Prefazione
Da molto tempo sia il Budda sia il Cristo vivono nella coscienza dell’umanità, in Oriente e in Occidente. Due individualità ritenute tuttora esemplari per il modo in cui sono vissute sulla Terra, due biografie raccontate innumerevoli volte con entusiasmo.
Budda è il grande maestro, il cui insegnamento fondamentale è quello dell’amore e della compassione. La vita è sofferenza, egli afferma, e questo dolore è causato dalla sete di esistenza, che va estinta se lo si vuole eliminare. Il Budda porta agli uomini la coscienza dell’ottuplice via, del sentiero della purificazione interiore, dell’evoluzione morale. Non gli interessa parlare del mondo esteriore e del cosmo, lui parla del mondo interiore, del modo in cui l’uomo diventa sempre più perfetto nell’anima.
Cristo non è un maestro. Se osserviamo più da vicino le sue parole e le sue parabole, ci accorgiamo che in definitiva non contengono nulla di nuovo: le verità in esse esposte possono essere fatte risalire a ere o civiltà più antiche. Il messaggio fondamentale di queste conferenze di Rudolf Steiner è racchiuso nell’affermazione che l’essenza del fenomeno Cristo, del cristianesimo stesso, risiede in un fatto, in un evento storico, un avvenimento. Del Budda sono importanti le parole dette, del Cristo le azioni compiute.
Il Budda ha portato agli uomini la verità sull’amore e sulla compassione; ha ridestato in loro la consapevolezza di non poter convivere senza amore. Seicento anni dopo, con la sua morte e la sua risurrezione, il Cristo ha introdotto sulla Terra le forze reali dell’amore, che da allora sono accessibili per ogni uomo.
Ma che cos’è l’amore come forza reale ed efficace? Forse il modo migliore per capirlo è paragonarlo a forze naturali come la gravità, il magnetismo, la fame, la collera o la curiosità. Tali forze non vengono vissute come pura teoria priva di efficacia, ma hanno effetti immediati, inducono l’uomo a fare qualcosa.
La forza dell’amore era presente nel mondo già prima dell’avvento del Cristo, ma agiva come forza cosmica, più come forza naturale istintiva, simile all’amore che il bambino piccolo prova per i genitori. La novità della forza dell’amore introdotta dal Cristo nel genere umano consiste nella sua capacità di scaturire dalla libertà dell’Io individuale, dal profondo del cuore umano. Libertà e amore diventano così un’unità inscindibile: da quel momento in poi non c’è più amore senza libertà e neppure libertà senza amore.
In questi ultimi tempi assistiamo anche nel mondo occidentale a una rinascita della religione. Molte persone ritengono importante trattare tutte le religioni allo stesso modo, senza prediligerne o denigrarne nessuna. Prima, col cosiddetto studio comparativo delle religioni, la loro uguaglianza risultava dal loro contenere le medesime verità fondamentali. Si tende sempre più a vederle come interlocutori diversi ma ugualmente validi: tutte le religioni hanno lo stesso valore e meritano la medesima considerazione.
La posizione di Steiner rispetto a questa importante questione è unica e a prima vista addirittura sconcertante. Secondo lui Budda e Cristo, buddismo e cristianesimo non possono affatto essere messi a confronto, dal momento che non sono due realtà separate. Per Steiner Budda e Cristo non sono due entità distinte, ma a partire dalla svolta dei tempi agiscono come un tutt’uno sulla Terra. La corrente della saggezza orientale si è unita allo spirito dell’amore. La caratteristica di queste conferenze consiste proprio nella descrizione del modo in cui questa fusione è avvenuta a livello sensibile e sovrasensibile.
Steiner si serve del paragone di una pianta per rendere la cosa più comprensibile. La pianta è in fase di sviluppo: all’inizio esiste solo in quanto seme, che in seguito diventerà un germoglio, poi si aggiungeranno foglie e stelo, e infine fiore e frutto. Sarebbe assurdo cercare di fare un raffronto fra germoglio e fiore chiedendosi quale dei due sia migliore. Germoglio e fiore infatti non sono due realtà diverse e paragonabili fra loro, bensì un’unica realtà in continua evoluzione. Lo stesso vale per il Budda e il Cristo: il buddismo è come un germoglio e il cristianesimo ne è il fiore, non è qualcosa di diverso, bensì una fase evolutiva successiva della medesima realtà.
In definitiva l’unica realtà che per noi dura nel tempo è l’uomo stesso. Buddismo e cristianesimo rappresentano due stadi dell’umanazione di ogni uomo. Seicento anni prima di Cristo l’uomo vive da buddista, mentre seicento anni dopo può cominciare a vivere da buddista-cristiano. La stessa cosa avviene con la pianta: per un certo periodo esiste solo come germoglio senza fiore, ma quando compare anche il fiore, le forze di queste due componenti diventano inseparabili.
Solo unito al buddismo il cristianesimo può diventare qualcosa di più del semplice buddismo; solo unito al cristianesimo il buddismo può diventare qualcosa di più del solo cristianesimo. Da duemila anni il Budda e il Cristo operano congiuntamente, inseparabili come il germoglio e il fiore. Anche l’amore della madre e del padre diventa un’unità inscindibile nel bimbo appena nato, l’unità vivente del bambino stesso.
Fino a oggi il cristianesimo tradizionale è stato solo un primo inizio embrionale, non tanto per non essersi ancora unito allo spirito del buddismo, quanto per aver portato avanti quasi esclusivamente questo spirito buddista. Si è realizzato un cristianesimo nel quale il vero spirito del Cristo è rimasto pressoché inefficace. Nel cristianesimo tradizionale era ed è tuttora buddista la fuga dal mondo, l’idea di uno spirito divino al di là del mondo materiale, una spiritualità occidentale ancor oggi presa in prestito dall’Oriente e che si esplica solo nella cosiddetta vita privata, senza alcuna ripercussione sulle realtà concrete della vita. Il moderno materialismo della scienza, della tecnica e del capitalismo è il prodotto culturale dello spirito di questo cristianesimo nei confronti della vita.
Ecco dunque spiegato il rilievo dato da Steiner in queste conferenze alla corrente di Zarathustra – l’altra corrente che, insieme al buddismo, è diventata una cosa sola con il cristianesimo nel momento della svolta epocale.
Lo spirito di Zarathustra è rivolto alla Terra fin dagli inizi: alla vita quotidiana, alla convivenza sociale, all’economia. Rudolf Steiner ne descrive in maniera efficace l’evoluzione nel corso dei millenni, dagli inizi nella civiltà paleopersiana, in cui richiama l’attenzione sullo spirito del Sole, Ahura Mazda, che si avvicinava sempre più alla Terra per diventarne lo spirito, per renderla il luogo della sua ulteriore evoluzione con tutti gli uomini e in ogni uomo.
Gesù di Nazareth può diventare il portatore del Cristo per il fatto che in lui si sono fusi buddismo e zoroastrismo, l’amore del Budda per lo spirito e l’amore di Zarathustra per la Terra. In lui il Cristo porta sulla Terra l’amore per l’uomo, in quanto il nostro pianeta è l’unico luogo in cui lo spirito umano può dedicarsi alla propria evoluzione in libertà e amore.
Pietro Archiati
nell’inverno 2006/07
Prima conferenza
Chiaroveggenti e iniziati
fra i quattro evangelisti
Basilea, 15 settembre 1909
Miei cari amici!
Quando ci siamo riuniti qui qualche tempo fa abbiamo potuto discutere delle più profonde correnti del cristianesimo dall’ottica del Vangelo di Giovanni, e al nostro occhio spirituale sono apparse quelle potenti immagini e idee che l’uomo può acquisire immergendosi in questo straordinario documento.
Allora avevamo dovuto sottolineare che le massime profondità del cristianesimo si manifestano quando lo si esamina avvalendosi di questo documento. E oggi qualcuno degli ascoltatori presenti a quelle conferenze potrebbe chiedersi se sia possibile per mezzo di un altro documento cristiano, di un altro dei quattro Vangeli, ampliare o approfondire in qualche modo quei punti di vista che sotto un certo aspetto vanno definiti come i più profondi.
E chi per così dire amasse la comodità teorica potrebbe chiedersi: ma è davvero possibile, dopo essersi immersi nelle profondità del Vangelo di Giovanni, affrontare l’essenza del cristianesimo dal punto di vista del Vangelo di Luca, che è meno profondo del primo? Chi formulasse una simile domanda credendo di aver detto qualcosa di importante incorrerebbe in un grosso equivoco.
Non solo è vero che il cristianesimo in quanto tale è inesauribile, ma è anche vero che, nonostante la sua notevole profondità, dal Vangelo di Giovanni non si possono apprendere diverse cose che impariamo invece grazie al Vangelo di Luca. Lo scopo di questa serie di conferenze è appunto dimostrare tale affermazione.
Esiste una possibilità di penetrare nelle profondità del cristianesimo prendendo le mosse da un altro punto, che all’epoca delle altre conferenze non avevamo ancora pienamente sviscerato. Quest’altro punto di partenza lo troviamo mettendo il Vangelo di Luca al centro delle nostre considerazioni scientifico-spirituali. Vogliamo prendere in esame alcuni punti che ci permettano di capire che si può ricavare ancora qualcosa dal Vangelo di Luca pur dopo aver analizzato a fondo il Vangelo di Giovanni.
Dobbiamo prendere le mosse da quello che abbiamo trovato anche nel Vangelo di Giovanni, e cioè che per l’osservatore scientifico-spirituale i Vangeli rappresentano dei documenti redatti da persone che hanno guardato più a fondo nell’esistenza, persone che in qualità di chiaroveggenti o iniziati hanno saputo penetrare nelle profondità del mondo.
Generalmente parlando possiamo usare i termini iniziato e chiaroveggente come se fossero equivalenti, ma se vogliamo addentrarci negli strati più profondi della vita spirituale dobbiamo operare una distinzione fra iniziato e chiaroveggente, che in un primo tempo siamo autorizzati a non differenziare, individuando due categorie di persone che hanno trovato la via verso le regioni sovrasensibili dell’esistenza.
Esiste una differenza fra iniziato e chiaroveggente, anche se niente si oppone al fatto che l’iniziato sia al contempo un chiaroveggente e il chiaroveggente un iniziato.
Volendo distinguere più precisamente queste due categorie dobbiamo ricordarci delle descrizioni fornite nel mio libro L’iniziazione: come si consegue la conoscenza dei mondi superiori? Dobbiamo ricordare che sono tre i gradini che ci conducono oltre la consueta visione del mondo.
• La conoscenza dapprima accessibile all’uomo è quella che osserva il mondo attraverso i sensi e si appropria delle cose sensibili per mezzo dell’intelletto. Oltre a questo, vi sono altri tre stadi di conoscenza umana:
• il primo è quello della cosiddetta conoscenza immaginativa,
• il secondo quello della conoscenza ispirativa e
• il terzo quello della conoscenza intuitiva, se intendiamo questo termine nel suo significato scientifico-spirituale.
Ma chi possiede la conoscenza immaginativa? Colui al cui occhio spirituale si manifestano le immagini che stanno dietro al mondo sensibile, quelle immagini che non hanno nessuna somiglianza con quelle della vita ordinaria. Oltre a non sottostare alle leggi dello spazio tridimensionale, il mondo in cui appaiono queste immagini ha altre caratteristiche ed è difficilmente paragonabile a quello sensibile.
Se immaginassimo di avere davanti a noi una pianta e di essere in grado di estrarre da essa tutto ciò che è percepibile dagli occhi come colore, ci troveremmo di fronte a una forma di colore morta. Al chiaroveggente però questa forma di colore non appare affatto morta, anzi, quando per esempio estrae il colore che c’è nelle cose, grazie alla sua preparazione questa forma di colore comincia a essere animata dallo spirito, proprio come prima lo era dal mondo sensibile.
E l’uomo in quanto chiaroveggente non ha quindi davanti a sé una forma di colore morta, bensì un’immagine colorata luminosa, cangiante e brillante, interiormente animata, così che ogni colore esprime delle caratteristiche animico-spirituali che non possono essere percepite nel mondo sensibile.
Se davanti ai nostri occhi si realizza un mondo con forme di colore che giocano, si trasformano e cambiano aspetto in continuazione, e il nostro sguardo non si sofferma unicamente sul colore morto, ma pensiamo a tutto questo come all’espressione dell’elemento animico-spirituale, così da dirci per esempio: «Se qui appare un’immagine di colore verde, significa che lì sta balenando qualcosa che ci può essere comunicato attraverso il colore verde», se immaginiamo tutta questa totalità di colori che si intersecano fra loro sempre accompagnati da sensazioni olfattive e gustative, se concepiamo tutto questo come espressione di entità spirituali, allora abbiamo quello che viene chiamato mondo immaginativo.
È un mondo reale, e la conoscenza immaginativa è un modo di comprendere le cose diverso da quello sensibile.
In questo mondo immaginativo all’uomo si presenta tutto ciò che si trova dietro al mondo sensibile e che in quest’ultimo non può essere percepito, come per esempio il corpo eterico-vitale e il corpo astrale-animato dell’uomo. L’individuo dotato di chiaroveggenza che sperimenta il mondo attraverso la conoscenza immaginativa impara a conoscere le entità superiori per così dire dal loro lato esteriore, come quando camminando per strada conosciamo il lato esteriore delle persone, quello percepibile mediante i sensi.
Impariamo a conoscere le persone in maniera più precisa quando abbiamo occasione di parlare con loro. Allora, attraverso le loro parole, esprimono qualcosa di completamente diverso. Semplicemente guardando una persona non possiamo capire se nel suo cuore c’è gioia o dolore, se la sua anima trabocca di dispiaceri o di entusiasmo; ma parlando con lei lo verremo a sapere.
Dapprima la persona ci mostra il suo lato esteriore; quando parla con noi invece esprime la propria interiorità. Lo stesso accade con le entità del mondo sovrasensibile. Il chiaroveggente che conosce il mondo sovrasensibile a livello immaginativo ottiene per così dire solo la conoscenza esteriore degli esseri, ma quando ascende allo stadio dell’ispirazione li sente esprimersi. Allora essi gli comunicano chi sono e che cosa fanno. Per questo l’ispirazione è un grado di conoscenza superiore all’immaginazione.
L’intuizione è uno stadio ancora superiore – nel senso scientifico-spirituale del termine, e non in quello con cui si è soliti definire una conoscenza vaga e indistinta. L’intuizione è una conoscenza che permette di cogliere il linguaggio delle entità, di immedesimarsi in altri esseri. È uno stadio elevato di conoscenza spirituale che richiede che l’uomo abbia sviluppato la propria individualità fino a non fare più nessuna differenza fra sé e le altre entità, fino ad aver riversato completamente la propria essenza, così da non essere al di fuori delle creature ma in esse. E poiché questo può avvenire solo nei confronti di un mondo divino-spirituale, è del tutto legittimo usare l’espressione «vivere in Dio» in riferimento all’intuizione.
Ecco dunque che dapprima ci appaiono questi tre gradi di conoscenza del mondo sovrasensibile: l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione.
Esiste la possibilità di acquisire questi tre stadi della conoscenza sovrasensibile, ma in un’incarnazione è anche possibile spingersi solo fino a quello dell’immaginazione. Allora al chiaroveggente che è arrivato solo fin lì restano celate le regioni raggiungibili unicamente mediante gli altri gradi di conoscenza.
Ai nostri tempi non si usa condurre gli uomini direttamente agli stadi superiori della conoscenza sovrasensibile senza averli prima fatti passare attraverso quello dell’immaginazione, ragion per cui oggi quasi nessuno tralascia il grado dell’immaginazione. Ma ciò che oggi non sarebbe affatto giusto ha potuto verificarsi e si è verificato in determinate epoche. Ci sono stati tempi in cui l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione venivano ripartite fra individui diversi.
Sono esistiti luoghi misterici in cui c’erano persone dotate di conoscenza immaginativa e altre che, senza essere passate per lo stadio dell’immaginazione, possedevano la conoscenza intuitiva e ispirativa. Per il fatto di essersi detti: «In questa incarnazione rinuncio a raggiungere gli stadi più elevati», quegli uomini così chiaroveggenti da possedere la conoscenza immaginativa hanno acquisito la facoltà di guardare con particolare chiarezza e precisione nel mondo immaginativo; si sono allenati in maniera particolare a osservare quel mondo.
Una cosa era però necessaria. Chi poteva guardare soltanto quel mondo, rinunciando a penetrare negli altri segreti, viveva una certa insicurezza interiore. Sotto un certo aspetto il mondo dell’immaginazione fluttuante è sconfinato e in esso l’anima nuota avanti e indietro senza sapere con esattezza in che direzione e verso quale meta. Per questo era necessario che, nelle epoche in cui determinati uomini rinunciavano ai gradi superiori di conoscenza, coloro che erano dotati della chiaroveggenza immaginativa si unissero con assoluta dedizione a quelli che avevano la facoltà dell’ispirazione e dell’intuizione.
Solo quelle due facoltà infatti davano sicurezza nel mondo sovrasensibile, permettendo di sapere dov’era la via da seguire e dove si trovava la meta. La conoscenza immaginativa da sola non è in grado di indicare un percorso o una meta: occorre affidarsi alla guida scrupolosa di qualcuno in grado di mostrarli con sicurezza. Per questo si sottolinea sempre che chi in un primo momento ascende alla conoscenza immaginativa debba legarsi intimamente al maestro, alla guida.
In certe epoche è stato quindi utile far saltare ad alcuni la conoscenza immaginativa e condurli direttamente a quella ispirata o intuitiva. Queste persone rinunciavano a vedere intorno a sé il mondo delle immagini e si dedicavano interamente alle impressioni che scaturivano dall’interiorità delle entità, ascoltavano con orecchi spirituali le parole delle entità divino-spirituali. Era un po’ come se fra noi e gli altri ci fosse una parete: non li vedremmo, ma li sentiremmo parlare.
Esiste assolutamente questa possibilità che gli uomini rinuncino a vedere il mondo sovrasensibile per essere condotti più rapidamente ad ascoltare i messaggi delle entità spirituali. Non importa se si vedono o meno le immagini spirituali: definiamo chi è in grado di percepire con le orecchie dello spirito ciò che le entità spirituali dicono di sé un individuo dotato della parola interiore, contrapposta alla parola esteriore che nel mondo fisico ci si passa da persona a persona.
Possiamo allora immaginare che esistano anche degli uomini che, senza vedere il mondo immaginativo, possiedono la parola e sono in grado di udire e comunicare il linguaggio delle entità spirituali.
In un determinato periodo dell’evoluzione, all’interno dei misteri cooperavano due tipi di sperimentatori e conoscitori sovrasensibili; rinunciando a qualcosa, ciascuno di loro poteva sviluppare con maggior chiarezza e precisione la facoltà di cui era dotato. Questo produsse in determinate epoche una meravigliosa interazione:
• C’erano i chiaroveggenti immaginifici, particolarmente allenati a scrutare il mondo delle immagini, e
• c’erano quelli che si erano esercitati soprattutto ad accogliere nella loro anima la parola interiore.
Così l’uno poteva comunicare all’altro ciò che aveva sperimentato grazie alla sua particolare preparazione. Questo era possibile solo ai tempi in cui fra uomo e uomo esisteva un grado di fiducia che oggi è quasi inimmaginabile. Al giorno d’oggi l’uomo non ha la fiducia necessaria per ascoltare le immagini che questi gli descrive per poi aggiungere a esse la propria ispirazione, nella sincera convinzione che tali immagini siano giuste. Oggi ognuno vuole vedere di persona, e si tratta di un fenomeno legittimo di questi nostri tempi. Perciò è anche necessario che oggigiorno l’uomo venga gradualmente condotto attraverso tutti e tre gli stadi della conoscenza.
In tutti e tre i casi i segreti connessi con l’evento cristico ci si presentano in modo tale per cui dobbiamo affermare che ciascun tipo di conoscenza ha un’infinità di cose profonde da dire a proposito di quell’evento.
Se dirigiamo il nostro sguardo sui Vangeli da quest’ottica possiamo dire che il Vangelo di Giovanni è scritto dal punto di vista di un iniziato, inserito nei segreti del mondo spirituale fino ad aver raggiunto l’intuizione. Descrive il mistero del Cristo ascendendo fino all’intuizione.
Chi dunque si occupi a fondo delle prerogative del Vangelo di Giovanni dovrà dirsi che tutto ciò che in esso viene espresso con particolare chiarezza viene detto dal punto divista dell’ispirazione e dell’intuizione, mentre tutto quello che appartiene all’immaginazione impallidisce. Possiamo quindi definire l’autore del Vangelo di Giovanni un iniziato che possiede la parola interiore. Pertanto questo evangelista si serve sostanzialmente della parola o del Logos per descrivere i segreti del regno del Cristo. Alla base del Vangelo di Giovanni troviamo questa conoscenza intuitiva e ispirata.
Per gli altri Vangeli le cose stanno diversamente e nessuno degli altri evangelisti ha espresso quel che aveva da dire con la stessa chiarezza dell’autore del Vangelo di Luca.
Questo Vangelo è preceduto da un prologo singolare che dice all’incirca questo: molti si sono accinti a raccogliere tutte le narrazioni in circolazione sull’evento della Palestina. E per rendere il tutto più preciso e ordinato, anche l’autore del Vangelo di Luca intraprende la descrizione di ciò che sono in grado di comunicare quelli che fin dall’inizio sono stati – come dice di solito la traduzione – «testimoni oculari e ministri della parola». (Lc 1,2)
L’autore del Vangelo di Luca vuole quindi comunicare ciò che hanno da dire i testimoni oculari e i servitori della parola. Al posto di testimoni oculari è più adeguato usare il termine visionari consapevoli (dal greco αυ’τóπται, autoptai), che è però un’espressione tecnica per designare coloro che sono dotati della conoscenza immaginativa, che sono in grado di penetrare nel mondo delle immagini e là percepire l’evento cristico. Visionari consapevoli, vale a dire coloro che vedono con precisione e chiarezza. L’autore del Vangelo di Luca basa il proprio testo su di loro e su quelli che chiama ministri della parola.
Sono parole significative. Non dice «possessori» della parola, perché quelli sarebbero gli uomini dotati della piena conoscenza ispirata e intuitiva, ma li chiama ministri, servitori della parola. Si tratta di uomini che possiedono i messaggi in modo diverso rispetto agli ispirati: conoscono questi messaggi perché i loro maestri ispirati hanno comunicato loro la parola interiore. Sono servitori e non detentori della parola.
Il Vangelo di Luca si basa quindi sulle comunicazioni dei visionari autocoscienti nel mondo immaginativo, che hanno imparato a esprimere le loro visioni con gli strumenti di cui è dotato l’individuo ispirato.
Questo esempio ha lo scopo di mostrare la precisione delle parole usate nei Vangeli e come esse vadano intese letteralmente. In questi documenti ogni cosa viene detta in maniera esatta, mentre l’uomo moderno non ha la più pallida idea dell’esattezza e della precisione con cui sono state scelte queste parole.
Ma anche ora, come ogni volta che facciamo considerazioni di questo genere scientifico-spirituali, dobbiamo ricordare che per la scienza dello spirito i Vangeli non sono delle fonti nel vero senso della parola. Per il rigoroso scienziato spirituale, il fatto che una cosa sia contenuta nei Vangeli non significa che sia anche vera. Lo scienziato spirituale non attinge dai documenti, ma da quello che gli fornisce la ricerca spirituale stessa del suo tempo:
• Le fonti della scienza dello spirito sono costituite da quello che gli iniziati hanno da dire ai nostri giorni. In un certo senso per la nostra epoca iniziati e chiaroveggenti sono la stessa cosa. Ma a quei tempi si potevano definire chiaroveggenti solo coloro che possedevano la conoscenza immaginativa e iniziati quelli dotati di conoscenza intuitiva.
• Quello che troviamo nel Vangelo di Giovanni poteva basarsi solo sulla ricerca di un iniziato;
• quello che troviamo negli altri Vangeli poteva fondarsi su comunicazioni di individui chiaroveggenti ma non ancora iniziati, uomini che non avevano ancora potuto ascendere al mondo intuitivo.
Il Vangelo di Giovanni si fonda quindi sull’iniziazione, mentre gli altri tre, e soprattutto quello di Luca, si basano sulla conoscenza chiaroveggente. E proprio per questo motivo, poiché si serve di tutti gli strumenti che il chiaroveggente più esperto è in grado di vedere, ci comunica un’immagine particolarmente precisa di quello che nel Vangelo di Giovanni viene rappresentato solo con immagini sbiadite.
Per far risaltare meglio questa differenza vorrei esporre quanto segue. Supponiamo che oggi un uomo sia talmente iniziato da poter accedere al mondo dell’ispirazione e dell’intuizione, ma che non sia chiaroveggente, e che quest’uomo ne incontri un altro che non è affatto iniziato ma che ha accesso al mondo immaginativo. Quest’ultimo potrebbe comunicare al primo moltissime cose che lui non è in grado di vedere, pur potendole comprendere e magari anche spiegare.
Attualmente esistono molti uomini che sono chiaroveggenti senza essere iniziati, ma il contrario non si verifica quasi mai. Eppure potrebbe accadere che oggi un iniziato abbia il dono della chiaroveggenza senza essere in grado di usarla. Allora un chiaroveggente gli potrebbe raccontare molte cose a lui ignote.
È necessario ribadire sempre con forza che la scienza dello spirito si fonda unicamente sulla fonte dell’iniziazione e non considera fonti né il Vangelo di Giovanni né gli altri. Per la conoscenza scientifico-spirituale la fonte è ciò che può essere indagato oggi senza alcun documento storico.
Ma poi ci accostiamo ai documenti, cercando di confrontarli con i risultati della ricerca scientifico-spirituale. Ciò che la ricerca spirituale può scoprire in ogni momento, lo ritroviamo espresso nella maniera più grandiosa nel Vangelo di Giovanni, a cui teniamo moltissimo proprio perché da secoli e secoli ci risuonano le stesse voci che anche oggi possiamo percepire.
Qualcosa di simile avviene anche con il Vangelo di Luca: le sue immagini non sono per noi la fonte, ma ciò che l’innalzamento stesso ai mondi sovrasensibili ci offre. La fonte è per noi il grande affresco costituito dalle immagini della nostra ricerca, che poi confrontiamo con le immagini descritte nel Vangelo di Luca. Scopo di questo ciclo di conferenze è mostrare come le immagini acquisite dal veggente del giorno d’oggi si presentano rispetto alla descrizione del Vangelo di Luca.
È così, per la ricerca spirituale in senso odierno esiste un’unica fonte relativa al passato che non si trova nei documenti esteriori, né sulle pietre che rinveniamo praticando scavi nella terra e neppure negli scritti degli storici. Tutto ciò non ha nessun valore per la ricerca spirituale. Quello che possiamo leggere nella cronaca immortale a cui diamo il nome di cronaca dell’akasha è l’eterna espressione delle epoche precedenti.
L’uomo d’oggi può dunque scegliere due strade per venire a conoscenza del passato. Può servirsi dei documenti esteriori se vuole apprendere qualcosa sugli avvenimenti esteriori; oppure può interrogare quelli che oggi hanno aperto i loro occhi spirituali e sono in grado di leggere quella che noi chiamiamo cronaca dell’akasha, in cui è registrato tutto ciò che è accaduto.
L’uomo che si innalza ai mondi sovrasensibili impara gradatamente a leggere questa cronaca dell’akasha, che non è come le scritture a cui siamo abituati. Immaginiamo lo svolgimento delle cose in immagini spirituali, per esempio cerchiamo di vedere Cesare Augusto davanti al nostro occhio spirituale in un’immagine soffusa. In questa sagoma continua a verificarsi tutto ciò che Augusto ha compiuto allora, questo vede l’occhio spirituale. Il ricercatore non ha bisogno di segni esteriori, gli basta dirigere lo sguardo su un determinato punto affinché i fatti accaduti gli si presentino.
Lo sguardo spirituale può quindi vagare attraverso le epoche del passato e quello che gli appare viene registrato come risultato dell’indagine spirituale. Ciò che è accaduto agli inizi della nostra era viene analizzato con l’occhio spirituale e poi confrontato per esempio con le descrizioni presenti nel Vangelo di Luca.
L’anima deve avere ben chiaro che noi non attingiamo dai documenti, ma che in essi ci limitiamo a cercare ciò che noi stessi abbiamo indagato. La nostra ricerca personale ci permette di stabilire la veridicità di quanto leggiamo nei documenti, che in tal modo diventano per noi espressione di verità.
Non si può tuttavia fare una simile affermazione senza far notare nel contempo che la lettura della cronaca dell’akasha non è facile come l’osservazione degli avvenimenti nel mondo fisico. Lo illustrerò con un esempio particolare, servendomi dell’uomo stesso come esempio.
Dagli elementi basilari della scienza dello spirito sappiamo che l’uomo è costituito dal corpo fisico, dal corpo eterico, dal corpo astrale e dall’Io. Le difficoltà cominciano nell’istante in cui si smette di osservare l’uomo sul piano puramente fisico per ascendere ai mondi spirituali.
Se abbiamo di fronte fisicamente un uomo e lo osserviamo durante la sua veglia diurna, davanti a noi abbiamo queste sue quattro parti in un’unità. Ma nel momento in cui osserviamo l’uomo non nel suo stato di veglia, ma durante il sonno notturno, hanno inizio le difficoltà, perché per vederlo nella sua totalità durante la notte dobbiamo ascendere al mondo dell’immaginazione, dato che solo là vediamo il suo corpo astrale al di fuori del corpo fisico.
Quanto viene ora descritto si verifica rarissimamente, poiché l’osservazione dell’uomo è ancora relativamente facile. Immaginiamo che qualcuno entri in una stanza in cui dormono molte persone. Nei letti vedrà i corpi fisici e i corpi eterici e, se è chiaroveggente, vedrà i corpi astrali nel mondo immaginativo. Ma il mondo astrale viene definito a ragione un mondo della permeabilità. Nel mondo astrale i corpi astrali si compenetrano a vicenda e a un osservatore superficiale può capitare di non riuscire a capire quale corpo astrale appartiene a un determinato corpo fisico.
E se nei mondi superiori invece dell’uomo si osservano altre entità spirituali, le difficoltà aumentano. Queste difficoltà sono già notevoli quando osserviamo l’uomo non nella sua essenza attuale, bensì nella sua globalità, con cui passa da un’incarnazione all’altra. Se ci chiediamo: «Dov’era l’Io di quest’uomo in una precedente incarnazione?», dobbiamo attraversare il mondo spirituale per stabilire qual è l’Io che è sempre appartenuto alle incarnazioni passate.
Allora dobbiamo essere in grado di tener unito l’Io costante, e lì sarà facile sbagliare, si potranno facilmente commettere errori. Quindi non è affatto facile mantenere il collegamento fra tutto quello che appartiene a un uomo, fra quella che ci si presenta ora come la sua personalità e quanto di lui è registrato nella cronaca dell’akasha.
Immaginiamo ora di essere dei chiaroveggenti e di avere di fronte un individuo qualsiasi, per esempio Hans Müller, e supponiamo di chiederci chi siano i suoi antenati fisici. Mettiamo che tutti i documenti siano andati perduti e che si debba ricorrere alla cronaca dell’akasha per stabilire chi siano i suoi antenati fisici. Immaginiamo di dover verificare da dove ha origine il corpo fisico di Hans Müller nella linea di discendenza fisica. Allora potrebbe anche sorgere la domanda: qual è stata l’incarnazione precedente di Hans Müller?
La lettura della cronaca dell’akasha non aiuta a trovare la risposta, è necessario seguire strade completamente diverse. Né il corpo fisico di questa incarnazione né l’Io sono creature del tutto nuove, ma ciò che vale per il corpo fisico e per l’Io vale anche per le due componenti intermedie dell’uomo.
Sappiamo che neppure il corpo eterico-vitale è una creatura del tutto nuova, ma che ha già imboccato una via del divenire. È già stato spesso illustrato come per esempio il corpo eterico di Zarathustra sia riapparso in quello di Mosè. Se si studiano solo gli antenati fisici di Mosè si ottiene una linea di discendenza, mentre se si analizzano gli antenati del suo corpo eterico se ne trova un’altra, proprio come si devono seguire correnti completamente diverse per stabilire l’origine del suo Io.
Possiamo quindi partire da ogni componente della natura umana e dirci che questo corpo fisico è la reincarnazione di altri corpi fisici. La stessa cosa vale anche per il corpo eterico e il corpo astrale. Ecco allora che non appena saliamo nei mondi superiori per analizzare una persona, vi troviamo linee e correnti che, pur riferendosi a quell’individuo, vanno in direzioni diverse.
Se vogliamo comprendere pienamente un essere umano, non dobbiamo limitarci a descriverlo come un discendente dei suoi avi, e neppure come uno che derivi il proprio corpo eterico o astrale da questo o quell’antenato. Dobbiamo invece descrivere interamente come le quattro componenti abbiano preso strade diverse per poi unirsi in quella persona.
Questo non può accadere di punto in bianco. Si può attribuire maggior importanza a una delle componenti e seguire in particolar modo il percorso del corpo eterico o di quello astrale. A chi non tiene conto di questo sembrerà che nel complesso venga descritta sempre la stessa cosa; costui penserà che venga sempre fornita la descrizione dell’essenza di Hans Müller. Questo ci può dare un’idea di quanto siano complesse le cose quando vogliamo descrivere un essere dal punto di vista della ricerca chiaroveggente e iniziatica. Possiamo farci un’idea precisa di un essere solo conducendo vaste ricerche nella cronaca dell’akasha.
L’entità che ci sta dinanzi nei Vangeli, sia prima che dopo il battesimo da parte di Giovanni, possiede un Io, un corpo astrale, un corpo eterico e un corpo fisico. La possiamo descrivere completamente solo seguendo le strade percorse in precedenza da queste quattro parti nel corso dell’evoluzione dell’umanità.
Ho già spesso accennato al motivo per cui l’odierna ricerca scientifica materialistica non è in grado di riconoscere il grande valore del Vangelo di Giovanni: perché non può comprendere a che livelli di profondità è in grado di giungere l’indagine iniziatica. Il fatto di considerare gli altri tre Vangeli come i cosiddetti sinottici, mentre il Vangelo di Giovanni se ne discosta molto, le crea non pochi problemi. Altri cercano di stabilire una specie di sintonia fra i quattro Vangeli, che però regge a fatica.
Quello che per noi adesso è di particolare importanza – la vita del Cristo Gesù prima del battesimo da parte di Giovanni – è stato descritto dai due evangelisti Matteo e Luca. A un’osservazione esteriore si riscontrano già delle differenze che in realtà non sono in nulla inferiori ad altre.
Prendiamo il fatto che Matteo narra l’annunciazione della nascita di Gesù dicendo che i Magi vengono da Oriente dopo aver visto la stella che li guida fino al luogo in cui è nato il Redentore; che si richiama l’attenzione di Erode su questo avvenimento e che, per sfuggire alla strage degli innocenti da lui ordinata, la coppia di genitori fugge in Egitto con il bambino. Secondo Matteo, dopo la morte di Erode Giuseppe fa ritorno a Nazareth e non a Betlemme. Questo è l’inizio del Vangelo di Matteo.
Confrontiamolo con quello del Vangelo di Luca. Voglio soltanto farvi notare che già l’annunciazione è completamente diversa. In uno l’angelo appare a Giuseppe, nell’altro alla madre di Gesù. In Luca i genitori di Gesù sono di Nazareth e si recano a Betlemme per un motivo esteriore, e lì viene al mondo il bambino. Luca non accenna minimamente alla fuga in Egitto, ma ci racconta solo che dopo alcuni giorni Gesù viene presentato al tempio e che poi trascorre l’infanzia a Nazareth.
In seguito Luca ci narra un episodio importante: in occasione di una visita a Gerusalemme insieme ai genitori il Gesù dodicenne rimase indietro, i genitori si accorsero della sua assenza durante il viaggio di ritorno, lo cercarono e infine lo ritrovarono nel tempio, dove, circondato dagli scribi del tempo, apparve loro come un esperto nell’interpretazione delle scritture, intelligente e sapiente. Poi ci viene raccontata la sua crescita fino al battesimo da parte di Giovanni.
Troviamo due storie diverse di Gesù prima che il Cristo entri dentro di lui. Chi le vuole fondere deve chiedersi come sia possibile conciliare con il Vangelo di Luca il racconto della fuga in Egitto di Giuseppe e Maria subito dopo la nascita del bambino. Nel nostro ciclo di conferenze vedremo che quanto ci appare come contraddizione bella e buona sul piano della comprensione fisica, alla luce della ricerca spirituale si rivelerà come assolutamente vero.
Proprio i tre Vangeli sinottici dovrebbero spingere gli uomini a un’interpretazione spirituale degli avvenimenti dell’umanità. Ci si dovrebbe rendere conto che non si approda a nulla parlando di «opere poetiche» quando ci si trova di fronte a realtà che non si sa spiegare.
In questo ciclo di conferenze, ci viene offerta l’opportunità di trattare di un tema che il Vangelo di Giovanni non ci aveva dato l’occasione di affrontare esaurientemente – degli eventi verificatisi in Palestina prima del battesimo da parte di Giovanni, prima che l’entità cristica entrasse in Gesù. E alcuni importanti enigmi si risolveranno grazie alle nostre ricerche nella cronaca dell’akasha, dalle quali vedremo com’era la vita di Gesù di Nazareth prima che il Cristo si impossessasse dei suoi tre corpi.
Cominceremo a esaminare la vita e la natura di Gesù di Nazareth a partire dalla cronaca dell’akasha, dopo di che ci chiederemo qual è il rapporto fra ciò che possiamo apprendere da queste fonti spirituali e ciò che ci viene descritto nel Vangelo di Luca sulla base delle testimonianze di coloro che a quei tempi erano veggenti autonomi e servitori della parola, dell’ispirazione.
Seconda conferenza
Da bodhisattva a Budda
maestro di compassione e amore
Basilea, 16 settembre 1909
Miei cari amici!
Nelle varie epoche di evoluzione del cristianesimo, il Vangelo di Giovanni è sempre stato il documento che ha maggiormente impressionato tutti quelli che cercavano di approfondire e immergersi particolarmente nella corrente cristiana universale. Perciò questo Vangelo è stato il documento di tutti i mistici cristiani che hanno cercato di vivere secondo la descrizione della personalità e dell’entità del Cristo Gesù in esso riportata.
Nel corso dei secoli la storia cristiana si è posta in maniera un po’ diversa nei confronti del Vangelo di Luca, e questo corrisponde alla differenza fra i due Vangeli cui abbiamo accennato ieri. Se in un certo senso il Vangelo di Giovanni è stato un documento per i mistici, quello di Luca ha sempre rappresentato una specie di testo edificante per la collettività, per quelli che potevano ascendere alle sfere del sentimento cristiano dalla semplicità e dal candore del cuore.
Il Vangelo di Luca attraversa la svolta dei tempi come un testo edificante ed è sempre stato fonte di consolazione interiore per tutti gli afflitti dal dolore e dalla sofferenza, poiché annuncia molte cose a proposito del grande consolatore e benefattore dell’umanità, del salvatore degli oppressi e dei diseredati.
Questo Vangelo è un testo a cui si sono sempre ispirati in particolare coloro che volevano compenetrarsi di amore cristiano. Nel Vangelo di Luca viene descritto il potere dell’amore più che in ogni altro documento cristiano, e tutti quelli che sono in qualche modo coscienti – cosa sostanzialmente possibile a ogni uomo – di aver macchiato il proprio cuore di qualche errore, hanno sempre trovato consolazione ed elevazione rivolgendosi a questo testo e potendosi dire:
«Il Cristo Gesù è venuto anche per i peccatori. Si è seduto alla stessa tavola con i peccatori e i pubblicani».
Mentre per accostarsi al Vangelo di Giovanni è necessaria una preparazione nel senso più elevato del termine, possiamo dire che nessun animo sia troppo umile e immaturo per non lasciar agire pienamente su di sé tutto il calore che promana dal Vangelo di Luca. Questo Vangelo è stato quindi sempre un libro per tutti, grazie al quale anche l’animo più infantile poteva edificarsi. Tutto quello che dalla più tenera età rimane infantile nell’anima umana si è sempre sentito attratto dal Vangelo di Luca.
Molte delle descrizioni plastiche che l’arte ha mutuato da quelle verità per i propri progetti hanno avuto origine anche dagli altri Vangeli, ma ciò che ha parlato in maniera più incisiva al cuore degli uomini proviene dal Vangelo di Luca. E tutte le relazioni profonde fra il Cristo Gesù e Giovanni il Battista scaturiscono da questo incomparabile testo.
Chi lascerà agire su di sé da quest’ottica il Vangelo di Luca scoprirà che esso è immerso dall’inizio alla fine nel principio dell’amore, della semplicità, e fino a un certo grado anche dell’innocenza infantile. E dove questo calore si esprime maggiormente se non nella descrizione dell’infanzia di Gesù di Nazareth?
Immergendoci più a fondo nel Vangelo di Luca capiremo come mai contiene questo calore. Oggi sarà necessario dire alcune cose che forse a prima vista sembreranno contraddittorie a quanti hanno già ascoltato altre conferenze tenute da me. Costoro devono aver pazienza e aspettare le considerazioni dei prossimi giorni, allora si accorgeranno che tutto è in sintonia. Non è possibile comunicare in una sola volta la verità in tutta la sua complessità, perciò oggi dovremo presentare un aspetto della verità cristiana apparentemente in contraddizione con le profondità della verità che ho potuto esporre finora.
È necessario scegliere una via per cui dapprima si sviluppano le singole correnti di verità e poi si dimostra come siano in armonia e in accordo fra loro. Naturalmente nei cicli di conferenze finora tenuti è stato possibile trattare solo una parte della verità. Questa parte continua a essere vera, ma oggi dobbiamo prendere in considerazione uno degli aspetti più insoliti delle verità cristiane.
Conosciamo nel Vangelo di Luca un passo meraviglioso nel quale si dice che ai pastori nei campi apparve un angelo che annunciò loro la nascita del Salvatore del mondo. Sappiamo anche che quel brano accenna al fatto che, dopo aver dato l’annuncio, l’angelo fu raggiunto da schiere celesti.
Immaginiamoci il cielo aperto davanti a noi e le entità del mondo spirituale che ci si manifestano in immagini possenti. Che cosa viene annunciato ai pastori?
L’annuncio viene espresso in parole monumentali, parole pronunciate per tutta l’evoluzione dell’umanità. In quell’occasione risuonano delle parole che, correttamente tradotte, direbbero pressappoco così (cfr. Lc 2,14):
Gli esseri divini si manifestano dall’alto, affinché laggiù regni la pace fra gli uomini pervasi di buona volontà.
La traduzione che fa Lutero di questo passo è completamente sbagliata. Va sottolineato energicamente che ciò che i pastori vedono sopra di loro è la rivelazione degli esseri divini dall’alto e che essa ha luogo affinché la pace faccia ingresso nell’umanità, nell’umanità piena di buona volontà. In sostanza queste parole, se intese nel modo giusto, contengono molti segreti del cristianesimo. Ma ci vuole qualcos’altro per far luce su queste parole paradigmatiche.
Dobbiamo cercare di prendere in considerazione i resoconti che il chiaroveggente ricava dalla cronaca dell’akasha, osservare con l’occhio spirituale aperto l’epoca in cui compare il Cristo Gesù, e chiederci come ci si presenta ciò che è subentrato allora se lo studiamo nel suo divenire storico, se ci domandiamo da dove è venuto.
A quei tempi è avvenuta nell’evoluzione una convergenza di correnti spirituali. Nel corso del tempo, in varie zone della Terra erano emerse le più svariate concezioni del mondo. Tutto ciò che era emerso confluì allora in Palestina, esprimendosi in qualche modo nell’evento della Palestina.
Nella conferenza precedente abbiamo già accennato che il Vangelo di Luca fornisce conoscenze immaginative. Ci viene presentata un’immagine di come dall’alto si manifestino gli esseri divini ai pastori, l’immagine di un essere spirituale in mezzo a una schiera di angeli.
Dobbiamo chiederci: colui che è nel contempo chiaroveggente e iniziato come considera questa immagine che può riprodurre ogni volta che va a ritroso nel tempo nella cronaca dell’akasha? Cos’è che si è presentato ai pastori? Che cos’è quella schiera di angeli?
