’anima umana.
Grazie a metodi ben definiti – basati su meditazioni e concentrazioni compiute secondo uno spirito matematico, seguendo i processi formativi che ho descritto nei miei libri Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori? (edizione italiana: L’Iniziazione), La scienza occulta, Una via per la conoscenza di se stessi, vengono elaborate dall’anima umana capacità ben precise di conoscenza superiore. Nei miei libri Enigmi dell’uomo e Enigmi dell’anima le ho chiamate, nell’ottica generale della concezione goethiana del mondo, “orecchi spirituali” e “occhi spirituali”.
Come noi formiamo gli occhi e le orecchie fisiche a partire dalla nostra organizzazione corporea, altrettanto possiamo formare organi spirituali che, a dir il vero, non sono localizzati in un punto preciso ma coinvolgono tutto l’uomo, operano a partire dalla sua complessiva natura umana. Possiamo formare tali “organi spirituali” e percepirci così in un mondo soprasensibile, così come mediante i nostri organi fisici e la ragione collegati al nostro cervello che combinano le percezioni sensoriali possiamo cogliere il mondo sensibile che ci attornia.
Così come possiamo seguire l’evoluzione dell’universo grazie alla scienza – nella misura in cui sappiamo ricostruire i primordiali stati fisici e capire di conseguenza come si sono sviluppati i singoli esseri fino a giungere all’uomo –, in modo analogo possiamo trovare mediante la scienza dello spirito i fondamenti spirituali e gli elementi da cui è partito l’universo, nonché i suoi obiettivi spirituali. In questo modo ritrovano la loro unità le due parti della vita culturale del presente, scisse in modo tragico dall’uomo contemporaneo.
Gentili ascoltatori! Chi come me ha conosciuto quelli che vivono non solo teoreticamente nelle conoscenze moderne, ma vi sono immersi con tutta la loro personalità, con tutto il loro sentimento, sa bene quale tragicità c’è nell’animo di quanti riconoscono e prendono sul serio con assoluta onestà le grandi conquiste che ha portato la scienza moderna.
Ho conosciuto individui che dicevano: io guardo nel mondo esterno che è tutto determinato da leggi naturali. A questo mondo appartiene anche l’uomo. Ma nella sua interiorità si manifesta qualcosa che viene riconosciuto come un valore esistenziale: sono gli ideali morali, le esperienze religiose, le espressioni artistiche del mondo, tutto quel che chiamiamo diritto, moralità, o cose simili.
Ma quelle oneste persone dicono anche: è del tutto illusorio, è nebbia e fumo, è un imbroglio enorme quel che proviene dall’interiorità dell’anima umana! Perché in realtà l’uomo è un organismo esteriore fisico, che si è formato secondo pure leggi deterministiche con cui noi afferriamo l’universo. Si deve guardare a quando, un giorno, questo universo si consumerà nel fuoco o in un altro modo così da far scomparire in un enorme cimitero tutti gli aspetti morali della vita, tutti gli ideali, tutto quello che all’uomo appare come l’ingrediente che rende l’esistenza degna di essere vissuta.
Chi ha visto soffrire gli uomini sotto l’azione che la concezione moderna del mondo opera sul sentimento, sa cosa significhi il fatto che la scienza dello spirito riesce a ricondurre ad unità quel che vive quale ideale morale, quale impulso religioso e quale concezione artistica nell’anima umana con quel che esiste là fuori nella natura.
Oggi posso solo parlarne per accenni: nei libri che ho indicato troverete convalidate e comprovate le affermazioni che ora ascoltate. Posso chiarire meglio il pensiero con un paragone: vediamo una pianta che cresce dal terreno. Poi produce foglie e fiori. Nel fiore, infine, genera anche il seme, che è la condizione affinché sorga il prossimo anno una nuova pianta. Il seme è invisibile eppure è ciò che rende possibile una nuova pianta il prossimo anno, mentre le foglie e i fiori ingialliscono e cadono a terra.
Così avviene anche nell’universo, stando alle conoscenze della scienza dello spirito orientata antroposoficamente.
Dapprima vediamo il mondo esterno con le sue leggi naturali che lo dominano, compresa la legge della conservazione della materia e dell’energia. Dal punto di vista della scienza dello spirito è un mondo in declino, che va verso la morte. E poi vediamo nell’essere umano gli ideali etici, gli impulsi religiosi, le produzioni artistiche: Questi sono i semi di un mondo futuro.
Ciò che noi oggi scorgiamo quale natura attorno a noi è il risultato delle esperienze morali di Esseri del passato più remoto.
Ciò che noi oggi portiamo dentro di noi quale mondo spirituale è il germe di mondi fisici di un lontano futuro.
Come dicevo, posso parlarne solo per accenni. Lo faccio per indicare ciò che la scienza dello spirito fornisce all’umanità come una concezione del mondo in quanto fa fare un passo in avanti alle scienze naturali.
Così si impara di nuovo a far conoscenza con lo spirito vivente. Si impara a conoscere quale differenza c’è nella convinzione che dice: “Mediante la scienza dello spirito mi metto in un rapporto reale con lo spirito del mondo. Io imparo a riconoscere che in me non ci sono solo pensieri e rappresentazioni, ma che nei pensieri e nelle rappresentazioni vivono Esseri spirituali viventi”.
Le religioni antiche, in quanto ridotte a tradizione, perdono via via il senso grandioso che avevano. Abbiamo bisogno di qualcosa di creativo nell’anima umana per creare una vita spirituale che opera impulsivamente. Al riguardo la vita culturale che si è sviluppata negli ultimi secoli è astratta e teorica.
Noi facciamo esperimenti, osserviamo, utilizziamo apparecchi e strumenti concepiti in modo geniale per indagare il mondo fisico e le sue leggi. Ma tutto quello che noi ricerchiamo in questo modo ci fornisce soltanto concetti astratti e teorie, che magari possiamo anche usare, ma non ci colma in modo spiritualmente vivente così da poter dire: non pensiamo solo pensieri, non viviamo solo nelle rappresentazioni, ma in quanto uomini che circolano qui sulla terra in noi vivono i mondi soprasensibili coi loro esseri spirituali, esattamente nello stesso modo in cui i tre regni della natura vivono nel nostro organismo fisico.
Proviene da questa reale percezione del mondo spirituale anche quello che l’idea della triarticolazione ha da comunicare sui diversi aspetti della vita sociale. Perché oggi alle base del problema economico sta la questione sociale. Se abbiamo imparato a conoscere la questione sociale non dall’esterno ma dall’interno, allora dobbiamo pensarla in un modo un po’ diverso rispetto al modo consueto attuale.
Sono stato per anni insegnante in una scuola operaia in cui tenevo lezioni in vari campi a lavoratori, a persone che volevano soddisfare la loro sempre più crescente voglia di istruirsi. Così ho potuto conoscere l’anima degli operai, e a partire dai suoi fondamenti ho conosciuto quello che davvero sgorga dalle più vaste masse popolari come reale fondamento e come principale difficoltà dell’odierna problematica economica.
Sempre di nuovo si sente da migliaia e migliaia di uomini – oggi sono milioni, e solo quelli che non hanno conosciuto direttamene il proletariato si rappresentano la cosa in modo non esatto – una parola che ha un significato micidiale: la parola “ideologia”. Oggi è diventata comunissima fra le masse operaie. Ma cosa significa?
