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Gustave Dorè – L'ingresso di Gesù a Gerusalemme

Gustave Dorè – “L’ingresso di Gesù a Gerusalemme”

Trascrizione integrale, parzialmente riordinata,
non rivista dal Relatore

Cari amici

nel commentare il Vangelo secondo Giovanni, Pietro Archiati offre un’interpretazione alternativa a quella data dall’esegesi tradizionale, proponendo una lettura che riaccende, risveglia, l’oramai sopito -perché non dirlo?- interesse per i Testi Sacri tramandati dalla cultura Cristiana. Li riporta a nuova vita, ne fa sentire la vibrante attualità, senza mai limitarne o dogmatizzarne i contenuti.

Finalmente un testo fondamentale come il Vangelo secondo Giovanni si amplia, si universalizza, si apre per illuminare le menti e scaldare i cuori di chi vuole analizzarne le parole, farne oggetto di studio, di meditazione e di pratica nel vissuto quotidiano.

Similmente ai precedenti fascicoli, si è cercato di riportare, il più possibile inalterate, le parole del relatore come anche i vari interventi, talora positivamente provocatori, da parte dei convenuti, i quali hanno attivamente contribuito a dar vita ad un dibattito dinamico e chiarificatore.

Una trasposizione scritta, seppure scrupolosamente rispettosa e attendibile, non può essere minimamente paragonabile alla partecipazione diretta ai seminari: vi manca quella componente di vitalità, immediatezza ed efficacia che solo l’interazione tra individui intimamente coinvolti può generare.

Tuttavia, questo lavoro potrà senz’altro essere d’aiuto a coloro che, variamente motivati, hanno dovuto rinunciare ad assistervi in prima persona ed a coloro che si accostano per la prima volta a scandagliare le infinite vie di accesso al mondo spirituale, e quindi umano, che il Vangelo secondo Giovanni tiene in serbo.

L’auspicio è che i lettori vi si tuffino numerosi e ne emergano rigenerati.

Hanno collaborato:

Giorgio Bonicatto, Mariarosa del Forno, Giovanni Guglielmotto, Carlo Marinelli, Maria Nieddu, Letizia Omodeo, Maria Pierino.

Buona lettura!

“…A questo seminario è benvenuto chiunque sia interessato al testo evangelico che per duemila anni ha profondamente segnato l’umanità occidentale.

La spiegazione che io cerco di dare frase per frase, parola per parola, non presuppone una conoscenza o una preparazione particolare. Importante però è l’atteggiamento di apertura interiore, perché le mie riflessioni attingono non solo alla teologia e all’esegesi tradizionali – che studiai a suo tempo – ma più ancora dalla moderna scienza dello spirito che Rudolf Steiner ha inaugurato e che vede nei Vangeli dei tesori spirituali che sono ancora tutti da scoprire.

Intendo commentare il testo parola per parola... La natura del Vangelo di Giovanni richiede una lettura che sia pienamente esoterica ed essoterica ad un tempo... Questo testo è forse il più bello e profondo che sia mai stato affidato all’umanità: è inesauribile nei suoi contenuti e sorprende per la sua attualità. E’ in grado di farci guarire dai tanti mali del nostro tempo, offrendoci gli strumenti più efficaci per una rigenerazione vera del singolo e del sociale.”

Pietro Archiati (*)

(*) Dalla presentazione del IX incontro sul vangelo di Giovanni

Indice

Venerdì 20/02/2002. Sera vv. 11,54 – 12,2

Sabato 21/02/2004. Mattina vv. 12,15 – 12,24

Sabato 21/02/2004. Pomeriggio vv. 12,27 – 12,31

Sabato 21/02/2004. Sera vv. 12,18 – 12,46

Domenica 22/02/2004. Mattina vv. 12,47 – 12,49

Domenica 22/02/2004. Pomeriggio vv. 13,1 – 13,2

Domenica 22/02/2004. Sera vv. 13,11 – 13,17

Lunedì 23/02/2004. Mattina vv. 13,18 – 13,19

Lunedì 23/02/2004. Pomeriggio vv. 13,21 – 13,27

Lunedì 23/02/2004. Sera vv. 13,27 – 13,32

Martedì 24/02/2004. Mattina vv. 13,33 – 13,38

Appendice – I Dodici punti di vi(s)ta

Venerdì 20/02/2002. Sera
vv. 11,54 – 12,2

Riprendiamo dal capitolo 11,54 in cui viene detto che il Cristo da quel momento in avanti non sarebbe più comparso in pubblico. Ciò che ci attrae sicuramente -in modo più o meno conscio-, quando ci poniamo di fronte a questo testo, è il fatto che duemila anni fa ci sia stata la venuta del Cristo sulla Terra.

Adesso dico una cosa grossa, scontata se volete: provate a prendere quest’affermazione come se non foste cristiani, cioè senza presupporre il cristianesimo. L’affermazione fondamentale del cristianesimo è che duemila anni fa sia successa la grande svolta nell’evoluzione, nel senso che il ‘Fenomeno Umano’ si è manifestato in forma pura, perfetta. Come fare a sapere se è vero? Lo dice il cristianesimo ma, in qualche modo, bisogna avere la possibilità di assimilarlo alla propria esperienza. Se non viene recepito nel vissuto resta un dogma.

I cristiani credono che duemila anni fa, con la comparsa del Cristo sulla Terra, sia successo un putiferio. E i musulmani? I taoisti? I buddisti? Facciamo un passo indietro, lasciamo da parte il cristianesimo con questa sua affermazione storica e prendiamo la nostra esistenza, che abbiamo tutti a nostra disposizione, d’accordo? La nostra esperienza, la vita umana che tutti viviamo, l’abbiamo squadernata davanti dall’inizio alla fine, infatti la percepiamo nelle sue varie fasi, a partire dal bambino appena nato, all’adolescente, all’adulto, all’anziano. Guardando gli altri possiamo fare l’esperienza di come si è a 60 /70 /80 anni, pur non avendo quell’età. La vita umana ci scorre interamente davanti a livello percettivo.

Sorge una prima domanda: la vita umana si evolve in modo perfettamente lineare?

Traccio sulla lavagna un linea retta orizzontale: è così la vita?

Dal pubblico. No.

Archiati. No. La vita, l’esistenza, prese nella loro dimensione particolare aprono alla comprensione dell’evoluzione nella sua globalità, perché l’evoluzione macrocosmica non può essere in contraddizione con l’esistenza microcosmica, l’esistenza in piccolo è un frammento dell’evoluzione in grande. L’esistenza umana comporta il giungere ad una svolta, quindi questo simbolo, questa linea retta non può corrispondere all’evoluzione umana perché nella reale evoluzione umana, ad un certo punto, si verifica un’inversione di marcia. Il fattore vitale ad esempio, prima cresce, cresce, cresce… poi cambia tendenza e inizia a diminuire. Il fattore vitale progredisce finché raggiunge un punto critico in cui avviene una svolta che porta ad un capovolgimento di direzione.

Questa inversione di rotta vale solo per il fattore biologico? No. Se valesse solo per il biologico non ci basterebbe per interpretare l’evoluzione umana, perché l’evoluzione umana non è fatta soltanto di biologia. Per il fattore umano l’elemento “coscienza” è ancora più importante della biologia, perché, se io capisco qualcosina dell’essere umano, mi pare di poter asserire che la biologia dovrebbe essere il sostrato per il fattore di coscienza. Se paragonassi i due aspetti -biologico e coscienza- direi che non ha molto senso che la coscienza sia strumento per la biologia ma sarebbe un pochino meglio se fosse la biologia a farsi strumento per la coscienza. Vi sto riassumendo cose enormi con l’intento di farne un quadro d’insieme che aiuti a renderle recepibili al pensare umano. Per chi non è d’accordo con quanto sostengo faccio una supposizione. Supponiamo che il fattore di coscienza, di pensiero, sia perlomeno altrettanto importante, se non più importante, di quello biologico. Ora vi pongo un’altra domanda: l’evoluzione di coscienza è lineare?

Dal pubblico. No.

Archiati. E’ facile dire no. Perché no?

Intervento. Perché può crescere solo quando c’è, ma potrebbe anche non esserci.

Archiati. Ti accorgi tu stessa che stai cercando, eh? Hai buttato lì qualcosa e poi ti sei un po’ persa, segui il pensiero: com’è l’evoluzione della coscienza?

Replica. Quando il bambino dice: “Io”.

Archiati. Ah, ecco! Bisogna tornare al vissuto e non fare teorie. Come si evolve la coscienza nella vita? Ci sono due fasi con un’inversione di marcia. La prima è la fase di dipendenza della coscienza, di conduzione dal di fuori, come l’ho sempre chiamata io. La seconda fase è l’autonomia dell’individuo, non si scappa. Se ritenete che io legga le cose in un modo sbagliato dovete dirmelo; su queste questioni è indispensabile porre un minimo di fondamenti affinché le affermazioni che facciamo abbiano un senso nel contesto dell’umano, altrimenti risulterebbero dogmatiche o campate in aria, mi spiego? Perciò è importante, ogni volta, rifare un minimo di fondamento.

Quindi arriviamo a dire che anche l’evoluzione della coscienza è polare, ha una polarità con una svolta al centro. E la svolta è il passaggio dalla conduzione dal di fuori fatta dal pedagogo, dalla legge, dai genitori, alla capacità -che manca all’inizio- di autonomia nel pensare, nel volere e nell’agire. Se le cose stanno in questo modo, c’è una prima parte dell’evoluzione che arriva fino alla svolta e che consiste nel venire guidati dal di fuori.

Cos’è la legge ‘mosaica’? E’ l’ultima fase della guida dal di fuori, del devi, devi, devi. Qual è il senso del maestro? Di rendersi superfluo. Però diventa superfluo soltanto se ha fatto il suo lavoro, grazie al suo lavoro. La legge diventa superflua nella libertà. Quindi il carattere della prima metà dell’evoluzione è che vengono create tutte le condizioni necessarie, conditio sine qua non, della libertà, dell’autonomia.

La svolta, il concetto biblico, evangelico di svolta è la “pienezza dei tempi”. Quali tempi sono pieni? I tempi della preparazione, della conduzione dal di fuori. La svolta, la pienezza dei tempi avviene quando nell’evoluzione della coscienza tutti gli strumenti, tutte le conduzioni dal di fuori, tutte le leggi sono state date e la libertà diventa possibile. La libertà non si può mai costringere. Quindi, “pienezza dei tempi” significa: ora non manca più nessuna delle condizioni necessarie per l’esercizio della libertà. Adesso faccio una domanda per verificare se il cristianesimo ha ragione o se ha raccontato una balla: viviamo noi, nel secolo ventunesimo, in tempi in cui all’evoluzione sia del fattore del vitale che della dimensione di coscienza mancano ancora elementi fondamentali per l’esercizio della libertà o viviamo in tempi in cui tutto ciò che è necessario come strumento per l’esercizio della libertà è a disposizione dell’individuo?

Posso formulare la domanda in un altro modo: cosa manca ancora di essenziale per l’esercizio della libertà? Io affermo che una persona capace di cogliere la realtà della fase evolutiva in cui viviamo debba rispondere che non manca nulla, e già da un po’ di tempo non manca nulla. Vi sto fondando l’affermazione del cristianesimo senza dogmi, senza vangeli. Ora vi pongo un’altra domanda: è possibile che queste forze reali di capacità libera, autonoma di pensiero e di volizione, siano presenti nell’umanità e nell’evoluzione senza che qualcuno ve le abbia introdotte? Se sono forze concrete devono essere state create, qualcuno deve averle prodotte.

Qualcuno ha detto una parola più calzante di “prodotte”?

Intervento. Immesse.

Archiati. Immesse, create, fabbricate, ci capiamo insomma.

Il concetto umano dell’Entità che i cristiani chiamano il Cristo è: quell’Essere spirituale che riassume in sé le forze di libertà e di amore, quindi di creatività nel pensiero e di creatività nella volontà; è l’Essere che riassume in sé tutte le forze di libertà del Sistema Solare e che duemila anni fa ha dato luogo alla svolta evolutiva in quanto ha portato, dentro l’umanità e dentro la Terra, la totalità di quelle forze che rendono possibile ad ogni individuo di diventare sempre più autonomo nel suo pensiero e nella sua volontà. Il fatto che questo sia successo duemila anni fa è deducibile esclusivamente da una qualche testimonianza? Bisogna credere a coloro che l’hanno testimoniato?

Non è sufficiente. A me non basta credere a questi apostoli, a questo Giovanni evangelista Lazzaro, non mi accontento di prendere per buono l’assioma secondo cui duemila anni fa è successo uno sconvolgimento colossale. E se non mi basta credere, che altro tipo di indagine ho a disposizione? Cos’altro posso fare per verificare se questa affermazione è veritiera? Effettivamente c’è qualcosa d’altro: se io ho la capacità di cogliere ciò che è successo storicamente -soprattutto nell’umanità occidentale, dove il cristianesimo è invalso- nel corso di questi duemila anni, io riscontro questo sconvolgimento in tutto il capitolo storico relativo agli ultimi duemila anni. Lo posso vedere io. La storia di questi duemila anni sarebbe totalmente diversa se non fosse successo ciò di cui questi tizi (i discepoli) testimoniano, però tocca a me, tocca a chiunque leggere i fatti storici esaminandoli da una certa prospettiva. Se non ci fosse stato il fenomeno di cui i vangeli parlano sarebbe stato impossibile il sorgere dell’individuo ai livelli di intensità in cui è sorto nel mondo occidentale, nel mondo cristiano. Seppure caratterizzato da tutti i problemi puberali, cioè da tutte le pecche e le difficoltà che precedono e accompagnano l’insediarsi di nuovi impulsi, c’è stato nell’umanità un potente emergere dell’individuo che tutto l’Oriente pre-cristiano neanche si sognava, non poteva sognarselo perché mancavano le forze reali.

Vi porto come esempio la personalità di Caterina da Siena, monaca, che fa le prediche al Papa intimandogli di tornare da Avignone a Roma: la concepite voi una tale forza dell’Io, duemila anni prima in Oriente? Impensabile. Ognuno di noi può osservare nell’individualità di Caterina la presenza di una forza imperiosa. E se io non colgo la presenza grandiosa di tale forza e la sua immensa portata il problema è mio, ma nulla toglie all’effettiva sussistenza di una tale realtà. Il concetto di suora è che deve stare zitta, chinare il capo e ubbidire alla Chiesa; come arriva questa suora, questa individualità a dire al Papa: “No, no, il tuo posto non è ad Avignone, è a Roma”?

E’ pervasa dalla forza assoluta dell’Io. E la domanda storica è: da dove viene questo Io così imponente? E’ un dato di fatto. E questa realtà dell’Io è inconcepibile, impossibile da trovare millecinquecento anni prima, perché se retrocedo all’epoca storica del Buddha mi accorgo che questa forza dell’Io è assente, non è riscontrabile da nessuna parte.

Sono riuscito a farmi capire?

Dal pubblico. Sì.

Avete domande a questo punto? Vorreste qualche precisazione? A me interessava porre la domanda: i cristiani dicono - o la Chiesa dice - che duemila anni fa il Cristo ha apportato delle innovazioni radicali nell’umanità, ma io, rispetto a questa asserzione, ho mai preso posizione in qualità di essere umano? Probabilmente il mio ruolo è stato passivo, e il non prendere posizione ha favorito una specie di scissione fra la vita reale, principalmente orientata alle cose pratiche, e la cosiddetta religione divenuta talmente lontana ed astratta da non poter stare manco più in Chiesa ma nella saletta della Sacrestia. Si è fatto del cristianesimo qualcosa di pio, di sentimentale se volete, ma non la sostanza della vita. L’essenza del cristianesimo è l’autonomia dell’Io umano, l’essenza del Cristo… come si chiama il Cristo nel vangelo di Giovanni? Io Sono! “Io Sono” significa che sono un Io. E che significa essere un Io? Significa essere autonomi, si ricevono impulsi dal di fuori ma non si è gestiti dal di fuori. Dall’esterno ricevo le percezioni ma le gestisco con i concetti che creo io e nella misura in cui gestisco le percezioni con i concetti prodotti da me, so decidere cosa immetto nell’umanità, cosa ho da fare, qual è il mio compito nell’umanità. Egw eimi (Egò eimi), “Io Sono” è il nome del Cristo nel vangelo di Giovanni, un nome esoterico, addirittura. Quindi, il nome del Cristo è l’essenza dell’umano, il nome “Io Sono” qualifica l’essere.

Intervento. Non ha niente a che fare con il concetto di ‘ego’ esistente oggi?

Archiati. No, perché il concetto di “ego” nella psicologia di Jung e di altri è deviante, nel senso che la maggior parte di loro usa la parola “ego” per indicare l’Io inferiore. Invece questo Io Sono è riferito proprio all’Io superiore. L’uso delle terminologie varia molto.

Intervento. Ho sentito una battuta secondo cui l’ego coincide con l’Io.

Archiati. Tutto dipende da cosa tu intendi con ego e cosa con Io. Bisognerebbe sempre tenere presente che quando uno sta sfacchinando per creare un certo contesto è importante non portare una terminologia che presuppone un tutt’altro contesto, una tutt’altra spiegazione. In altre parole, ogni esercizio di pensiero è al contempo una spiegazione della terminologia. Supponiamo che ci sia un Io inferiore ed un Io superiore, ognuno di noi sa che c’è una parte buona ed una meno buona, che c’è l’amore e l’egoismo. Qual è la differenza fondamentale tra l’Io superiore e l’Io inferiore, tra l’Io buono e l’Io meno buono, tra l’Io ideale e l’Io reale?

Dal pubblico. L’amore. L’automatismo. La singolarità. Libero, non libero.

Archiati. Tutte le risposte che potreste dare sono giuste. Nel tipo di contesto conoscitivo che ho impiantato in questa mezz’ora, la risposta più centrale, più onnicomprensiva e cruciale sarebbe: la libertà. Vivo nell’Io inferiore nella misura in cui non sono libero, sono prigioniero di una guida dal di fuori, dei moralismi, della legge, delle paure, eccetera. Vivo l’Io superiore, l’Io migliore…ecco una proposta! Chiamiamoli con un linguaggio pulito: “Io peggiore” e “Io migliore”. Ognuno faccia i conti col suo sentire quando è vicino ad un Io peggiore o quando si accosta maggiormente ad un Io migliore. Quando io parlo di “non libertà”, riferendomi all’Io peggiore, comprendo tutti gli aspetti di non libertà. E quando dico: l’Io migliore, l’Io della libertà, nella parola libertà abbraccio tutto ciò che è bello, tutto ciò che è positivo, vero e buono perché può essere bello, buono e vero soltanto nella misura in cui è libero. Quindi, più che aggrapparci a terminologie, andiamo alle esperienze concrete date dall’essere liberi, autonomi o dall’essere condotti da una paura. La paura di trasgredire una legge, ad esempio, è un’esperienza fattibile da chiunque, e nella misura in cui riferendoci alla nostra esperienza capiamo cosa vogliamo possiamo poi decidere quale terminologia usare. A cosa porta la maggior parte delle teorie vigenti oggi nell’umanità? Sono diventate talmente immaginarie, talmente astratte da aver perso quasi completamente il nesso con la realtà e sono incentrate nella costruzione di impalcature sempre più complesse e discordanti sulla terminologia. Ognuno snocciola una sua teoria sulla sua terminologia e ne consegue una sempre minore comprensione reciproca.

L’esercizio fondamentale da fare è di ritornare all’esperienza dell’umano, che tutti condividiamo, e di descriverla nel modo più semplice ed essenziale possibile in modo tale da agevolare la reciproca comprensione. In altre parole, stiamo arrivando al punto in cui gli esseri umani non si capiscono più a vicenda, questo lo si constata dappertutto, lo si rileva guardando gli esseri umani spendere il loro tempo a discutere prevalentemente di terminologie. Per fare chiarezza davanti a tanta fumosità io propongo continuamente il ritorno a parole più elementari: i termini “peggiore” e “migliore” sono accessibili a chiunque. Quando arriva uno che mi dice: devi, devi, devi, io mi sento meglio o mi sento peggio?

Intervento. Con la costrizione ci si sente peggio.

Intervento. Posso sentirmi anche meglio.

Archiati. Ti senti meglio quando devi ubbidire?

Replica. Nel mio ego potrei sentirmi più tranquillo. L’ubbidienza al dovere può darmi tranquillità.

Archiati. La tua posizione è di comodo. Facciamo una breve riflessione sul comodo. Agire secondo il comodo è meglio o peggio?

Intervento. Si ha subito il concetto di prevaricazione: spesso il mio comodo non è il comodo degli altri.

Archiati. E chi mi dice che il comodo non sia il meglio che esiste?

L’esperienza me lo dice. L’esperienza mi dice che chi agisce per il proprio comodo riceve talmente tante botte che poi non gli è comodo per niente! Allora si rende conto di essersi sbagliato, ha pensato che fare il proprio comodo fosse conveniente, invece salta fuori che incassa solo botte. In altre parole, si tratta sempre di un’evoluzione della coscienza, della conoscenza, di capire le cose sempre meglio.

Intervento. Scusa Pietro, ma qui non sarebbe meglio parlare di responsabilità anziché di libertà?

Archiati. Tu mi dici una parola che non ti lascio passare come se niente fosse. Te la scrivo sulla lavagna, bella grossa. Io vivo in Germania e penso: Verantwortung, io vengo dalla Germania e non so più cosa significa responsabilità, me lo spieghi? Tu ti sei messo in testa che parlando di responsabilità tutti la intendiamo allo stesso modo, che significa questa parola?

Replica. Significa non danneggiare gli altri.

Archiati. Non danneggiare gli altri? Che cosa danneggia gli altri?

Replica. Risposta poco chiara che suona più o meno così: “Intendi nel capire quando sei veramente libero, o no?”

Archiati. Mi parli di tutto fuorché di responsabilità: io ti ho chiesto cosa significa responsabilità.

Intervento. Pensare alle conseguenze delle proprie azioni.

Intervento. Avere l’idea delle conseguenze delle proprie azioni, a ciò che posso causare nei confronti degli altri.

Intervento. E’ un dovere interiore.

Archiati. E che ne so io di cosa gli altri possono fare con ciò che io faccio? Sono affari loro! Mica sono responsabile io di ciò che loro fanno.

Intervento. E’ un’assunzione in proprio delle conseguenze di ciò che faccio.

Archiati. Il che significherebbe gestire tutte le conseguenze su tutti gli altri di ciò che io ho fatto!

Intervento. Per me comporta una presa di coscienza sui nostri errori, sui nostri limiti, sulle nostre difficoltà. Essere in grado di fare un’autocritica sui propri compiti.

Archiati. Io non volevo andare così lontano. Volevo solo farvi capire che non ci rendiamo conto di usare, come nulla fosse, parole di una complessità enorme, a questo volevo richiamarvi.

Adesso che inizierò a leggere il vangelo di Giovanni metterò lì una o due parole e vi costruirò attorno il contesto conoscitivo in cui vanno inserite, se no continueremo ad usare parole pesanti cinque quintali senza entrare nel merito della complessità dei termini. Responsabilità è rispondere.

Intervento. Sì ma non è sufficiente.

Archiati. Responsabilità, se volete, è accettare le conseguenze che ricadono su di me, di ciò che io faccio, perché le conseguenze per gli altri sono affari loro.

Intervento. Ha un significato attivo cioè uno risponde di quello che fa, penso, perché è libero.

Archiati. Rispondere significa dare ragione.

Intervento. No, nel linguaggio corrente responsabilità ha un significato passivo, nel senso che una persona responsabile è uno che ha una personalità abbastanza stabile da essere affidabile. Ora io mi domando: che significato ha in questo contesto dell’Io superiore e Io inferiore il discorso della personalità? Si dice: “quello ha personalità” cioè ha un certo clichè per cui si comporta sempre in un certo modo. Che rapporto c’è tra la personalità ed il discorso dell’Io inferiore e superiore?

Archiati. Dovremmo intenderci sul concetto di personalità che hai introdotto adesso, che è pure molto complesso.

A proposito dell’esercitare il pensiero volevo dirvi: se arriveremo a finire il vangelo di Giovanni e se ci sarà voglia in Italia, secondo me, l’unico testo che degnamente possa seguire al vangelo di Giovanni è La Filosofia della libertà di Steiner. Quel libro è veramente, dall’inizio alla fine, una scuola di pensiero. Riassumo dicendo che i vangeli descrivono l’archetipo del fenomeno Umano nella sua purezza, nella sua perfezione. L’archetipo dell’Umano è quello di vivere in ogni pensiero ed in ogni azione la svolta che mi fa passare dalla schiavitù alla libertà, la svolta che mi fa passare dall’egoismo all’amore. Dove c’è la svolta dalla prima parte dell’evoluzione alla seconda parte, lì si realizza l’Umano. Se è vero, questo ci autorizza ad interpretare ogni parola del Cristo ma anche ogni gesto o azione da Lui compiuta non come cose secondarie ma come aventi una portata intellettuale e morale assoluta, nel senso che tutto il Suo operato ha valore archetipico in quanto fenomeno primigenio.

11,54.Perciò Gesù non girava più scopertamente in Giudea ma se ne andò da lì in una regione vicina al deserto, in una città detta Efraim. E lì rimase con i suoi discepoli

Fa parte dell’umano che il mondo consolidato voglia eliminare il Cristo (rif. 11,53). A partire da allora il Cristo non camminava più, non si faceva più vedere in pubblico. Traduco ancora: fa parte dell’umano puro il dover essere sempre esposto alle controforze perché senza interazione con le controforze non ci può essere esperienza di libertà. In altre parole, l’esperienza della libertà è sempre un’esperienza di liberazione da qualcosa e quindi questo qualcosa che si oppone alla libertà deve essere presente, se no non potrebbe concretizzarsi l’esperienza della libertà.

Questo versetto ci dice che è impossibile vivere in sé la pienezza dell’umano ed essere, contemporaneamente, in auge sulla scena di questo mondo. Bisogna scegliere: o il potere di questo mondo e allora non si viene fatti fuori, oppure si sceglie la libertà e allora il mondo stabilito deve fare di tutto per debellare questa forza nuova ed emergente. Teniamo presente che il cristianesimo è stato ammansito, è stato deprivato della sua componente fondamentale, perché? Perché le forze dell’Io peggiore dell’umanità sono lì apposta per subissare la forza dell’Io superiore. Una differenza sostanziale fra l’Io peggiore e l’Io migliore è che l’Io peggiore c’è per natura, chiamiamolo l’Io naturale, e l’Io migliore non è dato per natura, c’è soltanto nella misura in cui ognuno lo coltiva. Nella misura in cui ognuno di noi coltiva l’umano deve sperimentare, in qualche modo, di avere tutte le forze di questo mondo alle calcagna, determinate a distruggerlo.