È la schiera di una grande corrente spirituale dell’evoluzione dell’umanità che si è elevata sempre più, al punto che a quei tempi poteva scendere sulla Terra dall’alto. Se decifriamo la cronaca dell’akasha veniamo condotti a una grande corrente spirituale dell’umanità sviluppatasi come buddismo secoli prima dell’avvento del Cristo Gesù.
Viene condotto all’illuminazione del grande Budda chi nella cronaca dell’akasha ripercorre la via della rivelazione ai pastori risalendo alle epoche precedenti. Viene condotto alla grande religione della compassione che ha illuminato l’India, a quella meravigliosa concezione del mondo che commuove lo spirito e il cuore. Quello che ancor oggi è il nutrimento spirituale di una gran parte dell’umanità riappare nella rivelazione ai pastori, poiché anche questo doveva confluire nella rivelazione della Palestina.
Possiamo comprendere quello che ci viene narrato in questo testo se diamo uno sguardo dal punto di vista della ricerca scientifico-spirituale a quella che è stata effettivamente la rivelazione del Budda.
Dobbiamo renderci conto che quando il Budda nacque in Estremo Oriente cinque o sei secoli prima della nostra era, apparve in lui un’individualità che si era reincarnata molte volte ed era progredita fino a un grado elevato di evoluzione umana. Il Budda ha potuto diventare ciò che è diventato come Budda solo perché già nelle sue incarnazioni precedenti aveva conseguito un alto grado di evoluzione. Per definire il livello evolutivo a cui era giunto prima di diventare Budda si usa l’espressione orientale bodhisattva.
La maggior parte di noi ha affrontato la natura dei bodhisattva dai più vari punti di vista, ma oggi la esamineremo da un’angolazione ancora diversa. Colui che è diventato un Budda ha dovuto prima essere un bodhisattva. Quello di bodhisattva è quindi lo stadio di evoluzione individuale precedente al grado di Budda.
E ora prendiamo in considerazione la natura di un bodhisattva. La possiamo capire solo calandoci nell’evoluzione dell’umanità dal punto di vista della scienza dello spirito.
Le capacità e le facoltà che gli uomini sviluppano in determinate epoche non sono sempre esistite. È una visione miope quella che crede che già in tempi remoti gli uomini possedessero le stesse capacità che hanno oggi. Le facoltà umane cambiano di epoca in epoca.
Oggi hanno raggiunto un livello di sviluppo tale per cui l’uomo è in grado di riconoscere questo o quello con il suo raziocinio e dire a ragione: «Grazie al mio giudizio riconosco questa o quella verità, so distinguere ciò che è morale da ciò che non lo è, il logico dall’illogico».
Tuttavia si sbaglierebbe a credere che la natura umana sia sempre stata dotata di queste facoltà. Esse si sono sviluppate col tempo. Quello che l’uomo adulto sa fare oggi, da bambino ha dovuto farselo indicare dal padre, dalla madre o dal maestro. Anche l’umanità ha dovuto farsi dire che cosa fosse necessario per la sua evoluzione da entità che, pur essendo incarnate nel genere umano, erano più evolute e sapevano entrare in relazione con esseri divino-spirituali superiori all’uomo.
Questi esseri che, pur essendo incarnati in un corpo fisico, sono in rapporto con individualità superiori ci sono sempre stati. Prima che gli uomini acquisissero il pensiero logico, dovevano ascoltare quanto veniva detto loro da determinati maestri. Neppure questi ultimi erano in grado di pensare logicamente in maniera autonoma, lo potevano fare solo perché nei misteri entravano in contatto con entità divino-spirituali che vivono nelle sfere superiori. Nell’umanità sono esistiti grandi maestri che hanno insegnato la logica e la morale a partire dalle loro rivelazioni, prima che gli uomini fossero in grado di pensare da soli in maniera logica o di provare sentimenti morali.
Una categoria di questi esseri che, seppure incarnati in un corpo fisico, sono in rapporto con entità divino-spirituali è quella dei bodhisattva. Costoro sono quindi incarnati in un corpo umano e hanno la facoltà di ricevere la rivelazione divina. Prima che il Budda diventasse tale, era un bodhisattva, vale a dire un’individualità che nei misteri poteva entrare in contatto con le entità divino-spirituali.
Un’entità come quella del bodhisattva ha ricevuto in tempi remoti dell’evoluzione terrena una determinata missione, un compito ben preciso nei mondi superiori, e resta fedele a tale missione. Applicandolo al Budda dovremmo dire che in stadi evolutivi remoti gli era stato assegnato un certo compito, al quale si è poi sempre attenuto. Il Budda ha dovuto agire attraverso tutte le epoche nel senso di questa missione, comunicando all’evoluzione terrena ciò che la rispettiva epoca era in grado di recepire.
Per ogni bodhisattva c’è quindi un momento in cui giunge con la propria missione al punto che ciò che aveva prima ricevuto come rivelazione dall’alto diventa una facoltà umana. I bodhisattva hanno portato giù sulla Terra da altezze divino-spirituali quelle che oggi sono diventate facoltà umane.
Un simile missionario spirituale giunge dunque a un punto in cui può dirsi di aver compiuto la propria missione. Arrivato a quel punto può diventare un Budda, cioè giunge per lui il momento in cui si incarna per l’ultima volta in un corpo fisico.
Per il Budda era giunto quel momento. Prima i suoi compiti lo portavano sempre a incarnarsi sulla Terra, ma quando raggiunse l’illuminazione che l’ha reso un Budda era incarnato in un corpo umano che aveva sviluppato al massimo quelle facoltà che in precedenza venivano indirizzate sull’uomo dall’alto.
Quando un bodhisattva entra in un corpo simile, vale a dire quando ha perfezionato un corpo umano al punto da renderlo in grado di essere adeguato alla propria missione, allora si incarna per l’ultima volta come Budda, trasformando la missione del bodhisattva in una facoltà umana. Dopo di che quel Budda vive nelle regioni spirituali e da lì agisce sull’umanità.
Ora gli uomini devono dirsi: «Dobbiamo evolverci sul piano fisico in modo da sviluppare le facoltà che riscontriamo nel Budda». Diventare Budda significa aver mostrato come si comporta da uomo l’entità che ha agito attraverso le epoche in qualità di bodhisattva, e mostrare ciò che un bodhisattva è in grado di fare in quanto uomo.
Se il bodhisattva avesse cessato prima di incarnarsi, l’umanità avrebbe conseguito le facoltà confluite in essa dalla missione del bodhisattva, ma come un dono dall’alto. Ma quando la missione del bodhisattva ha potuto espletarsi in un singolo uomo sulla Terra, è giunto il momento in cui l’uomo può sviluppare da sé le proprie capacità.
Così questa individualità che in precedenza si era sviluppata come bodhisattva penetra pienamente in un corpo umano. Ma poi se ne ritrae di nuovo, poiché adesso con questa incarnazione del Budda è stata data una certa dose di rivelazione che può continuare a svilupparsi entro l’uomo stesso. Perciò un essere di questo genere può per così dire ritirarsi dalla Terra e restare in determinate altezze spirituali, da cui può coordinare le faccende degli uomini che rientrano nella sua missione.
Ma qual era il compito di quella meravigliosa e possente individualità a cui generalmente si dà il nome di Budda?
Se vogliamo esaminare il compito del Budda nel senso del vero esoterismo, dobbiamo dirci che l’intera facoltà conoscitiva degli uomini ha avuto un’evoluzione graduale. Abbiamo ripetutamente fatto notare che sotto un certo aspetto nell’ Atlantide l’umanità era chiaroveggente e che questa comprensione chiaroveggente si è mantenuta anche ben oltre l’epoca atlantidea. Ancora nel periodo grecolatino avremmo trovato numerose persone nelle quali era presente l’eredità di questa antica facoltà chiaroveggente, persone in grado di guardare in quelle entità nascoste, capaci di vedere perlomeno il corpo eterico. Per l’epoca greco-latina era ancora del tutto normale vedere la testa degli uomini avvolta da una nube eterica che a poco a poco è andata ritraendosi nel capo.
Ma l’umanità doveva ascendere alla piena conoscenza sensibile, doveva uscire del tutto dal mondo spirituale per entrare nel pensiero razionale e logico. A poco a poco l’uomo ha dovuto arrivare a questa conoscenza non chiaroveggente, doveva appropriarsene per poi fonderla con una conoscenza chiaroveggente riacquisita.
Attualmente viviamo in un’epoca che guarda indietro a un passato in cui gli uomini erano chiaroveggenti e ha lo sguardo proiettato in un futuro in cui gli uomini torneranno ad avere questa facoltà. Oggi la maggior parte delle persone dipende dall’intelletto e dalla ragione, ma anche nella conoscenza intellettuale e razionale ci sono naturalmente livelli diversi. Possiamo facilmente immaginare che ci siano persone che attraversano l’esistenza terrena con scarsa comprensione morale e che sviluppano pochissima compassione in quell’incarnazione. Diciamo che il livello morale (o intellettuale) di una siffatta persona è basso, ma lo stesso individuo può sviluppare in misura sempre maggiore le forze dell’intelletto e della ragione.
Sappiamo che anche queste facoltà esteriori possono giungere a uno sviluppo molto elevato. Abbiamo ogni tipo di grado intermedio, dall’uomo poco intelligente e poco morale fino a quello che possiamo definire genio morale (Fichte). E sappiamo che è possibile evolvere fino ad alti gradi di perfezione umana anche senza le forze chiaroveggenti, nobilitando le forze a disposizione dell’uomo comune.
Quello di cui l’uomo d’oggi si rende conto grazie alle forze della sua intelligenza – la necessità di provare compassione per i propri simili – non è una conquista che l’uomo dei primordi si è procurato da solo. Oggi il sano senso morale dell’uomo arriva a questo modo di vedere le cose anche senza chiaroveggenza. Si può dire che gli uomini capiranno sempre più che la compassione è la virtù suprema e che senza amore l’umanità non può progredire.
Ma occorre richiamare alla memoria i tempi in cui il senso morale dell’uomo non era ancora così sviluppato da permettergli di rendersene conto da solo. Ci sono state epoche nelle quali l’uomo non avrebbe potuto riconoscere che la compassione e l’amore portano alla massima evoluzione.
A quei tempi era necessario che si incarnassero entità superiori come i bodhisattva, che ricevevano dai mondi spirituali la rivelazione della forza efficace della compassione e dell’amore ed erano in grado di dire all’umanità come gestire queste due forze.
Quella che gli uomini odierni riconoscono autonomamente come la somma virtù della compassione e dell’amore ha dovuto anticamente essere insegnata di epoca in epoca da altezze celesti. E il maestro dell’amore e della compassione ai tempi in cui gli uomini ancora non li riconoscevano è stato quel bodhisattva che si è incarnato per l’ultima volta nel Budda.
Così il Budda è stato prima quel bodhisattva che ha insegnato l’amore e la compassione e tutto ciò che a essi è connesso.
Lo è stato nel corso delle epoche in cui gli uomini erano naturalmente chiaroveggenti e si incarnava come bodhisattva in quei corpi umani. E quando si è reincarnato come Budda, ha guardato indietro a queste incarnazioni durante le quali aveva osservato l’esistenza del mondo a livello chiaroveggente. Allora ha potuto dire come si sente l’interiorità dell’anima quando scruta le profondità che si celano dietro l’apparenza sensibile.
Nelle sue precedenti incarnazioni aveva conseguito queste facoltà e con esse rinacque nella stirpe dei Sakya, alla quale apparteneva suo padre Suddhodana. Quando nacque era ancora un bodhisattva. Da bambino era dotato in sommo grado della dote della chiaroveggenza e poteva scrutare nelle profondità dell’esistenza.
Dobbiamo renderci conto che questa capacità di osservare il corso dell’evoluzione umana aveva assunto forme del tutto particolari. Sappiamo che la missione dell’evoluzione consisteva nel far regredire l’antica chiaroveggenza. Quello che era rimasto come residuo dell’antica chiaroveggenza non ne rappresentava la parte migliore, ma era piuttosto una visione bassa del mondo astrale che trascinava l’uomo in una sfera inferiore.
Possiamo guardare nel mondo spirituale e vederne le forze più belle, ma vi possiamo anche scorgere quelle potenze spirituali che stanno dietro la sensualità più dissoluta, le passioni più sfrenate e il più terribile egoismo.
Il residuo dell’antica chiaroveggenza consisteva nella visione delle potenze selvagge che attirano l’uomo nelle passioni più basse. Il Budda ha dovuto naturalmente incarnarsi in un corpo fisico organizzato come tutti gli altri a quei tempi. Si è incarnato in un corpo che gli ha dato la capacità di guardare a fondo nell’astrale.
Già da bambino era in grado di vedere quello che c’è alla base delle passioni. Era stato preservato dal vedere il mondo esteriore nella sua corruzione fisica. Rinchiuso nel palazzo di suo padre, veniva affettuosamente protetto, si potrebbe quasi dire che venisse viziato, poiché si credeva che ciò gli fosse dovuto. In tal modo la facoltà veggente interiore si manifestava sempre più. Allevato sotto una campana di vetro, era circondato dalle immagini astrali di tutti i peccati umani, le poteva vedere.
Chi è in grado di leggere la biografia del Budda in senso spirituale riuscirà a intuire dietro le righe ciò che abbiamo detto adesso. Non si può capire molto delle cronache essoteriche (esteriori) se non si penetra in quelle esoteriche (spirituali). Una delle cose più difficile da capire è la vita del Budda.
Se ci si serve solo dell’intelletto esteriore ci si dovrebbe meravigliare non poco del fatto che il Budda nel suo palazzo fosse circondato da «40.000 danzatrici e 84.000 dame». Gli scrittori di tali biografie non sembrano stupirsi dei numeri di questo harem. Questa è la leggerezza che caratterizza quella che oggi viene chiamata scienza! La gente non sa che queste parole esprimono le esperienze fatte dal Budda per mezzo della sua visione astrale, che fin dall’infanzia egli vedeva a livello astrale il peccato e la passione che si manifestano nel mondo esteriore.
Ed egli fu fin dall’inizio immune e al di sopra delle immagini ingannevoli che lo circondavano. Per questo ogni singola immagine del mondo astrale lo spingeva a voler vedere il mondo, ad abbandonare la sua prigione. Questa era la forza trainante della sua anima, poiché in lui quale bodhisattva viveva una forza spirituale elevata, la forza spirituale della compassione e dell’amore.
Ma a tale scopo doveva prima vedere l’umanità nel mondo in cui essa può sperimentare l’insegnamento della compassione e dell’amore a partire dal sentimento morale. Doveva conoscere l’umanità nel mondo fisico, salire da bodhisattva a Budda e diventare uomo fra gli uomini. All’interno dell’umanità doveva rappresentare un modello, un ideale. Ovviamente per passare in questo senso da bodhisattva a Budda è necessario attraversare vari stadi evolutivi, non è un passaggio che avviene dall’oggi al domani.
E il racconto, che spesso viene inteso come leggenda, ci dice che una volta evaso dalla sua prigione regale incontrò un vecchio. Era stato indotto a credere che esistesse solo la forza dirompente della giovinezza, ma ora poté conoscere finalmente ciò che avviene in realtà sul piano fisico. Vide un uomo malato e poi un cadavere. Vide la morte sul piano fisico. Quando fu veramente in grado di vedere il piano fisico tutto questo si presentò alla sua anima.
Un episodio tipico per capire chi è effettivamente il Budda ci viene narrato in questa leggenda: egli abbandonò il palazzo su un carro trainato da un cavallo che morì di dolore al pensiero di ciò che il Budda avrebbe incontrato. La leggenda ci dice esplicitamente che il cavallo fu poi trasposto nel mondo spirituale.
Questa immagine esprime una profonda verità. Oggi il voler spiegare dettagliatamente come mai si usa proprio il cavallo come immagine di una determinata forza spirituale ci porterebbe troppo lontano, desidero tuttavia ricordarvi che anche Platone si serve di questa immagine per simboleggiare quelle facoltà umane che sono state date ancora dall’alto.
Quando il Budda fa il proprio ingresso nel mondo, si lascia alle spalle le capacità che l’uomo ha ricevuto senza aver fatto nulla per ottenerle. È questo che viene accennato con l’immagine del cavallo che muore di dolore perché il Budda lascia il palazzo.
Ma solo a poco a poco il Budda può diventare quello a cui era destinato nella sua ultima incarnazione. Dapprima fa la conoscenza di due maestri. Il primo è un maestro dell’antica concezione indiana della filosofia sankhya, il secondo è un maestro della filosofia yoga.
Il Budda incontra questi due maestri e si immerge nei loro insegnamenti. A questo punto va sottolineato con particolare intensità che per quanto elevati si sia, bisogna prima impratichirsi del mondo esteriore. Perfino il bodhisattva lo deve fare, anche se più rapidamente degli altri. Oggi anche il bodhisattva dovrebbe apprendere le stesse cose che i bambini imparano a scuola.
Così anche il Budda dovette imparare quello che si era formato sulla Terra dai tempi della sua ultima incarnazione. Imparò quindi la filosofia sankhya e la filosofia yoga, in modo da farsi un’idea di quel che l’uomo aveva raggiunto lasciando agire su di sé quelle concezioni del mondo.
Dalla filosofia sankhya assorbì una sottile spiegazione logica su vari segreti del mondo, ma più ne approfondiva la conoscenza meno essa lo soddisfaceva. Sentiva di dover cercare le sue fonti altrove. L’altra possibilità era la filosofia yoga, alla ricerca dell’unione con il divino. Vi si immerse, ma anche questa lo lasciò insoddisfatto, nonostante egli l’avesse fatta sua, resa parte di sé.
Si disse che gli uomini dovevano acquisire altre facoltà, sviluppare il senso morale che è l’effettivo senso dell’umano. Chi professa la filosofia yoga vuole superare l’umanità, quindi dopo averla appresa si rese conto che non poteva essere la fonte per lui.
Poi giunse in una zona di monaci o eremiti, dove incontrò cinque eremiti. Costoro avevano cercato di penetrare nei segreti dell’esistenza praticando la mortificazione della carne e la rinuncia. Il Budda seguì anche questa via, ma si accorse che nemmeno questa poteva rappresentare la fonte per la sua missione.
Per un certo periodo si sottopose a tutte le rinunce e alle macerazioni, e patì la fame allo scopo di eliminare la cupidigia dal corpo umano. Ma poi si accorse che queste mortificazioni erano vane. Fece appello alle forze che emergono dalle profondità del corpo umano quando subisce delle privazioni e che possono portare rapidamente l’uomo nei mondi spirituali, ma essendo stato un bodhisattva nelle sue incarnazioni precedenti, il Budda aveva potuto sviluppare al massimo quelle forze umane.
In quell’incarnazione il Budda poté sperimentare quello che deve sperimentare chi oggi voglia percorrere la via verso le altezze spirituali. Chi sale alle eteriche altezze logiche della filosofia sankhya o si immerge nella contemplazione mistica della filosofia yoga senza aver conseguito il senso morale del Budda, si trova di fronte a una grande tentazione, che lo stesso Budda subì e che ci viene narrata nella leggenda.
Allora l’uomo arriva al punto in cui tutti i demoni della superbia, della vanità e dell’ambizione tendono a sopraffarlo. È lì che il Budda conobbe la potenza del tentatore Mara, ma essendo un bodhisattva sapeva che se gli uomini vogliono evolvere senza un sentimento morale autonomo sono destinati a soccombere al tentatore della superbia, della vanità e dell’ambizione. È questo che il Budda sperimentò in se stesso.
E mentre si trovava fra gli eremiti e si sottoponeva alla mortificazione della carne, ebbe l’altra esperienza, caratterizzata dal fatto che il tentatore Mara mostra all’uomo «tutti i regni del mondo fisico e le sue meraviglie». Lungo la via delle mortificazioni si soccombe anche a questa tentazione. È questo che sperimentò il Budda quando il tentatore gli disse di ritornare nel suo palazzo e da lì andare alla conquista del mondo.
Un altro non sarebbe riuscito a resistere a tentazioni così forti, ma il Budda sapeva cosa sarebbe successo all’umanità se avesse voluto cercare i mondi spirituali lungo la via delle mortificazioni, ed era in grado di mostrare agli uomini i pericoli che li aspettavano se questi non si fossero procurati il fondamento del senso morale autonomo.
Il Budda si era spinto fino a due limiti estremi dell’evoluzione umana che l’uomo d’oggi farebbe bene a evitare completamente. Volendo tradurre una delle due dottrine in un linguaggio umano comune potremmo usare queste parole:
Il supremo sapere è bello, ma avvicinati ad esso con cuore sincero, con sentimento nobile, con animo puro – altrimenti il demone della superbia, della vanità e dell’ambizione si abbatterà su di te.
L’altra dottrina dice:
Non cercare di arrivare al mondo spirituale attraverso una via esteriore senza prima aver purificato il tuo senso morale – altrimenti verrà a te il tentatore e ti alletterà con le meraviglie del mondo.
Questi sono i due insegnamenti che risplendono in ogni epoca da quando il Budda è vissuto sulla Terra. Così per mezzo della sua vita egli ci dice cosa appartiene nel senso più elevato alla sua missione di bodhisattva.
Perciò, una volta conosciuti i pericoli dell’ascetismo, abbandonò i cinque eremiti e si recò là dove – con una logica da un certo punto di vista adeguata ai nostri tempi – mise in luce le capacità interiori della natura umana che vanno sviluppate per poter trovare le cose supreme del mondo spirituale senza l’antica facoltà della vita naturale, l’antica chiaroveggenza.
Andò sotto il cosiddetto albero bodhi, e lì in sette giorni di meditazione gli si dischiusero le grandi verità delle quali si può dire che si rivelano all’uomo quando in silenziosa contemplazione accoglie ciò che le facoltà odierne gli possono dare.
Allora gli si rivelò la grande dottrina che ha poi insegnato: la dottrina della compassione e dell’amore e il loro conseguimento attraverso l’ottuplice sentiero.
Ci occuperemo ancora di questo insegnamento del Budda, ma per ora ci basti sottolineare che questa dottrina dell’ottuplice via è una perifrasi di quella della compassione e dell’amore. La dottrina dell’ottuplice via si è manifestata all’umanità quando sotto l’albero bodhi il bodhisattva dell’India divenne Budda.
Da allora l’uomo è in grado di sviluppare dal di dentro l’insegnamento della compassione e dell’amore. Questa è la cosa essenziale, perciò poco prima di morire il Budda disse ai suoi discepoli più intimi:
«Non piangete per la perdita del maestro. Vi lascio la legge della saggezza e della disciplina. In futuro queste due leggi sostituiranno in voi il maestro».
Con queste parole dice praticamente: finora il bodhisattva vi ha istruiti, ora che è diventato Budda può ritirarsi, dato che ormai ha instillato nel cuore dell’umanità le due leggi che potranno dar luogo alla religione della compassione e dell’amore. Questo è accaduto quando nel corso di una meditazione di sette giorni il bodhisattva è diventato Budda. La forma in cui le ha comunicate verrà descritta in seguito.
Abbiamo dovuto riandare con lo sguardo agli avvenimenti verificatisi in India secoli prima della nostra era perché, se non li avessimo ripercorsi nella cronaca dell’akasha, non saremmo stati in grado di comprendere la profondità del cristianesimo e soprattutto l’autore del Vangelo di Luca, che ha descritto in modo così eccellente questo aspetto del cristianesimo.
Il Budda non ha più avuto bisogno di tornare. Era diventato un essere in grado di guidare le vicende terrene dai mondi spirituali. E quando si stava preparando l’evento più importante nell’evoluzione della Terra e i pastori si trovavano nei campi, nell’alto dei cieli apparve loro un Essere che annunciò quello che stava per accadere, dopo di che fu affiancato da schiere angeliche.
Si trattava del Budda trasfigurato, l’antico bodhisattva nella sua forma spirituale, l’Essere che per migliaia e migliaia di anni aveva portato all’umanità la dottrina della compassione e dell’amore. Ora si muoveva nelle altezze spirituali, circondato da angeli nella limpidezza del cielo, ed annunciava il più grande evento del mondo.
Ecco dunque che l’indagine spirituale ci mostra il bodhisattva-Budda dei tempi antichi che si libra sopra i pastori. Dalla cronaca dell’akasha veniamo a sapere che nella città di Davide in Palestina, da una coppia di genitori che discendeva dalla linea sacerdotale della casa di Davide, nacque un bambino prescelto per essere fin dalla nascita illuminato e permeato da ciò che il Budda poteva emanare dalle altezze spirituali.
Nella mangiatoia insieme ai pastori vediamo fin dall’inizio quest’aureola di gloria al di sopra del bambino, sappiamo che in questa immagine si esprime e si irradia la forza che dal bodhisattva-Budda fluisce nell’umanità, dove compie la sua azione più grande e illumina il Bambino di Betlemme – quando quell’individualità trasfigurata agì sulla Terra.
Quando nell’antica India nacque quell’individualità, un saggio vide questo evento in tutta la sua portata. E ciò che aveva visto lo indusse a recarsi al palazzo reale per far visita al bodhisattva bambino. Asita, questo era il nome del saggio, aveva predetto che quel bimbo non avrebbe regnato e che sarebbe diventato un Budda. Poi cominciò a piangere e quando il padre, preoccupato, gli chiese se sul bambino incombesse una disgrazia, il saggio rispose: «Non piango per una disgrazia, ma perché sono talmente vecchio da non poter assistere alla trasformazione del bodhisattva in Budda».
Quell’Asita che aveva visto il bodhisattva bambino nel palazzo si reincarnò nella personalità che il Vangelo di Luca ci descrive in occasione della presentazione di Gesù al tempio. Simeone, così si chiamava quell’uomo, era «mosso dallo Spirito», quando gli fu portato il Bambino. Un tempo aveva pianto perché non avrebbe potuto assistere alla trasformazione in Budda del bambino, ora invece gli era concesso di vedere l’aureola di gloria del Budda trasfigurato al di sopra del bambino che veniva presentato al tempio.
Si disse allora: «Adesso non devi più piangere». Ora vedeva il suo salvatore di un tempo aleggiare sopra il Bambino Gesù: «Ora, o Signore, lascia che il tuo servo se ne vada in pace, perché i miei occhi hanno mirato la tua Salvezza». (Lc 2,29-30) Così esclamò l’Asita reincarnato durante la presentazione al tempio del bambino della stirpe di Davide.
Terza conferenza
L’ottuplice sentiero
per estinguere la sete di esistenza
Basilea, 17 settembre 1909
Miei cari amici!
In un primo momento chi lasci agire su di sé il Vangelo di Luca potrà coglierne il contenuto solo a livello di sensazione, ma intuirà che questo Vangelo gli offre grandi verità spirituali.
Abbiamo visto che la scienza dello spirito ci mostra come la concezione buddista del mondo e tutte le sue conquiste siano confluite nel Vangelo di Luca. Si può ben dire che quanto muove incontro all’uomo dal Vangelo di Luca è buddismo. Ma il buddismo scaturisce da questo documento in una forma del tutto particolare, così da risultare comprensibile perfino all’animo più semplice e ingenuo.
Come già possiamo dedurre dalle discussioni precedenti, ai tempi della venuta al mondo del grande Budda il buddismo era una concezione tale da poter essere pienamente compresa soltanto da chi fosse asceso fino alle altezze eteriche dello spirito. Per capire correttamente il buddismo occorre una grande preparazione.
Nel Vangelo di Luca la sostanza spirituale del buddismo è presente in modo tale da poter agire su ogni bambino che abbia imparato a comprendere soltanto le idee e i concetti più basilari. Ne capiremo il motivo quando spiegheremo i segreti di questo Vangelo.
Ma dal Vangelo di Luca le conquiste spirituali del buddismo fluiscono a noi in una forma più elevata, come se fossero state portate a un livello più alto rispetto ai tempi in cui sono state donate all’umanità in Estremo Oriente. Ecco un paio di esempi da cui vediamo in che cosa consiste l’elevazione del buddismo.
Abbiamo detto che il buddismo è la più pura dottrina della compassione e dell’amore. E infatti, dal luogo in cui ha operato il Budda, un Vangelo di compassione e amore fluisce in tutti gli avvenimenti della nostra Terra, umani e di altro genere. Il Vangelo dell’amore e della compassione ci appare nella vita del buddista quando il suo cuore prova ardente compassione per tutto ciò che incontra, per tutto ciò che è vivo. È lì che incontriamo l’amore buddista, la compassione nel vero senso della parola.
Ma vediamo che dal Vangelo di Luca promana qualcosa di più di questa compassione e di questo amore, qualcosa che possiamo definire la conversione dell’amore e della compassione nell’azione di cui l’anima ha bisogno.
Il buddista vuol sentire compassione, chi vive nel senso del Vangelo di Luca vuole invece sviluppare un amore attivo. Il buddista è capace di condividere la sofferenza, mentre nel Vangelo di Luca l’uomo si sente esortato a intervenire attivamente.
Grazie al buddismo l’uomo impara a sentire tutto ciò che muove l’anima umana; il Vangelo di Luca lo esorta a non giudicare, a dare più di quanto ci venga dato. Dare più di quanto si riceve, l’amore trasformato in azione – è qualcosa che ci deve apparire come il raggiungimento di un gradino superiore.
Ci voleva il cuore dell’autore del Vangelo di Luca per descrivere nello spirito del cristianesimo il buddismo assurto a un livello più alto. Questo evangelista era assolutamente in grado di vedere il Cristo Gesù come medico dell’anima e ha trovato i toni che parlano in modo profondo al cuore perché egli stesso era stato medico e da questo punto di vista poteva sottolineare la sua visione del Cristo Gesù come medico dell’anima.
Ma notiamo anche qualcos’altro quando prendiamo in esame il modo in cui il Vangelo di Luca può agire sull’animo più infantile. Ci accorgiamo che qui i complessi insegnamenti buddisti, comprensibili solo a un’intelligenza matura, appaiono rinnovati, come se fossero scaturiti di nuovo da una fonte di eterna giovinezza.
Il buddismo ci appare come un frutto maturo sull’albero dell’umanità; quando lo ritroviamo nel Vangelo di Luca ci sembra un fiore appena sbocciato, un ringiovanimento di quello che già esisteva. E a questo punto ci dobbiamo chiedere: come è stato possibile questo rinnovamento?
Capiremo quanto detto posando lo sguardo sulla dottrina del grande Budda ed esaminando con l’occhio spirituale ciò che ha mosso l’anima di quella individualità.
Cominciamo tenendo ben presente che il Budda è diventato tale partendo da una situazione di bodhisattva, cioè da un’entità di grado elevato che aveva la capacità di guardare nei segreti dell’esistenza. Per il fatto di essere un bodhisattva, il Budda ha preso parte a tutti gli eventi verificatisi nell’evoluzione umana nel corso delle varie epoche.
Nell’era postatlantidea, quando l’umanità stava emergendo dopo la grande catastrofe, il Budda era già presente come bodhisattva. Lo era già stato anche in epoca atlantidea e lemurica. E avendo raggiunto uno stadio così elevato, avendo preso parte in qualità di bodhisattva a tutte le epoche evolutive dell’umanità, una volta diventato Budda ha potuto ricordarsi di tutto ciò che aveva vissuto in comune con gli uomini, di tutte le esperienze attraversate prima di incarnarsi per l’ultima volta.
Ha potuto riandare con lo sguardo alle sue incarnazioni precedenti, alla sua esistenza fra entità divino-spirituali con le quali aveva dovuto entrare in rapporto per portare agli uomini ciò di cui avevano bisogno. Abbiamo già detto che chi discende sulla Terra deve riattraversare brevemente i vari stadi. Anche il Budda ha dovuto ripetere brevemente i passaggi che l’hanno ricondotto al grado elevato che aveva già raggiunto quando era bodhisattva. E dalle descrizioni che abbiamo risulta che l’illuminazione del Budda andava assumendo una forma sempre più perfetta.
Ci viene detto come egli illustrasse questo fenomeno ai suoi seguaci. Per descrivere loro la via attraversata dalla sua anima allo scopo di ricordare il passato diceva:
«O monaci, c’è stato un tempo per me in cui dal mondo spirituale mi apparve qualcosa di simile ad uno splendore universale. Ma la mia illuminazione non era ancora abbastanza pura da permettermi di distinguervi forme o immagini. Poi cominciai a individuare singole immagini e forme, ma senza coglierne il significato. La mia illuminazione non era ancora abbastanza pura. Poi cominciai a rendermi conto che in quelle immagini e forme si esprimevano degli esseri spirituali, ma non riuscivo ancora a distinguere a quale regno del mondo spirituale appartenessero, per via di quali azioni avessero conquistato il loro posto e quali fossero i loro stati d’animo. La mia illuminazione non era ancora abbastanza pura. Venne poi un tempo in cui fui in grado di distinguere grazie a quali azioni quelle entità spirituali si fossero trasferite nei loro regni, ma ancora non riuscivo a capire con quali di loro avessi a che fare. La mia illuminazione non era ancora abbastanza pura. Giunse infine il tempo in cui mi fu dato di sapere che in una certa epoca ero stato insieme a questa o a quell’entità; allora seppi com’erano state le mie vite passate. Ora la mia illuminazione era pura».
Con queste parole il Budda aveva indicato come nella sua ultima incarnazione avesse conseguito una visione che, pur essendo stata da lui già posseduta in precedenza, andava riconquistata a ogni nuova incarnazione. Ma noi che condividiamo questa condizione intuiamo la grandezza e l’importanza di quell’entità spirituale allora incarnatasi come figlio della dinastia Sakya. Quello che il Budda aveva potuto riconoscere in questo modo l’avrebbe accompagnato come conoscenza anche dopo la sua dipartita dal mondo.
L’iniziato può guardare nel mondo spirituale, ma per la normale evoluzione umana erano finiti i tempi in cui l’uomo poteva prender parte a questo mondo spirituale. L’antica chiaroveggenza ereditaria era andata sempre più diminuendo. Per questo il Budda, che non poteva parlare agli uomini semplicemente delle cose che l’iniziato è in grado di vedere, ma che aveva la missione di informarli sulle forze che scaturiscono dalla loro anima, poteva e doveva dirsi: «Proprio di questo devo parlare agli uomini: di ciò che consente loro di arrivare alle facoltà che devono essere introdotte in quest’epoca». Poteva richiamare l’attenzione sul risultato della sua illuminazione: sul fatto che gli uomini possono giungere all’evoluzione della loro entità interiore.
A poco a poco gli uomini riconosceranno nella propria anima il contenuto dell’insegnamento del Budda come qualcosa di proveniente dalla loro ragione e dal loro sentimento. Ma dovrà trascorrere ancora moltissimo tempo prima che gli uomini acquisiscano la maturità per estrarre dalla loro anima quella che il Budda per primo ha espresso come una conoscenza universale.
Infatti una cosa è sviluppare determinate facoltà in epoche successive partendo da un insegnamento esterno, e un’altra è attingerle dai recessi profondi dell’anima umana stessa. Oggi i giovani si appropriano da soli delle regole del pensiero logico, è un processo che fa parte delle facoltà umane comuni a tutti. Ma ci è voluto il grande spirito del filosofo greco Aristotele affinché questa facoltà scaturisse direttamente dall’animo umano. Estrarre delle capacità dal profondo dell’animo umano è qualcosa di diverso.
Quello che il Budda aveva da dire agli uomini rientra fra gli insegnamenti più sublimi nel corso di lunghe epoche; per questo occorreva il grande animo di un bodhisattva per farlo attecchire per la prima volta in un corpo umano. Solo un illuminato nel senso più alto del termine poteva far sorgere nella propria anima la dottrina della compassione e dell’amore per poi farla fluire nell’umanità. Il Budda ha dovuto rivestire il suo messaggio con parole correnti e comprensibili per l’umanità di quei tempi e soprattutto per i suoi conterranei.
Abbiamo già fatto notare come nell’antica India all’epoca del Budda fiorissero la filosofia sankhya e quella yoga. Entrambe avevano dato origine a concetti ed espressioni, e chi voleva dire qualcosa di nuovo doveva servirsi di quei concetti e di quelle espressioni, doveva rivestire il nuovo con quei concetti alla portata di tutti. Grazie a lui quei concetti assunsero una forma completamente nuova, ma lui li dovette usare perché nell’evoluzione è necessario che il futuro si fondi sempre sul passato. Vediamo allora che il Budda riveste la sua suprema saggezza delle espressioni più correnti usate dalla dottrina indiana di quei tempi.
Ora dobbiamo farci un’idea dell’esperienza vissuta dal Budda nel corso dei suoi sette giorni di illuminazione sotto l’albero bodhi. Cerchiamo anche di mostrare alla nostra anima, seppur in maniera approssimativa, i pensieri che hanno attraversato l’anima del Budda mentre era seduto sotto l’albero bodhi.
Allora egli poté dirsi quanto segue: ci sono stati tempi antichi dell’evoluzione in cui tutti gli uomini possedevano una chiaroveggenza ottusa, crepuscolare. Essere chiaroveggente significa sapersi servire degli organi del proprio corpo eterico. Se si è in grado di servirsi solo degli organi del proprio corpo astrale è possibile avere sensazioni e percezioni dei più profondi segreti, ma non si è in grado di vederli.
La chiaroveggenza subentra solo quando le esperienze fatte nel corpo astrale lasciano un’impronta in quello eterico. Anche la chiaroveggenza crepuscolare dell’umanità antica era possibile soltanto perché il corpo eterico non era ancora stato assorbito del tutto dal corpo fisico, perché disponeva ancora di organi di cui l’umanità poteva servirsi.
Nel corso del tempo l’umanità ha perso la capacità di servirsi degli organi del corpo eterico e ha dovuto gradatamente accontentarsi dell’uso di quelli del corpo fisico, sperimentando nel corpo astrale sotto forma di sensazioni, percezioni e rappresentazioni quanto viene trasmesso dal corpo fisico. Tutti questi pensieri attraversarono l’anima del Budda come impressione di ciò che stava vivendo.
Si disse: l’umanità ha perduto la facoltà di servirsi degli organi del corpo eterico e sperimenta nel corpo astrale ciò che del mondo esteriore può apprendere mediante il corpo fisico. Quando l’occhio percepisce il colore rosso, quando l’orecchio ode un determinato suono, quando il palato ha una sensazione gustativa, allora in condizioni normali queste sensazioni si presentano all’uomo e diventano le sue rappresentazioni. Vengono sperimentate nel corpo astrale, ma non possono avere quello a cui si dà il nome di “dolore”. Se l’uomo vagasse per il mondo e si abbandonasse semplicemente alle impressioni che il mondo gli fornisce e che agiscono su di lui attraverso i suoi sensi fisici, tali impressioni non gli procurerebbero dolore e sofferenza.
Solo a determinate condizioni l’uomo può provare dolore e sofferenza, e il grande Budda cercava proprio di scoprire in quali condizioni l’uomo provasse sofferenza e dispiacere. Si chiese: quando e perché le esperienze del mondo esterno diventano dolorose?
E si disse: nei tempi antichi le entità hanno agito sugli uomini da due direzioni. Nel corso delle incarnazioni durante l’epoca lemurica e atlantidea, quelle entità che definiamo “luciferiche” hanno agito sull’interiorità, sul corpo astrale, affinché l’uomo ne assorbisse gli influssi, le impronte; dall’epoca atlantidea in poi le entità agli ordini di “Arimane” hanno esercitato il loro influsso sull’uomo dall’esterno. L’uomo ha sperimentato l’influenza di entrambe le potenze.
Se quelle entità non avessero agito su di lui, egli non avrebbe potuto conquistarsi la libertà, né la libera determinazione della volontà. Da un punto di vista superiore è un bene che le entità luciferiche abbiano esercitato il loro influsso sull’uomo, ma sotto certi aspetti l’hanno trascinato più a fondo nella materia, nell’esistenza sensibile-materiale, di quanto sarebbe avvenuto se non avessero agito su di lui.
L’uomo quindi, si disse il Budda, ha dentro di sé determinati influssi che oggi sono l’eredità dell’influenza di Lucifero e di Arimane. Sono dei residui delle incarnazioni passate che ancor oggi si porta appresso.
Ai tempi in cui, grazie alla sua chiaroveggenza ottusa e crepuscolare, l’uomo era ancora in grado di penetrare con lo sguardo nel mondo spirituale, vedeva chiaramente quando c’era un influsso che proveniva da Arimane o uno da Lucifero. Allora era in grado di distinguere, di rendersi conto e di difendersi, sapeva come era entrato in contatto con quelle potenze e quelle entità. C’è stato dunque un tempo, si disse il Budda, in cui gli uomini conoscevano la provenienza di quegli influssi che portano dentro di sé fin dall’antichità.
Ma con la chiaroveggenza è andata perduta anche la conoscenza di quelle entità. Il posto della conoscenza chiaroveggente è stato preso dall’ignoranza, dalla nescienza. L’oscurità ha avvolto l’uomo, che non è più in grado di vedere da dove hanno origine gli influssi di Lucifero e Arimane. Eppure li porta dentro di sé, porta dentro di sé qualcosa di cui non sa nulla.
Naturalmente sarebbe ingenuo negare la realtà di quello che esiste, pur non sapendone niente. Nell’uomo agiscono gli influssi penetrati in lui di incarnazione in incarnazione, sono attivi dal momento della nascita e per tutta la sua vita. Questo si disse il grande Budda.
Come agiscono in lui? Pur non sapendoli riconoscere, l’uomo li sente dentro di sé. In lui c’è una forza che è espressione di quanto è emerso fino all’attuale esistenza attraverso le varie incarnazioni. E questa forza rappresenta la brama di vita esteriore, l’avidità di percezioni nel mondo, la “sete di esistenza”, il desiderio di vivere. Questa sete di esistenza passa di incarnazione in incarnazione. Così le antiche entità luciferiche e arimaniche agiscono per mezzo della bramosia di vita, della sete di esistenza.
Questo il Budda lo spiegò con maggior precisione ai suoi discepoli più intimi. Si può capire come l’ha illustrato solo se si è già conseguita una certa preparazione grazie alla scienza dello spirito.
Sappiamo che quando l’uomo muore l’Io, il corpo astrale e il corpo eterico abbandonano il corpo fisico. Sappiamo anche che poi l’uomo ha per un certo periodo davanti a sé il grande affresco con i ricordi della sua ultima vita, che poi la parte principale del corpo eterico si stacca, come una sorta di cadavere eterico – ma anche che resta una specie di estratto, un’essenza del corpo eterico, ed è questo che l’uomo porta con sé nel mondo animico e spirituale e poi anche nella sua incarnazione successiva.
Mentre l’uomo si trova nel mondo animico, vengono registrate in quest’essenza tutte le azioni di cui si è caricato durante la sua evoluzione nelle varie incarnazioni. Tutto ciò si unisce a questo estratto del corpo eterico, che contiene tutto quello che l’uomo si porta appresso da un’incarnazione all’altra, quando nascendo torna nell’esistenza.
La filosofia orientale chiama il corpo eterico linga-sarira. A quel punto il Budda poté dire:
«Guardate l’uomo che nasce: egli porta con sé nel suo linga-sarira ciò che si è accumulato in lui nelle sue incarnazioni precedenti e che si è impresso nel linga-sarira. Là dentro c’è tutto quello di cui l’uomo non può sapere nulla nel ciclo attuale, su cui si diffonde l’oscurità, ma che, non appena l’uomo fa il proprio ingresso nell’esistenza, si afferma come sete di vita, come desiderio e brama di vivere e come ciò che spinge l’uomo alla smania di godersi il mondo – non ad attraversare il mondo come un viandante, ma a goderselo e a bramarlo. È questa forza residua che rimane nel linga-sarira».
I discepoli più intimi del Budda chiamavano questa forza samsara. La caratteristica dell’uomo d’oggi è l’ignoranza a proposito di qualcosa di importante che c’è in lui, e questa ignoranza trasforma tutto in sete di esistenza. Dapprima trasforma le forze assopite che emergono oscure da incarnazioni passate e si scatenano imperversando in lui, quelle forze che i discepoli del Budda chiamano samsara. Da questo samsara si forma poi il suo pensiero presente, che fa sì che nel suo attuale ciclo evolutivo l’uomo non sia più in condizione di pensare in maniera obiettiva.