Significa che per le grandi masse, che sono diventate tali perché il loro lavoro dipende dalla macchina, che vivono impigliate nella trama della tecnica moderna, che sono ormai estranee alla gioia che deriva direttamente dal frutto del loro lavoro, ebbene in loro si è sviluppata una profonda convinzione interiore e cioè che sono reali solo i processi materiali di produzione in economia, solo quelli sono veri.
Solo là dove l’uomo vive inserito entro processi di produzione materiale c’è vera e unica realtà. Quel che lui sviluppa in forma di costume etico, di diritto, di religione, di scienza e di arte è soltanto “sovrastruttura”, come la si definisce in quegli ambienti, è ideologia, è fumo o nebbia che sorge dall’unico ambito che ha realtà, dai processi materiali.[14]
Quelli che appartengono alle classi colte hanno ancora le loro antiche tradizioni, o per lo meno vivono inseriti in una esistenza dominata dalle vecchie tradizioni, dalle consuetudini religiose, artistiche e simili. Ma la grande massa del popolo ha detto addio a tutto questo.
La grande massa del popolo ha fatto propria con intima convinzione quel che per le altre classi è solo teoria. Si può essere convinti di tutto questo, si può giudicare in questa direzione, se ne possono trovare tutti i fondamenti logici, ma non si può vivere con questi pensieri. Che non sia possibile vivere nella profonda interiorità dell’anima con queste convinzioni l’ha potuto constatare colui che, per anni, in veste di insegnante ha avuto a che fare con queste persone. Inaridisce e svuota l’anima concepire la vita spirituale come “ideologia”.
In verità anche le classi dirigenti si sono rese estranee alla vita spirituale ancora vivente, e ritengono che l’esperienza spirituale sia mera teoria, pura astrazione, cultura esclusivamente intellettuale.
L’operaio moderno vorrebbe colmare l’uomo intero con quei pensieri e gli resta invece solo un’aridità interiore. In questa condizione animica che l’operaio moderno ha ricevuto in eredità come vita culturale delle classi dirigenti, in questa aridità dell’animo deve essere ricercata l’origine delle odierne difficoltà economiche.
Esse non derivano da istituzioni esterne, quanto piuttosto dalla condizione animica di vaste cerchie che ho appena tratteggiato, una condizione dell’anima che riguarda milioni di persone dell’umanità moderna, le quali invece di una cultura vivente conoscono solo ideologia.
Allora dobbiamo cercare le cause che hanno fatto sì che nella vita sociale esteriore, alla cultura vivente sia subentrata la convinzione che tutto sia solo ideologia. Si arriva così a qualcosa che oggi viene percepito come contraddittorio, perché non si riconosce che ciò che è pienamente giustificato per l’umanità in una determinata epoca non necessariamente lo è per sempre.
Da quando è comparsa la vita moderna, cioè a partire dal quindicesimo, sedicesimo, diciassettesimo secolo si è avviato, pur con presupposti diversi, il sorgere dei singoli Stati, formati proprio a partire dalle esigenze della civiltà moderna. Le strutture statali hanno assunto così su di sé, a poco a poco, tutti i compiti legati al progresso dell’umanità.
Sappiamo come la vita culturale nei tempi antichi dipendesse dalle confessioni religiose. Giustamente lo Stato ha tolto i compiti educativi e formativi alle confessioni religiose, perché non si poteva continuare in quel modo. Era necessario che finisse nell’ambito statale tutto ciò che riguarda l’educazione e l’istruzione.
Si sviluppò poi anche un altro impulso: poiché c’era in ambito sociale solo lo Stato, sorse l’esigenza, mentre l’economia moderna sotto l’impulso della tecnica diventava sempre più complessa, di ricondurre a poco a poco anche la vita economica alla sfera statale. Così i tre ambiti dello sviluppo umano sono stati esteriormente ed astrattamente ridotti a una sola realtà.
In un certo senso questa unificazione è stata una benedizione. Ma d’altro canto oggi siamo in un momento storico nel quale i tre ambiti della vita sociale umana debbono spezzare questa unità se vogliono trovare la loro specifica e autonoma gestione che scaturisce dalla loro stessa essenza.
Prendiamo dapprima la vita culturale, così come l’ho caratterizzata, così come vuole presentarsi – mediante la scienza dello spirito orientata antroposoficamente – a partire dalle sorgenti creative dell’anima umana. Essa può svilupparsi solo se è indipendente, si può auto-amministrare senza dover ricevere direttive o condizionamenti da parte dell’amministrazione statale.
Questi pensieri, gentili signori, sono certo facilmente contestabili sul piano logico. Per chi è inserito nel reale svolgimento della vita culturale è immediatamente chiaro che ciò che vi è di creativo nella vita culturale, quel che porta a manifestazione il suo carattere specifico può svilupparsi soltanto se i processi formativi, già dai primi livelli educativi e scolastici, possono poggiare sui loro stessi piedi, se questa vita culturale, l’educazione e la scuola pubblica vengono conformate in modo che quelli che vi operano educando o insegnando ne siano allo stesso tempo gli amministratori.
Essi si devono dedicare all’educazione dei loro allievi in una misura tale che resti loro tempo a sufficienza per esercitare, a partire dagli stessi principi coi quali insegnano o educano, l’amministrazione del loro settore. La vita culturale, il sistema educativo e scolastico non deve assolutamente ricevere regole e indicazioni dall’esterno.
Proprio l’intrusione di una norma esterna uccide ciò che deve essere specifico di ogni processo educativo e scolastico: l’immediata responsabilità non nei confronti dello Stato, non nei confronti delle forze economiche, ma soltanto nei confronti della vita stessa dello spirito.
Se ognuno si sente responsabile come individualità umana nei confronti della vita culturale in quanto tale, allora questa diventa davvero vivente. Per conformare correttamente questa vivente sfera culturale c’è bisogno di autonomia nella sua amministrazione. Deve imporsi da sé coi suoi valori specifici.
Si provi ad emancipare la sfera culturale dallo Stato e dall’economia, le si consegni la sua autonomia amministrativa e si vedrà – proprio perché si ha bisogno dei talenti di uomini capaci – che questi talenti verranno subito riconosciuti. Nello stesso istante in cui la posizione di una persona nella vita culturale non sarà determinata da leggi ad essa esterne o da misure amministrative statali, ma soltanto dal riconoscimento che quella persona suscita nella sfera culturale a partire dalle capacità della sua individualità, nello stesso istante in cui si farà questo sorgerà il libero riconoscimento dei talenti individuali nell’ambito della vita culturale.
Possiamo farci un’idea di una simile vita culturale in fondo solo ricorrendo alla scienza dello spirito. La vita culturale astratta estrania dal mondo. Quella che coltiviamo quale libera Università del Goetheanum a Dornach è una conoscenza spirituale che considera l’uomo completo, che non è fatto solo di testa, e di cui si deve dire che fa sviluppare anche le abilità manuali dell’uomo.
Voglio solo brevemente ricordare che nell’ultimo corso universitario al Goetheanum, svoltosi in autunno e al quale hanno collaborato trenta personalità – persone qualificate, specialisti, artisti, esperti commerciali e industriali – volevamo mostrare in qual modo l’uomo intero e tutta la vita possono venir rigenerati dalla scienza dello spirito antroposofica. La vita culturale soltanto teorica e astratta non arriva fino ai muscoli, fino alle abilità. Funziona solo in base a comportamenti abitudinari.