“Gesù non camminava più in pubblico presso i giudei…” Veniva ostracizzato dai giudei perché “giudeo” significa osservanza della Legge mosaica e il Cristo è colui che sembra voler mettere in subbuglio le certezze dei giudei dicendo: “Il tempo della sottomissione alla Legge mosaica è finito”. Finora era compito dell’individuo sottomettersi alla Legge, ora diventa compito della Legge rendersi utile all’evoluzione dell’individuo. Essenzialmente, nel periodo antecedente al Cristo l’uomo, l’ebreo, era dedito all’osservanza del Sabato; nel tempo presente invece bisogna usare ogni Sabato per promuovere lo sviluppo del singolo. In pratica, le leggi andrebbero tuttora rispettate, cambia solo lo spirito con cui vanno osservate, esse devono diventare strumento per la crescita, la liberazione dell’individuo. La legge morale cessa di essere il tutto della vita e diventa strumento della libertà. Nella prima metà dell’evoluzione la legge è il tutto della morale, nella seconda metà dell’evoluzione la legge diventa un mezzo per conseguire la libertà. Attualmente, sottomettersi alla Legge è immorale, è l’essenza dell’immoralità; la Legge andrebbe utilizzata per rendere possibile la libertà perché un essere umano adulto che si fa assoggettare sta uccidendo l’umano.

11,55.Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti salirono a Gerusalemme, dalla regione prima della Pasqua, per purificarsi.”

Faccio una parentesi sulla Pasqua, richiamo solo alcuni elementi per non dilungarci troppo, altrimenti… sul vangelo di Giovanni si può disquisire all’infinito.

Pasqua significa passaggio -dalla schiavitù alla libertà-: gli ebrei celebravano la Pasqua come rammemorazione del passaggio dalla schiavitù in Egitto alla libertà nella Terra Promessa. La Pasqua rappresenta l’eterno passaggio dalla morte nell’Io peggiore alla vita nell’Io migliore. Festeggiare la Pasqua vuol dire svoltare dalla morte dell’incomprensione, della tenebra conoscitiva alla luce dell’intuito. Ogni oscuramento conoscitivo, ogni non conoscenza è un frammento di morte nella coscienza.

Celebrare la Pasqua, nell’evoluzione di coscienza, nell’evoluzione intellettuale, equivale a trasformare ogni morte di obnubilamento, di percezione, in una resurrezione di concetto, in un lampo del pensiero. Pasqua significa letteralmente passaggio: passare dalla morte alla vita, dalla morte alla resurrezione. Quindi, è importantissimo che anche storicamente l’Archetipo dell’Umano avvenga nella Pasqua ebraica perché l’archetipo dell’umano è un fenomeno di transizione da morte a vita, a tutti i livelli.

11,56 “ Perciò cercavano Gesù e dicevano, stanti nel tempio: “Che vi pare: verrà o non verrà alla festa?

11,57. “ I capi religiosi e i capi politici avevano già dato l’ordine affinché se qualcuno sapesse dove stava lo indicasse affinché lo agguantino.”

I capi religiosi e i capi politici -a quei tempi erano, tutto sommato, la stessa cosa-, l’autorità stabilita aveva già deciso, e poi lo farà, di mettere a morte l’Archetipo dell’Umano. Oggi le cose stanno diversamente?

Intervento. Stanno peggio.

Archiati. Peggio non può essere perché se stessero peggio l’archetipo dell’Umano non sarebbe puro. La situazione è tale e quale perché l’umano, nella sua purezza, è sempre il fenomeno umano. E’ il compito dell’autorità costituita di far di tutto per schiacciare l’Io libero. Pongo la domanda in altro modo: è possibile l’esercizio della libertà senza venire alle prese, confrontarsi con il non libero? Non è possibile. L’esperienza della libertà è sempre il confronto fra forza e controforza altrimenti sarebbe un dato di necessità di natura.

In altre parole, la libertà è sempre una vittoria sul non libero, su ciò che si oppone alla libertà. A cena discutevamo di un aspetto, di un esempio fondamentale. Dicevamo: se è vero che il vitale -la sessualità è la quintessenza del vitale, nella sessualità si raddoppiano tutte le forze vitali dell’organismo- è il determinato e la coscienza -testa- è il libero, se è vero che la coscienza ed il vitale stanno polarmente fra di loro, la coscienza non può che essere una vittoria sul vitale. Questo è un dato fondamentale che vi ho messo lì pretendendo che sia, come dire, un assunto matematico di lettura oggettiva.

Replica. Siccome lei parla di libertà, la sessualità fa parte di un condizionamento naturale che avrà sempre la meglio anche sulla ragione perché nel momento in cui lei la reprime procura dei mali, procura la morte. Noi siamo condizionati dalla non libertà.

Archiati. Questa è la voce di Pilato, di Caifa, del fattore di non libertà. Se ho capito bene, lei sta dicendo che la libertà non esiste, che è un’illusione.

Replica. Lei parla di libertà, diciamo, nella società che reprime e sfrutta, noi siamo condizionati da una non libertà naturale.

Archiati. Io l’ho chiamato “vitale” ma si può chiamare anche il “biologico”, i “geni”.

Intervento. Mi chiedo: perché dobbiamo fare questa contrapposizione? Perché dobbiamo per forza vivere ciò che è di natura come una contrapposizione? Tutto ciò che di natura dobbiamo fare: il mangiare, il dormire, la sessualità eccetera, è il substrato per il resto, non è in opposizione. Per alimentare la mia coscienza io non posso non fare l’amore o non mangiare.

Archiati. Io non ho parlato di opposizione ho parlato di polarità.

Replica. Perché una polarità? Se non ho un corpo che funziona come faccio a manifestare la mia coscienza? Se ho un corpo represso perché non faccio l’amore o è malato perché sono digiuno mi resta un corpo che non permette il fiorire della mia coscienza. O no? La mente sana nel corpo sano significa che tu lasci vivere il corpo, altrimenti…

Archiati. Nel tuo parlare tendi a perorare. In quello che tu dici non ravviso una pacata lettura oggettiva, la tua è una difesa -parzialmente, non su tutta la linea- animica di ciò che uno non vuole perdere e questo inquina la lettura oggettiva dei fenomeni. Ricominciamo daccapo. Quando io dico: “la candela può far sprigionare luce soltanto consumando la cera”, significa questo che la luce e la cera sono in opposizione? No, sono l’uno per l’altro. Bene. Però resta il fatto che la luce ce l’hai soltanto consumando la cera quindi, se leggi oggettivamente il fenomeno, devi dire: “più c’è luce e meno avrò cera e più voglio avere cera meno avrò luce”. Questa è la legge della polarità. Nel momento in cui io la interpreto con la categoria di “opposizione” subentra subito il pericolo di moraleggiare e questo è un problema.

Fermiamoci un momentino su questo paragone della cera perché non ci coinvolge troppo e quindi possiamo essere più oggettivi: che significa che la luce si sprigiona consumando la cera?

Significa che più luce voglio avere, più cera devo comprare. Se l’esercizio del pensiero consuma il vitale non sminuisce il valore del vitale, non significa che coscienza e vitale siano opposti ma evidenzia che voglio sempre più vitale, non per conservarlo ma per consumarlo e far sprigionare luce. Tutto questo vale se mi godo la coscienza, se non mi godo la coscienza lasciatemi gustare almeno il vitale! Però la legge fondamentale è che della coscienza si può beneficiare soltanto consumando il vitale e perciò dobbiamo dormire diverse ore al giorno, perché l’esercizio della coscienza ci affievolisce le forze vitali. Ma il fatto che la coscienza esaurisca le forze vitali non significa attribuire a queste ultime la connotazione di “moralmente cattive” o “meno importanti”. “Cattivo” o “meno importante” sono tutte categorie moraleggianti. Il fenomeno, o lo descrivo nella sua oggettività oppure, conoscitivamente, sballo. L’oggettività del fenomeno è: più faccio sprigionare luce e più do fondo alle scorte di cera. Voglio avere ancora più luce? Mi procuro altra cera.

Intervento. Ma perché la coscienza è polare al vitale?

Archiati. Tu stai chiedendo perché ogni esercizio di coscienza debba indebolire il vitale. Perché la natura umana non l’ho creata né io né tu. L’unica chance che hai, se vuoi obiettare, è di dirmi: “tu, Pietro, stai leggendo il fenomeno dell’umano nel modo sbagliato” allora ti ascolto, il moralismo va via ed il dialogo prosegue su un piano più spassionato. Se cerchi di dirmi che io sto prendendo un granchio nella lettura del fenomeno allora il discorso prende un’altra piega, se invece ritieni che la lettura fondamentale di cui parlo sia giusta allora è inconfutabile, non si scappa. Un individuo è completamente disinteressato ad alimentare la coscienza? Padronissimo! Ma non sarà mai concesso a nessun essere umano di far scaturire forze di pensiero senza prosciugare il vitale, non c’è mai stato. Far sprigionare le forze del pensiero è, per natura, consumante il vitale. Così come tu non puoi avere la luce della candela senza consumare la cera: l’uno comporta l’altro.

Facciamo un altro passo: cos’è questa difesa a spada tratta del vitale? È la risposta di chi, prima di tutto, ha capito male perché ha capito che qualcuno voglia togliergli il vitale. Lui pensa: “ho solo quello -il vitale- me lo vuoi portar via”? Questo modo di pensare non ha nulla a che fare con la conoscenza oggettiva.

Adesso arriviamo al fenomeno Cristo: perché il vangelo non significa più nulla nell’umanità? Perché lo si è voluto ridurre ad un fattore di sentimentalismo, di fede, ma la questione fondamentale è che il Cristo gode il morire del corpo. Questa morte è la condizione necessaria per la resurrezione dello spirito ed io, che voglio la luce della candela, devo essere contento di bruciare la cera perché non posso avere l’una senza l’altra.

L’essenza del cristianesimo è il godimento della morte del fattore di natura per avere il super-godimento della coscienza. Su questo argomento abbiamo fatto un pastrocchio che non finisce più però è importante farlo. Ripeto: a questo punto non è tanto importante leggere il vangelo versetto per versetto quanto lo è il ritornare sempre, nuovamente, alle linee guida; e quando riserveremo tempo al rimettere a fuoco queste linee fondamentali è importante che voi esprimiate le vostre controbattute. Dovete però capire che vi farei torto se non insistessi sull’importanza del restare sul piano conoscitivo e non sul piano sentimentalistico del dire: “perché mi parli negativamente del vitale”? Chi ha parlato negativamente del vitale? Io mica parlo negativamente della cera se dico che per avere la luce bisogna usare la cera.

Intervento. Se non ci fosse la cera non avresti la luce.

Archiati. Se non ci fosse la cera non avresti neanche la luce. Quindi, se vogliamo, chi cerca la coscienza, a maggior ragione farà di tutto per avere la cera più bella di questo mondo! Altrimenti senza cera…

Intervento. Cosa dona la coscienza al vitale? Dona qualcosa?

Archiati. Qual è lo strumento musicale perfetto? Usiamo la metafora del corpo che è strumento per lo spirito. La tua domanda dice: qual è il modo migliore di trattare il corpo? Io chiedo: qual è il modo migliore di trattare il violino?

Replica. Farlo suonare.

Archiati. Devi evitare i due estremi: le corde troppo allentate non vanno, le corde troppo tirate non vanno. Quand’è che il corpo è lo strumento migliore per lo spirito? Quando non lo si nota. Tratta il tuo corpo in modo tale che tu passi giornate intere senza notarlo: toccherai il settimo cielo con un dito.

Intervento. Che uno non noti il proprio corpo è un tuo pensiero.

Archiati. Tu dicci qualcosa d’altro.

Replica. Secondo me non è possibile non notare il proprio corpo. Anche se uno sta bene nota il proprio corpo, che non lo si noti è un tuo pensiero.

Archiati. Piano, piano, tu sperimentalmente hai soltanto la possibilità di dire che a te non è mai capitato di non notare il tuo corpo ma non puoi dire che non sia possibile. Quando uno sta suonando il violino…

Replica. Si accorge eccome di suonare il violino: diventa un tutt’uno. Quando uno sta bene, lo nota di star bene.

Intervento. Quando una cosa va bene non ci si pensa. Se la macchina funziona bene uno non pensa ininterrottamente alla macchina, invece in mezzo alla neve ecco che uno deve pensare alla macchina, si accorge che basta pochissimo perché non funzioni bene.

Archiati. Se uno sta facendo jogging, che è un esercizio basato interamente sul corpo, è chiaro che la sua attenzione è rivolta al corpo. Se tu invece stai facendo un ragionamento di matematica, lo puoi fare nel modo migliore soltanto se hai la possibilità di non notare il tuo corpo mentre lo svolgi.

Intervento. Non ho capito come fai a mettere insieme il ragionamento matematico col corpo.

Archiati. Io sto dicendo questo: se il mio corpo è affamato, stanco, malato mi è difficile concentrarmi su qualcos’altro. Ora, in queste condizioni fisiche debilitate, se io volessi meditare per cinque minuti o volessi risolvere un problema di matematica non potrei farlo perché sarei costretto a preoccuparmi del mio corpo. Ciò che sto cercando di palesare è che il modo migliore per attuare un esercizio di coscienza è l’essere dotato di un corpo così sano da darmi la possibilità, per i prossimi cinque minuti, di scordarmi della sua esistenza, tanto da non essere costretto a concentrarmi su di esso.

Intervento. Dimenticarmi che ho un corpo.

Archiati. Sì, dimenticarmi che ho un corpo, perché è sano. Ma posso dimenticare un corpo soltanto se è sano e per tenerlo in salute devo fare qualcosa, devo curarlo. Da giovane, quando studiavo lingue, la campana suonava ad ogni piè sospinto: per andare a pregare, per mangiare eccetera. Ebbene, a me è capitato che era passata l’ora del pranzo, della cena, era diventato buio ed io non mi ero accorto che la giornata era finita. Se il corpo è malato non puoi fare una cosa del genere.

Intervento. Vuoi dire che quando c’è il dolore uno non può avere la coscienza, non può meditare?

Archiati. Non a certi livelli di intensità perché queste forze sono opposte le une alle altre, è una legge di natura. “Plenus venter non studet libenter” (a pancia piena non ci si applica con piacere), che vuol dire? E’ un moralismo?

Intervento. E’ un’affermazione scientifica.

Archiati. E’ un’affermazione scientifica. Se tu hai il metabolismo pienamente impegnato, queste forze occupate a sovrintendere all’andamento del processo digestivo sottraggono forze della coscienza, rendendole inattive.

Intervento. Tra l’altro è vero anche il contrario: se tu sei tutto preso da qualcosa che t’interessa ti dimentichi perfino di mangiare, come succedeva a te quando studiavi. E’ un’esperienza fattibile.

Intervento. Però anche quando ci si diverte ci si dimentica di mangiare. E’ un godimento animico.

Archiati. Torniamo alla lettura dei testi. Nei versetti 11,55-57 abbiamo la decisione delle controforze di metter a morte l’essere dell’Io, l’autonomia dell’individuo.

Intervento. Scusa Pietro, puoi ripetere la traduzione del versetto 11,57?

Archiati. La traduzione letterale del versetto 11,57 è: “I sommi sacerdoti e i farisei avevano dato…” Chi conosce bene la Scienza dello Spirito sa che quando è presente una dualità si tratta sempre del “luciferico” e dell’ “arimanico”. I sommi sacerdoti rappresentano l’arimanico e i farisei il luciferico. “…avevano dato ordini (entolaV, entolàs, al plurale) affinché se qualcuno sapesse dove stava lo indicasse (mhnush, menùse) affinché lo agguantino, lo acchiappino”. In altre parole, le controforze devono essere sempre in agguato, per agguantare, ed è importante avere coscienza della loro presenza.

12,1. “Gesù, sei giorni prima della Pasqua, venne a Betania dove c’era Lazzaro che aveva risuscitato dai morti

Sei giorni sono un ciclo della settimana e potrebbero rispecchiare la totalità delle forze del sistema planetario. Se avessimo più tempo -almeno mezz’oretta- da dedicare ad ogni versetto potremmo, a proposito di tutto quello che avviene dai sei giorni prima della Pasqua fino alla fine, configurare giorno per giorno i vari pianeti del Sistema Solare e quindi far corrispondere al lunedì i misteri della Luna, al martedì i misteri di Marte, eccetera. Il fatto che il vangelo faccia culminare il fenomeno dell’umano nella settimana di Pasqua per poi mettere in particolare evidenza l’incisività degli ultimi tre giorni -venerdì, sabato e domenica- è un indizio importante che ci permette di percepire nella settimana il riassunto degli impulsi di tutto il sistema planetario e negli ultimi tre giorni la sintesi della triade peculiare di Terra, Sole e Luna. I restanti pianeti sono maggiormente discosti. Anche se gli esseri umani di oggi sono convinti di aver oramai messo le mani su Marte, sarebbe molto più realistico pensare agli altri pianeti come corpi astrali molto più lontani rispetto alla Terra su cui viviamo, al Sole e alla Luna.

Quindi, in questo culminare del fenomeno umano è presente un settenario; secondo gli iniziati, i giorni della settimana sono, da sempre, associabili ai pianeti:

Lunedì: Luna

Martedì: Marte

Mercoledì: Mercurio

Giovedì: Giove

Venerdì: Venere

Sabato: Saturno

Domenica: Sole

Il vangelo scandisce chiaramente il numero dei giorni, sei, precedenti alla Pasqua e questo ci induce a focalizzare l’attenzione su ciascuno di questi giorni a partire dal momento in cui il testo inizia a parlarne fino alla domenica di resurrezione della Pasqua. Il trascorrere di ogni singolo giorno è come un passare in rassegna l’insieme delle forze, un raccogliere tutti i contributi provenienti dai sette pianeti. La modalità secondo cui il primo giorno è assimilabile alla Luna, il secondo a Marte, eccetera, sarà materia di indagine per il futuro perché l’umanità di oggi, pur avvalendosi dei fondamenti della Scienza dello Spirito di Steiner, è tuttavia ai primissimi cimenti rispetto ai grandiosi misteri di cui l’universo è intessuto, una larghissima parte di essi è ancora da sondare. Forse fra due, tre, cinque secoli l’umanità avrà raggiunto un livello di coscienza tale da poter riconoscere scientificamente, senza speculare, il ruolo giocato dai vari pianeti in questi ultimi sette giorni della vita terrena del Cristo.

“…venne a Betania, dove si trovava Lazzaro che aveva risvegliato dai morti”. Questo capitolo lo avevamo già fatto fino al versetto sedici, quindi ora lo traduco soltanto.

12, 2. “E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali”

Marta e Maria non sono le due componenti dell’Io inferiore e dell’Io superiore ma sono due forze dell’anima: la forza attiva e la forza contemplativa. Marta è tutto ciò che l’essere umano deve compiere e Maria rappresenta tutte le forze di contemplazione, di pensiero, spirituali dell’anima. Marta, profondamente ancorata al mondo materiale, è perciò maggiormente inquadrabile in una prospettiva che comprende gli aspetti più concreti della vita, il suo compito è quello di fornire il cibo al Cristo per farlo vivere. Maria invece rappresenta l’anima in quanto strettamente connessa al mondo spirituale. In che modo Maria si rapporta al Cristo? Lo unge per prepararlo alla morte. Qual è il senso della morte? La resurrezione dello Spirito. E’ bellissimo.

Questi due personaggi femminili sono archetipi del fenomeno dell’umano e sono entrambi indispensabili affinché noi attraverso il mangiare e il dormire ricostruiamo sempre il vitale, altrimenti rischiamo di andare all’altro mondo. E nessuno deve aver fretta di lasciare l’esistenza terrena perché il senso dell’incarnazione è che ciascun individuo stia qui tutto il tempo previsto per portare a compimento la propria missione sulla Terra. Quindi, tra Marta e Maria è improponibile fare una distinzione sul grado di maggiore o minore importanza ma è bene riconoscere in entrambe una funzione necessaria e paritetica. Marta dà da mangiare allo scopo di rigenerare sempre il vitale, Maria spalma l’unguento per predisporre alla morte.

In altre parole, Marta che compra la cera e Maria che la consuma sono i due aspetti dell’anima umana, tutti e due sono irrinunciabili. Maria si serve dell’olio per preparare il corpo del Cristo alla decomposizione. Questi unguenti, sul corpo del Cristo, hanno l’effetto opposto: invece di conservare il suo corpo lo polverizzano. L’unzione innesca un processo di disgregazione molto più accelerato dell’inumazione di un corpo, è qualcosa di simile al bruciare un corpo; quando si effettua la cremazione tutto il sostrato di materia, di minerale, si disintegra nel calore e resta il fantoma puro. Il fantoma sono le forze formanti del corpo fisico. Rudolf Steiner dice che ogni essere umano, nel morire, offre alla Terra - la Terra ne ha bisogno, è per la Terra una delle componenti più importanti altrimenti sarebbe già morta da lungo tempo- tutte le forze formanti, della forma del corpo fisico, e attraverso queste forme dei fantomi degli esseri umani deceduti la Terra è in grado di conservare tutte le sue forme a partire dal minerale, alla pianta, all’animale fino all’umano.

Intervento. Scusa, ma se l’individuo dona il fantoma alla Terra, lui ne rimane privo?

Archiati. Lui non ne ha bisogno, lo ricostruisce quando ritorna sulla Terra. Il fantoma dell’uomo morto va in mano agli esseri della natura -le ondine, gli gnomi, le silfidi e le salamandre- che sono al servizio delle Gerarchie Spirituali. Questi esseri elementari si avvalgono di queste forze. Cosa fanno gli gnomi, come si orientano per formare le cose che formano? Guardano al fantoma umano perché ogni forma minerale, vegetale, animale esiste in vista dell’uomo. Adesso uso una metafora che però non è soltanto una metafora: se gli gnomi, le ondine, le silfidi e le salamandre non avessero come riferimento il fantoma del corpo umano non saprebbero cosa fare, che tipo di forme costruire.

Intervento. Di questo fantoma l’individuo non saprebbe cosa farne perché, come hai detto tu, lo ricostruisce nel periodo del “dopo morte”.

Archiati. Sì, lo ricostruisce quando è sulla via del ritorno sulla Terra.

Replica. Dopo la mezzanotte cosmica.

Archiati. Esatto, dopo la mezzanotte cosmica.

Intervento. Scusa, se ho capito bene stai dicendo che per l’evoluzione della Terra è meglio la cremazione del corpo fisico?

Archiati. No, per chi è morto non fa nessuna differenza e per l’evoluzione della Terra non fa differenza perché le forze del fantoma esulano subito dai resti nella tomba: si liberano. Quindi tra il cremare e l’inumare non esiste differenza sostanziale, è solo questione di tempo.

Intervento. Non credo che questo sia un pensiero di Steiner, non è Steiner che dice che è meglio la cremazione.

Archiati. Steiner dice ripetutamente che non fa nessuna differenza. Qualche antroposofo, forse, può aver detto che è meglio la cremazione.

Intervento. Mi era parso di aver letto da qualche parte che fosse meglio la cremazione e non ricordo la motivazione.

Intervento. E’ sempre stata importante la cremazione del corpo dell’uomo per la Terra anche prima della storia del Cristo?

Archiati. Il modo in cui viene trattato un cadavere è importante per l’evoluzione della coscienza umana. Prendiamo le mummie degli egiziani. Altro che inumare, altro che cremare, è proprio l’opposto, è l’intento di conservare non soltanto il fantoma, la forma, ma anche la materia minerale del corpo umano il più a lungo possibile. Cosa dice una lettura oggettiva di questo fenomeno? Che sono le prime avvisaglie del materialismo nell’umanità, è l’inizio dell’attaccamento assoluto al mondo della materia. In questo mummificare sono state immesse forze di morte tali che fino ad oggi, se uno non sta attento e respira l’aria -tra l’altro, i mantram che si cantavano durante le mummificazioni erano mantram da iniziati, per cui queste forze sono nell’aura di questa mummia- che circonda la mummia può avere un malore o morire. Tanti scienziati sono morti per aver inalato quell’aria. Domanda: il Cristo è stato cremato o inumato?

Dal pubblico. Inumato, così ci hanno detto.

Archiati. Tutti e due, e questo dimostra che non c’è differenza.

Intervento. Perché tutti e due?

Archiati. Dal punto di vista esterno è stato inumato, però poi si è polverizzato e questa polverizzazione corrisponde alla cremazione. Il Cristo non è stato bruciato però il processo di decomposizione non è stato meno veloce del cremare.

Intervento. Ma Lui ha fatto un’evoluzione naturale, invece il cremare è un forzare.

Archiati. Voglio dire che la velocità con cui è successa la polverizzazione dimostra che non esiste differenza.

Intervento. Dal naturale al provocato c’è una bella differenza.

Archiati. Voglio dire che nell’archetipo umano, se vuoi vederla come inumazione puoi chiamarla inumazione, se vuoi vederla come cremazione chiamala cremazione: è lo stesso.

Intervento. Maria, nel mettere questo unguento non sta forse accelerando il processo di decomposizione?

Archiati: Sì, e va nella direzione della cremazione.

Replica. Allora la cremazione viene vista come migliore.

Archiati. No, è lo stesso perché se fosse stata migliore l’avrebbero bruciato e avrebbe dovuto dire: “il mio corpo bruciatelo”. Se la cremazione è vista come oggettivamente migliore ed il suo corpo non viene bruciato non è più l’archetipo dell’umano.

Allora riprendiamo la lettura, riassumendo un po’. Abbiamo visto il Giuda che rappresenta l’attaccamento al denaro. Nel 12,9 vediamo come la folla sappia della ferma volontà di uccidere Gesù e non soltanto Gesù ma anche Lazzaro. Poi nei versetti 12 e 13 abbiamo potuto osservare il tipo di chiaroveggenza atavica presente nell’uomo quando manifesta la facoltà di riconoscere l’archetipo dell’umano e nel versetto 13 ne viene espresso il culminare: “Osanna al punto più alto!” L’evoluzione umana ha portato il vitale al punto sommo, è il momento ideale perché il Cristo compaia a consumare il vitale ed il senso di questa consumazione è la resurrezione dello spirito. Siamo al vertice supremo dello svolgimento del dato di natura. In questo punto fatidico, nel cosmo veniva espresso il segno zodiacale del Cancro, dove il Sole è posizionato al picco massimo e poi inverte la sua marcia. Come ricorderete, ultimamente vi avevo spiegato che la caratteristica del segno del Cancro è un’involuzione che poi si evolve, un ciclo che termina e poi ricomincia. La cosa più importante è che in questo cambiamento di rotta non ci sia una soluzione di continuità

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Questo spazio vuoto (rif. fig. sopra) è importantissimo perché in esso è contenuto, è espresso il passaggio dall’asina all’asinello. La scienza di oggi ha messo in piedi una teoria sull’ereditarietà in cui dichiara l’esistenza di una soluzione di continuità: tutto il patrimonio in dotazione dell’asina si trasferisce all’asinello. Steiner e il vangelo valutano quest’affermazione come del tutto priva di fondamento scientifico, ribadiscono che nulla viene tramandato, nulla viene ereditato.

La cosiddetta “fecondazione dell’uovo” consiste in una sorta di espulsione delle forze formanti presenti dentro all’ovulo (disegna un uovo rosso alla lavagna) e l’uovo fecondato diventa materia cosmica allo stato primigenio del caos. In esso non opera più alcuna legge formativa perché la funzione dello spermatozoo che vi penetra dentro è quella di caotizzare le forze formanti ad un punto tale da farle uscire tutte, così che l’uovo fecondato assuma quella caratteristica di verginità adatta a dare il via a una nuova edificazione. A che serve questa materia caotizzata?

