Pietro Archiati
l’apocalisse di giovanni
Presente e futuro dell’umanità
Volume 2
Pietro Archiati
l’apocalisse di giovanni
Presente e futuro dell’umanità
Volume 2
Gustav Dorè – la donna incoronata
Indice
Prima conferenza
lunedì, 10 novembre 2003, sera
vv. 10,1-4
Seconda conferenza
martedì, 11 novembre 2003, mattina
vv. 10,5-7
Terza conferenza
martedì, 11 novembre 2003, pomeriggio
vv. 10,7-11; 11,1-6
Quarta conferenza
martedì, 11 novembre 2003, sera
vv. 11,7-11,14
Quinta conferenza
mercoledì, 12 novembre, 2003, mattina
vv. 11,15-17
Sesta conferenza
mercoledì, 12 novembre 2003, pomeriggio
vv. 11,18-19
Settima conferenza
mercoledì, 12 novembre 2003, sera
vv. 12,1-3
Ottava conferenza
giovedì, 13 novembre 2003, mattina
vv. 12,4-6
Nona conferenza
giovedì, 13 novembre 2003, pomeriggio
vv. 12,7-11
Decima conferenza
giovedì, 13 novembre 2003, sera
vv. 12,11-17
Undicesima conferenza
venerdì, 14 novembre 2003, mattina
vv. 13,1-18
A proposito di Pietro Archiati
Prima conferenza
lunedì, 10 novembre 2003, sera
vv. 10,1-4
Cari amici!
Un caloroso benvenuto a tutti a queste giornate sull’Apocalisse. Sono particolarmente lieto per la decisione che abbiamo preso lo scorso anno di non fare tutto il testo in una sola volta, perché è un testo cifrato ed è bene concedersi del tempo per immergervisi. Io stesso osservo, anche nel breve trascorrere di un solo anno, di avere acquisito una familiarità un pochino maggiore e di avere un po’ più di fiducia. E ora non so se questa volta porteremo l’analisi del testo fino al suo termine. Mi sono detto che, forse, non è così importante, che non ha alcun senso preferire la rapidità semplificando, però, il contenuto. Ho quindi pensato: vediamo quanto possiamo procedere, e se dovrà esserci un terzo incontro sull’Apocalisse, quelli che desiderano parteciparvi saranno benvenuti, e quelli che preferiscono restarsene a casa sono liberi di farlo. Quindi cerco di orientarmi sui contenuti, perché in queste cose non è facile forzare in una direzione o nell’altra.
Questa volta cominceremo col X capitolo. Ricorderete che, in linea di massima, l’altra volta abbiamo discusso il testo fino al IX capitolo. Quale piccola introduzione ho pensato di offrirvi una riflessione sul modo in cui l’Apocalisse è stata scritta. Nei vangeli, nel modo stesso in cui il Cristo ha improntato le sue parole, i suoi insegnamenti, le sue offerte evolutive, noi abbiamo l’aspetto exoterico, quello adatto a tutti, per il popolo. Exo in greco significa “al di fuori”, quindi non si tratta di qualcosa di nascosto, ma di aperto a tutti. Eso invece significa “dentro”, e l’esoterico è ciò che è destinato alle cerchie interne, e per il quale sono indispensabili alcuni presupposti. Ora, nei vangeli ciò che è exoterico, che è destinato all’esterno, a tutti, al popolo, viene dato in immagini, mentre ciò che è esoterico, riservato alla cerchia interna dei Dodici, viene espresso in concetti.
Quindi noi abbiamo nei vangeli, nel modo stesso in cui il Cristo insegna quando si rivolge al popolo (viene scritto alla lavagna), quando parla a tutti, noi abbiamo immagini, e immagini sono particolarmente contenute nelle parabole, che sono proprio una sequenza di immagini, un racconto in immagini. E poi, per i Discepoli, le immagini vengono tradotte in concetti.
Per tutti: Immagini
Pensiamo alla parabola per eccellenza, quella del seminatore. Al popolo viene narrato che c’era un seminatore che uscì a seminare: una parte del seme cadde sulla strada, altra parte cadde fra le spine, altra ancora fra le pietre e, infine, un’ultima parte cadde sul terreno buono. Sono tutte immagini quelle dei quattro terreni; anche il seme è un’immagine, così come il seminatore. Ai Discepoli tutto ciò viene tradotto e esplicato in concetti: il seme è la Parola, i terreni solo le anime umane, ovvero i modi in cui gli uomini afferrano la Parola col loro pensare.
Bene. Nell’Apocalisse abbiamo l’opposto. L’Apocalisse è composta dalla prima all’ultima parola da immagini, e viene lasciato a noi il compito di tradurre queste immagini in concetti.
Si potrebbe quasi dire che l’Apocalista ha sigillato la sua Apocalisse in immagini così che, dapprima, solo pochi uomini le capiscano. Le decifrazioni sono per tutti, ma nell’Apocalisse avviene l’opposto: le interpretazioni, cioè i concetti, sono per tutti, mentre le immagini erano dapprima solo per gli iniziati, per quei pochi uomini che potevano capirle.
Ora ci possiamo porre la domanda: quando viene il momento evolutivo in cui sarà possibile, a partire dal grado di coscienza raggiunto dagli uomini (che in fondo oggi è stato raggiunto da tutti quegli uomini che partecipano all’evoluzione dell’umanità), tradurre quelle immagini in concetti? La risposta è: il nostro tempo è il primo che a partire dal grado evolutivo raggiunto dall’intera umanità renderà possibile tradurre in concetti universalmente comprensibili quelle immagini che in un primo momento erano profondamente esoteriche, sigillate.
Che sia così lo dimostra paradigmaticamente il fatto che noi viviamo nel momento storico, iniziato da un secolo, nel quale è stato posto il primo fondamento di una scienza dello spirito mediante “l’evento” Rudolf Steiner. Il senso di questa scienza dello spirito è proprio di elevare tutto ciò che era immaginativo, ciò che dapprima si presentava solo in forma esoterica, ancora da dissuggellare, fino al livello ispirativo, così da tradurlo in concetti. Si potrebbe anche dire che il piano delle immagini, del vedere, è quello del percepire nel soprasensibile. Quando vengono viste immagini si tratta di un aver percepito nel soprasensibile. Ma il fatto di capirle, di tradurre queste immagini in concetti, questo secondo livello in cui ciò che è stato visto, ciò che viene percepito viene anche articolato, compreso mediante un sistema concettuale, è denominato da Steiner il livello della ispirazione.
Ne consegue che, quando l’uomo traduce il piano dell’immaginazione, della percezione di immagini – immagini piene di mistero – attraverso l’ispirazione, e compenetra queste immagini con il pensare, traendone concetti, allora si ha il terzo livello, quello dell’intuizione. Perché attraverso la formazione di concetti, attraverso la comprensione concettuale dell’immagine si afferra anche quali Esseri spirituali stiano dietro queste immagini e dietro questi concetti.
Sorge di nuovo la domanda: come si può prevedere il futuro (questo quesito era sorto anche la volta scorsa) se la legge evolutiva è quella della libertà? Si può senza dubbio prevedere il futuro se la cosa più importante nell’evoluzione dell’uomo è la libertà? A questa domanda dobbiamo ritornare sempre di nuovo, perché è la domanda dell’Apocalisse: è possibile insomma prevedere anticipatamente, profetizzare con certezza come fa l’Apocalista, ciò che avverrà nel futuro?
Ci aiuta, di nuovo, una scienza del soprasensibile, e propriamente (v. Fig. p. 17) questo sarebbe ora il modo in cui noi possiamo fare il primo passo fondamentale nella ricerca del significato delle immagini dell’Apocalisse. Questo potrebbe essere l’inizio e il compimento dell’evoluzione, l’alfa e l’omega, perché nel testo si dice: io sono l’alfa e l’omega[1]. L’Io sono, l’Io che si evolve, l’Io che diviene il Tutto, il senso del tutto. Il diventare Io, il divenire un Io è l’inizio, il centro e il compimento dell’evoluzione. Allora il senso di tutta l’evoluzione è la possibilità di diventare sempre più pienamente individuali, di maturare quale Io completi.
Ora noi abbiamo a disposizione la nostra individualità, e dobbiamo chiederci: l’evoluzione dell’Io ha una sua propria struttura? La prima cosa che c’è da dire è che l’evoluzione dell’Io è possibile soltanto se c’è una svolta. L’evoluzione dell’Io presuppone una svolta. Perciò ho disegnato un movimento in questa direzione, e poi l’ho proseguito in direzione opposta. Vedete: questa immagine – e io ora sono qui per tradurla in concetti – ha questa direzione fino al suo punto centrale, perché qui abbiamo il concetto di centro, e il concetto di centro è: qui la direzione deve ribaltarsi, si capovolge e riprende ad andare verso l’alto. Fino al centro si tratta della preparazione, e dopo il centro del compimento (v. Fig. p. 17). Quindi: preparazione e compimento.
Come nella vita umana l’età infantile è una sorta di preparazione al divenire propriamente uomo, così viene il compimento. Non possiamo dire che nell’essere umano di tre, quattro anni, c’è già compimento. Diremmo piuttosto che c’è ancora un gran lavorìo di preparazione. A quattro anni non è ancora presente in un essere umano ciò che sarà lo specifico della sua esistenza, perché non è ancora pronto. Lo sarà piuttosto a venti, trenta, quarant’anni, quando si porrà di fronte al mondo, quando porterà il suo contributo, quando parteciperà al tutto. Da bambino piccolo c’è solo la preparazione.
Possiamo dunque dire che nel divenire-Io ci devono essere due gradini: preparazione e compimento. Ora uso due altri concetti, e precisamente: conduzione dall’esterno, quale preparazione – la pedagogia dove l’uomo è ancora condotto da genitori e maestri – e questa conduzione dall’esterno deve cambiare assolutamente direzione; se deve sorgere individualità la conduzione deve diventare conduzione dall’interno, autoconduzione. Affinché avvenga questo passaggio è necessario che ci sia questo capovolgimento di direzione. Se vogliamo dirlo in termini cristiani, fino al centro si tratta dell’Antico Testamento e dopo del Nuovo Testamento. Solo che si deve spiegare quello che si intende con questi due concetti.
Antico Testamento: legge data dall’esterno. Nuovo Testamento: la legge viene interiorizzata. Ciò che l’educatore mi ha insegnato, ciò che dovevo fare, l’ho fatto davvero, ne ho fatta l’esperienza e mi ha fatto davvero molto bene, e ora faccio da solo ciò che è giusto, faccio il bene non più perché devo, ma perché lo voglio io stesso, perché sperimento in prima persona che mi fa bene.
Dunque: dal dovere al volere, dall’essere condotti alla libertà; questo è ciò che succede alla svolta dell’evoluzione. Lo specifico dell’Apocalisse consiste nel sapere che per ogni gradino precedente la svolta si può predire: tutto questo sarà ripetuto dopo la svolta a un gradino più alto. E poiché la seconda metà è una ripetizione della prima in chiave di libertà, allora si può predire qual è il gradino evolutivo che viene offerto agli uomini. Quello che però non viene detto, ed è molto importante, è se il singolo uomo eserciterà la sua libertà.
E ora devo completare il disegno: ora dobbiamo lasciare aperta anche questa direzione, perché fino alla svolta ci sono solo le premesse della libertà – questo può essere capito anche pensando alla vita umana – ma a partire dal centro, dalla svolta, da quando l’uomo ha nelle sue mani tutti gli strumenti per esercitare la sua libertà, è libero di andare verso l’alto oppure verso il basso. E come l’individuo, il singolo uomo, si evolverà, questo non si può predire.
Ecco perché Rudolf Steiner distingue sempre di nuovo fra evoluzione di razza (anche questi sono concetti che noi vogliamo comprendere) ed evoluzione individuale. La prima significa: poiché ogni uomo deve avere la libertà sia di realizzare la propria individualità come anche di far marcia indietro in direzione del male, devono esserci possibilità cosmiche, situazioni, condizioni, diciamo che vengono create vere e proprie condizioni evolutive, per cui ogni uomo decide se andare qui o lì (v. Fig. p. 17). Questo significa che tutte queste condizioni del bene e tutte queste condizioni del male ci devono essere. Queste sono forze che devono essere preparate. Quando l’uomo si unisce con le forze del bene sale verso l’alto, e quando si unisce con le forze del male – che devono assolutamente esserci e che chiamiamo controforze – va verso il basso. Ma come il singolo si evolve non può essere predetto, altrimenti non ci sarebbe la libertà. Però, forze e controforze debbono essere presenti, e verranno descritte ai diversi livelli. Quindi qui (v. Fig. p. 17), iniziali forze del bene e qui, iniziali forze del male; poi impulsi più vigorosamente buoni o, invece, più decisamente cattivi; infine, impulsi del bene e del male definitivi. Così deve essere. Qui scrivo “forze del bene” e qui “controforze”, devono esserci entrambe. (v. Fig. p. 17)
Questo è il nocciolo della questione: debbono esserci entrambe nel mondo e ai diversi livelli, iniziali, centrali e definitivi, e l’uomo decide, ogni volta, con quali forze unirsi. Determinante, per la decisone del singolo con quali forze unirsi, è la propria coscienza, la propria comprensione. Perché se l’individuo non ci capisce niente, se per esempio scambia le forze con le controforze o viceversa, allora sì che diventa difficile.
Dunque possiamo dire che per gli individui c’è una duplice evoluzione: una la chiamiamo l’evoluzione intellettuale della coscienza, del conoscere, dove si tratta di capire sempre meglio le cose, di guardarci dentro sempre meglio; e poi, sulla base dell’evoluzione conoscitiva, l’evoluzione morale, perché non si tratta solo di distinguere il bene dal male, quanto piuttosto di fare il bene, realizzare ciò che è buono. Solo che l’evoluzione morale presuppone quella intellettuale, l’evoluzione conoscitiva. Un bell’esempio delle controforze è il nostro bravo Mefistofele nel Faust di Goethe. Qui la fenomenologia delle necessarie controforze viene illustrata nel migliore dei modi. È compito di Faust scoprire che Mefistofele è un buon diavolo; cioè, che il suo compito specifico è quello di ispirare sempre all’uomo ciò che non è buono. Questo è il suo compito. E il compito dell’uomo è di riconoscerlo e fare qualcosa di opposto. Allora l’uomo evolve. Per il Faust sarebbe veramente tragico, apocalitticamente funesto pensare che Mefistofele è buono. Allora Faust farebbe proprio ciò che Mefistofele gli ispira. Per esempio, Mefistofele dice a Faust che non deve andare nel regno delle Madri, perché lì non troverebbe nulla. Il regno delle Madri è il mondo dello Spirito. Il suggerimento della controforza, l’ispirazione del materialismo è proprio questa: lo spirito non esiste, la materia è qualcosa e lo spirito non esiste. Se Faust non riconoscesse che questo è un suggerimento del diavolo, cioè che questa ispirazione c’è in quanto necessaria controforza destinata a essere riconosciuta per diventare sempre più desti nella propria coscienza – perché quando l’uomo capisce e riconosce diventa sempre più sveglio nella sua coscienza – allora si lascerebbe abbindolare, rinuncerebbe – un grave peccato di omissione – al bene di sperimentare il mondo spirituale nei suoi fondamenti, di fare direttamente l’esperienza della realtà dello spirito.
Il modo in cui Faust correttamente agisce con le forze dell’ostacolo è manifestato dal fatto che lui riconosce Mefistofele e gli dice: bene, tu dici che lo spirito è nulla «Nel tuo nulla spero di trovare il tutto»[2]. Questo sta a significare che Faust riconosce a Mefistofele il suo necessario compito di controforza, assolutamente necessaria, che deve essere riconosciuta e, diciamolo tranquillamente, è proprio nella lotta cosciente contro di essa, nell’esercizio coraggioso di opposizione ad essa che si rinvigoriscono le forze del bene. Perché ogni forza può diventare più forte solo attraverso la contrapposizione con la controforza. Se non ci fosse la possibilità di sbagliare noi non potremmo evolverci nel pensare. La controforza del pensare è l’errore, e la possibilità di sbagliare deve esserci perché attraverso l’errore, attraverso il fatto che io posso sempre tornare a sbagliarmi vengo portato o a riconoscerlo oppure a patire le conseguenze delle mie illusioni, dei miei errori. Interagire con le controforze serve a rendermi sempre migliore a livello di forze pensanti, sempre meno incline a cadere in errore.
In questo senso, allora, il futuro è profetizzabile, prevedibile: i gradini, gli stadi del bene e gli stadi del male, e questo è l’Apocalisse. Si potrebbe dire che è l’essenza dell’Apocalisse. L’uomo che ha scritto l’Apocalisse ha redatto due testi fondamentali per il cristianesimo e per l’umanità tutta: il Vangelo di Giovanni è la fenomenologia della svolta, e precisamente la fenomenologia della svolta così come sempre avviene, perché svolta c’è sempre, l’interiore movimento di capovolgimento avviene sempre quando l’uomo anche nelle cose più piccole cessa di essere dipendente da una direzione esterna e impara ad autogestirsi, ad assumersi responsabilità, a essere libero.
Quindi la svolta storica oggettiva dell’umanità, descritta nel Vangelo di Giovanni, ha reso possibili tutti gli eventi di svolta che gli uomini possono realizzare nella seconda metà dell’evoluzione. Il Vangelo di Giovanni è la fenomenologia della svolta, e l’Apocalisse è la fenomenologia del compimento dell’evoluzione; questo significa che nell’Apocalisse abbiamo le leggi della seconda metà dell’evoluzione, quelle dell’evoluzione positiva e quelle dell’evoluzione negativa. Sono leggi nel senso che sono forze ed Esseri con tutto ciò che ad essi si riferisce. Sono un’offerta, dapprima, al pensiero dell’uomo, affinché capisca, comprenda sempre meglio. Perché già il capire non è un affare semplice: è già difficile afferrare quel che si presenta e quindi lo è ancor di più rispetto a quel che sta sorgendo, oppure che non è ancora presente. In quest’ultimo caso il pensare deve diventare ancora più vigoroso se vuol capire le leggi che presiedono le possibilità evolutive offerte all’uomo nel futuro.
Il primo compito che abbiamo nei confronti dell’Apocalisse è quello di capirla, e il secondo, naturalmente, è quello di realizzarla, cioè di realizzare le possibilità evolutive che vi sono descritte. In questo senso l’Apocalisse è il contenuto dell’Io cristificato – nella misura in cui l’Io può cristificarsi, e la legge universale dell’evoluzione è proprio questo divenire dell’Io. Il contenuto dell’Apocalisse è il divenire dell’Io, e cristificarsi vuol dire far proprio il contenuto dell’Apocalisse: farne il contenuto del proprio pensare, della propria anima, del proprio cuore, del proprio agire. In questo senso si può dire che l’Apocalisse mostra i passi della cristificazione dell’uomo, del diventare Io, che è lo stesso. L’uomo diventerà sempre più apocalittico nel corso dell’evoluzione. Quello che in quel testo viene illustrato sarà il contenuto del suo pensare e del suo agire morale.
Allo stesso modo si potrebbe dire che l’Apocalisse è la somma delle intuizioni conoscitive della seconda metà dell’evoluzione quali compimento della prima metà, e che è anche la somma delle intuizioni morali. In questo senso l’Apocalisse è la somma dei contenuti dell’Io di ogni uomo.
Guardiamo insieme il decimo capitolo, dal quale ora iniziamo. Prima leggo la traduzione di Lutero che è quella usuale nei Paesi di lingua tedesca, e che non è niente male. Se prescindiamo dall’antroposofia, dai fondamenti della scienza dello spirito di Rudolf Steiner – l’ho detto spesso – la traduzione di Lutero resta la più seria, la più accurata, la migliore. Come ho detto, se prescindiamo dalle traduzioni che potrebbero essere fatte sul fondamento della scienza dello spirito di Rudolf Steiner.
Ho sempre detto che la cosiddetta “traduzione concordata” è un vero disastro. Una ventina d’anni fa si è riunito un comitato di biblisti cattolici e protestanti che si sono confrontati molto cordialmente ma che, per arrivare a una traduzione che andasse bene a entrambi, hanno dovuto fare tali e tanti compromessi, tali e tanti tagli al testo che alla fine la concordanza è stata trovata, ma della Bibbia è rimasto ben poco. Per me è una pessima traduzione.
Di gran lunga migliore la traduzione di Lutero! Inoltre da tanto tempo c’è un’edizione col testo greco e a fianco sia la traduzione di Lutero sia quella concordata. Potete così fare il paragone e rendervi conto del giudizio che ho espresso.
Diverso è il caso di quei lavori pionieristici come le traduzioni di Emil Bock, molto coraggiose, perché rappresentano il primo tentativo di traduzione fatto in ambito scientifico spirituale. Bock ha lavorato molto in questa direzione, e ha tradotto tutto il Nuovo Testamento. Come lavoro pionieristico è senz’altro da apprezzare. D’altra parte io ho sempre pensato che le persone che hanno accesso direttamente al testo originale si irritano, e non del tutto ingiustamente, per tutta l’antroposofia che c’è dentro. In tedesco abbiamo spesso tre, quattro o cinque parole dove in greco ce n’è una, così l’esegeta dice: ma questa non è una traduzione, è una parafrasi! E questo può essere utile per lo studio, però bisogna onestamente riconoscere che quando è troppa, allora non è più una traduzione. Ma, come ho detto, si tratta dell’unica traduzione completa del Nuovo Testamento fatta con una conoscenza scientifico spirituale. Non ho mai fatto mistero del fatto che sono immensamente grato alla scienza dello spirito, dopo tutti gli studi esegetici e teologici che ho fatto, perché solo lei mi ha aperto la comprensione dell’Apocalisse.
Ecco quindi la traduzione riveduta di Lutero del decimo capitolo:
10,1 «Ed io vidi un altro Angelo possente discendere dal cielo, avvolto da una nube e con l’arcobaleno sopra il suo capo, e il suo volto era come il Sole, e i suoi piedi come colonne di fuoco.»
10,2 «Aveva nelle sue mani un libricino, che era aperto. E posò il suo piede destro sul mare e quello sinistro sulla Terra.»
10,3 «e gridò a gran voce, come un leone che ruggisce. E quando gridò i sette tuoni fecero sentire la loro voce.»
10,4 «Dopo che i sette tuoni ebbero parlato, volli scriverlo. Allora udii una voce dal cielo dirmi: sigilla ciò che i sette tuoni hanno detto, e non scriverlo!»
10,5 «E l’Angelo, che io vidi stare sul mare e sulla Terra, alzò la sua mano verso il cielo»
10,6 «e giurò a Colui che vive per i secoli dei secoli, che ha fatto i Cieli e ciò che in essi è contenuto e la Terra con tutto quanto contiene, e il mare con tutto ciò che vi è in esso: Non ci sarà più tempo,»
10,7 «ma nei giorni quando il settimo Angelo eleverà la sua voce, e le trombe suoneranno, allora sarà compiuto il mistero di Dio, come l’aveva preannunciato ai suoi servi, i Profeti.»
10,8 «E la voce che io avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo e disse: vai, prendi il libro aperto dalla mano dell’Angelo che sta sulla Terra e sul mare!»
10,9 «Io andai dall’Angelo e gli dissi: dammi il libricino! Ed egli mi disse: prendilo e ingoialo. Ti sarà amaro nelle viscere ma sulla tua bocca sarà dolce come il miele.»
10,10 «E io lo presi dalle mani dell’Angelo e lo ingoiai. Era dolce come il miele sulle mie labbra, ma quando l’ebbi mangiato, era amaro nelle viscere.»
10,11 «E mi fu detto: tu devi ora parlare saggiamente davanti ai popoli, alle nazioni alle lingue e a molti re».
10,1 «Ed io vidi un altro Angelo possente discendere dal cielo, avvolto da una nube e con l’arcobaleno sopra il suo capo, e il suo volto era come il Sole, e i suoi piedi come colonne di fuoco.»
Vediamo la poderosa apparizione di un Angelo, ¥ggelon „scurÕn, un Angelo possente. Da Rudolf Steiner viene tradotto come Angelo di forza. Diciamo fin da subito che il vigore, a cui è congiunta la forza di questo Angelo, evoca non solo la comprensione di qualcosa, ma un impulso volitivo, un’azione, qualcosa che deve essere fatto, portato a compimento: ecco perché si parla di Angelo forte.
Poiché non si tratta solo di una concezione del mondo, quanto piuttosto di qualcosa da fare, da compiere, per questo motivo vediamo assieme all’Angelo un libricino che non è solo da leggere, in tal caso sarebbe in bocca, ma da digerire. Questo significa che non si tratta di qualcosa che deve essere soltanto imparato, ma di una realtà del divenire, che deve essere fatta, deve essere compiuta.
In questo senso questa immaginazione dell’Apocalista nel X capitolo è così importante. E le comunicazioni di Rudolf Steiner vanno decisamente in questa direzione perché lui dice: questa immaginazione ha particolarmente a che fare col nostro tempo, perché questo Angelo è come un’immagine dell’intera umanità. Avrete notato che intorno al suo capo c’è una nuvola, cioè le forze solari nella testa e nel petto; poi i piedi infuocati. Questa triplicità è molto importante: il bianco della nuvola – si potrebbe quasi dire che questa nuvola si possa collegare alle ali dell’Angelo possente. Poi volto e cuore collegati con le forze solari e infine, dove si parla degli arti, si tratta del sistema del ricambio, il fuoco, le forze volitive. (v. Fig. p. 25) Viene mostrato l’uomo tripartito. Faccio uno schizzo semplicissimo: qui c’è un Angelo, ma in forma di uomo. Questo bianco, diciamo che è la saggezza; poi l’oro, il giallo, il colore solare verso la metà, cioè le forze del centro. Sarebbero le forze dell’amore, del sentire. Quindi: qui il pensare e qui il sentire, l’amore. Il senso ultimo della Terra è di trasformare un cosmo di saggezza in un cosmo d’amore. Poi ci sono i piedi infuocati (possiamo disegnarli in rosso). Dobbiamo intendere tutto questo come se fosse un’aura, perché sono forze del tipo di quelle dell’aura che circonda l’uomo. Qui c’è la volontà, i piedi infuocati, questi impulsi volitivi destinati ad andare, a fare qualcosa: le azioni degli uomini, quindi. La saggezza sono le forze di pensiero.
Questa è l’immagine, la visione che ha l’Apocalista.
Se noi prendiamo il volumetto di Rudolf Steiner Come si conseguono le conoscenze dei mondi superiori? [3] troviamo detto che nel passaggio della soglia, quando l’uomo comincia ad attraversare la soglia fra il mondo fisico e quello spirituale, e muoversi fra mondo fisico e mondo spirituale, allora giunge a una prima esperienza del sovrasensibile. E nel nostro tempo molte persone disperate e oppresse dal materialismo anelano a questo cammino. Se l’uomo inizia veramente e seriamente a percorrere il cammino interiore per sperimentare questa liberazione, oggi ha a disposizione tutte le possibilità, tutte le premesse indispensabili per farlo. Alle prime, fondamentali esperienze appartiene la percezione della triarticolazione dell’essere umano. Così come qui, nel mondo sensibile, l’uomo è in una certa misura una unità, una unità caotica – come dice il quarto re nella Fiaba del serpente verde e della bella Lilia di Goethe[4] – nel momento in cui oltrepassa la soglia, egli sperimenta che l’essere umano è triarticolato. Le forze del pensare, della saggezza, della conoscenza, della coscienza appartengono a un mondo tutto loro; le forze del sentire, dell’amore, del sentimento appartengono a un mondo diverso; e quelle della volontà, del sistema della membra, appartengono a un altro mondo ancora.
Rudolf Steiner aggiunge una prospettiva antropologica – e potete leggerlo in quel meraviglioso testo che ho fra le mani e che menzionerò spesso in questi giorni: il volume 346[5] dell’Opera omnia – là dove dice: l’umanità odierna (oggi più che mai, dopo che il numero della bestia, il numero 666 si è realizzato per la terza volta nel 1998, lo vedremo nei prossimi giorni) vive nel tempo del compimento, del triplice compimento del numero della bestia, e questo è proprio il tempo in cui tutta l’umanità, e non solo il singolo individuo, oltrepassa la soglia. E che tutta l’umanità varca la soglia significa che non sarà più possibile vivere così come se l’umanità fosse solo un’unità. Ora noi capiremo l’umanità solo se la concepiremo triarticolata, e precisamente: a Oriente le forze che hanno particolarmente a che fare con la saggezza, tutte le premesse indispensabili per la saggezza (ex oriente lux) e minime, ma veramente minime, capacità che hanno a che fare con la conquista del mondo terrestre. In Occidente, invece, i piedi infuocati, e cioè queste forze volitive di conquista della Terra con tutto quanto vi è connesso. E il centro: cangiante – io l’ho dipinto in giallo – oro, ma in greco c’è “arcobaleno”.
Dunque qui c’è l’uomo-nuvola: possiamo dire che è una cultura orientale;
Centro: uomo-arcobaleno, cangiante e in movimento fra sopra e sotto;
Occidente: uomo dai piedi infuocati, pure forze di volontà. La gioia di fare, di realizzare, di creare, aerei o carri armati o qualcosa d’altro da portare a esistenza qui sulla Terra. Ecco l’uomo coi piedi infuocati dell’Occidente.
Solo se noi impariamo a vedere l’individuo-umanità in questo modo triarticolato, allora capiremo davvero meglio le culture. E ogni individuo sentirà il compito di realizzare in se stesso l’armonia di queste tre forze. In particolare, un uomo cresciuto in Oriente e che ora capisce l’Apocalisse o la scienza dello spirito dirà: bene, la mia cultura mi ha donato il fatto di sentirmi a casa mia nello spirituale; quel che viene dal centro o dall’Occidente sono io che devo conquistarmelo. È meraviglioso il fatto che la natura offra qualcosa e lasci alla libertà il resto.
L’occidentale può essere grato alla sua cultura per avergli offerto quella particolare inclinazione alla conquista del mondo terrestre, e può dire a se stesso: come individuo sono grato alla possibilità, al compito che ho di conquistarmi liberamente gli impulsi che vengono dal centro e dall’est. Debbo trovare liberamente e in me stesso quell’armonia che la mia cultura non può assolutamente darmi da sé, altrimenti io non avrei nulla da fare.
E all’uomo del centro la sua cultura dà, per così dire, due destini. La cultura orientale porta all’umanità una unilateralità e il compito di conquistarsi gli altri due lati. La cultura occidentale dà all’uomo l’altra unilateralità, e il rispettivo compito. Quella del centro offre, in quanto tale, entrambe le unilateralità, proprio perché oscilla continuamente tra volontà di conoscenza, o teoria, e materialismo: astrazione – materialismo. Qui la tentazione dell’astrazione e qui quella del materialismo. (v. Fig. p. 25).
Questo significa che l’individuo cresciuto al centro, che si è formato culturalmente al centro sperimenta una provocazione ancora più grande, e non dimentichiamo che nel corso dell’evoluzione tutti gli individui sperimentano le tre posizioni. Non per il fatto che noi ora, in questa incarnazione, stiamo facendo l’esperienza del centro, non per questo siamo diversi dagli altri; la prossima volta per noi sarà di nuovo tutto diverso. Ma un individuo cresciuto in questa vita nella cultura centrale è sottoposto a entrambe le unilateralità, e può passare in un battibaleno da un estremo all’altro.
Intervento: Ma qui, nel testo c’è scritto: rivestito con una nuvola e con l’arcobaleno sopra il suo capo, ™pˆ tÁj kefalÁj aÙtoà. Lei ora lo ha dipinto invertito.
Archiati: Sì, questa è una difficoltà col testo greco, anche col testo originale. Ora arriviamo all’analisi parola per parola del testo. Io stesso sono inciampato su questo testo greco. Perché in Steiner – su questo punto quelli che sono qui per la prima volta e non lo conoscono sono pregati, per il momento, di soprassedere, di sospendere il giudizio – si leggono alcune affermazioni che hanno senso solo se si presuppone che lui abbia visto queste cose esattamente come l’Apocalista. Solo che Steiner le guarda duemila anni dopo, con una capacità di penetrazione del pensare, se così si può dire, ancora maggiore. Perciò lui ha la possibilità di riportare a una coerenza quello che salta fuori come incorente nel testo. Perché se si parla di nuvole, di arcobaleno e di piedi infuocati e se si vuol capire cosa significa, allora vanno messi nell’ordine che io ho disegnato alla lavagna.
Voi vedete che io ho disegnato quello che ha forma di nuvole sopra la testa. E non ho nulla in contrario se la testa e il cuore sono avvolti da quell’altra realtà più solare. Ho disegnato con molta attenzione: l’importante è che noi capiamo cosa significa.
Voi dite che la saggezza è nella testa. Sì e no. Nella prima metà dell’evoluzione era la testa a essere più legata con la saggezza divina. Ma nella seconda metà dell’evoluzione la testa viene compenetrata con la saggezza dell’amore, e quindi la testa stessa comincia ad appartenere al centro. Si tratta di rendere ancora più complessa la lettura del testo, il che vuol dire una lettura in chiave evolutiva.
In realtà, analizzando ora letteralmente il versetto 10,1 l’Angelo possente kataba…nonta, cioè dapprima è in movimento verso il basso; e poi si precisa, scende giù, ™k toà oÙranoà, dal cielo. Dobbiamo perciò pensarlo in movimento e questo complica la questione. Peribeblhmšnon nefšlhn, è avvolto da una nuvola; ma il testo in un primo momento non precisa se avvolge la testa, o il cuore o i piedi – dice solo: avvolge. Questo indica che la nuvola, in prima istanza, è qualcosa di esterno. Poi vengono le due altre cose, più verso l’interno: la seconda è metà dentro e metà fuori, è qui e là: l’ispirazione. Infine i piedi infuocati sono veramente quello che appartiene all’uomo e stanno all’interno.
Dunque, le nubi sono le forze che appartengono di più all’aura, all’interazione col mondo esterno. La seconda realtà si muove tra interno e esterno, e la terza appartiene del tutto all’uomo. Gli impulsi volitivi sono i propri, i piedi infuocati, quello che appartiene a lui. Vedete che il tutto diventa più complicato con il movimento, con l’evoluzione.
Peribeblhmšnon nefšlhn: circondata, avvolta, questo significa il verbo peri-ballo; quindi queste forze vengono riversate intorno all’uomo.
Kaˆ ¹ iriς ™pˆ tÁj kefalÁj aÙtoà, e un arcobaleno sul suo capo; epi (sul), sul suo capo, kaˆ tÕ prÒswpon aÙtoà, e il suo volto, il suo viso æj Ð ¼lioj, come il Sole, e i suoi piedi come colonne di fuoco, colonne infuocate.
10,2 «Aveva nelle sue mani un libricino, che era aperto. E posò il suo piede destro sul mare e quello sinistro sulla Terra»
Kaˆ œcwn ™n tÍ ceirˆ aÙtoà, avendo nella sua mano – ora compare la mano – biblar…dion un libricino. Un libro è tutto ciò che sta scritto nel mondo, e il libricino è il libro piccolo, è l’Io dell’uomo. Conoscenza del mondo, il libro grande; conoscenza dell’uomo, il libro piccolo. È il modo in cui viene abbracciato il senso complessivo dell’evoluzione nel cosmo intero, è l’uomo quale rispecchiamento, quaggiù, di ciò che è là fuori nel macrocosmo, un riassunto di tutto quello che c’è, questo è un libricino. È l’uomo quale sintesi di tutte le forze.
L’Apocalisse, dunque, diventa il contenuto dell’io e il libricino è l’Io, dove tutto viene scritto e sul quale tutto può essere letto, dove tutto è sigillato e dove tutto può essere aperto. E il libro è aperto, si può leggere.
Vedremo come all’Apocalista è detto: caro uomo, tu devi prendere il libricino, non solo riceverlo, ma prenderlo. Per questo motivo va dall’Angelo e dice: dammi il libricino! Quindi l’uomo deve prendere l’iniziativa – lo vedremo parola per parola – perché se l’essere umano non chiede di leggere il libricino, non gli viene dato. Viene dato solo a chi lo chiede. «Prendi il libricino»: perché non ti viene dato se tu non lo chiedi, prendi! Tu devi prenderlo. Come nei vangeli è detto che il regno dei cieli ammette la forza e solo i forti se ne impadroniscono[6], significa: datti da fare, prendi l’iniziativa. Quello che può conseguire la libertà, non può darlo la grazia, altrimenti la libertà non potrebbe conquistarlo autonomamente.
Qui, di fronte al libricino, è importante vedere come rispecchia il cosmo intero, riflesso nell’io dell’uomo, nella sua individualità, perché è proprio l’attività dell’uomo che viene presupposta, un’attività in se stesso, nel suo essere, di natura conoscitiva e volitiva, quale uomo-nuvola e uomo-dai piedi infuocati, che deve realizzare, riempire il libricino, leggere e scrivere tutto quello che ci può essere contenuto.
E questo Angelo pose i suoi piedi, œqhken tÕn pÒda aÙtoà, il destro sul mare e il sinistro sulla terra. Notate bene, i significati di queste immagini non sono mai univoci, anzi, l’Apocalisse è redatta in immagini proprio perché sono molto ricche e rendono possibile l’interpretazione a molti livelli. Quindi se noi diciamo, oppure se io dico: sì, Steiner qui ha indicato questa interpretazione, non significa affatto che questa sia l’unica interpretazione possibile. Non è mai inteso così. Sta piuttosto a significare che quello è uno dei significati, e non è mai in contraddizione con altri livelli interpretativi. Se il significato di queste immagini fosse univoco, allora il redattore di quel testo avrebbe usato concetti, perché questi sì che sono univoci. Il senso delle immagini è di avere molteplici significati.
Mi darete ragione se dico che ascoltando una favola o raccontandola a un bambino, il senso non è dire: ah, questa immagine vuol dire questo e nient’altro. No, il senso di una immagine è che in quanto immagine è inesauribile.
Se dico: prendete questa triplicità di immagini, delle nuvole, dell’arcobaleno e delle colonne di fuoco quali espressioni del pensare, del sentire e del volere, questo non significa affatto che quella sia l’unica interpretazione possibile. Voi adesso potreste prendere un tutt’altro nesso, senza entrare in contraddizione con questo, naturalmente, perché quando le cose si contraddicono il pensiero non procede. Quindi l’arte è quella di creare un accordo tra le più diverse interpretazioni o significati. Potete optare per altre interpretazioni delle nubi, dell’arcobaleno e dei piedi infuocati, se queste spiegano meglio il testo.
Avete osservato che il testo alla lettera dice: le nubi lo avvolgono, ma l’arcobaleno è sul suo capo e il suo volto è come il Sole. Quindi possiamo ricavare da questo testo anche una quadruplicità. Steiner indica in diversi contesti una triplicità, particolarmente in relazione al passaggio della soglia. Ma, se volete, è possibile scorgervi anche una quadruplicità, e precisamente: le nuvole, l’arcobaleno, il sole e i piedi infuocati. È del tutto legittimo. Bene, ma passare da un ritmo di tre a una quadruplicità, anche questa è un’arte del pensare, perché si può procedere in modo da arricchirsi e senza contraddizioni, oppure si può diventare incoerenti, entrambe le cose sono possibili. E questo viene lasciato a ognuno.
Questo rende il testo così ricco ma anche così difficile, perché le immagini sono così sigillate che possono essere aperte ai livelli più diversi.
Dove il testo diventa piuttosto criptico, sono grato di avere, per come lo conosco, il messaggio univoco di Rudolf Steiner, preferisco attenermi alle sue affermazioni nei punti in cui ritengo mi semplifichi la comprensione del testo, là dove è più difficile. Infatti non è esatto affermare che la nube è posata sul capo e l’arcobaleno sul petto. No, non è così, nel testo è più complicato, e quindi dico a me stesso: bene, avrai ancora tempo per vivere insieme a questo testo, e non solo in questa vita, ma ben di più.
A questo punto bisogna anche avere l’umiltà di dire a se stessi: non devo mica capire tutto adesso, soprattutto perché il testo è così vario e complesso. Ognuno deve concedersi di fare quello che gli è possibile, quello che rientra nelle sue capacità. Questo è ovvio.
Cosa sono i due piedi, il mare, l’acqua e la terra? Il piede destro è posto sul mare: prendiamolo dal lato del pensare. Nella sfera eterico-vivente, nell’ambito libero dalla corporeità il pensare è attivo, è creativo: ecco il piede destro. Perché tutto ciò che sta a destra, giudicato psicologicamente, è attivo – anche se gli uomini oggi non sempre vi prestano attenzione, mentre farebbero meglio a farlo –, poiché la metà destra è la metà attiva. È bene educare il bambino all’uso della mano destra nell’attività, perché è la più forte: il bambino scrive con la destra, non è normale che lo faccia con la sinistra.
Quindi la destra sta per l’attività, e quella deve esserci. Ma l’uomo deve anche poter ricevere: a questo scopo c’è la sinistra. La sinistra c’è per ricevere. Nella realtà fisica, dove l’uomo ha l’altro piede sulla terra, è dove l’uomo pensa con l’appoggio del cervello fisico; qui è l’uomo passivo, che riceve, quello del piede sinistro.
Con ciò non voglio dire che questo sia il significato dei due piedi; questo è un significato, soltanto uno di quelli possibili. Un altro significato è che nell’evoluzione atlantica, dove ora c’è l’acqua, è stato compiuto il primo grandioso passo evolutivo – il primo piede –, attivo nel senso che è stato posto il fondamento, le premesse necessarie, o il seme. E poi viene il periodo postatlantico – il secondo piede, quello sulla terra –, cioè tutte le culture sorte sulla Terra: l’indiana, la persiana, l’egizio-caldaica, e cosi via; questo è il raccolto. E il raccolto di quanto è stato seminato nel momento del piede destro nell’acqua è più passivo, più ricettivo, rispetto al lavoro attivo della semina, del seminare. Anche questa è, certamente, una prospettiva contenuta in questi due piedi.
Quando si medita oppure, meglio ancora, con riconoscenza si digeriscono sempre di più i volumi dell’Opera omnia di Steiner, diventa chiaro: anche questi sono libricini che debbono essere digeriti. Improvvisamente, leggendo una conferenza di Steiner, ci si dice: ah… ora capisco questo versetto dell’Apocalisse! Succede veramente così. Si è rimasti fermi tanto tempo, come il bue davanti alla montagna, e poi si legge qualcosa di Steiner e si pensa: questa è la chiave per capire!
10,3 «E gridò a gran voce, come un leone che ruggisce. E quando gridò i sette tuoni fecero sentire la loro voce»
E gridò a gran voce: questo gridare ad alta voce, l’abbiamo visto anche nel recente fine settimana sul Vangelo di Giovanni a Zurigo, non è certo un urlare fisico, ma ha a che fare con la piena potenza della parola nel soprasensibile. Qui, dove la voce risuona pienamente o rimbomba, questo è il livello ispirativo, dove non solo si vede, ma si penetra dentro. Trovo molto bello che in tedesco si usi il verbo vedere (sehen) per la percezione e il verbo “penetrare” (ein-sehen) per la formazione di concetti a partire dalle percezioni. Questo significa che ein-sehen è un entrare dentro mediante il pensare nell’essenza di ciò che si vede. Oppure, qualcosa brilla (auf-leuchten) e poi riluce dentro di me (ein-leuchten). Questo ein sottolinea sempre l’immanenza del pensare nella lingua tedesca, più che nelle altre lingue. Questo grazie ai grandi pensatori tedeschi che hanno pensato e si sono espressi in questa lingua.
E gridò a gran voce, œkraxen fwnÍ meg£lV, come un leone che ruggisce. Il leone è il re degli animali; quindi una voce di leone è una voce regale, alla quale tutti ubbidiscono. È una voce che riassume tutto un intero regno. Una voce in cui non c’è traccia di paura, una voce imperiosa, che padroneggia compiutamente il senso della lingua di cui è portatrice.
E quando gridò a gran voce, ™l£lhsan aƒ ˜pt¦ bronta… t¦j ˜autîn fwn£j, i sette tuoni raccontarono, narrarono il loro senso, emisero da sé la loro voce. Quindi i sette tuoni sono come esseri e fanno udire la loro voce. Questo versetto è sempre stato un enigma, perché subito dopo vien detto:
10,4 «Dopo che i sette tuoni ebbero parlato, volli scriverlo. Allora udii una voce dal cielo dirmi: sigilla ciò che i sette tuoni hanno detto, e non scriverlo! »
E dopo che ebbero parlato – in greco il termine è ™l£lhsan, che rimanda alla lallazione – aƒ ˜pt¦ bronta…, i sette tuoni, io ero là pronto a scrivere, volevo trascrivere, stavo per farlo; ma udii una voce del cielo che diceva: sfr£gison, sigillalo!, e sigillare è l’opposto di dissugellare. No, no, no, non ti è permesso scrivere: devi sigillare quello che è stato detto dai sette tuoni, non scriverlo!.
Dunque abbiamo nell’Apocalisse questa quadruplicità: le sette lettere, i sette sigilli, le sette trombe e le sette coppe dell’ira, ma c’è anche questo settenario di tuoni. Solo che a loro sono riservati solo due versi. Lui era sul punto di scrivere quanto i tuoni hanno detto, ma gli vien detto: no, questo non puoi farlo!
In questo imbarazzo, perché davvero mi trovo in imbarazzo, faccio solo un paio di osservazioni. La prima: che differenza c’è fra un tuono e una tromba? Quel che raccontano le trombe viene annunciato in lungo e in largo. Qui, infatti, siamo ancora nel contesto della sesta tromba, e la settima seguirà poi. Quindi, quel che hanno da annunciare le trombe viene ampiamente riferito, mentre quel che dicono i tuoni, no.
Che differenza c’è fra trombe e tuoni? Ho pensato: una tromba fa risuonare qualcosa di universale, di valido per tutti, mentre invece il tuono è localizzato, come il fulmine, perché non c’è tuono che viene udito su tutta la Terra. A mio avviso le voci dei tuoni indirizzano verso qualcosa di specifico come l’evoluzione individuale che non può essere predetta, perché è la libertà a decidere cosa succede.
Poiché il tuono riguarda il futuro della libertà, lo stesso Apocalista non può scriverne nulla, è sigillato. Lo aprirà la libertà dell’uomo. Dunque, nella quadruplice serie di settenari è incluso quello dei tuoni, che dobbiamo lasciare aperto, perché su questo il testo non dice nulla, sarà solo la libertà a parlarne. Non dobbiamo sottovalutare questo fatto, pensare che se si tratta soltanto di un paio di versi, allora questi tuoni non sono poi così importanti. Niente affatto! Non è la brevità quantitativa che conta, ma qualitativamente, quando la libertà dell’uomo li avrà aperti, non saranno meno importanti rispetto a quanto è scritto nelle sette lettere, nei sette sigilli, nelle sette trombe e nelle sette coppe dell’ira. Sono sigillati, ma ci sono.
Oppure, forse, proviamo con un’altra versione – ho appena detto che si tratta di annotazioni di fondo che vi propongo, perché immagino che in questa vita, se avrò ancora tempo, avrò a disposizione alcuni anni per masticare su questi sette tuoni.
Provate a leggere le pagine 204 e 205 del volume 346[7] dell’Opera omnia. Siamo nel contesto della triplice organizzazione umana, nella quale ci troviamo ora, al momento del passaggio di soglia, quando tutto ciò che è monoteistico deve diventare trinitario. L’Antico Testamento, che era solo monoteistico, ora deve articolarsi in tre. Noi dobbiamo distinguere sempre meglio fra ciò che ha a che fare con la testa, col cuore e con gli arti: col pensare, col sentire e col volere, perché sono tre mondi diversi. Dobbiamo distinguere i tre mondi così come dobbiamo distinguerli nell’umanità. In questo contesto Steiner parla dell’uomo orientale, che ha la tendenza a vivere nelle nuvole, con una spiritualità fondamentalmente estranea al mondo, che ha difficoltà a compenetrare la Terra.
A questo proposito Rudolf Steiner parla del pensiero di un Lenin, di un Trotzki, di un Lunatscharski e così via. L’intero bolscevismo come fenomeno di nuvole, quale tipico fenomeno di pensiero orientale, e dice: se si osservano soprasensibilmente le forze che stanno a fondamento dell’ideologia comunista, esse assomigliano, nel mondo spirituale, a tuoni, a lampi, a nubi in formazione, cioè a realtà che sono buone solo per chi sta nelle nuvole, ma che non sono affatto realizzabili qui sulla Terra. Perché questo Lenin parla di uomini che non esistono; sono soltanto nella sua testa, e dovrebbe creare una umanità ex novo per realizzare il suo progetto.
Quando ho letto questa pagina ho pensato: ah, questi sono i tuoni dell’Apocalisse. Steiner dice che le stesse forze attive nell’ideologia bolscevica sono del medesimo tipo di quelle che generano tuoni, lampi e nubi. Non è perché io capisco tutto quello che dice Steiner, ma mi è venuto subito il collegamento con questi tuoni che si trovano immediatamente dopo la comparsa dell’Angelo possente, con le nubi, l’arcobaleno e i piedi infuocati. E ora compaiono anche i tuoni. Steiner parla delle stesse forze e fa notare che non valgono per la Terra. All’Apocalista viene detto: lascia tutto sigillato, non vale per la Terra. Per favore, non scriverlo, altrimenti condurresti gli uomini verso l’errore; lascia stare tutto questo tranquillamente in cielo.
In conclusione: tutti questi segreti che ancora ci sono nell’Apocalisse ci costringono a riflettere sempre meglio, se vogliamo capirli. Se sarete più svegli di me son contento, e troveremo il tempo per comunicarcelo.
Domande dei partecipanti
Intervento: Domanda sui leoni, i tuoni e l’Angelo.
Archiati: Tutto è possibile. Bisogna però chiedersi fino a che punto un significato rimane una definizione oppure quando diventa utilizzabile per la vita. Lei capisce che non deve rimanere solo e soltanto una speculazione. Ma ciò che è fertile e concreto per chi lo esprime, può risultare per chi lo ascolta ancora un po’ astratto: bisogna tenerne conto. Lei dice che il tuono presuppone qualcosa. C’è sempre il lampo prima del tuono. Eppure qui il lampo non viene evocato, mentre si parla del tuono, che a sua volta viene messo in relazione con la voce di un leone: due realtà sonore. Il lampo è una realtà visiva. Dunque, i tuoni e la voce del leone indicano, se utilizzo le categorie di Steiner, il livello dell’ispirazione. Se è così, qui viene presupposto il livello immaginativo. Cos’è? L’apparizione dell’Angelo, che è il lampo, naturalmente. Io penso, allora – e per me è fecondo pensarlo, ma non necessariamente lo è per gli altri – di aver inserito questo particolare in una struttura complessiva convincente. Perché ora viene richiesto di arrivare a un gradino molto concreto: cos’è il tuono e cos’è il ruggito del leone dopo questo fulmine?
Potrebbe ora sorgere la domanda: quel che è stato espresso ora potrebbe essere anche per lei qualcosa di più concreto, afferrabile? Potremmo porci la stessa domanda anche per una seconda e poi per una terza persona. Perché la difficoltà della comunicazione, della comprensione reciproca consiste proprio nel fatto che ciò che appare concreto e fertile per qualcuno, non lo è necessariamente per il suo interlocutore. Questo è un grosso problema.
Faccio un esempio. Quando voi dite “metà” – ora lo disegno come un punto, ma solo per farmi capire – mi rendo conto che si crea un buco, un vuoto, perché non so esattamente cosa volevate dire, perché quel termine può voler significare molte cose diverse.
Per esempio: potrei intenderlo come “mediazione”. Oppure: il concetto di leone (viene disegnato un leone – v. schema p. 38 ) è la perfetta corrispondenza che deve esserci fra il ritmo del respiro e quello della circolazione sanguigna. Deve essere 1:4. Nel leone è assolutamente così e quando così non fosse, per lui sarebbe insopportabile. Si vedrebbe costretto a uccidere qualche animale e a mangiarselo per poter ristabilire questo perfetto equilibrio. Significa che il leone vive completamente nell’elemento dell’equilibrio e trova insopportabile qualsiasi minimo squilibrio.
Ora ci lavoro su, ho tradotto leone con ricerca dell’equilibrio. Quindi devo dare uguale peso al pensare e al volere, perché se do maggior peso al pensare che al volere divento troppo teorico, vado verso un almanaccare; se do maggior peso al volere che al pensare, divento un cieco dittatore.
Quindi l’umano, ciò che dapprima abbiamo tradotto con l’astratto concetto di metà, di mediazione, è in realtà l’anelito all’equilibrio fra due polarità. È il leone. Le forze che hanno creato il leone, anche fisiologicamente, sono forze di equilibrio, che ci fanno subito notare: ecco, qui c’è un pochettino di squilibrio. Insopportabile!
E ora, siamo un po’ sbilanciati da quest’altra parte: insopportabile! È vigilanza, perché lo squilibrio è subito avvertito, e quindi vengono subito prese disposizioni per correggerlo. Questo è il leone, una realtà meravigliosa. Ma è proprio mediante la realtà fisiologica e biologica del leone che il concetto di metà, di mediazione, di equilibrio diventa concreto, perché ora posso fare tutto quanto è necessario per superare le unilateralità, quando mi accorgo di essere stato sbilanciato. È la forza del leone, che ruggisce quando compare lo squilibrio, perché non lo sopporta. Da lì deriva il coraggio di affrontare l’ingiustizia, per esempio. Giustizia c’è quando due o più uomini hanno lo stesso peso. Se invece facciamo differenze, allora il leone ruggisce, perché lo ritiene insopportabile. La dignità umana, infatti, è uguale in tutti gli uomini. Il leone non sopporta che non sia così, e ruggisce subito. Il coraggio che ne consegue è quello di ripristinare la giusta situazione. Come vedete, le immagini cominciano a parlare.
Da parte mia debbo riconoscere che solo in Steiner ho trovato che nel leone c’è questo equilibrio assoluto fra respiro e circolazione: senza questo concetto non avrei mai capito, nella sua chiarezza, l’essenza del leone. Grazie a questo capisco anche il ruggire morale del leone dell’Apocalisse.
Questo può aiutare?
Auguro a tutti una buona notte.
Seconda conferenza
martedì, 11 novembre 2003, mattina
vv. 10,5-7
Cari amici dell’Apocalisse,
siamo arrivati al X capitolo e abbiamo visto che inizia con l’apparizione di un Angelo possente, quando l’uomo impara nel corso dell’evoluzione ad andare oltre la soglia. L’uomo è disceso nel mondo fisico dal mondo spirituale, poi vive per un certo tempo entro il mondo fisico per imparare sempre meglio, a partire dalla percezione, a formare i concetti, il pensare. Il senso della discesa, della caduta originaria nel mondo fisico è di imparare sempre meglio la “caduta” verso l’alto; e il senso della caduta verso l’alto consiste nel trasformare il mondo materiale in modo tale che si manifesti che l’essenza della cosiddetta materia è lo spirito. Questo è il passaggio della soglia, questa è la svolta cristiana, perché l’essenza di quello che chiamiamo materia è lo spirito. L’essenza di un uomo non è quello che percepiamo con i sensi, quello che si muove; l’essenza di un uomo è l’Io, lo spirito, l’individualità eterna e tutto quello che nel corso dell’evoluzione lui diviene nella sua conoscenza e nel suo amore.
Ieri abbiamo visto che quando si oltrepassa la soglia l’unitarietà caotica che c’è nella materia – nella materia abbiamo una unitarietà caotica, perché tutto è materia – si trasforma in una trinità, in una triplicità. Dal punto di vista microcosmico e in relazione all’uomo, quello che noi chiamiamo pensare, sentire e volere al di qua della soglia, nel mondo materiale, è unito. Riusciamo molto difficilmente a distinguere ciò che ora è pensiero, ora è emozione – moto del sentire – e ciò che è impulso volitivo, ciò che poi diventa azione. È come un guazzabuglio, è tutto insieme. E all’inizio non siamo in grado di circoscrivere le tre parti in modo netto… (v. Fig. p. 43), ma poi è proprio così che si dividono in tre correnti, in tre correnti indipendenti: pensare, sentire e volere.
Ora prendiamo il pensare, puro, libero da sentimento, da volontà, il pensare senza emozioni e il pensare senza brama, libero dal volere. Cosa significa fare l’esperienza del pensare in sé, in questo passaggio di soglia in cui sperimentiamo le nubi dell’Angelo? In seguito guarderemo alla parte centrale, dove c’è il Sole, quindi il piano dello zodiaco, dei pianeti e, infine, della Terra. Osservare in modo puro il pensare significa imparare a procedere oggettivamente, attenendosi alle cose in modo del tutto indipendente dalle mie emozioni, dal mio egoismo, da quello che desidero. In altre parole, in modo del tutto indipendente rispetto a quello che quel fenomeno significa per me. Questo è il pensare nella sua purezza. Non turbato dal sentire, perché il sentimento è sempre qualcosa di personale, e va bene così, ma è tutt’altra cosa sperimentare il pensare sempre colorato, inquinato dai miei sentimenti, rispetto al pensare puro, in sé. Del tutto indipendente da: cosa importa a me dell’oggetto pensato, oppure, come mi ci rapporto, se mi piace o mi fa arrabbiare… e così via. Tutto questo non deve giocare nessun ruolo quando si tratta del puro pensare, dell’afferrare il puro contenuto spirituale di qualcosa.
Possiamo considerare l’Apocalisse come un testo che ci dà la possibilità di esercitare il pensare puro, proprio perché lo capiamo così poco che abbiamo scarsissime possibilità di sviluppare emozioni personali a partire dal testo. Tutt’al più possiamo arrabbiarci perché all’inizio non ci capiamo niente. In questo senso è un ottimo testo per le persone che hanno il coraggio di procedere oggettivamente, senza voler subito gustare o godere quel che si legge – quel che io chiamo una goduria animica –, ma vogliono la pura conoscenza della cosa. Anche nell’amore, nella relazione fra le persone è subito chiaro che lo sforzo che faccio per conoscere l’altro nella sua essenza, nella sua oggettività, indipendentemente da quello che io ricevo, da come io reagisco, è straordinariamente importante per l’amore stesso. Ma allora il sentire e il volere devono, in un primo tempo, fare un passo indietro.
Quindi viene il puro sentire, che sarebbe la purezza dell’amore, la purezza della dedizione. La purezza della dedizione si compie senza calcolo, senza pensare se ne trarrò o meno un vantaggio. Dedizione pura è quando, a partire dall’essenza che abbiamo conosciuto, l’essenza da amare, consideriamo soltanto la misura dell’amore, e nessun’altra. Infine, nel volere, agiamo in base alle leggi del mondo terrestre, portiamo l’oggettività nell’azione. Qui l’oggettività nel pensare, e qui nell’agire (v. Fig. p. 43).
Molti di voi partecipano allo studio de La Filosofia della libertà di Rudolf Steiner. Nel modo in cui un uomo agisce nel mondo c’è una triplicità: la purezza del volere e dell’agire Rudolf Steiner la chiama tecnica morale. Faccio ora una piccola riflessione sull’Angelo che indica l’evoluzione alla quale è chiamato il singolo uomo con l’iniziazione nel mondo spirituale, per sperimentare la triplicità nella sua purezza, e dove l’umanità presa nel complesso deve venir sempre più riconosciuta nella sua triplicità: la spiritualità in Oriente; il collegamento con la Terra, con il mondo della materia in Occidente; e l’oscillare, il muoversi fra i due mondi, nel Centro. Questo è solo un esempio, solo un esercizio per vedere come sorge questa triplicità.
La tecnica morale è la forza, la capacità di abbracciare il mondo esistente, al punto che io afferro, conosco, so come intervenire nel mondo, come trattare il mondo per ottenere qualcosa. Ma è sufficiente solo questa tecnica morale? Decido la guerra in Iraq e ora ho bisogno della tecnica morale, che significa: io devo sapere come si realizza qui, nel mondo terrestre.
Ma l’unilateralità occidentale (v. Fig. p. 43) mette talmente in primo piano la tecnica morale da dimenticare che questa ha bisogno dell’intuizione morale. L’intuizione morale dice all’uomo cosa c’è da fare. È l’arte del “che cosa”, mentre la tecnica morale è l’arte del “come”. Come vedete, si tratta di due realtà completamente diverse. Il mondo occidentale è altamente formato nell’arte del come, della modalità tecnica, di come le cose vengono fatte. “Made in Germany”, “Made in USA”, come viene fatto, questo è il come. Ciò che in Occidente spesso manca è il lato spirituale della moralità, dell’agire, del fare, perché morale significa il fare e non solo il conoscere. Ciò che perlopiù manca in Occidente è un’intuizione di cosa sia da realizzare conformemente al tempo, nel variare delle culture, dei periodi storici. Se non si hanno sempre nuove intuizioni morali come, per esempio, debbano essere conseguite nuove capacità spirituali oppure nuove esperienze interiori nel periodo dell’anima cosciente, diversamente dal periodo passato quando si aveva a disposizione solo la razionalità e si sviluppava solo l’anima intellettuale, non si raggiungono gli obiettivi evolutivi del periodo. Perchè ora, dice Rudolf Steiner, si tratta di sviluppare l’anima cosciente.
Dobbiamo quindi avere intuizioni morali, e anche individualmente ognuno di noi deve sapere di volta in volta quale aspetto, quale dimensione dell’umano è presente ora, quale può realizzare, quale può acquisire. Oppure su quale qualità, su quale dote ci è dato per karma di lavorare. In conclusione: l’intuizione morale mi dice il cosa: ciò che va raggiunto, ciò che deve essere realizzato; la tecnica morale mi dice il come: come io posso farlo nell’ambito del mio mondo, del mio karma, del contesto in cui vivo. Altro è il che cosa, e altro è il come.
L’Oriente ha più il talento – come cultura – di essere aperto a intuizioni morali sempre nuove perché non resta attaccato al potere, a quel che c’è già. Dove mancano le intuizioni morali l’evoluzione stagna, perché le intuizioni morali sono sempre una novità che si sviluppa a partire da ciò che è già stato scoperto. L’evoluzione c’è grazie all’arricchimento, all’accrescimento continuo delle proprietà, degli aspetti, delle dimensioni dell’essere che, microcosmicamente, può sintetizzarsi nell’uomo. Quando non viene coltivata a sufficienza la forza delle intuizioni morali allora sorge il potere terreno, dove l’esistente si crogiola in sé stesso. Questo è il potere. Il potere è l’esistente che non lascia spazio al nuovo, che si rifiuta di diventare la premessa, la condizione perché compaia qualcosa di nuovo, si rifiuta di aprirsi alla possibilità del nuovo. Il potere è l’impedimento che l’esistente pone al sorgere di qualcosa di nuovo.
La liberazione dal potere, allora, consiste nell’aprire amorevolmente tutto ciò che è stato conseguito, tutto ciò che già esiste alla possibilità di nuove conquiste – perché questo è solo un mezzo, uno strumento al servizio del nuovo e delle opportunità ancora da conseguire. Questo vale anche per le nuove frontiere del pensare e dell’amare, che diventano sempre nuove.
Come nello sviluppo della vita umana, tutto quello che è stato acquisito da bambini diventa la premessa per le tappe successive, è sempre aperto al nuovo che diviene, perché noi non diciamo che a dieci anni abbiamo già fatto tutto. Abbiamo già conseguito molte capacità, ma sono la premessa per tutto ciò che di nuovo faremo da lì in avanti.
Questa è l’interazione tra la tecnica morale e l’intuizione morale, e sorge dal congiungimento, cioè dall’equilibrio, perché si tratta sempre di creare un equilibrio tra il cosa e il come. Perché se una persona ha sempre nuove intuizioni ma non ha sufficiente tecnica morale, adeguate conoscenze della realtà esistente, cognizioni tecniche in grado di modificarla per far posto al nuovo, allora quegli ideali restano sospesi per aria. Gli ideali sono grandiose intuizioni morali, solo che bisogna prendere in considerazione il mondo reale (v. Fig. sotto), dobbiamo far dialogare gli ideali con la realtà.
Come porto il mio ideale a interagire con la realtà esistente affinché, passo dopo passo, possa trasformare a poco a poco quella realtà così che faccia posto, pezzo dopo pezzo, all’ideale?
L’evoluzione è sempre un dialogo tra idealità e realtà, tra idealismo e realismo. Nel mio libro Il Mistero dell’amore[8] ho messo un capitoletto su come l’ideale dialoga col reale. Si potrebbe – ma ora non con quella chiara tripartizione descritta ne La Filosofia della libertà[9]– denominare fantasia morale la forza che media tra l’intuizione morale e la tecnica morale. La fantasia morale è la forza di trovare sempre nuove vie, di creare sempre nuove immagini, perché nella fantasia sorgono immagini del modo in cui l’ideale può diventare reale. Questo deve essere dapprima afferrato in immagini. Ci si deve rappresentare pieni di fantasia come si trasforma quella realtà – della quale si ha già la percezione –, come cambia quando io vi realizzo il mio ideale. Questa modificazione della realtà debbo averla prima di tutto nella mia fantasia. Debbo farmi un’immagine di come possa essere trasformato il reale prima di porre mano a questa trasformazione. E questa realtà cambiata, che si trasforma, che io mi rappresento, tutto questo, sono immagini.
Torniamo ora indietro alle parole dell’Apocalisse, che sono espresse tutte in immagini. Facciamo bene a intendere tutte le immagini dell’Apocalisse quali contenuto della fantasia morale del suo autore, quale contenuto della fantasia morale dell’amore; sono le immagini della fantasia morale mediante le quali un ideale diventa realtà. Questo deve essere anticipato nella fantasia. Perché il che cosa è puro spirito – la pace mondiale, per esempio. Prendiamo l’ideale della pace, che è un grandioso ideale. In un primo momento è un’intuizione morale. Lo stesso vale non solo per la pace del mondo ma anche quando si tratta di far pace fra un uomo e una donna nella vita di tutti i giorni. Perché la pace va sempre riconquistata. Una pace a priori, che non venga mai distrutta né messa in discussione è un camposanto, non una pace[10]. La pace vera deve essere conseguita sempre di nuovo, sempre raggiunta in modo diverso. E la realtà, la vita quotidiana, ha il compito di creare situazioni di conflitto. È il compito della vita far sorgere situazioni sempre nuove che danno occasioni di arrabbiarsi gli uni con gli altri. Compito della fantasia dell’amore è quello di raggiungere la pace sempre di nuovo. Per far sì che questo succeda debbo sviluppare l’intuizione morale della pace, dell’essere ben disposto, della gentilezza, della tolleranza o, in altre parole, trovare il modo per accettarsi gli uni gli altri. La pace è una intuizione morale molto complessa perché la pace è armonia, è la creazione di relazioni armoniche.
Quindi io devo sviluppare nell’intuizione morale un concetto sempre più puro di armonia e di pace anche riguardo alle relazioni tra gli uomini. Poi debbo avere un occhio attento – mediante la tecnica morale – a quello che nella relazione con questo specifico uomo è in un primo momento possibile, cioè devo percepire esattamente dove lui si trova. Per esempio, tecnica morale significa essere consapevole che se sto di fronte a una persona depressa o molto depressa, il come della pace e dell’armonia deve essere completamente diverso rispetto a una persona sanguinica del tutto immune da crisi depressive. Potrebbe capitare anche a un sanguinico di cadere in depressione, ma allora la cosa sarebbe ancora tutta diversa.
Quindi la tecnica morale guarda alla situazione contingente, a come è adesso, a cosa è possibile o almeno augurabile ora, e cosa no. Perciò ora ho l’intuizione morale della pace in una certa relazione, l’intuizione morale dell’armonia, poi vado alla tecnica morale che guarda alla reale situazione in cui quell’intuizione morale deve incarnarsi, deve realizzarsi, e la tecnica morale mi dice il come, il modo in cui posso realizzarla con questa persona. E la fantasia, la fantasia morale, fa sorgere immagini nelle quali ho davanti a me, immaginativamente, in modo da rappresentarmelo, come mi rapporterò con quella persona la prossima volta in cui la incontrerò. Questo deve essere progettato nella fantasia.
Il mio era un tentativo, se volete, di osservare più esattamente questo Angelo, pieno di potenza, che dal monoteismo dell’Antico Testamento genera una trinità cristiana. Il senso della trinità cristiana è di distinguere tra l’operare del Padre, l’operare del Figlio e l’operare dello Spirito Santo, perché deve essere distinto, perché di volta in volta è completamente diverso, e le leggi sono totalmente altre. In questi giorni vedremo che nell’umanità di oggi, anche dal punto di vista culturale, infuria la grande contrapposizione tra monoteismo, cioè concezione unitaria, e concezione trinitaria. Lo mostrerò alla fine del capitolo XIII, quando si parlerà del mistero del 666, dicendo che con tutti gli sforzi di essere tolleranti con l’islam corriamo davvero il rischio di perdere di vista ciò che è trinitario. E se la trinitarietà viene persa di vista, allora non saremo più in grado di distinguere fra necessità, che è il regno del Padre; libertà, possibilità della libertà, che è il regno del Figlio; e realizzazione della libertà quale esperienza dello Spirito Santo.
Questo mette in luce che l’unilaterale impietosa sottolineatura del monoteismo, con la runa 666 dell’islam, è il vertice dell’intolleranza, perché non lascia più spazio alla tolleranza fra gli uomini liberi, per le libere individualità. Afferrare tutto questo nella sua oggettività è proprio il nostro compito, perché appartiene a uno dei misteri più evidenti dell’Apocalisse dove – così si può pensare, e anche Steiner lo sottolinea – il suo autore diventa quasi impetuoso, proprio quando tratta del misterioso pericolo della caduta della concezione trinitaria nel monolitico monoteismo dove non c’è spazio per la distinzione: la sfera della volontà è quella del Padre; la sfera del sentimento è quella del Figlio; e il pensare, dove la libera individualità perfeziona lo spirituale, che fa emergere la realizzazione dello spirito individuale, è l’ambito dello Spirito Santo. Tutto questo rischia di essere perso di vista.
Io capisco la scienza dello spirito di Rudolf Steiner proprio come la assoluta salvezza della trinità cristiana. Anche nella prospettiva del fatto che siamo negli anni in cui si realizza la triplice ripetizione del 666 che, quindi, viene portato a compimento. Quando il 666 raddoppiò, nel 1332, l’Ordine templare venne distrutto, e ora, 1998, viviamo nella assoluta culminazione dell’evento, perché è la prima volta che l’anticristo, il drago, la bestia, alza il suo capo, e quindi riguardo all’islam si tratta di ben altro che di una faccenda relativa a concezioni del mondo. La seconda volta, nel 1332, le forze avversarie hanno afferrato il pensare e il sentire. Ora abbiamo una totalizzazione delle forze avversarie, dove l’anticristico afferra il pensare, il sentire e il volere, quindi anche le forze di volontà dell’uomo. In questo senso si potrebbe dire che forse mai come nel nostro tempo è opportuno e richiesto di occuparci del testo dell’Apocalisse.
Questo libricino l’Angelo l’ha in mano, nella mano destra, quale risultato delle iniziative evolutive attive e creatrici dell’uomo, perché la destra, il lato destro sta sempre per l’attività e questo libricino è il Vangelo dell’amore, l’ambasciatore dell’amore. Questo è quello che c’è scritto dentro. Perché è un libretto che non è mai parziale, ma che contiene scritto il senso dell’evoluzione: il fatto che tre precedenti stadi evolutivi hanno preceduto il nostro, e ora sono passati (v. Fig. sotto).
Ecco le tre fasi evolutive della Terra che per semplicità ho chiamato Terra 1, Terra 2 e Terra 3. Steiner le chiama: Saturno, Sole, Luna; ora sono tutti passati e siamo alla Terra 4. Questo stadio è chiamato “Tempio” e quello che l’ha preceduto viene indicato con l’immagine dell’atrio. È la preparazione, l’anticamera, ma il tempio vero e proprio, quello sacrosanto, è l’attuale fase evolutiva terrestre, nella quale siamo ora. Il senso dell’evoluzione terrestre è quello di trasformare il cosmo di saggezza in un cosmo di amore.
Qui, per così dire, c’era una conduzione divina – prendo ora la prospettiva più ampia, ma ci sarebbero anche prospettive più limitate. Un mondo di pura creazione divina è un mondo di saggezza, e il senso di un cosmo di saggezza è che si trasformi in un cosmo di amore. Quindi il senso della Terra è che tutto si trasformi in un cosmo di amore.
Ci si può chiedere, naturalmente: cosa significa che una pienezza di saggezza si trasforma in una pienezza di amore? Per esempio, una percezione è un elemento di saggezza. Quando percepisco la rosa ho qualcosa che è stato creato dalla grandiosa saggezza del Creatore. Come può, ora, questo singolo elemento, questo pezzettino della immensa saggezza creatrice divina diventare per me amore? Lo può perché faccio l’esperienza che nel mio pensare sperimento gioia, gratitudine, pienezza nell’afferrare il concetto della rosa. Quindi sperimento la percezione e la trasformazione della percezione nel concetto quale amore per la rosa, perché la rosa è di nuovo puro amore per l’uomo; è una reciproca soddisfazione che viene provata, e questo è amore. Quando nel rapporto viene vissuta una reciproca soddisfazione, questo è amore.
L’uomo quindi sperimenta nell’amore per la creazione l’amore al proprio Io, perché l’amore per la creazione è autorealizzazione, realizzazione dell’Io attraverso il pensare. Questo dal lato del pensare. E dal lato dell’agire ancora di più, perché attraverso l’inserimento di tutte le forze, anche delle forze di volontà, attraverso le azioni dell’uomo, quando opera mosso dall’amore al proprio io e dall’amore verso l’io degli altri uomini, allora l’uomo trasforma l’intera creazione e la umanizza. Viene messo in risalto, e l’Apocalisse è piena di queste affermazioni, che il regno animale, quello vegetale e quello minerale non sono qualcosa di esterno all’uomo; solo apparentemente, solo materialmente lo sono, ma in realtà animali, piante e pietre sono dimensioni dell’uomo, che attraverso l’amore umano vengono di nuovo umanizzate.
Steiner descrive in modo meraviglioso nella sua Scienza occulta[11] che qui sulla Terra tutto appartiene all’uomo. Quindi attraverso l’amore si verifica la trasformazione dell’intera creazione, avviene l’umanizzazione di tutto il creato. E proprio perché tutta la creazione sperimenta il suo divenire umano, proprio perché l’uomo nel suo amore per le creature rende possibile l’umanizzazione di animali, piante e pietre, quest’opera grazie alla quale le creature celebrano il loro umanizzarsi è a sua volta, per l’uomo, un crescente diventare divino.
L’uomo diventa sempre più divino nella misura in cui col suo amore per la creazione rende possibile alla creazione stessa di diventare sempre più umana. È qualcosa di veramente meraviglioso. Ma entrambi i processi, e cioè l’umanizzazione della creazione e la divinizzazione dell’uomo, si realizzano con l’amore.
Vedremo come i due profeti distruggono i loro nemici, cioè le controforze, col fuoco. Noi dobbiamo capire queste immagini con oggettività scientifico-spirituale: sempre, dove il fuoco o il calore giocano un ruolo, c’è sempre l’Io, l’amore, il calore dell’amore. Questo vale anche per il sangue: perché nel sangue opera la forza dell’Io e la forza dell’amore. Sono tutte cose che senza i fondamenti della scienza dello spirito di Rudolf Steiner non sarebbero affatto comprensibili.
Ora possiamo procedere in modo più scorrevole, perché di nuovo ho posto alcune premesse di fondo.
10,5 «E l’Angelo, che io vidi stare sul mare e sulla terra, alzò la sua mano verso il cielo»
E l’Angelo che vidi ritto sul mare e sulla Terra, questa è la forza dell’erigersi, il regale dirigere le forze verso l’alto, lo stare eretti sia nel mondo fisico, sulla Terra, che anche nel mondo eterico della metamorfosi delle forze viventi, sia nell’ambito dell’inorganico che del vivente. Quindi l’Angelo sta ritto sulla Terra, ciò significa che usa il mondo materiale quale totalità di forze per erigersi, e sta pure eretto anche nel mondo eterico, nella sfera delle forze vitali, cioè dell’acqua, del mare.
E alzò la sua mano destra: osserviamo questa immagine. Possiamo fare un piccolo esercizio su come si possano maneggiare le immagini dell’Apocalisse in modo meditativo, ma coraggioso in chiave scientifico-spirituale. Procediamo al rallentatore. Alza la sua mano destra significa che l’attività, la creatività, ciò in cui ora l’uomo mostra se stesso, ora si unisce non solo col terrestre, non si identifica soltanto con ciò che sta sotto, là dove l’uomo sperimenta la sua identità, nel mondo materiale, ma unisce la sua forza attiva con lo spirituale; la mano destra, la sua forza attiva, alzata verso l’alto. È la decisione dell’uomo di diventare attivo nella sfera spirituale. La mano destra è l’attività, la capacità operativa di intraprendere iniziative, e non solo un effetto, un essere in balìa di ciò che già esiste. Intraprendere iniziative significa avere nuove idee, avere intuizioni morali che vengono afferrate nel loro carattere di iniziativa e non solo di ricezione; non è la mano sinistra, ma quella destra, quella che attivamente afferra le intuizioni morali e conoscitive dal mondo spirituale e le porta giù sulla Terra. Questo è meravigliosamente rappresentato in immagini. Non dobbiamo pensare che le visioni dell’autore dell’Apocalisse contengano retorica. Tutto è essenziale e molto importante.
Dunque questo Angelo, che da un lato rappresenta immaginativamente l’uomo triarticolato di nubi, arcobaleno e piedi infuocati, cioè pensare, sentire e volere, e dall’altro lato l’umanità triarticolata, cosa fa? Alza la mano destra verso l’alto, verso i mondi spirituali, diventa pieno di iniziativa creatrice nello spirito.
Come possiamo tradurre nella nostra lingua il diventare attivi, creativi nello spirituale? L’uomo impara a pensare in modo sempre più creativo, sempre più vivente, sempre più colmo di fantasia. Perché il pensare è un agire nel mondo spirituale. È il primo agire, il primo creare nello spirito che è a disposizione di ogni uomo. Nessun uomo può dire: io non posso pensare così bene, non posso pensare attivamente. No, questa è solo pigrizia interiore. Ogni uomo può osservare il suo pensare, quale che sia, e subito prendere la decisone di immettere un pochino di attenzione in più nel suo pensare. Cosa significa attenzione? Significa iniziativa, diventare attivi, perché se non regalo un po’ di attenzione al mio pensare allora lo rendo soggetto all’errore, comincio a fantasticare, in altre parole divento passivo. Come quando le percezioni generano in me immagini di fantasia senza la mia partecipazione. Divento attivo, alzo la mano destra nel mondo spirituale quando prendo la decisione di essere un pochino più attivo nel mio pensare; l’inizio dell’attività, del divenire attivi è l’attenzione e non il sonnecchiarci passivamente dentro o l’aleggiare erroneamente col pensiero. Questo lo può veramente ognuno. È l’inizio di ciò che qui fa l’Angelo.
Alzò: è lo stesso verbo che viene usato per l’Agnello di Dio che solleva, innalza i peccati del mondo, cioè la pesantezza della materia, la caduta, l’essere diventati passivi. Guardate l’Agnello di Dio che solleva questa pesantezza, questa passività, per dare all’uomo la possibilità di diventare sempre più attivo. E come Cristo spalanca la Terra intera, tutta la materia affinché l’uomo faccia l’esperienza di liberarsi da essa, di elevarsi allo spirito, così ogni singolo uomo che si cristifica eleva la sua mano destra dal mondo terrestre, che è passivo, e diventa attivo nello spirito, nel pensare innanzitutto. Questo è l’inizio: diventare attivi nel pensare, e così il pensare diventa sempre più vivente.
Come avete già visto, questo è il senso del confrontarsi con un testo come La Filosofia della libertà, perché è veramente scritto in modo tale che se si fanno gli esercizi offerti di capitolo in capitolo, il pensare diventa sempre più esatto, sempre più attivo, creativo, vivente, e sempre meno orientato verso il basso, vale a dire sempre meno materialmente pilotato dal cervello, e sempre più libero dal corpo. Il pensare diventa sempre più libero dal corpo, il pensare può andare verso l’alto, liberarsi dai legami, dall’elemento della materia che sta in basso. Perché la materia è in basso, e anche il cervello lo è.
Quanto meno il pensare dipende dalle leggi, dal determinismo del cervello fisico, tanto più va verso l’alto, diventa attivo; la mano destra del pensare si alza, si libera sempre più dai determinismi e dalle leggi di natura del cervello e il pensare diviene sempre più creativo. Allora l’uomo può sempre di più e sempre meglio trovare in sé e decidere cosa pensare, senza dipendere solo dal cervello.
E quando la scienza naturale di oggi, quando gli scienziati di oggi dicono: «No, il pensare dipende solo, esclusivamente, dal cervello», questa è l’affermazione di fondo del peccato originale della coscienza. Questa condizione di dipendenza pressoché totale effettivamente esiste, è possibile, perché la liberazione del pensare dal cervello non deve esserci necessariamente. Se così fosse, non sarebbe libera e sarebbe di nuovo un pezzo di necessità di natura. Ma io dico sempre: non perché è possibile che il pensare diventi in tutto e per tutto dipendente dal cervello – l’esperienza dell’ultimo gradino della sua caduta –, non per questo gli scienziati possono dimostrare che questa è l’unica condizione del pensare, e che non possa esistere una possibilità di liberazione. Una impossibilità di questo tipo non può mai essere provata scientificamente. Provare che qualcosa è impossibile è un sottomettersi all’impossibilità. Mai è possibile dimostrare scientificamente che qualcosa è impossibile.
La liberazione del pensare dal cervello fisico non è necessaria, perché è una possibilità dell’evoluzione, offerta alla libertà. Il fatto che oggi molte persone, molti professori sostengano che il pensare, come è oggi, magari anche non pienamente evoluto, dipenda dal cervello, non prova che sia impossibile liberarlo sempre di più dal cervello stesso.
Questa sarebbe ancora un’altra immagine per l’Angelo, l’Angelo nell’uomo, quando porta il pensare sempre più verso l’alto, con la mano dell’attività, il che significa che il pensare viene gestito dalla mano destra, cioè dall’iniziativa, dall’impulso attivo, e viene portato verso l’alto. Che bella immagine! Rudolf Steiner mostra che l’Angelo vive effettivamente dentro il nostro pensare liberato dal cervello. Un pensare libero dal cervello è un pensare angelico.
Ora vedremo che se questo pensare afferrasse il fisico, il fisico verrebbe distrutto. Perché il senso del fisico non è di rendere possibile un pensare vivente, bensì il senso del cervello, di ciò che è costitutivo, è di fare da specchio, di restituire soltanto un riflesso morto del pensare, del pensare vivente. Qual è il senso di questo riflesso morto? Che nel momento in cui divento consapevole di avere soltanto immagini morte nel mio pensare, posso dire a me stesso: «Ah, ma se io ho un riflesso significa che deve esserci qualcosa di reale che si sta specchiando!». Così ora l’uomo ha la possibilità non solo di concludere che deve esserci un pensare vivente, ma ha anche la possibilità di conseguirlo, mediante la libertà. Ma se deve arrivarci per via di libertà quel pensare non può essere dato da subito, altrimenti il compito della libertà non esisterebbe.
Dunque, qualora questo pensiero vivente nell’eterico – dove comincia davvero a muovere i primi passi e a creare forze –, risuonasse nel fisico, questa sarebbe la distruzione della realtà fisica. Se tu ingoiassi questo pensiero, il contenuto del libricino, diventato fisiologico, allora sperimenteresti una certa amarezza, sarebbe amaro nello stomaco perché è tale da distruggere il fisico.
Riflettiamo sul fatto, come dice spesso Rudolf Steiner, che pensare o agire spiritualmente significa sempre uccidere forze di vita. Qui nell’Apocalisse è rappresentato in modo impressionante. Nello stomaco è terribile, è completamente amaro, perché la liberazione del pensare avviene solo a partire da una uccisione, un processo dapprima lieve ma crescente di uccisione del fisico, come la cera di una candela che viene progressivamente distrutta. E la morte è la somma di queste progressive distruzioni attraverso cui noi, uccidendo forze di vita, sperimentiamo sempre più la vivificazione del pensare.
L’Angelo alzò la sua mano, la sua mano destra al cielo. Alcuni manoscritti hanno eliminato “destra”, ma è un errore perché è pertinente.
10,6 «e giurò a Colui che vive per i secoli dei secoli, che ha fatto i Cieli e ciò che in essi è contenuto e la Terra con tutto quanto contiene, e il mare con tutto ciò che vi è in esso: Non ci sarà più tempo»
E promise, êmosen ™n tù zînti e„j toÝj a„înaj tîn a„ènwn. Qui avviene un giuramento. Viene giurato qualcosa “nell’ambito del vivente, che è vivente da eone a eone”. Cos’è il giuramento? L’umanità attuale, in epoca di materialismo, ha perso di vista cosa significa giurare. L’essenziale di un giuramento consisteva nel poter essere fatto solo con un mantram; un giuramento è simile a un testo per il culto. I testi del culto sono mantrici, cioè provengono direttamente dal mondo spirituale anche nella sequenza di vocali e consonanti, disposte in modo tale da agire magicamente. Un testo è propriamente cultico solo quando agisce magicamente e in modo speciale sugli Esseri elementari. Deve operare sugli gnomi attivi nel solido, sulle ondine che si muovono nel liquido, sulle silfidi attive nell’aria, e sulle salamandre che operano nel calore. Un testo cultico deve essere congegnato mantricamente secondo le leggi dell’operare terrestre, affinché operi sugli Esseri elementari, affinché siano preparati, risvegliati; e venga detto loro ciò che hanno da fare, e quale senso ha quel compito.
Un giuramento riguarda la dimensione individuale – il testo di culto è più nell’ambito della comunità, perché è sì il sacerdote che lo legge, ma l’esperienza viene fatta nella comunità – e anch’esso si basa su un testo magico che deve essere di tipo mantrico, e agisce magicamente. Per questo motivo c’era nell’umanità prima di Cristo la massima prudenza e attenzione nei confronti dei giuramenti perché avevano un’inquietante operatività.
Ora questo Angelo promise – l’Angelo, per così dire, è l’Io superiore dell’uomo, che è profondamente legato all’Angelo. Angelo, nell’Apocalisse, significa sempre il gradino evolutivo immediatamente seguente a quello umano, perché il senso della nostra fase evolutiva, Terra 4, è portare ciascun uomo a livello dell’Angelo, oppure l’uomo cade, torna indietro allo stadio animale. Nella prossima fase evolutiva planetaria, Terra 5, gli uomini saranno diventati Angeli oppure bestie.
Voi già sapete, e lo vedremo ancora di più, che l’Apocalisse, tutta l’Apocalisse parla continuamente del duplice mistero dell’apparizione dell’Angelo e della bestia. Parla del fatto che l’uomo ha la possibilità di cadere giù, a livello della bestia, omettendo totalmente di evolvere nel senso del bene – lo vedremo sempre meglio –, oppure può elevarsi al livello dell’Angelo.
Quindi, ricordiamoci che ogni volta in cui abbiamo a che fare con un Angelo dobbiamo pensare alla prospettiva evolutiva dell’uomo nella direzione del bene. Questo Angelo è la chiamata per ogni uomo a diventare sempre più angelico, cioè a raggiungere il prossimo stadio evolutivo, passo dopo passo.
La promessa di questo Angelo è la decisione morale di non deviare mai, assolutamente, dal cammino del bene. Ma se sarà infedele a questo giuramento e romperà la promessa, le sventure saranno possenti. Così è sempre stato inteso, e nella tradizione degli ordini religiosi – cosa che conosco molto bene per esperienza personale –, lì si sono posti i voti, i voti sono una specie di giuramento. I tre voti erano: il cammino della purificazione, che è stato chiamato castità. Castità non vuol dire assenza di matrimonio. Spesso si confonde il celibato con la castità, ma il celibato non ha niente a che fare con la castità, perché o la castità, cioè il cammino di purificazione, vale per tutti gli uomini in modo uguale, sia che siano sposati sia che non lo siano, oppure non vale per gli esseri umani.
Quindi, il primo voto era la promessa, il giuramento di prendere sul serio per tutta la vita un cammino di purificazione nel senso della castità. Il secondo era la povertà: prometto di non mettere mai al primo posto le cose materiali, il denaro. Questa era la povertà. Io giuro, prometto, che non metterò mai i beni materiali come primo valore nella mia vita. E il terzo voto era l’ubbidienza. L’uomo veniva incoraggiato – e io augurerei a ogni uomo queste tre promesse – a diventare cosciente che essere uomo significa essere dedito sempre, pieno di forze, e dirsi: prometto a me stesso e al mondo spirituale di attenermi a questi tre valori di fondo. E l’ubbidienza era: non metterò mai il mio proprio arbitrio, la mia tracotanza al di sopra del volere divino. Perché il senso della mia vita è afferrare attraverso il legame con l’Io superiore la volontà divina relativa al mio Io, alla mia evoluzione, e ubbidire a questa volontà, alla volontà dell’Io superiore, dell’Angelo, del mio Angelo custode, alla volontà del Cristo in me, e non mettere innanzi la mia presunzione, il mio proprio volere.
Come sapete, in particolare nel caso del voto di obbedienza è penetrata, per così dire, una dose di tragico materialismo anche nella cristianità, perché è andata persa la facoltà di stare in ascolto[12] –perché come la lingua stessa mette in evidenza l’ubbidire[13] presuppone l’ascoltare –, cioè la facoltà di prestare attenzione alle intuizioni morali che l’Io superiore, l’Angelo custode mi invia. Quindi la capacità di ubbidire alla volontà di Dio o dell’Angelo custode è scomparsa nell’umanità e il cristianesimo stesso l’ha materializzata. Con che cosa l’ha sostituita? Perché naturalmente l’originario senso cristiano dell’ubbidienza era che ogni uomo era chiamato a ubbidire al volere divino, ma poiché si era sempre meno in grado di afferrare il volere divino ecco sorgere il rappresentante del volere divino sulla Terra, una svolta materialista: e chi è? Il Superiore. Quindi la volontà dei “superiori” diventa la volontà di Dio, perché tu, povero uomo, non sai più collegarti con il mondo spirituale. Puoi stare tranquillo e prenderla molto più semplicemente perché hai a tua disposizione l’espressione comprensibile, percepibile della volontà divina: devi soltanto fare quello che i superiori ti ordinano.
Nel mio caso è stato difficile dato che non ho mai ubbidito ai miei superiori, perché nel corso della mia esistenza ho deciso di distinguere tra quello che volevano i superiori e quel che voleva il buon Dio; non ho mai pensato che fosse la stessa cosa. E siccome ho deciso che era assurdo che un uomo affidasse a un altro la sua libera volontà, con l’anticristico presupposto che dovesse per forza essere la volontà divina, questo per la Chiesa cattolica era assolutamente intollerabile.
Vedete ora come le cose coincidono e diventano concrete. La premessa è che nessun uomo può avere accesso allo spirito, al volere divino. C’è solo una persona che ha il filo diretto col mondo spirituale, ed è il papa, nessun altro, perché l’uomo è così intimidito che non solo gli è proibito il collegamento, ma perfino il tentativo di mettersi in relazione con l’Angelo custode, con l’Angelo dell’Apocalisse, e portar giù dai mondi spirituali le intuizioni morali viene giudicato a priori un atto di superbia, e il povero uomo che non vuole andare nell’inferno dei superbi deve piegarsi e ricevere la volontà divina servita dalla Chiesa.
Questo è il modo in cui il cristianesimo stesso si è infilato nel karma del materialismo. Non è così male se prendiamo la situazione come un’occasione in tutte le contingenze della vita per ritornare di nuovo verso l’alto. Cristo ha detto a Pietro: Pietro, devi venire subito dopo di me, il tuo compito è quello di venire subito dopo di me[14] perché sei una pietra[15], sei uomo della morte e devi accompagnare l’umanità nel periodo in cui si congiunge più profondamente e si identifica con la morte. Questo grado più basso è stato incarnato dalla Chiesa petrina come se questo grado più basso fosse il più alto. È una faccenda di interpretazione, naturalmente. Ma ora l’uomo è nella condizione di sollevarsi da tutto questo, e prendere posizione a partire dal suo pensare.
Torniamo all’Angelo che alza la sua destra verso il mondo spirituale, cioè l’uomo singolo che prende la decisone nel corso della sua evoluzione di diventare attivo in proprio, di produrre pensieri. Non vuole più ricevere da un altro la verità o i pensieri giusti, ma vuole da se stesso attivare pensieri, elevare la sua mano destra, cioè la sua attività nel mondo spirituale, assumere responsabilità di fronte ai suoi pensieri, diventare sempre più creativo, formulare pensieri su come porsi e cosa cogliere dei fenomeni. Tutto il resto, compreso ciò che sto dicendo ora, può anche essere naturalmente bello per chi lo dice, ma per voi che ascoltate può essere solo uno stimolo per il pensare in proprio. Decisivo per ognuno è solo quello che ognuno attiva direttamente, coglie creativamente con la destra nel pensare nel mondo spirituale mediante l’elevazione dalla palude della fisicità e dal sottofondo dell’esistenza dove l’uomo soggiace solo al determinismo di natura, perché egli riceve la capacità di elevarsi e di orientarsi nel mondo spirituale.
Tutto questo ve l’ho raccontato quale commento alla promessa, al giuramento. Qui ci sarebbero ancora un paio di cose da dire, perché nel Vangelo si dice anche di guardarsi dal giurare[16]. Perché il giuramento potrebbe essere inteso nel senso della avvisaglia, e ci sono ancora clan nell’Italia del sud per esempio dove si giura nel senso di una ritorsione. E quando chi è minacciato è abbastanza debole, la minaccia agisce. Ma l’effetto si verifica soltanto perché lui è fragile.
L’Angelo promette per i viventi, cioè non solo per ciò che è vivente in un tempo preciso, ma per i secoli dei secoli, per interi cicli temporali, il che significa per ciò che è sempre vivente, del tutto indipendentemente dai cicli terrestri.
10,6 Al vivente, e„j toÝj a„înaj tîn a„ènwn, per i secoli dei secoli, Öj œktisen tÕn oÙranÕn, promette ai cieli e a tutto ciò che in essi è contenuto, alla Terra e a tutto ciò che vi è in essa, al mare e a tutto ciò che contiene. Cos’è il contenuto di questa promessa? Non ci sarà più tempo, crÒnoj oÙkšti œstai. Alla lettera: tempo non più sarà. Questo è il contenuto della promessa.
Domandiamoci cosa significa questa trinità: il cielo e tutto ciò che vi è in esso, la Terra e tutto quanto vi è in essa, e il mare con tutto ciò che contiene. Cosa sono? Una trinità per noi inusuale. Quando noi pensiamo cielo e Terra intendiamo il tutto, perché il mare è contenuto nella Terra. Invece qui la trinità indicata deve essere intesa proprio come una trinità: cielo, terra e mare.
Dunque il Vivente – sarebbe Dio Padre, se volete, questo vivente è il Padre divino. In questo Dio Padre è incluso anche il Figlio, ma dapprima al centro dell’attenzione sta il Padre, che ha creato il cielo e tutto quanto in esso è contenuto, la Terra con tutto ciò che vi è in essa, e il mare con tutto ciò che contiene, segue poi la promessa: Non ci sarà più tempo.
Faccio una proposta, solo una proposta. Potete avanzarne voi di migliori. Non prendetela come se fosse in grado di illuminare tutto. Ognuno può cogliere anche altri aspetti. Viene detto: il tempo è finito. Questa è la promessa. È molto importante. Cosa significa che il tempo finisce? Il tempo finisce quando quello che viene dopo è già contenuto nel presente. Nella successione cronologica io ho il tempo, ciò che era prima non è dopo, poi arriva qualcosa d’altro, e diventa il prima di un altro dopo, e così di seguito. Quindi i tempi si succedono, uno dopo l’altro. Fintanto che è così il tempo non finisce perché qualcosa succede a qualcosa d’altro: all’oggi succede il domani, al domani il dopodomani, e l’oggi è succeduto all’ieri.
Come si fa a far finire il tempo? Esattamente come quando si afferra un’analisi in modo sintetico. Un’analisi consiste nell’osservare i diversi aspetti di un fenomeno (v. Fig. sotto) uno dopo l’altro. Alla fine abbiamo il punto di vista complessivo. Questa è la sintesi: è la forza di cogliere l’assieme.
Cosa significa sguardo complessivo? Che non ho più gli elementi uno dopo l’altro, li ho soltanto unificati, li ho tutti insieme. Questo è il concetto del passaggio dal tempo all’eternità, è l’esperienza della sintesi, dello sguardo d’insieme. La coscienza divina è lo sguardo d’insieme dove tutto è spiritualmente presente.
Il tempo non ci sarà più significa che la direzione, il senso dell’evoluzione è quello di fare in sé questa esperienza di presente spirituale in cui tutto c’è contemporaneamente, tutto ciò che nel tempo era passato, o presente, oppure futuro. Tutto ciò che è futuro è presente, l’intero passato è presente, e il tempo della successione sparisce. Non è straordinario?
Questo è l’aspetto meraviglioso del rafforzamento dello spirito, la gioia di diventare creatori a immagine di Dio, chiamati a essere attivi nel pensare, a generare una tale presenza di spirito da rendere presenti tutte le cose possibili, così che il passato non viene dimenticato ma è presente e il futuro non rimane oscuro ma viene anticipato. È la capacità di ricordare e anticipare tutto, la coscienza divina quale appello dell’uomo libero, perché l’uomo è fatto a immagine di Dio. Quindi il senso del tempo è di essere superato dalla coscienza dell’eternità. Il senso della successione è di essere sperimentata nella contemporaneità.
E la promessa? Si avvererà quando tu, caro uomo, con tutte le tue forze di volontà prometterai di non deviare mai da questa meta dell’evoluzione. E soltanto se tu apporti tanta forza volitiva come fai con un giuramento, con un voto, potrai generarne altrettanta per realizzarlo. Ma sta’ attento, perché se abbandoni un voto le conseguenze negative sono gravissime, perché hai contro di te tutte le forze opposte – proprio come è possibile la presenza della totalità del tempo nella tua coscienza, è altrettanto possibile l’annullamento del tuo intero essere. Qui si gioca il tutto per tutto, questo è il senso del giuramento: la realizzazione delle totalità dell’uomo oppure il suo annientamento. Tutto questo opera magicamente, lo ripeto ancora. Perché quando una consapevolezza oppure una promessa – la prima nella testa, la seconda nelle forze di volontà –, raggiunge il livello del giuramento, tutti gli Esseri elementari vengono risvegliati dal loro incantesimo. Questo è il giuramento. Non si può più restare indifferenti, è pericoloso; l’uomo deve riflettere bene su questo. Ma se lo utilizza nel senso della magia bianca, allora diventa sacerdote, diventa il celebrante nel cosmo. Altrimenti è magia nera, mediante la quale gli Esseri elementari del male, di tutto ciò che è antiumano, vengono risvegliati, rafforzati, disincantati.
