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Testo originale tedesco:

Der Weg vom Sinnlichen zum Übersinnlichen

(Archiati Verlag e K., Bad Liebenzell)

Traduzione di Adele Crippa

Revisione di Pietro Archiati

PD

L’editore e il redattore non esercitano diritti

sui testi di Rudolf Steiner qui stampati.

ISBN 978-88-96193-72-3

www.liberaconoscenza.it

Rudolf Steiner

La via
dal sensibile
al sovrasensibile

Il percorso interiore
dell’uomo moderno

Conferenza tenuta a Oxford
il 20 agosto 1922

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Indice

Prefazione di Pietro Archiati

conferenza tenuta a oxford

il 20 agosto del 1922

A proposito di Rudolf Steiner

Glossario

Prefazione

Fra le cose che più mi stupiscono nell’occuparmi della scienza dello spirito di Rudolf Steiner vi è l’instancabilità con la quale sempre di nuovo egli descrive il metodo dell’investigazione spirituale. Si tratta di un cammino di sviluppo interiore, di un maturare di organi di percezione animici e spirituali, per mezzo dei quali si può vedere e capire il mondo sovrasensibile analogamente a come si può vedere e capire il mondo sensibile, quando si disponga di sensi e di intelletto sani.

Una realtà resta la stessa, sia che si tratti dell’indagine nel sensibile, sia che si tratti di quella nel sovrasensibile, ed è il pensare. Il pensare è un creare nello spirituale e il suo corrispettivo può essere soltanto qualcosa di già creato: la percezione; che quest’ultima sia sensibile o sovrasensibile, non fa alcuna differenza.

Steiner chiama immaginazione la percezione nel sovrasensibile. Questa, come ogni altra percezione, ha senso soltanto se il pensare prende posizione al riguardo e tale presa di posizione pensante viene chiamata ispirazione. Poiché è lo spirito che suscita tanto l’elemento immaginativo quanto quello ispirativo, ne consegue che il gradino più alto, sia della conoscenza sensibile che di quella spirituale, è l’intuizione, ossia il riconoscere in esseri spirituali l’origine di ogni realtà.

Tale cammino di sviluppo interiore deve venir percorso da chiunque voglia sperimentare da sé il sovrasensibile. Ma esso non è indispensabile per comprendere o riconoscere quanto viene comunicato da chi quel cammino ha percorso. È sufficiente, per questo, il sano pensare privo di pregiudizi. Accade così anche in qualsiasi scienza: il singolo non deve avere egli stesso tutte le percezioni, non deve ripetere tutti gli esperimenti, allo scopo di poter capire ciò che lo scienziato gli comunica. 

Cosa è dunque più importante: studiare la scienza dello spirito creata da Rudolf Steiner, esercitando in tal modo il proprio pensare, oppure concentrarsi sugli esercizi connessi con lo sviluppo interiore, per poter investigare da sé, direttamente, lo spirito?

Molto si potrebbe dire al riguardo, ma basti qui la seguente riflessione: che un uomo, nel proprio sviluppo interiore, pervenga a un punto tale da acquisire una diretta esperienza del sovrasensibile, appartiene più al suo destino personale, al suo compito individuale in seno all’umanità. Al contrario, l’approfondirsi mediante il pensare in una scienza dello spirito già esistente è qualcosa che, da un lato ha molto poco di personale, dall’altro può contribuire in massima misura a fondare comunità, poiché il pensare è l’organo di comprensione di ciò che è obiettivo, di ciò che è universalmente valido. Inoltre: di che utilità ci può essere il fatto che aumenti il numero di coloro che hanno percezioni nel sovrasensibile e contemporaneamente diminuisca quello di coloro che, per mezzo del pensare, possono comprendere ciò che è stato percepito nella sua obiettività valida per tutti e atta a unire gli uomini?

In un’epoca di crescente atomizzazione sociale, molte persone cercano più che mai – e più che mai ne hanno urgente bisogno – ciò che fonda comunità, ciò che crea unione in virtù della propria obiettività.

Pietro Archiati

La via
dal sensibile
al sovrasensibile

Il percorso interiore

dell’uomo moderno

Conferenza tenuta a Oxford

il 20 agosto 1922

Signore e signori,

voglio accondiscendere al cortese invito a parlare qui questa sera, dando alcune comunicazioni sul modo in cui, mediante investigazione diretta, si pervenga a quella conoscenza spirituale di cui vengono esposte in questa sede le conseguenze in ambito pedagogico.

Faccio notare già da subito che oggi parlerò prevalentemente del metodo con cui, investigando, si penetra in mondi sovrasensibili. Forse, in un’altra occasione, sarà possibile comunicare qualcosa dei risultati sovrasensibili di tale investigazione. Oltre a ciò, devo anche dire in questa introduzione che tutto quanto ho da comunicare oggi si riferisce in senso stretto all’investigazione dei mondi spirituali, sovrasensibili, non alla comprensione delle conoscenze sovrasensibili.

Le conoscenze sovrasensibili, una volta investigate e comunicate, possono venire riconosciute nel loro giusto valore mediante il sano intelletto umano, sempre che tale sano intelletto umano, partendo da quelle che per il mondo esteriore sensibile vengono dette prove, deduzioni logiche e simili, non si privi della propria spassionatezza. Soltanto a causa di tali ostacoli viene molto spesso detto che non si possono comprendere i risultati sovrasensibili della ricerca spirituale laddove non si sia in grado di diventare in prima persona investigatori del mondo sovrasensibile.

Ciò che qui deve venir comunicato è oggetto della cosiddetta conoscenza iniziatica, di quella conoscenza che in epoche antiche dell’evoluzione dell’umanità veniva coltivata in una forma un poco diversa da quella che noi dobbiamo coltivare oggi, nella nostra epoca.

Non si tratta, come già ebbi a sottolineare nelle precedenti conferenze, di far riemergere nuovamente l’antico, ma di intraprendere la via dell’investigazione nei mondi spirituali in modo consono al pensare e del sentire propri del nostro tempo.

E proprio in rapporto alla conoscenza iniziatica è importante, prima di ogni altra cosa, che si sia in grado di effettuare un fondamentale riorientamento dell’intera costituzione animica dell’uomo.

Chi possieda la conoscenza iniziatica non si distingue da chi possiede un’altra conoscenza, intesa nel senso moderno del termine, soltanto perché la prima rappresenta un gradino superiore della seconda. È senz’altro sulla base di quest’ultima che viene raggiunta la conoscenza iniziatica; questa base ci deve essere, il pensare intellettuale deve essere completamente sviluppato, se si vuole giungere alla conoscenza iniziatica.