A dare la possibilità all’Io Spirituale che s’incarna di immettere in quest’uovo le proprie forze formanti. Alla fine dell’ultimo incontro ci chiedevamo: se non c’è nessuna eredità che passa dalla mamma al bambino perché esiste la somiglianza fisica? Ricordate la risposta?

Intervento. Non ricordo la risposta però, secondo me, c’è la scelta dell’individuo che s’incarna di nascere da una certa coppia di genitori ed è anche vero che quella materia viene caotizzata in modo che quell’individualità la possa conformare, però nel materiale che l’individualità struttura c’è l’ereditarietà. E’ come se disfacesse una casa e ne utilizzasse i mattoni per ricostruire la sua casa ma i mattoni sono sempre gli stessi.

Archiati. No, stai attenta: questo non spiega la somiglianza fisica tra genitori e bambino perché i “mattoni” sono uguali in tutta l’umanità, anzi, la scienza biologica ci sta dimostrando che i mattoni diversi negli uomini sono pochissimi rispetto alla scimmia e a tanti animali. Quindi i “mattoni” sono uguali in tutta l’umanità.

Replica. Però sono combinati in modo diverso.

Archiati. Nella forma, sono formati. Le ultime scoperte della scienza, nel suo sforzo di sceverare il genoma, sono la conferma madornale di ciò che la Scienza dello Spirito di Steiner sta dicendo da quasi un secolo e cioè che la somiglianza fisica tra bambino e genitori sarebbe inspiegabile se ci si riferisse esclusivamente ai “mattoni” ma si troverebbe un senso in questa somiglianza se si vedesse un’affinità fra lo spirito del bambino -che non è un bambino ma ha millenni di evoluzione alle spalle- e lo spirito dei genitori. Questi individui hanno avuto un’evoluzione comune di influssi reciproci enorme e tale da ritrovarsi a condividere una certa quantità di tratti spirituali, e questi tratti spirituali simili strutturano la materia in un modo analogo. La somiglianza fisica è spiegata dalla somiglianza spirituale, dell’anima.

Replica. In altre vite stavano insieme.

Archiati. Pare proprio di sì, nelle altre vite hanno creato qualità e tratti animici comuni. Se voi pensate che stia raccontando baggianate o cose non scientifiche, fatevi sentire. Secondo me, le ricerche più aggiornate e diffuse dalla scienza moderna provano che il materiale, cioè i geni, le mattonelle ultime del biologico sono le stesse in tutta l’umanità.

Intervento. Ma se tutta l’umanità avesse gli stessi mattoni non esisterebbe il problema del rigetto nei trapianti di organi.

Archiati. Sarebbe come dire: siccome tutte le case hanno lo stesso tipo di mattoni allora la casa dovrebbe sorgere da sola.

Replica. Torniamo alla condizione umana: se tutte le cellule umane fossero uguali non ci sarebbe bisogno dei farmaci antirigetto.

Archiati. La conclusione che tu ne trai è sbagliata, stai attento, prendiamo il rene, che è un caso comune di trapianto, supponiamo che i mattoni di tutti i reni siano gli stessi…

Replica. Lo dice lei…

Intervento. Ma è il genoma non il rene cioè, a livello genetico, i mattoni genetici sono gli stessi tant’è vero che la differenza tra l’uomo e la scimmia è data da una finezza quasi invisibile.

Intervento. Lei ha detto che i mattoni, i genomi sono tutti uguali…

Archiati. M’interrompi senza farmi finire ciò che intendo dire. Allora, volevo partire da un presupposto per evitare di fare un discorso dogmatico. Supponiamo che sia vero che i mattoni sono sempre uguali, il fatto è che non sono i mattoni ad essere importanti e neanche la loro quantità, è la strutturazione che conta, cioè il modo di strutturarli, ed il modo di strutturarli è tutt’altra realtà.

Replica. Lei ha fatto un cerchio rosso sulla lavagna dicendo che lì dentro c’è la confusione e invece, secondo me, c’è l’ordine perché incominciano a formarsi.

Intervento. Dal concepimento in poi.

Archiati. Esatto, dal concepimento. Però tu stai rendendo il mio pensiero diverso da quello che ho espresso. Riprendo ciò che ho detto: prima della fecondazione, nell’uovo, c’erano le forze formanti dell’anima e dello spirito della madre, la fecondazione butta fuori queste forze.

Replica. La fecondazione comincia a creare: forse abbiamo dei punti di vista diversi.

Archiati. Lo spirito che s’incarna ha la possibilità di edificare in modo personalizzato questi mattoni soltanto se un altro smette di strutturarli a modo suo, e la fecondazione consiste nello smantellare la compagine preesistente. Il porre fine ad un certo tipo di conformazione è la condizione indispensabile affinché lo spirito che s’incarna possa cominciare a disporre i mattoni seguendo il suo criterio! Se da questa originale opera di strutturazione risulta una somiglianza con i genitori, questa testimonia che lo spirito e l’anima del neo-incarnato sono fortemente in sintonia con lo spirito e con l’anima di chi l’ha procreato. L’averli scelti come genitori è dovuto semplicemente al fatto che nella loro evoluzione si sono influenzati vicendevolmente a livelli molto profondi. Nessun essere umano può scegliere una donna come madre e un uomo come padre se non ha avuto con questa madre e questo padre una significativa evoluzione comune.

Intervento. Ma allora alla strutturazione genetica individuale concorrono anche la similitudine delle forze animiche e dello spirito, le quali causano, sul piano fisico, la somiglianza di strutturazione?

Archiati. E’ ciò che sto dicendo, è così difficile il pensiero?

Intervento. Ma se uno somiglia alla nonna?

Archiati. Ciò significa che nell’anima ha anche tratti comuni con la nonna. Dov’è il problema? Se fosse vero che l’eredità è esclusivamente un fattore materiale, come spieghi la somiglianza con la nonna? Non è la nonna a generare. Vedi che la somiglianza con la nonna dà di nuovo ragione a un modo alternativo di leggere le cose? Se la trasmissione di somiglianza avvenisse attraverso l’elemento materiale, la somiglianza con la nonna sarebbe esclusa perché non è lei a generare. Quindi, se uno pensa le cose con coerenza di pensiero trova, nei dati della scienza, conferma su tutta la linea di ciò che la Scienza dello Spirito dice. La Scienza dello Spirito non fa teorie, è scientifica, Steiner parla soltanto quando è sicuro del fatto suo.

Intervento. La somiglianza tra due gemelli?

Archiati. Esistono gemelli nati da due ovuli diversi oppure da un solo ovulo. Tu t’immagini che due spiriti umani scelgano di essere gemelli senza aver avuto un’evoluzione fortemente comune nel passato?

Intervento. Tra loro e non tanto con i genitori?

Archiati. Anche con i genitori perché sono genitori comuni, ma soprattutto tra loro.

Tutti i problemi che non abbiamo risolto oggi li risolveremo domani, dopodomani.

Sabato 21/02/2004. Mattina
vv. 12,15 – 12,24

Anche nella Terra c’è stata una svolta biologica, quindi tutte le forze della Terra devono aver avuto una prima parte in ascesa e nella seconda parte la Terra deve essere geologicamente già in fase di invecchiamento. Il culmine biologico della vita è a metà della vita, più o meno a 35 anni.

Le Ere geologiche della Terra. Steiner chiama le Ere geologiche secondo quest’ordine di tempo:

I. Polare

II. Iperborea

III. Lemurica

IV. Atlantidea

V. Postatlantica

VI.

VII.

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Fig. 1

L’epoca Atlantidea è al centro. Il quattro è sempre al centro. Ogni tipo di evoluzione lo si capisce meglio mettendo alla base il numero 7 perché, come abbiamo detto, dove c’è evoluzione alla metà c’è sempre un’inversione di marcia e le due metà devono essere uguali. Perché troviamo il numero 7 (scomponibile in 3-1-3) e non il 9 (4-1-4)? Hegel o gli scolastici direbbero: “Omne trinum est perfectum”. Quando io ho tre passi: tesi, antitesi e sintesi, è sufficiente, dopo comincio a ripetermi. Dopo il primo, il secondo e il terzo periodo ho la svolta -quarto- e poi proseguo col quinto, sesto e settimo. Ogni tipo di evoluzione è meglio comprensibile se strutturata col sette. L’Apocalisse, che riguarda l’evoluzione umana e cosmica, è tutta fondata sul sette. Fino alla svolta geologica c’era stata una crescita dal punto di vista del vitale, saltavano sempre fuori nuovi tipi di piante fino alla betulla, sorta poco prima della svolta. Betulà in ebraico significa “vergine”, dopo la betulla non sono più sorti alberi da fusto perché la Terra ha smesso di essere vitale, ha cominciato ad invecchiare. La metà geologica dell’evoluzione della Terra è nell’epoca Atlantidea.

Noi adesso ci troviamo nella quinta Epoca, nella Postatlantica. Come mai la svolta della coscienza, il fenomeno Cristo, è avvenuta un colpo dopo, nel quinto? Perché la coscienza può raggiungere il suo culmine solo dopo che il vitale blocca la sua ascesa. In ciascuna delle ere geologiche sopra menzionate abbiamo sette “sottoperiodi”.

Nell’Epoca Postatlantica abbiamo quindi i periodi:

1. Indiano

2. Persiano

3. Egizio-Caldaico

4. Greco-Latino

5. attuale

6. Filadelfia

7. Laodicea

Nel periodo Greco-Latino (quarto) si ha il fenomeno di svolta: il vitale, il geologico, il biologico declinano a favore dell’evoluzione della coscienza. Noi ora stiamo vivendo nel quinto periodo.

Che differenza c’è fra il quarto e il quinto periodo? Nel quarto periodo avviene la svolta della coscienza e nel quinto periodo l’individuo acquisisce e consolida la capacità di capire questo fenomeno di svolta attraverso l’esercizio del pensiero, attività che coinvolge principalmente la testa. Nel sesto periodo l’uomo matura ed estende questa consapevolezza dal capo al cuore, dove sono attive le forze del sentimento. Nel settimo periodo l’individuo raggiunge la pienezza di tutte le sue facoltà e porta questa coscienza dalla testa e dal cuore alla volitività -riscontrabile, a livello fisico, nel movimento degli arti-, dove si traduce in azioni amorevoli rivolte a tutti gli esseri viventi.

Intervento. Cosa abbiamo nel sette?

Archiati. Pensiero, sentimento volontà e azioni; non imparo a memoria le frasi che dico.

Ieri sera stavo commentando il versetto 12,12-13-14. Dicevo: “Osanna nel più alto” nel senso che, se prendiamo adesso l’evoluzione della coscienza, questo punto più alto è sempre la svolta tra l’eteronomia e l’autonomia, la conduzione dal di fuori e la conduzione dal di dentro, tra subordinazione e libertà. Si potrebbe fare la domanda: perché l’emancipazione viene preceduta dalla dipendenza? Dipendenza, in effetti, è una categoria appesantita dall’atteggiamento moraleggiante a cui viene facilmente collegata; se la alleggerissimo da questa veste moralistica, troveremmo nella parola dipendenza il presupposto, lo strumento basilare per realizzare l’autonomia. Il tempo di preparazione alla libertà è il tempo in cui ci si munisce di tutti i requisiti indispensabili a conseguire l’autonomia.

Un’emancipazione interiore senza condizioni, senza strumenti non esiste. Mi viene in mente un esempio concreto di uno strumento necessario -sine qua non- per l’autonomia, ed è il corpo. Come faccio a pensare, ad amare e a volere autonomamente senza il mio involucro fisico? E il corpo non salta fuori così, casualmente, prima di pervenire alla sua definitiva strutturazione occorrono millenni. La costruzione del corpo, che precede l’autonomia del pensiero e dello spirito, è la pedagogia; pedagogia significa creare tutti gli organi necessari all’autonomia. E la formazione, la messa a punto, l’organizzazione di questi strumenti non è qualcosa che si possa improvvisare in quattro e quattr’otto. Nella prima metà del percorso evolutivo si costruiscono gradualmente tutti i mezzi necessari per la libertà individuale e la seconda metà è il terreno fertile per l’apprendimento, l’esercizio, della libertà individuale.

Perciò dicevo che il senso della pedagogia è l’autonomia. E siccome qui, nel vangelo, ci troviamo di fronte ai fenomeni archetipici dell’umano, le persone che vivono l’umano puro e semplice - da cui escludiamo i giudei in quanto già inquinati in una certa direzione di identità di popolo- avvertono in questo Cristo la svolta. Il modo in cui agisce e parla il Cristo non è più di soverchiamento, non è più di indottrinamento, non è più di imposizioni secondo cui uno deve, deve, deve, ma parla in un modo tale da esaltare l’essere umano, così che il popolo spontaneamente dice: “Osanna nel più alto”! Questo è il culmine e adesso avviene la svolta, comincia la seconda parte dell’evoluzione: la conquista dell’autonomia da parte del singolo.

Nel 12,14 il Cristo traduce questa svolta nel passaggio dall’asina all’asinello e qui ci siamo fermati ieri sera quando io dicevo che nel passaggio dall’asina all’asinello la generazione non è di continuità ma è una discontinuità assoluta, è un’inversione di marcia. Nell’uovo fecondato dell’asina, ma anche degli esseri umani, le forze formanti -la scienza che studia il genoma le chiama “geni”-, le ultime particelle di materia che il greco chiamava “caos” prendono corpo in un “kosmoV" (cosmos), da cui deriva la cosmetica che è mettere ordine nel caos. In che modo metto ordine in un mucchio di mattoni?

Intervento. Uno alla volta.

Archiati. Pensaci bene, prima devo avere l’idea di cosa voglio fare: voglio dargli la forma. A che mi serve un mattone alla volta se non so come voglio impiegarlo? E cos’è la forma? E’ una creazione del pensiero, è una creazione dello spirito. La scienza moderna è di matrice materiale perché era previsto che l’umanità dovesse perdere di vista la dimensione spirituale, e pensate che questa chiusura ai mondi spirituali sia stato un male per l’umanità?

Intervento. Era necessario.

Archiati. Necessario a cosa?

Intervento. Ad essere riconquistato coscientemente, liberamente, individualmente.

Archiati. E questo mi dà la possibilità di godermelo molto di più che se la pappa mi venga data bella e pronta, l’autonomia del singolo è puro godimento, non facciamone un dovere. Se l’umanità ha perso di vista lo spirituale, il riconquistarlo non è soltanto un dovere morale dell’individuo: o ne fa il suo godimento o sennò non ha senso. Per dare all’individuo la gioia, il godimento di ritrovare a modo suo, liberamente, per creazione propria tutta la realtà spirituale, questa realtà spirituale doveva sparire nella forma pedagogica in cui veniva trasmessa, cioè data per dogmi, per tradizioni. Quindi, sarebbe scorretto parlare male del materialismo, si tratta di realizzarne il senso del tutto positivo. Però dobbiamo anche ammettere che la scienza naturale degli ultimi secoli è di stampo chiaramente materialistico, tant’è vero che persone -in Italia, in Germania e in altri paesi- fior di pensatori, di scienziati quando vengono toccati argomenti che esulano dal materiale, si mostrano incapaci di reggerli. Ieri sera facevamo questo esercizio in cui dicevamo che le mattonelle sono pressoché le stesse nella scimmia e nell’essere umano, sostenevamo che la differenza è del tutto negligeable, trascurabile. La differenza tra l’uomo e la scimmia non può essere ricercata nel sostrato materiale, nella composizione organica, ma va ascritta al fattore pensante cioè all’organo spirituale effettivamente responsabile della strutturazione di queste mattonelle ed ecco che tutte le teorie improntate su una visione materialistica del fenomeno, crollano. Il pensiero non è un ingranaggio meccanico, è per lo scienziato moderno qualcosa di inafferrabile di cui non capisce niente e quindi si perde.

12,15. “Non temere, figlia di Sion ecco il tuo re viene seduto sull’asinello”

Il Cristo non è seduto sull’asina, sul genitore perché il genitore rappresenta la prima parte dell’evoluzione. In questo momento cruciale c’è un vuoto transizionale, un caos. Questa sostanza caotizzata -che permette il passaggio evolutivo dall’asina all’asinello- è terreno fertile per il subentrare di ogni nuova creazione. Da qui si evince che ogni nascita è un ripartire dal caos, è una creazione dal nulla.

L’uovo materno diventa materia del tutto caotica affinché lo spirito prossimo all’incarnazione possa immettervi i suoi pensieri formanti. Questo strutturare le mattonelle, a partire dai suoi pensieri formanti, è una creazione dal nulla, ma non dal nulla in senso metafisico astratto, le mattonelle ci sono concretamente. Però per un’umanità non materialistica, diversa da quella attuale, le mattonelle in attesa di essere strutturate dalla forza formante del pensiero erano il nulla dello spirito! Questo intendevano dire nel passato quando parlavano del nulla: che di spirito non c’è nulla! E lo spirito entra dentro cominciando a mettere ordine. Quindi, la dicitura “creazione dal nulla” ci rivela che per un’umanità più antica lo spirito era la realtà, la materia era il nulla, ma non intendevano il nulla metafisico assoluto, intendevano il nulla dello spirito. Ogni nascita è una creazione dal nulla nel senso che bisogna nullificare, annientare dentro alla sostanza dell’uovo tutto ciò di “non materia” che, come forza formante proveniente dai genitori, dà una certa struttura.

L’estromissione dall’ovulo dello spirito del genitore porta la sostanza in esso contenuta allo stato caotico primordiale e offre allo spirito che s’incarna la possibilità di imprimere a questo stato caotico i tratti del suo proprio spirito. E se nel suo spirito e nella sua anima ha tratti somatici simili a quelli dei suoi nonni o dei suoi genitori, questi tratti affioreranno nel corpo fisico come conseguenza di quella analogia animica e spirituale, non per ereditarietà. Sarebbe come dire che l’intelligenza si eredita, che passa dal papà al figlio o dalla madre al figlio.

Intervento. Molti scienziati la pensano così.

Archiati. Allora prendi come esempio il figlio di Goethe: cosa gli è passato ereditariamente? Neanche un frammento!

Intervento. E le malattie ereditarie?

Archiati. Si chiamano ereditarie ma non esiste nulla di ereditario, sono stati comuni nell’anima e nello spirito che hanno come conseguenza delle somiglianze fisiche ma l’origine di tali similitudini sta sempre nello spirito.

Intervento Scusa Pietro, questo spirito che forma le mattonelle a sua immagine è l’Io individuale o è un aiuto delle gerarchie? Perché se io a tre anni dico che sono un Io: dove sta questo spirito quando è … (incomprensibile) alla materia?

Archiati. Tu a tre anni non cominci ad essere un Io, tu lo eri già da millenni, a tre anni cominci ad avere la coscienza di essere un Io.

Replica. E come fa questo spirito a formare tutto da solo?

Archiati. Io non ho mai detto che lo fa da solo!

Replica. Quindi c’è la partecipazione di qualche Gerarchia, o no?

Archiati. La vuoi escludere?

Replica. No, non la voglio escludere voglio solo capire se è soltanto l’individuo…

Archiati. Il problema è che sei partita dicendo che l’uno esclude l’altro.

Replica. No.

Archiati. E allora mettili insieme tutti e due. Poniamo che tu, da persona intelligente -tutti siamo persone intelligenti- muoia, sia già morta, non mi riferisco a questa vita ma alla tua precedente incarnazione. Partiamo dal presupposto che la Grazia Divina -parlo per i cattolici- sia così abbondante, viene da chiedersi: perché allora dovrebbe essere così tirchia da dare allo spirito umano solo una possibilità di incarnazione? Supponiamo che il senso dell’evoluzione sia che lo spirito di ciascuno di noi si responsabilizzi e accompagni lui stesso tutta l’evoluzione dall’inizio alla fine. Tu, l’ultima volta che sei morta sei andata nel mondo spirituale, hai tirato il bilancio della tua vita passata, hai trovato che alcune cose erano in ordine ma non tutte -altrimenti saresti perfetta e non saresti qui, saresti tra gli Angeli-, allora hai detto a te stessa: “Ora ritorno sulla Terra, ho capito bene cosa ho già fatto, ho capito cosa mi manca e che ho ancora tante cose da fare, ad esempio, mentre ero quassù tra le nuvole è spuntato fuori quel fenomeno di Rudolf Steiner che ha scatenato un putiferio tale da farmi venire la voglia di tornare giù a dare il mio contributo concretamente”!

Adesso tu vorresti ipotizzare che mentre stavi preparando questo ritorno sulla Terra -questa vita che stai vivendo- non avevi bisogno di nessuno che ti aiutasse? Quando per secoli hai visto questi Angeli, Arcangeli, che hanno una coscienza molto più sviluppata della tua? Pensi che loro ti aiutino in modo da trattarti da bambino? Vedi che i conti tornano? Se sono intelligenti ti aiutano a diventare sempre più autonomo! Gli Angeli, gli Arcangeli, nell’aiutarci a preparare la vita successiva non ci mortificano, ci danno un tipo di sostegno pedagogico che ci apre sempre di più la coscienza all’essenza delle cose.

L’amore universale è la pedagogia universale che rende ogni spirito sempre più autonomo. Il punto infimo dell’autonomia, l’inizio dell’autonomia è il livello umano, il primo gradino della vera autonomia sono gli Angeli, il secondo gradino di un’autonomia ancora più elevata sono gli Arcangeli, il terzo gradino di un’autonomia ancora più vasta sono i Principati e così via.

Sto dicendo baggianate o si capisce? Ognuno può arrivarci, basta pensarle le cose. Quando tu costruisci questi processi di pensiero non hai bisogno dell’assistenza del guru Archiati. Il mio mestiere è quello di stimolare, di provocare la tua capacità pensante con l’intento di dimostrarti che anche tu, da te stessa, puoi seguire il medesimo processo di pensiero ed arrivare a capire. Io cerco di esprimere i pensieri in un modo che tu realizzi che ci potevi arrivare anche da sola. Se tu trovi il coraggio di usare la tua testa, di farla funzionare per conto tuo allora ho raggiunto il mio obiettivo. E’ ora che impariamo a dire le cose più scontate perché a furia di complicare le cose non ci capiamo più nulla. L’umanità è piena di teste imbambolate, di dogmi, l’individuo è subissato da nozioni da imparare ma il suo proprio processo di pensiero è atrofizzato. Quindi il succo del vangelo di Giovanni, il discorso del Cristo sta in questo: “Usa la tua testa”! L’essenza del Cristo è puro amore all’individuo! Perché finché non impari ad usare la tua testa sarai in balia di tutto quello che c’è fuori.

Intervento. Gli Angeli e gli Arcangeli ci aiutano ma anche noi possiamo aiutare loro rispetto ai mondi superiori o no?

Archiati. Perché no? Io sono un quarto di Socrate, non sono al livello di Socrate, però non m’interessa buttarti lì una bella pappardella pronta perché sarebbe mia; la mia arte è di ributtarti la palla in modo che tu la ripigli. Adesso tu mi hai portato l’esempio del nostro rapporto con gli Angeli e con gli Arcangeli: è un po’ aereo perché noi non li vediamo. Trovami un’analogia esperienziale alla portata di tutti. Un’analogia potrebbe essere quella del bambino piccolo con i genitori: il bambino piccolo è come l’uomo ed i genitori sono come l’Angelo e l’Arcangelo; il papà equivale all’Angelo e la mamma all’Arcangelo.

(Risate)

Archiati. In fatto di amore, intendiamoci. Ho dovuto dirlo perché le donne sono in maggioranza qui e conto sulla solidarietà dei maschi. Se non diamo alle donne nessun altro contentino, almeno diamo loro questo.

(Risate)

Archiati. Però tu hai posto una domanda di questo genere: è anche il bambino in grado di aiutare i genitori? Come rispondi a questa domanda?

Intervento. Sì.

Archiati. Non mi basta un semplice sì, in che modo avviene questo aiuto?

E’ il bambino che dà ai genitori la possibilità di crescere nell’amore e in altre cose, se non ci fosse il bambino loro non potrebbero essere genitori, l’essere genitori glielo dà il bambino. Che aiuto ha da me il mio Angelo custode? Che se non ci fosse il suo custodito lui non potrebbe essere Angelo custode! Ma lui lo sa, mica è scemo.

Torniamo al vangelo. Vi anticipo che nel tredicesimo capitolo il Cristo, il Redentore, lava i piedi; cosa dice a proposito di questo lavaggio dei piedi, come lo interpreta? Egli dice: “Se non ci fosse un’umanità bisognosa di redenzione io non potrei essere il Redentore”, dice: “A voi uomini devo il fatto di essere il Redentore”. Il Cristo diventa grato all’umanità che gli dà la possibilità di redimerla. Come potrebbe lui diventare il Redentore se non ci fosse un’umanità da redimere? L’Angelo custode lava i piedi all’essere umano perché è come se gli dicesse: “Caro essere umano, se tu non ci fossi io non potrei essere l’Angelo custode, non avrei nulla da custodire”. E in questo custodire si evolve l’Angelo. Io non sto dicendo che faccia soltanto quello. Di cosa facciano gli Angeli possiamo sapere qualcosina, di riflesso, limitatamente al loro interagire con noi, se poi hanno altre attività se le sbrigheranno loro, noi siamo già abbastanza affaccendati ad occuparci dell’umano.

Ritornando alla tua domanda sugli Esseri delle Gerarchie spirituali vorrei dire che quando gli interrogativi si basano su cose astratte bisogna fermarsi, altrimenti si comincia a speculare a vuoto. Bisogna riferirsi al dato di percezione, al dato di esperienza, solo calandomi nel concreto imparo che il contributo di un essere più progredito alla crescita di un essere meno progredito non esclude che possa verificarsi anche il contrario: l’evoluzione è uno scambio reciproco a tutti i livelli, come in un organismo.

12, 16. “Queste cose i suoi discepoli non capivano di primo acchito ma dopo che Gesù risuscitò si ricordarono di queste cose

“Queste cose i suoi discepoli non capivano, non sapevano di primo acchito (to prwton, to proton) ma dopo che Gesù risuscitò si ricordarono di queste cose”.

Quando le cose avvengono, il fenomeno biologico non può essere contemporaneamente un fenomeno e un numeno, direbbe Immanuel Kant. Prima ci vuole il fenomeno, la percezione, e dopo, in base alla percezione creo il concetto. Nella svolta il Cristo, con l’asinello, pone i fenomeni fondamentali che sono le percezioni, e nel testo viene detto che i discepoli allora non capirono.

In questo versetto c’è la struttura conoscitiva del rapporto tra percezione e concetto e lo leggete anche nella Filosofia della libertà di Steiner che la percezione precede il concetto (prwton, proton, fa prima).

I discepoli non capirono queste cose quando si squadernò davanti ai loro occhi la percezione perché ci dovevano pensare, ed il pensiero viene espresso simbolicamente nella resurrezione. Il mondo percepibile è la morte dello spirito, per dare allo spirito la possibilità di risorgere nel concetto. “…queste cose non le capirono nell’istante -to prwton, to proton- in cui accaddero, come percezione, ma quando Gesù fu glorificato -edoxasqh, edoxàsthe-. Doxa (Doxa) è l’aura spirituale; uno dei fenomeni fondamentali di “doxa” è il concetto che illumina la percezione. Qui ho la percezione di asina ed asinello, del Cristo che si mette sull’asinello e non sull’asina, li capisco d’acchito? No, la percezione non mi dà il capire. Il glorificare Gesù significa che accanto ad ogni percezione devo metterci la comprensione, il concetto, i pensieri. Ecco la doxa: i concetti, l’interpretazione pensante.