La vita culturale davvero vivente invece va fino all’abilità manuale, fino alla formazione dei muscoli e dei nervi. Per questo motivo una libera vita culturale che in questa prospettiva è il fondamento della rimanente vita sociale, quasi mai può essere compresa da quei professori avulsi dal mondo – dai quali non possiamo attenderci alcuna proposta perché essi stessi sono il risultato delle relazioni umane di oggi; non sarà attivata da quegli scienziati di oggi così estranei al mondo e che pure oggi sono spesso attivi, ma lo sarà dagli uomini immersi nella vita. Proprio a partire da questo modo di sentire attento agli aspetti pratici della vita verrà riconosciuto e formato dalla vita culturale tutto quel che è pertinente alla vita di tutti i giorni, così come vengono organizzati percorsi formativi per apprendere la filosofia o le grandi verità religiose.
Perché per una vita culturale concepita in questo modo il materiale e lo spirituale formano un’unità. E lo spirito ha nell’uomo la giusta forza quando non viene separato dalle dimensioni materiali della vita, quando fornisce agli uomini le capacità di operare praticamente in tutti gli ambiti materiali dell’esistenza. Non dobbiamo ritirarci in una vita culturale che sia nebulosa e “mistica”, ma dobbiamo compenetrarci di spirito affinché la realtà esterna, fisica, venga spiritualizzata.
Abbiamo bisogno di una simile vita culturale per fondare una sana vita economica, perché essa abbraccerà tutto l’uomo. Questo non è successo con la vita culturale degli ultimi tre o quattro secoli che ha portato all’umanità solo arida e mortifera ideologia. La vita culturale che ci prospettiamo porterà all’uomo la dignità della sua umanità. A partire da essa si potrà lavorare.
La questione sociale, il problema economico possono trovare soluzione solo a partire dall’anima umana, a partire dalle conoscenze, dai sentimenti umani, dalle convinzioni e dagli impulsi volitivi degli uomini. Dobbiamo trovare il modo di arrivare fino alle anime degli operai. Non la troviamo se continuiamo a parlare loro della nostra scienza così come abbiamo fatto finora, se parliamo dei problemi sociali nello stesso modo in cui quegli stessi scienziati ci hanno indotti a parlare delle relazioni sociali.
Così ho caratterizzato la prima componente del triarticolato organismo sociale, cioè la vita culturale autonoma, che si auto-amministra e così diventa spiritualmente creativa, specialmente nell’ambito pedagogico. Questa è, per così dire, una delle due ali del moderno organismo sociale.
Sull’altra ala si colloca la vita economica, che si differenzia radicalmente dalla vita culturale.
A cosa anela l’uomo nell’ambito della cultura? Anela, a partire dalla sua anima, a raggiungere una comprensione dell’armonia della vita. Anche l’uomo più semplice deve avere in relazione alla sfera culturale una certa completezza di vita.
Questo non è mai possibile nella sfera economica. Qui l’uomo deve, se ha una reale capacità di osservare la vita, se capisce la vita, confessare a se stesso: nella vita economica per il singolo uomo non può esistere un giudizio complessivo. Cosa significa?
Mi farò capire ricorrendo a un fatto storico. Verso la metà del diciannovesimo secolo in molti Stati e in vari ambiti della vita sociale venne discusso il problema della valuta aurea. Essa venne introdotta in alcuni Stati. Quel che allora fu detto attorno a questa questione da parte dei parlamentari, degli operatori economici e da quelli che si ritenevano pratici della vita – lo intendo non in senso ironico, ma del tutto sul serio e onesto – era molto acuto e sagace. Si ha ancora oggi un grande rispetto per quelle persone che allora discutevano su quei problemi.
Ma tutto quello che venne detto, e con ottimi argomenti, esprimeva questa prognosi: sotto l’influsso della valuta aurea fiorirà il libero commercio, i singoli Stati apriranno le loro frontiere e si potrà sviluppare un’economia mondiale libera, non ostacolata dalle dogane dei singoli Stati. Quei delineamenti statali sono sorti da presupposti completamente diversi da quelli della moderna vita economica che diventerà sempre di più un’economia mondiale, unica per tutta la terra, la quale ha bisogno di tutt’altre relazioni rispetto a quelle che possono creare gli Stati.
Il libero commercio fiorirà: così hanno detto gli esperti. Cosa è avvenuto in realtà? Ovunque sono sorte barriere doganali. Sull’eccellenza dei dazi protettivi si sono dette a posteriori molte cose – meno argute forse, ma con maggiore probabilità di raggiungere i propri obiettivi.
Con che si ha a che fare? Con il fatto che, gentili signori, nell’ambito della vita economica tutto l’acume con cui come individui si brilla nella vita culturale, non serve a nulla.
Questa è una profonda e importante verità: per quanto il singolo sia acuto, se il suo giudizio deve essere efficace in campo economico, tuttavia non vale nulla, se scaturisce solo da capacità individuali.
Nella vita economica è valido solo ciò che conseguiamo con conoscenze pratiche e abilità specifiche all’interno dei singoli settori della vita economica. Ma tutto questo non può bastare perché è necessario che venga completato da quel che di analogo viene prodotto negli altri settori e negli altri ambiti economici, per giungere a formulare un giudizio valido ed efficace per la realtà.
Nella vita economica può essere valido solo il giudizio collettivo, cioè concertato, quello che sorge da un determinato gruppo di uomini che riuniscono fra loro i più diversi ambiti della vita economica, sorto in modo che non si debba ricorrere a organizzazioni che si contrappongono – in questo caso non sorge molto, se non una vuota “attività parlamentare”, ma
• che si abbia a che fare con interessi reciproci che entrino in relazione fra loro,
• che si abbia a che fare con la vita pratica stessa,
• che uno abbia da realizzare una cosa, l’altro un’altra,
• che uno faccia valere una capacità in un ambito determinato, un altro la sua per esempio nell’ambito della produzione, e così via.
Così diventa possibile che si formino Associazioni che abbiano una determinata grandezza, nelle quali vengano riuniti i diversi ambiti della vita economica. Tutto si fa a partire dai bisogni. Le persone che a partire dalle loro esperienze di vita fanno valere dei bisogni di determinati gruppi devono potersi unire ad altre persone attive in determinati ambiti della vita economica, e che sono in grado di soddisfare quei bisogni.
Perché, gentili signori, è possibile anche qualcosa di diverso rispetto a quello che compare oggi, come vuota frase, nella moderna socialdemocrazia. Quando si pronuncia la semplice frase – ed è davvero solo un insieme di parole – che viene sempre di nuovo ripetuta: “Non si deve produrre per il profitto, ma per il consumo”, cosa potrebbe essere più giusto di questo! Ma quanto è facile pronunciarla come frase vuota. Si tratta sempre di come realizzare tutto questo, perché la cosa in sé è più che ovvia.
Ora, gentili signori, dapprima si potranno attuare queste cose solo in settori ben determinati. Voglio proporvi un esempio che forse non vi garberà più di tanto, perché vi sembrerà che appartenga alla sfera della vita culturale, ma che ora vi caratterizzo solo per quel che riguarda la sua dimensione economica: le pubblicazioni antroposofiche.
Parecchi anni fa abbiamo fondato a Berlino la Casa Editrice filosofico-antroposofica. Provate a pensare cosa significhi, oggi, gestire una Casa Editrice. È un esempio che ha diretta attinenza con la vita culturale, ma vedrete subito che questo ci permette di passare agli aspetti del tutto materiali della vita.