Questo per quanto riguarda il senso essenziale dei giuramenti e la loro evoluzione nell’umanità, fino all’ultimo annacquamento nei voti della Chiesa cattolica, degli Ordini religiosi, e addirittura al loro pervertimento, in modo particolare nel voto di obbedienza. Oppure guardiamo al voto di castità, io l’ho vissuto: presso molti Ordini religiosi non è più capito e viene inteso semplicemente come una promessa di celibato, di rinuncia al matrimonio. Cos’è successo? L’intero contenuto del voto è andato perduto, perché il contenuto del voto è la promessa: per me il senso della vita consisterà nell’interiore purificazione della sessualità e di tutto quello che ha a che fare con la corporeità dell’uomo. E questa promessa si potrebbe augurare a ogni uomo. Perché o è valida per tutti, oppure anche gli ordini religiosi dovrebbero lasciar perdere.
Ho pensato molto a queste cose quando ho scritto il secondo capitolo del mio libro, Il Mistero dell’amore[17], intitolato appunto: “Amore e sesso”. Non mi ha sorpreso il fatto che l’editore italiano si sia rifiutato di stamparlo. Non lo ha fatto e io ho dovuto pregare l’editrice tedesca di stamparlo in italiano. L’editore italiano si è rifiutato. C’è già una grande frattura nell’umanità.
Ora certo volete sapere da me come sono da intendersi la trinità di cielo, terra e mare. Faccio una proposta. Finora ho fatto una digressione e torno alla questione di partenza. Perché si tratta di vedere come scompare il tempo, noi abbiamo tre momenti nell’evoluzione temporale (v. Fig. p. 63): inizio, passo 1; centro, passo 2; e conclusione, passo 3. Naturalmente i passi possono essere anche venticinque, se volete, non lo impedisce nessuno, solo che se fossero venticinque avremmo il compito di metterli in ordine per trovare un minimo di struttura. Ora capite perché gli Scolastici dicevano omne trinum est perfectum, cioè: tutto ciò che è trinitario è perfetto, proprio perché quando ho l’inizio, il centro e la conclusione, ho tutto. Se parto dal 25 è più complicato, perché devo prima trovare una struttura, ma anche in questo caso vale l’inizio, il centro e la conclusione. Padre, Figlio e Spirito Santo, se volete. Un quarto non c’è.
Urano, il cielo, è il primo terzo dell’evoluzione, quando l’uomo era ancora legato allo spirito. Il secondo passo è la discesa sulla Terra. Ancora una volta non voglio pretendere che questa sia l’unica interpretazione ma solo una proposta interpretativa. Ma vedrete che sarà difficile contraddirla. Son contento se troverete qualcosa di meglio.
Quindi: il cielo. Si tratta del vivente, di una immagine del Padre, che nella lingua dell’intera Apocalisse è questo tù zînti, il Vivente, perché ha fatto l’intera creazione, e quand’anche in questa opera creatrice ci sia una trinità noi dobbiamo comprenderla come quello che Egli ha messo a disposizione per i passi evolutivi dell’uomo. Cielo, quindi, e poi Terra. Bene.
Adesso viene qualcosa di più difficile. Perché il primo è lo spirito, il mondo spirituale, e il secondo è il mondo della materia, la caduta è questa necessità, l’evolutivamente necessario congiungersi con la materia per individualizzarsi e quindi conseguire la possibilità proprio a partire dall’individualizzazione di ritrovare di nuovo lo spirito. Ora, al terzo gradino, dove tutto viene riassunto, quando abbiamo tutte e tre le realtà spiritualmente presenti, il tempo è finito. Non ci sarà più tempo quando avremo le tre realtà contemporaneamente presenti. Il tempo sparisce quando io ho nello stesso momento tutto ciò che può essere conseguito nell’evoluzione. Ciò che deve essere presente contemporaneamente nello spirito viene chiamato: cielo, terra e mare. Forse ci vuole un po’ di fantasia, perché ho già detto che per me è facilmente comprensibile il cielo e la terra, ma il mare?
Vedete, se il terzo passo fosse di nuovo come il primo allora l’evoluzione non servirebbe a niente. Sarebbe un ritorno a dove eravamo già, e il tutto sarebbe stato fatto per niente. Quindi il terzo passo deve essere, da un lato, un ritorno nel mondo spirituale, ma completamente diverso, individualizzato, a partire dalle libere possibilità evolutive dell’uomo. E dove l’uomo con la sua attività, con il suo pensare entra nello spirito in modo creativamente individuale, c’è sempre l’immagine dell’eterico, dell’entrare nel mondo del vivente rappresentato con l’immagine del mare. Perché il vantaggio dell’evoluzione è che l’uomo diventato sufficientemente forte nel pensare dirà a questo monte: sparisci, sollevati da qui – il monte sta per la materia, per la terra – e gettati nel mare[18], e questo accadrà, quando l’uomo avrà fede sufficiente. La parola “fede” è la traduzione del termine greco Pistis. Pistis, cioè l’uomo che ha raggiunto nel suo Io pensante una forza sufficiente.
Significa che il primo grado dell’esperienza del mondo spirituale, che Steiner chiama il livello immaginativo, è: il mondo terrestre scompare, il monte è sparito e l’uomo sperimenta se stesso come in un mare, cioè in un mondo di forze che si muovono, ondeggiano, fluttuano e hanno sostanza reale; poi prosegue oltre, più in alto, in un mondo di concetti, di elementi di pensiero, che è il mondo dell’ispirazione, e infine, ancora oltre, giunge là dove afferra il mondo spirituale.
Questo sarebbe – a partire dal secondo grado dell’evoluzione – il terzo, il raggiungimento del vivente, del mondo della vita, e questo viene sempre rappresentato con l’immagine del mare, dell’acqua. Ecco la mia proposta interpretativa.
Quando l’uomo, ora, a partire delle esperienze di tutti e tre i passi che ha compiuto uno dopo l’altro nel corso del tempo, così che ora è in grado di afferrare sempre meglio la struttura complessiva quando li sperimenta contemporaneamente, in modo che, per esempio, del tutto liberamente si muove fra terra e mare e viceversa e, a un tempo, sempre più profondamente sperimenta la realtà del cielo, dello spirito, allora lui ha nella contemporaneità dello spirito ciò che sulla Terra accade invece nella successione temporale. E quando l’uomo sperimenta tutto ciò nella contemporaneità del suo spirito, allora il tempo è finito perché lui vive nell’eternità. Questo è il superamento del tempo.
Mediante la presenza contemporanea di tutto ciò che è passato, e la presenza spirituale di tutto ciò che è futuro, l’Apocalisse è il presentire del futuro. Questa è l’Apocalisse: il richiamare alla mente ora, nella coscienza, tutto ciò che è futuro. Quando l’uomo ricorda tutto ciò che è passato, lo interiorizza, lo rende sua propria interiorità; quando anticipa tutto il futuro, lo porta in sé quale ideale, lo rende presente, lo attualizza quale ideale complessivo dell’evoluzione, allora il presente diventa presente spirituale dove il tempo intero viene sperimentato nello stesso momento come durata, come eternità.
Se così non fosse potrebbe sorgere la domanda: quale è il senso di un giuramento dove un Angelo dice che il tempo non ci sarà più? Bisogna pensarci sopra, per capire cosa viene veramente detto.
Verso 7, ora viene completato:
10,6 Il tempo non ci sarà più
10,7 «Ma nei giorni quando il settimo Angelo eleverà la sua voce, e le trombe suoneranno, allora sarà compiuto il mistero di Dio, come l’aveva preannunciato ai suoi servi, i Profeti».
Ma nei giorni della voce del settimo Angelo – perché qui, ora, siamo alla sesta tromba, e la settima comincerà a risuonare al cap. 11,15. Qui siamo alla sesta tromba, che anticipa la settima. Ora arriva la settima: il tempo è finito. Perchè la settima, cioè il nostro tempo – bisogna essere svegli con l’Apocalisse – questa triplicità è di nuovo uno, due, tre e poi, qui, quattro, cinque, sei e sette. Quando risuona la settima tromba arriva il tempo evolutivo della fine. Il tempo è concluso, è compiuto, e tutti e sette i gradini sono presenti perché tutti sono interiorizzati nella memoria, diventano dimensioni interiori dello spirito umano, dell’anima umana.
10,7 Nei giorni della voce del settimo Angelo, quando il settimo Angelo suonerà la tromba, allora sarà compiuto il mistero di Dio. Il mistero che egli eÙhggšlisen, quale buona notizia, quale Vangelo ha portato ai suoi servi e ai profeti –. Su questo forse diremo qualcosa dopo. Il mistero del Padre, il mistero di Dio era qualcosa di nascosto. Mistero è qualcosa di nascosto. Cos’è il mistero del Padre? Il Figlio. Questo mistero che prima era nascosto in Dio Padre, poi è stato rivelato[19]; l’evoluzione dell’umanità è il divenire manifesto del mistero-Figlio della Divinità.
Questa è la chiamata dell’uomo che, in quanto si cristifica, diventa sempre più divino: questo è il Mistero di Dio, che è la libertà dell’uomo. Il mistero divino è il Cristo quale vocazione dell’uomo alla libertà. Questo mistero Dio non lo ha affidato a nessuno prima dell’incarnazione del Figlio, venuto proprio a rivelare agli uomini questo mistero. Perché gli uomini, prima di Cristo, non avevano coscienza di questo mistero. Prima di Cristo gli uomini pensavano di essere al mondo per ubbidire a Dio Padre. Ora ascoltano la rivelazione che è un grande mistero, un enigma, un segreto, il mistero più grande che fino a quel momento di svolta non era stato rivelato. Il grande mistero che non era stato rivelato è che Dio non ha previsto nell’uomo solo un essere ubbidiente, ma una figliolanza che sta eretta accanto a Lui; in modo libero, creativo, spiritualmente attivo.
Se questo non è un mistero! E non venne tradito, non venne neanche tradito fino alla metà dell’evoluzione. Gli stessi giudei, che pure erano preparati, non poterono indovinare questo mistero: che l’uomo non era stato creato per sottomettersi, l’uomo, il Figlio di Dio, l’umanità e il Cristo in ogni uomo, è stato creato per sedersi alla destra del Padre. Il Cristo è venuto per svelare questo segreto, il mistero. Il mistero del Padre è il Figlio; non uno schiavo, non un servo ma un Figlio, il Figlio dell’uomo chiamato a essere creatore nella libertà, nel pensare e nell’amore.
***
Forse, prima che io continui potremmo dedicare un po’ di tempo ai vostri interventi. Altrimenti non lasciamo mai spazio alle vostre domande o ai vostri contributi. Se non ce ne sono posso proseguire.
Abbiamo visto che ogni singola parola è molto importante: potremmo considerarle tutte d’oro. Ma se facessimo così, i commentari diventerebbe smisurati. Per questo motivo possiamo soffermarci solo su qualcosa qui e là, anche perché viviamo in un tempo in cui molto deve essere lasciato in sospeso, finché non saremo in grado di capirlo più profondamente.
Domande dei partecipanti
Intervento: Non si potrebbe, al posto del mare, collocare al terzo posto il nuovo cielo?
Archiati: Sì. Il nuovo cielo, ma l’Apocalisse parla di un mare e io ora ho fatto questa proposta. Adesso possiamo anche dire ciò che vien dopo: “nuovo Cielo e nuova Terra”, perché la definizione nuovo cielo nell’Apocalisse viene prima. In questo senso sono giustificate.
Allora la domanda sarebbe: da dove viene il nuovo rispetto al primo cielo? Cosa fa di questo cielo un cielo nuovo?
Intervento: Il fatto che l’uno e il due siano nel frattempo passati.
Archiati: Sono stati vissuti, e tutto quello che viene vissuto viene incorporato nell’uomo. Proprio questo. Posso ora riproporre la domanda in modo più essenziale: il nuovo cielo è qualcosa oppure è un chi? Naturalmente è qualcosa, ma è molto più importante il fatto che sia un chi. Il nuovo cielo è l’uomo nella sua pienezza, l’uomo cristificato. Non può proprio esserci un altro cielo nuovo. In questo uomo cristificato è contenuto tutto ciò che è stato vissuto.
Questo anche per cavarcela dal materialismo, perché noi non pensiamo al cielo nuovo come a un luogo. Questo è sempre il pericolo.
Intervento: Si potrebbe anche dire che al di sopra di tutte le individualità… (domanda acusticamente incomprensibile)
Archiati: Bene, naturalmente c’è anche questo. Questo significa l’umanità. E l’umanità è il Cristo. Cristo non è solo un uomo, ma l’intera umanità, tutti gli uomini assieme. Questa è una somma? È una addizione? Bisogna solo portare avanti un po’ il pensare e, precisamente pensare che gli uomini si cristificano nella misura in cui formano tutti insieme il corpo spirituale del Cristo. Quindi un corpo, un organismo, non una somma. L’organismo è forse una somma di organi? No, è una unità organica. L’arte della morale è: come si diventa gli uni membra l’uno dell’altro? Così che io sperimento gli altri uomini come membra del mio organismo, e loro sperimentano me come membra dell’organismo umanità. L’uomo è nell’umanità e l’umanità è nell’uomo, in ogni uomo: questo è il nuovo cielo. «Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me»[20].
Ora potremmo proseguire oltre il settimo versetto. Volevo solo attirare la vostra attenzione sulle parole «Fu compiuto il mistero di Dio» ™telšsqh. È la stessa parola che è in bocca per ultima a Cristo sulla croce nel Vangelo di Giovanni[21]. Telos in greco indica il fine e la parola tedesca (Ziel) che lo indica deriva direttamente dal greco. L’ultima parola del Cristo sulla croce dice proprio: tutto è compiuto; l’adempiersi, il compiersi del tutto. Questo significa che ciò che prima era in successione, nell’evoluzione temporale, ora viene incluso nella coscienza: non nel senso che finisce, ma che viene portato al compimento. È il compimento dell’evoluzione, quando tutto è insieme.
Dalla parola greca telos Aristotele ha coniato il termine entelechia, una parola che anche Goethe ha amato molto e usato spesso. Entelechia: en (en) significa in, dentro, in se stesso.
en – teloj – ecw
en – telos – echo
Ecw (echo) significa avere; teloj (telos) significa il fine; en (en) significa dentro. Avere in se stesso il fine. L’uomo è l’essere che nel corso dell’evoluzione, anche prima del suo raggiungimento, ha in sé, porta in sé il suo fine.
Come è possibile averlo in sé senza essere arrivati al fine? È possibile avere in sé il fine ancor prima di averlo raggiunto? Normalmente questa situazione viene detta “disposizione”, cioè presenza del futuro, predisposizione a qualcosa che si realizzerà. Per Aristotele e Tommaso questa è la potenzialità, cioè il dinamismo dell’evoluzione. Sei già ma non sei ancora, perché sperimenti la disposizione come un divenire. E il divenire è la relazione fra l’essere e il non essere.
Qui nell’Apocalisse troviamo la parola ™telšsqh, venne compiuto, venne portato a compimento. La stessa parola che dice Cristo sulla croce. Cioè: l’evoluzione nel corso del tempo è stata portata alla pienezza quando il mistero, il segreto divino, il Figlio, la manifestazione del Figlio si è compiuta. Questa manifestazione del Figlio viene compiuta nell’uomo quale risultato dell’intera evoluzione, del grande divenire del tempo dove tutte le disposizioni, le predisposizioni, le possibilità del divenire si realizzano.
Cos’è una capacità? È qualcosa di molto misterioso. Ecco che ritorna il termine “mistero”, perché nulla è più misterioso della capacità, della predisposizione, di qualcosa che è e che non è ancora. È l’enigma di tutti gli enigmi, il mistero di tutti i misteri. Come può qualcosa esserci e non esserci allo stesso tempo? Questa è l’evoluzione, il divenire. Perché l’uomo può diventare solo sempre più umano, e non può diventare altro rispetto a ciò che è già presente in lui come disposizione.
Detto in altro modo, un bimbo è un uomo o non lo è? È un uomo in divenire. Così come la persona adulta. Perché come il bambino sviluppa in sé i gradi successivi del pensare, della coscienza, così anche l’adulto amplia i suoi gradi di coscienza, quelli che conosciamo, quelli che ora noi usiamo. Se ci deve essere evoluzione, se questo aspetto misterioso deve essere preso sul serio, allora bisogna presupporre che il gradino adulto del pensare sta al gradino successivo, come il grado infantile della coscienza sta a quello adulto. Questo significa che il senso del nostro pensare è un nuovo risveglio. Perché se il pensare non è suscettibile di evoluzione, allora non c’è alcuna evoluzione.
L’affermazione che il pensare può evolversi è l’affermazione di gran lunga più importante della scienza dello spirito di Rudolf Steiner, ed è, in essenza, l’affermazione di fondo che manca sia alla teologia che alle scienze naturali: invece lo spirito umano può evolversi! Quasi tutti i filosofi hanno filosofato partendo dal presupposto che l’uomo è così e basta. Hanno cercato di interpretare, ma mai, neanche nel caso di Tommaso d’Aquino perché ai suoi tempi non esistevano ancora le premesse necessarie, sono partiti dalla convinzione che lo spirito umano, il pensare umano fosse concepibile in continua evoluzione. L’iniziazione, come la si voglia chiamare qui non importa, consisteva nel considerare l’attuale condizione del pensare come fondamento per il grado ulteriore, per la vivificazione del pensare, per un pensare vivo.
Intervento: Mi viene in mente che Goethe ha espresso molto bene lo stesso pensiero con le parole: siamo tutti re che anelano a un fine.
Archiati: Sì, è un concetto che c’è anche nell’Apocalisse, là dove si dice che siamo chiamati a diventare un popolo di re e di sacerdoti. Significa che ogni uomo diventa sempre di più sacerdote, con pieni poteri nell’ambito spirituale; e re, con piena capacità d’azione sulle cose terrestri. Il compito sacerdotale o quello del re al di fuori di me può essere oltrepassato. Come per l’educatore o il genitore che offre al fanciullo una direzione dall’esterno, il cui senso è però quello di diventare inutile. La direzione dall’esterno ha portato a termine il suo compito quando non serve più. Il sacerdozio sostitutivo raggiunge il suo senso quando diventa superfluo, perché ognuno diventa sacerdote. Infatti nessun uomo è destinato a rimanere bambino in eterno.
Intervento: Ma gli uomini vengono trattati proprio come se dovessero restare bambini in eterno.
Archiati: Sì, ma cosa significa trattare gli uomini in questo modo? È un po’ come fanno certi genitori: se si tratta di tener buoni i figli con qualche concessione, allora acconsentono. Niente di male, per carità. Ma prendiamo il caso di una figlia di 25 anni e noi vogliamo tenerla sotto le gonne della mamma. Che significa? È lei stessa che deve allontanarsi dalle gonne della mamma. Nessuna Chiesa tratterrà chi vuole lasciarla.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: No, no. Quello che penso è che dobbiamo pensare il tutto in modo veramente conseguente e fino alla fine. Abbiamo i maestri, abbiamo i genitori, abbiamo la Legge di Mosè, ciò che io riassumo con l’espressione “guida dall’esterno”. Sarebbe sensato pensare evolutivamente che questa realtà si ritiri da se stessa? Decida di smettere di essere quello che è? Sarebbe contraddittorio e sarebbe una mancanza per il proseguimento dell’evoluzione. Questo significa che nella saggezza dell’evoluzione c’è che i genitori e i maestri compiono la guida da fuori. Poi, quando l’uomo finora guidato diventa sempre più capace di prendere nelle sue mani la direzione della sua vita, allora i genitori e i maestri debbono offrire le necessarie controforze. Altrimenti questa liberazione non avrebbe opposizione, termini di confronto, quindi nella direzione dall’esterno ci deve essere una certa tendenza alla conservazione dello status quo, altrimenti non avrebbe nulla da fare per compiere la sua liberazione, perché si diventa liberi se si opera personalmente per diventarlo.
Ancora una volta, per essere più concreti, prendiamo l’esempio della Chiesa cattolica. In Steiner potete leggere che fino all’inizio dell’epoca dell’anima cosciente la Chiesa ha svolto un importante ruolo materno. Perché gli uomini, presi nella loro totalità, a parte qualche eccezione, non avevano ancora la capacità di essere autonomamente spirituali. Quindi per così dire fino al 1413, l’anno che all’incirca indica l’inizio del periodo dell’anima cosciente, il quinto periodo evolutivo, quella situazione era giustificata. Da allora la scienza ha fornito sempre di più agli uomini la capacità di pensare in proprio quali individui. Ma fino al quindicesimo secolo la Chiesa ha svolto un importante ruolo materno.
Questo ruolo è durato fino all’anno mille (Fig. p. 73) – anche nell’Apocalisse si dice mille e non più mille. Nel secondo millennio il drago viene liberato[22]. Ora devono sorgere le controforze, perché l’individuo riceve la capacità, nel secondo millennio – e noi siamo all’inizio del terzo, non dimentichiamolo – di diventare sempre più individuale. Cosa deve fare, allora, la madre? Il suo compito ora diviene essenzialmente quello di essere una controforza necessaria, nel senso che continua a esercitare il suo compito materno. Forse lo si nota meno, perché è diventata nonna. Tutto questo è detto in immagini, anche perché l’Apocalisse parla con le immagini. No, no, è così, e lo penso seriamente.
Ma il compito di una mamma non è cessare di essere mamma! No. Ora si tratta del figlio o della figlia, che hanno venti o venticinque anni: per loro qual è la legge evolutiva? Di emanciparsi attraverso un confronto. Ma come potrebbe esserci questo moto emancipatorio se la mamma cessasse di essere mamma e di sentirsi tale per il figlio o la figlia?
Intervento: Non si tratta di un nuovo punto di vista, ma se la mamma ha davvero sviluppato l’amore, così che sa esattamente che ora il bambino procede bene, e lei lo sostiene ancora nel suo andare, non sarebbe giusto?
Archiati: Sarebbe troppo poco fecondo rispetto al fatto di offrire le necessarie controforze. Perchè allora l’offerta di contrapposizione, di necessario confronto per poter proseguire sarebbe troppo poca.
Intervento: Bene, ma potrebbero già essere stati fatti passi in questa direzione. Ammettiamo che ora sia maturata la decisione del bambino di prendere il suo destino nelle sue mani. Perché non potrebbe essere sostenuto in questo suo andare?
Archiati: No, quello che intendo dire è diverso, cioè non è sensato chiedere alla Chiesa di supplire alla mia carenza di autonomia. Allora la domanda è: cosa faccio io adesso? Per che cosa è competente la Chiesa?
Ciò che subito desidererei far notare è che tutte queste sono categorie emozionali che fondamentalmente hanno poco a che fare con la pulizia dell’oggettività. A questo siamo abituati – non prendetela come una critica personale, naturalmente – ma quello che io penso è che siamo qui (v. Fig. sotto), nel 2003.
Se non ci fosse nessuna forza ritardante, di conservazione, che facesse di tutto per conservare il vecchio, ciò che non è più conforme al tempo, l’evoluzione non sarebbe affatto possibile. Questo è il pensiero pulito. L’Apocalisse è piena di confronti con le controforze, che sono tali o perché non sono più conformi al tempo poiché vogliono conservare il vecchio, oppure sono forze di opposizione perché anticipano ora, costringendo, una realtà che sarebbe sorta più tardi, al momento opportuno. Ma senza queste due situazioni che Steiner chiama rispettivamente luciferica e arimanica, non c’è evoluzione, non c’è alcuna possibilità evolutiva.
Ancora una volta il pensiero centrale, molto importante, è: Mefistofele è cattivo o no?
Intervento: È necessario.
Archiati: Esatto. Nella misura in cui la Chiesa cattolica quale struttura, al di là delle persone, è una controforza rispetto a quello che è conforme al tempo, è assolutamente decisivo che io mi dica: sta attento, non chiamarla cattiva, ma necessaria. Se dici che è cattiva ti precludi la possibilità di cominciare a confrontarti con lei, perché quello che richiede impegno è il liberarsi dagli altri, e ora tu non hai più il tuo compito. Che consiste nel confrontarsi, e mediante il confronto proseguire nell’evoluzione.
Quindi la tendenza emozionale, la tentazione, è quella di dire troppo in fretta: quello che non è conforme al tempo è cattivo. No. È cattivo solo il fatto che io soccombo. Solo questo è cattivo per me. Però la tentazione deve esserci, altrimenti non ho alcuna possibilità di confronto. Questo significa che quel che era adatto all’anno Mille ora è passato, e in quanto passato ha il compito di agire quale forza ritardante: questo è il suo compito.
La libertà ha invece il compito di superare questa tendenza a persistere. Ma se dico che la Chiesa è cattiva perché vuole tenermi all’anno Mille, ho completamente perso di vista il mio compito. Perché il compito di vivere nel 2003 non è il compito della Chiesa, ma è il mio compito, e per realizzarlo debbono esserci le necessarie controforze.
Intervento: Ho una domanda che riguarda la Società antroposofica (la continuazione dell’intervento è acusticamente incomprensibile)
Archiati: Guardi, pensavo di essere felice e contento perché mi ero lasciato alle spalle il confronto con la Società antroposofica, ma non è così, lo vede. Come vede, il confronto deve esserci. Pensavo di non averci più niente a che fare. No, la cosa si ripresenta.
Posso semplicemente aggiungere qualcosa, se vuole, ma nella prospettiva che la nostra evoluzione sia favorita da quanto viene detto. Altrimenti non serve a nulla. Prendiamo, per esempio, l’anno 1903, quando Steiner tenne 24 straordinarie conferenze su Il Cristianesimo come fatto mistico. Due di queste sono sull’Apocalisse e le ho qui davanti. Era il 1903 e ora siamo un secolo dopo. La sua domanda, almeno così io l’ho intesa, era: che tipo di spirito è venuto alla luce nell’umanità? Perché è uno spirito, quindi è sorta una nuova spiritualità. Ho preso questo anno (1903) proprio perché da allora è giusto passato un secolo, che nell’ambito evolutivo è un ciclo.
Diamo per scontato che la maggior parte delle persone presenti qui abbia un’idea di questo spirito, che è lo spirito che incoraggia l’individualismo etico. È lo spirito del nuovo avvento di Cristo, della sua Seconda Venuta, che non si rivela più fisicamente quale istanza esteriore ma quando viene interiorizzato e individualizzato. Così almeno lo capisco io. È lo spirito nel quale la cristificazione dell’uomo diventa il fatto decisivo per tutti gli ambiti della vita. Questo è quello che io vivo in ogni conferenza di Rudolf Steiner.
Questo spirito, per svilupparsi, ha bisogno della controforza? Certamente. Perché senza controforze non succede nulla. Se questo spirito nella sua essenza è il superamento di tutto ciò che è materiale, è l’appello a diventare puri creatori in ambito spirituale, come quell’Angelo che alza la sua destra, la sua parte attiva verso il mondo spirituale, allora la necessaria controforza – ascoltate attentamente, perché ho detto necessaria – è quella che vuole materializzare di nuovo questo spirito. E che cos’è questa materializzazione? Istituzionalizzare qualcosa, questa è essenzialmente la necessaria controforza. Perché invece, l’essenza di questo spirito è la de-istituzionalizzazione, solo così diventa puramente spirituale, mentre tutto ciò che è istituzionale è mera organizzazione, mera rete di forze. Il vero spirito non ha bisogno di uffici, di tutele e soprattutto non ha bisogno delle “sante sedi”. Se succede che spunta fuori una qualche seggiola, che in qualche modo viene santificata come santa sedia, allora questa è la pura forma della controforza; ma deve esserci.
Con questo non ho detto nulla circa l’attuale Società antroposofica realmente esistente, che è certamente qualcosa di più complicato, con persone che la intendono in un modo o in un altro e così via, quindi non parlo di una realtà esistente ma ho cercato di cogliere l’essenza del fenomeno. Quanto questo corrisponda alla situazione o si sia realizzato qui o là, viene lasciato al giudizio di ognuno di voi. La cosa principale è che noi abbiamo in mano il concetto dello spirito conforme al tempo e del controspirito. Perché lo spirito conforme al tempo, oggi, è lo spirito dell’individualismo etico che è l’appello ai singoli individui a unirsi attivamente e individualmente al Cristo, all’essenza del Cristo che è l’essenza dell’io. Interiorizzare il Cristo e con ciò individualizzare il Cristo: questo è la seconda venuta.
Tutto quello che è istituzionale e che ha potuto avere un certo ruolo conduttivo prima, e fino all’attuale gradino evolutivo, da questo momento dell’evoluzione che è quello della Seconda Venuta, deve diventare ora puro mezzo, puro strumento per l’attività, altrimenti è una controforza.
Intervento: Ma allora perché Steiner ha indetto il Convegno di Natale e per così dire fondato a nuovo la Società antroposofica?
Archiati: Se lei chiede perché lui l’ha fatto vuol dire che presuppone che lui l’abbia fatto.
Intervento: Non è stato così?
Archiati: Assolutamente no. I fatti sono andati esattamente al contrario da come lei presuppone. Torniamo indietro di duemila anni e alla luce della Apocalisse chiediamoci: Cristo ha fondato la Chiesa quale istituzione terrena? Secondo lei?
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Lei è molto titubante. Si sente insicuro? No, ora desidero una risposta onesta. Lei non è sicuro, se è insicuro lo dica.
Intervento: Non l’ha fondata Lui, per quel tanto che ho capito.
Archiati: Non ha dunque fondato alcuna istituzione terrena?
Intervento: Sì.
Archiati: È ben diverso se noi affermiamo con certezza che non l’ha fatto, ma avrebbe anche potuto farlo, oppure se diciamo che sarebbe in contraddizione col suo spirito se l’avesse fatto. Sarebbe in contraddizione col suo spirito se Egli lo avesse fatto?
Intervento: Sì.
Archiati: Questa è una domanda molto importante. Io ho affermato che sarebbe stata una contraddizione totale col suo spirito. Perché l’essenza del suo spirito è la chiamata di ogni spirito umano, la stessa chiamata per ogni uomo, a fare l’esperienza dello spirito. Ogni privilegio legato all’ufficio è essenzialmente anticristico.
Per quanto io capisco lo spirito di Rudolf Steiner, penso che la fondazione di una istituzione terrena sarebbe una distruzione del suo spirito, la contraddizione per antonomasia, l’assoluto contro-spirito, e sarebbe anticristico. Quindi il cosiddetto Convegno di Natale può soltanto essere stato il tentativo di elevare tutto ciò che è istituzione terrena – e il tentativo deve esporsi alle incomprensioni, ai tradimenti, altrimenti non sarebbe cristico. Perché il Cristo potè compiere la sua missione, cioè la salvezza dell’umanità, soltanto per il fatto che ci fu un traditore – vale anche per Steiner. Se lui fa qualcosa che partecipa del mistero di Cristo, deve lasciarlo alla libertà dell’uomo, e gli uomini devono avere la possibilità, la libertà, di travisarlo completamente, di tradirlo, di fare il contrario. La coscienza-di-Pietro è l’equivocare, il rinnegare, e la coscienza-di-Giuda è il fare l’opposto, l’uccidere, il tradire.
Nello spirito di Steiner, almeno per come lo capisco io nei 350 volumi della sua Opera omnia, il Convegno di Natale era il suo tentativo, ma poteva essere solo un tentativo, – che è stato fondamentalmente incompreso e tradito, perché è stato fatto l’opposto – di abolire tutto ciò che è istituzione terrena. In questa chiave io leggo tutte le sue affermazioni sul Convegno di Natale.
Se facessimo un seminario di una settimana su questo fatto vi presenterei tutte le affermazioni di Steiner al riguardo, e vi mostrerei che solo intese così hanno un senso. Dice che ora non ci sono più uffici, che la Presidenza sono queste individualità e nient’altro, e solo quello che fanno queste individualità. Quando saranno morte, cosa resta di questa Presidenza? Niente, puro spirito. Prendere in considerazione una successione è controspirito. Ma il controspirito deve esserci come controforza necessaria. Prendere in considerazione che ci sia una successione è l’assoluto controspirito.
Tutto questo è stato inteso, almeno molti lo hanno inteso, come se Steiner avesse fondato una istituzione terrena, che significa: vi appartieni, con tanto di tessera, o sei fuori. L’istituzione terrena comporta che una quantità di persone ne venga esclusa, e questo è anticristico. Invece nello spirito del Cristo nessun uomo viene mai escluso.
Se c’è un’istituzione terrena, allora alcuni vi appartengono e altri no, e questo è anticristico. Perché allo spirito del Cristo e a quello di Steiner appartengono tutti quelli che lo vogliono. Ed escludere qualcuno perchè non è membro è puro controspirito, controspirito nella forma più pura. Ma la controforza deve esserci. Perché se non ci fossero istituzioni terrene – prendiamo la Società antroposofica, perché non voglio fare affermazioni assolute – che assumono il compito di essere, in essenza, controforze, dovrebbero sorgere altre istituzioni a svolgere questo compito, perché la controforza deve esserci.
Nello stesso senso sarebbe necessario che un’altra istituzione assumesse il compito di essere la controforza necessaria se da duemila anni non lo facesse la Chiesa cattolica – qui esprimo una mia opinione, con la quale non è necessario essere d’accordo – e questo del tutto indipendentemente dalla buona volontà delle persone che la rappresentano, che possono anche essere le persone migliori, con le intenzioni migliori, ma quando agiscono quale “santa sede” tutto questo va al di là delle migliori intenzioni. Se questo “santo seggio” a Roma non avesse il compito essenziale di essere la necessaria controforza – lo dico in modo stringato – allo spirito del Cristo, qualcun altro dovrebbe svolgere questo compito nell’umanità. Lo ripeto: la controforza deve esserci, nessuna forza si sviluppa senza controforza.
Se il “santo seggio” romano – del resto viene chiamato così – svolge essenzialmente la funzione di controforza, offre la necessaria controforza allo spirito cristico, oppure no, questo è lasciato alla valutazione di ognuno. Questa convinzione non posso vendervela, posso solo esporla come mia convinzione, tenendo anche conto del fatto che è la convinzione di una persona che karmicamente ha avuto profondamente a che fare con tutto questo e non ne parla solo in teoria.
Se posso permettermi, aggiungo una precisazione: non penso che sia un caso nel mio karma di essere forse l’unica persona – o almeno ho questa impressione – in questa umanità che ha vissuto profondamente con le uniche due “sante istituzioni” ora esistenti. Ce ne sono solo due di sante istituzioni di questo tipo, e con questo concetto specifico intendo istituzioni che affermano di agire in nome del mondo spirituale, proprio quali istituzioni, in forza dell’ufficio.
Sono solo due le istituzioni che oggi affermano di operare in nome del mondo spirituale, solo due. La Chiesa evangelica, per esempio, non ha mai affermato di farlo. E le due istituzioni sono la Chiesa cattolica di Roma e la Società antroposofica, a motivo della scuola di Michele. Perché o la scuola di Michele è un imbroglio, oppure in essa si agisce in nome di Michele. La conduzione della scuola di Michele, dopo la morte di Steiner, è stata rivendicata, sebbene Steiner avesse detto: «Io nominerò l’eventuale successore». “Eventuale” perché non può essere nominato da altri, ed “eventuale” significa che non lo farà mai. Nominare un successore sarebbe stata una sventura. Perché era lui il collegamento con Michele, e questo non può essere tramandato a un successore in forza dell’ufficio; questo è materialismo al massimo grado. Questa è la controforza.
Volevo dire che appartiene al mio karma di essere forse l’unico individuo ad aver sperimentato a fondo entrambe le uniche due “sante istituzioni” che ci sono. Non conosco nessun altro. Perché anche per quel che riguarda la Società antroposofica, credo di aver parlato in quasi tutti i gruppi. Quindi non parlo di queste cose in teoria, ma per esperienza.
E non ci sono altre “sante istituzioni” all’infuori di queste due, con la pretesa di operare, quali istituzioni, quali Presidenze, in nome del mondo spirituale. Operare da papa in virtù dell’ufficio e non in virtù dello spirito, in forza del “seggio”, perché è il seggio che opera. Per un buon cattolico è irrilevante chi siede sul seggio, perché è il seggio che opera, l’ufficio! Lo spirito santo si è collegato con una seggiola (Risate). Voi ridete. Sono invece cose molto serie.
Auguro a tutti buon appetito.
Terza conferenza
martedì, 11 novembre 2003, pomeriggio
vv. 10,7-11; 11,1-6
Cari amici,
abbiamo visto in che modo il tempo vien portato al compimento, e non nel senso che esso sia finito, che l’evoluzione sia terminata; ma nel senso che nel corso dell’evoluzione i vari livelli vengono sperimentati uno dopo l’altro, e il compimento del tempo consiste nel loro essere tutti contemporaneamente presenti (v. Fig. sotto).
Così il tempo fluisce nell’eternità, nella durata. Significa che resta durevole, spiritualmente presente ciò che si è sviluppato in forma susseguente nel corso dell’evoluzione.
In questo senso nulla viene lasciato dietro di sé, ma tutto quello che è successo viene preso con sé. Questo è un pensiero molto bello, veramente bello e confortante, perché nulla viene perduto di quanto un uomo ha sperimentato, ma tutto viene incluso nella sostanzialità dell’Io. È un frammento del divenire nella saggezza, nell’amore, e resta durevolmente quale gradino del divenire dell’evoluzione in chiave di saggezza e di amore.
Questo completarsi, questo divenire totale del tempo è che il mistero di Dio, il mistero divino viene portato a compiersi. Questo mistero, che all’inizio del tempo era ancora nascosto, ora, nel corso dell’evoluzione temporale si è rivelato, è stato sperimentato, è diventato percepibile, qui, sulla Terra.
Cos’è questo mistero divino? Il divenire Io. E il divenire Io è il divenire Cristo dell’uomo, la sua cristificazione. Il Padre opera, onnipotente, nelle leggi della natura per creare le fondamenta, e lo ha dapprima nascosto – era il suo mistero, il suo segreto – affinché la necessità di natura ci fosse e permanesse. Questo mistero è stato rivelato mediante il Figlio perché il senso della necessità di natura è la libertà dell’uomo. E perché è stato mantenuto come mistero? Perché nessun minerale, nessun vegetale e nessun animale può comprenderlo, ma solo mediante la comparsa dell’uomo poteva essere rivelato, perché solo l’uomo può capirlo.
Perché la libertà, il divenire Io, la cristificazione dell’uomo è il senso, il compimento della legge di natura: questo può essere compreso solo dall’uomo, questo è il suo segreto. Colui che non l’ha ancora capito non ha ancora svelato il mistero dell’uomo, perché il senso della necessità di natura, il mistero di Dio Padre è la libertà dell’uomo, è il Figlio, è la cristificazione dell’uomo. È tipico del mistero dell’islam, per esempio, che questo mistero non sia stato compreso, proprio nel Corano, perché lì il Figlio di Dio viene negato; viene detto che Allah non ha figli. Lo vedremo nel XIII capitolo (dell’Apocalisse).
Questo mistero è un buona notizia, ευ-¢ggšlιον. Eυ (eu) significa vero, bello e buono, favorevole, auspicabile, riferibile a ogni uomo, e ¢ggšlιον (anghelion) significa che è stato portato giù dagli Angeli. È la buona notizia portata dagli Angeli, parola quest’ultima che in greco significa messaggero. Quindi quei messaggeri della Divinità, tutti insieme, hanno da portare una notizia veramente buona. Qual è? Che il senso della necessità è la libertà. Non potrete mai trovare una notizia migliore di questa.
A questa buona notizia lavorano tutte le Gerarchie angeliche. Tutte le Gerarchie angeliche lavorano perché l’uomo, mediante la cristificazione, nella libertà, nella creatività del suo essere diventi sempre migliore e trovi il bello, il vero e il buono del suo essere. Quindi questo bene dell’uomo, questo bello dell’uomo è a un tempo sia annuncio che opera, cooperazione di tutte le Gerarchie che sono state mandate sulla Terra dalla Trinità, dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo quali annunciatrici e trasmettitrici della buona notizia, che contiene in sé anche buone possibilità evolutive per gli uomini. Nello stesso senso abbiamo qui, nell’Apocalisse, l’affermazione che le apparizioni angeliche portano a coscienza questa buona notizia, questi aspetti del divenire umano. Anghelos significa messaggero, portatore di notizie, in greco.
Intervento: Anche i non cristiani debbono conseguire la coscienza di Cristo?
Archiati: Sì, ma si dovrebbe chiedere cosa intende lei per non cristiani.
Intervento: I buddisti, gli induisti e così via.
Archiati: La parola Cristo non è mai stata usata dal Cristo, così come il termine “cristiano”, sorto dopo di Lui. Io qui uso il termine “cristificazione” riferendolo all’uomo perché sto parlando a persone cresciute in una cultura cristiana, ma al di là di questo non sarebbe necessario, si potrebbe tranquillamente dire che si tratta del divenire umano dell’uomo. Per questo motivo ho scritto qui (v. Fig. p. 81) Io che diviene, senza la parola Cristo, perché questo termine sarebbe accessibile per tutti gli uomini.
Sorge ora la domanda: quale uomo è un “Cristo”? Vorrei subito fare una proposta: Cristo è ogni uomo che comprende l’amore. Questo lo può fare ogni uomo, anche nel buddismo o altrove.
Intervento: Gandhi, per esempio, in questo senso è cristiano, perché ha operato cristicamente.
Archiati: Quando studiavo teologia la domanda veniva posta spesso e in proposito sono state tenute molte lezioni, relativamente a quanto il cristianesimo esplicito, cioè il suo aspetto conoscitivo e ciò che accadde duemila anni orsono aiuti l’uomo a capire meglio cosa significhi essere uomo, e così via. Certamente è avvenuto, in un certo senso. Gli idealisti tedeschi, nelle loro lezioni, osservando in forma strettamente filosofica e col pensiero il fenomeno uomo, ne hanno discusso, a volte partendo da semplici frasi del Vangelo di Giovanni, da loro discusse filosoficamente.
Immaginiamo di avere a che fare con un buddista, con un monaco buddista per esempio, e di discutere con lui come è spesso capitato a me quando vivevo in Oriente. La domanda sarebbe, in primo luogo, quella relativa all’Io, se l’uomo si senta chiamato a essere non solo un ente di natura quando dice per esempio: sì, i miei geni sono la base per quel che io penso o faccio; oppure se sia mosso invece dalla convinzione: no, ogni uomo è uno spirito che ha delle capacità per assumere responsabilmente la conduzione dei suoi pensieri e delle sue azioni.
La seconda domanda sarebbe di chiedersi se queste capacità, queste possibilità della libertà che ogni uomo ha sulla Terra, indipendentemente dalla cultura nella quale è cresciuto, se queste esperienze di capacità di libertà realizzata, se queste disposizioni che ci sono in ogni uomo e si nascondono in tutti gli uomini, provengano da sé, oppure presuppongano un’altra origine quale quella dell’onnipotenza divina.
Perché, se noi poniamo la più alta divinità come onnipotente e se questa divinità resta tale in assoluto, allora non c’è spazio per la libertà umana. Ma se l’uomo, anche il buddista, fa l’esperienza di avere questa capacità di libertà, di capire sempre meglio e individualmente le cose, di assumerle responsabilmente, allora può dire a se stesso: ah, ecco, la divinità onnipotente deve, in qualche tempo e in qualche modo, aver deciso di tirare indietro la sua onnipotenza dall’interiorità dell’uomo per lasciare spazio alla libertà umana. E quando si tratta di dare un nome alla divinità che opera in questo modo, allora è poco importante chiamarla Figlio di Dio oppure Cristo, oppure Messia come fanno gli ebrei. Ciò che è importante è che è stata scoperta nell’esperienza di sé un’altra modalità dell’agire della divinità, caratterizzata dal fatto che non agisce con onnipotenza ma con amore liberante.
Perché se la divinità dà all’uomo la possibilità di pervenire all’autonomia e alla libertà, lo fa solo a partire dall’amore che ha per l’uomo, perché la più alta forma di amore consiste nel fare tutto affinché l’essere amato trovi la sua libertà.
L’ho scritto anche nel mio libro dove affermo che amare significa sempre volere la libertà dell’amato, altrimenti sono io che voglio in lui, e questo è egoismo. Amare gli altri significa fare di tutto affinché ognuno trovi la strada alla sua autonomia.
Dunque dall’esperienza di sé ogni uomo, indipendentemente dalla cultura in cui è cresciuto, potrebbe afferrare il secondo modo di agire della divinità, e se tiene conto di tutti e due i modi in cui la divinità opera, allora ha il Padre e il Figlio, cioè Cristo. Non ha nessuna importanza chiamarlo così o meno. Importante è che cominci a capire cos’è l’amore, perché l’amore è sempre amore per la libertà.
Allora dirà a se stesso – immaginiamo che sia un ebreo, per esempio –, sempre a partire dall’esperienza di sé, di aver trovato il Messia, e non c’è bisogno che sia diventato cristiano, perché neanche i cristiani lo capirebbero meglio. Molti cristiani, fino ad ora, non l’hanno capito meglio degli appartenenti alle altre religioni, hanno solo coltivato una relazione di sentimento col Cristo, un legame di fede ma questo non significa che il pensare abbia fatto progressi. Un ebreo cresciuto nell’ebraismo che faccia questa esperienza di sé – perché sta davvero nella regìa evolutiva che l’uomo sia chiamato alla libertà –, un tale ebreo potrebbe dire a se stesso: ah, forse è questo il senso del sabato nella Genesi.
Perché cosa significa che Jahvè oppure gli Elohim hanno creato il mondo in cinque giorni, e poi l’uomo al sesto, e poi si sono riposati il settimo giorno? Non certo che la divinità fosse rimasta senza fiato, perché non avrebbe senso. Un Dio che avesse creato fino al punto da stancarsi, non sarebbe certo un Dio. L’ebreo potrebbe giungere davvero fino al pensiero che il senso del riposo divino, dopo la creazione dell’uomo, può essere soltanto che Dio da qualche parte si è tirato indietro per fare posto alla libertà dell’uomo. Allora l’ebreo trova nella Genesi, nel primo libro di Mosè, tutti i concetti per capire l’agire del Figlio. Perché il Figlio non agisce da onnipotente, ma in modo amorevole per l’uomo.
In un certo senso si potrebbe dire che un uomo come Gandhi ha profondamente afferrato il mistero del Cristo, del Figlio, della libertà dell’uomo, forse molto di più di molti cristiani, e lo ha fatto per esperienza propria, dalla propria esperienza di vita, anelando alla libertà, lottando con la potenza dell’Inghilterra; cominciò già in Sudafrica e poi proseguì in India. Proprio nel lottare per la libertà un uomo come Gandhi procede in avanti, perché l’esperienza del Cristo è inscindibile da quella della libertà. Un uomo che comprende davvero la libertà comprende Cristo; deve solo capirla correttamente, perché la libertà può anche essere equivocata col libero arbitrio, quale presunzione.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Bene, questo ritirarsi, farsi da parte, significa offrire la forza di opposizione. Si debbono prendere le due immagini insieme, in armonia. Se la divinità non si ritraesse sarebbe diverso, perché manterebbe continuamente la guida. Ma poiché la divinità ora si pone come il fondamento della libertà, allora il rapporto con questo fondamento consiste nel raggiungere la libertà. Si devono semplicemente tradurre le immagini. Dunque tirarsi indietro non significa che ora la divinità non ha più forza per mettersi in relazione.
Se il Padre divino, per sei giorni, ha creato la necessità di natura, allora ci sono due possibilità: o la legge di natura non si ritira mai dall’uomo e opera totalmente in lui eliminando così ogni possibilità di libertà, oppure se la necessità di natura si ritrae dall’uomo per fargli posto, cosa fa? Diventa il fondamento e nel rapporto con questo fondamento l’uomo sviluppa la libertà. Perché il pensiero successivo sarebbe: tutto ciò che è libero non deve necessariamente esserci, altrimenti non sarebbe libero. Se ciò che è libero viene omesso, cosa resta? Il Padre, cioè la necessità di natura.
Dunque la libertà è solo un superamento della necessità di natura e può realizzarsi solo attraverso questo superamento, che non deve essere lo scavalcare qualcosa che in me è impulso, oppure annichilire forze vitali. Cosa significa allora superare in me la necessità di natura? Significa essere più forti della natura in me; ma per far questo la natura deve esserci, altrimenti non posso superarla, e questa è la sfida. Tutto ciò che è impulsivo – l’operare del Padre –, deve essere presente ma non assorbire tutto l’uomo, perché l’uomo ha la possibilità di diventare ancora più forte di tutto ciò che è impulsivo.
Dunque il Padre si ritira affinché l’uomo abbia la possibilità di aggiungere una sfera completamente nuova, quella della libertà, e nello stesso tempo nella contrapposizione con la natura, con le forze di natura, è possibile conseguire ciò che è libero.
Ecco le ultime parole del settimo versetto:
10,7 Verrà portato a compimento il Mistero di Dio, la buona notizia che egli aveva annunciato ai suoi servi e ai suoi profeti. Ecco comparire servi e profeti, una duplicità. L’uomo nella prima metà dell’evoluzione è un servo, quindi un servo, per così dire, più rivolto verso il passato, e nella seconda metà dell’evoluzione l’uomo diventa un profeta rivolto verso il futuro. Fondamentalmente si tratta di tutti gli uomini. Diciamo che di fronte al Dio Padre sono tutti servi, mentre in rapporto al Dio Figlio sono tutti profeti, orientati al futuro.
10,8 «E la voce che io avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo e disse: vai, prendi il libro aperto dalla mano dell’Angelo che sta sulla terra e sul mare»
E la voce che udii dal cielo parlò di nuovo, parlò ancora una volta con me dicendo: Ûpage l£be tÕ bibl…on – Ûpage, evolviti ulteriormente. Di solito trovate nelle traduzioni: «Vai», io ho sempre detto che questo «Vai» è inadeguato, perché qui non si tratta di un andare fisico, quanto piuttosto del fatto che se tu continui a evolverti, l’ulteriore evoluzione consiste proprio nel prendere il libricino: l£be, prenderlo, non riceverlo.
Dunque si tratta – ne ho già accennato stamane – della libertà che non può essere ricevuta, ma che deve essere conquistata dall’uomo che deve diventare attivo, deve prendere l’iniziativa. Se non è lui a prenderlo, il libricino non gli viene dato. Perfino in queste finezze il testo è così significativo, perché in greco c’è una quantità di parole per dire “ricevere”, ci sono sinonimi; no, c’è il termine l£be, afferra, prendi, che significa: la libertà deve essere conquistata dall’uomo stesso.
TÕ bibl…on, il libricino, prendi il libricino. Quando un uomo decide di leggere un libro, spesso diciamo che ha preso in mano un libro. Con queste parole indichiamo il fatto che la persona in questione nella sua libera iniziativa prende in mano un libro per masticare il suo contenuto, per digerirlo. Ora ci sono i due passaggi, le due dimensioni successive: in bocca lo si deve masticare, ovvero va gustato al palato. Effettivamente all’inizio dell’evoluzione il corpo intero, come succede ancora nel bambino, è un organo di senso, di percezione, e sette, ottomila anni fa gli uomini sperimentavano ancora nello stomaco il gusto. Ma ora, sempre di più, il gusto viene sperimentato solo nella bocca, mentre è nello stomaco che opera per tutto l’organismo.
Quindi, prendi l’iniziativa e decidi di fare tuo proprio il contenuto dell’evoluzione, il senso stesso dell’evoluzione, perché il libricino è il senso stesso dell’intera evoluzione. Il libricino contiene l’annuncio dell’amore, il vangelo dell’amore, perché il senso di tutta l’evoluzione consiste, a partire dal pensiero dell’uomo, dall’amore dell’uomo, dall’agire dell’uomo, nel trasformare un cosmo di saggezza in un cosmo d’amore. Questo è il contenuto del libricino. Questo contenuto che può essere detto anche l’amore per lo spirituale, per lo spirito, lo devi tu stesso far proprio attivamente, e farai l’esperienza che esso agisce diversamente nella bocca rispetto a come agisce nello stomaco.
… prendi il libricino che sta aperto nella mano dell’Angelo, che è ritto sul mare e sulla terra abbiamo già visto le due colonne dell’Angelo, dell’angelo-uomo; l’evoluzione terrestre, cioè il fatto che questa Terra, da un lato, si è sviluppata da un precedente stato acqueo, e il fatto che l’attuale terra minerale di nuovo si trasformerà in una Terra-acquea eterico-spirituale.
10,9 «Io andai dall’Angelo e gli dissi: dammi il libricino! Ed egli mi disse: prendilo e ingoialo. Ti sarà amaro nelle viscere ma sulla tua bocca sarà dolce come il miele».
E io andai verso l’Angelo – vedete che c’è sempre la libertà, perché egli deve prendere l’iniziativa di andare; il termine greco ¢pÁlqa indica proprio il cammino, cioè il passare dallo stato di colpa originaria, di prigionia nelle leggi di natura, per andare verso questo Angelo, verso questo ευ ¢ggšliον che ha la buona notizia nel libricino di tutto ciò che può divenire nell’uomo, di tutti i positivi passi evolutivi che vengono offerti all’uomo. E dice:
Andai verso l’Angelo dicendogli – è Giovanni, Lazzaro, l’Apocalista che dice all’Angelo: doàna… moi tÕ biblar…dion: dammi il libricino. Quindi: andai dall’Angelo e gli dissi: dammi il libricino.
Ci si potrebbe domandare: perché l’Angelo non sa da sé che dovrebbe darmi il libricino? Notate come queste immagini sottolineino fortemente l’iniziativa dell’uomo. Perché nell’ambito della libertà umana nulla viene provocato, nulla viene spinto con la forza, nulla. In un certo senso non viene neppure offerto perché già l’offrire è una leggera lesione della libertà. L’uomo deve rendersi cosciente di tutto quanto esiste quale possibilità evolutiva, ed è lui a doversi muovere per afferrare le cose.
E l’Angelo mi disse, cioè gli disse: l£be kaˆ kat£fage: prendi e ingoia. Ancora una volta: prendi l’iniziativa, – prendi – fai in proprio, afferra. Fagw significa mangiare, kat£fage significa ingoiare, trangugiare, mangiare via via finché non resta nulla. Nulla, naturalmente, di quello che è stato mangiato, perché tutto questo è stato trasformato pienamente nel corpo e nel sangue dell’uomo. Questo è il senso del verbo kataphago: non resta nulla di quello che è stato mangiato perché tutto è stato trasformato nel corpo e nel sangue dell’uomo. Kat£ infatti significa: a poco a poco, non resta nulla; distrutto, annientato. Come katakrino, che significa mandare in rovina. kat£fage, masticalo fino in fondo, e ingoialo.
Ti sarà amaro nello stomaco, ma in bocca ti sarà dolce come il miele. Ho già detto che il divenire umano è duplice: il comprendere le cose apporta gioia, ma la trasformazione, la purificazione per diventare ciò che il bene esige da noi, questa purificazione è un confronto con le forze avversarie, che non è senza dolore, senza sofferenza, come è evidenziato da quell’amaro. Perché fino a quando io capisco solo la teoria ma non la trasformo nella vita, tutto può essere molto dolce. Perché è di certo un lieto annuncio, in questo senso dolce, che apporta gioia, quello che viene annunciato, quale possibilità evolutiva a tutti gli uomini.
È davvero meraviglioso, quello che viene offerto all’uomo. Solo che per evolvere e per non fermarsi al conoscere, per far sì che questa bella teoria viva, diventi vita, diventi la mia stessa vita, debbo superare in me le forze contrarie, e questa lotta, questa purificazione interiore non può avvenire senza dolore e senza sofferenza, perché è un superare se stessi. E le forze avverse che l’uomo pensa di trovare fuori di sé, sono sempre solo segnali di forze avverse che l’uomo ha da vincere in se stesso. Quindi, il senso delle forze contrarie che sono fuori è sempre quello di rendere attento l’uomo alle forze avverse che porta in sé stesso.
Il superamento delle forze di opposizione dentro di me esige che io superi parti del mio sé oppure le deponga, e questo può avvenire solo mediante esperienze di dolore e di sofferenza. È come una nascita interiore che non può avvenire senza i dolori del parto. Solo dopo l’esperienza della morte viene la risurrezione, ma prima bisogna morire e questo è amaro, difficile e pieno di sofferenza.
Si potrebbe aggiungere: se questa amarezza è da sperimentare nello stomaco, se si vuole passare dalla teoria alla vita e non restare solo nella teoria ma passare alla realtà, laddove, nel superare se stesso, l’uomo sperimenta ciò che è difficile e che dà sofferenza, allora può essere un conforto ricordare che tutto questo era molto dolce sulla bocca. Se penso che era dolce sulla bocca allora dico a me stesso: bene, ora sono al punto in cui lo sento terribile nello stomaco perché poi, di nuovo, diventerà dolce. Perché la colica dolorosa c’è durante la digestione, non dopo che è avvenuta. Quando la digestione è finita il risultato complessivo è positivo, mentre è amaro durante il processo di digestione.
Lo sappiamo tutti, perché è facile dire che tutto ha il suo senso buono, che dappertutto c’è il buono, ma quando l’uomo si trova nei suoi momenti più difficili non gli è facile scorgere, allora, con anticipo, il positivo della situazione. Tuttavia può avere il ricordo che in bocca era molto dolce.
10,10 «E io lo presi dalle mani dell’Angelo e lo ingoiai. Era dolce come il miele sulle mie labbra, ma quando l’ebbi mangiato, era amaro nelle viscere».
Presi il libricino dalle mani dell’Angelo e lo ingoiai. Semplicemente, lo ingoiai. L’Apocalista lo fa un po’ più in fretta di noi. E sulla mia bocca era dolce come il miele, ma quando lo ebbi mangiato, ovvero quando è arrivato nello stomaco, nella digestione, e ciò significa quando deve diventare essere del mio essere, quando io debbo trasformarmi per poterlo assimilare, in modo da comportarmi e vivere di conseguenza, ™pikr£nqh ¹ koil…a mou, il mio stomaco, il mio ventre era pieno di amarezza.
10,11 «E mi fu detto: tu devi ora parlare saggiamente davanti ai popoli, alle nazioni alle lingue e a molti re».
Mi dissero: tu devi di nuovo profetizzare per i popoli, le nazioni, le lingue e i re; per molti popoli, nazioni lingue e re. Alcuni di voi che hanno già studiato attentamente l’Apocalisse certamente ricorderanno che questa sequenza ritorna spesso: popoli, nazioni, razze e lingue. Se volete avere un piccolo filo conduttore: laoj cioè popolo, sarebbe di più la dimensione fisica, il riferimento al corpo fisico. Poi viene œqnoj. Lo scrivo in greco alla lavagna.
1. Laoj, laos, che viene tradotto con popolo. Potete vedere che rimanda piuttosto a ciò che sta a fondamento, alla dimensione fisica. Negli ultimi giorni ho provato a verificare l’uso che di questo termine fa Omero, otto o novecento anni prima di Cristo. Laoj viene tradotto con popolo. Vale la pena approfondire perché è un termine che compare spesso nell’Apocalisse. In sanscrito labat significa mangiare, divorare. Viene usato soprattutto per i cani e i gatti, perché è riferito al mondo animale. E l’uomo, quale appartenente al popolo umano – sono naturalmente forme di gruppo, a essere rappresentate qui – è chiamato, proprio a partire dal fondamento di questi diversi gruppi a far emergere sempre di più l’elemento individuale nel fisico, nell’eterico, nell’astrale e nell’Io.
Quindi qui vengono rappresentate forme di gruppo, collettive. La prima è la capacità di mangiare del corpo fisico, labati; significa: ciò che un popolo ha in comune a livello di corporeità fisica, nel senso che una specifica corporeità ha bisogno di specifici cibi per nutrirsi. È l’elemento comune, tipico dei bisogni del corpo fisico.
2. Il secondo è œqnoj, ethnos, che viene tradotto con nazione. Il termine greco rimanda subito all’etica, che è una dimensione animica di gruppo, perché sono le consuetudini. Quindi non così comuni come il fisico che ha bisogno degli stessi cibi, ma le consuetudini del corpo eterico. In questo modo di raggruppare che viene tradotto con “nazioni” – ma si deve naturalmente risalire al significato primigenio del termine greco – noi abbiamo ciò che è comune a livello di corpo eterico, di forze vitali, ciò che serve per fondare le consuetudini. Rudolf Steiner ha tenuto molte conferenze dove presenta il corpo eterico o corpo delle forze formative quale corpo delle consuetudini.
3. Il terzo elemento che abbiamo è la lingua, che è un fenomeno fondamentale dell’anima. Vedete: corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale o anima.
4. Il quarto elemento ha più a che fare con l’Io, e sono i re; dapprima con l’io inferiore, quello ordinariamente umano, quello di natura. Anch’esso è un elemento comune a tutti gli uomini, chiamati però a individualizzarlo sempre meglio mediante la relazione con l’Io superiore. Perché quest’ultimo è straordinariamente più individualizzato dell’io inferiore nel quale abbiamo ancora molti elementi comuni.
1. laoj, laos, popolo, fisico
Labati (sanscrito) ingoiare
2. œqnoj, ethnos, nazione, consuetudini
3. lingue
4. re
Popoli, nazioni, lingue e re. Sono forme fondamentali di raggruppamento a partire dalle quali l’individuo è chiamato a svilupparsi sempre di più quale io, quale essere pieno di responsabilità e di individualità.
In altri contesti c’è anche la voce stirpe (tronco) – qui non compare. In greco sarebbe φυλη (phyle) che significa “foglia”. Cosa c’è fra il tronco e la foglia? Il ramo, e questa sarebbe la migliore traduzione per phyle. I rami di un albero compaiono quali diramazioni dal tronco.
Il popolo ebreo era strutturato in dodici “stirpi” rispetto al tronco originario. Ma le stirpi non sono dodici, perché già il popolo ebraico in quanto tale è una stirpe. Per tradurre correttamente il termine phyle la parola stirpe sarebbe troppo grande e la parola foglia troppo piccola, perché si riferisce al singolo uomo. Traduciamo allora con “ramoscello”, che è ancora un po’ troppo piccolo, quindi prendiamo “ramo”, ramificazione. Il ramo si sviluppa in un’altra direzione rispetto al tronco.
Queste sarebbero essenzialmente le parole che ritornano sempre di nuovo nell’Apocalisse quando si dice che la buona notizia, oppure questa offerta, devi portarla a tutti i popoli, lingue, nazioni, stirpi e re. Abbiamo una sorta di fenomenologia fondamentale di ciò che è di gruppo e che rappresenta il fondamento per l’evoluzione dell’individuo, per la comparsa di ciò che è individuale.
Questo sarebbe il nostro decimo capitolo. Dell’undicesimo posso leggervi una traduzione che Steiner stesso ha usato e letto esattamente cento anni fa nelle sue conferenze – non mi riferisco ora al suo libro Il cristianesimo come fatto mistico e i misteri antichi. Questo libricino apocalittico è un condensato, un riassunto di 24 conferenze più ampie tenute da Rudolf Steiner[23]. Come ho già detto due di esse riguardano l’Apocalisse. Tra l’altro in quella occasione Steiner ha letto e commentato l’XI, il XII e il XIII capitolo. Ora potete ascoltare quella traduzione e confrontarla un pochino con quella che avete fra le mani. Vedrete così che l’Apocalisse non sempre è facile da tradurre per quanto sia molto più facile del Vangelo, perché basta tradurre molto fedelmente e subito si hanno in mano le chiavi di interpretazione.
Dunque l’XI capitolo, quello della misurazione del Tempio di Dio: due testimoni vengono uccisi e risuscitati, e poi risuona la settima tromba.
Rudolf Steiner:
11,1 “Poi mi fu data una canna simile a quella di un agrimensore e mi fu detto: “Alzati e misura il Tempio di Dio, l’altare e quelli che vi stanno adorando”.
11,2 “Ma il cortile esterno del Tempio lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato ai Gentili; essi calpesteranno la Città santa per quarantadue mesi”.
11,3 “Io incaricherò i miei due testimoni di profetare, vestiti di sacco, per milleduecentosessanta giorni”.
11,4 “Questi sono i due ulivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della Terra”.
11,5 “E se qualcuno vorrà fare ad essi del male, uscirà dalla loro bocca fuoco che divorerà i loro nemici e chiunque vorrà nuocere loro dovrà perire in tal modo”.
11,6 “Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non piova nel periodo della loro predicazione, come pure hanno il potere di convertire le acque in sangue e di percuotere la Terra con ogni flagello, tante volte quanto vorranno”.
Come potete vedere, una persona normale non saprebbe da che parte cominciare con un testo simile, anche con la migliore buona volontà. Ho sempre pensato che anche i teologi siano più o meno nella stessa condizione.
11,7 “Ma quando avranno terminato di rendere testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà”.
11,8 “Il loro cadavere giacerà sulla piazza della grande città. Che simbolicamente si chiama Sodomia ed Egitto, dove il loro Signore è stato crocifisso”.
11,9 “E genti d’ogni tribù, popolo, lingua e nazioni per tre giorni e mezzo contempleranno il loro cadavere e non sarà permesso che le loro salme siano messe nella tomba”.
11,10 “Gli abitanti della Terra si rallegreranno e ne faranno festa, tanto che si scambieranno regali a vicenda, perché questi due profeti erano diventati il loro tormento”.
11,11 “Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita che veniva da Dio entrò in quei cadaveri; essi si alzarono in piedi e grande spavento colpì quelli che li stavano guardando”.
11,12 “E i presenti udirono una voce potente venire dal cielo che diceva loro: “Salite quassù”. Allora sotto gli occhi dei nemici salirono al cielo in una nube”.
11,13 “E in quel momento si scatenò un grande terremoto che rovinò la decima parte della città, e nel terremoto perirono settemila persone. Allora i superstiti furono presi da timore e dettero gloria al Dio del cielo”.
11,14 “La seconda calamità è passata, ma ecco che viene ben presto la terza”.
11,15 “E il settimo Angelo suonò la tromba e in cielo si alzarono grandi voci che dicevano: il dominio del mondo è passato al Nostro Signore e al suo Cristo: Egli regnerà nei secoli dei secoli”.
Come vedete, si tratta di un testo piuttosto cifrato, che induce il comune cristiano, pur dotato di buona volontà, a dirsi: devo passare oltre, perché qui da che parte comincio? Sembra abbastanza arbitrario. E ora, per poter trovare una soddisfacente spiegazione per ogni parola, per ogni immagine, abbiamo bisogno di un po’ di tempo. Ma, come ho detto, possiamo essere grati che grazie all’opera di Rudolf Steiner, un’opera che umanamente è della massima importanza, ora abbiamo la possibilità almeno di avere i primi orientamenti interpretativi.
11,1 «Poi mi fu data una canna simile a quella di un agrimensore e mi fu detto: “Alzati e misura il Tempio di Dio, l’altare e quelli che vi stanno adorando».
Mi fu data una canna, simile a quella di un agrimensore. Qui ci spostiamo dal piano immaginativo a quello ispirativo, nel senso che dall’Apocalista ci viene detto: ora devi diventare capace di orientarti negli eventi del mondo, e cosa devi fare per saperti orientare? Devi conoscere le distanze. Se ho una cartina geografica, cosa vi trovo? Un rapporto di scala. Perché è così importante? Perché non potrei orientarmi se non ho la misura. La prima cosa che devo fare è quella di avere la capacità di misurare, perché se non sappiamo distinguere le parti tutto è una uniformità. Significa che la prima cosa che fa il pensare è quella di misurare.
Per esempio: da che cosa riconosciamo ciò che è all’interno di questa sala e ciò che è all’esterno? Dal fatto che misuriamo: la sala è grande da qui a là e ciò che va oltre è all’esterno di essa. Noi misuriamo continuamente. Il pensare è la capacità di orientarsi e di misurare. Significa anche che per capire l’evoluzione si devono distinguere epoche, cicli, ritmi. Un tipo di misurazione importantissima di cui parleremo fra poco è quella che determina il tempo che serve al Sole per passare da un segno zodiacale all’altro. Deve essere astronomicamente misurato. (v. Fig. p. 97, in alto). C’è bisogno di 2160 anni: lo misuriamo, dobbiamo misurarlo.
Perché se non so che un intero ciclo può essere diviso in dodici parti non potrò mai orientarmi. Non capirò quando il Sole entrerà nella prossima “misura”. Questo significa che l’uomo riceve, mediante il pensare, l’unità di misura per orientarsi nei cicli dei tempi, nei ritmi dell’evoluzione.
Per sapere dove siamo ora, nell’attuale momento evolutivo, cosa dobbiamo fare? Dobbiamo misurare: cominciamo dal Diluvio Universale (v. Fig. sotto). Si tratta della catastrofe atlantica; poi misuriamo una prima epoca di cultura, quella indiana, poi una seconda, quella persiana, poi una terza, quella egizio-babilonese, poi una quarta, quella greco-romana e infine arriva la nostra, la quinta.
Cosa abbiamo fatto per orientarci, per riconoscere che siamo nel quinto periodo di cultura postatlantica? Abbiamo misurato, abbiamo trovato una unità di misura. Questo significa che se tu non hai un’unità di misura non potrai mai orientarti. Il bello è che l’Apocalista fa l’esperienza di ricevere l’unità di misura, così che lui possa effettivamente usarla. Non gli viene detto che verrà misurato per lui e lui avrebbe imparato dagli altri. No: tu stesso devi prendere in mano l’unità di misura e misurare. Tu stesso devi misurare.
Oppure guardiamo a un altro modo di misurare. Sarebbe quello che viene usato da Steiner nella sua La scienza occulta[24] quale unità di misura delle grandi fasi evolutive. Se invece vogliamo misurare l’uomo, così come ora è, allora ricorriamo alla sua Teosofia[25].
Guardate: qui abbiamo l’uomo. (v. Fig. p. 99). Vogliamo misurarlo? Come facciamo, come possiamo suddividerlo? Vogliamo articolarlo in quindici parti? Sarebbe una buona misurazione quella delle quindici parti? Oppure dobbiamo limitarci a due? Si può fare: tagliamo a metà e mettiamo qui il pensare e qui il volere. Ma sarebbe un modo un po’ grossolano di misurare, anche se può andare come primo orientamento.
Abbiamo distinto l’Italia dalla Germania, con le Alpi in mezzo; la Germania a nord e l’Italia a sud. Ora vogliamo essere un pochino più concreti. Come? Distinguiamo fra Monaco, Francoforte, Amburgo e così via.
Se vogliamo altrettanto concretamente misurare l’uomo, lo suddividiamo in tre parti: testa, ritmo e membra. Leggete il libro Teosofia di Steiner.
Quindi qui abbiamo il misurare, l’operare con la canna di misura, dapprima nell’evoluzione, e questa è La scienza occulta, e poi nell’uomo attuale dove tutto è triarticolato secondo il possente orientamento che ci offre Teosofia, in corpo, anima e spirito.
Dove abbiamo il corpo, l’anima e lo spirito in questa immagine? Ho separato la testa, e poi la pancia: dov’è ora la suddivisione in corpo, anima e spirito? Ho parlato della Teosofia. Vedete: la testa è l’organo dello spirito, mentre il sistema delle membra è quel terzo di uomo dove le forze terrestri, le forze natura lì agiscono con maggiore intensità. Quindi: qui lo spirito e qui il corpo. Al centro, nelle forze del cuore, nel sentire, c’è la parte dove l’uomo si sperimenta maggiormente come anima. Abbiamo così articolato bene, distinto bene.
Naturalmente ci sono conferenze di Rudolf Steiner dove il punto di vista è molto più sottile, e può perfino essere capovolto, ma in questo momento, trattandosi delle suddivisioni più a grandi linee, quelle più importanti, noi possiamo collegare lo spirituale con la testa mentre la corporeità la possiamo collegare meglio con le forze del sistema delle membra. La regione del cuore, del ritmo, si colloca bene quale mediatrice fra i due ed è quindi più dell’anima.
Ora leggiamo in Steiner che nel nono secolo, nell’anno 869, l’unità di misura è stata smarrita. Perfino le guide spirituali, i vescovi e i cardinali non l’avevano più e invece di suddividere l’uomo in tre parti lo hanno articolato soltanto in due: corpo e anima. Lo spirito è andato perduto. Non potevano né sapevano più misurare in modo corretto. Perché hanno tagliato via la testa all’uomo? Perché la testa è pericolosa.
Vedete quindi che l’Apocalista qui mostra il peso, l’importanza morale del misurare. Osserviamo ora analiticamente le cose che vengono misurate.
11,1 œgeire, alzati – perché dobbiamo misurare l’uomo in posizione eretta e non l’uomo dormiente, perché in colui che dorme, lo spirito se n’è andato. Dunque mettiti in piedi e ora misura l’uomo, che si erge come un Io. Quali sono le unità di misura per la forza di ergersi, per diventare un io?
Misura il tempio di Dio – e il tempio è l’intera corporeità – e l’altare. Il tempio è il corpo e l’altare è lo spirito, che è dentro: l’Io. L’altare è il luogo più santo, cioè è l’Io dell’uomo.
Si debbono conoscere le unità di misura dalle quali sorge la capacità dell’Io. Le successioni temporali mediante le quali il corpo, cioè il tempio, è sorto sono anche le unità di misura mediante le quali la capacità dell’Io, che è ciò che di più santo vi sia nel tempio, sorga. Perché il senso della corporeità è lo spirito che inabitando questa corporeità prende in mano la sua evoluzione.
L’altare e coloro che lì dentro pregano. Coloro che pregano nel tempio sono l’uomo, che è colui che prega la divinità. E ora siamo al secondo versetto:
11,2 «Ma il cortile esterno del Tempio lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato ai Gentili; essi calpesteranno la Città santa per quarantadue mesi».
E il cortile esterno: l’atrio, ciò che è esoterico, ciò che sta al di fuori. Dunque qui abbiamo il tempio, quale sarebbe l’atrio? È tutto ciò che serve da preparazione, sono le condizioni per l’evoluzione dell’uomo. Se volete, atrio possono essere le pietre, le piante e gli animali. Dapprima restano fuori, perché o vengono inglobate nell’uomo, oppure tutto ciò che non viene santificato, ovvero ciò che non viene umanizzato e introdotto all’interno del tempio, viene tagliato fuori. O appartiene al divenire umano oppure appartiene alle forze d’opposizione, che diventano superflue quando è finita la relazione con loro.
Viene quindi detto che ciò che è nell’atrio non deve essere misurato, non ha bisogno di essere misurato perché verrà gettato via, verrà espulso. Le forze di opposizione non hanno una propria unità di misura, non sono parametri di misura alternativi, ma servono soltanto quali esteriorità, quali forze d’opposizione dall’esterno. Quando il loro senso è compiuto mediante lo sviluppo delle forze del bene, allora vengono eliminate.
Ma l’atrio che sta fuori dal tempio, lascialo stare e non lo misurare – non devi misurarlo – perché è destinato ai popoli, quindi ai pagani, e questi calpesteranno la città santa per 42 mesi. Le forze di opposizione, cioè i popoli (ciò che avevamo qui, dapprima, alla lavagna) sono le realtà di gruppo, che servono allo sviluppo dell’io quali necessarie forze oppositive. E quando contrapponendosi alle necessarie forze oppositive l’Io si è sviluppato pienamente, le forze di opposizione delle realtà di gruppo diventano superflue e vengono eliminate. Che siano forze di opposizione nel testo è rappresentato dall’immagine del calpestare. Calpestano per 42 mesi la città santa, che è il mondo nel quale deve essere conseguita la forza dell’Io.
Osserviamo cosa è successo. Viene detto al terzo versetto, che è particolarmente interessante:
11,3 «Io incaricherò i miei due testimoni di profetare, vestiti di sacco, per milleduecentosessanta giorni».
Voglio dare i miei due testimoni, che profeteranno per 1260 giorni (viene scritto alla lavagna).
I pagani operano calpestando la città per 42 mesi e i due testimoni operano profetizzando per 1260 giorni. Qui siamo in piene unità di misura. Di che tipo? Quando si misura si ricorre ai numeri, naturalmente, e quando ricorrono numeri è perché si sta misurando.
Intervento: Avrebbe un senso se il numero fosse letto al contrario, 2160.
Archiati: Sì, ma cosa è successo? Voglio leggervi alcune righe di Steiner tratte dal volume dell’Opera omnia 346[26], alle pagine 204 e 205.
Allora: nei manoscritti c’è scritto 1260 giorni. Tenete presente che spesso la parola giorni è usata per indicare gli anni. Cos’hanno in comune i giorni e gli anni? Sono entrambi unità temporali basate sul Sole. I mesi, invece, sono cicli lunari; siamo di fronte a due unità temporali essenzialmente diverse.
Se si presenta un materialista – e nel corso dei secoli l’umanità è diventata sempre più materialista – certo non capisce che il parametro di misura è del tutto corrotto se perde di vista che qui si tratta di un ciclo lunare e qui di un ciclo solare. Significa che nel primo caso, relativo ai pagani, abbiamo a che fare con le forze, con l’agire della Luna, il che significa preparazione; mentre invece il Sole è il compimento. Perché le forze lunari sono le forze della vita, come ben si vede nel ciclo lunare femminile. Tutto questo, fondamentalmente, non ha nulla a che fare con la libertà, e ciò che riguarda i pagani va inteso come preparazione e poi come fondamento per ciò che è solare.
Se leggete il volume 240[27], particolarmente nella prima conferenza, trovate che Steiner divide l’intera evoluzione e la vita dell’uomo in due parti: tutto il periodo che precede il primo incontro fra due persone è un tempo lunare, inconscio; tutti i passi che vi si compiono sono inconsapevolmente guidati ai fini della realizzazione dell’incontro. Quando esso avviene allora sorge la coscienza, adesso l’altra persona viene riconosciuta, diviene consapevole la reazione, per esempio se è o meno di simpatia, e il tutto ora viene condotto in forma solare.
Dunque vedete che qui abbiamo a che fare con i fondamenti di natura, con il ciclo lunare, e poi con la libertà che da esso deriva. Se poi nel corso del tempo l’aspetto qualitativo della dimensione lunare e di quella solare andò perduto, altro non rimase che quello materialisticamente quantitativo. Ora vi chiedo: materialisticamente quanti giorni sono 42 mesi di trenta giorni l’uno? 1260, facilissimo, basta moltiplicare.
Ascoltiamo ora cosa dice Steiner nel volume 345, pagina 204/5:
«Per me fu, per lungo tempo, una croce straordinariamente pesante – si sta parlando di Rudolf Steiner, dell’iniziato Rudolf Steiner, per come lo conosco – proprio per venire a capo di quel passo dell’Apocalisse del quale stiamo parlando. L’Apocalista, infatti, dice che profetizza per 1260 giorni. Col termine giorni sono, in realtà, intesi gli anni. Ma da dove salta fuori il numero 1260?».
Perché questo numero non c’è da nessuna parte, in nessun parametro di misura. Perché l’unità di misura lunare dà i 42 mesi, ma non hanno nulla a che fare coi giorni. Questo 1260 non c’è da nessuna parte, là dove si misura correttamente.
«Ci fu bisogno di una minuziosa ricerca per arrivare a concludere che questo 1260 (Ap 12,6) – concedetemi l’espressione un po’ rozza – era un vero e proprio errore di stampa nella tradizione dell’Apocalisse. Al suo posto si deve leggere 2160 giorni».
Come è sorto questo errore? Io faccio la proposta – questo, Steiner non lo dice, ed è una mia proposta – che si siano materialisticamente calcolati i giorni di 42 mesi, concludendo che così doveva essere. Si è pensato che, se nel verso precedente avevamo 1260 come poteva essere che dopo comparisse lo stesso numero capovolto, e cioè 2160? Errore! Quindi anche qui: 1260. Così deve essere successo. Poi Steiner prosegue:
«… sono un vero errore nella tradizione dell’Apocalisse. Al suo posto deve essere letto 2160 giorni, perché questo concorda con ciò che ancora oggi si può vedere. È stato facilmente possibile che in qualche scuola dove veniva curata la trascrizione, e proprio perché molti numeri, nel guardarli, ci appaiono rispecchiati, sia sorta una simile affermazione senza significato. Ma è qualcosa che è poco pertinente quando ci si immerge profondamente nell’Apocalisse». Proprio perché si può correggere.
Anche un iniziato come Rudolf Steiner ha lottato molto perché voleva prendere sul serio il fatto che nei manoscritti c’è scritto “1260” e questo non viene messo in discussione da alcun manoscritto. Eppure il numero non suona per nulla. Perché proprio all’Apocalista viene data una canna nelle mani col compito: presta attenzione, perché devi misurare correttamente. E subito dopo c’è una misurazione falsa.
Per me è abbastanza convincente perché anch’io ho lottato a lungo attorno a questo problema, mi son detto che non poteva trattarsi soltanto di uno scambio. Allora ho provato a pensare: quanti giorni ci sarebbero se venissero contati quelli di 42 mesi prendendo trenta giorni per mese? Non posso assicurare che sia avvenuto così, ma in questo modo si spiega bene la situazione. Qualcuno deve aver detto: si deve usare la stessa unità di misura, e se là sono 42 mesi qui devono essere 1260 giorni.
Dunque nel testo originario dell’Apocalisse c’era 2160 anni. Questa è una unità di misura solare. Che si dica giorni o anni non fa alcuna differenza, perché il Sole attraversa tutto il ciclo delle costellazioni zodiacali in un giorno. Quindi si può dire 2160 giorni o 2160 anni. Soltanto si era perduto di vista il fatto che non era solo questioni di numeri, ma qui si trattava di forze lunari, forze di natura, e qui di forze solari; qui sono forze del Padre che operano mediante la natura, quindi forze lunari, e qui sono forze del Figlio che sono evolutive della libertà. Questa è la differenza. Solo quando si perde di vista che si tratta di due modalità completamente diverse, di due forze assolutamente diverse, allora resta solo l’aspetto quantitativo, quello che si può soltanto matematicamente calcolare. Allora non si può più capire perché il 2160 è in relazione al Sole, e allora lo si mette in parallelo coi 42 mesi e salta fuori il 1260.
Intervento: Da dove potrebbero essere venuti i 42 mesi?
Archiati: Questo è un altro problema. Lo si può facilmente calcolare. Proviamo a mettere in relazione i mesi con gli anni, considerando i mesi quali sottodivisioni degli anni. Quanti anni sono 42 mesi?
Intervento: Tre anni e mezzo.
Archiati: Una metà di ogni evoluzione settenaria. Questa è una conclusione a cui si arriva facilmente. Basta calcolare.
Vediamo dunque una evoluzione che viene misurata in settenari – l’Apocalisse misura tutto in settenari – uno, due, tre, qui il quattro, che è sempre il numero della svolta, cinque, sei e sette (v. Fig. sopra). Quarantadue mesi è la preparazione, la prima metà, il fondamento naturale. Inoltre, beninteso, nulla preclude che ci si possa chiedere se anche nella seconda metà evolutiva ci siano questi quarantadue mesi. Ci sono, ovviamente, e sono le forze di opposizione, tre e mezzo: si trasformano nelle forze d’opposizione necessarie per l’interrelazione.
Quindi: qui tre e mezzo e qui tre e mezzo (v. Fig. p. 105). Tre anni e mezzo tradotti in mesi, cioè in forze lunari, in forze naturali, sono quarantadue mesi.
L’Apocalisse è un libro fantastico, solo che ci si deve veramente sforzare di entrarvi dentro sempre più approfonditamente. Rudolf Steiner dice: caro uomo, se durante la tua meditazione noti che non stai andando avanti, non sai afferrare concettualmente questa o quella cosa, non è un problema; aspetta, e ti si aprirà la comprensione nel corso del tempo. Non si possono forzare le porte con le leve.
Questa conversione dei 42 mesi è stata una scoperta. Io stesso ci ho lavorato a lungo, finchè mi sono detto: a quanti giorni corrispondono? Se prendo il mese di trenta giorni allora in totale sono 1260. È stata una scoperta improvvisa, su qualcosa che non mi è stato chiaro per mesi. Che Rudolf Steiner avesse detto che si tratta di un errore di copiatura che era stato fatto, a me non bastava, detto del tutto onestamente. Non mi ha lasciato in pace il fatto che lui dicesse:
«Per me fu, per lungo tempo, una croce straordinariamente pesante. Ci fu bisogno di una minuziosa ricerca per arrivare a concludere che questo 1260 (Ap 12,6) – concedetemi l’espressione un po’ rozza – era un vero e proprio errore di stampa nella tradizione dell’Apocalisse. È stato facilmente possibile che in qualche scuola dove veniva curata la trascrizione, e proprio perché molti numeri, nel guardarli, ci appaiono rispecchiati, sia sorta una simile affermazione senza significato».
***
Eravamo arrivati al terzo verso dell’XI capitolo, dove l’Apocalista dice: «Farò sì che i due testimoni profetizzino per 2160 anni o 2160 giorni» – proprio ora lo abbiamo corretto, perché il numero giusto è 2160; un importante numero solare. Proprio ora che ha ricevuto uno strumento di misura per misurare correttamente, è saltata fuori una misurazione sbagliata. Qual è il senso del fatto che è saltata fuori una misurazione sbagliata? Affinché noi trovassimo quella giusta. 1260 è la misurazione sbagliata, saltata fuori, e quando noi abbiamo correttamente intuito o compreso nel pensare la corretta unità di misura, allora possiamo misurare giustamente. Tutto questo può essere sperimentato anche come controforza.
11,3 Darò i due testimoni affinché profetizzino – profetizzare significa portare a espressione le offerte evolutive che verranno messe a disposizione degli uomini nel futuro. Profetizzare significa portare davanti a sé nel pensare, nella sfera conoscitiva, i passi dell’evoluzione che sono ancora da compiersi. Quando una persona pianifica un viaggio è un profeta, perché profetizza tutto ciò che dovrà succedere. Profezia significa predizione, e il profeta è colui che predice.
11,3 Profeteranno nel ritmo dei 2160 anni, che significa: nelle loro profezie prevederanno l’evoluzione del futuro e diranno che l’evoluzione del futuro sarà solare, sarà guidata dalle fasi temporali del Sole e suddivisa in unità temporali di 2160 anni. Essi saranno vestiti di sacco; e sono stati ricoperti – qui siamo al passato – di sacco. Sono abiti di mestizia o di penitenza.
Cosa significa che i due testimoni – vedremo poi di capire chi sono – sono rivestiti di sacco, abbigliati di mestizia o di lutto? Qui c’è un ciclo solare. Per esempio qui abbiamo proprio questa unità che vien dopo quella dell’Apocalista – questa unità evolutiva che è la nostra, quella dell’anima cosciente che va, diciamo, dall’anno 1413 al 3573; è il nostro tempo. E questo ciclo di 2160 anni segue quello dell’Apocalista – l’Apocalista era ancora nel tempo precedente –, ed è il tempo dove attraverso le forze dell’anima cosciente non solo l’Apocalista quale precursore dell’evoluzione, ma per la prima volta ogni uomo può diventare veramente il misuratore, colui che può comprendere le unità di misura, i cicli dell’evoluzione. Più precisamente ora ciascuno può capire le leggi fondamentali dell’evoluzione. Per questo motivo è proprio nel nostro tempo che è comparso l’inizio o la prima forma di una scienza dello spirito.
Vestito di sacco significa che questa intera evoluzione deve svolgersi nel confronto con le forze di opposizione. «Fare penitenza» è una traduzione che trae in inganno. Fare penitenza significa sperimentare tutto come pareggio karmico, come causato dal karma. Cioè, per tutto ciò che mi fa soffrire, colpi di destino, malattie, difficoltà che io sperimento, posso contare solo su me stesso. Perciò mi sperimento come un penitente, che deve penare per tutto quello che ha combinato nel passato.
Detto in concreto, uno è un farabutto; e chi ha fatto di lui un farabutto? Tutti quelli che per andare avanti, lo hanno lasciato indietro. Loro si sono permessi di portare avanti se stessi, e lui ha dovuto essere la vittima sacrificale perché non ha avuto da solo le forze per fare altrettanto, e allora è rimasto indietro. E questo rapporto con il farabutto che costringe gli altri a penare, a soffrire, come deve essere visto da chi è andato avanti? Quale giusto pareggio karmico. Io devo scontare tutto ciò che ho combinato agli altri cacciandoli indietro per poter andare avanti io.
Quindi “i due testimoni” sono ciascun uomo che è il più avanti nell’evoluzione; egli deve la propria evoluzione al rimanere indietro degli altri – questo è un sacrificio, egli deve vederlo come un sacrificio – e ora l’ulteriore sua evoluzione consiste nel prendere con sé; questo è il pareggio karmico. E il prendere con sé quelli che sono restati indietro è uno strapazzo non da poco; questa è la penitenza. Ma questo è il karma, il karma dell’umanità. Il che significa che a quel punto dell’evoluzione non c’è più un karma privato; è tutto uno scambio di forze. E quello a cui è stato dato di più, perché potesse andare avanti, ora deve restituire. Questo è il pareggio karmico: egli deve togliere dal conto, s-contare, tutto quel che ha ricevuto. Qui nel testo abbiamo un’immagine meravigliosa: essere rivestiti di sacco. Tutta roba che ha a che fare solo con me, non c’è niente che venga da fuori.
In altre parole, la penitenza dell’amore, del poter amare, è il prendere con sé il rimasto indietro. Si devono conoscere le leggi che regolano questo prendere con sé. Non si tratta di proseguire oltre; si procede nell’amore nella misura in cui si prende con sé con gratitudine tutto quello che è rimasto indietro, perché solo grazie a questo si procede nell’amore. È un pensiero che ho cercato di esprimere anche nel mio libro sull’amore.
Chi sono i due testimoni? Un ebreo direbbe subito: Mosè ed Elia. Se noi li vogliamo identificare fuori di noi, allora sono Mosè ed Elia. Ma se li vogliamo identificare dentro ogni uomo allora abbiamo la testimonianza del pensare, perché il pensare deve essere convincente, e anche la testimonianza dell’amore. Tutto ciò che serve il pensare è convincente e tutto ciò che serve l’amore è convincente, perché entrambe le testimonianze fanno evolvere l’uomo.
Se adesso guardiamo ai due testimoni allora la cosa diventa molto differenziata, poiché il testo è sorto nella vita spirituale giudaica. Possiedo diverse Apocalissi: di Enoch, di Noè, eccetera, e in questo senso e in relazione all’Apocalisse, quando ci si riferisce alla svolta dell’umanità, si pensa a Mosè e a Elia.
Ma la scienza dello spirito di Rudolf Steiner ci porta a pensare ad altri due testimoni. E questi due testimoni sono i due portatori del Cristo, cioè il modo in cui la natura umana rende testimonianza al Cristo, testimonianza all’Essere dell’amore, nel farsi portatrice del Cristo.
All’inizio dell’evento Cristo sono comparsi due testimoni: il primo portatore del Cristo nacque a Betlemme (è quello mostrato dal Vangelo di Matteo) mentre i genitori dell’altro, provenienti dalla linea natanica, vivevano originariamente a Nazareth e si recarono a Betlemme per il censimento. Mentre erano là nacque Gesù (Vangelo di Luca).
Questi due testimoni vengono presentati dalla scienza dello spirito di Rudolf Steiner e solo attraverso questa duplice testimonianza si può capire perché il racconto dell’infanzia di Matteo sembri completamente diverso da quello di Luca.
Allora i due testimoni in senso cristiano sono nel Vangelo di Matteo il Bambino salomonico, quale rispecchiamento di Zarathustra; e perciò ci sono i tre re dell’Oriente al seguito della loro stella – il nome Zarathustra significa la stella alta, luminosa – che vengono ad adorarlo. Abbiamo qui l’elemento zarathustriano che è molto rilevante negli scritti di Giovanni-Lazzaro; è l’elemento persiano della dualità nel pensare: luce e tenebre, bene e male. E poi c’è l’altro Gesù di Nazareth raccontato da Luca, che deriva dalla linea natanica del re Davide. Zarathustra e Gesù di Nazareth sarebbero dunque anche nell’ulteriore evoluzione dell’umanità i due grandi testimoni del Cristo, nel senso che essi sono i due modi fondamentali attraverso i quali l’uomo può diventare portatore del Cristo. Perché la testimonianza più alta, più convincente dell’uomo, ciò che ci può convincere è tutto quello che serve affinché l’uomo diventi portatore del Cristo.
E poiché essi sono i due portatori del Cristo, la loro profezia consiste in un ciclo solare perché il Cristo è un Essere solare. Ecco perché è così importante precisare che non si tratta di un ciclo lunare determinato dal 1260, ma di un ciclo solare di 2160 anni.
Cosa significa concretamente, in modo umanamente concreto Mosè ed Elia, o Zarathustra e Gesù di Nazareth? Significa: le forze del pensare, della saggezza, perché Mosè sta per tutto ciò che è pieno di saggezza, ed Elia sta per le forze del volere. Monismo del pensiero – individualismo etico, se volete prendere le due parti de La Filosofia della Libertà di Steiner, questi sono i due testimoni. Ciò che è convincente nel pensare, la verità, e ciò che lo è nel volere, l’amore, i gesti dell’amore, perché questo è richiesto all’uomo. Questi sono i due testimoni, e in ogni cultura c’è questa duplicità dell’umano, dove l’uomo viene misurato in due.
Come arriviamo dai due testimoni alla trinità? È molto semplice. I due testimoni sono la polarità del capo e quella del sistema degli arti, e ogni uomo deve far sorgere la mediazione. Questa è allora il libero movimento. I due testimoni testimoniano le due polarità dell’uomo: pensare e volere, e ogni uomo sperimenta la sua evoluzione in quanto media sempre di nuovo tra questi due testimoni, e cerca sempre di nuovo l’equilibrio trovandolo tra pensare e volere, tra pensare e fare, tra verità e realtà.
11,4 «Questi sono i due ulivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della Terra».
Sono i due ulivi e i due candelabri. Vedete, due candelabri sono l’evoluzione del pensare, della saggezza, e le piante d’ulivo sono le forze dell’amore, dell’Essere solare sulla Terra; l’olio è la pura forza solare della Terra. In questo senso sta per la forza dell’amore. Quindi ci sono le forze del pensare, i candelabri, e le forze dell’amore, le forze solari dell’olio, gli ulivi.
Stavano davanti al Signore della Terra, si potrebbe anche tradurre: osservavano, stavano di fronte, andavano verso il Signore della Terra. Kur…ou tÁj gÁj. Il Signore del cosmo, del cosmo intero, è il Dio Padre, ma il Signore specifico dell’evoluzione terrestre – sarebbe la Terra 4 del nostro schema e non le sue fasi evolutive precedenti il cui Signore sarebbe più propriamente il Padre – è il Cristo, cioè il Figlio. Ecco perché il compito specifico dell’evoluzione della Terra è il divenire Io o la cristificazione dell’uomo.
11,5 «E se qualcuno vorrà fare ad essi del male, uscirà dalla loro bocca fuoco che divorerà i loro nemici e chiunque vorrà nuocere loro dovrà perire in tal modo».
E se qualcuno cerca, ha la volontà – qšlei –, se sperimenta in sé le forze volitive per arrecare loro danno. Danneggiare i due testimoni significa danneggiare il pensare e danneggiare il volere. L’errore e l’omissione, l’errore nel pensare e l’omissione nelle forze di volontà, cioè la pigrizia o la negligenza. Come reagiscono, come rispondono i due testimoni, le due forze primigenie, le due forze cristiche nell’uomo, quella del pensare, della ricerca della verità, e la forza dell’amore, la forza del cuore e dell’agire, del fare, come reagiscono questi due testimoni di fronte alle forze avverse? Consumano le controforze con la forza del fuoco, e il fuoco sta per amore, per Io individualizzato.
Quindi non si tratta di ritorsione, di annientamento nel senso di contraccolpo, ma dalla bocca dei due testimoni ovvero dalla loro interiorità, fuoriescono pure forze d’amore. Proprio per il fatto che le forze d’opposizione vengono amate evolve l’uomo, in primo luogo perché è proprio grazie a loro, proprio in virtù della possibilità che ha di confrontarsi con loro che l’uomo può evolversi, e in secondo luogo perché le forze di opposizione sono proprio quelle che hanno sacrificato se stesse, rimanendo indietro – quindi è alle controforze che io debbo la mia evoluzione. Sono tutti gli esseri che per amor mio sono rimasti indietro: come deve manifestarsi allora il mio rapporto con loro? Grazie alle forze dell’amore, grazie alle forze della gratitudine le forze di opposizione vengono consumate – così si dice nel testo – nel senso che il loro compito diventa superfluo e così vengono consumate. Significa che vengono purificate mediante il fatto che il bene si sviluppa sempre di più e giunge alla pienezza: allora il compito delle forze di opposizione finisce.
Questo passaggio dell’Apocalisse mi richiama uno dei vertici dei Drammi misterici di Steiner, laddove Benedetto, il grande iniziato, per la prima volta osserva Arimane – la quintessenza delle controforze. Lo guarda in modo tale da capirlo: per la prima volta Benedetto comprende Arimane nella sua propria esperienza. Perché finora aveva sperimentato Arimane come controforza. Ora invece riconosce Arimane in quanto ne afferra la psicologia, afferra la sua psiche. E in che cosa consiste la psiche di Arimane? Nella paura di essere così osservato, scrutato dal pensare umano da esserne annientato. Se l’uomo mi scruta così, pensa Arimane, io sono finito. E Steiner chiama questo un errore antico, è una illusione di Arimane, il ritenere di venire annientato, perché il pensare umano è la sua redenzione. Significa che lui viene salvato, così come Mefistofele viene salvato grazie al fatto che il suo compito è arrivato al termine, si è compiuto. Cosa succede a Mefistofele alla fine del Faust? Perché qui vien detto che le forze oppositrici vengono ingoiate; katesq…ei, che significa mangiate fino in fondo, consumate. Consumate fino alla fine, questa è la giusta traduzione, consumate finché non resta più niente. Consumate fino al punto che niente rimane. Così dice la parola greca.
Prendiamo tutti e tre gli elementi, come le controforze vengono consumate nell’immagine dell’Apocalisse. Arimane ha paura di essere annientato dal pensiero dell’uomo; teme psicologicamente questo fatto. E qual era il terzo elemento che io avevo qui? Cosa succede a Mefistofele alla fine della vita di Faust? Vedete che questo è un compito per il pensare. Cosa succede al cosiddetto male? Non c’è il male, ci sono soltanto controforze. In senso cristico si dovrebbe dire – e questa è la parola che Steiner stesso usa – che la controforza viene co-redenta[28], perché ha assolto il suo compito nel senso del bene.
Per contro l’uomo, che nel confronto con le controforze omette la sua evoluzione, si disfa. Il che vuol dire che il cammino verso il basso non sta nell’omissione di redimere la controforza, ma nel disfare se stesso. Proprio per il fatto che l’uomo omette di realizzare la sua umanità, s’incammina verso l’annientamento, l’autoannientamento, perché ha omesso l’umano. Perché l’umano può solo essere reso possibile, deve poter essere omesso, altrimenti non sarebbe libero.