Poi però è necessario un fondamentale riorientamento, poiché colui che possiede conoscenze acquisite tramite l’iniziazione deve guardare il mondo da una prospettiva completamente diversa da quella da cui lo si guarda senza di essa.

Posso dire, usando una formula semplice, cosa distingua in linea di principio la conoscenza iniziatica dalla conoscenza ordinaria.

In quest’ultima, in quanto soggetto della conoscenza, noi abbiamo coscienza del nostro pensare e in genere delle nostre esperienze animiche interiori, per mezzo delle quali acquisiamo le nostre conoscenze. Per esempio, pensiamo e crediamo di conoscere qualcosa per mezzo dei pensieri. In questo caso, in questo comprendere da uomini pensanti, noi siamo il soggetto.

Mentre osserviamo la natura, mentre osserviamo la vita umana, mentre sperimentiamo, noi cerchiamo gli oggetti. Cerchiamo sempre gli oggetti, essi devono accostarsi a noi. Devono concedersi a noi, così che noi, con i nostri pensieri, li possiamo comprendere, così che possiamo applicare a essi il nostro pensare. Noi siamo il soggetto; ciò che si avvicina a noi sono gli oggetti. 

In colui che aspira alla conoscenza iniziatica subentra un orientamento del tutto diverso. Egli deve constatare che lui stesso in quanto uomo è oggetto e che per questo oggetto uomo deve cercare il soggetto.

Deve quindi accadere l’esatto contrario: nella conoscenza ordinaria ci sentiamo soggetto e cerchiamo gli oggetti che sono esterni a noi; nella conoscenza iniziatica siamo noi stessi l’oggetto e cerchiamo il relativo soggetto. Per l’esattezza, nella vera e propria conoscenza iniziatica i soggetti appaiono dopo, ma soltanto come oggetto di una conoscenza successiva.

Vedete dunque: è proprio come se già per il tramite delle pure e semplici definizioni di concetti dovessimo riconoscere che nella conoscenza iniziatica in verità si debba uscire da noi stessi, che si debba diventare come le piante, le pietre, come il lampo e il tuono, che diventano oggetti per noi.

Nella conoscenza iniziatica sgusciamo per così dire fuori da noi stessi, diventiamo oggetto e cerchiamo i relativi soggetti. Se mi si consente di esprimermi un po’ paradossalmente, riferendomi proprio al pensare potrei dire: nella conoscenza ordinaria noi pensiamo sulle cose; nella conoscenza iniziatica dobbiamo cercare in che modo noi veniamo pensati nel cosmo.

Questi non sono altro che orientamenti astratti, ma si vedrà come, nei fatti concreti del metodo dell’iniziazione, essi vengano perseguiti ovunque.

Anzitutto, se noi oggi vogliamo ricevere comunicazioni che provengano esclusivamente dalla conoscenza iniziatica moderna, la sola oggi valida, ebbene dobbiamo sapere che tale conoscenza inizia dal pensare. La vita di pensiero deve essere completamente sviluppata, se si vuole giungere alla conoscenza iniziatica.

Si può formare con particolare efficacia tale vita di pensiero se ci si approfondisce nello sviluppo scientifico degli ultimi secoli, in special modo del diciannovesimo. Diversi sono gli effetti che la conoscenza scientifica esercita sugli individui.

Gli uni accolgono le conoscenze scientifiche, stando a sentire, direi persino con una certa ingenuità, come gli esseri organici debbano essersi sviluppati dalle forme più semplici, più primitive, fino all’uomo. Si fanno delle idee di tale sviluppo e non rivolgono lo sguardo indietro a se stessi quel tanto che basta per rendersi conto di come loro, adesso, abbiano un’idea, di come, muovendo dall’osservazione dei processi esteriori, sviluppino in se stessi qualcosa e come questo qualcosa sia la vita del pensiero.

Ma colui che non può accogliere le conoscenze scientifiche senza volgere uno sguardo critico a se stesso deve tuttavia chiedersi: «Che cosa vuol dire ciò che io stesso sto facendo mentre seguo un essere dopo l’altro nel suo sviluppo dall’incompletezza alla completezza»?

Oppure deve chiedersi: «Mentre faccio calcoli matematici, mentre sviluppo la matematica, formo pensieri muovendo esclusivamente da me stesso. La matematica è una vera e propria trama, che io traggo da me stesso. Poi applico questa trama alle cose esteriori – e corrisponde»!

Giungiamo qui alla grande e, per il pensatore direi addirittura drammatica, domanda: «Cosa ne è di ciò che io impiego in ogni acquisizione di conoscenza, cosa ne è del pensare stesso»? 

Ebbene, non si può scoprire cosa ne è del pensare, fintanto che ci si limita a riflettere. In tal caso il pensare rimane sempre nello stesso posto; si gira per così dire sempre intorno al medesimo asse che ci si è costruiti. 

Con il pensare si deve compiere qualcosa. Si deve realizzare con esso ciò che nel mio scritto: L’iniziazione: come si consegue la conoscenza dei mondi superiori? ho descritto come meditazione.

Non si deve pensare alla meditazione in modo mistificante, e neppure in modo superficiale. Dev’essere qualcosa di assolutamente chiaro nel senso attuale del termine. Essa è però al tempo stesso qualcosa per cui si richiedono pazienza ed energia animica interiore. E prima di tutto appartiene alla meditazione ciò che nessun uomo può dare a un altro: che ci si riprometta qualcosa e che poi lo si sappia mantenere.

Una volta che l’uomo inizia a fare meditazione, egli compie con ciò l’unica azione davvero completamente libera che si possa compiere in questa vita umana.

C’è sempre in noi il tendere verso la libertà e di questa libertà ne abbiamo anche realizzata una buona parte. Se però riflettiamo, troviamo che per un verso siamo dipendenti da ciò che abbiamo ereditato, per un altro lo siamo dalla nostra educazione, per un terzo dalla nostra vita. E proviamo a chiederci se saremmo capaci di abbandonare all’improvviso ciò di cui ci siamo appropriati attraverso l’ereditarietà, l’educazione e la vita. Se lo facessimo, ci troveremmo davvero di fronte al nulla!

Ma pure se ci prefiggiamo di fare, sera e mattina, una meditazione per imparare a poco a poco a guardare dentro il mondo spirituale, possiamo anche ogni giorno tralasciarla, nulla ce lo impedisce. E l’esperienza insegna che la maggior parte di coloro che si accostano alla vita meditativa con grandi propositi, molto presto l’abbandonano. In ciò siamo completamente liberi.