Come si gestisce oggi una Casa Editrice? L’editore riceve dall’autore il manoscritto, il quale, se accettato, diventa un libro e le copie di quel libro vengono stampate e spedite nelle librerie. Vengono forse vendute tutte? Chi è del mestiere sa cosa significhi la parola “reso”. Si tratta di quei libri non venduti che il libraio restituisce. Sono sempre tanti, e non solo nell’ambito della poesia dove quasi tutte le copie restano invendute e vengono rese.
Osserviamo cosa avviene veramente. Vengono coinvolte persone che lavorano per preparare la carta, che predispongono la stampa dei libri, che li spediscono e così via. Pensate a quante persone vengono coinvolte nella produzione di libri di cui la vita umana nel suo complesso non ha bisogno. La gran parte dei libri prodotti, cioè quelli invenduti, non avrebbe bisogno di essere fabbricata e la vita continuerebbe lo stesso anche se si tralasciasse quella produzione, se ci limitiamo a considerare questo aspetto.
Cosa abbiamo fatto, invece, con la nostra Casa Editrice? Non abbiamo stampato alcun libro di cui non fossimo in precedenza certi che venisse anche venduto. Siamo partiti dal principio del consumo spirituale. Dapprima c’era la Società antroposofica. Potete giudicarla anche in modo critico, se volete, ma ora mi interessa solo dal punto di vista economico. Questa Società sviluppava un bisogno, che ci era ben noto, e allora si viveva con la Società in associazione così da restare al corrente col suo vivente bisogno, a partire dal quale poi si regolava la produzione.
Mai la nostra Casa Editrice si è trovata nelle condizioni di far lavorare inutilmente le persone. Molto più importante del vuoto fraseggio odierno che troviamo sui programmi politici e simili, sarebbe il pensare a come fare le cose, a come poter combattere il produrre che non genera valore, il lavorare inutile degli uomini all’interno del sistema sociale. Questo lo si può fare solo adottando il principio associativo. Per quanto sia ancora imperfetta l’Associazione che ho citato, tuttavia va nella direzione giusta.
Qualche anno dopo ho fatto un altro tentativo che la guerra ha interrotto. Avevamo un socio della Società antroposofica che era un fornaio all’ingrosso. Mi sono detto: perché non considerare la Società antroposofica anche come un insieme di persone che hanno bisogno di pane? Certamente è anche questo. Allora ho detto a quella persona: la metto in relazione con tanti clienti potenziali così che possa organizzare la sua produzione di conseguenza. Non mi è riuscito di farlo in parte a causa della personalità del mio interlocutore, ma la cosa avrebbe potuto avere successo, anche se poi tutto è stato vanificato dalla guerra. Ancora una volta: si deve partire dai bisogni, e associare il bisogno alla produzione.
Vedete, anche quello che vi descrivo come principio associativo nell’ambito della vita economica si mostra qualcosa che scaturisce dall’inconscio della società umana attuale. Vediamo da un lato il sorgere di cartelli, e dall’altro lato di associazioni di produttori che raggruppano processi di produzione omogenei: si tratta sempre di associazioni che si limitano solo alla componente produttiva, mentre il collegamento fra la produzione e il consumo viene curato solo parzialmente da agenzie esterne.
Far sparire le agenzie e far sorgere al loro posto delle Associazioni che medino gli interessi vitali dei consumatori e dei produttori, significa prospettare un futuro positivo per la vita economica. Purtroppo oggi è la produzione che determina i margini di guadagno, determina i consumi, determina tutto.
Si vede che sotto l’influenza dell’economia mondiale è necessario mettersi a un tavolo comune. Invece si afferra la cosa dal lato sbagliato. Invece di integrare tutta la vita economica in Associazioni, i produttori si limitano ad associarsi fra loro. Così si rafforza proprio ciò che ha portato la nostra vita economica al caos, e non si attenua né mitiga la situazione.
Ora, gentili signori, non ne deriva forse che una persona che osservi con attenzione la nostra vita economica, deve consigliare che anch’essa debba diventare una componente a sé stante dell’organismo sociale triarticolato, separata dalle altre così come per la sfera culturale appena caratterizzata, e per l’altra che caratterizzerò più avanti?
Voglio descrivervi un fatto del tutto concreto dell’attuale vita economica, che un incallito economista concede sia una cosa difficile, di cui non riesce a venirne in chiaro. Si tratta della realtà secondo la quale nella nostra complicata società dominata dalla divisione del lavoro, e nella quale gli uomini lavorano gli uni per gli altri, noi paghiamo le merci come prodotto del lavoro. Ma paghiamo anche nello stesso modo in cui paghiamo le merci perfino il lavoro umano. Paghiamo merci e lavoro nello stesso modo, con lo stesso denaro.
Una certa cifra può equivalere a una certa quantità di carbone oppure a una certa quantità di forza lavoro.
Ora pensate a qualcuno che volesse misurare con lo stesso strumento agnellini o mele, realtà cioè che non hanno alcun metro di misura omogeneo, che non hanno nulla in comune! Altrettanto dicasi per il lavoro umano, che non ha nulla in comune con le altre merci.
Questa cosa viene evidenziata, pur in modo completamente sbagliato, negli slogan contestatori di Karl Marx. Ma per ogni sano sentire umano è presente, sta a indicarci, il fatto che noi abbiamo accoppiato nella vita economica due realtà che non possono essere affatto misurate con lo stesso parametro di misura. Anche in questo caso, per quanto in modo inconsapevole, la vita ci aiuta ad andare nella direzione giusta.
Alcuni Stati hanno cercato di legiferare sui tempi di lavoro, sulle assicurazioni contro gli infortuni, sulle pensioni e così via, e cioè di regolare il lavoro mediante una serie di leggi statali – indipendentemente da ciò che opera all’interno della vita economica.
Perché alla vita economica pertiene soltanto la produzione, la circolazione e il consumo delle merci. Il lavoro ne fa parte solo indirettamente.
Fondamentalmente la cosa sta in questi termini: da un lato della vita economica c’è la natura. Non ci è possibile costringerla a far sì che il prossimo anno ci siano tanti giorni di sole o di pioggia a seconda di quello che ci serve per produrre cereali in quantità tale da permetterci di venderli al prezzo che abbiamo stabilito. La natura ci sta di fronte come una realtà data e noi dobbiamo prenderla così com’è.
Invece vogliamo porre il lavoro umano direttamente sotto le direttive della sfera economica! Vogliamo regolarlo a partire da motivazioni solo economiche. Perfino la stessa socialdemocrazia vuole questo! Non si immagina nient’altro che di proseguire unilateralmente nella medesima direzione che ci ha portato al caos attuale.
Si tratta di riconoscere che la merce e il lavoro umano non sono affatto da mettere sullo stesso piano, non sono valori comparabili e debbono essere amministrati a partire da due diversi punti di vista.
Noi non possiamo amministrare la natura perché non si lascia comandare da noi. Essa sta alla base della nostra vita economica, così come lo è alla base di quella degli uccelli e simili. All’interno della sfera economica noi amministriamo solo produzione, circolazione e consumo di merci.
Ma le relazioni moderne hanno portato a scambiare quello che è il valore di scambio o prezzo di una merce con la retribuzione del lavoro – si dice che il lavoro è retribuito, ma in realtà è pagato – così come viene pagata la merce, mentre il lavoro dovrebbe essere regolato a partire da punti di vista completamente diversi.