Finché resto alla percezione vedo che c’è un'asina, un asinello ed uno che sta sopra. Quindi qual è l’esperienza quotidiana di morte e di resurrezione? La morte dello spirito è la percezione, la resurrezione dello spirito è il concetto. Qual è la provenienza del concetto? Lo si deve ad un fattore ereditario? Mi viene trasmesso automaticamente, insieme alla percezione? Se noi qui vedessimo un’asina, un asinello ed una persona seduta sull’asinello la percezione sarebbe uguale per tutti, significa questo che anche l’interpretazione pensante sarebbe uguale per tutti? Come vedete è il pensiero a dare la forma, a dare un’interpretazione, è una nuova creazione che l’uomo apporta; ognuno la realizza in un modo diverso, così come la materia caotizzata dell’ovulo femminile ciascuno la modella a modo suo, a seconda del suo spirito. Cosa succederebbe se il vangelo ci dicesse che le persone capirono subito le percezioni?

Intervento. Che erano più elevati.

Archiati. No, significa che erano ancora bambini incapaci di aggiungere, in proprio, il concetto alla percezione. In altre parole, “capirono subito” significa che ricevettero non soltanto la percezione ma, per rivelazione o per tradizione, anche l’interpretazione. “Non capirono subito” significa che nessuna rivelazione, nessuna tradizione ti interpreta la percezione, viene lasciato a te di ricavarne il concetto corrispondente. Queste cose sono tutte riportate in questo versetto, tutto qui, io vi sto soltanto traducendo dal greco.

Intervento. Scusa Pietro, ma qui non ci capiamo perché ognuno ha la sua rappresentazione per cui…non ci capiamo e allora come facciamo?

Archiati. Io ho parlato di tutto fuorché di rappresentazione.

Replica. Sì, però tu hai detto che l’asinello con sopra la persona è una percezione uguale per tutti ma che il concetto è una questione individuale.

Archiati. Ho parlato di concetto e di percezione non di rappresentazione e tu mi tiri fuori giusto quello di cui non ho parlato, vedi che bari?

Replica. Io volevo capire come mai tutti abbiamo un concetto diverso.

Archiati. No, lo dici tu. Abbiamo rappresentazioni diverse. Ci sono due possibili concetti diversi di asino?

Intervento. No, però io penso ad un asino e un altro pensa ad un altro asino.

Archiati. Quella è la percezione di asino ma l’asino è l’asino, il concetto è uno solo. Quando faremo la Filosofia della Libertà, allora sì…

Adesso aiutatemi facendo silenzio per almeno tre quarti d’ora finché finisco il capitolo…finisco il versetto 12,17 dài …io sono venuto dalla Germania per iniziare dal versetto 17, voi mi avete frenato e adesso ci rifacciamo.

(Risata)

Archiati. Le parole “quando Gesù fu glorificato” vanno capite, vanno tradotte, interpretate correttamente.

12,17.La folla dette testimonianza su di Lui che Lui aveva chiamato Lazzaro fuori dal selpolcro e lo aveva risvegliato dai morti”

Quando si parla di folla, si tratta sempre dell’umano comune a tutti. Se si parlasse dei giudei ci si riferirebbe solamente ad un certo gruppo invece nella folla si esprime ciò che tutti abbiamo in comune come esseri umani.

“…La folla dette testimonianza -emarturei, emartùrei- su di Lui -quindi la folla testimonia del Cristo- che Lui aveva risuscitato Lazzaro dai morti”. “La folla che era con Lui dette testimonianza che Lui aveva chiamato Lazzaro fuori dal sepolcro e lo aveva risvegliato dai morti”.

Essere uomo significa testimoniare che l’inabitazione del Logos -quello che noi chiamiamo il Cristo, però il Cristo non può testimoniare- , l’inabitazione dell’Io Sono in ogni uomo risuscita i morti. E come dò testimonianza io del risveglio dallo stato di morte? Lo stato di morte è il dipendere in tutto e per tutto dal biologico -morte dello spirito- mentre testimoniare la resurrezione significa invertire il corso dell’evoluzione, cioè fare del biologico uno strumento per la creazione dello spirito. Cosa è avvenuto nel risveglio di Lazzaro? Ciò che gli esseri umani chiamano morte è l’opposto della morte. Se uno si fissa sulla materia, la materia deperisce ma non è quella la morte. Il decomporsi della materia è soltanto il presupposto, la conditio sine qua non, per il risorgere dello spirito.

Intervento. Perché risorgere dello spirito?

Archiati. Risorgere significa venire a vita, manifestare la vita dello spirito. Tu adesso stai cercando di capire qualcosa, supponiamo che tu l’afferri e dica: “Ah, ci sono!” Quell’aver capito è il concetto di resurrezione dello spirito. La comprensione di qualcosa può avvenire soltanto mortificando un frammento di forze vitali nel mondo della materia. Ogni processo di coscienza è un attingere alle forze vitali e allora questo consumare forze vitali è morte o è vita? Vista soltanto dalla parte della materia è morte ma la folla -la quale testimonia che il Cristo ha fatto risorgere lo spirito dalla morte della materia- ci indica come ogni essere umano, in quanto essere umano, ha un organo di percezione in grado di comprendere questo mistero altrimenti non sarebbe uomo. La folla, cioè l’essere umano, testimonia che il senso di ogni morte è il risorgere dello spirito e se non facesse sua questa legge fondamentale non sarebbe un essere umano.

12,18. “Per questo la folla gli andò incontro, perché avevano udito che Lui aveva compiuto questo segno

La folla cerca questa eterna transizione tra morire al mondo della materia per rinascere in continuazione agli intuiti, alle comprensioni, alla coscienza che illumina lo spirito. Essere uomini è portare in sé l’anelito alla resurrezione dello spirito, a far sprigionare da ogni percezione il concetto, a trasformare ogni frammento di egoismo in amore, ad individuare nell’egoismo la morte dell’Io e nell’amore la resurrezione dell’Io.

12,19. “I farisei dicevano fra loro: “Ma non vedete che non approdate a nulla, che tutta la folla gli va dietro?”

Vediamo la folla, che rappresenta l’umano, la semplicità della natura umana e, in un certo senso, l’aspirazione, la chiamata evolutiva della natura umana a far sprigionare sempre più spirito, soprattutto in chiave individuale. I farisei invece non sono uomini semplici ma sono uomini con un intento, un interesse di potere. La differenza tra queste due categorie è che la folla rappresenta gli uomini semplici, la natura umana nella sua purezza, mentre i farisei dicono: “Ahò, tutti gli corrono dietro a questo Gesù, qui rischiamo di perdere le nostre comode seggioline”! Qual è la preoccupazione, il valore fondamentale dei farisei? Hanno paura di perdere la loro posizione sociale e quindi non hanno la possibilità di vivere la loro natura umana perché sulla loro natura umana hanno posto un intento di potere che è estraneo alla natura umana. Tra di loro i farisei dicono: “Ma non vi rendete conto che se non l’acchiappiamo non raggiungiamo niente”? Fino ad allora avevano tentennato a catturarlo perché temevano le reazioni della gente ma a questo punto sono arrivati alla determinazione che finché il Cristo circola liberamente la gente lo seguirà, e loro rischiano di perdere potere.

Cosa ci dice questo frammento del fenomeno dell’umano? Che ogni essere umano si trova sempre nella scelta tra la posizione che qui viene chiamata “la folla” e la posizione che qui viene chiamata “farisei”. Prendiamo la categoria folla che simboleggia l’umano puro e semplice non nel senso di evolutivamente perfetto ma nel senso di potenzialità evolutiva in assoluto. Tutte queste categorie espresse nel vangelo vanno tradotte, dobbiamo interpretarle e capirle altrimenti non servono a nulla. Il fariseo -da cui deriva la parola italiana “farisaico”- è l’uomo non genuinamente umano ma viziato da un interesse di potere, con una posizione da difendere. Il fariseo è l’uomo che oltre ad essere uomo ha una posizione da difendere ed è costretto, in ciò che dice e fa, a dire e a fare in vista della preservazione della sua posizione, e quindi si preclude la possibilità di essere aperto all’umano.

Il vangelo ci dice che essere uomini significa dover sempre scegliere, ci dice: “Guarda che se vuoi mantenere il tuo umano allo stato puro devi stare attento a non avere mai nulla da difendere perché nel momento in cui hai qualcosa da proteggere sei costretto a scendere a compromessi per paura di perderla”! L’unico modo di essere veramente umani è non essere proprietari di nulla.

Intervento. Non avere proprio nulla?

Archiati. O tutto. Una delle categorie del materialismo è il possesso, ma il possesso è una categoria inquinata, mal pensata; per avere una cosa non ho bisogno di possederla, quando possiedo una cosa ce l’ho al minimo perché ho sempre paura che me la portino via. Il Sole io ce l’ho in grado sommo perché non ho bisogno di possederlo e nessuno me lo può portar via. E allora il materialismo è la caduta infima dell’essere umano che può godere soltanto ciò che possiede e non può godere ciò che ha, perché ciò che ha ce l’hanno tutti e questo non gli dà gioia. Gli procura gioia soltanto ciò che porta via agli altri: la proprietà privata! Il godimento della proprietà privata non consiste nel fatto che sia mia ma nel fatto che sia inaccessibile agli altri.

Intervento. Che cattiveria!

Archiati. Ma è vero. Perché non godo il Sole? Perché non posso dire che non è degli altri. Eppure il Sole è mio, quando vado alla spiaggia il Sole è ben mio. Quindi il concetto materialistico di proprietà privata è la povertà ultima dello spirito che può godere soltanto ciò che porta via agli altri, il che significa che si è capaci di godere soltanto lo scannarsi a vicenda. Ed è vero, non sto esagerando. Trovare queste categorie dell’umano nel vangelo di Giovanni in un modo così scientifico è qualcosa di bellissimo, che riempie di gioia, è come una partitura che abbraccia tutto, solo che finora si è capito poco, i primi duemila anni del cristianesimo erano l’infanzia del cristianesimo.

Intervento. Scusa, si può dire anche che l’uomo goda di ciò che porta via alla natura?

Archiati. Certo, una rosa finché resta in natura la possono godere tutti, perché la porto via? Perché voglio goderla solo io, sempre e quando voglio.

Intervento. Quindi anche lo sfruttare la natura.

Archiati. Certo, sono tutti frammenti della caduta che va redenta, il senso della caduta è la redenzione. Se tu arrivi sul posto mezz’ora dopo che l’altro ha portato via la rosa, che esperienza fai interiormente? Di esserne stato privato.

Replica. Mi dispiace per la rosa.

Archiati. Ma anche per te stessa perché non puoi più goderne.

Intervento. Infatti dal momento che qualcuno la toglie, la rosa deperisce.

Archiati. La rosa comincia a sfiorire.

Adesso arriva a proposito il versetto in cui si dice che chi dà la propria anima la salva e chi la tiene la perde.

Allora riprendiamo, nel versetto 12,19 i farisei dicono che se non fanno qualcosa il popolo andrà dietro al Cristo. Perché non piace ai farisei che il popolo vada dietro al Cristo? Perché scappa via da loro e coloro che vanno dietro a Lui non faranno più parte del seguito dei farisei, trattano la gente come fosse loro proprietà privata, esclusiva. La sottolineatura non sta tanto nel fatto che una cosa sia mia quanto nel fatto che l’altro non ci possa mettere le mani, è quello il piacere supremo, un godimento perverso, se uno vuole essere onesto fino in fondo.

Dal versetto 12,20 in poi c’è un cambiamento di registro perché subentrano i greci -EllhneV, Ellenès-. I greci rappresentano lo stadio di coscienza del quarto sottoperiodo di cultura -Greco /Latino-.

Riassumendo, duemila anni fa c’erano due matrici fondamentali di coscienza: i pagani, rappresentati dai greci, e gli ebrei. Tante conferenze di Steiner esprimono questo fenomeno duplice che sfocia nel cristianesimo. L’ultima preparazione all’irrompere del Logos nella Terra è stata in campo intellettuale la filosofia greca (testa) e in campo morale la Legge Mosaica (popolo ebraico). Il fenomeno greco è la preparazione, la propedeutica intellettuale all’irrompere del Logos nell’umanità. Senza la filosofia greca non ci sarebbe stata la possibilità di capire quello che il Cristo ha portato, però il Logos non è soltanto un evento intellettuale ma è parimenti un evento morale che riassume l’evoluzione del bene e del male.

Nella cultura greca, soprattutto se leggiamo l’Iliade e l’Odissea, vediamo che il bene e il male morale non esistono, ogni essere è così com’è, esiste soltanto natura. Giove, ad esempio, si mette con una donna, poi con un’altra e con un’altra ancora, è fatto così e Omero mica ci dice che fa bene o che fa male, ci dice che è fatto così, che fa figli con l’una e con l’altra dando retta alla sua inclinazione del momento. Il bene e il male comincia a comparire -seppure in sordina- nei filosofi come Platone, Socrate e altri; invece il fenomeno giudaico è fondato interamente sull’elemento morale, la Legge Mosaica dice: se fai così vai bene e se fai così vai male.

In questo periodo di Pasqua di cui narra il vangelo -bisogna tenere presente che il mondo procede con una certa lentezza- c’è una parte di persone che comincia ad avere sentore che nel moralismo giudaico c'è un elemento di universalità. Tanto nel campo intellettuale quanto nel campo morale è riscontrabile un livello di universalità, valido per l’intera umanità. I greci intuivano che così come loro rappresentavano l’universalità del pensiero altrettanto i giudei rappresentavano l’universalità, destinata a diffondersi in tutta l’umanità, del fattore morale.

Nel vangelo di Giovanni, sei giorni prima della morte del Cristo, avviene un incontro tra i greci -EllhneV, Ellenès- ed il Cristo. Anche questo è un incontro archetipico: il pensatore -i greci- incontra il Logos, incontra l’Io Sono -il Cristo- la cui essenza corporea è sorta non per ereditarietà ma perché, Lui stesso, si è costruito un corpo ebraico adatto a svolgere la funzione di “Cristoforo” (portatore del Cristo), quello di Gesù di Nazareth. Che esperienza faranno questi greci col Cristo che è estraneo a loro? Nella percezione gli è estraneo perché è un giudeo, però il greco non è l’esperto della percezione ma è l’esperto del concetto e, dicevamo prima, il concetto non è diverso in ogni persona. Allora vediamo parola per parola cosa salta fuori.

12,20. “C’erano alcuni greci tra coloro che erano saliti affinché adorassero il divino nella festa della Pasqua”

Coloro di cui si parla in questo versetto erano uomini ereditariamente greci che però, come spiriti umani, avevano trovato l’accesso alla Torà, cioè avevano compreso l’universalità umana non soltanto del loro elemento greco ma anche dell’elemento giudaico e quindi partecipano alla festa della Pasqua, vanno a Gerusalemme. Vedete che il cosmopolitismo non è stato portato soltanto dal cristianesimo? Se c’erano degli esseri umani aperti all’umano universale erano anch’essi capaci, anche se erano greci, di andare a celebrare la Pasqua a Gerusalemme. Con questo s’intende che la Pasqua non era di competenza esclusiva dei giudei in quanto sangue, in quanto biologia, ma al mistero della Pasqua può partecipare ogni essere umano. “C’erano dei greci tra coloro che erano saliti affinché adorassero il Divino nella festa della Pasqua” affinché facessero un’esperienza di venerazione di ciò che è divino nella natura umana.

12,21.Costoro andarono da Filippo che viene da Betsaida della Galilea e gli chiesero dicendo: “Signore, noi vogliamo vedere Gesù”

Perché i greci non vanno esplicitamente dal Cristo? E perché esprimono la richiesta di volerlo vedere e non sembrano propensi a parlargli direttamente? I greci cercano la percezione, e perché vogliono la percezione? Perché essendo il popolo del pensiero sono maggiormente portati a farsi loro il concetto in base alla percezione, per questo chiedono di vedere il Cristo, di poterlo percepire.

I greci hanno sentito parlare di questo Gesù che sta scatenando un putiferio, che è diventato una minaccia tale da essersi procurato forti inimicizie e che, tra l’altro, è difficile da localizzare, vogliono vederlo e chiedono a Filippo di farglielo vedere così da potersene fare un’idea.

Il nome Filippo -FilippoV, Fìlippos- significa l’amico (filoV, filos) e il cavallo (ippoV, ippos).

Il cavallo simboleggia le forze del pensiero, tant’è che i greci col cavallo di Troia ideato da Odisseo -l’astuto- vinsero la guerra. Rudolf Steiner dice che se gli uomini, oltre al cavallo fisico, percepissero anche il cavallo eterico vedrebbero attorno alla sua testa un vasta testa eterica: le forze del pensiero. Il Davide greco ha vinto il Golia degli enormi popoli asiatici con l’astuzia del pensiero, questo è il mistero del cavallo di Troia. Il nano vince sempre il gigante con il pensiero, il pensiero non ha bisogno di estensione quantitativa. Filippo è il greco in quanto pensante.

Nel vangelo c’è sempre questa bella polarità: da un lato c’è Filippo, le forze pensanti, e dall’altro lato c’è Andrea -Andrea, Andrèa- che rappresenta la volontà, le forze del coraggio, le forze dell’azione. Filippo e Andrea rappresentano la grecità in quanto incipiente capacità umana di agire in base al pensiero proprio, infatti Filippo va da Andrea. Tra uno, due o tre secoli, quando l’umanità sarà più avanti nell’evoluzione, ci saranno persone che si fermeranno molto più a lungo su questo versetto e spiegheranno cosa significa Betsaida (casa dei pesci). Nel vangelo nessuna parola è superflua, ciascuna parola aggiunge significati essenziali così come la parola “Galilea”, che viene indicata per segnalare qualcosa di importante, altrimenti non ci sarebbe.

12,22. “Filippo viene e lo riferisce ad Andrea ed Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù

E adesso Filippo e Andrea -la totalità dell’essere umano greco, cioè pensiero unito ad azione intrisa di pensiero- vengono insieme. Steiner, nella Filosofia della Libertà, chiama così -Filippo e Andrea insieme- l’essere umano che agisce in base al pensiero, alla conoscenza.

Andrea e Filippo vengono insieme e lo dicono a Gesù, il portatore del Cristo, gli dicono che i greci lo vogliono vedere, e nel versetto seguente abbiamo la suspence di sentire cosa il Logos risponde alla richiesta dei greci.

Dopo duemila anni possiamo dire di essere tutti greci, con questo intendo che quando io oggi parlo presuppongo in ogni ascoltatore una capacità ed una gestione autonoma di pensiero. In che modo il Logos si rivolge all’essere umano greco cioè all’essere umano capace di pensare? Tenetevi bene sulle sedie perché adesso arrivano tante botte una dopo l’altra. Dopo tutta ’sta preparazione dei greci che vanno da Filippo, che a sua volta va da Andrea e insieme vanno dal Cristo, adesso siamo ben curiosi di sapere in che modo il Cristo si rivolge a loro. Teniamo presente che le parole del Cristo al greco, cioè all’uomo, a tutti noi capaci di pensiero, dovranno essere essenziali, archetipiche e fondamentali.

12,23. “Gesù rispose loro dicendo: “è venuta l’ora affinché si glorifichi il Figlio dell’uomo

Se dovesse capitarvi di essere a corto di mantram per la meditazione prendete questo versetto, c’è di che meditare per tutta la vita, c’è dentro tutto. E’ -Elhluqen, Elèluthen- ora, affinché si glorifichi il figlio -ina doxasqh o uioV, ina doxasthè o uiòs- dell’uomo. Tutta la fase di preparazione, la prima metà dell’evoluzione è compiuta. Ora comincia la fase dell’autonomia. Cari greci, tutto ciò che era necessario per rendere l’essere umano capace di pensare in proprio è compiuto, non manca più nulla delle condizioni necessarie, degli strumenti per l’esercizio dell’autonomia dello spirito, e l’esercizio per l’autonomia dello spirito è di far risorgere il Figlio, non di Dio -quella è una faccenda Sua- ma dell’Uomo. Il Figlio dell’Uomo è una runa, un’espressione tecnica che si riferisce alla creazione compiuta dall’uomo; figlio dell’uomo è ciò che l’uomo genera nel suo pensiero, nel suo cuore, nelle sue azioni. La creazione dell’uomo non è contrapposta alla creazione di Dio ma è diversa, e allora qual è il senso della creazione divina? Quello di rendere possibile la creazione umana, altrimenti a noi a cosa servirebbe essere stati fatti per ammirare continuamente Lui? Forse perché noi non valiamo niente? Un essere umano che a 20, 30, 40 anni dovesse sempre ammirare la mamma perché la mamma sa tutto e lui non sa niente, è contento?

Intervento. Assolutamente no.

Archiati. Come lo sai?

Replica. Lo so da me stesso.

Archiati. L’esperienza personale funziona, eh?

E’ giunta l’ora affinché si glorifichi il Figlio dell’uomo. Pensate a quanto siamo ancora anacronistici, pensate alla tradizione New Age -non voglio criticarla, mi preme solo descrivere i fatti nella loro oggettività-, a quante persone sono ancora all’inseguimento del guru su misura. Ah, quel maestro sì che è bravo! No, no, quell’altro è ancora più in gamba! Quello là è senz’altro il più carismatico, e via di questo passo.

Già duemila anni fa è stata pronunciata questa parola di svolta: è giunta l’ora. Che significa questa frase? E’ giunta l’ora che vi svegliate! A che mi serve Rudolf Steiner se devo sempre dipendere da lui? Ipse dixit. Sto esagerando? Se sto calcando troppo la mano ditemelo: io sento una certa responsabilità sugli addormentamenti e gli imbambolamenti che stanno avvenendo nell’umanità attuale perché forze farisaiche di potere, che fanno di tutto per impedire l’autonomia del singolo, non soltanto ci sono a iosa ma ci devono essere. Perciò è importante che il Cristo asserisca che è giunta l’ora per la resurrezione dello spirito dell’uomo. E’da intendere al plurale o al singolare?

Dal pubblico. Al singolare, all’individuo, ad ogni uomo.

Archiati. Sì, ogni singolo. Infatti il vangelo non dice che è giunta l’ora perché risorga la Chiesa, non dice che dopo il Cristo viene la Chiesa. Ogni elemento di Chiesa, se proprio è necessario, è uno strumento, fa da base all’umano, che non è mai un fenomeno di gruppo. L’essenza dell’umano è l’individuo, è l’Io, ed il gruppo è necessario nella misura in cui aiuta ogni Io a diventare sempre più autonomo. Ogni tipo di gruppo che incamera l’Io singolo per i propri scopi è antiumano, è disumano, è anticristico.

E’ molto bello vedere come il vangelo di Giovanni ci spiattelli sotto gli occhi tutti i fenomeni dell’umano uno dopo l’altro, versetto per versetto. Una chiave di lettura che non si fondi su un minimo di conoscenza della Scienza dello Spirito, che non ci dia quindi modo di interpretare il vangelo di Giovanni ricorrendo alla facoltà pensante, una lettura commentata in chiave di fede sfasa tutto il testo, rispetto al testo va in una direzione opposta. Il testo dice a chiare lettere che è ora di svegliarsi. E’ giunta l’ora della svolta dalla conduzione dal di fuori alla conduzione dal di dentro, dalla dipendenza, necessaria come preparazione, all’autonomia.

E’ giunta l’ora affinché ogni essere umano faccia sprigionare da sé un’aura di luce, la doxa, e in quest’aura di luce c’è il Figlio dell’Uomo, la creazione del suo spirito, le intuizioni di amore del suo cuore. Intuizioni conoscitive che interpretano il reale e intuizioni d’amore che fecondano il reale; intuizioni conoscitive che comprendono l’uomo e intuizioni d’amore che favoriscono l’uomo: questa è l’aura che fa sorgere il Figlio dell’uomo in ogni uomo. Però, se quest’aura è il Figlio dell’uomo, la sua creazione spetta a ciascun uomo e non la si può mettere sotto la prospettiva del Figlio di Dio altrimenti sarebbe una creazione divina. Il Figlio dell’uomo sta in contrapposizione, è polare al Figlio di Dio: il Figlio di Dio è un prodotto della Divinità, il Figlio dell’uomo è ciò che viene generato dall’uomo. Cosa genera l’uomo? Il pensare e l’amare. E questo pensare ed amare è la doxa, un’aura spirituale, una creazione spirituale.

Se ci fosse un modo più genuino, più semplice, più universale di esprimere queste verità, potete star certi che il vangelo lo userebbe perché un testo più essenziale, più universale, più autentico non esiste. Si tratta solo di spolverare la tanta polvere che ci è stata messa sopra, di tirar via tanti sentimentalismi, di chiarire tante incomprensioni ed alla fine si resta meravigliati da quanto attuale, esatto e toccante sia questo testo. Questa affermazione fondamentale, riassuntiva, il Cristo la sminuzza nelle sue componenti, nei suoi singoli elementi nel versetto 12,24.

12,24. Amen, amen io dico a voi: se il grano di frumento cadente nella Terra non muore, rimane lui solo, quel granellino, ma se muore porta abbondante frutto”

Amhn amhn legw umin, (Amen, amen lego umìn)...” Vi avevo già detto che quando un’affermazione del Cristo viene preceduta da “Amen, amen” stiamo assistendo alla presentazione di una verità non effimera, non transeunte, ma che si snoda in tutto il percorso l’evolutivo. “Amen” viene dall’ebraico, questo verbo significa “costruire sulla roccia” che è l’opposto di “costruire sulla sabbia”. Le costruzioni edificate sulla sabbia spariscono in men che non si dica, le opere fondate sulla roccia sono tetragone ai colpi di sventura. “…Amen, amen, l’Io Sono dice all’Io di ogni uomo…” significa che il Cristo pronuncia una verità stabile, costante, valida dal principio alla fine del divenire umano. In altre parole, quando il Cristo fa precedere una sua affermazione dalle parole “amen, amen”, lo fa per scuotere l’attenzione dell’uomo ad una rivelazione di portata cosmica - radicata nei fondamenti della Terra, partecipe alle leggi strutturanti l’evoluzione terrestre- e che ha valore dall’inizio alla fine dei tempi. Con “Amen, amen” si annunciano contenuti conoscitivi profondissimi e di risonanza universale. A quei tempi c’erano persone che avevano queste conoscenze, noi le abbiamo perse e quindi dobbiamo riappropriarcene, però una volta riconquistate, anche grazie all’aiuto della Scienza dello Spirito, questo testo ci appare in tutto il suo splendore.

“Amen, amen io dico a voi -l’Io divino dice a tutti gli esseri umani- se il grano di frumento cadente nella Terra non muore rimane lui solo, quel granellino, ma se muore -ean de apoqanh, eàn dè apothàne- porta abbondante frutto”. Visto che ci ha annunciato, con le parole “amen amen”, che questa affermazione riguarda la totalità dell’evoluzione, ci ha intimorito ad un punto tale che dobbiamo guardare a tutto l’arco evolutivo.

L’umanità ha avuto origine nel mondo spirituale dove viveva una condizione paradisiaca e se ne stava beatamente nel grembo della Divinità similmente ad un feto nel liquido amniotico della mamma. Questo stato sognante in cui l’uomo era immerso ha avuto un epilogo con la cosiddetta “cacciata dal Paradiso” un passo necessario a condurlo verso un graduale ma sempre più intenso inserimento nel mondo della natura, che lo porterà poi a morire nella Terra.