Il meditare è un’azione assolutamente libera. Se ciononostante riusciamo a rimanere fedeli a noi stessi, se promettiamo a noi stessi – non a un altro, ma per una volta solo a noi stessi – di rimanere fedeli a tale meditare, questo costituisce già di per sé una forza enorme nell’anima.

Ora, dopo aver esposto quanto precede, vorrei richiamare l’attenzione su come viene attuata la meditazione stessa, nelle sue forme più semplici. Oggi posso occuparmi soltanto degli aspetti principali.

Si tratta di porre al centro della nostra coscienza una qualsivoglia rappresentazione o un complesso di rappresentazioni. Non è importante quale sia il contenuto di tale complesso di rappresentazioni. Esso però dev’essere immediato, in modo tale da non essere una reminiscenza scaturita dal ricordo o qualcosa di analogo.

È bene perciò che non lo si tragga dal proprio patrimonio mnemonico, ma che ce lo facciamo dare da qualcun altro che abbia esperienza in cose del genere, non perché egli debba esercitare su di noi una qualsivoglia suggestione, ma per esser sicuri che ciò che meditiamo sia per noi qualcosa di nuovo.

Potremmo, e andrebbe altrettanto bene, prendere un’opera antica, che siamo certi di non avere ancora letto, e scegliere da lì una frase da meditare. Si tratta quindi di non trarre dal subconscio o dall’inconscio una frase che ci impressioni, a cui si frammischino tutti i residui di sensazioni e di sentimenti possibili – e quindi una frase poco trasparente. È importante che essa sia così chiara quanto lo è una proposizione di matematica.

Prendiamo qualcosa di molto semplice, come la frase: «Nella luce vive la saggezza». Non si tratta di dimostrare in primo luogo se ciò sia vero. È semplicemente un’immagine.

Quel che importa non è che noi ci occupiamo in maniera diversa del contenuto in quanto tale, ma che lo abbracciamo con lo sguardo in modo interiore-animico, che riposiamo su di esso con la coscienza. In principio arriveremo a far riposare la coscienza su un simile contenuto soltanto per un tempo molto breve. Poi ci riusciremo per tempi sempre più lunghi.

Di cosa si tratta? Si tratta di raccogliere tutto l’uomo animico, al fine di concentrare su un contenuto tutto ciò che in noi è forza di pensiero, forza di sentimento.

Proprio nello stesso modo in cui i muscoli delle braccia si rafforzano quando li impieghiamo per svolgere un lavoro, altrettanto è delle forze animiche, quando sempre di nuovo vengono focalizzate su un certo contenuto. Tale contenuto dovrebbe rimanere il più a lungo possibile lo stesso, per mesi, magari per anni. Per poter giungere a una vera e propria investigazione spirituale infatti si devono prima rinvigorire e rafforzare le forze animiche. 

Se ci si continua a esercitare nel modo appena descritto, si giunge allora al grande giorno nel quale si fa una ben precisa constatazione: che a poco a poco ci si trova in un’attività dell’anima completamente indipendente dal corpo.

Si nota anche quanto segue: fino a quel momento, con tutto il proprio pensare e percepire si era dipendenti dal corpo: con il rappresentare lo si era dal sistema neurosensoriale, con il sentire lo si era dal sistema circolatorio e così via. Adesso ci si trova in un’attività spirituale-animica del tutto indipendente da ogni attività corporea. Questo lo si nota per il fatto che d’ora in poi si è nella condizione di mettere in vibrazione nel capo stesso qualcosa che prima era rimasto completamente inconscio.

Ora si fa la singolare scoperta di ciò che distingue il sonno dalla veglia. La differenza consiste nel fatto che, quando si è svegli, qualcosa vibra nell’intero organismo umano, a esclusione del capo. Qui è in riposo ciò che altrimenti è in movimento in tutto il resto dell’organismo.

Capiremo meglio ciò di cui qui si tratta, se faccio notare che noi in quanto uomini non abbiamo quei corpi robusti e solidi che solitamente crediamo di avere. Ossia, per il novanta per cento circa siamo costituiti di liquidi e le componenti solide, che sono circa il dieci per cento, sono immerse in questa liquidità, nuotano in essa. Possiamo quindi parlare dell’elemento solido nell’uomo unicamente in modo indistinto. Per il novanta per cento siamo, se così posso dire, acqua. E in quest’acqua pulsa aria per una certa parte e poi a sua volta calore. 

Se ci si rappresenta quindi l’uomo come costituito in minima parte da un corpo solido, in gran parte da acqua, aria e calore che vibra in essa, allora non si riterrà del tutto inverosimile il fatto che in noi ci sia anche qualcosa di ancor più sottile. A questo elemento più fine voglio ora dare il nome di corpo eterico.

Il corpo eterico è più sottile dell’aria. È così fine, che ci compenetra senza che noi, nella vita solita, ne sappiamo nulla. È quello che, durante lo stato di veglia, è in movimento al suo interno, in un movimento regolare in tutto il resto dell’organismo, a eccezione del capo. Nel capo il corpo eterico è interiormente quieto.

Durante il sonno le cose cambiano. Il sonno subentra e poi continua allorché il corpo eterico comincia a essere in movimento anche nel capo. Durante il sonno l’uomo intero, sia nella testa come nel resto della corporeità umana, ha un corpo eterico interiormente mobile.

E se ci accade di sognare, poniamo, al momento del risveglio, ne percepiamo gli ultimi movimenti proprio mentre ci svegliamo. Essi ci si presentano in qualità di sogni. Al momento del risveglio percepiamo ancora gli ultimi movimenti dell’etere del capo. Ne consegue che ciò non accade quando si ha un risveglio rapido.

Chi mediti per un lungo periodo nel modo che ho indicato, a poco a poco si trova nella condizione di formare immagini nel corpo eterico in quiete del capo. Nel libro che ho menzionato le chiamo immaginazioni.

Queste immaginazioni, che vengono sperimentate nel corpo eterico indipendentemente dal corpo fisico, sono la prima impressione sovrasensibile che ci sia dato di avere. Ci mette nella condizione di prescindere del tutto dal nostro corpo fisico e di vedere come in un quadro la nostra vita, nelle sue azioni, nei suoi movimenti, fino al momento della nostra nascita.