L’essenza dell’umano è la libertà, perché tutto ciò che non è libero, la natura, l’abbiamo in comune con gli animali, le piante, i minerali. Ciò che è specificamente umano è la libertà. Quindi l’unico peccato possibile nei confronti dell’umanità è il peccato di omissione, l’omettere. L’evoluzione negativa non consiste nel fatto che le controforze non vengono co-redente, ma nel fatto che l’uomo omette di redimerle assieme a lui perché omette di realizzare la propria umanità. Non è diventato tutto ciò che avrebbe potuto diventare. E se l’uomo omette la libertà cade in basso, finisce al gradino degli Esseri che non hanno alcuna possibilità di essere liberi – e questo è l’animale, questo sono gli animali. Per questo motivo l’abisso ultimo dell’Apocalisse è quello della Bestia.
Ma, lo ripeto, in questo abisso non ci finisce nessun uomo, perché finché l’uomo resta uomo e realizza la sua umanità, questo è il bene. Gli altri hanno omesso di diventare uomini perché non hanno fatto emergere ciò che di libero c’è in ogni uomo; ma l’uomo non lo deve, altrimenti non sarebbe libero. E quando l’uomo omette di realizzare ciò che è specificamente umano inganna le controforze invece di redimerle; perché le controforze gioiscono di essere salvate insieme all’uomo e dicono: ah, anche noi siamo servite al bene, perché attraverso le controforze l’uomo ha potuto andare avanti.
Quando l’uomo, sulla scorta della controforza va lui stesso verso il basso così da omettere il bene, allora inganna le controforze perché queste non possono trovare in se stesse il loro senso. Perché il senso della controforza è il rafforzamento delle forze del bene. Quando il bene si rafforza sempre di più a fronte della contrapposizione con le controforze, allora queste diventano superflue, a quel punto hanno compiuto il loro lavoro. Dov’è che ha compiuto il suo compito la controforza? Nella forza del bene, per questo vengono redente assieme, perché vi sono dentro.
Quando Mefistofele ha adempiuto il suo ruolo di contronforza, Faust, l’uomo che è andato sempre avanti grazie alla lotta con la controforza, può essere anche grato al Mefisto perché deve la sua evoluzione non solo a se stesso, ma al Mefisto. E in questa gratitudine è incluso il Mefisto.
Voi sapete che Goethe ha tentato di buttar giù una scena – ne sono stati trovati un paio di fogli fra le sue carte – intitolata: discesa agli inferi. Ci sono stati germanisti che hanno pensato: ah, ma allora Goethe ha pensato alla possibilità di mandare Faust all’inferno. E qui, a Steiner montava la rabbia con questi germanisti che veramente non capiscono niente. A Goethe non gli è passato per l’anticamera del cervello che Faust, l’uomo che anela, vada all’inferno. Questa scena valeva per Mefistofele. E Goethe aveva pensato di metterla magari alla fine, come pendant del Prologo in cielo. Nel Prologo Mefistofele viene chiamato fuori dall’inferno e Dio gli dà un incarico: Mefisto, ho un compito per te, vieni fuori dall’inferno e datti da fare sulla Terra. Ora Goethe aveva pensato: bene, se ora Faust ha percorso tutta la sua evoluzione, allora possiamo pensare a una scena di discesa agli inferi per Mefistofele, perché lì è il suo regno.
Goethe non ha potuto portare a compimento questa scena perché l’ha ritenuta psicologicamente insopportabile. Che le forze di opposizione, dopo aver cooperato così tanto al manifestarsi del bene venissero di nuovo dannate e identificate col male era un pensiero assolutamente intollerabile per il sentire cristiano, per un uomo di sano sentire. Nel dispiegarsi dell’intera vicenda del Faust, quando è possibile sperimentare l’intera opera – in Germania è quasi impossibile, si deve andare a Dornach per vari giorni per poter fare questa esperienza – la figura di Mefistofele diventa così simpatica che psicologicamente può diventare ancor più simpatica dello stesso Faust, tanto che per lo spettatore diventa insopportabile l’idea che questo bravo diavolo, che ha giocato così bene il suo ruolo, venga di nuovo spedito all’inferno.
L’uomo sperimenta nell’ascensione di Margherita, in quella delle tre peccatrici e nella stessa ascensione di Faust, che Mefistofele è stato lui stesso salvato insieme con loro, perché ha compiuto il suo compito, che ora è finito, e ora anche lui viene consumato nel bene. Consumare è qui la stessa parola dell’Apocalisse. La controforza viene consumata attraverso lo sviluppo della forza. Ma quando viene omesso lo sviluppo della forza del bene, allora la controforza resta e non viene redenta. E qui l’uomo si apre alla controforza, si identifica con la controforza, casca indietro al livello di un puro essere di natura, cade al livello della bestia.
Ripeto: qui nel mezzo (v. Fig. p. 111) l’uomo non è libero per così dire, ma è soltanto capace di libertà; quando è nel mezzo ha la facoltà della libertà. Il conferire questa facoltà è l’amore del Figlio. Il Cristo rende ogni uomo, ogni anima umana, capace di libertà. Ma altro è avere la possibilità di essere liberi e altro è realizzare effettivamente questa possibilità, attivarla concretamente. L’abisso evolutivo consiste nel fatto che un uomo omette la realizzazione della libertà – e questo non è possibile in una sola vita, e l’Apocalisse è forse la migliore dimostrazione, non dico la prova, della necessità delle rinnovate vite terrene. L’Apocalisse porta fino alle ultime conseguenze i misteri del futuro, fino alla possibilità estrema che deve essere aperta, quale omissione totale, al ritorno dell’uomo nella condizione della bestia. Essere bestia significa non avere più possibilità di libertà; non nessuna libertà, bensì nessuna facoltà di libertà. Negli animali non c’è proprio possibilità. Facoltà vuol dire possibilità. Sorge ora la domanda: nel punto centrale dell’evoluzione ogni uomo ha la facoltà, una piena facoltà di libertà. Come può fare per annientarla completamente? Deve omettere moltissimo. Se ci pensiamo sopra un pochino concludiamo presto che è impossibile che in una sola vita si possa perdere del tutto, completamente, la facoltà di libertà; è proprio del tutto impossibile.
Ogni uomo ha bisogno di più esistenze per avere la possibilità di distruggere radicalmente la libertà possibile, omettendo di continuo e sempre di nuovo le capacità di libertà che sono a sua disposizione. Una capacità che non viene mai realizzata, una abilità che non viene mai concretizzata comporta che l’uomo, nel corso del tempo, ne perda anche la facoltà.
Abbiamo imparato una lingua e poi non l’abbiamo più parlata per dieci o venti anni. La conosciamo ancora? No, la perdiamo. Una facoltà o viene trasformata in realtà e rafforzata con l’esercizio, oppure regredisce con l’omissione dell’esercizio. La libertà o diventa più forte grazie al suo esercizio, in virtù della sua realizzazione, oppure diventa sempre minore, l’uomo si rende sempre meno capace di libertà in quanto non la esercita o la esercita troppo poco. Ecco perché il testo sottolinea sempre di nuovo l’attività, il prendere l’iniziativa, quando parla della mano destra, quando dice: prendi il libro! E non: ricevi il libro, oppure aspetta che ti caschi in grembo.
Nell’Apocalisse sono importanti le realizzazioni della libertà dove l’uomo veramente afferra, dove nulla in lui lo costringe, dove è lui a prendere l’iniziativa e diventa attivo, ed esercita la sua libertà e può anche sempre di nuovo ometterla. Tutto questo viene continuamente sottolineato nell’Apocalisse, in questo testo dove stanno in primo piano il valore e gli abissi della libertà.
I due testimoni reagiscono, per così dire, alle controforze con l’amore, con la forza dell’amore; con la forza dell’amore ricambiato, perché ogni amore è amore ricambiato. Uno che può amare è perché prima è stato amato per poter generare in sé questa forza d’amore. Il fuoco qui nel testo sta per l’amore, il calore dell’Io. Come ho già detto fuoco, forza dell’Io e calore sono la medesima cosa in questo testo.
E se qualcuno avrà la volontà di fare del male ai due testimoni, o agire contro di loro, verrà distrutto e verrà ucciso. Qui dapprima c’è la distruzione e alla fine del verso 5 la morte, l’essere condotti a morte, e quindi non agire più.
11,6 «Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non piova nel periodo della loro predicazione, come pure hanno il potere di convertire le acque in sangue e di percuotere la Terra con ogni flagello, tante volte quanto vorranno».
Essi hanno il potere, questi avranno la piena potestà – ™xous…an. Le Exusiai sono gli Spiriti della forma. Questo testo è proprio scritto in modo oggettivamente scientifico-spirituale. Noi abbiamo il puro spirituale: Spirito; poi abbiamo l’animico: Anima; poi abbiamo l’eterico-vivente e infine abbiamo il fisico. Quest’ultimo è il regno della forma.
Tutti gli esseri divini, tutti gli esseri spirituali attivi sul piano fisico debbono operare in relazione con gli Spiriti della forma, perché sul piano fisico sorgono forme. Nell’eterico ci sono soltanto metamorfosi, non ci sono forme fisse. Nel fisico ci sono forme fisse. E gli Spiriti della forma vengono chiamati Exusiai.
I due testimoni hanno l’Exusia, la potenza o la forza di operare sul piano fisico; sono tutte le capacità di operare sul piano naturale.
Avranno la forza della forma per chiudere il cielo, così che non piova durante i giorni del loro profetare, e hanno la forza formale onnipotente, la piena forza nell’ambito della forma per trasformare l’acqua in sangue. In queste due immagini ci sono due potenze piene: la prima è quella di chiudere il cielo affinché non piova più; e la seconda è la capacità di trasformare l’acqua in sangue.
Cominciamo dalla seconda. L’acqua sta per la saggezza e il sangue per l’amore. Allora la testimonianza sta nel fatto che portano incontro ad ogni uomo la testimonianza del Cristo-Io; la loro convincente testimonianza dell’umano consiste nell’affermare che tutto ciò che è saggezza piena – acqua – viene trasformato in forze di amore – sangue.
È meraviglioso leggerlo ne La scienza occulta[29] di Rudolf Steiner. Dopo aver descritto nei dettagli l’intero passato della nostra evoluzione, ecco comparire una rapida prospettiva sul futuro dove lui dice, come ho già anticipato, che il senso della Terra è la trasformazione – qui intesa come cristificazione – da essere colmo di saggezza, che è sempre stata rappresentata con l’acqua, in essere colmo di amore. Un cosmo di saggezza viene trasformato grazie all’uomo, grazie all’amore dell’uomo, in un cosmo di amore. Il che sta a dire che il senso della saggezza è l’amore. Perché l’amore è pieno di saggezza per l’uomo, e tutto ciò che fa l’amore è pieno di saggezza.
Dunque i due testimoni generano l’uomo in ogni uomo, perché trasformano tutta la saggezza piena, ogni conoscenza, in azioni di amore. Perché la conoscenza è una conoscenza dell’uomo, e la conoscenza dell’essere umano fa sì che l’uomo voglia diventare l’essere dell’amore. Quindi la conoscenza dell’uomo come chiamata all’amore si trasforma in atti di amore per realizzare l’amore. Una meravigliosa descrizione della consacrazione cristiana, della trasformazione dell’uomo da un cosmo di saggezza, portato a compimento dagli dei, in un cosmo di amore; amore significa che è creato dalla libertà. Libertà e amore sono interscambiabili, perché tutto ciò che viene fatto dall’amore può essere compiuto solo nella libertà, e tutto ciò che viene fatto nella libertà può essere compiuto solo nell’amore. Quindi agire a partire dalla libertà o a partire dall’amore è la stessa cosa.
La saggezza è il frutto dell’operare divino, mentre l’amore è ciò che scaturisce dalla libertà dell’uomo. Il senso del volere divino pieno di saggezza è quello di creare le condizioni, di offrire all’uomo l’occasione di diventare sempre più creativo nella sua libertà e nel suo amore.
Torniamo all’altra immagine: cosa significa chiudere il cielo così che non piova più per tutto il tempo della profezia? Prendiamolo molto concretamente. Ora noi viviamo nel periodo dell’anima cosciente. Prendiamo ora questo periodo della profezia – e noi questo numero lo abbiamo appena visto, 2160 anni, l’unità di misura di quella profezia – e ora in modo del tutto concreto aggiungiamolo al 1413 e abbiamo 3573. Non è evidente che da 600 anni il cielo è chiuso? È il tempo del materialismo, e il cielo diventa chiuso. La sperimentazione immediata della grazia – perché la pioggia che viene dal cielo è una meravigliosa immagine della grazia – ora non è più possibile, e gli uomini non sperimentano più lo spirito, l’operare dello spirito divino. Cosa significa che il cielo è stato chiuso e l’uomo non sperimenta più direttamente in modo recettivo la grazia? Il senso è che l’uomo diventi attivo in proprio e riapra di nuovo il cielo chiuso, ma in modo del tutto individuale, e ognuno a suo tempo.
Quindi il cielo non è più aperto così che tutti allo stesso modo, senza libertà, senza individualizzazione, come un cane bastonato si stia sotto la pioggia della grazia divina; no, il cielo si chiude nell’epoca del materialismo, la grazia divina cessa di fluire e di far regali a tutti nello stesso modo. Ora solo al singolo è data la possibilità, a partire dalla libertà e dall’evoluzione individuale, di aprire di nuovo il cielo. Perché questi due stessi testimoni che hanno il potere di chiudere il cielo hanno anche la possibilità, quando la loro profezia sarà compiuta, di aprire di nuovo il cielo. Soltanto che il chiudersi è avvenuto per tutti e per tutti in ugual modo, mentre l’aprirsi avviene individualmente, mediante la libertà, grazie all’evoluzione nella libertà.
Come vedete sono immagini proprio meravigliose quelle che abbiamo nell’Apocalisse. E noi non vogliamo consumare soltanto le controforze ma anche un buon pasto, e perciò vi auguro buon appetito! Ci rivedremo alle ore 20.00.
Quarta conferenza
martedì, 11 novembre 2003, sera
vv. 11,7-11,14
Una partecipante pone una domanda sulle piaghe nell’Apocalisse.
Archiati: osserviamo il concetto di piaga perché fra le tre immagini è quella che più chiaramente risuona negativa per noi. Che il cielo si chiuda così che non piova più, è naturalmente da interpretare perché ha certamente molti aspetti e diversi significati; l’altra immagine, la trasformazione dell’acqua in sangue, è più difficile da tradurre. Ma ora soffermiamoci sulle piaghe, sulle sofferenze.
11,6 … e di colpire la Terra con ogni piaga tanto spesso quanto vorranno. Forse voi avrete pensato per colpire gli uomini, ma viene detto che colpiscono la Terra. Questa piaga è un’anticipazione, per così dire, delle sette coppe dell’ira. Ogni volta che una di esse viene versata compaiono terribili piaghe. Lo vedremo, se non quest’anno in una prossima occasione. Comunque è nel testo e tutti possono meditarci sopra. Già a prima vista sono cose terribili quelle che succedono qui.
Allora noi dobbiamo prendere molto sul serio, almeno così la penso io, le affermazioni di iniziati come un Rudolf Steiner che dice, riprendendo un’affermazione fondamentale relativa all’evoluzione e presente in tutti i Misteri, che l’amore divino sperimentato mediante le illusioni umane si trasforma in ira. Cosa significa? Steiner ne ha parlato sia nelle conferenze sull’Apocalisse di Norimberga del 1908[30] sia alla fine della sua vita, nelle conferenze sull’Apocalisse del volume 346[31]. In entrambi i casi, parlando delle piaghe, delle coppe dell’ira, vale quella affermazione dei Misteri.
E questo pensiero, che fondamentalmente è semplice e immediato, l’uomo se lo riconquista sempre e di nuovo solo quando è tormentato. Perciò vedremo che gli stessi due testimoni, le due grandiose forze positive debbono essere condotte a morte, non perché questo sia il loro destino, ma per essere sempre di nuovo strappati alla morte e portati alla risurrezione. Portare qualcosa a risurrezione presuppone che muoia. Il pensiero di cui stavamo parlando, nella sua formulazione più semplice dice: ogni prova, quale esperienza della controforza, è un dono dell’amore divino. Perché il senso della prova è quello di portarci avanti. Il senso della controforza è quello che la forza del bene diventi più forte. Infatti le piaghe, cioè i dolori – che sono la stessa cosa – devono intensificarsi nella misura in cui l’uomo omette il bene.
Quando un bambino fa le sue prime esperienze, questo o quello, e le cose non vanno bene, e non cresce nel modo giusto, allora cosa fa la mamma amorevole? Deve ricorrere a qualcosa di doloroso per aiutarlo, proprio con la sofferenza, in modo che reagisca, si dia una mossa e faccia bene. Oppure pensiamo a una malattia, a una medicina amara: provocano dolore, ma lo scopo è positivo.
Quanto più gli uomini omettono il bene, tanto più l’amore divino predispone scossoni che risvegliano l’uomo: ecco le piaghe – scossoni per risvegliarci. L’uomo può prenderle dal lato negativo oppure da quello positivo: in questo è libero. Se le sperimenta dal lato negativo ne percepisce solo le sofferenze; se invece vive il lato positivo coglie la provocazione a crescere.
La seconda cosa è, se posso aggiungerla, questa prospettiva del legame indissolubile fra l’amore e la sofferenza. Ne ho parlato anche nel mio libro sull’amore[32] là dove dico che la crescita nell’amare è impossibile senza la sofferenza. Fondamentalmente la capacità d’amare di una persona è proporzionata alla sua capacità di soffrire. Quest’ultima poi, non implica che quanto più un uomo sia toccato dai colpi di destino e tanto più sia capace di soffrire: non c’è nulla di automatico in questo ambito. Una persona può anche aver una vita esteriormente senza grandi dolori e tuttavia essere capace di soffrire nel suo intimo perché fa proprio tutto il dolore dell’umanità. Quindi la capacità di soffrire è una qualità del cuore, del sentimento.
Nel mio libro ho portato questo esempio: diverse persone possono sperimentare il fatto che un loro amico trentenne sia stato colto da un tumore, e che ora stia per morire. Questo non significa che tutti i suoi amici sentano la stessa compassione. A seconda della capacità che individualmente hanno di soffrire, un amico può rimanere indifferente e l’altro può soffrirne così tanto come se la malattia lo avesse colpito personalmente. Quindi sono i diversi gradi evolutivi raggiunti dalle persone che determinano la capacità di soffrire e quella di compatire il dolore altrui. La compassione è la forza dell’amore, ma nella compassione, nel com-patire c’è dentro il patire. Funziona così.
Detto in altro modo: l’esperienza della libertà è sempre un superamento – ora la faccio più semplice – di un impulso che viene dalla natura. Significa che qualcosa di impulsivo deve essere superato. Questo è doloroso? Volendo, sì. Se si guarda ciò che ci si proibisce, perché non si è ancora capaci di apprezzare il positivo, allora si soffre; ma se, al contrario, si fa con forza tutto quanto si può in chiave positiva, allora il dolore, la morte viene portata nella dinamica della risurrezione.
La conseguenza ultima suona paradossale perché si potrebbe dire: la persona che è maggiormente causa del mio dolore è colei che mi ama di più, perché da lei ho le maggiori opportunità per andare avanti, oppure, per dirla in modo più neutrale, è la persona con la quale ho più da soffrire. Perché non necessariamente è lei la causa del mio dolore: io stesso lo sono. Ma lei è l’occasione, è karmicamente la catalizzatrice di quel dolore, e in quanto tale è la persona più adatta o karmicamente coinvolta nel modo più attivo nel mio progredire nella forza dell’amore.
Perché, ammettiamolo, un tratto caratteristico del materialismo è il divieto di soffrire, che è un tratto caratteristico della bestia che sale dall’abisso – la incontreremo presto nel settimo versetto –, l’abisso sono le forze inferiori, tutte le forze di natura, quelle deterministiche, legate alla necessità, a ciò che è impulsivo, egoistico, perché quando l’uomo non è libero questo è la bestia che sale dall’abisso.
Un modo fondamentale di esprimersi di questa controforza è la proibizione del dolore, la demonizzazione della sofferenza: il dolore è male. Questo è un terribile dogma del materialismo: dolore è male, piaga è negativo, sarebbe preferibile se non si soffrisse mai. Perché se la sofferenza è un male, allora tante persone immaginano – e oggi davvero molti la pensano così anche se è illusorio – che sarebbero tanto più felici e che la vita sarebbe tanto più felice, quanto meno c’è da soffrire.
Questo è un abbaglio, una illusione totale, non è affatto così. Perché la gioia è proporzionale al dolore che viene superato. Quanto più una persona vince il dolore e tanto più è felice. Ma in una vita in cui non c’è niente da soffrire, non succede niente. In questo modo è impossibile che l’uomo sia felice.
E adesso, appartiene al superamento della bestia che sale dall’abisso non mettersi a dire che il dolore è positivo, perché sarebbe di nuovo un dogma, ma si tratta di riconoscere che il dolore diventa positivo o negativo a seconda di come l’uomo lo affronta. È la relazione dell’uomo col dolore che può essere positiva o negativa. Così com’è positiva o negativa la relazione con Mefistofele e non Mefistofele stesso.
Dunque la conclusione del ragionamento è la seguente: una piaga è una controforza, una controforza evolutivamente necessaria. Io ho la possibilità di prenderla sia come buona sia come cattiva, perché solo il modo dell’uomo di rapportarsi con essa è buono o cattivo. Può essere buono se diventa occasione per andare avanti, il confronto con la piaga è invece cattivo quando l’uomo con questo fa passi indietro nella sua evoluzione. Qual è il modo negativo di mettercisi in relazione? Non volere la controforza. L’errore è nel pensare di ritenere a priori la controforza come negativa, per risparmiarsi la fatica di affrontarla.
Per precisione non possiamo neanche dire che la piaga o la chiusura del cielo siano da considerarsi positive; è la controforza, è il concetto di controforza che è necessario, e la controforza è necessaria per l’evoluzione nella libertà. Decisivo per il bene o per il male è la mia presa di posizione verso le controforze, è come mi ci rapporto. La prima presa di posizione sta nel pensare. Cioè: come interpreto, cosa penso, che pensieri mi faccio della controforza nel mio pensare? Se sul piano del pensiero pregiudizialmente ritengo che la controforza sia negativa nella sua essenza, allora ho assunto una presa di posizione sbagliata nel pensare, perché è un errore, una autosuggestione. E questa è solo una manovra per risparmiarmi il confronto con quella controforza.
Se si volesse affermare che è negativo ciò che fanno i due testimoni, implicitamente si direbbe anche che sarebbe stato molto meglio se non lo avessero fatto visto che è negativo, che è male. In questo caso sarebbero diventati i due uomini migliori o, se volete, le due migliori forze in ogni uomo. È certo che quello che fanno lo fanno assolutamente in vista del bene, ma non può venirne per forza del bene, perché questo è lasciato alla libertà di ognuno.
Dunque: la controforza è la necessaria provocazione per andare avanti, proseguire oltre. Lo è veramente. Ma l’uomo deve avere la possibilità di prendere posizione di fronte a questa sfida e quindi di andare avanti, oppure di omettere di farlo, perché è libero.
Queste sono, se volete, chiavi interpretative per accostarci a questo difficile testo. Vedete che in un paio di giorni abbiamo preso in considerazione solo alcune cose, ma non stiamo lavorando solo nella prospettiva della quantità. Non è essenziale la quantità di quanto qui prendiamo in considerazione. Una chiave per l’intero testo dell’Apocalisse è il modo in cui Esseri buoni ci offrono la controforza, oppure il modo in cui ce la offrono Esseri cattivi o forze contrarie. Qui abbiamo il modo in cui la bestia che sale dall’abisso offre forze contrarie. Che differenza pensate che ci sia? I due testimoni offrono agli uomini le necessarie controforze, ma poiché sono buoni conformano le forze in modo tale che l’uomo abbia la possibilità di vincerle e di proseguire nella sua evoluzione. Le potenze del male conformano invece le loro forze oppositive in modo che l’uomo possibilmente venga abbindolato e soccomba. Questa è la differenza.
Una mamma che invece dei modi morbidi vuole o deve usare polso – prendiamo questo come esempio di controforza – nell’usare i modi forti desidera che il bambino faccia dei passi avanti. Ma devono essere modi energici, se così è necessario. Al contrario, le potenze del male, gli esseri che veramente sono incaricati quali controforze dalla divinità, devono conformare le forze d’opposizione in modo da far di tutto perché l’uomo soccomba, per abbindolarlo.
Quindi le coppe dell’ira che vengono versate giù dal mondo divino sono fatte in modo tale, e lo si può seguire fin nei minimi dettagli, da essere fatte in modo da manifestare che veramente traboccano dall’amore divino per l’uomo, sono davvero esortazioni, appelli al risveglio affinché l’uomo si accorga delle sue omissioni e vada avanti. Tutte le forze invece che irrompono dal basso, dall’abisso, dalla bestia, – quella con sette teste e dieci corna, oppure quella con due corna, come vedremo; oppure il falso profeta, perché c’è anche lui – queste controforze fanno di tutto affinché l’uomo soccomba. L’uomo deve imparare a distinguere: questa è una divina coppa dell’ira, oppure è una bestia che sale dall’abisso? Perché c’è da soffrire anche per le coppe dell’ira che vengono versate dall’amore divino.
Intervento: Se ho capito bene anche gli Esseri che offrono le controforze vengono salvati. È decisivo, in questo caso, se le controforze vengono dagli Esseri del bene oppure da quelli del male? O è invece lo stesso perché entrambi vengono salvati? Vorrei porre anche una seconda domanda: quale sarebbe, per un essere lo stimolo a proseguire nella sua evoluzione sapendo che prima o poi in qualche modo verrà salvato? È soltanto un autoconvincimento, o è altro?
Archiati: Sì, Mefistofele non può sapere che verrà salvato. Perché se lo sapesse, tanto per cominciare non sarebbe più un diavolo, ma comincerebbe a diventare un essere divino, e quindi non porterebbe a compimento il suo compito come si deve.
Intervento: Lei ci ha trasmesso la consapevolezza, e ora noi lo sappiamo, che anche le controforze verranno salvate.
Archiati: Bene, ma questo non significa che Mefistofele lo capisca. Voglio dire che se lei incomincia a pensare così, lei cesserà di vedere Mefistofele solo come cattivo, e considererà buona o cattiva solo la relazione con lui. Riconoscerà che Mefistofele è la necessaria controforza. Ora, come sarebbe se Mefistofele non conseguisse mai nulla? Non proverebbe nessun gusto a realizzare il suo compito. Questo fa parte di questo piano – altrimenti Mefisto sarebbe ben più in alto come essere spirituale, un diavolo è comunque un essere spirituale –, appartiene al suo compito perché ha una psicologia tale che lui si immagina sempre di dover prima o poi vincere. Difatti Mefistofele per tutti i cento anni della vita di Faust, fino alla sua morte, ha sempre la fiducia, la speranza di vincere lui. Solo così può essere un buon diavolo. Altrimenti perderebbe ogni gusto se dicesse a se stesso: non vincerò mai.
Quello che Steiner chiama Arimane, che è una forma di Mefistofele, solo alla fine del dramma misterico viene osservato da Benedetto, ma questo non significa che Arimane osservi se stesso. Quel che Benedetto ora capisce per la prima volta è che Arimane ha paura di essere osservato dal pensare umano, perché in questo caso è finita per lui. Poiché non ha ancora capito – è una fortuna, altrimenti cesserebbe di essere un buon Arimane – che questa morte attraverso il pensare umano è la sua risurrezione nell’uomo. Non gli è lecito capire, perché se capisse cesserebbe di essere una controforza.
Rileviamo che l’uomo, quale spirito, quale decima Gerarchia, ha la possibilità di andare avanti spiritualmente nel suo pensare, quando lo vuole, quando afferra il pensare meglio di tutti i diavoli di questo mondo. Questa sì che è una bella cosa. Solo che ora noi abbiamo l’inizio dell’anima cosciente, ci siamo appena entrati e possiamo notare che nei testi di questi iniziati – perché chi ha scritto l’Apocalisse forse ci stava avanti di millenni a livello di coscienza – è contenuto l’intero processo della coscienza. Il risultato è: cosa faccio se pongo il diavolo come cattivo, oppure colloco la piaga come male? Torniamo al nocciolo della domanda che è stata posta questa sera: cosa faccio se giudico la piaga come negativa o il diavolo come male, cosa faccio? Mi disfo dell’uomo nero, questo faccio. La piaga è brutta, il diavolo è cattivo: non io. Se la penso così, il diavolo ha vinto perché mi ha abbindolato.
Cosa raggiunge lui facendo così? Che io non venga alle prese con la contrapposizione, che io non capisca che è solo la contrapposizione a poter essere vissuta come buona o cattiva. Se sperimento la relazione in modo positivo, nel senso che il contrapporsi alla controforza accresce la mia forza, è solo perché ne ho la possibilità, perché posso vivere questa contrapposizione. Allora devo smetterla di ritenere la controforza qualcosa di cattivo, perché è lì per il bene. Solo che il bene non è necessario, il bene può anche essere omesso.
Lo possiamo capire meglio? Ritenere la controforza come qualcosa di negativo o il dolore come male è una delle tentazioni ataviche dell’essere umano. Perché in questo modo si risparmia la sfida. Perché è soltanto la modalità della relazione che è buona o cattiva, cioè favorevole all’uomo oppure per lui nociva.
Prendiamo un caso eclatante di questo modo di mettersi in relazione, prendiamo la morte come esempio archetipico, perché la morte è una forma originaria della piaga. È sì una piaga, la morte. La morte è buona o cattiva? Nel testo viene detto che i due Testimoni portano la morte mediante il fuoco che esce dalle loro bocche. È male questo? Nulla di quanto è esterno all’uomo è buono o cattivo, perché solo il cuore dell’uomo può essere buono o cattivo, perché è lì che l’uomo prende posizione: nei suoi pensieri, nei suoi sentimenti, nei suoi impulsi volitivi. All’esterno ci sono solo opportunità: forze, controforze, provocazioni, aiuti.
Bene, andiamo avanti. Dal versetto 7 compaiono quelle che, in questo contesto, ho chiamato le controforze, che ci vengono offerte dalle potenze che sono avverse all’uomo, senza cadere nelle categorie moraleggianti del bene e del male.
11,7 «E quando i due testimoni avranno portato a compimento la loro testimonianza, la bestia selvaggia, oppure la bestia che sale dall’abisso farà loro guerra, li vincerà e li ucciderà».
11,8 «Il loro cadavere resterà sulla piazza della città, della grande città, che è spiritualmente chiamata Sodoma o Egitto, dove anche il loro Signore è stato crocifisso».
Poi nei versetti 9 e 10 c’è la presa di posizione degli uomini.
Quindi si parla delle forze che emergono dal profondo, le forze di natura, degli impulsi, perché questa bestia, le forze bestiali sono non soltanto forze di opposizione esterne all’uomo; molto meglio e molto più profondamente dobbiamo riconoscere in esse forze che sono in ogni uomo. E l’abisso in ogni uomo è il subconscio, quello che sta sotto, le forze di natura che operano in lui secondo leggi di necessità, deterministicamente, e che hanno il compito quali controforze di essere al servizio della libertà.
Queste forze del basso, forze naturali oscure, piene di brama, dove non c’è libertà, che portano l’uomo ad agire in modo istintuale, uccideranno le due forze del bene, Mosè e Elia, i due testimoni, oppure, il pensare e l’amare, la testa e il cuore. Questa morte del bene nell’uomo partecipa al destino del Cristo, il cui karma, quale karma dell’umanità, è che muoia a metà dell’evoluzione, dopo tre giorni e mezzo, per risorgere alla fine, dopo altri tre giorni e mezzo. Si tratta quindi di una partecipazione passo passo alla morte e alla risurrezione del Cristo. Anche qui, come là, in tre giorni e mezzo.
Ora faccio di nuovo una proposta (v. Fig. sotto): qui è sempre uno, due, tre, e qui c’è quattro – 1/2 e 1/2, e insieme fanno il quattro. Allora tre e mezzo dall’inizio fino alla metà, e tre e mezzo dalla metà fino alla fine. Diciamo: cinque è la risurrezione di tre, sei di due e sette di uno.
Pensiamo ora il tutto nel suo significato più ampio. L’avvio dell’evoluzione (v. Fig. sopra) – Uno, due, tre, potrebbe anche essere Terra 1, Terra 2, Terra 3. E l’evoluzione qui sulla Terra, la prima metà fino al mistero del Golgota; la metà successiva dal mistero del Golgota in poi. Oppure, se vogliamo, questo settenario può indicare anche cicli temporali più brevi: epoca polare, iperborea, lemurica, atlantica (qui in mezzo), e ora noi siamo nell’epoca postatlantica. Oppure si possono pensare anche i cicli temporali ancora più brevi in seno all’epoca post-atlantica: il periodo indiano (l’1), quello persiano (il 2), quello egizio-caldaico (il 3), quello greco-romano (il 4) e, quinto, il nostro periodo di cultura, e ci sono ancora due periodi davanti a noi.
Quindi: tre e mezzo fino al centro, e tre e mezzo dal centro alla fine; questo schema vale sia per i cicli lunghi, che per quelli medi, che per quelli brevi. E la morte e la risurrezione del Cristo è la sintesi di tutto il passato e l’anticipazione di tutto il futuro. Per questo la struttura della redenzione e della morte del Cristo è anch’essa: tre giorni e mezzo nella morte e poi la risurrezione.
Cosa significa il fatto che una metà dell’evoluzione ha il senso di portare alla morte? È perché questa è l’unica possibilità, veramente l’unica, di rendere possibile una risurrezione. Niente può risorgere se prima non è morto.
Detto in altri termini: ci sono molte persone che vorrebbero un pensare che non fosse morto. Vorrebbero avere un pensare che sia vivente. Vorrebbero essere viventi nel loro pensare. Tutto ciò è profondamente anticristico, è un assoluto non senso. Perché se io voglio essere vivente nel mio pensare, non ho ancora accettato che sono morto nel mio pensare. E nessun uomo può essere vivente nel pensare se non lo diventa. Non si tratta mai di essere viventi nel pensare perché se così fosse non ci sarebbe più nulla da fare; si tratta piuttosto di diventarlo. Per far sì che il mio pensare diventi vivente io devo capire che era necessario, che la condizione necessaria perché questo si verifichi è che il mio pensare morisse. Io devo vedere la positività del morire, la necessità della morte. Il mondo è pieno di uomini che vorrebbero vivere il cinque quale risurrezione del tre e il sei quale risurrezione del quattro, ma guai a morire! Per cortesia: niente morte, solo risurrezione!
Questo sta a significare che il coraggio che deve essere educato è il coraggio di evolvere, di divenire. La più grande tentazione, il più grande imbroglio, il più grosso raggiro consiste nel convincersi che sarebbe meglio se il mio pensare fosse già vivente per conto suo. No, assolutamente, perché il compito del pensare è di diventare vivente. Per questo motivo la morte deve essere il punto di partenza. Questo vale per il pensare.
Prendiamo ora le forze del cuore, le forze dell’amore. La morte dell’amore è l’egoismo, l’incapsulamento in se stessi. L’amore è il superamento dell’egoismo, il suo costante superamento. Eppure ci sono molte persone che trovano insopportabile l’egoismo, il fatto di essere egoisti. Sono quelli che vogliono risparmiarsi lo strapazzo di diventare amorevoli. A nessun uomo è dato di essere amorevole, perché nessun uomo può essere pieno di amore: l’amore che ha già provato era quello di ieri, ma non quello di oggi. Si tratta di diventare amorevoli ora, ed è tutt’altra cosa. Tutto questo significa che né nel pensare e neppure nell’amare è possibile vivere di rendita. “Colui che incessantemente anela, questi noi possiamo salvare”. Va quindi bene, deve essere così, che afferro il mio pensare dal lato della morte, e lo faccio diventare vivente. Altrettanto bene va se mi accorgo che nelle forze del mio cuore cado continuamente preda degli impulsi egoistici, che sono la morte dell’amore, perché solo superandoli sperimento la risurrezione dell’amore. Questo è il mio compito.
Ma per entrambi i fronti, per i due testimoni del pensare e dell’amare, del pensare e del volere, la morte deve essere presupposta. Il senso dell’inizio, del peccato originale, è la morte dei due testimoni, del pensare e dell’amare quale premessa, quale condizione necessaria per diventare viventi nel pensare e ricolmi d’amore.
Va quindi bene se mi scopro pieno di egoismo, oppure se vedo che il mio pensare è pieno di forze di morte; non andrebbe bene se lasciassi perdere. Se non faccio niente per vivificare il mio pensare o per colmare d’amore il mio cuore, non sarebbe bene per me; ma è necessario che il punto di partenza sia la morte. Non è un fatto né buono né cattivo, ma è semplicemente necessario, sennò non avrei nulla da fare. Il mondo è pieno di persone che pensano che sia brutto essere morti nel pensare e morti nell’amore per via dell’egoismo. Ritengono che sarebbe molto meglio se si fosse già viventi nel pensare così da non aver nulla da fare, oppure sempre così pieni d’amore così da non aver niente da fare. Vedete quanto è raffinato il diavolo, perché questo è l’abbindolamento è più sopraffino. E gli uomini si lasciano davvero abbindolare.
Prendiamo un altro fenomeno, sul quale Steiner è tornato più volte nelle sue conferenze: lui lo chiama il falso pentimento. Un uomo ammette di aver fatto una sciocchezza. Ora è tormentato per non essere stato migliore di quanto non sia stato. Cosa ne deriva? Io effettivamente non ero migliore di così. E che cos’è il falso pentimento? La collera che ci prende perché avremmo voluto essere migliori, perché non si sopporta di dover diventare migliori. Perché se lavoro continuamente al mio perfezionamento – così bene per quanto posso – allora va tutto bene. Nessun uomo era migliore di quanto effettivamente è stato, perché quel che è stato è stato. A posteriori nessun uomo può cambiare le cose. «Ho già picchiato la testa dieci volte» sta a significare che per quelle volte non è più possibile cambiare la situazione. Il passato non lo puoi cambiare, ma a partire da adesso tu puoi diventare migliore. Anche i pensieri che hai pensato non puoi cambiarli – è adesso che puoi pensarne di migliori.
Quindi il pensiero che non sopporta la morte è in fondo la tentazione di risparmiarsi lo sforzo di risorgere o di diventare sempre più risorti. E lì l’uomo omette qualcosa. Quando l’uomo ritiene la morte o il dolore come qualcosa di negativo allora omette al massimo grado, perché dice: questo è negativo; e non: che cosa posso fare io?
Perciò nel giudizio finale di cui parla il cristianesimo si dice che ci sono solo peccati di omissione. L’ho sempre sottolineato riferendomi, per esempio, a come viene fatto il bilancio nel capitolo 25 di Matteo. Allora saremo al settimo tempo, alla fine di tutta l’evoluzione, e il bilancio verrà fatto. Si deve scoprire quali sono gli uomini buoni e quali i cattivi, quelli che verranno messi a destra e quelli a sinistra del Cristo. E cosa viene indicato come peccati dei malvagi, che hanno volto verso il basso l’evoluzione? Non le azioni, non i fatti; mai vengono citati comportamenti non retti o cattivi, ma soltanto peccati di omissione. Io avevo fame – un pezzo di morte dell’io, perché l’io aveva fame nell’umanità, ed è una piaga questo aver fame – e voi avete omesso di cogliere l’occasione di questa fame per nutrire l’io, e non mi avete dato da mangiare. L’io aveva sete nel suo corpo eterico; fame nel suo corpo fisico – l’intera evoluzione delle forze fisiche – e sete nelle forze eteriche – perché il corpo eterico viene sempre rappresentato con l’acqua.
L’uomo aveva sete di individualità nel suo corpo eterico – avevo sete – e voi non gli avete dato nulla da bere: nient’altro che un peccato di omissione!
Come omette l’uomo il bene? Non facendo delle controforze la sfida per proseguire nella sua evoluzione. Il fenomeno originario dell’omissione consiste nel ritenere negativo aver a che fare con una controforza, desiderare soltanto ignorarla, e ritenere che è bello lasciarla stare, omettere di venire alle prese con il confronto e attraverso il dolore e la difficoltà progredire nelle forze del bene. Questo è il fenomeno originario dell’omissione: bollare la controforza come male; e dire: non voglio averci niente a che fare.
Sarebbe come se il Faust dicesse: Mefistofele è cattivo e io non voglio aver nulla a che fare con lui. Cosa sarebbe successo a Faust se avesse pensato così? Ma Faust non dice che Mefistofele è cattivo; dice che è la necessaria controforza, del tutto benvenuta; è il modo con cui mi ci rapporto che può essere buono o cattivo. Ecco il non-omettere, il venire alle prese con la lotta.
Per essere onesto, devo dire che la morte dei due testimoni che qui è narrata in modo così grandioso, mi ha dato un bel da fare e nonostante questo io non sono arrivato a una conclusione definitiva. Però mi sono detto: fondamentalmente il nostro problema consiste nel fatto che la morte-del-bene, il peccato originale, è visto come negativo. Invece di considerarlo una necessità evolutiva, di capirlo quale necessaria premessa per la risurrezione, insistiamo a ritenere il peccato originale, cioè la morte dello spirito, perché essenzialmente è la morte dell’uomo spirituale, come negativo.
Noi abbiamo questo problema anche in chiave teologica, anche nella Chiesa. C’è una corrente importante, non dico l’intera Chiesa cattolica ma una parte della Chiesa cattolica, che ritiene che il peccato originale, il morire, il naufragare dell’uomo spirituale nella materia sia qualcosa di male. E cioè sarebbe stato meglio – è questo quello che pensano –, se questa morte non fosse intervenuta! Che è come dire: meglio per noi se fossimo rimasti nel paradiso terrestre e non fosse successo nient’altro.
Questo pensiero porta a errori madornali. Eppure domina ancora in molte cerchie di oggi, e l’illusione va smascherata perché se l’uomo continua a pensare che il peccato originale è stato un male, non arriverà mai al pensiero che questa morte dello spirito è la maggiore chance di far risorgere lo spirito in modo autonomo, individuale, libero. Questo viene continuamente omesso.
Intervento: Non capisco come possano esserci tre giorni e mezzo dal venerdì santo alla domenica di Pasqua.
Archiati: Bene, ma lei sa che si è sempre parlato di tre giorni e mezzo. Bisogna prestare attenzione a quanto segue, e qui lo posso solo accennare perché ci porterebbe lontano: nel Vangelo di Giovanni è molto chiaro che il processo di morte inizia il giovedì santo, quando Cristo dice: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». Il pane rappresenta tutta la corporeità della Terra e il sangue rappresenta tutto ciò che è fluido. Nel momento in cui il Cristo dice queste parole il Suo spirito comincia a fluire nella corporeità della Terra. È l’inizio della Sua morte.
Soltanto un cristianesimo materializzato ha ormai perso la consapevolezza che gli eventi del giovedì santo, quali la lavanda dei piedi e altri, sono comprensibili soltanto come atti iniziali del morire del Cristo. Il processo di morte è già così avanti che un decesso anticipato lo minaccia, e perciò Cristo prega di poter resistere fino al venerdì pomeriggio. Quindi se si include il giovedì santo i giorni diventano tre e mezzo.
Così era anche nel processo di iniziazione antica quando si conosceva la legge delle successioni cicliche, cioè del fatto che l’intera evoluzione doveva essere pensata in chiave di settenario, perché si svolge in sette fasi. Per questo motivo tutte le iniziazioni, dove si conoscevano questi misteri, venivano compiute nell’arco di tre giorni e mezzo. Nel sud chi doveva essere iniziato veniva deposto in una bara a forma di sarcofago così che il suo corpo ondeggiasse in una situazione intermedia fra la morte e la vita, e potesse di nuovo riavere lo spirito dopo tre giorni e mezzo. Al nord l’iniziazione era piuttosto un processo macrocosmico, e qui c’erano le colonne cosmiche, le Irminsul, sulle quali Odino era stato iniziato, ma sempre con un processo di tre giorni e mezzo durante il quale il corpo fisico rimaneva come inanimato e lo spirito poteva fuoriuscire, ma solo parzialmente, sennò sarebbe davvero morto. Una volta fuoriuscito sperimentava la realtà dello spirito e poi riafferrava di nuovo il corpo. Per lo stesso motivo era stato necessario che Lazzaro, iniziato dal Cristo stesso, rimanesse tre giorni e mezzo nella tomba.
Dunque questo parametro di misura dei tre giorni e mezzo è molto importante, perché rimanda al fatto che ogni evoluzione si svolge in sette tappe: quindi tre e mezzo è la metà. Perché è così importante la metà? Perché ogni evoluzione deve avere una svolta al suo centro. E per quale motivo?
Se non ci fosse una svolta l’evoluzione sarebbe lineare e del tutto priva di senso. L’intero, verso cosa tende? Naturalmente una linea e una curva sono solo simboli, ma se proseguiamo col pensare, senza la svolta si va verso l’infinito e non c’è né inizio e neppure fine.
Prendiamo una evoluzione che possiamo percepire: il corso della vita umana. In questo caso l’evoluzione è lineare oppure c’è una svolta? Cerco di renderlo con una immagine (v. Fig. p. 135): qui c’è la nascita, poi le forze crescono, crescono, crescono, e poi c’è la svolta. È del tutto obiettivo, perché si tratta della fisicità, del corpo.
Significa che a questo punto, quando le forze fisiche cessano di essere predominanti, hai la possibilità di continuare a evolvere nello spirito. Non deve necessariamente succedere, è lasciato alla libertà. Ma l’evoluzione naturale ha una svolta nel suo punto centrale, e questo vale per ogni processo evolutivo. La svolta innesta un processo di rispecchiamento: tre e mezzo da una parte e tre e mezzo dall’altra. L’intera Apocalisse è costruita sulla legge evolutiva del tempo.
Io ho fatto la proposta di mettere in relazione il morire di tre giorni e mezzo dei due testimoni con il destino del Cristo, con la sua morte e risurrezione, perché tutto dipende poi dal significato che diamo alla morte e alla risurrezione del Cristo. Se ce la rappresentiamo come qualcosa di positivo o di negativo, oppure quale offerta per l’uomo di sperimentare sempre di nuovo la morte e la risurrezione, dobbiamo comunque tener presente che l’uomo può sia approfittare di questa offerta, sia decidere di omettere questa possibilità. Se noi la morte, o meglio l’essere-portati-alla-morte dei due testimoni secondo le forze animali inferiori, quelle che dominano assolutamente nel mondo animale – le forze naturali, deterministicamente predeterminate –, se questo essere portati alla morte lo consideriamo come premessa, come necessaria condizione per la costante risurrezione, allora questo è il bene, quando l’uomo da questa morte ne trae un bene. E quando l’uomo omette di trarre un bene da questa morte, allora il male non è nella morte stessa, ma nel fatto che l’uomo omette di trarne qualcosa di positivo.
In altre parole, l’Apocalisse parla di necessità evolutive. Sono quelle che devono esserci affinché l’evoluzione dell’uomo si compia, affinché la libertà diventi possibile. Cosa ci deve essere perché la libertà sia possibile? E che cosa ci deve essere perché la libertà sia resa possibile? E per l’uomo deve essere possibile la libertà, altrimenti l’uomo non sarebbe più uomo. Allora la domanda di tutta l’Apocalisse, dall’inizio alla fine, è: cosa è necessario perché la libertà dell’uomo sia possibile? Cosa è necessario? Disporre le cose in modo tale che l’uomo possa sempre prendere posizione in un modo o nel suo opposto: solo così è libero, solo così la libertà è possibile. Significa configurare le cose in modo tale che abbia sempre la possibilità della scelta.
E cosa accade con la morte? Questo è meraviglioso, perché l’uomo proprio di fronte alla morte ha entrambe le possibilità: quella di condannare la morte, di vederla come qualcosa di negativo e di augurarsi che se ne stia lontana, oppure ha la possibilità, nella sua libertà, di benedire ogni morte quale possibilità, quale premessa per trasformarsi in una risurrezione. Entrambe le possibilità stanno libere davanti all’uomo. E quando la morte pone gli uomini di fronte a questa libera scelta, allora appartiene a quanto è necessario per l’evoluzione proprio affinché la libertà sia possibile.
Cosa è necessario per evolversi nella libertà? Questa è la domanda dell’Apocalisse. Cosa è necessario a ogni gradino per l’evoluzione nella libertà? Vi chiedo: nella crescita dei bambini è forse diverso? Niente affatto. Perché qual è la domanda dei genitori, la domanda educativa, la più grande domanda della pedagogia? È: cosa è necessario per offrire al fanciullo la possibilità di crescere sempre di più nella libertà? Perché quanto più cresce nella libertà e tanto più diventa uomo, diventa migliore. Cosa è necessario per rendere possibile la libertà? Questa è la domanda dell’amore per l’uomo. Perché amore per l’uomo significa domandarsi: cosa è necessario nella sua vita perché sia possibile la sua libertà, sia possibile favorirla?
Ma per rendere possibile la libertà occorre configurare le cose in modo che egli abbia sempre la possibilità di scelta. Libertà significa possibilità di scelta. Ed è proprio di fronte al dolore che l’uomo ha massimamente la possibilità di scegliere, perché il dolore sono controforze. Infatti l’uomo può considerare la sofferenza come qualcosa di negativo, oppure come qualcosa di positivo, sperimentarla come occasione positiva. Entrambe le scelte sono possibili. Che bella libertà! Vederla in un modo o in un altro, sperimentarla così o altrimenti dipende solo da me.
Questo come commento, in chiave di positività, di ciò che è accaduto all’inizio. La positività non è tanto l’arte di vedere il buono delle cose, quanto l’arte di volgere le cose al bene. Perché per me nulla è positivo o buono se non lo indirizzo io verso il bene, se non sono io a far sì che sia bene. Ma allora devo essere io ad attivare il processo, e questo è bene. Questa è la positività e non il limitarsi a vedere bene le cose, ma a farle bene. La prima operazione, in un certo senso, è facile perché basta immaginarsi che siano bene. Ma farle bene, far emergere da esse il bene è un’altra arte, perché bisogna darsi da fare, essere presenti, essere molto svegli e così via.
Bene. Osserviamo ora la reazione degli uomini descritta ai versetti 9 e 10.
11,9 «Guarderanno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione impedendo che siano messi nella tomba.»
Kaˆ blšpousin ™k tîn laîn kaˆ fulîn kaˆ glwssîn kaˆ ™qnîn: saranno guardati dai popoli, dalle razze, dalle lingue e dalle nazioni tÕ ptîma, i cadaveri per tre giorni e mezzo, e non verrà permesso che i loro cadaveri vengano seppelliti. Questo è un passaggio che mi ha dato del filo da torcere. Cosa significherà nell’economia dell’evoluzione umana che il Cristo, da un lato, è stato sepolto e che invece i due testimoni non vengono sepolti? Dal punto di vista psicologico si potrebbe pensare – è un aspetto, ma io non lo ritengo certo il più profondo – che il mancato seppellimento dei cadaveri rafforza il monito o l’evidenza che essi realmente non hanno più nulla da dire. Oppure si può pensare che, per il fatto che i cadaveri non vengono distrutti dalla Terra, i due testimoni abbiano un’ulteriore difficoltà a giungere ai mondi spirituali; qualcosa di simile ai processi di mummificazione egizia, per intenderci. Ma uno degli elementi è anche che questi cadaveri, se guardiamo la cosa dal punto di vista psicologico, non sono del tutto morti dal momento che vengono di nuovo afferrati dalla vita dopo tre giorni e mezzo.
Quindi la decisone delle controforze di non seppellire i due cadaveri viene colta dalle forze positive quale occasione per attivare qualcosa di buono, e precisamente di impedire l’inizio del processo di putrefazione. Questa è la premessa che permetterà loro, dopo tre giorni e mezzo, di diventare di nuovo viventi. Quindi quelli che hanno impedito il seppellimento avevano una certa intenzione, ma gli esseri del bene, le forze del bene, hanno invece fatto qualcosa di buono proprio a partire da questa controforza.
Mi viene in mente la frase di Mefistofele nel Faust dove dice a se stesso: «Io sono una parte di quella forza che vuole continuamente il male»[33] – e la decisione di non permettere la sepoltura è la volontà del male; ma ci sono forze più alte che si servono di questo presunto male per realizzare, a partire da esso, il bene, «… che vuole continuamente il male e, al contrario, continuamente fa il bene». Perché infatti diventa bene quel che succede dopo tre giorni e mezzo, quando i due cadaveri vengono di nuovo portati alla vita.
Intervento: Ma la veglia funebre non è sempre di tre giorni e mezzo? Così che, per così dire, coloro che devono andarsene…
Archiati: Sì, è vero, ma ora lei parla di un altro aspetto relativo ai tre giorni e mezzo e precisamente: quando l’uomo, diciamo così, è clinicamente-fisicamente morto nel senso che il suo corpo fisico è morto (v. Fig. p. 140: questo è l’uomo, almeno come schizzo), allora il suo corpo eterico, il corpo delle forze vitali o forze formative (lo faccio in verde, perché questo è il colore giusto, è il colore del mondo vegetale) di fatto il corpo eterico ha bisogno di tre giorni e mezzo per espandersi completamente nel cosmo – e gli uomini cioè le culture spirituali lo hanno sempre saputo, tranne che ai giorni nostri; diventa sempre più grande fino a scomparire nel cosmo.
Dunque quando dopo la morte del corpo fisico si aspetta più di tre giorni e mezzo per richiamare indietro l’anima e lo spirito, allora è troppo tardi, perché a quel punto le forze vitali non sono più richiamabili nel corpo fisico. Tre giorni e mezzo sono anche il tempo, in media, durante il quale una persona può rimanere sveglia. Le persone sono diverse: ci sono individui che cedono appena dopo 24 ore, mentre ce ne sono altri che possono resistere sette giorni. Certi terroristi hanno la capacità quando hanno ostaggi di rimanere svegli per sei o sette giorni senza dormire. Ma la media, le forze del corpo eterico possono resistere senza sonno tre giorni e mezzo. Poi cede, e deve dormire.
Si tratta quindi di un ritmo del corpo eterico. Dopo la morte, alla fine dei tre giorni e mezzo il corpo eterico viene sciolto – Steiner lo ripete molte volte e dice che finché l’uomo è in quella condizione sperimenta nel suo corpo eterico, che ora sta fuoriuscendo, come un grandioso quadro di tutta la sua vita che dura per tre giorni e mezzo. In esso è tutto scritto, ci sono tutti i ricordi, tutte le esperienze. Poi tutto scompare, dopo tre giorni e mezzo, e l’uomo si sperimenta nel
suo corpo astrale, nella sua anima. Adesso rivive tutto quel che c’è nella sua anima (v. Fig. sotto; dunque devo cancellare queste forze vitali) e ora sperimenta tutto il vissuto della sua anima: amore, egoismo, in altre parole, tutta la sua evoluzione animica. E ora comincia, dopo appunto tre giorni e mezzo, la cosiddetta esperienza del fuoco purificatore o kamaloca. Kama significa brama e Loca significa luogo. Dunque, luogo delle brame.
Qui l’uomo deve sperimentare il corso della sua intera vita a ritroso, per un periodo equivalente a un terzo della sua durata, ma ora nel mondo animico e non più in quello eterico, non più nel mondo della vita. E un terzo dell’esistenza è il tempo che mediamente viene passato nel sonno, perché mediamente dormiamo un terzo delle ventiquattro ore giornaliere. Per otto ore dormiamo e per sedici ore siamo svegli, in media, naturalmente.
E tutto il materiale che non è diventato conscio perché durante la vita lo abbiamo vissuto nel sonno, tutto questo ora ci diventa cosciente quando, dopo la morte, trascorriamo circa un terzo di quanto abbiamo vissuto nel mondo dell’anima (se un uomo muore a sessant’anni, sono dunque vent’anni). E riviviamo l’intera vita dalla morte alla nascita a ritroso.
Una frase del Vangelo, fra le altre, si riferisce direttamente a questa esperienza: «Se non diventerete come bambini…» – che significa: fino a quando non avrete sperimentato all’indietro tutta la vostra vita fino a diventare bambini, fino all’infanzia, fino alla nascita –, «… non potrete entrare nel regno dei cieli, rientrare nel regno dello spirito». Quindi fino a quando l’uomo non è diventato di nuovo bambino e ha sperimentato a ritroso, consapevolmente, tutta la sua vita animica, fino ad allora non potrà entrare nel regno dello spirito. Poi, infatti, l’uomo passa dal mondo animico a quello spirituale che è molto più vasto, naturalmente. Tutto questo ora l’ho riassunto solo con un breve schizzo. Vedete quindi la molteplicità di significati che contiene la realtà da cui siamo partiti.
Si trattava di osservare come i tre giorni e mezzo rappresentino, per diversi aspetti, un ciclo: il ciclo essenziale dell’evoluzione. Si parla di giorni ma anche di intere epoche evolutive: Terra 1, Terra 2, Terra 3, tre e mezzo: centro dell’evoluzione col passaggio alla seconda metà di essa, e poi Terra 5, Terra 6, Terra 7; ancora una volta tre e mezzo. E tre e mezzo è la metà di un ciclo evolutivo settenario. (v. Fig. sotto).
Non ho ulteriormente spiegato il riferimento a Sodoma ed Egitto. Era naturalmente noto agli iniziati che Sodoma rappresentava più l’aspetto egoistico, la dimensione luciferica se volete, quindi la tentazione dell’impurità interiore. Egitto indica invece più il potere terreno. E queste sono le due controforze. Ai due testimoni corrispondono le due controforze: potere terreno, che è arimanico, ed egoismo, che è luciferico. Cosa significa che anche il Cristo è stato crocifisso là
(v. Fig. sotto).
Allora abbiamo qui in mezzo il Cristo, e a destra e a sinistra il “ladro” e il “brigante”. Se vogliamo, Sodoma è Lucifero, il ladro, mentre Egitto è l’arimanico, il brigante.
«Tutti quelli che sono venuti prima di me sono ladri e briganti» dice il Vangelo di Giovanni 10,8. Cristo, la forza del centro, la forza del Figlio, viene portato a morte se l’uomo ha soltanto queste due unilateralità. Il ladro è l’egoista, l’egoismo, e il brigante è colui che esercita il potere, il potere. Quando sono presenti solo le due controforze, allora il Cristo, la forza del centro, viene crocifisso, viene ucciso. Perché il Cristo può risorgere solo dove l’uomo media tra le due polarità della vita. La risurrezione del Cristo presuppone che ci siano le due possibilità di morire. Quindi Cristo muore dove l’uomo diventa completamente egoista, e muore dove l’uomo si identifica col potere, esercita solo il potere.
Perché l’egoista è il grande ladro? L’egoista è colui che succhia, e poi succhia, e poi succhia ancora, si serve degli altri per andare avanti, prende tutto per sé e non dà niente. Questo è il ladro. Nei Misteri si diceva che l’uomo quando lascia morire in sé queste forze del centro è ladro o brigante. Il ladro è il mero amore di sé, mentre il brigante è quello che picchia, danneggia, che vuole costringere, che rende non liberi. Il ladro, l’egoista, ruba, prende tutto per sé e poi sparisce senza restituire nulla, e il brigante è quello che vuole costringere gli altri, che pone sempre gli altri davanti a costrizioni; insomma: egoismo e potere
Questi sono i due ambiti, le due forze che hanno portato il Cristo alla morte, che hanno ucciso l’individualità quale forza mediatrice, quale forza del centro. Ogni volta che la forza del centro viene uccisa dall’operare del ladro e da quella del brigante – e queste due forze devono essere presenti in ogni uomo – ogni volta che il mio essere ladro o brigante mi rende unilaterale, io ho una possibilità di risurrezione da questa morte dell’io. Debbo soltanto essere sveglio, sapere che sono diventato unilaterale; e quando io lo so, devo anche compensare l’equilibrio con le forze volitive. Ne segue la ricerca dell’equilibrio – che può essere solo un equilibrio labile. Attraverso questo incessante divenire il Figlio risorge, la forza della mediazione risorge.
La natura, la forza dell’abisso, la tendenza di natura quale controforza della libertà, la necessaria controforza, la tendenza della natura è di diventare egoisti, oppure di mettere sotto pressione gli altri; o prende tutto ciò che è possibile per sé senza restituire nulla, oppure schiaccia gli altri, li rende schiavi al servizio dei suoi fini. Quindi il brigante è colui che sfrutta, colui che approfitta.
Sodoma ed Egitto diventano comprensibili se teniamo presente che la prima ha percorso un’evoluzione dove quell’unilateralità era predominante, ed Egitto ricorda come quella cultura che all’inizio era molto elevata, poi col divenire del tempo era diventata sempre più anacronistica. Avrebbe dovuto lasciare spazio alla cultura greca e a quella romana, e quindi la tendenza al picchiare, al briganteggiare e al tenere sotto pressione si era sviluppata sempre più.
Il versetto 10 in un certo senso è qualcosa di orribile, perché descrive la gioia, il piacere della sofferenza altrui che alcuni uomini provano perché i due testimoni sono stati uccisi. Perché un testimone rappresentava il superamento dell’egoismo (v. Fig. sotto) e l’altro il superamento del potere.
Per gli uomini che non desiderano superare né l’egoismo e neppure l’attrazione del potere è una gioia il fatto che questi due testimoni finalmente siano stati uccisi, così che loro adesso possono starsene in pace a godersi il loro egoismo o il loro esercizio del potere senza essere messi in discussione.
11,10 «E gli abitanti della Terra gioirono su di loro, esulteranno scambiandosi doni, perché questi due profeti hanno tormentato gli abitanti della Terra.»
E coloro che abitavano sulla Terra, ca…rousin ™p’ aÙto‹j, gioirono per la fine dei due testimoni e festeggiarono eÙfra…nontai e si scambiarono doni per festeggiare la morte dei due testimoni, poiché questi due profeti avevano fatto soffrire tutti gli abitanti della Terra. I due profeti sono quelli che dicono dove si deve andare (v. Fig. sotto). La profezia è il futuro dell’evoluzione.
Hanno profetizzato ciò che in futuro deve accadere, avverrà, può accadere. Da dove viene il fatto che questo venga sperimentato come tormento?
Intervento: Essi erano, per così dire, la coscienza degli uomini.
Archiati: Sì, ma perché la coscienza dovrebbe essere sperimentata come un tormento? Loro hanno profetizzato in piena verità: caro uomo, l’evoluzione nel senso del bene non viene da sola; o ti dai da fare tu oppure non succede nulla. Questo annuncio, questa profezia può venire sperimentata come un tormento se non ci si vuole dar da fare. Avrebbero preferito sentirsi dire: non c’è bisogno di fare alcuna fatica, andrà tutto bene. In questo caso la profezia non sarebbe stata sperimentata come un tormento. Ma sentirsi dire che bisogna darsi da fare, bisogna agire, bisogna sforzarsi altrimenti si finisce nell’abisso, tutto questo viene sperimentato dagli ascoltatori come un tormento, e finalmente possono gioire quando il rompiscatole viene fatto fuori. Dal punto di vista psicologico questo è del tutto comprensibile. Oppure vi sembra difficile capire quello che sto dicendo? Perché la profezia è la rivelazione della legge dell’evoluzione futura. E qual è? La libertà, che funziona a partire dal principio: o ti dai da fare tu, oppure sarà peggio per te.
In tutta verità non si può profetizzare null’altro, altrimenti si è falsi profeti! Cosa dice, infatti, un falso profeta? Anche un falso profeta è un profeta, ma che cosa dice sul futuro? Un profeta parla del futuro. Da che cosa si riconosce un falso profeta? Dal fatto che dice: non hai bisogno di darti da fare, il buon Dio farà andare lui tutto per il meglio, perché è così amorevole. In questo tratto fondamentale del distruggere la libertà si riconosce il falso profeta, perché nella sua profezia non c’è spazio per la libertà. Perché se si tiene conto della libertà il profeta deve dire: presta attenzione, perché la libertà è una spada a due tagli, la libertà decide, e nella tua libertà puoi deciderti per il bene oppure puoi omettere di essere libero. Sono possibili entrambe. Il bene non è automatico, altrimenti non saresti libero.
Allora il profeta autentico e il falso profeta si riconoscono in base al criterio della libertà. Il falso profeta ignora la libertà. Il vero profeta deve necessariamente venir vissuto da molti come un flagello, perché in piena verità deve dire: caro uomo, la tua libertà diventa decisiva per la tua evoluzione, per il tuo futuro. Questo molte persone non vogliono sentirlo, non vogliono essere disturbate. Di fatto è così.
11,11 «E dopo i tre giorni e mezzo un soffio vitale da Dio entrò in loro e si rizzarono in piedi, mentre quelli che li guardavano furono presi da grande spavento.»
E dopo tre giorni e mezzo, pneàma zwÁj, lo spirito della vita, il vivente spirito di Dio rientrò in loro – riafferrò i due corpi, che naturalmente non erano andati in decomposizione, altrimenti sarebbe stata magia nera, beninteso.
Quindi i due corpi, questi due corpi cadaverici che non hanno ancora cominciato a decomporsi, come nel caso di Lazzaro ora di nuovo possono essere riafferrati dalla vita. Se fossimo già alla fine del quarto giorno o al quinto sarebbe stato troppo tardi, perché il corpo eterico si sarebbe del tutto distaccato, e un ritorno dell’anima e dello spirito ora non sarebbe più possibile. L’anima e lo spirito in questo caso avrebbero dovuto costruirsi un nuovo corpo, in una successiva incarnazione. Ma una reincorporazione ora sarebbe stata impossibile.
Inoltre c’è da dire che questi cicli di tre giorni e mezzo non sono una scoperta di Steiner, debbono essere scientificamente osservati in forma soprasensibile così come si osserva in modo scientifico-naturale il ciclo di una malattia: sette giorni e poi la crisi, l’acme, il punto di svolta dal quale si capisce poi se l’esito volge al bene o meno. Questi cicli sono oggetto di osservazione e sperimentazione. Quindi Steiner non parla a vanvera, tutto è percepito e osservato nel soprasensibile e fa notare che questo ciclo di tre giorni e mezzo è del tutto scientificamente il ciclo delle forze vitali dopo la morte.
Quindi dopo tre giorni e mezzo lo spirito della vita ritorna – notate: lo spirito della vita, e quindi le forze vitali che ritornano indietro.
11,11 kaˆ œsthsan ™pˆ toÝj pÒdaj aÙtîn, e si alzarono sui loro piedi. Di nuovo la posizione eretta, dove l’Io diventa una colonna. La posizione eretta è in assoluto la forza dell’orientamento, dell’essere fondati in se stessi – e un grande terrore assalì tutti coloro che stavano ad osservarli guardando.
11,12 «Udirono quindi una gran voce dal cielo che disse: salite quassù! E salirono nel cielo su una nuvola e i loro nemici rimasero a guardarli.»
E udirono una gran voce dal cielo che disse ai due testimoni: ¢n£bate ïde salite quassù in cielo! E salirono su verso il cielo in una nube, e i loro nemici li guardavano, quindi i nemici sono testimoni della risurrezione dei due testimoni.
11,13 «E in quell’ora ci fu un gran terremoto e cadde un decimo della città, e nel terremoto morirono settemila nomi di uomini. I superstiti presi dallo spavento diedero gloria al Dio del cielo.»
E in quell’ora scoppiò un grande terremoto, e cadde un decimo della città, e nel terremoto morirono settemila nomi di uomini, uomini con il nome dei settemila, e i superstiti furono pieni di timore e di angoscia e diedero gloria a Dio nei cieli.
Questa è la conclusione del secondo guai della sesta tromba.
11,14 «Il secondo guai è passato; ecco ora viene subito il terzo.»
E comincia con l’apparizione della settima tromba. 11,15: «E il settimo Angelo suonò, soffiò nella tromba». Questo lo vedremo domani.
Ora vorrei soltanto fare una precisazione sui settemila e su un decimo.(v. Fig. p. 149 ). Perché oggi abbiamo imparato che abbiamo ricevuto nelle mani un’unità di misura per misurare. Quindi dobbiamo venire a capo dei numeri, perché molto nell’Apocalisse è una questione di numeri. Quindi un decimo e settemila. Partiamo con quest’ultimo – molti di voi sapranno da Rudolf Steiner quella che è una importante chiave di lettura, senza la quale non potremmo capire molto – e quindi la ripetiamo di nuovo: nel linguaggio esoterico quando si voleva indicare ciò che ha carattere di gruppo, e in particolare un grosso gruppo, si è sempre fatto ricorso al numero 1000; quando il gruppo è più piccolo allora si dice 100, se è ancora più piccolo 50. Nei vangeli vedrete che alla moltiplicazione dei pani il Cristo fa sedere la folla a gruppi di cento e di cinquanta, come dice Marco 6,32-44. Poi c’è il 10; quando un gruppo è ancora più piccolo si dice dieci; un gruppo piccolissimo si indica col 2, e la più piccola unità è 1. Uno è quindi l’individuo, che non è ulteriormente divisibile.
Tutto ciò che è di gruppo viene superato dal fatto che il gruppale si fa sempre più base a ciò che è totalmente individuale, e la parola latina per individuo è individuum, non diviso, indivisibile. In-dividuum significa in-diviso, che non è ulteriormente divisibile.
Dove abbiamo 100 – si tratta di una realtà di gruppo che è diventata più piccola del 1000 – avviene quanto segue: ricorderete che in Mt 18,12-14 e Lc 15,1-7 si parla di 100 pecore e ora l’uomo che si individualizza si separa dalle 100, che restano 99 a livello di gruppo, e quell’uno diventa individuo, si individualizza.
Oppure, ancor più piccolo di 100 è il 10, le 10 mine della parabola del Vangelo.
In questo modo viene detto che il primo periodo di cultura è chiamato il primo migliaio; poi vengono i Persiani e si parla del secondo mi- gliaio perché gli uomini ancora erano realtà di gruppo. Poi vengono gli egizi e si parla del terzo migliaio, di 3000. Leggiamo nell’Antico Testamento, nella Thora, che Jahvè aveva fatto uscire gli ebrei dall’Egitto perché cominciava a essere anacronistico e gli ebrei avevano il compito di condurre dal terzo periodo al quarto periodo di cultura. Per questo motivo dovettero uscire dall’Egitto, da Babilonia, dalla Caldea per preparare nel quarto periodo di cultura l’avvento del Messia. Quale spiritualità dovettero superare dal momento che dovevano preparare per il quarto migliaio? Dovettero superare lo spirito del 3000, lo spirito egizio; anche qui c’è l’Egitto. E quando il popolo ebreo minaccia di diventare anacronistico, di diventare elemento ritardante, di avere nostalgia del cibo egizio – e quindi di desiderare il ritorno indietro –, Jahvè, nel suo ardore, quale elemento spirituale deve semplicemente distruggere affinché l’evoluzione possa proseguire in avanti? «In un giorno vennero uccisi tremila uomini». La povera teologia odierna lo interpreta fisicamente. Una micidiale assurdità. Significa invece che nel popolo ebreo è stato purificato il pericolo di tornare indietro alla spiritualità antica degli egizi, dei 3000; questa spiritualità andava eliminata.
Anche nella moltiplicazione dei pani c’è un racconto che parla di 4000 e un altro di 5000. Quest’ultimo si riferisce al nostro periodo di cultura – dovrei rimandare alle indicazioni del Vangelo di Giovanni – e dopo il nostro tempo viene il periodo dei 6000, mentre quello dei 7000 è l’ultimo. Perché dopo non ci sarà più il tempo, siamo alla fine dell’evoluzione, come abbiamo visto.
Quindi 7000 significa che il settimo periodo di cultura è compiuto, e questa gruppalità viene superata. Quindi per quelli che al settimo periodo sono rimasti alla realtà di gruppo non si pone la domanda dell’ulteriore evoluzione; devono andarsene. A questo punto tutti gli uomini che si sono evoluti nel senso del bene dovrebbero capire – perché hanno già cominciato a capire qui, a metà, quando il Buon Pastore è venuto sulla Terra – che c’è più festa in cielo per una pecora che si è separata che non per le 99 che sono rimaste nel gruppo, non libere e senza responsabilità. Se già qui c’è la chiamata al distaccarsi, al cammino della libertà, allora quelli che si sono evoluti nel senso del bene non saranno mai i 7000, ma saranno individui; uno, uno, uno, individui. E quelli che sono rimasti a livello di gruppo quando arriveranno al livello 7 del ciclo evolutivo – e saranno chiamati settemila – saranno esclusi; verranno sbattuti nel mondo delle forze di opposizione, apparterranno alle controforze.
Questo è il settimo migliaio. Vedete, il testo dice:
11,13 Kaˆ to dškaton tÁj pÒlewj œpesen, un decimo – ci tornerò sopra – e morirono nel terremoto ÑnÒmata ¢nqrèpwn, gli uomini che avevano il nome dei settemila. Significa: gli uomini che portano quel nome – e il nome esprime l’essere, il nome è l’essenza – hanno uno spirito di gruppo, 7000, non si sono ancora individualizzati. Hanno omesso la libertà, sono rimasti realtà di gruppo e vengono trascinati via. E i rimanenti, cioè quelli che si sono individualizzati, hanno reso gloria a Dio, hanno lodato Dio perché ha fatto le cose giuste.
E adesso, che cos’è un decimo? Ne accenno brevemente. Nella Teosofia di Steiner, per esempio, ci sono tre corpi, poi tre parti animiche e infine tre parti spirituali nell’uomo.
Il decimo componente si è sempre detto è il riempimento materiale. Qui è il corpo fisico, il secondo è il corpo eterico, e il terzo è il corpo astrale. Spesso si pensa che il corpo fisico sia il corpo materiale. No, assolutamente no, perché se il corpo fisico con il peccato originale non fosse stato compenetrato di materia minerale, allora sarebbe un fantoma soprasensibile. Sarebbe un fantoma, senza materia. Che il fantoma del corpo fisico si sia impregnato di materia minerale, che sia del tutto diventato visibile, questo è dovuto al peccato originale. E a questo punto dell’evoluzione questo decimo, il riempitivo materiale del fantoma, viene separato e perciò rimangono: il fantoma, il corpo eterico, il corpo astrale, l’anima senziente, l’anima razionale, l’anima cosciente, il sé spirituale, lo spirito vitale e l’uomo spirito.
Nella Messa cattolica – non so se ancora oggi è così, ma certamente lo era quando io ero bambino, e molti fra di voi che sono cattolici lo ricorderanno – il prete, poco prima della comunione, prendeva l’ostia preparata appositamente da congregazioni (gruppi) di monache che la facevano così che un frammento (v. Fig. sotto) potesse essere staccato dal resto della particola e messo nel calice. Era esattamente un decimo dell’ostia. Non che tutti i preti lo sapessero – se glielo domandate non lo sanno. Ma si trattava di una antichissima tradizione.
Questo decimo che, come risultato del peccato originale era stato posto nella nonità delle forze, l’uomo non può salvarlo da solo, ma deve essere affidato al Cristo, al sangue, all’amore del Cristo e quindi viene messo nel calice. E l’uomo riceve, nella comunione, gli altri nove decimi.
Ci sarebbero molte altre cose da dire su questo decimo. Noi ora siamo arrivati al punto dove il minerale viene lasciato cadere nell’abisso, e la nuova Gerusalemme sorge libera dalla materia. Questo è il mistero del decimo. E poiché siamo alla fine dell’evoluzione, viene indicato col riferimento ai settemila, vien detto che essi verranno separati.
Vi auguro una buona notte. Ci vediamo domani mattina.
Quinta conferenza
mercoledì, 12 novembre, 2003, mattina
vv. 11,15-17
Cari convenuti, cari amici,
vi auguro una buona giornata e spero che passeremo ore interessanti in compagnia dell’Apocalisse. Da una parte è un testo molto esigente, se così si può dire, dall’altra per le persone che hanno tempo, voglia e coraggio di misurarsi con esso, è un testo che può dare molto.
Stamane mentre mi preparavo è sorto in me un pensiero in merito ai versetti che analizzeremo. Ora leggeremo i versetti 16, 17, 18 dell’XI capitolo, dove è presente la gioia in cielo perché il Dio Padre e il Cristo hanno riportato vittoria contro le forze di opposizione. Prima ve li leggo:
11,16 “Allora i ventiquattro vegliardi, seduti sui loro troni davanti a Dio, caddero faccia a terra e pregarono Dio”
11,17 “e dicevano: noi ti ringraziamo, Signore Dio Onnipotente, che sei e che eri, perché hai messo mano alla tua grande potenza e hai instaurato il tuo regno!”
11,18 “Le nazioni fremettero, ma è giunta la tua ira, il tempo di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi, ai profeti e ai santi, e a quanti che temono il Tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare quelli che sconvolgono la Terra!”
Ho pensato: oggi viviamo in un mondo che si interessa di tutto il possibile, tranne che di queste cose – sono noiose, a chi possono interessare? È roba per bigotti. E questo dopo due millenni di cristianesimo. Ho pensato: cosa deve fare il buon Dio se ha fondato davvero l’evoluzione dell’umanità sulla libertà del singolo, nel senso che il significato dell’evoluzione è la chiamata di ogni singolo uomo a diventare sempre più creativo nel suo io, nella sua forza cristica, nel suo pensare, e diventare sempre più pieno di fantasia nel suo amore, ebbene, cosa deve fare un buon Dio in un mondo in cui la cosa più importante è quella di rendersi presentabili sul palcoscenico di questo mondo?
Ieri, stimolato da una domanda, ho detto qualcosa sul mondo antroposofico, sulla Società antroposofica. E allora è sorta la richiesta da parte di diverse persone di fare un seminario o una settimana su quell’argomento. A questo proposito, se volete, posso aggiungere un pensiero: cento anni fa è sorta mediante la scienza dello spirito di Rudolf Steiner una esortazione senza pari agli uomini, al fatto che il senso dell’evoluzione è il Cristo, è il Figlio, è l’uomo libero, responsabile, l’Io di ogni uomo. E che la scena di questo mondo, la politica, l’economia e così via sono lì per offrire all’Io le necessarie controforze per la sua evoluzione. Lo vedremo fra poco, quando parleremo della donna che sta per partorire un figlio, l’anima dell’uomo che ha a disposizione tutta l’evoluzione per generare l’attivo, il creativo, l’individuale, e il drago è proprio il mondo. E tutto quello che c’è nel mondo è lì non per accrescere l’intelligenza, l’umanità, ma per offrire le controforze, le necessarie controforze.
Per me, al di là di ogni polemica – perché con la polemica non ha nulla a che fare, e per quelli che la fanno passare come polemica è di nuovo il tentativo di offuscare le cose –, resta la domanda più grande: nella corrente delle persone che coltivano la scienza dello spirito di Rudolf Steiner quale impulso della venuta interiore del Cristo, questa realtà centrale viene davvero riconosciuta? Perché la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è l’inizio del secondo avvento del Cristo, della seconda venuta. In questa nuova venuta il Cristo non compare più fuori, fisicamente, sulla scena di questo mondo, ma viene interiormente, in modo individualizzato, come responsabilità dell’individuo, del singolo essere umano nei confronti dell’evoluzione di tutta l’umanità, e come responsabilità nei confronti della propria evoluzione.
Mi chiedo fino a che punto operano le controforze, che pure sono necessarie, anche nella corrente di persone che pensano di stare dalla parte del giusto. Certo, le intenzioni sono le migliori, ma le controforze debbono essere astute per essere all’altezza delle forze del Cristo. Quanto più si rafforzano le forze del bene, altrettanto si fanno avanti le forze dell’ostacolo. Fino a quando il Padre, la natura, aveva in sé il ruolo conduttivo, le forze dell’ostacolo potevano essere più modeste, ma nel momento in cui il Figlio, cioè la chiamata alla libera individualità diventa conforme al tempo, allora le controforze corrispondenti debbono diventare più forti. Il livello più forte delle controforze sta nel fatto che incominciano, devono cominciare, a servirsi delle buone intenzioni degli uomini. Con questo, naturalmente, raggiungono un grado di forza maggiore, perché quando si servono delle buone intenzioni degli uomini diventa molto più difficile riconoscerle, molto più difficile smascherarle.
Tutti hanno buone intenzioni. Trovatemi una sola persona che non abbia buone intenzioni. Anche quello che compie le azioni peggiori potrà provarvi che non poteva fare niente di meglio, che quello che ha fatto era il male minore. Magari riconosce che era un male, ma farà di tutto per provarvi che mediante il male che ha fatto voleva evitare un male maggiore. Il che significa che tutto può essere giustificato. In questa possibilità di giustificare tutto, si innestano le controforze perché si servono delle buone intenzioni.
E per me c’è il grosso quesito, fino a che punto le persone che hanno abbracciato la scienza dello spirito di Rudolf Steiner quale nuovo inizio del cristianesimo, e in particolare quelli che operano nelle istituzioni, o che hanno adagiato questo impulso sul piano istituzionale – quindi quelli che soprattutto negli ultimi tempi hanno tentato da un lato di collegare queste istituzioni a Rudolf Steiner, e dall’altro di ancorare tutto ciò giuridicamente sulla scena di questo mondo, perché fosse secondo la legislazione svizzera –, ebbene, tutto questo è per me una grossa questione: fino a che punto il tentativo di rendere presentabile l’antroposofia di Steiner sulla scena di questo mondo non serva, in fondo, molto sottilmente ma in modo incontrovertibile, a distruggere questo impulso proprio grazie alle controforze. Perché quando si comincia a dire: sì, Steiner era un uomo del suo tempo, era forse un po’ razzista, non era abbastanza tollerante nei confronti dell’islam, perciò avrebbe dovuto essere un pochino più tollerante nei confronti dell’islam, quando l’istituzione per rendersi presentabile sulla scena di questo mondo diventa più importante della serietà del cristianesimo e della scienza dello spirito di Rudolf Steiner, allora è particolarmente tragico, perché gli uomini scambiano la controforza con la forza.
Allora tutto diventa molto difficile. Ma qui ci aiuta solo il pensare micheliano. Vedremo che rispetto alle forze del drago, a questo livello ancora più profondo delle controforze, solo la penetranza del pensare, solo il pensare può venirne a capo. Michele, che ora incontreremo, con la donna, questa donna solare dell’Apocalisse che sta partorendo un bambino, sta proprio ad indicare che la forza di Michele è l’unica realtà che può aiutare, e le forze di Michele sono le forze del pensare.
Michele era nell’Antico Testamento il volto di Jahvè, cioè colui che lo precede. Il volto sta per la conoscenza, e la conoscenza deve precedere l’azione. La saggezza deve venire prima dell’amore, perché un amore senza saggezza è amore cieco, è frutto solo dell’impulso e non porta a nulla perché è solo amore di sé. Con l’ingresso dell’Essere solare nella Terra, con il divenire uomo del Cristo, Michele è diventato il volto del Cristo. Significa che l’intuizione conoscitiva, è questo il micaelico, deve sempre precedere l’intuizione morale. Significa che viviamo in un tempo in cui la prima responsabilità, la responsabilità morale, è la conoscenza, la capacità di scrutare le cose e di capirle. Questo viene chiaramente espresso con l’immagine della spada – perché Michele ha una spada nella mano, non qualcosa di conciliante, perché naturalmente ci può anche essere qualcosa di conciliante, nella vita ci sono anche situazioni dove la forza della conciliazione è necessaria. Ma esistono anche situazioni dove è necessaria la forza del distinguere. Questo tagliare di netto fra la verità e l’errore, fra ciò che è veritiero e ciò che imbroglia, che è bugia, questo tagliare di netto tra il bene e il male, questa distinzione, questa forza pensante del discrimine è la forza micheliana. Soltanto sulla base della conoscenza l’uomo può orientarsi nell’azione.
I tempi in cui veniva detto all’uomo ciò che doveva fare, ciò che gli era permesso, senza che lui avesse la possibilità di capire da sé, di guardare in proprio le cose e distinguere ciò che è bene da ciò che è male, sono passati. Ora ogni uomo ha la responsabilità di raggiungere da sé la conoscenza, e di giudicare le cose conoscitivamente in modo sempre più autonomo. E il fondamento per la formazione del giudizio è sempre la percezione, il che significa che ogni uomo deve crearsi da sé le basi per la formazione del suo giudizio.
Ieri il discorso era sorto in relazione al quesito sul Convegno di Natale. Per esempio: come si deve interpretare il Convegno di Natale? Il primo dovere per l’individuo è quello di crearsi le basi per la formazione di un giudizio autonomo: questo lo deve fare ognuno. Perché altrimenti arriva un qualche Guru che vende i suoi pensieri agli altri, e questo non funziona, è fuori dal tempo, va bene solo per i bambini. Per gli adulti vale solo il proprio sforzo, lo sforzo individuale verso la conoscenza.
Questo volevo dire oggi quale piccola introduzione, poiché ora veniamo a questa gioia dell’uomo, a queste figure possenti che hanno condotto l’evoluzione nella direzione del bene. Perché fondamentalmente tutto ciò che io ho chiamato la scena di questo mondo, la politica, l’economia, diventa pieno di significato, meraviglioso, solo se si fa da base, fondamento, strumento per l’evoluzione dello spirito. Ma noi, in verità, viviamo realmente in un tempo dove sembra che questa scena del mondo sia importante soltanto in se stessa, perché altrimenti non ci sarebbe nulla. Questo è un mondo completamente impazzito. E la religione in questa ottica diventa una faccenda privata. Questo è il principio più significativo delle controforze, vale a dire: non ti è lecito far valere il tuo cristianesimo, che è l’essenza dell’evoluzione nella tua vita, nell’ambito professionale o nel mondo esterno, è una faccenda privata.
Più forte di così non potrebbe essere l’agire del drago. Noi vedremo che l’anima umana, che la Donna deve allora fuggire nel deserto. È la solitudine animica dell’uomo di oggi di fronte all’impeto del drago, che gli permette di coltivare ciò che è cristiano solo nella sua cameretta. Con la domanda: quali saranno le conseguenze che dovrò sopportare se trovo il coraggio di portare anche all’esterno e di far valere anche nella vita professionale, anche al di fuori della mia cameretta questa dimensione centrale dell’evoluzione, non in modo dogmatico o fanatico, ma con serietà, nella serietà morale della conoscenza e dell’amore? Devo aver paura o essere nell’angoscia per quello che mi verrà incontro, per le conseguenze che ci saranno?
Qualcuno mi ha pregato di spiegare meglio l’espressione “un decimo” che abbiamo incontrato. Ripartiamo dal versetto 13, quello del terremoto.
Quando nell’Apocalisse si parla di terremoto mi viene sempre in mente un’immagine che avevo fin da bambino, quella del vagliare – il setacciare. Per setacciare in modo corretto bisogna un pochino scuotere e far rotolare la materia che vogliamo vagliare. Cosa succede nel terremoto? Ciò che è più fine va verso il basso e ciò che è più grosso resta in alto. Se volete nel terremoto dell’Apocalisse succede il contrario: ciò che è più grossolano, le controforze, cadono in basso e ciò che è più leggero, lo spirituale, va verso l’alto. È la divisione degli spiriti. Il terremoto indica che ora è il momento in cui la contrapposizione fra il bene e il male, tra la forza e la controforza è giunta al termine, e un decimo cade verso il basso. Dunque i nove decimi sono le nove parti costitutive dell’uomo. Il corpo fisico come corpo di forze soprasensibile si chiama fantoma. Il corpo fisico non va confuso con la materia; nella terminologia tecnica è chiamato “fantoma”. È una forma fisica, il fantoma, così come la forma dell’eterico si chiama fantasma o spettro, la forma dell’astrale si chiama dèmone e una forma spirituale si chiama spirito.
Quindi vedete (viene scritto alla lavagna): uno, fantoma, nel linguaggio tecnico dell’esoterismo. Steiner ne parla nei volumi 98[34] soprattutto, e 102[35] della sua Opera omnia.
Dopo il fantoma abbiamo gli spettri o fantasmi, che sono le forme eteriche, poi i dèmoni e infine gli spiriti. I dèmoni sono esseri astrali, sono esseri, nei quali l’essenziale è di natura animica. Naturalmente essi hanno anche un corpo eterico in forma spettrale e un corpo fisico in forma fantomica, ma ad essi aggiungono un’essenza animica. Il dèmone è una forma animica. Un fantasma o spettro (dal latino spectrum) è una forma eterica e quindi non ha alcuna fissità, ma è in continuo movimento. Un fantoma è una forma fisica consistente di forze fisiche: elettricità, magnetismo, forza di gravità, eccetera.
Se avete difficoltà a rappresentarvi la forma fisica che non è percepibile, pensate al campo magnetico. Cos’è un campo magnetico? Fondamentalmente un fantoma. Oppure pensate alle figure di Chladni, per esempio, create dal vibrare di una corda di violino e rese visibili in presenza di polvere di ferro. Quest’ultima serve per rendere visibili le meravigliose figure che si creano.
Quindi il fantoma del corpo fisico è la sua realtà quando è priva della materia minerale, perché questa è solo il riempimento del corpo fisico, che rende visibile il fantoma. Coloro fra di voi che leggono volentieri Steiner possono trovare tutto questo nell’O.O 131[36]: sono conferenze tenute nel 1911 proprio qui vicino, a Karlsruhe. Le ultime conferenze, particolarmente la sesta, settima, ottava e nona, parlano in particolare del fantoma. Qui Steiner ha approfondito nel modo migliore la descrizione di quella realtà. Potete leggerle, se vi pare di ricevere troppo poca scienza dello spirito. E se non capite tutto potete rileggerle, e poi leggerle ancora una terza volta se qualcosa resta oscuro.
La risurrezione del Cristo avvenne anche mediante un terremoto, mediante uno scuotimento e un sussulto, un setacciare. La Terra tremò e attraverso una fessura, dice Rudolf Steiner, un decimo cadde in basso. Questo è ciò che è veramente avvenuto alla risurrezione, e ciò che dovrà avvenire nell’evoluzione: la materia minerale, quella che rende visibile il fantoma, viene separata e quindi resta solo il corpo della risurrezione. Il corpo di risurrezione è il puro fantoma, cioè quello che rimane quale pura forma corporea libera dalla materia, quando non è più presente la pesantezza della materia. Perché è la materia che porta la pesantezza, la gravità dentro il corpo fisico. Infatti tutti i problemi che noi abbiamo col corpo fisico, le malattie e simili, sono dovuti alla materia. Se noi avessimo un puro fantoma non avremmo bisogno di mangiare materialmente e non sperimenteremmo mai la malattia.
La risurrezione consiste nel fatto che questa controforza – prendiamo ora la materia minerale come controforza necessaria – viene tolta e ciò che risorge, il corpo di risurrezione, è uguale a come era stato fatto all’inizio: un puro fantoma. Perché il corpo risorto non è soltanto un corpo eterico. Infatti Tommaso lo vuole toccare. Se fosse stato solo un corpo eterico non sarebbe stato in alcun modo toccabile. Nei vangeli quindi ci sono davvero indicazioni che dicono come il corpo di risurrezione di Cristo fosse, fondamentalmente, un fantoma.
Cosa è successo alla materia minerale? L’introdursi del Cristo nel corpo fisico era così potente, così consumante in virtù delle forze della saggezza del Logos e dell’amore dell’Io-sono che questo corpo era arrivato quasi al limite della completa friabilità, era diventato completamente poroso – anche Francesco d’Assisi aveva così strapazzato il suo corpo che neppure un suo osso poté essere conservato. Gli aromi agirono sul corpo del Cristo in maniera opposta: anziché conservare il corpo accellerarono ulteriormente il processo di decomposizione. Poi scoppiò il terremoto dove c’era la tomba. Per mostrare che il corpo non era stato rubato, i lini che lo avvolgevano erano ancora là, ma rimasero soltanto i lini. Perché i Giudei avrebbero dovuto essere proprio stupidi per credere che chi avesse voluto rubare il cadavere avesse anche avuto il tempo di toglierlo dal sudario e dai lini che lo avvolgevano, così da portarlo via lasciando tutto questo nella tomba. Assolutamente impossibile! Le fasce sono rimaste là per mostrare che il corpo non è stato rubato: ma allora dov’è la materia?
Voi non troverete nessun teologo che sappia dirvi dov’è finita la materia. Perché la teologia già da molto tempo, e mi riallaccio a quanto detto stamattina, vuol rendersi presentabile sulla scena di questo mondo, la scena della scienza e del mondo accademico, quasi a scusarsi che ancora si permette di parlare di risurrezione. Perché dal punto di vista della scienza moderna la tomba vuota è un non senso. E qui è la stessa cosa: dove è finito questo decimo? Un decimo è scomparso, è caduto in basso. Testualmente:
11,13: “E in quell’ora, ™gšneto seismÕj, scoppiò un terremoto, kaˆ tÕ dškaton tÁj pÒlewj œpesen, e un decimo della città terreste precipitò”. Cos’è successo? La Terra sobbalza, gioisce e giubila perché è giunto il pegno della sua liberazione – perché il centro, questa svolta dell’evoluzione, è già segno che ora davvero la salvezza è cominciata –, e mediante questo terremoto si è creata una spaccatura nella Terra e quel che si era polverizzato cadde dentro, cioè la materia minerale che era diventata polvere penetrò nel corpo della Terra e così scomparve.
Rudolf Steiner cita un esempio per far capire questo discorso, un fatto capitato a Goethe. Egli a Venezia aveva visitato un cimitero dove le ossa e gli scheletri erano conservati in un luogo in cui non entrava quasi l’aria. Quando aprì la porta e l’aria penetrò, quelle ossa si disfecero in una polvere finissima.
Questo è ciò che è caduto in basso, la polvere cosmica, e ciò che risorge dal sepolcro è il puro fantoma. Naturalmente non soltanto il fantoma del corpo fisico, ma anche il corpo eterico del Cristo, il suo corpo astrale – le sue forze d’amore hanno dato alla Terra intera una meravigliosa aura d’amore – il Suo Io o, se volete, l’anima senziente, razionale e cosciente (viene scritto)
decima parte, riempitivo materiale
Quindi uno, due, tre parti costitutive corporee; uno, due, tre parti animiche e tre parti spirituali. Questo significa che i 9/10 sono soprasensibili, e questo è il corpo di risurrezione, il corpo del Cristo risorto, e 1/10, quindi la decima parte, è il riempitivo materiale del corpo fisico, che cade in basso, esattamente come è descritto nell’Apocalisse.
Quindi a metà dell’evoluzione il Cristo ha posto la risurrezione quale fenomeno primigenio, anche dal punto di vista ecologico. In quest’ultimo senso la risurrezione è il senso della Terra, il senso ecologico della Terra, che offre all’uomo il fondamento per la sua evoluzione attraverso la materia sulla quale noi possiamo fondarci. Se grazie al fondamento terrestre, grazie al fatto che la Terra lo sorregge, l’uomo ha portato a compimento la sua evoluzione, allora anche lo spirito e l’anima della Terra possono evolversi con lui, e tutto il passato della Terra, questa polvere cosmica, viene rilasciata al cosmo quale materia prima – quella di cui hanno parlato Aristotele e Tommaso – quale substrato per la prossima creazione. Ma la Terra diventa polvere cosmica. E gioisce di diventare così, perché la sua anima risorge con l’uomo. In questo senso la morte e la risurrezione del Cristo sono anche un fenomeno fondamentalmente ecologico e non solo umano dell’evoluzione.
Cristo l’ha portato a compimento nel bel mezzo dell’evoluzione, quale pegno, quale possibilità offerta a tutti gli uomini affinché alla libertà di ogni uomo venga messa a disposizione questa forza. Ora tocca a ognuno di prendere posizione di fronte a questo fenomeno primigenio e fondamentale, e tutta la seconda metà dell’evoluzione è a disposizione di ogni uomo per sperimentare la risurrezione.
Ora al livello 7000 (v. Fig. sopra) quelli che sono rimasti a livello di gruppo cadono anch’essi in basso. E l’uomo, l’uomo cristificato, qui festeggia la risurrezione con Cristo, alla fine dell’evoluzione, quale compimento dell’evoluzione che il Cristo, quale possibilità per tutti gli uomini, ha posto al centro dell’evoluzione, per mettere a disposizione di ogni uomo queste forze. Infatti devono soltanto essere messe a disposizione, ma non possono essere inculcate, altrimenti la libertà sarebbe lesa. Quindi il fenomeno primigenio dell’umano al centro dell’evoluzione è il rendergli possibile, il mettergli a disposizione tutti gli strumenti mediante i quali l’uomo nella sua libertà possa decidere sempre meglio fra bene e male. Egli decide anche quando non lo fa consapevolmente. Perché quando omette di fare il bene e non lo nota, l’omettere è l’andare verso il basso.
Nessun uomo, dopo Cristo, ha la scusa di non averlo saputo. Ecco l’importanza di Michele: era tuo compito, tuo dovere saperlo, farti pensieri tuoi. La scusa: «Ma io non lo sapevo» vale solo per i bambini, perché loro non sono ancora in grado di sapere. Come sarebbe se un assassino dicesse: «Ma io non sapevo che non si può uccidere». Cosa risponde il giudice? Cosa gli dovrebbe dire? «In quanto adulto dovevi saperlo, era tuo dovere saperlo».
Le scuse – io non lo sapevo – non valgono più, dato che viviamo nel tempo del Logos, dell’operare del Logos. Perché queste forze del Logos, le forze dell’individualizzazione, del pensare in proprio, sono state messe a disposizione di ogni uomo. Basta afferrarle, afferrarle pieni di riconoscenza e metterle in opera.
Questo è quel che volevo dire sulla decima parte. È un po’ più chiaro? È il riempitivo materiale dello spirito, perché fino a quando lo spirito o l’anima sono in relazione con la materia, allora l’evoluzione è ancora in corso. La conclusione dell’evoluzione significa che questa relazione ora è finita: la materia cade verso il basso e il resto va verso l’alto.
Intervento: Non so se ora mi allontano troppo dal discorso, ma una volta ho letto che per Bernadette Souberou, la fanciulla contadina di Lourdes, è stato l’esatto contrario per quanto riguarda il suo cadavere: dopo trent’anni dalla sua morte era come se fosse appena morta. È un processo opposto?
Archiati: Si dovrebbe dapprima sapere che cosa è successo nel suo spirito e nella sua anima, così come nel suo corpo eterico e così via. Prioritariamente necessaria sarebbe la conoscenza reale delle quattro parti costitutive umane: il corpo fisico, a sua volta articolato in due parti, quella soprasensibile e quella materiale, poi il corpo eterico, l’astrale e l’io. Potrebbe anche trattarsi di un processo simile alla mummificazione egizia, quando si cercava di tenere collegato il più possibile il corpo fisico con la sua parte materiale.