Pensate soltanto come dall’innaturalità delle relazioni moderne è per esempio sorto tutto quel che poi è confluito nelle odierne teorie proletarie. Le persone dicono: “ il lavoratore manuale lavora a questo o a quello, e perciò consuma forze organiche che poi debbono essere rimpiazzate. Per questo deve venire retribuito”. Si è perfino costruita una contrapposizione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Quest’ultimo avrebbe bisogno di minore forza organica perché produce idee che poi vengono sempre imitate. Non produce qualcosa che è destinato direttamente al consumo.
Tutte queste idee sono sorte perché il lavoro è stato posto nell’ambito del processo di utilizzo, circolazione e produzione delle merci, perché non è stata tirata una riga divisoria fra la vita economica vera e propria e quella politico-statale, quella del diritto. Con questo abbiamo individuato i tre ambiti dell’organismo sociale: la sfera spirituale, effettivamente quella che abbraccia gli aspetti più importanti della vita culturale pubblica, inclusa l’educazione e l’istruzione; la sfera politico-statale all’interno della quale, per esempio, va regolato il lavoro; e la sfera economica.
Come concepisce l’uomo in modo serio e onesto quel che ho esposto in apertura della mia conferenza, e cioè la consapevolezza che l’umanità moderna deve tendere alla democrazia? Può intendere seriamente e onestamente la democrazia solo chi lascia fuori da essa tutto quello che con essa non c’entra.
C’è un ampio settore della convivenza umana all’interno del quale è competente ogni persona maggiorenne. È l’ambito dove, a ragione, deve regnare la maggioranza, quello dove si può raggiungere qualcosa mediante la prassi parlamentare.
Nulla invece si può conseguire in questo modo nell’ambito della vita culturale, perché lì può essere fruttuoso solo l’esplicamento dell’individualità dei singoli. Nulla si può raggiungere coi metodi parlamentari, con le decisioni a maggioranza neppure nell’ambito della sfera economica. Qui devono sorgere Associazioni, come ho detto, a partire dai diversi rami della vita.
Esse poi devono avere una ben determinata grandezza. Non c’è bisogno delle statistiche, che non aiutano, che servono solo a documentare quel che è già successo. Nell’esistenza conta solo ciò che viene afferrato dalle persone che agiscono all’interno delle Associazioni e che mediante esse rilevano i bisogni, senza manipolarli.
La vita economica non ha nulla a che fare con l’Etica, con la critica dei bisogni, ma semplicemente con la loro rilevazione, con la registrazione del fatto che alcuni bisogni sussistono. È invece la sfera della vita culturale che si occupa di criticare o di regolare i bisogni. E la sfera politico-statale deve occuparsi di essi secondo i criteri che ho indicato e sui quali ritornerò più avanti. Nella vita economica le Associazioni si occupano soltanto di ciò che vive nella produzione, nella circolazione e nel consumo delle merci.
Quando viene individuato chiaramente il bisogno, la cosiddetta domanda, allora si può sapere quante persone devono dedicarsi alla produzione di un certo articolo. Se sono troppe i prodotti diventano troppo a buon mercato rispetto ai bisogni, mentre al contrario diventano troppo cari se vengono prodotti da un numero troppo basso di persone.
Si arriva così a quella che chiamerei la formazione del giusto prezzo a partire dalla vita dell’Associazione.
Naturalmente si può intendere tutto questo solo come una specie di insieme di calcoli, oppure come una formula universalmente valida. Ma è possibile, a partire da tali Associazioni all’interno delle quali vengono stipulati dei contratti, che un numero congruo di persone si applichino alla produzione di determinate merci così da giungere a buoni risultati.
Si può così sempre meglio realizzare quello che chiamerei “nucleo fondamentale della vita economica”. Sembrerà ai vostri occhi qualcosa di paradossale, eppure nel suo impulso inconscio l’umanità aspira ad un’armonizzazione della vita economica proprio nella direzione espressa da questo principio:
Ogni persona deve ricevere per il prodotto del suo lavoro – non per il suo lavoro, perché il lavoro non appartiene alla sfera economica! – quanto basta per lui e per tutti quelli che dipendono economicamente da lui in modo da metterlo in condizione di produrre di nuovo un medesimo prodotto, cioè, detto in termini molto semplici, ciò che gli serve al soddisfacimento dei suoi bisogni fino al momento della produzione di un altro prodotto uguale.
Se produco un paio di stivali devo ricevere, secondo il principio indicato, come compenso quel tanto che basti per vivere a me e a coloro che dipendono da me economicamente (familiari o altre persone a mio carico) fino a quando avrò prodotto un altro paio di stivali.
Non dico che questo “deve” avvenire in base a un qualche dogma socialista; affermo invece che ci vuole lo spirito associativo. Non si tema che a partire da esso sorga una terribile burocrazia: ce n’è già abbastanza su tutta la faccia della terra, ed è sorta proprio perché le cose stanno così come stanno. Quello che qui io intendo come realtà vivente delle associazioni nella vita economica sorgerà accanto al lavoro e coinvolgerà il lavoro stesso.
Dato che se il contesto economico, se le Associazioni economiche sono troppo grosse non sono più gestibili, allora saranno confuse, e se sono troppo piccole diventano troppo care, le Associazioni tenderanno, anche a partire dai condizionamenti climatici o di questo tipo, così come dal carattere delle persone, verso una grandezza giusta.
Le Associazioni, poi, si assoceranno fra loro ulteriormente. Questo permette di attivare la grande Associazione mondiale, il comitato economico mondiale che può essere costituito solo a partire dall’economia, cioè dalla vita economica in quanto indipendente da quella politica e da quella culturale.
Certo, in essa gioca un ruolo anche il lavoro, ma esso rientra nell’ambito delle competenze dello Stato, della sfera giuridica e politica. Per tutto quello che riguarda il lavoro ogni uomo maggiorenne, in unione con gli altri uomini, ha la competenza necessaria.
Egregi Signori! Ho accennato prima a quella sfortunata terra di sperimentazione sociale che è l’Austria, dove sono vissuto per trent’anni. Abbiamo visto come sia sorta laggiù la moderna vita parlamentare. Abbiamo potuto constatare cosa significhi introdurre gli interessi economici nella vita politica. Quando sorse la vita parlamentare in Austria, attorno agli anni Sessanta del diciannovesimo secolo, si pensò di articolare il Parlamento in quattro “Camere”: quella dei grandi proprietari, quella delle Associazioni commerciali, quella delle città e, infine, quella delle comunità rurali: rappresentanze politiche basate solo su interessi economici!
Era una vita parlamentare strutturata soltanto a partire dagli interessi economici! Eppure doveva decidere su questioni giuridiche e politiche. Quindi non è a partire dalla vita culturale nazionale, no: in una entità politica come l’Austria così complessa e diversificata l’impossibilità a durare era già stata posta da quelle forze distruttive che uno sguardo spregiudicato di chi viveva in Austria poteva osservare fin dagli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.
Là si poteva capire come fosse necessario che la vita economica rimanesse indipendente e governata solo dalle sue istanze interne, quelle che si manifestano nelle Associazioni dei più diversi ambiti professionali e a partire dai settori diversificati della vita economica e, in aggiunta, si doveva avere la libera vita culturale, che influisce comunque sulla vita economica. Quale sia il modo corretto di farlo l’ho illustrato più per esteso nel mio libro I punti essenziali della questione sociale. Potete trovare spunti specifici su tutto questo nella nostra rivista dedicata alla triarticolazione, stampata a Stoccarda, e anche nel corrispondente giornale olandese ad essa dedicato.