Accade sovente che chi si sia trovato in procinto di andare sott’acqua, di affogare, racconti di avere visto la propria vita a ritroso, in immagini. Ebbene, questa esperienza di visione retrospettiva può venire qui sviluppata in modo sistematico, così da poter scorgere in quel quadro tutte le esperienze dell’attuale vita terrena.

La conoscenza iniziatica consente come prima cosa di vedere la propria vita animica. Ma questa adesso appare diversa da come siamo soliti immaginarcela. Abitualmente, nell’astrazione, supponiamo che la vita animica sia intessuta di rappresentazioni.

Quando la si scopre nella sua vera struttura, essa ci appare come qualcosa di creativo: è al contempo ciò che ha agito nella nostra infanzia, che ha plasticamente formato il nostro cervello, che permea il resto del corpo e che in esso dà luogo a un’attività formante, favorendo ogni giorno la nostra crescita, persino la nostra attività digestiva.

In tale elemento interiormente attivo dentro l’organismo riconosciamo il corpo eterico dell’uomo. Non si tratta di un corpo spaziale, ma di un corpo temporale. Nella forma spaziale lo si può descrivere se si sa di far la stessa cosa che si fa quando si dipinge un lampo. Se dipingete un lampo, ovviamente dipingete un istante, lo fissate. Analogamente, l’unico modo per fissare spazialmente il corpo eterico è che esso sia un istante.

In realtà noi abbiamo un corpo fisico spaziale e un corpo temporale, un corpo eterico, che è sempre in movimento. E ha un senso parlare di tale corpo eterico solo se parliamo di quel corpo temporale che abbracciamo con lo sguardo come unità a partire dall’istante in cui ne facciamo la scoperta, sino al momento della nostra nascita. Questa è la prima cosa che possiamo scoprire in noi stessi in quanto a facoltà sovrasensibili.

L’effetto che simili processi animici, quali quelli che ho descritti, producono nello sviluppo dell’anima, si mostra prima di tutto nella totale trasformazione dell’inclinazione animica, della disposizione animica di colui che aspira alla conoscenza iniziatica.

Vi prego di non fraintendermi: non intendo dire che chi sia sulla via per giungere all’iniziazione diventi all’improvviso un altro uomo, che venga completamente sostituito da un altro. Al contrario, la moderna conoscenza iniziatica deve consentire all’individuo di continuare a occupare il suo posto nel mondo, in modo che egli, anche se perviene a tale conoscenza, sia capace di continuare la propria esistenza così come l’ha iniziata.

Ma in quelle ore, in quei momenti in cui ci si applica all’indagine sovrasensibile, proprio in virtù della conoscenza iniziatica, l’uomo è diventato pur tuttavia diverso da come è solitamente nella vita ordinaria.

Vorrei soprattutto evidenziare un momento importante che contraddistingue la conoscenza iniziatica. Ed è il fatto che sempre di più si avverte che, quanto più ci si addentra nell’esperienza del sovrasensibile, tanto più la nostra corporeità si sottrae a noi stessi, ci sfugge rispetto a ciò cui essa prende parte nella vita ordinaria.

Chiediamoci per una volta in che modo nella vita si formino i nostri giudizi. Noi cresciamo, ci sviluppiamo da bambini. Nella nostra vita prendono piede simpatia e antipatia: simpatia e antipatia per i fenomeni di natura, simpatia e antipatia soprattutto in relazione ad altri uomini. Il nostro corpo è partecipe di tutto questo. È in esso che collochiamo quella simpatia e quell’antipatia, i cui fondamenti risiedono in gran parte nei processi fisici del corpo medesimo.

Nel momento in cui l’iniziando ascende al mondo spirituale, si trova a vivere in un mondo nel quale quella simpatia e quell’antipatia che sono connesse con la corporeità quanto al vivere nel sovrasensibile gli diventano sempre più estranee. Egli si è sottratto a ciò con cui è connesso tramite la propria corporeità. Se vuole di nuovo assumere la vita abituale, deve per così dire “riconficcarsi” nelle sue abituali simpatie e antipatie, cosa che avviene altrimenti in modo naturale.

Quando al mattino ci si risveglia, ci si trova dentro il proprio corpo, si sviluppa il medesimo amore nei confronti delle cose e degli uomini, la medesima simpatia e antipatia che si avevano prima. Ciò avviene da sé. Se ora ci si trattiene coscientemente nel sovrasensibile e si vuole ritornare alle proprie simpatie e antipatie, ciò costa uno sforzo, ci si deve per così dire immergere nella propria corporeità.

Questo venir estratti dalla propria corporeità è uno dei fenomeni che mostrano che si è davvero fatto qualche progresso. In genere, la comparsa di simpatie e antipatie di più ampia portata è qualcosa che a poco a poco l’iniziato fa suo.

Lo sviluppo che porta all’iniziazione si mostra con grande intensità in una cosa in particolare, ossia nell’azione della memoria, del ricordo, durante la conoscenza iniziatica.

Nella vita ordinaria sperimentiamo noi stessi. A volte abbiamo una buona memoria, per altre cose invece una cattiva, ma nell’insieme conserviamo un ricordo delle cose. Facciamo delle esperienze e più tardi ce ne ricordiamo.

Non è così per quanto riguarda le nostre esperienze nei mondi sovrasensibili. Possiamo avvertirne la grandezza, la bellezza, l’importanza, ma appena fatta l’esperienza tutto svanisce! E affinché ciò che si è sperimentato possa ripresentarsi all’anima, dev’essere sperimentato di nuovo. Quel che viene vissuto non diventa ricordo nel senso comune della memoria. Vi si imprime soltanto quando, con gran fatica, ciò che nel sovrasensibile è oggetto del nostro vedere viene trasposto in concetti, quando si porta con sé nel mondo sovrasensibile anche il proprio intelletto.

Questo è molto difficile. Significa che nell’altro mondo bisogna saper pensare né più né meno come in questo, anche senza l’aiuto del corpo. Bisogna quindi aver prima consolidato i propri concetti, già prima si deve essere diventati un vero logico, per non perdere questa logica ogniqualvolta ci si immerga nella visione del mondo spirituale.

Capita proprio ai chiaroveggenti in un certo senso primitivi di vedere alcune cose; essi però, quando sono di là, dimenticano la logica!

E quando poi si hanno da comunicare verità sovrasensibili a qualcun altro, proprio allora si nota tale mutamento della memoria in rapporto a quelle stesse verità. Da ciò si vede come il nostro corpo fisico prenda parte a ogni esercizio di memoria, non al pensare, ma all’esercizio di memoria, che si svolge sempre in direzione del sovrasensibile.