Si dovrebbe, quindi, dapprima ricercare coi mezzi della scienza naturale che cosa è avvenuto, arrivare all’osservazione accurata del fenomeno. Poi, in secondo luogo, bisognerebbe osservare ciò che succede sul piano soprasensibile. Il che significa proibirsi ogni speculazione, e partire dall’osservazione delle cose così come si presentano. Si scoprirebbe che in un caso le cose stanno in un modo e nell’altro caso stanno in tutt’altro modo.
Intervento: Ma non è solo una… storiella della Chiesa cattolica.
Archiati: No, o meglio io non so come stiano i fatti, non lo so direttamente, non ne ho una percezione diretta.
Ma è risaputo che ci sono sempre stati cadaveri – e in tutte le culture sono state segnalate queste eccezioni – che sono andati in decomposizione molto lentamente. Questo c’è stato.
Intervento: Perché lei parla di polvere cosmica e non di polvere terrestre? Ciò che di materiale resta dopo la cremazione è pur sempre materia terrestre, polvere terrestre. Che differenza c’è tra la polvere cosmica e la polvere terrestre?
Archiati: È una domanda molto importante. La parola tecnica sarebbe polvere cosmica o polvere del mondo in ebraico. Nel linguaggio esoterico ebraico c’è la parola Avar, un termine che ricorre anche nella Genesi. Ve lo scrivo qui.
Aristotele e Tommaso d’Aquino parlano di prwthulh, proteyle, di materia prima. E poi c’è la seconda materia, che viene chiamata: materia signata quantitate. Come possiamo tradurre? Materia che è stata contrassegnata, che ha ricevuto il segno, il sigillo, l’indicazione della quantità: signata quantitate. È la materia che diventa misurabile.
Quando la materia è pura polvere, cos’è la quintessenza? (Viene scritto alla lavagna). È la quinta sostanza, è l’etere, il numero cinque. Poi viene il quattro, calore; tre è la luce; due è l’acqua; e uno è la terra.
Polvere cosmica
5. Quintessenza, Etere
4. Calore
3. Aria
2. Acqua
1. Terra
Domanda: dove comincia la materia? La Terra è naturalmente considerata materiale, come anche l’acqua e l’aria. Già il calore non viene più così ovviamente considerato sostanza materiale dagli scienziati moderni che preferiscono dire: il calore è solo uno stato dell’aria, dell’acqua e della terra ma non ha una sostanzialità propria. Per non parlare di quello che rientra nella sfera dell’eterico. Questo significa che nella scienza materialistica di oggi sono state cancellate le tracce di come il puro soprasensibile diventi sensibile. (Accennando a ciò che è scritto alla lavagna). Qui la quintessenza è l’etere. Come l’eterico scenda nel fisico – al riguardo i contributi di Steiner sono straordinariamente stimolanti per il pensare, soltanto che vanno studiati un po’ attentamente come ad esempio i volumi 320 e 321[37], contenenti i corsi per gli insegnanti, in particolare il famoso corso sul calore. Vi consiglio di studiarlo, sia il volume 320 ma in particolare il 321, perché è tutto sul mistero del calore e tratta di come il puro soprasensibile-eterico poi comincia a diventare materiale. La scienza diventa allora un po’ più complicata, ma è scientifico, anche se presuppone dei fondamenti come quando all’università si affrontano gli studi superiori.
Le ultime tracce di queste conoscenze si trovano in Aristotele e in Tommaso d’Aquino che dicevano: la “materia prima” non è ancora formata, non ha ancora quantità, non ha ancora forma; mentre la materia seconda è signata quantitate.
Sorge ora la domanda: è il mondo, è il cosmo, oppure è la Terra? Nel momento in cui la polvere cosmica si conforma e la Terra sorge nella sua forma, avviene il passaggio tra l’eterico e il fisico. La materia riceve la sua prima forma e cessa di essere “materia prima”, cioè si muove tra l’eterico e il fisico. Quindi la materia prima è la potenzialità al divenire-minerale. Nel momento in cui sorge la Terra conformata in quanto tale, la potenzialità diventa realtà e l’eterico, che potenzialmente è minerale, diventa minerale attualizzato.
Intervento: Quindi tutta la materia è cosmica, e poiché in quanto tale serve ad accogliere lo spirito possiamo dire che a sua volta è spirituale.
Archiati: Bene. Legga il volume 103[38] dell’Opera omnia, cioè le conferenze sul Vangelo di Giovanni, là dove si parla della moltiplicazione dei pani, dove in modo particolarmente chiaro Steiner dice – e questo la teologia non è più in grado di comprenderlo – (e lo dice anche nel volume sull’Apocalisse): i corpi, la materia dei nostri corpi non viene prodotta dai cibi, ma noi riceviamo la materia del nostro corpo dal cosmo. Per dodici volte nel VI capitolo del Vangelo di Giovanni (dodici volte come i dodici segni zodiacali) viene detto: «Il pane che è disceso dal cielo. Questa è la sostanza cosmica, la polvere cosmica che diventa uomo-materia riempiendo il fantoma.
Intervento: Ma allora non c’è alcuna sostanza terrestre, c’è solo…
Archiati: Al contrario, i cibi sono terrestri, le carote vengono dalla terra. Ci danno la sostanza del sistema neuro-sensoriale. Per questo il nostro sistema neuro-sensoriale è fatto in modo tale che noi comprendiamo solo ciò che è morto, che è terrestre, che è minerale. Quindi la sostanza, la materialità del nostro sistema neuro-sensoriale viene dalla nutrizione; e la sostanza, la materia del sistema del ricambio e delle membra viene dal cosmo.
Vediamo se riesco a trovarlo in fretta nel volume 346[39] di Steiner. Perché qui è espresso in modo ancora più possente. La scienza attuale vive nella grande illusione secondo cui la materialità del corpo proviene dalla nutrizione. A pagina 32 e 33 Steiner dice:
«Così come colui che respira con consapevolezza sente fluire nei suoi organi di respirazione l’aria, così il sacerdote antico dal suolo sassoso in cui si trovava il tempio sotterraneo prendeva le sostanze e le faceva entrare in lui per compenetrare il suo sistema dei nervi e dei sensi. Così come l’uomo del respiro sente proseguire l’aria quando respira consapevolmente, così queste sostanze compenetrano tutto l’organismo. Il sacerdote antico sapeva che l’uomo delle membra e del ricambio nella sua sostanzialità nulla aveva a che fare con ciò che si mangia.
Il sacerdote antico sapeva – era un iniziato – che l’uomo del ricambio e delle membra – ed è ancora così, solo che non lo sappiamo – nella sua sostanzialità – cioè materialmente – non dipendeva da ciò che mangiava. Nulla di ciò che mangiamo diventa organismo delle membra e del ricambio.
La sostanzialità viene presa dal cosmo. L’intera teoria della nutrizione odierna è una falsa verità!».
Vedete, è a questo che mi riferisco quando dico che anche una Società antroposofica deve molto onestamente riflettere se vuole vendere uno Steiner che sia digeribile e quindi deve eliminare tutte queste cose per rendersi presentabile, oppure se ha il coraggio di dire davvero ciò che Steiner ha osato dire e cioè che l’intera scienza della nutrizione è falsa ed è una assurdità. Queste sono le cose, soprattutto in ambito antroposofico, sulle quali ci si deve chiedere: cosa è ora più importante?, che la Società antroposofica si renda presentabile sulla scena di questo mondo? Allora devo dire: Steiner ha detto così, ma chi lo sa, rimaniamo in linea con quello che viene scientificamente insegnato ora nelle Università. Oppure abbiamo il coraggio, e questo può deciderlo solo ognuno per sé, di dire: un momento, se decido di prendere sul serio ciò che dice questo iniziato, che è il più grande, poi accetterò forse di non essere del tutto presentabile sulla scena di questo mondo o nell’ambito accademico. Il testo che vi ho citato è un buon esempio.
Perché se la Società antroposofica vuole continuamente invitare gli accademici, certo deve mettere un pochino da parte quelle affermazioni di Steiner. Ma se fa così, svende tutto Steiner.
«L’intera teoria della nutrizione odierna è, in verità, un falso. Ciò che viene mangiato e trasformato mediante gli organi della digestione, questo veniva sentito dal Padre celebrante – venivano chiamati Padri perché erano arrivati al settimo grado della iniziazione – prendere la via dal sistema del ricambio verso il sistema dei nervi e dei sensi…»
Quindi ciò che viene veramente assimilato dai cibi va nel sistema del ricambio e da lì passa nel sistema neuro-sensoriale. Là penetra la materia di ciò che mangiamo.
«… e specialmente va verso il capo; quindi egli sapeva che il cibo che noi mangiamo diventa sostanza della testa…» e cioè che solo lì va a finire quello che mangi: nella testa, nel sistema dei nervi e dei sensi.
«… e di ciò che ad essa è collegato. Proprio ciò che in te forma gli organi – gli organi qui non sono il sistema neuro-sensoriale –, ai quali provvede il sistema del ricambio, viene accolto dal cosmo mediante una sottile respirazione. Così egli sentiva la sostanzialità del cosmo – la polvere cosmica – che veniva presa da ogni parte mediante i nervi e i sensi…»
Quindi la sostanza del cosmo viene portata nella pelle attraverso i nervi e i sensi e forma la sostanza, la materia, del sistema del ricambio.
«… e così egli sentiva la sostanzialità del cosmo radunata da tutte le parti mediante i sensi e i nervi a costituire il suo sistema del ricambio e delle membra».
La sostanza, la materia del cosmo viene giù attraverso il capo, i sensi e forma la materia del sistema del ricambio; ciò invece che noi quale sostanza prendiamo dalla terra, dalla materia attraverso il nutrimento, sale nel sistema del ricambio a formare la materia del sistema neurosensoriale umano. Questo è il risultato scientifico, se non si vogliono dire assurdità. Rudolf Steiner afferma di voler procedere in modo assolutamente scientifico. Quindi qui non si tratta solo di scienza dello spirito, si tratta di scienza naturale in senso del tutto reale.
«Egli sentiva la corrente che va verso il basso e che ha la sua origine da tutte le direzioni del cosmo, e fluisce dall’alto verso il basso nel suo organismo».
A proposito, quando arriveremo alla fine dell’Apocalisse per capire la Gerusalemme che scende dall’alto, vedremo che un modo decisivo di questo agire dello spirituale, del cosmico che scende dall’alto, è in relazione al modo in cui l’uomo si nutre. Nessuno può capire questa immagine dell’Apocalisse – perché Gerusalemme è la più grande casa dell’uomo; poiché la casa è la piccola casa e il corpo è la casa ancora più piccola. Corpo: la casa più piccola; la casa: l’abitazione più grande dell’uomo; e Gerusalemme, la città: la casa più grande in assoluto. Quindi ciò che è “casa” per l’uomo, e cioè quel che ha carattere di corpo, di incarnazione, compare definitivamente quando la Gerusalemme quale grandiosa abitazione discende dall’alto, perché non è costruita con materiale terrestre, non è edificata dal basso verso l’alto ma, al contrario, dall’alto al basso. E un modo fondamentale di questo discendere dipende da come l’uomo costruisce la sua casa specifica, la sua Gerusalemme, il suo tempio, il suo corpo; la materia discende dall’alto in modo reale, scientificamente del tutto reale.
Altrimenti non saprei spiegarmi come una Teresa Neumann, per esempio, o una Caterina Emmerich – e simili eccezioni sono realmente esistite – abbiano vissuto per anni senza mangiare. Furono naturalmente visitate da medici, furono ovviamente controllate accuratamente per verificare che non mangiassero davvero nulla. Fenomeni di questo tipo ci sono stati e sono scientificamente controllati. Non sarebbero spiegabili se l’uomo costruisse il suo corpo solo col nutrimento, col cibo terreno. Questo sia detto solo come piccola prova, se volete.
L’iniziato, millenni prima di Cristo, aveva ancora la possibilità di sperimentare questa nutrizione, questo pane che discende dal cielo. Ma la capacità di sperimentare tutto questo doveva andare perduta per permettere all’uomo di ritrovare questi misteri con la sua conoscenza e a partire dalla sua libertà.
«Egli sentiva la corrente che fluisce verso il basso, che prende origine da tutti i lati del cosmo e, dall’alto, fluisce nel suo organismo. Sentiva altresì che ciò che l’uomo assume direttamente come alimenti e ciò che viene trasformato nel corpo… – dove viene trasformato nel corpo? Nella parte inferiore, nel sistema del ricambio. Ma poi risale in alto, dopo essere stato trasformato – … ed egli sentiva che ciò che l’uomo accoglie immediatamente come cibo e che viene trasformato nel corpo, prende il cammino inverso e va a costituire proprio la parte superiore dell’uomo».
Va dal basso, dove è trasformato mediante la digestione, verso l’alto e costituisce materialmente, sostanzialmente l’uomo superiore.
Riflettiamo su tutto quello che sarebbe da rivedere realmente alla luce di queste affermazioni in tutta la medicina e nella terapia, per esempio, e non solo nella dietetica. Perché se qualcosa non è in ordine nel corpo e io non so nulla di questa legge fondamentale, allora anche le proposte terapeutiche saranno erronee. Perché solo se conosco come stanno davvero le cose, se le conosco oggettivamente, così come sono, allora posso anche indicare la terapia giusta. In queste cose si vede l’assoluta necessità della scienza dello spirito per l’umanità odierna.
«Il Padre – l’iniziato dell’antichità – mentre compiva la transustanziazione aveva in sé una corrente che scende verso il basso – dal cosmo, a costituire le membra – e una corrente che sale verso l’alto».
Si tratta di una doppia transustanziazione: quella della polvere cosmica che diventa materia delle membra e quella del nutrimento terrestre che diventa la materia per i nervi. La terra diventa nervo umano e il cosmo diventa cuore e stomaco umano perché li costituisce, mentre la terra costituisce i nervi e i sensi. Ecco perché, dapprima, l’uomo coi suoi sensi e coi suoi nervi afferra solo ciò che è terrestre, che è morto, ciò che è materiale, mentre quel che è spirituale deve essere scoperto.
Tutto questo lo trovate alle pagine 32 e 33 del volume 346, mentre a pagina 136 ci sono ulteriori comunicazioni che spiegano il fenomeno.
Intervento: Ma allora il fantoma può soffrire? Si parla infatti di dolori fantomatici.
Archiati: Sì, se ne parla. Prendiamo il caso di un uomo a cui sia stata amputata una gamba. Si intende questo quando si parla di un dolore fantomatico. Dolore fantomatico è una definizione totalmente fuorviante, questo è il problema. Cosa si pensa, infatti? Quando amputo una gamba, cosa se n’è andato? Solo la materia. La parte corrispondente del fantoma c’è ancora, e soprattutto l’eterico, la gamba eterica è ancora qua. La gamba eterica viene sentita come prima, perché c’è ancora. Non è che se stacco un pezzo di materia, allora elimino anche la corrispettiva parte eterica. E perché, allora, sento dolore? Io sento l’eterico della gamba che continua a essere in interazione col fantoma il quale però non ha più la possibilità di svolgere la sua azione attraverso l’impregnamento con la materia; e questo fa male. Perché il senso dell’incarnazione è che sia la gamba eterica, sia la gamba “fantomatica” si impregnino di materia, perché solo così possono agire sulla Terra. Il fatto di non poterlo più fare, provoca più dolore di quanto sentiremmo se la materia ci fosse ancora e ci fosse qualcosa che non va.
Significa che si sperimenta l’impotenza della gamba eterica e della gamba-fantoma, perché entrambe ci sono, entrambe sono una realtà. Queste sarebbero cose nelle quali la scienza, se fosse sufficientemente umile – perché rischia di diventare arrogante –, dovrebbe dirsi: i cosiddetti dolori “fantomatici” sono precisamente la prova che nella gamba c’è di più che non la sola materia. Perché se nella gamba ci fosse solo materia, non ci sarebbe più niente quando viene tolta.
Intervento: Ma loro lo spiegano dicendo che dopo le amputazioni il nervo continua a crescere, e che se lo si operasse…
Archiati: No, no, perché allora dovrei avere dolore solo alla superficie dell’amputazione. Se questa, per esempio, è la gamba che viene amputata, secondo quella spiegazione il dolore andrebbe sentito solo nel punto dove è stata amputata. Ma non è così, perché si sentono dolori a livello dei piedi.
Intervento: (acusticamente incomprensibile).
Archiati: Quello che lei riferisce è secondo me una assoluta sciocchezza, un imbroglio, perché non mi spiega affatto come mai qui, dove la materia non esiste più – dove secondo lo scienziato non c’è più niente –, proprio qui si prova dolore. E mi spiegano quello che viene sperimentato in quel punto attraverso qualcosa che succede da tutta un’altra parte.
Intervento: Volevo dire, in conclusione, che l’opinione prevalente oggi è che il dolore non è situato nella materia, ma nella coscienza.
Archiati: Naturalmente… queste riflessioni potrebbero continuare, ma mi accorgo che a qualcuno interessano molto, mentre per altri sarebbe preferibile procedere più sollecitamente col testo. La questione è del tutto pertinente con l’aspetto del drago che ora incontreremo. Perché l’essenza del drago è il materialismo. Perché il materialismo è la somma delle controforze. Ora, vedete: avete parlato di qualcuno che ha terribili dolori alla spalla. Ora qualcuno bussa alla porta – prestate attenzione perché racconto un fenomeno reale, e non vi capiti poi di dire che è una cosa che non c’è –, qualcuno bussa e porta a questo tizio che sta soffrendo una lettera del suo migliore amico che non vede da tanto tempo. E ora immaginate quanto la cosa gli faccia piacere, quale sia la sorpresa, e quindi apre subito la busta, legge la lettera e il dolore scompare. Scomparso! Sì, perché dov’era il dolore? Nell’anima, nel corpo astrale. E ora il corpo astrale è completamente occupato da qualcosa d’altro e non è più occupato a percepire il dolore.
Questo sta a indicare che ci sono dolori che ci agguantano quando non abbiamo occupazione migliore, e allora resta solo l’occupazione meno buona. È proprio così, ma cosa significa? Che il dolore è un pezzo dell’ira divina, o più esattamente è un pezzo dell’amore di Dio per risvegliare la nostra attenzione; il dolore è un dono per rendermi attento: guarda! C’è qualcosa di meglio che potresti fare. Se non sperimentassi nessun dolore non prenderei mai in considerazione l’esistenza di occupazioni migliori; ecco perché il dolore è così amichevole. Lo dico molto seriamente. Il materialismo ci ha messo in testa che sarebbe meglio se le sofferenze non ci fossero. Rudolf Steiner invece dice che ci sono malattie che non provocano dolore e che sono ben peggiori delle altre, perché l’organismo non le percepisce e quindi l’uomo non si accorge di averle. Il senso del dolore è quello di farmi attento al fatto che qualcosa non è in ordine, per darmi la possibilità – e questo è certo meglio – di fare qualcosa. Ma quando una malattia è senza dolore, e ci sono malattie simili, allora è molto peggio perché l’organismo viene rovinato senza che noi ce ne accorgiamo.
Leggete il volume 120[40], intitolato Le manifestazioni del karma. È un testo fondamentale, un volume molto importante. Lì si parla del dolore in modo meraviglioso, e si mostra che l’uomo può essere riconoscente verso i dolori che sente. Perché sono un amorevolissimo richiamo: attento, stai omettendo qualcosa! E ora arriva la lettera del tuo migliore amico e tutti i dolori scompaiono, perché hai un’occupazione migliore. Se ci sentiamo poco in forma e stiamo poco bene, perché c’è sempre gente che non è mai del tutto sana, allora abbiamo bisogno di tre litri al giorno di Opera omnia di Steiner, e guariremmo subito. Proprio così!
Le depressioni sono crescenti nell’umanità. La depressione è il contrario della compressione. Compressione significa piena occupazione, aver sempre qualcosa da fare. Depressione è il contrario, è la sottoccupazione; manca il senso, manca la gioia, niente mi piace. E la cura è: caro uomo, trovati qualcosa che ti dà gioia e allora cesserai di essere depresso e comincerai a essere compresso. Non c’è bisogno, ovviamente, di andare subito in ipertensione.
L’uomo depresso è quello che non trova nulla che gli dia gioia. Sorge allora la domanda: che fare? Tutte le terapie che si riallacciano dall’esterno o ai sintomi non sono adatte perché sono l’anima e lo spirito ad essere coinvolti e bisogna cercare finché si trova qualcosa che dia piacere, che dia gioia. Allora la depressione sparisce.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Bene, prendiamo i due fenomeni. Una persona fortemente depressa, che non prova gioia per nulla, che non ha più alcun obiettivo – un fulminato direbbero i giovani –, paragonatela ora con una persona che si stordisce col fare, fare e fare. Il secondo va già un po’ meglio.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Sì, questo è il caso del tutto opposto, ci sono i due estremi: il maniaco e il depresso. Osserviamo ora un pochino la fenomenologia, come va qui e là, e come possa essere trovato l’equilibrio (v. Fig. sotto). Ognuno di noi può potenzialmente diventare depresso, altrimenti non sarebbe un uomo – prendiamo questo aspetto come il luciferico – e ognuno di noi può anche essere potenzialmente un maniaco, un forsennato. Questo è il brigante che picchia, mentre là c’è il ladro che se ne sta solo nella sua cameretta, e non vorrebbe farsi vedere da nessuno, il depressivo.
Come è la vita tra questi? La forza del Cristo è la forza del centro, la forza della conciliazione. Ma cosa significa equilibrio fra la depressione e la manìa? Che io resti sveglio e noti velocemente: quando mi volgo troppo indietro, diventando depresso. E quando divento troppo aggressivo? Si potrebbero usare le due parole, entrambe di origine latina, “depressione” e “aggressione”. Quest’ultima viene da “aggredio”, cioè afferro. La forza dell’Io è la forza dell’equilibrio, perché nella vita si deve anche potersi dar da fare, ed ugualmente potersi dare una calmata. E l’equilibrio è la posizione corretta tra: essere capaci di fermarsi dove dobbiamo farlo, ed essere capaci di darsi da fare quando lo si deve. Questa è la saggezza della vita, e la vita c’è per diventare sempre migliori. Se un uomo si trova in una situazione che gli richiede di darsi da fare e fa invece un passo indietro, cosa c’è che non va? Il fatto che la situazione non è in equilibrio e così come è non aiuta l’uomo ad andare avanti. Molto più ricco di aiuto sarebbe darsi da fare, sia perché ci si trova dentro, sia per gli altri. In altri casi, invece, è d’aiuto per me e per gli altri il fermarmi, il tirarmi indietro.
La domanda dell’Io, la domanda dell’equilibrio è sempre: quand’è che una cosa è al suo posto? Di nuovo si deve dire che non c’è una ricetta se si vuol essere del tutto concreti, perché questa domanda riguarda solo l’individualismo etico dell’io, dove ognuno per sé deve sapere nel suo karma, nella sua posizione di vita, nel suo mestiere, nei suoi compiti, con gli altri uomini, quando deve darsi una mossa, avere un po’ di coraggio in più, e quando invece è il caso di lasciare più spazio agli altri; fermarsi – fare spazio; trovare il giusto equilibrio, e se ci si allontana, accorgersi subito e correggere il tiro.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Bene, provo a semplificare quel che lei ha detto e lo concentro su un punto, perché in realtà è molto più complicato. L’uomo malato dice: non posso farci niente. Ben per questo è malato, perché pensa: io non posso. Questo lo rende malato. Il pensare così è la malattia. Perché un uomo che veramente non può fare niente sarebbe un uomo che è stato abbandonato dal Cristo, e così non può essere. Quindi poiché la sua malattia consiste nel fatto che lui si è imbottito dell’idea, per qual motivo ora non importa, di non potercela fare, l’unico terapeuta che lo può aiutare è quello che è convinto del fatto: tu puoi! Come poi gli possa passare questa convinzione è tutta un’altra faccenda. Ma se non ho la convinzione: tu puoi, perché sei anche tu un uomo, allora debbo lasciar perdere qualunque terapia, perché altrimenti contribuisco ad ammalare. Lei però ha sottolineato che ci sono uomini che non possono. Se dice così lei non è né un medico né un terapeuta.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Ah, questo è tutt’altro, non aveva detto così prima. Lei aveva detto che non possono. E io ho preso molto sul serio la sua affermazione. No, non c’è nessun uomo che non può.
Intervento: Provi lei a fare una maratona se ha 42 di febbre.
Archiati: No, non ci siamo. La domanda non era se io posso correre per 40 chilometri, ma era se io posso sempre creare un equilibrio, ogni volta nuovo, fra depressione e aggressione. Lei aveva sottolineato che ci sono persone che non possono.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Ma stiamo parlando di maratona o di equilibrio fra aggressione e depressione?
Se una persona ha 42 di febbre, certo che non gli proporrò una lezione sull’equilibrio. Ma non c’è mai stata una persona che abbia avuto 42 di febbre per tutta la vita. Allora aspetto finché la febbre è scomparsa, e poi ne parliamo dopo su cosa si può fare per migliorare nell’arte dell’equilibrio. E se la sua capacità di trovare un equilibrio nel complesso non è così buona come la facoltà di un altro uomo, anche questo non è un problema, perché gli uomini non sono paragonabili gli uni gli altri. L’importante è che lui conquisti tanto equilibrio quanto gli è possibile, perché questo è il bene per lui. Di meglio per lui non c’è, ma dire io non posso proprio questo è l’ammalarsi, perché trova una scusa per non fare quello che potrebbe. Cosa vuol dire: io non posso? Rassegnazione.
La somma delle controforze di cui parla l’Apocalisse, tutte le controforze, le forze del drago, si riassumono nella frase: io non posso. Quando l’essere umano dice io non posso, non ce n’è, non succede niente. Allora le controforze hanno vinto su tutta la linea. È chiaro che è così, e la cura consiste nel fatto che ognuno – e il modo in cui lo fa è un’altra faccenda – abbia in sé la convinzione che ogni uomo può quello che può, e che non esiste persona che non possa nulla, perché altrimenti non sarebbe un uomo. Nessun uomo non può nulla, altrimenti non sarebbe un uomo e questo principio è la struttura della terapia e della medicina. Se non si ha questo principio è meglio che un terapeuta o un medico lasci perdere, perché fallirebbe sia come terapeuta sia come medico. Un medico e un terapeuta sono uomini che hanno questa assoluta convinzione: ogni uomo può tanto quanto gli è possibile! Un uomo che non può nulla non è mai esistito. Guarda invece a quanto puoi! A me come medico o terapeuta interessa quanto tu puoi e non quanto tu non puoi, questo non mi interessa per niente. Questo riguarda la tua pigrizia.
Questo è un altro commento di quel decimo di cui parla il versetto 13 dell’XI capitolo. È il decimo che cade in basso, e poi vengono i settemila. Il verso 14 è la chiusura del secondo guai.
Vedete, ci sono tre guai, (v. Fig. sotto) poi, in mezzo, c’è sempre il quarto, e poi seguono il quinto, il sesto e il settimo, dove diventa decisamente forte perché la libertà è in relazione con le controforze. Quindi al punto cinque abbiamo il primo guai, al sei il secondo e al sette il terzo.
Quindi le ultime tre trombe sono anche i tre grandi guai. Ora il secondo guai si sta concludendo; cosa viene dopo? Il settimo Angelo suona.
11,15 «E il settimo Angelo suonò la tromba e si levarono nel cielo voci possenti: è passata la regalità del mondo al nostro Signore e al suo Cristo che regnerà nei secoli dei secoli.»
E il settimo Angelo suonò la tromba e si levarono nel cielo voci possenti – ora segue il momento ispirativo, viene portato ad espressione mediante la parola ciò che era stato visto, di modo che non ci sono più solo immagini, non solo immaginazioni, non solo un qualcosa di percepito o visto, ma la formazione di un concetto, un’interpretazione, un significato di ciò che è stato visto mediante la parola.
11,15 …ci furono voci, possenti voci, fwnaˆ meg£lai – il che significa che non si tratta di parole piccole, ma di parole grandiose che rappresentano il senso dei mondi e dell’evoluzione. Le parole piccole sono quelle che valgono per un giorno, un incontro, si riferiscono a una situazione piccola; le parole grandi invece sono quelle che esprimono i fondamenti dell’evoluzione, che valgono per i grandi cicli evolutivi, per l’intera l’evoluzione – “in cielo” – parole grandiose, parole possenti che risuonano in cielo, cioè nei mondi spirituali. Questo significa che sono parole spirituali, parole che devono venir ascoltate spiritualmente, e quindi in nessun caso da intendersi come parole terrestri emesse dalla laringe, ma parole spirituali che possono essere sentite solo nello spirito, e di cui ora vedremo il contenuto.
Quando risuonano queste parole? Partiamo dal presupposto che queste parole vengano sempre articolate, anche ora, nei cieli, cioè nel mondo spirituale. Per l’uomo si tratta solo di entrare nel mondo spirituale, perché l’uomo è spirito e ora ascolta come l’Apocalista. Come ci è arrivato l’Apocalista ad ascoltare queste parole? Grazie al fatto che lui si è elevato all’essenza dello spirito, fino alla facoltà di vedere spiritualmente e di udire spiritualmente, e quindi di essere in grado di distinguere gli esseri spirituali gli uni dagli altri proprio nella loro individualità, nel loro essere-in-se-stessi.
Perché altro è ascoltare le parole – immaginiamo che qui qualcuno parli e noi non abbiamo la minima idea da chi provengano quelle parole. Il passo successivo sarà quello di comprendere che quelle parole sono espressione di un essere, quindi di risalire dalle parole all’essere dal quale esse provengono: sì, è costui o costei che parla. Siamo al livello intuitivo nel quale la fonte primigenia della parola è nell’Essere spirituale, e noi riconosciamo da dove proviene, sia esso un Angelo o un Arcangelo, Michele o il drago, o la Trinità, o il Cristo, il Figlio, oppure i ventiquattro vegliardi.
Dopo la pausa, queste parole ci condurranno al cuore dell’evento.
***
Nelle ore precedenti abbiamo dato più spazio alla possibilità che la velocità della trattazione sia affidata alla decisone del pubblico. Ora, per cambiare, decido io con quale velocità procedere nell’analisi del testo affinché sia sempre una cosa gustosa. Alcuni desiderano lavorare attenendosi strettamente al testo, altri invece dicono che gli excursus sono interessanti. Facciamo in modo da accontentare un pochino tutti. Nei casi dubbi decido io con che ritmo proseguire.
Siamo al settimo Angelo, alla settima tromba. Rudolf Steiner dice una volta sola e in modo lapidario che la settima tromba inizia con la fine del ventesimo secolo. E cioè quando il numero della bestia 666 si triplica in 1998. La fine del ventesimo secolo – e noi ci siamo in mezzo – è, a un tempo, la fenomenologia del settimo Angelo e della settima tromba. Questo significherebbe che non è solo nel nostro tempo che si deve sperimentare la fenomenologia della settima tromba, ma si potrebbe anche dire: il nostro tempo è immaginativamente rappresentato nella settima tromba. La sesta tromba o la quinta sarebbero più adatte per altre epoche. Tutto ciò che si rivela con la settima tromba possiamo direttamente ricollegarlo al nostro tempo. Così intendo io l’affermazione di Rudolf Steiner. Ora per ogni unità possiamo chiederci: dove riconosciamo tutto questo nel nostro tempo? Cos’è? Cosa indicano queste immagini? Cosa dicono le voci che risuonano? E dire in particolare adesso che siamo all’inizio del terzo millennio:
11,15 È sorto, è divenuto il Regno del cosmo, del mondo, il regnare cosmico del Signore nostro e del Suo Cristo. Qui il Signore è il Padre, e il Cristo è il suo consacrato. Christos significa unto ed è il Figlio. Quindi la prima constatazione – la voce che parla, cosa che in particolare nel nostro tempo accade non solo sul piano sensibile, ma soprattutto su quello soprasensibile –, la prima cosa che questa voce dice è: questo è il tempo in cui sorge, quale risultato dell’evoluzione precedente, il regno del Padre e del Figlio; quindi non è una realtà eterna, ma è il risultato dell’evoluzione nel corso del tempo.
Ciò che qui è importante è il fatto che non si tratta soltanto di un dominio, di un regno del Padre, ma anche del Figlio; non soltanto che Dio non è solo, ma che il senso dell’evoluzione è che con Dio Padre anche il Figlio è diventato Signore – e cioè il suo Figlio in ogni uomo perché il Figlio di Dio è l’umanità cristificata, è l’uomo compenetrato dal Cristo.
Significa che l’uomo, l’intera umanità è chiamata in Cristo a regnare assieme al Dio Padre, al regno. E re è un uomo che nel proprio regno decide tutto. Quindi il re è una delle immagini più importanti per l’Io.
L’Io è la forza regale dell’uomo, perché il re opera nel suo regno, determina tutto ciò che vi accade. L’uomo diventa re nella misura in cui si cristifica, re nel pensare e re nell’agire. Queste sono le due dimensioni del regno. Re nel pensare significa autonomia di pensiero, capire in proprio delle cose e non dipendere dagli altri, capacità di giudicare tutte le cose della vita. Lasciar fare e trafficare agli specialisti perché sono necessari per essere fattivi nei vari ambiti della vita, e nessuno può essere specialista in tutto, ma ogni uomo è capace di giudizio nei confronti del fare, dei risultati e soprattutto dell’efficacia di ciò che gli specialisti fanno sulla Terra e nell’umanità.
Quindi la capacità di regnare nel pensare è la facoltà di farsi pensieri, di formarsi giudizi su tutti i fenomeni. E la capacità di regnare nel volere, quindi un doppio regno, consiste nell’essere responsabili delle proprie azioni, avere se stessi nelle proprie mani, padroneggiare ciò che si fa. Il governo di sé non consiste solo nel fatto che si padroneggiano i propri movimenti, ma bisogna anche padroneggiare cosa comporta l’agire, e cioè il modo in cui la mia azione opera sugli altri; anche questo deve essere in mio pugno. E la libertà consiste proprio nell’essere re nel pensare e re nell’agire. Conoscersi bene nel pensare e quindi rispondere in modo pienamente responsabile delle conseguenze delle proprie azioni. E per essere responsabile delle conseguenze delle proprie azioni l’uomo deve conoscere, capire, ciò che fa e quali sono gli influssi delle azioni sul mondo che lo circonda e sul resto del mondo.
11,15 È divenuto, è sorto, è diventato possibile il regnare su tutto il cosmo. Il regnare del Signore del mondo – questo è Dio Padre, queste sono tutte immagini, anche Dio Padre è una metafora, una immagine – e – molto importante – del Suo Cristo, del suo Unto, toà cristoà aÙtoà. Si potrebbe dire che ora Egli viene riconosciuto quale grande Signore dello Zodiaco, del mondo dell’eternità. Gli uomini vi si uniscono, riconoscono l’agire regale del Fondamento Paterno che è la durata, che è l’eternità e che si mostra nello zodiaco; e anche la regalità, l’operatività a livello dei pianeti, del sistema planetario perché questo è il più grande “consacrato” del Padre divino.
Quindi gli uomini riconoscono questo duplice agire: quello del Padre cosmico, ambito zodiacale, dell’eternità, della durata, e ambito del grande consacrato del Padre che è il sistema solare con tutti i pianeti che ruotano attorno al Sole, quindi il sistema solare come espressione del grande consacrato. E gli uomini sulla Terra riconoscono questo duplice dominio che opera congiuntamente, e in esso vedono il duplice dominio del Padre e del Figlio nell’uomo e nell’umanità.
Si potrebbe dire che le dodici costellazioni zodiacali sono il dominio del pensare, della conoscenza, mentre il sistema solare, il Figlio, il consacrato, è il dominio del volere, dell’amore, dell’agire evolutivo, dell’evoluzione nel tempo. La verità eterna – regno del Padre; e l’amore operante, che azioni dopo azioni si manifesta nel tempo – regno dell’Essere solare, del Cristo, del grande consacrato.
Ricorderete che venivano consacrati i re, i profeti e i sacerdoti, cioè unti con l’olio, con le forze del Sole. Con l’olio solare perché in quanto sacerdoti, profeti e re dovevano agire nell’umanità in modo che da essi fluissero le ispirazioni e i fatti dell’Essere solare fino a giungere all’umanità. Per questo motivo venivano unti con l’olio, consacrati con le forze solari.
Poiché tutti i sacerdoti, re e profeti sulla Terra venivano consacrati con le forze solari, per questo motivo anche il Cristo è chiamato il grande “unto” del Padre. Il termine Christos, l’ho detto spesso, viene dall’ebraico Mashìach “Messia” che è il participio del verbo ungere, massaggiare. Questa è la traduzione letterale. Messia significa: il grande unto.
In greco la traduzione letterale di crizw è proprio “ungere”, quindi chrisma, chrizo, e Christos è di nuovo un participio, quindi: l’unto. Il termine Cristo traduce letteralmente l’ebraico Messia ed entrambi significano: l’unto.
Ma cosa significa questa unzione? Che questo Essere solare è stato mandato dal Padre cosmico sulla Terra quale grande sacerdote, grande re e grande profeta, come re dei re, profeta di tutti i profeti, sacerdote di tutti i sacerdoti. Ecco perché l’Essere solare è il grande unto del Padre. E da lui provengono le forze con le quali tutti i piccoli consacrati vengono unti: tutti i piccoli sacerdoti, re e profeti. Le immagini sono meravigliose e si ricollegano all’eterno dello Zodiaco, l’aspetto paterno o materno divino del cosmo, e al caldo impulso solare dell’evoluzione nel tempo, per rendere possibile l’amore del Figlio a partire dalla saggezza del Padre – trasformare un cosmo di saggezza in un cosmo di amore – e per portare entrambi sulla Terra; nel pensare degli uomini la saggezza, l’eterna saggezza del Padre, e nell’amore degli uomini le forze dell’evoluzione che trasformano un cosmo di saggezza in un cosmo di amore attraverso l’amore operante dell’uomo nell’evoluzione. Questo viene esaltato in quelle voci quale risultato, quale senso complessivo dell’intera evoluzione.
11,15 Ed essi regneranno, diventeranno re – basileÚsei. In tedesco non c’è un verbo per esprimere correttamente quello greco e dobbiamo esprimerlo col verbo divenire, diverranno re e domineranno e„j toÝj a„înaj tîn a„ènwn, per i cicli temporali che si succedono uno dopo l’altro. Bisogna solo avere in mano l’unità di misura e misurare, bisogna conoscere le unità di misura, e allora si sa che qui si intendono i cicli di 2160 anni. Ma possono anche essere cicli più brevi: di anno in anno, o di giorno in giorno, oppure di anno cosmico che segue anno cosmico. Sono quindi cicli di tempo, grandi o piccoli. Quindi il senso del testo è: l’intera evoluzione che va da un ciclo temporale all’altro. Il risultato complessivo, il senso del tutto è questo duplice regnare del Padre e del Figlio nell’uomo, nell’umanità.
11,16 «Allora i ventiquattro vegliardi, seduti sui loro troni davanti a Dio, caddero faccia a terra e pregarono Dio»
E i ventiquattro vegliardi – ora si tratta di unità di misura temporali, quindi 2 x 12, sono gli impulsi dell’evoluzione sperimentati uno dopo l’altro, e che ora stanno insieme. Forse ricorderete come abbia cercato di mostrarvi che il dodici dell’eternità, di ciò che è sempre quieto, diventa evoluzione nel sette.
(v. Fig. p. 187) Cominciamo qui: uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette; questi sarebbero sette impulsi evolutivi uno dopo l’altro. Questi sono i dodici segni zodiacali che, in quanto tali, sono in quiete. Solo il Sole (v. Fig. p. 187: lo disegno qui all’interno) si muove da un segno zodiacale all’altro, e quindi è collegato con un segno e poi con quello successivo. Il Sole si muove e ha bisogno di 2160 anni per passare da un segno zodiacale all’altro.
Ora cominciamo da qui, dall’uno, e poniamo qui il Sole (1), quindi nell’epoca di cultura indiana, nel Cancro; e poi, dopo 2160 anni il Sole arriva al punto due (2), nei Gemelli; poi, dopo altri 2160 anni arriva nel Toro. Poi il Sole prosegue nell’Ariete e questo è il tempo del vello d’oro dei Greci o il tempo dell’Agnello di Dio. Poi viene il regno dei Pesci – erano pescatori i dodici –, quindi l’Acquario e così via.
Come avviene che da dodici forze in quiete sorgano impulsi nel tempo? Per il fatto che le cinque di sopra (le scrivo in numeri romani I, II, III, IV, V) sono per così dire ordinate in questa dozzina per generare le forze del succedersi nel tempo, così che possiamo dire che da queste cinque sono poi sorte le controforze. Quindi nell’1 le controforze non sono ancora presenti. Due è la cultura dei Gemelli, la cultura zarathustriana, perché il secondo passo è stato segnato dalla facoltà di avere la prima contrapposizione con le controforze. L’inizio è tale perché non è ancora presente la forza di contrapporsi a una controforza. La forza del bene deve ampliarsi al punto da diventare capace di opporsi alla controforza.
Quindi l’inizio della controforza è nel due, è nel due che abbiamo la prima controforza; al tre la seconda controforza; nel quattro abbiamo la terza controforza, la più grande controforza, la più potente. Poi, al cinque abbiamo la quarta controforza, al sei la quinta, e al sette, come abbiamo appena visto nell’Apocalisse, la contrapposizione ha fine. Al sette c’è il vaglio, lo scrollìo e il rotolìo che viene fatto quando si vaglia qualcosa, e ora i due elementi si separano; la forza da una parte e la controforza dall’altra, che prima nella loro continua contesa erano state determinanti per il processo evolutivo dell’uomo. La fine, il compimento dell’evoluzione, consiste proprio nel fatto che la contrapposizione tra forza e controforza finisce nel sei, e nel sette abbiamo in modo separato l’agire definitivo del bene e del male. Essi per così dire si guardano, ma la contrapposizione è finita.
Quindi noi abbiamo nell’evoluzione temporale un ritmo di sette, ma le controforze le abbiamo solo dal due al sei; e quindi sono cinque. La prima al due; la seconda al tre; la terza al quattro; la quarta al cinque; e la quinta al sei. E al sette si chiude. Se noi ci passiamo attraverso due volte abbiamo 2x12 e cioè i 24 vegliardi quali gradini dell’evoluzione, del confronto tra forza e controforza.
Avevo già espresso lo stesso pensiero sui 24 vegliardi lo scorso anno. Sono vegliardi proprio perché indicano i gradini passati dell’evoluzione.
11,16 Sedettero alla presenza di Dio Padre sui loro troni – ora si siedono, e questo significa che sono giunti nel mondo della durata. Ciò che è stato scoperto nella successione del tempo diventa acquisizione degli uomini nella durata; allora siedono e il tempo non passa più. Quindi i vegliardi che hanno retto il succedersi dei tempi uno dopo l’altro, ora siedono e con questo stanno a significare che hanno portato ciò che viene scoperto nel corso del tempo nel regno dell’eternità, nel mondo della quiete dove nulla sorge e nulla passa, dove tutto permane eternamente nell’essere, se così si può dire.
11,16 E si prostrarono faccia a terra e pregarono Dio.
11,17 «E dicevano: noi ti ringraziamo, Signore Dio Onnipotente, che sei e che eri, perché hai messo mano alla tua grande potenza e hai instaurato il tuo regno!»
E dissero: – bene, ora ascoltiamo l’inno, il poema che viene pronunciato come espressione della positività, come contributo complessivo e positivo di tutta l’evoluzione. Perché ora danno voce a ciò che, quale forza del bene, è divenuto in tutta l’evoluzione. Qual è la prima cosa che dicono? La gratitudine, l’eucaristia, eucaristoumen, eucharistoumen, che possiamo tradurre noi ti ringraziamo, quindi l’azione di ringraziamento.
Quindi la loro prima parola è una parola di ringraziamento. Che parola è in greco? Eu significa bene, bello, vero, e carij, è la grazia. Dal punto di vista umano charis è la grazia che c’è in Dio. Charis dunque amore, charitas. Charitas significa amore, l’amore che c’è in Dio è grazia per gli uomini.
E cos’è per gli uomini la grazia? Sono le chances di evolvere, perché quello che Dio fa, è cosa sua. Per me la grazia è ciò che mi viene reso possibile. Ciò che può essere fatto da me è la grazia, quello che Dio fa in me è cosa sua. Ma la vera grazia, l’amore verso di me, verso il mio essere è là dove Dio mi rende capace di qualcosa.
Per questo motivo ho ripetuto: tu puoi, sei capace di tutto il possibile! Non significa che puoi tutto, ma le tue possibilità sono tali proprio perché il Cristo in te ti rende capace di fare. Per questo motivo possiamo aspettarci questo da ogni uomo, perché chi dice non posso, lo dice perché considera solo se stesso. Perché se lui potesse vedere che in lui, proprio in lui per quanto brutto e cattivo possa essere, anche in lui come in ogni uomo è presente il Cristo, allora non direbbe mai: io non posso.
Un uomo che dice io non posso è una persona che vede solo se stessa. La cura per lui sarebbe di dirgli: ma guarda meglio, perché in ogni uomo e quindi anche in te è presente ben di più che non le tue sole forze. E se ti convinci che l’amore del Cristo ti compenetra, allora vedrai quanto tu puoi fare, perché è il Cristo in te.
Quindi non pensate che il fatto di dire io posso sia presunzione. No al contrario, l’uomo che dice io non posso, quello è presuntuoso, perché vede solo le sue forze e ignora il Cristo dentro di sé. E quello che dice io posso lo afferma perché vede in sé il Cristo. Perché altrimenti l’affermazione io posso viene sempre presa, viene bollata come presunzione, e l’uomo che dice io non posso viene fatto passare come umile. Ma può anche essere un imbroglio.
Torniamo al ringraziamento. Grazie per che cosa? Per la grazia che rende gli uomini capaci di libertà. Questa è la grande grazia, la grazia più grande, la chiamata alla libertà, alla corresponsabilità, la chiamata a costruire assieme la storia dell’umanità e della Terra, e la chiamata a comprendere sempre meglio il tutto per assumerlo sempre più responsabilmente. Questa è la grazia più grande. Perché se per grazia intendiamo il fatto che sempre e soltanto Dio fa qualcosa in me, allora questa non sarebbe una grazia speciale, perché io non avrei più nulla da fare. Quindi la grazia divina nei confronti dell’uomo è la chiamata alla libertà. Questa sì che è una grazia.
Per rendere l’uomo capace di libertà debbono essere create tutte le condizioni che rendono possibile la libertà. Quindi la totalità della grazia è la creazione delle condizioni della libertà. E il mondo intero è stato forgiato in modo che lì l’uomo possa esercitare la sua libertà. È incommensurabile ciò di cui possiamo essere grati, perché tutto è stato posto, tutto è stato creato fuori dall’uomo, nel mondo, ma anche nell’uomo stesso, nel suo fisico, in tutto, affinché l’uomo possa assumere sempre più responsabilmente, con sempre maggiore gratitudine il suo diventare divino.
Ecco quindi la prima parola, eÙcaristoàmšn soi, noi ti ringraziamo, KÚrie Ð qeÕj, Signore, il Dio, Ð pantokr£twr, il Pantocratore, il Signore di tutte le cose, colui che tiene tutto nella sua forza, Ð ín kaˆ Ð Ãn, Colui che è e che era. Sono tutte parole che si ricollegano all’Io perché l’Io è ciò che era, è e sarà, l’alfa e l’omega. Nell’uomo il Kyrios, il Signore, è l’Io.
11,17 Tu hai preso in te la tua forza, dânam…n la tua forza, la tua grande forza, e sei diventato re.
11,18 «Le nazioni fremettero, ma è giunta la tua ira, il tempo di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi, ai profeti e ai santi, e a quanti che temono il Tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare quelli che sconvolgono la Terra!»
E i pagani e i popoli, çrg…sqhsan diventarono irati. Ecco ricomparire l’ira.
Vorrei una volta, prima o poi, chiarire meglio il senso di questa parola. 11,17 perché tu hai preso con te la tua grande forza – Dynamis, dânam…j, che qui viene tradotto con forza.
Penso sia bene fare così (viene scritto), perché senza una scienza dello spirito difficilmente abbiamo la possibilità di tradurre chiaramente questa precisa parola greca. Perché forza può significare di tutto. La parola greca è ™xous…a, quella successiva è dânam…j, e la terza, che viene da kyrios, è kàriÑthtej, che compare in un altro contesto.
Le traduzioni di Lutero fanno riferimento alle denominazioni della seconda Gerarchia, quella intermedia. Quelle di Steiner hanno un contenuto che meglio caratterizza.
Se ci riferiamo alla traduzione di Lutero del termine ™xous…a, exousia come forza, allora dovremmo ricorrere a questa parola tutte le volte che nel testo dell’Apocalisse ricorre quel termine greco. E lo stesso dicasi per quello precedente. Bene, effettivamente ci si avvicina al significato originale, ma il traduttore finisce in un guazzabuglio se non sa distinguere esattamente cosa sia una potenza e cosa sia una forza. In greco, invece, le parole sono molto più scientifiche, molto più precise.
Prendete Dionigi Aeropagita, lo scolaro di Paolo, che ha avviato la corrente esoterica più sottile e sotterranea del cristianesimo, quella che deve attendere fino alla Seconda Venuta, ebbene, questo Dionigi ha usato le tre parole greche che ho messo al centro per indicare: Dominazioni, Virtù e Potestà. Fino a quando il cristianesimo ha dovuto restare petrino, quella correnta esoterica non ha potuto diventare culturalmente pregnante. Non sarebbe stato neppure possibile, e per questo motivo ha dovuto un pochino proseguire in forma sotterranea.
Exousia è la forza di imprimere qualcosa in ciò che è materiale, nella forma terrena, da qui gli Spiriti della forma. Gli Elohim della Genesi sono Spiriti della forma.
Dynamis è la forza che toglie forma a quello che si è conformato, a quel che è diventato terrestre-minerale, così che resti in movimento. Quindi Dynamis è il mondo dell’eterico, dove tutto è in metamorfosi, in movimento. Si tratta solo di prendere in considerazione questo mondo delle Dynamis, questo mondo dell’eterico, questo mondo della trasformazione quale realtà. Di questo, naturalmente, del fatto che c’è, né il materialismo e nemmeno una scienza materialistica hanno alcuna idea.
E poi le Kyriotetes, gli Spiriti della saggezza. Il Kyrios è la forza della signoria, cioè mediante il pensare, mediante la saggezza del pensare – Spiriti della saggezza – afferrare ciò che deve accadere nell’eterico, nel mondo del movimento, e ciò che deve accadere nel mondo fisico, nel mondo delle forme. Quindi signoreggiare, essere Signori, vuol dire sapere quando il movimento deve cristallizzarsi, altrimenti non avremmo mai forme definite, e quando ciò che è formato ha compiuto il suo compito e deve di nuovo sciogliersi. Questa è una somma arte dell’Io, del Kyrios, sapere quando qualcosa deve prendere forma, venire conformato, e quando, invece, la forma deve di nuovo essere sciolta e mettersi in movimento. Nel dialogo tra forma e movimento, tra movimento e forma, solo attraverso questa saggezza viene trovato il giusto equilibrio.
La trinità della seconda Gerarchia consiste proprio nell’equilibrio pieno di saggezza tra il muoversi continuo dell’eterico e il conformarsi del fisico. È meraviglioso. Solo l’Apocalisse ha queste parole e l’Apocalista le usa sempre in senso specifico e molto esattamente. In tedesco non abbiamo ancora questi termini se non ricorriamo a Steiner, ma allora dobbiamo davvero tradurre in modo coerente e univoco.
Ora, vedete, possiamo cercare, quale piccolo aiuto, di gettare un ponte al mondo accademico di oggi, perché ancora oggi Aristotele viene studiato pur sempre come un grande pensatore, un grande filosofo. Due categorie di pensiero fondamentali per Aristotele e per Tommaso D’Aquino sono: la facoltà o potenzialità, e la realizzazione, l’atto, la attuazione della potenzialità. Come chiama Aristotele una potenzialità? La chiama dynamis. Cos’è una potenzialità? È qualcosa che dapprima è presente solo sul piano eterico. Questo significa che l’eterico è la facoltà del diventare fisico, tutto l’eterico è la potenzialità del diventare fisico. Tutto ciò che è in movimento ha la possibilità e l’attitudine ad assumere una forma.
E veniamo alla attualizzazione, potenza e atto, dicevano i latini, perché la realizzazione della potenza dell’eterico, della dynamis di Aristotele, è là dove diventa fisico, assume una forma. Aristotele lo chiama ™n-™rgeia. Quindi dynamis, dÚnam…j è la potenzialità e la forma impressa nel fisico Aristotele la chiama ™n-™rgeia, l’en-ergheia, in italiano energia. Ma cosa significa il termine greco en-ergeia, en-ergheia?
Ergon è un termine passato direttamente dal greco alle lingue moderne e indica il lavoro, l’opera. L’eterico della dynamis quando inizia ad operare nel fisico, nella materia, si attua nel mondo della forma, nel mondo della materia. Ma è proprio dentro la materia che deve operare.
Torniamo alle due categorie fondamentali di Aristotele: dynamis, dÚnam…j, dynamis-potenzialità, è fisica solo potenzialmente. Sono le forze eteriche, le forze vitali che cominciano a operare dentro la materia, dall’eterico deriva il fisico che è l’attualizzazione della forma visibile. Questo è il modo in cui l’eterico diventa fisico. Dynamis che diventa ™n-™rgeia, energia. Potenza-atto, potenzialità-realizzazione.
Cos’è una facoltà, una capacità? È qualcosa che esiste nell’eterico dell’uomo, e quando l’uomo utilizza questa capacità, la porta giù, la esercita, allora la imprime nel fisico, conforma il suo corpo fisico, la fa apparire.
Volevo soltanto dire che tutte queste parole vengono usate dappertutto nell’Apocalisse. Solo che vengono tradotte in modo un po’ approssimativo e in modo che può essere frainteso. Ma questo è un problema solo del nostro materialismo. Perché il materialismo è anche una controforza necessaria, una controforza che necessariamente deve venir offerta a ogni uomo. Ma con la materializzazione della lingua è sorto un po’ di caos anche in quell’ordine che c’era ancora nell’Apocalista e in Dionigi Aeropagita. E questa è una competenza e una precisione scientifica che nel nostro tempo, in modo completamente nuovo viene afferrata da Rudolf Steiner, affinché gli uomini del nostro tempo, che è proprio quello della settima tromba, abbiano la possibilità – la potenziale capacità – di portare giù sulla Terra completamente questa scienza del soprasensibile. Ma questo comporta che, a livello di vocabolario, di terminologia, si proceda scientificamente e non solo in modo abborracciato.
Queste sono davvero splendide prospettive, meravigliosi passi evolutivi che vengono offerti agli uomini. Bisogna solo che ognuno li afferri, soprattutto se si vuole vincere una qualche forma di depressione, perché capita, e la scienza dello spirito è il superamento della depressione, poiché senza una scienza dello spirito l’uomo si sente depresso come un sacco vuoto.
Prendete l’esempio della camera d’aria di una bicicletta. Quand’è che la camera d’aria è com-pressa e quando è de-pressa? È de-pressa quando dentro non c’è aria. La depressione è proprio questo: manca l’aria. I greci chiamavano l’aria pneuma, cioè spirito. Quando sei de-presso è perché ti manca l’aria, e l’aria molto concretamente è la conoscenza dello spirito. Un essere di natura infatti non si ammala di depressione perché la naturalità gli basta. Ma quando un uomo si è evoluto, e non gli basta più solo ciò che gli offre la natura, se non perviene alla libertà allora si deprime. Essere depresso, allora, significa: quel che ti offre la natura non ti basta più. È meraviglioso. Hai bisogno soltanto di sapere che se rimani solo a livello di ciò che ti offre la natura, e sei depresso, è il momento di tirare il fiato, devi pompare aria dentro la tua “camera d’aria”. Questa aria è lo spirito che tu stesso devi conquistare. E funziona! Perché la depressione è soltanto un vuoto, una mancanza, non è qualcosa che c’è. Mi basta portare dentro il positivo così il vuoto è compresso, non più depresso.
L’Apocalisse è naturalmente un testo pieno di saggezza. Ne abbiamo visti vari esempi, ed è particolarmente bello scoprirlo a partire dal fondamento di una scienza dello spirito che ci aiuta ad orientarci in questo testo. Già soltanto questa trinità è un meraviglioso condensato dello spirito che fa sparire ogni depressione. Sapere che la creazione terrestre è frutto della saggezza, che abbraccia tutti i movimenti e tutte le forme, e poi armonizza in modo straordinariamente saggio la forma fissa col movimento. Se tutto fosse soltanto movimento ci sarebbe sempre e soltanto rivoluzione senza mai un attimo di quiete, senza qualcosa che duri; ma se tutto fosse solo forma fissa allora saremmo di fronte a un cimitero, senza alcun movimento. Quindi se c’è solo il movimento o solo la forma non è bene per l’uomo. La saggezza della vita consiste nella giusta mistura di forma e movimento, cioè fra l’attività del conformarsi e quella dello sciogliersi nel movimento. Ognuno può sempre provare, migliorare in questa arte.
Io volevo sottolineare che queste parole le troviamo davvero qui: Kyrios, Kyriotetes; e‡lhfaj t¾n dÚnam…n, quindi le Dynamis, e poi vengono le Exusiai, queste parole sono state usate da Dionigi Aeropagita quali termini di una lingua scientifica. Io non avrei nulla in contrario se, per così dire, l’intera cultura non adottasse rigorosamente le formulazioni di Steiner, che pure sono più scientifiche: Spiriti della forma, Spiriti del movimento, Spiriti della saggezza, anche per poter fare eventualmente un passo verso Lutero e verso la sua terminologia, ma prestando attenzione a cogliere i precisi significati spirituali dei termini da lui adottati, perché se li interpretiamo materialisticamente allora finisce che perdono la loro precisione.
Intervento: Io trovo che la terminologia di Rudolf Steiner sia molto più chiara.
Archiati: Bene. Lo afferri come primo tentativo che l’intera cultura dell’Europa centrale assuma l’antroposofia, dopo che per più di un secolo è stato fatto molto per rendere Steiner indigesto. Ora cosa possiamo fare per renderlo digeribile? Per realizzare questo compito di rendere fruibile Steiner per tutta la cultura, direi che abbiamo bisogno di un ponte. Ma teniamo presente che le parole, fondamentalmente, sono poco precise da quando abbiamo perso di vista la realtà spirituale.
La cosa migliore che possiamo fare ora è di andare a mangiare, augurandoci tutti un buon appetito.
Sesta conferenza
mercoledì, 12 novembre 2003, pomeriggio
vv. 11,18-19
Cari amici,
siamo alla fine dell’XI capitolo, dove ci sono queste voci soprasensibili da ascoltare che fanno il bilancio di tutta l’evoluzione. Il criterio che usano per farlo è la spada a doppio taglio dell’evoluzione stessa, e cioè la libertà. Essa deve esserlo perché, in sostanza, perfino per la divinità stessa la grande scelta era: vogliamo dare agli uomini la libertà e allora deve essere l’uomo stesso a decidere come procede la sua evoluzione; oppure siamo spaventati di fronte alla libertà dell’uomo e preferiamo non offrirgliela, e allora lui resta un puro essere di natura, e non gli è accessibile quel che la divinità decide di lui. È evidente immediatamente il fatto che l’essenziale per l’uomo è la cosiddetta libertà. Si tratta solo di capire bene di cosa si tratta: la facoltà di autodeterminarsi, questo è la libertà. La facoltà di capire ciò che accade col pensare, di capire ciò che è bene per gli altri e per se stessi e ciò che non lo è, e la capacità di volere, la scelta di volere, di fare il bene, e di evitare ciò che è contrario all’uomo. Oppure anche la libertà di omettere.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Non direi che l’altra scelta della libertà è quella di fare il male. Sarebbe un’affermazione troppo frettolosa. Perché se l’uomo, di primo acchito, immediatamente, avesse la capacità di fare il male, allora gli Esseri divini sarebbero stati un po’ scorretti con noi, non giusti. La prima scelta che la libertà dell’uomo ha, è quella tra il fare il bene e l’omettere di farlo. A questo livello non c’è ancora il fare il male. Nella misura in cui l’uomo tralascia di fare il bene allora offre l’occasione – poiché dove il bene non si realizza, si crea certo un vuoto, un risucchio nel suo essere – di essere posseduto da quelle potenze che vogliono schiacciare l’essere umano, nel senso che si servono dell’uomo per portare avanti la loro propria evoluzione. Quando l’uomo è posseduto da potenze, da Esseri spirituali che fanno di lui un mezzo, uno strumento – e qui c’è già il male, cioè il fatto di non considerare l’uomo come un fine, ma solo come un mezzo –, allora sorge il male. Ma non a causa del fatto che l’uomo possa direttamente compiere il male, perché l’uomo non ha ancora la capacità di volere il male, ma dall’essere posseduto da potenze avverse, le quali compiono il male tramite l’uomo.
Se volete questo è il modo per proibirci ogni moralismo, perché l’essenza del moralismo consiste nell’attribuire all’uomo il male. Un paio di volte Steiner accenna al fatto che nel nostro tempo ci sono solo pochissimi uomini che cominciano, mediante la possessione, a volere direttamente il male.
Il moralismo viene superato quando noi cessiamo di attribuire agli uomini il male, quando cessiamo di pensare che ci possano essere uomini che vogliono il male. Non è così, perché ogni uomo vuole il bene. Già Platone ha dato le prove di questa verità, dimostrando che un uomo può volere solo ciò che lui ritiene essere un bene. È così: l’uomo può volere solo ciò che gli sembra un bene.
Quindi dobbiamo lasciar da parte ogni moralismo, perché non abbiamo mai bisogno di giudicare un uomo e dire: è cattivo. Nessun uomo è cattivo, poiché nessun uomo può volere il male. Quel che può fare è di omettere il bene, tralasciarlo. Lo fa perché dorme, perché non è sveglio, perché non cura a sufficienza il suo pensare, la sua conoscenza. Perché avrebbe dovuto sapere quali sono le conseguenze di qualcosa, e non si è sforzato di conoscerle. Oppure avrebbe potuto compiere azioni positive e di bene, avrebbe potuto aiutare qualcuno, forse anche avrebbe dovuto farlo ma non lo ha fatto. Conoscenze trascurate e buone azioni tralasciate rendono l’uomo incline – perché non è signore di se stesso, padrone della sua casa –, ad accogliere altri Esseri che poi, mediante lui, portano a compimento ciò che sfavorisce l’umano.
Quindi possiamo attribuire (la volontà di male) il male sempre a Esseri sopra-umani e non c’è mai bisogno di attribuire il male all’uomo. Considerate quanto sia liberante pensare che qualsiasi fenomeno cattivo o che agisce negativamente nell’umanità non ha bisogno per essere spiegato di essere attribuito alle persone, dicendo: quello è cattivo, quel presidente è incapace, e così via. Quando facciamo così, quando attribuiamo il male alle persone abbiamo già fallito nella conoscenza, e diventiamo subito personalistici. E questo non è mai convincente.
L’Apocalisse ci insegna a lasciare in pace le persone e a guardare alle forze sovrumane che spesso e volentieri – l’ho detto stamattina – si servono delle buone intenzioni dell’uomo per portare a compimento nell’umanità qualcosa di cui forse possiamo dire: questo non è bene per l’uomo. Ma il volere il male è qualcosa di sovraumano, non è umano.
Se volete, soltanto nel prossimo grande ciclo evolutivo, quando l’uomo salirà al grado angelico, solo allora comincia la possibilità di volere il male, perché anche il bene che può essere voluto da esseri di grado angelico è un bene molto più potente. L’uomo, dapprima, è capace solo di un bene modesto e, per questo motivo, non può volere realmente il male. Non può ancora avere le ispirazioni, i livelli di fantasia morale che gli permettono di distinguere così chiaramente l’essenza del bene da quella del male e così poter volere il male.
Intervento: Che differenza c’è fra l’evitare il bene e il volere il male?
Archiati: Bene. Chiediamoci qual è la differenza fra l’omettere o il tralasciare il bene, e volere il male. Diciamo che per conoscere il bene noi abbiamo a disposizione la nostra natura – cerco ora di spiegarlo da questo punto di vista –, ognuno ha la sua natura a disposizione, e l’esperienza di sé è il criterio per sapere cosa mi fa bene e cosa mi fa male. Questo ognuno lo sa per esperienza.
Prendiamo l’esempio del pensare: cos’è il bene nel pensare? Che io vada avanti a pensare sempre meglio. Un uomo può dire a se stesso: cosa è bene per me? Cosa mi aiuta ad andare avanti? Naturalmente ognuno può dirselo. Così come ognuno ha nelle sue mani l’autoesperienza, e così può sperimentare direttamente cosa sia il bene per lui, altrettanto non ha l’esperienza della contro natura dell’uomo, perché lui è un uomo e non un antiuomo. Significa che l’uomo può fare l’esperienza dell’umano ma non dell’antiumano. Forse altri Esseri superiori sanno cosa sia l’antiumano, ma io, come uomo, ho solo l’esperienza dell’umano. Questo è il criterio di cui dispongo. Io sperimento sempre di nuovo cosa è bene per me, e cosa non è bene per me. Noi abbiamo nella nostra natura umana il criterio del bene e del positivo, perché ci è connaturato. Quelle antiumane sono intuizioni di Mefistofele: le intuizioni dell’antiumano, Faust deve prenderle da Mefistofele, non le ha da se stesso, perché lui è un uomo e non un antiuomo. Questo tanto per cominciare a rispondere alla domanda.
Io ho a disposizione il criterio dell’umano poiché sono uomo, e non ho, invece, allo stesso modo a disposizione il criterio dell’antiumano, perché non sono antiuomo. Mefistofele c’è appunto per procurare tutte le ispirazioni per ciò che è antiumano, nocivo all’uomo, controforza. Perché se un uomo potesse avere un’intuizione esatta anche del male, dell’antiuomo, non avrebbe bisogno del Mefisto.
Ci eravamo spinti fino al verso 18, dove viene detto che i pagani, le nazioni, œqnh – quindi la parola per il popolo e la nazione viene esattamente utilizzata anche per i pagani –, sono diventati irati.
Io lo intendo nel senso che, fondamentalmente, l’uomo che non si è cristificato rimane nello spirito di gruppo; ecco da dove viene il riferimento ai popoli e ai pagani. Sono gli uomini rimasti al livello di spirito di gruppo, che hanno omesso di individualizzarsi, di sviluppare l’Io, che è lo specifico umano. Questi sperimenteranno l’ira divina.
Torna di nuovo l’ira. Nel caso vi interessasse: Ñrg» in greco, se noi prendiamo solo le lettere R e G, e lasciamo da parte le vocali, sono le stesse lettere che ci sono in Aerger (irritazione) e Arg (malizia)[41].
La parola Ñrg», si presenta sovente nell’Apocalisse: per esempio nelle sette coppe dell’ira.
Vi avevo promesso che vi avrei letto ciò che dice Steiner nel volume 346 a pagina 217, dove parla dei Misteri e dice che una certa frase nei Misteri del tempo che precede Cristo era indicata quale interpretazione dell’ira divina:
«Questo è ciò che nei Misteri veniva espresso condensato in una frase, che stupiva terribilmente e operava sugli aspiranti iniziati».
Poi Steiner scrisse quella frase alla lavagna, ed è conservato ancora il foglio su cui la scrisse. La frase diceva:
Citazione: «Nella sfera dell’illusione umana l’amore divino viene a manifestarsi nella forma dell’ira divina». Quindi nel mondo dell’apparenza quel che è amore divino, puro amore divino – perché Dio può solo amare – compare quale ira, collera, ma il mondo dell’apparenza è il mondo dell’illusione.
Come avviene? Come può essere che l’amore divino per gli uomini venga sperimentato, qui nel mondo dell’apparenza, come ira? Vedete, se prendiamo il concetto potremmo dire che l’ira è una sfida o qualcosa di difficile…, magari provo a dirlo in un altro modo, se nessun uomo avesse omesso alcunché, prendiamo per ipotesi che tutti gli uomini abbiano sempre fatto tutto il possibile nella direzione del bene, allora non ci sarebbe alcun motivo per coglierla come durezza.
Ma mi chiedo, è possibile che, se siamo già liberi, possa esserci anche solo un uomo che mai, ma proprio mai, abbia omesso un minimo? Del tutto impossibile. Allora l’evoluzione in chiave di libertà deve portare con sé infinite omissioni e questo per ogni uomo. L’unica eccezione è il Cristo, perché non aveva un karma umano. Ma essere uomini nella libertà significa omettere una quantità di cose che si sarebbero potute fare. Se così non fosse saremmo già perfetti e non saremmo più uomini.
Se la vita nella libertà comporta che anche nell’uomo migliore, con la migliore buona volontà molto venga omesso, allora interviene l’amore divino, e l’amore divino desidera aiutare l’uomo perché noti dove egli ha omesso, ed è amore proprio perché così potrà fare meglio, e sempre di meno omettere il bene. Aiutare l’uomo, questa è l’intenzione: che egli ometta sempre di meno il bene, che abbia sempre più gioia, che abbia sempre più bene, sempre più belle esperienze, e quante più ne ha, tanto meglio è.
È quindi evidente che nella libertà non ci può essere evoluzione senza dolore. Perché il dolore è il modo in cui l’amore divino ci rende attenti alle nostre possibilità, quelle che non abbiamo ancora rese creative, o pienamente tali. Ogni uomo ha molte possibilità che non ha ancora pienamente sviluppate, e per questo viene fatto attento mediante il dolore. A quel punto arriva davvero la libertà, e dipende da come l’uomo interpreta questa “ira divina” tra virgolette, come la vede, come si pone nei suoi confronti.
In cosa consiste ora l’omissione rispetto al dolore, a questo atto d’amore che viene percepito come brutale, perché scuote risvegliando? Lo scuotimento è un avvertimento amoroso da parte di Dio per renderci attenti, così che veniamo aiutati a recuperare. Questa è l’ira. Aiuto al recupero, scuotimento per riguadagnare il tempo perduto. Anche di fronte agli scossoni l’uomo deve avere la possibilità di omettere, perché anche lì è libero. Come fa? Chiamando quello scossone una pena, un castigo.
Il pensiero del castigo appartiene a uno dei passaggi più importanti dell’omettere umano, perché viene omesso di capire giustamente l’ira divina, che non ha nulla a che fare con la pena. E viene omesso perché la vivo come castigo, viene omesso di farne il meglio perché non la vivo come amore divino.
Riflettiamo su quanto è stato grande il pensiero del castigo nell’umanità, e ancora lo è. È del tutto ingannevole, perché, riflettiamo su cosa significherebbe se ci fosse un dio che si diverte o si è messo in testa di castigare gli uomini. Assurdo! Del tutto sbagliato. La divinità è puro amore. Prendiamo una mamma amorevole, che ama totalmente suo figlio. Ha bisogno di punire? Mai, mai. E se ora lei scuote un pochino suo figlio per aiutarlo a non omettere troppo, o a darsi una mossa, e il bambino interpreta il suo gesto come punizione, è ingannevole, lì viene omessa la giusta conoscenza.
Nella teologia cristiana c’è una quantità di omissione nella conoscenza per il fatto che questa comoda soluzione, o per meglio dire, questa bestemmia della punizione è usata semplicemente dappertutto. Un uomo si ammala, e parla di punizione. Fondamentalmente questa omissione conoscitiva è la scusa per fare emergere nell’ambito del fare la seconda omissione, e precisamente che ora si ha la scusa per non comprendere come la malattia, il colpo del destino, la difficoltà sia invece da capire come espressione dell’amore divino mediante cui mi viene offerta la possibilità di comprendere la richiesta esplicita che mi viene fatta per proseguire. È naturale che è più comodo parlare di castigo che di una sfida piena di amore. Ma il fatto che sia più comodo non vuol dire che sia meglio per gli uomini.
Vedete che l’Apocalisse con il concetto di ira divina ci mette nelle mani davvero uno strumento di conoscenza che se viene preso, afferrato con la forza del pensare di Michele – perché da lui deriva –, allora possiamo usarlo in modo eccellente quale strumento del pensare.
Cosa hanno fatto i pagani, che cadevano sotto l’ira divina? Gli altri, i buoni, hanno sperimentato l’ira divina come amore, e hanno preso la sofferenza come provocazione, l’hanno benedetta come una chance per andare sempre più avanti. Il pagano, l’uomo rimasto a livello di gruppo, ha omesso di individualizzarsi perché ha maledetto la sofferenza che è una provocazione all’individualizzazione, e ora semplicemente patisce di capitolare all’ira divina. Per questo l’ira divina è la spada a due tagli dell’evoluzione. O l’uomo cresce nel dolore, cioè alla prova dell’amore divino che mediante la sofferenza lo incita – o va avanti –, oppure continua ad omettere fino alla capitolazione.
Osservate ora come tutto sia veramente raccolto qui; da ogni versetto dell’Apocalisse si potrebbe sviluppare l’intera scienza dello spirito di Rudolf Steiner.
11,18 «Le genti ne sono diventate terrorizzate, ed è giunta la tua ira, e il tempo di giudicare i morti e di dare la ricompensa ai tuoi servi, ai profeti e ai santi e a quelli che temono il Tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare coloro che distruggono la Terra!»
Traduco alla lettera il verso 18:
E i pagani, i popoli, i pagani, çrg…sqhsan, si sono arrabbiati – la versione di Lutero dice: sono diventati irati – significa che invece di essere grati per l’ira divina, si sono arrabbiati. La mancanza è diventata per loro motivo di rabbia. E la tua ira venne su essi.
Vi faccio notare che in greco si tratta della stessa parola, e quindi si dovrebbe tradurre: I pagani divennero arrabbiati e la tua rabbia venne su essi; çrg…sqhsan, kaˆ Ãlqen ¹ Ñrg» sou. Come succede? Divennero arrabbiati e la Tua ira venne su di loro. Significa che hanno vissuto l’ira divina come occasione per arrabbiarsi, per scatenarsi contro di essa invece di coglierla come occasione per proseguire nell’evoluzione. Significa che si sono ribellati contro il dolore, sono diventati irati nei confronti dell’ira divina. Hanno ricambiato ira con ira. Il fatto che sia la stessa parola è straordinariamente interessante.
Kaˆ t¦ œqnh çrg…sqhsan, kaˆ Ãlqen ¹ Ñrg» sou, e venne la Tua ira e l’attimo, il momento temporale – non si tratta di un ciclo, ma del momento di una decisione –, per giudicare i morti. Se volete, cosa significa il giudizio dei morti? Ogni uomo muore più volte se partiamo dal fatto che viviamo più volte sulla Terra. Ma, diciamo, che nell’insieme la prima metà dell’evoluzione è un morire nella materia (v. Fig. sotto) e poi arriva il momento della svolta, quando da questo morire ogni elemento di questa morte viene trasformato in risurrezione.
Quindi il compito della libertà è quello di fare, per ogni passo che viene fatto verso il basso, nella direzione della materia, anche un passo verso l’alto, nel mondo spirituale. Gli uomini che omettono la propria evoluzione sono uomini che restano morti. Quindi tutti gli uomini “sono morti” mediante l’evoluzione, e il giudizio sui morti è che alcuni di loro restano morti – e vanno verso il basso, mentre altri uomini hanno trasformato la morte in risurrezione. Ma tutti siamo diventati morti, in un certo senso. Per questo il giudizio finale sarà un giudizio sui morti. E ora vengono tratti fuori coloro che hanno trasformato la morte, ogni morte, ogni modo di morire in una risurrezione, in una libera e individuale risurrezione. E coloro che hanno omesso di farlo sono rimasti morti, perché non hanno trasformato la morte in risurrezione.
Dobbiamo tener ben saldo che ogni frase dell’Apocalisse è veramente un nocciolo dell’evoluzione. Chi l’ha scritta è lo stesso redattore del Vangelo di Giovanni, e anche lì ha sempre espresso qualcosa di essenziale e mai si è perso in fronzoli o in aspetti marginali.
11,18 E i popoli divennero irati, e venne la Tua ira, l’ira di Dio, e il tempo, l’attimo, kairÒj! – kairos non è kronÒj che è il tempo che scorre, mentre il primo è l’attimo irrecuperabile.
Quindi vedete qui, nel disegno, la svolta. L’intera evoluzione è chronos, la totalità del tempo, e l’attimo irrecuperabile è il kairos. Qual è l’immagine prima, il fenomeno primigenio dell’attimo irrecuperabile? È l’inversione di marcia.
Anche i matematici possono prestare attenzione. Vedete, il Sole cresce all’orizzonte, raggiunge il suo punto più alto al 21 giugno, e poi torna giù. C’è dapprima un continuum, e poi un altro continuum, ma in mezzo c’è una svolta. Cos’è?
Intervento: Quel momento temporale non ritorna in quella forma.
Archiati: Sì, perché ora è il contrario della continuità, non è continuo. Come può essere espresso questo dal punto di vista della propria esperienza psicologica? È come se si dicesse: presta la massima attenzione, perché poi è troppo tardi. Quando sono qui non deve essere né troppo presto né troppo tardi. Qui, soltanto qui (indica la lavagna) è il momento giusto. Prima posso anche essere un pochino meno sveglio, si può recuperare, posso anche fare un attimo di siesta perché c’è tempo. Ma qui, al kairos, no! Se osservate tutta la questione dal punto di vista psicologico troverete meraviglioso che i greci avessero due parole per esprimere queste due qualità del tempo. Il tempo che fluisce, quando si può essere anche un pochino sonnecchianti, e l’istante in cui, invece, dobbiamo prestare la massima attenzione.
Sto cuocendo qualcosa sul fornello, e la padella cuoce, cuoce, cuoce, ma ora sta straboccando e io debbo subito spegnere. Posso forse aspettare tranquillamente altri 10 secondi? Se dite di sì è perché non avete mai fatto il cuoco e avete lasciato questo compito alla moglie (Risate).
Quindi ci sono veramente due qualità del tempo, la prima è il tempo che dura, che è continuo, e poi c’è l’attimo, quando si deve davvero compiere una svolta. Hai tenuto acceso il gas fino ad ora, ma adesso devi subito spegnerlo: la svolta. Ed è questione di un attimo. Naturalmente per non lasciarmelo sfuggire, ho spento… un attimo prima. Ma se lascio passare l’attimo, allora è troppo tardi e tutto brucia.
Ora, ritornando all’evoluzione, le parole greche volevano dire che la svolta per eccellenza è il kairos, è un’inversione di rotta. E un’inversione di rotta non si verifica nei secoli. (Mostrando la lavagna) Perché nell’insieme qui, l’umanità, può compiere un’inversione – è un fatto in chiave di continuità o discontinuità? Dal punto di vista umano e rispetto alle possibilità che presenta possiamo leggere l’evento in chiave di continuità, il che significa che l’inondazione della grazia divina offre all’uomo e all’umanità secoli, forse anche un paio di millenni, per portare a compimento la svolta. Questa è l’offerta della grazia. Ma ogni volta che l’uomo, sia nella conoscenza che nell’azione, sperimenta la svolta interiore, allora si tratta di un attimo.
Una immagine primordiale della svolta interiore è il fatto che per lunghi anni non ho capito qualcosa e la mia insipienza, la mia non comprensione proseguiva in chiave di continuità; poi, improvvisamente, si è accesa la scintilla e ho capito. È stata una faccenda di mezz’ora? No, è stato un lampo, perché la svolta tra la non comprensione e la comprensione è avvenuta in un attimo.
Possiamo dire che la svolta, intesa come l’insieme delle condizioni che la grazia ci offre per realizzarla è, sempre di nuovo, in chiave di continuità, ampiamente gratuita per dare a ciascun uomo la possibilità di tenere il passo e sperimentarla. Solo che i singoli processi, individualizzati e interiori che portano alla svolta sono sempre un chairos e non un cronos. È meraviglioso capirlo sempre meglio.
Oppure pensate a una decisone. Come sorge? È una faccenda di cronos, di tempo che continua a scorrere oppure è questione di un attimo? Finché ci penso, finché resto indeciso il tempo è pressoché uguale. Ma poi viene un attimo e io mi dico: ora scelgo questa soluzione, e questa è una faccenda di un attimo.
Una preparazione alla decisone può richiedere anche tempi lunghi, ma se per decidere ci impiego tre giorni questo non è il tempo della decisione, è solo il tempo della preparazione. In sé la decisone è fulminea: lo faccio! Così! È un fulmine, un fulmine di pensiero, questo è un chairos.
Ne deriva che nella libertà quando si lascia passare il momento giusto, allora è troppo tardi. Se tutto fosse comunque recuperabile allora non ci sarebbe evoluzione, e non ci sarebbe neppure la libertà perché tutto sarebbe recuperabile. Ci sarebbe sempre tempo per tutto, e non sarebbe mai troppo tardi né troppo presto, proprio perché tutto potrebbe essere recuperato. Ma appartiene al concetto di libertà che non tutto e allo stesso modo può essere recuperato. Quello che hai omesso è omesso. Solo parzialmente lo puoi recuperare, sotto altre condizioni che non sono più le migliori.
Il versetto continua e dice:
11,18 Per dare – questo è il giudizio finale – per dare tÕn misqÕn, che qui viene tradotto con premio. Il premio è il fratello della punizione e la punizione o pena è la sorella del premio; premiare e punire. In tedesco non abbiamo alcuna possibilità di tradurre correttamene quel termine se non prendiamo coraggio e adottiamo le parole della scienza dello spirito, che ci permettono di tradurre in modo pulito la parola greca generalmente resa con premio – misqÕς è il pareggio karmico, è il risultato della libertà esercitata.
Ciò che porta in errore è pensare che il castigo è cattivo e il premio è buono. L’errore consiste nel pensare che per un uomo che ha preso la sua evoluzione nella direzione dell’omissione sia necessario o addirittura fecondo aggiungergli ancora più sofferenza. No, è certo che il risultato dell’omissione è altro, e cioè che ogni uomo, alla fine dell’evoluzione è quel che lui stesso ha fatto o non ha fatto di sé. Non c’è bisogno di aggiungere altro e il pensiero del premio è falso, come lo è quello della pena. Non verrà aggiunto a nessun uomo nessun dolore in più che non abbia lui stesso prodotto e nessun uomo può essere reso migliore di quanto abbia fatto lui stesso. Il pensiero del premio per molte persone significa: siccome mi sono comportato bene, merito un dolcetto. No, questo è illusorio.
Oppure, detto altrimenti, il premio significa: uno lavora e merita un premio, una ricompensa. Ci sono conferenze di Rudolf Steiner nelle quali egli veramente inveisce contro questa mentalità del premio che la società borghese e la vita economica hanno preso dalla teologia. Perché se la teologia non avesse prodotto il pensiero del premio, noi forse avremmo avuto la possibilità di non tirare in ballo nell’economia, nella politica e così via questa assurdità del premio. In cosa consiste l’insensatezza del premio? O è prodotto da me, nel senso che sono io a fare ciò che faccio, e allora lo sperimento quale autoperfezionamento e non c’è bisogno che altri mi aggiunga niente di più dall’esterno, oppure è inutile. Infatti se a partire da ciò che faccio perfeziono me stesso e sono di vantaggio anche agli altri, allora gli altri saranno felici se mi daranno la possibilità di continuare a farlo. Soltanto se io non amo ciò che faccio e non sperimento una realizzazione piena di me, quel che faccio deve venir premiato da fuori perché era solo una sfacchinata.
Così abbiamo milioni di uomini che si sottomettono, che sbuffano e sbuffano, non vivono nessuna autorealizzazione, nessuna gioia, perché la cosa principale è il premio, il guadagno. Questa mentalità del premiare quale compensazione dell’omessa autorealizzazione, la borghesia odierna l’ha presa dalla teologia. E la teologia ha sviluppato questo pensiero illusorio perché si pensava che fosse pericoloso che l’uomo sperimentasse autorealizzazione in quel che faceva; no, doveva ricevere comandamenti, doveva fare il suo dovere, perché era pericoloso che lui facesse quel che voleva fare. Perciò ecco il premio per il compimento del dovere, il paradiso, l’andare in Cielo. Come premio per quel che l’uomo deve vivere qui sulla Terra, o meglio qui all’inferno, noi gli diamo il Cielo dopo la morte.
Si capisce quel che dico? Naturalmente è detto in un modo un po’ accentuato, ma in realtà riguarda proprio il nocciolo di tanta teologia. Di nuovo: l’unico premio che c’è è l’autorealizzazione, la realizzazione di tutte le dimensioni dell’umano. Quelli che hanno compiuto il bene umano saranno ricolmi della totalità dell’umano, di tutte le potenzialità divine che vengono loro offerte. Cosa si può fare o volere di più se si immagina che questo non sia sufficiente? Il premio dell’evoluzione è: essere diventati pienamente uomini. Non c’è nulla di meglio, nulla che si può aggiungere a questo.
Gli altri non vivranno nessuna pena, resteranno davanti a enormi vuoti che loro stessi avranno provocato in sé, perché hanno omesso, non hanno realizzato, non hanno portato a compimento, non hanno operato per amore dell’azione, e così via: enormi vuoti e questo sarà il loro sgomento «Avevo fame e non mi avete dato da mangiare… non … non …», enormi omissioni.
È erroneo il pensiero che sia necessario aggiungere un premio a chi ha già realizzato l’umano. E a quelli che hanno omesso il bene non è necessario fare il cicchetto: pensarla diversamente è un errore. Quindi si deve considerare tutto questo anche nel pensiero cristiano con un po’ più di pulizia. Non so bene come risuonasse al tempo di Martin Lutero la parola premio, ma oggi è un termine terribile. Quanto asservimento viene oggi vissuto dagli uomini in funzione del premio, e questa è una vita che non vale la pena di essere vissuta.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Da un lato è vero, dal lato della Chiesa, che voleva avere il denaro: sono d’accordo. Ma lo sono di meno se guardo dal lato del popolo, o delle persone povere che un tempo erano veramente molto poco materialiste. Il che significa che avevano molto meno questi vuoti evolutivi, queste omissioni di gioia, di pienezza. Una volta gli uomini erano essenzialmente molto più felici, molto più realizzati. Forse sudavano nei campi per i signori, ma una volta non lo notavano.
Penso ai miei genitori, per esempio. Mia madre – se Karl Marx avesse considerato la loro situazione avrebbe detto che si trattava di gente sfruttata, e così via; questo non toccava per niente mia mamma perché viveva nella pienezza –, viveva col pensiero: Cristo ci ama in un modo così meraviglioso, ci aiuta così che nulla può succederci di male. Questo è vivere nella pienezza, nell’autorealizzazione. E se un altro se ne approfitta, è un problema suo.
Solo che ora noi abbiamo un’umanità dove le persone come la mia mamma, alle quali nulla poteva nuocere, sono diventate sempre di meno, ora il sentire è più nella direzione marxista e questo cambia l’umanità. Anche per questo oggi abbiamo molte più persone che lavorano per il guadagno. E la lotta per le percentuali di reddito si fa sempre più aspra, i conflitti fra lavoratori e datori di lavoro più duri.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Non ne sono del tutto sicuro. Forse la Chiesa si augurava che la gente avesse questa angoscia, ma se penso alla mia mamma, devo dire che aveva molto più fiducia, e fede e gioia per il fatto che Dio fosse ricolmo di amore per noi, che non timore o angoscia per l’inferno. Lei non si è mai interessata dell’inferno.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Sì, questa analisi può forse essere vera, ma in ogni caso noi viviamo oggi, e non al tempo di Martin Lutero.
Vorrei ora far notare come noi oggi sperimentiamo il pensiero del premio e della pena. Dall’ambito teologico e religioso si è spostato nella concezione borghese, ma strutturalmente è lo stesso. Nell’ambito della giustizia abbiamo di più il pensiero della pena, mentre invece in quello economico più il pensiero del premio. Io li ho interpretati entrambi come alienazione dell’uomo, per dirla con Karl Marx, e difatti lo è. Solo che i pensieri potrebbero essere condotti ora in molteplici direzioni.
Siamo ancora al versetto 18:
E per dare – ora traduco io quel che di solito viene reso con premio – a ognuno ciò che ognuno è diventato o non è diventato – non c’è un altro premio, se non quello che si è diventati o non diventati. Questo risultato non può essere aumentato o diminuito da nessun Essere divino, perché ciò sarebbe la distruzione della libertà – … ai suoi servi e ai profeti. Dunque quello che traduciamo con premio è il bene, l’autorealizzazione, il divenire individuali che non è stato omesso, poiché questi uomini hanno dimostrato di essere servi di Dio e profeti. Quando un uomo è servo del divino nell’uomo allora cura il divino nell’uomo. E se un uomo è un vero profeta, allora sa che la profezia, la promessa per l’evoluzione futura è il positivo, il bene, il compimento del bene e non la minaccia dell’inferno. La grande affermazione che riguarda il futuro dice: guarda quante possibilità, quante occasioni hai ancora a disposizione e ti vengono offerte per realizzare, per divenire, per edificare te stesso nel senso del bene. Per questo c’è l’evoluzione. Quindi: servi del divino e profeti del positivo dell’evoluzione. 11,18 … e i santi. I santi sono gli uomini che hanno bisogno dell’evoluzione per santificarsi sempre di più, per diventare sempre più divini, sempre più risananti, con sempre meno vuoti e con tanta pienezza. Sperimentano in tutte le direzioni le potenzialità e le possibilità evolutive dell’uomo. 11,18 … e quelli che hanno avuto timore, reverenza davanti al tuo nome. Nel XV capitolo vedremo che la divinità ha tre nomi, e che è sempre trina e una. Ma cos’è il nome di Dio? La divinità che tace è il Padre. Ma il nome deve essere detto, e quando la divinità pronuncia il suo nome questo è il Figlio, e il Figlio è il Cristo, è l’Io. Quindi il nome di Dio, la manifestazione di Dio è, di nuovo, il divenire-Io. E coloro che hanno avuto timore, venerazione e devozione, hanno temuto Dio in senso positivo, hanno sperimentato venerazione di fronte al nome divino; Cristo, il divenire Io; sia i piccoli che i grandi – piccoli e grandi sono detti in riferimento alla scena di questo mondo; i piccoli sono quelli che nella società non occupano posti di rilievo, mentre i grandi sono quelli che hanno compiti direttivi nella società. Qui si dice che quella differenza ora non conta nulla: sia i piccoli che i grandi. Viene così detto che la differenza fra piccoli e grandi sulla scena di questo mondo è solo funzionale, solo una faccenda di organizzazione esteriore, ma l’essenza dell’uomo non coincide affatto in questo, ma nel modo in cui essi sono timorati di Dio, prendono sul serio il nome di Dio.
D’altronde nel Padre nostro c’è: sia santificato il Tuo Nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua Volontà. Permettetemi solo un accenno alla conferenza di Steiner sul Padre nostro, un contributo impareggiabile per capire il Padre nostro ad un altro livello. La Volontà è come un centro, un centro rotondo, da dove le forze volitive irraggiano proprio partendo dal centro (v. Fig. sotto). Poi c’è il regno di questa Volontà, cioè come il Signore qui in mezzo e la Sua Volontà, il Suo decreto – la Sua volontà è il suo decreto, è ciò che lui vuole – si espande fino alla fine del Suo regno. Che il Tuo regno venga, l’ampiezza del regno.
Quindi c’è la Volontà, che è l’impulso originario. Poi bisogna chiedersi: quanto tende ad espandersi questa Volontà? Fin dove domina questa Volontà?
Padre nostro che sei in cielo
Sia santificato il Tuo nome
Venga il Tuo regno
Sia fatta la Tua volontà.
Cos’è il nome? È il fatto che la Volontà divina raggiunge e abbraccia tutta l’umanità, questo è il Cristo, il Figlio. Il Figlio è l’intera umanità, e la volontà divina è che in questa ampiezza, in questa umanità totale sorgono uomini singoli che di nuovo ripetono in sé stessi l’intero; questo è il nome. Il nome è l’essere singolo, perché ognuno ha il proprio nome. Questo significa: il nome è il singolo essere.
Questa è la Trinità divina: il Padre è la volontà originaria dell’evoluzione, il proposito, il senso dell’evoluzione; il regno è l’intera umanità, è il Figlio; e lo Spirito Santo è il modo in cui ogni individuo, ogni Io umano cosciente di sé e capace di individualità è un piccolo microcosmo dell’intero macrocosmo. Questa è la divina Trinità nel Padre nostro. «Padre nostro che sei nei cieli» e ciò che è nei cieli così come lo è in cielo altrettanto lo è sulla Terra. «Sia santificato il Tuo nome» significa che noi dobbiamo ritenere santo l’Io di ogni uomo. «Venga il Tuo regno», il Tuo Figlio. «Sia fatta la Tua volontà» cioè la volontà del Padre è il Figlio in ogni uomo. La volontà del Padre «Sia fatta la Tua volontà» è il Figlio. «Venga il Tuo regno» in ogni uomo.
«Sia santificato il Tuo nome». Qui c’è il Nome, ora l’ho come nome…
11,18 …e i santi e coloro che hanno temuto il Tuo Nome – questo è appunto l’individuo, il singolo, colui che non solo nuota con gli altri impersonalmente, ma fa di se stesso un centro, un centro cosciente e volitivo di pensare e di volere; ognuno un centro di questo tipo, corresponsabile e non solo trascinato dalla corrente; questo è il mistero della libertà, il mistero dello Spirito Santo. Perché lo Spirito Santo è il Cristo interiorizzato e individualizzato, come ho sempre detto. Perché un Cristo che è ancora fuori, che parla allo stesso modo per dodici apostoli o per cinquecento persone, non è ancora il livello più alto; questo Cristo nel Vangelo di Giovanni dice: io devo andare, devo sparire quale istanza esterna, affinché venga lo Spirito Santo. Il senso dello scomparire del Cristo esteriore è il terzo livello, dove il Cristo viene interiorizzato in Bartolomeo, in Tommaso, in Filippo, in ognuno degli apostoli, in ogni uomo. La conduzione dall’esterno si trasforma nella conduzione da dentro, e ora parla e agisce il Cristo in me, in modo diverso entro ogni uomo. Ecco lo Spirito Santo. Il Nome è Cristo che in ogni uomo opera in modo diverso e pensa, per così dire, in modo diverso. L’umanità allora diventa molto ricca, molteplice come un organismo dove l’unità e la molteplicità sono contemporaneamente presenti.
11,18 …i piccoli e i grandi – questi sono i buoni. E cosa succede a quelli che hanno omesso l’evoluzione – diafqe‹rai toÝj diafqe…rontaj t¾n gÁn, per distruggerli, per distruggere, annullare la Terra. – Su questo diafqe‹rai (diaphthèirai) δι£ e φθορ£ (dià e phthòra) – un paio di accenni di Steiner segnalano che il verbo phtheirestai è una parola molto importante in Aristotele. Compare perfino nel titolo di una sua opera: Sulla generazione e corruzione, che si potrebbe anche tradurre «Sul sorgere e sul tramontare».
Il concetto greco di scomparire, tramontare, passare, esprime che tutto quello che sorge, che si manifesta, poi va in questa direzione. Quindi: sorge e tramonta. E questo concetto viene di nuovo tradotto con “annientare”! si tratta di un tramontare o di un annientare? Per coloro che moraleggiano non basta il tramontare, il fatto che qualcosa passi. No, deve essere annientata! È scorretto tradurre così perché in greco c’è “passare”.
Vedete come il moraleggiare sempre di nuovo scombina le cose. Se qualcosa passa, che bisogno c’è che io la annienti? Riflettiamo ora su quali conseguenze psicologiche sorgono nel passaggio dal concetto di “passare” a quello di “annientare”. È una affermazione: ah, è passata, c’era la nebbia, è arrivato il Sole – passata. «Il Sole ha annientato la nebbia!». Che tipo di psicologia sorge? Psicologia di guerra. C’è già abbastanza guerra e non è necessario che trasformiamo tutto in lotta. Perché è sufficiente che la nebbia passi, non è necessario “annientarla”.
Intervento: Dove è rimasto il genio della lingua per essere arrivati a questa trasformazione?
Archiati: Teniamo presente che Lutero stesso, da buon monaco agostiniano, aveva assorbito moltissimo dal cattolicesimo. Lutero non è soltanto l’Arcangelo della lingua tedesca, ma è anche il contenitore del monachesimo agostiniano, che ha lottato molto con la pena e il premio. Nel castello di Wartburg, dove è stato Lutero, mi hanno mostrato le tracce di quel che resta del calamaio scagliato contro il diavolo da Lutero stesso: ci sono ancora i segni sul muro. Così mi è stato raccontato, ma con questo non voglio dire che io abbia creduto a tutto.
È comunque storicamente provato che Lutero ha lottato moltissimo col problema della predestinazione, e la predestinazione è la pena alla quale sei condannato, poiché ci sono uomini che sono dannati.
Dannato è altro che non “passato”, o se io affermo che sono fatto di enormi vuoti – vengo dannato.
Lo ripeto: quello a cui ho accennato l’altro ieri risale ad Agostino, e Lutero era un monaco agostiniano. Nella sua giovinezza aveva studiato approfonditamente gli scritti di Agostino, dobbiamo ricordarlo se vogliamo tener presente l’intera opera di Lutero. Non perché divenne protestante diventò improvvisamente tutto un altro uomo. Pensate a quel che hanno fatto i principi a partire da quanto lui aveva proposto.
Agostino si era occupato della predestinazione perché naturalmente nell’Apocalisse, quando si fanno le somme dei bilanci, la domanda sulla predestinazione è decisiva. Perché un uomo può dire: se Dio è onnipotente e onnisciente, allora ha già deciso a priori chi si salverà e chi si dannerà. Predestinazione.
Cosa significa predestinazione? Determinazione a priori. Agostino ha lottato molto, offrendo risposte una volta più accentuate in senso positivo e un’altra in senso negativo, ma in sostanza Agostino non è riuscito a mettere in accordo la predestinazione, e cioè la onniscienza e la onnipotenza divina con la libertà dell’uomo. Perché la domanda è: o Dio è davvero onnipotente, e allora è Lui a decidere chi va in cielo e chi va all’inferno, oppure, se non è Lui a decidere, ma è la libertà umana a essere decisiva, allora non è onnipotente; e questo anche, non va. Agostino ci ha sbattuto la testa a lungo. Non dobbiamo pensare che gli uomini abbiano sempre pensato soltanto a quale tipo di pantaloni o di automobili dovessero comprare. No, c’erano altre cose che gli uomini mettevano al centro delle loro riflessioni, e una di queste era la predestinazione.
Nel quarto, quinto secolo Agostino già non era più in grado di distinguere – ora uso le parole di Steiner – tra evoluzione di razza ed evoluzione individuale.
Se non si fa questa distinzione non si viene a capo del problema della predestinazione. Altrimenti si deve dire che se è l’uomo a decidere di andare in cielo o all’inferno, allora Dio non è onnipotente, perlomeno la sua onnipotenza è messa in discussione.