Come potete farvi un’idea della fruttuosità della libera vita spirituale osservando la libera scuola Waldorf avviata secondo questi principi a Stoccarda da parte di Emil Molt e da me diretta, altrettanto potete farlo con le nostre iniziative economiche, intendo la “Futurum” fondata in Svizzera e la “Kommenden Tag” in Germania che stanno muovendo i primi passi e il cui funzionamento potrete capire se avrete acquisito una qualche familiarità con i miei scritti sull’argomento.
Naturalmente oggi non è ancora possibile avviare molte iniziative di tipo associativo. I fatti della vita esteriore, l’ordine sociale attuale va oggi decisamente in direzione opposta, eppure i primi tentativi devono essere fatti. L’impulso per la triarticolazione dell’organismo sociale deve cominciare ad operare fin dentro la quotidianità dell’esistenza.
Nel mio libro I punti essenziali della questione sociale ho pure mostrato come anche il capitale abbia la sua origine nella vita culturale, e come quindi debba passare mediante gli uomini a una gestione individuale in conformità con le direttive della vita spirituale, della componente culturale dell’organismo sociale.
Ci sono state persone che hanno criticato la triarticolazione dicendo: “Essa spacca in tre pezzi quel che è invece un’unità”.
Non è così, perché proprio per il fatto che le tre parti vengono amministrate autonomamente conduce a creare vera unità. Tramite la vita culturale e mediante l’individualità umana si realizzerà sempre di più la circolazione del capitale!
Posso qui accennarvi solo brevemente, ma potete trovarlo spiegato meglio nel mio libro I punti essenziali della questione sociale. La regolamentazione del lavoro è di competenza dello Stato politico. Qui vengono ordinate tutte quelle situazioni per le quali ogni persona maggiorenne è diventata competente.
Proprio colui che pensa onestamente alla realtà della democrazia ne tiene separate da un lato la vita culturale e dall’altro quella economica, perché in esse nulla deve essere condotto in maniera “democratica”. Tuttavia rimane per lo Stato politico un vasto ambito che abbraccia tutte le situazioni umane, quelle dove le persone sono le une di fronte alle altre e nei confronti delle quali tutti gli uomini sono realmente uguali.
Davvero l’impulso per la triarticolazione dell’organismo sociale è scaturito dalle profondità della natura umana. Proprio a causa delle diversità che intercorrono fra la vita culturale, quella politica e quella economica si deve giungere a una amministrazione distinta e autonoma dei tre ambiti. E poiché ogni uomo è attivo in tutti e tre gli ambiti, si conseguirà così la giusta unità, la corretta collaborazione:
• dalla vita culturale opera nella vita economica il capitale amministrato dallo spirito;
• dallo Stato opera nella vita economica il lavoro regolato a partire dal fatto che gli uomini sono uguali. Nella vita economica si dovranno accettare tutte le regole che riguardano il lavoro, così come si accettano i fatti naturali. L’uomo dovrà dirsi: non posso incidere sul bel tempo o sulla pioggia; in modo simile devo accettare in ambito economico tutto ciò che riguarda il lavoro, regolato a partire dalle premesse indicate;
• nella formazione del prezzo mediante le Associazioni si discuterà a partire dal prodotto del lavoro, indipendentemente dal lavoro in quanto tale, che dovrà essere regolato dalla sfera politica.
Con questo siamo di fronte all’intima compenetrazione reciproca delle tre sfere dell’organismo sociale. Una vita economica che non si occupa di tutto quello che è spiritualità e cultura, e una vita politica che fa altrettanto e che si concentra soltanto su tutti quegli aspetti in cui gli uomini possono dire la loro in quanto uguali gli uni agli altri, proprio in questo modo riceveranno i frutti migliori dalla vita culturale libera. In questo modo si realizza un energico interagire fra le tre sfere, se vengono amministrate autonomamente come ho indicato.
Mi è stato detto che così voglio solo far rivivere l’antica idea platonica della suddivisione degli uomini in filosofi, guerrieri e contadini. No, assolutamente. Non è mia intenzione far rinascere quelle classi sociali, quanto piuttosto affermare che nell’ambito dell’amministrazione esteriore si deve operare in modo che si venga condotti a questa triarticolazione mediante il libero giudizio delle persone.
Non deve essere affermata dogmaticamente un’utopia, non si tratta di idee cervellotiche su istituzioni da creare. Si tratta piuttosto di indicare come gli uomini debbano articolarsi nell’organismo sociale, affinché con la loro collaborazione si raggiunga quella che può essere una soluzione continuativa della questione sociale, e in conseguenza di ciò anche una strutturazione della vita economica che dovrà avvenire mediante la sempre più vivace partecipazione delle Associazioni, proprio come l’organismo umano che ha bisogno ogni giorno di nutrimento per mantenersi.
Possiamo così dire: sono tre gli ambiti che incontriamo nell’organismo sociale, che richiedono proprio a partire dalla loro essenza specifica un’amministrazione autonoma per ognuno:
• la libertà deve essere decisiva nella vita culturale;
• l’uguaglianza deve ispirare la vita politica democratica, quella dove decide solo la maggioranza, proprio perché si occupa di quegli ambiti nei quali l’uomo è competente in quanto uomo;
• la fraternità deve svilupparsi in una vita economica costruita nel modo caratterizzato e cioè secondo il principio associativo.
Queste tre parole d’ordine dell’evoluzione umana risuonano nelle nostre orecchie dal tempo della Rivoluzione francese! Quale cuore umano non batte a pieno ritmo quando lascia agire dentro di sé con profonda comprensione questi tre principi dell’evoluzione umana!
Ma le persone istruite del diciannovesimo secolo hanno continuamente ripetuto che questi tre ideali si contraddicono tra loro nello Stato plenipotenziario. Avevano ragione! La soluzione dell’enigma sta nel fatto che gli uomini, proprio a partire da un anelito interiore, hanno voluto avere sia libertà che uguaglianza e fraternità ma finora le hanno affibbiate tutte e tre allo Stato unitario. Solo una triarticolazione dell’organismo sociale può realizzarle, e cioè:
• la libertà nella sfera culturale,
• l’uguaglianza in quella politica e statale,
• la fraternità nella vita economica basata sulle Associazioni.
Oggi volevo parlarvi della vita economica e ho dovuto mostrarvi come essa si possa costruire in modo che diventi il presupposto per una libera vita culturale e per una vera democrazia politica cui tende la nuova umanità. Infatti questi due ambiti sono in interiore accordo con la vita economica.
Perché una tale vita economica è quella che sola può dare a tutti gli uomini le condizioni per un’esistenza degna dell’essere umano, condizioni che possono venire costrui-te proprio a partire da quei fondamenti economici e che traggono le loro forze benefiche da una autonoma e giusta vita politica, così come dalla libera vita culturale traggono i principi per auto-amministrarsi.
Perciò si può concludere: la vita economica del futuro è pensabile solo accanto a una vita politica autonoma e a una libera vita culturale creativa che scaturisce dall’anima umana.
Risposte a domande
Domanda: Lei non ci ha detto come debbano sorgere le Associazioni. Svolazzano forse nell’aria? Da dove vengono? Lei pensa che le attuali organizzazioni operaie oppure le associazioni di consumatori possano evolversi e diventare Associazioni, oppure quest’ultime sono solo un’utopia? Si basano su qualcosa storicamente già sorto oppure lei vuole costituirle e crearle? Ha parlato spesso di utopie.