Se mi è concesso, dirò qualcosa di personale, e precisamente questo: quando tengo conferenze, lo faccio in modo diverso da come si è soliti fare quando si tengono conferenze. Di solito si parla partendo dalla memoria. Ciò che si è imparato, che si è pensato, viene sovente tratto dalla memoria.

Colui che veramente sviluppa verità spirituali deve generarle ogni volta nel momento stesso in cui le sviluppa. Sicché, quantunque io possa tenere trenta, quaranta, cinquanta volte la medesima conferenza, essa per me non è mai la stessa. Naturalmente questo avviene sempre, ma quando si è raggiunto un nuovo gradino della memoria ciò acquista un’intensità molto più elevata:  l’essere indipendenti dalla memoria, il riversare in una vita interiore.

Quel che ho raccontato poc’anzi in merito alla facoltà di introdurre nel corpo eterico del proprio capo quelle forme che poi rendono possibile a un individuo di conoscere il corpo del tempo, il corpo delle forze eteriche, risalendo fino al momento della propria nascita, conduce già a una disposizione del tutto particolare nei confronti del cosmo.

Si perde per così dire la propria corporeità, ma ci si sente viventi dentro il cosmo. La coscienza in certo qual modo si dilata nella vastità dell’etere.

Non si guarda più alcuna pianta, senza immergersi nella sua crescita. La si segue dalle radici fino alla fioritura. Si vive nei suoi succhi, nel suo fiorire, nei suoi frutti. Ci si può approfondire nella vita degli animali, secondo la loro forma, ma in particolar modo ci si può immergere nella vita degli altri uomini. Il più lieve movimento che possiamo cogliere in un altro uomo, e che da questi ci muove incontro, conduce per così dire nel complesso della vita dell’anima, per cui si sente che ora non si è più in sé, ma che, durante il conoscere sovrasensibile, si è “fuori di sé”.

Si deve però, e questo è necessario, poter sempre di nuovo ritornare, altrimenti non si è che mistici pigri, nebulosi, non si è che sognatori e non dei conoscitori dei mondi sovrasensibili. Si deve poter vivere nei mondi sovrasensibili e al tempo stesso si deve poter di nuovo ritornare allo stato precedente, in modo da poter stare ben saldi sulle proprie gambe.

Perciò, nell’esporre un tal genere di cose concernenti i mondi sovrasensibili, devo ben sottolineare che, per quanto mi riguarda, ciò che fa un buon filosofo, ancor più della logica, è il sapere come si cuce una scarpa o una gonna, è lo stare realmente nella vita in modo pratico.

In verità si dovrebbe tralasciare di pensare sulla vita, se non si sta realmente in essa in modo pratico. E questo vale in misura ancor più elevata per colui che cerca conoscenze sovrasensibili.

Quali conoscitori dei mondi sovrasensibili non si può diventare dei sognatori, degli esaltati, degli individui che non si reggono bene su tutt’e due le gambe. Altrimenti ci si perde, poiché si deve effettivamente uscire da se stessi. Ma questo uscire da se stessi non deve avere come conseguenza che ci si perda. Il libro La scienza occulta è stato scritto prendendo le mosse da una conoscenza quale io l’ho descritta. 

A questo punto però si tratta di riuscire a penetrare oltre nella conoscenza sovrasensibile. Vi si riuscirà, continuando a sviluppare la meditazione.

In un primo momento si riposa su determinate rappresentazioni o complessi di rappresentazioni, rafforzando in tal modo la vita dell’anima. Ma per entrare pienamente nel mondo sovrasensibile occorre dell’altro. Occorre che ci si eserciti, non solo a riposare su determinate rappresentazioni, non solo a concentrarvi tutta l’anima, ma anche a poterle sempre buttare fuori dalla coscienza ogniqualvolta lo si voglia.

Così come nella vita dei sensi si può fermare il proprio sguardo su qualcosa e di nuovo lo si può distogliere, allo stesso modo, nel corso dello sviluppo sovrasensibile, si deve imparare a concentrarsi sul contenuto dell’anima in modo molto acuto e a poterlo nuovamente espellere.

È qualcosa di non facile già nella vita ordinaria. Pensiamo a quanto poco sia nel potere di chiunque di scacciare sempre di nuovo i propri pensieri. Talvolta i pensieri, in particolar modo quelli spiacevoli, perseguitano una persona per giorni. Essa non li può scacciare. Ma la cosa diventa ancora più difficile dopo che ci si è abituati a concentrarsi sul pensiero.

Un contenuto di pensiero sul quale ci siamo concentrati, alla fine comincia ad accattivarci, e noi dobbiamo fare ogni sforzo per poterlo rimuovere. Se ci siamo esercitati a lungo in questo, allora arriviamo fino al punto di rimuovere dalla nostra coscienza anche tutta la retrospettiva che va fino alla nascita, l’intero corpo eterico, come io lo chiamo, ossia il corpo del tempo.

Naturalmente si tratta di un gradino di sviluppo che dobbiamo conquistarci. Dobbiamo prima avere raggiunto il grado di maturità adeguato. La rimozione di quelle rappresentazioni che sono state il contenuto della nostra meditazione ci consente di appropriarci della forza di rimuovere anche quel colosso animico, quel gigante animico. Davanti a noi sta quello squalo terribile che è la nostra vita fino a quel momento, ossia la vita che sta tra il presente e la nascita, e lo dobbiamo far sparire.

Una volta rimosso, subentra qualcosa che vorrei chiamare coscienza desta. Siamo semplicemente desti, senza che nella nostra coscienza desta vi sia qualcosa. Ma ora essa si riempie. 

Proprio nello stesso modo in cui nei polmoni fluisce l’aria di cui si ha bisogno, ora nella coscienza vuota, che è sorta nella maniera appena descritta, fluisce il vero e proprio mondo spirituale. Questa è l’ispirazione.

Ciò che ora fluisce nella coscienza non è una materia più sottile, ma qualcosa che sta alla materia come il negativo al positivo. È l’opposto della materia quel che adesso fluisce nell’entità umana liberatasi dell’etere.

La cosa importante è che notiamo: lo spirito non è una materia semplicemente più sottile, più eterea; così non è. Se diciamo che la materia è il positivo – potremmo anche dire che è il negativo, non è questo che conta, le cose sono relative – allora in rapporto al positivo dobbiamo dire che lo spirito è il negativo.

È come se avessi nel portamonete l’enorme patrimonio di cinque scellini. Ne spendo uno e ne ho ancora quattro. Ne spendo un altro e ne ho ancora tre e così via, finché non ne ho più. Dopo di che posso fare debiti. Se il mio debito è di uno scellino, ho meno di quanto avrei, se non possedessi alcuno scellino.