Ciò che è predeterminato sono le possibilità evolutive, cioè, i livelli dell’evoluzione sono prestabiliti. Le condizioni devono assolutamente essere predisposte – ne ho già parlato (v. Fig. sotto), e quindi la prima metà dell’evoluzione non ci interessa, perché è già accaduta. Qui c’è la svolta e ora debbono essere presenti due possibilità. Lo dico in sintesi.
Ora cosa deve essere predeterminato, che cosa Dio deve necessariamente predisporre, cosa ci deve essere? Che ci sia una costellazione, una possibilità sia di andare di sopra che di andare di sotto.
Per esempio, cosa deve essere predeterminato per dare agli uomini la possibilità di andare di sotto? Se deve essere presente la possibilità della libertà – altrimenti l’uomo non sarebbe libero, perché egli può andare anche verso il basso – cosa deve essere predeterminato, in modo tale che debba essere così? Le controforze. L’offerta delle controforze deve esserci, deve essere predeterminata.
Siamo nell’anno 2003 (v. Fig. p. 216) e debbono esserci le condizioni, le circostanze per essere sia qui sopra, che là sotto. E queste circostanze debbono essere predeterminate da Dio. Ora le chiamo circostanze, che è una parola di circostanza; se volete, trovatene pure una migliore. La cosa importante è che ci si capisca.
Questo significa che le condizioni devono essere predisposte ad ogni gradino e per tutte le possibilità nelle quali l’uomo può incappare. Quale uomo, a quale livello, in quale posizione venga a trovarsi, questo è lasciato alla libertà. Ma le possibilità, le forze debbono esserci per permettere sia un esito che il suo opposto. Predestinate sono tutte le forze che rendono possibile l’evoluzione in entrambe le direzioni: queste debbono essere predeterminate e predestinate altrimenti l’evoluzione procederebbe a casaccio o alla cieca.
Agostino non aveva più la possibilità di distinguere in modo pulito queste due dimensioni, questi due piani dell’esistenza. Le condizioni universali per fare il bene e per tralasciarlo (e questo implica l’esistenza delle controforze), entrambe debbono essere predeterminate a ogni livello. Come l’uomo decida di collegarsi con una delle forze indicate viene lasciato alla sua libertà. Soltanto in questo modo noi possiamo salvare sia l’onniscienza e l’onnipotenza divina che la libertà dell’uomo.
Per me la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è veramente la prima manifestazione culturale che, su tutta la linea, pone questa fondamentale e metodica distinzione. Allora il tutto ha senso. Altrimenti la teologia stessa finisce in un groviglio senza questa fondamentale distinzione, ed è costretta a dire che se un uomo va all’inferno è perché è predestinato ad andarci. Chi può far sì che la sua volontà sia più forte di quella divina? Come può la volontà umana superare quella divina?
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Bene, allora la libertà è forse un’illusione, un’immaginazione dell’uomo. Naturalmente la libertà è stata ridimensionata, e le chiese se ne sono occupate poco volentieri, perché in primo piano è stata messa l’onnipotenza divina. Ma i problemi, le domande non hanno trovato risposta, almeno non hanno trovato risposta convincente.
Intervento: L’islam… è preordinato (il seguito dell’intervento è acusticamente incomprensibile).
Archiati: Sì. Nell’islam c’è una notevole sottolineatura della predeterminazione. Nel Corano è assoluta. Se lo prendo seriamente come testo, non resta nessuno spazio per l’effettiva libertà dell’uomo, ma neanche un po’. Naturalmente se lo prendo sul serio.
Ho fatto recentemente una conferenza[42] sulla attuale situazione del mondo e di nuovo ho avuto la fortuna di avere fra gli ascoltatori qualche musulmano; questa volta c’era una raffinata e carina giovane donna col velo, che mi ha parlato durante la pausa, e io le ho detto: sarebbe proprio bello se lei venisse qui davanti e volesse parlare un pochino. Le ho chiesto: vuole farlo? Era una giovane musulmana. Oggi in Germania abbiamo milioni di persone che si occupano delle relazioni fra cristiani e musulmani, ma la maggior parte dei cristiani non ha mai sentito parlare un musulmano, non ha mai percepito come articola i suoi pensieri.
Ebbene: ha accettato, è venuta davanti e ciò che ha detto era interessante da ascoltare anche perché io le lanciavo un po’ di provocazioni da smontare. È arrivato il momento di parlare della libertà e lei ha tentato di mostrare che il Corano è fondato su questo. Per me era molto importante stare ad ascoltarla e non subito controbattere, perché non era necessario. Pensavo: qui c’è una persona che parla tedesco; già per il solo fatto di parlare tedesco, è presente una certa evoluzione della coscienza, altrimenti non si potrebbe affatto parlare tedesco; in secondo luogo è un essere umano che vive nella nostra società; e, in terzo luogo, nel nostro tempo. Quindi l’individuo sperimenta già che deve afferrare se stesso, che alcune cose dipendono da lui e non tutto dipende da Allah. L’autoesperienza dell’uomo, in particolare nei nostri luoghi, spinge molto nella direzione della responsabilità dell’individuo. Quella donna ha tenuto un’arringa, ha veramente cercato di mostrare che la libertà è fondata nel Corano, che l’uomo è libero. E sapete quale esempio importante ha portato? Che nel Corano è scritto che l’uomo è il lavoratore della terra. Per lei questa era la dimostrazione del fatto che, allora, l’uomo è libero.
In quel momento non l’ho detto, ma fra me pensavo: questo non ha nulla a che fare con la libertà, perché anche gli animali, i buoi, per esempio, che io stesso ho condotto quando ero un bambino, sono lavoratori della terra. Quindi essere lavoratore della terra qui non ci dice niente. Ma per me era importante osservare che cosa lei trovasse nel Corano, in questo testo sacro, per consolidare la sua esperienza secondo la quale l’uomo è libero, è responsabile. Era straordinariamente interessante. Per me il risultato – che non le ho detto perché volevo davvero soltanto percepire le sue affermazioni – è stato la conferma che nel Corano la libertà dell’individuo non gioca quasi alcun ruolo, non ha posto. Questo è un grande mistero dell’umanità. Lo vedremo quando saremo alla fine del tredicesimo capitolo, se mi darete la possibilità di arrivare fino là, quando farà la sua comparsa il mistero del 666. Perché con questo l’Apocalista indica davvero Maometto.
Arriviamo alla fine dell’undicesimo capitolo.
11,19 «E si aprì il Tempio di Dio nel cielo, e apparve l’Arca dell’Alleanza e seguirono fulmini, voci, tuoni, un terremoto e grandine grossa»
E si aprì, – ºno…gh, il Tempio di Dio nel cielo, e apparve l’Arca dell’Alleanza – quindi nel Tempio di Salomone. Il Tempio era il luogo di protezione dell’Arca dell’Alleanza. Così come il Tempio, anche il corpo dell’uomo è la protezione del cuore, dell’amore. L’amore dell’uomo è il legame con l’amore di Dio, è l’amore che contraccambia l’amore. L’amore divino è l’amore all’Io, alla libertà dell’uomo, e l’uomo realizza la sua individualità mediante l’amore. E anche in questo Tempio è naturalmente collocata l’arca dell’alleanza, l’accordo, la comprensione reciproca fra l’uomo e Dio. Perché il legame fra l’uomo e Dio consiste nel fatto che Dio dice all’uomo, ed è un patto, io ti dono la libertà e l’uomo risponde: bene, e io ti dono l’amore.
Questo è il legame con la divinità. Io ti do la libertà, ma attenzione, tu realizzi la libertà, tu sarai libero solo mediante l’amore. E l’uomo dice: bene, sto a questo patto. Accetto lo scambio, prendo la libertà che mi offri e ti rendo, in contraccambio, l’amore quale realizzazione della libertà. Così abbiamo realizzato entrambi ciò che era nel patto: Tu hai raggiunto la tua volontà, darmi la libertà; e io ho realizzato la mia volontà di compiere, mediante l’amore, la libertà e diventare così sempre più libero.
11,19 …e apparve l’Arca dell’Alleanza – ™n tù naù aÙtoà, nel suo tempio, e seguirono… – sempre quali risultati finali dell’evoluzione, non al passato. E il Tempio di Dio fu elevato nel cielo, e apparve l’arca dell’Alleanza e seguirono fulmini, voci, tuoni, un terremoto e grandine grossa.
Prendiamo i fulmini quali risultato del pensare e analogamente le voci per il cuore. Tutte le immaginazioni e le percezioni vengono riassunte nei fulmini; tutte le ispirazioni nelle voci, mentre i tuoni sono gli impulsi di volontà, i fatti, ciò che è nel volere. Questa sarebbe una proposta interpretativa, ma voi potete trovarne di migliori, se volete. Fulmini: l’evoluzione del pensare; voci: l’evoluzione dell’amore, del cuore; tuoni: evoluzione della volontà.
Ora la Terra, che è gravida di questa triplicità, e cioè vuol diventare umana nel pensare, nel sentire e nel volere, trema, esulta e gioisce, perché è venuto il tempo del suo compimento, il culmine della sua evoluzione. Proprio per questo cade in basso il decimo, cioè precipita la polvere cosmica e quindi la Terra, cioè le forze del fantoma delle pietre, le forze viventi delle piante e le forze animiche degli animali risorgono assieme con gli uomini.
Cos’è la grossa grandine? La Terra da sotto trema, il terremoto, e la grandine – lo vedremo ancora più tardi – viene interpretata da Steiner, per quanto riguarda l’Apocalisse specialmente riferendola a quel che appare in cielo, con le meteoriti, con le comete. Le meteoriti sono corpi cosmici che non hanno un’orbita regolare, come invece l’hanno i pianeti, e, fondamentalmente, servono – lo vedremo col drago, che cerca di servirsi della loro orbita retrograda, che cerca di servirsi delle meteoriti –, per sconvolgere le orbite del sistema solare. Quando questo comincia a riuscirgli allora è la fine, perché passa ciò che è destinato a tramontare nel sistema solare.
Tutto ciò che è materiale viene polverizzato e risorge tutto lo spirituale quale premessa per una nuova creazione, per una Terra nuova, quella che Steiner chiama Giove, quando di nuovo mediante gli Spiriti della forma qualcosa verrà conformato in modo da essere fondamento per la prossima quinta reincarnazione della Terra.
Questo è il mistero delle meteoriti, della grandine che come le meteoriti giunge solo in via eccezionale sulla Terra nella sua forma materiale. Ma la grandine di cui si parla qui sono forze cosmiche che con la diffusione del ferro meteorico portano sulla Terra forze spirituali, forze elementari che sono necessarie per l’evoluzione dell’uomo. Ma queste meteoriti debbono apparire più volte. Il mistero delle meteoriti nell’immagine della grandine compare varie volte nell’Apocalisse.
Facciamo una pausa.
***
Cari amici, una persona ha richiamato la mia attenzione su quel passaggio del Vangelo che certo tutti ricorderete, si trova nel capitolo 19 di Luca, dove si potrebbe pensare, almeno a partire dalla traduzione tedesca, a qualcosa come il premio e la pena. Vi leggo la traduzione di Lc. 19,22-27. In questo testo è evidente che tutti hanno ricevuto una mina, un talento all’inizio: manas è il pensare, la potenzialità spirituale. Ci sono sempre le consonanti M e N – meinen, in tedesco: aver opinione, to mean, manas, minos –. Il tedesco ha privilegiato il pensare così tanto da identificare l’uomo proprio con quelle consonanti: Mensch. Dunque: la mina è un talento spirituale, potenzialità spirituale.
Matteo si pone, nel racconto parallelo, nella prospettiva di una singola vita, e se noi ne prendiamo una, per esempio questa, noi siamo individualità differenti, perché la iniziamo con talenti differenti: uno ne ha ricevuti cinque, l’altro due e l’ultimo soltanto uno. In verità se si prendono tutti i vangeli insieme o, come si dice in tedesco, “Il Vangelo”, che sarebbe l’intero Nuovo Testamento, si scoprirebbero cose bellissime. Per esempio il modo in cui la questione della reincarnazione, delle ripetute vite terrene, si inserisce nel Vangelo attraverso le parabole.
Dunque Luca ha la prospettiva che va dall’inizio alla fine (v. Fig. p. 223): qui l’inizio e qui la fine. All’inizio tutti gli uomini ricevono in ugual misura, perché il buon Dio sarebbe ingiusto se a uno offrisse di più e all’altro di meno. Quindi noi abbiamo dieci uomini – rappresentativi di una quantità di uomini – e ognuno riceve una mina. E alla fine – uno ha fatto diventare dieci la sua mina, un altro cinque e il terzo è rimasto con una mina.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: No, non l’ha sepolto in terra, questa è la versione di Matteo. In Luca è rimasto con una mina soltanto perché ha poltrito, ha omesso. E come viene rappresentata l’omissione? Ha nascosto la mina, il talento, nel fazzoletto. Significa che invece di usare il fazzoletto per asciugarsi il sudore, visto che non ha sudato ha usato il fazzoletto per tenervi sepolta la mina.
Sono immagini magiche, bellissime, se si sa tradurle in modo scientifico-spirituale in concetti. Infatti un fazzoletto ha senso soltanto se si pensa: ma quando si suda? Sudare significa non omettere nulla ma realizzare la libertà. Se usa il fazzoletto per seppellirvi il talento allora significa che non sta sudando, ma sta omettendo, omettendo e poi ancora omettendo. Come si può dire nella nostra lingua che non fa crescere il suo talento? E ora viene a rendere conto col suo talento e il capo dice: no, no, così non va; non sono contento che sei tornato con uno, perché uno ti avevo dato: o aumenta o diminuisce.
Nel racconto di Matteo il talento viene sepolto nella terra – sono gli uomini che poltriscono, perché sfruttano gli altri mediante il possesso dei beni e dei terreni. Veramente nei vangeli sono contenute queste cose, anche queste precise situazioni economiche sono narrate nelle parabole evangeliche. Il fannullone sfrutta gli altri uomini perché vorrebbe vivere grazie ai talenti degli altri, senza sudare. Ho messo in evidenza la polarità delle due parabole nel mio libro Uomo e denaro[43].
Ebbene: se tutti hanno all’inizio uno, e alla fine da uno a dieci – per esempio dopo dieci reincarnazioni – allora significa che la prospettiva di Luca, riguardo all’evoluzione umana, è quella dell’inizio. Matteo, invece, isola un momento di questa prospettiva evolutiva, una singola vita (per dirlo in modo molto sintetico) e per questo motivo all’inizio di quella vita uno riceve cinque, l’altro due e l’ultimo soltanto uno. Perché questa ingiustizia? Non è affatto un’ingiustizia, ma presuppone soltanto che tutti e tre – che rappresentano tutti gli uomini – abbiano dietro di sé un’evoluzione, che mediante la libertà siano diventati diversi gli uni dagli altri.
Il primo raddoppia i cinque che aveva, in dieci. Ha raddoppiato, non decuplicato; si tratta di una sola vita. Cinque è la grazia, e gli altri cinque vengono da ciò che la libertà ha fatto a partire dalla grazia. Questa è la prospettiva di una vita. Lo stesso vale per quello che da due è passato a quattro, mentre l’ultimo resta con uno, e lo ha sepolto nella terra (v. Fig. p. 223).
Ora in Luca compare quello che da uno ha fatto dieci e il Signore dice: meraviglioso. Poi viene quello che da uno ha fatto cinque – altrettanto bene, perché cinque significa che quelle erano le sue capacità e lui ha fatto del suo meglio. Il primo poteva decuplicare e il secondo quintuplicare. Poi viene quello che è rimasto a uno – e il Signore dice: no, no, così non va, tu sapevi che io volevo indietro di più di quello che ti ho dato. Il Capo di sopra, infatti, è un buon affarista. Cosa significa che sapevi di dover rendere di più di quanto avevi ricevuto? Tu lo sapevi per esperienza personale che l’uomo è libero. La libertà consiste appunto nel fatto che la grazia offre le facoltà, mentre la libertà deve aggiungere il resto. E che cosa deve aggiungere? La realizzazione di quelle facoltà. Perché se l’uomo nella sua libertà non ci mette del suo, possiamo dire che questo è bene? No, perché ha omesso in chiave di divenire umano. E se non l’ha fatto resta forse soltanto con quello che gli ha fornito la grazia? La grazia gli aveva fornito la facoltà della libertà ma se lui non la realizza torna indietro. Una facoltà che non viene attuata, che non viene mai attivata, una capacità che non viene mai rinforzata finisce per scomparire.
Ho sempre portato l’esempio di una persona che a vent’anni sapeva suonare molto bene il pianoforte. Poi per quaranta o cinquanta anni non tocca più una tastiera: saprà ancora suonare così bene a ottanta o novanta anni? No. Una capacità che non viene più utilizzata scompare. Per questo motivo al terzo viene detto che lui non può restare con uno, ma gli viene tolto e resta con nulla. La capacità è andata perduta perché non è mai stata attivata; questo è il gradino della bestia, nella quale non c’è più alcuna possibilità di libertà. Perché quello è il livello della bestia: nessuna facoltà di libertà.
Ora vengono i traduttori, i teologi – In che cosa consiste il moralismo che ci viene infilato? A quello che ha molto, perché ha colmato e realizzato tutte le sue possibilità evolutive, a lui viene dato molto, e gli viene detto: bene, ti faccio re di dieci città, mentre all’altro, a quello che non ha realizzato nulla, viene detto che gli verrà tolto anche il poco che ha. Cosa è successo nelle traduzioni? Il dare e il portare via quali aggiunte dall’esterno. Ripeto il ragionamento: quello che pensa di presentarsi solo con l’uno che aveva ricevuto, si illude di avere ancora quest’uno: di fatto non ha più nulla. Deve rendersi conto per esperienza propria che ha perduto la facoltà di libertà, che è passata, che quel che è andato è andato. La domanda è: ma c’è qualcuno che gli ha portato via qualcosa? No, è lui che l’ha perso. Vedete la differenza? La traduzione insinua il concetto che qualcuno gli porti via qualcosa. No, alla fine dell’evoluzione nessun Dio può variare ciò che l’uomo ha fatto nella direzione del bene, né nella direzione contraria. Significa che il giudizio finale sarà soltanto un riconoscersi.
Osservate ora la traduzione: Signore, egli ha già dieci mine, perché ne vuole di più? Viene implicitamente richiesto. Significa che la realizzazione della libertà è crescere sempre di più, sempre di più, sempre maggiore pienezza, maggiore umanità, più completa realizzazione di potenzialità. L’omettere, invece, significa: sempre meno, ma nulla viene aggiunto o tolto dall’esterno.
Luca 19,26: «Io vi dico: a coloro che hanno verrà dato di più – notate la traduzione “verrà dato” – e a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha». Ha ricevuto uno, perché ora gli viene tolto? No, è lui stesso che l’ha perso, che ha omesso. E se pensa di presentarsi con questo uno si illude, perché è lui stesso che ha perduto capacità di libertà.
Le parole greche, che sono molto più aperte, vengono tradotte restringendo il significato al dare e al portare via, e così questa morale del premio, questa etica del premio si infila nella traduzione. Ma il testo vuol dire: colui che realizza la libertà, che diventa uomo, allora cresce sempre di più – non viene aumentato dall’esterno, e colui che omette diventa sempre meno nel suo essere fino a non avere più niente alla fine di ciò che aveva ricevuto quale potenzialità, facoltà. Anche quello che ha ricevuto dalla grazia come possibilità di evoluzione, anche questo si è giocato perché non ha colto le opportunità.
Questo basti, per ora, a chiarire le difficoltà che abbiamo visto, perché il passo di Luca è effettivamente molto complicato. Basta non capire cosa vuol dire e subito si leggono quelle parole in chiave di etica del premio, di premiazione o punizione.
Arriviamo ora al dodicesimo capitolo. Potete esser contenti perché è uno dei più belli dell’Apocalisse, con la sua meravigliosa apparizione della Donna vestita di Sole. Prima vi ho letto la traduzione originale di Lutero e qualcuno mi ha fatto notare che non è quella riveduta e aggiornata col linguaggio odierno, e perciò il tedesco è risuonato un po’ antico. Ora ve la leggo nella traduzione riveduta, così che la lingua risuoni un po’ più moderna.
12,1: “Apparve un segno grandioso nel cielo: una donna vestita di Sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle.
12,2: Era incinta e gridava nel travaglio e nelle doglie del parto.
12,3: E un altro segno apparve in cielo, ed ecco un grande drago rosso, che aveva sette teste e dieci corna, e sulle sue teste sette corone.
12,4: E la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le gettava sulla Terra. E il drago si mise davanti alla donna che doveva partorire, per divorare il bambino che avrebbe partorito.
12,5: Ed ella partorì un figlio, un maschio, che doveva governare tutte le nazioni con scettro di ferro. E il figlio fu portato verso Dio e verso il suo trono.
12,6: E la donna fuggì nel deserto, dove per lei c’era un luogo preparato da Dio, affinché vi fosse nutrita per 1260 giorni (ancora una volta dobbiamo capovolgere in 2160)
12,7: Scoppiò una guerra in cielo: Michele e i suoi Angeli combattevano contro il drago. E il drago combatteva coi suoi Angeli
12,8: e non vinsero, e la loro città non ebbe più posto in cielo.
12,9: Il grande drago venne gettato fuori, il serpente antico, colui che si chiama diavolo e satana, che seduce il mondo intero, e fu gettato sulla Terra, e con lui furono gettati i suoi Angeli.
12,10: Io udii una grande voce che parlava in cielo: ora si è compiuta la salvezza e la forza, e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato gettato fuori l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava giorno e notte davanti a Dio.
12,11: Essi lo hanno vinto mediante il sangue dell’agnello e la testimonianza del loro martirio e hanno non amato la loro vita fino a morirne.
12,12: Perciò rallegratevi voi, o cieli, e coloro che vi abitano! Ma guai alla terra e al mare! Perché il diavolo viene a voi ed ha una grande ira, e sa che gli resta poco tempo.
12,13: E quando il drago vide che era stato gettato sulla Terra, perseguitò la donna e il bambino che era nato.
12,14: E furono date alla donna due ali di grande aquila, affinché fuggisse nel deserto in un luogo dove doveva essere nutrita per un tempo, due tempi e un mezzo tempo, lontano dalla vista del serpente.
12,15: E il serpente vomitò dalla sua bocca acqua come di un fiume contro alla donna, per sommergerla,
12,16: Ma la Terra aiutò la donna, aprì la sua bocca e ingoiò il fiume che il drago aveva vomitato dalla sua bocca.
12,17: E il drago si infuriò contro la donna e andò a combattere contro tutti gli altri della sua stirpe, coloro che osservano i comandamenti di Dio e hanno la testimonianza di Gesù”.
12,18: “E si fermò sulla riva del mare” – quest’ultimo versetto dobbiamo collegarlo col prossimo capitolo, e non deve essere tradotto con la terza persona singolare ma con la prima: mi fermai, è l’Apocalista che si ferma, – κaˆ ™st£qh. Dunque il versetto 18 non appartiene a questo capitolo. È un errore legarlo al dodicesimo.
Come sono possenti queste immagini! Lo scorso anno, forse lo ricorderete, dissi qualcosa l’ultimo giorno su queste possenti immaginazioni.
Prima di iniziare l’analisi diciamo, riassuntivamente, che questa donna è l’anima umana. Essa si collega con le tre realtà del mondo…
Quindi l’anima umana, o l’uomo (v. Fig. sotto; facciamo questa parte in giallo, così che l’animico venga messo un pochino in primo piano) e ora attorno alla testa – dove noi prima abbiamo avuto difficoltà con l’altra apparizione dell’Angelo, con le nuvole, dove ci siamo chiesti: sì, ma dove dobbiamo mettere l’arcobaleno sulla testa… e così via? – qui la triplicità è assolutamente chiara.
Qui c’è una corona di stelle, che sono le forze dello Zodiaco, e poi le forze solari, attorno al cuore rivestito di forze solari. Sono le forze dell’amore, del sentire; qui c’è l’aura della regione intermedia mentre sotto ci sono le forze della Luna, le forze della morte, della natura.
L’ostensorio cristiano è strutturato esattamente secondo queste immagini dell’Apocalisse. Lo spicchio lunare sono le forze di natura, che diventano il contenitore per l’evoluzione dell’amore dell’uomo. A questa evoluzione dell’amore vengono incontro le forze della saggezza, la saggezza delle dodici costellazioni zodiacali. Abbiamo, se volete, le forze del pensare – le stelle zodiacali –, le forze del sentire, solari, dell’amore, del cuore, che rivestono; e sotto i piedi le forze della volontà, le forze naturali. La luna sta anche per la Terra, le forze terrestri e lunari insieme.
L’ostensorio cristiano (v. Fig. p. 228) è uno spicchio di luna con dentro l’ostia: forze lunari e forze solari. Le prime sono sotto i piedi. Rudolf Steiner sottolinea spesso che l’ostensorio è l’ultimo resto del cristianesimo cosmico, di un cristianesimo che ancora contiene una dimensione cosmica, perché il Cristo è connesso col Sole e la Donna vestita di Sole lo è con le forze stellari dello zodiaco.
Che questa dimensione cosmica del cristianesimo sia andata perduta è stata una necessità evolutiva, e i cattolici, per tacere dei protestanti, diventano nervosi se si parla di Cristo come di un Essere solare. Ma il fatto che sia andata perduta la dimensione cosmica del Cristo e del cristianesimo dà all’individuo, al singolo uomo, la possibilità di guadagnare di nuovo, a partire da se stesso, dai suoi talenti – per restare alla parabola dei talenti – la conoscenza dell’essenza cosmica di Cristo e del cristianesimo. Quel che l’uomo si conquista nel suo sforzo conoscitivo, nel suo coraggio conoscitivo ha molto più valore di quel che tradizionalmente e passivamente conosce, perché gli è stato semplicemente detto.
In questo senso è proprio una premessa della libertà che tutto ciò che dapprima ci è stato dato dall’esterno quale saggezza tradizionale, quale tesoro conoscitivo, in un primo momento scompaia, per dare all’individuo la possibilità di riscoprirlo a partire dalla sua libertà. Se è così allora non dobbiamo considerare negativo il fatto che il cristianesimo cosmico sia andato perduto, e con esso tutto ciò che è legato alla tradizione, alle chiese, se ciò offre ora all’individuo l’occasione, a partire dalla sua gratitudine, a partire dal suo amore per Cristo, di ritrovare nuovamente e in forma del tutto individuale la dimensione cosmica.
L’anima umana racchiude in sé tutte queste forze. Qual è il senso del fatto che l’anima umana sia recettiva per la saggezza zodiacale, per il calore d’amore del Sole e per ciò che è di natura volitiva, portante della Terra e della Luna? A cosa serve tutto questo per l’anima dell’uomo? A far sì che essa diventi da recettiva a generatrice. L’anima riceve tanta grazia, e il senso della triplice grazia zodiacale, solare e terrestre-lunare è di dare all’uomo la forza e la capacità di sviluppare la sua propria libertà, di generare creativamente la libertà. Significa che il senso della grazia ricevuta, o la somma della grazia, è il rendere capaci di diventare co-creatori, corresponsabili, perché l’uomo non è stato creato solo per ricevere; perché questo sarebbero gli altri esseri di natura: animali, piante e minerali ricevono soltanto. Sono ambiti dove si manifesta l’opera divina, e non possono decidere o agire da sé. Lo specifico dell’uomo, invece, la sua novità consiste nel fatto che Dio ha deciso di conferirgli la capacità creativa analoga alla sua, di renderlo attivo come Lui, corresponsabile perché questo è ciò che chiamiamo libertà, che la divinità chieda di più di quanto ha dato.
Questo è ciò che, in più, l’uomo deve rendere rispetto a ciò che ha ricevuto: è il bambino, quello generato dall’anima umana. E questo bambino è il Cristo-bambino, il Cristo in me, che non si realizza se non nell’uomo che diventa attivo, perché il generare è diventare attivi. È nato dall’interiorità, non è stato dato solo dalla grazia. Viene sottolineato che il Bambino – possiamo anticiparlo prima di cominciare con l’analisi dei singoli versetti –, è ¥rsena cioè maschio. Questo non deve far pensare alla distinzione che facciamo noi tra maschile e femminile. Qui maschile significa attivo, creativo, operativo nella libertà. Ciò che ora l’uomo genera dalla sua interiorità, dalla sua anima, è l’attività, la creatività, e questo avviene ugualmente in ogni uomo, sia esso fisicamente maschile o femminile. Coloro che sono urtati da quel riferimento alla mascolinità – per esempio le donne che si danno molto da fare per l’emancipazione femminile, e sono urtate dal fatto che il bambino nato sia un maschietto –, non tengono conto di questo fatto. Dobbiamo tener presente che il concetto di maschile e di femminile allora non aveva a che fare con la differenziazione sessuale, quanto piuttosto con l’aspetto recettivo dell’anima, il femminile, perché recettivo o femminile a questo livello sono la stessa cosa, mentre maschile o spirituale significa generativo, attivo.
Un grande aiuto a liberarci del materialismo nel concepire il maschile e il femminile, che ci porta a pensare solo ai maschi e alle femmine sul piano fisico, viene da Rudolf Steiner che parlando del corpo eterico, che è il corpo delle forze formatrici, dice: l’uomo è maschile nel fisico, e maschile vuol dire più forte, mentre la donna è nel fisico più ricettiva; anche nella gestazione, lei riceve le forze della vita. Quindi il maschio è maschile nel fisico mentre è femminile nell’eterico, cioè a questo livello è più passivo, meno attivo; il corpo eterico di un maschio è femminile. E la donna è femminile nel fisico, quindi più recettiva a questo livello, ma è maschile nel corpo eterico. Significa che il suo corpo eterico è più attivo, più creativo, ha molte più forze, perché lei è maschile nel corpo eterico.
Donna = femminile nel fisico
maschile nell’eterico
Uomo = maschile nel fisico
femminile nell’eterico
Per esempio: relativamente alla forza fisica la corporeità maschile è più adatta, ma per la resistenza, per la sopportazione del dolore o della sofferenza per esempio, il corpo eterico è più importante, e in questo caso, di solito, – ma ci sono anche eccezioni –, la donna ha molte più energie, è molto più “maschile”, più attiva dell’uomo. Il maschio, invece, cede velocemente perché il suo corpo eterico è maggiormente passivo, contiene in sé molto meno forza attiva.
Questo sarebbe davvero il modo in cui la scienza dello spirito di Rudolf Steiner ci aiuta a superare il materialismo che si rivela nel fatto che consideriamo l’uomo solo con le categorie del corpo fisico, per non parlare poi dell’anima e dello spirito. Perché nell’anima noi abbiamo il femminile, e il bambino che essa genera è lo spirito. Ma questo va ben al di là della differenziazione sessuale, perchè l’anima e lo spirito non sono né maschili né femminili, quando il testo dice donna e bambino usa solo delle immagini. Esse dicono che l’anima, rispetto allo spirito, è più recettiva, e da lì il termine donna; e che lo spirito, paragonato all’anima, è essenzialmente più attivo, e quindi maschile. Si può dire che ogni uomo ha un’anima femminile, indipendentemente dal fatto che sia maschio o femmina sul piano fisico, ed ugualmente ogni essere umano ha, almeno potenzialmente, uno spirito attivo, creativo, indipendentemente dal fatto che sia maschio o femmina.
Qui il femminile dell’anima e il maschile dello spirito vengono usati davvero solo come immagini, perché a livello di anima e di spirito tutti sono individui, allo stesso modo, al di là del fatto che siano fisicamente maschi o femmine. Al contrario il maschile e il femminile giocano un ruolo a livello di corpo fisico e di corpo eterico. Nel corpo fisico l’uomo è più attivo – pensate alla forza, alla potenza, alla guerra, per la quale l’uomo è molto più adatto, mentre sul piano fisico la donna è sostanzialmente più debole e meno aggressiva. Nel corpo eterico, invece, la donna ha essenzialmente molta più forza attiva, mentre l’uomo ne ha di meno, ha minore capacità di attivarsi a questo livello. Se noi prendiamo in considerazione tutti i quattro i piani della realtà allora possiamo sfuggire all’unilateralità.
Quindi sul piano fisico c’è il maschile e c’è il femminile che si capovolgono sul piano eterico. A livello dell’anima e dello spirito non vale più la differenziazione sessuale, valida invece per il fisico e per l’eterico, solo che se paragoniamo l’anima allo spirito possiamo dire che essa è più recettiva mentre il secondo è più attivo, più creativo.
Quindi l’uomo in quanto anima e spirito comincia la sua evoluzione come anima, riceve una triplice grazia dal mondo dell’eternità, dall’eterna saggezza dello Zodiaco, e infine dal calore d’amore dell’Essere solare, per trasformare questo cosmo di saggezza in un cosmo d’amore. L’uomo discende sulla Terra per evolversi, per sperimentare un amore pieno di attività, ma il senso di questa triplice grazia che l’anima riceve è quello di ridiventare sempre di più spirito. Il fatto che l’anima dell’uomo, dall’essere solo recettiva, come il bambino, poi diventi sempre di più attiva e capace di fare da sé, vien rappresentato con le meravigliose immagini secondo le quali l’anima umana, questa donna, questa femminilità, partorisce un bambino maschio, e cioè quel che è libero, proprio creativamente pieno di corresponsabilità, capace di creare assieme.
Ora, per realizzare tutto questo ora devono essere presenti le controforze, perché se la nascita del Bambino avvenisse da sé sarebbe ancora un dono della grazia. Se deve essere una conquista della libertà allora deve poter essere omessa, perché altrimenti non sarebbe libera. E perché sia omissibile, affinché venga data la possibilità di omettere debbono essere presenti le controforze. Altrimenti non ci sarebbe la duplice possibilità: quella di realizzare la libertà, e cioè mettere al mondo il bambino, oppure di omettere di farlo. Il drago rappresenta le controforze indispensabili per vivere nella libertà, rappresenta la doppia occasione della libertà.
Vedrete così che l’evoluzione della libertà presuppone il pensare, presuppone che ci sia qualcosa che sia buono per l’uomo e qualcosa che sia cattivo, con la conseguente capacità di scelta. Sono libero di scegliere solo se una cosa è buona e l’altra è cattiva, altrimenti non ho alcuna scelta.
Che cos’è ora la cosa più importante per realizzare questa scelta? La capacità di distinguere fra ciò che è buono e ciò che è cattivo per l’uomo. E con che cosa distinguere? Perché se non è capace di distinguere, allora non è neanche capace di bene e di male. Distingue col pensare. Michele rappresenta le forze del pensare. Prima di Cristo era Michele la saggezza, lui aveva amministrato l’intelligenza cosmica, poi è apparso il Logos, il Cristo, che è venuto sulla Terra, e Michele lo ha seguito per amministrare sulla Terra l’intelligenza, il pensare.
Quindi Michele deve combattere con il drago, con le controforze; il pensare deve combattere contro le forze dell’errore, della menzogna, dell’imbroglio, per distinguere sempre meglio, in modo sempre più veritiero il bene e il male per l’uomo nel pensare, nella conoscenza. Perché soltanto se la conoscenza viene prima, l’uomo è responsabile di quello che fa. Se invece dice: ah, non lo sapevo, allora bisogna dirgli: bene, hai omesso di pensare, hai trascurato la conoscenza.
Nell’Arcangelo Michele ci sono tutte le forze del pensare, della conoscenza, della coscienza che devono venire prima per poter conformare poi le azioni nel senso del bene o nel senso del male.
Lo vedremo questa sera.
Settima conferenza
mercoledì, 12 novembre 2003, sera
vv. 12,1-3
Gentili signori, cari amici,
ora vogliamo entrare nei dettagli del XII capitolo. Si tratta della meravigliosa apparizione dell’anima umana, della donna solare con le tre forze che la grazia ha messo a sua disposizione:
le dodici forze dello Zodiaco,
le sette forze del sistema solare e
le unite forze della Terra e della Luna,
(perché la Luna è un satellite della Terra. In questo senso essa va vista sempre in unione con la Terra).
Si potrebbe anche dire che questa donna è il mistero della Terra, e allora la Luna c’è quale sostegno, quale fondamento per l’evoluzione terrestre, e poi c’è il sistema solare e, infine, le dodici forze delle costellazioni zodiacali.
Il capitolo comincia con l’apparizione, la manifestazione di un grande segno. L’aggettivo grande qui non è inteso in senso quantitativo ma nel senso di importante, perché è un segno che non rappresenta qualcosa di marginale o di parziale dell’evoluzione, ma indica che esso è una immagine che rende manifesta l’intera evoluzione. Ecco perché è un segno grande. Caro uomo, presta attenzione, renditi conto che in questo segno è contenuto tutto ciò che l’evoluzione dell’uomo porta con sé! Ed è un segno, shme‹on. Perché un segno e non un miracolo, perché non è qualcosa di potente quel che appare? Un segno è tale perché indica qualcosa all’uomo e il suo obiettivo è: guarda e prendi posizione! Una apparizione, una percezione, è ciò che lascia massimamente liberi, perché una percezione non causa nulla.
Per questo motivo il Logos è diventato carne, per mettersi in una posizione dalla quale non avrebbe causato nulla, proprio per lasciarci la libertà, a partire dalla percezione, di diventare attivi in noi stessi e di generare i concetti. Questo generare i concetti è la nascita del bambino dall’interiorità dell’uomo. Questo è un importante aspetto del generare, del fare. Ma le premesse per tutto ciò, la grazia, le condizioni che la divinità ci dà, sono l’apparire del mondo, il fatto che il mondo si presenti in immagini davanti a noi. Se guardiamo questo apparire, allora dobbiamo noi stessi compenetrarlo mediante il pensare, per arrivare all’essenza. Dobbiamo afferrare l’essere, l’essenza, la sostanza di questa apparizione. Ma, in un primo momento, essa è solo un’apparizione e viene lasciato al pensare di afferrare l’essere di questa apparizione, la sua essenza, il suo contenuto spirituale.
Proprio in questo senso l’Apocalisse è piena dei misteri della libertà, dell’evoluzione nella libertà, proprio attraverso il modo che ha di ripresentarci le immagini che, come dire, rendono afferrabile la libertà anche riconoscendo le apparizioni e i segni. Noi sperimentiamo ciò che vi è di creativo nel mondo per il fatto che il Verbo si è fatto carne e si è reso percepibile. Quindi all’inizio c’è la percezione. La percezione è la provocazione stessa che permette di tirar fuori il concetto, e percezione più concetto produce la conoscenza.
Quando un gatto vede una rosa, in realtà non vede una rosa, ma la rosa si intesse e vive nel corpo astrale del gatto, nella sua anima; soltanto se il gatto fosse capace di pensiero allora potrebbe dire: questa è una rosa. Colui che dice: questa è una rosa – e questo è un concetto –, soltanto costui mostra di essere anche capace di percepire. Solo un essere capace di pensare è anche capace di percepire. Gli animali mostrano che non sanno formare alcun concetto, che non sono capaci di pensiero, e quindi non hanno neanche la percezione. Gli animali, a differenza di noi, non possono separare il continuum di ciò che appare in singole unità, perché quando io dico “rosa” sono già nel pensare, ho già lasciato la percezione. Perché nella percezione io ho un miscuglio, non ho nessuna distinzione, ho un continuum. Se ora dico “rosa” è perché il mio pensare guarda questo essere rosa come a qualcosa di separato e in sé conchiuso: non ha niente a che fare col verde intorno delle altre piante, è una rosa, qualcosa che in un certo senso sta per conto suo.
Quindi, in questo modo, attraverso la percezione spontanea, che viene da sé, e attraverso il formare attivamente concetti, noi sperimentiamo la nostra facoltà creatrice nello spirito, nel pensare. Ora, nell’Apocalisse, su un piano soprasensibile, è esattamente la stessa cosa. Questo grado di percezione Steiner lo chiama immaginazione, e le immaginazioni sono segni, realtà che appaiono. L’Apocalisse è piena di cose che appaiono o di segni che vengono guardati. Qui il discorso riguarda un grande segno che viene percepito, che viene visto nel mondo soprasensibile.
Questo non basta, l’Apocalista deve dire cos’è. E lo dice: è una donna. Ma per dire che è una donna deve riconoscerla, siamo già nel pensare nel soprasensibile, quello che viene chiamato ispirazione; allora la formazione di concetti nel soprasensibile è l’ispirazione. Ma, il formare concetti nel soprasensibile si svolge proprio in modo identico al formar concetti a partire dalle percezioni sensibili: debbo farmi un concetto di ciò che vedo. È un Angelo? È un Cherubino? È il Figlio di Dio? No, è una donna. È lo stesso processo di pensiero, perché il pensare degli uomini è sempre lo stesso. Steiner lo sottolinea moltissime volte: l’elemento, ciò che resta sempre lo stesso per l’uomo sia nel mondo fisico che nel mondo soprasensibile è il pensare. Il pensare è sempre lo stesso.
Quindi qui, quando si tratta del pensare, è proprio la stessa cosa. E per il fatto che nel soprasensibile l’immaginativo incontra l’ispirativo avviene allora la conoscenza soprasensibile, la conoscenza dello spirito, la conoscenza di ciò che ha natura spirituale. Ma la struttura è esattamente la stessa della struttura della libertà, del libero creare nel pensare che consiste in questo, che ciò che viene dato dalla grazia viene ricevuto e serve come fondamento, però l’uomo deve fare attivamente da sé la cosa più importante: la formazione dei concetti.
Ci si potrebbe chiedere: come arriva l’Apocalista a sapere che quella è una donna? Da dove lo sa? Sapete certamente che ci sono un’infinità di visionari anche oggi, che vedono tutto il possibile, ma la grande domanda è: da dove sappiamo se interpretano correttamente ciò che vedono? Perché ognuno prende le immagini dalla sua tradizione religiosa; se è cresciuto nell’islam prende certe immagini, mentre se proviene dal cristianesimo ne prende altre. Usa quello che ha già per dare un significato. Ma dobbiamo chiederci: è oggettivo? Vedete quindi che ciò che è decisivo compare quando l’uomo apporta del suo, e cioè la formazione dei concetti.
12,1 «Apparve un segno grandioso nel cielo: una donna vestita di Sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle».
Un grande segno, una vasta apparizione, una estesissima percezione apparve, divenne visibile in cielo – significa nel mondo spirituale, non nel mondo terrestre, ma nel mondo spirituale – una donna con gettato attorno – proprio così, tradotto alla lettera – il Sole, la Luna sotto i suoi piedi e sopra, sul suo capo, stšfanoj ¢stšrwn dèdeka –, una corona di dodici stelle. Avevo già indicato ciò che è inteso con questa triplicità. Ed ora, al verso 2:
12,2 «Era incinta e gridava nel travaglio e nelle doglie del parto».
Avente nel suo grembo – dunque è incinta, ha qualcosa in grembo. Significa che ha le premesse, ha in sé le forze per generare qualcosa di umano. Perché un essere umano genera l’umano, e una donna è un essere umano che genera un uomo. Questa donna genera un bimbo maschio, un essere umano maschio.
Ora ricordo la mia proposta di considerare questa donna semplicemente come l’anima umana, perché questa è la pista più feconda. Se il segno è così onnicomprensivo, allora prendiamo questa donna, l’immagine di questa donna, come ciò che comprende il più possibile. È l’anima umana perché essa non è solo qualcosa nell’uomo, ma è l’intera evoluzione, è il modo in cui l’uomo, mediante il suo sviluppo animico, si apre sempre di più allo spirito. Lo vedremo, perché in questo capitolo vengono espressi proprio i misteri dell’evoluzione dell’anima.
Si può veramente cogliere al meglio nel libro Teosofia di Rudolf Steiner che l’evoluzione delle parti animiche, e cioè la generazione dell’Io o dello spirito avviene così come ora cercherò di mostrarvi (viene scritto alla lavagna). L’anima ha tre parti costitutive, è un grembo triarticolato, per così dire, anima senziente, ovvero la sensazione, l’intero cosmo delle sensazioni; poi l’intero mondo della ragione, della ragione e degli affetti; e infine il mondo intero della coscienza, di ciò di cui siamo coscienti. Steiner chiarisce particolarmente bene le tre parti nelle quali si articola l’anima, chiamandole: anima cosciente, anima razionale-affettiva e anima senziente.
L’anima senziente è puramente recettiva, perché in essa l’uomo è davvero poco attivo – e questo è il grado infantile dell’anima. Nel sentire, l’uomo riceve le emozioni: queste sorgono così come la natura le genera: la gioia, il dolore, la simpatia, l’antipatia e così via. La prima nascita dell’Io o dello spirito, il momento in cui comincia a diventare attivo, è nell’anima razionale-affettiva – detto in altro modo è lì che essa comincia a generare l’io e nell’anima cosciente l’io o lo spirito giunge a pieno compimento. Allora l’anima si apre alla triplicità dello spirito: sé spirituale, spirito vitale e uomo spirito. Ma la prima nascita dell’Io, dell’attività, della creatività è nell’anima razionale, dove l’uomo cessa di essere pura sensazione – lo possiamo osservare anche nel bambino che cresce – e comincia mediante la razionalità a diventare attivo. Perché la ragione è la forza pensante di prendere posizione nei confronti del mondo. È il primo inizio della capacità di prendere posizione nei confronti del mondo, l’Io germina nell’anima razionale, è il momento iniziale della nascita dell’io. Nell’anima cosciente si forma la capacità non solo di capire il mondo, ma di assumere responsabilità nei suoi confronti, e di farlo in modo cosciente. Allora l’Io diventa più forte, più creativo, più attivo, moralmente più responsabile.
Se è così, che nell’anima senziente l’anima è dapprima solo pura anima, che quando giungono le forze della ragione l’anima comincia a diventare capace di io, di prendere posizione, di rendere attivo il pensare, e che nell’anima cosciente è possibile un pieno dispiegamento dell’io, allora chiediamoci: quando, nell’evoluzione umana, si sono sviluppate le forze dell’anima razionale e affettiva? Nel quarto periodo postatlantico, all’epoca dei Greci e dei Romani – e per questo i Greci sono stati i primi filosofi – e questo periodo inizia nel 747 avanti Cristo e dura fino al 1413 dopo Cristo. Sono in tutto 2160 anni, un periodo significativo, e vedremo che proprio in questo capitolo verrà illustrato questo mistero. Perché la nascita dell’Io, come la descrive meravigliosamente Steiner nel libro Teosofia, avviene nell’anima razionale-affettiva, e quel bambino, quell’attivo spirito nell’uomo viene sempre più alla luce e cresce sempre di più nell’anima cosciente.
Se la donna celeste, l’anima umana, sperimenta mediante le forze della ragione o degli affetti la nascita dell’Io, allora quand’è il centro, la metà di questa epoca? La metà è esattamente nell’anno 333 dopo Cristo: potete calcolarlo. Nel quarto secolo diventa del tutto concreta, anche storicamente concreta nell’evoluzione, questa donna apocalittica che è l’anima umana: è la nostra evoluzione, quella che tutti abbiamo alle spalle. Di fatto nel quarto secolo dopo Cristo, attorno all’anno 333 qualcosa come un terremoto è avvenuto nell’animo umano, perché in quel secolo, per la prima volta, l’Io è diventato terrestre e gli uomini hanno cominciato a sperimentarsi come individualità nella loro ragione, cioè a sperimentare nell’interiorità della loro anima il loro Io.
Così come nell’evoluzione delle singole biografie umane – se volete – l’anima senziente si forma soprattutto fra i 21 e i 28 anni, l’anima razionale invece, fra i 28 e i 35 anni.
Vedete che qui siamo in mezzo, da 30 a 33. Gli anni centrali dell’anima razionale sono quelli dove Cristo è solidale con l’anima umana che poi genera l’Io, sono i tre anni che Lui ha passato sulla Terra, poi avviene la particolare evoluzione dell’anima cosciente, dal trentacinquesimo al quarantaduesimo anno di vita – se ora consideriamo la cosa biograficamente –, cioè nella biografia di ogni persona. Nella biografia di tutta l’umanità, nell’evoluzione dell’umanità noi abbiamo la fase evolutiva dell’anima razionale e affettiva dall’anno 747 avanti Cristo al 1413 dopo Cristo, e il suo centro è il quarto secolo.
L’essere dell’Io, il Cristo, venne per accompagnare l’uomo, per aiutarlo in questa poderosa nascita nell’umanità, nell’evoluzione di ogni anima umana che passa da incarnazione a incarnazione (viene scritto alla lavagna). Lo scrivo qui: dunque abbiamo l’anno 333. Altrettanti anni prima, cioè nell’anno zero, Cristo si è incarnato per portare una controforza del bene rispetto all’altra forza che 333 anni dopo sarebbe apparsa, e cioè nel 666, quando comparve la necessaria decisiva controforza nei confronti della nascita dell’Io. Quel che accadde nel settimo secolo, attorno all’anno 666 – lo vedremo alla fine del prossimo capitolo, perché ora i pensieri dell’Apocalisse diventano molto potenti – le cose avvenute nel settimo secolo, 333 anni dopo l’anno 333, sono essenzialmente le forze del drago quali controforze per la nascita dell’Io.
Per capire ricordiamo che l’affermazione fondamentale del Corano è: Allah, il Dio Padre, è l’unico e non ha figli. Questo è il drago che annienta, che vorrebbe negare la nascita dell’Io, del Cristo, del Figlio nell’uomo, nel senso: non c’è, è solo un’illusione.
Per offrire agli uomini le necessarie controforze, per essere armati 333 anni dopo questa nascita dell’Io, Cristo si è incarnato 333 anni prima – vedete che c’è un mirabile equilibrio –esattamente tanti anni prima si è incarnato, per accompagnare gli uomini fino alla nascita dell’Io; perché il Cristo è già qui sulla Terra, per rendere gli uomini preparati, fornirli di tutte le premesse necessarie per contrapporsi a queste forze di opposizione. Ripeto quel che ho già detto molte volte: le forze di opposizione non sono né buone né cattive, sono soltanto necessarie; ma il modo in cui gli uomini si rapportano con esse, se le vincono o se ne sono vinti, solo questo può essere favorevole o contrario, buono o cattivo, solo il modo che l’uomo sviluppa per rapportarsi con esse. Le controforze sono di per sé necessarie.
L’Apocalista presenta la nascita del bambino da parte dell’anima umana, la nascita dell’Io dall’insieme delle forze animiche – che comincia qui, nel mezzo, e poi diventa sempre più forte – nel contesto dell’evoluzione dell’intera umanità, perché è esattamente così anche umanamente. Questo gli dà l’opportunità di accennare alle necessarie controforze che fanno di tutto affinché questo bambino, appena nato, venga subito ucciso; è appena nato e 333 anni dopo subito si vuole ucciderlo, negarlo, annientarlo.
Intervento: Non ho capito come Lei arriva al numero 333.
Archiati: Se aggiungiamo 2160 anni al 747 a.C. arriviamo al 1413 dopo Cristo. Quale è la metà esatta di questo periodo? Si ottiene facilmente sottraendo a 1413 la metà di 2160, e cioè 1080, e si ottiene l’anno 333 dopo Cristo. Quell’anno è il punto centrale della quarta epoca di cultura. Il che significa che Cristo non si è incarnato proprio a metà, ma 333 anni prima. Secondo Rudolf Steiner questo spostamento è avvenuto perché – naturalmente ci sono anche altri motivi, perché le cose hanno sempre molti aspetti – tra l’altro doveva fornire le controforze necessarie per opporsi all’impulso che poi sarebbe venuto nel settimo secolo, esattamente tanti anni dopo quanti erano gli anni che, con la sua incarnazione, avevano preceduto la metà dell’Epoca.
Ma l’anno esatto della nascita dell’Io nel cuore dell’anima razionale, il centro astronomico di quell’evento è stato l’anno 333 dopo Cristo; nel 747 a.C. è iniziata la quarta epoca di cultura, e dopo 1080 anni, esattamente a metà del percorso, arriviamo all’anno 333 dopo Cristo.
Questa è veramente la nascita dell’Io nell’umanità, perché è il punto centrale dell’evoluzione delle forze razionali dell’anima. L’anima deve aver già sviluppato abbastanza forze razionali, deve essere già passata tutta la filosofia greca per poter sperimentare umanamente una nascita dell’Io. Noi siamo qui nel quarto secolo dopo Cristo, e qualcosa di possente è allora avvenuto nell’umanità, è stato come un terremoto per l’intero secolo. Non dimentichiamo che questo è il secolo in cui il cristianesimo è diventato una potenza terrestre mediante Costantino. È il secolo nel corso del quale è praticamente scomparsa tutta la sapienza dei Misteri. In questo secolo molto è cambiato nell’umanità.
Ci sono molte conferenze di Rudolf Steiner che fanno perno su questa cesura avvenuta nel quarto secolo. Secondo lui fino al quarto secolo c’erano ancora possibilità, seppur raramente, c’erano ancora degli iniziati che capivano certe cose. Dopo il quarto secolo tutto questo è scomparso. Ora era il tempo della comparsa dell’Io terrestre, e dapprima questo io doveva essere sperimentato dall’anima dalla parte dell’egoismo. Perché solo ora, mediante le forze della coscienza, dell’anima cosciente – e questo è il nostro compito odierno – c’è la possibilità di aprire l’io inferiore all’Io superiore. Vedremo che, subito dopo la nascita, il bambino viene rapito verso il mondo spirituale. È l’Io superiore che diventa sovracosciente.
Nella Lettera ai Colossesi (3,3) anche Paolo ne parla: «Voi siete morti», dice, e Steiner interpreta che gli uomini hanno perso il loro legame con l’Io superiore. Con la nascita dell’io egoistico sulla Terra, l’Io superiore è diventato sovracosciente, l’uomo l’ha smarrito dalla coscienza. Compito dell’anima cosciente è quello di portare giù l’Io superiore, la saggezza, l’amore dell’Io superiore nella coscienza. Questo è il nostro compito a partire dal 1413 e continuerà per 2160 anni. È il compito specifico del nostro tempo; non più la nascita dell’Io, perché l’io inferiore, quello egoistico, è nato già da un pezzo. Adesso si tratta di aprire l’io inferiore mediante le forze dell’anima cosciente alla possibilità di ricongiungersi con l’Io superiore e rendersi così consapevole di ciò che va sperimentato in relazione con esso, in colloquio con l’Angelo custode e così via, cioè tutti gli impulsi e i compiti evolutivi che ci aspettano.
Dunque la donna nell’immagine dell’Apocalisse è incinta, versetto 2, e grida, ha i dolori del parto. Ho già detto che nel quarto secolo ci furono molte grida, molti dolori legati a quella nascita, perché è stata un inizio assolutamente nuovo.
Era incinta e gridava per i dolori e per il travaglio del parto. Il tormento indica che la nascita dell’Io superiore non avviene una volta per tutte e neppure immediatamente, ma che l’uomo razionale comunque mira al suo beneficio. Dapprima nella forza dell’anima razionale gli uomini sperimentano l’io inferiore. Per questo motivo anche il cristianesimo si è abbassato, è diventato un potere terreno, di questo mondo. E questo fatto è quì descritto con i dolori del parto, i tormenti della nascita, la prima fase della libertà, la prima fase della nascita dell’io, che deve essere egoistico e non può essere altrimenti. Perché l’amore è il superamento dell’egoismo. Ho sempre ripetuto che è massimamente importante, è massimamente necessario per superare l’egoismo il fatto di averlo. E il conseguimento di questo io egoistico sono i dolori del parto.
12,3 «E un altro segno apparve in cielo, ed ecco un grande drago rosso, che aveva sette teste e dieci corna, e sulle sue teste sette corone».
Apparve un altro segno – ora abbiamo un altro segno, la percezione delle controforze necessarie. Sono controforze che si presentano nella forma del drago – cosa porta con sé il concetto di drago? È un mostro, terribile, che non lascia liberi, che è pronto a sbranarci. C’è dunque un’apparizione e l’Apocalista forma il concetto di “drago”. Prima c’era stata un’altra potente apparizione – e lui aveva formato il concetto di “donna”, essere femminile, che sta partorendo un maschietto. Ora vede un altro segno, e da dove proviene il fatto che lui lo chiami drago? – Il lettore viene condotto a prendere coscienza di quanto è contenuto nel concetto di drago.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Lei dice che un drago non c’è mai stato. Quindi l’Apocalista ha formato un concetto che non c’è. Invece è naturale che ci sia il concetto di drago.
Intervento: Sì, il concetto c’è, ma lui pensa all’animale.
Archiati: La percezione. Naturalmente ci sono sempre state realtà che avevano la forma di drago. I draghi ci sono o no? Forse questa è una domanda importante. Perché per la prima apparizione c’era il concetto. Una donna, gun¾, di essa abbiamo anche la percezione sensibile. Seconda apparizione: dr£kwn. Potrebbe sorgere la domanda: un momento, ora prende di nuovo l’immagine dal mondo sensibile oppure no?
Intervento: Nella mitologia c’è.
Archiati: Solo nella mitologia? Chiedo: c’è fra noi qualche scienziato, di quelli che ci parlano dei dinosauri… e così via?
Intervento: Sì, ma quelli non sono draghi, i dinosauri non hanno varie teste.
Archiati: Questo è un drago particolare. Dapprima concentriamoci sul concetto di drago e poi vedremo la faccenda delle teste, ma prima stiamo al drago. Che abbia sette teste e dieci corna lo vedremo dopo, e cercheremo anche di capire. Bene, sembrerebbe ora una realtà puramente soprasensibile. Perché io non cercherò mai un drago percepibile coi sensi che abbia sette teste e dieci corna. Questo non c’è. Solo che il concetto di drago deve essere trovato da qualche parte – altrimenti l’Apocalista si sarebbe reso incomprensibile –, dobbiamo trovarlo anche in qualche modo nell’ambito delle apparizioni sensibili. Sì, bene, la mitologia. Allora siete tutti d’accordo che il drago non c’è e non c’è mai stato?
Intervento: (acusticamente incomprensibile).
Archiati: Bene, partiamo dal fatto che sia un animale esistente solo nelle fiabe e nei miti. In ogni caso caratteristica essenziale di ciò che ha natura di drago è il fatto che divora gli uomini. Viene anche chiamato mostro contro il quale l’uomo non può fare nulla e che invece da lui viene mangiato; oppure l’uomo potrebbe pensare che non può fare niente per opporsi. Tutto questo è collegato con la paura, naturalmente, con le tenebre e in particolare con la potenza, l’invincibile potenza delle forze naturali. Il concetto del drago è: l’invincibile, o l’apparentemente irresistibile potenza della forza di natura. Se l’uomo ha un’angoscia senza speranza davanti al drago, allora viene così intimidito da dirsi: in realtà la libertà è un’illusione, e l’uomo non è libero.
Se l’uomo dice questa frase, cosa succede? Che è stato inghiottito dal drago, perché la sua libertà è stata annullata, scomparsa, e l’uomo è ridotto a forza di natura, ai determinismi di natura. Il drago è la quintessenza delle leggi naturali, le quali operano deterministicamente, non ammettono libertà. Questo è il concetto del drago: il determinismo delle forze di natura. Se nell’uomo opera solo il drago, e se contro di lui l’uomo non può fare nulla, allora la libertà è un’illusione. Questo è davvero il cuore di questo concetto.
Perché l’altro è: naturalmente noi possiamo soprasensibilmente capire cosa sono le sette teste e le dieci corna. In ogni caso con questa chiarezza, che io sappia, nessun teologo anche con la migliore buona volontà potrebbe dirlo, semplicemente perché gli mancano le chiavi, anche quelle linguistiche, per poterlo fare. Ma se una persona, diciamo, ha preso una certa fiducia nell’iniziato Rudolf Steiner – e legge prima il suo ciclo di conferenze sull’Apocalisse, Opera omnia 104 e poi il volume 104a –, allora trova che il concetto di “capo”, messo tra virgolette, nel linguaggio esoterico è una formazione eterica, un’immagine eterica, potremmo dire. Poi scopre che sempre nel linguaggio tecnico esoterico c’è il concetto di “corno” che significa un’immagine fisica, materiale.
“testa” = immagine eterica
“corno” = immagine fisica
È esattamente come quando si deve imparare il tedesco perché non lo si conosce, e allora si devono apprendere le parole, i significati. Da dove vengo a sapere cosa significa Baum in tedesco? Devo impararlo. E chi ha deciso che si usa questo termine per indicare l’albero in tedesco? Il genio della lingua tedesca. Quindi è necessario imparare la lingua per saperlo.
Nella lingua specifica dell’esoterismo “corno” è qualcosa di fisico, di sensorialmente percepibile: “testa” è qualcosa di eterico, un’immagine nell’eterico; è semplice, si tratta solo di imparare la lingua. Naturalmente gli iniziati hanno dovuto dare i nomi non solo alle realtà sensibili, ma anche alle realtà del triplice mondo soprasensibile, e perciò la lingua deve diventare molto più ricca. Bisogna trovare i nomi per tutte le cose del mondo eterico, bisogna creare le parole per tutti i fenomeni e le realtà del mondo animico e altrettanto va fatto creando una quantità di parole per il mondo spirituale.
Quindi bisogna moltiplicare per quattro la lingua – e l’umanità è solo all’inizio, per avere le parole per tutti i quattro mondi. La lingua che abbiamo oggi è solo per il mondo fisico, perché soltanto raramente ci sono termini per il mondo spirituale. Per avere una lingua altrettanto ricca per il mondo eterico dovremmo raddoppiare il linguaggio; e dovremmo triplicarlo per avere tutti i termini necessari per il mondo animico-astrale, mentre dovremmo quadruplicarlo per poter nominare tutti i fenomeni del mondo spirituale. C’è un gran lavoro da fare.
Gli iniziati che in qualche misura – chi più e chi meno – erano di casa in tutti e quattro i mondi, hanno creato almeno i concetti più importanti, hanno coniato le parole per le cose più importanti. Hanno individuato la realtà del corno che è la materia più dura nell’organismo, per indicare la realtà fisica. La “testa” è già meno dura, perciò hanno adottato questo concetto per le forme e le immagini dell’eterico.
Ora possiamo conoscere come arriva l’Apocalista al sette e al dieci. Non è così difficile. Solo quando ci si è ben immersi nella lingua allora tutto diventa facile. Si tratta di impararla. Diciamo: il sette, lo sappiamo già, è il numero fondamentale dell’evoluzione nel tempo (v. Fig. p. 249). Un avvio basato su tre passi, poi il quattro, qui in mezzo, quale svolta. Poi abbiamo nel cinque il terzo stadio a un gradino più alto, nel sei il secondo stadio a un gradino più alto, e al sette il primo stadio a un gradino più alto.
Quindi ci sono sette teste, che sono le sette forze che vengono acquisite mediante l’evoluzione nel corpo eterico, nelle forze vitali. Ma sul piano fisico sono dieci, dieci corna. Poiché il centro è là per creare tutte le condizioni della libertà – detto altrimenti: l’intero operare della grazia consiste nel fatto che vengono messe a disposizione per la realizzazione della libertà tutte le condizioni che le sono necessarie – allora ne consegue che la libertà deve avere entrambe le possibilità.
Abbiamo quindi la situazione seguente, se prendiamo in considerazione le forze e le controforze, e così dobbiamo disegnarle – vi ho appena detto che fin da qui, immediatamente dopo il quattro, possiamo vedere un inizio, che diventa decisivo al cinque, della scelta fra la forza e la prima controforza. Al sei segue la seconda decisiva controforza, che è il drago alla seconda potenza, e poi, al punto sette, viene il drago alla terza potenza, corrispondente nel disegno al punto III. Tre volte le controforze (I, II, III v. Fig. sotto). Quindi abbiamo sette più tre che fa dieci. Sono dieci le forze fondamentali che operano sul piano fisico, e sono dieci perché negli ultimi tre passi si contrappongono le forze e le rispettive controforze.
Oppure, se volete, un altro aspetto che ci viene da Rudolf Steiner è il suo accenno all’evoluzione atlantica – ma questa è un’altra prospettiva, che non è contraddittoria ma va solo accostata alla precedente. Esattamente come, seguendo l’evoluzione del bambino possiamo raggruppare le sue tappe di crescita, allo stesso modo possiamo raggruppare i fenomeni, possiamo crearci questo sistema o un altro: l’importante è che esso ci aiuti a capire meglio la realtà.
Se ora prendiamo l’evoluzione atlantica (v. Fig. p. 249), la prima, la seconda e la terza epoca atlantidea, in questa fase l’uomo non era ancora fisicamente incarnato. A metà del periodo atlantico sono incominciate le incarnazioni terrestri, da quel momento l’uomo è diventato davvero fisico. Da allora è sorta la necessità che una volta assumesse la corporeità maschile e l’altra quella femminile. Quindi in ognuno dei tre momenti, una volta si è incarnato da maschio e un’altra da femmina; da sette arriviamo di nuovo a dieci, perché a partire dalla metà è comparsa la divisione dei sessi. Con la separazione dei sessi il grado cinque è raddoppiato, come il sei e il sette, e noi abbiamo all’interno del sette contenuto il dieci.
Questo drago è enorme, non è un draghetto, nel senso che in questo drago c’è la totalità delle forze di opposizione. Questo è il significato dell’aggettivo “grande”: sta’ attento, lettore, perché questo drago non è una delle tante controforze, ma è la totalità. Cogli esattamente il senso della sua grandezza se la intendi come la totalità delle forze di opposizione. Cos’è questa totalità delle controforze della libertà, quelle che si oppongono alla generazione dell’Io, di ciò che è libero? La necessità di natura, la natura, le forze della natura sono la totalità delle controforze che si oppongono alla libertà. Perché nell’uomo o c’è la natura o c’è la libertà. Se dico natura non intendo qualche parte dell’uomo, ma dico tutto ciò che nell’uomo non ha a che fare con la libertà, e quindi le leggi di natura, tutte le forze di natura nell’uomo, che tutte insieme sono il drago: dunque, le forze di natura. L’uomo raggiunge la sua libertà solo confrontandosi con le forze di natura, solo se riesce a dominarle, perché queste hanno la tendenza ad inghiottirlo. Cosa fa un impulso? Ditemi un impulso che mi permette di operare autonomamente. Non è mai successo, perché opera in me quale pura forza di natura. Quindi il drago opera da sé. La libertà non deve esserci per forza, ma la natura deve esserci perché non è libera. Quindi il drago sta per tutte le forze della natura, che non sono libere, che sono naturalmente determinate, che operano secondo necessità di natura.
Se prendiamo nella sua forma più pulita il concetto di drago osserviamo che è insensato affermare che è cattivo. No, la natura nell’uomo non è cattiva, è necessaria, altrimenti vivremmo per aria se non avessimo la natura. Ma la natura non è la libertà, e non si può confondere l’una con l’altra. Infatti ci sono sempre persone che dicono: se decido liberamente di seguire gli impulsi di natura, allora sono libero; se ho deciso liberamente di lasciarmi andare, allora sono libero. È una bella pensata? Dov’è l’errore?
Intervento: Perché io non sono libero nei processi naturali.
Archiati: Ma se decido liberamente di affidarmi a quelle forze, sono libero.
Intervento: Questo è un certo modo di essere passivi.
Archiati: Ma io ho effettivamente deciso di affidarmi a quelle forze.
Intervento: Se mi affido a queste forze la mia libertà scompare.
Archiati: Questo lo dice lei, ma io lo faccio liberamente, quindi ho realizzato la mia libertà…
Intervento: Lei fa liberamente il primo passo, ma quando è arrivato si accorge di aver lasciato dietro di sé la sua libertà.
Archiati: Questa è un’affermazione o un’esperienza?
Voglio dire che se si cerca di provare questi pensieri si scopre che non è possibile, perché non è una faccenda del dimostrare, ma soltanto di farne l’esperienza. Quindi ogni uomo può appellarsi soltanto all’esperienza che ha fatto. Se è onesto con se stesso non c’è più bisogno di imbrogliare, perché ha fatto l’esperienza; basta che lui ci rifletta sopra. Prendiamo un esempio. Ho deciso liberamente e autonomamente di scolarmi un paio di bottiglie di whisky. L’ho deciso liberamente, non passivamente. Non potrei mai provare teoreticamente che quando sono ubriaco io non sono libero, perché questa non è una teoria ma è un’esperienza. Se un uomo non vede l’ora di dimostrare che è libero anche se è completamente ubriaco, non potrete mai dimostrargli che questo non è vero. Possiamo solo sperare che impari a leggere giustamente la propria esperienza. Ma non si può provarlo, perché questa non è una teoria, è un’esperienza. Quindi la libertà è una faccenda di esperienza, non di teoria. Se qualcuno è davvero dell’opinione di poter essere pienamente libero anche dopo aver scolato un paio di bottiglie di whisky, nulla può aiutarlo a fargli cambiare idea. Quella è la sua convinzione e non conosce altra libertà migliore. Peggio sarebbe togliergli anche quella, perché così resterebbe assolutamente senza nulla.
Vedete quindi che quando si tratta del drago si arriva al punto in cui non c’è niente da fare con le prove teoriche, con le astrazioni, bisogna basarsi sull’esperienza. Attenersi all’esperienza significa restare alle percezioni e non teorizzare senza percezioni. Come mi sperimento, come mi sento dopo aver bevuto due bottiglie di whisky? In quello stato posso risolvere un problema di matematica, magari anche difficile? No, non ho questa libertà. Posso parlare in modo ragionevole, fare un discorso comprensibile? No, non posso. Lo ripeto: se chi sostiene il contrario non vede l’ora di dire che lui è libero, allora, non si può provargli teoreticamente che non lo è. Perché non ha neanche l’idea di cosa sia la libertà, il che è anche possibile.
Forse oggi abbiamo molte persone che hanno pochissima idea di cosa sia la libertà, perché molti si limitano ad avere un concetto negativo della libertà. Per loro significa soltanto liberarsi da, via, via, via. Ma non conoscono l’aspetto positivo della libertà, l’essere creativo, lo scoprire i mondi, il crearli che è contenuto in questa visione positiva della libertà. Siamo soltanto all’inizio dell’anima cosciente.
Sì, è proprio così, perché l’anima razionale, la prima nascita dell’io, è la libertà negativa, la libertà da questo, da quello, da quell’altro. L’anima cosciente porta avanti l’evoluzione dell’Io, in modo che faccia l’esperienza del secondo gradino della libertà, la libertà positiva e precisamente la libertà per qualche cosa: di creare, di rendersi responsabile.
L’uomo che vive la fase puberale sperimenta la libertà da – dai genitori, dalla Chiesa, dalla società eccetera, una liberazione dai confini, e deve essere così, questo è il primo gradino della libertà. Solo che questa è una libertà negativa, che è la premessa per non sentirsi più sotto pressione e ora cominciare a chiedersi: a cosa sono chiamato io? Non basta essere contro. C’è più gusto a essere soltanto contro qualcosa o a favore di qualcosa?
Vedete, adesso non volete più provare che c’è più gusto nell’essere per qualcosa, perché adesso vi siete fatti furbi. Questo infatti non si può provare. A un uomo che non ha mai sperimentato che c’è molto più gusto ad essere per qualcosa, questa verità non potrà mai essere provata. Perché il gusto massimo che conosce è di essere libero da qualcosa, contro qualcosa. All’inizio questo è il massimo gusto che conosce. Adesso, per allettarlo ad andare avanti così che voglia provare anche lui un gusto più alto, si può in fondo agire solo per contagio, finché funziona.
Se questa provocazione non riesce, ci sono forse altri mezzi? L’ira divina gli avvelena i piaceri inferiori. Lui fa l’esperienza che non c’è così tanto gusto a essere contro, e perciò ne soffre. Per questo motivo, per il fatto che non è del tutto felice, allora cerca ancora e dice a se stesso: ah, forse c’è di meglio, altrimenti dovrei essere del tutto felice. Questo è il senso dell’ira divina, e cioè dare un aiuto all’uomo con il dolore: guarda che c’è di meglio, non fermarti lì, vai avanti, c’è di meglio. Come potrebbe, altrimenti, sperimentare che c’è di meglio?
Prendiamo un uomo tutto-natura. Anche lui è perfettamente in ordine e se non gli manca nulla allora è anche felice. Almeno fino a quando l’amore divino, con una piccola sfortuna, lo aiuta a cercare ulteriormente. Guardate che quella “piccola sfortuna” è molto amorevole. Perché se la divinità non si scomodasse a mandargliela, per scuoterlo un po’, per dargli l’impulso ad andare avanti, allora lui resterebbe con una felicità che è veramente modesta. Se un uomo vive la sua massima fortuna come uomo tutto-natura, allora avrebbe dovuto preferire di essere creato come animale, perché gli animali sono gli esseri naturali più felici che ci siano: sono pura natura.
Per questo motivo la divinità deve darsi da fare affinché l’uomo, quale puro essere di natura, non possa essere del tutto felice; allora va bene, perché può procedere oltre. E non c’è mai stato un uomo del tutto felice restando solo come un essere di natura, perché questo è un bambino e nessun uomo resta volentieri bambino. Nell’andare avanti deve superare ciò che ha natura di drago, nel senso che questa è stata fatta apposta per sviluppare la libertà. Proprio in questa attività creativa, in ciò che l’uomo genera dal suo grembo animico, in ciò che è attivo, spirituale, individuale, trova la sua gioia, perché questa è il suo compito.
Tutto questo è stato detto per spiegare come mai il drago è così grosso, così onnicomprensivo da includere l’intera natura.
12,3 …purrÒj, infuocato – sono le forze di volontà che il drago comprime, non lasciandole libere; quindi lì la libertà non può cercare nulla. La traduzione di Lutero dice: drago rosso, ma a me non soddisfa, perché nel drago rosso il fuoco è scomparso. Ma la parola greca vuol dire infuocato. Il fuoco nel drago non è l’amore che promana dai due testimoni, ma questa potenza della natura nell’uomo che consuma, che non lascia liberi.
12,3 …con sette teste e dieci corna – l’ho già spiegato, e sulle teste sette corone. Le sette corone – ricordo che la corona esprime il fatto di comandare, di gestire gli uomini, sono le sette forze che esprimono il potere di dominare l’uomo. Se l’uomo si lascia dominare da queste forze, allora resta un puro essere di natura. Il drago ha quindi la pretesa di dominare gli uomini, coronato come un re, e gli uomini debbono ubbidire.
Nel darwinismo, dove l’uomo è concepito come l’essere di natura più evoluto, di fatto è così perché viene detto: lasciati guidare dalle forze di natura! Questa è una sudditanza nei confronti di quel re, con le sue corone: le pure forze di natura.
Dunque vedete quanto le controforze sono possenti e monopolizzanti. Il drago del nostro tempo è diventato così forte che molti uomini dicono: essere soggetti a quel re è bene – e sono loro stessi a incoronarlo – la natura è stata fatta per condurti, per guidarti, dunque affidati a lei, abbi fiducia nelle forze della natura. Sono sagge e dominano regalmente, dunque fatti condurre da loro, renditi soggetto a questo dominio delle forze naturali.
Vedete come le immagini diventano eloquenti se facciamo appello alla nostra cultura.
12,4 «E la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le gettava sulla Terra. E il drago si mise davanti alla donna che doveva partorire, per divorare il bambino che avrebbe partorito».
E la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le gettava sulla Terra. Un terzo delle stelle viene trascinato e viene gettato sulla Terra, cioè portato giù nell’oscurità del mondo della materia. Questo terzo, se volete, è il fatto culturale di immensa portata che il drago ha già fatto così bene, quando ha fatto piazza pulita di questo terzo del cielo. I tre terzi sono: lo spirito, il primo; poi l’anima, il femminile, che è il secondo; e infine il corpo o la materia. Questo primo terzo è già stato portato via, gli uomini dello spirito non ne hanno più nemmeno il concetto.
Sulla Terra, per esempio, abbiamo avuto questo agire del drago specialmente nel nono secolo col Concilio di Costantinopoli dell’869 che ha abolito la tricotomia, la triarticolazione dell’uomo, dicendo che l’uomo è fatto solo di corpo e di anima, e che l’anima ha in sé alcune proprietà intellettuali e spirituali. Questo è un colpo di coda del drago, grazie al quale questo terzo è stato semplicemente portato via. Lo spirito è scomparso dalle stelle, dal Sole, dai pianeti e ora i maestri di Chartres, per esempio, i platonici, non possono più parlare di spiritum mundi ma solo di anima mundi, di anima cosmica, perché lo spirito è scomparso, trascinato via con la coda del drago.
Le forze del drago, allora, portano nell’umanità un oscuramento dello spirito, perché viene perduta la capacità di sperimentare lo spirito. Finché l’uomo è stato in grado di poter sperimentare lo spirito nella sua essenza, allora l’anima era la mediatrice tra il corpo e lo spirito e in quanto tale creava equilibrio. Quando lo spirito viene trascinato via dal drago, dalle controforze, cosa resta nell’anima? Solo la sua parentela con il corpo, che significa: ora l’anima sperimenta solo quello che viene dal corpo.
C’è una meravigliosa conferenza di Steiner che s’intitola Come trovare il Cristo?[44] che descrive il peccato originale come operare del drago. Lo descrive così: l’anima dell’uomo si è imparentata col corpo come se questo fosse un bene per l’uomo. Significa che l’anima umana ha cessato di essere ispirata dallo spirito, di esserne influenzata, aperta allo spirito, perché non ha più saputo cos’è lo spirito e si è così legata solo al corpo, così che l’uomo oggi sperimenta quasi soltanto il legame dell’anima col corpo. Ed è così al punto che già Aristotele conosce quasi soltanto l’anima. Nel suo trattato sull’anima “Περί ψυχης” parla soltanto dell’animico – non nega altre realtà, ma parla soltanto dell’animico che sperimenta in relazione solo col corporeo. Queste relazioni naturalmente ci sono, ne sperimentiamo una quantità nella nostra anima, che sono soltanto relazioni col corpo. Quando noi abbandoniamo il corpo nel sonno, cosa c’è per la nostra anima? È via, noi non sperimentiamo nulla. Sperimentiamo di nuovo qualcosa quando l’anima si ricongiunge nuovamente col corpo; per il fatto che il nostro pensare – e il pensare è una realtà animica – si collega col nostro cervello, allora succede di nuovo qualcosa. Ci addormentiamo: il pensare si separa, si libera dal cervello, l’anima diventa libera dal corpo – noi non sperimentiamo nulla, perché non abbiamo alcuna possibilità di sperimentare lo spirito entro l’anima.
Con Aristotele si pose la grande domanda: se l’uomo, nella sua anima, sperimenta solo ciò che è condizionato dal corpo, allora cosa succede all’anima quando il corpo non c’è più? Inoltre guardiamo al cattolicesimo e al protestantesimo: il cosiddetto cristianesimo ha assunto Aristotele e ha detto che l’anima ha alcune proprietà spirituali – se questo non è l’agire del drago, della controforza, peraltro necessaria, ditemi voi; tuttavia guardate come è micidiale tutto questo, perché il cristianesimo fino ad oggi è precipitato nel materialismo, secondo il quale l’anima dell’uomo non può esistere se non c’è il corpo. Il buon Dio deve crearla solo quando c’è il corpo, perché la povera anima non può esistere senza la corporeità. Questo è proprio materialismo, questa è opera del drago! Che deve essere riconosciuto e superato, perché quando il cristianesimo petrino e materializzato afferma che l’anima non può esistere senza il corpo, allora l’immortalità dell’anima dopo la morte del corpo diventa un imbroglio. Perché esattamente come l’anima non può esistere prima che si sia formato il corpo, poiché deve tutto al corpo, si sperimenta solo nel corpo, altrettanto poco può continuare ad esistere dopo la fine del corpo. Affermarlo in questa ottica è “un imbroglio”. Lo dico tra virgolette, perché il primo ad affermare questa trovata è stato Aristotele; prima di lui, nei Misteri, si è sempre parlato di immortalità dell’anima; il maestro di Aristotele, Platone, affermava ancora la preesistenza dell’anima, ma non per esperienza propria. Platone lo diceva a partire dalla tradizione dei Misteri i quali testimoniavano che l’anima esiste anche senza il corpo.
Aristotele ha pensato: io mi attengo solo a ciò che posso direttamente sperimentare, e lascio in pace tutto il resto. È un atteggiamento molto onesto. Quindi dice: descrivo soltanto le cose dell’anima di cui ho esperienza cosciente nell’interazione con la corporeità. Perché Aristotele non ha avuto il coraggio di dire: bene, queste cose che riguardano l’anima, tutto l’animico, scompaiono forse con il corpo? Nella tradizione c’era l’esistenza di altri aspetti dell’animico. Aristotele non ha negato la preesistenza, soltanto non ne ha parlato. Solo che gli uomini sono fissati con l’immortalità. Allora Aristotele ha escogitato una trovata, che è anche un piccolo imbroglio, e ha detto: sì, l’uomo dopo la morte ha la perenne possibilità di guardare indietro al corpo che ha lasciato, e attraverso questo ricordo del corpo l’anima può continuare a esistere.
Se attualizziamo queste cose – che tutti abbiamo attraversato nel corso dell’evoluzione, perché questa è l’evoluzione della nostra anima –, abbiamo la storia della donna dell’Apocalisse a confronto col drago. Perché qui si tratta proprio del fatto che il drago, la materia, è lì per inghiottire l’anima tanto da convincere l’uomo di questo: ciò che tu chiami anima è solo un epifenomeno, un prodotto del corpo.
Cos’è la scienza odierna? L’ultimo divorare dell’anima da parte del drago. Affermare che la cosiddetta anima è creata, generata dal corpo significa dire che l’anima in sé e per sé non esiste. Questa affermazione significa che il drago ha realmente inghiottito del tutto l’anima come realtà autonoma. Questo è ciò che mostrano le immagini dell’Apocalisse.
Vedete dunque che noi stasera siamo andati un passo avanti, e quelle immagini sono oggi attuali più che mai.
Intervento: Non capisco, la realtà è che lo spirito c’è. E perché non si fa vivo?
Archiati: No, se lei dice: ma certo, lo spirito esiste! l’affermazione è che comunque è uno spirito asserito, ipotizzato, e non è affatto una realtà. O lei fa l’esperienza, la spirituale esperienza della realtà dello spirito, dell’essenza dello spirito, oppure ne parla soltanto.
Rudolf Steiner direbbe: molti uomini dicono che c’è un Dio – ma cosa hanno in mente, quale concetto hanno di Dio? Quasi nulla, oppure, al massimo, se si mette tutto assieme, se si raccolgono tutti gli attributi e tutte le caratteristiche di questo Dio ci si avvicina, al massimo, al concetto di Angelo, non di più, neppure a quello di Arcangelo. Significa che questo Dio è solo pensato, ma non ha nessuna realtà.
Dov’è che l’uomo ha realmente, anche se in forma iniziale, la vera, attiva, realtà dello spirito? Nel suo pensare. Perché anche l’io, in un primo momento, è solo un’astrazione. Invece il pensare posso realmente sperimentarlo, e posso fare l’esperienza della sua essenza operante. Questa è la cruna dell’ago per poter sperimentare la realtà dello spirito. Il che significa che la religione tradizionale non ha più la pallida idea della realtà dello spirito, è solo escogitato, asserito, enunciato.
Intervento: Ma anche gli uomini dell’869 di certo già pensavano.
Archiati: No, è andata in modo che si è cercato di farla finita con gli iniziati, quelle persone pericolose che avevano ancora realmente esperienza dello spirito. Proprio questo è successo allora. Ma che l’umanità abbia perso la realtà dello spirito è una necessità evolutiva, come premessa indispensabile per riconquistare di nuovo, in piena libertà, la realtà dello spirito. Ma il presupposto è che noi accettiamo il fatto di averla realmente persa, che questo terzo è stato strappato via dal drago. Tant’è che lei afferma: No, non è così. Vedete, l’Apocalista mostra l’onestà dell’evoluzione. L’esperienza della reale essenza dello spirito è andata perduta, questo va detto.
Se la Chiesa o qualcun altro oggi parla di spirito, questo è un imbroglio, è uno stratagemma, è di nuovo un tiro mancino del drago, così che gli uomini non si accorgano che lo spirito va riconquistato. Perché se gli uomini se ne rendessero conto lascerebbero in pace le chiese e afferrerebbero una scienza dello spirito il cui fondamento è l’esperienza della realtà dello spirituale – e non dico certo che tutti quelli che finora ci hanno provato abbiano fatto tutto bene, questo non lo dico – ma la spina dorsale della scienza dello spirito di Rudolf Steiner è la diretta esperienza dell’essenza, della realtà, della sostanzialità dello spirituale. E il primo passo è il pensare; non c’è nessun’altra cruna dell’ago dell’evoluzione.
È molto amaro quel che l’Apocalista dice qui, che non c’è più. Se la religione tradizionale parla ancora di spirito, in realtà è un immenso imbroglio. È come quando parlo di libertà con un ubriaco, e lui sperimenta la libertà da ubriaco. È solo una teoria, e bisogna tornare all’esperienza.
La teologia è una teoria meravigliosa sullo spirito senza la realtà dello spirito. Sono due cose ben diverse. Perché anche se ho una meravigliosa teoria sull’amore o sulla libertà, non per questo io ho automaticamente l’amore, la realtà dell’amore o la realtà della libertà.
L’Apocalista vuole dire: ci sono le astrazioni, e si potrebbe quasi affermare che sono le più potenti controforze dello spirito. L’astrazione è l’illusione di avere lo spirito perché se ne ha la parola. Questa tentazione è fatale, perché è difficilissima da riconoscere. Non per il fatto che io ho l’astrazione di qualcosa ho anche la sua realtà. Se anche ho la potente astrazione di Dio questo non vuol dire che abbia altrettanto la sua realtà: proprio perché mi riempio la bocca con questa parola, ne ho perso la realtà da tempo. Sono due cose ben differenti avere l’astratto concetto di Dio o la realtà di Dio. Perché cos’è Dio in realtà? Spirito. E cos’è lo spirito?
Vedete che siamo costretti a scendere dalle nuvole dell’astrazione alla realtà dell’esperienza. Dove sperimento davvero lo spirito o il divino? Nel pensare, come primo passo. E poi nell’entrarci: attraverso il pensare posso conquistare le altre sostanzialità spirituali. Ma la prima sostanzialità dello spirito, che è sperimentabile per l’uomo libero come spirito, è il pensare. Per questo motivo ritengo che un libro come La filosofia della libertà di Rudolf Steiner sia così importante, sia vitale per l’umanità odierna, soprattutto e da qui in avanti, per ricominciare dall’inizio, e questa volta sperimentare realmente la scaturigine della realtà dello spirito. Perché nel pensare attivo, dentro il pensare in azione l’uomo è in un puro mondo spirituale. E dal pensare può espandersi a tutte le realtà dello spirito. Perché solo nel pensare tutto diventa spiritualmente reale per l’uomo.
I Drammi Mistero, per esempio, si concludono col fatto che per la prima volta Arimane viene riconosciuto da Benedetto, il grande iniziato – da dove proviene il fatto che Arimane diventa reale per Benedetto? Dal fatto che Arimane è diventato finalmente il contenuto del suo pensiero, cosa che prima Benedetto da solo non sapeva fare. Ora, quando Benedetto scruta col pensiero l’essere di Arimane, ha la realtà di Arimane. E allora Arimane ha paura di venire annientato, e non sa che questa paura è un imbroglio. Perché è proprio il contrario: nel pensare dell’uomo Arimane trova la risurrezione della sua vera natura. La sua vera natura, infatti, consiste nell’offrire al pensare umano la necessaria controforza, da rendere il pensiero umano così vasto, così capace di penetrare l’essenza, così ampio, che il Mefisto stesso è compreso in questa forza. Proprio come il Mefistofele che, fondamentalmente, venendo portato con sé da Faust, viene redento con lui. Per questo motivo, proprio alla fine dei Drammi Mistero c’è il discorso sulla redenzione del drago, sulla redenzione di Arimane dentro il pensare dell’uomo, perché è lì che viene redento. Perché questa è la realtà dello spirito che l’uomo fa come esperienza propria.
Intervento: In quale relazione può essere posto il pensare con il cuore?
Archiati: Il pensare col cuore. Solo il pensare astratto è senza cuore – perché il pensare astratto non ha realtà, per questo motivo è senza cuore. Il pensare nel quale viene sperimentata la realtà dello spirito, può essere soltanto ricolmo di gratitudine e di amore. Perché cosa si può amare di più dello spirito? È del tutto impossibile sperimentare la realtà dello spirito nel pensare, senza sperimentare nello stesso momento il più alto grado dell’amore. Perché cosa è più degno di amore? Lo spirito. È del tutto impossibile sperimentare lo spirito senza amarlo; è del tutto impossibile. Questo modo di pensare è quindi allo stesso tempo un pensare della testa e un pensare del cuore. È luce e calore allo stesso tempo, e non può mai essere scisso.
Torniamo ancora una volta alla sua domanda, perché è molto importante: l’umanità, alla quale il drago ha strappato questo terzo, conosce soltanto questo pensare arido e senza amore. Quando noi parliamo del pensare pensiamo proprio a questo pensare: arido, astratto, senza amore, senza cuore. Per questo motivo è importante sottolineare quell’altro modo di pensare che è proprio diverso, dove io non ho solo astrazioni, ma realtà. Ho la realtà dell’Angelo custode, ho la realtà dell’Io, ho la realtà dell’amore, ho la realtà dello spirito. Questo pensare è completamente diverso, nel senso che è il più profondo gradino dell’amore, perché si ha a che fare con realtà.
Nel mio libro sull’amore ho posto la domanda: quando un uomo si sente più amato? Quando l’altro dice: ti desidero; oppure quando dice: ti capisco? Nel primo caso è amore egoistico, e si gode il fatto che mi desidera. Quando invece si sforza di capire me mediante il pensare – e come si potrebbe fare altrimenti? –, quando si sforza di afferrare la mia essenza, di conoscermi, allora questo è amore del prossimo e non solo amore di sé.
Quindi il pensare, la conoscenza dell’essenza dell’altro mediante il pensare, è il più alto gradino dell’amore, anche il più caldo. L’amore naturale, privo di saggezza, è soltanto il primo gradino dell’amore. L’amore si approfondisce infinitamente quando cerca la luce della conoscenza. L’amore naturale vuole amare gli altri soltanto finché questo piace. L’amore che invece cerca la luce della conoscenza attraverso il pensare, è lo sforzo pensante e conoscitivo di afferrare l’essenza dell’altro nella sua realtà, nella sua oggettività, in modo che io nei confronti dell’altro mi comporto così da mettergli a disposizione quello che gli serve per andare avanti.
Questo più alto e più caldo gradino dell’amore presuppone la conoscenza; io debbo conoscere l’essere dell’altro per sapere oggettivamente cosa è importante per lui, cosa è bene per lui, del tutto indipendentemente dal fatto che mi piaccia o no. Importante è che sia la cosa giusta per lui, che lui vada avanti.
Questa forma dell’amore più profonda, più calda e più dell’essenza, presuppone il pensare, la conoscenza. Solo che questo pensare e questa conoscenza non è astratta, ma è attivamente cosciente nella prospettiva dell’amore. Significa che io voglio conoscere gli altri nel pensare per poterli amare più profondamente. La conoscenza è la forma più profonda e più calda dell’amore, della comunione con gli altri.
In altre parole: provate voi a trovare una forma più profonda e più calda di amore. Ditemelo. Io ho proposto la conoscenza che si può raggiungere col pensare, perché la conoscenza dell’altro quando si realizza, quando io ho la vera intuizione del suo vero essere, allora mi sento spiritualmente uno con lui.
La mia proposta è che la conoscenza, l’amore della conoscenza è la più profonda forma dell’amore – voi avete altre soluzioni? Non le troverete. Amore senza conoscenza, senza pensare è un amore molto piccolo, a differenza dell’amore basato sulla conoscenza che è il più grande. Perché se l’altro vuole amarmi senza conoscermi, senza capirmi, allora mi ama proprio poco. Se invece si dà da fare per amarmi mediante la conoscenza del mio essere, perché vuole capire chi io sono, come sono fatto e ciò che è bene per me, allora questo amore, che cerca la conoscenza, è un amore enorme, ben più grande di un amore senza conoscenza, senza lo sforzo di conoscere.
Vi auguro una buona notte, e domattina riprenderemo cercando di finire tutta l’Apocalisse… o quasi.
Ottava conferenza
giovedì, 13 novembre 2003, mattina
vv. 12,4-6
Gentili signore e signori, cari amici,
ieri ci siamo occupati della fenomenologia del drago, di come questo drago trascina giù sulla Terra un terzo delle stelle del cielo con la sua coda, e abbiamo detto che questo è il terzo spirituale del mondo, del cosmo. Si potrebbe dire che il senso di tutto questo è che il drago strappa via dal cosmo lo spirituale e lo seppellisce nella Terra, lo schiaccia sulla Terra affinché qui venga di nuovo ritrovato.
12,4: … e la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le gettava sulla Terra. Questa è proprio la moderna astronomia che ha fatto piazza pulita di tutta la spiritualità del cosmo per vederci solo materia che se ne va in giro, come se fosse in gondola.
Qual è il senso del fatto che le controforze hanno semplicemente fatto sparire lo spirito dal cosmo e l’hanno portato sulla Terra, l’hanno nascosto nella Terra? Per dare all’intelligenza umana diventata terrestre la possibilità di riscoprirlo a partire dalla Terra, a partire dal pensare umano, a partire dall’evoluzione terrestre. In questo senso lo spirito del cosmo è diventato nascosto, l’astronomia si è de-spiritualizzata; è proprio andata così. Anche l’anima è scomparsa, ma prima doveva sparire lo spirito e poi anche l’anima mundi; l’anima del mondo doveva andare perduta, doveva essere portata giù e poi seppellita sottoterra, poiché anche l’intelligenza terrestre si è in primo luogo materializzata.
Lo vedremo poi, con la lotta di Michele con il drago. Ma proprio questa intelligenza terrestre divenuta materialista, questo pensare umano diventato materialista, che ha perso di vista lo spirito, ha eliminato lo spirito dal cosmo, ha però ora la possibilità di ritrovarlo a partire dal suo Io – può generare lo spirito in forma individuale, a partire dall’interiorità dell’anima. Le possibilità, o meglio le condizioni, i presupposti per generare lo spirito del cosmo a partire dall’Io – così come viene fatto in forma di immaginazione archetipica nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner – come azione dell’Io del singolo uomo, per generare questo spirito-Logos, questo spirito-Cristo, questo spirito-Io del cosmo – ebbene la condizione perché questo avvenga è che quello spirito non ci sia più. Per questo doveva scomparire.
C’era come tradizione, come saggezza di iniziati, come intelligenza cosmica, come manifestazione, e questa passività, questo gradino infantile dove l’uomo riceve soltanto e non è ancora capace di generare da sé qualcosa, di generare lo spirito, ebbene tutto questo doveva finire, affinché dalla Terra, dalle forze dell’evoluzione terrestre, del divenire individuale, lo spirito potesse essere raggiunto in modo individuale, in modo libero. Significa che doveva anche essere data la possibilità di omettere il ritrovamento stesso di quello spirito. Per avere questa possibilità di omettere il ritrovamento dello spirito, lo spirito doveva sparire, altrimenti sarebbe sempre stato presente e anche l’omissione non sarebbe stata possibile, come non sarebbe stata possibile la libertà.
Per questo ho pensato che è assolutamente importante che noi consideriamo nell’Apocalisse la prospettiva della controforza come centrale, così come anche nel Faust di Goethe è descritta in modo così pulito e cristico. È importante che superiamo il moralismo, il moraleggiare che consiste proprio nel ritenerla qualcosa di cattivo. Questo moralismo è un modo di portare avanti l’infanzia, di mantenere l’impotenza, oppure è un pretesto per dire: non posso farci nulla, perché è male. Questa è l’ultima tentazione che deve essere superata per rendere il proprio Io capace nell’arte di rapportarsi con la controforza.
Dunque l’ultima tentazione da superare consiste nel tentativo di scaricare l’uomo nero. Dobbiamo smettere di pensare che la controforza sia cattiva. Chi fa così trova la scusa per non fare nulla, perché dice che è cattiva. Non vede che il bene e il male sorgono soltanto dal modo di rapportarsi con le controforze e che il male, l’inizio del male, sorge soltanto attraverso il modo in cui ci si confronta con la controforza. Il male è proprio questa omissione, l’omettere di diventare svegli, di divenire coscienti, perché ora si tratta di mettere in campo la giusta relazione con la controforza.
Mi confermerete che nella tradizione è forte la tendenza a ritenere le controforze come un male, di considerare il diavolo cattivo. Questo è giusto per i bambini, per il livello infantile, ma l’uomo cresciuto, l’adulto deve dirsi: no, la controforza è necessaria, e ora si tratta piuttosto del modo in cui io prendo posizione nei suoi confronti. Dipende da me quale posizione assumere. E la prima, assoluta, ineludibile e decisiva posizione è di tipo conoscitivo. Perché devo dirmi: come mi comporto al riguardo? Da dove viene tutto questo? Cosa vuole? La prima posizione nel pensare è quella di smettere di ritenere la controforza come un male e cominciare a pensarla come una realtà necessaria. Questo è l’inizio del modo giusto di prendere posizione. Questo è l’avvio della presa di posizione cristica nel senso: diventare cosciente del dato di fatto che la controforza è necessaria per la mia evoluzione, per lo sviluppo del singolo nella libertà – che è poi l’inizio del nascere dell’attività. Perché devo diventare attivo, devo io stesso coltivare questo punto di vista, ogni giorno in prima persona ho da coltivare questo modo di pensare. Questo è davvero l’inizio della nascita dell’Io, dell’individualità, della responsabilità propria.
L’essere del Cristo nell’uomo è la chiamata a non essere più soltanto un essere di natura, determinato dalla grazia divina o dalle forze di natura, ma considerare ciò che è naturale, ciò che è dato dal divino, quel che ha carattere di grazia, come fondamento per sviluppare la propria umanità, come ciò da cui ci si può evolvere nella libertà e nell’amore.
La prima azione dell’amore dell’uomo, di ciò che fa l’uomo a partire dall’amore è il pensare. La seconda grande azione che l’uomo compie a partire dall’amore è l’immersione nel mondo, è volitiva, e richiede anche il suo operare, così che sorga quanta più individualità possibile in ogni uomo. Cosa possiamo fare, cosa può fare ciascuno nel pensare e nel volere, così che in ogni uomo sorga quanta più individualità possibile, quanta più responsabilità morale possibile, quanta più cristificazione possibile?
L’Apocalisse è inflessibile, la colonna portante dell’Apocalisse è fermezza morale. Per questo il pensare fa così bene, e vedremo che la prima cosa che può essere fatta, e deve essere fatta per questa nascita, per aiutare ogni uomo a generare il Cristo-bambino a partire dall’interiorità della sua anima, è quella di coltivare il pensare, sostenerlo, amarlo. Perché solo nel pensare, nel proprio pensare, nella forza del pensare individuale nascerà soprattutto dalle forze dell’anima il Logos, lo spirito individualizzato, pienamente responsabile.