Il Budda ha illustrato una differenza alquanto sottile fra il pensiero oggettivo che prende in considerazione solo la cosa e il pensiero che subisce l’influsso del linga-sarira.
Ricordiamoci di quante sono le cose di cui ci impossessiamo facendocene un’opinione. Chiediamoci quante cose facciamo nostre perché ci piacciono, perché proviamo per esse simpatia o le prediligiamo. Tutto ciò che riteniamo vero non per necessità oggettiva ma per via delle inclinazioni che ci portiamo dietro dalle incarnazioni passate, le opinioni che facciamo nostre in questo senso, tutto questo forma un organo di pensiero interiore. Complessivamente questo fa sì che l’uomo non pensi obiettivamente, ma in base ai residui delle incarnazioni precedenti rimasti nel suo linga-sarira.
Il Budda vedeva quindi nell’uomo una specie di organo interiore del pensiero, formato dalla totalità del samsara. Tale sostanza di pensiero forma quella a cui si dà il nome di individualità attuale – per il buddismo namarupa, nome e forma, oppure ahamkara (individualità).
Il Budda diceva ai suoi discepoli:
«Quando nell’antichità l’uomo era ancora chiaroveggente, in grado di guardare nel mondo che sta dietro all’esistenza fisica, tutti gli esseri umani vedevano le stesse cose, dato che il mondo oggettivo è uguale per tutti. Ma quando l’oscurità è scesa sul mondo spirituale, l’uomo ha portato con sé nella vita delle attitudini individuali. Ciò ha fatto di lui un essere che viene definito con un “nome” che lo distingue dagli altri, il nome ahamkara».
Quindi ciò che viene prodotto nell’interiorità con la collaborazione di quanto l’uomo ha portato con sé dalle incarnazioni precedenti forma in lui dall’interno all’esterno il “manas” (il raziocinio) – i cosiddetti sei organi.
Beninteso, il Budda non diceva che l’occhio è formato solo dall’interno, ma che in esso è stato inserito qualcosa che era nel linga-sarira e che ha accompagnato l’uomo fin dai precedenti stadi di esistenza. Per questo l’occhio non ha una visione pura. Anche l’orecchio e gli altri organi di senso sono offuscati dai residui degli stadi precedenti di esistenza.
Ciò fa sì che in tutto quello che l’occhio vede e che l’orecchio sente non si intromettano solo la vista e il suono oggettivi, ma anche il desiderio di vedere, udire, assaporare questa o quella cosa. In tal modo il desiderio, la brama si introduce di soppiatto nell’uomo attraverso i residui delle incarnazioni precedenti.
Se così non fosse, l’uomo vedrebbe il mondo come un essere per così dire divino e non vorrebbe con il suo desiderio sensibile, con la sua brama, trascendere ciò che le potenze divine gli hanno concesso. Saprebbe infatti che quanto gli tocca in sorte è giusto e non farebbe alcuna distinzione fra se stesso e il mondo esteriore.
Solo il fatto di volere di più e di volere altre cose fa in modo che l’uomo si percepisca come qualcosa di separato, di diverso dal resto del mondo. Così la sua anima prende coscienza del suo essere diverso dal mondo. Se non lo facesse, sentirebbe la propria esistenza proseguire nel mondo esteriore e non si distinguerebbe da esso. L’uomo non conoscerebbe quello a cui si dà il nome di “contatto” con il mondo esteriore, poiché non ne sarebbe separato.
Il contatto con il mondo esteriore ha avuto origine con la formazione dei sei organi e solo in tal modo nasce quella che chiamiamo “sensazione” e che ci fa stare attaccati al mondo esteriore. Ma il fatto che l’uomo cerchi di restare attaccato al mondo esteriore con cui entra in contatto dà luogo al dolore, alla sofferenza, al dispiacere e alla paura.
Questo disse il Budda ai suoi discepoli a proposito del cosiddetto uomo interiore, che è causa della presenza del dolore nel mondo, della sofferenza, del dispiacere e della preoccupazione.
Oh, si trattava di una teoria fine, quanto mai elevata, ma non nel senso che diamo noi a questo termine, bensì di una teoria che scaturiva direttamente dalla vita poiché un illuminato l’aveva vissuta, e questo è l’essenziale. Quell’illuminato l’aveva sentita come la verità sull’umanità a lui contemporanea.
A colui che per millenni e millenni aveva guidato l’umanità come bodhisattva secondo la dottrina dell’amore e della compassione, una volta diventato Budda si era rivelata la vera natura del dolore poiché ne aveva conosciuto le cause. Per questo fu in grado di spiegare ai suoi discepoli più intimi il motivo per cui l’umanità soffre.
E quando fu talmente progredito da sperimentare in sé il nucleo dell’esistenza umana nel ciclo attuale, riassunse tutto questo nella celebre e poderosa predica di Benares, nella quale insegnò in maniera comprensibile a tutti quanto aveva esposto ai suoi discepoli sulla natura interiore dell’uomo. Egli proclamò:
«Chi riconosce la causa dell’esistenza umana sa che la vita così com’è deve necessariamente contenere dolore e sofferenza. Il primo insegnamento che ho da darvi è quello del dolore nel mondo. E il secondo insegnamento è quello della causa del dolore. In cosa risiede la causa del dolore? Nel fatto che l’umanità prova desiderio, sete di esistenza per via dei residui delle incarnazioni passate. La sete di esistenza è la causa del dolore. Il terzo insegnamento è questo: come si elimina il dolore dal mondo? Eliminandone la causa, estinguendo la sete di esistenza».
Questo disse il grande Budda nel suo discorso di ingresso nel mondo: gli uomini sono passati dall’antica conoscenza chiaroveggente alla non conoscenza che ha oscurato loro il mondo spirituale. Questa ignoranza è responsabile della sete di esistenza ed è la causa del dolore e della sofferenza, del dispiacere e della preoccupazione.
Se vogliamo far sparire dal mondo il dolore e il dispiacere dobbiamo estinguere questa sete di esistenza. L’antica conoscenza è andata perduta, gli uomini non se ne possono più servire.
Ma c’è una nuova conoscenza accessibile agli uomini, quella che l’uomo si procura immergendosi completamente in ciò che il suo corpo astrale gli può dare con le sue forze più profonde e con l’aiuto di ciò che gli organi di senso gli permettono di osservare nel mondo fisico esteriore. Soltanto ciò che il corpo astrale è in grado di raggiungere e sperimentare a partire dalle sue forze più profonde e senza il corpo eterico può aiutare l’uomo nel suo ciclo attuale, solo questo gli può ridare una conoscenza.
Io devo trasmettere agli uomini, aggiunse il Budda, quella conoscenza raggiungibile attraverso lo sviluppo delle forze del corpo astrale. Devo insegnare all’uomo cosa può conseguire mediante l’attuale connessione con le forze del corpo astrale. In tal modo può ottenere una conoscenza che però non ha niente a che vedere con gli influssi provenienti dalle incarnazioni passate, con ciò che diffonde l’ignoranza nell’anima umana, con il samsara assopito nell’oscurità dell’anima, una conoscenza di cui ci si può appropriare ridestando in un’incarnazione tutte le forze del corpo astrale.
Questa è la causa del dolore nel mondo: il residuo delle incarnazioni passate, qualcosa di cui l’uomo non sa niente, su cui si diffonde l’ignoranza. In un’incarnazione nella quale prende coscienza di sé, l’uomo può procurarsi una conoscenza indipendente dai residui delle incarnazioni precedenti. Questa era la conoscenza che il Budda voleva trasmettere all’umanità.
E gliela comunicò nel cosiddetto ottuplice sentiero, per mostrare all’umanità le forze che le consentono di giungere a una conoscenza non influenzata dalle continue incarnazioni.
Così il Budda stesso sotto l’albero bodhi aveva innalzato la propria anima alle forze più profonde del corpo astrale. Volle quindi presentare all’umanità gli otto grandi ideali che conducono alla conoscenza libera da qualsiasi influenza e diede questa definizione dell’ottuplice via:


Questa è l’ottuplice via, e il Budda disse ai suoi discepoli più intimi che l’osservanza di tale sentiero porta gradatamente all’estinzione della sete di esistenza che è fonte di dolore e ravviva nell’anima qualcosa che la libera da tutto ciò che le deriva dalle vite passate e la rende schiava.
Con questo abbiamo accolto nel contempo qualcosa del profondo substrato del buddismo originario, ma abbiamo anche colto il significato del fatto che l’antico bodhisattva si sia trasformato in Budda. Sappiamo che l’antico bodhisattva ha sempre fatto fluire nell’umanità tutto ciò che era connesso alla sua missione. Prima che il Budda facesse il proprio ingresso nel mondo, gli uomini non erano in grado di formarsi da soli una giusta opinione, un giusto giudizio e via dicendo. Il bodhisattva ha fatto scendere dall’alto gli influssi necessari affinché ciò potesse avvenire.
Per questo il passaggio da bodhisattva a Budda è stato un avvenimento importantissimo, straordinario. Colui che un tempo aveva fatto confluire dall’esterno nell’umanità quelli che ora erano i suoi insegnamenti, una volta diventato Budda si era forgiato un corpo fisico per tutte le forze che possono svilupparsi dall’interno e, in qualità di Budda Gautama, aveva introdotto questo corpo nel mondo.
In tal modo tutto ciò che prima aveva fatto fluire dall’alto si trovava ora nel mondo fisico. Un simile evento ha un’enorme importanza per l’evoluzione della Terra, sulla quale allora si forma una forza che a poco a poco può penetrare in tutti gli esseri umani.
Nella vita del Budda risiede la causa per cui fin nel futuro più remoto gli uomini potranno gradualmente sviluppare le forze dell’ottuplice via. Il Budda ha fornito l’insegnamento dell’ottuplice sentiero come nutrimento spirituale su questa Terra affinché ogni uomo potesse conseguire le otto qualità astrali.
Il fatto che il Budda sia esistito ha permesso all’uomo di acquisire una conoscenza indipendente. E l’umanità deve all’esistenza del Budda tutto ciò che in futuro avverrà secondo questa direzione.
In genere queste grandi cose non vengono dette dalla scienza esteriore, ma piuttosto dalle fiabe e dalle leggende. Abbiamo spesso sottolineato come le fiabe e le leggende siano più sagge e scientifiche della nostra cosiddetta scienza.
Nel suo profondo, l’anima umana ha sempre sentito come qualcosa di molto particolare il fatto che una parte della verità sia dapprima confluita sulla Terra dall’alto e che poi, risplendendo in tutta l’umanità, divenga patrimonio di ogni uomo e da lì si irradi nel cosmo. La sensazione che si aveva era come quella dei raggi del sole che dal cielo risplendono sulla Terra. Così dal bodhisattva si irradia sulla Terra la forza della dottrina della compassione e dell’amore.
Ma poi il bodhisattva ha preso dimora in un corpo umano e ha donato all’uomo ciò che prima era di sua proprietà. Ora questo si trova nell’uomo e si riflette, come il chiarore lunare riflette nel cosmo i raggi del sole. Erano queste le sensazioni che si provavano quando si esprimeva questa verità per mezzo delle fiabe e delle leggende.
Per questo nelle regioni in cui è comparso il Budda è nata una fiaba popolare, che raccontava così:
Un tempo il Budda visse sotto forma di lepre. All’epoca diverse creature cercavano cibo, ma non ce n’era più e quello che mangiava la lepre non andava bene per gli altri, che erano carnivori. Allora la lepre decise di sacrificarsi, di offrirsi in pasto agli altri. In quell’istante apparve il dio Sakka, nella Terra si aprì una fenditura, il dio ne estrasse una tintura, vi immerse una penna e disegnò l’immagine della lepre sulla Luna. Da allora sulla Luna si può vedere l’immagine della lepre.
Questa è una leggenda calmucca. In Occidente la lepre è diventata un uomo, ma in Oriente si dice che lo spirito stesso della Terra abbia disegnato sulla Luna l’immagine di una lepre. La leggenda esprime la grande verità di come il bodhisattva sia diventato Budda, sacrificando se stesso – ciò che era il contenuto della sua missione – come nutrimento per l’umanità, così che adesso può irradiarsi nel mondo a partire dall’umanità stessa.
Di un’entità come il bodhisattva diventato Budda abbiamo detto che, quando giunge al termine di uno stadio simile, si incarna per l’ultima volta sulla Terra – e in quell’incarnazione tutta l’essenza dell’individualità viene assorbita in un corpo fisico, dopo di che quell’essere non si incarna più. Perciò il bodhisattva, intuendo il significato della sua esistenza attuale, poté dirsi: «Questa è la mia ultima incarnazione».
Sarebbe però errato credere che una simile entità si ritiri completamente dall’esistenza terrena: continua a operare nel mondo fisico, non in modo diretto, ma in maniera più velata.
E sulla Terra un tale essere può agire compenetrando un uomo comune, composto da corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io. Questo essere può incorporarsi nel corpo astrale di un uomo terrestre e agire in lui. Allora quell’uomo può diventare una personalità importante, poiché in lui sono all’opera le forze di un’entità che ha già compiuto la propria ultima incarnazione sulla Terra. Così un’unione di questo tipo può avvenire in modo molto complicato.
Quando il Budda è apparso ai pastori come schiera celeste, non era in un corpo fisico, bensì in un corpo astrale. Aveva assunto un corpo per mezzo del quale poteva agire sulla Terra.
In un essere come quello si distingue un triplice corpo:

Il nirmanakaya del Budda apparve sotto forma di schiere angeliche. Il Budda risplendeva nel suo nirmanakaya e in quella forma si manifestò ai pastori. Tuttavia doveva ancora scoprire in che modo agire in quell’epoca importante, ed ecco come ci riuscì.
Per capirlo dobbiamo richiamare brevemente alla memoria qualcosa. Sappiamo che vanno distinte diverse “nascite”. Dapprima l’uomo nasce a livello fisico: durante questa nascita smette l’involucro materno che l’aveva avvolto fino ad allora. A sette anni, al momento della seconda dentizione, si libera dell’involucro materno eterico; all’epoca della maturità sessuale, fra i quattordici e i sedici anni, l’uomo abbandona il suo involucro materno astrale. Così il corpo eterico dell’uomo nasce solo a sette anni e quello astrale col raggiungimento della maturità sessuale, dopo di che gli involucri esterni vengono eliminati.
Nelle regioni in cui si svolse l’evento della Palestina la maturità sessuale subentrava un po’ prima, intorno ai dodici anni. Allora nella vita normale l’involucro materno astrale veniva abbandonato al mondo astrale esteriore.
Il bambino che discendeva dalla linea sacerdotale della casa di Davide si liberò a dodici anni dell’involucro astrale. L’involucro però non si dissolse ma confluì con tutte le forze vivificanti come involucro protettivo nel nirmanakaya del Budda. E in quel momento il nirmanakaya del Budda divenne una cosa sola con quanto si era staccato dal Bambino Gesù sotto forma di tutte quelle forze fresche e giovanili che fino ad allora avevano agito nell’involucro astrale del fanciullo.
In tal modo il nirmanakaya è ringiovanito: ha assorbito l’elemento infantile, grazie al quale ora poteva manifestare con infantile semplicità ciò che prima poteva trasmettere solo con l’intelligenza matura. Nell’episodio del tempio, il fanciullo allora dodicenne parlò in un modo che sorprese perfino i suoi genitori, poiché su di lui aleggiava il nirmanakaya del Budda – come rinfrescato da una fonte di giovinezza, dall’involucro astrale che conteneva le forze giovanili del ragazzo. Questo è quanto era a conoscenza di Luca, che l’ha descritto nella scena del tempio in cui il Gesù dodicenne sembrò improvvisamente un altro.
Ed è questo il motivo per cui nel Vangelo di Luca il buddismo ci si presenta rinnovato e non parla più come era solito fare. Così parla il re Kaniska che, più o meno nello stesso periodo, aveva convocato un sinodo in Tibet e in quelle regioni faceva annunciare l’antico buddismo ortodosso. Ma il vero buddismo ha assorbito le forze giovanili del corpo astrale del fanciullo Gesù così da parlare agli uomini in modo nuovo.
Nel Vangelo di Luca c’è quindi un buddismo ringiovanito, dalla forma nuova, che esprime la religione dell’amore e della compassione in maniera semplice. La scena del tempio contiene molti altri elementi e dovremo illuminare più a fondo il retroterra di questo mistero. Allora verrà fatta luce anche sull’epoca precedente e su quella successiva.
Quarta conferenza
Il ringiovanimento
del buddismo a partire
dall’albero della vita
Basilea, 18 settembre 1909
Miei cari amici!
Ieri abbiamo concluso dicendo che il nirmanakaya del Budda si è rivolto verso il nostro mondo nel momento descritto nel Vangelo di Luca come l’annuncio ai pastori.
E abbiamo accennato che quel ringiovanimento della concezione buddista confluita nel cristianesimo ha avuto luogo perché l’involucro materno astrale, che si separa dall’adolescente al sopraggiungere della maturità sessuale e che era collegato al Bambino Gesù, nel dodicesimo anno di vita di Gesù venne assorbito dal nirmanakaya del Budda e divenne una cosa sola con esso. Perciò da allora in poi abbiamo a che fare con un’entità ben precisa, costituita dal nirmanakaya, il corpo spirituale del Budda, e dall’involucro materno astrale staccatosi dal Gesù dodicenne.
Quando si separa dall’uomo comune, questo involucro materno astrale si dissolve nel mondo astrale e non sarebbe adatto a incorporarsi in un’entità così elevata come il nirmanakaya del Budda. In quell’involucro astrale che ha ringiovanito l’intero buddismo doveva quindi esserci qualcosa di molto speciale, vale a dire, nel Bambino Gesù doveva essersi incorporata un’entità del tutto particolare per poter emanare le forze assorbite da quell’involucro materno che gli hanno permesso di ottenere quelle forze rinnovanti. Quella che si è sviluppata nel Bambino Gesù e che aveva la capacità di emanare tutte le forze che hanno prodotto quel ringiovanimento doveva quindi essere un’entità umana ben particolare.
Se vogliamo farci un’idea di come sia possibile che un bambino agisca sul proprio involucro in modo completamente diverso dal normale, possiamo dapprima prendere come paragone un fatto noto a tutti.
Se osserviamo lo sviluppo di una vita umana dalla nascita ai venti o trent’anni, vediamo come le singole forze che alla nascita sono presenti solo in nuce si manifestino gradualmente. Il bambino cresce a poco a poco nel fisico e nello spirito. Vogliamo aver ben chiaro come nel bambino si sviluppino gradatamente le forze dell’animo e dell’intelligenza, come a venti o ventun anni compaiano forze che prima non c’erano.
Immaginiamo di voler fare un esperimento, di voler dare a un essere umano appena nato la possibilità di svilupparsi non nel modo normale, come avviene mediamente, ma di capire con una freschezza particolare quello che gli altri di solito imparano fra i dodici e i diciotto anni, così che la sua anima possa agire con energia inventiva. Rendiamo artificiosamente questa persona un essere particolarmente produttivo. Che cosa dovremmo fare per ottenere questo risultato?
Non dovremmo permettere che quel bambino cresca come tutti gli altri. Vi prego di non pensare che un simile esperimento possa essere messo in atto; al giorno d’oggi sarebbe molto pericoloso. Quanto vi sto illustrando ora non va assolutamente preso come ideale educativo!
Supponiamo dunque di voler fare di un essere umano uno spirito particolarmente inventivo, in grado di esercitare un’attività creativa. Cosa dovremmo fare?
Dovremmo soprattutto evitare che prima dei sei o sette anni quel bambino impari come gli altri, e che apprenda gli stessi argomenti scolastici dei suoi coetanei. Dovremmo adoperarci affinché da quel momento in poi gli venga insegnato il meno possibile di quanto viene fatto apprendere agli altri bambini. Dovremmo fare in modo che fino ai dieci o dodici anni continui a praticare giochi infantili, senza insegnargli né a leggere né a far di conto, cominciando solo a quell’età a trasmettergli ciò che gli altri imparano di solito a sei o sette anni. Allora le sue forze si svilupperebbero in modo del tutto diverso.
Un bambino di questo genere conserverebbe le forze infantili, che altrimenti verrebbero represse, in un’energia animica più elevata e vivace; si avvicinerebbe alle cose con questa energia animica, afferrandole in maniera completamente diversa. Le sue facoltà verrebbero così trasformate in produttività. Se facessimo in modo che un uomo resti bambino il più a lungo possibile, il chiaroveggente noterebbe che l’involucro astrale che si stacca da lui è dotato di forze completamente diverse, forze fresche e giovanili.
Otterremmo quindi il passaggio nell’involucro astrale di determinate forze giovanili e infantili, rendendolo così adatto a un essere come il nirmanakaya: un essere che scende fino ad avvicinarsi al mondo fisico e si nutre di quelle forze.
Gli uomini non devono fare questo esperimento, certe cose oggi vanno lasciate ancora agli esseri divini. Costoro sono in grado di fare una cosa simile, mentre gli uomini non sono ancora capaci di eseguirla nel modo giusto.
Se in un certo luogo una personalità dev’essere fecondata da un’entità spirituale superiore, vediamo che spesso quella personalità è sembrata a lungo insignificante, da giovane era "stupida” e a scuola non riusciva a imparare assolutamente nulla. Allora gli esseri divini hanno fatto questo esperimento, rendendo quel bambino capace di imparare solo in un secondo tempo ciò che gli altri apprendono prima. Lo si nota soprattutto quando bambini dotati e svegli, una volta entrati nella scuola non imparano niente. Allora gli esseri divini stanno facendo questo esperimento.
Qualcosa di analogo, ma in misura infinitamente maggiore, dev’essere successo al bambino che cresceva come Gesù e che avrebbe poi dovuto cedere al Budda il suo involucro materno astrale sommamente fecondo.
E con ciò arriviamo a uno dei fatti misteriosi e sottili che oggi è lecito presentare allo scienziato dello spirito fornito di preparazione adeguata, che può e deve essere esaminato, e al quale si può credere o non credere. Verifichiamolo nei Vangeli, nella storia esteriore: se prendiamo in considerazione i fatti nella maniera giusta, troveremo conferma di tutto questo.
Non c’è bisogno di credere a queste cose: l’importante è prenderle in esame senza pregiudizi. I fatti dei mondi superiori di cui ci parla l’iniziato vengono da lui trasmessi in pegno all’umanità se li ha ricavati dalla fonte giusta. Allora dice: «Potete esaminare quanto vi dico, e se lo farete nel modo giusto lo troverete confermato ovunque grazie a ciò che potete apprendere nel mondo fisico».
A quei tempi doveva nascere un bambino molto particolare, che portasse in dote delle forze giovanili e infantili molto speciali, e fosse in grado di mantenerle fresche e sane con la stessa intensità iniziale. In condizioni normali sarebbe stato impossibile trovare un bambino e dei genitori in cui quelle forze giovanili fossero presenti con la necessaria freschezza. In tutta l’umanità di allora non si sarebbero trovate da nessuna parte una simile individualità e una simile coppia di genitori, se non fosse ancora stato possibile qualcosa di molto particolare, qualcosa che possiamo capire solo ricordandoci di ciò che già conosciamo grazie alla nostra preparazione scientifico-spirituale.
Sappiamo che l’umanità discende da un’umanità primordiale che per noi è quella dell’epoca atlantidea e che a sua volta deriva da un’altra umanità, quella dell’epoca lemurica. La scienza dello spirito è in grado di indicarci fatti relativi all’evoluzione dell’umanità che si differenziano notevolmente da quelli fornitici dalla scienza esteriore. La scienza dello spirito ci segnala che l’umanità ha attraversato vari stadi: il periodo greco-latino, quello egizio, quello persiano e quello indiano. In tal modo procediamo a ritroso fino all’enorme catastrofe che ha modificato completamente l’aspetto della Terra.
L’antica Atlantide si estendeva fra l’attuale Europa, l’Africa e l’America, e le regioni che oggi sono abitate a quei tempi erano ancora perlopiù coperte dal mare. Prima di quella catastrofe l’umanità risiedeva nell’antica Atlantide. Gli uomini avevano un’organizzazione corporea diversa da oggi. Le grandi guide dell’umanità avevano previsto l’avvicinarsi della catastrofe e diressero le forti migrazioni verso Oriente e in parte verso Occidente. Da quest’ultimo gruppo discesero poi i popoli americani.
Gli abitanti di Atlantide erano i discendenti di una stirpe umana ancora più antica, quella lemurica, che aveva un aspetto completamente diverso. Questi esseri vivevano nell’antica Lemuria, un continente che si estendeva fra l’Asia, l’Australia e l’Africa. Se nella cronaca dell’akasha risaliamo fino a quei tempi antichissimi, troviamo meravigliose prove a sostegno di quanto è esposto anche nei documenti biblici e solo allora impariamo a capirli nel modo giusto.
La scienza moderna ha vissuto come un problema quanto viene detto nella Bibbia a proposito dell’unica coppia di esseri umani da cui si dice discenda l’umanità intera. Limitiamoci a una breve sintesi dei risultati ottenuti dalle ricerche nella cronaca dell’akasha.
Sappiamo che la Terra ha attraversato una lunga preistoria e che anche l’epoca lemurica è stata preceduta da altre ere. Sappiamo che la Terra stessa è una reincarnazione di stati planetari anteriori chiamati Luna, Sole e Saturno. Sappiamo anche che la Terra è destinata ad aggiungere la quarta componente dell’entità umana, l’Io, ai tre corpi che l’uomo era andato gradualmente formandosi sull’antico Saturno, sull’antico Sole e sull’antica Luna. Tutto ciò che ha preceduto l’epoca lemurica era solo una preparazione a quella che era la vera e propria missione della Terra.
Nell’epoca lemurica l’uomo si era dato una forma tale da permettergli di sviluppare un Io. Allora cominciò a formare in sé il germe necessario per accogliere un Io nei suoi tre corpi. Possiamo quindi dire che i cambiamenti verificatisi sulla Terra hanno influito sull’uomo rendendolo a poco a poco in grado di diventare un portatore dell’Io. La Terra era popolata anche prima dell’epoca lemurica, ma i suoi abitanti erano uomini che non erano ancora portatori dell’Io, dato che avevano sviluppato solo ciò che si erano portati da Saturno, dal Sole e dalla Luna: il corpo fisico, il corpo eterico e il corpo astrale.
E sappiamo quali sono i processi nell’intero percorso della nostra Terra che hanno condotto l’uomo fino a quella maturità. Sappiamo che inizialmente la Terra era unita al Sole e alla Luna, che poi il Sole si è separato dagli altri due pianeti, lasciandosi dietro la Terra con la Luna attuale, ma sappiamo anche che se la Terra fosse rimasta unita alla Luna su di essa tutto si sarebbe indurito. Anche l’uomo avrebbe subito la stessa sorte, venendo per così dire ad assumere uno stato legnoso. È stato necessario espellere dalla Terra tutto ciò che proveniva dalla Luna.
Il distacco della Luna dalla Terra ha salvato la forma umana dall’irrigidimento; solo questa separazione le ha reso possibile assumere la fisionomia attuale, permettendole di diventare portatrice dell’Io. Ma tutto questo non è successo all’improvviso: come il Sole, anche la Luna si è separata lentamente dalla Terra.
Mentre la Terra inglobava ancora in sé la Luna, su di essa si verificarono delle condizioni per cui gli uomini divennero sempre più densi e iniziarono a irrigidirsi, tendendo così a uno stato che non consentiva all’evoluzione di progredire nel modo giusto.
Quella che allora era “l’anima umana” seguiva già un percorso analogo a quello odierno: in un certo senso passava di incarnazione in incarnazione e, come oggi, al momento della morte l’interiorità dell’uomo abbandonava l’involucro esteriore e attraversava il mondo spirituale, per riapparire poi in una nuova incarnazione fisica. Ma prima che la Luna si staccasse dalla Terra subentrò uno stato che rendeva difficile l’ulteriore evoluzione dell’umanità.
C’erano certe anime umane che, dopo aver abbandonato i loro corpi e aver attraversato il mondo spirituale, erano pronte per reincarnarsi sulla Terra, dove però trovavano una sostanza umana troppo rigida, mummificata e legnosa per loro, al punto da non poter entrare in quei corpi. Non avevano più nessuna possibilità di incarnarsi.
Nel frattempo solo le anime più forti potevano penetrare in quella materia così indurita, dominarla e incarnarsi, mentre le altre dovevano far ritorno al mondo spirituale. Così stavano le cose nel periodo anteriore alla separazione della Luna: le anime forti in grado di incarnarsi diminuirono sempre più. Ci fu un’epoca nell’evoluzione terrestre in cui la Terra si spopolò enormemente, in cui il numero di uomini decrebbe sempre più poiché le anime non vi trovavano corpi adatti.
Che ne fu allora delle anime che volevano incarnarsi ma non trovavano corpi adeguati? Vennero trasferite sugli altri pianeti – Venere, Giove e così via – formatisi nel frattempo dalla sostanza comune. Sulla Terra ci fu quindi un periodo durante il quale solo le anime più forti superarono il grande inverno del pianeta deserto, mentre le altre dovettero essere prese sotto la protezione degli altri pianeti appartenenti alla Terra.
Ci fu un tempo appena precedente all’epoca lemurica di cui si può effettivamente dire che ospitasse una sola coppia umana, un’unica coppia che aveva conservato la forza necessaria per resistere lungo tutta l’evoluzione terrestre. Fu allora che la Luna si staccò dalla Terra e grazie a quella separazione la sostanza umana riprese ad affinarsi. E anche alle anime umane più deboli di quella coppia forte fu di nuovo possibile incarnarsi nella sostanza non più così dura.
A poco a poco le anime tornarono dai vari pianeti ed entrarono nei corpi che discendevano da quella coppia. La Terra riprese così a popolarsi. E in realtà ancora durante il primo periodo atlantideo e poi molto più in là nell’evoluzione di quella civiltà, tornarono sulla Terra sempre più anime che non avevano vissuto il grande inverno poiché nel frattempo si trovavano su altri pianeti.
In questo modo ebbe origine la popolazione atlantidea che presso gli antichi oracoli dell’Atlantide veniva guidata dai grandi iniziati. Quegli oracoli erano grandi centri da cui si guidava l’umanità, classificati come oracolo di Marte, oracolo di Giove, oracolo di Saturno e via dicendo. I misteri erano diversi perché gli uomini avevano indoli diverse. Per esempio, per le anime che avevano aspettato su Marte era necessario creare guida e insegnamento nell’oracolo di Marte, per quelle che avevano atteso su Giove nell’oracolo di Giove, e via di questo passo.
In epoca atlantidea solo pochi eletti potevano essere istruiti presso un grande oracolo centrale: coloro che discendevano in maniera più diretta da quella coppia forte che la Bibbia chiama Adamo ed Eva. Qui vediamo qualcosa che coincide mirabilmente con i fatti della cronaca dell’akasha, così che la Bibbia risulta vera.
E a capo di quel grande oracolo che veniva chiamato l’oracolo del Sole e sovrintendeva agli altri c’era il supremo iniziato di Atlantide, il grande Manu, che era la guida dell’umanità e si era assunto il compito di emigrare in Oriente con gli uomini della popolazione atlantidea che riteneva adeguati, per fondare un centro da cui partisse la diffusione della civiltà postatlantidea.
Fra le diverse persone di cui questo iniziato si circondava ce n’erano anche parecchie che discendevano direttamente dalla coppia forte sopravvissuta all’inverno della Terra. Costoro ricevevano cure e attenzioni particolari presso il grande oracolo del Sole, e venivano istruiti in modo che dal grande centro diretto da Manu uscissero sempre i giusti influssi destinati a raggiungere il resto dell’umanità.
Supponiamo che a un certo punto sia sorta la necessità di un rinnovamento della cultura, che la tradizione fino a quel momento conservata fosse invecchiata e le si dovesse conferire una nuova impronta. Allora i provvedimenti necessari andavano presi direttamente dal grande oracolo del Sole, e nei modi più diversi.
Nei tempi più remoti dell’era postatlantidea gli uomini vennero mandati direttamente in vari luoghi allo scopo di portare nel mondo ciò che serviva al popolo presso il quale venivano inviati. Il grande centro di iniziazione del periodo postatlantideo situato in Asia faceva sempre in modo di imprimere una nuova svolta, influenzando adeguatamente le singole civiltà.
Ora era giunta un’epoca particolare, in cui si presentava la necessità di ringiovanire il buddismo; tutta la vecchia e matura concezione del mondo annunciata dal grande Budda doveva essere immersa in una fonte di giovinezza per poter riapparire all’umanità in una forma rinnovata.
Occorreva fornire al genere umano delle forze giovanili molto particolari, forze che non si trovavano in un’individualità all’opera nel mondo. Chi agisce consuma le proprie forze, e questo significa invecchiare.
Andando a ritroso scopriremmo come le civiltà si susseguono l’una dopo l’altra: la paleoindiana, la medo-persiana, la caldeo-egizio-babilonese e la greco-latina. E vedremmo che in tutte ci sono sempre stati grandi personaggi che hanno guidato l’umanità. Costoro hanno sempre messo a disposizione le loro energie migliori per il progresso del genere umano. Gli antichi Rishi, Zarathustra, Ermete e Mosè hanno sacrificato le loro energie migliori, sono stati i capi e le guide giuste per il loro tempo.
Ma tutti loro erano cresciuti, avevano continuato a reincarnarsi, e a mano a mano che riapparivano nei vari periodi di civiltà la loro anima diventava sempre più matura, si elevava a forze sempre più alte, ma perdeva l’energia giovanile. Si può maturare e compiere azioni straordinarie, ma questo comporta un invecchiamento dell’anima. Si possono impartire grandi insegnamenti, ma a scapito delle energie fresche e giovanili.
Prendiamo uno dei più grandi esseri che abbiano agito sulla Terra, il grande Zarathustra. È lui che ha portato l’importante messaggio del dio del Sole dall’infinita profondità della saggezza spirituale. Lui è stato in grado di indicare all’umanità quello spirito che in seguito si manifestò come il grande Cristo e che veniva da lui chiamato Ahura Mazda. Zarathustra pronunciò su di lui parole profonde e ricche di significato.
Solo l’evoluta chiaroveggenza e la profonda conoscenza di Zarathustra sono state capaci di vedere quella grande entità, il Vishvakarman, che lui chiamava Ahura Mazda. Già allora, quando fondò la civiltà persiana, nella corporeità di Zarathustra dimorava uno spirito estremamente maturo.
Possiamo naturalmente immaginare che quell’individualità, che attraverso le sue incarnazioni successive è andata progressivamente elevandosi, sia maturata e invecchiata sempre più, diventando sempre più pronta per compiere il grande sacrificio per l’umanità.
Sappiamo che Zarathustra ha ceduto il proprio corpo astrale e il proprio corpo eterico, e che il primo è tornato a vivere nella grande figura di Ermete e il secondo in quella di Mosè. Si può fare una cosa simile solo se si possiede un’anima poderosa. Solo così si può diventare un’entità altamente evoluta come Zarathustra, vissuto in Caldea seicento anni prima della nostra era sotto le spoglie del grande maestro Nazarathos o Zarathas, che fu anche maestro di Pitagora. Di tutto questo fu capace quell’unica anima elevata, che si era evoluta sempre più, acquisendo anzianità e maturità.
Ma quell’anima non poteva fare ciò che era necessario a quei tempi per il ringiovanimento del buddismo. Essa non era in grado di fornire forze dotate di freschezza giovanile, forze caratterizzate dalla facoltà di svilupparsi fino alla maturità sessuale per poi essere cedute al giovane grembo materno astrale. Di questo l’individualità di Zarathustra non sarebbe stata mai più capace. Proprio per via del grado di evoluzione raggiunto non le era più possibile svilupparsi in un bambino per realizzare ciò che era necessario.
Se ci guardassimo intorno fra tutte le individualità di quel tempo, non ne troveremmo nessuna in condizione di svilupparsi in modo da poter cedere a dodici anni le forze giovanili necessarie al ringiovanimento del buddismo.
Di proposito abbiamo rivolto lo sguardo alla possente e straordinaria individualità di Zarathustra e possiamo dire che perfino quella era inadatta a vivificare il corpo di Gesù nel momento in cui l’involucro astrale doveva essere abbandonato.
Da dove doveva venire allora lo spirito vivificante di Gesù? Dalla grande loggia madre dell’umanità, dall’oracolo del Sole primigenio, diretto e guidato da Manu, il grande iniziato solare.
Nel bambino nato alla coppia che nel Vangelo di Luca si chiama «Giuseppe e Maria» venne instillata una forza individuale che era stata coltivata e curata nella grande loggia madre dell’umanità. In quel bambino venne introdotta l’individualità migliore, la più forte. Se vogliamo conoscere l’individualità che fu allora inserita nel Bambino Gesù dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, fino all’epoca precedente all’influsso luciferico sull’umanità.
Quell’influsso si avvicinò all’umanità nel periodo in cui la coppia principale umana viveva sulla Terra. Quella coppia originaria era abbastanza forte per superare la sostanza corporea umana e potersi incarnare, ma non abbastanza per poter resistere all’influsso luciferico.
L’influsso luciferico si impossessò di quella coppia e di conseguenza diventò impossibile trasmettere mediante il sangue tutte le forze di Adamo ed Eva ai loro discendenti. Il corpo fisico doveva riprodursi attraverso le generazioni, mentre il corpo eterico non si lasciava riprodurre completamente e ne veniva trattenuta una parte.
La Bibbia esprime questo fatto dicendo che gli uomini hanno gustato dell’albero della conoscenza del bene e del male, ma anche che ora l’uomo dev’essere privato della possibilità di gustare dell’albero della vita.
Vuol dire che prima del peccato originale c’era in Adamo una parte di forze vitali che in seguito gli è stata tolta. Un insieme di forze del corpo eterico fu tenuta da parte ed esse smisero di fluire nel genere umano, vennero invece custodite e coltivate nella grande loggia madre dell’umanità.
Fu conservata quella parte dell’anima di Adamo che non era stata contaminata dalla colpa umana, che non era irretita in ciò che aveva determinato la caduta dell’umanità – la forza primigenia dell’individualità adamitica. E quella forza originaria venne per così dire guidata come Io provvisorio nel luogo in cui doveva nascere il bambino di Maria e Giuseppe.
Quell’anima si era mantenuta molto giovane, non era passata attraverso le incarnazioni. Era stata trattenuta a un livello molto più profondo di quello a cui potremmo trattenere un’anima al giorno d’oggi: al grado infantile dell’anima dell’antica epoca lemurica. Quell’anima scoppiava di forza giovanile, era piena di energia giovanile alla massima potenza.
Chi viveva allora nel bambino nato a quella coppia? Il capostipite dell’umanità, l’antico Adamo completamente rinnovato!
Paolo lo sapeva, ed è questo il segreto celato dietro le sue parole: dobbiamo uccidere in noi il primo Adamo e far vivere il nuovo Adamo. Anche Luca, che era discepolo di Paolo, lo sapeva. Per questo parla in maniera analoga: sapeva che per introdurre quell’individualità nella consanguineità era necessario qualcosa di molto particolare. Per questo nella sua genealogia elenca tutti i legami di parentela fino alla prima coppia, fino ad Adamo, che per lui era figlio di Dio (Lc 3,38). La genealogia fornitaci da Luca risale fino a Dio.
Nel capitolo della genealogia del Vangelo di Luca si cela un importante mistero: il sangue comune ha dovuto scorrere attraverso le generazioni fino all’ultimo discendente, affinché in lui potesse essere introdotto anche lo spirito. Così quello spirito giovanile si unì al corpo del bambino nato da Giuseppe e Maria, quello spirito infinitamente giovane e rimasto incontaminato dalle sorti della Terra, le cui forze vanno cercate nell’antica Lemuria.
Solo quello spirito era abbastanza forte da irradiarsi nell’involucro materno astrale di Gesù e lasciargli le forze necessarie per unirsi al nirmanakaya del Budda. Possiamo dunque chiederci: che cosa ci descrive in realtà il Vangelo di Luca quando comincia a parlare di Gesù?
Ci descrive un uomo che per consanguineità fa risalire il proprio corpo fisico fino ad Adamo, fino ai tempi in cui la popolazione della Terra fu salvata da una coppia principale che ne aveva impedito lo spopolamento. Ci descrive l’Adamo prima del peccato originale reincarnato, la reincarnazione di un’anima che aveva vissuto il più lungo intervallo di tempo prima di incarnarsi nuovamente.
Possiamo quindi dire che l’individualità presa dalla grande loggia madre dell’umanità e introdotta nel bambino non solo discende fisicamente dalla stirpe umana più antica, ma è anche l’incarnazione del primo esemplare dell’umanità. Ora sappiamo chi era colui che Luca definisce figlio di Dio e che venne presentato al tempio. Luca parla del più antico progenitore di tutte le stirpi, esistito prima di tutte le generazioni e reincarnatosi in quel bambino.
Nel sesto secolo prima della nostra era il grande bodhisattva aveva operato in India per dare l’impulso alle grandi verità che devono nascere gradualmente nell’anima umana. Per questo è diventato Budda e non entra più nell’evoluzione terrena reincarnandosi, ma si manifesta solo nel nirmanakaya, fino al mondo astrale-eterico. Appare ai pastori nella schiera angelica, si china sul bambino nato da Giuseppe e Maria, e il fatto che si chini proprio su quel bambino ha il suo significato.
Ciò che il Budda ha potuto portare all’umanità doveva manifestarsi in forma matura, ma in quello che il Budda si era conquistato doveva fluire una forza del tutto fresca e giovane. Egli dovette suggere quella forza dalla Terra, chinandosi su un bambino dal quale attingere tutta la forza giovanile. Aveva a disposizione quell’essere umano perché nella successione delle generazioni consanguinee era nato un bambino il cui sangue poteva esser fatto risalire al capostipite dell’umanità, da lui riconosciuto come il nuovo Adamo reincarnato.
Quindi in quel bambino viveva l’anima che era stata l’anima madre originaria dell’umanità, l’anima che mandò tutte le fresche forze giovanili nell’involucro astrale, per poi ascendere e unirsi al nirmanakaya del Budda.
Questo è un aspetto degli eventi che ci permetteranno di capire il meraviglioso mistero della Palestina. Adesso sappiamo chi nacque dopo che Giuseppe e Maria partirono per Betlemme, sappiamo di chi fu annunciata la nascita ai pastori.
Ma non è ancora tutto. Ai tempi in cui ha inizio la nostra era accadono diverse cose che introducono a poco a poco l’evento più grande.
All’interno dell’antico popolo ebraico c’era la cosiddetta stirpe di Davide. Tutte le stirpi che si definivano di Davide facevano risalire le loro origini a quel progenitore. Nella Bibbia leggiamo che Davide aveva due figli: Salomone e Natan. Da David hanno quindi origine due linee genealogiche: la salomonica e la natanica. Pertanto, tralasciando gli anelli intermedi, possiamo dire che all’inizio della nostra era c’erano discendenti di entrambi i rami. (v. tavola)

A quei tempi viveva a Nazareth un discendente della linea natanica di nome Giuseppe, la cui sposa si chiamava Maria. E a Betlemme c’era un discendente della linea salomonica, anch’egli di nome Giuseppe. Non c’è da stupirsi del fatto che entrambi fossero sposati con una donna chiamata Maria, come dice la Bibbia. Abbiamo quindi due coppie omonime di genitori che vivono in Palestina all’inizio della nostra era.
Una coppia discendeva dalla linea salomonica, la linea regale, l’altra, che viveva a Nazareth, discendeva dalla linea natanica, la linea sacerdotale. La coppia la cui origine risaliva alla linea natanica ebbe il bambino descritto in queste conferenze.
Il bambino di cui abbiamo parlato, che aveva permeato di forze un simile grembo materno astrale, discendeva dalla linea natanica e nacque alla coppia formata da Giuseppe e Maria di Nazareth che si recò a Betlemme nel periodo in cui il bambino doveva venire al mondo. È questo bambino che ci viene descritto nel Vangelo di Luca.
Dell’altra coppia, quella della linea salomonica, che viveva a Betlemme e non a Nazareth – oh, i Vangeli ci descrivono ovunque la verità, basta solo prenderli alla lettera! –, ci parla il Vangelo di Matteo. A quella coppia nacque un bambino, e anche lui fu chiamato Gesù. Si tratta del bambino della linea salomonica.