Se per mezzo del metodo che ho descritto ho rimosso il corpo eterico, non mi vengo a trovare in un etere ancora più sottile, ma in qualcosa che è contrapposto all’etere come i debiti lo sono al patrimonio. E ora so per esperienza che cosa è lo spirito.

Lo spirito entra in noi per mezzo dell’ispirazione e la prima cosa che noi sperimentiamo è ciò che ne era della nostra anima e del nostro spirito prima della nascita, cioè prima del concepimento, in un mondo spirituale. Si tratta della preesistente vita del nostro elemento animico-spirituale.

Prima lo abbiamo guardato nell’etere, fino al momento della nostra nascita. Ora guardiamo oltre la nascita, oltre il concepimento, dentro il mondo spirituale-animico e arriviamo a percepirci come eravamo prima che discendessimo da mondi spirituali e assumessimo, attraverso la linea ereditaria, un corpo fisico.

Per la conoscenza iniziatica queste non sono verità filosofiche escogitate, sono esperienze, ma esperienze che devono venire acquisite preparandosi prima a esse nel modo che ho appena indicato.

La prima cosa che ci si palesa quando entriamo nel mondo spirituale è quindi la verità della preesistenza dell’anima dell’uomo, e dello spirito dell’uomo, e ora impariamo a osservare direttamente ciò che è eterno.

Nel corso di molti secoli l’umanità europea ha sempre considerato l’eternità soltanto da un lato, dal lato dell’immortalità. Ha sempre chiesto: «Cosa ne è dell’anima, quando al sopravvenire della morte abbandona il corpo»?

Perché tale è appunto il diritto egoistico degli uomini. È infatti per motivi egoistici che essi si interessano di ciò che accade una volta sopravvenuta la morte. Vedremo fra breve in che modo sia possibile anche a noi parlare dell’immortalità. Ma il più delle volte se ne parla muovendo da motivi egoistici. 

Gli uomini si interessano molto meno a quanto c’è stato prima della nascita. Si dicono: «Siamo pur qua! Ciò che è accaduto prima ha valore soltanto per la conoscenza». Ma non si perviene a un vero valore conoscitivo, se non si indirizzano le proprie conoscenze a ciò che la nostra esistenza contiene prima della nascita, o prima della concezione.

Ci occorre trovare nelle lingue moderne una parola per mezzo della quale rendere completo ciò che è eterno. Non dobbiamo parlare soltanto di immortalità, ma dobbiamo anche parlare – e questo sarà difficile tradurlo – di “innatalità”. L’eternità infatti consiste di immortalità e di innatalità e la conoscenza iniziatica scopre l’innatalità prima dell’immortalità. 

Un ulteriore gradino dello sviluppo verso il mondo sovrasensibile può venir raggiunto nel cercare di sciogliersi ancor più dal sostegno corporeo. Questo può accadere, se adesso spostiamo gli esercizi della meditazione e della concentrazione, nella direzione di esercizi della volontà.

Ora, quale esempio concreto, vorrei porvi davanti all’anima un facile esercizio della volontà, in base al quale possiate studiare il principio che qui viene preso in considerazione.

Nella vita ordinaria siamo abituati a pensare in sincronia con l’andamento del mondo. Lasciamo che le cose si avvicinino a noi, così come decorrono. Pensiamo prima le cose che ci si sono accostate per prime e pensiamo dopo quelle che sono venute dopo. E persino quando, in un pensare più logico, il pensare non coincide con il decorso temporale, sullo sfondo c’è lo sforzo d’attenerci al reale corso esteriore dei fatti.

Per esercitarci nel rapporto di forze spirituale-animico dobbiamo svincolarci dal corso esteriore delle cose. E qui un buon esercizio, che è al contempo un esercizio di volontà, è quello di cercare di ripensare le nostre esperienze quotidiane, quali le viviamo dal mattino alla sera, appunto non ripercorrendole dal mattino alla sera, ma dalla sera al mattino – a ritroso – e di entrare il più possibile nei dettagli.

Supponiamo che durante una simile retrospettiva giungiamo al momento in cui nella giornata appena trascorsa siamo saliti su una scala. Ci rappresentiamo noi stessi dapprima in cima, poi sull’ultimo gradino, sul penultimo e così via. Scendiamo dalla scala, ma procedendo “all’indietro”!

All’inizio ci troveremo nella condizione di rappresentarci in senso inverso, nel modo indicato, solo singoli episodi della vita quotidiana, supponiamo dalle sei alle tre, dalle dodici alle nove e così via, fino al momento del risveglio. Ma a poco a poco ci approprieremo di una sorta di tecnica per mezzo della quale di fatto saremo in grado, alla sera o al mattino successivo, di far scorrere in immagini davanti alla nostra anima il vissuto della giornata appena trascorsa o di quella precedente, come in un tableau rovesciato.

Se siamo in grado – e questo è l’importante – di svincolarci, con il nostro pensare, dal mondo tridimensionale in cui scorre la realtà, allora vedremo verificarsi un rafforzamento incredibile della nostra volontà.

Lo potremo ottenere anche se saremo in grado di percepire una melodia in direzione inversa, o se ci rappresentiamo un dramma di cinque atti che scorre a ritroso dal quinto, al quarto atto e così via fino al primo.

Mediante tutti questi mezzi rafforziamo la volontà: interiormente, rinvigorendola, ed esteriormente, strappandola al suo essere unita in modo sensoriale agli eventi. 

A questi esercizi se ne possono aggiungere altri come quelli che già menzionai in conferenze precedenti e che derivano dall’osservare come noi si abbia l’una o l’altra abitudine. Ci prefiggiamo allora di assumere, entro alcuni anni e in analoga direzione, una nuova abitudine, e ci applichiamo ad essa con una volontà ferrea.

A titolo di esempio dirò soltanto che nella scrittura di ogni persona c’è qualcosa che siamo soliti chiamare il carattere della persona stessa. Se ci applichiamo per ottenere un’altra grafia, nient’affatto simile alla precedente, dobbiamo sviluppare un’intensa forza interiore. Bisogna però che la seconda scrittura ci diventi altrettanto abituale, altrettanto scorrevole quanto la prima. Questa non è che una piccolezza. Ma di molto altro ci possiamo servire per riuscire a modificare, tramite la nostra energia individuale, tutto l’orientamento di base della nostra volontà.