Rudolf Steiner: quando parlo di “utopie” penso a quelle di Proudhon, di Blanc, di Saint Simon e, in una certa misura, anche a quelle di Karl Marx. Lì può trovare utopie, costruzioni di pensiero sull’ordine sociale del futuro. L’utopia marxista rispetto alle altre si caratterizza per il fatto che fa appello a una specifica classe sociale, fa leva sugli istinti di questa classe e li trasforma in un impulso di protesta molto reale.
Ma proprio oggi, quando queste utopie mostrano i loro fiori più terribili, quando si presenta l’occasione di vederle realizzate, proprio allora si scorge quanto vi è di utopistico in esse. Può essere visto in grandissima misura in quelli che ritengono di porsi completamente sul piano della realtà. Non c’è bisogno di andare fino in Russia per studiare nel dettaglio quanto vi è nel leninismo di catastrofico per la civiltà e per la cultura. Basta conoscere ciò che vive nella testa di Lenin.
Lì si scorge ogni tipo di nuova condizione sociale che questo nuovo “zar” vuole realizzare. Infatti Lenin dice: “Con tutto questo non può essere raggiunto ciò che è davvero degno dell’essere umano, ma si raggiunge soltanto la distruzione della situazione attuale, con quel che propongo si distrugge la situazione odierna, e con essa decadono gli uomini di oggi. Allora sorgerà una nuova razza umana, che fonderà un modo di vivere degno per l’uomo”. In queste parole trasuda completamente l’utopia. Essa domina più di quanto si creda nelle teste e nelle anime degli uomini del presente.
Quello che invece vi ho detto non è affatto pensato in modo utopico, perché può essere realizzato ogni giorno nei settori corrispondenti.
Mi ricollego a quel che ha detto il mio interlocutore quando ha parlato di associazioni di consumatori. Queste oggi non operano nella direzione di ciò che attualmente deve venire espressamente eliminato, e cioè la necessità di tener ben distinto il lavoro dal prodotto del lavoro, cioè dalla merce; invece operano proprio a partire da questi presupposti. In quanto non sono associazioni di produttori e di consumatori, si occupano soltanto di regolare il consumo e non come le Associazioni che propongo io che si basano su una collaborazione fra produttori e consumatori. Ma questo può essere fatto, non è un’utopia, soprattutto se si parte da ciò che c’è già.
Naturalmente non si deve partire dal presupposto che sia utopia quando si vuol minimamente cambiare lo stato attuale. Quel che già esiste sono, in un certo senso, gli elementi che vanno associati fra loro.
Io non parlo di organizzazioni, gentili convenuti, perché anche se sono austriaco ho passato metà della mia vita in Germania e poi in Svizzera, e proprio perché vengo da là la parola “organizzazione” opera su di me come qualcosa che brucia. Dalle organizzazioni non mi aspetto proprio nulla perché esse dipendono da un centro, sono regolate dall’alto. In realtà è proprio l’amore tedesco per l’organizzazione che ha portato la Germania nella condizione in cui si trova ora.
Chi visita oggi la Germania può testimoniare che il culto dell’organizzazione è ancora molto radicato, anche se si crede che sia stato superato.
Su di me ciò che in Germania viene chiamato “organizzazione” agisce esattamente come il fazzoletto rosso sul toro – con questo non voglio dire che io sia un toro! Associare è tutt’altra cosa che organizzare!
Lì si associano i migliori, i più capaci – non quelli che stanno a capo o al centro e che vogliono “organizzare”. Proprio su questo modo di concepire l’organizzazione può essere esemplare un libro scritto da un professore tedesco[15] e dedicato alla formazione dei prezzi durante la guerra mondiale. A partire da accuratissime ricerche egli ha rilevato che cosa è avvenuto con l’intervento dello Stato nell’economia mediante l’organizzazione dei prezzi.
Porta quattro affermazioni in consequenzialità corretta, che per la loro metodicità sono degne di una pubblicazione scientifica:
• le autorità proposte alla formazione dei prezzi non hanno mai avuto la minima idea di cosa si tratti;
• si sono regolati i prezzi dappertutto in modo tale che è realmente derivato l’esatto contrario di quel che si intendeva conseguire;
• questo modo di regolare i prezzi ha terribilmente danneggiato grandi fasce della popolazione;
• si è promossa la disonestà a spese dell’attività onesta e del commercio onorevole.
Questi sono i risultati scientifici ai quali è pervenuto il nostro bravo economista! Poi egli aggiunge:
Questo è quel che può dire la ricerca scientifica, ma nella vita sociale agiscono anche altri interessi. Deve intervenirvi anche lo Stato, e per lo Stato non valgono i criteri che debbono essere riconosciuti come economicamente validi dall’economista.
Ma allora è più sensato che l’economista resti sulle sue posizioni e si lamenti per il fatto che lo Stato intralcia le sue corrette e scientifiche conclusioni, oppure che si dica: la vita economica deve essere organizzata in modo tale che non sia necessario mostrare l’esistenza di quell’elemento che disturba la corretta formazione del prezzo?
L’impulso della triarticolazione dell’organismo sociale fa leva sulle realtà naturali. Deve scaturire dall’abilità dei singoli individui, da quella dei singoli gruppi umani che porta alla produzione, alla circolazione e al consumo di merci. È questa abilità dei singoli che si associa. Proprio a partire da essa scaturisce quello che va fatto.
Così è anche nella vita culturale. Se per esempio osservate la scuola Waldorf vedrete che essa vive una assoluta libertà culturale. Io dirigo la scuola ma non faccio altro che offrire consigli ai singoli maestri. Entro nelle classi, osservo come è l’evoluzione psicologica dei bambini, discuto di queste cose con gli insegnanti offrendo i miei consigli, ma poi sono loro che portano avanti direttamente l’insegnamento.
Nel corso del tempo abbiamo potuto osservare nuove leggi che regolano lo sviluppo evolutivo dei bambini nelle varie fasce d’età, così come lo abbiamo fatto per quel che riguarda la convivenza dei bambini fra loro e altri aspetti della loro vita. Ma come opera questa scuola Waldorf? Immaginate che all’inizio di tutto ci sia un funzionario statale, oppure un deputato che a partire dal suo sentire specifico di funzionario o di parlamentare abbia varato un programma scolastico. Può essere senz’altro un programma molto interessante, perché sul piano intellettuale oggi le persone sono molto sveglie. Si possono scrivere i programmi scolastici migliori, ma poi essi vengono davvero realizzati?
Noi non abbiamo fatto così. Nella nostra scuola ci sono ventidue maestri e la scuola si basa tutta sull’abilità professionale di questi maestri. Non c’è nulla di più menzognero che stabilire un programma e poi non poterlo eseguire, perché l’insegnante deve procedere a partire dalle sue capacità reali e non dai programmi. È proprio a partire dall’abilità individuale che si deve cercare di operare.
Così è anche nella vita economica. Le Associazioni non vengono costruite utopisticamente, ma continuando a lavorare a partire da ciò che c’è già. Io credo, anzi, che la loro esistenza farà aumentare le abilità individuali. Ma oggi non possiamo che costruire a partire da quello che c’è.
Il Presidente degli studenti: questa sera lei ci ha offerto un panorama della sua visione della vita economica. Era naturalmente impossibile offrirci qualcosa di più completo, ma certamente molti di noi trarranno dalla sua conferenza stimoli per studiare più da vicino la triarticolazione dell’organismo sociale. Con questo lei ha raggiunto un importante obiettivo. È venuto fino a noi nonostante sia oberato di lavoro: a nome di tutti i presenti le porgo i più sentiti ringraziamenti. È stata una serata molto interessante.