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Fig. 2

Il Cristo prende l’analogia, l’immagine del chicco di grano: se lo si mette nella Terra, se muore nella Terra ne saltano fuori cento, si moltiplica, se non muore nella Terra resta lui solo. Qui il Cristo fa le veci del pedagogo, descrive un fenomeno di natura, accessibile alla percezione per rendere intelligibili all’uomo le realtà dei mondi spirituali. Per facilitare la comprensione di eventi appartenenti alla sfera spirituale è di grande aiuto ritornare all’esperienza, è conveniente attingere a qualcosa di sperimentabile nel vissuto. L’immagine del grano che se non muore in Terra resta solo, e viceversa se muore in Terra si moltiplica, è familiare a tutti noi. Allora il Cristo ricorre a questo elemento esperienziale per far capire che la natura reca nel suo Essere tutti i segreti riguardanti il passato, il presente ed il futuro dell’uomo, è la somma dell’analogia dell’umano: che altro può essere la natura? La natura è l’essere umano stesso. Ciò che noi chiamiamo “natura” è la natura umana fuori e ciò che noi chiamiamo “natura umana” è la natura umana dentro. Il Cristo spiega che la legge fondamentale dell’evoluzione è che l’umanità -originariamente corpo unitario- è destinata a moltiplicarsi passando attraverso la morte; questa morte darà l’avvio al processo di individualizzazione.

L’umanità all’inizio è chiamata “Adam”, Adamo non è un solo uomo ma è l’umanità in quanto unità, non ci sono individui singoli in questo Adamo. Come avviene la moltiplicazione cioè il processo di individualizzazione, di diventare tanti Io singoli individuali?

Questo grano unitario ha dovuto morire nella Terra. Quindi l’evoluzione dell’umanità unitaria nella Terra ha dato origine ad una moltitudine di esseri umani singoli, gli individui che siamo noi. Similmente al chicco di grano, che se non viene messo nella Terra e non muore non porta molteplici chicchi, allo stesso modo l’umanità unitaria, se non entra nella Terra cioè non percorre l’evoluzione terrestre non può trasformarsi in tante individualità. A cosa serve l’evoluzione terrestre? A diventare degli Io individuali resi metaforicamente con l’immagine della spiga. L’umanità prima di Cristo è un grano singolo, unitario e l’umanità dopo Cristo diventa una spiga. Il discorso non può essere più semplice, più bello, più pulito, più fondamentale di così.

Allora la Terra è il luogo di morte o di resurrezione?

Dal pubblico. Tutti e due.

Archiati. Tutti e due, però il vangelo dice che la condizione della legge evolutiva è che la resurrezione sia subordinata alla morte. Se il grano non viene messo nella Terra e non muore non può portare molto frutto. La spiga ce l’ho soltanto attraverso il morire del grano nella Terra.

Intervento. E’ questo il significato di “andate e moltiplicatevi”?

Archiati. Anche.

Intervento. Ma Dio aveva detto questa frase quando c’era anche Eva.

Archiati. Infatti, mica per niente te l’ho messo all’inizio, Adamo. Chi era Adamo? L’umanità non ancora differenziata, è l’embrione quando non è ancora arrivato ad otto cellule perché a otto cellule già comincia una certa differenziazione. Quando nell’embrione ci sono ancora due o quattro cellule sono due esseri o è ancora un essere a livello biologico?

Intervento. Non si sa ancora.

Archiati. Non si sa ancora. Quindi l’evoluzione è un processo di graduale individualizzazione: ai primordi c’è una matrice universale e questa matrice unitaria universale viene chiamata Paradiso, che è uno stato dove non c’è ancora l’individualizzazione. I presupposti, le forze che consentono all’uomo di individualizzarsi si trovano solo nella Terra. Se il chicco di grano -che rappresenta l’evoluzione dell’umanità- non muore nel corpo della Terra non si moltiplica, quindi, l’entrare in rapporto evolutivamente con tutte le forze della Terra significa diventare sempre più autonomo, diventare sempre più individualizzato.

Intervento. In questo chicco individuale che muore c’è anche il destino umano singolo? Cioè io muoio nella Terra, nel corpo e poi risorgo nello spirito, come dicevi ieri.

Archiati. Questo viene subito dopo, è il secondo passo, vedi com’è consequenziale il vangelo di Giovanni? Va a fil di logica perché prima ti presenta la prospettiva universale come condizione per far sorgere l’individuo… adesso tu dici: “bene, ora che abbiamo l’individuo, qual è la sua evoluzione d’individuo”? A questo quesito il Cristo risponde: “Colui che non ha il coraggio di dare la sua anima la perde, colui che invece è capace di dare la sua anima, e quindi di morire, la salva”. La seconda frase riguarda l’individuo. Prima di analizzare la terminologia del vangelo restiamo alla fenomenologia dell’umano, quindi all’interpretazione della fenomenologia dell’umano. Tu adesso devi scegliere: come si evolve il singolo? Tu adesso sei un singolo e ora dimmi come va avanti la tua evoluzione: ti perdi o non ti perdi negli altri?

Intervento. Se ti perdi non vai avanti.

Archiati. Così com’è paradossale che la morte nella Terra sia il presupposto per la vita è altrettanto grottesco l’assunto secondo cui più l’individuo si dona agli altri e più si rafforza come Io singolo. Chi invece ha paura di perdersi donandosi agli altri smarrisce se stesso come essere amante, perché non realizza l’amare.

Intervento. Bisogna mettersi al servizio.

Archiati. E’ una categoria troppo inquinata dal cattolicesimo e dai sindacati.

Intervento. Possiamo fare una pausa?

Archiati. Aspetta ancora un po’, dammi il tempo di tradurvi semplicemente i versetti 12,24-25: “Amen, amen io dico a voi se il chicco - kokkoV, coccos- cadendo -peswn, pesòn- nella Terra non muore resta lui solo, se invece muore porta molto frutto”.

12,25. “Colui che ama la sua vita, la distruggerà e colui che odia la sua vita in questo mondo la conserverà nella vita eterna”

“Colui che ama la sua vita…” è attaccato alla sua vita alla sua indipendenza dagli altri, ha paura di perdersi negli altri. “…la distruggerà, la nientificherà, la nullificherà -apolluei, apollùei- e colui che odia la sua vita in questo mondo la conserverà nella vita eterna”.

Quanto deve durare la pausa? 15 minuti italiani.

Questo incontro archetipico del Logos con le forze di pensiero dell’umanità, con l’essere umano greco in quanto portatore delle forze del pensiero individualizzate, è importante perché il greco è l’essere umano che apprezza sommamente l’incarnazione, è l’essere umano per il quale la morte è la tragedia, è il mistero più grande e più incomprensibile che ci sia.

Achille, nell’undicesimo canto dell’Odissea dice ad Ulisse: “Sarebbe meglio essere un mendicante sulla Terra che un re nel regno delle ombre”. Senza corpo fisico il greco si percepisce come una larva. Quindi, il greco rappresenta l’essere umano che si è talmente affratellato con tutte le forze della Terra da non riuscire a comprendere la positività assoluta del morire, non riesce a vedere la morte come precedente alla resurrezione. Il greco è l’essere umano prima della svolta che non riesce, fa fatica a capire la svolta, è l’essere umano che confrontato col mistero della morte la interpreta in modo negativo, pensa che la morte ponga fine alla pienezza del suo essere rendendolo simile ad una larva di uomo.

Allora il Cristo gli dice: “No, caro greco, la morte è sempre il presupposto per una vita più grande, per una vita moltiplicata. Se il chicco di grano non cade nella Terra e non muore resta uno solo, se invece cade nella Terra e muore si moltiplica”. L’affermazione viene fatta prima nel versetto 12,24 ed è riferita a tutta l’umanità poi viene fatta nel versetto 12,25 e viene indirizzata all’individuo singolo. Il senso dell’affermazione diretta a tutta l’umanità è che l’umanità resta qualcosa di indifferenziato finché non cade nella Terra e non muore passando attraverso l’evoluzione terrestre. Se invece l’umanità unitaria cade nella Terra e muore all’unità, allora questo è il presupposto perché il chicco di grano -l’umanità- si possa moltiplicare.

Se questa è la legge di tutta l’evoluzione dell’umanità è anche la legge dell’evoluzione del singolo; se il singolo è aggrappato alla sua anima individuale e ha paura di morire, se nell’immettersi e nel morire negli altri vede il pericolo di perdersi egli, in effetti, muore perché si priva di tutte le forze di vita che può ricevere soltanto dagli altri. Il discorso è paradossale perché dice che la morte è vita, se questo paradosso non viene vagliato con le forze di pensiero è stupidaggine in assoluto, perché è un controsenso madornale: o è morte o è vita, quindi, o è un’insensatezza assoluta oppure ha un senso assoluto. Se di questo brano si coglie solo l’aspetto prettamente materiale ci si imbatte in una contraddizione assurda perché la morte non è vita e la vita non è morte, se invece lo si recepisce nel suo significato profondo, che comprende l’apertura alla dimensione spirituale, lo si vedrà sotto una nuova luce, e il paradosso diventerà la chiave d’interpretazione dell’esistenza, dell’evoluzione.

Ogni morte, se capita bene e se vissuta bene, diventa il presupposto per una vita più grande. E il singolo, se ha paura di perdersi perdendosi negli altri, finisce col disperdersi perché rimane lui solo, non si lascia fecondare, arricchire dagli altri. Se invece non ha paura di smarrirsi nel donarsi agli altri, se capisce che il dono di sé non gli toglie nulla anzi lo rinvigorisce, se darà la sua vita per gli altri la riceverà moltiplicata. In altre parole, colui che si prodiga, che si perde amando gli altri diventa più ricco di forze di amore.

Colui che ha paura di perdersi amando gli altri deperisce, s’impoverisce, la sua anima diventa sempre più morte perché la vita dell’anima è l’amore. In fondo il discorso è molto fondamentale ma è semplice. In quanto uomini cioè partecipi della natura umana, il discorso del Cristo dovrebbe essere capito immediatamente -specie se teniamo conto del fatto che duemila anni dopo l’evento del Cristo la coscienza umana ha fatto passi successivi nel suo cammino- perché nel momento presente siamo tutti capaci di pensiero come lo erano i greci di allora. Queste parole dovrebbero esserci accessibili come lo furono allora per i greci: non dimentichiamo che il Cristo si rivolge ai greci.

Il fatto che il Cristo si rivolga ai greci e non alla folla sta ad indicare che queste parole sono coniate in modo tale da essere particolarmente adatte ad essere accolte all’essere umano in quanto pensante. Dove parla ai giudei o alla folla si esprime in un altro modo, tant’è vero che uno di noi, quando eravamo al primo passo in cui si parlava delle affermazioni riguardanti tutta l’umanità, aveva già anticipato il secondo passo. Convince il discorso? Scoprire queste affermazioni nel vangelo dà una gioia ed una beatitudine enormi, è la prova di quanto questo testo sia così pulito, così logico e che aspetta soltanto di essere scoperto e capito. Naturalmente, l’ho sempre detto, senza i fondamenti di logica spirituale di una certa Scienza dello Spirito il testo è indecifrabile.

“Colui che ama -o jilwn o filòn- la sua anima la distruggerà, chi odia la propria anima la conserverà nella vita eterna”. Apollùmi (apollumi) significa distruggere, disperdere, annientare perché non dà amore, e non dando amore la sua anima si indebolirà sempre di più fino a spegnersi del tutto perché la forza propulsiva dell’anima è l’amore. Quindi, se il sentimento dell’amore non viene alimentato si atrofizzerà pian piano fino a che di esso non resterà traccia. La traduzione “perdere” non è una categoria giusta, in greco è scritto la distruggerà, l’annienterà, la dissolverà. “Perdere” è una categoria materialistica, le traduzioni moderne, in questa ondata di materialismo, induriscono perfino il testo del vangelo; naturalmente è una morte necessaria nell’umanità però noi dobbiamo renderci conto della differenza nel tradurre con “perdere” o con “distruggere”.

Intervento. Psichè significa anima o vita?

Archiati. Il problema è che per noi -yuch, psichè- significa tutte e due. L’importante è che non venga tradotto “vita” senza “anima”. In greco non c’è zwh (zoè) ma c’è yuch (psiché). La parola corrispondente a “vita” è zoè. Ecco un altro esempio di traduzione non corretta, ditemi come si arriva a tradurre il greco che ti dice “l’anima” con “la vita”: è uno spostamento semantico enorme perché l’anima io la posso annientare, distruggere, cosa che non posso fare con la vita.

Intervento. Poi c’è il fatto che da un lato uno cerca l’individualità e dall’altro lato l’anima la deve partecipare e quindi è l’opposto.

Archiati. Certo, la vita non si può partecipare. La domanda che possiamo porci è questa: è possibile in base ad un cammino di pensiero ricostruire una traduzione fuorviante e correggerla? Si, è possibile. Se uno si mette a meditare sulle parole del testo arriva al pensiero che il Cristo, in questo contesto, non può aver detto “la vita” ma deve essersi riferito all’anima, e non può avere usato la parola “perdere” perché non è giusta. Giungere a queste intuizioni presuppone livelli di impegno meditativo non comuni all’uomo d’oggi, però sono passi evolutivi che ognuno ha la libertà di fare. Si può arrivare a capire che il Cristo non può aver detto “perdere” perché una cosa che perdo mi è estrinseca: perdo la chiave di casa; una cosa che io perdo non fa parte del mio essere.

Intervento. Io in questo concetto di dare l’anima ci vedo un rinunciare, come si concilia con l’affermazione: “Ama il prossimo tuo come te stesso”?

Archiati. Calma, calma, tu adesso stai usando un’altra categoria, parlando di rinuncia tu hai portato dentro una tutt’altra categoria mentale, che significa?

Intervento. Forse intendeva il sacrificio.

Archiati. Il testo non parla di sacrificio, la categoria di rinuncia, di sacrificio è complessissima e nel testo non c’è. E allora dovrei chiederti cos’è il rinunciare e dovremmo impiegare un altro quarto d’ora per vedere cosa intendi ma il testo è semplicissimo e dice: “Colui che ama -o jilwn, o filòn- …” ; jilwn (filòn) non è agaph (agàpe) “…colui che è animicamente aggrappato, colui che ama la sua anima la distrugge”, queste sono le categorie che usa il testo e non il sacrificio e non la rinuncia.

Intervento. Se uno pensa al fatto che deve donare l’anima con un obiettivo…

Archiati. Ma il testo non parla di donare, quali sono le due possibilità espresse nel testo? Una è “ama la sua anima” e l’altra è l’opposto cioè “odia la sua anima” non andiamo via dal vangelo, restiamo nelle categorie che il testo dà. Le due possibilità sono: “amare la mia anima” e questo mi porta a distruggerla, “odiare la mia anima” mi porta invece a conservarla per la vita eterna.

Chi la odia nel mondo materiale la conserva -julaxei, filàxei- nel mondo spirituale, chi la ama nel mondo materiale la distruggerà, il mondo spirituale le diventerà oscuro. Se noi saltelliamo ad altri concetti senza aver sufficientemente meditato su questi, il lavoro sul vangelo di Giovanni porta ad un vicolo cieco. Nel testo greco che ho io, vedo che qui, in calce, ci sono centinaia di migliaia di variazioni nei manoscritti. Alcuni manoscritti dicono che la perde, altri dicono che la perderà: una differenza enorme! E allora bisogna scegliere quella che è più logica, e qual è la più logica?

Intervento. La perderà, ah no, anzi, la perde perché il perdere l’anima è un processo continuo, in divenire.

Archiati. Brava, vedi che ci arrivi? La perderà non avrebbe nessun senso perché significa che fino ad un momento prima di perderla non è successo nulla e poi all’improvviso succede il patatrac, la perde. La realtà è che la va perdendo continuamente.

Intervento. Però se la perde la può ritrovare, se invece la distrugge non può ritrovarla e questa, secondo me, è una differenza importante per cui, forse, la parola perdere è più sensata.

Archiati. Sei partita in quarta un po’ presa dall’emotività, stai attenta, riacchiappa il pensiero che tu stessa hai espresso ma in modo logico. Ripeti ciò che hai detto.

Replica. Si riallaccia a quel comodo di cui parlavamo prima…

Archiati. No, no, non deviare, dimmi cosa hai detto.

Replica. Secondo me perdere una cosa significa non averla momentaneamente però posso avere la possibilità di recuperarla, se invece la distruggo, la cosa è molto più grave perché l’anima non esiste più.

Archiati. Vedete come siamo abituati a parlare sull’onda emotiva e non seguendo un ragionamento? Tu hai fatto un presupposto enorme! Nel dire: “se invece la distruggo” hai presupposto una cosa errata e cioè che il distruggere possa avvenire in un attimo. Cosa vuol dire: “se io la distruggo”? Come fai a distruggere l’anima in un momento?

Intervento. Allora diciamo che è un percorso di distruzione.

Archiati. Ah, e cosa salta fuori? Che ho sempre meno anima! Vedi che il tuo discorso non calza più? Mi ritrovo con sempre meno anima perché a mano a mano la distruggo ma non la cancello di colpo, non posso. Però, vedi che invece si può perdere di colpo qualcosa e questa è la prova che la categoria “perdere” non è appropriata in questo contesto.

Intervento. A me verrebbe spontaneamente il concetto di diluire e di disperdere l’Io inferiore che poi è il rispecchiamento, all’interno dell’anima, dell’Io superiore. Nel dire che uno perde l’anima sembra che l’anima si dissolva invece è molto importante riuscire con l’anima ad entrare in compassione con le altre, cioè ad inglobare le altre anime per cui ad un certo punto si arriva a perdere questa individualità dell’anima.

Archiati. Il discorso del Cristo è riferito sia all’evoluzione in chiave negativa cioè quella in cui si distrugge la propria anima, sia all’evoluzione in chiave positiva seguendo la quale chi odia la propria anima in questo mondo la conserva. In altri termini, il Cristo sta dicendo che nella misura in cui l’essere umano, nella sua anima, si universalizza, nella stessa misura si individualizza. Il processo di universalizzazione cioè di portare nella mia anima, nella mia coscienza tutta l’umanità è quello che richiede il massimo delle mie energie individuali. Quindi, il massimo di universalizzazione nello spirito umano è il massimo di sprigionamento delle forze individuali, più un essere umano si universalizza e più si individualizza. Universalizzarsi significa perdere la propria identità piccola che esclude gli altri per diventare l’umanità intera, e questa morte è il presupposto per individualizzarsi sempre di più.

Replica. A questo discorso non si allude già nella storia del diluvio universale? Nel momento in cui Noè deve portare tutti i semi di tutte le cose dentro la barca, prima del diluvio già c’è questo.

Archiati. Già facciamo fatica a fare l’esegesi di un testo come il vangelo, adesso arrivi tu e mi parli del settimo /ottavo capitolo della Genesi, poi arriva un altro e mi cita l’Odissea, un altro ancora mi cita qualcos’altro. Tu mi tiri in ballo l’Arca di Noè e non possiamo permetterti di usare questa categoria semantica senza recepirla nel pensiero e per recepirla nel pensiero dovremmo dedicare almeno dieci minuti all’Arca di Noè. Il discorso è che non si può saltare di palo in frasca.

Replica. A me interessava che già nel settimo secolo avanti Cristo fosse implicito questo discorso.

Archiati. Prima che il Padreterno creasse l’umanità -supponiamo che un Padreterno l’abbia creata- era implicita in lui, se no non la creava! Tutto è implicito, tutto ciò che è stato citato era implicito.

Intervento. Riguardo all’anima, cosa s’intende per anima? E’ qualcosa legata alla Terra? E’ uno spirito che scende sulla Terra? Che differenza c’è tra Io, Spirito ed Anima?

Archiati. I due movimenti fondamentali del pensiero, quelli polarmente esercitati, sintesi e analisi, sono: quando le cose diventano troppo complesse ci si salva soltanto tornando agli elementi fondamentali che semplificano, quando le cose vengono semplificate troppo bisogna trovare il coraggio di ri-complessificarle. Dico questo come orientamento, per farti capire la mia metodica nell’affrontare la tua domanda. La tua domanda complessifica le cose perché vorrebbe sapere in due parole la differenza fra Io, Anima e Spirito. Io adesso semplifico le cose per lasciare ad ognuno di ri-complessificarle.

La categoria animica più semplice ed accessibile a tutti è il donarsi: quando la mamma dona il suo tempo e la sua energia ai suoi figli non mette in primo piano la sua propria evoluzione perché altrimenti manderebbe i suoi figli a farsi benedire e farebbe, ad esempio, un corso di addestramento professionale per andare avanti nella carriera. Il Cristo dice che chi si dona si ritrova più ricco e chi non si dona s’impoverisce sempre di più, e allora tu dici: che c’entra la Terra? Soltanto sulla Terra possiamo donarci agli altri! Quando siamo morti, nel mondo spirituale -per questo parla di conservare l’anima nel mondo spirituale- non abbiamo più la possibilità di donarci perché non siamo più separati dagli altri. La condizione terrena è quella di essere nel corpo. Essere nel corpo significa essere separati dagli altri come condizione necessaria per potersi donare, perché se io non sono separato dagli altri come faccio a donarmi? E questo stato di separazione, superabile con la donazione sé, lo dobbiamo alla Terra, all’elemento materiale. Allora, mi fate arrivare al 12,26?

12,26. “Se qualcuno mi serve, mi segua, e dove Io Sono, là sarà anche il mio servitore; se qualcuno mi serve il Padre lo onorerà”

“Se qualcuno mi serve, mi segua…” guardate sempre alle categorie che vengono usate perciò io vi traduco letteralmente dal greco e quindi non tirate in ballo altre categorie. Qui c’è il servire e il seguire. “Se qualcuno serve me” significa mettersi al servizio dell’Io, del Cristo in ogni uomo perché mettersi a servire il Cristo non significa mettersi al servizio del Cristo fuori dall’uomo: un Cristo fuori dall’uomo non esiste. “Se qualcuno serve me, mi segua” se qualcuno vuole favorire, mettersi al servizio dell’Io Cristico in ogni essere umano, segua l’esempio del Cristo.

In altre parole, in cosa consiste il fatto che il Cristo ci lascia liberi? Consiste nel proibirsi di darci indicazioni impositive su ciò che dobbiamo fare, anzi, compie Lui, esemplarmente, il da farsi e dice: “se vuoi seguimi, vieni dopo di me, ricalca i passi che ho fatto io”. Questo è il seguire, il seguire in quanto termine di ogni legge morale. Seguire significa che qualcuno ha tracciato il cammino e tu lo puoi seguire, se vuoi.

Intervento. In questo senso non significa ricopiare e quindi falsare?

Archiati. Ricopiare è una tutt’altra categoria, qui dice seguire: perché parli di ricopiare? Che rappresentazione ti salta fuori quando usi la parola ricopiare?

Replica. Il prendere esempio.

Archiati. No, ho chiesto: quale rappresentazione salta fuori? Il bambinetto che ricopia qualcosa che la maestra ha scritto alla lavagna. E’ la stessa categoria? Che differenza c’è tra copiare e seguire?

Intervento. Nel ricopiare è impegnato solo il fisico, nel seguire io osservo e poi ci metto qualcosa di mio.

Archiati. Ricopiare è non aggiungerci niente di nuovo, è la replica tale e quale, il seguire non comporta il tale e quale, il seguire comporta una direzione per cui io muovo i miei passi in quella che ritengo sia giusta ma il modo di camminare, la velocità e tutto il resto li decido io. Il ricopiare è una categoria di passività assoluta, il seguire è una categoria di attività assoluta. Vedi cosa vuol dire portare dentro categorie che non servono a nulla? Quando il vangelo ci dà la categoria mentale del seguire, non serve a nulla saltare in altre categorie, restiamo nel seguire, cerchiamo semanticamente di sceverare cosa contenga l’immagine del “seguire”, di costruire la famosa sequela. Il seguire è un’immagine poderosa: un Essere -il Cristo- è andato avanti, cosa comporta questo per me?

Intervento. So che c’è una strada, una direzione che posso seguire.

Archiati. Avete capito cosa significa restare nella categoria che il vangelo ci dà? E’ sceverarla. Meditare significa prendere le categorie che il vangelo ci dà e analizzarle nel dettaglio: cosa vuol dire seguire? Che esperienza si fa? Questa è la meditazione.

Allora riprendo la traduzione letterale del versetto12,26 “Se qualcuno mi serve, mi segua e dove Io Sono là sarà anche il mio servitore; se qualcuno mi serve il Padre lo onorerà”. Questo congiuntivo (mi segua) significa che se qualcuno ha intenzione di mettersi al servizio dell’Io, segua il percorso che ha fatto l’Io Sono. E qual è il percorso che l’Io Sono ha fatto?

Intervento. Quello di morire per moltiplicarsi.

Archiati. Esatto, è andato nella morte, andare significa fare un percorso, no? ‘Mi segua’ significa: “Vada nella morte pure lui”, ecco la categoria che funziona. A quel punto a che serve copiare? A nulla quando si tratta di andare nella morte; “Io vado al Padre” significa che entro nelle forze di morte per trasformarle in forze di resurrezione, “…e dove Io Sono, lì sarà anche il mio servitore…” se qualcuno lo segue arriva anche lui, dopo, là dove era il Cristo prima.

In altre parole, il Cristo, nella sua morte e resurrezione, ha anticipato tutte le morti e tutte le resurrezioni possibili a cui noi umani arriveremo dopo, noi non possiamo mai arrivare prima del Cristo. Lui nella sua morte e resurrezione ci ha preceduti in ogni morte e in ogni resurrezione perché è Lui in noi che sempre muore e sempre risorge. Il Cristo precede in ogni uomo l’evoluzione dell’umano perché ne è la perfezione.

Intervento. Si può dire che il Cristo abbia rinunciato a privilegiare Gesù, un singolo uomo, per moltiplicarsi in tutti gli uomini, cioè l’esclusività di Gesù di Nazareth, come Cristoforo, come portatore del Cristo, è stata uccisa.

Archiati. Esatto, e qual è il presupposto perché possiamo tutti diventare Cristofori?

Intervento. Che non ci sia uno solo che ne ha l’esclusiva.

Archiati. Che termini l’esclusività, la proprietà privata. I bravi cristiani ed i bravi antroposofi sono talmente all’avanguardia in questo modo di concepire l’evoluzione da essere rimasti incagliati allo stadio in cui si ha bisogno di appoggiarsi ad una “sede” e così guardano verso Roma, o verso Dornach, come se da quel tempio particolare potessero provenire gli impulsi indispensabili alla loro crescita spirituale. A cosa corrisponde questo cercare una fonte esterna autorevole da cui ricavare qualcosa che riguarda la nostra interiorità? Significa evadere dal testo, invece il testo evidenzia che il Cristo muore all’esclusività. I granelli della spiga sono tutti allo stesso livello del granello che c’era prima, prima era uno solo, dopo sono tutti.