In tal modo arriviamo, a poco a poco, ad accogliere in noi il mondo spirituale non solo come ispirazione, ma a immergerci realmente, con il nostro spirito liberatosi dal corpo, negli altri esseri spirituali che sono fuori di noi.

Una vera e propria conoscenza spirituale consiste infatti nell’immergersi nelle entità che sono spiritualmente intorno a noi mentre osserviamo le cose fisiche. Se vogliamo riconoscere lo spirituale, dobbiamo anzitutto uscire da noi stessi – e questo l’ho descritto – poi però dobbiamo diventar capaci di immergerci a nostra volta nelle cose, vale a dire nelle cose e nelle entità spirituali.

Ci riusciremo soltanto dopo che avremo praticato anche quegli esercizi che ho descritto or ora, a seguito dei quali non veniamo più disturbati dal nostro corpo, ma possiamo immergerci nello spirituale delle cose. Tale immergersi nelle cose fa sì che non ci appaiano nemmeno più i colori delle piante, ma che ci immergiamo in quegli stessi colori, così che non vediamo più le piante già colorate, ma le vediamo nel colorarsi.

Se sappiamo che la cicoria che cresce sul sentiero non è solo blu quando la guardiamo, ma che possiamo anche immergerci interiormente nel suo fiorire e seguirne il divenire blu, noi viviamo intuitivamente dentro questo processo. Possiamo allora, muovendo da ciò, ampliare in misura sempre maggiore la nostra conoscenza spirituale. 

Da alcuni sintomi possiamo vedere che, grazie a simili esercizi, siamo davvero progrediti. Ne vorrei citare due, ma ce ne sono molti.

Il primo sintomo sta nell’avere acquisito sul mondo morale concezioni del tutto diverse da quelle che avevamo in precedenza.

Per l’intellettualismo il mondo morale ha qualcosa di irreale. Certo, chiunque nell’epoca materialistica si sia mantenuto onesto, sente come proprio dovere quello di compiere ciò che, per tradizione, è il bene. Tuttavia, pur non ammettendolo a se stesso, egli pensa: compiendo il bene non si è verificato un evento simile a quello che si verifica quando un lampo guizza nello spazio, o quando rimbomba un tuono. Non pensa al fare il bene come a qualcosa di reale in questo senso.

Quando però si entra nel mondo spirituale ci si accorge che l’ordine morale del mondo non è reale soltanto nel senso della realtà fisica, ma possiede una realtà ancora superiore. A poco a poco si impara a capire che, mentre il mondo intero, con i suoi ingredienti e con i suoi processi fisici, può andare in rovina, può dissolversi, ciò che sgorga da noi come moralità continua a esistere nei suoi effetti.

La realtà del mondo morale ci si schiude. Mondo fisico e mondo morale, essere e divenire, diventano una cosa sola. Sperimentiamo in modo reale, come anche le leggi morali del mondo siano leggi obiettive.

Questo aumenta la nostra responsabilità nei confronti del mondo. Fa sorgere in noi una coscienza del tutto diversa, una coscienza di cui l’umanità moderna ha un gran bisogno. Questa umanità moderna, che guarda indietro all’inizio della Terra e vede come la Terra si sia formata da una nebbia primordiale, come da tale nebbia sia sorta la vita, come sia sorto l’uomo e da esso, come una specie di fata Morgana, il mondo delle idee; questa umanità, che guarda alla morte per combustione, sì che tutto ciò di cui essa vive affonderà di nuovo in una grande necropoli, ha bisogno della conoscenza dell’ordine morale del mondo. Essa verrà pienamente raggiunta per mezzo della conoscenza spirituale. A ciò posso qui soltanto accennare. 

L’altro sintomo è che non si può pervenire a tale conoscere intuitivo, a tale immergersi nelle cose esterne, senza che si sia passati attraverso un soffrire intensificato. Un soffrire accresciuto rispetto a quel dolore che già poc’anzi, in relazione alla conoscenza immaginativa, ho dovuto caratterizzare, dicendo che si fa fatica a riprendere le proprie simpatie e antipatie, cosa che fa soffrire ogni volta che avviene.

Ora il dolore diventa un partecipare a tutta la sofferenza che c’è nell’esistenza cosmica.

Ci si potrebbe facilmente chiedere perché gli dei o Dio creino la sofferenza. Essa ci deve essere, se si vuole che il mondo si elevi in tutta la sua bellezza! Che noi si abbia occhi – voglio esprimermi in modo semplice – poggia sul fatto che dapprima è stato scavato, da un organismo ancora indifferenziato, ciò che di organico, ha fatto sorgere la facoltà visiva e poi, metamorfosandola, l’occhio.

Se ancora oggi percepissimo tutti i più piccoli processi, del tutto irrilevanti, che avvengono nella nostra retina all’atto del vedere, allora percepiremmo che persino questo è un dolore che ha il proprio fondamento nel divenire cosmico.

Ogni bellezza poggia su un fondamento di sofferenza. La bellezza può svilupparsi soltanto dal dolore. Si deve poter sentire questo dolore, si deve poter vivere questa sofferenza. Solo passando attraverso sofferenze si può realmente entrare nel mondo sovrasensibile.

Questo lo si può già dire a un gradino inferiore della conoscenza, sebbene allora avvenga con un’intensità minore. Chiunque si sia conquistata un po’ di conoscenza, vi potrà fare una confessione, vi dirà: «Per tutto ciò che nella vita mi ha dato felicità, gioia, sono riconoscente al mio destino. Ma le mie conoscenze le ho acquisite unicamente grazie ai miei dolori, soltanto attraverso le mie sofferenze».

Se questo si sente già all’inizio, in relazione a un gradino inferiore della conoscenza, lo si può sperimentare anche quando si supera se stessi, quando attraverso il dolore, che viene sentito come dolore cosmico, ci si spinge fino a un nuovo modo di vivere dentro il cosmo spirituale.

Si deve giungere a diventare partecipi del divenire e dell’essere di tutte le cose: allora nasce la conoscenza intuitiva. Ma allora si è dentro un conoscere che è esperienza vissuta non più legata al corpo, che al corpo può liberamente ritornare, per essere di nuovo nel mondo dei sensi fino alla morte; è uno sperimentare che ora sa bene cosa significhi: essere reale, essere reale in modo spirituale-animico, fuori del corpo.

Se si è compreso questo, allora si ha un’immagine conoscitiva di ciò che accade quando, al momento della morte vera e propria, si abbandona il corpo fisico; allora si sa cosa significhi varcare la porta della morte.