Perché il senso del pensare, del sentire e del volere – le tre forze animiche –, è quello di generare l’Io. Questa donna celeste, questa anima umana è costituita da tre forze fondamentali: dal pensare, che è la forza della coscienza; dal sentire, le forze della ragione e del sentimento; e dal volere, le forze della sensazione che sorgono dalla natura. E il senso del pensare, sentire e volere è l’Io. Dobbiamo diventare sempre più individuali nel pensare, sempre più individuali nel sentire e sempre più responsabili nella volontà.
Ci sono conferenze dove Rudolf Steiner descrive queste tre forze dell’anima, il pensare, il sentire e il volere: lo stupore per il pensare; la compassione per il sentire, per il cuore, per le forze del cuore; e la coscienza per la volontà, per le azioni, per il volere e l’agire.
Sono le tre forze fondamentali dell’anima. La capacità di stupirsi, di meravigliarsi quale stimolo per continuare a pensare. La capacità di avere compassione, che poi prosegue nell’amore. E la forza, la responsabilità morale, la capacità di assumere in proprio la responsabilità morale individuale per la propria evoluzione, per l’evoluzione dell’umanità, per lo sviluppo della Terra: questa è la responsabilità morale. (Scrivo Io in rosso) il senso di queste tre forze animiche è che trovino la loro unità nell’esperienza dell’Io.
E poiché gli iniziati europei avevano coscienza di Gesù Cristo, Gesù quale portatore del Cristo, quale Essere dell’Io-sono, poiché sapevano che questo Essere divino, solare, genera la totalità delle forze dell’io dall’anima di ogni uomo, per questo motivo gli iniziati tedeschi hanno considerato così preziosa l’autoesperienza. Però non hanno utilizzato la parola “sé”, come gli inglesi, come nel caso anglosassone. Self, myself non viene impiegato, come nel tedesco selbst. Anche gli idealisti non l’hanno usata per indicare l’individualità, ma hanno scelto quasi sempre la parola Ich [io in tedesco]. La preferenza per questo termine deriva dal fatto che lì sono contenute le iniziali del nome Gesù Cristo.
Non è affatto un caso, ma va considerato con profonda serietà come compito evolutivo anche di questa cultura del centro, proprio questa chiamata dell’anima umana a generare l’Io, il Cristo Io – Gesù è la dimensione umana – e Cristo è questo bambino che viene generato.
In questo Io, in questo Ich tedesco sono contenute le due parti: nella I di Jesus, il lato umano, animico di ogni uomo, che genera il Christus, Ch. C’è tutto in questa parolina tedesca Ich. È grazia tutta speciale crescere in una lingua madre che contiene in sé questi misteri. Solo che a questo fatto è connesso il compito per il singolo di afferrarlo consapevolmente quanto più si cresce, e coglierlo nella sua completezza.
Quindi questa I è l’anima dell’uomo, che è chiamata a generare dal suo grembo il Cristo. E Cristo è il divino bambino, l’essere divini, l’essere creativi, l’essere liberi, l’essere totalmente responsabili, la forza di stupirsi di tutto, la forza di tutto compatire – come già Buddha aveva preannunciato, come necessità dell’evoluzione – di sperimentare compassione per ogni creatura. Provare compassione perché è proprio a partire dal dolore, dal confronto con le controforze che l’uomo può procedere oltre: questo è il dolore, è il confrontarsi con le forze di opposizione. La compassione significa avere il coraggio di vedere il positivo del confronto con le controforze, così che da questo sforzo, da questo dolore, da questo patire assieme sorge sempre più forza d’amore. Poi la terza forza è quella della coscienza, perché se io faccio di me stesso un io migliore, se mi evolvo, il mondo diventa migliore. E un uomo che anche solo un pochino omette di evolvere nel bene rende il mondo e l’intera umanità un pochino più superficiale moralmente, meno seria.
Dunque la legge della coscienza morale è che nessun uomo può davvero evolversi senza che si evolvano, portandoli con sé nella direzione del bene, gli altri uomini, e nessun uomo può diventare un pochino più cattivo senza rendere un pochino più cattiva l’intera umanità. La coscienza cristica è la consapevolezza che non esiste nessuna salvezza privata. Noi siamo tutti membra di un unico organismo che è sano in quanto tale o è malato in quanto tale. Nessuno di noi può essere sano senza risanare un pochino tutto l’organismo, e ugualmente nessuno può ammalarsi[45] animicamente e spiritualmente senza far ammalare un pochino anche tutto l’organismo.
Mi ha sempre riempito di gioia l’opinione di Rudolf Steiner secondo cui, tra le lingue europee, il tedesco è ancora quella più vivente, tanto da poter venir coniata. Si ha ancora la massima libertà di maneggiarla. A differenza della lingua francese, per esempio, che è stata fissata al massimo perfino dai poteri costituiti, è tutto codificato quel che viene vissuto e non vissuto nella lingua. Questo avviene proprio grazie alla composizione delle parole che in italiano o in francese, per esempio, non è possibile, mentre invece così facendo in tedesco si creano molte parole nuove. Se si è dotati di un sentimento della lingua si capisce subito se la nuova parola creata funziona oppure no. Sarebbe un sentimento da coltivare e far crescere. Il fatto che abbiamo la possibilità in tedesco di sperimentare la dimensione viva della lingua, cioè il fatto che possiamo creare parole nuove che prima non esistevano, dipende sostanzialmente dallo spirito della lingua.
Considerate questa una chiacchierata preliminare e ora torniamo al testo.
Siamo alla fine del quarto verso del XII capitolo. 12,4: … e il drago stava di fronte alla donna – ™nèpion tÁj gunaikÕj. Vis à vis, nel senso che c’è proprio una corrispondenza. Questa formulazione afferma realmente che c’è e deve esserci una corrispondenza perfetta fra la forza e la controforza. Le forze dell’anima sono presenti nella donna, questa donna apocalittica, che è l’anima umana, e proprio di fronte a lei ci sono le controforze.
Non abbiamo naturalmente il tempo per approfondire, e forse qualcuno si lamenterà che in questi giorni siamo riusciti a fare solo tre o quattro capitoli. Per me non è affatto importante la quantità, perché se ci esercitiamo sui punti più importanti, poi ognuno può proseguire per conto suo. Volevo dire soltanto che in ogni immagine, se valorizzata meditativamente, non c’è nulla che non sia importante, tutto è molto significativo.
Qui in 12,4, per fare solo un piccolo esempio, la frase greca kaˆ Ð dr£kwn ›sthken, esteken indica che il drago sta lì davanti con una forza tutta sua, con ispirazioni sue; sa cosa vuole, è lì presente. È competente in quel che fa. Poi il termine ™nèpion (enopion), ™n ώπς, ops è il volto, quindi il termine significa che è lì davanti al volto. Lui e la donna si guardano in faccia. Sono proprio uno di fronte all’altro. Per ogni ispirazione che sorge da te, io devo farne sorgere una buona da me, e mi basta pensare l’esatto contrario. Per tutto quello che tu mi dici ho bisogno soltanto di pensare l’esatto contrario, e allora trovo la verità; c’è corrispondenza perfetta. Tutto questo lo troviamo nell’immagine: stava di fronte.
Nel Faust è proprio così, perché col passar del tempo Faust impara che se Mefistofele è davvero un diavolo tutto d’un pezzo, allora le sue ispirazioni devono essere sempre completamente capovolte, ma completamente. Significa che basta fare l’opposto, pensare il contrario esatto e si trova quel che è giusto. Vedete quanto può essere stimolante e di aiuto la controforza. Perché non posso sempre trovare ciò che è giusto al primo colpo.
Qualche volta trovo ciò che è giusto per il fatto che faccio l’assoluto opposto; e se non è proprio l’opposto allora è più difficile, perché debbo cercare ancora, ma se è l’esatto opposto allora è più facile perché mi basta solo fare il contrario. Nell’ambito medico, per esempio, al tempo di Steiner c’erano naturalmente dei medici che erano disperati perché la medicina proposta da lui era ancora più complicata di quella che avevano imparato all’Università. La medicina accademica è una medicina semplice perché opera solo sulla materia, e allora si procede per tentativi e errori, e si conclude in base ai risultati. Questo non andate a dirlo nelle Università, lo dico solo privatamente, qui fra noi. Ma è realmente così, e non è un segreto. Da dove venite a sapere se qualcosa funziona o meno? Provandolo. Ora noi abbiamo secoli di medicina materialistica dietro alle spalle e grazie alle prove continue qualcosa è stato raggiunto perché è stato corretto quello che andava sghembo.
Ora si presenta uno Steiner e rende più complesso il tutto perché non si riferisce solo al fisico, a questo pezzo di materia, al corpo fisico, ma anche al corpo eterico, anche al corpo astrale, che è ancora più complicato, e infine all’Io; e il medico deve prendere atto di dover tener conto di tutto questo: di ben quattro mondi. Si possono capire i primi medici antroposofi che dubitavano di fronte ai primi dati offerti da Steiner, perché a volte erano l’esatto contrario di quel che loro si erano rappresentati fino a quel momento. A volte Steiner diceva che era naturale, che non c’era da stupirsi, perché l’uomo e il mondo sono costruiti su polarità. Significa che i due poli si corrispondono l’un l’altro.
In questo senso io ho parlato di forza e di controforza (v. Fig. sotto), perché sono una polarità.
Ora il mio pensiero era: la legge fondamentale di una polarità è la sua corrispondente, la corrispondente polarità speculare. Se ci si esercita nel pensare ad avere in mano questa legge esattamente come una chiave, ci si stupisce di quante ispirazioni arrivano.
Un medico si presenta da Steiner e dice: Dottore, ho provato quel che lei ha detto ed è accaduto l’esatto contrario. Steiner replicava: allora provi a fare l’opposto. Solo l’esatto contrario e non qualcosa d’altro. In altre parole: se è accaduto l’esatto contrario di quel che tu ti aspettavi, allora prova a invertire polarmente il tuo intervento. Hai cercato di guarire una malattia nel sistema del ricambio mediante un intervento sul sistema neuro-sensoriale, che è polare al primo, e ora è saltata fuori una malattia nel sistema neuro-sensoriale, prova a curarla prima intervenendo sul sistema che gli è polare, e cioè sul sistema del ricambio e non, in prima battuta, su quello ritmico.
Volevo dire che abbiamo qui particolarmente nel XII capitolo la legge fondamentale prioritaria dello scambio fra forza e controforza, e devono corrispondersi esattamente, altrimenti non è la controforza di quella forza. Ho una forza e ora debbo conoscerla esattamente, non in modo forfettario. Come posso conoscere sempre meglio una forza? Grazie al fatto che io riesca a conoscere altrettanto esattamente la sua controforza.
Come posso conoscere nel modo più esatto l’essere maschile? Per il fatto che mi approfondisco sempre più nella conoscenza dell’essere femminile. Ecco un altro esempio di polarità. Non dico l’essere umano, ma il maschio. Non posso conoscere dettagliatamente lo specifico maschile senza la fenomenologia del femminile, che è la sua corrispondenza perfetta. Niente è più maschile di ciò che è non femminile, e così il contrario. Femminile infatti significa non maschile, e maschile significa non femminile. Pensare per polarità, è così che si capisce sempre meglio attraverso l’altra polarità. Sarebbe del tutto impossibile capire davvero la fenomenologia della donna apocalittica senza considerare assieme la fenomenologia del drago, della controforza, perché la prima può essere capita sempre meglio solo in relazione alla seconda.
Questo mi è venuto in mente a partire dall’immagine ›sthken ™nèpion. Qual è l’esatta traduzione di questa parola?
Intervento: Di fronte.
Archiati: Di fronte. Direi faccia a faccia, non solo di fronte, perché il termine greco ops indica la faccia, anche gli occhi; si potrebbe dire: «Occhi negli occhi», si guardano direttamente negli occhi e questa è un’immagine di una corrispondenza completa. Sta a dire: presta attenzione perché non potresti capire una realtà senza l’altra. Capisci A solo in relazione a B e capisci B solo in relazione ad A, perché si tratta di una polarità.
Se ci si esercita in questo modo allora non c’è più spazio per il moralismo che dice: il drago è cattivo, perché invece è la forza d’opposizione corrispondente. Sarebbe altrettanto insensato dire che una molla, con la quale voglio esercitare i muscoli, è cattiva. Non è affatto cattiva, è solo la controforza necessaria per rafforzare la forza, per rendere più forte la forza buona.
Ora la donna, che è l’anima dell’essere umano, sta per partorire.
12,4 … tÁj gunaikÕj tÁj melloÚshj teke‹n, è lì per partorire. È inteso il dinamismo del divenire. Prima col termine “incinta” si intendeva la potenzialità, la possibilità; indica anche il divenire della nascita, perché qui si tratta di un processo.
Quando la donna, quando l’anima è dentro questo dinamismo del generare, cosa deve esserci di esattamente corrispondente nel drago? L’ingoiare, l’uccidere. Partorire significa aiutare la nascita e il drago, la controforza, deve fare di tutto per uccidere il bambino che deve essere messo al mondo: è l’esatta corrispondenza. Ora se traduciamo le immagini, chiediamoci cos’è che nella vita di tutti i giorni – e sono una quantità di cose – ci aiuta a generare il bambino, l’individualità, la creatività, il Cristo in me; e quali sono, invece, le forze polari che vorrebbero uccidere il Cristo in me, questo bambino, pezzo dopo pezzo. Allora si ha la fenomenologia da entrambi i lati in modo sempre più concreto, la si porta sempre di più nella vita di tutti i giorni. Naturalmente è lasciato ad ognuno di approfondire i particolari di questo processo. Perchè il modo in cui la forza e la corrispondente controforza si fronteggiano è in ogni uomo qualcosa di diverso e del tutto individuale.
12,4: … kataf£gV, per inghiottire, kata indica che non resta più niente, che viene totalmente distrutto con la masticazione.
Seguiamo un pochino queste due immagini. La donna ha in grembo il suo bambino e lo farà nascere. Il drago ha il bambino fuori di sé, lo mangia e il bambino scompare dentro di lui. Vedete la corrispondenza? Viene mangiato e va verso l’interno. Diciamo che la nascita del Cristo è l’apertura dell’amore di sé all’amore degli altri, e che il drago ha bisogno di tutto il mondo esterno per l’amore di sé, lo vuole soltanto per mangiarlo a proprio favore.
Abbiamo quindi l’amore del prossimo, l’amore e l’egoismo. Il drago è la totalità degli impulsi dell’egoismo, vuole mangiare tutto solo per sé; perfino l’impulso-Cristo, perfino il cristianesimo vuole usarlo a suo vantaggio, vuole mangiare tutto per sé. L’anima è chiamata ad aprire verso l’esterno quell’amore di sé che c’è nel grembo di ogni uomo, e quindi generare dall’amore di sé l’amore per gli altri.
Tutto questo scaturisce dalle due immagini. Il bambino nella donna va da dentro a fuori, mentre per il drago va da fuori a dentro, viene ingoiato. Per il fatto che il bambino viene generato dalla donna da dentro a fuori viene alla vita; nel caso del drago è l’esatto contrario, perché va da fuori a dentro mediante la masticazione, e così viene ucciso. Vedete che le immagini, quando le si specifica, si corrispondono in modo meraviglioso.
Ora dobbiamo tradurre queste immagini: cosa sono nella mia vita? Cosa vuol dire che il bambino, il Cristo-bambino viene inghiottito? E cosa indica il contrario, cioè il fatto che nasce, che viene alla vita? Le immagini sono meravigliose.
È come in una fiaba: in una vera fiaba compaiono soltanto immagini, sono consentite solo immagini che esprimono realtà che avvengono sempre. Perché una fiaba contiene qualcosa che è sempre e dappertutto vero e reale. Se qualcosa non è valido in qualche caso, allora non compare in una vera fiaba. Significa che le fiabe, e anche le parabole dei vangeli, contengono soltanto immagini che hanno valore universale. Si tratta solo di tradurle in concetti, oppure in esperienze di vita, e allora può essere davvero molto fecondo.
12,5 «Ed ella partorì un figlio, un maschio, che doveva governare tutte le nazioni con scettro di ferro. E il figlio fu portato verso Dio e verso il suo trono».
E partorì un figlio, un maschio, uƒÒn sta per figlio e ¥rsen indica che è maschio. Ho già sottolineato che questa mascolinità non ha nulla a che fare con gli uomini e le donne, ma indica l’attività, la creatività, la capacità di individualizzarsi. Non si agisce più soltanto a partire dal dovere, come nei tempi pre-cristiani, ma dalla propria volontà; il bene viene fatto a partire dall’interiore volontà propria, dal proprio impulso a fare il bene, e dall’amore per il diventare attivi nel mondo. Tutto questo è indicato qui con il riferimento al maschile. Femminile, invece – e l’anima è femminile – indica che il senso di tutto ciò che si riceve è il fatto di diventare attivi.
Un bambino riceve tutto nell’infanzia, non solo le cure materne ma anche l’educazione e tutto il resto. Quale è il senso di questo ricevere? Quello di restituire quando sarà il tempo opportuno, quando verrà il momento di manifestare le capacità acquisite, di diventare attivi, di restituire grazie ai propri talenti tutto quello che si è ricevuto. Le capacità sviluppate sono destinate a tutto l’organismo dell’umanità. Perché ci si deve sentire sempre di più un organo, un membro, un componente vivente, una cellula dell’organismo-umanità.
Il senso di tutto ciò che è animico, di tutto ciò che è predisposto a ricevere è il diventare attivi, creativi, pieni di responsabilità. Significa che tutto ciò che l’uomo riceve, se è possibile riassumerlo con una parola, è la capacità di dare. Questa è la somma di tutto ciò che si riceve, altrimenti il ricevuto non avrebbe alcun senso. È come dire che il senso ultimo di tutto ciò che si riceve è la capacità di restituire. La somma totale della grazia è la capacità di diventare liberi, così come il senso di tutto quello che si riceve è di restituire, di diventare capaci di portare frutto, di stimolare gli uomini a diventare attivi su tutta la linea.
Questo figlio, che è maschio, è l’Io. L’Io cristificato dell’uomo diviene – mšllei, diviene – oppure porta in sé le forze, è qui, ma porta in sé le forze, ha in sé le potenzialità: come possiamo tradurre questo mellei? Verso 5: e partorì un figlio, un maschio, che doveva pascolare tutti i popoli. Tradotto così è totalmente fuorviato. Il quale doveva governare i popoli con scettro di ferro. La traduzione interconfessionale forse, in questo caso, è migliore.
Μšllei significa è qui oppure è nel processo di, ma il senso profondo di questo termine greco indica il portare in sé il dinamismo, l’avere in sé le potenzialità, la facoltà di agire così e così, di diventare così e così. È una potenzialità interna, un interiore dinamismo evolutivo.
Se noi diciamo che questo bambino porta in sé tutte le forze per agire in tutti i popoli e in tutta l’umanità, del tutto ugualmente, sia che si tratti di un popolo o di un altro, di una lingua o di un’altra, intendiamo la potenzialità che c’è in ogni uomo, la vocazione a tirarsi fuori da tutto ciò che è gruppo, da ciò che è popolo, per risorgere nell’individuale. Se noi traduciamo tutto questo col termine “dovere”, doveva governare tutti i popoli con scettro di ferro, allora dobbiamo intendere con le forze della volontà, con le forze del volere individualizzato. Ma se inseriamo il concetto di dovere vediamo subito che la lingua ci getta nel moralismo. Doveva è un dovere.
Il termine qui indica: è determinato per questo compito, ma non per dovere quanto piuttosto perché è nella sua natura. Questo bambino porta in sé le forze, è lui stesso la forza per vincere tutto quello che è ancora di gruppo. Se traduco con “deve” vedete come cambia? Non si tratta di dovere, ma del fatto che lui porta in sé le forze, che lui fa ciò che è nel suo dinamismo interiore.
Porta in sé la forza, può, ha la potenzialità di “pascere tutti i popoli”, cioè tutto quello che è di gruppo, di pascere ogni uomo in seno a ogni gruppo, in modo che l’uomo trovi il suo nutrimento in ciò che è di gruppo per diventare sempre più individualizzato.
Cos’è il “bastone di ferro”? Naturalmente si tratta di un’immagine, anzi di due immagini: ferro e bastone. Una prima immagine che ci viene in mente è la colonna vertebrale. È di ferro nel senso che è il fondamento del volere, per il movimento dell’uomo. L’uomo ha sempre collegato la volontà col ferro, perché il ferro è immagine di forza: pensiamo a Marte, il guerriero, il forte. È la forza di non ritirarsi, di non arretrare, di non essere timoroso come una lepre, ma di stare fermo in se stesso. E quando noi – ecco che arriviamo a Michele – questo bastone di ferro lo traduciamo in senso micheliano, allora è il bastone di ferro della volontà conscia del fine, quindi consapevole della finalità e certa della vittoria.
Vedete, anche la volontà è una capacità, la volontà può diventare cosciente del suo fine mediante il pensare, e divenire sicura dell’obiettivo mediante le forze volitive.
Debbono esserci entrambi affinché l’uomo abbia davanti agli occhi, cosciente dell’obiettivo, lo scopo della sua evoluzione, quello che lui vuole raggiungere – prendiamo come obiettivo la nascita del Cristo-bambino. Soltanto che ora questo obiettivo deve essere del tutto concretamente davanti agli occhi nel pensare, fin nei minimi dettagli, come intuizione morale. Cosa significa per me questa nascita? Nella misura in cui la volontà diventa conscia del suo obiettivo, allora riceve la forza, diventa sempre più volitiva, perché riconosce l’amato obiettivo, che è così bello. Ma lo è solo nella misura in cui capisco l’obiettivo, lo afferro nel pensare, e più è bella la meta, più è chiara, tanto più l’uomo consegue certezza e sicurezza di vincere le controforze.
Questa è la verga di ferro, che poi diventa spada nelle mani di Michele. Perché una volontà conscia del suo fine e certa della vittoria è la forza, è la capacità di distinguere: cosa è bene? È il mio obiettivo; e cosa è male? È ciò che voglio evitare. Cos’è la verità e cosa, invece, è imbroglio, errore, bugia? In queste distinzioni la volontà diventa cosciente del suo scopo e certa della vittoria. Tutto questo viene rappresentato col ferro.
È naturale, l’immagine del ferro qui è molto adatta, soprattutto quella della verga di ferro. Poi viene Michele con la sua spada di ferro che è pure una verga; aggiunge al carattere di verga quello di essere capace di tagliare, cioè la capacità di distinguere. Perché non posso diventare cosciente dell’obiettivo se non so distinguere. No, quello è un falso obiettivo, mentre quello è giusto. Questo è bene per l’uomo e diventa il mio scopo; quello non lo è, o almeno non lo è per me, e quindi non lo diventa.
Si dice poi che questo Cristo-bambino pascolerà, e questo indica l’offerta delle possibilità evolutive – il pascolare consiste nel nutrire, nell’offrire il nutrimento –, il Cristo-bambino nutre ogni io umano proprio nella misura in cui in ogni uomo si rafforza sempre di più questa verga di ferro. Quindi il nutrimento che il Cristo-Io offre a ogni uomo consiste proprio nella capacità di far crescere uomini dal popolo, dalle lingue, dalle culture e così via, e sono quelli che sperimentano in sé la verga di ferro, questa forza dell’io che sorge per il fatto che l’uomo diventa sempre più cosciente dei suoi fini e sicuro della vittoria.
Sono immagini meravigliose quelle che nella meditazione possono essere dischiuse da qui. Perché la meditazione serve appunto a collegare del tutto concretamente queste immagini alla vita, alla quotidianità, e naturalmente ognuno nel suo modo personale. Ci si stupisce di quanto può essere rafforzante un testo di questo tipo, proprio quando viene sperimentata questa verga di ferro. Si capisce da dove viene il fatto che siamo uomini. Se questa non è una forza, se questa non è una verga di ferro, allora non so più a cosa pensare! Ma per diventare così ferrati nella propria volontà, così da non tralasciare nulla, nulla mettere da parte o considerare insignificante, è necessario sapere perfettamente ciò che si vuole, e bisogna essere convinti che ciò che si considera buono non deve mai essere abbandonato. E guai all’umanità se non afferra tutto questo con coscienza del fine e certezza della vittoria.
E questo bambino viene preso, viene portato via…
Intervento: Rapito
Archiati: Viene rapito – rapito non c’è nel fatto che viene portato via.
Intervento: La traduzione del Nuovo Testamento che ho in mano io dice “portato via”
Archiati: Portato via. Quindi qualcosa di attivo. Quindi il mondo spirituale ha provveduto che l’Io superiore, questo bambino venisse portato via – il Cristo bambino è l’io superiore nell’uomo, naturalmente. Sono prospettive che vanno prese tutte assieme. Sarebbe stato del tutto impossibile dare l’Io superiore all’io inferiore come coscienza, di botto, perché il ricollegamento con l’Io superiore è l’obiettivo dell’evoluzione.
Dunque l’uomo diventa capace di individualità, riceve un Io – prendiamolo in modo molto concreto – specialmente nel terzo secolo dopo Cristo – che è la metà del periodo dell’anima razionale e affettiva –, nelle forze dell’anima razionale si genera l’Io, ma all’inizio è soltanto l’Io inferiore, e l’Io superiore viene reso sovracosciente dai mondi spirituali: questo è il portar via o il rapire, se volete. Per il fatto che l’io superiore, l’Io-Cristo viene reso sovracosciente, allora diventa un compito evolutivo. Significa che l’evoluzione dell’Io consiste nel purificare sempre meglio l’io inferiore, nell’aprirlo sempre di più – e l’io inferiore è la somma dell’egoismo, perché ci deve essere – così che l’uomo colleghi sempre di più il suo io inferiore col suo Io superiore. Ma prima l’Io superiore doveva rimanere sovracosciente.
Ciò riguarda questa scomparsa dello spirito, lo spirito che viene portato via – prendete il Concilio di Costantinopoli dell’869, il bambino, il Cristo-bambino, come è stato rapito o portato via? Dove si è negato che l’uomo consiste di corpo, anima e spirito. L’Io-Cristo, l’Io superiore è stato semplicemente rapito, e la coscienza dell’Io superiore è andata perduta per divenire, come compito, di nuovo riconquistata. L’uomo ha perso di vista che è uno spirito ed è chiamato a divenire sempre più spirituale. Questo è il rapimento, il portare in alto del Cristo-Io che diviene sovracosciente.
Già ieri ho accennato che nella Lettera ai Colossesi di Paolo 3,3 c’è scritto: «Voi siete morti». Il senso di questa morte è la risurrezione, ma a partire dalle forze dell’io.
Ne ho parlato molto nel mio libro Freiheit, Sinn des Schicksals[46]. Tutto il libro fondamentalmente è stato scritto per mostrare, a partire dall’io inferiore, la prospettiva dell’Io superiore. Solo che l’uomo odierno al quale è stato rapito questo Cristo-Io si domanda: da dove ricavi tutto questo? È soltanto una trovata, una tua trovata questo Io superiore.
La domanda allora è: che si fa? Perché voi sapete che io non scrivo per i buoni antroposofi. Da parte mia sarebbe troppo stupido perché hanno già Rudolf Steiner da leggere, che è molto meglio di Pietro Archiati. Lo dico molto seriamente. Io scrivo per quelle persone che non hanno la capacità di leggere, al primo tentativo, Steiner, oppure lo trovano troppo difficile, mentre la scienza dello spirito è davvero da augurare a ogni persona. È quello che fa andare avanti l’umanità più di tutto. Solo che oggi – non ho voluto accettarlo per molti anni, ma ora ho dovuto capitolare – noi abbiamo molte persone che non hanno immediatamente l’accesso a Steiner. Dicono: è troppo difficile, è troppo vecchio, il suo linguaggio non mi va. Ho sempre pensato che queste fossero scuse, e invece sono fatti.
Dunque io cerco di scrivere per rendere l’accesso a Steiner un pochino più facile – naturalmente senza alcuna riduzione per quanto riguarda il contenuto. Perché un annacquamento della scienza dello spirito di Rudolf Steiner per me sarebbe l’inizio dell’uccisione del Cristo-bambino. Quindi non se ne parla proprio, al punto che proprio per il fatto che non ho voluto né annacquare né tagliare sul problema della sessualità, l’editore italiano[47], che ha tutt’altro spirito, si è rifiutato di stampare il mio libro.
Questo per dirvi: un annacquamento della scienza dello spirito è fuori discussione. Si tratta solo di fare il possibile per rendere un pochino più moderna la lingua, utilizzando cioè la lingua dell’uomo d’oggi. Non è cosa facile.
Volevo dire che parliamo certo in tutta onestà dell’Io superiore senza ridurlo e l’uomo d’oggi dice: «Di cosa stai parlando?», oppure: «Non mi interessa». Così ho sperimentato quanto abbia ragione l’Apocalista quando dice che il Cristo-Io è stato rapito, è stato portato via dalla coscienza.
Un Goethe aveva ancora un sacco di tensione, di esperienza al riguardo; chiamava l’Io superiore col termine “genio”, una delle sue parole più amate, oppure usava il termine entelechìa, per esempio; aveva ancora una quantità di parole per indicarlo. Oppure prendete gli idealisti: torniamo indietro di due secoli in Europa Centrale e allora c’erano ancora uomini che già soltanto dalla tradizione cristiana coniavano parole come Cristo-Io, Cristo nell’uomo, Cristo in me (Schelling ha scritto pagine meravigliose su tutto questo), perché sapevano che ogni uomo è un essere superiore che lavora in stretta collaborazione con il suo Angelo custode, anche se non è ancora sufficientemente sviluppato per esserne consapevole. Questa coscienza è andata perduta nell’umanità, veramente perduta.
Dico queste cose affinché anche voi possiate aiutarmi, perché è una grande impresa. Perché si scrivono le cose, a volte si suda per mesi e poi le persone dicono: non ci capisco niente. Oppure, il mio libro sull’amore, qualcuno mi ha detto: troppo difficile.
A un secolo da Goethe e dagli Idealisti arriva questo Rudolf Steiner che in verità non è un piccolo impulso, ma è paragonabile a un grande impulso, se volete, del tipo di quelli che vengono una volta ogni 2160 anni.
Perché ci sono impulsi che si presentano ogni due anni, e devono pur esserci anche loro così come ci sono cose che arrivano tutti i giorni. Ma poi ci sono impulsi grandiosi che riguardano tutta l’evoluzione, che sono così onniabbraccianti da essere validi per 2160 anni, per un intero ciclo solare. Chi si rapporta onestamente con Rudolf Steiner deve riconoscere che lui è uno di questi, anche se sa che l’impulso-Cristo non vale solo 2160 anni ma è valido per l’intera evoluzione. Ma un Rudolf Steiner è un colpo tale che accompagnerà l’umanità per i prossimi due millenni. Poi, dopo che sarà penetrato nell’umanità, verrà il prossimo compito.
Bene, ma come possiamo cominciare a digerirlo? Per prima cosa a masticarlo, perché in bocca può essere davvero dolce: ricordate il libricino? Per questo molti antroposofi si sono deliziati di lui, volendo sapere, e ancora sapere, e ancora sapere. Ma è durato un pochino troppo questo bearsi per una vita intera, perché nello stomaco è atroce. È evidente che è così, e non può essere diverso.
Solo che la mia domanda adesso è: come possiamo tradurre tutto questo così che gli uomini comincino a capire cos’è questo Io superiore di cui stiamo parlando? Steiner, in un certo senso, ha dovuto porre le cose in modo così assoluto e imponente perché sapeva che poi sarebbe sorto il compito – e noi siamo un secolo dopo – di cominciare a masticarlo e digerirlo.
Io penso che forse è stato fatto troppo poco per masticare e digerire questo strumentario conoscitivo dell’Io superiore, così da renderlo accessibile anche all’uomo più semplice. Forse abbiamo ancora tanto da fare. Mi rappresento che alcune cose sono state omesse perché si è preferito godersi il dolce, il sapore di miele della scienza dello spirito, ma non ci si è rivolti anche a ciò che è amaro, dove si deve lottare per renderla accessibile all’umanità di oggi. Perché è destinato a tutta l’umanità e non solo a un paio di persone che se lo godono: sarebbe una perversione dell’impulso. L’odierna forma del cristianesimo o è per tutti, oppure non è cristianesimo. Quindi io vedo in questo un compito enorme.
Questo era il mio balbettante commento sul fatto che il Cristo-bambino viene rapito, portato via, tolto via, reso soprasensibile, sovracosciente. Affinché fosse poi compito dell’io inferiore, a partire dalla propria individualità, dalle forze individuali, riconquistarlo di nuovo.
12,5 è stato rapito, ¹rp£sqh tÕ τεκνον aÙtÁj prÕj tÕn qeÕn, verso Dio, nel mondo divino, è stato portato nel mondo divino – “sovracosciente” ho proposto di tradurre io – e collegato con il trono di Dio – Qui compare la parola “trono”, che ritorna sovente nell’Apocalisse: eccovi ora solo un piccolo commento su questa parola.
Noi abbiamo i Troni, i Cherubini e i Serafini, sono i tre più alti: quindi: 9.Serafini, 8.Cherubini e 7.Troni (viene scritto alla lavagna)
Questi sono i Troni sopra i quali troneggia la Trinità, proprio sopra. Proprio perchè siede sopra i Troni, questi sono chiamati così. (Vedi lo schema alla lavagna) Sono i portatori immediati dell’impulso divino, della Trinità – e qui è il Bambino, il Cristo-Io che si è collegato col puro spirituale, col divino, col divino trinitario. I Troni sono più legati al Padre, i Cherubini al Figlio e i Serafini allo Spirito Santo. Ma questa è alta trigonometria nella scienza dello spirito e non voglio andare oltre. Potete studiarla nel volume 136 dell’Opera omnia[48] se volete approfondire le conoscenze sulle gerarchie spirituali.
Questo è quanto si riconnette al trono di Dio – quale piccola prospettiva per capire molte cose dell’Apocalisse, perché questa parola torna sempre di nuovo. Ora veniamo al 6., 5. e 4., la Gerarchia intermedia, la seconda, che abbiamo appena conosciuto: nella terminologia della Scienza dello spirito sono gli Spiriti della saggezza, del movimento e della forma. Le parole che ricorrono nell’Apocalisse sono: Spiriti della forma, εξουσιαι – questo termine compare molto spesso; Spiriti del movimento, δυναμις, anch’esso molto frequente; e Spiriti della saggezza, le signoreggianti Dominazioni, kuriÒthtej, κυριος. Dynamis, kyrios, exusiai sono termini che ricorrono sempre di nuovo.
Ora questa era la prospettiva alla quale volevo accennare: la prima Gerarchia non è direttamente attiva nella natura. La seconda Gerarchia, gli Spiriti della forma, gli Spiriti del movimento e gli Spiriti della saggezza sono i rappresentanti, i conduttori degli ordini divini nella natura. Questa è la differenza. Quindi il Cristo-bambino non è stato rapito dentro le forze della natura, ma è stato rapito nel puro spirito. E il drago opera attraverso le forze della natura. Come vedete la scienza dello spirito offre davvero importanti distinzioni e prospettive senza le quali non si viene assolutamente a capo di questo testo, che è molto complesso.
Poi, se vogliamo completare tutto questo, abbiamo a disposizione il volume 136, molto importante per questo tipo di studio. Inoltre c’è anche il volume 110 Le Gerarchie spirituali e il loro riflesso nel mondo fisico[49]: i due volumi vanno studiati assieme. Quando parliamo di Angeli dobbiamo sempre riferirci a loro.
Ora c’è il tre, due, uno – quindi qui c’è la divinità, il puro spirito; e qui invece c’è la natura, le pure forze di natura. Naturalmente gli Esseri della seconda Gerarchia, gli Spiriti della saggezza, del movimento e della forma sono di nuovo ricevitori delle indicazioni degli Esseri della prima Gerarchia. Tutto viene mediato. La divina Trinità fornisce le indicazioni alla prima Gerarchia, la quale le passa alla seconda mentre quest’ultima le media alla terza, gli Angeli, gli Arcangeli e gli Spiriti del tempo (Principati). Scrivo ancora alla lavagna le parole greche che compaiono nell’Apocalisse e che possiamo rendere con l’idea del primordio, dell’inizio del tempo, dell’impulso temporale, del nuovo impulso dell’evoluzione del tempo, per quanto riguarda le Archai; poi vengono le Guide dei popoli (Arcangeli) e infine le Guide individuali (Angeli).
L’Angelo custode guida l’evoluzione del singolo uomo. L’Arcangelo è un Essere molto più alto perché deve avere la capacità di guidare 80 milioni di uomini qui in centro Europa, far in modo che i loro cammini, i loro contributi, le loro doti, i loro destini, i loro incontri e così via si conformino in modo tale che ne salti fuori uno specifico popolo. Riflettiamo su quanta arte ci vuole per realizzare tutto questo. Noi non ne abbiamo la più pallida idea. E le Archai hanno la capacità – che un Arcangelo non può nemmeno immaginare – di coordinare per un certo tempo tutti i popoli, tutti gli Arcangeli, affinché ne scaturisca un organismo temporale, uno spirito del tempo.
Per esempio è comune a tutti i popoli del nostro tempo l’anelito, il desiderio di sviluppare le forze dell’anima cosciente. Il nostro Archè, lo Spirito del tempo attuale sa esattamente – è la sua arte, è la sua fantasia morale – come agire complessivamente nell’umanità, quali forze e controforze sono necessarie per sviluppare le forze dell’anima cosciente, proprio perché è lo spirito del nostro tempo.
Cosa hanno in comune tutte e tre? Il fatto che non operano direttamente nella natura e non sono neppure puramente spirituali come i tre della Gerarchia superiore, ma che operano dentro l’uomo. Questa è la loro attività principale, e particolarmente l’Angelo opera nel pensare dell’uomo, e l’Arcangelo particolarmente nel sentire.
L’Arcangelo guida l’inserimento in un popolo – chiedo: questa è una faccenda del pensare, che la possiamo completamente capire, oppure è una faccenda del sentire, dell’esperienza? Chi di noi ha escogitato la lingua che parla? La lingua di popolo che parliamo è opera dell’Arcangelo. Noi sperimentiamo, viviamo la lingua – non siamo così avanti da pensare una lingua, da generarla mediante il pensare. Nell’ambito degli Arcangeli tutto quello che ha carattere di popolo viene sentito. È meraviglioso ed è ancora più profondo di quello che pensiamo consapevolmente.
Ancora più profondo è l’ambito delle forze di volontà, le forze che sono sotto la coscienza, dove operano gli Spiriti del tempo; qui il sentimento è parzialmente cosciente e parzialmente inconscio. Il pensare è completamente cosciente; il sentire è semicosciente e il volere è completamente inconscio; là opera lo Spirito del tempo, proprio nelle forze della volontà, dove noi veniamo condotti senza sapere da dove venga tutto questo.
Quelle che ho espresso sono, naturalmente, delle semplificazioni e valgono come orientamento, perché per il fatto che l’Angelo lavora in stretto rapporto con l’Arcangelo e con lo Spirito del tempo, anche lui ha molto a che fare col sentire e col volere. Ma l’attività principale dell’Angelo è di operare nel pensare dell’uomo.
Tutta questa riflessione serviva per dire: perché qui non viene semplicemente detto che il bambino è rapito verso Dio e invece si precisa che viene rapito verso il suo Trono – cos’è il trono? Dio e il suo Trono. Vedete, l’uomo ordinario direbbe: ebbene, l’Apocalisse ha dei fronzoli, quando dice che Dio ha un trono, che troneggia. No, perché si tratta di Esseri, di Esseri gerarchici che sono portanti, che portano gli impulsi della divinità dentro il mondo per il fatto che li trasmettono alla seconda Gerarchia e, per mezzo di lei, all’uomo. Una di queste Gerarchie, la più bassa delle tre superiori si chiama “Troni” perché Dio vi troneggia sopra.
Si tratta di tradurre davvero le immagini abbracciando la realtà spirituale e chiedendosi: quale realtà spirituale è intesa in queste immagini? Perché i Troni devono essere una realtà spirituale, Esseri spirituali. Altrimenti non ci sarebbe quella parola.
12,6 «E la donna fuggì nel deserto, dove per lei c’era un luogo preparato da Dio, affinché vi fosse nutrita per 1260 giorni»
E la donna fuggì nel deserto – œrhmon”.
Intervento: Divenne eremita
Archiati: Divenne eremita, eremitessa. L’anima è diventata eremita. Cosa vuol dire? Non ci si sarebbe aspettati dopo una vicenda così avvincente, che lei ora si trasferisse nel deserto, diventasse eremita. È estremamente appassionante per il pensare cercare di capire. Naturalmente non posso limitarmi a dirvi che l’eremos è il deserto, e così via, perché l’Apocalisse offre immagini in cui è contenuto molto. Un aspetto importante di questa immagine del deserto è la solitudine animica.
C’è un contributo di Steiner per intendere esattamente la parola éremos nel volume 124 dell’Opera omnia[50]. Contiene il primo tentativo fatto da Steiner per commentare il Vangelo di Marco: è intitolato Digressioni sul Vangelo di Marco. Dopo essersi occupato degli altri tre vangeli e in particolare di quello di Giovanni, Steiner ha lasciato per ultimo quello di Marco perché sapeva che era il più breve. Solo che nel breve c’è così tanto succo che si è detto: devo ancora fondare tutta una scienza dello spirito per poter arrivare a cogliere qualcosa del Vangelo di Marco. Per questo motivo il ciclo sul Vangelo di Marco, il volume 139[51], viene molto dopo.
Nella conferenze del volume 124 Steiner si occupa espressamente del concetto di deserto proprio in direzione della solitudine dell’anima. All’inizio del Vangelo di Marco c’è la parola di Giovanni Battista: «Io sono la voce di uno che grida nella solitudine: fate penitenza». Io mi sono sempre chiesto: che significa la parola “penitenza”? Cosa ne pensa un normale cristiano, e un protestante, per di più?
Giovanni Battista dice: io sono una voce che grida nel deserto; io sono la voce nel deserto. Se prendiamo il deserto in senso letterale, allora è assurdo e non posso certo partire dal presupposto che Giovanni Battista sia, se permettete, così stupido da far sentire la sua bella voce alla sabbia del deserto. A chi predica nel deserto? Là non c’è nessun uomo ad ascoltarlo.
Vedete come il testo veramente quasi ci costringe, amorevolmente ci spinge a tradurre le immagini in concetti. L’immagine del deserto è: non avere nulla intorno, nessun impulso, nessuna percezione. Voi direte che c’è la sabbia, ma in verità non è proprio una percezione appetitosa quella della sabbia, perché è sempre la stessa.
Nel deserto il mondo esterno cessa di dare indicazioni all’uomo, di determinarlo; qui ci possono essere solo indicazioni da dentro, oppure non c’è nulla. Il concetto di deserto è l’appello evolutivo a diventare attivo da dentro, cessando di essere determinato soltanto dal mondo esterno. È un’immagine meravigliosa. Per questo il popolo dell’io, il popolo di Jahvè, il popolo che aveva ricevuto la chiamata a sviluppare l’individualità – in un primo momento quale rappresentante per tutti gli uomini – proprio mediante questa solitudine animica, l’andar nel deserto è per imparare: ora il mondo esterno deve cessare di determinarti così che mediante le percezioni sorgono immediatamente le rappresentazioni, e tu impari a sviluppare dalla tua interiorità le forze interiori.
Cos’è la solitudine animica? Perché solitudine? Perché l’anima per prima cosa sente la mancanza del meraviglioso mondo esterno. Questa è la solitudine, la mancanza. La metafora indica, naturalmente, tutto ciò che è possibile. Perché l’esteriore cessa di essere conduttivo e ora è dall’interiorità che sorgono le forze, è dal pensare, dall’individualismo etico come lo chiama Steiner, che viene portata l’evoluzione.
Quale è l’indicazione che lascia liberi, quella che lascia più liberi in assoluto per generare dall’interiorità un mondo intero? Ammettiamo che il mondo esterno scompaia – ed è stupendo, alla fine. Quando io faccio l’esperienza: è meraviglioso, alla fine tutto il mondo esterno è scomparso, non sento l’impulso, la nostalgia di creare adesso un mondo nuovo. Qual è l’aiuto necessario per portare gli uomini a generare un mondo dall’interno? L’aiuto è la scomparsa del mondo esterno, delle indicazioni che vengono dall’esterno, perché l’esperienza del deserto non può essere gustata se non viene sperimentata come solitudine.
Significa che l’uomo deve passare dall’esperienza della mancanza. Solo per il fatto che sperimenta la cessazione della conduzione dall’esterno, perché ne ha le tasche piene di essere determinato dall’esterno, solo quando vive la libertà negativa del liberarsi da qualcosa – e dapprima il deserto è proprio il correre lontano dal mondo, non avere più nulla attorno a sé – solo quando egli vive come privazione questo nulla, come mancanza della conduzione da fuori, e che questo non gli basta, allora lui cerca un altro mondo. Se non venisse sperimentato come mancanza, allora si sentirebbe bene e non sentirebbe il bisogno di continuare a cercare e direbbe: finalmente il mondo è scomparso, come sono felice! No, no, la solitudine animica risveglia la domanda: cosa faccio ora? Non mi basta lamentarmi. Essere contro qualcosa non basta: io devo essere per qualcosa. Resta solo che io dall’interiorità tiri fuori il bambino, generi l’uomo-bambino.
Quindi queste immagini lavorano se le si prende nel loro aspetto universale, perché non credo che voi pensiate che le immagini sono sensate solo se possono essere tradotte in tedesco; no, quando vengono capite possono essere tradotte in italiano, in francese, in giapponese, in tutte le lingue, perché sono umane. Noi parliamo di uomini e ogni uomo che comprende se stesso anche solo un pochino come uomo, le capisce subito. Perché il cristianesimo è puro umanesimo oppure non ha niente da fare con noi, che siamo uomini. Essere cristiano è positivo solo se significa: essere umano. Non si pensi che cristiano significhi più che umano. Mai e nessuno può essere più che umano, perché l’uomo è stato fatto come uomo.
Il cristianesimo è il modo migliore di diventare uomo. Cristo è il significato migliore dell’essere umano, è il migliore aiuto a diventare sempre più umano. Ma più umano che umano non si può essere. L’uomo può soltanto essere meno uomo di quanto sia possibile attraverso le sue omissioni. Ma se non omette nulla diventa sempre migliore, sempre più uomo, e la pienezza, la totalità del divenire umano sorge soltanto quando il divenire-uomo viene portato a pienezza, a compimento, l’uomo è diventato completamente uomo – e non ci vuole poco, cari amici – e solo quando lo è diventato, perché ha portato ad attuazione tutte le potenzialità esistenti nell’essere umano, allora può bussare alla porta dell’Angelo. Solo se ha portato a compimento tutto lo sviluppo umano – non se è diventato un superuomo, ma se è diventato un vero uomo –, allora può bussare alla porta dell’Angelo e dire: ora forse sono pronto per provare ad esercitare le funzioni di Angelo. Gli Angeli naturalmente lo sottoporranno a una prova e diranno: un momento, caro uomo, vediamo se superi o meno l’esame per diventare Angelo. Quale è la prima domanda che gli Angeli faranno?
Vedete, l’Angelo deve parlare con l’uomo – queste sono realtà, sono cose che nell’Opera omnia di Steiner si trovano davvero, con tutti i possibili esercizi – e una grande, importante, differenza tra l’uomo e l’Angelo consiste nel fatto (v. Fig. sotto) che qui c’è l’uomo e qui c’è l’Io superiore, che è il Cristo-Io, il ponte verso l’Angelo.
L’Io superiore – che per questo ci è sovracosciente – sa infinitamente di più di quel che sa l’uomo, Io superiore e Angelo operano assieme. L’Io superiore presta ascolto continuamente alla voce dell’Angelo. Ora arriva la domanda più importante dell’esame – ora siamo al punto in cui l’uomo bussa e dice: caro Angelo, poiché si è sempre detto che essere Angelo è più bello che non essere uomo, mi permetti di provare un pochino? Ho già sperimentato per millenni il fatto di essere uomo, e mi è stato detto che se avessi fatto bene sarei diventato Angelo. Come si fa? Bene, caro uomo, è semplice. Prima domanda: quando tu eri uomo hai vissuto più volte sulla Terra (viene schema); una prima vita, e poi sei andato nei mondi spirituali; poi una seconda vita, e sei tornato nei mondi spirituali, nel mondo degli Angeli (disegniamo gli Angeli in rosso, nel loro mondo angelico). Poi hai avuto una terza vita, una quarta, e così via. Ora siamo arrivati a questa vita: non importa quale sia.
La coscienza umana si distingue dalla coscienza angelica – e questa è una delle differenze più importanti – per il fatto che la coscienza umana che va da nascita a morte può abbracciare solo una esistenza, non ha alcuna idea della sua esistenza prenatale, per non dire poi della sua vita precedente. E non ha alcuna idea neppure di quello che succederà nella prossima vita.
Se questi fossero giorni – e potrebbero benissimo esserlo a ben guardare – sarebbero: ieri, poi il sonno, quindi oggi, poi il sonno, poi domani, seguito dal sonno, e dopodomani. La coscienza umana ha l’ampiezza di questi singoli giorni anche se ha l’anelito a proiettarsi nel futuro e cogliere la connessione fra questi brevi giorni collegati l’uno all’altro. Noi sappiamo all’incirca cos’è la vita fra la nascita e la morte, ma poi la coscienza umana entra in un gradino superiore quando noi cominciamo a collegarci col nostro Io superiore, non solo per il fatto che ci rendiamo conto dell’esistenza della reincarnazione, ma anche perché diventiamo consapevoli di chi eravamo la volta precedente, di cosa abbiamo combinato la volta precedente, di quel che vogliamo fare ora per pareggiare. È quando io capisco che tutto quello che mi succede è solo un pareggio individuale di ciò che ho fatto nel passato. Questo è il gradino di coscienza dell’Angelo, dell’Io superiore, non quello della coscienza ordinaria.
Ora si presentano uomini che vogliono sapere chi erano nella vita precedente o in quella ancora anteriore. Cosa dice allora l’Angelo nell’esame? Il motivo per cui non ti è stato ancora lecito sapere, consiste nel fatto che tu non hai ancora la forza morale per fare un buon uso di questa conoscenza. Perché un uomo che sperimenta improvvisamente – questa è la vita dove siamo (v. Fig. p. 292) – chi era nella vita precedente e moralmente non si è evoluto abbastanza, chi ritiene responsabile per tutto quel che di brutto gli succede nella vita? Naturalmente gli altri. Fino a quando l’uomo è pronto a ritenere responsabili gli altri della sua evoluzione, non gli è lecito gettare uno sguardo su chi sia stato nella vita precedente. Perché distribuirebbe le colpe su tutti gli altri e non su di sé. Quindi l’Angelo provvede che l’uomo prima di avere coscienza delle sue vite passate abbia la forza di attribuire a se stesso tutto ciò che gli capita durante la vita. Solo allora riceve quella coscienza. Per la maggioranza degli uomini ci sarà ancora un po’ d’attesa, per nostra fortuna. E se compare qualcuno che comincia a distribuire informazioni sulle precedenti incarnazioni, la cosa migliore che possiamo fare è di ignorarlo. Quelle informazioni ci portano avanti, ci fanno migliorare moralmente? Sono qualcosa che può essere molto dolce sulle labbra, ma la dolcezza non arriva allo stomaco, perché là, invece, è molto amaro.
La coscienza dell’Angelo consiste nel connettere l’una con l’altra le varie vite, per avere uno sguardo complessivo su tutte le esistenze, affinché con questo tipo di coscienza una vita venga programmata a partire da quella precedente; e così tutte queste vite sono interconnesse armonicamente l’una con l’altra come una lunga giornata che permette all’Io dell’uomo di crescere sempre più. Naturalmente l’Angelo ha questa coscienza in comunione con l’Arcangelo, con tutte le Gerarchie che sono sopra di lui e con la divinità stessa.
La coscienza umana è la consapevolezza di come i giorni della vita sono collegati fra loro; quella angelica invece è quella che coglie le varie vite nel loro succedersi. È un altro grado di coscienza rispetto a quella umana.
Attraverso la mancanza l’uomo viene aiutato a cercare questo gradino di coscienza, che è quello del suo Io superiore. E che cos’è la mancanza? È un atroce pezzo di deserto nel senso della solitudine. Mi sento solo se arrivo al punto da dire: se conosco solo questa vita, oppure sono fermo al dogma che c’è una sola vita, allora tante cose sono senza senso e non me le posso spiegare – bambini che vengono abusati, muoiono, debbono soffrire, tanto per fare esempi. Di cosa sento la mancanza lì? Della spiegazione, del senso. Allora c’è la ricerca che dice: no, deve esserci un più alto livello di coscienza che coglie il senso di quel che è successo a quel bambino, magari espressione di azioni delle controforze o di qualcosa d’altro che proviene dalla sua evoluzione passata. Allora ho una spiegazione.
Ogni evoluzione intellettuale, ogni evoluzione morale, diviene libera quando non è soggetta al devi, quando non deve avvenire in base a un dovere coercitivo, ma quando viene sollecitata dalla sua stessa privazione perché l’uomo in questa mancanza cerca qualcosa, perché lo vuole, perché gli manca. Questo è il concetto di solitudine, di deserto: la mancanza quale privazione, quale impulso da dentro a cercare la pienezza.
Il deserto, la solitudine è la forza dell’anima che cerca il senso delle cose a partire dalla privazione, e quando l’anima cerca il senso allora a lei viene incontro lo spirito quale pienezza di senso. La pienezza del senso è la Terra infuocata. Dopo il deserto viene la Terra promessa, ma l’uomo deve cercarla, e la cercherà. La ricerca nella libertà è possibile soltanto se sento la mancanza. Altrimenti qualcuno deve ordinarmi: devi, devi, devi! Ma l’uomo si ribella contro questo tu devi! Perché vuole sapere perché lui deve. Quando io sento la mancanza di qualcosa, il dovere diventa superfluo; quando l’uomo avverte la mancanza dello spirito, è salvo.
***
Cosa ne dite voi? Avete domande? Perché se galoppo così, voi poi non avete abbastanza spazio per le domande.
Intervento: Chiede qualcosa sul verso 5
Archiati: prÕj tÕn qeÒn è la stessa formula che si trova nel Prologo. Ora questa serie di immagini naturalmente attingono dall’Antico Testamento, particolarmente dai profeti. Perché cosa hanno fondamentalmente profetizzato i profeti? La pienezza dell’evoluzione, che è la chiamata dell’uomo a generare sempre di più il divino, il creativo, l’individuale, il cristico. L’hanno chiamato il Messia, che è il Cristo.
La somma di tutta la sapienza, di tutte le profezie dell’Antico Testamento è fondamentalmente la fenomenologia della nascita del Messia da parte dell’uomo, di come il Messia nasce dentro l’uomo. Per questo motivo i testi dell’Apocalisse fanno sempre riferimento alle immagini dei profeti: per esempio trovate l’immagine della nascita di un figlio maschio, poi quella del pastore di tutti i popoli con la verga di ferro – particolarmente nel settimo capitolo di Isaia si parla della Vergine che concepisce il figlio, e così via.
Tutto questo renderebbe il testo ancora più stimolante, ancora più ricco, soprattutto se noi fossimo ancora al tempo di Goethe, quando era possibile che ci fossero uomini che conoscevano l’Antico Testamento. Ora non è più così strettamente necessario, perché nel frattempo il compito di una scienza dello spirito è diventato così possente da colmare quelle lacune – ma se qualcuno volesse conoscere in ogni particolare l’Antico Testamento allora troverebbe molto più ricco il testo che stiamo studiando. Ci vorrebbe un grande studio, occorrerebbe confrontarsi con tutta la teologia, con l’esegesi odierna, che capisce tanto poco l’Antico Testamento quanto il Nuovo Testamento. Un lavoro non da poco. Le profezie, poi, sono state fatte ovviamente dai profeti e possono essere soltanto giuste.
Lo vedremo subito. Nel XII capitolo troveremo la fenomenologia del drago, che è un essere spirituale. Rudolf Steiner mostra che lo stesso Michele, se così posso dire, ha rispetto per lui perché Michele è un Arcangelo e il drago, invece, è al livello dello Spirito del tempo (Principato). Quindi in quanto a forza e a raggio d’azione il drago sta più in alto di Michele. Steiner dice che se gli uomini sapessero quale rispetto e venerazione ha Michele nella sua lotta contro il drago, allora gli uomini prenderebbero il drago un pochino più sul serio.
Perché nel XIII capitolo c’è una bestia – ora è una bestia e non più soltanto un drago – con sette teste e dieci corna, che è poi l’uomo, che sono le controforze oppure l’omissione dell’umano. Quindi la fenomenologia non è più concentrata su quel che le controforze ci offrono, anche se sono al livello dei Principati – lo vedremo magari oggi stesso – ma su ciò che succede nell’uomo; perché i sette gradi dell’evoluzione con gli altri tre sono i passaggi evolutivi umani, e quindi lì è rappresentata l’evoluzione dell’uomo.
La prima fenomenologia, cioè la bestia con sette teste e dieci corna, è la fenomenologia dell’omettere, cioè di quel che succede nell’uomo nella misura in cui omette.
Poi viene la bestia con due corna, che è il demone solare nell’uomo, che compare a partire dal capitolo 13,11. È il modo in cui ora l’uomo è posseduto dagli spiriti avversi. La bestia con due corna possiede l’uomo. La bestia con sette teste e dieci corna è l’uomo così come diventa omettendo il bene, ma è ancora l’uomo. Viene descritto l’uomo, i vuoti che sorgono nell’uomo. La bestia con due corna al contrario, è un essere sovraumano che opera mediante l’uomo e rende l’uomo un posseduto. Devono essere distinte con questa chiarezza. Il drago non vuole possedere l’uomo, non opera mediante l’uomo, non entra nell’uomo, ma è un essere spirituale che sta in alto; un essere che ha il compito simile a quello di Mefistofele nel Faust di offrire le controforze, ma in modo ben circoscritto.
Abbiamo dunque una trinità: il drago al XII capitolo, e nel capitolo XIII gli altri due, che ora sono bestie, non più draghi ma bestie, l’animalità che ha in sé l’uomo, mentre ciò che ha natura di drago è esterno all’uomo. La dimensione animale ce l’ha in sé l’uomo perché l’uomo è la sintesi riassuntiva di tutto quel che c’è di minerale nel corpo fisico, di tutto quel che c’è di vegetale nel corpo eterico e di tutto quel che c’è di animale nel corpo astrale, cioè nella sua anima. Quindi quando si parla di animale abbiamo a che fare con il contenuto dell’uomo.
Ora la bestia con sette teste e dieci corna è l’uomo così come diventa quando omette il bene, e cioè sempre più animale, perché non aggiunge la dimensione della libertà: per questo è animale. Così l’omissione del bene permette il secondo livello del male – omettere il bene è il primo livello del male – che consiste nel fatto di essere posseduti e diventare così un contro spirito, cioè un uomo che diventa strumento del male. Quando un uomo fa il male perché è posseduto, e quindi non è lui stesso a compierlo ma è lo spirito cattivo che lo possiede a farlo, siamo allora al secondo livello del male. Primo livello del male: l’omissione del bene. Secondo livello del male: compiere il male perché si è uomini posseduti da uno spirito maligno.
Quando procederemo col testo dell’Apocalisse – ma non avremo tempo di farlo in questi giorni – vedremo che la triplice fenomenologia è di nuovo ripetuta, e il primo livello, quello dell’omissione del bene, verrà ancora più approfondito. Poiché questo primo livello è un fenomeno umano verrà presa una comunità terrestre, Babilonia, indicata quale realtà dove gli uomini diventano medium – un uomo che si fa medium è un uomo che è diventato vuoto, che ha molti buchi, perché ha omesso molto. Questo carattere di Babilonia indica il primo gradino di cui sto parlando: l’omissione del bene. La distruzione di Babilonia indica che essa viene messa tra parentesi, viene separata; poi viene la bestia coi falsi profeti, ed è la seconda realtà che si manifesta. La terza è il drago o Satana, perché ora viene realmente chiamato Satana. Anche Steiner parla della fenomenologia di Satana. Sono i tre livelli, che poi vengono descritti nei capitoli XVI, XVII, XVIII, IXX dell’Apocalisse: caduta di Babilonia, caduta della bestia e caduta di Satana.
1. Babilonia
2. Bestia
3. Satana
Tralasciare, omettere il bene – Babilonia; fare il male perché posseduti – la bestia; e poi, Satana: questi è più che uomo, e non agisce più mediante gli uomini. Satana è là che fa tutto per sconvolgere le orbite planetarie, quindi per distruggere le condizioni successive dell’evoluzione dell’uomo. Perché le orbite planetarie, il modo in cui il Sole e la Luna stanno in reciproco rapporto – pensiamoci bene! – sono le più potenti condizioni spaziali della nostra evoluzione. Quando Satana mediante le comete e le meteoriti riesce anche solo per un minimo a spostare l’orbita del Sole o quella della Terra, allora diventano problematiche le condizioni per l’evoluzione umana, che è poi la generazione del Cristo-bambino. Per la nascita del Cristo-bambino devono esserci le condizioni, e le condizioni sono date da Sole, Terra e Luna, come si rapportano e via dicendo.
Dunque Satana è un controforza di alto livello, una potenza spirituale che spia – è Rudolf Steiner che usa questa immagine: Satana spia continuamente – dove sono le comete. Questa è l’immagine della grandine nell’Apocalisse che si ricollega sempre col tentativo di colpire, di rendere erroneo il percorso delle comete – acchiappandole, e impedendo loro di sprigionare il ferro le cui forze fluiscono poi nella volontà umana – che così agirebbero distruggendo.
Se Satana avesse la possibilità di acchiappare le comete, le immense comete prima che esse sprizzino – o meglio, prima che Michele da esse sprizzi e porti giù verso la Terra le forze di volontà nella direzione del bene –, succederebbe che le comete resterebbero troppo vicine al Sole o troppo alla Terra, e allora riceverebbero una spinta che le porrebbe fuori dalla loro orbita. Questa almeno è la speranza di Satana, che vada in porto. Se non l’avesse non ci proverebbe neppure. Anche Mefistofele deve sempre avere la speranza di riuscire, altrimenti non sarebbe un bravo diavolo. Se capisse che non ha senso quello che fa, perché non gli riesce mai, allora dovrebbe smettere e far venire un altro diavolo al suo posto. Un buon diavolo deve avere la convinzione di riuscire a farlo.
Quindi Satana ci prova sempre, e il pericolo c’è. Michele ha un grande rispetto per questo drago, per questo Satana, perché se il male, se la controforza non ha alcuna chance, allora la libertà è un imbroglio. La libertà è una possibilità seria solo quando le controforze hanno davvero una possibilità di realizzarsi. Lo ripeto: se le controforze non hanno nessuna possibilità di vincere allora non sono controforze; per esserlo debbono avere questa possibilità, e solo così può esserci la libertà. Questa è la speranza di Mefistofele, di Satana, e cioè di riuscirci: ci prova sempre di nuovo, non desiste mai. Qualora cedesse, allora il buon Dio dovrebbe mettere in pista un altro diavolo, perché Mefistofele ha ricevuto da Dio Padre, nel Prologo in cielo del Faust, proprio questo compito: noi abbiamo bisogno di te, perché senza il diavolo che briga e forca l’uomo desidera la pace assoluta.
Goethe, Faust, Prologo in Cielo, verso 340 ss.
L’attività dell’uomo può troppo facilmente
Rilassarsi; gli piace il riposo assoluto.
Per questo gli do tale compagno volentieri,
che lo pungoli, lo stimoli e operi da demone
(trad. Franco Fortini)
Mefistofele, noi abbiamo bisogno di te, senza di te non si muove niente; Satana, tu sei richiesto, senza di te non si muove nulla; importante è che tu resti sempre convinto di riuscirci.
Vedete come non c’è moralismo nei confronti delle controforze. È molto importante. Se da queste giornate portassimo a casa anche soltanto questo pensiero sarebbe più che sufficiente: non si tratta di scaricare il male dall’uomo e attribuirlo alle controforze, questa sarebbe la scusa migliore per non far nulla: perché è il diavolo il cattivo, non io.
Intervento: Ma nei versi c’è: sono la forza che fa sempre il bene.
Archiati: No, no, no, «Continuamente vuole il male e fa sempre il bene» (verso 1335).
Intervento: Non è prevista allora alcuna eccezione, che non…
Archiati: Bene. Questo è un momento in cui Mefistofele sta per cedere, ma per fortuna non lo fa. Lo dice, ma non ce l’ha presente, non capisce quello che ha detto. Se capisse ciò che ha detto dovrebbe desistere. «Io sono una parte di quella forza» (verso 1335) solo una parte. Se il male fosse esattamente organico come il bene, allora il male sarebbe bene. Il male è la forza della dispersione. Di nuovo: «Io sono una parte di quella forza che continuamente vuole il male» – traduciamo: che continuamente deve volere il male, non può fare altrimenti. E ora deve concludere – ma lui a questa visione può soltanto avvicinarsi a tentoni perché lui non ha mai abbindolato Faust dicendogli che l’uomo può anche essere buono –, e quindi deve ribadire: sì, anche se io voglio continuamente il male, allora, come mai a volte l’uomo fa il bene? «Fa continuamente il bene», ma controvoglia. Il che significa: chi rende buono ciò che Mefistofele fa come male? Evidentemente qualcun altro.
Intervento: (acusticamente incomprensibile).
Archiati: Il problema sarebbe se questa frase fosse in bocca a Faust. Steiner dice che noi dobbiamo sempre prestare attenzione a chi parla. Per esempio ciò che Margherita dice su Dio non può essere la più alta saggezza che si può dire su di Lui. Oppure quel che Faust dice a Margherita su Dio non è certo il massimo della sua sapienza teologica, ma è commisurato a Margherita. Torniamo a quella frase in bocca a Mefistofele, al verso 1335:
«una parte di quella forza
che vuole sempre il male e continuamente fa il bene»
Fino ad ora è andata così, ma ci provo di nuovo. Soltanto che finora ho avuto sfortuna, ma sono fatto in modo tale da non disperare mai e perciò provo di nuovo. Se questa convinzione di Mefistofele cessasse di essere tale, allora sarebbe finita con lui, allora non proverebbe più.
Un uomo dice: perdinci, finora ho fatto solo sciocchezze. È questo forse un motivo per essere obbligato a continuare a farle sempre? Forse no, forse può provare a fare diversamente. Magari arriva da un’altra parte, anche se finora ha fatto solo sciocchezze. Così Mefistofele deve concludere: fino adesso ho contribuito solo al bene. Io sono una parte di quella forza che vuole sempre il male, e sempre fa il bene. Ma non mollo.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Sì, il discorso non riguarda ciò che è più forte o ciò che è più debole, ma il livello. Ma lei ora mi assegna un compito che non è facile da svolgere: proverò a dare qualche indicazione di fondo. Cerchiamo di fare insieme un piccolo esercizio di pensiero. Noi abbiamo il livello umano – si tratta di livelli di coscienza – e ho appena detto che il livello di coscienza, l’ambito della coscienza di un uomo è diverso da quello di un Angelo, è diversissimo da quello di un Arcangelo. Abbiamo detto che essenzialmente Michele è un Arcangelo – ma le cose sono un pochino più complicate e non è così facile distinguerle come facciamo, invece, per quelle materiali.
L’Arcangelo Michele si è comportato così bene nell’amministrazione dell’intelligenza cosmica prima di Cristo, nel portare giù l’intelligenza cosmica – non solo perché ha mandato giù il drago quale controforza per l’intelligenza sulla Terra (lo vedremo fra poco) ma anche perché Michele ha portato giù l’intelligenza cosmica e l’ha messa a disposizione dell’uomo. Lo ha fatto così bene che ora sta diventando uno Spirito del tempo. Ma lui guarda se stesso come Arcangelo. Poi abbiamo il livello degli Spiriti del tempo, che sono gli Asura – come chiamarli è un problema di terminologia, ma è secondario. Possiamo chiamarli anche Archai. Asura viene dal persiano, dallo zarathustrismo, mentre il primo termine è greco. Ahura, Asura, Ahura Mazda, o Archai.
Il drago dell’Apocalisse (scrivo qui drago). Come vedete non sono cose così facili. Il diavolo, Lucifero, è un pochino più in alto del livello angelico. Poi abbiamo Satana, questa è la parola greca, che è Arimane e si trova di più al livello dell’Arcangelo. Infine abbiamo l’anticristo, che è più a livello di Archai o Spirito del tempo.
In mezzo abbiamo ciò che è cristico, e alla destra e a sinistra le controforze: quella luciferica e quella arimanica. Ma poi c’è la diretta controforza di Cristo, che in greco è chiamata anticristo.
Cos’è l’anticristo? È la congiunzione delle forze di Lucifero e di Arimane, il loro operare comune. Quindi la terza controforza è quella non soltanto luciferica o soltanto arimanica, ma è quella dove ci sono entrambe. Per questo motivo è la controforza diretta a quel che vi è in mezzo.
Il drago dell’Apocalisse si trova di più al livello dell’anticristo, perché ha in sé il luciferico e l’arimanico. Per questo nell’Apocalisse diventa più difficile. È un pochino come nel Faust, dove Goethe non sapeva ancora distinguere bene Lucifero da Arimane, e li ha mescolati un po’. L’Apocalisse non li mischia, ma nel drago li presenta assieme. Noi dovremmo, quando ci fossimo un po’ meglio addentrati nel testo, essere capaci di distinguere l’aspetto luciferico da quello arimanico del drago. Sarebbe un compito molto redditizio. In ogni caso la premessa per farlo sarebbe che avessimo interiormente tutti i fondamenti scientifico spirituali necessari per orientarci nel problema, altrimenti rimarrebbe un esercizio del tutto astratto.
Nella domanda posta c’era l’affermazione: che significa che Michele ha rispetto nei confronti del drago, nei confronti dell’anticristo? Perché Michele non ha la possibilità di agire mediante le forze naturali sull’uomo, se lo proibisce, perché sarebbe una ferita alla libertà. Il drago ha la possibilità e cerca sempre di nuovo, mediante lo sconvolgimento delle orbite planetarie, di agire nell’uomo per impedirgli la libertà, per costringerlo. Michele vuole l’esatto contrario perché vuole la libertà, e dunque si impedisce di costringere l’uomo mediante le forze di natura. Michele sa che il drago ha questa possibilità e che tenta continuamente di metterla in atto. Che un pochino ci riesca lo vediamo per il fatto che in natura alcune cose procedono non proprio come dovrebbero. Per esempio le stagioni cominciano a sballare un po’. È l’operare del drago. Questo instilla rispetto in Michele, non nel senso che il drago impone il suo operare all’uomo, ma perché gli uomini devono rendersi coscienti che la cosa diventa pericolosa. Perché se gli uomini non ne prendono coscienza saranno sempre più posseduti da queste forze. Questo è l’atteggiamento di Michele verso il drago: lui ha più forza, perché opera costringendo con le forze naturali, mentre io ne ho di meno, e ne voglio anche avere di meno perché voglio operare solo mediante il pensare, mediante la libertà, mediante la convinzione.
Ma se gli uomini omettono il pensare, se tralasciano i loro compiti conoscitivi, allora il drago avrà una potenza tale che provocherà la fine per l’umanità. Michele ha coscienza di questa drammatica possibilità dell’evoluzione e augura a ogni uomo di prendere coscienza di quel che succede quando continua a omettere l’evoluzione spirituale, la coscienza, la conoscenza, l’impulso stesso che Michele offre. Ma Michele si proibisce di costringere mediante le forze naturali, perché questa scelta sarebbe il contrario delle sue intenzioni, sarebbe la distruzione della sua attività. Perché la sua attività è che il Cristo bambino venga generato e questo può avvenire solo nella libertà, non mediante la costrizione, perché sarebbe l’esatto contrario.
Nona conferenza
giovedì, 13 novembre 2003, pomeriggio
vv. 12,7-11
Gentili signore e signori,
stavamo cercando di capire cosa significa l’immagine del deserto, che cosa vuol dire. Indica la cessazione delle indicazioni che vengono dall’esterno, perché questo è tipico del deserto, l’assenza di percezioni esteriori, e quindi tutte le direttive di vita debbono scaturire dall’interiorità, da lì deve essere creato un mondo nuovo.
Intervento: Tutto questo ha una relazione con Giovanni Battista?
Archiati: In altissima misura, perché Giovanni era il Precursore del Cristo. Quali sono le forze che precorrono il Cristo? Giovanni Battista può essere soltanto colui che indica il Cristo che sta per venire, indirizza a Colui che deve venire, nella misura in cui egli rappresenta gli uomini bisognosi di salvezza. Soltanto l’uomo bisognoso di redenzione viene a conoscenza di un Salvatore. Se non ci fosse alcun bisogno di salvezza non avrebbe alcun senso avere un Salvatore.
Quindi il Battista riassume, nel punto centrale, il peccato originale, e il suo battesimo è volto verso il passato, è una anamnesi, un battesimo di ricordo, una riflessione su tutto il passato. Gli uomini venivano completamente immersi nell’acqua e in questo ondeggiare fra la vita e la morte il corpo eterico si separava un po’ così che compariva un quadro generale di tutto il passato dell’uomo. Cosa vi si poteva leggere? La nostra caduta, quanto ci siamo allontanati dal mondo spirituale, quanto per noi il mondo spirituale abbia perduto di realtà e venga considerato reale solo il mondo materiale. Soltanto una persona che si rende consapevole di essere caduta sente il bisogno della salvezza.
Giovanni il Battista è il rappresentante dell’umanità che riassume in sé – quale Elia rinato, come dice Cristo stesso – tutto il bisogno di redenzione dell’umanità. Perché se il Salvatore venisse senza che l’uomo vivesse il bisogno della salvezza, allora vorrebbe dire che il Salvatore dovrebbe imporsi agli uomini, i quali non ne hanno nessun bisogno. Non lo fa, ovviamente, perché sarebbe una ferita alla libertà. Il bisogno di salvezza, questo è solitudine. L’uomo si sente solo, perché non sperimenta più la comunione coi mondi spirituali. Questo è la solitudine. Ora deve chiedersi: qual è il senso di questa solitudine, di questo abbandono da parte dei mondi spirituali, del fatto che io non li sperimento più come reali? Se tutto fosse a posto così, io non dovrei sperimentare la solitudine, dovrei essere felice. Se invece lo vivo come solitudine allora significa che sperimento il non-più-vivere il mondo spirituale come privazione. Se è una privazione, allora, ne sento la mancanza, sento il bisogno di creare di nuovo questa esperienza. Se l’ho perduta, allora il senso di questo aver-perso è la chance, la condizione imprescindibile affinché ora il singolo, a partire da questa mancanza, si metta in cammino e riconquisti in modo del tutto individuale, sulla base della libertà, il mondo spirituale.
Nulla però può essere riconquistato se non ciò che è stato perso. Il Figliol prodigo, il figlio perduto, può tornare solo a condizione di essersi realmente allontanato. L’andarsene è la condizione necessaria per il ritornare. Ciò che io chiamo il cristianesimo moraleggiante si mostra anche qui: invece di intitolare l’intera parabola Il figlio perduto e ritornato ci si limita a mettere in evidenza la prima parte.
La parabola invece consiste in un allontanarsi e in un ritornare. Allontanarsi dal Padre, dal mondo paterno, per poi ritornarci, intendendo così il moto di uscita e di ritorno nei confronti del mondo spirituale. Proprio per il fatto che se n’è andato, mediante l’esperienza della privazione ha conseguito la libertà, l’autonomia, e quindi è tornato indietro. Questo è decisivo. Quindi torna indietro del tutto diverso, come un tutt’altro uomo.
Il fratello maggiore non riesce a capire: è colui che è ancora legato al divino e non sente in sé alcun impulso verso la libertà, e per questo motivo moraleggia. Dice al Padre: tu allestisci una festa così grande per tuo figlio che torna dopo aver dissipato i tuoi beni con le prostitute. Io ho sempre fatto notare che le prostitute sono presenti solo nella testa del fratello maggiore. Ben tre volte viene raccontato ciò che ha fatto il figlio minore e mai si parla di prostitute, presenti solo nella testa del fratello maggiore. Lui moraleggia e vede il diavolo in tutta l’operazione, perché pensa che sarebbe stato meglio se il fratello minore avesse fatto come lui e fosse rimasto sempre col Padre. Dimostra così di non aver capito niente, di non aver compreso il senso dell’evoluzione.
Il cristianesimo petrino, il cristianesimo degli inizi, è anche un cristianesimo bambino, che deve in un certo senso sperimentare la morte e la risurrezione. La morte sarebbe il materialismo dell’umanità, il drago, del quale ora ci occuperemo sempre più, e il cristianesimo stesso, come cultura, deve passare dalla morte per giungere alla risurrezione. Una parte della morte del cristianesimo è proprio il moralismo che continua a dire: il peccato originale, la caduta, è un peccato. Far passare la caduta come un peccato è innanzi tutto una stupidaggine, ma poi è anche un moralismo, nel senso che viene implicitamente affermato che sarebbe stato meglio se il peccato originale non fosse avvenuto. Ma se le cose fossero davvero andate così, cari amici, noi non saremmo qui, nulla sarebbe successo. L’intera evoluzione dell’umanità non ci sarebbe stata.
Se leggete la parabola del Figliol prodigo, quale titolo trovate? Solo la prima metà, e cioè Il Figlio perduto. Una vergogna, perché se proprio si vuole avere una metà, mettiamo almeno la seconda: Il Figlio ritrovato. No, invece c’è: Il Figlio perduto! E nessuno nota queste mostruosità. Innanzi tutto si dovrebbe riportare l’intero significato nel titolo: Il Figlio che è andato via ed è ritornato. Se proprio vogliamo scegliere una metà, almeno prendiamo la seconda che è quella che dà il senso al tutto. No, c’è Il Figlio perduto. Perché la Chiesa cattolica – più di quella evangelica – ha sempre detto: se vai via è male, è male, è male. Eppure nel Vangelo c’è scritto: c’è più gioia in cielo per una pecora che si è staccata, che si è individualizzata, cioè che si è assunta la responsabilità della libertà, che non per le altre 99 pecore che sono rimaste a livello di gregge.
Nel Vangelo queste cose vengono dette molto chiaramente. Da questo possiamo capire che i primi due millenni di cristianesimo sono stati in verità solo un inizio, un modestissimo inizio, perché ci sono ancora tantissime cose da chiarire.
Lo ripeto: la solitudine animica, œρημος, viene sperimentata dall’uomo quando non gli basta più tutto ciò che viene dalla grazia, tutto ciò che proviene dalla natura umana. L’uomo si sente solo con tutto quello che gli è stato dato. Di cosa sente la mancanza? Del generare, dell’essere attivo, dell’agire individuale, libero, creativo, pieno di gioia. Per realizzarlo abbiamo a disposizione tutta la seconda metà dell’evoluzione. Ora, deve fare l’esperienza che tutto quel che ha ricevuto dalla natura non gli basta più. Con quale immagine viene detto che non gli basta? Dicendo che è niente, che il mondo esterno non è proprio niente a paragone di ciò che l’uomo può generare da se stesso. L’intero splendore del mondo esterno diventa deserto, diventa un niente, viene annientato, non ha più alcun valore se paragonato a ciò che l’uomo genera da se stesso.
Osservate questo meraviglioso esempio: noi abbiamo una lingua materna, che si è formata, plasmata, grazie a centinaia o migliaia di opere letterarie, in tutto il loro splendore, e il bambino la riceve per grazia, dall’esterno. Un mondo meraviglioso. Quando il bambino comincia a dire le prime parole: papà, mamma, tutto lo splendore della lingua letteraria scompare di fronte alla bellezza delle sue prime parole. Perché? Perché sono le sue, vengono da lui. E potete star certi che il bambino si gode quelle sue prime parole più di tutte le meraviglie della letteratura, che sono ancora da scoprire, per lui.
Il senso di tutto il mondo esteriore, di ciò che viene dato all’uomo, è quello di rendere l’uomo capace di produrre in proprio, di assumere le proprie la responsabilità. Noi siamo uomini proprio perché ci capiamo vicendevolmente quando parliamo. Mentre sto parlando conto sul fatto che voi mi capiate. Mettiamoci una mano sul cuore: a cosa ci serve l’intera intelligenza, l’intera saggezza delle Gerarchie che hanno creato il mondo se noi non avessimo la capacità di capirlo? Cosa ne avremmo? A cosa mi serve questo show degli Esseri divini, questa esibizione, se non posso io stesso tirarne fuori nulla?
Nell’atto del creare, nella creazione molto è stato pensato, infinitamente tanto. Ma l’uomo ha più gioia nel suo proprio pensare, perché è stato creato per diventare attivo. Dobbiamo prendere coscienza che siamo all’inizio della libertà, e che ci sono uomini e poteri che fanno di tutto – e in quanto necessarie controforze debbono esserci – per impedire questa libertà, per presentarla come cosa sospetta. Ripetono costantemente: presunzione, presunzione, presunzione! Può esserlo, naturalmente, ma non necessariamente. Impedire la libertà però è ben peggio di tutte le presunzioni di questo mondo. Perché al bambino che comincia a parlare noi non diciamo che è presuntuoso. Infatti, perché il bambino pretende di parlare da sé se la lingua è già molto più perfetta di quella che il bimbo stesso può parlare? La sua non è forse una presunzione per il fatto che vuol cominciare dall’inizio? Noi infatti conosciamo la lingua in modo ben più perfetto di lui.
Vedete che è un non senso parlare di presunzione. Da nessuna parte c’è più terrore nell’umanità che non nei confronti della libertà. Anche perché è uno strapazzo, e allora si trovano tutte le scuse per non assumere questo compito.
L’anima umana, dunque, questa donna apocalittica, viene portata nel deserto. È la premessa per generare l’attività. L’esperienza del mondo esterno, del mondo già creato da Dio, riceve un senso se io la colgo come impulso a diventare creatore in proprio. Se non divento creativo io stesso allora è tutto inutile, non mi è servito a niente. Non è servito a niente. Questo è il concetto di deserto, e lo dobbiamo comprendere psicologicamente, è l’anima; la donna è l’anima che viene portata nel deserto.
Voglio dire che noi possiamo considerare psicologicamente l’intera fenomenologia della donna nel deserto quale esperienza dell’essere umano che arriva al punto in cui sperimenta la sua anima come nostalgia verso lo spirito. Questo è il deserto. Se l’anima è onesta con se stessa e si prende sul serio, allora sente la nostalgia dello spirito, sente la sua mancanza.
Un piccolo esempio: nessun uomo adulto gradisce che un altro pensi al suo posto. Se io non capisco qualcosa faccio l’esperienza della privazione e non dico che preferirei che qualcun altro capisse al mio posto. Questo non è mai successo.
Chi cerca di capire sperimenta privazione finché non ha capito. Anela a capire, e quando ci riesce allora realizza la generazione dell’attività, perché deve attivare il suo pensiero per capire. Finché sono gli altri a capire per me non vale nulla. Archimede non ha detto il suo eureka pieno di gioia perché altri avevano capito qualcosa, ma perché aveva capito lui!
L’anima ha nostalgia per l’attività, per il divenire attiva, per fare l’esperienza dello spirito, in tutte le variazioni possibili. Prendiamo, per esempio, un terapeuta. Quando si tratta di terapia, in tutti gli ambiti dell’esistenza, quando si tratta di aiutare gli altri o si è capaci di portare a chi ne ha bisogno le forze necessarie oppure a che serve un terapeuta che ha imparato tutte le teorie possibili e le sa solo spiegare? Possono servirgli come premesse necessarie, ricevute durante la sua formazione, ma l’essenziale è che egli sia creativo come medico o come terapeuta. Diventarlo significa saper individualizzare le cose, e non rimanere a livello di modello prestabilito, di casistica studiata utilizzabile in tutti i casi allo stesso modo. Se diventa creativo, se a partire dall’anima genera lo spirito, allora, quale terapeuta opererà ogni volta in modo diverso perché sa sperimentare la fenomenologia specifica di ogni individuo. Ma questo presuppone che sia lui a diventare attivo. Non gli serve il libro dove è descritta solo la legge generale, o almeno non gli basta, anche se naturalmente ci sono aspetti che sono comuni a tutti gli uomini nel caso di specifiche malattie. Per esempio le depressioni presentano aspetti comuni, ma sono quelli meno importanti; gli aspetti più importanti sono naturalmente quelli più individuali, quelli che il terapeuta può cogliere solo a partire dalla sua attività, dalla sua creatività.
L’animico gli serve per le dimensioni comuni, di gruppo, quelle che stanno a fondamento, ma i risultati li conseguirà meglio quando genererà dal comune grembo animico ciò che è individuale, che è attivo, che è creativo. Davanti al paziente dovrà generare una specifica intuizione morale adeguata alle di lui condizioni. Tutti i terapeuti ci dicono: basarsi solo su ricette preconfezionate serve a poco. E servirà sempre meno, perché le persone si individualizzano sempre di più. È indubbio. In condizioni diverse una ricetta o una soluzione che è valida per qualcuno magari non serve a nulla per un altro. Allora si presenta il caso in cui un uomo, in una situazione specifica, non viene guarito per il fatto che ha assunto certi medicinali che andavano bene per quella malattia, oppure perché ha fatto la terapia giusta, ma guarisce per il fatto che ha avuto la fortuna di incontrare karmicamente il terapeuta giusto, che appartiene al suo karma. Nel suo caso se cerca un altro terapeuta, magari anche di quelli formati secondo tutti i crismi, allora quei risultati magari non possono essere conseguiti se manca la relazione karmica. Viene invece guarito grazie alla relazione animica, astrale che intrattiene con quella specifica persona. E invece si cerca di generalizzare la terapia, pensando che essa sia valida in tutti i casi analoghi, mentre la soluzione giusta sarebbe quella individuale, quella che passa dal terapeuta karmicamente collegato col malato. C’è ancora molto da imparare in questo ambito!
Ora cerco di mostrare da punti di vista diversi la differenza tra l’anima – tra la dimensione che vale per tutti, che è di gruppo –, e la generazione del bambino, dell’individuale. Dobbiamo arrivare lì, perché l’uomo non è solo anima, e anche perché la nostalgia verso l’individualità, la creatività, l’unicità, c’è sempre in ognuno.
Oppure prendete il caso di svariati milioni di insegnanti, oppure di infermiere: la loro felicità dipende dall’essere insegnanti o infermiere? Niente affatto, perché quel carattere lo condividono con milioni di persone, in quanto è una dimensione animica nel senso che è un tratto di gruppo, che ha a che fare con l’agire. La felicità dipende non tanto dal che cosa faccio ma dal come lo faccio, e cresce nella misura in cui il modo diventa sempre più individuale.
Come potrebbero agire nello stesso modo due infermiere, avere la stessa attenzione, esperire lo stesso amore, formulare gli stessi pensieri; insomma: come potrebbero essere uguali due persone diverse? È del tutto impossibile. Quindi non possono sperimentare la felicità in funzione del mestiere che fanno, ma dal modo specifico in cui lo fanno. Non è il cosa che rende l’uomo felice, ma è il come, è il suo individualizzarsi.
Nessuno può dire di non avere la capacità di essere del tutto individuale perché ogni persona è un individuo. Basta che ogni persona abbia il coraggio di diventarlo, di generare in sé il bambino della sua individualità. Perché ognuno è stato creato così come egli è dalla fantasia del buon Dio. Ogni uomo, ogni Io superiore, ogni Individualità è una intuizione specifica della fantasia morale divina, perché Dio non si ripete mai, il Cristo non si ripete mai e ha pensato ognuno di noi in modo specifico. Nell’organismo nessun organo si ripete perché sarebbe insensato; ogni organo, ogni cellula, ogni parte costitutiva è diversa e contribuisce in modo diverso.
Il bambino di cui stiamo parlando è davvero il mistero di cui parla Rudolf Steiner nella seconda parte della sua La Filosofia della libertà quando descrive l’individualismo etico, dal quale scaturisce l’evoluzione. Ciò che è di gruppo, ciò che è animico, che conduce dall’esterno deve anche esserci, ma basta per l’infanzia, fino a quando viene il momento di svolta, e l’uomo deve imparare a prendere nelle sue stesse mani la sua evoluzione. Allora tutto ciò che è di gruppo diventa il fondamento – non scompare certo, perché deve rimanere, solo che non basta più – e l’uomo deve aggiungervi la dimensione del tutto individuale. Solo allora diventa felice: e questo lo può ognuno.
Già Aristotele ha distinto l’uomo in questo modo rispetto agli animali, dicendo che per gli animali ci sono le specie: i leoni, le pantere e così via, mentre ogni uomo è una specie a sé. Significa che la differenza fra uomo e uomo non è minore rispetto a quella fra il leone e la gazzella: due specie animali distinte.
Dunque abbiamo ancora molto da lavorare per far emergere tutto questo, per generare dalla nostra interiorità l’individualità di ognuno. Perché ogni uomo è una specie a sé stante: prenderne coscienza è molto bello, molto incoraggiante, dà molta gioia. Basta rendersi conto che non possiamo aspettarci che tutto questo ci venga da fuori.
Questo era un commento al verso 6. Andiamo al verso 7, quello che parla di Michele. Lì volevo arrivare e pensavo di riuscirci già al primo giorno, ma come vedete non è successo: assumetevene anche voi la responsabilità, perché se dipendesse solo da me avremmo già finito tutta l’Apocalisse.
Intervento: Nel verso 6 c’è ancora l’inversione del numero?
Archiati: Sì, naturalmente. In entrambi i casi, cioè sia nel 1260 che diventa 2160 come anche nel caso dei 42 mesi, questo fenomeno avviene due volte. I 42 mesi, infatti, tornano anche nel capitolo 13,5, dove si parla delle forze del bene e di quelle del male, cioè le controforze. Si tratta sempre di un ciclo lunare, che indica il passato e le controforze, ciò che è di natura e non ciò che rende liberi.
Due volte si accenna ai 42 mesi che equivalgono a 1260 giorni, ma è un errore – la prima volta lo abbiamo visto nel capitolo 11,3. Là sono forze buone, forze solari, e quindi il numero deve essere 2160. La seconda volta è proprio qui, al capitolo 12,6.
Entrambi i numeri compaiono due volte; due volte si parla di 42 mesi, cioè di un ciclo lunare, ma non può essere perché questo è ordinato al Sole. Ricordo che ciò che ha a che fare con le forze lunari non riguarda l’aspetto quantitativo, ma quello qualitativo: si tratta sempre di controforze. La prima volta in 11,2 e la seconda volta in 13,5. Poi il ciclo solare di 2160 giorni o anni, che viene capovolto, c’è la prima volta in 11,3 e la seconda volta in 12,6, come abbiamo appena visto.
In entrambi i casi potete tenere per certo che se si tratta di Luna, allora vengono evocate le controforze, le forze di natura, mentre invece se si parla del Sole noi troviamo il numero 2160, che sono le forze buone, quelle conduttive nella seconda parte dell’evoluzione. È ovvio che il 1260 è una inversione dovuta al fatto che si è prestata attenzione all’aspetto quantitativo in giorni dei 42 mesi, in conseguenza del fatto che non si capiva più la polarità in direzione qualitativa.
Lei ha ragione quando dice che questa è la seconda volta in cui il fenomeno compare.
Ora viene Michele, al verso 7.
12,7 «Scoppiò una guerra in cielo: Michele e i suoi Angeli combattevano contro il drago. E il drago combatteva coi suoi Angeli»
Apparve, venne una lotta, ™gšneto è la stessa parola che c’è all’inizio del Prologo di Giovanni: venne un uomo, ™gšneto ¥nqrwpoj. Riguarda ciò che sorge nel corso dell’evoluzione, sono passi evolutivi, a differenza di ciò che non sorge, che non viene perché c’è sempre. Nella parola è contenuto il divenire, che si contrappone alla durata, tipica dell’eternità.
La lotta di Michele con il drago è un momento dell’evoluzione, ha a che fare col divenire evolutivo. Nell’eternità, invece, non c’è lotta. Cosa significa? La contrapposizione fra la forza e la relativa controforza ha a che fare con l’evoluzione temporale e non con tutto quel che permane nella dimensione dell’eternità. Come dobbiamo comprendere tutto questo?
Riflettiamo sul fatto che la contrapposizione, lo scontro fra la forza e la controforza potrebbe forse avvenire fuori dal tempo? Senza il tempo ci sarebbe la quiete assoluta. È implicita al concetto di contrapposizione la presenza di una dimensione temporale. Anzi: l’essenza del tempo è la contrapposizione fra la forza e la controforza, così come questa è l’essenza dell’evoluzione, in contrapposizione a ciò che rimane in stato di quiete. La civiltà indiana chiamava quest’ultimo stato pralaya. Forse potremmo rendere quel termine col concetto di pausa di tranquillità, momento di calma.
Dunque nel corso del tempo c’è l’evoluzione, che è la contrapposizione fra la forza e la controforza. Se vogliamo togliere il tempo, allora subentra la quiete assoluta, il pralaya, la pausa. Ma la cosa migliore che può succedere dopo la pausa è il cambiamento, la ripresa.
Quindi ci sono sette passi evolutivi nel tempo e cinque pause, e poi di nuovo sette passi evolutivi e così via. Così tutto il processo era pensato dalla sapienza orientale, ed ora ognuno è libero di riconoscerne, col pensare, la verità, concludendo che in questo modo tutta la faccenda si presenta molto sensata.
Allora si parlava di Manvantara, che è l’evoluzione, la forza e la controforza che debbono esserci nell’evoluzione. E qui la controforza diventa ancora più potente (v. Fig. sotto)
Poi tutto quel che era nel fisico si scioglie nell’eterico e subentra un pralaya, una pausa, perché deve esserci forza e controforza, e tutto diventa bello spirituale. Poi si riprende di nuovo con sette passi evolutivi, e così via.
Se tutto questo vi sembra incredibile provate a pensare a quel che ci succede ogni giorno. Ci indaffariamo molte ore e poi siamo stanchi e ci addormentiamo. Avete forse conosciuto qualcuno che era furioso mentre dormiva? No, perché nel sonno c’è la calma, e poi viene il risveglio.
La lotta di Michele col drago è l’immagine primigenia, il fenomeno primordiale dell’evoluzione nel tempo, della contrapposizione fra la forza e la controforza. È molto bello. Se lo comprendiamo nella sua dimensione universale allora abbiamo in mano una chiave di pensiero che ci permette di capire tutti i dettagli. Perché cos’è la vita nel matrimonio, per esempio? La contrapposizione fra forza e controforza. È così, altrimenti il tutto non ha senso, perché non mi direte che il matrimonio è più interessante se i due dormono! Forza e controforza, polarità. E il senso della polarità, il senso della contrapposizione, è la crescita. Che significa: ogni forza progredisce attraverso il confronto con la controforza.
Questo è quanto afferma Goethe dicendo che la legge dell’evoluzione è polarità e accrescimento. Perciò, a questo proposito, abbiamo molto insistito: non possiamo far passare il drago, con cui è confrontato Michele, semplicemente come cattivo. Perché cattivo vorrebbe dire che sarebbe stato meglio se non ci fosse. Ma se non ci fosse il drago, se ne andrebbe tutto lo spasso di Michele.
12,7 Avvenne una lotta pÒlemoj – una lotta. Qui dovremmo fare una digressione e chiederci: che differenza c’è fra lotta e guerra? La lotta richiama di più il gioco, la guerra la volontà di distruzione. Quindi nella lotta è più importante ciò che viene conseguito nel lottare. Nella guerra si tratta solo di distruggere l’altro, il vincerlo. L’umanità materialista si è così impoverita perché ha trasformato sempre più lo stesso sport, lo stesso gioco, in lotta e guerra e la stessa cosa succede oggi nelle professioni, nel commercio, quando la concorrenza diventa una guerra. Se fosse sana – perché mantenerla sana è una vera e propria arte – stimolerebbe un cimentarsi in modo sano con le forze, dove il talento, questo confronto di forze, costituirebbe una libera concorrenza che mostra ciò che va meglio per l’utilizzatore. E questo cimentarsi è sano perché il consumatore può scoprire chi ha più talento per soddisfare quel certo bisogno.
Se ora in questo gioco, in questo mettere alla prova le proprie forze avendo come obiettivo quello di accrescerle si perde la gioia del gioco, la gioia di crescere, perché il denaro, perché il vincere oppure anche il vincere denaro ora diventa la cosa più importante, allora non si tratta più di rafforzare la forza mediante la contrapposizione con le controforze, ma si tratta solo di distruggere l’altro, che vuol dire: lui deve perdere. Così sparisce del tutto il gioco. Perciò abbiamo un mondo dove gli uomini si godono la vita sempre di meno, perché hanno perso l’arte, il mettere a confronto le loro forze nella vita economica, ma anche nell’ambito dei talenti della vita spirituale, hanno perso l’arte di creare gioia gli uni per gli altri mettendo a confronto le proprie forze e avanzando entrambi. Se si gioca bene e con gioia, allora tutti vincono.
Un’immagine archetipica del mettere a confronto le forze, dove entrambi sono vincitori, sono i dialoghi platonici. La regola fondamentale dei dialoghi platonici è: tutti devono essere vincitori. La regola è: ognuno deve procedere nel suo pensare, perché questa è l’unica cosa importante. Quindi, coraggio. Pensiero contro pensiero e avanti così. «Non hai detto giusto, ma la cosa sta in questi termini…». «No, perché tu hai dimenticato…» e così via. Tutto questo avviene non con l’obiettivo di distruggere l’altro; la regola fondamentale è: tutti quanti vogliamo andare avanti nel pensare. Non c’è quasi nulla nella cultura occidentale di così sano come i dialoghi platonici, proprio per questa regola della polarità e dell’accrescimento, del sano confronto fra le forze con reciproco amore, e tutto viene fatto così che tu e io, io e tu, entrambi cresciamo.
Se vi interessa posso dirvi che nella mia vita ho fatto 22 semestri universitari occupandomi di filosofia (e lì ho perduto tutti i miei capelli) e ho indagato a fondo due, tre, quattro volte tutta la storia della filosofia. È interessante notare come i dialoghi platonici inizino sempre con una domanda, con una grande domanda come, per esempio, nel Cratilo: la lingua è nata per convenzione oppure seguendo le leggi naturali di imitazione delle cose, oppure in un altro modo ancora? Nel Teeteto la domanda è: i pensieri sono percezioni, vengono percepiti oppure vengono attivamente pensati? La scienza odierna, la moderna filosofia deve concludere che in molti dialoghi alla fine non si sa cosa pensi Platone, lui lo lascia aperto. Perché il senso del dialogo non era che uno avesse ragione e l’altro con la coda tra le gambe dicesse: ho perso. Questo non è importante. Platone voleva fondamentalmente dire: tu puoi provare questo, se sei arguto abbastanza, e puoi provare ogni cosa. Quindi, siccome tutto è dimostrabile, la cosa più importante è che andiamo tutti avanti nel pensare. E se il lettore risponde al quesito in un modo o nell’altro, questo riguarda solo lui.