Anche quel bambino custodiva una possente individualità nei suoi corpi, ma il suo compito era un altro: era destinato a portare all’umanità ciò che le si può portare solo quando si è un’anima matura. Quel bambino venne guidato in modo da poter essere la reincarnazione dell’individualità di cui abbiamo parlato oggi, che un tempo aveva insegnato nell’antica Persia e che era così potente da aver potuto cedere il proprio corpo astrale a Ermete e il proprio corpo eterico a Mosè, e che era poi ricomparsa come il grande maestro dell’antica Caldea. Altri non era che l’individualità di Zarathustra, l’egoità di Zarathustra, l’anima matura di quel grande maestro che si era reincarnata nel bambino di cui il Vangelo di Matteo ci dice che nacque da una coppia di genitori che discendevano dalla linea regale della stirpe di Davide.
Quindi Luca ci descrive una parte della verità e Matteo l’altra. I Vangeli vanno presi alla lettera. Ora sappiamo che nacquero due bambini, uno dalla linea sacerdotale e uno dalla linea regale di Davide. La giovane anima di Adamo, custodita dalla loggia madre dell’umanità, si era reincarnata. E pure Zarathustra, che era stato il fondatore della saggezza regale, si era incarnato di nuovo.
Così in un primo momento vissero l’una accanto all’altra queste due individualità:
• la giovane anima di Adamo nel bambino della linea natanica,
• l’anima matura di Zarathustra nel bambino della linea salomonica.
La prossima volta vedremo come tutto questo sia accaduto e come il mistero della Palestina sia progredito nel suo svolgimento.
Quinta conferenza
Buddismo e zoroastrismo
si uniscono alla svolta
dei tempi
Basilea, 19 settembre 1909
Miei cari amici!
Tutte le grandi correnti spirituali dell’umanità che percorrono il mondo hanno una missione particolare. Non si muovono isolatamente, ma in certe epoche si separano per poi ritrovarsi e fecondarsi a vicenda.
È soprattutto nell’evento della Palestina che vediamo una simile possente confluenza di correnti spirituali. Il nostro compito consiste nel comprendere questo evento con chiarezza sempre maggiore.
A differenza di quanto si crede, le concezioni del mondo non vagano nell’aria per poi riunirsi in un punto, ma passano attraverso esseri e personalità. È per mezzo dell’individualità che ne è portatrice che una concezione del mondo si manifesta per la prima volta. Laddove le correnti spirituali si fecondano reciprocamente deve avvenire qualcosa di molto particolare anche nei loro portatori.
Per alcuni il modo in cui le due correnti spirituali del buddismo e dello zoroastrismo si incontrano concretamente nell’evento della Palestina sarà risultato molto complesso, ma come scienziati spirituali abbiamo il compito di mostrare precisamente l’entità portatrice della confluenza delle grandi correnti spirituali.
Non c’è quindi da meravigliarsi che all’inizio della nostra era dovesse verificarsi qualcosa di così grande e immenso, e che i fatti dovessero risultare straordinariamente complessi, dato che lo zoroastrismo non poteva confluire all’improvviso nel buddismo, ma questo evento richiedeva una lenta preparazione. Vediamo quindi che in un certo senso il buddismo è penetrato e ha agito nel bambino della linea natanica della casa di Davide. Osserviamo con precisione cosa è accaduto.
Abbiamo il capostipite Davide, da cui si dipartono da un lato la linea natanica e dall’altro quella salomonica. Dalla linea natanica discendono il Giuseppe e la Maria che nel Vangelo di Luca ci vengono presentati come i genitori di quel Gesù descritto inizialmente dall’evangelista. Dalla linea salomonica discendono invece Giuseppe e Maria di Betlemme, genitori del Gesù la cui nascita viene descritta da Matteo e che è il portatore dell’individualità che nell’antica Persia si era incarnata come Zarathustra.
Nell’evento della Palestina si uniscono le due correnti: da un lato il buddismo descrittoci mediante la personalità che incontriamo nel Vangelo di Luca, dall’altro lo zoroastrismo che ci viene presentato nel Vangelo di Matteo.
Le due nascite non avvengono nello stesso momento. Oggi naturalmente devo dire alcune cose che i Vangeli non hanno potuto raccontare. Riusciremo tuttavia a comprenderli meglio leggendo negli avvenimenti quanto viene in essi accennato. Dobbiamo infatti tener presente che non basterebbero tutti i libri del mondo per presentare in maniera esauriente la rivelazione del cristianesimo. (cfr. Gv 21,25)
La rivelazione fatta all’umanità dal cristianesimo non è tale da potersi esaurire nei libri che sono stati scritti e da poter essere trasmessa in maniera completa al mondo sotto forma di caratteri stampati. È vera la frase pronunciata dal Cristo: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo». (Mt 28,20). E da Lui possiamo continuare ad apprendere ciò che ha da offrirci. Il cristianesimo è una corrente spirituale viva, e le sue rivelazioni continueranno finché gli uomini saranno in grado di accoglierle.
Quindi oggi accenneremo a fatti dei quali nei Vangeli non troveremo la narrazione, ma solo le conseguenze.
Le nascite dei due bambini Gesù non avvengono contemporaneamente, ma a distanza di qualche mese. Il Gesù del Vangelo di Luca e anche Giovanni il Battista sono nati più tardi, così da non essere colpiti dalla strage degli innocenti. Non vi siete mai chiesti, leggendo della strage degli innocenti, come sia stato possibile che Giovanni le sia sfuggito? Le cose vengono prese troppo poco alla lettera!
Immaginate che il Gesù descritto nel Vangelo di Matteo venga portato in Egitto dai genitori e che Giovanni, venuto al mondo poco prima di lui, rimanga in Palestina, dove avrebbe dovuto soccombere all’ordinanza di Erode, cadendo vittima di quella strage. A rigor di logica non avrebbe potuto sopravvivere!
Vedete dunque che tutto quanto è esposto nei Vangeli va preso alla lettera. Se davvero a quei tempi furono uccisi tutti i bambini, anche Giovanni Battista avrebbe dovuto esserlo. Ma nella cronaca dell’akasha vediamo chiaramente che le due nascite, descritte rispettivamente nel Vangelo di Luca e in quello di Matteo, non sono contemporanee. Il Gesù natanico e Giovanni vengono al mondo alcuni mesi dopo.
Ora dai fatti intimi impareremo a capire anche il Gesù del Vangelo di Matteo, con il quale viene alla luce la stessa individualità che abbiamo conosciuto nello Zarathustra della civiltà paleopersiana. E adesso prendiamo in esame ciò che abbiamo già sentito a proposito di questa individualità.
Sappiamo che Zarathustra ha trasmesso al popolo persiano il grande insegnamento di Ahura Mazda, l’essere solare. Sappiamo di doverci immaginare questo essere come la parte animico-spirituale del Sole fisico, la guida degli spiriti solari. Zarathustra diceva: «Guardate il raggio solare fisico: non è solo fisico, dietro di esso si intuisce l’essere possente che a livello spirituale invia sulla Terra i propri effetti benefici, come il Sole fisico manda i propri raggi pieni di calore».
Zarathustra annunciò al popolo persiano l’Ahura Mazda che in seguito venne chiamato Cristo. Non poteva annunciare come avrebbe vissuto sulla Terra, ma poteva soltanto dire: «Egli vive lassù sul Sole. Si avvicina alla Terra e un giorno vi abiterà in un corpo umano».
Qui ci si rivela l’enorme differenza fra zoroastrismo e buddismo. Finché sono separate, fra le due concezioni c’è una profonda differenza che però si appiana non appena esse confluiscono nel mistero della Palestina.
Volgiamo di nuovo lo sguardo a quanto il Budda doveva offrire all’umanità. Nell’ottuplice sentiero abbiamo l’elencazione di ciò di cui l’anima deve appropriarsi. Il Budda ha dato al mondo qualcosa che gli uomini svilupperanno in un lungo arco di tempo nelle loro convinzioni: la descrizione della concezione della compassione e dell’amore.
Ho anche accennato al fatto che quando il bodhisattva apparve come Budda sulla Terra avvenne qualcosa di unico e irripetibile. Se questo non fosse accaduto seicento anni prima della nascita di Cristo, nelle anime degli uomini non sarebbe potuto penetrare il dharma, quella legge che l’uomo non è in grado di sviluppare autonomamente per liberarsi da tutti gli effetti negativi del karma.
Questo ci viene narrato in maniera straordinaria nella leggenda in cui il Budda riuscì a far girare la ruota della legge. Significa che dall’illuminazione del bodhisattva divenuto Budda nell’umanità terrestre è davvero passata l’onda di una corrente il cui effetto è stato rendere l’uomo capace di sviluppare il dharma dalla propria anima, elevandosi all’altezza dell’ottuplice via. Tutto ciò ha avuto origine quando il grande Budda ha sviluppato la dottrina che doveva costituire l’effettivo contenuto dell’evoluzione terrestre. Questa era la missione di quel bodhisattva.
Vediamo come sono distribuiti i singoli compiti poiché troviamo il buddismo originario espresso in maniera grandiosa e insuperabile nei grandi ideali che l’uomo può vivere nella propria anima. Il contenuto della predica del Budda è ciò che l’uomo è e può essere. Nel buddismo tutto è interiorità, tutto si riferisce all’uomo e alla sua evoluzione. Nel buddismo originario non troviamo niente di quella che chiamiamo dottrina cosmologica, che vi è stata introdotta solo in un secondo tempo. La vera missione del bodhisattva consisteva nell’insegnamento dell’interiorità umana, nella dottrina dell’anima primigenia dell’uomo.
Per questo in certe prediche il Budda arriva addirittura a rifiutarsi di dire qualcosa a proposito dei nessi cosmici. Tutti gli insegnamenti hanno lo scopo di rendere l’anima sempre migliore nella propria interiorità. L’uomo viene visto come anima, come essere a sé stante, separato dal grande grembo materno dell’universo – questa era la missione speciale del bodhisattva. Ed è per questo che l’insegnamento del Budda ha un effetto così intimo e caldo sull’anima umana, che sembra così pervaso di calore e sensibilità quando ricompare ringiovanito nel Vangelo di Luca.
Zarathustra invece aveva il compito opposto:
• nel Budda tutto è rivolto all’interiorità;
• in Zarathustra tutto è rivolto alla comprensione spirituale del cosmo.
Secondo l’insegnamento del Budda, nell’uomo che lavora su di sé nel modo giusto tornano a vivere i sei organi. Ma tutto quello che si trova nell’uomo è nato dal cosmo. Non avremmo occhi se la luce non li avesse generati. «L’occhio si forma alla luce e per la luce», dice Goethe, e questa è una profonda verità: la luce ha formato l’occhio a partire da organi indifferenziati.
Nello stesso modo, tutte le forze del cosmo hanno formato anche l’uomo. Quanto vi è in lui di interiore è stato prima organizzato esteriormente da esseri divini, da forze spirituali. A ogni interiorità corrisponde un’esteriorità.
Zarathustra aveva il compito di spiegare ciò che si trova nell’ambiente esterno, per questo non parlava dei sei organi interiori, ma degli amshaspands che agiscono dall’esterno, cioè dei grandi geni. Ne elenca sei, ma in realtà ce ne sono dodici, di cui sei, non percepibili con i sensi, sono le immagini e le forme degli organi umani interiori, i creatori della nostra anima e del nostro spirito.
Il Budda richiamava l’attenzione sull’interiorità, Zarathustra sull’esteriorità, sui grandi geni cosmici. Il Budda faceva notare la forza che agisce nell’uomo, le forze nascoste nell’uomo; Zarathustra invece indicava le forze e gli esseri che stanno al di sotto degli amshaspands da lui chiamati i ventotto Izards all’opera nell’uomo. Indicava quindi la spiritualità presente nel cosmo, le relazioni con il cosmo.
Mentre il Budda si concentrava sull’interiorità, sulla sostanza concettuale individuale da cui hanno origine i pensieri nell’anima, con i suoi Feruers Zarathustra richiamava l’attenzione sui pensieri creatori che ci circondano e di cui lo spazio è disseminato. Era quindi compito di Zarathustra fondare una concezione del mondo che si occupasse di decifrare e analizzare il mondo esteriore.
Il Budda indicava l’interiorità; Zarathustra invece era completamente concentrato sull’esteriorità, dato che doveva fondare una concezione del mondo per un popolo destinato a operare a livello esteriore.
Quindi possiamo anche vedere che a Zarathustra era stato assegnato il compito di coltivare la forza e l’abilità nel mondo esteriore, per poter agire in esso, allo scopo di far sorgere nell’uomo la certezza di avere il proprio fondamento nel mondo divino-spirituale, così da potersi dire di non essere solo, ma di essere inserito in un cosmo completamente spiritualizzato, di far parte della divinità del mondo.
Questa era la missione di Zarathustra: «Ovunque tu sia, sei nel cosmo e sei parte dello spirito universale da cui sei nato. Sei inserito nel mondo spirituale e a ogni respiro ne assorbi un po’ in te. A ogni inspirazione prendi in te lo spirito e a ogni espirazione fai un sacrificio a esso».
Ora ricordiamo cosa ha potuto fare quell’individualità incarnatasi in Zarathustra. Aveva raggiunto un livello così elevato da poter provvedere alla successiva corrente culturale, quella egizia. Zarathustra aveva due allievi: l’individualità che in seguito ricomparve come Ermete e quella che riapparve come Mosè.
E quando le due individualità si reincarnarono, all’una fu incorporato il corpo astrale di Zarathustra, da lui offerto in sacrificio. Nell’Ermete egizio vediamo una reincarnazione del corpo astrale di Zarathustra. Ermete portava in sé il corpo astrale di Zarathustra, che gli era stato ceduto affinché potesse far rinascere tutta la sapienza del mondo esteriore assimilata da Zarathustra.
Mosè invece portava in sé il corpo eterico di Zarathustra. Poiché con il corpo eterico è connesso tutto ciò che si sviluppa nel tempo, Mosè ha potuto far rinascere in sé i processi svoltisi nel corso delle varie epoche, e l’ha fatto nelle grandi e possenti immagini conservate per noi nella Genesi.
Così Zarathustra ha continuato a inaugurare e a ispirare nuove civiltà. E anche l’antica civiltà ebraica che proviene da quella egizia è stata ispirata da Zarathustra. Grazie al suo Io, un’individualità così evoluta può formarsi a ogni reincarnazione un corpo eterico e un corpo astrale del tutto nuovi.
Anche l’Io di Zarathustra era chiamato a grandi cose e ha continuato a reincarnarsi, così Zarathustra è rinato molte volte e circa seicento anni prima della nostra era è ricomparso come Zarathas o Nazaratos, diventando un maestro delle scuole misteriche caldee. E le poderose impressioni che possiamo farci del mondo immergendoci nella vera comprensione dei misteri caldei ci permettono di intuire quali fossero gli insegnamenti impartiti dal grande Zarathustra nelle scuole misteriche caldee sotto le spoglie di Zarathas.
Come abbiamo visto, tutto questo aveva lo scopo di portare ordine e armonia nel mondo esteriore. Perciò anche l’arte di instaurare regni e rendere possibile la vita sociale degli uomini rientrava nella missione di Zarathustra. Vediamo così che i suoi discepoli venivano a ragione definiti non solo grandi magi, ma anche re.
Nelle scuole misteriche della Caldea si sviluppò a poco a poco un profondo attaccamento all’individualità di Zarathustra. Quei discepoli, quei saggi orientali, si sentivano affini alla loro grande guida. Vedevano in lui il signore spirituale dell’umanità e lo chiamavano Zoroastro, termine che significa stella d’oro o stella dello splendore. Vedevano in lui un riflesso del Sole medesimo.
Per via della profondità della loro scienza non potevano ignorare che il loro maestro era ricomparso, che era rinato a Betlemme, dove vennero guidati dalla loro stella. Arrivarono a Betlemme e gli portarono i segni esteriori di quanto di meglio è possibile offrire all’essere umano. Il meglio che potevano dare era la conoscenza del mondo esteriore assorbita nel corpo astrale umano – nel pensare, nel sentire e nel volere. I discepoli di Zarathustra volevano pervadere la loro anima con la saggezza che può essere assorbita dal fondamento profondo del mondo. L’oro, l’incenso e la mirra erano i simboli di ciò che si può acquisire assimilando i segreti esteriori:
• l’oro era il simbolo della saggezza del pensare,
• l’incenso rappresentava la devozione del sentire,
• la mirra simboleggiava la forza del volere.
In tal modo i discepoli ci mostrano la loro adesione mentre si presentano al cospetto del loro maestro, rinato a Betlemme.
È quindi vera la narrazione dell’autore del Vangelo di Matteo quando ci dice che i saggi che un tempo avevano agito insieme a Zarathustra sapevano che il loro maestro era ritornato. E ce li descrive mediante i tre simboli che esprimono il loro legame con Zarathustra.
Il fatto è che Zarathustra poteva agire vigorosamente nella figura del Gesù della linea salomonica per ridare all’umanità in forma ringiovanita ciò che le aveva già dato in precedenza. Doveva riunire tutta la forza che un tempo era stata in lui. Per questo non poteva nascere in un corpo discendente dalla linea sacerdotale, ma doveva incarnarsi in un corpo che discendesse dalla linea regale. In questo modo mirabile si accenna all’affinità fra l’antico re magio dell’antica Persia e il bambino venuto al mondo a Betlemme.
Gli antichi libri sapienziali hanno sempre alluso a quanto è accaduto. Non abbiamo una sola profezia, bensì due:
• Abbiamo in Enoch una profezia sacerdotale che si rifà al Gesù natanico e
• nei Salmi una profezia regale che si riferisce al Gesù della linea salomonica.
Ogni singolo dettaglio coincide con quanto possiamo leggere nella cronaca dell’akasha.
A quel punto Zarathustra doveva raccogliere tutte le forze che un tempo erano state dentro di lui. Abbiamo visto come avesse ceduto il proprio corpo astrale e il proprio corpo eterico, il primo a Ermete e il secondo a Mosè, e con essi doveva ricongiungersi.
Doveva andarsi a riprendere la forza del suo corpo astrale in Egitto e quindi il Gesù discendente dalla linea salomonica dovette essere condotto in Egitto, poiché là si trovavano le forze fuoriuscite dal suo corpo astrale, che aveva ceduto a Ermete. Quelle forze erano confluite nella civiltà egizia in cui aveva agito Ermete e lui doveva in un certo senso recuperarle. Ecco il motivo della fuga in Egitto.
E in Egitto venne riassorbita a livello spirituale tutta la forza che aveva sacrificato in precedenza e della quale ora aveva bisogno per ridare all’umanità con vigore, in forma ringiovanita, ciò che le aveva già donato in passato per la sua salvezza. Nel Vangelo di Matteo si parla di quel Gesù nato a Betlemme e si dice semplicemente che dovette essere condotto in Egitto. Solo in seguito i suoi genitori si trasferirono a Nazareth, affinché il Gesù-Zarathustra potesse vivere vicino al Gesù-Budda che incarnava l’altra corrente.
Luca ci racconta del Gesù i cui genitori vivevano a Nazareth, che si recarono a Betlemme per un breve periodo e che dopo la nascita del Gesù natanico fecero ritorno a Nazareth.
Laddove i Vangeli diventano molto profondi ci mostrano anche l’essenza degli avvenimenti. Chi ancora conosceva i segreti dell’esistenza sapeva che quanto nell’uomo è in relazione con il volere e la forza, con l’elemento regale, viene trasmesso per via paterna, mentre ciò che è collegato alla saggezza e alla vivacità interiore dello spirito viene trasmesso per via materna.
Goethe ce lo illustra con queste belle parole:
Dal padre ho la statura, la dirittura morale, dalla mamma l’indole gaia e il piacere di favoleggiare.
È una verità di cui troviamo spesso conferma. L’uomo eredita dal padre la statura, la figura esteriore e quanto è in relazione con essa e in essa si esprime – la dirittura morale, vale a dire ciò che è correlato al carattere. Per questo il Gesù salomonico doveva ereditare soprattutto l’elemento paterno, cioè la figura esteriore destinata ad agire verso l’esterno.
L’autore del Vangelo di Matteo lo esprime in maniera geniale nel passo in cui dal mondo spirituale viene annunciata la nascita di un’individualità. L’annuncio non viene fatto a Maria, ma a Giuseppe, al padre. Profonde verità sono contenute in quelle parole!
Al Gesù della linea natanica vennero trasmesse le qualità interiori – il buddismo è la religione dell’interiorità – che si ereditano dalla madre. Per questo motivo nel Vangelo di Luca la sua nascita venne annunciata alla madre. Così profondamente si esprimono i fatti nelle scritture religiose!
Ma andiamo oltre: anche dietro tutti gli altri fatti che ci vengono descritti si cela qualcosa di importante. Prima di tutto nell’umanità deve nascere il Battista, il precursore. Solo successivamente potremo dedicarci a questa individualità; per il momento vediamo in essa colui che ha il compito di preannunciare ciò che sta per avvenire, concentrando in una forza immensa tutto quello che era contenuto nelle antiche profezie.
Egli esorta la gente ad attenersi a quanto è scritto nella legge. Il Battista vuole portare ciò che gli uomini hanno dimenticato, ciò che non osservano più poiché è maturo e concluso. Deve pertanto possedere un’anima venuta al mondo già più che matura e per questo nasce da una coppia di genitori anziani, in modo che il suo corpo astrale sia fin dall’inizio puro e libero da tutte le forze che tendono ad abbassare l’uomo, poiché nei genitori anziani non agiscono passioni e brame. Anche questa è una profonda verità.
La grande loggia madre dell’umanità provvede anche per queste individualità. Laddove il grande Manu dirige e governa i processi della Terra vengono prima inviate le necessarie correnti del mondo spirituale. Un Io come quello di Giovanni il Battista nasce in un corpo sotto la direzione dei luoghi centrali, gli stessi da cui provengono il suo Io e l’anima che abbiamo descritto ieri, la giovane anima adamitica.
Quell’anima viene introdotta nel bambino Gesù del Vangelo di Luca con delle qualità che non hanno ancora avuto niente a che fare con un Io. In quel bambino viene inserita un’anima giovane. Fa una strana impressione il fatto che sia stato possibile introdurre un’anima senza un Io sviluppato, dal momento che lo stesso Io che non viene dato al Gesù del Vangelo di Luca viene annesso al corpo e all’anima di Giovanni il Battista.
E questi due elementi – l’anima che vive in Gesù e l’Io di Giovanni – sono fin dall’inizio intimamente legati fra loro.
Quando l’embrione umano si sviluppa nel grembo materno, l’Io gli si unisce già nella terza settimana, ma è solo negli ultimi mesi che diventa interiormente attivo. Però laddove l’Io agisce, vive e muove l’embrione umano, abbiamo a che fare con l’Io della precedente incarnazione. In questo caso c’è una relazione fra l’Io di Giovanni e l’anima del bambino natanico, ragion per cui la madre di quest’ultimo deve recarsi dalla madre di Giovanni il Battista, che è al sesto mese di gravidanza.
L’incontro stimola l’Io del bambino dell’altra madre: quando la madre di Gesù le si avvicina il bimbo di Elisabetta comincia a muoversi, a balzare (Lc 1,41-44), tanto profondo è il legame che unisce colui che doveva agire e colui che ne doveva annunciare la venuta.
Vediamo allora come qui si verifichi qualcosa di veramente straordinario. Il fatto che gli uomini vogliano trovare la verità in maniera semplice deriva dall’indolenza umana, ma le verità supreme possono essere scoperte e comprese solo attraverso enormi sforzi spirituali. L’uomo che si accontenta di capire cose solo semplici e infantili non può scoprire le più profonde verità. La verità è profonda e complessa, e se la vogliamo scoprire dobbiamo mobilitare le forze spirituali. Quindi l’obiezione secondo la quale stiamo rappresentando le cose in maniera troppo complicata non ha alcuna ragione di esistere.
Vediamo allora crescere i due bambini. Vediamo il figlio della coppia natanica, nato da una madre giovane. In ebraico si usava la parola ‛almah (המלﬠ, Lc 1,27), che si riferisce in particolare a una giovane madre. Dopo il ritorno da Betlemme, la coppia visse nuovamente a Nazareth con questo figlio. I due non ebbero altri figli, la madre era stata tenuta in serbo per svolgere la sua funzione materna unicamente con il Gesù natanico.
Abbiamo visto che anche la coppia di genitori della linea salomonica si stabilisce a Nazareth dopo essere tornata dall’Egitto. Col tempo questa coppia ebbe altri figli, i cui nomi vengono elencati nel Vangelo di Marco (6,3): Simone, Giuda, Giuseppe e Giacomo, e anche due sorelle che gli altri due Vangeli (sinottici) non menzionano.
Intanto i due bambini Gesù crescevano. Il bambino che ospitava in sé l’individualità di Zarathustra sviluppava con una maturazione estremamente rapida le qualità che vanno sviluppate quando è all’opera un’individualità così potente.
L’individualità attiva nel Gesù natanico è invece di natura diversa. Il suo elemento più importante è il nirmanakaya del Budda. Per questo quando i genitori tornano da Betlemme ci viene anche detto che il bambino è colmo di saggezza e che la grazia di Dio è su di lui. (Lc 2,40) Egli cresceva in modo da sviluppare con estrema lentezza le qualità relative alla conoscenza del mondo esteriore.
L’uomo comune e ordinario avrebbe pensato che quel bambino fosse relativamente ritardato. Invece in lui si sviluppava tutto ciò che scaturiva dal nirmanakaya del Budda che lo irradiava: una profondissima interiorità che non può essere paragonata all’interiorità animica umana, una profondità d’animo che agiva in maniera straordinaria su tutto l’ambiente circostante.
Nel Gesù natanico vediamo crescere un’entità dotata di profondissimo sentimento e nel Gesù salomonico un’entità dotata di enorme maturità e di una profonda comprensione del mondo.
Alla madre del Gesù natanico, il bambino dai sentimenti profondi, era già stato predetto qualcosa di grandioso quando Simeone, dinanzi al neonato, aveva visto l’emanazione del Budda a cui in passato non aveva potuto assistere e che aveva desiderato ardentemente vedere. Ma Simeone aveva anche pronunciato parole significative sulla «spada» (Lc 2,35) che avrebbe dovuto trafiggere il cuore della madre, parole che si riferiscono a qualcosa di cui ci occuperemo oggi.
I due bambini, i cui genitori erano in rapporti amichevoli, crebbero nelle immediate vicinanze e si svilupparono fino ai dodici anni. All’avvicinarsi del dodicesimo compleanno del Gesù natanico, i genitori si recarono a Gerusalemme secondo l’usanza, portando con sé anche il figlio dodicenne che aveva raggiunto la maturità.
Sappiamo che nel Vangelo di Luca c’è un passo che narra in modo straordinariamente misterioso l’episodio di Gesù dodicenne nel tempio. (Lc 2,41-52) Vi si dice che al ritorno i genitori si accorsero di aver perso il figlio. Non trovandolo da nessuna parte, tornarono indietro e lo videro fra i grandi maestri, dove stupiva tutti per la sua saggezza e maturità. Che cosa era successo?
Chiediamolo alla cronaca dell’akasha. I fatti del mondo non sono per niente semplici. Quello che era accaduto lì avviene anche altrove nel mondo. Capita sempre che una certa individualità abbia bisogno anche di altri influssi esterni. Per esempio, un uomo cresce fino a una certa età, dopo di che perde i sensi ed è come morto. Allora il suo Io lo abbandona e un altro prende possesso di lui. Si tratta di un fenomeno noto a ogni occultista.
Ecco cos’era successo nel Gesù dodicenne: l’egoità dell’individualità di Zarathustra uscì dal corpo del Gesù salomonico per passare nel Gesù natanico, che per questo apparve trasformato. Per bocca sua parlava ora l’Io di Zarathustra che si era unito a lui. Per questo ci viene detto che i genitori non lo riconobbero.
Il nirmanakaya del Budda si congiunse al giovane involucro astrale di Gesù nello stesso momento in cui l’Io di Zarathustra si unì al Gesù natanico. Ora l’Io di Zarathustra viveva nel Gesù natanico e i genitori si portarono a casa quel fanciullo trasformato al punto che non riuscivano più a comprenderlo.
Non molto tempo dopo la madre di quel fanciullo morì, così che egli divenne orfano di madre. Vedremo che anche il fatto che la madre sia morta rimanda a un nesso particolarmente profondo. Anche l’altro bambino non poté continuare a vivere come prima dopo essere stato abbandonato dall’Io di Zarathustra e morì di lì a poco. Il Giuseppe della linea salomonica era morto precocemente e la madre del Gesù salomonico fu accolta con i suoi figli nella casa del Gesù natanico, di modo che l’Io di Zarathustra vivesse di nuovo con la famiglia presso la quale si era incarnato, a eccezione del padre.
Così vediamo le due famiglie fondersi in una sola. La madre dei fratelli del Gesù salomonico visse con il Gesù natanico che aveva accolto l’Io di Zarathustra e che per quanto riguarda il corpo era originario di Nazareth. Così Gesù visse con loro.
E così vediamo l’unione concreta di buddismo e zoroastrismo. Infatti l’anima matura dell’Io di Zarathustra poté accogliere in sé e unirsi con quello che il nirmanakaya del Budda era diventato grazie all’unione con l’involucro materno astrale del Gesù dodicenne. Perciò in Gesù di Nazareth vediamo crescere un’individualità che porta in sé l’egoità di Zarathustra e che viene irradiata e spiritualizzata dal nirmanakaya ringiovanito del Budda.
Dato che anche il Giuseppe natanico è morto relativamente presto, il fanciullo Zarathustra è in realtà un orfano e non è quello che dovrebbe essere in base alla sua origine fisica. Per quanto riguarda lo spirito è lo Zarathustra rinato, per quanto riguarda la sua origine corporea è figlio del Giuseppe della linea natanica, che viene considerato suo padre dal mondo. Luca lo descrive precisamente, dobbiamo solo interpretare nel modo giusto le sue parole. Al momento del battesimo nel Giordano Luca (3,23) dice: «Gesù aveva circa trent’anni quando incominciò il suo ministero, ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe». e così via. Non viene detto semplicemente che era figlio di Giuseppe, ma che veniva ritenuto tale. L’Io in lui si era infatti originariamente incarnato nel Gesù salomonico.
E una voce dal cielo disse: «Tu sei il mio Figlio diletto, in te mi sono compiaciuto». (Lc 3,22) Ora abbiamo di fronte un’entità indivisa, Gesù di Nazareth, che è dotato di una grande e possente interiorità e unisce in sé tutto ciò che riconosciamo come i benefici del buddismo e dello zoroastrismo. Quell’entità era destinata a cose grandi e imponenti.
Ancora qualcosa le doveva accadere: l’assunzione del Cristo. Quando il Gesù natanico assunse l’individualità del Cristo durante il battesimo nel Giordano, l’elemento immortale della madre discese trasformando la madre accolta nella casa di Giuseppe e rendendola di nuovo vergine. La madre del Cristo Gesù che troviamo nel Vangelo di Giovanni è quella resa nuovamente vergine, nella quale agiva la madre originaria del Gesù natanico.
Sesta conferenza
Giovanni il Battista
e la sua predicazione “buddista”
Basilea, 20 settembre 1909
Miei cari amici!
Ci riuscirà relativamente facile comprendere i particolari del Vangelo di Luca se avremo svolto un adeguato lavoro preparatorio, così che in un certo senso faremo la conoscenza delle individualità e delle entità che prendiamo in esame e sapremo con chi abbiamo a che fare.
Per questo non dovremo essere contrariati dall’occuparci esaurientemente degli antefatti prima di conoscere in tutta la sua complessità la grande figura che sta al centro dei Vangeli. Dovremo prendere in esame anche altre cose, senza le quali non saremmo in grado di capire ciò che il Vangelo di Luca ci offre in tutta semplicità.
Dobbiamo in primo luogo ricordarci della grande importanza di quell’entità, unica nel suo genere, alla quale diamo il nome di grande Budda e di cui abbiamo detto che cinque o sei secoli prima della nostra era è ascesa dal grado di bodhisattva a quello di Budda. Abbiamo descritto il significato di questo passaggio e oggi vogliamo osservarlo con precisione.
Il contenuto dell’insegnamento del Budda doveva essere trasmesso all’umanità, affinché diventasse suo patrimonio.
Dalla storia dell’umanità emerge che prima del Budda non ha potuto esserci nessuno sulla Terra in grado di far nascere da se stesso la dottrina della compassione e dell’amore che si esprime nell’ottuplice via. L’anima umana non era ancora abbastanza evoluta da poter trovare autonomamente quelle verità. Tutto ha origine dapprima nel mondo.
In che modo gli uomini delle epoche anteriori potevano seguire i principi dell’ottuplice sentiero? Solo se dalle scuole occulte degli iniziati veniva trasmesso e riversato in loro il contenuto dei misteri, delle scuole dei veggenti. Là insegnava anche il bodhisattva, poiché quelle scuole offrivano la possibilità di elevarsi ai mondi superiori e ricevere ciò che al resto dell’umanità non poteva ancora essere dato.
Questo doveva essere instillato nell’umanità da coloro che potevano ottenere quella grazia, dal momento che l’umanità non era in grado di giungere autonomamente ai principi che venivano insegnati nelle scuole misteriche. Gli uomini li seguivano inconsciamente, poiché sulla Terra non esisteva ancora un corpo umano che, pur compenetrato da tutta la spiritualità, possedesse un’organizzazione tale da permettergli di trovare in se stesso il contenuto dell’ottuplice via. Questo doveva avvenire tramite una rivelazione dall’alto. Che cosa ne consegue?
Ne consegue che prima dell’epoca del Budda un essere come il bodhisattva non era affatto in grado di utilizzare pienamente un corpo umano. Sulla Terra non poteva trovare nessun corpo in cui incarnarsi veramente con tutte le facoltà che gli avrebbero consentito di agire sull’umanità. Simili corpi non esistevano. Ma allora come si incarnava un bodhisattva? È opportuno che ci poniamo questa domanda.
Non incarnava completamente la sua entità spirituale. Se si fosse osservato dal punto di vista chiaroveggente un corpo umano animato da un bodhisattva, si sarebbe visto che un siffatto corpo ospitava solo in parte il bodhisattva, che si estendeva ben oltre l’involucro umano. Il bodhisattva non si incarnava mai completamente, non abbandonava mai del tutto il mondo spirituale: viveva contemporaneamente nel mondo spirituale e in un corpo fisico.
Il passaggio da bodhisattva a Budda consistette nell’avere a disposizione un corpo nel quale il bodhisattva poteva introdurre tutte le proprie forze. In tal modo aveva presentato quella forma a cui gli uomini dovevano cercare di somigliare per poter trovare in se stessi l’ottuplice via, come l’aveva trovata il Budda sotto l’albero bodhi.
Se quindi avessimo esaminato l’entità del Budda nelle sue precedenti incarnazioni avremmo dovuto dire che una parte del suo corpo animico doveva restare nel mondo spirituale. Solo nel sesto secolo prima della nostra era è comparso un corpo umano che ha potuto essere compenetrato completamente dal bodhisattva.
Tutte le religioni e le concezioni del mondo conoscono il fenomeno per cui esistono esseri umani che non portano in sé la loro piena individualità, ma che sono parzialmente inseriti nel mondo spirituale. Sia le religioni che le concezioni del mondo sapevano dell’esistenza di esseri umani per così dire troppo stretti per accogliere pienamente in sé l’individualità destinata ad agire in loro. Per definire questo tipo di rapporto, le concezioni dell’Asia anteriore, di cui faceva parte anche quella ebraica, usavano l’espressione «colmo di Spirito Santo».
Si tratta di un’espressione tecnica ben precisa. Nella terminologia delle lingue dell’Asia anteriore, parlando di un’entità di quel genere si sarebbe detto che era colma di Spirito Santo, cioè le forze che costituivano quell’entità non erano del tutto inserite in essa e lo spirito doveva agire dall’esterno. Potremmo anche dire che nelle sue incarnazioni precedenti il Budda era «colmo di Spirito Santo».
Capito questo, potremo anche comprendere ciò che leggiamo all’inizio del Vangelo di Luca. Sappiamo che nel corpo eterico del bambino Gesù che discendeva fisicamente dalla linea natanica viveva una parte rimasta intatta di quel corpo eterico che era stato sottratto all’umanità prima del peccato originale, che quella sostanza eterica era stata conservata per poi essere introdotta in quel bambino.
Questo era necessario affinché potesse esistere un’entità eterica incontaminata da tutte le esperienze terrene, un’entità in grado di accogliere tutto ciò che doveva accogliere. Un normale uomo terrestre toccato da tutti gli avvenimenti verificatisi dall’epoca lemurica in poi sarebbe stato in grado di reggere l’adombramento del nirmanakaya del Budda? No di certo! E ancor meno avrebbe potuto sopportare ciò di cui parleremo più avanti.
Doveva nascere un corpo umano così nobilitato da potersi formare solo grazie al fatto che quella sostanza eterica inviolata fin dall’epoca lemurica fu introdotta nel corpo eterico di quel bambino Gesù.
Ma quella sostanza eterica era anche connessa con tutte le forze che erano intervenute nell’evoluzione della Terra prima del peccato originale. Ciò aveva reso possibile che il nirmanakaya del Budda scendesse proprio su quel bimbo. Ma in tal modo era diventato possibile anche qualcos’altro: quel mirabile influsso esercitato dalla madre di Gesù sulla madre di Giovanni il Battista e su Giovanni stesso.
Dobbiamo intendere con quale entità abbiamo a che fare in Giovanni il Battista. Possiamo comprenderla solo se analizziamo la differenza che passa fra la particolare rivelazione sorta in India per mezzo del Budda e quella, non meno possente, trasmessa all’antico popolo ebraico da Mosè e dai profeti.
Cos’è diventata l’umanità grazie al Budda? Ciò che l’anima può trovare come propria legge, ciò che l’uomo può fare in quanto uomo per nobilitarsi e purificarsi. Il Budda ha annunciato la legge della vita dell’anima, il “dharma”. Quella legge è stata annunciata all’umanità nel modo in cui può svilupparsi al massimo grado nell’anima umana, dalla quale il Budda è stato il primo a estrarla.
Ma l’evoluzione dell’umanità non è lineare: le varie epoche devono fecondarsi a vicenda.
Per quello che doveva aver luogo nell’Asia anteriore come evento cristico era necessario che l’evoluzione in quella zona rimanesse indietro rispetto a quella dell’India, che rimanesse infantile allo scopo di accogliere con maggior freschezza ciò che alla civiltà indiana era stato dato in un altro modo. Nell’Asia anteriore andava creato un popolo che rimanesse molto più indietro rispetto a quelli orientali, un popolo che si sviluppasse in maniera completamente diversa.
Se in base alla saggezza cosmica i popoli dell’Oriente erano progrediti al punto da poter vedere il bodhisattva come Budda, nell’Asia anteriore era necessario che gli uomini restassero a un livello inferiore, infantile. Nell’evoluzione dell’umanità doveva succedere quello che possiamo osservare in piccolo quando abbiamo di fronte un essere umano che fino ai vent’anni si è appropriato di determinate capacità. Sotto un certo aspetto però le facoltà acquisite sono nel contempo un ostacolo, hanno la caratteristica di voler trattenere l’uomo al loro livello, di non permettergli di superarlo. Successivamente, intorno ai trent’anni, quell’uomo farà fatica ad andare oltre il grado acquisito a venti.
Se un altro uomo invece a vent’anni è meno maturo e solo allora impara quello che l’altro ha già conquistato prima, può superare facilmente quel livello e a trent’anni essere nettamente più avanti dell’altro. Anche le facoltà acquisite ed elaborate pienamente dentro di sé costituiscono in seguito un certo vincolo, un impedimento, mentre ciò che ci si è procurato più a livello esteriore ci crea meno ostacoli.
Se l’umanità deve progredire, occorre far sì che una determinata corrente culturale accolga ed elabori al proprio interno certe abilità e che un’altra venga trattenuta a un livello inferiore. Prendiamo per esempio una certa corrente culturale: si è appropriata in toto di determinate facoltà e può progredire, ma non può essere separata dalle sue vecchie conquiste, che continua a conservare. Si sviluppa allora fino a un certo punto, ma non può aggiungere nulla di nuovo, non sarebbe in grado di salire da sola a uno stadio superiore.
Perciò si fa in modo che venga affiancata da un’altra corrente, che in un certo senso resta meno sviluppata, che fino a un certo punto non ha raggiunto lo stesso livello dell’altra. Questa corrente tuttavia prende dall’altra ciò che essa ha acquisito nel frattempo, ed essendosi mantenuta giovane può ascendere a un grado più alto. Così la corrente vecchia feconda quella nuova. Nell’evoluzione dell’umanità le correnti dello spirito universale devono scorrere l’una accanto all’altra e occorre fare in modo che così accada.
Come si poteva far sì che accanto alla corrente che si è espressa nel grande Budda ne scorresse un’altra che solo in un secondo tempo fosse in grado di accogliere il dono fatto dal buddismo all’umanità? Solo evitando che nella corrente culturale che doveva mantenersi giovane sorgesse la possibilità di produrre uomini capaci di sviluppare il dharma autonomamente e di giungere all’ottuplice via. Quella corrente non doveva avere un Budda.
Ciò che il Budda ha portato dall’interno alla sua corrente culturale, all’altra doveva essere dato dall’esterno. Affinché le cose fluissero in maniera particolarmente saggia, prima della comparsa del Budda in quelle popolazioni dell’Asia anteriore, la legge non fu data interiormente ma per mezzo di una rivelazione esteriore – nel Decalogo, i Dieci Comandamenti di Mosè, nella legge del popolo ebraico.
Vediamo quindi che quanto doveva diventare possesso interiore di una corrente culturale venne dato al popolo ebraico nella legge, nei Dieci Comandamenti, come qualcosa di dato dall’esterno. Chi faceva parte del popolo ebraico riceveva i Dieci Comandamenti come qualcosa che gli veniva conferito dall’alto, come una rivelazione dal cielo. Per il popolo ebraico i Dieci Comandamenti erano un dono che gli giungeva dall’esterno.
• Il popolo indiano era stato guidato in modo che gli uomini imparassero a percepire la legge dentro di loro;
• il popolo ebraico era stato guidato in modo da ubbidire alla legge esteriore.
Ma in virtù di questo, proprio l’antico popolo ebraico costituisce una meravigliosa integrazione dell’opera svolta dal grande Zarathustra per il popolo paleopersiano. Nell’ultima conferenza abbiamo sottolineato che Zarathustra rivolgeva lo sguardo preferibilmente al mondo esteriore. Mentre nella dottrina del Budda troviamo spiegazioni infinitamente profonde sull’anima umana, nell’insegnamento di Zarathustra troviamo le grandi verità sul cosmo che ci forniscono informazioni su come il mondo si è sviluppato dalle sue sfere.
Mentre lo sguardo di coloro che si sono sviluppati nel senso del Budda era diretto al mondo interiore, quello dei seguaci di Zarathustra si rivolgeva al mondo esteriore per indagarlo sempre più a fondo.
Cerchiamo di immergerci nell’insegnamento dato da Zarathustra nel corso della sua prima apparizione, quando diede il grande annuncio di Ahura Mazda, e nelle sue varie incarnazioni fino all’epoca caldea, quando si reincarnò come Nazarathos. Esaminando il suo insegnamento dobbiamo dire che penetrò sempre più a fondo nelle leggi spirituali del mondo esteriore, del “grande cosmo”. Erano insegnamenti grandi e rilevanti quelli impartiti in Persia da Zarathustra, e li troviamo ancor più sviluppati in quella meravigliosa dottrina caldea di cui oggi capiamo così poco.
Se esaminiamo questa dottrina spirituale del cosmo vedremo una peculiarità importante. Ai tempi in cui Zarathustra parlava ancora delle cause spirituali del mondo sensibile al popolo paleopersiano, contrapponeva fra loro due potenze, Ormuzd (Ahura Mazda) e Arimane (Angra Mainyu). All’umanità furono presentate queste due potenze che agiscono nell’intero universo l’una contro l’altra.