Quella realtà che a un essere umano si presenta in virtù del fatto che egli ha lasciato dietro di sé il proprio corpo, e che è costituita dall’ingresso dell’elemento spirituale-animico in un mondo spirituale animico, viene sperimentata anticipatamente se, durante il cammino di conoscenza, si è saliti fino alla conoscenza intuitiva, vale a dire se si viene a sapere come si sta nel mondo quando non si ha il corpo che funge da supporto.

Con questa conoscenza, una volta tradotta in concetto, si torna poi di nuovo nel corpo. Ma l’essenziale è che si impari a vivere senza il corpo e che si acquisisca anche una conoscenza di come stanno le cose quando non si può più usare il corpo, quando lo si depone al momento della morte e si entra in un mondo spirituale-animico.

Anche qui non è una speculazione filosofica riguardo all’immortalità, ma un’esperienza che è quella che dà la conoscenza iniziatica, vorrei dire, una “pre-esperienza”. Si viene a sapere come sarà dopo. Non si sperimenta la piena realtà, ma si sperimenta un’immagine reale, che in certo qual modo coincide con la piena realtà del morire. Si sperimenta l’immortalità. Anche sotto questo aspetto si tratta di un’esperienza che viene portata dentro la conoscenza.

Ho cercato di descrivere come si salga, passando per l’immaginazione, all’ispirazione e all’intuizione e come, in tal modo, si conosca prima di tutto se stessi come esseri umani nella propria completa realtà.

Nel corpo ci si impara a conoscere fintanto che si è, appunto, nel corpo. Per quanto riguarda l’animico-spirituale si deve diventare liberi dal corpo, allora soltanto si conosce l’essere umano completo.

Ciò che infatti si conosce per mezzo del corpo, per mezzo dei propri sensi, per mezzo di ciò che si collega, quale pensare, alle esperienze sensorie – e che, per quanto riguarda il pensare abituale, è legato al corpo, ossia al sistema neuro-sensoriale – è solo una componente dell’uomo. Si conosce l’essere umano intero, completo, soltanto se si ha la volontà di salire fino a quelle conoscenze che provengono appunto dalla scienza dell’iniziazione.

Vorrei ancora una volta sottolineare che una volta che le cose sono state investigate, chiunque vi si accosti con mente spregiudicata può trovarle sensate per mezzo del comune, sano intelletto umano, così come si può verificare ciò che gli astronomi, i biologi dicono sul mondo. Ci si renderà allora conto di come tale verificare sia il primo gradino della conoscenza iniziatica.

Poiché l’essere umano non è stato predisposto per la falsità e l’errore, ma per la verità, si deve avere della conoscenza iniziatica innanzitutto un’impressione di verità, l’impressione di qualcosa di vero. Dopo di che si potrà, già in questa vita terrena e per quanto il destino lo consenta, penetrare sempre più nel mondo spirituale.

Anche nell’epoca moderna, e in una maniera più elevata, si deve adempiere ciò che stava come esortazione all’ingresso del tempio greco: «Uomo, conosci te stesso!».

Con ciò non si intendeva certo un penetrare nell’interno dell’essere umano; si trattava piuttosto di un’esortazione a investigare l’entità umana: a investigare l’essere dell’immortalità (il corpo), l’essere dell’innatalità (lo spirito immortale), nonché la mediazione tra la Terra, l’elemento temporale e lo spirito (l’animico).

L’essere umano vero, reale consiste infatti di corpo, anima e spirito. Il corpo può conoscere il corpo, l’anima può conoscere l’anima, lo spirito soltanto può conoscere lo spirito. Perciò si deve cercare di riconoscere lo spirito attivo in se stessi, affinché esso possa venire riconosciuto anche nel mondo.

A proposito di Rudolf Steiner

Rudolf Steiner (1861-1925) ha integrato le moderne scienze naturali con una indagine scientifica del mondo spirituale. La sua antroposofia rappresenta, nella cultura odierna, una sfida unica al superamento del materialismo.

La scienza dello spirito di Steiner non è solo teoria. La sua fecondità si palesa nella capacità di rinnovare i vari ambiti della vita: l’educazione, la medicina, l’arte, la religione, l’agricoltura, fino a prospettare l’idea di una triarticolazione dell’intero organismo sociale che riserva all’ambito della cultura, a quello della politica e a quello dell’economia una reciproca indipendenza.

Fino a oggi Rudolf Steiner è stato ignorato dalla cultura dominante. Questo forse perché molti uomini indietreggiano impauriti di fronte alla scelta che ogni uomo deve fare tra potere e solidarietà, fra denaro e spirito. In questa scelta si manifesta quell’interiore esperienza della libertà che è stata resa possibile a tutti gli uomini a partire da duemila anni fa, e che porta a un crescente discernimento degli spiriti nell’umanità.

La scienza dello spirito di Rudolf Steiner non può essere né un movimento di massa né un fenomeno elitario: da un lato, infatti, solo il singolo individuo, nella sua libertà, può decidere di farla sua; dall’altro questo singolo individuo può mantenere le sue radici in tutti gli strati della società, in tutti i popoli e in tutte le religioni egli sia nato e cresciuto.

Foto di Steiner

Glossario

L’anima umana può venir compresa soltanto se la si considera in relazione con lo spirito pensante da un lato e con il corpo fisico dall’altro. È il vero mondo interiore soggettivo dell’uomo. La possiamo distinguere in tre parti:

Anima senziente: la fonte dell’attività interiore che risponde alle impressioni del mondo esterno con le sensazioni e ne conserva la memoria. È il mondo interiore delle sensazioni, dei sentimenti (piacere, dispiacere ecc.), delle emozioni, degli impulsi, degli istinti, delle passioni. Per tale elemento l’uomo è affine all’animale.

Anima razionale: la fonte dell’attività interiore che pone il pensare al proprio servizio, per cui non si seguono alla cieca nemmeno i propri impulsi. L’anima compenetrata dalla forza pensante.

Anima cosciente: il nocciolo della coscienza umana intellettiva, l’anima nell’anima, l’elemento interiore in cui vive la verità e il bene in sé anche quando tutti i sentimenti personali si sollevano loro contro. Ciò che di eterno risplende nell’anima: quanto più l’anima si riempie di ciò che è vero e buono, tanto più cresce e si estende l’eterno in lei.[1]

[1]Per un maggiore e migliore approfondimento delle parti costitutive dell’essere umano, V. R. Steiner, Teosofia, cap. «La natura dell’uomo»; La scienza occulta – Ed. Antroposofica

La via dal sensibile_cop.pdf