Rudolf Steiner: Signor Presidente e signori tutti che avete collaborato a questa iniziativa: devo dirvi che il vostro invito mi ha particolarmente fatto contento, perché veniva da un gruppo di studenti. A voi dovrebbe essere chiaro più che ad altri che di fronte ai problemi di cui ci siamo occupati stasera, di fronte alle soluzioni della questione sociale che sorgeranno nei prossimi decenni – e si dovranno continuamente cercare soluzioni – abbiamo bisogno innanzitutto di coloro che oggi si trovano fra le schiere degli studenti. Ormai io sono molto lontano da questa condizione, ma ripenso spesso ai tempi in cui noi abbiamo vissuto tutto questo in modo diverso da voi. Allora noi eravamo di fronte a grandi speranze di tipo culturale, politico e specialmente di tipo economico, ma molte di esse si sono poi rivelate mere illusioni e non solo qua o là, ma nel complesso di tutta la vita internazionale. Questo ha distolto molti dall’interessarsi alle profonde questioni dell’umanità.
Quelli che oggi sono nella condizione di studiare non possono più avere illusioni di quel tipo. Imparano dal grande stato di bisogno che c’è oggi, dalla crisi della vita odierna che c’è bisogno di un approfondimento. Per questo sono molto lieto del fatto che gli studenti abbiano interesse per le indicazioni di fondo che ho potuto esporre. Più di questo non volevo offrire. Da questo punto di vista, forse, anche quando io non sarò più presente, si potrà a partire dalle indicazioni offerte continuare ad elaborarle da parte di coloro che oggi sono giovani. Se grazie al vostro invito anche solo poche gocce sono potute arrivare, di questo voglio ringraziarvi così come ringrazio cordialmente il comitato organizzatore per l’invito molto gentile che mi è stato rivolto.
Prof. Hallo: Dottor Steiner, lei ci ha ringraziato per l’invito ricevuto. Mi permetta di cogliere l’occasione per esprimere quel che sento: la gratitudine è soprattutto mia. Lei è riuscito a presentarmi una nuova sintesi di arte, scienza e religione. A me che sono rigorosamente impegnato nella scienza e nella tecnica, e tale voglio rimanere, lei ha mostrato quale sia l’itinerario giusto per cogliere l’essenza dell’uomo, l’ideale umano, il Cristo stesso. Le sono davvero grato per avermi fatto capire la vera essenza del Cristo e degli insegnamenti cristiani. Questo è quanto desideravo ancora dire. (segue poi un discorso conclusivo del Prof. Hallo in lingua olandese).
[1]La scienza dello spirito orientata antroposoficamente è la conoscenza oggettiva dei mondi e delle realtà spirituali, e dell’uomo completo.
[2]Allo stato attuale la compagine dell’essere umano è costituita dal corpo fisico, l’unico visibile e percepibile ai sensi fisici, attraverso il quale si manifestano le leggi del regno minerale a cui anche l’uomo appartiene; dal corpo eterico o vitale costituito da fasci invisibili di correnti vitali che sono la base plasmatrice del vivente (fenomeni di nascita e crescita), la cui espressione pura è il regno vegetale, al quale anche l’uomo appartiene; dal corpo astrale o anima, l’infinita ricchezza delle sensazioni che accomuna l’essere umano al regno animale, rendendolo capace di movimento e reazione interiore al mondo esterno; infine dall’Io, dimensione specificamente umana, capace di organizzare e nobilitare per forza autonoma propria il mare dell’astralità, orientandosi verso l’oggettività dello spirito
[3]Per “comunicazioni” si intendono i pensieri che lo scienziato dello spirito esprime in merito alla propria reale esperienza dello spirituale
[4]Se si pensa a quanto oggi viene “scusato” in nome della cosiddetta “tolleranza”, del relativismo, di ciò che è chiamato in occidente “political correctness”, i pensieri di Steiner ricevono una straordinaria attualità, maggiore di quella che ebbero allora.
[5]Un secolo fa si poteva ancora parlare in questo modo! Oggi si parlerebbe di cultura occidentale o di mondo occidentale che abbraccia, nella stessa misura, America ed Europa
[6]La “cronaca dell’invisibile”, in sanscrito cronaca dell’akasha, corrisponde al Libro della vita della tradizione cristiana. È la traccia indelebile e soprasensibile della storia umana cui l’iniziato è in grado di accedere
[7]Cfr Nota 1
[8]Sulla triarticolazione sociale vedi anche: R. Steiner Cultura, Politica, Economia – Ed. Archiati
[9]Mt 24,35: “Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno”
[10]Lettera ai Romani 7,7-8: “Che cosa dobbiamo dire? La legge è forse peccaminosa? Non sia mai! Eppure io riconosco il peccato solo perché c’è la legge. Non riconoscerei il desiderio se la legge non avesse detto: non desiderare! Il peccato ha fatto sì che il comandamento diventasse occasione e scatenasse in me desideri di ogni tipo: senza la legge il peccato sarebbe morto”.
[11]Dinastia tedesca di re e imperatori di Prussia, Germania e Romania.
[12]Steiner distingue tre forze principali dell’anima, che chiama: senziente, razionale e cosciente. La prima fu sviluppata soprattutto nel periodo egizio, la seconda in quello greco e romano mentre la formazione dell’ultima è compito del nostro tempo.
[13]Qui si intende il periodo della Rivoluzione francese
[14]Oggi questi pensieri sono diventati ancora più drammaticamente attuali: la neurobiologia tende sempre più a mostrare che nell’uomo tutto è determinato dall’ereditarietà e dai condizionamenti. “Spirito”, “anima”, “libero volere” appartengono, per molte persone, alla discarica della storia.
[15]Prof. Dr. Fritz Terhalle, Freie oder gebundene Preisbildung? (Verlag Gustav Fischer, Jena, 1920)
A proposito di Rudolf Steiner
Rudolf Steiner (1861-1925) ha integrato le moderne scienze naturali con una indagine scientifica del mondo spirituale. La sua antroposofia rappresenta, nella cultura odierna, una sfida unica al superamento del materialismo.
La scienza dello spirito di Steiner non è solo teoria. La sua fecondità si palesa nella capacità di rinnovare i vari ambiti della vita: l’educazione, la medicina, l’arte, la religione, l’agricoltura, fino a prospettare l’idea di una triarticolazione dell’intero organismo sociale che riserva all’ambito della cultura, a quello della politica e a quello dell’economia una reciproca indipendenza.
Fino a oggi Rudolf Steiner è stato ignorato dalla cultura dominante. Questo forse perché molti uomini indietreggiano impauriti di fronte alla scelta che ogni uomo deve fare tra potere e solidarietà, fra denaro e spirito. In questa scelta si manifesta quell’interiore esperienza della libertà che è stata resa possibile a tutti gli uomini a partire da duemila anni fa, e che porta a un crescente discernimento degli spiriti nell’umanità.
La scienza dello spirito di Rudolf Steiner non può essere né un movimento di massa né un fenomeno elitario: da un lato, infatti, solo il singolo individuo, nella sua libertà, può decidere di farla sua; dall’altro questo singolo individuo può mantenere le sue radici in tutti gli strati della società, in tutti i popoli e in tutte le religioni egli sia nato e cresciuto.