In quella dottrina non avremmo tuttavia potuto trovare quello a cui diamo il nome di calore morale che pervade l’anima. In un certo senso l’uomo è inserito nel processo cosmico e la morale è una questione che riguarda Ormuzd e Arimane. Dato che questi due combattono fra loro, anche nell’anima umana infuriano le passioni. Si tratta di eventi cosmici. Ancora non si conosceva la disposizione d’animo interiore dell’uomo.
E quando si parlava di bene e male, ci si riferiva agli effetti favorevoli o dannosi delle forze che si contrappongono nel cosmo. Anche in epoca caldea l’elemento morale e la concezione morale non erano ancora entrati a far parte di quella dottrina. Lo sguardo era rivolto all’esterno, si imparava a conoscere tutte le cose eccellenti e luminose o oscure e nocive che compenetrano il mondo. L’uomo in quanto anima si sentiva inserito in tutto questo, ma l’elemento morale non veniva ancora sentito come lo fu in seguito.
Per esempio, quando ci si trovava di fronte a un uomo cattivo si sentiva che in lui fluivano le forze delle entità cosmiche malvagie, lo si vedeva “posseduto” da quelle entità e pertanto non lo si poteva considerare “colpevole” per le azioni da lui compiute in quella situazione. Questa era la caratteristica di una dottrina il cui sguardo era rivolto innanzitutto al mondo esteriore.
La rivelazione ebraica costituisce un’integrazione meravigliosa a quella dottrina cosmica proprio perché è stata la prima a introdurre l’elemento morale in ciò che veniva rivelato dall’esterno, permettendo in tal modo di dare un senso al concetto di colpa, di collegare l’anima umana con la colpa.
La rivelazione del Decalogo ha reso necessaria la distinzione fra coloro che osservano questa legge e quelli che non la osservano. Nell’umanità compare il concetto di colpa.
In un libro della Bibbia ci viene presentato un uomo, Giobbe, che interroga la propria anima e vediamo chiaramente che negli uomini regna ancora l’incertezza sull’effettivo significato del concetto di colpa. L’elemento “tragico” in questo libro è l’incapacità dell’uomo di trovare il concetto di colpa. Lasciamo agire su di noi il libro di Giobbe, cerchiamo di studiarne il protagonista dal punto di vista animico e scopriremo un’incertezza, un’indeterminatezza sul concetto di colpa, ma anche la comparsa di tale concetto.
Così al popolo ebraico l’elemento morale venne dato sotto forma di rivelazione dall’esterno, proprio come agli altri popoli erano state date le rivelazioni sui regni della natura. Questo poté accadere solo perché Zarathustra aveva provveduto al proseguimento della sua opera, cedendo il proprio corpo eterico a Mosè, incrementandone le forze.
In tal modo Mosè acquistò la stessa capacità di percezione di Zarathustra – la facoltà di recepire non delle leggi indifferenti e neutrali dal punto di vista morale, ma ciò che pervade il mondo, ciò che può essere trasmesso come “precetto”. L’antico popolo ebraico viveva in modo che la sua cultura comportasse l’obbedienza, la sottomissione alla legge, mentre la corrente culturale del Budda generava dalla propria anima la legge, l’ideale dell’ottuplice sentiero.
Quell’antico popolo ebraico doveva essere mantenuto a uno stadio culturale immaturo fino al momento che stiamo per descrivere, doveva essere preservato dalla rivelazione del Budda. Perciò in quel popolo dovevano trovarsi delle personalità che non fossero in grado di accogliere pienamente un’individualità che potesse rappresentare la legge. In quel popolo non poteva sorgere un Budda.
Questo è stato possibile solo per il fatto che Mosè, essendo dotato del corpo eterico di Zarathustra, poteva ricevere dall’alto ciò che non poteva scaturire dal basso, dalla propria anima. Al popolo ebraico non era dato di concepire leggi nella propria anima.
Ma se l’opera di Mosè doveva essere proseguita in modo da dare i giusti frutti al momento giusto, in quel popolo dovevano sorgere quelle individualità a noi note come “profeti”. E uno dei profeti più importanti è quello che conosciamo con il nome di Elia. Doveva essere uno dei rappresentanti di quanto era stato introdotto da Mosè. Dal proprio popolo non potevano nascere uomini in grado di accogliere completamente dentro di sé ed essere pienamente collegati con ciò che era stato dato da Mosè.
Perciò la particolare natura del bodhisattva che abbiamo descritto come necessità per l’antico popolo indiano doveva continuare a manifestarsi anche per il popolo ebraico. Dovevano esserci delle individualità che non si calavano del tutto nella personalità terrena. Elia era un’entità di questo genere.
Nella personalità che sul piano fisico era Elia, l’individualità di Elia era presente solo in parte. L’egoità di quell’entità non poteva penetrare del tutto nel corpo di Elia. Come dobbiamo definire una simile personalità in base all’espressione che abbiamo imparato? Era una personalità «colma di Spirito Santo».
Sarebbe impossibile provocare nel mondo un’apparizione come quella di Elia mediante le forze normali che danno di solito origine all’uomo. In genere, quando un uomo viene messo al mondo, dall’embrione materno l’entità umana si sviluppa in modo che l’individualità precedentemente incarnata si unisca a un’entità fisica. Allora non è necessario che intervengano forze particolari ed eccezionali.
Non così può avvenire per un’individualità come quella di Elia. In quel caso devono intervenire altre forze che si occupino della parte della sua individualità che si estende nel mondo spirituale. Doveva agire su di lui un’influenza esterna, e così è stato.
Per questo tali personalità appaiono ispirate, estatiche, mosse dallo spirito, in grado di trascendere in notevole misura le comunicazioni della loro intelligenza. Così appaiono tra l’altro gli antichi profeti: è lo spirito a muoverli, l’Io non può render loro conto delle sue azioni. “Lo spirito” vive in quelle personalità, che lo ricevono dall’esterno. Si ritirano in solitudine per conservare il legame con lo spirito. Sopprimendo il proprio Io e immergendosi in uno stato estatico, un essere di questo genere tende l’orecchio alle ispirazioni che gli giungono dall’alto.
Questa accadeva a Elia, e quindi le parole che uscivano dalla sua bocca e quello che la sua mano indicava non provenivano dall’Io che viveva in lui, ma erano rivelazioni delle entità divino-spirituali che gli stavano dietro.
Quando quell’entità si reincarnò dovette connettersi con il corpo del bambino che sarebbe nato a Zaccaria ed Elisabetta. Sono i Vangeli stessi a dirci che in Giovanni dobbiamo vedere la reincarnazione di Elia. (cfr. Mt 11,14;
17,10-13) Abbiamo a che fare con un’individualità che per così dire non era abituata a sviluppare quello che doveva emergere mediante le forze presenti nella vita normale.
Normalmente nel grembo materno a un certo punto si desta la forza dell’Io. In tempi passati l’individualità di Elia non aveva mai preso parte a questo processo: in lui l’Io non era stato pienamente attivato dall’interno ma più dall’esterno. Era necessario che accadesse di nuovo: l’Io doveva essere messo in movimento da un’entità che dal mondo spirituale si unisse alla Terra in modo completamente diverso rispetto alle entità dalle quali Elia era stato guidato e influenzato in precedenza.
Occorreva realizzare il passaggio affinché la corrente del Budda e quella di Zarathustra potessero unirsi. Le fila non potevano più essere manovrate solo dall’alto, dal cielo. Ora quella che doveva agire dall’esterno e sviluppare l’egoità in Giovanni il Battista era proprio l’entità del Budda, connessa con la Terra e le sue vicende e unitasi al Gesù natanico – quell’entità che da un lato era unita alla Terra e dall’altro ne era avulsa poiché viveva solo nel nirmanakaya –, quell’entità che ora aleggiava sul capo del Gesù natanico.
Era dunque il nirmanakaya del Budda a dover agire sullo sviluppo dell’egoità di Giovanni, come un tempo erano stati gli esseri divino-spirituali ad agire su Elia.
A quell’epoca Elia viveva come rapito e modificava il suo Io riempiendolo della forza reale che poi era in grado di comunicare. Ora c’era di nuovo una forza divino-spirituale, quella del nirmanakaya, che agì su Elisabetta al sesto mese di gravidanza e destò l’Io nel suo corpo quando la futura madre del Gesù natanico si recò da lei. Così si attivò l’Io di Giovanni, così il nirmanakaya del Budda esercitò un’azione di risveglio e liberazione sull’Io di quello che un tempo era stato Elia e che ora era Giovanni.
Con Giovanni il Battista doveva accadere come con Elia nel nono secolo prima della nostra era, quando aveva pronunciato parole possenti che erano parole di Dio e con la sua mano aveva indicato i gesti di Dio. E quello che il Budda aveva da dire ora agì come ispirazione nell’Io di Giovanni il Battista.
Vediamo dunque come colui che si annuncia ai pastori interviene nella vita di Giovanni il Battista, la cui predica è una rinascita della predica del Budda. Abbiamo la sensazione di qualcosa di molto particolare che agisce profondamente sulla nostra anima quando nella predica di Benares sentiamo parlare del dolore della vita, dell’ottuplice via mediante la quale l’anima deve purificarsi.
A quei tempi il Budda ha annunciato ciò che aveva riconosciuto e ha proseguito spesso il suo discorso dicendo:
«Avete ascoltato la dottrina dei brahmani, che sostengono di essere superiori agli altri uomini poiché hanno una nobile origine. Costoro dicono che il valore dell’uomo dipende dalla sua origine, ma io vi dico che l’uomo vale per ciò che diventa. L’uomo è degno della grande saggezza del mondo grazie a ciò che egli fa di se stesso».
In tal modo il Budda suscitò la collera dell’ambiente brahmanico. Diceva:
«Per quanto uno si definisca brahmano, ciò che conta non è discendere dalla stirpe dei brahmani, ma purificarsi attraverso le proprie forze interiori».
Questo era il senso di molti discorsi del Budda, anche se magari l’ha espresso con altre parole. Proseguiva poi il suo insegnamento mostrando che l’uomo, sopprimendo dentro di sé il mondo del dolore, può provare compassione e prestare aiuto e conforto agli altri. In questi termini si esprimeva spesso il Budda.
Ora il Budda era nel suo nirmanakaya; irradiava il Gesù bambino natanico e proseguiva la sua predica parlando per bocca di Giovanni il Battista. Le parole di quest’ultimo erano ispirate dal nirmanakaya del Budda e sembrano una prosecuzione della predica di Benares. Giovanni diceva (cfr. Lc 3,7-9):
«Voi che tenete in grande considerazione il fatto di discendere da coloro che sono al servizio delle potenze spirituali – a cui si dà il nome di serpente – chi vi ha portati a dire che abbiamo Abramo per padre?».
E ora prosegue la predica di Benares:
«Non dite: abbiamo Abramo per padre. Diventate uomini nel posto che occupate nel mondo. In verità un vero uomo può essere ridestato al posto della pietra sulla quale poggia. Dio può suscitare dei figli di Abramo dalle pietre. Già la scure è messa alla radice degli alberi».
«Che cosa dovremo fare?» gli domandava la folla.
«Colui che ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha», rispondeva Giovanni. Anche i monaci in passato avevano chiesto al Budda: «Cosa dobbiamo fare?». Giovanni risponde con parole che si ricollegano alla predica di Benares.
Così impariamo a conoscere l’unità della fecondazione religiosa e spirituale dell’umanità. Impariamo a conoscere il buddismo non restando fedeli alla tradizione, ma prestando ascolto alle parole vere e vitali del Budda. La sua bocca non è ammutolita: pur non essendo più incarnato fisicamente, egli parla ancora agli uomini ispirandoli con il suo nirmanakaya.
Dalla bocca di Giovanni il Battista sentiamo ciò che il Budda ha da dire seicento anni dopo la sua incarnazione. In questo consiste l’unità delle religioni: ognuna di esse va esaminata al momento giusto, vi dobbiamo cercare ciò che è vivo e non ciò che è morto, dal momento che tutto è in continua evoluzione. È questo che dobbiamo capire.
Chi non vuol sentire parlare il Budda per bocca di Giovanni il Battista è come un uomo che ha visto il germoglio di una rosa e che dopo qualche settimana non vuol credere che la rosa in fiore sia quello stesso germoglio e sostiene che si tratti di qualcos’altro. Ma chi capisce l’evoluzione si dice: ciò che era vivo nel germoglio fiorisce ora nella rosa.
Ciò che era vivo a livello embrionale nella predica di Benares fiorisce adesso nella predica di Giovanni il Battista lungo le rive del Giordano. Davanti a noi c’è quindi un’individualità che ci si presenta in quell’epoca e di cui il Vangelo di Luca parla così profondamente.
Impareremo a conoscere i Vangeli solo decidendoci a poco a poco a comprenderne ogni parola nel suo vero senso.
Luca dice di volerci raccontare le comunicazioni di coloro che hanno avuto una visione consapevole. Ma quei veggenti consapevoli videro i veri nessi che si erano rivelati attraverso i tempi e non solo gli avvenimenti sul piano fisico. Chi vede solo questi ultimi dice: «Seicento anni fa in India è vissuto un uomo di nome Budda. E poi in Palestina è vissuto uno chiamato Giovanni il Battista». Non è però in grado di vedere ciò che dal Budda si protrae in Giovanni il Battista. Questo lo si trova nel mondo spirituale, lo possono vedere i visionari autocoscienti.
E Luca ci dice che quelli di cui racconta erano questi visionari. I Vangeli narrano i fatti del mondo spirituale. Per comprendere il mistero della Palestina è necessario che le individualità coinvolte si manifestino a noi esplicitamente. E questo può accadere solo nel momento in cui sappiamo che cosa è confluito in loro.
Un’altra cosa è stata detta nelle ultime conferenze: qualunque sia l’individualità che scende sulla Terra, deve svilupparsi in base alle facoltà adeguate al corpo in cui si vuole incarnare. Supponiamo che oggi un’entità superiore voglia scendere sulla Terra: potrebbe farlo solo adeguandosi alla fisicità degli uomini d’oggi.
Solo il veggente può capire chi è davvero quell’entità, dato che è in grado di vederla interiormente. Un’entità che ha raggiunto un grado elevato di saggezza deve anche plasmare il proprio corpo, farlo maturare nel corso dell’infanzia in modo da potersi manifestare in un determinato momento. Dato che la sua missione è particolare, anche l’incarnazione terrena dev’essere tale che il corpo la sopporti.
Nei mondi spirituali le cose non stanno come quaggiù nel mondo fisico. Se un’entità vuole insegnare come guarire dal dolore, deve prima sperimentare pienamente la sofferenza per potersi rivolgere umanamente agli uomini, per trovare le parole loro comprensibili.
Ciò che aveva da dire l’entità nascosta nel corpo del Gesù natanico era un messaggio destinato all’umanità intera, qualcosa che doveva permetterle di trascendere l’antica consanguineità.
Non l’eliminazione del legame fra padre e figlio, tra fratello e sorella, ma il conseguimento dell’amore universale che unisce le anime – questo doveva portare l’entità che in seguito si sarebbe manifestata al mondo nel Gesù natanico. Doveva portare legami d’amore che non hanno niente a che fare con quanto è collegato all’affinità del sangue.
Ma per farlo era necessario che l’entità incarnata nel corpo del Gesù natanico sperimentasse di persona cosa significa non avere legami, non essere unita agli altri. Solo così poteva sentire cosa intercorre fra uomo e uomo. Doveva liberarsi da tutti i legami di sangue e presentarsi non solo come un uomo senza patria, così com’era stato il Budda, ma come uomo libero da ogni vincolo familiare in un senso ancora più ampio del termine.
Doveva provare tutte le sofferenze profonde che si provano quando ci si deve staccare da tutto ciò che normalmente è intimo all’uomo, quando si deve stare da soli. Quell’entità che parlava per bocca del Gesù natanico doveva parlare da uno stato di solitudine e abbandono.
Chi era quell’entità? Sappiamo che era l’entità vissuta fino a dodici anni nel Gesù salomonico, lo spirito di Zarathustra. Era orfano di padre, e aveva fratelli e sorelle che poi ha abbandonato. Ha rinunciato alla madre, ai fratelli e alle sorelle. È uscito da quel corpo per entrare in quello del Gesù natanico. Poi anche l’altra madre morì, e lui rimase completamente orfano.
E quando più tardi ha agito nel mondo, ha preso commiato da tutto ciò che ha a che fare con la consanguineità. Allora, in quanto essere di Zarathustra, ha dovuto rinunciare alla possibilità di procreare, di fondare una famiglia. Quell’entità ha abbandonato “la sua vita” (cfr. Luca 14,26) per assumerne un’altra, quella del Gesù natanico.
Quell’entità ha preparato la strada per un essere ancora superiore, il grande Cristo. Quell’individualità ha potuto annunciare l’amore umano universale, e quando la madre e i fratelli le si sono avvicinati ha potuto dire dal profondo a tutto il popolo che essi non erano sua madre e i suoi fratelli, poiché aveva abbandonato anche il corpo che la legava a quella famiglia. Ma riferendosi ai discepoli che lo seguivano, quell’essere poteva dire: «Questi sono mia madre e i miei fratelli». (cfr. Luca 8,19-21)
Per poter annunciare l’amore umano universale, ha dovuto realmente incarnarsi sulla Terra in una figura che gli consentisse di sperimentare l’abbandono di tutti i legami di sangue.
Così i nostri pensieri si rivolgono a quella figura mentre essa si avvicina a noi come un essere umano. E nel contempo la sentiamo discendere dalle altezze spirituali e assumere su di sé il dolore per esprimere le esperienze e le sofferenze umane.
Quanto più spiritualmente comprendiamo questa entità, tanto meglio i nostri pensieri riusciranno a capirla e le nostre anime a esultare davanti a lei.
Settima conferenza
Gesù di Nazareth
diventa il portatore del Cristo
Basilea, 21 settembre 1909
Miei cari amici!
Negli ultimi giorni abbiamo cercato di farci un’idea delle entità principali di cui ci parla il Vangelo di Luca. Ci siamo procurati determinati concetti riguardo a ciò che sta alla base di questo documento.
Ma ci occorre ancora una cosa: seguire l’ulteriore evoluzione dell’entità principale dei Vangeli e quindi anche della nostra Terra, il Cristo Gesù.
Sarà necessario ricordarci di quanto è già stato detto, e cioè che il Cristo Gesù che in seguito ci starà di fronte e di cui tratta il Vangelo di Luca è nato fisicamente come Gesù natanico dalla casa di Davide. Questo bambino cresce fino all’età di circa dodici anni, dopo di che nel suo corpo entra l’egoità che fino a quel momento si era sviluppata nel Gesù salomonico. È la stessa egoità che un tempo era stata incorporata, incarnata in Zarathustra, l’entità che aveva dato origine alla civiltà persiana.
Quindi dal dodicesimo anno abbiamo l’Io di Zarathustra nel corpo del Gesù natanico. E adesso è nostro compito seguire accuratamente l’evoluzione di questa entità. Dobbiamo allora ricordarci di qualcosa.
Sappiamo che di solito nel normale sviluppo umano il primo periodo importante è quello compreso fra la nascita e i sette anni; il secondo quello che va dai sette ai quattordici anni circa, il terzo dai quattordici ai ventuno, il quarto dai ventuno ai ventotto, e infine quello compreso fra i ventotto e i trentacinque anni.
Questi periodi non vanno però intesi in maniera pedante, come se terminassero esattamente allo scadere del rispettivo anno, ma devono essere visti come passaggi graduali. Il primo di questi passaggi si verifica con la comparsa della seconda dentizione. Anche gli altri periodi consistono di passaggi che avvengono gradualmente e non all’improvviso.
Sappiamo inoltre che a sette anni avviene spiritualmente qualcosa di analogo a quanto si è verificato al momento della nascita fisica con l’abbandono del corpo materno. Avviene una specie di nascita eterica. Con la maturità sessuale che giunge intorno ai quattordici anni, ha luogo una nascita astrale, si libera il corpo astrale dell’uomo. Se vogliamo osservare con grande precisione lo sviluppo umano, esso ci si presenterà senz’altro in modo molto più complesso di come appare all’osservazione normale, alla quale sfuggono le importanti differenze dei periodi successivi.
Oggi si presume che da un certo momento in poi nell’uomo non succeda più molto, ma questa è un’osservazione approssimativa. In verità è possibile cogliere precise differenze anche nell’evoluzione che avviene più in là con gli anni.
Quando al momento della nascita fisica si abbandona l’involucro materno fisico, la prima parte dell’uomo a venire alla luce è il corpo fisico, l’unico corpo a essere libero nei primi sette anni di vita. Poi a sette anni si abbandona l’involucro materno eterico, liberando così il proprio corpo eterico. Quando a quattordici anni si abbandona l’involucro materno astrale, possiamo dire sommariamente che si libera il corpo astrale o l’anima dell’uomo.
In termini più esatti possiamo capire lo sviluppo umano solo partendo da una suddivisione più precisa della natura umana, in cui le parti superiori vengono articolate ancor più intimamente.
Dopo il corpo eterico, troviamo quello a cui si dà il nome di corpo senziente, che in effetti si libera solo a ventun anni. Con i ventun anni comincia gradualmente a liberarsi la cosiddetta anima senziente; a ventotto si libera quella a cui diamo il nome di anima razionale o anima affettiva e infine a trentacinque la cosiddetta anima cosciente. Così avviene nell’uomo del giorno d’oggi.
Chi osserva la vita umana alla luce delle conoscenze scientifico-spirituali sa anche perché i trentacinque anni sono così importanti. Dante conosceva il motivo per cui ha sottolineato il fatto di aver avuto proprio a trentacinque anni la sua grande illuminazione cosmica. Nel corso normale della vita, a quell’età l’anima è progredita al punto di potersi servire pienamente delle altre facoltà connesse all’anima senziente, all’anima razionale e all’anima cosciente. Quelli che si sono espressi con precisione sono sempre stati al corrente di questo sviluppo.
Nell’antico mondo orientale le cose erano un po’ diverse. Si aveva ragione a non fare esattamente le stesse distinzioni che andavano fatte in Occidente. I Greci hanno usato altre parole per indicare le stesse cose di cui stiamo parlando. Loro cominciavano con
• il corpo vitale o corpo eterico, che nell’antica Grecia veniva chiamato threptikón (θρεπτικόν);
• per il corpo senziente si usava l’espressione molto azzeccata aisthetikón (α’ισθητικόν),
• l’anima senziente veniva poi chiamata orektikón (o’ ρεκτικόν),
• l’anima razionale kinetikón (κινητικόν);
• l’anima cosciente, il bene più prezioso che l’uomo possa conquistarsi, veniva chiamata dianoetikón (διανοητικόν).
Così ci si presenta lo sviluppo dell’uomo se lo osserviamo con precisione ed esattezza.
Per via di determinate circostanze lo sviluppo del Gesù natanico era stato un po’ accelerato. Questo era stato in parte reso possibile dal fatto che in quelle zone la maturità sessuale veniva raggiunta prima. Ma c’erano anche dei motivi particolari per cui in lui si è verificato già a dodici anni quello che di solito avviene a quattordici, per cui la fase successiva è subentrata a diciotto anziché a ventuno, quella dopo ancora a ventiquattro invece che a ventotto e l’ultima a trenta anziché a trentacinque.
Abbiamo così in un certo senso di fronte lo schema dello sviluppo dell’essere centrale della Terra. (V. tabella p. 141)
Dobbiamo tener presente che davanti a noi fino ai dodici anni c’è il Gesù natanico fisico, nel quale dai dodici anni in poi vive l’Io di Zarathustra. Che cosa significa effettivamente? Nient’altro che dai dodici anni in avanti quell’Io maturo lavora sul corpo senziente, sull’anima senziente e sull’anima razionale del Gesù natanico, elaborando quelle componenti della natura umana nel modo in cui solo un Io maturo come quello di Zarathustra può sviluppare le capacità umane.

Abbiamo così davanti agli occhi il fatto meraviglioso dell’incarnazione dell’Io di Zarathustra nel corpo del Gesù natanico dodicenne, dove plasma le facoltà di quell’anima nel modo più sottile che possiamo immaginare.
• Si sviluppa quindi un corpo senziente in grado di guardare nel cosmo in modo da avere la sensazione di Ahura Mazda che si avvicina;
• si sviluppa un’anima senziente in grado di ospitare la saggezza cresciuta a poco a poco sulla base di quella di Ahura Mazda;
• si sviluppa un’anima razionale capace di capire e formulare in parole facilmente comprensibili tutte le conquiste dell’umanità.
Così il Gesù natanico che conteneva l’Io di Zarathustra si è sviluppato fino all’approssimarsi dei trent’anni. A quel punto è subentrato un fatto nuovo: si è ripetuto, però in maniera più grande, significativa e universale, il fenomeno che si era in un certo modo verificato nel Gesù natanico dodicenne, quando la sua interiorità era stata completamente colmata da una nuova egoità.
Verso i trent’anni vediamo come l’Io di Zarathustra sia giunto al compimento della sua missione all’interno del Gesù natanico. Ha introdotto in quell’anima tutto ciò che aveva acquisito nelle incarnazioni precedenti e vi aveva elaborato nella maniera più sottile le capacità conseguite. A quel punto può dirsi: «La mia missione è compiuta!».
E un giorno l’Io di Zarathustra ha abbandonato il corpo del Gesù natanico. Quell’Io aveva vissuto fino ai dodici anni nel corpo del Gesù salomonico. Il bambino Gesù salomonico non avrebbe potuto continuare a svilupparsi sulla Terra. Quando fu abbandonato dall’Io di Zarathustra si fermò al punto in cui si trovava – e comunque aveva raggiunto una notevole maturità. Se avessimo potuto osservare quel fanciullo dall’esterno, avremmo riscontrato in lui una maturità e uno sviluppo precoci. Egli tuttavia si arrestò dal momento in cui fu abbandonato dall’Io. Quando la madre del Gesù natanico morì, portò con sé quanto di eterno vi era nelle forze formanti del Gesù salomonico, anche lui scomparso nello stesso periodo.
Quello che si era staccato dal corpo del Gesù salomonico era un involucro eterico prezioso, formato dalla forza dell’Io di Zarathustra. Sappiamo che nel bambino il corpo eterico raggiunge il suo particolare sviluppo dopo il settimo anno. È fra i sette anni e la maturità sessuale che il corpo eterico assume la sua conformazione particolare. Al momento della morte il corpo eterico abbandona il corpo fisico e, dopo l’eliminazione di tutto ciò che non è adatto all’eternità, l’uomo normale porta con sé una specie di estratto del corpo eterico.
Nel Gesù salomonico la parte idonea all’eternità era la più grande che si possa immaginare: quasi tutto il suo corpo eterico fu portato nel mondo spirituale dalla madre del Gesù natanico.
Ma il corpo eterico plasma e costruisce il corpo fisico. Possiamo immaginare che in effetti vi fosse una profonda affinità fra il corpo eterico del Gesù salomonico – trasferito nelle altezze spirituali – e l’Io di Zarathustra, che era vissuto in quel corpo fino ai dodici anni, diventando una cosa sola con esso.
Con l’avvicinarsi dei trent’anni e l’uscita dell’Io di Zarathustra dal corpo del Gesù natanico, la forza di attrazione fra l’Io di Zarathustra e il corpo eterico del Gesù salomonico cominciò a farsi sentire, così che tornarono a unirsi creando un nuovo corpo fisico.
L’Io di Zarathustra era talmente maturo da non aver bisogno di passare attraverso il mondo spirituale e, con l’aiuto del corpo eterico di Gesù che abbiamo appena descritto, poté costruire un nuovo corpo fisico. In tal modo nacque per la prima volta l’essere che da allora continuò a riapparire, lasciando trascorrere brevi intervalli di tempo fra la morte e la nuova nascita.
E quell’essere, che continuava a reincarnarsi sulla Terra dopo poco tempo e che aveva ripreso il proprio corpo eterico, attraversò in seguito la storia dell’umanità, aiutando e guidando coloro che volevano comprendere il grande mistero della Palestina. Quell’individualità attraversò la svolta dei tempi in qualità di “Maestro Gesù”.
Dopo aver recuperato il proprio corpo eterico, l’Io di Zarathustra cominciò il suo percorso come grande Maestro Gesù, che da allora continuò a vivere nascosto sulla Terra per dirigere e guidare la corrente spirituale cristiana. È l’ispiratore di chi vuole comprendere il cristianesimo vivente. È lui che nelle scuole esoteriche ha ispirato coloro che dovevano aver cura dell’ulteriore evoluzione del cristianesimo. Dietro alle grandi figure del cristianesimo c’è sempre questo grande ispiratore, ed è lui che continua a insegnare il significato dell’evento universale della Palestina.
Quell’Io di Zarathustra che aveva animato il corpo del Gesù natanico era ormai fuori da quel corpo, nel quale ora penetrava un’altra entità. Il momento in cui nel Gesù natanico entrò un Io superiore viene descritto in tutti i Vangeli come quello del battesimo nel Giordano da parte di Giovanni.
Si è già fatto notare in occasione delle conferenze sul Vangelo di Giovanni che in quei tempi antichi il battesimo era qualcosa di completamente diverso da quello che è diventato in seguito. Il battesimo veniva impartito in un altro modo: i battezzandi venivano immersi nell’acqua con tutto il corpo. Sappiamo che in queste situazioni può accadere qualcosa di particolare: già nella vita ordinaria, quando un uomo sta per annegare può subire uno shock e vedersi davanti tutta la sua vita passata come in un grande affresco. Allora per un attimo si verifica quello che di solito accade solo dopo la morte: il corpo eterico si stacca, si libera dal potere del corpo fisico.
Questo avveniva per la maggior parte dei battezzandi e accadde in particolar modo durante il battesimo del Gesù natanico. Il corpo eterico fu tratto fuori dal corpo fisico e così in quel momento poté entrare nel corpo del Gesù natanico per prenderne possesso quell’entità superiore che chiamiamo entità cristica.
È questo il significato delle parole che risuonano dal cielo e che troviamo nei più antichi manoscritti dei Vangeli: «Questo è il mio Figlio prediletto, oggi l’ho generato». (Lc 3,22) Questa era in realtà la frase contenuta negli antichi manoscritti ed è questa che dovremmo leggere nei Vangeli.
Significa che in quel momento è stato generato il figlio del cielo, il Cristo. Il fecondatore era la divinità unica all’opera nel mondo; il fecondato era il corpo eterico del Gesù natanico, che era stato preparato e reso idoneo ad accogliere l’embrione fecondato disceso dall’alto dei cieli.
Chi è questa entità, l’entità cristica, che si è unita al corpo eterico del Gesù natanico?
Non possiamo comprenderla se volgiamo lo sguardo solo all’evoluzione della Terra. Questa entità cristica è quell’entità che dobbiamo definire la guida delle entità spirituali che, quando il Sole si è separato dalla Terra, hanno abbandonato la Terra insieme al Sole e si sono fondate un luogo superiore per agire sulla Terra da quel Sole, quindi dall’esterno.
Se risaliamo all’epoca terrestre precristiana, dobbiamo dire che allora, quando l’uomo alzava lo sguardo verso il Sole, doveva provare ciò che Zarathustra gli aveva insegnato. Doveva sentire che quello che giunge a noi dall’esterno sotto forma di luce e calore solare è solo la veste fisica esteriore degli effetti benefici che fluiscono a noi dal Sole. Dietro a essi si celano i raggi energetici spirituali che dal Sole filtrano sulla Terra.
Ma la guida di questi esseri solari è l’entità che in seguito fu chiamata Cristo. Nelle epoche precristiane non lo si doveva cercare sulla Terra, ma sul Sole. E Zarathustra aveva ragione quando collocava Ahura Mazda sul Sole. Diceva: «Non è sulla Terra che troviamo questo spirito di luce. Se rivolgiamo lo sguardo al Sole e vi sentiamo vivere lo spirito, allora la luce solare è per noi il corpo di Ahura Mazda».
E nel corso del tempo quell’essere si avvicinò sempre più alla nostra Terra, a livello chiaroveggente si poteva percepire il progressivo avvicinamento del Cristo alla Terra.
Si ebbe un chiaro riconoscimento del Cristo quando Mosè, il grande predecessore del cristianesimo, ne ricevette la rivelazione sul Sinai nel fuoco dei fulmini. Vuol dire che quello che si avvicinava alla Terra come entità cristica apparve dapprima in un’immagine riflessa.
Immaginiamo la spiritualizzazione del fenomeno che percepiamo in ogni notte di plenilunio. Se guardiamo la luna piena, vi vediamo riflessi i raggi del Sole. Quella che si riversa su di noi è luce solare.
Chi vide Mosè nel roveto ardente, nei lampi e nei tuoni sul Sinai? Vide il Cristo, ma in un’immagine riflessa, come si vede la luce solare riflessa nella Luna. E così allora il Cristo veniva chiamato Jahwe o Jehova. Quindi Jahwe non è altro che il riflesso del Cristo prima della sua apparizione sulla Terra.
Egli si annuncia indirettamente all’umanità, come il Sole si annuncia attraverso i raggi lunari nel plenilunio. Jahwe è il Cristo, non visto direttamente, ma come luce riflessa. Ma il Cristo doveva avvicinarsi sempre più alla sensibilità e alla percezione umane. Ciò significa che doveva vagare Egli stesso per un certo periodo sulla Terra, uomo fra gli uomini, e diventare abitante umano del nostro pianeta. Ma per questo doveva arrivare il momento giusto.
La presenza del Cristo è sempre stata riconosciuta laddove ci si permeava della saggezza del mondo. E poiché Egli si è manifestato nei modi più svariati, gli sono stati attribuiti anche i nomi più diversi. Zarathustra l’ha chiamato Ahura Mazda poiché gli si era rivelato nella luce del Sole.
Anche i grandi maestri dell’umanità apparsi in India, i santi Rishi, sapevano di questo essere, ma erano consapevoli che con la sapienza terrena di quell’epoca non era ancora possibile raggiungerlo, che sarebbe divenuto accessibile solo in un’epoca successiva. Per questo lo chiamavano Vishvakarman, cioè l’essere che viveva oltre la zona dei sette Rishi. Quindi anche loro avevano un nome per l’essere chiamato Ahura Mazda da Zarathustra. Sono nomi diversi che designano la medesima entità che si avvicinava lentamente alla nostra Terra dalle altezze spirituali di una sfera cosmica.
Ma doveva giungere il tempo in cui l’evoluzione dell’umanità venisse preparata affinché un corpo umano potesse accogliere quell’entità. Per questo era necessario che un’entità come quella che viveva in Zarathustra maturasse di incarnazione in incarnazione, per poi sviluppare ed elaborare le facoltà del corpo senziente, dell’anima senziente e dell’anima razionale in modo da renderle mature per poter accogliere quell’entità superiore.
Affinché un corpo senziente, un’anima senziente e un’anima razionale potessero essere preparate in quel modo, occorreva che un Io come quello di Zarathustra attraversasse le esperienze e le incarnazioni da lui attraversate.
Prima questo non sarebbe stato possibile, poiché sul bambino Gesù natanico doveva lavorare non solo l’Io di Zarathustra, ma anche l’elevata entità del nirmanakaya del Budda, che intervenne dall’esterno nel periodo compreso fra la nascita e i dodici anni. Ma per poterlo fare doveva prima esistere, il bodhisattva doveva ascendere al grado di Budda per creare il nirmanakaya e plasmare in tal modo il Bambino Gesù natanico fino ai dodici anni.
Andavano fatti tutti questi preparativi. Il bodhisattva doveva prima assurgere al grado di Budda per conseguire la forza necessaria a rendere maturo un corpo per quel grande evento. Prima di incarnarsi come Budda non possedeva ancora quella forza, per questo doveva prima vivere una vita da Budda.
Quando un giorno l’umanità comprenderà davvero le leggende, sarà in grado di cogliere le cose meravigliose in esse contenute. Ci viene narrato che anche l’entità cristica era oggetto di insegnamento – come entità cosmica al di là della sfera dei sacri Rishi. Anche Zarathustra sapeva di non poterla trovare sulla Terra, ma di dover rivolgere lo sguardo al Sole. Quell’entità si avvicinava gradualmente alla Terra. L’antico popolo ebraico è stato in grado di ricevere per primo l’annuncio dell’immagine riflessa di quell’entità cristica.
E perfino in un racconto indiano ci viene accennato come il Budda, mentre a ventinove anni si accingeva a diventare tale, sia entrato in contatto con il Vishvakarman. Si narra che a ventinove anni il Budda abbia messo in atto la famosa fuga dal palazzo paterno, dove fino a quel momento era stato accudito e curato. Allora vide dapprima un malato, poi un vecchio e infine un cadavere, e imparò così a conoscere il dolore dell’esistenza. Poi vide un monaco che aveva abbandonato questa vita in cui regnano la malattia, la vecchiaia e la morte.
Allora decise di non andarsene subito nel mondo, ma di far ritorno al palazzo. Ma alla seconda uscita venne ornato dalle altezze spirituali con quella forza che l’artista divino Vishvakarman stesso faceva fluire su di lui. Il Budda venne “ornato” di una forza proveniente da Vishvakarman, che in seguito divenne il Cristo.
Quindi per lui il Cristo era ancora qualcosa di esterno, non era ancora unito a lui. Non era ancora in grado di accogliere pienamente il Cristo, doveva prima maturare e fu proprio grazie alla sua esistenza come Budda che diventò maturo per questo. E quando riapparve come nirmanakaya ebbe la maturità necessaria per lavorare sul Gesù natanico e rendere quel corpo maturo per accogliere il Vishvakarman, il Cristo. Così le forze dell’evoluzione terrena avevano collaborato per la realizzazione del grande evento della Palestina.
E ora chiediamoci in che rapporto sta il Cristo, il Vishvakarman, con entità come il Budda e il bodhisattva. Accennando a questa domanda giungiamo solo a sfiorare uno dei più grandi misteri dell’evoluzione della nostra Terra e per la sensibilità odierna risulta estremamente difficile anche solo intuire l’enormità celata dietro questi misteri.
Le entità come il bodhisattva la cui missione consisteva nel portare all’umanità la dottrina della compassione e dell’amore, sono dodici e sono connesse con il cosmo a cui appartiene la nostra Terra. Il bodhisattva che divenne Budda è una di queste entità superiori. Ciascuna di queste entità ha una determinata missione da compiere nella rispettiva epoca terrestre.
Il Budda è particolarmente vicino all’umanità perché la sua missione consiste nello sviluppo del senso morale nell’anima dell’uomo. La nostra epoca – che va dalla comparsa del Budda fino al momento in cui a questo bodhisattva subentrerà quello successivo, che dovrà vivere sulla Terra come Budda-Maitreya – ha il compito di realizzare in noi la missione del Budda.
Questo è il modo in cui procede l’evoluzione: i bodhisattva scendono sulla Terra e attraversano l’evoluzione terrestre, nella quale devono incorporare l’oggetto della loro missione. Se abbracciassimo con lo sguardo tutta l’evoluzione terrestre, troveremmo dodici bodhisattva, che di tanto in tanto discendono sulla Terra. Appartengono a quella possente comunità di spiriti che di tanto in tanto invia sulla Terra un bodhisattva in qualità di grande maestro per la nostra evoluzione.
Dobbiamo riconoscere una loggia sacra di dodici bodhisattva che governa tutta l’evoluzione della nostra Terra. A questi dodici bodhisattva corrisponde all’incirca il concetto che esprimiamo al suo livello inferiore con il termine maestro. Essi sono maestri, i grandi maestri che ispirano l’umanità.
Ma questi bodhisattva da dove ricevono ciò che di epoca in epoca devono annunciare all’umanità? Se guardiamo nella grande loggia spirituale dei bodhisattva, in mezzo ai dodici ne troviamo un tredicesimo che non possiamo definire maestro nello stesso senso degli altri dodici, ma di cui dobbiamo dire che è un essere dal quale sostanzialmente emana la saggezza.
A ragione si dice quindi che i dodici bodhisattva siedono intorno al loro centro e sono immersi nella contemplazione dell’entità suprema che irradia su di loro ciò che per via della loro missione devono portare sulla Terra. Così dal tredicesimo fluisce la realtà di quel che gli altri devono insegnare.
I dodici sono i maestri, gli ispiratori; il tredicesimo è l’oggetto del loro insegnamento. È lui che annunciano di epoca in epoca.
Questo tredicesimo è l’essere chiamato Vishvakarman dagli antichi Rishi e Ahura Mazda da Zarathustra, è il Cristo. Il suo rapporto con i bodhisattva è questo: lui è il capo e la guida della grande loggia ed è il contenuto stesso dell’annuncio fatto dall’intero coro dei bodhisattva. Il loro insegnamento è quindi l’insegnamento che riguarda il Cristo.
Colui che cinque o sei secoli prima della nostra era è diventato Budda era stato “ornato” delle forze del Vishvakarman. Il Gesù natanico che ha accolto in sé il Cristo non è solo stato ornato, ma anche “unto”, come dice l’espressione. Significa che è stato pervaso, compenetrato dal Vishvakarman, dal Cristo.
Ovunque gli uomini hanno avuto un’intuizione di questo fatto, hanno raffigurato nei loro misteri un’immagine di questo segreto.
Vediamo come per esempio nei misteri primigeni del Nord germanico – i cosiddetti misteri dei Druidi, poco noti e imperscrutabili – sia stata creata un’immagine terrena della realtà spirituale dei bodhisattva. La loggia spirituale dei misteri dei Druidi era composta da dodici maestri e da un tredicesimo che non insegnava, ma la cui semplice presenza emanava la saggezza che veniva accolta dagli altri dodici.
E ce ne ricordiamo nella poesia I segreti, nella quale Goethe dall’alto della sua ispirazione descrive dodici personaggi seduti intorno a un tredicesimo, che non ha bisogno di essere il maestro. Come tredicesimo infatti il fratello Markus viene rapito in estasi e contemplato dagli altri in tutta semplicità: non dev’essere il portatore di una dottrina, ma della sostanza spirituale stessa. E le cose stavano così ovunque si intuissero questi fatti sublimi.
Con il battesimo di Giovanni per l’umanità era dunque giunto il momento in cui apparve sulla Terra quel tredicesimo celeste, la sostanza spirituale che tutti i bodhisattva e anche il Budda devono insegnare. E sono stati necessari quei grandiosi preparativi affinché la sostanza spirituale potesse calarsi in un corpo umano.
Questo è il poderoso mistero del battesimo nel Giordano, questo è l’essere che ci viene descritto nei Vangeli: il Vishvakarman, Ahura Mazda, Jahwe, il Cristo nel corpo del Gesù natanico.
Quell’entità doveva camminare per tre anni sulla Terra sotto sembianze umane, uomo fra gli uomini – in quell’entità terrena messa a dura prova che fin verso i trent’anni aveva vissuto e sofferto tutto quello che l’aveva preparata ad accogliere in sé la saggezza stessa.
La saggezza che prima si nascondeva nel caldo e luminoso raggio solare e che si era allontanata con il Sole quando questo si era separato dalla Terra, irradiò e pervase il Gesù natanico.
Come mai quell’entità si è unita così tardi all’evoluzione umana? Perché non è scesa prima sulla Terra, perché non ha compenetrato prima un corpo umano eterico come ha fatto durante il battesimo impartito a Gesù da Giovanni?
Lo potremo capire comprendendo un po’ più esattamente in cosa consiste l’evento che ci viene presentato come il peccato originale.
Consiste nel fatto che certe entità rimaste allo stadio lunare entrarono nel corpo umano astrale. Nell’antica epoca lemurica questo corpo era stato compenetrato dalle cosiddette entità “luciferiche”. È questo fatto che ci viene descritto simbolicamente con il peccato originale in paradiso.
In tal modo l’uomo venne irretito più a fondo nelle questioni terrene, nella materialità, di quanto non lo sarebbe stato se le cose fossero andate diversamente. Divenne più terreno di quanto non sarebbe stato in caso contrario. Senza l’influsso luciferico avrebbe compiuto il suo percorso di evoluzione terrena ad altezze maggiori, e meno irretito nella materia terrena, mentre così è sceso più in basso.
Se non fosse subentrato qualcos’altro, se fosse successo solo quanto abbiamo appena descritto, l’influsso delle forze luciferiche si sarebbe esteso anche a tutto il corpo eterico. Ma questo non doveva accadere, le entità che governano il mondo hanno dovuto impedirlo.