Significa che l’essenziale dei dialoghi platonici è l’esercizio, l’esercizio di pensiero: esercitare il pensare. Perché così l’uomo va avanti, e non perché ha come dogma un risultato. Perché cos’è un dogma? L’interruzione di un pensiero, il fatto che da lì non ci si può più schiodare. Devi stoppare, devi accettarlo. Il dogma è un risultato. Ma a cosa mi serve il risultato se per me è molto più fecondo rimanere dentro il processo del pensare? Il dogmatismo mostra la povertà del pensare perché il risultato nudo e crudo è una botta per il pensare. Ma per andare avanti nel pensare tutti i dogmi vanno lasciati, e occorre esercitare, esercitare, esercitare. Bene, ora cerchiamo di dimostrare queste tesi, questi pensieri, verifichiamo cosa apportano e così il pensare si rafforza. È l’esercizio che fa il maestro, e non l’esercizio già portato a termine. I dogmi sono i pensieri portati a conclusione, a un punto in cui non è più possibile pensare oltre, dove l’aspetto principale consiste proprio nell’aver finito di pensare.
Perciò ha dovuto arrivare un Rudolf Steiner e dire: non si andrà avanti con il dogmatismo, neanche nel cristianesimo; lasciamo i dogmi dove sono e cominciamo di nuovo, da capo, a pensare. La Filosofia della libertà per esempio, è una liberazione, un incoraggiamento a pensare. Dice: caro uomo, confida nella tua capacità di pensare e poi stai a vedere cosa succede. Ma tu lo saprai e lo scoprirai per il fatto che ridai fiducia al pensare, perché tu sei una creatura del Logos! Ogni uomo è una creatura del Logos.
Ora questa era la battaglia, pÒlemoj.
12,7 … una lotta in cielo, Michele e i suoi Angeli per combattere, polemÁsai – ancora una volta torna il termine combattere – col drago. E il drago combatteva – terza volta – coi suoi Angeli”. Per tre volte c’è il termine “combattere”, mettersi alla prova, contrapporsi di forza e di controforza quale legge di fondo dell’evoluzione. I due combattenti sono Michele e il drago. Osserviamoli più concretamente, o in modo più essenziale.
Michele compare nell’Antico Testamento – perché c’è sempre stato – e con questo testo l’Apocalista parte dal presupposto che ci sono uomini che capiscono che Michele nell’Antico Testamento è il Volto di Jahvè. Il volto è ciò che viene prima, e ciò che viene prima è il pensare, deve precedere la conoscenza. Nella corrente dei Misteri, particolarmente di quelli vicini al cristianesimo, Michele è sempre stato considerato l’amministratore dell’intelligenza. Si parlava di sette Arcangeli – lo sapeva ancora Agrippa di Nettesheim (1437-1535) e se ne parlava ancora nel quattordicesimo e quindicesimo secolo – e di un settenario temporale posto sotto la loro reggenza.
Disegno qui di nuovo un settenario di Arcangeli che reggono periodi evolutivi di circa 350 anni, cioè cicli temporali più brevi rispetto al grande ciclo di 2160 anni. Questi periodi più brevi sono conformati dallo specifico Arcangelo che li guida.
Il primo viene chiamato Orifiele. Sono nomi ebraici la cui terminazione – el sta per Elohim. Il secondo è Anaele, il terzo è Zachariele, il quarto è Raffaele, il quinto è Samaele, il sesto è Gabriele e il settimo è Michele.
Ho numerato da uno a sette, ma naturalmente la numerazione può cominciare da dove vogliamo. Importante è la sequenza.
Intervento: Si possono mettere in relazione coi pianeti?
Archiati: Naturalmente, coi sette pianeti. Ora li aggiungo. Me li sono segnati su un foglietto per non sbagliarmi, perché ho sempre difficoltà quando devo imparare le cose a memoria. Orifiele è l’amico di Saturno; Anaele di Venere; lo Spirito di Giove si chiama Zacariele, così gli ebrei hanno chiamato l’Arcangelo di Giove; Raffaele è in relazione con Mercurio e con tutto ciò che vi è di terapeutico, di mercuriale. Se volete ciò che è mercuriale è sempre in alto grado terapeutico, è la conciliazione tra due polarità, perché il mercurio si trova tra il sale e il fosforo. Quindi l’aspetto terapeutico del mercuriale è la riconquista dell’equilibrio. Poi abbiamo Samaele, Marte; Gabriele, la Luna, naturalmente, e Michele, il Sole. Quindi a Michele dobbiamo dare una posizione tutta particolare.
Se noi ora partiamo dal quattro (v. Fig. p. 319), allora incontriamo Michele al centro. Si tratta solo del modo che adottiamo per contare. Essenziale è che Michele sia lo spirito del Sole.
Ora mi chiedo: quando è stata l’ultima volta in cui Michele ha svolto la sua reggenza come Arcangelo? È stato al tempo di Aristotele e di Alessandro Magno, il suo discepolo, che ha cercato di portare la cultura greca, quella giusta per il periodo, in tutta l’umanità. È incredibile, infatti l’energia di questo giovane di 25 o 30 anni che va verso l’Egitto, e poi in Iraq, in Persia, fino al Gange, in India, e poi voleva attraversare tutta l’Arabia quando morì prematuramente.
I grandi viaggi di Alessandro Magno sono un fatto micheliano senza pari sotto la diretta ispirazione di Michele. Noi ora viviamo, se facciamo passare sette volte il periodo di 350 anni, di nuovo in un tempo iniziato nel 1879 che è ancora sotto la reggenza di Michele, la prima di quell’Arcangelo dopo la venuta di Cristo. La volta precedente, infatti, al tempo di Alessandro Magno, eravamo 300 o 350 anni prima di Cristo.
Cosa è successo nel frattempo? Viviamo nel tempo della prima reggenza di Michele, e Michele è l’amministratore dell’intelligenza cosmica che, grazie al Cristo, grazie al Logos, è scesa sulla Terra. E Michele ha seguito il Cristo. Quindi Egli è, per la prima volta, il reggitore dell’evoluzione dell’intelligenza, della saggezza, del pensare, della conoscenza, della coscienza qui sulla Terra.
Forse possiamo cominciare dal fatto che Gabriele precede sempre l’avvento di Michele. Cosa significa? L’impulso di Michele ha due aspetti di fondo – si potrebbe parlarne a lungo, ma per stare strettamente attinenti a ciò che l’Apocalisse dice di Michele vogliamo limitarci a cogliere l’essenziale – e ogni periodo retto da Michele ha due aspetti di fondo: il primo è l’impulso cosmopolitico, cioè quello universalmente umano. Chiediamoci: cosa c’è di più universalmente umano del pensare, della conoscenza? Perché il pensare esige di essere universalmente valido, la verità, in quanto Michele amministra la ricerca della verità. Pensare significa cercare la verità, e se la verità non è cosmopolita, universale, allora siamo perduti.
Quindi uno dei più importanti contributi dello spirito micheliano è l’universalità, la fratellanza universale, il cosmopolitismo, l’umanesimo puro da portare nella vita di tutti i giorni così che mediante il pensare, la verità universale viene afferrata da tutti. Se pensiamo alla scienza, per esempio, la scienza ovviamente esige di essere cosmopolita. Come sarebbe, infatti, se avessimo una scienza giapponese e un’altra tedesca, completamente diversa, e una terza americana e così via? Non può essere. Perciò tutto quel che ha a che fare col pensiero è per sua natura universale, cosmopolita.
L’altro grande contributo di Michele sarebbe l’impulso alla libertà, all’individualità (lo scrivo alla lavagna). Da un lato, quindi, ciò che è massimamente universale, ciò che è valido per ogni uomo, e dall’altro lato ciò che è massimamente individuale in ogni uomo. Perchè ogni uomo è diverso: questo è ciò che gli uomini hanno davvero in comune, che ognuno è diverso, questo vale per tutti gli uomini. È il paradosso di questa polarità. Quindi si corrispondono, cosmopolitismo e somma individualità. Il cosmopolitismo corrisponde alla prima parte della Filosofia della libertà, al pensiero monistico, mentre il secondo evoca la seconda parte, quella dell’individualismo etico, dell’impulso all’individualità e alla libertà. C’è una corrispondenza perfetta.
Ogni volta Michele è preceduto da Gabriele. Gabriele è l’ispiratore anche del Corano, che comparirà ora, alla fine del tredicesimo capitolo. Tutti questi misteri sono contenuti nell’Apocalisse, laddove si parla del 666, accennando al settimo secolo.
Cosa significa l’affermazione, tutt’altro che infondata, di Maometto, secondo la quale è Gabriele che lo ha ispirato? Egli chiama l’essere arcangelico che lo ha ispirato Gabriele. Noi sappiamo dall’esoterismo, se volete pienamente confermato e ulteriormente approfondito da Rudolf Steiner, che l’impulso di Gabriele precede sempre quello di Michele. Gabriele – guardate i vangeli – amministra i misteri della nascita, tutto ciò che ha a che fare con l’ereditarietà. Per questo motivo la nascita di Gesù è annunciata da Gabriele, perché lui è realmente, nella cultura ebraico-cristiana l’Arcangelo che non amministra il pensare, il cosmopolitismo dell’intelligenza, ma le forze dell’ereditarietà, quelle legate al sangue, quelle che si manifestano con la nascita, che conformano i corpi. Michele ha a che fare con lo spirito. Compito di Gabriele, che per questo è un Essere legato alla Luna, è di agire sulla corporeità, di creare le fondamenta fisiologiche che rendano possibile l’esprimersi del pensare micheliano. Entrambi, infatti, debbono esserci.
Un tempo guidato da Gabriele è un periodo durante il quale l’aspetto fisiologico, quello biologico se volete, che sta un passo prima, funge da fondamento corporeo per il grado evolutivo successivo, quello dello spirito, del pensare. Soltanto quando gli uomini non sperimentano la forza della natura, la conformazione del corpo come uno strumento, un mezzo per lo spirito, per l’intelligenza, per il pensare, solo allora gli uomini si identificano col loro corpo. Significa che 350 anni prima di quella data sono sorti i grandi nazionalismi, l’essere smaniosamente attaccati alla corporeità. Infatti cos’è il nazionalismo? Nazionalismo significa: l’uomo viene identificato, o quasi identificato, col suo corpo. Perché, cos’è in fondo un tedesco? Un tedesco è tale per via del suo corpo. Il nazionalismo identifica l’uomo con il suo fondamento biologico.
Ora noi leggiamo in Rudolf Steiner che l’evento del Cristo, l’ingresso del Cristo nella Terra, avviene – alcuni secoli dopo il tempo della reggenza dell’umanità da parte di Michele, nell’epoca di Alessandro Magno e di Aristotele – quando reggente era l’Arcangelo Orifiele. Grazie all’azione di Cristo, grazie all’amore per la libertà dell’uomo, l’incarnazione è avvenuta proprio nella pienezza del tempo. Come può essere la pienezza se siamo solo a metà dell’evoluzione? Il concetto di “pienezza del tempo” significa che tutte le condizioni per l’assunzione della libertà si sono realizzate. Ora non manca nessuna condizione e nessuno strumento per realizzare la libertà. Questo è il concetto di pienezza dei tempi. Fino a quando c’era bisogno ancora di strumenti, condizioni, fondamenti per la libertà dell’uomo, non eravamo nella pienezza del tempo. Ora il tempo è compiuto perché l’uomo afferri la sua libertà, la sua creatività. Questo significa che la venuta del Cristo porta a compimento tutte le condizioni; ora ogni uomo ha a sua disposizione tutto quello di cui ha bisogno; nessuno può più lamentarsi che gli manca qualche strumento per esercitare la libertà.
Nella pienezza dei tempi Cristo si è incarnato. Parlando della Sua venuta Steiner dice: provo a scriverlo di nuovo alla lavagna, presentando la cosa da un prospettiva ancora diversa: qui, in mezzo, viene il Cristo, l’evento Cristo.
Rudolf Steiner mostra – e leggendolo pensiamo: ma come! Avrei potuto arrivarci anche da solo, perché è evidente – che il divenire uomo di Cristo è la decisione della divinità di accettare il rischio della libertà umana. Il fatto che un Dio diventi uomo significa che l’uomo viene reso capace di diventare sempre più divino. L’umano e il divino non sono incommensurabili, non sono inconciliabili, ma la loro prospettiva evolutiva è di poter procedere assieme.
Cristo è l’amore di Dio per la libertà dell’uomo, per il libero creare dell’uomo. Tutte le Gerarchie – è questo che si può leggere in Steiner – debbono prendere posizione: o andare col Cristo nel correre il rischio di offrire la libertà all’uomo, oppure rimanere Gerarchie che, spaventate da questo rischio, preferiscono operare da controforze: no, no, è meglio diventare controforze che seguire Cristo in questo rischio. A tutti i livelli delle Gerarchie angeliche alcuni Esseri sono rimasti a livello dell’Antico Testamento. Anche alcuni Esseri arcangelici gabrieliti si sono separati dagli altri e sono rimasti all’antico, mentre altri sono andati col Cristo.
L’Arcangelo Gabriele che ha ispirato il Corano, se si osserva quanto ha comunicato, se si riconosce davvero l’impronta spirituale che ha trasmesso, è evidentemente un Arcangelo rimasto al livello dell’Antico Testamento e che non ha seguito Cristo, perché non rivela alcun amore per la libertà dell’uomo. In lui c’è solo una continua sottolineatura dell’onnipotenza divina, dell’onnipotenza di Allah, di Dio Padre. Lo si può capire solo se si ha in mano la chiave offerta da Rudolf Steiner, che con l’avvento di Cristo è avvenuta in tutte le Gerarchie una scissione degli spiriti, a tutti i livelli della Gerarchia. Perché la libertà è la grande spada a doppio taglio dell’evoluzione.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Sì, una piccola risposta la dà anche l’Apocalisse quando parla del drago e dei suoi Angeli e di Michele coi suoi Angeli. Significa che c’è un ruolo direttivo e una schiera di seguaci anche tra gli Angeli.
Quindi il testo ci aiuta a dire che un tipo come Michele è più in grado di prendere una decisone, e i suoi Angeli lo seguono o si rifiutano di seguirlo, ma meno per impulso proprio; gli Arcangeli si orientano a loro volta a seconda di quello che fanno le Archai e naturalmente seguono le Archai più che avere impulsi propri, eccetera, dunque è molto complicato.
Provate a radunare cento persone per una decisione, per una presa di posizione spirituale, e ditemi se è facile. Perché cento persone hanno almeno duecentocinquanta opinioni.
Intervento: C’è dunque anche un’ombra di Jahvè?
Archiati: Un’ombra di Jahvè sarebbe la sua controforza.
Intervento: Allora c’è.
Archiati: Naturalmente, perché ogni forza deve avere la sua controforza, sennò non sarebbe una forza. Una forza può agire da forza senza controforza? Impossibile. Prendete l’esempio della forza della verità: può esserci la verità senza l’errore? Perché la controforza della verità è proprio l’errore. Non può proprio esserci verità senza l’errore. Trovare la verità significa nello stesso tempo scrutare l’errore: ci debbono essere entrambi. Per ogni forza c’è una controforza, e proprio questo è liberante, perché quando mi dico che non è possibile avere una forza senza controforza, allora sono grato anche alle controforze. Non riconosco soltanto che esistono, ma ne scorgo la necessità.
Intervento: Ma ogni forza ha forse due controforze?
Archiati: Bene, vogliamo allora proseguire questo pensiero: forse lei sta pensando a quest’immagine (v. Fig. sotto). La forza del bene ha due controforze. Sono due?
Intervento: Arimane e Lucifero
Archiati: Antroposoficamente si pensa ad Arimane e a Lucifero, esatto. Ma se fossimo alla scuola di Socrate lui direbbe: «Bene, ma adesso andiamo avanti!», che significa, dobbiamo procedere, abbiamo un compito del pensiero da portare avanti.
Cominciamo: la forza del bene è ciò che è cristico (qui nel mezzo metto Cristo), la parola per ora non è importante, qui abbiamo la forza di conciliazione, e questa è la cosa importante (uso il rosso così che possiate seguire meglio, osservando come la cosa diventi concreta). Perché se lo diciamo in modo astratto, possiamo anche dire che ogni forza ha due controforze. Bene, in un certo senso sì, ma posso anche altrettanto dire: ma queste due controforze sono di nuovo una, da un altro punto di vista; e quindi ogni forza ha una controforza. Proviamo a diventare concreti. Ora questa forza si muove in questa direzione e viene a contrapporsi, qui, ad Arimane, la tentazione del potere. Bene. Nella misura in cui la forza del bene è tentata dal potere, è dentro al confronto col potere, il potere è la controforza.
Ma la sua proposta era: ma nel potere è contenuta la controforza – dunque per il potere dovrebbe comunque esserci una controforza opposta, che ora disegno qui (v. Fig. p. 325), in verde – così che adesso torna di nuovo indietro e inevitabilmente torna di nuovo qua [al potere] e questo è l’egoismo.
E l’amore – la forza-Cristo è l’amore – ha come controforza il potere e come controforza l’egoismo. Ora siamo diventati un pochino più concreti, perché parliamo di esperienze. Sappiamo un pochino cos’è l’amore e sappiamo un pochino cosa sono il potere e l’egoismo. Domanda: la potenza e l’egoismo sono due controforze oppure una sola? Questa sarebbe ora la domanda.
Intervento: Una implica l’altra.
Archiati: Bene, possiamo considerarle due, oppure possiamo considerarle una sola, perché l’una implica l’altra. Ora si tratta di vedere cosa succede in concreto. E se divento sempre più concreto, da portar la cosa veramente dentro l’esperienza, allora mi rendo conto cosa significa dire: è una forza; oppure: sono due controforze. Che è ancora un po’ astratto. Perché posso anche estrapolare la cosa così che io tiro fuori la polarità di Lucifero e Arimane, o posso anche guardare la cosa dal punto di vista che Lucifero e Arimane sono uniti. Allora sono uno negli Asura, l’anticristo. L’anticristo è l’unione del potere e dell’egoismo, una realtà che c’è.
Intervento: è l’uomo che la genera oppure c’è già per conto suo?
Archiati: lei ha coniato così esattamente il pensiero che può arrivare alla risposta per conto suo.
Intervento: è l’uomo che riunifica.
Archiati: Porti avanti il pensiero, ci è vicino. Quando questa forza è molto piccola può sopportare alternativamente una sola controforza; se diventa più forte allora è capace di entrare in contrapposizione con tutte e due insieme. Finché la forza è debole allora si confronta alternativamente o con l’egoismo oppure con il potere, perché non ha in sé sufficienti energie per contrapporsi a entrambe. Quando diventa più forte, allora vengono vissute entrambe le controforze. Perché (sta indicando la lavagna) questo è la controforza qui, verso la forza del centro.
Intervento: e così io genero l’anticristo?
Archiati: Lo evoco quale necessaria controforza verso il Cristo. L’anticristo c’è sempre, solo che non manifesta la sua forza con coloro coi quali non ci sarebbe divertimento farlo; si confronta più volentieri con Cristo. Così come chi gioca molto bene a tennis non si diverte a giocare con un avversario che non azzecca mai una palla.
Dunque cosa abbiamo fatto qui? Abbiamo visto un pochino le leggi della lotta. Si presenta in tre modi. Per la forza del centro ci sono naturalmente due controforze, ma sono due in quanto si presentano una indipendentemente dall’altra, ma quando la forza del centro è sufficientemente vigorosa allora si presentano entrambe insieme.
Ora pongo la domanda: quanto egoismo c’è nel potere? Il potere è egoismo? Certo che lo è ed in modo immanente, perché il potere significa sottomettere l’essere degli altri al mio proprio essere. Questo è egoismo, è un raddoppiamento del proprio essere.
Una seconda domanda: l’egoismo è necessariamente una forma di potere? Sì, non c’è alcun egoismo che non sia anche esercizio del potere. Un uomo depresso, che è così egoista da vedere solo se stesso, cosa fa? Costringe gli altri ad occuparsi di lui. L’egoismo diventa potere e il potere diventa egoismo. Quanto più il potere diventa forte tanto più diventa egoistico, ugualmente quanto più l’egoismo cresce tanto più diventa pieno di potere. Quando sono ancora in piccole dosi si differenziano, ma quanto più si rafforzano, tanto più diventano una cosa sola. E in quanto tali diventano la controforza centrale dell’io.
Ma queste sono solo indicazioni di fondo che debbono essere verificate. Se fossimo alla scuola di Socrate, così come è descritta nei dialoghi di Platone, si direbbe: bene, facciamoci sopra un dialogo. E così passeremmo due o tre ore, e una quantità di pensieri verrebbero fuori. Non riesco proprio a capire come mai abbiamo ora un’umanità che trova tutto importante – e spesso si tratta di sciocchezze – e non trova il tempo di leggere i dialoghi di Platone. Non capisco come sia possibile! Se qui c’è qualcuno che sa spiegarmelo, così che io lo capisca, ci provi, perché non riesco a capacitarmi sul perché l’umanità sia così stolta. Perché grazie a questi dialoghi il pensare viene incitato, provocato. È vero che sono scritti in greco, ma di tutti abbiamo buone traduzioni, grazie a Dio. Quindi lì si va avanti col pensare. Proprio per il fatto che Socrate è colui che ha sempre ragione, per questo motivo dà sempre la possibilità ai giovani di prendere la parola, e ognuno lo fa in modo diverso. Ma perché l’umanità non si appropria di questi dialoghi? Non lo capisco proprio.
Intervento: Quali edizioni consiglia?
Archiati: Ce ne sono una quantità, classiche e moderne. Basta metterci il naso e verificare direttamente quali sono le più adatte a noi, quelle che sono formulate nel modo più comprensibile per il nostro attuale modo di pensare. Ma ce ne sono davvero per tutti i gusti. Naturalmente sarebbe di gran lunga più interessante leggere i testi direttamente in greco!
Ora facciamo una pausa, ma dopo, certamente, arriveremo alla fine del XIII capitolo
***
Cari amici,
siamo arrivati al versetto 7 ed ora mi permetterete di proseguire, perché avete già parlato abbastanza, e vogliamo arrivare alla fine del XIII capitolo. Si tratta di Michele coi suoi Angeli e del drago coi suoi Angeli, con gli Spiriti che lo seguono. Quindi per ogni forza ci deve essere una controforza, e deve esserci lotta, deve esserci contrapposizione, misurazione delle forze.
Qui si potrebbe aprire una parentesi per una nota marginale, perché ci sono sempre persone che dicono: perché il tutto non potrebbe essere molto più tranquillo, più facile? Perché dobbiamo faticare così tanto? Una vita meno stressata non sarebbe migliore? Il buon Dio non poteva far sì che gli uomini potessero starsene in pace?
Sono domande importanti. Ne parlo solo brevemente altrimenti non arriviamo nell’analisi del testo dove ci siamo proposti. Faccio notare che la risposta a quei quesiti è tutt’altro che facile. Si può solo tentare di aiutare le persone a fare l’esperienza che è certo bello avere la vita comoda, ma quando non è così, allora la vita diventa ancora più interessante. Ma dimostrarlo teoricamente, questo non si può. E per essere sicuri che sta succedendo qualcosa, deve esserci la contrapposizione. Il vero problema è solo che noi facciamo passare la contrapposizione come negativa, solo questo è il problema. Se ogni contrapposizione, ogni misurare le proprie forze lo vedessimo come una chance positiva, allora saremmo così felici di averle, perché allora andiamo incontro ad ogni provocazione, ad ogni chance, con una tale gioia, con una tale gratitudine, che… ah! qui, proprio grazie alla provocazione, ho una occasione per andare avanti.
12,8 «e non vinsero, e la loro città non ebbe più posto in cielo».
E il drago coi suoi spiriti non poté vincere – ‡scuς è la forza, la forza solare senza la quale non sarebbe possibile alcuna evoluzione – e non fu trovato un posto per il drago e per i suoi Angeli in cielo. Improvvisamente viene detto che non è stato trovato più un posto per il drago e per quelli che sono con lui.
Nella prima metà dell’evoluzione la contrapposizione fra gli spiriti e i contro spiriti – quando l’umanità era ancora a livello infantile – si svolse nelle regioni alte, e il senso della crescita evolutiva dell’umanità è proprio quello di portare giù questa lotta sulla Terra, proprio perché ora l’uomo è diventato capace di sostenerla. Quindi fino a quel momento il drago non doveva confrontarsi direttamente con l’umanità, ma ora gli uomini sono così forti nel loro pensare, nel loro spirito, che possono direttamente confrontarsi con le forze del drago. Quindi, caro drago, ora devi scendere sulla Terra. Finora hai agito soprattutto dall’esterno, ma ora devi scendere giù per operare all’interno delle forze terrestri, perché gli uomini sono evoluti al punto da avere le forze per misurarsi con te.
12,9 «Il grande drago venne gettato fuori, il serpente antico, colui che si chiama diavolo e satana, che seduce il mondo intero, e fu gettato sulla Terra, e con lui furono gettati i suoi Angeli».
E il drago fu gettato sulla Terra, il grande drago – grande drago è la totalità delle controforze. Perché un piccolo drago include solo una parte delle controforze. Quando si dice che è un grande drago questa è la totalità delle controforze. E come viene magnificamente rappresentata? Con il fatto che qui queste due controforze si sono messe insieme, perché questo drago è diabolos e satanas. Torna di attualità la domanda di prima: si tratta di una forza sola o di due?
Intervento: Domanda su Sorat.
Archiati: No, no, la parola che lei dice non si trova nell’Apocalisse. Lo vedremo, perché Sorat è la somma di 6, 6 e 6. Lo troveremo alla fine del tredicesimo capitolo. Devo proprio fare di tutto per arrivare almeno lì.
Il drago viene chiamato il serpente antico, il diavolo e il satana. Quindi il drago è l’antico serpente, è il diavolo, diabolos, e satana. Che significa che è la totalità delle controforze. E la totalità delle controforze può essere vista come unitaria oppure come la somma delle molte controforze perché le controforze dell’evoluzione devono essere molte. Per ogni conquista, per ogni virtù dell’uomo, per ogni forza deve essere presente una controforza polare. Il che significa che debbono esserci molte controforze. Più l’essere umano va avanti, più devono farsi avanti insieme, perché l’uomo diventa capace di affrontarle assieme. Quindi il drago, qui letteralmente:
12,9 καˆ ™bl»qh Ð dr£kwn Ð mšgaj, il drago il più grande – traduco alla lettera – Ð Ôfij Ð ¢rca‹oj il serpente, l’antico – è il serpente del paradiso. Il serpente che ha aperto gli occhi agli uomini per diventare come Dio. «Se coglierai il frutto dell’albero della conoscenza…» questo è il serpente antico. Cosa ha fatto, cos’ha combinato? Perché è diventato drago? Ha combinato qualcosa di meraviglioso, perché ha messo in moto il tutto, proprio dicendo: l’albero della conoscenza, questo è la facoltà di pensare, perché albero della conoscenza significa possedere le forze conoscitive, la capacità di pensare. Cara Eva – è la donna apocalittica, è l’anima umana – sai perché Jahvè ti ha detto che non potevi mangiare dei frutti di quell’albero? Perché sa che se tu li mangi, diventerai come lui. Sarai come Dio, perché raggiungerai la capacità di conoscere. Ed Eva, l’anima umana, trovò la mela appetitosa. Per questo è diventata molto meglio, perché se l’è ingoiata tutta – nell’uomo gli è rimasta qui – (risate). L’uomo ne ha assaggiata solo metà, mentre Eva l’ha trangugiata tutta.
Il serpente ha detto due cose, anche vere, peraltro: «I vostri occhi verranno aperti». Perché, come si fa ad arrivare alla conoscenza? Percezione, percezione sensoriale – gli occhi bene aperti – e «conoscerete il bene e il male» – percezione e pensare. Bene, ha detto il serpente, queste sono le forze della percezione, gli occhi aperti, e della formazione dei concetti, per distinguere fra il bene e il male. Voi conoscerete, riconoscerete il bene e il male.
Cosa non ha detto il serpente, cosa non ha rivelato? Il negativo. Perché per cogliere da quell’albero l’uomo doveva servirsi del corpo fisico – l’albero è la colonna vertebrale con sopra il cervello: questo è l’albero della conoscenza. Perché l’uomo ha cominciato, ha imparato a pensare grazie alla sua unione con la colonna vertebrale e col cervello. Nel momento in cui gusta di questo albero della conoscenza, si congiunge con la spina dorsale e con il cervello, l’uomo comincia a pensare grazie al corpo fisico, ma cosa ne segue? Che quando quest’albero muore, anche l’uomo muore. «Voi morirete», aveva detto Jahvè, perché sapeva che il serpente questo non l’avrebbe mai detto.
Quindi Jahvè ha comunicato il negativo e non il positivo: non dovete mangiare dei frutti di questo albero, altrimenti morirete. Perché quando l’uomo si congiunge, si identifica con il corpo sperimenta il morire del corpo come il suo stesso morire.
Ma i vantaggi li aveva comunicati tutti il serpente: «I vostri occhi verranno aperti» – percezione sensoriale, sistema neuro-sensoriale, e «Voi diventerete capaci di riconoscere il bene e il male» quello che per l’uomo è buono e ciò che è cattivo. Quindi è il serpente antico che ha portato all’uomo la sua autonomia, che è anche il peccato originale, la caduta mediante la congiunzione col corpo, mediante l’individualizzazione, il fatto che l’uomo diventa autonomo: la pecora perduta che si separa dal gregge ma diventa autonoma. Questa separazione è autonomia, è individualizzazione – questo antico serpente è il serpente che ha mosso l’intera evoluzione attraverso l’individualizzazione – autonomia e autogestione nel percepire e nel pensare. Naturalmente con incluso il fatto che, identificandosi col corpo, alla sua morte l’uomo muore.
Quindi il drago abbraccia, contiene in sé quale serpente antico il luciferico e il satanico. Naturalmente ogni ebreo pensava al libro della Genesi, al serpente del paradiso terrestre.
12,9 Il serpente, l’antico, Ð kaloÚmenoj di£boloj, detto il diavolo – questa è la parola specifica in greco per ciò che Steiner chiama luciferico, e che noi potremmo definire come il chiudersi egoistico dell’Io in se stesso. Perché quando l’uomo si congiunge con l’albero della conoscenza, si chiude nel proprio corpo, diventa egoista. Questa autonomia del pensare è l’inizio dell’egoismo, egoismo che non è negativo ma un livello di evoluzione. Viene chiamato diabolos, e contiene l’intera fenomenologia del luciferico descritta da Steiner. Il diabolos in greco sta per gli impulsi complessivi dell’egoismo: in termini scientifico-spirituali è l’impulso di Lucifero (viene scritto alla lavagna) e Satana è la parola greca per Arimane, quell’impulso che io ho riassunto nel termine “potere”, ciò che Steiner chiama Arimane.
Quello che possiamo, pieni di gratitudine, sperimentare con Rudolf Steiner è che in numerosissime conferenze ha presentato i fenomeni della vita con la chiave di questa polarità, in tutti i dettagli. Ma qualcuno potrebbe chiedere: ma il potere non è necessariamente una controforza, può anche essere bene. Se ne potrebbe discutere a lungo: Sarebbe meglio che questa parola “potere” in tedesco avesse l’accezione di controforza, non necessariamente di male, ma di controforza.
Se prendiamo l’amore, l’amore come equilibrio fra egoismo e potere, vediamo che nell’amore è superfluo sia il potere sia l’egoismo. L’amore, infatti, è il superamento di ogni egoismo e di ogni potere, non servono più. Nell’amore non viene esercitato nessun potere e, di rimando, nessun egoismo. L’egoismo è l’unilaterale amore di sé senza l’amore per gli altri. In questo senso egoismo e potere sono le due controforze all’impulso dell’amore.
12,9 Il grande drago, il serpente antico, che viene chiamato Diabolos e Satana, Ð planîn, colui che induce in errore, che porta all’errore t¾n o„koumšnhn Ólhn, tutta l’umanità.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Proprio per questo ho sperato che lei venisse a capo con la descrizione scientifico-spirituale di Lucifero. Perché è difficile, in poche parole, dire chi sia il diavolo, perché abbiamo a che fare con un fenomeno complesso. Come aiuto prendiamo di nuovo il ternario di controforze che c’è nella mitologia nordica: il serpente Midgard, il lupo Fenris e l’oscura Hel da cui è poi derivata la parola tedesca Hölle [l’inferno]. Che tipo di trinità di controforze è? Il serpente Midgard è il serpente del giardino di mezzo [così, alla lettera, in tedesco]. Cos’è questo giardino? È l’uomo che si trova nel mezzo fra lo spirito, mondo spirituale, e mondo terrestre o materiale. (v. schema p. 335). Midgard è un serpente che si morde la coda. Si tratta di una meravigliosa immagine dell’autoriferirsi [Ichbezogenheit], del chiudersi in sé dell’egoismo; il serpente non si cura d’altro che di se stesso.
Significa che l’impulso primigenio dell’evoluzione è il diventare-io [Ichwerdung], ma la prima fase del diventare io è l’egoismo. Perché nessun essere umano che non sia diventato qualcosa, può essere qualcosa per gli altri. Quindi la prima fase del divenire individuali è l’egoismo, l’essere chiusi in se stessi. Nella mitologia nordica è meravigliosamente rappresentato dal serpente Midgard.
Quindi Midgard il serpente – egoismo, il riferirsi a se stesso, il chiudersi in se stesso, il prendersi cura solo di sé: l’egoismo.
Il lupo Fenris corre dietro al Sole: ora noi viviamo in un periodo in cui lui ha avuto molto da fare perché si sono susseguite enormi esplosioni e macchie sul Sole. Cosa significa che il lupo Fenris si pone davanti al Sole e divora il Sole? Il Sole è l’origine della luce, della verità. Significa che il lupo Fenris sono le forze della menzogna e dell’errore, e un errore cosciente è allora menzogna e inganno.
Il serpente Midgard è la controforza nell’anima, nel corpo astrale. Errore, bugia e imbroglio sono controforze nel corpo eterico. Ora la controforza nel corpo fisico, l’oscura Hel, l’interno sotterraneo – che compare anche nella mitologia greca – sono le forze della malattia e della morte. Queste sono le controforze nel corpo fisico.
Di nuovo una trinità, come l’abbiamo avuta prima; dapprima una polarità, qui una controforza (v. schema sopra), l’egoismo. Qui un’altra controforza, l’errore, la bugia, l’imbroglio. Quindi diavolo sta per tutto ciò che è egoismo, e satana sta per imbroglio, falsità, menzogna, questo è l’elemento di Satana. E poi c’è l’anticristo, dove entrambi compaiono assieme, la malattia e la morte quale abbattimento fin nel fisico di quel che dapprima è accaduto nell’anima o nel corpo astrale e nel corpo eterico.
Satana sarebbe quindi quel che nella mitologia nordica è chiamato lupo Fenris, la contrapposizione alla verità nella prospettiva delle forze dell’inganno, dell’imbroglio, dell’errore.
Il drago era stato gettato sulla Terra e con lui i suoi Angeli.
12,10 «Io udii una grande voce che parlava in cielo: ora si è compiuta la salvezza e la forza, e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato gettato fuori l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava giorno e notte davanti a Dio».
E udii una voce – di nuovo una voce grandiosa, potente, cioè una voce che afferra ed articola il senso, che ispirativamente permette di afferrare l’intera triplice fenomenologia. Potete prendere qui il diavolo, Satana e il drago che è, a un tempo, il diavolo e satana (v. Fig. sotto)
Ora la voce articola l’intera fenomenologia e dice:
12,10 Ora è divenuta la salvezza – compaiono qui parole greche speciali; c’è bisogno di una scienza dello spirito per chiarire come si possono tradurre correttamente questi termini.
12,10 E io udii una grande voce che diceva nel cielo: ora è la salvezza, e la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo. Vengono nominati qui sia Dio Padre che il Figlio. Perché è stato rigettato l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava giorno e notte davanti a Dio. È stato gettato sulla Terra. Ora la contrapposizione tra la forza e la controforza avviene essenzialmente sulla Terra, dove sono gli uomini. Ora c’è di mezzo anche l’uomo, che deve prendere posizione. Vive dentro questa contrapposizione e vive di questo confronto.
Diciamo che la formula «Ora si è compiuta la salvezza» corrisponderebbe, se volete, al corpo fisico: poi c’è la δυναμις, per il corpo eterico; poi c’è la βασιλεια per il corpo astrale e infine c’è l’εξουσια του χριστου. Come vedete sono tutte parole riferibili alle Gerarchie. Perché non si tratta mai di forze naturali impersonali; si tratta sempre o di spiriti che operano nella natura, oppure di spiriti delle Gerarchie: Angeli, Arcangeli, Spiriti del tempo, Spiriti della forma, Spiriti del movimento, Spiriti della saggezza, Troni, Cherubini e Serafini.
12,10: Ora si è compiuta la salvezza perché è stato rigettato l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava davanti a Dio giorno e notte.
12,11 «Essi lo hanno vinto mediante il sangue dell’agnello e la testimonianza del loro martirio e hanno non amato la loro vita fino a morirne».
Essi hanno vinto, lo hanno vinto – da dove viene la vittoria nei confronti delle controforze? – mediante il sangue dell’agnello. L’agnello indica tutte le forze di offerta, quindi mediante le forze d’amore: questa è la forza vincente. L’egoismo, l’errore, la malattia e la morte sono, se volete, il potere. Lo scrivo qui (v. Fig. p. 336 ) – tutto quanto è malato, tutto quanto è pieno di potere che travolge l’uomo, tutto ciò che è bugia, tutto l’egoismo viene vinto dalla forza individuale dell’amore quale forza d’offerta. Niente di tutto questo può danneggiare la forza d’amore, perché l’amore lascia volentieri agli altri il potere, e ama perfino la morte perché essa appartiene all’evoluzione. L’amore è il superamento dell’egoismo, perché è veritiero, perché rappresenta la verità, la vera natura dell’uomo.
Quindi è subito chiaro che, quando consideriamo l’amore, ciò che qui è indicato come “sangue dell’agnello”, questo è il calore dell’amore; nel sangue c’è il calore dell’Io, il calore dell’amore. Se afferriamo a sufficienza l’amore e lo capiamo, allora comprendiamo l’evoluzione nell’amore come superamento di ogni egoismo, superamento di ogni menzogna, perché l’amore è l’amore per la verità dell’uomo, la vera natura dell’uomo. È il superamento di ogni dimensione di potere, perché l’amore non ha mai bisogno del potere, di generare potere. Perché l’amore è la forza, la forza interiore più di quanto sia il potere, perché il potere è sempre debolezza interiore.
Quando un uomo sperimenta forza interiore il potere è l’ultima cosa che gli interessa. Un uomo ha bisogno del potere esteriore solo quando è interiormente debole. Per questo motivo c’è una polarità, ci sono queste due parole [forza e potere] e la parola potere ha in sé il senso non positivo, perché è sempre la controforza di una forza. La forza è interiore, mentre il potere è esteriore. Quanta più forza una persona ha, tanto meno ha bisogno del sostegno apparente del potere; quanto meno forza ha, invece, nella sua interiorità e tanto più ha bisogno di questo sostegno apparente dall’esterno che è il potere. Un uomo cerca potere solo perché è interiormente debole. Se è forte non lo cerca mai, perché la forza interiore è la gioia dell’amore, la gioia della conoscenza, mentre il potere occupa una quantità tale di forze da non lasciarne più a disposizione per la conoscenza e per l’amore.
Ripeto: il sangue dell’agnello è la forza d’offerta dell’amore, che rende possibile vincere il diavolo, l’egoismo, perché l’amore vince l’egoismo; e rende altresì possibile la vittoria su satana, perché l’amore sconfigge tutto quel che c’è di erroneo, menzognero, di potere. L’amore sconfigge perfino tutto ciò che ha carattere di malattia e di morte, perché l’amore è eterno e perfino la morte non può nulla nei confronti dell’amore.
In questo senso è così bello – si potrebbe leggere questo testo anche dal punto di vista di un rivoluzionario – che nel giudaismo, fino alla venuta di Cristo avvenuta duemila anni fa, il monoteismo fosse considerata la più grande conquista. Ora improvvisamente il cristianesimo dice: Dio non è più soltanto uno ma sono tre: Dio Padre, Dio Figlio e lo Spirito Santo.
Mettiamoci davanti agli occhi come deve essere stato difficile per i Giudei accettare questo discorso, perché fondamentalmente sembra una messa in discussione del monoteismo. Perché qui si parla di un Dio e di Suo Figlio. E Dio opera in tutt’altro modo in suo Figlio, come Figlio, non potentemente e non onniscientemente, ma pieno di amore. L’amore di Dio, quindi il sangue dell’Agnello, l’offerta che Dio fa di se stesso è la decisione di fare spazio al libero e responsabile creare dell’uomo. Significa che l’amore di Dio è la decisone di fare posto alla libertà dell’uomo.
Questa affermazione era inaudita per il rigido monoteismo ebraico, così come lo sarà quando comparirà, 600 anni dopo, la terza grande religione monoteistica, nel corso del settimo secolo – perché ci sono tre religioni monoteistiche: l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo – anche se il monoteismo cristiano è discutibile, perché Dio è uno o trino? Per opporsi a questa ambiguità Maometto ribadisce pieno di impeto l’assoluto monoteismo, e considera il cristianesimo quasi un ritorno al politeismo, proprio mediante la Trinità, che lui considera una triplicità di dei.
Quali cristiani ora siamo abituati a sentir parlare del Padre e del Figlio, l’Agnello di Dio, ma allora questa distinzione era inaudita. Inoltre il cristianesimo tradizionale, fino ad oggi, non l’ha pienamente chiarita e portata a coscienza e continua a rivolgersi, nella preghiera, solo a Dio onnipotente. E che Dio opera in tutt’altro modo come Figlio, questo deve ancora essere portato a coscienza nell’umanità. Un primo passo in questa direzione è proprio la scienza dello spirito di Rudolf Steiner, ma anche attraverso questo impulso è ancora una lotta. Perché non è affatto facile dare il giusto peso al valore della libertà dell’uomo, all’amore divino per la libertà dell’uomo, e avere il coraggio coerentemente di ripensare il tutto.
Qui nel verso 11 abbiamo: essi hanno vinto mediante il sangue dell’Agnello – sarebbe la grazia di Cristo, l’amore di Cristo. Ma ciò che esso rende possibile a livello di libertà per gli uomini viene subito dopo – mediante la parola della loro testimonianza – questo è ciò che gli uomini aggiungono. L’uomo deve portare la testimonianza, deve convincersi ad agire partendo dalla sua esperienza, non seguendo comandamenti, così che gli venga detto: tu devi! Ma deve fare l’esperienza: sono stato creato per assumere direttamente la responsabilità. Il senso della grazia consiste nel fatto che io non rimanga al livello di chi accetta solo quel che Dio fa in lui, ma è piuttosto quello di diventare sempre di più creatore assieme a Dio.
Si potrebbe dire che l’evoluzione procede in modo che ogni essere inizia quale creatura, ma poi è chiamato a diventare cocreatore, proprio perché specifico del carattere divino è la capacità di creare, e Dio non è spilorcio, ma gioisce nel donare ciò che ha di meglio, perché l’essenza dell’amore è la gioia di condividere quanto si ha di meglio. Questa è l’essenza dell’amore.
In cosa consiste l’essenza dell’amore di una madre per suo figlio? Nella gioia di donargli quanto ha di meglio. La divinità non sarebbe piena d’amore se non desiderasse condividere con noi quanto ha di meglio, e volesse solo tenerlo per sé: il fatto di essere creatrice. Se la divinità è amore, allora non può altro che condividere questo suo essere creatore, condividerlo con quante più creature possibili.
La legge dell’evoluzione di tutte le Gerarchie angeliche, cominciando dai Serafini, Cherubini e Troni giù giù fino agli Angeli e agli uomini, ovunque dove la divinità crei Spiriti li crea nella prospettiva secondo cui all’inizio essi sono creature ma poi divengano sempre di più creatori, collaboratori della creazione. Il bambino inizia la sua esistenza come bimbo della sua mamma, come creatura della mamma, per così dire, ma crescendo diventa anche lui un creatore, diventa capace di creatività quanto lo è stata la mamma. Questa è la legge dell’evoluzione, che l’uomo inizia da creatura ed è chiamato a diventare sempre più cocreatore. E questa è naturalmente una lunga evoluzione.
Dove ha imbrogliato il serpente in paradiso? Non in quello che ha affermato, perché ha detto: «Diventerete come Dio» e l’affermazione è giusta, perché l’uomo è chiamato a diventare Dio. L’imbroglio consiste nel fatto che lui ha fatto di tutto per dare a Eva, l’anima umana, l’impressione che questo sarebbe successo in un battibaleno. Basterà che tu colga e mangi la mela e subito otterrai il risultato. Se Eva avesse saputo che per conseguire il risultato ci sarebbero voluti migliaia d’anni, allora ci avrebbe pensato due volte a fare quello che ha fatto.
Vedete che un’affermazione che può essere anche giusta, se viene presa nel senso sbagliato diventa una sciocchezza. Quella del serpente: «Diventerete come Dio» è giusta o no? Dipende, se si capisce, se si pensa: ecco, succede subito mangiando la mela, questa è una follia. Se io invece la intendo come il compito evolutivo complessivo che abbiamo di diventare divini sempre di più, allora l’affermazione è giusta. Ma allora debbo darmi da fare, devo percorrere tutti i passi evolutivi perché sia così.
Quindi ogni affermazione può essere intesa come esatta oppure può essere interpretata scorrettamente. Cosa ci permette di distinguere se una affermazione viene capita giustamente o no? Il pensare. E deve essere la mia capacità pensante a farlo, non quella degli altri. I pensieri degli altri per me sono solo provocazioni. Ma io debbo avere il coraggio di fondarmi sul mio proprio pensare, di far rilucere in me quella scintilla divina che è il mio pensiero, perché mi divinizzo soltanto rendendomi responsabile nei confronti della divinità, quando esercito l’arte divina del pensare. Non debbo affidarmi ai pensieri degli altri, e credere solo perché lo hanno detto loro, fossero anche dei guru. I pensieri altrui per me sono solo provocazione nel pensare e importanti per me sono solo i miei pensieri. Per quanto modesti, importante è che siano miei. Quando penso io sono creativo e così partecipo del divino. Quanto più esercito il pensare e tanto meglio è. Questo può farlo ogni uomo.
Quindi l’ultima riga del verso 11 dice: Essi non hanno amato la loro anima fino alla morte, non sono rimasti attaccati alla loro anima fino alla morte (in un’altra formulazione). Significa, diciamo così, che per loro la propria anima non era la cosa più importante, perché lo era lo spirito. Questi uomini hanno imparato, come farà ogni uomo che si evolve correttamente, ad amare anche la morte. Per anima qui si intende la vita terrestre, che quindi non viene amata di più della morte. Perché dove si dovrà morire, la morte verrà amata di più della vita terrestre. Non ci sarà alcun attaccamento eccessivo alla vita terrestre, perché essa è soltanto un mezzo per conseguire gli obiettivi dello spirito, affinché si evolva continuamente. Inoltre, dopo che una vita si è compiuta, viene fatto un bilancio, viene programmata la prossima e l’evoluzione prosegue.
Nella misura in cui l’uomo comprende le leggi dell’evoluzione non si attaccherà ostinatamente alla sua vita terrestre, cioè alla sua anima. Non sarà più il suo amore supremo. Si potrà andare volentieri nella morte, perché la cosa essenziale è che lo spirito si evolve sempre ulteriormente. Ed è possibile, questo si trova veramente in Steiner, è veramente possibile amare la morte. Io penso che si vive diversamente quando si impara sempre di più ad amare la morte come una necessità evolutiva. Così come amiamo nutrirci, perché è necessario per vivere, allo stesso modo possiamo imparare ad amare la morte perché è necessaria per l’evoluzione. Cosa c’è che non va nella morte? L’unico problema è la nostra paura nei suoi confronti. Quando vinciamo la paura, la morte è meravigliosa, una cosa davvero meravigliosa.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Bene, ma nel testo con morte è proprio inteso il morire. Potremo capirlo meglio quando cercheremo la differenza fra la morte e il morire. Lo faremo, forse, più avanti.
Vi auguro buon appetito, e arrivederci a più tardi.
Decima conferenza
giovedì, 13 novembre 2003, sera
vv. 12,11-17
Cari amici,
lentamente ci avviamo alla conclusione del XII capitolo. Al versetto 10 abbiamo trovato la contrapposizione – così ho tradotto la parola polemos, “lotta”, semplicemente in modo libero e incoraggiante – che inizia tra Michele e il drago e avvia, ad un tempo, la salvezza.
12,10 Ora è divenuta la salvezza e la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo – diciamo che è la piena potenza. Quello che noi traduciamo come “potenza” in greco è di nuovo la exousia, che è la pienezza operativa nel mondo fisico, nel regno delle forme, quello dove sono all’opera gli Spiriti della forma. Quindi ora l’uomo comincia ad essere capace di condividere, di diventare cocreatore sulla Terra, nel mondo delle forme terrestri. Sarebbe più esattamente la quarta incarnazione terrestre, cioè quella in cui viviamo. Significa che quel che è specificatamente umano comincia là dove la contrapposizione viene trasposta dal cielo alla Terra mediante le forze di Michele; da quel momento l’uomo con il suo pensare, con la sua conoscenza, è nelle condizioni di prendere posizione nei confronti dei fatti del mondo, perché quando è capace di prendere posizione, lì è proprio lo specifico umano. Ciò che è decisivo, cruciale, inizia grazie all’uomo. Lì inizia ciò che favorisce l’uomo, nel senso che ora lui ha la possibilità di realizzare ciò che è archetipicamente buono. Questa è la cristificazione dell’uomo, la cristificazione del suo pensare, del suo cuore, dei suoi impulsi volitivi e del suo agire.
Naturalmente abbiamo delle difficoltà con la traduzione, perché le lingue moderne non rendono l’esattezza e le molteplici sfaccettature contenute nelle originarie parole greche.
12,10 Perché l’accusatore dei nostri fratelli è stato rigettato – è stato gettato sulla Terra – colui che li accusava giorno e notte davanti a Dio.
Cosa si intende nel dire che il drago accusa gli uomini? Cosa ha da accusare la controforza? Si potrebbe intendere nel senso che il drago rappresenta tutte le forze di natura, e le forze di natura sono quelle che conducono in modo divino e celeste la prima metà dell’evoluzione; nella seconda metà dell’evoluzione vengono gettate sulla Terra, così che l’uomo le può sperimentare come controforze, come forze da superare. Ora naturalmente le controforze si lamentano, perché nella prima metà dell’evoluzione erano conduttrici, mentre ora l’uomo si volge contro di loro. Perché cosa significa essere libero, sperimentare la libertà? Significa superare le forze della natura. Il concetto di forze naturali rimanda a tutti quegli spiriti della natura che non sono andati con il Cristo. Ci sono anche spiriti della natura che sono andati col Cristo; questi sono contenti che l’uomo prenda la libertà nelle sue mani, non accusano l’uomo. Ma le forze di natura che, assieme al drago, hanno assunto il compito di servire come controforze, quelle sì che si lamentano perché l’uomo si è rivoltato contro di loro, e questo non lo possono capire, altrimenti avrebbero un senno umano. Quindi è un problema del drago quando lui accusa l’uomo di non aver nessun diritto di volgersi contro la natura.
Il superamento delle forze naturali può essere malinteso, come se si trattasse di un mettersi contro la natura. E nei fatti è così: la questione è che le forze di natura possono essere superate solo con l’aggiunta della libertà, ma noi non lo capiamo e stravolgiamo le cose come se si trattasse di andare contro le forze di natura. Quando lo si capisce così allora spunta l’accusa da parte della natura, da parte delle forze naturali, del drago che dice: ma come! Ho fatto tutto per dare all’uomo quel che è la sua natura, i suoi impulsi, e ora lui mi si volge contro? Voglio accusarlo perché è ingiusto. L’errore, l’inganno consiste nel fatto che l’esperienza della libertà non è un rivoltarsi contro, ma è piuttosto l’aggiungere qualcosa che le forze di natura non possono dare. Proprio per questo fatto esse diventano suscettibili. Invece le forze di natura, tutti gli Esseri di natura, il drago, se fossero buoni, potrebbero essere grati che qualcosa venga aggiunto rispetto a quel che loro non possono dare; invece il drago, come controforza, accusa l’uomo, accusa il fatto che l’uomo non si conforma alle forze di natura.
Prendiamo un altro esempio per capire ciò che è libero: l’impulso sessuale. Essere libero nei suoi confronti significa rivoltarglisi contro, fare qualcosa contro, oppure prendersi cura di qualcos’altro, far nascere quello che questa forza di natura non potrebbe dare? Lo si può intendere in un modo o nell’altro a seconda di come si vedono le cose. Ci sono ovviamente persone che ritengono che per liberarsi dagli impulsi di natura occorre reprimerli, sottometterli, rivoltarsi contro, fare qualcosa contro. In questi casi il drago ha ragione ad accusare, perché l’uomo non dovrebbe mai scagliarsi contro le forze della natura. Ma se accanto all’impulso naturale l’essere umano coltiva anche forze di tutt’altro tipo, diciamo di tipo spirituale, di conoscenza o di amore, allora perde forza tutto ciò che è di natura. In questo caso l’uomo non si è opposto all’impulso naturale, ma a partire dal fondamento naturale ha coltivato un ambito completamente diverso, quello della libertà, e il drago (cioè le forze di natura) non ha il diritto di accusare perché non gli è stato arrecato nessun danno. Sono state perfino portate a pienezza, perché il loro significato è di farsi sostrato per un nuovo regno.
Vedete che questa contrapposizione imperversa nell’odierna umanità, perché la relazione con le forze di natura può essere capita in modo giusto così come può anche essere del tutto fraintesa. Ci sono persone che accusano gli altri di essere contro natura, perché questi capiscono la natura umana così che non basta se è dotata solo di ciò che la natura le dà. E tutto ciò che è oltre il dono della natura, che viene conquistato liberamente, creativamente, viene bollato da quelli come contronatura. Allora diventano appartenenti alle schiere del drago che accusa e che rinfaccia all’essere umano di andare contro natura. Sono raffinate le argomentazioni del drago. Perché ci si può chiedere: cos’ha il drago da accusare, cos’ha da dire contro l’uomo?
Il drago, la natura come accusatrice dell’uomo che non si limita alla sua natura – tutto l’islam è così: devi attenerti alle forze di natura! «Allah è l’unico e non ha figlio!». Non c’è spazio per la libertà dell’uomo, e se tu pensi di agire liberamente, allora tu agisci contro natura! Perché se l’uomo è solo natura, e c’è solo Allah, tutto ciò che nell’uomo non è natura viene subito inteso come contro natura. Ecco l’accusa.
Vedete che questa contrapposizione imperversa perfino nell’umanità odierna. Per questo io trovo che sia molto bello che qui il drago, cioè la totalità delle forze di natura, compaia come accusatore.
12,11 Ed essi lo hanno vinto mediante il sangue dell’agnello e le parole della loro testimonianza. Abbiamo già visto che questo sangue dell’agnello sono le forze di amore nell’uomo. Forze d’amore che l’uomo non riceve già pronte dalla natura, ma che deve liberamente coltivare. … e hanno non amato la loro vita fino alla morte. – La loro vita: in greco c’è “la loro anima”. Significa che hanno considerato l’evoluzione dello spirito come il bene più alto, e ritenuto la nascita e la morte solo stazioni, solo strumenti per andare sempre avanti nello spirituale. Quindi l’uomo che cerca l’evoluzione spirituale non è attaccato alla vita.
Ho già parlato di come l’uomo possa imparare a vivere con la morte come con un’amica – Rudolf Steiner lo descrive nelle sue conferenze sull’Apocalisse del 1924 –, costruire con lei un rapporto di amicizia, nella prospettiva specifica del tempo attuale di sviluppo dell’anima cosciente. Significa che quanto più si sviluppano le forze della coscienza tanto più l’uomo osserva la consunzione dell’organismo. È grato per questa consunzione. Cercherà di far sì che questa consunzione non sia eccessiva, altrimenti verrà a mancare il fondamento per l’evolversi della stessa coscienza. Ma quel che è importante è di non curarsi solo del lussureggiare delle forze vitali, preoccupandosi che rimangano sempre intatte, perché ben più importante è il fatto che la coscienza si evolva. Di questo l’uomo è riconoscente, e per lui non è affatto un problema che accanto a questo sviluppo ci sia un morire quotidiano, un decrescere delle forze fisiche, cosa che non è da intendersi in modo grossolanamente fisico, ma sempre c’è questa percezione: il fisico viene consumato attraverso l’evoluzione della coscienza, come la cera di una candela. Questo è il senso, il senso degno di riconoscenza, della morte. Si gioisce del morire, del consumare, perfino della richiesta di attenzione dello scalcinarsi del corpo fisico, perché è la condizione per l’evoluzione dello spirito.
Questo viene detto qui testualmente.
12,11 Essi non amarono – vedete: non si attaccarono alla loro anima, tanto da non rifiutare la morte. Mostrano il loro non attaccamento all’anima, alla vita, per il fatto che imparano ad amare la morte. Cosa significa amare la morte più della vita? Significa che la morte viene amata più della vita. Che lo sviluppo della coscienza diventa più importante di quello delle forze vitali. Questo è il senso esatto di questa frase. Lo sviluppo della coscienza, che è possibile solo mediante le forze della morte, diventa preferibile, diventa più importante di quello per le forze vitali stesse, indicate col termine “anima”. Giustamente Lutero qui ha usato il termine “vita” anche se qui, in greco, c’è il termine “anima”.
12,12 «Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi! Guai invece alla terra e al mare, perché il diavolo è precipitato su di essa, con grande ira, perché sa che ha poco tempo».
Nella misura, quindi, in cui gli uomini prendono in considerazione l’evoluzione terrestre per evolversi sempre più come spiriti, Mefistofele, questo drago, deve essere deluso e diventare sempre più furioso. Diventare sempre più furioso vuol dire che deve rafforzare sempre di più la sua controforza: questa è la sua ira. Come si manifesta l’ira divina? Nel rafforzarsi della controforza. E ci sono due cause, due motivi, due cose che devono rendere più forte la controforza. La prima, quando la forza del bene diventa più forte – perché la controforza deve sempre corrispondere alla forza; e la seconda motivazione è perché l’uomo insiste nell’omettere.
Questo vale per il proseguimento evolutivo sia di coloro che si muovono nella direzione del bene, che di coloro che omettono sempre di più: nella crescita del bene la controforza deve aumentare, e anche nell’omissione deve farlo, lasciando che arrivino maggior dolore, maggiori scossoni. Le due cose vanno insieme (v. Fig. sotto).
Nell’evoluzione positiva – evoluzione positiva vuol dire che le forze del bene diventano sempre più forti, quindi anche la controforza deve aumentare – come anche nell’omissione (v. Fig. sopra; viene indicato) più grande è l’omissione e maggiore deve essere la controforza come strumento per darsi una mossa. Questa sarebbe l’ira, ciò che noi sperimentiamo come ira – ma è illusorio pensare che sia davvero così – in verità è amore divino che si serve delle controforze, che le rafforza per rendere attento l’uomo alle omissioni che sta compiendo, così che non continui in questa direzione.
12,12 … Guai alla terra e al mare! Perché il diavolo viene giù e ha una grande ira, perché sa che gli resta poco tempo – Cosa significa il fatto che abbia poco tempo? In greco c’è: Óti Ñl…gon kairÕn œcei che significa (indicando la Fig. sopra) che noi ora siamo qui, poco dopo la svolta, e il tempo decisivo è diventato breve, è meno un chronos e più un kairos. Perché è così?
Teoricamente, ma molto teoricamente noi abbiamo fino alla fine la possibilità di compiere una svolta completa. Ma la reale capacità di farlo diventa sempre minore. Perché? Perché l’uomo che va verso il basso si indurisce sempre di più e conforma sempre di più il suo essere nella dimensione dell’omettere. Perciò il tempo reale nel quale egli può cambiare completamente la direzione del suo movimento diventa sempre più stretto. E arriva in fretta il momento in cui si potrà invertire la rotta solo in teoria. Solo individualità eccezionali, se raccoglieranno tutte le loro forze, potranno salire da qui. Ma anche viceversa non è quasi più possibile. Per un uomo che veramente diventa cattivo, magari è ancora possibile, ma si tratterebbe davvero di un’individualità eccezionale o di un caso straordinario. La regola è che il tempo in cui viviamo è decisivo. E l’andare a destra oppure a sinistra è una scelta quasi definitiva. Il bene non è afferrabile all’infinito. No, l’uomo si conforma sempre di più in una direzione o in un’altra.
Questo mistero viene, tra gli altri, chiarito bene da Rudolf Steiner, quando dice che siamo all’inizio del sorgere delle due razze morali. Fino al 1413 si sono sviluppate le forze della razionalità e dell’anima senziente (affettiva). Ora viviamo nel periodo che va dal 1413 fino al 3573, cioè un periodo di 2160 anni, che è decisivo. Questo è inteso quando nel testo si dice che il diavolo ha poco tempo, e che lo sa. Perché il periodo dell’anima cosciente è decisivo per l’uomo, in quanto è la facoltà più alta dell’anima. E il modo in cui l’uomo sviluppa le forze dell’anima cosciente nel senso del bene o nel senso del male, viene deciso dalla sua presa di posizione: se egli si apre al suo Io superiore, al sé spirituale, al suo angelo custode e quindi risponde alle esigenze delle tre parti spirituali; oppure se si conferma nel suo io inferiore così che la sua evoluzione va verso il basso. In senso vero e proprio, il tempo decisivo nell’evoluzione è il nostro.
Forse qualcuno potrebbe dire: certo, deve essere il nostro tempo solo perché ci siamo dentro adesso? Tanto per cominciare noi ci siamo sempre stati dentro, tutti gli uomini ci sono sempre stati dentro e quindi, cosa rende plausibile pensare che il nostro tempo sia quello della decisione? Perché ora, per la prima volta, mediante l’evento Rudolf Steiner, da un secolo a questa parte, abbiamo nelle mani tutti gli strumenti conoscitivi dell’anima cosciente, strumenti che ogni persona ha in sé, per provocare questa divisione degli spiriti.
Quindi la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è di fatto la prima decisiva possibilità nell’umanità dell’insorgere di una separazione degli spiriti. E a fronte di questa scienza dello spirito gli spiriti si divideranno. Quindi nel nostro tempo avviene la divisione degli spiriti. Per ora è passato solo un secolo, che è molto poco, ma nel corso di 2160 anni tutti gli spiriti umani dovranno dividersi in base agli impulsi evolutivi della loro anima cosciente; ogni spirito umano si svilupperà o nel senso delle forze micheliane dell’anima cosciente oppure, al contrario, nel senso di quelle del drago. Ogni uomo gestirà queste forze in un senso o nell’altro perché ora, per la prima volta nel corso di tutta l’evoluzione, esse sono a sua disposizione.
Nel periodo di cultura precedente l’uomo aveva a disposizione solo le forze della razionalità. Esse servono per la conoscenza del mondo, ma non ancora per la divisione morale degli spiriti. Queste forze dell’anima cosciente sono le forze che operano l’unica, la sola scissione, la scissione morale degli spiriti. Perciò appartiene anche alla saggezza dell’evoluzione che ora, nel primo terzo del tempo dell’anima cosciente, Michele operi di nuovo come reggente, la prima volta dopo Cristo. La sua ultima reggenza, infatti, risale a tre, quattro secoli prima di Cristo, o addirittura cinque secoli avanti Cristo, al tempo di Aristotele e di Alessandro. L’intelligenza, la saggezza, allora, era ancora cosmica, perché il Logos non era ancora disceso sulla Terra. Questa volta invece Michele è venuto dopo, perché Cristo ha detto a Michele: Michele, ora l’intelligenza deve venir data nelle mani degli uomini, perché gli uomini devono poter maneggiare le forze del pensare, le forze della conoscenza, così che sia la libertà dell’uomo a decidere cosa fare in base al proprio pensare, in base alla propria conoscenza, in base alla propria intelligenza.
Quindi a partire da che cosa si divideranno gli spiriti, nel nostro tempo, in spiriti che seguono Michele e spiriti che seguono il drago arimanico-satanico? In base alla materializzazione o alla spiritualizzazione dell’intelligenza, queste sono le due grandi possibilità.
Lo vedremo come il drago ora tenti, realmente, mediante un fiume che sgorga dalla sua rabbia, di annegare, di travolgere l’anima umana, la donna. Questa è essenzialmente la realtà della scienza degli ultimi secoli, mera intelligenza di drago, mera intelligenza materiale che attraverso una scienza sempre più materialistica non ha nessuna idea dello spirito, dell’essenza dello spirito. Ora, nel tempo in cui Michele opera di nuovo come il rettore dell’intelligenza, ma questa volta sulla Terra, proprio attraverso questa scienza dello spirito micheliana risuona l’appello a ogni individuo: è tuo compito quello di spiritualizzare l’intelligenza, che vuol dire afferrare lo spirito traendolo dal pensare, da quel pensare esercitato scientificamente.
Come negli ultimi secoli è sorta una scienza naturale materialistica ispirata dal drago, che nega lo spirito e nega la libertà, che afferma il carattere illusorio della libertà, che concepisce lo spirito solo come una emanazione, i pensieri come emanazione dei corpi, così ora è compito di coloro che vogliono seguire Michele spiritualizzare l’intelligenza, cioè mediante le forze dell’anima cosciente elaborare una scienza dello spirito che sia altrettanto scientifica quanto la scienza naturale. Questo è l’evento Rudolf Steiner: inaugurare, avviare, rendere possibile una scienza dello spirito quale pendant micheliano per la scienza naturale del drago.
Se domani avremo il tempo di arrivare al capitolo XIII vedremo che la scienza naturale degli ultimi secoli non ha più nulla, assolutamente nulla a che fare col Cristo, e che è del tutto islamica. Perché l’affermazione fondamentale del cristianesimo è che non c’è solo il Padre, che è onnipotente, ma che nel Figlio Dio diventa pieno di amore per fare posto alla libertà e alla coocreazione dell’uomo. Il fondamento di questa scienza naturale che mediante l’islam passando per l’Africa e la Spagna è giunta in Europa, è lo stesso del Corano:
Allah è onnipotente e la libertà è una illusione.
Scienza: le forze naturali sono onnipotenti e la libertà dell’uomo è una illusione.
Fondamentalmente la teologia cristiana è diventata così non-cristica da cercare di rendersi presentabile sulla scena di questa scienza materialistica dove s’è perso di vista il Cristo, la divinità del Cristo, ed è restato solo il Gesù di Nazareth. In fondo, se si vuole, se si chiede a una Chiesa cattolica, si vedrà che conosce solo il dio onnipotente e la libertà dell’uomo non è soltanto un’illusione, ma una presunzione; perché, per prima cosa, l’uomo non è capace di conoscere lo spirito, deve solo crederci e in secondo luogo non è capace di venire alle prese con la libertà, è totalmente dipendente dalla grazia divina. Sola Scriptura: tu devi solo credere, non puoi capire, non puoi conoscere. Secondo: tu non puoi fare nulla autonomamente, perché sei totalmente dipendente dalla grazia divina.
Quindi la Chiesa tratta gli uomini da bambini, che non saranno mai capaci di farsi carico di qualcosa da sé. Chiediamo alla teologia cristiana, alla religione, e risponderà: l’uomo non può fare nulla. Interpelliamo la scienza e ci dirà: la natura, le leggi di natura, le forze di natura sono onnipotenti, la libertà è un’illusione. Chiediamo al-l’islam, al Corano: «Allah è onnipotente e non ha figlio, la libertà è una illusione».
Troviamo dappertutto forze del drago, un fagocitare, un tentativo di divorare questo bimbo-cristico, questa individualità creativa, libera. Che lo chiamiamo Dio onnipotente, o Allah, o Natura, non importa nulla, essenziale è che l’uomo è impotente. Affermare che l’uomo è impotente è comune alle chiese, alla scienza e al Corano.
E l’autogestione dell’uomo, questo è l’essenza del cristianesimo, il sorgere del Figlio – il figlio dell’uomo che è proprio l’amore di Dio che fa posto all’uomo perché lui diventi sempre più creativo –, e questo non c’è da nessuna parte nella nostra cultura all’infuori della scienza dello spirito di Rudolf Steiner che presenta l’importanza del cristianesimo nel tempo dell’anima cosciente. Solo perché prende posizione rispetto a tutto quello che c’è nella nostra cultura, questa scienza dello spirito fino ad oggi è stata a malapena considerata. C’è anche da chiedersi fino a che punto quelli, che con le migliori intenzioni l’hanno coltivata, abbiano veramente capito il nerbo essenziale di questo impulso. Ho conosciuto antroposofi che dicevano: «Ah, La Filosofia della libertà, Steiner l’ha scritta quando era ancora troppo giovare per capire le cose!». Può anche essere vero. Ma in questo caso, anche con le migliori intenzioni non ci può essere nessuna antroposofia, perché antroposofia è il micaelico dell’anima cosciente, cioè l’appello a spiritualizzare la scienza, l’intelligenza, il pensare, e farlo in modo non meno scientifico, non meno accurato e non meno illuminato di quanto avviene nelle scienze naturali.
Così come siamo grati alla scienza naturale che ha indagato il mondo materiale terrestre e con il suo lungo braccio della tecnica l’ha padroneggiato, ora all’umanità tocca spiritualizzare l’intelligenza. Se l’umanità vuole continuare ad evolversi nella direzione del bene – e il nostro è il tempo decisivo, e il drago deve strepitare, perché sa di avere poco tempo – spetta all’umanità spiritualizzare l’intelligenza nel senso che accanto ad una scienza naturale viene sviluppata una scienza dello spirito. Perché la scienza naturale in quanto a indagine del mondo visibile, è meravigliosa e lì ha ragione di essere, quello che non va nella scienza naturale è solo la negazione dello spirito. Ma non tutti gli scienziati negano lo spirito, molti dicono: questo non ci interessa, non è il nostro campo di indagine; se c’è lo spirito o no, non ci pronunciamo.
Quindi finché la scienza naturale ha indagato il mondo fisicamente percepibile in tutte le sue espressioni, va tutto bene, e questo vogliamo mantenerlo perché nella tecnica ci sono molte cose di cui siamo grati. Ma ciò che manca – ciò che noi sperimentiamo come il deserto, la carenza dell’anima, la solitudine – è una scienza dello spirito, una conoscenza del soprasensibile scientifica, consapevole, tratta dalle forze dell’anima cosciente. Questa è la scienza dello spirito di Rudolf Steiner: una conoscenza scientifica del soprasensibile. E conoscenza scientifica vuol dire proibirsi qualunque speculazione, qualunque astrazione, e generare concetti solo sulla scorta delle percezioni.
Ciò che è scientifico nell’indagine del mondo sovrasensibile in Rudolf Steiner, è che lui, sulla base di percezioni che chiama immaginazioni, mette in moto una creazione di concetti, che poi è il piano ispirativo. E lui procede in tutto e per tutto secondo il metodo scientifico, esattamente come per l’indagine del mondo sensibile – e come si svolge l’indagine del mondo fisico? Attraverso percezione e pensare. Ma non si specula su niente, nessun scienziato si lascia andare a speculazioni.
Prima di fare un esperimento, per esempio, si fanno naturalmente delle ipotesi. Un’ipotesi è un’astrazione, un pensiero che si esprime, e ci si dice: quello che fino adesso ho percepito mi porta a formulare quest’ipotesi. Solo che l’ipotesi deve venire scientificamente dimostrata. È necessario fare delle prove per scoprire se l’ipotesi è giusta.
Ho sempre richiamato il famoso esempio delle lune di Giove. Si è sempre pensato che le lune di Giove fossero tre. Nel frattempo sono diventate centinaia, ma si tratta più di meteoriti che di lune. Fino a Galileo si era certi che le lune di Giove fossero solo tre (v. Fig. sotto).
Galileo ha osservato il fenomeno, cioè le orbite delle lune e ha detto: se sono solo tre allora le orbite non funzionano. I movimenti sono tali che presuppongono l’esistenza di una quarta luna. Posso spiegarmeli solo se ipotizzo che c’è una quarta luna. Così ha formulato l’ipotesi, ha fatto la supposizione che ci deve essere una quarta luna e poi gli è riuscito di scoprirla. Così l’umanità va avanti, si fanno strumenti sempre più precisi. Cos’è, infatti, il metodo scientifico? Che solo attraverso la percezione, una affermazione o un’altra viene ammessa come scientifica. Adesso questa luna viene percepita, quindi c’è.
Ciò che è sbalorditivo, che è assolutamente sconvolgente, potrei dire, della scienza dello spirito è che Steiner, anche quando parla di Troni, Cherubini o Serafini, oppure di diavolo, o di qualsiasi cosa, lo fa sempre fondandosi sulla base di una percezione nel soprasensibile. In questo sta la scientificità del suo metodo.
Questa è la grande contrapposizione: tutta questa riflessione è partita dalla piccola frase dove si dice che il diavolo, il drago, sa di avere poco tempo. Questo fondamentalmente indica che il nostro periodo è quello decisivo, particolarmente questi tre secoli in cui noi viviamo in cui Michele è reggente nell’ambito degli Arcangeli – sono secoli retti dalle forze solari perché Michele è l’Arcangelo del Sole. Questo periodo è decisivo per le circostanze e le possibilità offerte.
Il 1879 è l’inizio della reggenza di Michele, e durerà 350, 400 anni: dove arriviamo? Diciamo che più o meno la reggenza di Michele durerà fino al 2200. Si potrebbe dire che questi tre o quattro secoli vanno considerati ancora in senso più stretto quelli che sono massimamente decisivi nell’evoluzione dell’umanità, perché ora non solo devono svilupparsi le forze dell’anima cosciente, non solo sono già state poste le basi di una scienza dello spirito, ma anche perché Michele è lo spirito che regge il tempo. Questo Michele di cui l’Apocalisse parla in modo così incisivo.
Noi viviamo, come mai prima nell’evoluzione dell’umanità, in un tempo spiritualmente decisivo in cui gli spiriti si dividono, anche se non se ne rendono conto. Perché anche l’omissione del bene è una decisione. Per questo è così importante, significativo, il prendere coscienza di ciò che si decide nel nostro tempo. Un’imposizione o una costrizione non è certo ammessa. Perché il drago vuole costringere l’uomo a restare tutto natura e non aggiungere nulla di libero. Quindi le controforze sfondano, ma le forze del bene possono solo lasciare liberi, perché sono buone proprio per il fatto che lasciano liberi. E siccome il bene lascia liberi, usa il guanto di velluto, l’essere umano non nota nemmeno quali chances gli vengono date per evolversi.
Ecco allora che arrivano gli scossoni, ma per questi serve all’umanità il buon lavoro del drago. Perciò è possibile maledire gli scossoni. Non è facile ora dare loro il giusto significato, perché l’accusatore dice: non hai nessun diritto di trattarmi così duramente. E le forze di natura potrebbero dire la stessa cosa.
Questa contrapposizione occuperà sempre più gli uomini: come deve comportarsi l’uomo con la sua natura, con le forze di natura? E di fronte a questa questione gli spiriti si divideranno sempre di più.
12,13 «E quando il drago vide che era stato gettato sulla Terra, perseguitò la donna che aveva generato il bambino».
E quando il drago vide che era stato gettato sulla Terra, perseguitò la donna che aveva generato il bambino. Ora avviene sulla Terra una contrapposizione tra le forze della natura e l’anima. L’anima deve decidere: mi associo alle forze della natura oppure le uso quale strumento per indirizzarmi, quale anima, verso lo spirito? Questa è la grande contrapposizione. Il drago vorrebbe essere tutto nell’uomo, ma l’anima umana sente l’appello ad aprirsi allo spirito, e lo spirito è di più della sola natura.
12,14 «E furono date alla donna due ali di grande aquila, affinché fuggisse nel deserto in un luogo dove doveva essere nutrita per un tempo, due tempi e un mezzo tempo, lontano dalla vista del serpente».
E vennero date alla donna le due ali della grande aquila, affinché volasse nel deserto in quel luogo dove doveva essere nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo – quindi tre e mezzo, se volete. Un tempo più due tempi sono tre, e poi ancora metà. Abbiamo di nuovo in questo piccolo ciclo la metà di un tempo di preparazione, e dopo la metà vengono ancora tre tempi e mezzo, così che per ogni periodo si può trovare una settuplicità. (v. Fig. sotto)
Se la mettiamo sotto la lente di ingrandimento osserviamo ora una piccola sezione, e vogliamo cogliere il tutto in modo concreto. Per quanto piccola, possiamo sempre anche qui ritrovarci il ritmo del sette. Prendiamo il centro di questa sezione, diventiamo concreti, e allora capisco il tutto quando faccio tre passi e mezzo fin qui (indica la lavagna) e tre passi e mezzo dopo. Si deve sempre intendere così l’evoluzione.
Esattamente come nella biografia. Oppure, per esempio, come pedagogo adesso posso considerare di settennio in settennio, di anno in anno ogni volta il settimo anno; e com’è la struttura all’interno di un settennio? Che in ogni settennio c’è un centro, e il centro è dopo tre anni e mezzo. Quindi tre anni e mezzo sono la preparazione, il terzo anno e mezzo è il centro, e tre anni mezzo sono il compimento. Quindi tutto nell’evoluzione può venire articolato in settenni. Sempre, in qualsiasi sezione è così.
Proviamo a guardarci indietro: siamo nel 2003 e vogliamo capire cos’è successo dal 1997 ad oggi. Come posso comprendere questo periodo? Cerco il centro e provo a scoprire i tre passi, i tre passi e mezzo, e ho una settuplicità perché questa sezione temporale ha naturalmente un centro.
E quando ho trovato la metà di questa sezione temporale, la metà è nel centro e allora c’è un passo antecedente al centro che si ripete dopo il centro; c’è un secondo passo antecedente al centro che si ripete alla sesta posizione; e c’è un primo passo antecedente al centro che si ripete alla fine. L’evoluzione, ad ogni livello, si capisce al meglio con una articolazione in sette. Tre passi, una svolta, e poi seguono gli stessi passi nella sequenza capovolta, ma a un livello superiore.
Se una persona cerca di capire gli ultimi sette anni della sua vita – dal 1997 al 2003 –, il compito è facile, perché ogni anno corrisponde ad una unità (viene scritto alla lavagna). Se invece volessi iniziare col 1998 sarebbe diverso? No, solo che ogni passo è un po’ più piccolo rispetto a un anno. Solo questo, ma posso sempre fare sette passi.
Detto in altro modo, se prendiamo il volume 346 di Steiner[52], che ho citato spesso, troviamo la domanda: quando cominciano a suonare le trombe? Quando vengono versate le coppe dell’ira? E come risposta Steiner una volta dice: in un certo senso cominciano sempre, in ogni momento. Significa che umanamente ci sono dei tempi che sono particolarmente corrispondenti a quelli della seconda tromba o della sesta tromba, ma per le cose più piccole, se ora ho un settenario di tempi, allora comincio con la prima tromba, e proseguo con la seconda, la terza e così via. Perché è ancora più importante mantenere la sequenza. Questo è l’importante. E la sequenza si ripete sempre, si ripete ad ogni livello. Difficile, difficile. Si può dappertutto cominciare con l’uno. Si tratta solo di aver compreso i passi nel loro contenuto. Naturalmente è abbastanza complicato, perché il testo è molto complicato. Ma se si capiscono i passi nella loro sequenza, che il primo passo è così, poi segue il secondo, eccetera, allora, io posso trovare questa sequenza ovunque, ma veramente dappertutto.
Osserviamo l’esempio del bambino, per stare su un caso semplice: pensiamo al bambino che cresce, come siamo cresciuti tutti noi. Dal primo al settimo anno non è forse un settennio? Certo, è un ciclo di sette, una settuplicità di anni. E questo settennio è un ciclo importante. Sarebbe possibile trovare la legge dall’uno al sette nelle Lettere? Certamente. Sarebbe possibile fare altrettanto per i sette Sigilli? Certamente, basta avere la capacità di farlo. Ed è possibile trovare la sequenza settenaria delle trombe? Certamente, e lo stesso vale per le coppe dell’ira, perché sono tutti settuplicità.
Poi il bambino cresce dai sette ai quattordici anni. Compare qualcuno che dice: un momento, ora siamo fuori dalle trombe, perché io ho già passato tutto, trombe o lettere, e ora non ho più niente. Ricomincio da capo, ricomincio di nuovo da capo. Gli anni che vanno dall’ottavo al quattordicesimo – per essere del tutto esatti, matematicamente, perché così sono ancora sette, possono essere ordinati in questo modo: ottavo anno, prima lettera, perché si ripete tutto, la prima lettera, il primo sigillo, la prima tromba, la prima coppa dell’ira. E poi si continua così per tutto il settennio. Si tratta soltanto di procedere in modo pensante:
1 – 7
8 – 14
15 – 21
Dal 15 al 21 si ripete di nuovo. Dopo il sette ritorna sempre l’uno.
Intervento: E se comincio col due?
Archiati: L’uno l’ho sempre dietro di me. Un inizio col due non c’è proprio, se non ipoteticamente, ma nella realtà il due presuppone l’uno. Perché altrimenti come si arriva al due? Un settenario comincia sempre con l’uno. Possiamo partire da dove vogliamo, ma dobbiamo cominciare sempre con l’uno.
Posso fare così (v. Fig. p. 360), il ciclo temporale non è decisivo, ma lo è la sequenza. Lo capiremo subito. Questo è il continuum del tempo. Ora sono qui e voglio osservare questa sezione.
Bene. Indico qui un passo di sette. Oppure parto da qui (indica il punto 3) perché voglio osservare questa sezione, da qui a là, l’importante è che sia un settenario. Sempre uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette (v. Fig. sopra).
Diventa soltanto più complicato, perché il modo di osservare deve essere più sottile e più attento. Perché cosa significa l’affermazione di Steiner? Che ogni giorno è un inizio, che ogni giorno è un nuovo inizio. A pensarci ancora più profondamente, ogni ora è un inizio. E al massimo della profondità del pensiero, ogni attimo è un inizio. Perché in questo attimo cosa succede? L’inizio di tutto il futuro. Dove sta il nostro inizio di tutto il futuro? Adesso. Adesso è il punto 1 da molti punti di vista, perché noi cominciamo ora con tutto il futuro che deve ancora venire; veramente, cominciamo ora! E quando io per la quinta volta ho detto “adesso”, il punto 1 si è di volta in volta spostato.
Il che significa che la presenza di spirito è un’aumentata, sempre più alta, attenzione, perché la coscienza divina è consapevole di tutti gli inizi. L’attimo di adesso è l’1 o il 7? Tutti e due. Solo due? È nello stesso tempo anche il 6, anche il 5, il 4, il 3 e il 2, perché dipende sempre dalla prospettiva. Cosa abbiamo fatto fondamentalmente? Abbiamo neutralizzato il tempo. Questo è il passaggio dal tempo all’eternità, alla durata. Da questo piccolo esercizio notiamo che per noi diventa un’astrazione, perché siamo abituati a vivere nel tempo. Ma possiamo capirlo notando: ah, ah, ecco perché è difficile capire questi concetti, perché viviamo nel tempo e ci è difficile capire che l’inizio e la fine sono ovunque, e che dappertutto c’è un centro – perché la coscienza è onnipresente. È sempre tre, è sempre quattro, cinque, sei.
Oppure pensiamo all’altra affermazione di Steiner: quando risuonano le trombe? Sempre ogni sette. Avete qualcosa in contrario? Perché gli Angeli che suonano quelle trombe non perdono mai il fiato, suonano sempre. Solo che diventa un’esperienza da capogiro per la coscienza, per una conoscenza che essa stessa vive nel tempo. Può essere vertiginoso. Ma è affascinante pensare questi pensieri, perché proprio lì si nota la differenza fra una coscienza che vive il tempo come successione: dove c’è l’uno ancora non c’è il due; e una coscienza che sperimenta la contemporaneità da uno a sette e da sette a uno in tutti i campi, perché sono compresenti.
12,14 E alla donna vennero date le due ali della grande aquila – due grandi ali di aquila, l’aquila ha certamente a che fare col pensare. Ci sono numerose conferenze di Rudolf Steiner che accennano alla relazione fra il pensare e l’aquila, perché il pensare ci fornisce le ali per cominciare a volare, quando noi mettiamo dentro nel pensare il volere, e il pensare diventa sempre più voluto. E lì il pensare diviene vivente. Questa è la prima ala, quindi la prima ala io qui la chiamo il volere nel pensare, il volere dentro il pensare. E la seconda ala è: il pensare dentro il volere.
Un volere senza pensare è impulso, istinto, ma se inserisco il pensare nel volere, allora lo illumino attraverso la conoscenza. Così sono comprensibili le due ali dell’anima, perché la donna riceve ora le due ali dell’aquila.
Dunque la coscienza, ciò che è micheliano, riceve le due ali per il fatto che nel pensare viene riversata la volontà, e nella volontà la chiarezza del pensare. Il pensare viene rafforzato dalla volontà, e la volontà viene illuminata dal pensare. Naturalmente si potrebbe proseguire, potrebbero essere date anche altre spiegazioni. A me sembra che le due ali siano comprensibili nel modo più convincente se si pensano come ali che permettono di volare molto bene, alzandosi sopra tutto e dominando come domina la vista dell’aquila, cioè quando si riesce a capire sempre meglio, ad avere in mano sempre meglio le cose.
12,15 «E il serpente vomitò dalla sua bocca acqua come di un fiume contro alla donna, per sommergerla».
E il serpente vomitò dalla sua gola un fiume d’acqua contro la donna, per annegarla. Questo flusso, questa corrente d’acqua sarebbero le forze di natura – sarebbe l’intellettualismo, l’intellettualismo materialistico della scienza naturale; questo è certamente uno dei significati fondamentali della natura del drago. L’interiorità del drago è la negazione dello spirito, e la negazione dello spirito annega l’anima. La negazione dello spirito uccide l’anima, perché l’anima vive quando conferma lo spirito.
Quindi prendiamo quest’acqua – acqua vuol dire sì una certa spiritualità –, questa è un intellettualismo che nega lo spirito per annegare l’anima, per ucciderla. E ora il testo dice che la Terra aprì la sua bocca per accogliere in sé questa corrente d’acqua, così che essa non travolga l’anima umana. Come ha fatto la Terra ad assorbire questa forza del drago, a prenderla in sé? La prima cosa che possiamo pensare è che il Cristo ha fatto del corpo della Terra il Suo corpo. Quindi il Cristo prende su di sé il peccato del mondo. E come succede che queste forze del drago si uniscono con la Terra che maternamente le assorbe così che non nuocciano eccessivamente all’uomo?
Penso a quel passaggio meraviglioso e stupefacente dei Drammi Mistero di Rudolf Steiner dove i due scienziati, Capesio e Strader, i rappresentanti della scienza materialistica, fanno una prima visita nel mondo soprasensibile, e devono rendersi conto e riconoscere che gli esseri elementari, gnomi, ondine, silfidi e salamandre, si spaventano. Capesio e Strader sperimentano fulmini e tuoni, e questo è il modo in cui gli spiriti di natura della Terra prendono su di sé, pieni di abnegazione, ciò che è del drago, nell’attesa, nella speranza che l’uomo contraccambi – ed è Felicita che racconta la fiaba, e di questo gioiscono gli spiriti della natura, perché lì lo spirito viene onorato.
Ma il bilancio di tutta la questione è: fintanto che gli spiriti di natura, gnomi, ondine, silfidi e salamandre ce la fanno a fare a meno del nutrimento spirituale che gli uomini debbono dar loro, e fino a quando sono costretti ad assorbire la scienza materialistica, l’uomo non può fare del suo materialismo un’efficace azione cosmica. Ma nel momento in cui la Terra non sarà più in grado di assorbire queste controforze, allora agiranno cosmicamente. Finora non sanno ancora operare sul piano cosmico, perché le forze di coscienza dell’uomo non sono ancora così potenti, lo spirito umano non è ancora forte a sufficienza per danneggiare il cosmo.
Quindi fino ad ora vale l’affermazione: «Ecco l’Agnello di Dio – di Lui si stava parlando – che fa della Terra il Suo corpo, per prendere su di sé i peccati del mondo». E i peccati del mondo sono le conseguenze mondiali, le conseguenze distruttive per la Terra della mentalità materialistica dell’uomo. Si può davvero sperimentare pieni di meraviglia, quando si vedono i Drammi Mistero sulla scena, il comparire così reale di questi spiriti di natura, di questi spiriti della Terra e il loro servizio amorevole, divino all’uomo, che consiste nell’assorbire quell’intellettualismo che nega lo spirito, questa scienza di natura, semplicemente assorbirli per evitare gravi danni cosmici. Per non dare ancora all’uomo la possibilità di causare un danno cosmico, quindi si uniscono con forze asuriche, con forze di satana che aspira a stravolgere le orbite, a scompigliare le leggi naturali nel sistema solare. Ma viene il tempo in cui questi esseri naturali, la Terra, non avranno più questa possibilità, questa capacità di assorbire questo contro-spirito, questo peccato contro lo spirito.
Perché il peccato contro lo Spirito Santo non può essere perdonato? Perché il peccato contro lo Spirito Santo è il peccato contro la libertà. E riguardo la libertà non si può disporre da fuori, perché altrimenti non sarebbe libertà. Della propria libertà può disporre solo ogni singolo uomo. Un intervento dall’esterno non è possibile. E l’illusione che si possa cancellare o rimettere da fuori il peccato contro il proprio spirito è l’illusione che si possa gestire da fuori la libertà umana. No, la libertà può essere gestita solo dall’interno, il che significa che il pareggio karmico ognuno lo può fare solo per sé. Ma qui si tratta di conseguenze cosmiche, delle conseguenze per la Terra delle nostre azioni. Queste vengono dapprima amorevolmente assorbite dalla Terra, dalla spiritualità della Terra, dal corpo del Cristo e da questa aura-Cristo che circonda la Terra. Ma con l’ammonimento che viene un tempo in cui la Terra non avrà più questa possibilità, perché l’unirsi con Satana, con il drago, sarà così forte che l’uomo come alleato del drago potrà compiere danni cosmici, e allora la Terra non avrà più la possibilità di aprire amorevolmente la bocca e prendere in sé questi peccati.
Ecco, qui è portentoso.
12,16 «Ma la Terra aiutò la donna, aprì la sua bocca e ingoiò il fiume che il drago aveva vomitato dalla sua bocca».
Ma la Terra aiutò la donna, aprì la sua bocca e ingoiò il fiume che il drago aveva vomitato dalla sua gola. Mi sono chiesto: ma come fa la teologia a capire qualcosa di queste immagini senza il nuovo, inestimabile, meraviglioso apporto della scienza dello spirito di Rudolf Steiner? Sono cose da capire in senso spirituale, perché la Terra non ha una bocca fisica. Ma la Terra aiutò la donna – l’anima – ed aprì la sua bocca – come? – e inghiottì il fiume – prese dentro di sé il fiume – che il drago aveva emesso dalla sua gola.
12,17 «E il drago si infuriò contro la donna e andò a combattere contro tutti gli altri della sua stirpe, coloro che osservano i comandamenti di Dio e hanno la testimonianza di Gesù».
E il drago diventò furioso verso della donna – questo significa che ora il drago deve rafforzare la sua ira, le controforze. Nella misura in cui si rende conto che non può vincerla nei confronti dell’anima umana, il drago accresce l’ira, che è una controforza. Lo abbiamo già visto.
Se proseguirete per conto vostro la lettura dell’Apocalisse, vedrete naturalmente che compariranno le sette coppe dell’ira, sulle quali ora non avremo il tempo di soffermarci. Quindi, il drago deve rafforzare le controforze. E che l’uomo abbia la capacità di far fronte a controforze più potenti è proprio il segno che sta andando avanti. Quanto più avanza e tanto più diventa capace di contrapporsi a forze oppositrici sempre più grandi.
A chi affideremmo noi un compito più difficile? A quello che più ne ha la capacità. E che cos’è un compito più difficile? Una controforza più forte. Quindi più forte è la forza del bene, più forte deve essere la corrispondente controforza. Questo è proprio il segno che l’evoluzione sta facendo passi avanti. A quel punto lagnarsi che la controforza è sempre più potente, è assurdo, perché questo è invece un buon segno.
12,17 Il drago si infuriò contro la donna e andò a combattere con tutti gli altri della sua specie, quelli che ubbidiscono ai comandamenti di Dio e hanno la testimonianza di Gesù – dunque ora viene combattuto presso ogni singolo perché nel corso dell’evoluzione ogni singolo deve avere sempre più a che fare con se stesso, diventa sempre meno “gruppale” e il drago si confronta sempre più con ogni singolo uomo.
Ho già detto che il versetto 18 appartiene al XIII capitolo, e non è il drago a stare sulla riva del mare, ma è l’Apocalista stesso che ha questa completa visione apocalittica.
È l’Apocalista Giovanni, così si chiama nel nostro testo – è il Lazzaro Giovanni – che ora viene portato nella sua visione soprasensibile nel luogo dove l’acqueo e il terrestre si incontrano. Perché riva del mare significa che l’acqua e la terra si incontrano. Questo è, per definizione, un’esperienza della soglia. Perché un luogo di incontro tra due mondi è una soglia. E soglia significa sempre impegnarsi a essere sveglio se si vuole passare da un mondo all’altro.
Perché un uomo che non si accorge della soglia, che cosa fa? Vorrebbe mantenere le leggi della terra nell’acqua. Questo significa che, così come camminava sulla terra dove c’è un terreno solido, continuerebbe a camminare oltre la riva – la soglia tra terra e acqua – anziché nuotare, perchè non si accorge della soglia.
Significa che la forza della soglia – nel Vangelo di Giovanni c’è questa parola di Cristo: «Io sono la porta», e la porta è la soglia – ebbene, la forza della soglia è la forza della coscienza di riconoscere ogni volta, quando l’essere umano va da un mondo a un altro, che ha a che fare con altre leggi.
Abbiamo qui veramente un’immagine archetipica della soglia, del luogo d’incontro tra l’acqua e la terra, tra il periodo evolutivo atlantico, l’acqua, e quello postatlantico, la terra, per esempio. Ma sono pensabili anche altri significati.
Per capire questa immagine primigenia della soglia ci aiuta molto ciò che Rudolf Steiner dice al riguardo. E Steiner ha veramente molto da dire sui misteri della soglia, per esempio: qual è la cosa più importante per andare oltre la soglia, per andare nel mondo spirituale, per fare esperienza di quel mondo? La cosa più importante è che l’uomo si armi della consapevolezza che nel mondo spirituale ci sono leggi completamente diverse, totalmente capovolte. Per esempio, da un lato della soglia Mefistofele è proprio un bravo ragazzo che fa il suo mestiere in modo meraviglioso, proprio come Dio vuole. Quindi secondo la prospettiva spirituale si dovrebbe dire che Mefisto è buono. Se l’uomo torna di nuovo di qua senza accorgesi della soglia e ignora le leggi della Terra portando giù le leggi che valgono dall’altra parte, vive sulla terra con questa convizione: Mefisto è buono. Questo è sbagliato. Non che Mefistofele sia cattivo, solo che è la controforza, e la controforza non è né buona né cattiva. Perché la controforza è qui non per lasciarmi andare a dire che è buona, ma perché io le opponga qualcosa, perché io faccia qualcosa. Così vado avanti.
Tuttavia ci sono persone che non prestano attenzione, nel passaggio della soglia, alle leggi di fondo e neppure ai giudizi morali relativi al mondo in cui si entra – ad esempio entrando in modo medianico nel mondo spirituale diventano moralmente corrotti e peggiori degli altri uomini. Infatti trasportano sulla Terra le leggi e anche i giudizi morali del mondo spirituale; non fanno l’esperienza della soglia, non c’è un cambio di registro nella loro testa, e allora vivono sulla Terra con disinvoltura morale ciò che nel mondo spirituale è giusto. Tutte le possibilità vengono scusate, comprese quelle che non sono scusabili sulla Terra, perché nel mondo spirituale sono viste in tutt’altro modo.
L’esempio di Mefistofele è molto importante. Perché Mefisto deve essere molto buono per il Padre, visto che il Padre gli ha affidato quel compito che, per altro, lui esegue magnificamente. Solo che la prospettiva divina e spirituale riguardo a Mefistofele non può essere valida come prospettiva terrestre. Questa è la soglia. Perciò è importante che sia l’Apocalista e non il drago ad essere posto su questa soglia, perché il drago nulla ha a che fare con la soglia.
12,18-13,1 «E io mi fermai sulla riva del mare. E vidi una bestia salire dal mare, che aveva dieci corna sulle sue sette teste »
E io mi fermai sulla riva del mare – tenete presente che in greco il pronome personale è incluso nella forma verbale, e in questo caso il verbo ha una forma identica per la prima e per la terza persona singolare: ™st£qh.
13,1 … E vidi una bestia salire dal mare, che aveva dieci corna sulle sue sette teste – questa è l’evoluzione collegata con le forze del mare dove l’uomo, se volete, non è diventato ancora del tutto terrestre. È l’ultimo settenario di passi dove l’uomo, proprio mediante il passaggio di questa soglia della riva, discende completamente sulla Terra.
Le sette teste e le dieci corna sono il periodo evolutivo atlantico, se volete, ma può indicare anche altro, con le sue forze e controforze. Questa bestia rappresenta le controforze – e sulle corna dieci corone sul capo aventi nomi blasfemi; i nomi blasfemi sono i vizi, i vizi come controforze delle virtù.
Ecco perché i nomi blasfemi: vizio è una non-virtù, il contrario, una controforza per la virtù. Prendo ora un esempio di duplice controforza. Prendiamo la saggezza, cos’è la controforza, la duplice controforza della saggezza, i nomi blasfemi? Da un lato il fantasticare utopico, lo svolazzare per la verità, il tentativo di associare la verità col fantasticare estatico, l’estasi del guru, e l’altra controforza è l’ottusità.
Prendiamo anche l’esempio del coraggio e chiediamoci: quali sono le due controforze? La vigliaccheria e la temerarietà: il troppo e il troppo poco. Essere coraggiosi significa non essere troppo aggressivi né troppo depressi, ma stare nel giusto mezzo, e cioè essere coraggiosi.
Prendiamo la temperanza, magari in relazione col proprio corpo. Cosa è troppo e cosa è troppo poco in questo ambito? Nel secondo caso c’è la dissolutezza. Ci si tempera troppo poco e si diventa dissoluti. E quale è l’atteggiamento distruttivo nei confronti della temperanza, quello dove si esagera e si diventa aggressivi nei confronti del proprio corpo? Nell’ascesi, nella mortificazione, che diventano blasfemìe. Per ogni virtù c’è il troppo e il troppo poco.