Fino alla svolta c’era un solo portatore di Cristo: Gesù di Nazareth. Per creare i presupposti per poter essere tutti portatori del Cristo cosa deve avvenire a questo portatore esclusivo? Che cessi di essere esclusivo e muoia. Nel riflettere su questo elemento di universalità siamo proprio agli inizi. Se ad esempio chiedo ragguagli a mia sorella suora, lei mi risponde: “Nel Papa sì che c’è il Cristo, in te e in me non tanto…” Cos’è il Papa infallibile? E’ il granellino solo che non vuole saperne di morire e non si è ancora accorto che, nel frattempo, siamo diventati abbastanza infallibili un po’ tutti, per fortuna.

Che vuol dire pensare? Essere infallibili! Nella misura in cui una persona sa pensare è infallibile, il pensiero è infallibile. Quindi si può essere tutti più o meno infallibili nella misura in cui si è capaci di pensare, altro che privilegiare uno solo! E’ anticristianesimo. Che significa avere la facoltà del pensiero? La facoltà del pensiero è la facoltà dell’infallibilità, perché se noi non diamo fiducia assoluta al pensiero, su cosa dobbiamo fare affidamento? Vi mette forse paura sentire che il pensiero è infallibile? Lo è o non lo è? Nella misura in cui è pensiero è infallibile e se è fallibile non è pensiero, è farragine animica! Nella misura in cui è pensiero, forza del Logos, è infallibile e quando una persona sballa è perché non ha pensato, non è mai il pensiero a sbagliare, uno sbaglio è una mancanza di pensiero, che è una cosa ben diversa. Ad interiorizzare i contenuti del cristianesimo non abbiamo neppure cominciato.

Prima di andare avanti vorrei fare una parentesi: ogni volta che troviamo le diciture “mio”, “di me”, il “Dio in me” dobbiamo avere il coraggio di pensare sempre alla forza dell’Io in me, all’Io Sono, all’Io in ogni essere umano.

“Se qualcuno serve l’Io, mi segua e dove Io Sono là sarà anche il mio servitore; se qualcuno mi serve, il Padre lo onorerà.” Il Padre è il mondo della natura, tutte le forze della natura. Nella misura in cui l’essere umano si mette a servizio e segue l’Io, fa l’esperienza che tutta la natura -il Padre- rende onore all’Io umano; è insito nella natura, è proprio della natura il rendere onore all’Io umano perché la natura è stata creata per l’uomo. A che cosa aspirano le pietre? A respirare, a vivere come le piante. A cosa aspirano le piante? A muoversi come gli animali. A cosa aspirano gli animali? A pensare come l’uomo.

Intervento. E l’uomo aspira a diventare Angelo.

Archiati. L’uomo aspira a diventare adulto, a diventare sempre più un Io. Quindi l’Io umano è l’onore, il senso di tutta la creazione, il coronamento dell’umano, l’onore si esprime nella “corona”. Che testo meraviglioso! Il 12,27-28-29 li riserviamo a questo pomeriggio perché, nel vangelo di Giovanni, viene descritta una certa specie di trasfigurazione mentre nei altri vangeli è narrata una trasfigurazione diversa con tre degli apostoli -Pietro, Giacomo e Giovanni- e non con tutti e dodici, il Cristo va sul monte e si trasfigura (pensate al quadro di Raffaello), diventa lucente come il Sole e accanto a Lui ci sono Mosè ed Elia. Questa narrazione della trasfigurazione trova il suo corrispondente in questo punto del vangelo di Giovanni:

12,27. “Ora la mia anima è turbata e cosa devo dire? Padre salvami da quest’ora, ma sono venuto per questo, per quest’ora”

12,28. “Padre, glorifica il tuo nome! Venne una voce dal cielo: “L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò”

12,29. “La folla stante e udente disse: “Un tuono s’è sentito!” Altri dissero: “Un Angelo gli ha parlato!”

12,30. “Gesù rispose e disse: “Non per me è risuonata questa voce ma per voi”

12,31. “Ora avviene la crisi di questo mondo. Ora il principe di questo mondo viene sbattuto fuori”

12,32. “E Io se verrò innalzato dalla Terra attirerò tutti verso di me”

12,33. “Ciò disse indicando di quale morte stava per morire”

Buon appetito, ci rivediamo alle quattro.

Sabato 21/02/2004. Pomeriggio
vv. 12,27 – 12,31

Tengo a dirvi una cosa molto semplice che per me è importantissima. Quando sono alle prese col vangelo di Giovanni mi chiedo: “Dove senti tu la stessa voce, lo stesso Spirito animato dagli stessi valori, mosso dalle stesse priorità di questo Spirito che ha parlato così duemila anni fa”? Non vado alla ricerca di ritrovare la personalità, in carne ed ossa, del Cristo -il Cristo si è incarnato una volta sola- però il cammino dell’uomo in positivo si orienta sul ricevere e far proprio lo Spirito del Cristo. Allora, se mi chiedo dove trovo oggi -nell’umanità moderna, con questo rovellio evolutivo dell’umanità moderna - nella forma più pura possibile, la stessa voce, lo stesso Spirito cristico, la risposta è immancabilmente: in questo tipo di conferenza (Il coraggio della libertà nella vita sociale, R.Steiner, NdR), per me è lo stesso Spirito.

Intervento. In quella conferenza?

Archiati. Soprattutto in questo genere di conferenze, per questo dico che è uno Steiner sconosciuto, perché tante altre cose, che magari lui ha trattato internamente per gli antroposofi, appartengono piuttosto alla corrente esoterica e quindi sono maggiormente importanti per il cammino interiore dell’individuo. Però, secondo me, la Scienza dello Spirito ha il diritto di coltivare l’aspetto esoterico, cioè interno, soltanto nella misura in cui, contemporaneamente, ne coltiva la dimensione universale. Il dedicarsi unilateralmente alle pratiche esoteriche è come promuovere un cristianesimo che si bea dei vangeli a livelli profondissimi soltanto nella cameretta, e che quindi non diventa mai parte della vita. In queste conferenze c’è un cristianesimo vivo, per questo è sconosciuto.

Intervento. E’ uno Steiner che volutamente non viene fatto conoscere?

Archiati. In Italia, delle conferenze sul sociale, che per Steiner erano le più importanti tra quelle da lui tenute, non è stato tradotto quasi nulla. Sindacare su cosa ci sia dietro come vissuto personale lo lascio a voi: è un dato di fatto. Una riflessione fondamentale è che quando uno prende sul serio questo tipo di contenuti non può più considerare la Scienza dello Spirito come appartenente alla sfera privata, si entra nella vita e questo, naturalmente, fa un po’ più paura che non bearsi di antroposofia nel salotto.

Quindi, da parte mia, sento una certa responsabilità personale, karmica, cioè io non sento il diritto di venire a commentarvi il vangelo di Giovanni senza dirvi dove io trovo lo stesso Spirito nell’umanità di oggi. E’ un mio dovere professionale assoluto dirvi che lo trovo lì, in forma pura. Tra l’altro, chi legge quei cicli di conferenze si domanda come sia stato possibile che un essere umano, quasi un secolo fa, abbia affrontato i temi del sociale in modo da ritenersi più che mai attuale.

Questo dimostra la forza travolgente della Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner; senza i fondamenti di questa Scienza dello Spirito, io, con tutta l’esegesi, con tutta la teologia cattolica, con tutti gli studi che ho fatto alla Gregoriana, non sarei minimamente in grado di farvi questo tipo di commento al vangelo di Giovanni.

Poi, riguardo alla mia sacchetta per i soldi, scusatemi se vi faccio questo accenno, qualcuno chiede qual’è la somma minima da dare: lo spirito giusto non è quello di dare il minimo possibile. Naturalmente, se ciò di cui io parlo non vi vale nulla non mettete niente nella cassetta, però se vi vale qualcosa non chiedetemi qual è il minimo che possiate dare. Questo libretto l’abbiamo stampato in Germania per gli italiani ed io l’ho finanziato perché in Italia, al momento, non c’è nessuno disposto a stamparlo. Dall’editore italiano sono dovuto scappare perché rifiutava di stampare una parte degli scritti da me proposti. Queste iniziative editoriali isolate sono parecchio costose. Il giorno in cui mi vedrete proprietario di macchine o di barche, quel giorno smettete di sostenermi economicamente però, fino a quel giorno, sapete dove metto i vostri soldi: li uso per dare del pane cristiano, genuino, ad un Italia che altrimenti non lo avrebbe. La stesura di questo libricino è stata tutt’altro che semplice: dalla Selva Nera dettavo a Monaco le parole in italiano, per telefono, dando istruzioni su come si scrivevano.

Torniamo al vangelo che è la cosa più bella che esista. Qualcuno mi ha chiesto di tornare un attimo sull’odiare la propria anima perché animi sensibili, soprattutto femminili, vorrebbero digerire un po’ meglio questo “odiare la propria anima”. L’anima del singolo isolato, l’anima egoica, della competizione, che si oppone agli altri, l’anima pubertaria -forse quest’ultima è la designazione migliore perché è neutra-, la fase della pubertà la deve passare ognuno, nessuno di noi può diventare autonomo senza esuberare, esagerare, nel senso di respingere gli influssi dall’esterno.

Le tre fasi dell’evoluzione in generale ed anche di ogni singola vita sono: la prima fase è l’unione senza individuazione; la seconda fase potremmo chiamarla “pubertaria”.

Ci riferiamo all’umanità nell’insieme ma soprattutto a quella Occidentale -l’emergere dell’individuo nel mondo arabo e soprattutto nel mondo orientale è molto meno virulento, è molto meno “pubertario”. Questi popoli non hanno ancora tutti i problemi che abbiamo noi ma ci arriveranno anche loro se andranno avanti: i gradini dell’evoluzione non si scavalcano, bisogna passarli tutti- che sta ora attraversando la seconda fase evolutiva, che va verso la realizzazione dell’emancipazione dell’individuo.

Nella vita individuale, prima si vive in totale simbiosi con i genitori, soprattutto nei nove mesi di gravidanza, poi emerge il bisogno di ribellarsi ad essi. A questo punto, la domanda che spesso ci si pone è: perché non è possibile, nella seconda fase, fare subito un equilibrio fra autonomia e comunione? Non è possibile. Così come la prima fase era unilaterale dal lato della comunione -non poteva essere diversa- e non c’era quasi nulla di emergenza dell’individuo, allo stesso modo la seconda fase, per essere genuina, deve diventare unilaterale nel senso del distacco. E’ una questione di gioco di forze e le forze sono fatte così.

Se noi ci scagliamo contro una persona di quattordici/quindici anni perché è diventata unilaterale, esagera nel ribellarsi, se le togliamo la possibilità di vivere appieno il passaggio in questa seconda unilateralità, la costringiamo a metterci tutta a la vita per portare a termine questa seconda fase. La cosa migliore sarebbe sapere e accettare che la seconda fase, quella in cui versa l’umanità di oggi, è il passaggio obbligato che comprende la distruzione della comunione a favore dell’emergenza dell’individuo.

Che parola ha sempre usato l’umanità per definire questo tipo di fase? Egoismo. L’egoismo è il secondo tipo di unilateralità, è la frammentazione dell’umanità, l’individualizzazione, l’emergenza dell’individuo a scapito della comunione. Sareste d’accordo con me nel dire, in questa disamina, che nella nostra società, in questa cultura di oggi c’è un pochino più di egoismo che non di solidarietà e di amore? Scommetto che qui azzecco in pieno la lettura, siete d’accordo?

Intervento. Sì.

Archiati. E la terza fase qual è? È l’equilibrio. Una comunione fatta di individualità ognuna diversa che trova il proprio spicco proprio immergendosi nella comunione. Dove il Cristo dice che bisogna odiare la propria anima intende dire che bisogna vivere, esperienzialmente, l’avversione verso la seconda unilateralità, bisogna odiare l’isolamento egoistico. In questo senso è inteso, perché finché uno non arriva a schifarsi di questo isolamento egoistico, non cercherà la terza fase per desiderio suo, per volontà sua e questa terza fase bisognerà continuare a predicargliela come un “devi”. Ha mai funzionato? No, e tanto meno funziona con colui che passa la fase della pubertà.

Il grosso problema del moralismo sta proprio in questo, nel non aver capito che è intrinseco alla seconda unilateralità di portare l’uomo a provare ribrezzo, ad odiare questo essere gli uni contro gli altri. La manifestazione estrema della seconda fase viene definita, nell’esoterismo, col termine tecnico di “guerra di tutti contro tutti” e più andiamo avanti in questa guerra di tutti contro tutti e più ci disgustiamo. Se nel mondo abbiamo parecchia gente disposta a suicidarsi per andare in Paradiso vuol dire che la guerra di tutti contro tutti va avanti a pieno ritmo, e non vi pare fatta apposta per schifarci tutti quanti? Ecco l’odio, l’avversione. L’uomo capisce di odiare questo egoismo unilaterale. In questo senso è intesa la parola “odio” nel senso di odiare la propria anima in quanto propria, in quanto vuole affermarsi contro gli altri. Colui che odia quest’anima, che vuole affermarsi a scapito degli altri, cerca la terza fase dell’evoluzione e troverà l’equilibrio della sua anima nella terza fase dell’evoluzione. Vi va bene così?

I versetti 12,27-28-29-31-32-33 sarebbero il corrispondente giovanneo della trasfigurazione, se li si vuole vedere in quest’ottica naturalmente, io faccio solo proposte interpretative conoscitive che hanno il valore di quello che ognuno di voi riesce a farne, mica di più; un valore intrinseco, metafisico, non esiste. Una proposta conoscitiva a cui accenna anche Steiner è che nel vangelo di Giovanni c’è la versione giovannea della cosiddetta trasfigurazione.

La trasfigurazione è il Gesù di Nazareth che scompare all’esperienza umana e compare alla visione spirituale come il Cristo, l’Essere del Sole. L’Essere del Sole comprende tutte le intuizioni conoscitive che ci possano essere e tutte le intuizioni morali, dell’amore, che ci possano essere. Quindi tutto l’elemento di luce e tutto l’elemento di calore. E come avviene questa trasfigurazione? Avviene nella misura in cui ognuno di noi, nel suo cammino evolutivo, si adopera, si esercita sempre di più a trasformare ogni percezione nel concetto corrispondente. Il Gesù di Nazareth è il lato di percezione del Cristo e il Cristo cos’è? E’ il concetto di Gesù di Nazareth!

Quando io guardo una persona vedo un Pinco Pallino o una Pinca Pallina: questa è la percezione, ma che cos’è il concetto? E’ un’espressione particolare del Logos, dell’Io Sono, è un modo particolare di conoscere, un modo particolare di amare. Questo processo è un processo di morte, morire alla percezione, odiare la percezione perché non è la realtà vera; non voler restare alla percezione perché la percezione è un inganno di frammentazione, è un inganno di atomizzazione dell’umanità. Il concetto, invece, è quello che ci fa cogliere tutti come corpo mistico di Cristo ma vede in ognuno un organo ben specifico di questo corpo mistico. Questo mistero di trasfigurazione viene rappresentato qui nella sequenza della morte e della resurrezione: “Ora la mia anima -qui cita un Salmo- si scuote”. Il verbo è tarassw, taràsso, lo vedremo nei discorsi della cena, nelle ultime conversazioni del Cristo dove dice: “Non si turbi, non si scuota, non si agiti il vostro cuore”

“Ora la mia anima si scuote e cosa dirò? O Padre salvami da questa ora?”

Questo turbamento, questo scuotersi è la paura della morte. Cos’è che ha portato l’umanità ad aver paura della morte, a turbarsi, a tremare? In questo tarasso c’è anche il tremare. Tarasso viene dal sanscrito tar-taras; in latino, ad esempio, è “terreo”, “atterrire”, “terrore”. La mia anima sente terrore, trrrrr… tremare.

Perché l’uomo trema? Perché è turbato, perché è agitato di fronte al pensiero della morte?

Perché ha paura, lasciando il corpo, di cadere nel nulla: le percezioni non ci sono più, non c’è più tutto quello che automaticamente il corpo crea dentro di me. Se non ho mai esercitato un tipo di pensiero, un tipo di amore che vada al di là di ciò che il corpo produce sorge immediatamente la paura della morte.

Quindi potremmo chiederci: in che cosa si riassume la caduta dello spirito umano? Nella paura della morte, nell’agitazione di fronte alla morte. Questa paura della morte non è un aspetto particolare ma è il tutto della caduta, è l’oscuramento dello spirito è la dimenticanza dello spirito, è questa convinzione bacata della scienza naturale che l’uomo deve al suo corpo tutto ciò che avviene nell’anima e nello spirito. E quindi, quando il corpo sparisce… tutto finisce. Se gli scienziati naturali avessero l’onestà di essere conseguenti con se stessi -non tutti lo sono- dovrebbero dire che insieme al corpo finisce tutto. Nonostante la scienza voglia dirmi che tutto cessa di esistere quando il corpo esala l’ultimo respiro c’è qualcosa in me che mi suggerisce: “no, no, non è vero”. Ed è questo conflitto interiore a scatenare la paura, altrimenti, se fosse così chiaro che tutto termina con la morte, di che dovrei aver paura?

La paura della morte è un grosso mistero e il Cristo partecipa, attraverso l’anima di Gesù di Nazareth, alla paura della morte, a questo scuotimento, a questo tremore. Allora il Cristo dice: “La mia anima entra in quest’esperienza di terrore, di paura di fronte alla morte e la mia reazione deve essere quella di chiedere al Padre di risparmiarmi questa ora”? E la risposta del Cristo è: “No, io sono venuto proprio per entrare in questa ora”. Il senso dell’incarnazione del Cristo è il poter vivere la paura della morte perché se lui non si fosse creato le condizioni per vivere la paura della morte, in quanto Gesù di Nazareth, in quanto uomo, non avrebbe potuto vivere la solidarietà con gli esseri umani fino in fondo.

Badate bene che io non sto dicendo che il Cristo abbia paura della morte ma che il Cristo ha deciso di provare, attraverso l’anima di Gesù di Nazareth, il sentimento della paura che gli esseri umani esperiscono di fronte alla morte. Perché il Cristo ha scelto questa solidarietà ultima cioè di far sua, attraverso l’anima di Gesù di Nazareth, la paura della morte? Per dimostrare, come Cristo, che il senso della paura della morte è la vittoria su di essa: nessuno può vincere una paura che non ha. “Chiederò al Padre: salvami da quest’ora, risparmiami, tirami fuori? No, non chiederò questo perché sono venuto nel mondo proprio per vivere quest’ora”! Tra l’altro il greco dice eiV thn wran tauthn (eis tèn òran taùten) dove eiV thn significa “andar dentro”. Vedete com’è concreto il greco? Non dice: “Sono venuto per quest’ora” ma: “sono venuto per entrare dentro, per tuffarmi dentro all’esperienza che l’ora della morte porta”.

Quindi, il senso dell’incarnazione del Verbo è la decisione cosmica Sua di fare l’esperienza, di entrare dentro all’esperienza della morte umana. Questa è l’unica ragione per cui il Cristo si è incarnato. Anche il nostro vivere quotidiano è un morire a centellini e la morte finale è soltanto la somma integrale di tutte le morti parziali che viviamo quando non ci capiamo a vicenda, non capiamo qualcosa, non troviamo il concetto, quando ci sentiamo soli, passiamo un brutto periodo di depressione, eccetera. Tutti questi frammenti di morte, di oscuramento dello spirito hanno il senso di venire vinti, ma se non ci fossero questi frammenti di morte non avremmo le controforze con cui misurarci e far crescere il nostro spirito.

“Padre…” Il Padre è Dio Padre, ma dove viene vissuto il Padre? In tutte le forze di natura. Qual è il senso delle forze di natura? E’ di offrire all’Io umano tutte le controforze che lo rendono sempre più forte. Se il Padre, operante nella natura, ci offre tutte le controforze con cui l’Io può misurarsi…cosa ci offre la natura? La glorificazione dell’Io. Come può il Padre, le forze della natura, glorificare il Figlio dell’uomo? Offrendogli ogni giorno controforze sempre più robuste in modo da dargli la possibilità di diventare sempre più forte.

Detto in un altro modo: oggi siamo all’inizio del terzo millennio, supponiamo che il cammino evolutivo della coscienza umana sia avanzato di qualche passo rispetto a duemila anni fa, che siamo in grado di capire le cose ad un livello più profondo, che siamo in grado di capirci a vicenda e quindi di costruire una comunione più profonda tra esseri umani. Da che cosa dovremmo dedurre che oggi siamo più vigorosi di duemila anni fa? Dal fatto che le forze di opposizione sono più potenti. Può mai la conduzione dell’evoluzione umana offrire alle forze di coscienza e di amore degli uomini più controforze di quelle che gli esseri umani sono in grado di fronteggiare? No, perché sarebbe una gestione dell’evoluzione non saggia, una conduzione saggia dell’evoluzione prevede di dare all’uomo sempre il pane giusto per i suoi denti. Se è un fatto che oggi le forze dell’antiumano sono più efficacemente avverse, ciò significa che le possibilità evolutive della coscienza e dell’amore superano quelle di duemila anni fa. Presa dal lato positivo, questa affermazione, non solo è confortante ma è anche in grado di darci coraggio e forza.

Intervento. Scusa Pietro, nella mia traduzione c’è scritto: “Padre glorifica il tuo nome” non il Figlio dell’uomo.

Archiati. Adesso ci arrivo, mi ero fermato un momentino sul “glorifica”. Il glorificare significa che, grazie alle controforze, grazie al Padre, le forze di coscienza e di amore diventano sempre più forti. Adesso veniamo al “nome”: il Vangelo di Giovanni usa parecchie categorie, in questo brano troviamo molti echi che vengono dai sinottici e allora pensiamo, ad esempio, alla prima parte del “Padre Nostro”:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome

venga il tuo regno

sia fatta la tua volontà

Anche su questa preghiera abbiamo contributi moderni, importantissimi da parte di Rudolf Steiner e della sua Scienza dello Spirito. Quando c’è una creazione, il punto focale è quello di un Essere spirituale che vuole qualcosa. Da dove comincia il fare qualcosa? Dal volere qualcosa, è un’intuizione morale.

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Fig. 3

Quindi, c’è un Essere al centro, un impulso volitivo e questo volere qualcosa, questa scaturigine da cui si sprigionano mondi è la qualità del “Padre”. Questa forza volitiva dice: “Io voglio” ed apre tutta una creazione, l’arco di irradiazione di questa volontà viene chiamato il “Regno” fin dove arriva; in tedesco Reich significa “fin dove arriva”. Nei tempi passati c’era la corte e il re, e fin dove arrivava il regno? Il re mandava i suoi araldi ad annunciare la sua volontà per tutto il regno quindi c’era un pulsare di questo nucleo volitivo in tutto il regno. Però questa duplicità non basta perché la volontà primigenia del Padre cosmico è di far sorgere tanti Esseri che non siano soltanto esecutori della sua volontà ma che la capiscano e la facciano propria. Nella misura in cui nel Suo Regno sorgono Esseri -Angeli, Arcangeli, ma anche uomini- che non siano soltanto esecutori della sua volontà ma la capiscano e la facciano propria, ognuno di questi Esseri ha un nome suo e questo è il “Nome” della preghiera Padre Nostro (i termini nome, regno sono tecnici); “Sia santificato il tuo Nome” cioè parte con la méta evolutiva. “Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà” dove si compie la volontà del Padre? Nell’individuo autonomo, e qual è stata la volontà primigenia, fondamentale del Padre dei cieli? Lo spirito umano autonomo, altrimenti che ci ha creato a fare? Però tutti questi spiriti umani autonomi, non frammentati, non sono atomi dispersi ma sono un Regno ed il Regno è il Figlio.

Riepilogando: la volontà è il mistero del Padre, il Regno è il mistero del Figlio del quale siamo tutti, il corpo mistico, e il Nome è lo Spirito Santo che si esprime in un modo individuale, diverso in ogni essere umano. E allora che vuol dire: “Padre glorifica il tuo nome”? Vuol dire: “Padre possa tu fare dell’umanità un Regno tale che in ogni essere umano sorga il tuo Nome in quanto spirito pensante, individualizzato e libero”, “Ti prego, o Padre, di dare corso a questo processo evolutivo di individualizzazione degli spiriti umani”. “O Padre sono venuto ad aiutarti, il senso della mia morte è che nella misura in cui lo spirito umano affronta la totalità delle forze opposte, diventa uno spirito autonomo, uno spirito libero.

Lo spirito autonomo e libero si chiama tecnicamente il “nome”; nella società di oggi cosa intendiamo quando chiediamo ad una persona qual è il suo nome? Chiediamo la sua identità individuale, “Io sono una persona che si chiama così e non sono l’altra persona che si chiama colà”. “Padre, glorifica, fai sorgere l’aura spirituale, conoscitiva e morale del tuo Nome, gli spiriti umani individualizzati”, questo significa il Nome. Di fronte a questa preghiera: “Padre glorifica il Tuo Nome”, in queste tre parole c’è tutta la Trinità divina che diventa Trinità umana: c’è il Padre con la sua Volontà primigenia, Glorifica è l’opera del Figlio che aiuta gli uomini a diventare un nome singolo, il Tuo Nome sono gli individui. Quindi in questa piccola frasetta c’è la Trinità divina che diventa la proposta evolutiva degli esseri umani. Detto questo, che riassume il senso dell’evoluzione, si ode un tuono, una voce -il Padre si fa sentire- e quando il Padre si esprime da dove promana la sua voce? Dal Dio astratto o dalla natura?

Intervento. Dalla natura.

Archiati. A seconda di ciò che gli esseri umani sono capaci di recepire. Adesso viene.

“…Venne una voce dal cielo -hlqen oun jwnh, élten un fonè-: “l’ho già glorificato e lo glorificherò di nuovo” -kai edoxasa kai palin doxasw, kai edòxaza kai pàlin doxàso-

Intervento. Chiedo scusa, sul mio testo c’è scritto: “Glorifica il mio nome” Il mio o il tuo?

Archiati. Interessante, nel mio testo c’è scritto il tuo nome però, come vi avevo detto, nel mio testo ci sono mille asterischi che mi riportano a delle note in cui dicono che altri testi danno diverse interpretazioni e variazioni. Guardando in una nota vedo che uno dei più famosi codici sinaitici riporta: “il mio nome”.

Intervento. Allora cos’è il mio o il tuo nome?

Archiati. Diciamo che nessuno dei due è sbagliato, la preferenza dipende dalla prospettiva conoscitiva che qui viene proposta. Adesso, per farvi capire che entrambi vanno bene, dovrei fondare le affermazioni, come faceva Kant, con le antinomie della ragione: da un lato dimostra apoliticamente che il mondo è eterno e dall’altra parte dimostra apoliticamente l’opposto cioè che il mondo ha avuto un inizio. Potremmo fare la stessa cosa: dimostrare apoliticamente che va bene il “Tuo Nome” e poi dimostrare apoliticamente che va bene il “Mio Nome”, tutti e due si lasciano teoricamente dimostrare perché sono la stessa cosa. Il Figlio è il nome del Padre o il nome che poi si moltiplica in ogni essere umano. Comunque, ti è utile sapere che i manoscritti oscillano ma non è il caso, ora, di disquisire all’infinito su queste due affermazioni.