Per questo si dovette verificare qualcosa di assolutamente particolare: l’uomo non poteva rimanere così com’era dopo aver accolto nel proprio corpo astrale le forze luciferiche. Doveva essere preservato dal pieno effetto di tali forze. In che modo?
Rendendolo incapace di utilizzare pienamente il suo corpo eterico. Una parte del corpo eterico venne sottratta all’arbitrio dell’uomo, che se non avesse subito questo cambiamento e avesse mantenuto il pieno controllo del proprio corpo eterico non avrebbe più potuto trovare la via adeguata attraverso l’evoluzione terrena. La natura umana ha dovuto venir privata di certe parti del corpo eterico che andavano conservate per epoche successive.
Ora cerchiamo di osservare con l’occhio spirituale la parte di corpo eterico che è stata tenuta in serbo. Lo possiamo capire solo rendendoci conto di quali elementi compongono la struttura umana.
Prima di tutto l’uomo è costituito dagli elementi che vediamo anche all’esterno:
• dalla terra o da tutto ciò che è solido,
• dall’acqua o da tutto ciò che è liquido e
• dall’aria o da tutto ciò che è gassoso.
Sono i tre elementi che lo formano fisicamente. Un elemento eterico allo stato fisico è quello a cui diamo il nome di stato del fuoco eterico o semplicemente del fuoco. Fuoco o calore è lo stato che i fisici odierni considerano solo come movimento.
• Fuoco o calore è il primo stato fisico dell’etere.
• Il secondo stato eterico è l’etere della luce o semplicemente luce.
• Il terzo stato dell’etere è quello che all’uomo non appare affatto nella sua forma originaria. A livello esteriore l’uomo può percepire solo una proiezione di questo etere come risonanza, come suono. Alla sua base c’è qualcosa di spirituale, ragion per cui lo dobbiamo concepire come etere del suono o dei numeri e usare questa definizione per la terza forma eterica.
• Il quarto tipo di etere è il vero e proprio etere vitale. (V. tabella p. 154)
Per come è costituito oggi l’uomo fisico, tutto ciò che riguarda la sua anima si esprime nel suo corpo fisico e nel suo corpo eterico. In tutta l’anima sono per così dire ripartite determinate sostanze eteriche.
Quella a cui diamo il nome di volontà si esprime etericamente in quello che chiamiamo fuoco. Chi sia anche solo un po’ ricettivo verso certe connessioni sensibili sentirà che si ha un certo diritto a vedere la volontà nell’elemento del fuoco.

A livello fisico questo si esprime nel sangue, o meglio nel movimento del sangue. Quello che chiamiamo sentimento si esprime in quella parte di corpo eterico a cui diamo il nome di etere della luce. Perciò anche il chiaroveggente vede gli impulsi volitivi come fiamme che balenano nel corpo eterico, mentre vede i sentimenti come forme luminose.
Ma quello che l’uomo sperimenta nell’anima come pensiero, quello che esprimiamo nelle parole – che sono solo ombre del pensiero –, ha il proprio organo eterico nell’etere del suono. I pensieri sono alla base delle nostre parole e riempiono lo spazio eterico inviando le loro vibrazioni attraverso l’etere del suono. Ma ciò che dà significato a tutte le nostre parole, l’intima essenza dei nostri pensieri, è il senso, che si esprime nell’etere vitale.
Di queste quattro forme eteriche sono state lasciate a disposizione dell’uomo dell’epoca lemurica solo le due inferiori, l’etere del calore e quello della luce, mentre le due superiori sono state sottratte all’arbitrio umano.
Questo è l’intimo senso di quanto ci viene detto: dopo che gli uomini ebbero gustato dell’albero della conoscenza, dopo che ebbero imparato a distinguere fra bene e male, furono privati della possibilità di gustare del frutto dell’albero della vita. Venne dunque sottratto loro ciò di cui altrimenti sarebbero pervasi arbitrariamente, l’etere del pensiero e l’etere del significato.
Il genere umano ha quindi dovuto svilupparsi in modo che la natura umana assumesse il seguente carattere: nell’arbitrio di ogni singolo individuo venne posto quello che costituisce l’impulso volitivo, gli uomini possono far valere la propria volontà. Possono anche far valere i loro sentimenti personali – sentimento e volontà sono affidati alla personalità umana. Da qui deriva il carattere personale e individuale del mondo del sentimento e del mondo della volontà, che svanisce non appena ascendiamo ai pensieri, non appena ascendiamo all’espressione dei pensieri sul piano fisico, vale a dire alle parole.
Mentre ogni uomo ha i propri sentimenti e i propri impulsi volitivi individuali, quando ci spingiamo nel mondo dei pensieri e delle parole giungiamo per così dire in una sfera universale.
Se i nostri pensieri fossero così svariati come i nostri sentimenti e i nostri impulsi volitivi, gli uomini non sarebbero in grado di capirsi fra loro. L’uomo è stato provvisoriamente privato dell’etere del pensiero e del senso, affinché essi vengano riportati sulla Terra in un secondo tempo. Per questo ovunque andiamo troveremo uomini con impulsi volitivi e sentimenti individuali e dappertutto troveremo il medesimo pensiero e la stessa lingua.
Laddove domina la stessa lingua regna la medesima divinità di popolo, là agiscono esseri divini. Questa sfera è sottratta all’arbitrio umano.
Quando Zarathustra indicava ai suoi discepoli il regno dello spirito, cosa poteva dire? Dallo spirito discende il calore, il fuoco, la luce. Questa è la veste di Ahura Mazda. Ma dietro la veste si cela ciò che ancora non è disceso, ciò che ha solo proiettato un’ombra nelle parole fisiche degli uomini. Dietro al calore e alla luce del Sole si trova ciò che si annuncia nel suono e nel significato, che si rapporta alla parola terrena come la parola celeste.
Che cosa diceva dunque Zarathustra? «Sollevate lo sguardo ad Ahura Mazda! Vedrete come si manifesta sul piano fisico nella veste sensibile della luce dietro alla quale tuttavia è all’opera la parola creatrice divina che si avvicina alla Terra».
Che cos’è Vishvakarman, Ahura Mazda, Cristo? La parola creatrice divina. Per questo nella dottrina di Zarathustra ci viene mirabilmente comunicato che nella luce egli udiva ancora la parola creatrice divina – il verbo che doveva discendere sulla Terra e penetrare nel corpo del Gesù natanico in occasione del battesimo impartitogli da Giovanni, in quel corpo eterico che era stato tenuto in serbo nella grande loggia madre dell’umanità.
E a battesimo compiuto, dopo che il corpo eterico fu rientrato nel corpo fisico, che cos’era accaduto? Il verbo si era fatto carne. (cfr. Gv 1,14)
Cos’hanno annunciato quelli che allora annunciavano la parola come aveva fatto prima Zarathustra? Il Verbo, la parola! E come hanno annunciato la parola che si cela dietro il calore e la luce? Definendosi “servitori della parola”. E l’autore del Vangelo di Luca mette per iscritto ciò che i veggenti consapevoli hanno annunciato, diventando per questo servitori della parola. Vediamo quindi ancora una volta come i documenti religiosi siano da prendere alla lettera.
Ciò di cui l’umanità era stata privata così a lungo si era incarnato in una singola personalità e viveva ora sulla Terra. Quella personalità è dunque il grande modello di coloro che impareranno gradualmente a comprenderne la natura. La nostra saggezza qui sulla Terra deve prendere per esempio quelli che hanno avuto il compito di annunciare di epoca in epoca il tredicesimo fra loro.
Noi dobbiamo raccogliere il risultato della nostra scienza dello spirito per penetrare attraverso le sue conoscenze nella natura del Vishvakarman, di Ahura Mazda, del Cristo.
Ottava conferenza
Il Cristo Gesù come guaritore
di corpo e anima di ogni uomo
Basilea, 24 settembre 1909
Miei cari amici!
Abbiamo cercato di farci delle idee su quello che sta effettivamente alla base dei primi capitoli del Vangelo di Luca. Solo conoscendo i processi svoltisi nell’evoluzione dell’umanità e di cui ci siamo a lungo occupati è possibile decifrare grossomodo ciò che l’autore del Vangelo di Luca ci racconta come una specie di antefatto al grande evento.
Si viene così messi in condizione di sapere un po’ chi era colui che a trent’anni ha assunto in sé quel principio cosmico, il principio cristico.
Ma ora per comprendere tutto quello che l’autore del Vangelo di Luca ci narra a proposito dell’attività e della personalità del Cristo Gesù, vale a dire di quell’individualità che ha operato per tre anni nel mondo e che rappresenta il Cristo in un corpo umano, è necessario tratteggiare brevemente l’evoluzione dell’umanità, tenendo conto delle qualità di cui al giorno d’oggi è difficile farsi un’idea.
Sotto molti aspetti la nostra epoca è estremamente miope e crede che le leggi formatesi oggi o nel corso di questi due o tre secoli e che stanno alla base di un’evoluzione molto limitata siano sempre esistite, e che ciò che non è valido oggi non lo sia mai stato. Per questo all’uomo moderno risulta così difficile comprendere narrazioni riferite a un’epoca passata come quella in cui il Cristo Gesù è vissuto sulla Terra.
L’autore del Vangelo di Luca ci racconta le azioni compiute dal Cristo Gesù sulla Terra. Ce le narra in modo che riusciamo a farci un’idea sempre più reale dell’evoluzione umana a quei tempi. Dobbiamo richiamare un po’ all’attenzione quanto è stato già detto molte volte:
• che la nostra umanità attuale ha preso le mosse dalla grande catastrofe atlantidea,
• che le nostre anime sono vissute in altri corpi nell’antica Atlantide, il continente che si trovava fra l’Europa, l’Africa e l’America,
• che poi la grande catastrofe (il diluvio universale) ha cambiato completamente l’aspetto della Terra,
• che grandi masse di uomini sono emigrate da Occidente a Oriente e hanno popolato l’Europa, l’Asia e l’Africa nel modo che già spesso abbiamo descritto.
Poi nell’epoca postatlantidea sorsero e si susseguirono i vari periodi culturali a cui abbiamo dato i nomi di civiltà paleoindiana, civiltà paleopersiana, civiltà caldeo-egizioassiro-babilonese, civiltà greco-latina e infine quella in cui viviamo attualmente.
Ci si fa un’idea del tutto sbagliata dell’uomo se si pensa che nel corso di quei lunghi periodi dell’evoluzione postatlantidea sia sempre stato così com’è oggi. In realtà si è trasformato in continuazione, anche se i documenti storici ci forniscono informazioni solo su alcuni millenni. Soltanto la cronaca dell’akasha, il documento accessibile alla ricerca chiaroveggente, ci fornisce notizie sull’intera evoluzione dell’umanità.
In essa scopriamo che nell’epoca immediatamente successiva alla grande catastrofe, quando si è sviluppata l’antica civiltà indiana, gli uomini vivevano ancora di più nel loro corpo eterico e non così intensamente in quello fisico. La maggior parte dell’antica popolazione indiana era ancora chiaroveggente, dotata di una chiaroveggenza indistinta, crepuscolare. La sua coscienza era sognante, ma in grado di guardare nel mondo spirituale, nel fondo dell’esistenza.
Ora noi siamo abituati – dato che mettiamo soprattutto in evidenza quello che è importante per il nostro tempo poiché può far progredire l’uomo verso il futuro – a sottolineare ciò che ha a che fare con la conoscenza, con le forme conoscitive, e ciò che a esse è connesso. Ribadiamo sempre il modo in cui gli antichi Indiani pensavano e guardavano il mondo.
Ma se vogliamo capire il Vangelo di Luca, dobbiamo sottolineare un’altra caratteristica dei nostri antenati. Ai tempi in cui il corpo eterico sporgeva ancora ampiamente dal corpo fisico, tutte le qualità e le forze animiche dell’uomo esercitavano ancora un potere maggiore sul corpo fisico. Man mano che si è ritirato nel corpo fisico, il corpo eterico dell’uomo ha perso potere, diventando sempre più debole.
Negli antichi Atlantidei la testa del corpo eterico sporgeva parecchio oltre la testa fisica, e lo stesso avveniva in certa misura anche nell’antica popolazione indiana. Questo consentiva loro di sviluppare una coscienza diversa, ma anche di esercitare un grande potere sui processi del corpo fisico.
Se vogliamo confrontare due cose molto distanti fra loro, possiamo fare il paragone fra il corpo di un antico indiano e quello di un uomo del nostro tempo. Al giorno d’oggi il corpo eterico si è unito intimamente al corpo fisico, entrando profondamente in esso. Oggi tuttavia rasentiamo il limite in cui il corpo eterico uscirà di nuovo e tornerà a essere libero.
In futuro il corpo eterico uscirà sempre più dal corpo fisico. L’umanità ha già raggiunto il punto di massima intimità fra corpo eterico e corpo fisico e oggi lo sta già superando. Se paragoniamo il corpo di un antico indiano con il corpo di un uomo d’oggi possiamo dire che nel primo il corpo eterico è ancora relativamente libero, come pure il corpo astrale. L’anima può sviluppare delle forze che agiscono nel corpo fisico e il corpo eterico, che non è ancora così legato a quello fisico, accoglie le forze dell’anima e con esse domina il corpo fisico.
Che cosa ne consegue? Che gli effetti prodotti dalle anime nei tempi antichi agivano enormemente sul corpo fisico. Quando nell’antica epoca indiana un uomo che ne odiava un altro gli diceva una parola, quella parola lo trafiggeva, colpendolo fin nella struttura fisica. Agiva dapprima sulla sua anima, e il corpo eterico poteva trasmettere l’effetto al corpo fisico.
Il corpo eterico è stato privato di questa forza poiché è penetrato profondamente nel corpo fisico. Quando a quei tempi si pronunciava una parola d’amore, quella parola riscaldava il corpo eterico, gli faceva bene e lo apriva. Per questo era estremamente importante l’intenzione con cui venivano pronunciate le parole. Esse infatti agivano su tutta la costituzione dell’uomo, fin nei processi del corpo fisico. Quest’azione però è andata via via scemando.
Oggi la situazione è diversa: oggi le parole agiscono dapprima solo sull’anima; sono diventati molto rari gli uomini che quando sentono una parola colma d’odio o sgarbata hanno l’impressione che in loro qualcosa si contragga, e che quando invece sentono una parola gentile e affettuosa hanno la sensazione che in loro qualcosa si espanda colmandoli di felicità.
Quegli effetti particolari che sentiamo nel cuore come risultati di una parola d’amore o di odio hanno avuto un’enorme intensità all’inizio dell’evoluzione umana postatlantidea. Nell’antichità era quindi possibile un approccio completamente diverso da quello odierno nei confronti di quegli influssi esercitati sull’anima.
Quello che conta non è solo il modo in cui viene pronunciata la parola. Essa infatti quando colpisce l’attuale costituzione umana viene più o meno fatta rimbalzare indietro, senza penetrarvi. Dipende anche dal modo in cui la parola viene accolta. Oggi non è possibile agire sull’anima dell’uomo in modo che l’effetto raggiunga anche il suo organismo fisico.
Ma in un certo senso ciò diventerà di nuovo possibile, poiché ci stiamo avvicinando a un futuro in cui lo spirito riprenderà a esercitare i suoi effetti sul corpo fisico.
Abbiamo già accennato a come sarà in futuro. Oggigiorno in quest’ambito abbiamo scarse possibilità di far sì che l’amore, la benevolenza e la saggezza presenti nella nostra anima si riversino direttamente nell’anima dell’altro fino ad agire sul suo corpo fisico. Eppure dobbiamo dirci che proprio oggi siamo in grado di produrre a poco a poco un simile effetto, che ha inizio oggi sul terreno della concezione scientifico-spirituale.
Oggi accade rarissimamente che una parola esteriore produca effetti fisici, ma è possibile che degli uomini si riuniscano per accogliere nella loro anima una certa quantità di verità spirituali, che si riuniscano nella scienza dello spirito. E queste verità diventeranno a poco a poco sempre più forti nell’anima e saranno in grado di intervenire anche nell’organismo fisico e plasmarlo.
Così in futuro l’elemento animico-spirituale riacquisterà un potere maggiore sull’elemento fisico e lo modellerà a propria immagine.
Ai tempi dell’antica civiltà indiana per esempio, la “guarigione” era un po’ diversa da quella di epoche successive, poiché allora si ottenevano effetti immediati. Così, grazie al corpo eterico sporgente, si poteva essere pervasi dai giusti impulsi volitivi e agire sull’altro uomo con la “parola giusta”, di modo che l’anima trasmettesse l’effetto al corpo eterico e questo a sua volta al corpo fisico.
Se si conosceva questo effetto si poteva somministrare quello giusto all’organismo malato. Se la immaginiamo elevata alla massima potenza, con un medico in grado di dominare gli effetti soprattutto a livello animico, allora dobbiamo vedere la guarigione come un processo completamente diverso da oggi. Ma stiamo andando verso il futuro e così facendo ci riavviciniamo a quel modo di procedere.
La concezione spirituale tratta dalle altezze spirituali, come una somma di verità che esprimono contenuti spirituali del mondo altrettanto grandi, fluirà nelle anime umane e in futuro sarà uno strumento di guarigione che scaturisce dall’essenza più intima dell’uomo, dall’anima. In futuro la scienza dello spirito diventerà il grande rimedio curativo dell’umanità e come tale dovrà essere compresa dall’uomo.
L’umanità era su una via discendente nella sua evoluzione, una via lungo la quale gli effetti dello spirito sono andati sempre più diminuendo. Dobbiamo renderci conto che ci troviamo allo stadio più basso dell’evoluzione spirituale. Solo gradatamente potremo risalire alle altezze di un tempo.
L’efficacia presente nell’antica India andò a poco a poco perduta. Ancora nell’antica civiltà egizia si trovava un’organizzazione analoga, ma quanto più indietro risalissimo in quella civiltà, tanto più vedremmo che un’anima agiva sull’altra direttamente.
Nell’antica Persia era invece molto meno presente, dato che quella civiltà aveva un’altra missione: era chiamata a dare il primo impulso per la conquista nel mondo fisico. Rispetto alle qualità che ho appena descritto, l’antica civiltà egizia è molto più vicina a quella paleoindiana di quanto non lo sia la paleopersiana. Dato che l’anima si rinchiudeva sempre più in se stessa perdendo via via il potere sull’organismo fisico esteriore, impegnata a formare dentro di sé l’autocoscienza, nella corrente culturale persiana doveva confluirne un’altra basata soprattutto sull’approfondimento interiore.
Le due correnti trovarono una sorta di compensazione nella civiltà greco-latina, la quarta corrente culturale nella quale l’umanità è discesa a tal punto nell’elemento fisico da poter produrre una specie di equilibrio fra il fisico e l’animico-spirituale. Significa che lo spirito e l’anima esercitano sul fisico all’incirca lo stesso potere che il fisico esercita su di loro. Si tratta di una specie di stato di equilibrio fra anima e materia.
A quei tempi l’umanità è scesa fino a quello stato di equilibrio, ma ora deve sottostare di nuovo a una specie di prova cosmica per poter risalire alle altezze spirituali. Per questo dall’epoca greco-latina in poi gli uomini da un lato si sono immersi ancor più profondamente nella materia fisica, in tutto ciò che ha a che fare con la fisicità. Nella nostra quinta epoca l’uomo è stato trascinato ancora più a fondo nella materia, al di sotto dello stato di equilibrio, e potrà ascendere di nuovo al mondo spirituale solo rafforzandosi interiormente.
Nella civiltà greco-latina vediamo quindi uno stato di relativo equilibrio. E ora, nella nostra epoca, il fisico ha addirittura preso il sopravvento, mentre l’elemento animico-spirituale è in un certo senso diventato impotente. Può accogliere più o meno solo le teorie e da secoli ha dovuto limitarsi a rafforzarsi solo interiormente.
Ma l’elemento animico deve a poco a poco diventare sempre più forte, fino a quando sarà in grado di esercitare il dominio su quello fisico. Questo avverrà nel sesto periodo culturale, quando l’elemento animico avrà raggiunto un certo grado di forza, quando la saggezza e la verità viventi che ora vengono annunciate verranno accolte sempre più. Allora si sarà rafforzato al punto da conquistare il predominio sull’elemento fisico, ma dall’altra parte.
Come possiamo quindi spiegare la missione della scienza dello spirito?
Possiamo dire che ai giorni nostri la scienza dello spirito diventerà sempre più viva nella nostra interiorità, così da poter riscaldare sempre più l’anima, rendendola talmente forte da permetterle di acquisire il dominio sul fisico. Ma sono necessari determinati passaggi che da principio si presenteranno come una ricaduta, come un danno. Si tratta tuttavia di forme di transizione che in futuro daranno origine a una condizione di grande importanza per l’umanità intera: il dominio dell’elemento animico-spirituale su quello fisico-materiale.
Così oggi chiunque sia in grado di ascoltare e accogliere nella propria anima i consigli e le verità scientificospirituali non solo per interesse, ma per sincero entusiasmo per queste verità, chiunque trovi in esse viva soddisfazione, sarà un precursore degli uomini del sesto periodo culturale, la cui anima avrà riacquistato il predominio sul corpo.
Nel tempo a nostra disposizione dobbiamo presentare le grandi verità su questi imponenti processi che abbiamo passato in rassegna nei giorni scorsi – le verità, gli immensi processi relativi alla confluenza dell’elemento del Budda in quello di Zarathustra, le verità su tutto quello che è accaduto in Palestina all’inizio della nostra era.
Abbiamo descritto come la saggezza cosmica abbia creato le due figure infantili del Gesù natanico e del Gesù salomonico per far confluire tramite imponenti processi le grandi correnti che prima erano scese separatamente sulla Terra. Di tutto questo abbiamo potuto fornire una visione compiuta.
Ma lo si può osservare da due punti di vista. Qualcuno può dire: «Certo, tutto questo è alquanto bizzarro per la coscienza odierna, ma se verifico tutti gli effetti esteriori risulta completamente plausibile. E i Vangeli sono comprensibili per me solo se prendo come presupposto quanto ho ascoltato». Un altro può provare interesse per quello che abbiamo raccontato e il suo bisogno di conoscenza può essere soddisfatto, così da fargli dire: «Ora riesco a spiegarmi molte cose».
Un terzo invece potrebbe dire: «Oh, per me c’è ancora qualcos’altro. Se osservo tutti questi processi, se prendo in esame tutto ciò che mi è stato detto su quello che per esempio sta alla base di quel meraviglioso annuncio all’umanità rappresentato nell’immagine dell’annunciazione ai pastori e se prendo in considerazione l’altra corrente, quella di Zarathustra, e vedo come le grandi correnti storiche confluiscono l’una nell’altra, se lascio agire tutto ciò sulla mia anima provo una grandiosa impressione – l’impressione che tutto quanto avviene nel divenire del mondo è indescrivibilmente bello!».
Si può avere anche questa impressione. Così è la verità: è indescrivibilmente splendida, è qualcosa che ci riscalda il cuore, che ci infiamma e ci fa ardere per i grandiosi eventi dell’universo. E questo è il meglio che possiamo ricavare dalle grandi verità! Esse possono scaldarci l’anima e allora potremo dire che quanto opera nel mondo è nel contempo qualcosa di straordinariamente bello.
Se lo lasciamo agire in questo modo su di noi, se lo sentiamo nella sua magnificenza, allora comincia a metter radici in noi e va oltre la pura comprensione teorica.
Come diceva il Cristo Gesù nel Vangelo di Luca? (cfr. 8,5-8)
«Un seme fu sparso dal seminatore (e cadde sulla dura strada); gli uccelli lo mangiarono. Un altro fu gettato e cadde su un arido terreno roccioso. Un altro ancora venne sparso e cadde su un terreno pieno di spine che lo soffocarono. Ma un seme cadde su un terreno fertile e poté svilupparsi liberamente, crebbe e fruttò il centuplo. Chi ha orecchi per intendere intenda».
Lo stesso vale anche per la concezione scientifico-spirituale, alla quale si può applicare la spiegazione della parabola del seminatore che il Cristo Gesù fornisce ai suoi discepoli. Il seme del cielo, disse, è il regno dello spirito che deve penetrare nell’anima umana.
Ci sono uomini che hanno dentro di sé solo forze animiche tali da respingere le verità spirituali. Il regno delle entità divino-spirituali viene divorato dagli ostacoli che sono nell’anima. Questo valeva per molti rispetto alle parole del Cristo Gesù e vale ancor oggi per molti riguardo a ciò che la scienza dello spirito deve portare nel mondo: il suo messaggio viene respinto, gli uccelli lo divorano e non lo lasciano penetrare nel terreno.
La parola può essere detta all’anima, ma questa non è abbastanza profonda, è solo preparata a capire che si tratta di qualcosa di plausibile, ma non è in grado di fonderla col proprio essere, proprio come il seme che cade sulla roccia, non riesce a germogliare e fiorire.
Un terzo seme cade su un terreno coltivabile, ma un roveto gli impedisce di germogliare. Il Cristo lo spiega così: esistono uomini talmente assorbiti dalle preoccupazioni e dagli interessi della vita quotidiana da essere sì in grado di capire la parola, ma nei quali quelle occupazioni agiscono come un roveto, impedendo al seme di svilupparsi. Al giorno d’oggi ci sono molti uomini di questo tipo.
E se ce ne sono pochi in grado di sviluppare le verità spirituali come il quarto seme che cresce liberamente, questi sono coloro che hanno cominciato a sentire la verità spirituale come qualcosa di vivo, ad accogliere la forza vitale della scienza dello spirito nella loro anima e a farla vivere pienamente in essa. E nello stesso tempo sono i precursori dell’efficacia delle verità spirituali in futuro.
Ma oggi nessuno che non abbia la giusta fiducia e la giusta convinzione dell’efficacia della saggezza spirituale, cioè una fiducia e una convinzione che derivano dalla forza interiore della propria anima, può esserne convinto dall’esterno. È forse una prova contro la saggezza spirituale il fatto che essa non sia ancora in grado di agire sul piano fisico? Al contrario, il suo toccare in senso negativo la fisicità è una prova della sua salute! Per quanto sconcertante, quest’affermazione va pur fatta.
Per esempio, il fatto che per un individuo cagionevole di salute, un figlio della città indebolito fin dalla prima infanzia, si ammali addirittura di più quando respira l’aria corroborante della montagna, non è una prova contro la salubrità di quell’aria. Analogamente, non è una prova contro l’efficacia delle saggezze spirituali il fatto che quando penetrano nell’organismo umano possano provocare veri e propri danni. Incontrano ciò che da secoli è stato messo a morte.
Nel mondo esteriore non possiamo ancora trovare prove. Dobbiamo addentrarci nelle saggezze spirituali e da esse ricavare la convinzione. Dobbiamo avere la possibilità di formare dentro di noi la convinzione, così da poterci dire: anche se oggi qua e là la scienza dello spirito subisce degli attacchi, nonostante qua o là gli uomini subiscano un influsso sfavorevole, le verità scientifico-spirituali sono comunque sane.
Tuttavia è necessario che oggi non venga ancora rivelato tutto, è buona precauzione non svelare troppo delle verità spirituali. Dopotutto non si espongono all’improvviso i bambini di città alla fortificante aria di montagna. Per esempio, se la saggezza dei Vangeli venisse rivelata completamente, ciò che sta alla loro base provocherebbe un tracollo dell’attuale organismo umano. La saggezza può essere rivelata all’umanità solo gradualmente.
Ma questa rivelazione deve aver luogo, e verrà fatta. Occorre svelare ciò che sta dietro a tutti i fenomeni che riassumiamo nei concetti del movimento scientifico-spirituale. Lentamente l’umanità deve riappropriarsi di quello che ha dovuto perdere: il dominio dell’elemento animico-spirituale su quello materiale e fisico. Come è andato perduto lentamente nell’evoluzione dell’umanità, così potrà essere riconquistato solo lentamente.
Nell’epoca greco-latina c’erano ancora uomini che avevano ereditato l’emergere del corpo eterico ed erano ancora aperti agli effetti animico-spirituali. Per questo il Cristo Gesù ha dovuto apparire proprio in quel periodo.
Se comparisse nella nostra epoca non potrebbe agire come allora, poiché dovrebbe fare i conti con organismi umani che si sono immersi più a fondo nella materialità fisica. Oggi dovrebbe entrare in un organismo fisico in cui quella potente azione non potrebbe più esplicarsi come allora.
Questo però non vale solo per il Cristo Gesù, ma per tutti gli altri fenomeni analoghi. E possiamo capire l’evoluzione umana soltanto osservandola da questo punto di vista. Lo stesso vale anche per il Budda, del quale abbiamo appreso il significato: è stato il primo a presentare la sublime dottrina dell’amore e della compassione descritta nella legge dell’ottuplice via.
Se il Budda comparisse oggi potrebbe presentare il suo insegnamento nello stesso modo? No, poiché oggi non potrebbe esserci un organismo fisico tale da permettere al bodhisattva l’evoluzione da lui vissuta a quel tempo. L’organismo umano si modifica infatti costantemente. Il momento andava rispettato precisamente ed era necessario servirsi di quell’organismo affinché il bodhisattva potesse presentare una volta per tutte il potente insegnamento dell’ottuplice sentiero.
Ora l’umanità ha il compito di appropriarsi a poco a poco di questa ottuplice via. Tutti gli insegnamenti filosofici e morali che da allora ha prodotto grazie alla sua forza animica non sono che un debole inizio per raggiungere quanto il Budda ha presentato una volta al mondo. Per quanto oggigiorno la gente si entusiasmi per il kantismo e altre cose, tutto ciò non è che un’inezia, qualcosa di estremamente elementare rispetto ai vasti principi dell’ottuplice sentiero.
Solo lentamente l’umanità potrà risalire fino a comprendere ciò che sta dietro alla dottrina dell’ottuplice via. Questa ha dovuto dapprima essere creata. Da lì l’umanità parte e dopo molto tempo raggiunge ciò che una volta le è stato presentato in maniera esemplare.
Così il Budda è esistito nel mondo e ha portato l’insegnamento della compassione e dell’amore come emblema per le generazioni future. E nel sesto periodo dell’evoluzione terrestre – oh, manca ancora molto tempo prima di arrivarci! –parecchi uomini saranno giunti autonomamente a dirsi: «Quello che un tempo il Budda ha presentato in maniera esemplare ora lo possiamo ricavare da soli dalla nostra anima. Siamo diventati simili al Budda».
L’umanità in generale progredisce lentamente verso l’alto e raggiunge molto più tardi dei suoi precursori la meta che deve conseguire. Dobbiamo guardare così a fondo nell’evoluzione dell’umanità se la vogliamo comprendere.
Ma poi, quando un numero maggiore di uomini avrà fatto suo l’ottuplice sentiero non solo come qualcosa da imparare, allora l’umanità stessa sarà decisamente più avanti anche rispetto ad altre cose. Nella rivista Luzifer Gnosis viene presentata nel mio saggio L’iniziazione: come si conseguono conoscenze dei mondi superiori? l’evoluzione del fiore di loto a sedici petali e come essa sia connessa con la conoscenza dell’ottuplice sentiero. Sono intimamente connesse fra loro.
E per il chiaroveggente c’è un segno che indica fino a che punto l’umanità è progredita nella conoscenza del buddismo: la misura in cui è progredita la conoscenza del fior di loto a sedici petali. Ma quando quest’organo si sarà sviluppato, sarà subentrato un significativo dominio dell’elemento animico-spirituale sul fisico. Solo chi già oggi si impegna sotto un certo aspetto a compiere un percorso evolutivo esoterico può dire di essere in procinto di appropriarsi dell’ottuplice via. Gli altri si limitano a studiarla.
Ma così vediamo anche che in fondo l’elemento animico-spirituale può agire solo negli uomini che cominciano davvero a collegare organicamente alla loro anima la saggezza spirituale che viene loro trasmessa. L’ottuplice via si riflette sull’uomo nella misura in cui l’anima se n’è impossessata.
A questo punto i saccenti potrebbero dire: «Certo, abbiamo fatto esperienze molto particolari. Là c’era questo o quell’uomo che ha cominciato a far vivere dentro di sé le verità spirituali, a coltivare l’evoluzione spirituale, ma è morto a cinquant’anni. Tutto questo non è servito ad allungargli la vita!».
È una verità molto saggia! La domanda a cui bisogna rispondere è: quanto a lungo sarebbe vissuto se non avesse compiuto un’evoluzione spirituale? Magari solo fino a quarant’anni. Si constatano solo i fatti, ma bisognerebbe anche tener conto di ciò che non si è verificato e non può essere accertato esteriormente.
La supremazia dell’elemento animico-spirituale è quindi andata via via scemando fino al quarto periodo, in cui è apparso il Cristo, che ha dovuto fare la sua comparsa proprio laddove c’erano ancora abbastanza uomini in grado di vedere come l’animico-spirituale agisce sul fisico. Se fosse venuto più tardi tutte quelle cose non avrebbero potuto essere mostrate nel modo in cui lo sono state. Un’apparizione possente come quella del Cristo doveva aver luogo proprio in quel periodo.
Ciò significa che ora l’uomo, nel momento in cui comprende veramente il Cristo, impara a fargli compenetrare del tutto la coscienza che ha di se stesso, di modo che il suo Io ottenga il dominio su tutto quello che c’è dentro di lui. Questo è il significato dell’ingresso del Cristo nell’umanità. Sarà quest’Io cosciente di sé a riconquistare gradualmente ciò che l’umanità ha perduto. Ma esso ha dovuto esistere per la prima volta, ha dovuto essere presentato prima che i tempi antichi terminassero.
Il principio cristico, il principio che diffonderà la supremazia dell’Io su tutti i processi fisici esteriori, ha fatto il suo ingresso nel mondo. Nella nostra epoca non sarebbe più possibile che tale principio entrasse nel mondo ed emanasse quei poderosi effetti terapeutici. Gli uomini di allora erano ancora in grado di percepire tali effetti attraverso le semplici parole o il semplice contatto con il Cristo Gesù, cosa che oggi non è più possibile.
Ma partendo dall’Io l’umanità comincia a poco a poco a sviluppare di nuovo ciò che era andato perduto. Agli ultimi esemplari ricettivi andava mostrata la potenza del dominio esercitato dall’Io. Il Cristo è infatti il principio dell’Io. L’autore del Vangelo di Luca ci mostra in tutti gli ambiti come quell’Io così pienamente presente nel Cristo eserciti un’azione potente sugli esseri umani. Ci fa vedere che ora fa il proprio ingresso nel mondo il Cristo Gesù, un Io che pervade il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fisico dell’uomo in modo da farvi penetrare i propri effetti risanatori.
Questo fatto doveva essere presentato per mostrare agli uomini che quando in futuro l’umanità si approprierà di questo insegnamento nel corso di molte vite e molti millenni, vivrà in un periodo in cui le azioni si irradieranno dall’Io come hanno fatto un tempo dall’essere cristico.
Allora dapprima si è mostrato che nel corpo astrale ci sono malattie che colpiscono l’intera personalità. Il loro modo di manifestarsi dipendeva dalla costituzione dell’umanità di quei tempi, che aveva conservato qualcosa della separazione del corpo eterico.
Quando oggi un uomo ha una qualità negativa, essa si limita facilmente a essere una brutta caratteristica dell’anima. Al giorno d’oggi i peccati non si trasformano immediatamente in malattie, ma a poco a poco ci stiamo riavvicinando a quelle condizioni. Già ora si avvicina un’epoca in cui si dovrà fare attenzione che le imperfezioni dell’anima non si manifestino in un corpo malato.
E molte malattie che la nostra epoca definisce di tipo nervoso sono effetti esteriori dell’illogicità, della disarmonia e sfasatura da cui sono caratterizzati gli uomini degli ultimi secoli e che si manifestano come fenomeni isterici, di nervosismo. Ma questo ha anche a che fare con l’evoluzione a cui stiamo andando incontro.
Invece nell’epoca in cui il Cristo Gesù è apparso sulla Terra c’erano ancora molti uomini i cui peccati, e soprattutto le cattive qualità del carattere, si manifestavano sotto forma di malattie.
Quello che si manifesta nell’uomo come un fenomeno astrale viene definito possessione nel Vangelo di Luca. Le qualità negative si esprimono nel fatto che l’uomo attira spiriti estranei nel proprio corpo astrale, nella sua incapacità di dominare tutta la propria umanità con le sue qualità migliori. In quelli il cui corpo eterico era ancora separato da quello fisico le qualità negative si manifestavano soprattutto nelle forme patologiche che ci appaiono come possessione.
Ora il Vangelo di Luca ci mostra come tali persone venissero guarite dall’incontro con la possente individualità del Cristo Gesù, come il male venisse cacciato fuori da loro e come quell’individualità producesse effetti purificanti. Questo viene presentato come esempio della situazione generale alla fine dell’evoluzione della Terra. Allora le buone qualità dell’uomo eserciteranno un’azione risanatrice.
Ma c’era ancora qualcosa che andava mostrato. Di solito, quando si parla di posseduti, non si nota l’essenziale, vale a dire che si parla anche di malattie completamente diverse. La guarigione del paralitico (Luca 5,18) rimanda al fatto che in chi ha gli arti paralizzati si manifestano le brutte qualità del corpo eterico.
E dove ci viene mostrato che il Cristo guarisce anche i paralitici, ci viene detto che Egli estende i propri effetti non solo sul corpo astrale, ma anche sul corpo eterico. Quando parla dei peccati più profondi, il Cristo ci indica che essi vanno prima eliminati a livello spirituale. Egli non dice:
«Alzati e cammina», ma: «Ti sono rimessi i tuoi peccati». Interviene quindi sulla causa della malattia.
I vari raggruppamenti delle manifestazioni morbose hanno dunque lo scopo di mostrare che quella potente individualità può influenzare tanto il corpo astrale quanto quello eterico, e perfino i segreti del corpo fisico.
Perché a questo proposito parliamo dei segreti del corpo fisico come di qualcosa di estremamente recondito? Per la vita esteriore esiste in primo luogo l’influsso da corpo astrale a corpo astrale. Questo si manifesta quando un individuo viene ferito nell’anima da una parola offensiva. Abbiamo allora uno scambio fra corpo astrale e corpo astrale. Molto più nascosto è lo scambio fra due corpi eterici, di cui fanno parte effetti più sottili che intercorrono fra uomo e uomo.
Ma i più reconditi sono i segreti del corpo fisico, poiché la sua densa materia nasconde al massimo l’elemento spirituale. Il Vangelo di Luca ci vuol mostrare che il Cristo esercita il dominio anche sui segreti fisici. Ci troviamo quindi a sfiorare una questione che appare strana all’odierna mentalità materialistica.
Un estraneo che ora si trovasse ad ascoltare questa conferenza riterrebbe assurde le nostre affermazioni. Il Cristo dimostra di conoscere a fondo anche la corporeità fisica e di agire su di essa con la sua forza. Per farlo deve conoscere gli effetti misteriosi che agiscono fra i corpi fisici di due uomini.
Se si vuole operare attraverso lo spirito e l’anima, non basta aver presente il singolo uomo incarnato di fronte a noi, racchiuso nella sua pelle. L’uomo non è un essere isolato. Il dito non pretende di essere qualcosa di autonomo e anche l’uomo, se intuisce le condizioni della vita, deve sapere che come il dito appartiene all’intero organismo, così il singolo individuo fa parte dell’umanità intera e che in quanto tale non può separare la propria salute fisica da quella del resto dell’umanità.
Anche l’umanità sarà disposta ad ammetterlo per quanto concerne gli effetti grossolani. Qui nel Vangelo di Luca si accenna ai misteriosi nessi fisici. Nell’ottavo capitolo (40 sg.) si dice:
Quando Gesù fu di ritorno, la folla lo accolse con gioia, perché tutti l’aspettavano. Ma ecco venire il capo della sinagoga di nome Giairo, il quale si gettò ai piedi di Gesù e lo supplicava di andare a casa sua, perché la unica sua figlia, di circa dodici anni, era sul punto di morire. Mentre vi si recava, la folla gli si accalcava d’intorno.
Il Cristo doveva dunque guarire la figlia dodicenne di Giairo. Come poteva essere guarita? Solo sapendo che una malattia fisica è in relazione con un fenomeno fisico che si manifesta in un’altra persona e che la figlioletta non può essere guarita se non si cura anche l’altra.
La figlia di Giairo ha dodici anni. Quando è nata c’era un profondo nesso karmico con un’altra persona. E ora ci viene detto che a Gesù si rivolse una donna che da dodici anni soffriva di una certa malattia. Questa malattia che dura da dodici anni ha un particolare rapporto karmico con la fanciulla dodicenne. La donna si avvicina a Gesù e viene guarita dalla forza del Cristo. Solo allora Egli può entrare nella casa e guarire la figlioletta dodicenne.
Se vogliamo capire i nessi più profondi dobbiamo occuparci a fondo del karma. E anche il fatto che siano esattamente dodici anni non è irrilevante: questo numero racchiude infatti un segreto.
Bisogna tenere in considerazione i misteri più profondi, soprattutto quando si osserva l’estrema efficacia del Cristo Gesù, quando si esaminano i Vangeli laddove si fa notare in maniera profonda come l’egoità dell’essere cristico operi in tutte le altre membra dell’entità umana.
Luca voleva quindi mostrare a quali elevati livelli di evoluzione può giungere l’Io degli uomini. Per questo in lui era necessario che il principio dell’Io agisse sul corpo astrale, sul corpo eterico e sul corpo fisico dell’uomo.
L’evangelista ci presenta per così dire il grande ideale dell’evoluzione umana dicendo: «Guardate al futuro. Ora il vostro Io è ancora debole, ma a poco a poco diventerà il signore del corpo astrale, del corpo eterico e del corpo fisico. Avete di fronte il grande modello, il Cristo, che indica il modo in cui l’Io può conquistare la supremazia su questi tre corpi».
Verità come quelle che stanno alla base dei Vangeli hanno potuto essere descritte da coloro che si appoggiavano alle testimonianze di chi vi ha assistito di persona ed è stato ministro della parola.
Solo gradualmente l’umanità diventerà cosciente di quanto sta dietro ai documenti religiosi. Allora a poco a poco se ne approprierà con un’intensità tale che questo potrà davvero esercitare un’azione terapeutica su tutte le altre parti dell’organismo umano.
Nona conferenza
La missione del Cristo:
infondere le forze dell’amore
Basilea, 25 settembre 1909
Miei cari amici!
Dalla conferenza di ieri è già emerso che un documento come il Vangelo di Luca può essere capito solo comprendendo l’evoluzione dell’umanità nel senso superiore che ci viene fornito dalla scienza dello spirito, solo prendendo veramente in considerazione i cambiamenti avvenuti nell’umanità.
Se vogliamo rendere comprensibile la trasformazione radicale che secondo il Vangelo di Luca si è compiuta all’epoca dell’apparizione del Cristo Gesù, sarà opportuno confrontarla con qualcosa che sta avvenendo anche nella nostra era, in maniera più lenta ma comunque percepibile.
Dobbiamo prima di tutto rompere con un’opinione che viene espressa di frequente e alla quale la pigrizia mentale degli uomini si appoggia volentieri: la convinzione che la natura non compia salti nel corso dell’evoluzione. Non esiste affermazione più sbagliata di questa.
La natura fa in continuazione dei salti, e per il progresso dell’evoluzione è fondamentale che li compia. Se osserviamo lo sviluppo del seme di una pianta vediamo che fa spuntare dalla terra la prima fogliolina. Questo è già un salto significativo, a cui ne segue un altro quando dalla foglia si passa al fiore. Dopo di che avviene un altro salto importante nel passaggio dalla parte esterna a quella interna del fiore.
Nel progredire dell’evoluzione si verificano continui salti, e chi non ne tiene conto non potrà mai comprenderla nel suo insieme. Per esempio, se osservando l’evoluzione di un determinato secolo noterà che procede per così dire a passo di lumaca, sarà portato a credere che essa proceda allo stesso ritmo anche in tutti gli altri. Ma le cose non stanno così.
Come nello sviluppo della pianta dopo l’ultima foglia spunta con relativa rapidità il fiore, così, dopo una preparazione durata secoli, in un determinato secolo avviene un salto nell’evoluzione dell’umanità.
Uno di questi salti si è appunto verificato ai tempi in cui il Cristo è vissuto sulla Terra. Il tradizionale dominio dell’antica chiaroveggenza si trasformò gradualmente fino alla quasi totale scomparsa delle facoltà chiaroveggenti.