Queste sono le tre virtù platoniche e la quarta è la giustizia, che è la virtù delle virtù, proprio perché è il giusto mezzo tra due estremi, rappresentati dal troppo e dal troppo poco[53].
Tutto questo significa che il moralismo consiste proprio nel considerare automaticamente come buono il sottomettersi dell’umiltà e, al contrario, considerare automaticamente negativo il non sottomettersi, quale espressivo di superbia, come se il prendere una posizione personale sia sempre qualcosa di cattivo.
Qui in Germania, ancora una volta, siamo immersi in questa storia dell’antisemitismo che sembra non avere mai fine. Prendiamo l’esempio di qualcuno che al tempo del nazismo abbia pensato: voglio essere umile – e guardate che è possibile; non ditemi che non è possibile – e obbedire sempre agli ordini dei miei superiori. Chi fa così può anche essere convinto di agire mosso da umiltà. Ed ora, davanti al tribunale di Norimberga, dice: io ho ubbidito, io non volevo essere presuntuoso.
Vedete come è importante riflettere su questi nomi blasfemi che sono sulla testa del drago, sulle sette teste e corna. Cosa è, infatti, un vizio e cosa è una virtù? Questa è una domanda importante, molto importante. Perché qui viene detto che il drago è pieno di vizi, ma cos’è un vizio? E perché è un vizio? E che cos’è una virtù, e perché è una virtù?
Nella contrapposizione tra l’anima umana e il drago proprio questo deve essere ciò che l’anima cosciente deve comprendere sempre meglio: che cos’è una virtù e che cos’è un vizio. Cos’è empio per l’uomo, per la nascita di questo Cristo-Io, e cos’è una virtù? [54]
Domani ci occuperemo della parte essenziale del XIII capitolo, per arrivare, questa volta, al mistero del 666 che rappresenta, per certi aspetti, una culminazione, qualcosa di molto importante al quale voglio accennare già stasera, perché per me è del più grande interesse. A me sembra, infatti, che la cosa più importante del nostro tempo sia la contrapposizione fra cristianesimo e islam, nel senso che l’umanità ora è a una soglia e deve decidere, anzi: ogni individuo deve decidere se prospettarsi un’evoluzione secondo il registro di Dio Padre e del Figlio, quale presupposto per lo Spirito Santo, quindi per il Figlio individualizzato in ogni uomo, oppure prospettarsi che questa nascita del Figlio venga ostacolata, non sia resa possibile così che questo islamismo in cui c’è solo necessità di natura, in cui esiste solo l’onnipotenza Allah, giunga a vittoria.
Domani avremo modo di confrontarci su questo tema, così che anche voi abbiate la possibilità di prendere posizione al riguardo, perché si tratta di una questione molto importante. A me sembra che la forma più raffinata dell’operare del drago stia in questo: con l’esaltazione della tolleranza – che tutte le religioni debbono essere tolleranti le une nei confronti delle altre – non si presta attenzione che la negazione del Figlio, la negazione della libertà, perché è di questo che si tratta, è in verità il più alto grado di intolleranza, perché negando il Figlio non viene tollerata l’individualità dell’uomo. La negazione del Figlio è la non-tolleranza dell’individualità dell’essere umano chiamato attraverso la cristificazione alla libera creatività, e questo ultimo livello di non-tolleranza viene venduto sotto il mantello della tolleranza. Ne parleremo domani, nell’ambito del discorso sul mistero del 666.
Vi auguro una buona notte.
Undicesima conferenza
venerdì, 14 novembre 2003, mattina
vv. 13,1-18
Gentili signore e signori, cari amici,
oggi desidererei, sulla scia del XIII capitolo dell’Apocalisse, comunicare qualcosa che, secondo me, è molto importante, nel senso che per l’umanità di oggi, per noi tutti, mi sembra qualcosa di decisivo, e precipuamente perché questo capitolo indica il mistero della bestia col numero 666. Il triplice comparire del sei ha anche naturalmente il significato che nel corso dell’evoluzione si presentano momenti di decisioni (v. Fig. sotto), diciamo, dall’uno al sette e ogni volta, quando giunge il sei, è sempre un tempo decisivo.
Poi nella settima fase c’è una sospensione delle due possibilità, ma non più una contrapposizione.
Quindi la contrapposizione tra forza e controforza procede sempre dall’uno al sei. E al punto sette, per così dire, c’è un fronteggiarsi del bene e del male, di ciò che si evolve nel senso del bene e di ciò che si è evoluto nel senso dell’omissione e dunque della possessione da parte delle forze inferiori. Di lì in poi procede in modo separato, lo scontro arriva fino al sei e dal sette c’è la separazione.
In una dimensione più grande questa realtà è espressa dalle fasi evolutive terrestri, quelle che Steiner chiama coi nomi di Saturno, Sole, Luna, Terra, dove ci troviamo ora, e poi seguiranno gli stadi successivi di Giove, Venere e Vulcano che sarà il settimo stadio.
Rudolf Steiner, tra l’altro, specialmente nel volume 110 sulle Gerarchie celesti e il loro riflesso nel mondo fisico descrive più che in altri testi che l’ultima contrapposizione fra la forza e la controforza, fra ciò che noi moralizzando chiamiamo bene e male, ci potrà essere solo fino allo stadio planetario di Venere, e poi allo stadio planetario di Vulcano, il settimo, la contrapposizione è finita.
Questo vale come legge di fondo dell’evoluzione, e cioè che il momento decisivo, la decisione ultima è sempre al momento sei. Quando siamo arrivati al punto sei, sia del ciclo più grande che di quello intermedio, che infine di quello più piccolo, l’essere svegli deve essere triplicato perché la triplicità si risolve.
Se il sei compare una volta sola, allora è il sei di un ciclo piccolo; se compare due volte abbiamo il ciclo piccolo e quello medio, ma se infine compare tre volte, allora siamo al momento davvero decisivo che include il piccolo, il medio e il grande (v. Fig. sopra). Allora dobbiamo stare molto attenti perché a tutti e tre i livelli, il grande, il medio e il piccolo, è giunta la decisione ultima.
Questo è il modo in cui l’Apocalisse proprio mediante i numeri rende chiara, spiega, l’evoluzione.
Forse ricorderemo che è stato detto: devi tenere in mano correttamente la misura, questa meravigliosa unità di misura, e devi imparare come si misura, cioè devi considerare i cicli e i numeri secondo il principio di misura, numero e peso. Perché queste tre realtà sono decisive per l’evoluzione terrestre.
Se si approfondisce il mistero dei numeri allora si sa che quando si è al sei una volta, due volte, e tre volte, bisogna stare particolarmente attenti, perché è il momento della decisione ultima, dell’ultima contrapposizione fra il bene e il male.
Questa è una prospettiva, ma l’altra, quella che stamattina ci interesserà ancora di più, è l’ulteriore significato del 666 che non è una volta sei, due volte sei, tre volte sei, ma il settimo secolo, l’anno 666. L’Apocalista usa in modo apocalittico, criptico, proprio questa runa per inoltrarsi nel mistero dell’islam.
Ma ora possiamo capire il momento temporale dell’anno 666 dopo Cristo anche perché abbiamo colto cosa sia stato l’anno 333, un anno di cesura decisiva nell’evoluzione dell’umanità, il momento centrale dell’evoluzione dell’anima razionale, la nascita dell’Io per l’intera umanità. Quale preparazione, affinché l’uomo non ci arrivasse del tutto disarmato, nell’anno zero Cristo è venuto in questo mondo. Esattamente 333 anni dopo il 333, quindi in modo del tutto simmetrico, ecco comparire nell’anno 666 l’islam proprio quale necessità evolutiva, quale controforza.
Se volete, posso aggiungere qualcosa per coloro che hanno pensato a Sorat: il demone solare, infatti, viene chiamato anche Sorat. Questo nome ha a che fare con una parola ebraica; in quella lingua significa eliminazione, esclusione, ed indica tutto ciò che viene eliminato, gettato fuori. Questo è detto nel termine sur. Quando ci si riferisce alla sostanza cosmica che viene eliminata, allora si ricorre al corrispondente termine femminile Sorat. (Ora lo scrivo in ebraico חךוס: Sor, poi r, e quindi t). Più tardi tutte le lettere ebraiche hanno, per così dire, ricevuto un valore numerico, attraverso il divenire sempre più esile, esangue, dello spirito nell’umanità.
La lettera W (Vav) equivale al 6, S (Samekh) 60, R (Resch) 200, e T (Taw) 400. Queste indicazioni le potete trovare in ogni grammatica ebraica che indica sempre la corrispondenza fra le lettere e i numeri. Se sommiamo tutto: 400+200+60+6=666
Vedete che questi sono segni che parlano delle cose, senza dirle le esprimono in modo occulto. Questo ne fa un libro apocalittico, le cose vengono dette così che quello che le riconosce le capisce, e l’uomo che non ha pensato sulle cose, non ci capisce niente.
Naturalmente oggi siamo in un periodo nel quale non è più pericoloso che tutti lo capiscano. Stamattina cercherò di dirvi perché è assolutamente urgente e necessario che attraverso l’ingresso di Michele nell’umanità, oggi, quante più persone possibili portino a coscienza queste cose, ma c’è stato un tempo in cui non tutti potevano sapere cosa significano.
Ora le considerazioni su Sorat sono tali e quali quelle sul drago e la controforza. Quindi con Sorat, questa parola ebraica, viene chiamata la sostanza cosmica eliminata, la totalità delle controforze, diciamo i determinismi di natura, gli istinti, tutto quello che come controforza era necessario. Anche gli esseri spirituali che fungono da controforza, il drago di cui abbiamo già parlato: tutto ciò che ha natura di drago e che verrà eliminato, semplicemente lasciato. E in Sorat è anche contenuta l’origine della parola Asura: Sorat-Asura; sur-Asura. Ora non abbiamo tempo per entrare in tutti i particolari.
Perché l’Apocalista diventa così veemente quando si tratta dell’islam?
Lasciamo da parte per ora la prospettiva del tre volte sei e anche la prospettiva del Sorat, e prendiamo l’islam nel settimo secolo. È la prospettiva che ora ci interessa, perché nel nostro tempo è la prospettiva più importante.
Viviamo in un momento nel quale questo numero della bestia si triplica. Nel settimo secolo l’islam è sorto più come visione del mondo, come occasione del pensiero, della conoscenza. Per questo motivo da questo islam è derivata quella che oggi è la scienza materialistica occidentale, che è islamica fino al midollo.
E sarebbe: la prima volta in cui il numero della bestia si realizza abbiamo il presentarsi di una concezione del mondo.
La seconda volta, in coincidenza col 1332, c’è il conflitto coi Templari che avevano cercato di coltivare lo spirito cristiano, lo spirito Cristo in una forma particolarmente pura. Essi vennero annientati da Filippo il Bello, ma chiaramente con l’aiuto della Chiesa, proprio della Chiesa! Perché senza questo aiuto della Chiesa che si sentiva essa stessa minacciata dai Templari, Filippo il Bello non sarebbe riuscito nel suo intento. La Chiesa era diventata una potenza terrestre, mentre i Templari volevano mettere lo spirito del Cristo al primo posto.
Quindi la potenza politica di Filippo il Bello e quella religiosa della Chiesa sono davvero riuscite a farla finita coi Templari. Sono fatti terribili quelli avvenuti. Rudolf Steiner li descrive, tra l’altro, nel volume 171 Impulsi evolutivi interiori dell’umanità. Goethe e la crisi del secolo XIX, potete leggere quello che dice sui Templari. Non solo è impressionante, ma anche molto interessante.
666 islam
1332 Distruzione dei Templari
1998
Quindi con la seconda volta abbiamo le controforze che afferrano non solo l’intelletto ma anche il sentimento, un pervertimento del sentire. I Templari furono costretti, sotto tortura, mediante le forze del drago a dire il contrario di quello che realmente onoravano.
Ora noi sperimentiamo l’anno 1998, la triplice ripetizione del 666, dove queste forze del drago vengono triplicate, cioè afferrano tanto il pensare quanto la sfera del sentimento e del volere. In questo senso viviamo nella più alta possibilità di culminazione delle forze del drago e per lo stesso motivo viviamo in un tempo in cui si innesta l’agire micheliano – e proprio per questo Michele è tornato a reggere il nostro tempo – perfino dove c’è un culmine dello scontro tra forza e forza del drago, la quale si presenta triplicata dove c’è la forza micheliana; là dove la forza micheliana si limita a osservare. Non si tratta di distruggere il male, perché sarebbe di nuovo male, sarebbe di nuovo esercizio di potere, ma si tratta piuttosto di rafforzare il pensare, il convincimento, e in particolare riconoscere ciò che generano le controforze; e da questo convincimento, riconoscendo ciò che è fatale per la conoscenza, l’uomo fa qualcosa contro. Ma deve venire dal convincimento, dalla conoscenza, e non perché ci si è costretti.
Leggiamo ora il capitolo XIII. Lo possiamo dividere in due parti: dal versetto 1 al versetto 10 si parla di una bestia con sette teste e dieci corna, come il drago che abbiamo già incontrato, che aveva anch’esso sette teste e dieci corna. E vi ho fatto l’ipotesi che in questa prima metà del capitolo l’uomo lascia entrare in sé ciò che è drago attraverso l’omissione del bene. E un’omissione del bene c’è quando l’uomo a un primo livello omette la libertà. Il bene è ciò che è libero, il bene è ciò che non deve essere, perché ciò che deve essere è ciò che è naturale, che deve esserci, la necessità, il determinismo di natura. Il bene è moralmente buono proprio perché l’uomo lo può fare solo liberamente. Questo significa che il primo livello dell’antiumano è l’omissione del bene. E nella misura in cui l’essere umano omette il bene, in lui resta solo quanto è drago, vale a dire la natura, la necessità. Questo è il primo livello.
Poi c’è la seconda parte del capitolo, dal versetto 11 al versetto 18, dove compare la seconda bestia, quella con le due corna. È il demone solare, come vedremo; sono esseri spirituali, esseri drago, sono controforze o contro-potenze che irrompono e si servono dell’uomo per i propri scopi quando questi ha generato abbastanza vuoto perché ha omesso il bene. È il fenomeno della possessione.
Quindi, al primo livello, la bestia con sette teste e dieci corna: manca qualcosa, viene omesso il bene. Secondo livello: la bestia con due corna entra in azione e fa dell’uomo un posseduto da lei. E qui vedremo che quando sorge il secondo livello del male, la possessione dell’uomo, esso viene rappresentato con due immagini apocalittiche che compaiono in modo meraviglioso ma anche misterioso nel XIII capitolo: da un lato c’è l’immagine dell’immagine, cioè che l’uomo diventa immagine della bestia – e noi dovremo chiederci: cosa significa essere immagine? A prima vista: assenza assoluta di realtà. Quindi εικον (eikon) e c£ragma (charagma) sono le due parole che vengono usate in questo testo. C£ragma è più come sigillo, marchio. Uso questa parola, marchio, per ora, ma ne aggiungeremo un’altra per trovare una traduzione. Quindi l’immagine delle immagini viene introdotta al versetto 14. e l’immagine del sigillo – timbro, segno, c£ragma vuol dire incisione – arriva al verso 16.
Ora provo a leggere il testo senza commentarlo, così potrete avere un primo orientamento, anche per poter distinguere: la prima bestia, quella di cui si parla fino al versetto 10 indica l’azione del drago nel senso che l’uomo dapprima omette il bene e vive quale puro essere di natura. Poi la situazione peggiora, perché dal versetto 11 si parla dell’agire della bestia con due corna, che possiede gli uomini e allora l’uomo è del tutto morto, un’immagine astratta e un unico tipo, perché c£ragma vuol dire un segno, una cifra, un timbro.
Cosa c’è di decisivo in un marchio? L’essenza di un marchio è che è un prototipo. Se ho un timbro e lo uso per timbrare, compaiono soltanto caratteri morti. Cos’è comune a tutti i marchi? Che è tutto uguale, è un timbro – tutto uguale! Spari dei numeri, spari delle quantità, ma la qualità se n’è andata perché c’è solo l’inchiostro, lo stampo è sempre uguale.
Quindi arriviamo al mistero della quantità dove la qualità è completamente andata persa. Oggi non avremo il tempo di considerare tutte le cose dettagliatamente: ci servirebbero altri due o tre giorni per analizzare bene il XIII capitolo. Pensiamo ai metodi di produzione moderna, che seguono proprio lo schema del charagma, del timbro, del marchio: tutti uguali. Pensate a quel momento dell’evoluzione storica che ha visto l’introduzione della produzione in serie, che implica sempre, nel lavoratore, gli stessi movimenti. Oppure pensate all’invenzione della stampa, fatta da Gutenberg, in virtù della quale ora tutte le lettere sono assolutamente uguali, sono stampate. C£ragma vuol dire stampato, uno stampo.
Oggi siamo al punto in cui, per il terrorismo, tutto deve venire marchiato così che l’essere umano venga riconosciuto – uno stampo! Tutto questo ha a che fare con questo mistero. Oppure pensate al raddoppiamento della realtà che c’è nella clonazione, che è appunto un tentativo di duplicare la realtà, di raddoppiarla in senso puramente quantitativo, prescindendo completamente dalla qualità, come se questa non fosse importante.
Vedete che in queste immagini dell’Apocalisse sono rappresentati potenti misteri del nostro tempo, e mai prima di oggi si è potuto constatare quanto abbiano a che fare massimamente con noi. E per noi vale davvero, soprattutto all’inizio del terzo millennio.
Leggiamo il testo:
13,1 «Vidi una bestia che saliva dal mare, che aveva dieci corna e sette teste, e sulle sue corna c’erano dieci corone, e sulle teste nomi blasfemi».
Blasfhm…aj, blasfemie, in greco è βλασφ. Questa radice greca mostra come noi abbiamo moraleggiato e ridotto al piano giuridico tutta la religione, tutto il cristianesimo. Blasfemia. La parola vuol dire: nuocere, danneggiare, recare danno. Vedete, è puramente un termine scientifico, non moraleggiante. Significa che o si tratta di impulsi che favoriscono l’uomo, oppure sono impulsi che lo danneggiano, tolgono qualcosa, che lo condizionano, lo sminuiscono o lo sottomettono. Non viene subito moralisticamente chiamato cattivo, no, viene detto: è dannoso. Rendere sano o rendere malato. E il significato originario di questa parola “blasfemìa” è rendere malato, danneggiare. Allora l’essere umano lo sa da sé: sì questo non lo voglio, perché io voglio quello che mi favorisce, quello che più mi porta nella pienezza. 13,1:… e sulle sue corna dieci corone e sulla testa nomi blasfemi.
13,2 «E la bestia che vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. E il drago le diede la sua potenza e il suo trono con potestà grande».
Non abbiamo il tempo per osservare tutto questo dettagliatamente. Se prendiamo, per esempio, il leopardo, allora scopriamo che il termine tedesco indica in esso la presenza del leone e dell’orso[55].
Sarebbe interessante paragonare queste tre bestie con le tre fiere dell’inferno dantesco. Potete leggere pensieri interessanti al riguardo nel volume 59 dell’Opera omnia, Metamorfosi dell’anima, se volete[56]. Si tratta del pervertimento, del danneggiamento delle tre forze dell’anima. In Dante si parla della lupa, che è un pervertimento dell’anima senziente: invece della misura prevale l’ingordigia, l’insaziabilità. Poi viene il leone: invece del coraggio e della sicurezza in se stessi ci sono le forze aggressive nella sfera affettiva, che di nuovo danneggiano. Si tratta di energie che danneggiano, al posto del coraggio e della fermezza. E poi c’è la lonza, la furbizia, l’astuzia, invece della saggezza, e quindi c’è la perversione delle forze dell’anima cosciente.
Sempre quando si presenta un ternario di animali, e così è anche qui nell’Apocalisse, si tratta delle forze giuste e delle controforze delle tre parti costitutive dell’anima: senziente, razionale e cosciente.
13,3 «E io vidi una delle sue teste come se fosse ferita a morte, e la sua ferita mortale venne guarita. E tutta la Terra si meravigliò per la bestia ».
Ho letto in un’opera di Alberto Magno cosa dicesse a lui questo versetto e l’ho trovato molto interessante, perché lui sottolinea come il versetto vada inteso nel senso che la bestia si presenta “come se” fosse ferita mortalmente così da fingere, poi, una strepitosa risurrezione. Ma è tutta una finzione. Quindi un prodigio, un miracolo simulato, così fatto come se qualcuno fosse morto e ora risorge.
Qualcuno forse ricorderà che ne La vita di Gesù di Ernest Renan si legge qualcosa di simile riferito al miracolo di Lazzaro: è stato fatto tutto come se Lazzaro fosse morto, per poi simulare una risurrezione, ma naturalmente non era morto.
Quindi un’arma fondamentale della controforza è la finzione, le manovre per ingannare. Questo naturalmente luccica. E oggi, in relazione all’islam, voglio arrivare a uno degli inganni più micidiali.
Qui, al versetto 3, alla maniera di Alberto Magno, possiamo prendere come un inganno il come se. Nell’Apocalisse c’è come se. Quindi, caro uomo, stai attento, tu riconoscerai le controforze solo se sai che uno strumento maestro della controforza deve essere fingere, ingannare; altrimenti verrai abbindolato.
A cosa serve questa abilità nel fingere? Cosa viene provocato al massimo lì? Lo svegliarsi, l’attenzione. Perché, come viene provocata al massimo l’attenzione? Attraverso l’inganno, la malizia. Quanto più è scaltra la controforza, e più sveglio devo essere. Ma debbo saperlo prima che il compito delle controforze è di essere furbe così che, se io non sto più che attento, vengo subito abbindolato, anche con la più buona volontà.
Il che significa che la buona, la migliore volontà non basta per niente di fronte all’astuzia della controforza, anche perché la buona volontà non costa nessuno sforzo, ognuno ce l’ha. Tutti hanno la buona volontà, e quanto costa? Proprio nulla, la trovi per strada. Ma la perspicacia costa, perché nessun uomo può essere perspicace gratis, senza coltivare il pensare. È una qualità che non sorge spontaneamente, invece l’uomo deve sforzarsi di coltivare la conoscenza, il pensare. La buona volontà ce l’ha chiunque e a buon prezzo.
Quindi, la grande contrapposizione del nostro tempo è che nessuno può più dire: «Non lo sapevo, non ho prestato attenzione, non l’ho visto». Viviamo in un tempo in cui queste scuse non bastano più, perché il compito del nostro tempo è quello di coltivare le forze di Michele, vale a dire le forze del pensare, le forze della coscienza, per sperimentare una responsabilità morale nei loro confronti, così che ognuno senta il dovere di coltivare il pensiero, perché altrimenti resterà fondamentalmente abbindolato. Le scuse: «Ah, non ho prestato attenzione, non ho visto, non ci ho fatto caso», non varranno più. Perché il Cristo dirà: «Hai omesso di coltivare il pensare. Hai omesso di far crescere la tua capacità di osservare i fenomeni. Questo avresti dovuto fare, era proprio questo il tuo compito».
Quindi nei confronti dell’astuzia, della finzione – vengono simulate una morte e una risurrezione – serve solo il penetrare con lo sguardo, l’osservare con attenzione. E per osservare con attenzione è decisivo non omettere di coltivare il pensare, la conoscenza. Perché – lo ripeto ancora una volta, quale è il più grande peccato contro il pensare? L’omissione. Il grande peccato contro il pensare, contro la conoscenza, può essere solo l’omissione. Forse noi non siamo ancora così avanti da cogliere il peso morale, la fatalità, la blasfemia, la perniciosità, le conseguenze dannose dell’omissione. Ma dobbiamo farlo, dobbiamo arrivare nella nostra coscienza a valutare, a cominciare a vedere quali conseguenze sorgono quando l’essere umano omette il guardare con attenzione, la conoscenza, il pensare.
Altrimenti l’uomo non noterà mai nulla, e in tutte le occasioni possibili dirà: quello è cattivo, questo è stato fatto male e così via; tutti abbagli per non portarlo ad accorgersi che la radice, la causa, del disastro è l’aver omesso di pensare e di conoscere. Perché coltivare il pensare comporta fatica, non è una faccenda veloce come buttare bombe su un paese; la cura della coscienza procede più lentamente. Ecco perché gli uomini preferiscono trovare la scusa che non è così importante.
Intervento: Ma una volta che l’ho osservato, cosa faccio? Lotto contro, oppure come vanno le cose?
Archiati: Bene, ci arrivo, perché è da ‘sta mattina che pensavo che avrei dato una risposta a questa domanda. Certo che ora una risposta troppo breve forse non lascerebbe tutto lo spazio necessario all’esercizio della vostra libertà. Per prima cosa mi chiarisco che cosa io stesso ho combinato con il mio non-osservare, in modo da diventarne cosciente; seconda cosa smetto di essere attaccato a quello cui mi ero aggrappato perché non lo avevo guardato bene, e quindi osservo che cosa mi succede quando smetto di esserci attaccato.
E questo è già tanto. Perché il penetrare con lo sguardo fa sorgere le ispirazioni di quello che c’è poi da fare. E non vale:« Ah, ma io questo l’ho osservato». L’osservare con attenzione non è mai finito, non esiste. Perché lei si è messo nella posizione: «Io questo l’ho osservato». No, non esiste. Si tratta sempre di essere svegli, che vuol dire: ciò che è stato fatto, va ancora rifatto. Perché uno che dice: «Io ho osservato», ricomincia a dormire perché non nota più quello che c’è ancora da osservare. Questo come breve risposta, ma nel contesto c’è di più.
13,3… E tutta la Terra si meravigliò per la bestia – perché ci sarà una risurrezione, una morte e una risurrezione simulate. Quindi tutta la Terra si meraviglia per le azioni prodigiose della bestia. Dobbiamo tradurre queste immagini con esempi pratici: andiamo in un negozio e vediamo le mele belle tonde e rosse, anche se sappiamo che sono state trattate chimicamente, e lì accanto delle mele meno appariscenti, ma non trattate. Se fossimo ragionevoli, se sapessimo scrutare le cose dovremmo dire: quest’ultime devono essere molto più sane, mentre le altre sono belle ma sono state trattate chimicamente. Eppure tutti comprano quelle belle, senza prendere coscienza che così facendo danneggiano il loro organismo. No, perché è più importante che siano belle tonde e rosse. Oppure pensate a tutta la problematica della manipolazione genetica: proprio per il fatto che gli uomini non prestano attenzione avvengono le manipolazioni.
13,4 «Ed essi adorarono il drago, perché aveva dato alla bestia il potere, e adorarono la bestia dicendo: chi è uguale alla bestia e chi può combattere contro di lei?»
13,5 «E le fu data una bocca per pronunciare grandi cose e bestemmie, e le fu data la potenza per operare per quarantadue mesi».
E le fu data una bocca per pronunciare grandi cose e bestemmie – cose dannose – e le fu data la potenza per operare per quarantadue mesi – Si tratta di un ciclo lunare, come abbiamo già visto.
13,6 «E aprì la sua bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la Sua dimora e coloro che abitano nel cielo ».
E aprì la sua bocca per bestemmiare contro Dio – contro il divino, contro ciò che è spirituale anche nell’uomo – per bestemmiare il suo nome – il Nome è l’individualità singola.
Abbiamo già visto (v. Fig. p. 384) che nel Padre nostro viene nominata la volontà, poi il regno: «Sia fatta la Tua volontà, venga il Tuo Regno, e sia santificato il Tuo Nome». Il nome sta per l’essere individuale.
Per la bestia dell’Apocalisse è un impegno prioritario quello di ostacolare l’affermarsi degli spiriti individuali, degli esseri singoli, cioè degli io. Quindi qui il Nome è l’Io.
13,6 … per bestemmiare il Suo Nome, e la Sua dimora e coloro che abitano nel cielo.
13,7 «Le fu dato il potere di combattere contro i santi e di vincerli, e le fu dato il potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione».
13,8 «E tutti quelli che abitavano sulla Terra l’adorarono, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato, fin dalla fondazione del mondo».
E tutti quelli che abitavano sulla Terra l’adorarono, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato, fin dalla fondazione del mondo – accenno solo a un piccolo commento. Gli uomini che soggiacciono all’impulso del drago o a quello della bestia con sette teste e dieci corna sono coloro i cui nomi non stanno scritti sul libro che c’è fin dall’inizio.
Qui sorge direttamente la grande domanda della predestinazione. Ricordo brevemente quello che abbiamo già visto insieme riguardo alla predestinazione, quindi relativamente al Nome di coloro i quali sono già iscritti nel libro che c’è fin dal principio (v. Fig. p. 384).
Il progetto dell’evoluzione deve essere presente fin dall’inizio. Significa che nella mente della divinità, nei suoi piani, la divinità ha contemporaneamente presenti l’alfa e l’omega. Tutto è pianificato, e il fine viene per primo naturalmente. Il fine è la prima cosa che la divinità ha davanti agli occhi. Ne ho parlato ampiamente nel mio libro sulle chiavi della vita[57]: anche se esteriormente il fine compare solo alla fine, nel pensare, nel pianificare viene prima. Devo sapere dove voglio andare fin dall’inizio, per pianificare i passi da compiere per arrivarci.
Quindi, i buoni, le conquiste del bene, questo c’è già tutto dall’inizio, oppure salta fuori solo quando viene realizzato? Nello spirito della divinità c’era già tutto fin dall’inizio, che significa: ciò che c’era dall’inizio sono le esperienze, le posizioni che qui possono venir sperimentate, le conquiste. Quindi le possibilità evolutive che vengono messe a disposizione di ogni uomo. E per rendere accessibili a ogni uomo queste possibilità evolutive, questi passi, queste conquiste – le chiamo conquiste –, l’evoluzione deve andare così: deve esserci la caduta, deve esserci una svolta, deve farsi avanti l’amore del Figlio così che questi mette a disposizione le forze, eccetera, eccetera. E poi devono esserci anche le altre possibilità, devono essere possibili anche queste omissioni (v. Fig. p. 384) qui le conquiste e qui le omissioni. Le controforze devono esserci per rendere possibili anche le omissioni.
Tutto questo c’era nel piano divino dall’inizio del mondo. A questo riguardo va di nuovo sottolineato che per la questione della predestinazione, di ciò che è già stato stabilito prima, la cosa più importante di tutte è distinguere fra le conquiste, le esperienze, del singolo, e i gradini dell’evoluzione che devono essere resi realmente possibili per tutti. L’esperienza del tradimento del Cristo, per esempio, il grado evolutivo del “traditore” deve essere reso possibile per ogni uomo, perché anche questo appartiene al divenire uomo. Quale individualità, dove e quando attraversi un certo gradino, questo non può venire prestabilito, questo appartiene alla libertà del singolo.
Quindi qui è l’individualità, l’individuo che decide, l’Io. Fin qui (v. Fig. p. 384: centro del disegno) è uguale quasi per tutti, perché la libertà non è ancora presente, ma da qui decide ogni Io dove andare, se unirsi a questo o a quest’altro. Ma le possibilità devono esserci, e sono state pensate prima.
Quindi coloro che finiscono qui in alto, Ω, sono quelli che si sono uniti al nome di Cristo, mentre gli altri vanno nell’altra direzione. Questo sta nella libertà di ognuno.
Intervento: Si può dire che l’Io superiore dell’uomo era fin dall’inizio nel libro della vita, mentre l’io inferiore… è un rispecchiamento nella materia, e quando l’uomo si identifica con l’io inferiore… (acusticamente comprensibile solo in parte)
Archiati: Bene, queste possono essere naturalmente delle tracce. Lei ha ripetuto le immagini. Quando questo lo si traduce in esperienze, diventa un pochettino più complicato. Diciamo così che l’io normale, l’io cosciente, ha la scelta della libertà, è qui nel mezzo e può sempre decidere di unirsi con l’Io superiore oppure di infilarsi nelle forze della natura. Questa è la libertà dell’io normale. Abbiamo sempre la libertà: o mi unisco con il mio Io superiore, oppure mi riduco, ometto l’unione col mio Io superiore e mi rimane solo la natura.
Questa è l’omissione, è per questo che sottolineo l’omettere, perché quando noi non ci mettiamo l’omissione, dobbiamo moraleggiare, dobbiamo subito dire: questo è cattivo, questo è male. Ma la domanda è: cos’ha fatto di male? No, nessun male, non ha fatto il bene.
Vedete, dobbiamo essere molto più svegli per accorgerci che qualcosa di buono non è stato fatto rispetto all’attenzione che ci vuole per riconoscere qualcosa di cattivo. Se qualcuno fa male qualcosa, tutti lo vedono, perché è qualcosa. Ma quando un uomo non fa il bene occorre essere molto più attenti per accorgersene.
Ho portato spesso l’esempio del falegname che ha preparato un tavolo per il suo migliore amico. Se fa una gamba più corta dell’altra, allora il tavolo traballa e ogni volta che si versa il caffè nella tazzina tre quarti fuoriescono dalla tazza. (Risate). Ha sbagliato, … e ognuno se ne accorge.
Ora questo stesso falegname avrebbe il compito karmico, diciamo il dovere, di preparare per quell’uomo un tavolo, ma ha poltrito. Ha fatto qualcosa di male? Chiedo: dal punto di vista morale l’omissione del bene è meno dannosa della commissione del male? Vista moralmente, l’omissione del bene è una faccenda più grave, più dannosa che non il commettere il male. Se sbaglio qualcosa non è così grave, perché la realtà subito mi dice quel che ho fatto e mi porta a fare meglio. Ma nell’omissione del bene il pericolo più grosso è che non è stato fatto niente per recuperare. E quando non viene fatto qualcosa che deve essere fatto, le sciagure sono molto più grandi. Capite dunque che l’essere svegli, l’attenzione, sono decisive, totalmente decisive.
13,8 «E tutti gli abitanti della Terra l’adorarono, coloro i cui nomi non sono scritti fin dall’inizio sul libro della vita dell’Agnello immolato».
E tutti gli abitanti della Terra l’adorarono, coloro i cui nomi non sono scritti fin dall’inizio sul libro della vita dell’Agnello immolato – Steiner usa sempre i concetti di evoluzione di razza e di evoluzione individuale, e questa distinzione è di grande aiuto. L’evoluzione individuale si realizza sotto il registro della libertà. L’evolversi delle condizioni cosmiche è predeterminato, è pensato fin dall’inizio.
13,9 «Chi ha orecchi per intendere, intenda!»
13,10 «Se qualcuno deve andare in prigione andrà in prigione, se qualcuno deve essere ucciso di spada, venga ucciso dalla spada. Questa è la costanza e la fede dei santi».
Se qualcuno deve andare in prigione andrà in prigione, se qualcuno deve essere ucciso di spada, venga ucciso dalla spada. Questa è la costanza e la fede dei santi – Øpomon¾, la pazienza, la costanza, e la fermezza, pistis. Non la fede, pistis viene tradotto con fede, ma pistis indica la costanza e la fermezza dell’essere.
Ora volgiamoci brevemente a queste due immagini:
13,10 Se qualcuno deve andare in prigione, andrà in prigione, e se qualcuno deve essere ucciso di spada venga ucciso di spada, in greco c’è il termine “tagliato”, quindi ucciso. (v. Fig. p. 388). È un ottimo esempio a patto che le immagini vengano considerate alla luce della scienza dello spirito, e allora diventano molto convincenti.
Steiner chiama queste due controforze il Luciferico e l’Arimanico. In molte conferenze le caratterizza e descrive come operano. Il luciferico tende a lasciar librare in alto in un astratto insieme tutti gli esseri elementari, soprattutto quelli della luce e del calore, ma la legge dell’operare luciferico è il disdegno della materia, andar via dalla materia, la liberazione dalla materia. Quel che succede al mondo materiale, è un problema suo. Questa è la spada che taglia, l’uomo se ne va. Questa è l’evoluzione culturale degli ultimi secoli, una spiritualità che naviga ed è di casa sulle nubi. Le prediche nelle chiese sono belle solo se non hanno nulla a che fare con la vita. Riconoscete la spada? La vita viene divisa in due parti e ti proietta ad una astratta unità al di sopra del divino, eccetera. (v. Fig. sotto).
Cosa c’è di anti-umano, di non umano qui? Che la forza dell’uomo, che è la conciliazione, che deve rappresentare l’eterna riconciliazione fra lo spirito e la materia, viene tagliata via. L’uomo come conciliazione di spirito e materia, e la conciliazione sta nell’operare congiunto, nel modo in cui lo spirito rende la materia sempre più spirituale e la materia grazie all’amore per lo spirito si spiritualizza sempre più. Quindi l’incarnazione dello spirito e la risurrezione della materia sono la legge del divenire-uomo.
Lucifero, questa controforza, vorrebbe unilateralmente spiritualizzare gli uomini, per esempio come nello spiritualismo unilaterale della New Age: non aver proprio niente a che fare col mondo oscuro della materia; presa di distanza dalla materia. Lì l’uomo viene ucciso, viene tagliato, e in questo senso l’immagine della spada è così adatta.
Quando l’uomo semplicemente separa lo spirito dal suo essere, egli rimane solo un’anima, la quale viene presa nelle leggi della materia. Questa è l’altra immagine, la prigionìa, l’arimanico; e qui avviene la frantumazione, la dispersione nel numero.
Come qui (v. Fig. p. 388: parte alta) c’è un’unità astratta, ma veramente astratta, che non ha nulla di reale, così qui (v. Fig. p. 388: parte bassa) c’è la frantumazione, la dispersione nel numero. Rudolf Steiner dice: si comincia a contare gli gnomi e appena si è arrivati a cinque, sono già diventati venticinque: frantumazione, come in granellini di sabbia. Come sarebbe possibile contarli? Impossibile. Invece gli Io umani sono contati, sono contati.
Qui il numero diventa così rapido che non si riesce più a contarlo. Osservate la riproduzione, il mistero della riproduzione, dove l’aspetto qualitativo è del tutto perduto e resta solo la quantità, ciò che è misurabile. Sono rimasto stupito di aver ritrovato nell’Apocalisse, con tale chiarezza, proprio questa duplice fenomenologia, che, pur con tutta la buona volontà, è comprensibile solo grazie alla scienza dello spirito di Rudolf Steiner. Se alcuni fra voi hanno letto le conferenze alle quali ho rimandato, immediatamente se ne convincono. Ora non posso presentarvi tutto il loro contenuto, perché lo stupore sarebbe davvero enorme.
Traduco alla lettera. 13,9 Se qualcuno ha orecchie, per sentire, che senta! 13,10 Se qualcuno si è sviluppato così da andare in prigione – è la prigione della materia, dell’impulso, del meccanismo, del determinismo della materia che rende prigioniero l’uomo. Non posso dire che se mi dedico completamente all’impulso sessuale, sono del tutto libero. No, sono prigioniero, perché quelle sono forze, sono determinismi nei quali resto prigioniero se mi ci affido. Imbroglio me stesso se mi illudo di pensare di essere libero lì dentro.
Se qualcuno decide di andare in prigione – a„cmalws…an è la prigione – allora andrà in prigione – la sua libertà decide. Se qualcuno cerca la morte mediante la spada, mediante il taglio, mediante il fatto di essere tagliato in due, allora morirà tagliato di spada.
Quanti uomini soffrono, in quanto uomini, quali spiriti pensanti e quali anime, per il fatto di non governare più il loro corpo. Questi uomini sperimentano già la spada. La relazione fra lo spirito e il corpo è sempre più minacciata. Questa è la spada che taglia in due. Per questo motivo l’uomo che ne diventa cosciente deve fare tutto il possibile per riconquistare di nuovo il dominio, diventare il signore del processo fisiologico. Perché se ci rinuncia, è perduto. Se desiste, è perso perché diventa impotente nei confronti del suo fisico, e allora è diviso: meravigliosamente deliziato nell’anima e tutto istintualità, impulsi di natura, animalità, se si vuole, a livello del corpo, nei processi corporei.
Come vedete l’Apocalisse è un testo molto ricco, pieno di misteri.
Arriviamo al versetto 11. Le forze per mettere a posto le cose sono la pazienza e la tenacia, quest’ultima, quale pistis, è l’essere ben presenti a se stessi, ben fondati su sé. Questa è l’azione reciproca, la buona azione reciproca, tra spirito e materia. Che la materia rende possibile l’evoluzione dello spirito, e lo spirito vede la sua evoluzione nella trasfigurazione della materia. Possono soltanto andare insieme, perché se così non è, allora l’uomo scompare. Per realizzare questo ci vuole la pazienza, più esattamente Øpomon¾, Øpo il rimanere sotto, la necessità di restare dove si è.
Quale è il contrario di questo rimanere sotto il proprio compito e non allontanarsi? È l’andar via, il sollevarsi da. Nell’Apocalisse le immagini sono pulite.
Noi traduciamo e subito sorge una qualche forma di moralismo. Perché, cosa contiene la parola pazienza?
Intervento: Il patire.
Archiati: Vedete? Subito il negativo, mentre il termine greco Øpomon¾ significa portare volentieri, continuare volentieri a portare. Perché questo portare mi fa bene, mi rafforza. Ypomone, ho qui un peso e lo porto, ci resto sotto, perché noto: caspita, mi fa bene, io divento sempre più forte. Questa è l’immagine. Viene tradotta con pazienza e perciò se n’è andato tutto, completamente astratto, in direzione del moraleggiamento. Cosa significa pazienza? Quando il capo non mi paga a fine mese: pazienza. Quando lo Stato non ha più soldi: pazienza. Quando la Chiesa non ha più risposte: pazienza. Sarebbe un bel compito quello di risalire da tutte queste astrazioni del linguaggio alle meravigliose immagini della lingua greca, che sono così pulite, così oggettive nella loro misura.
13,11 «E vidi una seconda bestia che sorgeva dalla terra che aveva due corna come un agnello e parlava come un drago».
E vidi una seconda bestia che sorgeva dalla terra – ora la faccenda diventa più seria – che aveva due corna come un agnello e parlava come un drago.
Di nuovo ingannevole. Due corna come l’Agnello significa che è l’anticristo, il demone solare. L’Agnello è lo spirito solare, il genio solare, mentre qui abbiamo a che fare con il demone solare. Il demone solare è necessario perché anche il genio solare, lo spirito solare, deve avere la sua controforza corrispondente.
13,12 «Ed essa esercita tutte le potenze della prima bestia davanti ai suoi occhi per far sì che la Terra e quelli che la abitano adorino la prima bestia la cui ferita mortale era stata guarita».
Ed essa esercita tutte le potenze della prima bestia davanti ai suoi occhi per far sì che la Terra e quelli che la abitano adorino la prima bestia. Ora, mediante l’adorazione della prima bestia, mediante l’omissione del bene, compare la possessione. E mediante la possessione l’uomo comincia a fare il male. Ma non è più lui che agisce ma questa bestia con due corna, questo demone, che opera il male mediante gli uomini. Finché l’uomo resta uomo non è capace di fare il male. Perché la capacità di compiere il male inizia a un grado superiore a quello umano, al grado angelico. Questa è una semplificazione. Solo per il fatto che l’uomo, lasciando indietro, omettendo la sua evoluzione si trova nelle condizioni di essere posseduto dai demoni, solo allora diventa capace, proprio per mezzo di questa possessione, di fare il male, cioè di compiere qualcosa che danneggia direttamente, che opera distruggendo.
13,13 «Faceva grandi segni, come far cadere fuoco dal cielo sulla Terra davanti agli occhi degli uomini».
Far cadere fuoco dal cielo sulla Terra: c’è una bellissima scena del Faust di Goethe che descrive meravigliosamente questo fenomeno, ma non abbiamo il tempo di richiamarla. Il segno occulto del demone solare con due corna è all’incirca questo:
Se qui si disegna la Terra, allora si deve fare così (v. Fig. sopra): qui i due corni, che sono forze cometarie, di comete, che, quando cominciano a dissolversi come materia, ricevono una coda – una coda di cometa – dalla quale possono diramarsi anche altre code. In ogni caso c’è una frantumazione e in modo soprasensibile opera senza che l’uomo se ne accorga, così che le forze delle comete, che sono portatrici del ferro, fluiscono sulla Terra, e dalla Terra, mediante i cibi, per esempio, operano nell’uomo senza che egli se ne accorga. Qui c’è l’uomo sulla Terra (v. Fig. sopra), e queste operano sull’uomo. È un grande mistero quello della bestia con due corna, del demone solare.
Come ho detto, tutto questo avviene soprasensibilmente, perché solo in via eccezionale frammenti ferrosi colpiscono la Terra. La materia di frantuma nel cosmo e ancora oggi gli astronomi si chiedono dove vada a finire, come sia possibile questo. Quello di cui non si rendono conto è che si tratta di forze soprasensibili che davvero raggiungono la Terra e la compenetrano completamente, per poi agire anche sull’uomo.
Gli iniziati, che hanno escogitato questi simboli occulti, naturalmente sapevano di che cosa si tratta. Prestate attenzione a ciò che è detto nel testo:
13,13 Faceva segni grandiosi, così da far cadere il fuoco dal cielo sulla Terra.
Osservate la precisione: lasciar cadere fuoco dal cielo sulla Terra.
Intervento: Queste precipitazioni sulla Terra sono solo di questo tipo, oppure ce ne sono anche di positive?
Archiati: Rudolf Steiner dice che queste forze colpiscono sia in senso positivo che in senso negativo. A seconda di come è l’uomo viene deciso come operano le forze. Se queste vengono scandagliate nella loro natura, l’uomo può forgiare la contrapposizione con queste forze così che sia un bene per lui. Ma se l’uomo non ne ha la minima idea, viene semplicemente posseduto da queste forze. Quindi, qui non viene detto che queste forze sono cattive. Il modo in cui l’uomo le tratta, decide se sono buone o cattive. Precisamente, caso per caso, osservando soprasensibilmente che tipo di forze sono, perché qui l’uomo non è neanche all’inizio. Caso per caso va osservato nel soprasensibile cosa c’è.
13,14 «E sedusse gli abitanti della Terra mediante segni che fece davanti ai loro occhi con la potenza della bestia, e disse agli abitanti della Terra che dovevano costruire un’immagine della bestia che aveva ricevuto una ferita dalla spada ma era ritornata vivente».
Qui ritorna l’immagine.
13,15 «Le fu concessa la potenza di animare l’immagine della bestia, così che potesse parlare, e tutti quelli che non adoravano l’immagine della bestia venissero uccisi».
13,16 «Fece in modo che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevessero un segno sulla mano destra o sulla fronte»
13,16 Fece in modo che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevessero un segno – un timbro, un sigillo, c£ragma – sulla mano destra o sulla fronte.
13,17 «e che nessuno potesse comprare o vendere se non aveva quel segno, oppure il nome della bestia o il numero del suo nome»
13,18 «Qui è la saggezza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia, perché è numero di un uomo. Il suo numero è seicentosessantasei»
13,17… e che nessuno potesse comprare o vendere se non aveva quel segno, oppure il nome della bestia o il numero del suo nome. 13,18 Qui è la saggezza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia, perché è numero di un uomo – è il numero della bestia o è il numero di un uomo? – Chi ha intelligenza – che è sveglio, chi ha coscienza desta rifletta e troverà il numero della bestia – perché è il numero di un uomo, e il suo numero è seicentosessantasei – dunque vedete quale valore viene dato a questa affermazione: Qui è la saggezza!– Chi ha coltivato la capacità di pensiero dovrebbe osservare con attenzione cosa significa questo numero. Perché nello stesso tempo è così che il numero può diventare cifra dell’essere umano se egli lotta nel legittimo scontro, e il numero può diventare della bestia se l’uomo dorme, si lascia abbindolare o non combatte come dovrebbe.
Su questo ora vorrei dire alcune parole di commento. Poi facciamo una breve pausa e quindi avrete la possibilità, se lo riterrete opportuno, di dire anche voi la vostra opinione. Ciò che ora vorrei dire non ha niente a che fare con la teoria, voglio invece porre una domanda molto importante, e precisamente: Come la mettiamo con l’islam? Un significato fondamentale del 666 è il mistero dell’islam.
Per non agire in forza di suggestione cancelliamo questo disegno perché questi segni non sono belli da mostrare, diciamo così. Ma nel nostro tempo dobbiamo avere il coraggio di guardare, di scandagliare le cose, e le cose devono essere offerte al pensare di ognuno così che questi cominci per lo meno a ficcarci il naso.
Abbiamo visto nel XIII capitolo che la bestia con sette teste e dieci corna è l’uomo, il quale, per prima cosa, omette il bene, e il bene è tutto ciò che è libero. Questo non deve esserci, altrimenti non sarebbe libero: il libero deve essere omissibile. E l’inizio della catastrofe è che un uomo cui è possibile il libero – dove lui potrebbe avere la libertà, dove lui potrebbe essere creativo nel suo pensare, nel suo amare – omette di essere creativo. Questa è l’omissione del bene, della libertà, naturalmente, perché il bene e la libertà coincidono. L’impulso naturale non è né buono né cattivo, è soltanto necessario. Moralmente buona è solo la libertà, perché solo a questo livello l’uomo può essere buono o cattivo. Questa omissione avviene sotto l’ispirazione del drago.
Poi, dal versetto 11 in avanti, c’è la bestia con due corna, che è il demone solare appena incontrato, il quale rende l’uomo un posseduto mediante questo doppio: un’immagine, l’uomo diventa un’immagine della bestia, una sua copia. Vedete, l’immagine è una copia, la fotografia è una copia, ma è morta, manca la vita. Quindi nell’immagine manca la vita.
Se ora vogliamo riflettere su questa realtà dell’immagine da punti di vista diversi, saltano all’occhio le cose più importanti del nostro tempo quali, per esempio, il fatto che l’intelligenza odierna non ha alcuna percezione reale dello spirito, ma solo rappresentazioni, solo immagini dello spirito. La vita spirituale è del tutto separata dalla vita reale, la cultura è solo immagine, una idolatria delle immagini, ma non afferra nulla della realtà, non incide nella vita.
Si potrebbe partire da molti aspetti riflettendo su questa immagine dell’immagine. Infatti con l’immagine tu hai tutto e non hai niente, è morta. Ma imbroglia perché è fedele. Nell’immagine allo specchio io vedo tutto di me e potrei pensare: ecco, c’è proprio tutto. Il naso non manca, gli occhi sono là, c’è tutto di me. Quindi da un lato l’imbroglio è molto grande, perché nell’immagine c’è tutto di me, e l’imbroglio sta nel fatto che io non noto: no, qui non c’è proprio niente di me. Questo è il mistero dell’immagine.
Il secondo è il timbro, il sigillo, il segno, cioè il fatto che questi uomini ricevono il timbro, vengono segnati, ricevono il c£ragma: la miglior traduzione sarebbe “incisione” perché un sigillo incide, imprime. Le prime macchine da scrivere avevano caratteri che imprimevano. Oggi è tutto sparito. Oggi il processo analogo è quello della produzione in serie, nella quale conta solo il numero perché l’aspetto qualitativo è perduto e rimane soltanto una riproduzione quantitativa. Questo è il mistero della riproduzione, dello stampo, e tutto oggi avviene per replicazione. Cos’è un libro? Venti o trenta lettere riprodotte in modi infiniti. Ma tutte le A di un libro sono uguali, e così tutte le B, tutte le Z: pura riproduzione, pura questione di numero.
Un secolo fa Rudolf Steiner ha parlato di Arimane che si presenta come scrittore, e ha messo seriamente in guardia sul fatto che quanto di più importante c’è tra esseri umani non deve mai venir affidato alla stampa, allo scritto, al segno, al carattere, ma ciò che più conta tra esseri umani può avvenire solo se viene portato da bocca a orecchio, da uomo a uomo, e non nel modo impersonale, inanimato della riproduzione, dello stampato, di ciò che è seguito da tutti allo stesso modo. Lui pensava che i libri al massimo potessero essere utili quali promemoria di ciò che era passato dalla viva voce. Oggi invece abbiamo un’umanità posseduta dallo stampato.
Riflettiamo sull’esperienza che fa una persona quando vede per la prima volta i suoi pensieri stampati. Forse alcuni di voi non lo sanno, ma io purtroppo sono anche un autore. È una esperienza sgradevole la prima volta vedere stampati i propri pensieri. Perché cosa significa che sono stampati? Morti, perché non è più possibile cambiarli. È micidiale. Provate a fare l’esperienza, se potete. Perché fin tanto che parlo, fondamentalmente mi posso concedere tutto, perché se mi rendo conto di essere stato troppo unilaterale, oppure troppo sciatto con la lingua, posso sempre correggermi un pochino e qui conto sulla comprensione dell’ascoltatore. Tutto questo può succedere quando come esseri umani abbiamo a che fare gli uni con gli altri e c’è un rapporto umano. Poi i pensieri vengono stampati: è un colpo senza pari, perché non puoi più cambiarli. E si presenta qualcuno che dice: signor Archiati, ma che razza di frase ha scritto? E anch’io mi rendo conto che, sì, la frase avrebbe dovuto venir ripensata ancora dieci volte. Ma ora è troppo tardi. Bene, potrò correggere nella seconda edizione.
Quindi l’arte della stampa, lo stampare libri, è un grande mistero dell’umanità attuale, perché uccide lo spirito; oggettivandolo, lo spirito viene ucciso. Ma questa uccisione dello spirito, se volete, è la nostra fortuna, perché cosa significa che lo spirito viene ucciso in un libro? Che il lettore, proprio per questo, ha la possibilità di portare lo spirito stesso alla risurrezione. Se lo fa, quanto è bello che abbia un libro!
Ora, mentre sto parlando, voi non avete nessuna possibilità di risuscitare lo spirito, perché io ora non lo sto uccidendo; sono costretto ora a far vivere in qualche modo lo spirito, perché il pensiero è in divenire, viene creato man mano. E neppure io so cosa susciterà la prossima frase.
Ma se leggete qualcosa di mio, quello è già morto, e tutto quel che lì succede di vivente, lo si deve al lettore. Solo che lui deve sapere che nei confronti di ciò che è morto, di ciò che è arimanico, viene provocato a tirar fuori ancora più forze, oppure la cosa opera in modo nefasto, uccide. Allora possiamo goderci tutti i libri del mondo se abbiamo questa forza di portare a risurrezione tramite la coscienza ciò che è stato fatto morire. Ma questo lavoro lo deve fare chi legge, ed è possibile naturalmente, solo che la provocazione è molto grossa.
Chiediamoci ora. Cosa c’entra l’islam, cosa c’entra la bestia? La totalità delle controforze è l’omissione dell’impulso del Figlio: il primo gradino del male. Il secondo: la morte dell’impulso del Figlio attraverso la possessione. Cosa intendiamo per impulso del Figlio, con Cristo? L’uomo ha la possibilità o di realizzare oppure di omettere la libertà – questa io intendo come impulso del Figlio, come impulso del Cristo, perché ciò che è del Padre è la necessità di natura, che non ha nulla a che fare con la libertà. Questa necessità di natura deve esserci quale fondamento. Ma il senso della necessità di natura è quello di fornire all’uomo tutto quanto serve per rendergli possibile la creatività, l’elaborazione creativa individuale, e questo è il Figlio dell’uomo, il Cristo.
Quindi, il Padre manda il Figlio significa: il Padre ha deciso che l’uomo deve essere chiamato a divenire sempre più creatore. E il Figlio è la disposizione in ogni uomo a diventare sempre più creativo. Quindi umano è la conferma del Figlio e disumano è la negazione del Figlio. Perché dove il Figlio viene negato si dice che la libertà è una illusione, che l’uomo è un essere di natura come gli animali, e quando questa affermazione prende il sopravvento e afferra molti esseri umani, cosa succede nell’umanità? Uomini che si comportano come animali.
E quando gli uomini si comportano come animali, il dolore diventa infinito, e la disumanità non ha fine. Perché gli animali in quanto tali sono armonici, in quanto puri esseri di natura, ma un uomo che si limita a essere solo un essere di natura, coi suoi impulsi, con le sue forze naturali, opera in modo distruttivo. Questo bisogna capirlo bene. Un uomo che si lascia andare alle pure forze di natura e omette di esercitare la libertà agisce in forma distruttiva.
Il Padre manda il Figlio significa: la natura ci dà, per via ereditaria, una prima nascita, una prima conformazione. A metà della vita, quando l’uomo raggiunge la ragione quale strumento per la sua libertà e per l’amore, allora egli può sperimentare il Figlio nel senso che, proprio a partire dalla libertà egli può vivere una seconda nascita. Questa è l’essenza del cristianesimo. Il Padre dà la nascita naturale e mediante l’esperienza del Figlio l’uomo diventa capace, ma non necessariamente, di sperimentare una seconda nascita a partire dalla libertà.
L’essenza del Corano, quale necessaria controforza, è la negazione del Figlio. Un’affermazione centrale di quel testo dice: «Allah è l’Unico e non ha figlio».
La domanda che ci dobbiamo porre non è tanto quella di stabilire chi ha ragione in queste due affermazioni: «Il Padre manda suo Figlio» cioè il senso della necessità è la libertà dell’uomo. Oppure l’altra: «Allah non ha figlio». La domanda non è chi ha ragione, come se fosse soltanto una domanda teorica, la domanda, cari amici, è: come operano queste due convinzioni nell’umanità? La prima opera in modo che gli uomini possono sperimentare la responsabilità della libertà individuale, perché tutto viene e deve esser fatto perché ogni uomo abbia la possibilità di arrivare a essere un individuo. L’altra agisce realmente e non si tratta di una questione teorica relativa al fatto di chiedersi se sia vera o meno, perché questa è una domanda oziosa; l’affermazione che Allah non ha figlio opera in modo che l’individuale deve essere ostacolato, se si è conseguenti, perché viene fatto passare come illusorio, come presunzione.
Che il cristianesimo che ci ha preceduto forse sia stato più islamico che cristiano può anche essere, ma io ora non parlo di come il cristianesimo sia stato inteso e realizzato fin ad ora. Io parlo dello spirito del Cristo, di come questo spirito nei vangeli, nell’operare del Cristo, viene presentato nell’Apocalisse, e tra l’altro nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner, lì io riconosco di nuovo nella forma più pura questo spirito del Cristo. E qui c’è l’individualismo etico, qui c’è la venerazione, la santità dello Spirito Santo in ogni uomo al primo posto, e tutto il resto sono le condizioni perché questo avvenga.
Cosa succede ora se si dice: dovresti essere tollerante con una persona – per esempio con Ibrahim Abouleish, che perfino si presenta nell’antroposofia e pensa di diffonderla – il cui pensiero fondamentale, la cui convinzione di fondo è: spirito del Corano e spirito del Cristo, sono la stessa cosa. Naturalmente lui ha diritto di avere la sua opinione, solo che la mia domanda è: come agisce questa opinione sull’umanità?
Ha tutto il diritto di avere la sua convinzione, perché non ne ha un’altra. Ma la domanda è: come opera questa affermazione di fondo: lo spirito del Corano e lo spirito del Cristo sono la stessa cosa?
Ora la domanda molto importante che ci dobbiamo fare, e dove veramente vorrei che qualcuno di voi in piena onestà dicesse una parola, è: si tratta qui di una concezione del mondo sulla quale si può dire che ognuno può avere la sua opinione, oppure si tratta di sentire la responsabilità di fronte agli effetti che queste convinzioni producono nell’umanità? Perché, come opera la convinzione: lo spirito del Corano e lo spirito del Cristo, è lo stesso, quando addirittura questa viene stampata dalla Presidenza della Società antroposofica e viene resa operante nell’umanità?
Quello che procura la tolleranza è un’ombra a confronto dell’effetto dell’altra azione: che gli esseri umani vengono portati a non distinguere più tra Padre e Figlio, e siccome il Padre non ha Figlio questa differenza non viene più vista.
E via via che gli esseri umani lasciano inosservata o non vedono più questa differenza, l’umanità va verso l’abisso. La domanda quindi è: non è forse la peggiore intolleranza il fatto che io tolleri che l’umanità venga scaraventata nell’abisso? Tollerare che sempre più uomini pensino: sì, cristianesimo e islamismo sono la stessa cosa, tutte le religioni vogliono la stessa cosa, è il modo per non guardare con attenzione che il drago dell’Apocalisse raggiunga il suo scopo. «Non è proprio un problema se il Figlio viene negato!» Ma se il Figlio viene negato, cosa viene ostacolato, cosa viene distrutto nell’umanità? La libera individualità. Se permetto questo sono massimamente intollerante, perché la negazione del Figlio è il più alto livello di intolleranza nei confronti dell’Io degli uomini. La negazione del Figlio non tollera l’Io dell’uomo, perché il Figlio è la chiamata al divenire-Io.
Ora sorge l’altra domanda: se io sono convinto che questa falsa tolleranza sia, in realtà, il più alto grado di intolleranza nei confronti dell’individualismo etico – perché lo nega –, ho io il diritto di intervenire? Posso costringere gli uomini a qualcosa? No, perché questa di nuovo sarebbe una intolleranza. Nessuno che veramente tollera l’individualità si permette di influire sugli impulsi volitivi altrui. Quindi l’unica soluzione è quella di risvegliare la coscienza su ciò che sta attraversando l’umanità quando ha questa convinzione: ah, non è importante dire che il Padre ha un Figlio, oppure che non ha nessun Figlio! O prendiamo coscienza di quanto dolore, di quanta oppressione, di quale asservimento subisce l’umanità quando neghiamo il Figlio; oppure, quando non ne siamo coscienti, dormiamo, omettiamo la coscienza, ed ecco allora il dolore, ecco l’abisso!
Per come capisco io la cosa, poiché non si può tollerare questa intolleranza islamica contro l’individuo, né questa intolleranza si può impedire in termini di volontà, diventa sorprendentemente chiaro quanto sia urgente il compito della formazione della coscienza. Perché, chi di noi che ha colto il problema può tollerare che l’individuo non venga tollerato nell’umanità? Finora il cristianesimo non aveva ancora idea dell’io compenetrato dal Cristo; il Corano lo nega, le scienze naturali lo deridono. Se noi tolleriamo tutto questo, questa religione, questa scienza e questa dottrina islamica, precipitiamo gli uomini in dolori infiniti e nell’abisso. Vogliamo tollerarlo?
La vera tolleranza è la verità sull’uomo. Tollera davvero gli uomini, li onora, solo colui che dice la verità su di loro, anche quando questa verità non è particolarmente lusinghiera. Come ho detto, poiché non si può influire direttamente sulla volontà delle persone – perché questa sarebbe davvero una non-tolleranza dell’uomo, come succede quando vengono afferrati i suoi impulsi volitivi, e sarebbe una non-tolleranza della sua libertà –, cos’è che la libertà tollera? L’incitamento a pensare. Perché prendere posizione col pensiero è sempre libertà.
Io ho preso posizione, alcuni di voi già lo sanno, e sono stato bollato come intollerante, come fanatico e dogmatico, perché ho chiesto cosa succede se perfino la presidenza della Società antroposofica stampa il pensiero: Maometto è un profeta ancora più grande di Gesù – questo è stato stampato! – perché ho pensato che in questo modo con la scusa, con l’illusione della tolleranza, viene reso attivo, viene stampato il più alto grado di intolleranza. Perché questo è il massimo livello di intolleranza nei confronti dell’individuo, perché l’individuo viene negato, non c’è proprio. E siccome ho fatto notare che questa è proprio anti-antroposofia, anti-cristianesimo e affermazione dell’anticristo, l’intollerante sono io. Mi sono chiesto: possibile che non ci siano un paio di persone che capiscano le cose e riconoscano dove si trova, qui, l’intolleranza?
Questo compito urgente di essere sveglio è la missione di Michele. Per questo abbiamo qui nel XIII capitolo questa energia nella lotta di Michele col drago. E la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è un’offerta micheliana per portare avanti il pensare, le forze del pensiero, le forze dell’osservare con attenzione la gravità del peccato di omissione nel pensare e nella conoscenza. Cosa ha fatto l’umanità in un secolo? Un peccato di omissione dall’inizio alla fine, perché questa scienza dello spirito non è mai stata afferrata nemmeno una volta. E molte persone fra quelle che l’hanno un pochino masticata hanno creduto a Steiner in tutto il possibile – e figuriamoci a Michele!
Le cose sono lì proprio per essere pensate con attenzione, non per credere a uno Steiner. Questo è un atteggiamento micheliano: solo quando è stimolo a pensare, ma ognuno deve farlo in proprio. Penso, cari amici, che questo compito sia assolutamente urgente! Oppure tolleriamo anche che l’individuo non sia tollerato nell’umanità, e così finiremo nell’abisso! E nessuno può dire: «Io non c’entro» perché i peccati di omissione nei confronti del proprio pensare e della propria conoscenza sono cosa di ogni singolo uomo e di ogni singola donna.
Queste sono le parole con le quali volevo completare il nostro lavoro sull’Apocalisse, e, siccome non è affatto una teoria, spero abbiate capito cosa vi viene inteso. Facciamo una breve pausa e poi sono contento se qualcuno dirà cosa ne pensa.
***
Gentili Signore e Signori,
ora desidererei, se volete, ritornare a quel che ci siamo detti prima della pausa. Spero sia stato chiaro che, per me almeno, l’argomento è straordinariamente importante per l’umanità odierna, perché non riguarda solo la teoria o la concezione del mondo, ma riguarda la storia dell’umanità. Ho già espresso il desiderio che qualcuno di voi dica qualcosa su queste cose così importanti.
Intervento: (esprime alcune sue opinioni su Maometto)
Archiati: Adesso qui vorrei fare una distinzione. Se lei pensa di mettermi in bocca qualcosa, allora devo fare dei distinguo. Perché quando si legge dal Corano, bisogna distinguere le affermazioni dove si tratta di cose importanti, bisogna cogliere anche una certa distinzione di significati. Il Corano è stato ispirato da un “Gabriele”. Quel che questo “Gabriele” si pone come scopo in quanto Arcangelo è tutt’altro rispetto a ciò che Maometto ci capisce. Perché Maometto è un uomo. E lei ha fatto un’affermazione su Maometto. Io non lo farei mai, perché questo Maometto che nell’islam è ritenuto il più grande profeta, l’ultimo profeta, come uomo ha la possibilità sia di capire giustamente quello che dice Gabriele, sia di non capirci proprio niente, di interpretarlo a modo suo; ha la possibilità, in questa vita, di lasciare tutto il possibile aperto, così che nella prossima vita, quando ritorna, può lavorarci sopra e così via. Nei confronti dell’essere umano vale l’affermazione di Cristo: “Non giudicate!” perché noi non possiamo mai sapere se un uomo è buono oppure no.
Quindi le affermazioni sono state fatte sugli scritti, su quello che c’è nel Corano, e qui possiamo dire qualcosa, e su come questo Corano opera nell’umanità.
Come uomo Maometto era preoccupato che nel cristianesimo – mediante queste tre divinità, Padre, Figlio e Spirito Santo – venisse di nuovo introdotto il politeismo. E questa preoccupazione è giusta, perché ci sono stati cristiani che hanno così malinteso la Trinità da considerarla come tre divinità distinte. Per questo motivo Steiner sottolinea continuamente che la Trinità è una triplice modalità di azione, di interazione con il mondo, ma non tre Dei in Dio. Dio è sempre lo stesso, ma opera diversamente quale Padre, opera in altro modo quale Figlio, nostro fratello, e opera in modo ancora diverso quale Spirito Santo. Il che significa che chiamiamo un modo di operare di un solo Dio: Padre; un secondo modo di operare dello stesso Dio: impulso del Figlio; e un terzo modo di operare di questo stesso Dio, Spirito Santo. Se lo comprendiamo correttamente questo non è politeismo. Eppure già al tempo della Scolastica (Roscellino, per esempio) se n’è fatto veramente tre Dei, perché si è pensato che i tre dei sono reali, e l’unità è una astrazione.
Quindi, quello che è successo nell’uomo, in questo uomo Maometto non è faccenda che ci riguarda; noi guardiamo al Corano: come ha agito nell’umanità? L’islam, mediante il Corano, come ha agito nell’umanità?
L’affermazione di cui ci occupiamo – e questo non vale certo per tutto il Corano – è quella che dice: «Allah è unico e non ha figlio», e si trova ripetutamente in quel testo; in bocca a Gabriele può essere riferita solo al Cristo, al Figlio, colui di cui si parla continuamente nel Vangelo di Giovanni, nell’Apocalisse, nei vangeli, perché Cristo chiama se stesso “Figlio”. E il Padre opera nel Figlio in modo diverso perché quale Padre è onnipotente, mentre nel Figlio ha deciso di operare non in forma onnipotente ma piena d’amore, in modo da favorire la libertà, da risvegliarla. Questa è l’affermazione fondamentale del cristianesimo. 666 anni dopo, questa frase ispirata può riferirsi solo al Cristo, perché il discorso vale per il Figlio di Dio. Quale è il senso di questa frase nel Corano? Di essere il necessario contro-impulso nei confronti del Figlio, e che cosa sennò? In questi giorni ho continuato a ripetere: la controforza non è né buona né cattiva, è necessaria. Male è quando gli uomini prendono la controforza come bene, allora sì che è male, perché allora neghiamo il Figlio. Così eliminiamo la libera individualità, neghiamo la libertà, e questo è male per gli uomini. Così va inteso.
Oppure – e questa era la mia domanda – c’è qui qualcuno che interpreta in modo diverso quella frase del Corano? Tutti qui siamo personalmente, individualmente chiamati a prendere posizione. Altrimenti omettiamo di farlo. Ripeto, allora la mia domanda è: qualcuno, per favore, vuole interpretare diversamente questa frase del Corano, in modo che io prenda posizione col mio pensare?
Intervento: Io ho un’altra domanda, e precisamente, parlando del Corano siamo circa 600 dopo Cristo, quali forze c’erano allora? Perché non c’è stato solo il Corano, perché anche il giudaismo, in quel periodo, mediante la stesura scritta del Talmud, ha sottolineato il monoteismo…
Archiati: Se osserviamo la realtà, se teniamo conto dell’evoluzione dell’umanità vediamo che centinaia di milioni di persone oggi si basano sul Corano e operano in modo militante nell’umanità a partire dalla più grande venerazione nei confronti di quel testo. Dell’altro fenomeno, del giudaismo, nessuno si è accorto. Questa è la differenza.
La contrapposizione esistente oggi, e non solo in virtù del terrorismo, si basa sull’islam in realtà, e la domanda è: noi cosiddetti cristiani quanto abbiamo di cristianesimo? Perfino coloro che si sentono i rappresentanti della scienza dello spirito cristiana di Rudolf Steiner permettono di stampare e di lasciar agire nell’umanità l’affermazione che «lo spirito del Corano è lo stesso spirito dei vangeli, del Cristo». Quanto cristianesimo abbiamo se la Presidenza della Società antroposofica in nome dell’antroposofia stampa e rende attiva nell’umanità la più grossa bestemmia che ci sia contro il Cristo? Perché dire: «Egli non ha Figlio, il Padre non ha nessun Figlio» è sì la più grossa bestemmia contro il Cristo – Cristo non c’è per niente, è una trovata.
Oppure, e lo intendo molto onestamente, se qualcuno pensa che io esageri, per favore me lo dica. Perché per me questi sono problemi di coscienza, coi quali combatto quotidianamente. Perché lotto con una questione di coscienza: sei forse diventato troppo blando nella tua presa di posizione, tanto per non complicarti troppo la vita? Non pensiate che io lotti con la domanda se ho preso una posizione troppo dura. No, non è questo il problema. Il mio è un problema di coscienza, mi chiedo se sono diventato sufficientemente chiaro. Questo è il mio problema! E ascolto anche volentieri chi, non solo dice, ma cerca di articolare «No, signor Archiati, lei esagera per questo, questo e quest’altro motivo…» questo lo ascolto volentieri. Perché vi dico, si possono passare molte notti insonni alle prese con l’umanità. Non pensiate che sia solo una polemica, no, non mi interessa affatto la polemica, ho altro da fare. C’è già abbastanza da fare nell’umanità che non far polemica.
Intervento: Vorrei dire diverse cose, che scaturiscono da diverse impressioni. Non so se lei sa che Abouleish con la sua iniziativa Sekem ha appena ricevuto il premio nobel alternativo della pace.
Archiati: Sì, lo so, assieme a Nicanor Perlas, naturalmente.
Intervento: Io ho un’amica che l’estate scorsa ha passato diversi mesi presso Sekem e quello che ha raccontato era veramente scioccante. Ad esempio come sia radicato lo spirito di disprezzo all’uomo, e lei era davvero stupita perché si era immaginata: ecco nel cosiddetto terzo mondo c’è qualcosa di antroposofico, forse posso imparare qualcosa. Non posso ora soffermarmi sui particolari, ma complessivamente per lei è stata una gioia quando è potuta ripartire.
Questa è la prima cosa. Poi la seconda sarebbe…
Archiati: Lei è d’accordo se dico qualcosa sulla prima?
Intervento: Naturalmente.
Archiati: Altrimenti poi la dimentichiamo. Parlare di disprezzo dell’uomo per me porta lontano, perché questo è un giudizio morale sugli uomini. E nessuno ha il diritto di dire che quelle persone disprezzano l’uomo. Questo un uomo non deve dirlo mai. Se si dice che questa cultura è islamica e vuole essere islamica – poiché Abouleish lo ripete continuamente che lì viene coltivato l’islamismo, e se io capisco quella cultura nella sua complessità e non nei particolari, soprattutto se guardo agli Scritti sacri di quella cultura, cioè al Corano, allora debbo dire che complessivamente non disprezzano l’uomo, ma che in questa cultura manca la coscienza della libera individualità, manca il concetto, manca la coscienza, non è presente, non è proprio contemplata. Perché il Corano è fondamentalmente sorto privo di questo impulso all’individualità libera, proprio perché unilateralmente sottolinea la necessità di natura, l’onnipotenza di Allah. Nel Corano c’è posto per Allah – e questa onnipotenza di Allah c’è già nella natura, ma non c’è posto per la libera individualizzazione dell’Io. Orbene: se questa antroposofa torna e dice che quelle persone disprezzano l’uomo…
Intervento: Questa è stata la mia interpretazione.
Archiati: sì, ho capito quello che ha detto. Potrei anche chiedere a qualcuno: sei stato recentemente a Dornach? E ritieni che dopo gli ultimi avvenimenti lì si sia radicato di più l’individualismo etico? Per come conosco io la Società antroposofica, quella reale e non le belle teorie, io risponderei che complessivamente in questa società l’individualismo etico nello spirito di Rudolf Steiner è rispettato un pochino di più che non nell’islam, ma veramente solo un pochino in più. Questa è la realtà. Ma io non ho alcun diritto di sindacare sulla realtà delle persone. Qui si tratta di spirito e di controspirito!
Se non esercitiamo questa distinzione tra spirito e contro-spirito, siamo perduti! Nessuno che conosca il Corano ha bisogno di andare a Sekem per sapere: nell’islam sul piano della coscienza non c’è posto per la libera individualizzazione dell’io. Per sapere questo non c’è bisogno né di andare a Sekem né di esprimere giudizi sulle persone. Perché Abouleish è un uomo pieno di buone intenzioni come me; perché dovrebbe averne di meno? Solo che io, quando lui articola i suoi pensieri, ho il diritto di vedere – perché ho una responsabilità nel riconoscere se lui ha un concetto di individualità libera, o se non sa neanche che cosa sia una individualità libera –, che lui come capo, come padrone, dunque coi suoi subalterni, deve trattare in tutt’altro modo se ha un concetto di libera individualità. Se lui non ha un concetto di libera individualità, la conseguenza è un tutt’altro modo di venire alle prese con gli esseri umani. Ed è questo che mi interessa, il contrasto a livello di coscienza. In quanto uomo io lo lascio in pace, perché se anche lui cominciasse ad enumerare le mie carenze, vi garantisco che non arriverebbe mai alla fine. E sarebbe comunque un lavoro fuori luogo.
Se lui è convinto che lo spirito del Cristo e lo spirito di Maometto è lo stesso spirito, ha pieno diritto di pensarla così. Bene, se dice questo, ma allora io dico che non ha capito niente dello spirito del Cristo! E anch’io ho diritto ad avere le mie convinzioni. E posso anche dire che cosa succede nell’umanità a seguito delle sue convinzioni, qual è l’azione delle sue convinzioni nell’umanità!
E se arriva qualcuno a dirmi: «No, questa cosa non opera in modo così funesto – se qualcuno non nota l’azione disastrosa, l’effetto disastroso è lì, e lui non se ne accorge? – allora vuol dire che ha dormito alla grande». L’Apocalisse c’è proprio per dirci cosa succede quando si ha dormito, quali conseguenze derivano dai nostri peccati di omissione; perché dormire è un peccato di omissione.
Intervento: Ho parlato con la redattrice che ha curato la pubblicazione di quelle conferenze… (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Si tratta della persona che si è occupata della pubblicazione del volume Esoterik der Weltenreligionen.
Intervento: (acusticamente incomprensibile)
Archiati: Bene. Eravamo finiti a fare affermazioni su Abouleish che è esattamente quel che non voglio fare, perché non voglio dire assolutamente nulla sulla sua evoluzione personale. Qui voglio soltanto comparare lo spirito del Corano e lo spirito dei vangeli, dei vangeli cristiani. E vorrei che divenissimo coscienti di quel che accade nell’umanità se ci sono sempre più persone che dicono: «Questi due spiriti in fondo sono uguali», oppure: «Non è così importante se sono diversi». Perché secondo me, in questo caso, consegue la sottomissione, la distruzione della individualità libera! E questo indipendentemente da come la pensi Abouleish, perché questa è una cosa che non mi interessa affatto, perché è una faccenda sua. Ma se abbiamo un numero sufficientemente grande di persone che dicono: i due spiriti, quello del Corano e quello del Vangelo, sono in contrasto – perché lo spirito del Vangelo è l’amore del Cristo per l’individualità umana, e lo spirito del Corano, quale necessaria controforza, è la negazione del Figlio –, allora questo possente contrasto viene affrontato.
E se non capiamo la serietà di questa cosa, oppure non la tolleriamo e la teniamo nascosta ad altri uomini, questo sì che è dannoso! È questo che è dannoso, e le affermazioni sul signor Abouleisch intendo veramente lasciarle stare.
Qui si tratta dello spirito del Corano e dello spirito del Cristo! Se qualcuno dice: è più importante essere gentili gli uni con gli altri, è preferibile trovare un accordo, dire che quel che afferma il Corano non è poi così decisivo, e così via, questo è ciò che precipita l’umanità nell’abisso, affermare che la verità non è importante!
Intervento: Ho il problema che non trovo il punto centrale. Se prendo lo spirito del cristianesimo e quello del Corano, trovo che stanno contrapposti…. (il seguito dell’intervento è incomprensibile)
Archiati: no. Se rappresentiamo la cosa con un’immagine dobbiamo fare così (v. Fig. sotto), il Corano è spiritualità nelle nuvole e materialismo e determinismo nella vita. Lo spirito del Corano è entrambe le cose, e non solo una delle due, e manca il centro.
Intervento: Esattamente. Nello stesso momento abbiamo un’evoluzione, in America, che va fortemente nella direzione del determinismo, e le due cose cozzano l’una contro l’altra …. e così sorge la lotta fra le culture…(acusticamente incomprensibile)
Archiati: No, non ha nulla a che fare con le culture, perché è una lotta fra potere e contro-potere. Quel che hanno in comune è il potere perché entrambe le realtà da lei nominate non hanno lo spirito.
Intervento: Esattamente. Entrambe vanno unilateralmente nella materia e perciò debbono cozzare.
Archiati: Ma tutto questo non ha nulla a che fare con lo spirito del cristianesimo.
Intervento: Per questo lo spirito del cristianesimo elimina la differenza.
Archiati: No, lo spirito è al centro fra i due estremi, non la loro eliminazione. L’eliminazione è qui (v. Fig. sopra) dove si dice che non c’è il Figlio, che quindi viene eliminato. Si deve tradurre l’immagine geometrico-matematica di centro nella realtà, e questo è più complicato.
Intervento: Avrei ancora una domanda sulla pubblicazione del libro dedicato alle grandi religioni, dove è inserita la conferenza di Abouleish nella quale lui afferma che lo spirito del cristianesimo e quello dell’islam sono praticamente uguali…
Archiati: Addirittura! Son contento che lei se ne sia accorto.
Intervento: L’avevo letto in un suo articolo e la cosa mi aveva profondamente impressionato.
Archiati: Ma lo può trovare anche nel libro.
Intervento: Sì, chiaro. Il mio problema ora è: allora hanno reso pubbliche le conferenze di tutti i relatori, e il libro è stato pubblicato.
Archiati: Non tutte. Ne manca una
Intervento: La sua?
Archiati: No, io non ero stato invitato.
Intervento: Non era il 1995?
Archiati: No, era il 2000. Nel 1995 c’ero anch’io, ma devo aver generato una tale rabbia che, innanzi tutto gli Atti non sono stati pubblicati, e poi è stato deciso di rifare il Convegno di nuovo, nel 2000, con gli stessi relatori ad eccezione di Pietro Archiati: sono tutti fatti storici che si possono verificare, perché Archiati è così dogmatico che non ci sa fare con la tolleranza, con lo spirito conciliante.
Intervento: Sì, la mia domanda sarebbe che se le conferenze vengono pubblicate allora è una brutta faccenda togliere qualcosa, si deve lasciare.
Archiati: No, il pericolo è….
Intervento: Non ho ancora concluso; se stampo la conferenza di una persona non mi è lecito eliminarne una parte. Ma se la pubblico ho il dovere di prendere posizione e allora la faccenda appare sotto tutt’altra luce.
Archiati: Bene, queste riflessioni le ho già sentite centinaia di volte, per esempio in Italia. Ora, brevemente, perché non ho a disposizione un’ora, posso dire che il ragionamento potrebbe stare in piedi se non si conosce a priori il pensiero del relatore, ma nel nostro caso non è così, perché il punto di vista di Abouleish era già ben conosciuto, perché se si parla dell’islam in nome dell’antroposofia di Rudolf Steiner allora io mi aspetto che l’islam sia illuminato mediante l’antroposofia, e sull’islam si dica fondamentalmente quel che ne ha detto Rudolf Steiner.
Ora le cose sono così che a Dornach anche prima del primo convegno, al quale pure io ero presente, Abouleish era conosciuto, e nonostante questo è stato invitato. Eppure dopo quel che ha detto doveva essere chiaro il suo pensiero, e io mai avrei immaginato che venisse invitato una seconda volta!
Questo è esattamente il punto in cui il drago colpisce e non il fatto che una conferenza, dopo essere stata tenuta, sia anche stampata. Se vengono stampate tutte, allora ovviamente anche quella deve essere stampata. E se ci metteste sotto una nota che dice: qui c’è un errore, sarebbe ancora peggio, perché vi comportereste come la Chiesa cattolica che protegge l’ortodossia e combatte l’eresia, e continuamente giudica cos’è la verità e cos’è l’errore. Immaginatevi che adesso la Presidenza stampa qualcosa, e poi si siede in cattedra per decidere cos’è verità: ma questo è un errore.
L’unica soluzione cristiana è quella di non invitare mai più questi uomini che hanno questo nucleo di pensieri. Solo questo è cristiano. E che non lo abbia capito nemmeno la Presidenza della società antroposofica questo è fatale per l’umanità! Se invito qualcuno lui ha tutto il diritto di dire quello che pensa. E se poi tutto viene stampato si deve stampare anche quello, e in nessun caso posso apporre una nota che dice: questo è un errore! Altrimenti mi comporto come il Papa. Quindi tutto ciò che consegue con l’invito è deleterio, ed è per questo che si doveva tralasciare l’invito.
Intervento: Così sarebbe stata rispettata anche la libertà di Abouleish.
Archiati: Ma naturalmente. Nel mondo anche lui può fare quello che vuole. Ma io, come Presidenza della società antroposofica, non sono lì per dargli la possibilità di portare nel mondo una grande bestemmia contro il Cristo! È l’invito l’errore fatale! E che nessuno lo capisca è davvero preoccupante. Perché a seguito dell’invito deve per forza seguire tutto il resto!
In Italia ci sono stati antroposofi che hanno detto: no, la Presidenza avrebbe dovuto dichiarare che quello era un errore. Sarebbe stato ancora peggio, perché così avremmo avuto il papato a Dornach che decide cosa è vero e cosa non lo è. L’unica soluzione cristiana era quella di non invitarlo. Se la pensi così ti rispetto, ma non ti offrirò mai una tribuna per rendere attivo il tuo pensiero nei confronti dell’umanità.
Intervento: Ma forse non c’è dietro l’esigenza, tipica del Figlio, di permettere a ciascuno di decidere individualmente?
Archiati: Questo significa che ogni singolo membro della Società antroposofica deve nel suo pensare giungere a dirsi: la mia presidenza è stata manipolata dal drago con questo invito!
Intervento: Questa sì che è una provocazione.
Archiati: Naturalmente. Solo che l’individuo deve pensarla. Il mio stupore era: dove sono gli antroposofi che pensano queste cose? Perché invece tutti hanno pensato che Archiati è fanatico, che è solo arrabbiato, perché è intollerante.
[Diversi partecipanti chiedono la parola]
Archiati: Lei ha la penultima parola e lei l’ultima (volgendosi ai partecipanti delle ultime file). Oppure vuole velocemente concludere quel che stava dicendo?
Intervento: Volentieri. Io penso che lei, per quanto riguarda il giudizio sul Corano, abbia perfettamente ragione. Ma io penso che anche presso amici mussulmani dell’Iraq o dell’Afghanistan l’impulso del Cristo… possa agire. Molti si sono trasferiti a ovest non solo per guadagnare di più ma anche per godersi qui qualcosa della libertà individuale.
Archiati: Bene. Dunque le affermazioni che abbiamo fatto sull’islam nel suo complesso, e per essere più precisi le affermazioni sul Corano non riguardano affatto gli individui. Proprio questo abbiamo continuamente sottolineato durante il nostro lavoro sull’Apocalisse. Nell’insieme della cultura islamica, grazie al Corano, è presente una piccolissima considerazione per l’individualità libera, questa è una cosa certa, consona per altro con lo stesso spirito del Corano.
Se ci sono eccezioni alla regola, bene, confermano la regola. Ma noi non dobbiamo fare affermazioni sugli individui. Perché una cosa è dire che nel Corano è presente un certo spirito, ed altro è quello che determinate individualità ne hanno fatto. Perché queste individualità hanno la possibilità di essere cresciute in questa vita nell’islam, poi nella prossima nel buddismo e nella terza nel cristianesimo e così via. La vera domanda è: coloro che sono cresciuti in questa vita nel cosiddetto cristianesimo hanno di fatto seguito di più lo spirito del Corano o lo spirito del cristianesimo? Io dico: essenzialmente di più lo spirito del Corano.
Cosa ne consegue e chi sta meglio? Colui che potrebbe avere il cristianesimo e lo omette, oppure colui che non ha ancora conosciuto nella sua cultura il cristianesimo? Ci si deve chiedere chi sia colui che porta maggiori responsabilità. Ma qui ci muoviamo nell’ambito culturale, questa è un’osservazione sulla cultura e non sui singoli individui.
Intervento: lo specchio che ci viene messo davanti è il tempo nel quale noi viviamo, e la domanda è: cosa ci dice lo specchio quando guardiamo cosa manca nella nostra cultura, che cosa abbiamo omesso, che cosa omettiamo noi, che cosa possiamo insegnare agli uomini che ci vivono? Il fatto che il mondo islamico si sia grandemente accresciuto indica già una mancanza nel nostro ambito cristiano. Questa è la domanda che dobbiamo porci: che cosa omettiamo noi nel nostro cosiddetto cristianesimo occidentale per far sì che laggiù le forze umane che vediamo ci sembrano completamente o in grande misura poco importanti?
Archiati: bene, lei ha capovolto la domanda. Si potrebbe dire che il mondo cristiano occidentale sta vivendo la pubertà della libertà, e la pubertà mostra molti più problemi, rivela un mondo molto più brutto rispetto al tempo dell’infanzia. In questo senso si può rigettare la cultura occidentale, dicendo che è più brutta della cultura islamica, solo che nel suo insieme essa sarebbe un passo avanti. L’altra cosa che si può sottoscrivere delle sue riflessioni, anche perché non è una domanda, è che nella cosiddetta cultura cristiana occidentale oggi c’è essenzialmente più materialismo e ateismo, e meno religione che nell’islam dove, complessivamente, le persone sono meno materialiste, più religiose e meno atee.
Bene, ma anche un bambino di otto o dieci anni è più religioso di un ragazzo di quindici: questo però non vuol dire nulla. È vero che un quindicenne è per così dire più ateo di un bambino, ma è un passo avanti. Quindi le cose sono un po’ più complicate. La cultura occidentale si trova nella fase infantile della libertà mentre quella islamica non c’è del tutto. La fase iniziale della libertà rende molto più difficile, più egoista il mondo rispetto ad una cultura che si trova evolutivamente in una fase ancora più infantile. Inoltre non dobbiamo considerare le cose così rigidamente, perché eccezioni ci sono dappertutto. Ma il fatto che una cultura sia più religiosa non è di per sé un segno che sia migliore. Le cose si complicano se prendiamo il corso della vita dell’uomo come parametro orientativo della realtà.
Quindi il mondo occidentale, all’incirca, si trova nella fase iniziale della libertà, quella dove c’è più egoismo che nell’islam. Ma l’islam deve ancora arrivare a questa fase, e staremo a vedere come sarà quando perverrà a questo livello nell’umanità. Perché se sorge l’individuo nell’islam, allora anche da loro è un finimondo. Ma l’individuo deve sorgere altrimenti l’evoluzione non prosegue. Il senso dell’evoluzione è l’individuo e noi siamo grati al cristianesimo proprio per il fatto che nel complesso l’individuo è ben più rispettato in occidente che nell’islam. A chi altri lo dovremmo?
Intervento: Ancora una domanda su Abouleish.
Presenti: No!
Archiati: Sono lieto che finalmente diciate no. Occupatevi di lui, se volete, nella vostra vita privata, perché non ha nulla a che fare qui. Qui ci occupiamo dell’islam e del cristianesimo, con le indicazioni dell’Apocalisse, del numero della bestia 666.
Intervento: Ma nella relazione con le persone è proprio questo l’importante: come si trattano gli uomini. Lei ha dato voce ai mussulmani, uno spazio per parlare. Ha mostrato loro che ci possono essere buone relazioni umane, e non li ha disprezzati dicendo: quello che dici è una sciocchezza. Questo non è forse simile a ciò che ha fatto, in un ambito più vasto, la Società antroposofica?
Archiati: Un momento; se il compito dichiarato di quella società fosse – e potrebbe esserlo, perché ognuno ha la sua libertà – quello di offrire una tribuna affinché tutti possano dire quello che pensano, allora tutto sarebbe a posto. Ma il compito dichiarato della Società antroposofica è l’antroposofia, la scienza dello spirito di Rudolf Steiner. Non possono barare o scherzare, perché devono dire chiaramente da che parte stanno.
Se lei dice che il nostro compito è quello di dare a tutti la possibilità di dire quello che vogliono, allora va tutto bene, siamo a posto. Ma io obietterei: perché non avete mai invitato il Papa? Anche lui ha qualcosa da dire! Ma era proprio quello il compito della Società? Chiedetelo ai 50.000 soci se, a loro avviso, compito della Presidenza è quello di rafforzare il loro impulso a portare lo spirito del Cristo oppure è quello di semplicemente offrire una possibilità a tutti di dire quello che vogliono dire. Perché in questo caso si può fare un fagotto di tutta l’antroposofia e buttarlo via.
Se vi guardate in giro e vi chiedete: chi si è assunto il compito di offrire a tutti una tribuna? Il potere, perché lui ha il massimo interesse che le opinioni si contrappongano e quindi si neutralizzino. Chi ha il massimo interesse a proporre tesi e antitesi, a dar voce a qualcosa e poi al suo contrario è il potere. Perché cosa resta quando ognuno dice che cosa pensa, tutti pensano qualcosa di diverso, dunque siamo così tolleranti!, che cosa resta? Solo il potere.
Contrapporre semplicemente una parola all’altra, un senso all’altro, senza prendere posizione, alla fine significa: non c’è nessuna verità. Alla base c’è la convinzione che ci sono solo opinioni, ma la verità non esiste. Sarebbe compito della Società antroposofica convincere l’umanità che ci sono soltanto opinioni tutte ugualmente valide?
Io penso che questo modo di agire, questo offrire la stessa tribuna allo spirito e al controspirito, sia la rovina più profonda dell’umanità, proprio perché distrugge la verità affermando che non c’è. Proprio questo porta l’umanità nell’abisso. Questo è il mio pensiero.
Mille grazie, e arrivederci alla prossima volta.
A proposito di Pietro Archiati
Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capriano del Colle (Brescia). Ha studiato teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università statale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).
Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.
Nel 1977, durante un periodo di eremitaggio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito – destinata a diventare la grande passione della sua vita – indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invisibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.
Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafrica durante gli ultimi anni della segregazione razziale.
Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, indipendente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.
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[1]Ap 1,8 – 21,6 – 22,13
[2]J.W. von Goethe, Faust, parte seconda, primo atto, Galleria oscura, v. 6256
[3]R. Steiner, L’iniziazione – Ed. Antroposofica
[4]J.W. von Goethe, Fiaba del serpente verde e della bella Lilia – Ed. Arcobaleno,
[5]R. Steiner, Vortrage und Kurse uber christlich-religioses Wirken, V
[6]Mt 11,12 «Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono».
[7]R. Steiner, Vortrage und Kurse uber christlich-religioses Wirken, Conf. V , pp. 204, 205 (non disponibile in italiano)
[8]P. Archiati, Il Mistero dell’amore – Ed.Archiati
[9] R. Steiner, La filosofia della libertà – Ed. Archiati
[10]Archiati in tedesco ricorre a due parole che hanno la stessa radice: cimitero è Friedhof, mentre pace è Friede [NdT]
[11]R. Steiner, La scienza occulta – Ed. Antroposofica
[12]in tedesco: horchen [NdT]
[13]in tedesco: gehorchen [NdT]
[14]Gv 21,19-22
[15]Mt 16,18
[16]Mt 5,36 “Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello»
[17]P. Archiati, Il Mistero dell’amore – Ed. Archiati
[18]Mt 21,21 e Mc 11,23
[19]Ef 3,4 «Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo. 5 Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito»:
[20]Mt 25,40 e 45
[21]τετελεσται tetèlestai (Gv 19,30)
[22]Ap 20,2-7
[23]R. Steiner, Il Cristianesimo come fatto mistico, – Ed. Antroposofica
v. anche R. Steiner, Le sorgenti della cultura occidentale, 1 e 2 – Ed. Archiati
[24]R. Steiner, La scienza occulta – Ed. Antroposofica
[25]R. Steiner, Teosofia. Introduzione alla conoscenza soprasensibile del mondo e del destino umano – Ed. Antroposofica
[26]R. Steiner, Vortrage und Kurse uber christlich-religioses Wirken
[27]R. Steiner, Considerazioni esoteriche sui nessi karmici, 2 – Ed. Antroposofica
[28]Miterlöst [NdT]
[29]R. Steiner, La scienza occulta – Ed. Antroposofica
[30]R. Steiner, L’Apocalisse – Ed. Antroposofica
[31]R. Steiner, Vortrage und Kurse uber christlich-religioses Wirken
[32]P. Archiati, Il Mistero dell’amore – Ed. Archiati
[33]J.W. Goethe, Faust, parte prima, Studio
[34]R. Steiner, Esseri naturali e spirituali – La loro azione nel nostro mondo visibile – Ed. Antroposofica
[35]R. Steiner, L’azione delle entità spirituali nell’uomo – Ed. Antroposofica
[36]R. Steiner, Il fenomeno Uomo – Da Gesù a Cristo – Ed. Archiati
[37]R. Steiner, Impulsi della scienza dello spirito per lo sviluppo della fisica – Primo corso scientifico – Ed. Antroposofica
R. Steiner, Corso sul calore – Secondo corso scientifico – Ed. Antroposofica
[38]R. Steiner, Il Vangelo di Giovanni – Ed. Antroposofica
[39]R. Steiner, Vortrage und Kurse uber christlich-religioses Wirken, V – pp. 32, 33
[40]R. Steiner, Le manifestazioni del karma – Ed. Antroposofica
[41]Il relatore riporta esempi sulle assonanze tra il termine greco e i termini di lingua tedesca che non sono riconducibili alla lingua italiana
[42]Pubblicata nel libro: P. Archiati, La forza della positività – Ed. Archiati
[43]P. Archiati, Uomo e denaro – L’arte di raccordare ogni giorno talenti e bisogni – Ed. Archiati.
[44]R. Steiner, Wie finde ich den Christus? – Archiati Verlag – conf. tenuta a Zurigo, 16 ottobre 1918
[45]Il relatore usa la parola kränker e domanda se esiste in tedesco. Alla risposta negativa, afferma che Steiner ha sempre considerato il tedesco la lingua più viva, perché è ancora possibile operare creativamente in essa, a differenza per esempio del francese che è molto rigido e codificato. [NdT]
[46]P. Archiati, Equilibrio interiore – Ed Archiati
[47]Si riferisce alle iniziative editoriali antecedenti al 2003.
[48]R. Steiner, Vivere con gli Angeli e gli Spiriti della natura – Ed. Archiati
[49]R. Steiner, Le gerarchie spirituali e il loro riflesso nel mondo fisico – Zodiaco, Pianeti, Cosmo – Ed. Antroposofica
[50]R. Steiner, Digressioni sul Vangelo di Marco – Ed. Antroposofica
[51]R. Steiner, Il Vangelo di Marco – Ed. Antroposofica
[52]R. Steiner, Vorträge und Kurse über christlich-religiöses Wirken (non tradotto in italiano salvo la conferenza del 16 settembre 1924 in L’eterno femminile – Iside, Maria, Beatrice: volti immortali dell’anima umana – Ed. Archiati.
[53]Segue ora un’osservazione basata sulla parola tedesca Mut, coraggio, che subisce due variazioni nelle due direzioni indicate: De-mut, umiltà, e Hoch-mut, superbia. Archiati commenta che secondo la Chiesa la parola che indica la prima direzione, erronea in quanto scivola nel troppo poco, viene invece approvata; mentre al contrario, la parola che va nella seconda direzione, quella del troppo, viene riprovata duramente. Interpreta tutto questo come espressivo della paura nei confronti della libertà. Troppo spesso l’esaltazione dell’umiltà è una scusa per poltrire. Sia l’umiltà che la superbia possono essere unilateralmente erronee, ma c’è anche la possibilità che si esprimano in un modo giusto [NdT].
[54]Seguono considerazioni sui due termini tedeschi [Tugend, virtù e Laster, vizio] e sulle loro etimologie che non hanno l’equivalente in italiano [NdT].
[55]Leopard: Leo cioè Löwe (leone) e Pard cioè Bär (orso). [NdT]
[56]R. Steiner, Metamorfosi della vita dell’anima – Tilopa.
[57]P. Archiati, La tua biografia – Ed. Archiati