Quello che m’interessava era fermarmi su questo: “L’ho già glorificato e di nuovo lo glorificherò”, di nuovo, una seconda volta. Se è vero che il fenomeno Cristo, il fenomeno primigenio, archetipico dell’umano, riassume tutta l’evoluzione umana, e proprio perché è un fenomeno di svolta volge ogni direzione dal di fuori in autonomia interiore, ogni norma di legge in volontà spontanea a partire dal cuore umano, allora queste due volte in cui il Padre glorifica sono: l’andata e la venuta dell’evoluzione. Adesso vi rifaccio la mia ormai famosa “vasca da bagno”.

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Fig. 4

Qui, al centro, c’è il fenomeno di svolta del Cristo. L’esperienza del Cristo è sempre l’esperienza di svolta: ogni percezione viene svolta in un concetto, ogni egoismo viene superato con l’amore, ogni frammento di morte viene trasformato in una resurrezione. “L’essere umano, l’Io umano è già stato glorificato e di nuovo verrà glorificato”, le due parti dell’evoluzione sono: la cosiddetta caduta e la riascesa, la redenzione. La caduta è la prima glorificazione dell’essere umano: questo è un pensare positivo perché se non ci fosse stata questa prima glorificazione, la seconda non ci sarebbe mai potuta essere. Il Cristo, alla svolta, chiede al Padre come deve interpretare l’evoluzione, e il Padre risponde: “Come due tipi di glorificazione: l’ho già glorificato e di nuovo lo glorificherò”. Quindi, nell’evoluzione ci sono soltanto due possibilità: il bene e il meglio e chi non la vede così, peggio per lui! Però chi capisce questo concetto così semplice e fondamentale la smette con i moralismi. La caduta è stata pesantemente tacciata di essere il male; la caduta non è mai il male. Male è soltanto omettere di riprendersi dalla caduta, il male morale non è mai nel cadere -il cadere è necessario- ma è nell’omettere di rialzarsi.

Intervento. Le molteplici reincarnazioni sono delle cadute allora?

Archiati. Fino alla metà. Ci sono le incarnazioni prima di Cristo “l’ho già glorificato” e le incarnazioni dopo Cristo “lo glorificherò di nuovo”. L’evoluzione conosce solo due glorificazioni: questo vuol dire la frase. “L’ho glorificato” si riferisce a tutto il passato e “di nuovo lo glorificherò” si riferisce a tutto il futuro. In tante conferenze Steiner dice: “se è vero che in ogni evoluzione c’è una chiave di volta, allora in tutto quello che viene dopo si ripete tutto quello che c’è stato, ad un livello più alto”. Se in un’evoluzione settenaria mettiamo il 4 al centro, il 5 sarà una nuova glorificazione del 3, il 6 sarà una nuova glorificazione di 2, il 7 sarà una nuova ripetizione, più gloriosa dell’1. In questa frase c’è la struttura fondamentale dell’evoluzione: l’andata è una gran bella cosa e il ritorno è ancora più bello. L’andar giù era positivamente necessario e il tornar su è ancora più bello. Vi sembra troppo positiva la cosa?

Intervento. La ragazza che ha parlato prima diceva che l’incarnazione è un venire giù ma poi il venire giù è anche un tornare su.

Archiati. Qui si parla dell’insieme dell’evoluzione.

Adesso, nel 12,29, si parla della folla che era presente. Chi ha sentito le parole: l’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò? Il Cristo le ha sentite spiritualmente oggettive. Questa comunicazione dal Padre al Figlio -il Figlio dice: “Padre glorifica il tuo /mio /nostro nome”, e il Padre risponde: “l’ho glorificato e lo glorificherò di nuovo”- avviene subspecie aeternitatis cioè sempre, voi pensate forse che questo scambio di parole non accada in ogni momento? Avviene certamente. E pensiamo forse che il Padre non risponda sempre con quelle stesse parole? Lo fa sicuramente. In condizioni normali l’essere umano non sarebbe capace di cogliere il fluire continuo di questo dialogo fra Padre e Figlio. Solo che in questa precisa circostanza -in cui il Cristo è incarnato e sta per entrare nella sua morte- la folla circostante, avvolta nell’aura spirituale piena di amore del Cristo, viene trasportata -nella misura in cui uno è capace di partecipare a quest’esperienza- a condividere quest’esperienza spirituale.

“La folla stante e udente disse: “è avvenuto un tuono”; altri invece dicevano: “un Angelo gli ha parlato”. Queste due Entità -Padre e Figlio- si parlano e una parte della folla ode un tuono: vedete quanto sia vitale il contributo di una Scienza dello Spirito che indaga i vari livelli di percezione dello spirito umano? La Scienza dello Spirito dice: così come nel semplice parlare umano fisico ci sono diversi livelli di comprensione -uno capisce e l’altro no- anche nell’esperienza spirituale ci sono vari gradi di comprensione.

Questi diversi livelli di comprensione vengono espressi in un modo duplice, lo spirito della natura (vedere i volumi 98, 136 e 110 dell’opera omnia. Il 136 descrive l’attività delle Gerarchie spirituali. Una delle loro mansioni è quella di mandare dei distaccamenti di Spiriti della natura ad operare nei regni della natura. Questi innumerevoli eserciti di ondine, gnomi, silfidi, salamandre eseguono gli ordini delle Gerarchie angeliche), il mondo della natura -del Padre- è duplice. In quanto operante dentro alla natura si concretizza negli spiriti della natura e dà vita ad un fenomeno di natura, il “Tuono” appunto. In quanto operante nelle Gerarchie spirituali, aventi il controllo dell’attività degli Esseri elementari, abbiamo la percezione degli “Angeli”. Questo spiega la ragione per cui alcuni dicono di aver udito un Tuono ed altri di aver udito un Angelo.

Chi produce il tuono? Gli esseri elementari al lavoro nella natura. Voglio dire che lo studio del volumi 98 e 110, che squadernano la fenomenologia degli Esseri di natura -soprattutto questa quadruplicità dei cosiddetti gnomi all’opera nel fisico, delle ondine all’opera nel liquido, delle silfidi all’opera nell’aria e delle salamandre all’opera nel calorico- fornisce le chiavi di base per la comprensione di questi due versetti del vangelo.

“Il Padre parla col Figlio, il Figlio parla col Padre” in questo colloquio dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre si ha la Trinità. Al livello più basso abbiamo gli esseri umani, incapaci di assurgere a questo livello della Trinità divina; subito dopo vengono gli Angeli, le Gerarchie angeliche per cui alcune persone avvertono la presenza di un Angelo che parla con Lui. Per le persone che non arrivano a cogliere l’operare spirituale degli Angeli resta, ad un livello ancora inferiore, l’operare degli Spiriti elementari e quindi odono un tuono.

Intervento. Certo che dà l’impressione che in queste persone sia presente l’udito spirituale, per cui sono dotati di una forma abbastanza avanzata di percepire.

Archiati. Ti ho detto che era dovuta, aiutata dal fatto che l’Aura spirituale del Cristo fosse presente.

Replica. Ah, capisco, infatti per udire gli Angeli bisogna essere ad un livello elevato.

Archiati. Però tieni conto anche della veggenza atavica di quelli che odono. Mentre gli altri meno sensitivi dicono: è un tuono! Ora chiedetevi onestamente: la teologia tradizionale, l’esegesi tradizionale, senza i fondamenti di Scienza dello Spirito, cosa ci capisce di questo evento?

12,29. Traduciamo letteralmente: “la folla stante…” noi traduciamo “circostante” ma in greco c’è “stante” e quindi è chiaro che c’è una comunicazione della forza eretta dell’Io da parte del Cristo a questa folla “stante”. La folla, attraverso il Cristo, riceve una comunicazione di forze dell’Io eretto, che fa cogliere l’operare degli Esseri della natura -il Padre operante nella natura e il Padre operante nelle Gerarchie angeliche-.

“…la folla stante e udente disse: è stato generato un tuono -bronthn gegonenai, brontèn ghegònenai-; altri dissero: un Essere delle Gerarchie angeliche -AggeloV autw, anghèlos autò- ha parlato con Lui” (può essere un Angelo come un qualunque altro Essere delle Gerarchie angeliche).

Replica. Come mai usa la parola che tradotta dal greco significa “balbettare”? E’ forse un inizio di udito spirituale?

Archiati. Sì, perché il Cristo ha parlato e la folla, invece di riportare esattamente le sue espressioni, dice di aver visto un Angelo parlare. L’Angelo ha cianciato, non s’è capito cosa abbia detto, ma ha parlato.

Replica. Mi ha colpito il verbo (lalew, laléo).

Archiati. Era ovvio che usassero quel verbo perché se fossero stati in grado di dire “logos”, avrebbero saputo spiegare cosa aveva detto, invece si è trattato di un’ispirazione incipiente, da far dire loro che è stata la voce di un Angelo, però non sanno dire il contenuto. Vedete, il testo è di una precisione straordinaria e però presuppone una conoscenza scientifica dello spirituale.

“Gesù rispose e disse: “non per me questa voce è stata generata ma per voi”.

Qui il Cristo dà un aiuto di conoscenza e dice: “questa voce non è successa per me, io non ho bisogno di rendere udibile all’umano ciò che io dico al Padre e ciò che il Padre dice a me”. Questo colloquio fra il Padre e il Figlio avviene sempre, ma ora è stato reso percepibile per gli uomini perché questa voce possa suscitare in loro cambiamenti importanti. I passi evolutivi conseguenti all’aver recepito questa voce sono fondamentali per il cammino degli uomini.

Il popolo, nell’udire quella voce, avrebbe potuto pensare: “Questa voce è venuta per difendere il Cristo o per dargli un credito maggiore” a questo possibile dubbio degli uomini il Cristo dice: “Io non ho bisogno di nessuno che mi difenda o che mi accrediti: questa voce è successa per voi”. In altre parole, il Cristo non ha karma, nessun evento deve succedere per Lui, per la Sua personale evoluzione. Tutto ciò che avviene da parte del Cristo è puro servizio di amore, puro contributo all’evoluzione degli uomini, il Cristo non trattiene nulla per sé.

Uno dei concetti esoterici che riguardano il Cristo è che il Cristo è venuto nell’umanità senza avere un frammento di karma, le sue azioni ed il suo donare sono pura gratuità. Quindi anche questa voce non è successa per soddisfare un suo bisogno di essere difeso ma era indirizzata agli uomini. Tutto ciò che avviene tramite il Cristo e attorno al Cristo è pura grazia, puro incentivo di evoluzione per gli esseri umani.

Adesso arrivano parole cardine: “Ora avviene la crisi -nun krisiV estin, nùn crisis estìn- la svolta, di questo mondo -tou kosmou toutou, tu còsmu tùtu-…” Crisis era un termine medico che stava ad indicare il crinale del decorso di una malattia.

Intervento. Un cambiamento.

Archiati. No, una svolta, un cambiamento può capitare tante volte mentre sali la china, ma la svolta t’inverte la marcia. Il concetto di crisi è, ad esempio, il fatto che tante malattie hanno un decorso basato sul 7, sulla settimana: si svolge per 7 giorni e a partire dall’ottavo giorno o migliora decisamente o rischia di portare alla morte. La crisi è la svolta, il discernimento degli spiriti: o di qua o di là. Essere uomini significa decidere: o a destra o a sinistra, non si possono servire due padroni. Finché non ha acquistato la forza morale di prendere questa decisione, cioè di trovarsi a questo bivio e di saper scegliere una strada piuttosto che un’altra, l’essere umano, vive ancora all’epoca pre-Cristica. L’inclinazione più istintiva dell’essere umano vorrebbe accaparrarsi tutte e due le condizioni: vorrebbe avere successo in questo mondo e successo nel mondo spirituale, invece, il concetto di crisi e di dover scegliere.

Ci sono degli esseri umani che dicono: “Mannaggia! Ma perché devo scegliere? Perché non posso godermi il polo vitale e il polo di coscienza, tutti e due al massimo? Sono così belli tutti e due! L’uomo, posto di fronte all’affermazione: “Devi scegliere!” o si ribella tutto o si gioca tutto perché ne coglie l’assolutezza; prima che il Cristo formulasse quell’invito a decidere, il bivio non c’era. Cosa ne dite, è sensato effettuare questa scelta o no? Qualcuno si lamenta: “Ma perché dobbiamo lottare sempre, non sarebbe meglio essere un pochino più concilianti l’un l’altro, procedere tutti insieme in modo da evitare questi conflitti”?

Tanti a me dicono: “Ma non potevi essere un pochino più gentile con la Chiesa cattolica”? Perché questo scontro? Vedete la sfida al pensiero? A questo punto non ci sono moralismi ma lettura oggettiva: o è così o non lo è. Il vangelo ci porta sempre a questo elemento di svolta dove la sfida al pensiero ed anche la sfida al cammino morale si radicalizza: è una crisi non da poco che ci mette in difficoltà perché scegliere significa lasciare qualcosa. E uno che non vuole lasciare nulla non sceglie nulla, decide di non decidere.

Che immagine ci rimanda la parola “decidere”? Tagliare, “cedo” significa tagliare, de-cido è spaccare in due: o questo o quest’altro, non puoi averli tutti e due. E’ un discorso non da poco in un mondo di comodismo in cui uno vorrebbe godersi tutto. Se dovessimo andare avanti con questa domanda sul perché bisogna scegliere ci renderemmo conto che una libertà che non ha mai rinunciato a nulla è fasulla, non ha niente a che fare con la libertà. Il peso morale della libertà sta in ciò a cui un uomo ha rinunciato liberamente, per scegliere ciò che ha scelto. E in quest’ottica il concetto di “rinuncia” viene riscattato in modo pulito, senza moraleggiare: l’essere umano non può essere libero senza fare a meno di qualcosa perché scegliere significa abbandonare qualcosa, però la rinuncia ha valore solo se avviene liberamente, altrimenti sarebbe meglio lasciar perdere.

12,31. “Ora viene la crisi di questo mondo e il principe di questo mondo - o arcwn tou kosmou toutou, o àrchon tu cosmu tùtu- sarà sbattuto fuori”, altro che scelta! “Verrà sbattuto fuori”, vedete una variante dell’odiare? Ciò che non fa parte dell’umano viene odiato talmente da venire estromesso. Cos’è che dobbiamo espellere? Per esempio, se voglio crescere intellettualmente e moralmente devo sbattere fuori ogni attaccamento al potere perché ogni interesse di potere deve, per forza, obnubilarmi la mente, mi farà vedere le cose sotto un’angolatura limitata al mio tornaconto volto a migliorare il mio potere. A questo punto è importante effettuare una scelta, scegliere: o caccio decisamente via ogni intento di potere e allora la mia mente e il mio cuore si libereranno, oppure trattengo dentro di me il principe di questo mondo -il cui principio fondamentale è il potere- e allora non potrò avere la libertà.

Intervento. Oggi si direbbe che è un conflitto d’interessi.

Archiati. Cosa intendi con conflitto d’interessi?

Replica. Per esempio, là dove ci sono due interessi che entrano in conflitto.

Archiati. Diventa più concreto, altrimenti…

Replica. Qui mi chiedi troppo.

Archiati. Finché parli di due interessi conflittuali ripeti semplicemente quello che stavamo dicendo, ma la cosa diventa più interessante quanto più ci avviciniamo alla concretezza. E non c’è bisogno di fare allusioni al Presidente del Consiglio, l’esercizio di potere lo conosciamo a tutti i livelli. Prendiamo un rapporto a due: o sbatti fuori lo spirito che vuol sempre avere ragione e allora entri nella dinamica dell’amore, oppure questo principe di questo mondo, che vuole sempre soverchiare e gestire l’altro, lo tieni dentro e rimarrai fuori dall’esperienza dell’amore.

Se volete, la scelta quotidiana -però potete variare queste categorie- è tra il potere e l’amore, o l’uno o l’altro. L’esercizio di potere è la cosa più quotidiana che esista, si tratta soltanto di prestare attenzione, cioè di affinare la consapevolezza e di rendersene conto. Ad esempio, ogni volta che qualcuno qui presente vorrebbe intervenire e io lo ignoro sto esercitando potere, non stiamo discutendo se si tratti di un potere legittimo o meno però di esercizio di potere si tratta, perché io decido di non farlo parlare. Quindi, si tratta di renderci conto che essere umani significa sempre vivere nella scelta quotidiana tra potere e amore.

Intervento. Tante volte questa scelta è difficile, non sempre si riesce a capire chiaramente cosa sia meglio fare.

Archiati. Allora si tratta di esercitarlo quotidianamente e così si diventa sempre più capaci di capire quando sto soverchiando l’altro o quando l’altro mi sta soverchiando, lo si capisce a livelli sempre più sottili e concreti.

Intervento. Senti, qui dice: il principe di questo mondo, il principe. Noi invece lo abbiamo identificato come tanti e non uno solo. È forse riferito solo al potere? Non ti sto dicendo che sia poco, volevo solo capire.

Archiati. Non ti difendere prima che io ti attacchi…

Intervento. Con te è meglio mettere le mani avanti…

(Risata)

Archiati. Altro che esercizio di potere, questa si difende prima che io l’attacchi, poi si difende quando io l’attacco quindi è tutto un difendersi e un attaccare. Tu hai, giustamente, sottolineato che “principe” è al singolare e quindi tutto questo insieme di controforze deve avere un carattere unitario. Qual è il carattere unitario? Diciamo che si tratta di un carattere unitario duplice.

Le forze primigenie dell’essere umano si possono ridurre a tre, a due, si possono ridurre anche ad una sola però, elenchiamone almeno due: la conoscenza e l’amore. Il principe di questo mondo si esprime in ogni ottenebramento della coscienza ed in ogni egoismo che si oppone all’amore. Io, usando la parola “potere” li ho compresi tutt’è due perché ho spiegato l’intento di potere come una forza che mi impedirà di essere oggettivo nella conoscenza e se ho un interesse di potere non potrò essere amante dovrò, per forza, essere egoistico.

Io ho usato la parola potere -ma tu potresti usarne altre- come oscuramento della coscienza ed elemento di egoismo, come forze contrarie all’amore. Il principe di questo mondo equivale al volersi affermare in questo mondo. Come ci si afferma in questo mondo? Dimostrando di avere più soldi degli altri, più potere degli altri, di poter schiacciare gli altri, e in cosa consiste la scelta? Nel perdere l’interesse a dominare gli altri, nell’abbandonare ogni velleità di potere in questo mondo, nel provare gusto a scalare le vette del mondo spirituale. E nell’altro mondo cosa c’è? Conoscenza e amore. O questo mondo -soldi e potere- diventa il fine dell’esistenza e allora io uso il mio spirito per conseguire il potere, oppure tutto ciò che c’è in questo mondo diventa strumento -non il fine- per un cammino nell’altro mondo.

In altre parole, l’essere umano non può dare la stessa priorità alla materia e allo spirito: o gli è prioritario lo spirito e allora tutto ciò che è materiale è strumento per il cammino dello spirito, oppure privilegia il materiale e allora usa il suo spirito, il suo acume intellettuale per affermarsi sulla scena di questo mondo. Non ci si può contemporaneamente affermare sulla scena di questo mondo e nel mondo spirituale: o l’uno o l’altro. Nel processo di affermarsi sulla scena di questo mondo bisogna uccidere lo spirito, non esistono altre strade. E’ proprio questa la fenomenologia che questo testo ci sta mettendo davanti, è questa la crisi: devi scegliere.

Intervento. E se il potere di questo mondo fosse necessario per divulgare lo spirito per l’altro mondo?

Archiati. Questo pensiero, il vangelo lo presenta un po’ più in là quando la folla sarà sparita e il Cristo parlerà ai dodici, nell’ultima cena, e dirà loro: “Questa è la tentazione più raffinata che esista da parte del principe di questo mondo”. Tu dici: “ma uno che non ha nessun potere non può fare neanche il bene, può fare il bene solo se ha un minimo di potere, puoi stampare il libro soltanto se hai un po’ di soldi; allora, preoccupati prima di avere un po’ di potere e poi potrai fare del bene”. Ho afferrato bene il tuo discorso?

Replica. Benissimo.

Archiati. Non è la prima volta che lo sento. Io ti sto dicendo che non funziona ma non basta che il guru dica che non funziona: vuoi farlo tu il processo di pensiero? Allora, partiamo dal dire che c’è bisogno di un po’ d’influsso per poter fare del bene e allora iniziamo la scalata all’accumulo dei soldi. Cosa avviene in questo processo? Che chi tenta di raggiungere il potere deve seminare disumanità! Il male non può mai essere uno strumento che conduce al bene, devi scegliere. Tramite il tuo contributo abbiamo fatto questo esercizio conoscitivo che ci porta a quest’affermazione non moraleggiante -dove devi scegliere in senso impositivo- ma è un’affermazione conoscitiva: il mondo è fatto in modo tale che tu non possa avere il potere e l’amore insieme, è un’illusione, ti sbagli se pensi di poterli avere entrambi.

Replica. E’ una tentazione.

Archiati. E’ una tentazione, un abbindolamento perché di gente che ci ha provato ce n’è stata tanta. Guarda, se tu oltre a pestare gli altri per fare soldi o per il potere, se hai addirittura la possibilità di metterci alla base anche un intento buono e bello farai del male agli altri con la coscienza pulita, e allora sei perso del tutto perché non noti più quello che sta avvenendo a te e agli altri. Questo è il punto massimo di raffinatezza del principe di questo mondo. Steiner in tante conferenze dice che la forza primigenia di Arimane -che è il principe di questo mondo- è l’astuzia. Faccio un’ultima domanda prima della pausa: di che cosa si serve più volentieri il principe di questo mondo? Delle buone intenzioni degli esseri umani o delle cattive?

Intervento. Delle buone.

Archiati. Perché?

Intervento. Perché ti seducono più facilmente, perché non le riconosci, sono le mezze verità.

Archiati. Esatto, t’inganna più facilmente. Quindi, la risposta alla tua domanda di prima è che il principe di questo mondo si serve principalmente delle buone intenzioni degli uomini, così non lo vedono.

Intervento. E se uno questo potere lo eredita, se lo trova già lì?

Archiati. Non c’è nessuno nato in un contesto di potere. Prendiamo l’archetipo dell’umano: a 12 anni ammaestra i dottori del tempio, è una bella fetta di potere, no? Dov’è andato a finire questo potere? L’ha usato? L’ha sfruttato? No, è sparito.

Intervento. Chiedo scusa, ma non ho capito.

Archiati. Gesù, a 12 anni, nel tempio ammaestrava i dottori. Se avesse continuato ad usare questo potere, avremmo avuto, da 12 fino a 30 anni, un soverchiare continuo. Tutto il mondo, i maestri, i magi si sarebbero precipitati ad adorarlo. Dov’è andato questo bambino prodigio? Non c’è più e quindi resta vero che bisogna scegliere.

Intervento. Non potrebbe esserci il caso di questo arricchimento da mettere al servizio del compimento di azioni buone e che è derivato non da azioni di potere ma da donazioni?

Archiati. Voi fate alla fine le domande che richiedono più tempo, per salvarvi, eh? Perché se avessi più tempo le botte sarebbero più pesanti. Uno dei pensieri fondamentali di questa conferenza -dove ogni affermazione diventa vita- è che ogni euro che uno pensa essere di sua proprietà -se lo dona si è messo in testa che sia proprietà sua- è rubato. Se io capisco che il denaro è come il sangue, capisco che appartiene a tutti , allora non vengo col paternalismo di chi dona ma dico: “Io ho tanto ed ho bisogno di tanto, tu hai bisogno di più e allora io do i soldi a te, ma in realtà non ti dono mica: restituisco”. Siccome a questo punto il discorso diventa un pochino pericoloso, facciamo una pausa.

Ci stiamo rendendo conto che questo testo è pieno di mantram di meditazione, di affermazioni fondamentali sull’evoluzione umana, che non contiene elementi marginali ma va sempre all’essenziale. “Ora è la crisi” -nun krisiV estin, nun crisis estìn- significa che ora avviene il giudizio, la decisione, la spartizione di questo mondo. Questo “ora” a quando è riferito? E’ sempre il momento presente. Adesso lo prendiamo da un’altra prospettiva: qual è il momento decisivo per la mia evoluzione? Il momento decisivo per la mia evoluzione può essere sempre e soltanto il momento che ho a disposizione perché il momento di cui non dispongo non mi serve, non ci posso far nulla. Qual è il momento in cui posso decidere? Sempre e solo ora. Quindi questo “ora” è il mistero del presente che fa da spartiacque tra tutto il passato e tutto il futuro. Perché il presente divide il tempo in due? Perché tutto il passato ha un carattere opposto a tutto il futuro. E in che cosa consiste il carattere opposto? Che del passato non posso più cambiare nulla. Tutto ciò che è passato, che sta dietro al momento presente…ve lo faccio sulla lavagna.

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Fig. 5

…ecco, questa spartizione assoluta ma vera, oggettiva, del tempo è il momento presente e divide il tempo in due nel senso che tutto il passato ha un carattere opposto al futuro. Il passato non lo posso più cambiare, il futuro lo posso tutto decidere. Naturalmente non posso preventivamente decidere tutto del futuro, in quanto il mio futuro è aperto alla libertà. Quindi, qui nel passato (rif. fig. 5) c’è necessità, è determinato; e questo futuro (rif. fig. 5) è tutto libero ed ecco, al centro, la crisi, il momento di crisi è sempre il momento presente e divide il tempo in due.

Ogni momento presente ha alle spalle tutto il passato, che ha il carattere di determinismo, non si può più modificare ed ha davanti tutto il futuro che, invece, è aperto alla libertà. In altre parole, il Cristo dice: “Io sono venuto al mondo per rendere gli esseri umani capaci di libertà, di vivere il carattere polare del tempo”. Cosa significa vivere nella libertà? Cogliere il momento presente nella sua possibilità di trasformare il passato in base a quello che farò nel futuro; trasformare il passato non significa cambiare il passato ma servirsi della mia esperienza trascorsa per aprire prospettive evolutive sempre nuove.

Dove eravamo arrivati? Al 12,31. nun (nun) vuol dire “ora, momento presente, adesso” ed un altro carattere di questo momento presente è che il principe di questo mondo viene sbattuto fuori cioè l’essere umano, se vive il presente come aprentesi verso il futuro, termina di farsi determinare dal passato. Il principe di questo mondo è l’uomo soggetto al determinismo, è la natura a condurre le sorti dell’uomo e la vittoria sul principe di questo mondo è il risveglio dell’uomo che comincia a determinare la natura.

Intervento. Nel momento di crisi in cui faccio una scelta si riesce a sbattere fuori il principe di questo mondo oppure bisogna fare più scelte prima di allontanarlo definitivamente?

Archiati. E’ un processo continuo che avviene un po’ alla volta.

Replica. Sì, ma io non intendevo nel totale ma per un aspetto del mio ego: è un processo continuo in ogni caso? E’ una battaglia o è una guerra?

Archiati. Vedi com’è facile cadere nella retorica? Concretizziamo la tua domanda. La scienza naturale ti dice: “è un illusione dire che noi scarichiamo il principe di questo mondo, la composizione dei geni, delle cellule, è lei a decidere ciò che avviene in te, è il principe di questo mondo che decide, altro che sbatterlo fuori”! Tu cosa gli rispondi? C’è il determinismo di natura che mi domina e in quanto mi domina viene chiamato il “principe di questo mondo”.

Replica. E’ una forza che non è mia che può vincere il principe di questo mondo.