Per questo, prima che avesse luogo quella svolta, era necessario riepilogare ancora una volta ciò che era stato ricevuto in eredità dai tempi antichi. Era lì che il Cristo Gesù doveva agire, allora il nuovo avrebbe potuto essere accolto nell’evoluzione dell’umanità.
Un salto analogo, seppur non così incisivo, si verifica anche ai nostri tempi in un altro ambito. Nonostante si compia in un lungo periodo di tempo, dev’essere ovvio per chi voglia comprendere la nostra epoca. Il modo migliore per farci un’idea di questo balzo è ascoltare coloro che giungono alla scienza dello spirito da svariati settori della vita.
Per esempio, il rappresentante di una qualsiasi comunità religiosa viene ad assistere a una conferenza scientificospirituale. Quello che vi sto dicendo non è una critica, ma il rilevare un dato di fatto. Allora, mettiamo che un teologo venga ad ascoltare una conferenza scientifico-spirituale sull’essenza del cristianesimo e si dica: «Sì, tutto questo è molto bello, e in sostanza non contraddice le affermazioni che facciamo dal pulpito o dalla cattedra; solo che noi lo diciamo diversamente, in modo che tutti lo possano capire. Così come viene detto qui può essere capito solo da singoli individui».
Chi parla così e ritiene che il suo sia l’unico modo di trasmettere il proprio insegnamento, non tiene conto di una cosa: che si ha il dovere di giudicare in base ai fatti e non in base alle proprie passioni.
E una volta ho dovuto dare questa risposta:
«Che lei sia convinto di annunciare a tutti la verità nella maniera giusta può essere lodevole, ma non è questo che conta. Solo i fatti contano, e questi dimostrano il contrario. Vanno forse tutti in chiesa? La scienza dello spirito esiste per quelli che non vanno in chiesa e che hanno bisogno di cercare la verità in un altro modo. Questo ci dicono i fatti. Non dobbiamo giudicare secondo quello che ci piace, ma abbiamo il dovere di giudicare in base ai fatti».
Cosa succederebbe se gli uomini non potessero essere guariti dalla convinzione di essere nel giusto e che tutti quelli che non la pensano come loro siano ottusi? Per esempio, se la dottrina scientifico-spirituale non riuscisse a spuntarla su questa opinione, le persone incapaci di prestare ascolto a ciò che viene proclamato nelle varie correnti spirituali diventerebbero sempre più numerose. Sempre meno gente andrebbe ad ascoltare queste prediche.
E se non ci fosse la corrente scientifico-spirituale, queste persone non avrebbero niente del tutto, non potrebbero soddisfare le loro esigenze spirituali, non potrebbero che intristire. Non è infatti dalla volontà del singolo che dipende il modo in cui viene ammannito il nutrimento spirituale e si sperimentano le verità spirituali. Gli uomini hanno bisogno di nutrimento spirituale e ciò che conta non è il modo in cui vogliamo darglielo, bensì il modo in cui essi chiedono che venga loro impartito.
Oggi siamo giunti a un punto in cui gli uomini chiedono di ottenere in questo modo per esempio l’interpretazione dei Vangeli. L’insegnamento va dato non come piace ai singoli, ma in base all’esigenza dell’anima odierna. Oggi nell’anima umana è sorto il desiderio della scienza dello spirito, che non può essere esclusa per arbitrio di singoli individui che avranno sempre meno persone disposte ad ascoltarli. Di questo dobbiamo tener conto.
Viviamo in un’epoca in cui dai cuori degli uomini sparisce la possibilità di accettare la Bibbia così come lo è stata negli ultimi secoli. O l’umanità accoglierà la scienza dello spirito e sarà in grado di capire la Bibbia in questo senso nuovo, oppure non riceverà la scienza dello spirito e perderà del tutto la Bibbia, come già oggi succede a molti che non sono più in grado di ascoltarne le parole. Andranno allora perduti immensi tesori spirituali, i più importanti e fondamentali della nostra evoluzione terrena. Di questo ci si deve rendere conto.
Siamo arrivati a un salto di questo genere nell’evoluzione. Il cuore dell’uomo anela alla scienza dello spirito, esige una spiegazione scientifico-spirituale della Bibbia. Se questa gli verrà data, la Bibbia verrà salvaguardata per il bene dell’umanità, non andrà perduta. Questo dovrebbero dirsi coloro che credono di dover assolutamente difendere il loro modo tradizionale di interpretare la Bibbia. Chi conosce questi fatti non può lasciarsi confondere da niente nell’evoluzione spirituale umana, poiché sa che si tratta di una necessità evolutiva.
Osservato da un punto di vista superiore, quello che succede qui è un’inezia rispetto a quanto è successo all’epoca della comparsa sulla Terra del Cristo Gesù. A quei tempi erano in un certo senso ancora presenti le ultime propaggini dell’evoluzione verificatasi in precedenza.
Sostanzialmente l’uomo aveva sviluppato il corpo fisico, il corpo eterico e il corpo astrale. Aveva sì incorporato da tempo anche l’Io, che però a quei tempi ricopriva un ruolo subordinato. L’Io pienamente cosciente di sé era per così dire ancora ricoperto dai tre involucri, vale a dire dal corpo fisico, dal corpo eterico e dal corpo astrale.
Supponiamo che il Cristo Gesù non fosse comparso sulla Terra. Cosa sarebbe successo? L’evoluzione dell’umanità sarebbe progredita in modo da permettere all’Io di emergere completamente. Nella misura in cui questo fosse accaduto sarebbero svanite tutte le facoltà chiaroveggenti e soprannaturali e l’Io avrebbe perso il dominio sull’anima e sullo spirito.
L’Io sarebbe emerso e l’uomo sarebbe diventato cosciente di sé, ma che Io avrebbe ottenuto? Un Io che lo avrebbe reso sempre più egoista, che avrebbe sviluppato solo le forze volte a far sparire l’amore dalla faccia della Terra, a farlo morire.
Gli uomini sarebbero comunque diventati esseri dotati di Io, ma di un Io del tutto egoistico. Questo è l’essenziale: a quei tempi gli uomini erano maturi per ascendere allo sviluppo del Sé, e nel contempo erano andati oltre all’antico modo di far agire su di sé l’Io.
Come ha potuto per esempio agire nell’antica evoluzione ebraica l’annuncio dato sul Sinai? Grazie al fatto che l’Io non era ancora emerso del tutto, che la legge poteva essere impressa nel corpo astrale. La legge venne per così dire incisa nel corpo astrale, rendendolo così capace di intuire come comportarsi rettamente nel mondo esterno. La legge del Sinai è stata come una preannunciazione rivelata nell’ultimo periodo del corpo astrale, prima che l’Io emergesse.
Il più grande evento cosmico dovette verificarsi dopo che l’Io era emerso nell’epoca precedente. Se non avesse avuto luogo, l’uomo avrebbe badato solo al proprio Io, che sarebbe divenuto cosciente di sé, ma avrebbe pensato solo a se stesso, senza voler agire per gli altri.
L’azione del Cristo sulla Terra servì a dare un contenuto a quell’Io, a stimolarlo a evolversi in modo da emanare la forza dell’amore. Senza il Cristo l’Io sarebbe diventato un recipiente vuoto. Grazie alla venuta del Cristo, l’Io è come un vaso che si riempie sempre più di amore. Il Cristo ha quindi potuto dire (cfr. Lc 12,54-59):
«Quando vedete avvicinarsi le nuvole, sapete che tempo farà. Voi giudicate dunque in base a segni esteriori, ma non conoscete i segni dei tempi. Se infatti li capiste, sapreste di vivere in un’epoca in cui nell’Io deve entrare quel Dio che lo pervade e lo compenetra di amore. Allora non direste di poter vivere con quanto vi è stato tramandato dai tempi antichi. Questo vi danno gli scribi e i farisei: essi conservano l’antica rivelazione dell’Io all’umanità e non vogliono che le si aggiunga nulla di nuovo. Ma il nuovo è un lievito che continuerà ad agire nell’umanità. E chi dice di voler restare fedele a Mosè e ai profeti non capisce i segni dei tempi, non sa quale mutamento si stia compiendo nell’umanità».
Questo disse il Cristo Gesù con parole molto chiare a chi gli stava intorno: che il voler diventare cristiani non dipende affatto dai gusti del singolo, ma dalle necessità dell’evoluzione umana. È ciò che il Vangelo di Luca ci ha tramandato nelle parole sui segni del tempo e nella parabola del lievito vecchio che non basta più – nella parabola del lievito nuovo che in pratica può essere usato solo da chi sente dentro di sé il dovere di non agire per passione ma secondo necessità. Perciò il Cristo definiva una falsità quello che volevano i farisei, vale a dire qualcosa che non coincide con il mondo esteriore – questo era appunto il significato delle sue parole.
Il modo migliore per comprendere le parole del Cristo nella loro intensità è confrontarle con gli avvenimenti del nostro tempo. Come dovremmo esprimerci se volessimo trasporre nella nostra epoca ciò che il Cristo ha detto agli scribi e ai farisei?
Ai nostri giorni abbiamo qualcosa di analogo agli scribi e ai farisei.
Si tratta di coloro che non vogliono prendere in considerazione una spiegazione più profonda dei Vangeli, che preferiscono attenersi a ciò che le loro facoltà acquisite senza la scienza dello spirito sono in grado di dire a proposito dei Vangeli, che non vogliono approfondire la conoscenza dei Vangeli con la scienza dello spirito. È ciò che cerca di interpretare i Vangeli a livello esteriore – non importa se in modo più o meno liberale –, i Vangeli che solo grazie alla scienza dello spirito possono riacquistare le forze vitali della verità. Infatti le forze che devono svilupparsi per consentire la spiegazione dei Vangeli crescono solo sul terreno scientifico-spirituale. Per questo le ricerche svolte oggi sui Vangeli dalla scienza esteriore sono così deludenti.
Oggi oltre agli scribi e ai farisei abbiamo una terza specie, quella degli scienziati, così che possiamo parlare delle due categorie già nominate dal Cristo Gesù e di quella degli scienziati che vogliono escludere tutto quello che appartiene allo spirito, tutte le facoltà che l’uomo può acquisire per giungere alle effettive basi spirituali dei fenomeni naturali.
Sono per la maggior parte coloro che oggi occupano le cattedre universitarie e hanno il potere di interpretare a modo loro i fenomeni naturali. Costoro rifiutano le spiegazioni spirituali e bloccano l’evoluzione dell’umanità, dato che il progresso viene arrestato ovunque non si vogliano riconoscere i segni dei tempi.
Nella nostra epoca si seguirebbe il Cristo Gesù solo se si trovasse il coraggio di opporsi con la stessa energia a quelli che vogliono frenare l’evoluzione spirituale ostacolando l’interpretazione scientifico-spirituale delle Scritture e delle opere della natura.
Ci sono sempre persone benintenzionate che vorrebbero procurare una tolleranza che fa comodo. Ma tutti costoro dovrebbero prendere sul serio le parole del Cristo Gesù in una delle più belle e incisive parabole del Vangelo di Luca, la parabola del fattore disonesto. In essa si narra (cfr. Lc 16,1-13):
«Un uomo ricco aveva un fattore del quale si diceva che dissipasse i suoi beni. Decise quindi di licenziarlo. Il fattore ne fu estremamente sconvolto. ‹Cosa devo fare?› esclamava, ‹non posso diventare un contadino e neanche andare a mendicare.› Allora ebbe un’intuizione e si disse: ‹Quando facevo il fattore ho sempre trattato le persone badando unicamente all’interesse del padrone. Ora devo fare qualcosa per farmi benvolere, affinché mi accolgano presso di loro una volta perso il lavoro.› Disse quindi: ‹Farò qualcosa affinché le persone vedano che anch’io ho della benevolenza verso di loro.› Chiamò i debitori del padrone e, cancellando o riducendo il debito, cercò di farsi benvolere per poter essere accolto da loro dopo essere stato licenziato dal padrone».
E nel Vangelo viene poi detto espressamente – e qualche lettore potrebbe stupirsene: «Il signore lodò quel fattore disonesto, perché aveva agito con astuzia».
C’è veramente chi si è fatto tutte le idee possibili su chi sia il signore a cui si riferisce la parabola. Ma è detto chiaramente che Gesù stesso ha lodato il fattore. Perché?
Dice: «Ché i figli di questo mondo sono nella loro generazione più scaltri dei figli della luce» – questo si legge da secoli nella Bibbia, così legge la gente. Verrebbe voglia di chiedere se mai nessuno abbia riflettuto sul significato di questa frase. Chi la traducesse conoscendo il testo greco tradurrebbe correttamente così: «Nel loro genere i figli del mondo sono più scaltri dei figli della luce».
Quelli che traducono questo testo da secoli hanno semplicemente trovato una parola greca (γενεάν, genean) che possiede entrambi i significati, e invece di “nel loro genere” l’hanno tradotta “nella loro generazione”.
Ci si potrebbe chiedere: è mai possibile che una cosa del genere si trascini per secoli e secoli e compaia perfino in persone come Weizsäcker, di cui si dice che abbiano prodotto una buona traduzione della Bibbia? Per quanto strano, è proprio come se gli uomini disimparassero persino le loro nozioni scolastiche più basilari quando si accingono a studiare i documenti biblici.
La concezione scientifico-spirituale dovrà in primo luogo far sì che i documenti religiosi vengano restituiti integralmente all’umanità. Oggi infatti l’umanità non possiede la Bibbia e non può farsi un’idea di cosa sia in realtà il cristianesimo. Ci sono altri passaggi più importanti di questo, in cui all’umanità viene fornita una versione sbagliata o alterata della Bibbia.
Cosa intende dire questa parabola? Che il fattore pensa:
«Se il padrone mi caccia, devo farmi benvolere dagli altri». Si è reso conto che non si possono servire due padroni.
L’uomo quindi non può servire sia il Dio che vuole vivere nell’interiorità degli esseri umani e quello che viene annunciato dagli scribi e dai farisei: «Infatti non potete servire due padroni, non il dio che vuol far progredire l’umanità, che in voi deve diventare un Io forte, e nello stesso tempo anche il dio che si oppone come ostacolo a questo progresso».
Tutto quello che era giusto in passato diventa un ostacolo se trascinato oltre in un’epoca successiva. Per questo sotto un certo aspetto l’evoluzione elimina ciò che in un dato periodo è giusto ma che poi diventa un ostacolo. A quei tempi le potenze degli ostacoli venivano chiamate il dio mammona (aramaico: mamona אנוממ).
«Osservate come il fattore infedele si è reso conto che nella vita sociale non può servire due padroni. In quanto figlio del mondo, ha capito che nemmeno con il mammona ordinario si possono servire due padroni. Così anche voi, che dovete innalzarvi allo stato di figli della luce e annunciare la verità, dovete rendervi conto di non poter servire due padroni».
Anche chi vive ai nostri giorni deve riconoscere che non c’è possibilità di mediare fra scribi, farisei, scienziati e coloro che vogliono dare all’umanità il nutrimento di cui oggi ha bisogno. Questo è, applicato alla nostra epoca, ciò che il Cristo voleva illustrare con la parabola del fattore disonesto.
Di queste cose dobbiamo tener conto se vogliamo giungere a una comprensione vivente dei Vangeli. Tutto ciò che viene toccato dalla scienza dello spirito deve prender vita. Il Vangelo deve diventare qualcosa che fluisce nelle nostre facoltà spirituali.
Non basta cianciare del fatto che il Cristo ha respinto i farisei, ma dobbiamo sapere che la parola vivente ha bisogno di mostrarsi forte laddove ai nostri tempi esiste la continuazione di quello che allora il Cristo definiva mammona.
Questo ha un ruolo importante anche nella narrazione del Vangelo di Luca, a cui si collega uno dei principali concetti del Vangelo che potremo imprimerci nell’anima solo prendendo in considerazione il rapporto fra il Budda e l’impronta che ha dato all’umanità e ciò che il Cristo Gesù deve rappresentare per il genere umano.
Il Budda ha presentato il grande insegnamento della compassione e dell’amore. Questo è uno di quei casi in cui è necessario prendere alla lettera quanto viene affermato. Qualcuno potrebbe infatti obiettare: «Una volta si dice che il Budda ha portato al mondo la dottrina della compassione e dell’amore, e un’altra che il Cristo vi ha portato l’amore».
Già, ma viene detta la stessa cosa in entrambi i casi? Una volta dico che il Budda ha portato al mondo la dottrina della compassione e dell’amore, mentre poi dico che il Cristo ha portato sulla Terra la forza vivente e operante dell’amore.
È estremamente importante ascoltare con molta attenzione, altrimenti può capitare facilmente di dire: «Certo, per far contenti tutti ci ha presentato due messaggeri dell’amore». Nell’ambito dell’occultismo è importante ascoltare con estrema attenzione. E se comprendiamo davvero ciò che viene espresso in parole significative, esso ci apparirà anche nella giusta luce.
Sappiamo che nell’ottuplice via si trova la descrizione della dottrina dell’amore. E ci chiediamo: che meta rappresenta veramente questo ottuplice sentiero o dove arriva l’uomo che dalla profondità della sua anima si pone realmente l’ottuplice via come ideale?
Giunge a una meta che può immaginare così: «Come posso diventare più perfetto? Cosa devo fare per introdurre il mio Io nel mondo nella maniera più perfetta possibile? Se osservo tutto quello che viene detto nell’ottuplice via, il mio Io diventerà il più perfetto che si possa concepire».
Tutto quello che può emanare dall’ottuplice via deve entrare a far parte di noi, tutto mira alla purificazione e alla nobilitazione dell’Io. Tutto è lavoro e perfezionamento dell’Io – questa è l’essenza dell’ottuplice via. E se l’umanità si evolvesse facendo propria la ruota fatta girare dal Budda, dopo un po’ ogni uomo disporrebbe di un Io il più perfetto possibile. Nei pensieri, nella conoscenza l’uomo avrebbe un Io perfetto.
Si potrebbe dire che il Budda ha portato la saggezza dell’amore e della compassione, e se noi compenetriamo il nostro corpo astrale della sua dottrina, facendolo diventare in tutto e per tutto un prodotto dell’ottuplice via, allora conosceremo la saggezza insita nella via della compassione e dell’amore.
Tutt’altra cosa è però accogliere dentro di noi la forza, la realtà vivente dell’amore! C’è un’enorme differenza fra
• il sapere come dev’essere un Io e
• il far fluire dentro di sé la forza che può poi riversarsi nel mondo intero – come dal Cristo Gesù la forza si è irradiata sui corpi astrali, eterici e fisici di chi gli stava intorno.
L’impronta data dal grande Budda ha reso l’umanità capace di conoscere il contenuto della dottrina della compassione e dell’amore. Il Cristo invece non ha portato una dottrina, bensì una forza operante. Egli ha sacrificato se stesso, è sceso sulla Terra per entrare nell’Io umano, affinché questo conseguisse la forza di emanare l’elemento sostanziale dell’amore portato dal Cristo sulla Terra, non solo la consapevolezza dell’amore.
Sono trascorsi circa duemilacinquecento anni da quando il grande Budda è vissuto sulla Terra. E l’umanità ne attraverserà altri tremila prima che un gran numero di uomini sia in grado di sviluppare l’ottuplice sentiero, la saggezza del Budda, direttamente dal proprio senso morale, a partire dalla propria anima.
Il Budda ha dovuto vivere una volta sulla Terra per fornire la forza che permette agli uomini di sviluppare gradualmente la saggezza dell’ottuplice via. Fra tremila anni circa la maggior parte degli uomini sarà in condizione di sviluppare autonomamente questo insegnamento. Gli uomini introdurranno la saggezza in se stessi e si diranno:
«L’ottuplice via si esprime attraverso il mio stesso essere come saggezza della compassione e dell’amore». Svilupperanno questa saggezza da se stessi, non l’assorbiranno più dall’esterno.
Ma se oltre all’azione del Budda che ha messo in movimento la ruota della legge non fosse successo nient’altro, gli uomini avrebbero conseguito solo la capacità di conoscere la dottrina della compassione e dell’amore. Altra cosa è invece aver acquisito anche la forza di vivere davvero la compassione e l’amore. E la facoltà di non solo conoscere l’amore, ma di svilupparne anche la forza ci è stata data dal Cristo.
Il Cristo stesso ha riversato negli uomini l’amore, un amore che continuerà ad aumentare. L’umanità saprà in saggezza qual è il contenuto della compassione e dell’amore, e conseguirà nel contempo la capacità reale di amare. L’amore fluirà, emanerà dall’Io e l’umanità sarà debitrice al Cristo per la vita piena di amore.
Per questo il Budda e il Cristo hanno dovuto collaborare nella maniera descritta. Lo vediamo anche se capiamo nel modo giusto le parole del Vangelo di Luca.
Lì infatti i pastori accorrono e appare loro una schiera di angeli che altro non è se non la visione nella quale si esprime il nirmanakaya del Budda. Qual è il suo annuncio? «Ecco la rivelazione dalle altezze celesti dello spirito divino colmo di saggezza» – questo è l’annuncio fatto dal nirmanakaya del Budda. Ma a esso viene aggiunto qualcos’altro: «e sia pace in Terra agli uomini di buona volontà» – cioè a coloro nei quali germoglia la forza reale dell’amore.
Questo deve realizzarsi a poco a poco sulla Terra grazie all’impulso del Cristo. Alla rivelazione dall’alto Egli ha aggiunto la forza vivente dell’amore, instillandola nel cuore di ogni uomo. Ha dato a ogni anima umana qualcosa di cui essa può traboccare. Questa è la cosa davvero importante.
Il Cristo non ha dato una dottrina all’umanità, ma una forza reale che può scaturire dall’anima umana. E questa forza che opera nell’anima umana è quella che nel Vangelo di Luca viene chiamata la forza della fede.
Ha fede colui che accoglie il Cristo nella propria anima così da farlo vivere in essa, così che in lui non vi sia solo un vuoto contenitore dell’Io, ma un contenuto traboccante, che altro non è se non il contenuto traboccante dell’amore.
Come mai con le sue parole il Cristo ha potuto ottenere quelle grandi guarigioni?
• Perché è stato il primo a far girare la “ruota dell’amore” e non solo quella “della legge”;
• perché aveva in sé un’infinita quantità d’amore, un amore prorompente e traboccante che fluiva in coloro che dovevano essere guariti;
• perché le parole che pronunciava – sia che dicesse:
«Alzati e cammina!» oppure: «Ti sono rimessi i tuoi peccati!» – provenivano dal suo amore traboccante.
Egli diceva delle parole che venivano pronunciate da una sovrabbondanza di amore che andava oltre la misura dell’Io e definiva fedeli o credenti quelli che potevano essere pervasi anche solo un po’ da questo amore.
Sono questi i pensieri che dobbiamo collegare al concetto di fede. Nel Nuovo Testamento la fede è la facoltà di trascendere se stessi, di andare oltre a quello che l’Io può fare per il proprio perfezionamento. Per questo il Cristo non ha insegnato come l’Io possa perfezionarsi, ma come debba traboccare.
Sono parole piene di significato! Lo diceva spesso con parole facilmente comprensibili, in grado di parlare ai cuori più semplici (cfr. Lc 6,27-38):
«Non basta che diate solo a quelli di cui sapete con certezza che vi restituiranno ciò che hanno ricevuto. Questo lo fanno pure i peccatori e voi non l’avete ancora fatto per l’amore che trabocca da voi. Ma quando date pur sapendo che non vi sarà restituito, allora l’avrete fatto veramente per amore. Quello è l’amore che non racchiude l’Io ma che lo rilascia traboccando come una forza che proviene dall’uomo stesso».
Il Cristo ha detto in che modo l’Io deve traboccare, come l’amore deve promanare dall’Io sovrabbondanza così da agire nel mondo. Queste sono le parole piene di calore del Vangelo di Luca, le parole che contengono la forza necessaria a farci sentire l’amore traboccante che deve pervadere tutte le nostre parole affinché siano dotate dell’intensità adeguata.
Un altro evangelista che ha sottolineato meno quell’aspetto traboccante dell’amore ha riassunto il segreto del cristianesimo in poche parole: l’amore scaturisce dalla sovrabbondanza dell’Io e deve fluire in tutte le nostre parole e azioni. Nella traduzione latina del Vangelo di Matteo (12,34) troviamo ancora le parole originali e autentiche, quella bella sintesi che afferma: «Ex abundantia cordis os loquitur» – la bocca parla dalla sovrabbondanza del cuore. Da quello che il cuore non racchiude dentro di sé parla un Io traboccante, un Io che emana all’esterno la forza della fede.
Sono parole in cui è veramente presente la forza cristica: «La bocca parla dalla sovrabbondanza del cuore». È un’affermazione fondamentale sull’essenza del cristianesimo. Ma se leggete la traduzione tedesca della Bibbia, cosa trovate al suo posto? «La bocca esterna ciò di cui il cuore è pieno». Ecco cosa trovate! Sono bastate queste parole per nascondere attraverso i secoli una massima fondamentale del cristianesimo.
Gli uomini non si sono accorti dell’assurdità di questa affermazione. Le cose non si riversano all’esterno quando c’è solo pienezza, ma solo se c’è sovrabbondanza!
L’umanità si è avviluppata in una rappresentazione che ha addirittura travisato la più importante affermazione del cristianesimo, senza minimamente accorgersi dell’assurdità di questa frase.
È assurdo dire che la lingua tedesca non sopporta la traduzione letterale, che per esempio non si dice: «la sovrabbondanza della stufa». Se accendessimo una stufa affinché il calore rimanesse al suo interno, la stanza non potrebbe riscaldarsi. È proprio per via del calore straripante della stufa che la stanza diventa calda.
Troviamo quindi cose importanti, dove ciò su cui si fonda il Vangelo di Luca – una frase cardinale del cristianesimo – è addirittura stato cancellato perché l’umanità non ha tradotto correttamente le affermazioni presenti nella Bibbia. Si tratta della forza dell’Io, forza cristica traboccante, poiché il cuore rappresenta l’Io. A termine dell’evoluzione terrena l’Io avrà in sé tutto il Cristo, così che questi traboccherà.
Se non si intende questa frase fondamentale nel suo pieno valore si nasconde l’intera essenza del cristianesimo. È importante che l’essenza del cristianesimo venga alla luce grazie a quanto ha da dire in proposito la scienza dello spirito, che ne legge i documenti nel mondo spirituale, nella cronaca dell’akasha, scoprendone il senso originario.
Capiremo ora come progredirà in futuro l’evoluzione dell’umanità. Colui che è sceso sulla Terra come bodhisattva è poi asceso al mondo spirituale come Budda, e da lì agisce in qualità di nirmanakaya. Non ha più bisogno di scendere nel mondo in un corpo fisico. Dopo essere diventato Budda, il bodhisattva ha passato il suo incarico a un altro bodhisattva.
La leggenda del Budda lo esprime in maniera grandiosa laddove ci narra quella che per l’occultismo è una verità. Prima di scendere sulla Terra per diventare Budda, l’individualità del bodhisattva si tolse la tiara celeste e la passò al bodhisattva successivo, che continua ad agire nella sua missione diversa. Anche lui è destinato a diventare un Budda. Fra tremila anni, proprio nel momento in cui molti uomini avranno sviluppato interiormente e autonomamente la dottrina dell’ottuplice via, quel bodhisattva diventerà un Budda. Colui che diventerà un Budda è oggi un bodhisattva che come tale continua ad agire. E quando diventerà un Budda sarà quell’entità cui la dottrina orientale dà il nome di Budda Maitreya (Budda del bene morale).
Allora l’umanità dovrà aver sviluppato dal proprio cuore l’insegnamento dell’ottuplice sentiero. Gli uomini saranno progrediti al punto da poter sviluppare a partire da sé la dottrina dell’ottuplice via. Così quello che oggi opera come bodhisattva porterà al mondo un nuovo insegnamento.
Se nel frattempo non fosse successo niente, costui troverebbe di certo uomini in grado di capire la dottrina dell’ottuplice via, ma non ne troverebbe nessuno dotato della forza vivente e straripante dell’amore. Nel frattempo è stato necessario che la sostanza dell’amore fluisse nell’umanità.
Affinché quando diventerà un Budda l’attuale bodhisattva possa trovare uomini dotati della forza vitale dell’amore, è stato necessario che il Cristo – un’entità vissuta sul nostro pianeta solo tre anni e mai incarnatasi prima di allora – discendesse sulla Terra. E quella presenza del Cristo sulla Terra per tre anni fino al mistero del Golgota è stata l’inizio, la causa del fatto che l’amore si riversasse sempre più nel cuore umano, nell’Io umano. Gli uomini allora saranno sempre più in grado di accogliere in sé il Cristo, finché al termine dell’evoluzione terrena il loro Io ne sarà del tutto compenetrato.
Come la dottrina della compassione e dell’amore ha dovuto essere portata per la prima volta dal grande Budda, così la sostanza dell’amore ha dovuto essere portata sulla Terra da Colui che la fa discendere dalle altezze celesti affinché l’Io umano se ne appropri.
Prima quell’amore che doveva diventare proprietà dell’Io umano non esisteva. C’era invece un amore, ispirato e instillato dal Cristo, che fluiva inconsciamente, proprio come prima il Budda aveva fatto confluire inconsciamente nell’uomo la dottrina dell’ottuplice via. Il rapporto fra il Budda e il bodhisattva è analogo a quello che intercorre fra il Cristo e l’essere che lui era prima di assumere le sembianze umane. Assumere forma umana è stato un progresso per lui.
Così il successore del Budda che oggi è ancora un bodhisattva – il futuro Budda Maitreya – è ben noto a coloro che sono esperti di scienza dello spirito. Verrà un giorno in cui si potrà parlare più estesamente di questo fatto, ma per ora dobbiamo limitarci ad accennarvi in modo fugace. Un giorno si potrà anche fare il nome di questo bodhisattva.
Il bodhisattva che diventerà il Budda Maitreya troverà il seme del Cristo, quegli uomini che non solo dicono di possedere la saggezza della compassione e dell’amore, ma che sanno di avere il cuore stracolmo della sostanza vivente dell’amore da cui trabocca ciò che si diffonde nel mondo. Questi uomini troverà il Budda Maitreya e con loro potrà compiere la propria missione sulla Terra. Così ogni cosa trova il suo senso.
Capiamo così il Vangelo di Luca nella sua profondità: esso non ci parla di una dottrina, ma di un essere che emana sostanzialmente l’amore. È un fatto che, ovunque lo si conosca, viene espresso dicendo: i bodhisattva destinati a diventare Budda possono redimere gli uomini per quanto riguarda il sapere, la conoscenza, ma non sono in grado di redimere l’uomo nella sua totalità. L’uomo può essere completamente redento solo se il suo intero organismo viene pervaso dalla vera forza dell’amore, al fine di redimere l’anima per mezzo del flusso d’amore portato sulla Terra da Colui che aveva il compito di dotare il mondo della forza e del fuoco dell’amore.
La saggezza dell’amore era il compito del Budda; la forza dell’amore, la vita dell’amore era il compito del Cristo.
Decima conferenza
Il mistero del Golgota
come iniziazione dell’umanità
Basilea, 26 settembre 1909
Miei cari amici!
Oggi ci occuperemo di condurre al loro culmine le varie conoscenze acquisite nel corso di queste conferenze in base alla ricerca spirituale effettuata per mezzo del Vangelo di Luca, a quel punto culminante che chiamiamo il mistero del Golgota.
Finora abbiamo cercato di descrivere in maniera incisiva quanto si è effettivamente verificato nel periodo dell’evoluzione umana durante il quale il Cristo è vissuto per tre anni sulla Terra.
Prima abbiamo dovuto caratterizzare come questo evento ha potuto aver luogo grazie alla confluenza delle correnti spirituali da noi nominate singolarmente. Proprio l’autore del Vangelo di Luca, se lo leggiamo alla luce della cronaca dell’akasha, ci descrive in modo mirabile la missione del Cristo Gesù sulla Terra.
Potrebbe quindi riemergere la domanda: dato che la corrente spirituale buddista si è inserita organicamente nella dottrina cristiana, com’è possibile che in quest’ultima non vi sia nessun accenno alla grande legge della vita, la legge del karma, la compensazione che avviene nelle singole incarnazioni dell’uomo?
Sarebbe però un malinteso credere che questo non sia presente nemmeno nell’annuncio dato dal Vangelo di Luca. C’è, ma dobbiamo renderci conto che le esigenze dell’anima umana sono diverse a seconda del periodo e che i grandi missionari dell’evoluzione planetaria non hanno il compito di comunicare agli uomini la verità assoluta in forma astratta – dato che essi non la capirebbero affatto –, ma di parlare loro in modo che nella rispettiva epoca ottengano ciò che è giusto.
In quello che l’umanità ha ricevuto grazie all’impulso del grande Budda è contenuta tutta la saggezza che, connessa alla dottrina della compassione e dell’amore descritta nell’ottuplice via, può condurre alla saggia comprensione della dottrina del karma. E se non si giunge a questi insegnamenti, vuol dire che nell’anima umana non si è cercato tutto ciò che conduce alla dottrina del karma e a quella della reincarnazione.
Ieri abbiamo detto che fra tremila anni gran parte del genere umano sarà progredita al punto da poter ricavare autonomamente la dottrina dell’ottuplice via e quindi anche quella del karma e della reincarnazione. Ciò tuttavia dovrà avvenire gradatamente, passo dopo passo. Infatti, come in base a leggi necessarie la pianta non può far crescere il fiore subito dopo che il seme è stato messo nella terra, ma deve prima svilupparsi foglia per foglia, così è necessario che l’evoluzione spirituale degli uomini avvenga gradualmente e che le cose giuste si presentino al momento giusto.
Chi si immerga nella propria anima pervaso dalle facoltà che la scienza dello spirito può dargli, sentirà la necessità della dottrina del karma e della reincarnazione. Ma è solo ai giorni nostri che l’anima ha veramente recuperato la maturità necessaria per accogliere questa verità. Non sarebbe stato un bene se tale dottrina fosse stata comunicata a livello esterno anche solo un secolo fa.
Non sarebbe stato un bene se già nei secoli scorsi all’umanità fosse stata data la scienza dello spirito, di cui gli uomini oggi hanno sete e a cui è correlato lo studio dei fondamenti dei Vangeli. Per poter anelare alla scienza dello spirito era infatti necessario che le anime umane avessero prima attraversato varie incarnazioni, che avessero sperimentato tutto quello che c’è da sperimentare prima di poter giungere alla dottrina del karma e della reincarnazione.
Se per esempio il karma e la reincarnazione fossero stati annunciati nei primi secoli del cristianesimo, sarebbe stato come pretendere dall’evoluzione dell’umanità qualcosa di analogo allo spuntare del fiore direttamente dalla radice della pianta. Solo oggi l’umanità ha raggiunto la maturità necessaria per comprendere i Vangeli, per accoglierli in base al loro contenuto spirituale.
Per questo non c’è da stupirsi se ieri abbiamo detto che nei Vangeli da secoli trasmessi all’umanità ci sono varie cose che danno un quadro del cristianesimo completamente errato. In un certo senso l’umanità ha ricevuto il Vangelo prematuramente ed è solo oggi che sta acquistando la maturità necessaria per poterlo comprendere.
Era assolutamente necessario che il messaggio del Cristo Gesù tenesse conto della struttura dell’anima umana di quei tempi, così da non insegnare la dottrina della reincarnazione e del karma in modo astratto, ma far fluire nell’anima dei sentimenti che aiutassero l’uomo a maturare gradualmente fino a poterla comprendere da solo.
Il Cristo Gesù ha detto questo a coloro da cui era circondato? Per rispondere a questa domanda dobbiamo sfogliare il Vangelo di Luca e lasciare che ci appaia nella giusta luce. Allora leggeremo come il concetto di karma doveva essere comunicato agli uomini di allora (cfr. Luca 6,20-23):
«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio! Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati! Beati voi, che ora piangete, perché riderete! Beati sarete quando gli uomini vi odieranno, vi espelleranno e vi insulteranno, quando proferiranno il vostro nome come infame a causa del Figlio dell’uomo! Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché la vostra ricompensa sarà grande in cielo».
Qui abbiamo la dottrina della compensazione, presentata in maniera non astratta. Qui vediamo fluire nell’anima la certezza emotiva che chi in un certo momento soffrirà la fame in un campo qualsiasi verrà poi risarcito. Questa sensazione doveva essere instillata nell’anima umana, e le anime vissute a quel tempo si sono reincarnate e sono diventate mature per accogliere con saggezza la dottrina del karma e della reincarnazione.
A quei tempi quindi le sensazioni destinate a fluire nell’anima dovevano effondersi sotto forma di forza, di vita.
Era infatti iniziata un’epoca completamente nuova, in cui l’umanità si accingeva a sviluppare l’Io, la coscienza di sé. Mentre prima gli uomini sperimentavano gli effetti nel corpo astrale, nel corpo eterico e nel corpo fisico, ora l’Io doveva acquisire la piena coscienza di sé, ma poteva riempirsi solo a poco a poco della forza necessaria per farlo.
Solo l’Io cosciente di sé poteva sviluppare in se stesso il principio cristico universale, sceso sulla Terra nel Gesù natanico animato dall’Io di Zarathustra. L’umanità ha dovuto evolversi gradualmente per realizzare quello che avvenne sulla Terra in quei tre anni prodigiosi, quando in essa venne instillata una forza allo stadio embrionale. Quel germoglio doveva crescere e svilupparsi a poco a poco.
A ciò si è provveduto anche facendo apparire in epoche diverse personaggi in grado di portare all’umanità ciò per cui sarebbe diventata matura in seguito, ciò che successivamente sarebbe riuscita a conquistarsi da sola.
Colui che allora apparve sulla Terra come Cristo dovette far sì che, subito dopo la sua comparsa, l’umanità ricevesse il messaggio in modo per lei comprensibile. E dovette anche provvedere a che le rivelazioni successive avvenissero in maniera adatta alle anime umane.
L’autore del Vangelo di Giovanni ci descrive il modo in cui il Cristo ha provveduto per coloro che sono venuti subito dopo il mistero del Golgota. Ci mostra come il Cristo stesso abbia ridestato in Lazzaro la personalità che in seguito ha diffuso il suo insegnamento come Giovanni.
Ma colui che è vissuto come Cristo sulla Terra ha dovuto anche provvedere a che in futuro potessero venire al mondo le individualità capaci di portare all’umanità in maniera adeguata ciò per cui essa era matura.
A tale scopo il Cristo Gesù dovette risvegliare un’altra individualità, come ci viene descritto fedelmente dall’autore del Vangelo di Luca, che accenna a ciò che in futuro verrà insegnato da un altro e che per presentarci questi misteri ha inserito un risveglio anche nel suo Vangelo. La narrazione del risveglio del giovinetto di Nain (Lc 7,11-17) contiene i segreti del cristianesimo che continua ad agire.
Nel racconto del risveglio della figlia di Giairo che vi ho già illustrato per sommi capi si parla semplicemente di una guarigione. I misteri ivi contenuti sono talmente profondi che il Cristo Gesù permette solo a pochi apostoli di assistere insieme ai familiari della fanciulla al processo di guarigione. Dopo di che ordina espressamente di non raccontare quanto è accaduto.
Nell’altro episodio vediamo invece un risveglio che avviene pubblicamente, così da essere comunicato subito. L’uno era un processo di guarigione, l’altro era qualcosa di completamente diverso, era il risveglio di un’individualità, un’iniziazione. L’individualità che albergava nel corpo del giovinetto di Nain doveva sperimentare un’iniziazione particolare.
Ci sono diversi tipi di iniziazione. Una consiste nel fatto che il risvegliato, l’iniziato, subito dopo l’iniziazione vede risplendere in sé la conoscenza dei mondi superiori, che può penetrare immediatamente con lo sguardo. Ma un’altra può svolgersi di modo che nella persona in questione venga posto dapprima solo un seme e che costei debba attraversare diverse incarnazioni e aspettare diverse vite prima che quel seme germogli. Allora quell’individuo diverrà un illuminato solo in un’incarnazione successiva.
Il giovinetto di Nain ha sperimentato un’iniziazione di questo tipo. Quell’anima subì una trasformazione durante gli eventi della Palestina, ma non conseguì ancora la coscienza necessaria per guardare nei mondi spirituali. Fu solo in un’incarnazione successiva che la forza data allora in quell’anima poté esplicarsi.
In una conferenza aperta a tutti come questa non è possibile fare nomi. In seguito quell’individualità risvegliata dal Cristo Gesù nel giovinetto di Nain divenne un grande e importante maestro di religione. Rinacque come un grande maestro del cristianesimo che insegnava con la forza che era stata posta in lui al momento della sua iniziazione.
Così il Cristo Gesù aveva fatto in modo che in un’epoca successiva potesse apparire l’individualità che era stata ridestata nel giovinetto di Nain e che poi avrebbe dovuto permeare sempre più il cristianesimo con la dottrina della reincarnazione e del karma, che avrebbe dovuto collegare al cristianesimo un insegnamento che ai tempi in cui il Cristo viveva ancora sulla Terra non aveva potuto essere annunciato esplicitamente come conoscenza e che aveva dapprima dovuto essere instillato nelle anime a livello di sentimento.
In effetti il Cristo Gesù fa notare espressamente che nell’evoluzione dell’umanità sta sorgendo qualcosa di completamente nuovo, la presa di coscienza dell’Io. Sottolinea che prima gli uomini non vedevano il mondo spirituale con il loro Io autocosciente, ma che sentivano fluire lo spirito nei loro tre corpi – in quello fisico, in quello eterico e in quello astrale. C’era sempre un certo grado di incoscienza, ma ora le cose dovevano cambiare.
Prima, per esempio, l’umanità della corrente in cui era direttamente inserito il Cristo Gesù aveva dovuto ricevere la legge del Sinai, in grado di parlare solo al corpo astrale. Quella legge era stata data all’uomo in modo che lui non la sviluppasse dalle forze del suo Io, forze che sono divenute possibili solo con la comparsa del Cristo Gesù.
Il Cristo vi accenna laddove dice che gli uomini devono prima diventare pienamente maturi per accogliere un principio evolutivo del tutto nuovo, laddove parla del suo predecessore, Giovanni il Battista. (cfr. Lc 7,18-35)
Come considera quell’entità? Dice che Giovanni il Battista era chiamato a caratterizzare nella forma più pura e nobile l’antico insegnamento profetico prima della venuta del Cristo. Vede quindi in lui l’ultimo portatore, in forma nobilissima e purissima, di quanto apparteneva al passato.
«La legge e i profeti arrivano fino a Giovanni». In qualità di ultimo e nobile profeta doveva presentare all’umanità il modo in cui l’antico contenuto dell’anima poteva agire.
E come doveva agire quel contenuto dell’anima nei tempi antichi? Qui andiamo a sfiorare qualcosa che un giorno verrà insegnato anche dalla scienza moderna, quando essa si lascerà ispirare dalla scienza dello spirito.
Se oggi diamo un’occhiata alla corrente scientifica che con le sue capacità ancora limitate vuole penetrare nei misteri dell’esistenza umana, vedremo che presenta l’interazione fra il germe maschile e quello femminile come ciò che dà origine all’uomo intero. È proprio a questo che tende fondamentalmente la scienza del giorno d’oggi: a stabilire qual è il prodotto della collaborazione fra il germe maschile e quello femminile. Ed è soddisfatta se può descrivere l’uomo come risultato della collaborazione fra maschile e femminile.
Ma la scienza arriverà da sé a riconoscere che solo una parte dell’entità umana viene determinata da questa fusione e che in realtà l’uomo moderno, per quanto sappia esattamente cosa proviene da un germe e cosa dall’altro, non è ancora in grado di comprendere la propria natura nel suo insieme.
In ogni uomo c’è qualcosa che non viene prodotto dal germe, ma che è una sorta di nascita virginale, qualcosa che si aggiunge al germe e si riversa in esso da ben altre sfere. All’embrione umano si unisce una realtà che non proviene né dal padre né dalla madre, qualcosa che appartiene solo a lui, che si riversa nel fisico e può essere nobilitato.
Nell’uomo nasce virginalmente quel qualcosa che nel corso dell’evoluzione si collega con il Cristo. È in relazione con il singolo uomo e un giorno la scienza sarà in grado di riconoscerlo con i propri mezzi. È qualcosa di strettamente collegato all’importante passaggio compiutosi nell’umanità all’epoca dell’evento della Palestina.
Prima le cose stavano diversamente: nell’interiorità dell’uomo non poteva esserci nulla che vi fosse arrivato se non attraverso il germe. Nell’evoluzione umana avviene una vera e propria trasformazione. L’umanità è cambiata ed ora, accogliendo il principio cristico, deve sviluppare a poco a poco l’elemento che le è stato aggiunto allora.
Per chi conosce un po’ la scienza è interessante vedere come già oggi vi siano ambiti in cui gli scienziati toccano con mano ciò che non deriva dal germe. I presupposti per questa conoscenza esistono, solo che gli scienziati non sono ancora abbastanza progrediti. In ciò che avviene oggettivamente infatti è all’opera ben più di quanto non sappia lo scienziato.
Mentre lo scienziato è in laboratorio o lavora nel suo studio, dietro di lui agiscono le potenze che guidano e dirigono il cosmo. Esse fanno affiorare in superficie qualcosa che lo scienziato non capisce. È del tutto vero che anche la ricerca oggettiva viene diretta dai misteri, solo che a queste cose non si presta ancora attenzione. Si baderà a loro quando la ricerca oggettiva sarà pervasa dagli insegnamenti forniti dalla scienza dello spirito.
Grazie a quanto abbiamo appena descritto, dai tempi del Cristo Gesù in poi ha avuto luogo un’enorme trasformazione. Prima l’uomo poteva sviluppare solo le facoltà affluite in lui dal germe paterno e materno. Nel periodo della nostra incarnazione sviluppiamo le facoltà che ci derivano dal corpo fisico, dal corpo eterico e dal corpo astrale. Prima della venuta del Cristo Gesù, tutti gli strumenti di cui l’uomo si serviva avevano avuto origine dal germe.
In seguito a ciò si aggiunse quello che nell’uomo nasce virginalmente e che non può essere suscitato dal concepimento. Tale elemento può guastarsi parecchio se l’uomo è dedito soltanto alla materialità. Ma se l’uomo unisce le migliori forze della sua anima al calore che promana dal principio cristico, allora ciò che è nato virginalmente può essere nobilitato e portato nelle incarnazioni successive a un grado sempre più sublime.
Quanto è stato detto ora presuppone che in tutte le rivelazioni precedenti a quella del Cristo vi fosse qualcosa di collegato alle facoltà ereditarie, ma il Cristo doveva parlare a quella parte dell’uomo che non ha nulla a che fare con il germe fisico e che gli deriva dal regno divino.
Tutti i profeti comparsi prima del Cristo potevano avvalersi unicamente delle facoltà ricevute in eredità dal padre o dalla madre. Tutti i profeti, tutti i predicatori, anche se di altissimo livello come i bodhisattva, dovevano servirsi di ciò che veniva trasmesso per mezzo del germe. Il Cristo invece parlava a quel qualcosa nell’uomo che non passa attraverso il germe, che non deriva da esso.
A questo accenna in modo meraviglioso quando nel
Vangelo di Luca dice (cfr. Lc 7,28):
«Io vi dico che tra i nati di donna non vi è nessuno più grande di Giovanni» – vale a dire, quelli che possono essere spiegati per mezzo della loro nascita, per mezzo del germe – «tuttavia il più piccolo nel regno di Dio» – cioè chi non deriva dal germe – «è maggiore di lui».
Quando la Bibbia sarà capita alla luce della scienza dello spirito, si vedrà che contiene delle verità fisiologiche ben più profonde di quelle rudimentali della fisiologia moderna. Così profonda è la Bibbia!
Quanto è appena stato detto viene esposto dal Cristo in vari modi e anche in forma diversa. Vuole far notare che l’elemento in cui Egli vive e che attraverso di lui deve svilupparsi è qualcosa di completamente nuovo e diverso da quanto poteva essere annunciato prima, poiché viene annunciato con delle facoltà che non derivano dal germe, che non sono ereditarie, ma provengono dal «regno dei cieli». Egli accenna a quanto sarà difficile per gli uomini elevarsi gradualmente alla comprensione di un tale Vangelo.
Dice però nello stesso tempo: non è possibile usare il vecchio metodo per convincervi del nuovo che è giunto, esso non vi può essere trasmesso come testimonianza nella forma antica. Una forma nel senso dell’antica saggezza viene simboleggiata nel segno di Giona. Questo segno simboleggia la maniera in cui un uomo si innalza progressivamente alla conoscenza dei mondi superiori mentre diventa un profeta. L’antico modo di ascendere alla profezia è il seguente.
Prima di tutto l’uomo doveva rendere matura la propria anima, preparando tutto ciò che poteva consentirle di accedere ai mondi superiori. Poi per tre giorni e mezzo doveva essere portato in uno stato di completo distacco dal mondo esteriore. Perciò quelli che dovevano essere iniziati nel modo antico venivano dapprima sottoposti a un’accurata preparazione e poi allontanati per tre giorni e mezzo dal mondo. Venivano condotti in un luogo dove non solo non avevano alcuna percezione del mondo esteriore, ma anche dove il loro corpo si trovava in uno stato letargico simile alla morte.
Dopo tre giorni e mezzo li si ridestava, la loro anima veniva richiamata nel corpo. Allora l’anima era in grado di ricordarsi la visione dei mondi superiori avuta in quei tre giorni e di annunciare ad altri l’esistenza di tali mondi.
Il grande mistero dell’iniziazione consisteva nel fatto che l’anima veniva condotta in un mondo completamente diverso, per tre giorni rimaneva isolata come in un bozzolo e penetrava nel mondo spirituale. In mezzo al popolo c’erano sempre degli iniziati in grado di annunciare il mondo spirituale. A loro era stato possibile trasmettere l’insegnamento dei fondamenti nascosti dell’esistenza, loro erano quelli che avevano vissuto l’esperienza a cui si accenna con l’immagine del sostare «nel ventre della balena». Significa che costoro erano dei profeti e portavano un segno con cui si presentavano al popolo gli antichi profeti che avevano sperimentato di persona il mondo spirituale. Questa era la maniera antica in cui avveniva l’iniziazione.
E il Cristo dice: nel senso dell’antica iniziazione non c’è altro segno che quello di Giona. Ed esprimendosi ancor più esplicitamente afferma: c’era tuttavia anche l’eredità ricevuta dagli antichi, la chiaroveggenza indistinta e crepuscolare, ottenuta senza iniziazione, senza il proprio intervento attivo. Esistevano ancora uomini di questo tipo che potevano essere trasportati in uno stato onirico superiore per via delle loro origini, attraverso una rivelazione dall’alto.
Cristo voleva accennare ai due tipi di iniziati che esistevano allora:
• una categoria era composta da uomini in grado di ricevere rivelazioni dall’alto senza aver conseguito una particolare iniziazione,
• l’altra era formata da uomini che grazie all’iniziazione erano entrati in possesso delle conoscenze dei mondi superiori.
Il Cristo si riferisce a questo duplice modo derivante dai tempi antichi quando dice: «Ricordatevi del re Salomone». Riferendosi a Salomone voleva indicare un’individualità in cui la saggezza discendeva direttamente dall’alto senza che lei dovesse far niente. Questo concetto viene espresso nell’immagine della regina di Saba che si reca da Salomone per unirsi a lui. La regina rappresenta la saggezza che scende dall’alto.
Salomone è un’individualità destinata fin dall’inizio a una chiaroveggenza indistinta e crepuscolare, come tutti gli uomini dei tempi antichi. Questa è la prima categoria, rappresentata metaforicamente nell’unione con la regina di Saba. L’altra categoria è quella degli iniziati col segno di Giona.
Ma ora il Cristo aggiunge esplicitamente (cfr. Lc 11,31-32):
«Ed ecco, vi è qui uno da più di Salomone, ed ecco, vi è qui uno da più di Giona». Qui c’è qualcosa che non viene più semplicemente comunicato al corpo astrale umano dall’esterno, come accadeva nelle antiche rivelazioni, e nemmeno qualcosa che viene comunicato al corpo eterico umano dall’interno, come accadeva agli iniziati e a Giona. Qui c’è qualcosa che rende l’uomo maturo nella sua interiorità, nel suo Io, così che egli si possa unire a ciò che appartiene al regno dei cieli.
Questa è la parte verginale che l’uomo corrompe se si allontana dal principio cristico che può elevarlo e nobilitarlo pervadendo la sua anima con ciò che da esso promana.
Così il Cristo aggiunse al suo insegnamento qualcosa che ci mostra come tutti i modi per avvicinarci al regno di Dio siano cambiati, come il grandioso evento divino della Palestina abbia portato sulla Terra un elemento completamente nuovo.
Per questo, riferendosi a coloro dai quali presumeva di poter essere capito, diceva: «In verità vi sono fra voi alcuni che non riceveranno le rivelazioni nel senso di Salomone, ma che potranno vedere il regno di Dio prima di morire». Prima questo non era possibile, per vedere il regno spirituale occorreva essere stati condotti attraverso una morte della durata di tre giorni e mezzo. E ora il Cristo diceva:
«Verrà il tempo in cui ci saranno uomini in grado di vedere il regno dei cieli prima di essere morti».
In un primo momento i discepoli – si era rivolto solo a Pietro, Giacomo e Giovanni – non capirono di che si trattasse. Ma il Cristo voleva dir loro che erano quelli destinati a fare l’esperienza dei segreti del regno dei cieli non solo prima di morire di morte naturale, ma anche prima della morte che si attraversava nell’antica iniziazione.
È quanto leggiamo nel meraviglioso passo del Vangelo di Lc (9,27):
«Io vi dico in verità: ci sono alcuni tra i presenti che non gusteranno la morte prima di aver visto il regno di Dio».
I discepoli non compresero di essere stati prescelti per sperimentare l’azione potente del principio cristico e non capirono che a loro sarebbero stati rivelati i segreti del mondo spirituale, senza il segno di Salomone e senza il segno di Giona.
Subito dopo viene la scena della trasfigurazione, nella quale i tre guardano per un attimo nel mondo spirituale, dove si manifestano loro quelli che vivono nel mondo spirituale come Mosè ed Elia, e in mezzo a loro Gesù. I discepoli guardarono nel mondo spirituale e videro che vi si può giungere anche senza il segno di Giona e di Salomone.
Ma nel contempo si vede che essi sono solo dei principianti in questo ambito: il Cristo Gesù infatti li trova addormentati, sopraffatti da ciò che hanno visto. La trasfigurazione è descritta fin nelle singole parole come un episodio reale.
A partire da quel momento ci sono tre modi per arrivare nel mondo spirituale. Ne erano a conoscenza coloro che sapevano interpretare i segni dei tempi tipici di quell’epoca. Costoro sapevano che per poter agire creativamente occorreva prima sviluppare l’Io. Nello stesso tempo però si doveva mostrare che gli uomini di quei tempi non erano ancora maturi per accogliere pienamente questo impulso cristico.
Tramite la trasfigurazione si doveva far vedere che la nuova rivelazione è solo un inizio, che con essa era stato fatto solo un primo passo. Per questo subito dopo assistiamo alla scena in cui i discepoli cercano di applicare il principio cristico per guarire, senza tuttavia riuscirci. Il Cristo Gesù fa notare che si è solo agli inizi: «Dovrò restare con voi ancora a lungo, finché la forza potrà fluire anche negli altri».
E, facendo loro notare ancora una volta il mistero celato dietro quelle parole, disse: «Ora è giunto il tempo in cui il Figlio dell’uomo dev’essere consegnato», vale a dire, è arrivato il momento di dare a poco a poco agli uomini ciò che sono destinati a sviluppare sulla Terra: il vero Io umano che nella sua forma più elevata dovrebbero riconoscere come il Cristo. Disse quindi (cfr. Lc 9,44-45):
«Voi imprimetevi bene in mente queste mie parole: il Figlio dell’uomo dev’essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi non capivano quelle parole.
Fino ai nostri giorni gli uomini non hanno capito quelle parole, ma saranno sempre più numerosi quelli che si renderanno conto che allora l’Io, «il Figlio dell’uomo» doveva essere consegnato agli uomini. Il Cristo Gesù aggiunse anche la spiegazione che poteva essere fornita e disse: «L’uomo che abbiamo di fronte oggi è un prodotto sorto inizialmente per via di quelle antiche forze in cui non avevano ancora agito le energie luciferiche. Poi esse sono arrivate e hanno trascinato l’uomo in un’esistenza inferiore. Nella coscienza umana a ciò che è presente nel germe si è mescolato qualcosa che trascina l’uomo verso le sfere più basse».
L’uomo è un essere duplice. La coscienza che ha sviluppato finora è completamente pervasa da forze luciferiche. Solo il suo inconscio è un ultimo residuo di quanto esisteva in origine, prima dell’intervento delle forze luciferiche.
Quello che oggi fa ingresso nell’uomo come principio verginale non può fondersi con quello che l’uomo sviluppa senza il principio cristico. L’uomo che ci sta di fronte oggi è in primo luogo un risultato dell’ereditarietà; fin dall’inizio è una doppia realtà in via di sviluppo.
Finché è ancora piccolo, finché viene diretto e guidato inconsciamente, fino a quando non sa ancora distinguere fra il bene e il male, nell’innocenza del bambino ci si manifesta – seppure attraverso il velo di tutto ciò che si è verificato successivamente – la sua natura originaria. Oggi solo la parte infantile dell’uomo è un ultimo residuo della natura umana com’era prima dell’influsso delle forze luciferiche.
Quindi oggi nell’uomo abbiamo una parte infantile e una parte adulta. Quest’ultima è quella compenetrata dalle forze luciferiche, ma essa pervade già anche il bambino, così che nella vita ordinaria ciò che era presente nell’uomo prima dell’impulso luciferico non può manifestarsi pienamente.
Questo elemento dev’essere risvegliato dalla rivelazione cristica, che non può collegarsi alle facoltà acquisite dall’uomo, alla saggezza da lui procuratasi successivamente, ma deve connettersi con ciò che è rimasto della natura infantile originaria. Questa è la parte essenziale che va rigenerata, perciò leggiamo nel Vangelo di Luca (cfr. 9,46-48):
Sorse poi fra loro il pensiero su chi fosse in loro il più grande, cioè il più adatto ad accogliere in sé il principio cristico. Gesù prese un bambino, lo mise in mezzo a loro e disse: «Chi collega la natura del Cristo con ciò che vive nel bambino, con il residuo dei tempi antichi, accoglie me e colui che mi ha mandato, il Padre».
Qui vediamo la grande importanza di tutto quello che continua a vivere nell’uomo come natura infantile e che dev’essere coltivato e curato affinché si sviluppi ulteriormente.
Oggi, quando abbiamo di fronte un essere umano, possiamo dirci: quest’uomo ha delle buone attitudini, ci si può impegnare a svilupparle. Oggi nella vita ordinaria lo si farebbe senza tener conto del fondamento, mentre invece bisognerebbe cercare le forze più profonde e coltivarle, per poi sviluppare le altre facoltà.
Dovremmo innanzitutto rendere saggia la componente infantile affinché anche il resto lo possa diventare. Ogni uomo porta in sé la natura infantile, e questa diventerà ricettiva per l’unione con il principio cristico. Ma quelle che sono forze puramente intellettuali oggi non faranno altro che rifiutare e deridere l’elemento cristico che può vivere sulla Terra, come il Cristo Gesù stesso aveva predetto.
Vediamo allora che proprio nel senso del Vangelo di Luca ci viene illustrato chiaramente il significato della nuova annunciazione. Quando un antico iniziato camminava fra gli uomini, lo si riconosceva dal segno di Giona. Ma solo chi era stato istruito in proposito sapeva quale fosse l’aspetto di un tale iniziato. Era necessaria una particolare preparazione per comprendere il segno di Giona.
Ora occorre una nuova preparazione per comprendere ciò che va oltre Salomone e Giona. Per i contemporanei del Cristo Gesù era difficile da capire, loro riuscivano a comprendere solo quanto veniva insegnato nei tempi antichi. Il modo in cui Giovanni il Battista ancora insegnava era noto a tutti e loro lo capivano ancora.
Ma la grande novità portata nel mondo dal Cristo Gesù non riuscivano ancora a comprenderla. Non capivano come potesse scegliere le anime fra coloro che non parevano affatto preparati; avevano dato per scontato che Egli avrebbe annunciato la dottrina nell’antico modo.
E ora vedevano qualcosa che non potevano capire. Lo vedevano sedersi con quelli che per loro erano dei “peccatori”. Egli però disse loro (cfr. Lc 5,36-37):
«Se annunciassi alla vecchia maniera quel che ho da dire, sarebbe come cucire una toppa vecchia su un abito nuovo, come riempire otri vecchi con del vino nuovo. Ciò che viene dato ora all’umanità è più del segno di Salomone e più del segno di Giona, e va versato in otri nuovi. Anche voi dovete darvi da fare per comprendere l’annuncio in modo nuovo».
Quelli che dovevano comprendere lo dovevano fare direttamente grazie al potente influsso dell’Io e non grazie a ciò che avevano imparato. A questo non erano predestinati coloro che si erano preparati nel senso dell’antica dottrina, ma quelli che erano passati di incarnazione in incarnazione e apparivano come persone semplici, in grado di capire gli avvenimenti con la forza della fede.
Per questo non ci voleva più qualcosa di ermetico e nascosto come il segno di Giona, ma andava presentato un evento che si svolgesse sotto gli occhi di tutti. Quello che per millenni era avvenuto nei templi sotterranei doveva aver luogo sulla grande scena della storia universale, il passaggio attraverso la morte mistica doveva manifestarsi al mondo intero.
Tutto questo uscì alla luce come un evento unico nel suo genere, l’evento del Golgota. Allora all’umanità si presentò quello che fino a quel momento si era sperimentato solo nei tre giorni e mezzo dell’iniziazione. Per questo lo scrittore in grado di descrivere tale evento l’ha dovuto presentare al mondo come iniziazione trasformata, quale essa era.
Ciò che prima solo pochi iniziati avevano visto nel tempio durante lo stato simile alla morte che durava tre giorni e mezzo, ciò che essi ne avevano ricavato, vale a dire la convinzione della vittoria dello spirito sulla fisicità, doveva svolgersi una volta sotto gli occhi dell’umanità. Un’iniziazione trasposta sul piano della storia universale, questo è l’evento del Golgota.
Quell’iniziazione non si è dunque compiuta solo per coloro che vi hanno assistito, ma per l’umanità intera. Ciò che da essa è fluito non è fluito solo sugli astanti, ma in tutto il genere umano. Dalle gocce di sangue uscite sul Golgota dalle ferite del Cristo sgorga un flusso di vita spirituale. Dal Golgota doveva infatti fluire come forza e come vita ciò che gli altri profeti avevano emanato sotto forma di saggezza.
Certo, occorre una comprensione ben più profonda di quella odierna per capire quello che è successo sul Golgota.
Il sangue è l’espressione fisica dell’Io umano. Ma senza la comparsa del Cristo gli uomini avrebbero reso l’Io sempre più forte, avrebbero sviluppato l’egoismo più terribile. Da questo furono preservati – e cosa dovette scorrere? La sostanzialità eccedente dell’Io.
E questo processo ebbe inizio quando sul Monte degli Ulivi sgorgarono le gocce di sudore simili a sangue, quando dalle ferite del Redentore caddero a terra le gocce di sangue. Ciò che fuoriuscì allora era un simbolo del sangue eccedente, dell’eccesso di egoismo nella natura umana. Questo doveva defluire, in questo consiste il sacrificio del Golgota. Quanto è avvenuto sul Golgota non è rilevabile per il chimico. Chi avesse esaminato il sangue del Redentore avrebbe trovato lo stesso sangue presente in qualsiasi uomo.
Ma chi esamina quel sangue con gli strumenti della ricerca occulta, scopre che in realtà è un sangue diverso: il sangue eccedente dell’umanità. Se quel sangue non fosse stato versato, l’umanità sarebbe sprofondata nel più abbietto egoismo. Al sangue stillato sul Golgota è stato aggiunto l’amore infinito, e la ricerca occulta trova che il sangue del Redentore era completamente pervaso dall’amore.
L’autore del Vangelo di Luca descrive questo fatto come ognuno degli altri evangelisti descrive quanto gli compete. E se penetrassimo più a fondo nei Vangeli, vedremmo che tutte le apparenti contraddizioni svaniscono, poiché ciascun evangelista descrive i fatti da un particolare punto di vista. L’autore del Vangelo di Luca descrive ciò che è stato percepito dai suoi informatori, i veggenti autocoscienti, grazie alla loro preparazione occulta. Un altro avrebbe potuto percepire le cose diversamente.
L’autore del Vangelo di Luca percepisce quanto viene detto dall’amore che si irradia dal Cristo, che perdona anche quando gli vengono fatte le cose più terribili e fa risuonare dalla croce sul Golgota le parole che esprimono l’ideale dell’amore: il perdono per le cose più cattive che gli vengono fatte (Lc 23,34):
«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».
Sulla croce il Redentore offre il perdono per l’umanità. Dalla sovrabbondanza del suo amore, colui che compie il mistero del Golgota invoca il perdono per coloro che l’hanno crocifisso.
E anche la forza della fede viene incrementata: la fede nel fatto che nella natura umana ci sia qualcosa in grado di emanare l’amore che strappa l’uomo al mondo sensibile. Immaginiamo un uomo che attraverso tutti i delitti possibili sia diventato una cosa sola col mondo sensibile, al punto da ricevere da esso una punizione legittima – il Redentore però ha salvato quella parte che può far germogliare la fede. Allora quel criminale si differenzierà da tutti gli altri, come il ladrone in croce si distingue dall’altro.
L’uno è privo di fede, su di lui si compie il castigo inflitto dal mondo sensibile. L’altro possiede quella fede come una fioca luce, per questo non perde la connessione con il mondo spirituale. E nel momento del mistero del Golgota gli vengono dette queste parole (cfr. Lc 23,43):
«In verità ti dico: oggi, poiché sai di essere unito al mondo spirituale, oggi sarai con me in quello che va oltre il giorno, in paradiso».
Così il Vangelo di Luca fa risuonare dalla croce non solo la verità dell’amore ma anche quella della fede.
E poi c’è ancora una cosa che deve svilupparsi da quella sfera dell’anima e che ci viene descritta in particolare dall’autore del Vangelo di Luca. Se è pervaso dall’amore fluito dalla croce, l’uomo può guardare nel futuro e dire: sulla Terra l’evoluzione deve compiersi gradatamente, la mia parte infantile deve trasformarsi a poco a poco durante l’intera esistenza fisica.
Quello che esisteva prima dell’influsso luciferico era il principio del Padre, nel quale confluirà a poco a poco lo spirito che opera come principio cristico. Il principio cristico si riverserà in ciò che gli uomini otterranno per mezzo del principio del Padre. Il mondo esteriore verrà compenetrato dal principio cristico, in base al quale gli uomini vivranno con la tranquillità che risuona dalla croce come ideale e li porta alla massima speranza.
Dopo aver fatto germogliare nell’Io l’amore e la fede gli uomini potranno dirsi: se la fede e l’amore vivono in me, allora so che pervaderanno tutto ciò che c’è all’esterno, che il principio del Padre – creato in me senza il mio intervento – sarà pervaso dall’amore e dalla fede e in futuro farà germogliare la speranza.
La speranza si aggiungerà all’amore e alla fede. Gli uomini devono acquisire la serenità che fa dir loro: se ho l’amore e la fede spero che in futuro accada ciò che deve accadere, poiché capisco che in tranquillità posso affidare tutta l’evoluzione al futuro. Gli uomini allora capiranno le parole (Lc 23,46):
«Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio».
Così
• le parole dell’amore,
• le parole della fede,
• le parole della speranza
risuonano dalla croce laddove viene descritta l’essenza della natura del Cristo. Quella che è diventata la saggezza dell’umanità è entrata come forza vivente nel mondo attraverso il Cristo e dalla croce si riversa nell’anima umana.
È compito dell’anima umana comprendere sempre meglio quanto viene annunciato da un documento come il Vangelo di Luca, allo scopo di capire sempre più ciò che può vivere nelle tre parole che risuonano dalla croce. Quando gli uomini saranno in grado di sentirle potranno rendersi conto che dalla croce sul Golgota non promana più un messaggio morto, ma una parola viva.
Il presente deve gradualmente svelare le comunicazioni relative al futuro contenute nei Vangeli. Allora gli uomini potranno rendersi conto delle cose che Luca ha nascosto nel suo testo.
In questa serie di conferenze abbiamo cercato di inoltrarci il più a fondo possibile nel significato del Vangelo di Luca. Ma anche in questo caso non basta un ciclo di conferenze per accennare a tutti gli argomenti che costituiscono l’infinito contenuto di un simile documento.
Ciononostante, se seguiremo la via indicata e lasceremo vivere nel nostro cuore i contenuti di queste conferenze, potremo penetrare sempre più profondamente in queste verità e la nostra anima diverrà sempre più matura per accogliere la parola viva nascosta fra le parole esteriori di un tale documento.
La scienza dello spirito non è una nuova dottrina, bensì uno strumento per comprendere quanto è stato dato all’umanità. È uno strumento sia per studiare i documenti religiosi della rivelazione cristiana che per spiegare i documenti religiosi in genere, come per esempio la Bhagavadgita. Quando l’avremo capito smetteremo di dire: questa è una scienza dello spirito cristiana e questa no. Esiste un’unica scienza dello spirito, un solo strumento per spiegare la verità e la saggezza, da noi usato per decifrare tutti i tesori dell’umanità.
È sempre la stessa scienza dello spirito che usiamo per comprendere la Bhagavadgita e per spiegare il Vangelo di Luca o di Giovanni. La grandezza di una simile corrente spirituale sta proprio nella sua capacità di penetrare in tutti i grandi tesori donati all’umanità.
Se con questa intenzione, con questa disposizione d’animo accogliamo il grande insegnamento del Vangelo di Luca e ci rendiamo conto di quanto sia pervaso dal principio dell’amore, allora questo non solo aiuterà notevolmente la nostra anima a intuire i veri segreti di quanto ci circonda, ma da una simile comprensione si riverserà in noi il significato delle parole: «E pace in terra agli uomini di buona volontà».
Più di altri documenti infatti il Vangelo di Luca è adatto a infondere nell’anima umana quel caldo amore che fa vivere la pace sulla Terra. I misteri divini che possono rivelarsi dall’alto devono riflettersi sulla Terra e in un’immagine riflessa spingersi di nuovo verso l’alto. Se conosceremo la scienza dello spirito in questo senso, essa ci rivelerà i segreti dei mondi superiori, e nell’immagine si rifletteranno amore e pace. Questa è la più bella immagine che riflette sulla Terra ciò che scaturisce dall’alto.
E così possiamo fare del tutto nostre le parole del Vangelo di Luca che risuonano nell’annuncio del nirmanakaya del Budda:
Le rivelazioni si riversano dall’alto sulla Terra e dai cuori umani si riflettono in amore e pace, si sviluppano nell’uomo se volte al principio cristico, se volte alla buona volontà che scaturisce dall’Io umano.
Questo promana pieno di calore da quelle parole: la rivelazione dall’alto del mondo spirituale è l’immagine della pace umana che proviene dalle anime che nel corso dell’evoluzione terrena sviluppano veramente in sé la buona volontà.
Dal manoscritto di Clara Michels
Risposte alle domande
Basilea, 26 settembre 1909
Nelle domande vengono espresse alcune esigenze che si ricollegano in parte alle conferenze.
È difficile rispondere a tutti nel poco tempo a disposizione. Nell’interesse di tutti i presenti dovrò occuparmi più a fondo di alcuni argomenti, ragion per cui qualcuno potrà non rimanere del tutto soddisfatto della mia risposta alla sua domanda.
I documenti come il Vangelo di Luca racchiudono talmente tante cose che anche in quest’ultimo ciclo di conferenze è stato possibile accennare solo in generale al senso e all’orientamento del suo contenuto.
Ci vuole pazienza. La scienza dello spirito è un campo vastissimo e in un primo tempo si può accennare solo all’essenziale, che però poi ci stimola alla vera e autentica calma conoscitiva facendoci prendere coscienza della profondità del Tutto che ci si rivelerà solo nel corso del tempo.
Dobbiamo compenetrarci della vera, autentica e intensa fede nell’eternità della realtà spirituale della nostra anima. Se questa convinzione non si limita a essere teorica, ma vive realmente dentro di noi, potremo dirci: «Abbiamo tutta l’eternità per imparare!». Questo ci darà la giusta pazienza che crea la pace interiore.
Oggi posso quindi solo accennare qua e là ad alcuni dei dubbi rimasti.
Alcune domande sono sorte unicamente per il fatto che i diretti interessati non dispongono delle traduzioni corrette dei Vangeli e non possono quindi penetrarvi a fondo.
Lo si vede nel racconto della tentazione: «E il diavolo si allontanò da lui per un certo tempo». Il testo greco invece dice: «E il diavolo si allontanò da lui fino alla fine dei tempi». La forza del Cristo era così grande anche nel corpo umano che il male se n’è allontanato fino alla fine dei tempi.
C’è una serie di domande che si rispondono da sole se si riflette fino in fondo sulla spiegazione fornita durante le conferenze.
Così è stato chiesto: «Che cosa significa: ‹Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo …›?».
Ciò che passa di incarnazione in incarnazione non può essere ucciso da forze esteriori. Ma se ci votiamo alle potenze spirituali che rallentano o impediscono del tutto lo sviluppo dell’Io, la cosa ha delle conseguenze molto più fatali. Quindi: «Se non sapeste nulla della forza che ora si accosta al vostro Io, esso subirebbe danni da un’incarnazione all’altra».
Altri hanno provato incertezza leggendo il passo in cui alla domanda: «Qual è il tuo nome?» la potenza demoniaca che alberga dentro un’anima risponde: «Legione».
Attraverso l’evoluzione del proprio Io l’uomo deve raggiungere l’unità dentro di sé, poiché la situazione peggiore è quella in cui l’Io non ha il dominio assoluto sull’interiorità dell’uomo.
Se in ogni loro parte agisce una forza spirituale diversa questi uomini sono interiormente come spaccati, scissi in tante forze. Sì, in un uomo di questo genere possono vivere molte entità, «una legione», rendendolo necessariamente disarmonico.
Mi è stato chiesto: A quale Maria fu restituita la verginità?
La madre del Gesù natanico morì poco dopo il ritorno da Gerusalemme. Dopo il battesimo di Gesù, quella parte di lei che era giunta nei mondi superiori riprese ad agire nell’altra madre e mediante quell’atto cosmico-terreno le ridiede la verginità.
Com’è che dopo il battesimo Cristo legge proprio un passo del profeta che parla della sua missione? (cfr. Lc 4,16-30)
Di sicuro non si può dire che sia avvenuto per caso. È invece un episodio molto significativo.
In genere non può sapere niente delle sue vite precedenti chi non sia abbastanza maturo da poter inserire tali informazioni nella propria missione. Una simile conoscenza non deve assolutamente servire a soddisfare la curiosità personale.
Nel nostro agire ci ricollegheremo in continuazione alle nostre incarnazioni passate, ma solo in presenza di una certa maturità possiamo accostare nel modo giusto la nuova vita a quelle precedenti. Negli altri casi è meglio lasciare questo compito alle potenze superiori. Ma se l’uomo è in grado di armonizzare correttamente la sua vita attuale con una serie di esistenze passate, gli verrà data la possibilità di guardare indietro.
In Gesù tutto il passato doveva essere in un certo senso rinnovato. Ora in lui, diventato Cristo Gesù, questi punti di collegamento si illuminano all’improvviso per mostrare ai suoi simili questo processo di rinnovamento.
Perché l’Io potesse agire nel modo giusto occorreva porlo al centro della vita. Esso impara ad agire solo tramite le forze fluite nell’uomo per vie diverse dall’ereditarietà. Fino ad allora c’era sempre stato il coinvolgimento delle forze derivanti dalla linea ereditaria.
L’uomo può essere pienamente responsabile di ciò che tramite la coscienza lo collega alla sua anima, di ciò che agisce a partire dal principio cristico. Non gli si può invece chiedere ragione in ugual misura di ciò che ha ricevuto per via delle forze ereditarie, poiché la sua coscienza non è del tutto in sintonia con questi rapporti.
Prima il principio cristico agiva nel mondo inconsciamente come il principio del Padre. Ma esso deve essere accolto consapevolmente dall’Io e solo la parte in cui l’Io percepisce consciamente il Cristo è pervasa dallo Spirito Santo. Ma nella parte in cui l’uomo non sente ancora consciamente il Cristo sono tuttora all’opera altre potenze spirituali.
Chi pecca contro lo Spirito Santo deve pareggiare questa azione nel karma, e precisamente di persona, nella misura in cui essa è consapevolmente rivolta contro il principio cristico evoluto. I peccati commessi inconsciamente vengono controbilanciati dalle potenze superiori.
L’Io che viveva in Giovanni non ha niente in comune con il Gesù natanico, il cui Io ha solo agito da stimolo su quello di Giovanni.
Come mai troviamo certi ritmi numerici, come per esempio il sette nel Vangelo di Giovanni e nell’Apocalisse?
Alla base di un’evoluzione progressiva c’è sempre un certo rapporto numerico. Dove c’è una linea di parentela completa, troviamo un ritmo analogo a quello dell’uomo nel suo insieme e per esempio a quello nel corpo fisico umano, nel quale la sostanza cambia ogni sette anni.
Se si va oltre la scienza dello spirito elementare non si possono fare domande a vanvera. Nella cronaca dell’akasha ci viene in un certo senso a mancare il terreno sotto i piedi poiché non possiamo più percepire con i sensi. Allora il segreto dei numeri è un criterio, poiché tutto è ordinato secondo un certo ritmo.
Se per esempio ripercorriamo la linea evolutiva fino a 1.300 anni prima della nascita di Gesù, troviamo un evento simile 1.300 anni dopo – e a triplice distanza ancora qualcosa che ha a che fare con quanto accaduto in passato. Tutto è ordinato secondo un ritmo numerico adeguato alle circostanze dell’epoca, altrimenti non potremmo raccapezzarci nell’enorme varietà delle situazioni.
Ma un ritmo di questo genere può solo fungere da guida e non deve indurre a costruire il mondo in base a esso.
La vita del Cristo in un corpo umano si svolge in questo modo sulla Terra un’unica volta. Come ampiamente illustrato nelle conferenze, anche le condizioni per quel corpo particolare sono state preparate in una determinata maniera.
Zarathustra vedeva ancora il Cristo nel Sole come Ahura Mazda. Ora Egli si avvicinava lentamente alla Terra e solo da quando è vissuto sul nostro pianeta e ha patito le pene sul Golgota si è unito sostanzialmente alla Terra e si diffonderà sempre più su di essa.
Il dominio e la compenetrazione della Terra e dei suoi abitanti che prendono le mosse dal Cristo sono talmente potenti da inserirsi nella natura umana, nel corpo astrale, eterico e fisico.
Quando il corpo del Cristo fu calato nella terra, l’energia del principio cristico dissolse repentinamente la sua sostanza fisica – un processo che di solito si svolge lentamente e gradualmente. Quando la mattina di Pasqua le donne andarono a cercarlo, il suo corpo fisico non c’era più.
Ma ciò che vive nel Cristo non solo può dissolvere così rapidamente il corpo fisico, ma anche farlo riapparire dallo spirito, e con una densità tale da poterlo quasi toccare e sentire con le dita – come il tempio che viene ricostruito in tre giorni, nel periodo successivo alla sua morte.
L’Ascensione non è nient’altro che la scomparsa della rivelazione fisica. Quello che era diventato visibile agli occhi umani si sottrasse di nuovo alle normali facoltà percettive dell’uomo, ma rimase e rimane tuttora visibile per chi sa guardare nei mondi spirituali.
Quanto alla cremazione si tratta dapprima di preparare gli uomini. Chi vuole farsi cremare deve avere un certo rapporto con il fuoco, di modo che, bruciando, il corpo fisico possa scomporsi rapidamente nelle sostanze elementari senza ripercussioni negative sugli altri principi dell’uomo. Per questo la cremazione è indicata solo per quelli che si sono già abituati a vivere nei mondi spirituali.
La luce è l’espressione fisica che indica la saggezza, il calore quella che indica l’amore.
La leggenda calmucca della lepre nella Luna sta a indicare che una grande entità (il Budda) ha compiuto un sacrificio. Il bodhisattva ha preannunciato una luce riflessa. Poesia di Burgi An den Mond (Alla luna): «Tu Budda degli astri, luna beata».
Vocabolarietto sanscrito
Ahamkara: “creatore dell’Io”, principio dell’Io, coscienza di sé
Akasha: “spazio aperto”, “vuoto”, “spazio aereo” Bhagavadgita: poema, canto (gita) del dio (Bhagavad) Bodhi: “risveglio”, la conoscenza perfetta, l’illuminazione Bodhisattva: “essere illuminato”
Buddha: “un risvegliato” alla verità
Buddha Maitreya: il Budda “amorevole”, il Budda del bene
Dharma: (dhar = “reggere”, “portare”) l’ordine che si regge su di sé, legge dell’evoluzione nella coscienza sotto for ma di dottrina
Dharmakaya: corpo (kaya) della dottrina (dharma)
Gautama (Gotama): clan (sanscrito: gotra) al quale appar teneva il Budda
Kamaloka: luogo (loka) o mondo delle brame (kama)
Karma: azione; legge relativa alle conseguenze delle azioni passate
Linga-sarira: involucro vitale (sarira) delle immagini (linga)
Manas: spirito, pensiero, spirito pensante
Mara: il tentatore nel buddismo, il signore del mondo del l’illusione (Maya o Mara)
Namarupa: nome (nama) e forma o figura (rupa) Nirmanakaya: corpo (kaya) delle trasformazioni (nirmana) Rishi: visionario o chiaroveggente, saggio
Sakka: una manifestazione di Indra nel buddismo
Sakya: “terra incolore”; una scuola buddista
Sambhogakaya: corpo (kaya) della beatitudine, della per fezione (sambhoga)
Samsara: “vagare”, trasmigrazione delle anime, ciclo delle nascite
Sankhya: scuola filosofica dell’induismo
Vishvakarman: Demiurgo, architetto cosmico
Yoga: “legare”, “collegare” (v. ital. “gioco”); sentiero della riunificazione con il mondo spirituale
Note alla presente edizione
Questa edizione si basa sulla trascrizione in chiaro eseguita a mano dello stenogramma di Fritz Mitscher. Ci si è avvalsi inoltre degli appunti in chiaro presi manualmente da Mathilde Scholl e Clara Michels, come pure della prima stampa e del volume 114 dell’Opera Omnia di Rudolf Steiner. Sul frontespizio degli appunti di Mitscher leggiamo: «Secondo lo stenogramma di F. Mitscher e gli appunti di G. Noss». La grafia usata da Mitscher e dalla Michels nei loro manoscritti è quella Sütterlin.
Alla base di tutte le pubblicazioni realizzate finora dall’Opera Omnia sotto il titolo Il Vangelo di Luca (O.O. 114), l’unica fonte indicata sono gli appunti in chiaro di Walter Vegelahn. Già per la prima stampa (1917) sono stati presi in considerazione soltanto gli appunti in chiaro di Vegelahn, da cui derivano anche tutte le edizioni successive (1923, 1931, 1949, 1955, 1968, 1977, 1985, 2001, 2004).
Rispetto all’O.O.114 basata su Vegelahn, gli appunti in chiaro di Fritz Mitscher su cui si basa la presente edizione si attengono più fedelmente al dettato di Rudolf Steiner. Mentre nell’Opera Omnia le conferenze di Steiner sono state “abbellite” e commentate in più punti, il testo di Mitscher è più sobrio, più conforme sia allo spirito e al modo di parlare di Rudolf Steiner, sia ai contenuti trattati.
Nell’Opera Omnia 114 c’è il 21% di testo in più rispetto alla trascrizione in chiaro di Mitscher; vi si nota soprattutto l’uso frequente di riempitivi tipici. Eccone solo alcuni esempi: nell’O.O. 114 il computer rileva 51 volte la presenza dell’espressione sozusagen (per così dire) e in Mitscher la riscontra 18 volte (51/18); eben (appunto, invero): 43/20; gleichsam (sivvero): 19/9; dann (poi, inoltre, altresì): 244/155; denn (poichè, inverocchè): 137/89; das heißt (ciò vuol dire, ossia): 45/28; zwar (pur): 31/18; etwa (circa, pressochè): 26/13; wiederum (di nuovo, all’incontro): 24/10; durchaus (senz’altro, affatto): 16/10; nunmehr (orvero): 8/3; namentlich (cioè, ossia): 7/3; eigentlich (a dir vero): 40/27. Solo il totale di queste 13 espressioni nell’O.O. è pari a 691, mentre in Mitscher è di 403: 288 parole di differenza.
In occasione della prematura scomparsa di Fritz Mitscher, avvenuta il 7 febbraio 1915, Rudolf Steiner ne ha ricordato la figura in questi termini: «Il modo migliore per definire Fritz Mitscher è dire che era una persona obiettiva. Era decisamente obiettivo. … Una persona caratterizzata dall’oggettività. … I suoi interessi erano oggettivi nel senso più elevato del termine. … C’era in lui la più pura dedizione alle cose». E in una poesia scritta da Steiner per il suo necrologio leggiamo: «Del puro amore per la verità / la tua nostalgia aveva la stessa radice». Se prendiamo sul serio tali parole di Rudolf Steiner possiamo escludere che il conferenziere abbia usato tutti quei pleonasmi e Mitscher li abbia eliminati. Anche Sie (Loro): 122/14 e welche(r,s) (che): 229/60 compaiono con una frequenza ben diversa nelle due versioni. Opposto risulta invece per esempio l’uso di dasjenige (ciò che): è risaputo che Steiner lo utilizzava spesso parlando, ma nella O.O. compare 49 volte e in Mitscher 178.
Vegelahn era un attore. Nell’Opera Omnia stessa si trovano affermazioni sulla sua attività di stenografo. Nell’O. O. 128 Fisiologia occulta, il curatore del volume scrive:
«Si può presumere che [Rudolf Steiner] non abbia dato l’imprimatur perché non era soddisfatto della qualità del testo di Vegelahn … Vegelahn, che si rendeva conto dell’incompletezza dei propri appunti, li ha rielaborati in seguito producendo una seconda versione che si differenzia dalla prima per l’aggiunta di tutta una serie di elementi (riempitivi, ripetizioni di passaggi o di ragionamenti precedenti, imitazione di determinate caratteristiche dello stile oratorio di Steiner ecc.)».
Per permettere al lettore di giudicare da sé, le Edizioni Archiati gli mettono a disposizione tutte le fonti in loro possesso nei due fascicoli speciali Buddha und Christus – Textgrundlagen 1 e 2 (ISBN 978-3-938650-89-9 e 978-3-938650-90-5). In Textgrundlagen 1 viene presentato un confronto in parallelo fra una copia fedele del manoscritto di Mitscher e Opera Omnia 114. Gli appunti in chiaro di Mitscher danno nel contempo al lettore la possibilità di seguire tutte le scelte redazionali dell’edizione pubblicata dalle Edizioni Archiati e gli consentono di verificare autonomamente come la versione più lunga dell’O.O. non contenga nulla di nuovo o di diverso rispetto a quella di Mitscher, se non ampliamenti, tra l’altro non sempre del tutto sensati, fatti allo scopo di “abbellire” o commentare. In Textgrundlagen 2 il lettore trova le riproduzioni fedeli dei manoscritti di Mathilde Scholl e Clara Michels.
Ancora qualche nota particolare riguardo a questo volume:
• Le Risposte alle domande del 26 settembre 1909 vengono pubblicate qui per la prima volta e provengono dal manoscritto di Clara Michels. A questo proposito si confronti anche H. Schmidt, Das Vortragswerk Rudolf Steiners, p. 145.
• Tutte le citazioni bibliche corrispondono al manoscritto di Mitscher.
• Le parole tra parentesi vanno attribuite perlopiù a M. Scholl, il cui manoscritto ha consentito anche alcune correzioni della trascrizione in chiaro di Mitscher.
• I titoli del libro e delle conferenze sono opera del redattore.