Archiati. Piano, piano, un aspetto del principe di questo mondo è il dato di natura in quanto mi domina. Qui viene usata l’immagine di estrometterlo, cioè io gli dico: “Fatti da parte tu, hai finito di dominarmi”! Funziona o non funziona? Si può dimostrare che è così? L’abbiamo detto mille volte: il dato di natura è necessario, c’è in tutti per natura. La libertà che vince la natura, che si serve della natura a modo suo, che sbatte fuori il determinismo deve essere omissibile perché è libera, quindi ogni persona deve avere la possibilità di trattenere il principe di questo mondo. Se uno è costretto a sbatterlo fuori non è libertà, è un’altra natura che sgomina la prima. Lo scienziato che vuol dimostrare che la libertà non esiste, vuole soltanto dimostrare che lui non l’ha mai creata, padronissimo, ma non potrà mai dimostrare che nessuno la può creare.

Intervento. Puoi ripetere questa frase?

Archiati. Non studio le frasi a memoria.

Replica. Il concetto allora.

Archiati. Se la libertà -che vince il determinismo di natura e quindi congeda il principe di questo mondo- è libera deve essere omissibile, deve essere possibile omettere di spodestare il principe di questo mondo. Se scelgo di tenerlo stretto resta lui il padrone. Supponiamo che il determinismo sia un’omissione della libertà, macrocosmica nell’umanità. E’ dimostrato con questo che la libertà non esista e che non sia possibile? Si è dimostrato soltanto che c’è un’enorme omissione della libertà.

E’ possibile dimostrare scientificamente che la libertà non è possibile? No, no. Lo scienziato che afferma che la libertà è un illusione diventa del tutto antiscientifico perché l’unica cosa che gli sarebbe concessa di dire è: “per quanto mi riguarda, l’esperienza di ciò che tu chiami libertà io non l’ho mai fatta”. Lui è padronissimo di pensarla in quel modo ma non può venirmi a dire che nessuno la può mai fare, come fa a saperlo? Il vangelo dice che il principe di questo mondo può essere scaraventato fuori, dice che è possibile non che siamo costretti a farlo, altrimenti s’introdurrebbe un altro determinismo di natura. Si capisce il concetto?

Chi ha grande interesse ad abbindolarci e dirci che la libertà è un’illusione? Coloro che vogliono manipolare gli uomini; gli esseri umani che prendono in mano la libertà non sono manipolabili. La negazione della libertà è la quintessenza dell’astuzia della controforza: non soltanto il maligno si oppone alla libertà ma crea un processo intellettuale che ne nega la possibilità. E’ ancora più micidiale perché se un essere umano arriva a fondare razionalmente che la libertà sia un’illusione, che la libertà non esista, ha trovato la scusa per non fare nulla, alza le mani: “Non posso farci nulla, sono i miei geni, è la mia natura”. Uno ammazza una persona e non può farci nulla: sono stati i suoi geni ad uccidere, non lui. Da un lato abbiamo una morale di bene e di male e che quindi presuppone la libertà, e dall’altro lato abbiamo una scienza che già da un bel po’ di tempo ci vuole spiegare che la libertà è l’idea più bacata che si possa immaginare. L’umanità di oggi vive in questa schizofrenia culturale tra una scienza che nega l’esistenza dello spirito libero e una morale che continua ad argomentare di bene e di male. La scienza tende a sostenere che non sia l’essere umano ad essere responsabile delle sue azioni ma i suoi geni, che l’Io non esiste, è un’invenzione.

Intervento. Perché dici scienza e non filosofia?

Archiati. La filosofia oramai non conta più nulla.

Replica. La scienza nega di occuparsi di questo, sono i filosofi, gli psicologi ad occuparsene.

Archiati. La scienza se ne occupa, eccome. Leggi tutti i volumi che sono stati pubblicati negli ultimi 10 anni sul cervello, sul rapporto tra Io e cervello. Ti dicono che i fenomeni psichici sono secrezioni del cervello.

12,32. “Ed Io quando verrò innalzato dalla Terra, attrarrò tutti verso di me”. Il significato di questa bella immagine, di questo : “quando Io verrò innalzato dalla Terra” è che il senso dell’evoluzione terrestre è l’emergenza dell’Io, l’Io che viene innalzato dalla Terra.

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Fig. 6

Cosa è avvenuto? Steiner dice che se qualcuno avesse guardato -da Marte, da Venere o dal Cosmo- la Terra nei giorni in cui l’Essere del Cristo è passato attraverso la morte e poi è risorto, avrebbe visto la Terra acquistare un’aura di luce. L’aura della Terra è realmente intrisa di forze cristiche, forze di intuizioni conoscitive e di intuizioni morali. La Terra, in quanto realtà fisica, è destinata a disgregarsi nel cosmo e cosa viene innalzato, cosa risorge dalla Terra? Lo Spirito dell’uomo, l’essere diventato un Io. Questa frase “verrò innalzato dalla Terra” va capita in chiave di scienza naturale ed anche in chiave di antropologia. Il testo dice: “quando Io verrò innalzato dalla Terra…quando lo spirito umano emergerà dal cadavere della Terra…” quando uno muore, il cadavere resta indietro e si decompone, e che cosa s’innalza dal cadavere? Lo spirito. Allo stesso modo, la Terra, alla fine, è come un cadavere che si decompone, diventa di nuovo caos, polvere cosmica e che cosa risorge? Cielo e Terra, in quanto cose materiali, passeranno ma le mie parole, gli intuiti conoscitivi e morali dell’Io -il Cristo in ogni uomo- sono eterni.

Quindi, il senso di ogni morte, di ciò che è fisico è l’innalzare, il far risorgere lo spirito. Il senso del consumarsi della cera è lo sprigionarsi della luce, il senso del consumarsi della legna è lo sprigionarsi della fiamma, il senso della morte di ciò che è fisico è la resurrezione di ciò che è spirituale. Il senso di ogni percezione è il concetto spirituale che si genera. “E se io verrò innalzato…” kagw ean uywqw, se io verrò innalzato, questa frase è bellissima ed il Cristo la mette come ipotesi perché si tratta di libertà, non è un fatto di natura che deve avvenire.

Nella misura in cui le forze dell’Io vengono innalzate, il Cristo dice: “Se mi mettete a morte Io innalzerò, darò alla Terra un’aura di forze dell’Io e attirerò tutti verso di me”. Perché quest’aura cristica della Terra ci attira? Perché niente ci piace di più che essere un Io, cos’è che ci attira massimamente come uomini? L’autonomia nel pensare e nel volere. E’ un’attrazione irresistibile che fa parte della nostra natura. Quindi, Lui è venuto per essere innalzato come risurrezione dello Spirito umano in una Terra che, come la cera, si consuma e questo archetipo dell’umano, dove lo spirito s’innalza nella consumazione della materia, ci parla così intimamente che ci attrae più di ogni altra cosa. E allora diciamo: “Questo significa essere uomini: consumare la materia per far sprigionare lo spirito”. “E quando io verrò innalzato dalla Terra attirerò tutti verso di me, verso le forze dell’Io” è una bellissima frase del vangelo.

12,33. “Ciò disse indicando la morte con la quale stava per morire”. Il Cristo è morto da innalzato, l’hanno innalzato sulla croce e questo gesto -l’innalzamento del Cristo- indica proprio che l’Io umano non è destinato ad andare in basso, a morire, ad andare con la materia pesante ma che è destinato ad andare in alto. E questo gesto di Lui in alto sulla croce si ripete poi quando il corpo viene messo nel sepolcro, ma il fantoma risorge. Lui viene messo in alto per indicare, a livello di percezione, che il Figlio dell’uomo viene innalzato e poi il corpo viene messo nel sepolcro e, a livello spirituale, s’innalza il fantoma, il Cristo risorto.

Quindi avviene un duplice innalzamento: a livello di percezione per farci capire che il Figlio dell’uomo viene innalzato, poi sparisce la percezione e gli eventi si svolgono a livello spirituale, il corpo è nella tomba ma a mezzanotte Lui risorge, il fantoma risorge, le forze, le linee formanti spirituali, soprasensibili, del corpo fisico risorgono.

Adesso, nel versetto 12,34, ritorna la folla e vediamo la difficoltà dei comuni esseri umani a capire quello che è successo e la fatica a capire è spiegabile col fatto che il Cristo ha usato un assortimento di categorie, di immagini e di concetti che esulano dal loro patrimonio ebraico, giudaico. La folla dice al Cristo: “Ma tu porti concetti tutti diversi, noi abbiamo concetti come “il Messia che deve venire” e poi si è sempre detto che “il Messia resterà con noi per sempre” e tu invece parli di andartene via, di venire innalzato: che vuoi dire”? La folla chiede delucidazioni e qui vediamo come l’amore del Cristo, che prima ha fatto affermazioni valide per l’umano subspecie aeternitatis, adesso le sminuzza per gli ebrei di allora. E nello spezzettarle per gli ebrei di allora deve fare il parallelo tra il Figlio dell’uomo -che viene innalzato e di cui Lui sta parlando- e il suo collegamento col loro Messia. Il Cristo compie un intento di traduzione, di contestualizzazione per far capire alla folla giudaica il senso del suo discorso.

12,34. “Gli rispose la folla: noi abbiamo sempre sentito dalla Legge che il Cristo resta per sempre e tu come fai a dire che deve venire innalzato il Figlio dell’uomo? Chi è questo Figlio dell’uomo?”

Attenti che il Cristo non è il Cristo dei cristiani ma CristoV (Christòs) è la traduzione greca di Messia, che a sua volta deriva dall’ebraico “Unto”. In greco, crizw (chrizo) significa ungere e il participio di crizw è CristoV, cioè l’Unto. Chi era il Grande Unto, chi veniva unto con l’olio, pura forza solare? Quali esseri umani dovevano rappresentare sulla Terra, in maniera pura, le forze centrali dell’Essere Solare che riassume in sé tutto il sistema planetario? Il rappresentante del passato, il rappresentante del futuro e il rappresentante del presente: Il Sacerdote, il Profeta e il Re. Il Profeta deve dire sul futuro le parole che provengono dall’Essere Solare e quindi viene unto, il Re deve reggere le sorti dell’umanità nel presente ispirandosi alle direttive dell’Essere Solare e viene unto, il Sacerdote che conserva la religione come tradizione spirituale dell’umanità, e questa tradizione deve essere secondo lo Spirito Solare, viene unto. Quindi, i tre grandi rappresentanti dell’umanità, le tre guide dell’umanità che venivano unte erano: i Sacerdoti, i Re ed i Profeti.

Cosa vuol dire “Il Grande Unto”? Che è il Sacerdote di tutti i Sacerdoti, il Re di tutti i Re ed il Profeta di tutti i Profeti. Raccoglie in sé la totalità degli impulsi evolutivi del passato e quindi ispira tutti i Sacerdoti, raccoglie in sé gli impulsi evolutivi del presente e quindi ispira i Re e infine raccoglie tutti gli impulsi del futuro e ispira i Profeti. Sono immagini bellissime. Quale categoria si poteva inventare per indicare l’Essere Solare? Il Grande Unto. E chi lo unge? Il Padre dei Cieli, il Padre che viene rappresentato dalle 12 forze dei segni zodiacali unge l’Essere del Sole e l’Essere del Sole, a sua volta, con l’olio che porta le forze solari sulla Terra, unge tutti i Sacerdoti, i Re ed i Profeti.

12,34.La folla dice: noi abbiamo sempre sentito dalla Legge che il Messia resta per sempre e tu come fai a dire che deve venire innalzato il Figlio dell’uomo?

Chi è questo ton uion tou anqrwpou (ton uìon tòn antròpon) questo Figlio dell'uomo? La folla dice: “tu ci porti una categoria del tutto nuova: noi abbiamo sempre sentito nella Legge di Mosè che si parla del Messia, tu ci parli di questo Figlio dell’uomo, chi è? Che intendi dire”? Naturalmente loro avevano inteso che il Messia doveva essere un altro guru che viene da fuori, risolve tutti i problemi, mette tutto a posto e fa tutto lui. E invece il Cristo gli dice che il Messia è venuto per rendere gli uomini capaci di fare, è il Figlio dell’uomo.

Il Grande Unto dell’umanità, il Cristo, è colui che si proibisce di fare qualcosa all’uomo e fa di tutto perché l’uomo diventi lui capace di fare qualcosa e quindi si chiama Figlio dell’uomo, cioè ciò che l’essere umano è capace di generare a partire da sé. Un frammento di creazione, a partire dalla libertà umana ha molto più valore, per l’uomo, è moralmente molto più importante che non tutta la creazione divina. Tutta la creazione divina l’ha fatta Dio e l’uomo non c’entra nulla, di suo non ha messo nulla, non ne è responsabile; per quanto riguarda l’uomo, un frammento di creazione umana è più importante, ha un peso morale molto più grande che non tutta la creazione divina.

Il Cristo traduce per gli ebrei la categoria di “Messia” con “Figlio dell’uomo”. Il Cristo dice loro: “Attenti, carissimi, che il Messia è il Figlio dell’uomo in ogni uomo, non vi mettete in testa che sia di nuovo un’istanza esterna che viene a far qualcosa agli uomini, a dirgli cosa devono fare, a spingerli, a tirarli: di quelli ce n’è già abbastanza!” Ci sono già tutte le forze di natura che spingono, no? In altre parole, il concetto di Messia che il Cristo porta è l’offerta della libertà. Però la libertà non la si può imporre dall’esterno, dal di fuori la si può solo rendere possibile. Dal di fuori possono venire dati solo gli strumenti, le condizioni della libertà, però l’esercizio della libertà, la creazione immanente della libertà la può produrre solo ciascuno, per quanto lo riguarda. In altre parole, nessuno mi può rendere libero se non Io stesso, tutto il mondo può rendermi possibile la libertà, però l’attuarla è una faccenda mia, altrimenti non è libertà mia.

Sarà stato facile per i giudei capire ciò che il Cristo sta dicendo loro? Di sicuro non sarà stato semplice perché è una proposta di capovolgimento, una svolta intellettuale, si passa da una matrice di uomo che è sempre stato condotto dal di fuori ad una prospettiva evolutiva di uomo che non viene condotto dal di fuori ma che si auto-conduce a partire dalla libertà. Quindi concediamogli un po’ di tempo per farsene un’idea: noi dopo duemila anni cominciamo appena appena a capirlo.

Il Cristo introduce questi contenuti all’epoca della svolta evolutiva, non con la pretesa o l’aspettativa che le persone li recepiscano subito. Egli sa che questi contenuti coprono l’intero l’arco evolutivo e che l’umanità avrà a disposizione secoli e millenni per penetrarli sempre meglio, per farli suoi concettualmente e soprattutto per applicarli alla sua realtà di vita.

Ripetiamo la domanda che gli ebrei fanno al Cristo: “rispose la folla a Lui: noi abbiamo udito dalla Legge…” Gli ebrei dicono “udito” e non “letto” perché a quei tempi la Legge veniva proclamata nella sinagoga, letta dal rabbino nella sinagoga, quindi essi potevano solamente udirla. Quando io ero piccolo succedeva la stessa cosa: a casa non avevamo nessun libro e quindi il Vangelo lo si udiva solamente in chiesa. “…che il Messia resta, ma come mai tu dici che il Figlio dell’uomo deve venire innalzato? Chi è costui? Chi è questo Figlio dell’uomo”?

12,35. “Gesù rispose loro: ancora per breve tempo la luce è dentro di voi : camminate finché avete luce affinché la tenebra non vi sopraffaccia: chi cammina nella tenebra non sa dove va”

Alcuni manoscritti dicono “la luce è con voi”: se con “la luce” intendiamo il Cristo incarnato nel Gesù di Nazareth, allora sotto questa prospettiva l’interpretazione è: “soltanto per un altro paio di giorni mi sentirete parlare in questo modo sulla Terra”, poi il Cristo entra nella morte e non sarà più udibile sulla Terra ma sarà accessibile soltanto spiritualmente.

“Gesù rispose loro: soltanto per breve tempo la luce è dentro di voi: camminate finché avete la luce affinché la tenebra non vi sopraffaccia: colui che cammina nella tenebra non sa dove va”. Prendiamo la situazione storicamente concreta: Lui sarà presente sulla Terra soltanto per pochi giorni ancora, che sono i sei giorni prima della Pasqua. Questa presenza del Cristo è l’ultimo frammento dell’accompagnamento dal di fuori agli esseri umani, una volta che Lui entra nella morte, sparisce. Da quel momento in avanti, o gli esseri umani generano la luce dal di dentro oppure è tenebra.

Intervento. Ma perché il Cristo fa questa limitazione di tempo? Non è un processo che dovrebbe avvenire sempre?

Archiati. Tu ti riferisci al valore universale dell’affermazione che non valeva soltanto per allora ma vale sempre. Pensiamoci bene, quando un essere umano chiede: quanto tempo ho ancora a disposizione? Ho un tempo infinito o viene il momento in cui è troppo tardi?

Intervento. Quando finisce la vita è troppo tardi.

Archiati. Quando finisce la vita è troppo tardi, vedi cosa intende con il “breve tempo”? La frase vuol dire, tra le altre cose, che se il tempo dell’aspettativa, il tempo che ho a disposizione non fosse limitato la libertà non ci sarebbe. Se io disponessi di un tempo illimitato per darmi una mossa non ci sarebbe la libertà, perché posso aspettare illimitatamente. La libertà è possibile se io ho la possibilità sia di perdere il colpo che di non perderlo, però ho la possibilità di perdere un’opportunità soltanto se quell’opportunità non mi si ripresenta all’infinito. In altre parole, vivere nella libertà significa capire che per ogni conquista evolutiva deve venire un momento in cui è troppo tardi, altrimenti non ci sarebbe evoluzione nel tempo.

Intervento. Scusa Pietro, ma allora il numero delle incarnazioni non è, giustamente, infinito.

Archiati. Assolutamente no.

Intervento. Allora uno non sa mai qual è l’ultima.

Archiati. No.

Intervento. Ogni vita è l’ultima.

Archiati. Ogni vita è l’ultima; tu stai cercando di imbrogliare un pochino in modo che salti fuori un’infinità di vite. Le vite di tutti noi finiranno alla fine dell’evoluzione terrestre, quando la Terra scomparirà. Fino a quel momento avremo la possibilità di incarnarci però ogni incarnazione è una nuova conquista evolutiva, tu adesso stai mettendo le vite tutte insieme, l’evoluzione non si vive tutta insieme. Faccio un esempio concreto, prendiamo la Scienza dello Spirito che viene offerta concretamente, realmente agli esseri umani nel ventunesimo secolo: se io mi metto in testa che avrò la possibilità di impararla, di farla mia tale e quale nella prossima incarnazione, mi sbaglio di grosso, perché se fosse così non ci sarebbe evoluzione.

In altre parole, se ogni conquista evolutiva avviene nella libertà deve esserci la possibilità di ometterla. E in che modo si crea la possibilità di ometterla? Che viene un momento in cui le condizioni per acquisire una certa cosa non ci sono più, c’è la tenebra.

Intervento. Il treno è passato.

Archiati. Il treno è partito. Ripeto il concetto importantissimo: vivere nel tempo, evolversi nel tempo significa che le conquiste evolutive, di volta in volta non vengono offerte tali e quali infinite volte altrimenti il tempo non ci sarebbe, ma fa parte della libertà la possibilità di omettere, di volta in volta, tutti i passi evolutivi. E perché sia possibile ometterli deve venire un tempo in cui è troppo tardi e non è più possibile recuperarli. Se tutto è recuperabile all’infinito non si può omettere nulla e allora non potremmo essere liberi. L’omissibilità del libero -perché se non fosse omissibile non sarebbe libero e quindi deve essere omissibile- comporta che per ogni passo evolutivo deve avvenire il momento in cui è troppo tardi: o ti svegli (la luce) e capisci la costellazione evolutiva e i passi che ti consente oppure viene il tempo in cui sorge la tenebra e non puoi più recuperare.

Intervento. Questo significa che gli errori fatti rimangono irrecuperabili?

Archiati. Cosa intendi per errori?

Replica. Perdere l’occasione per capire nel momento in cui si presenta una determinata cosa. In questo caso non ho più la possibilità di rimediare?

Archiati. Io ti sto dicendo di svolgere il pensiero secondo cui tutto è recuperabile. Se tutto fosse recuperabile mancherebbe la libertà.

Intervento. Si può applicare questo concetto anche alla parabola delle sette vergini?

Archiati. Certo, e perciò questa parabola viene alla fine del vangelo di Matteo perché è una parabola apocalittica, di conclusione: o sei di qua o sei di là, o ometti o acquisti i passi evolutivi.

Intervento. Riferendomi alla parabola delle vergini, se io mi tengo dell’olio di scorta vuol dire che tengo del tempo di scorta.

Archiati. In che cosa consiste la stoltezza delle altre cinque vergini? Che non hanno capito che l’olio -il tempo della libertà- finisce. La stoltezza consiste nel non aver capito la struttura dell’evoluzione nel tempo.

Replica. Loro chiedono l’olio ma l’olio non c’è più.

Archiati. In questo consiste la stoltezza, nel non aver capito la struttura evolutiva nel tempo. “Ancora per poco tempo avrete la luce, poi camminate -fate i passi evolutivi- perché poi arriva la tenebra dove non si può più camminare senza inciampare, senza cadere”. Lo dice qui nel testo: 12,35. “e disse loro Gesù: ancora per poco tempo la luce è in voi: camminate finché avete la luce affinché la tenebra non vi acchiappi, non vi sopraffaccia, e colui che cammina nella tenebra non vede dove cammina, non è libero”.

12,36. “Finché avete la luce, credete nella luce affinché diventiate figli della luce. Questo disse Gesù e, andando, si occultò ai loro occhi”

Date fiducia alla luce. Io ho tradotto la luce con la libertà ma la luce è anche il pensiero. Tu parlavi della morte, no? La morte è il termine della possibilità di luce, di pensiero perché all’uomo è concesso pensare solo grazie all’inabitazione nel corpo. “Finché avete la luce del pensiero, pensate! Perché poi arriva il tempo in cui non si può più pensare”.

Steiner, in tante sue conferenze, descrive che dopo la morte nessun essere umano può fare passi in avanti nella sua capacità di pensare, gli resta l’evoluzione di pensiero che si è acquistato nel corpo fisico. Quindi, la dimensione fuori dal corpo non è un continuare a pensare così come facciamo qui, altrimenti non ci sarebbe bisogno d’incarnarsi. Il senso dell’incarnazione è proprio un pensare libero, un pensare che si può omettere.

“…Finché avete la luce -finché potete pensare liberamente- credete, date fiducia alla luce…” la scienza naturale che definisce i pensieri come una secrezione del cervello, cosa fa? Non dà fiducia alla luce, non dà fiducia alla forza del pensiero, dà fiducia soltanto al sostrato di materia, vede nel sostrato di materia la causa di tutto ciò che è spirituale. La scienza materialistica è una sfiducia totale nella luce libera del pensiero.

Il Cristo dice: “Finché avete la luce date fiducia alla luce, al pensare che è capace di non essere determinato in tutto e per tutto dal sostrato ereditario ma è capace di muoversi liberamente, di servirsi del sostrato ereditario come uno strumento. Date fiducia alla luce affinché diventiate figli della luce”. Cos’è il figlio della luce, il figlio dell’uomo, il figlio del pensiero? Il figlio della mia luce è tutto ciò che io ho creato a partire da un pensiero luminoso; ognuno di noi diventa figlio della luce nella misura in cui genera pensieri suoi. Qui abbiamo tante teste, no? Ogni testa è un serbatoio di coscienza, è il figlio della luce di ognuno. Quello che ognuno di noi si è conquistato nella sua coscienza l’ha generato lui, poco o tanto che sia, è figlio della luce, ed il Cristo dice: “dagli fiducia, coltivalo, fallo crescere questo figlio della luce”! Il figlio della luce è l’essenza dell’umano, è quello che ognuno di noi crea pensando, vivendosi come spirito libero e creatore.

12,36. “Finché avete la luce date fiducia alla luce affinché diventiate figli della luce. Questo disse Gesù e, andando, si occultò ai loro occhi”. Ekrubh (ecrùbe), questo fenomeno di occultamento lo abbiamo spiegato nel passato. Lo ripeto per chi è nuovo: mentre è in corso questa manifestazione poderosa del Cristo attraverso il Gesù di Nazareth si è avvolti come in un’aura luminosa, che viene percepita dalle persone presenti a vari livelli -chi dice che si tratta di un Tuono, chi di un Angelo- comunque attorno a questo portatore, il Gesù di Nazareth, c’è qualcosa di grande che si manifesta. Terminata questa manifestazione, il Cristo sospende questa connessione così potente col Gesù di Nazareth e cosa resta alle persone che guardano il Gesù di Nazareth? Vedono una faccia qualsiasi, il Cristo è sparito, è diventato invisibile.

Il testo è intelligibile soltanto se si parte dal presupposto che i suoi contenuti non facciano riferimento esclusivamente alla sfera dell’udire e del vedere fisici ma che siano anche riconducibili a realtà visibili e udibili soltanto a livelli soprasensibili. In altre parole, il fenomeno dell’inabitazione del Cristo nel suo portatore, il Gesù di Nazareth, è molto complesso. La Scienza dello Spirito di Steiner distingue tra corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e io (questa è una quadruplicità di cui la teologia e la scienza attuali non hanno conoscenza). Questa distinzione serve, tra le altre cose, a dare un minimo di idea della complessità dei livelli che giocano nell’interazione tra Gesù e il Cristo. Il Cristo è maggiormente la parte superiore e il Gesù è maggiormente la parte inferiore e l’interazione tra i due è di enorme complessità.

12,37. “Lui, avendo compiuto cotali segni al loro cospetto non credettero in lui”

Cosa vuol dire che non gli credettero?

Intervento. Che non lo capirono.

Archiati. Non trovarono d’acchito l’accesso alla comprensione. Ha gettato in loro un seme e non si può pretendere che il seme generi subito la pianta: prima deve morire. Quest’affermazione, a cui loro non credettero, non è un rimprovero ma significa che loro non erano in grado di dare fiducia alle sue parole. Riusciva loro difficile afferrare il senso delle sue parole e il Cristo parlando di Figlio dell’Uomo, di Figlio della luce, di poco tempo, del fatto che Lui andrà via sconvolge il loro tradizionale concetto di Messia. Le parole del Cristo annunciano fatti proiettati nel futuro e i dodici stentano a capirne il senso perfino dopo che tali fatti sono effettivamente accaduti, figuriamoci la folla. In altre parole, il Cristo dice delle cose sapendo di seminarle nell’umanità e l’umanità avrà tempo, per tutta la seconda parte dell’evoluzione, di credere alle sue parole, di dare ad esse fiducia, di farne vita. Dopo duemila anni stiamo appena cominciando a capire.

Intervento. Scusa, ma perché il Cristo non ha parlato in modo che lo capissero?

Archiati. Poteva il Cristo fare in modo che le sue parole fossero efficaci? Sarebbe stata una contraddizione col suo Essere perché avrebbe distrutto la libertà. Quindi l’affermazione: “loro non credettero” sta anche a dire, indirettamente, che il Cristo non si propone come imbonitore di folle ma sceglie di dare offerte conoscitive. Convincerti puoi soltanto tu stesso. Cosa è contenuto nella parola “con-vincere”? Il “vincere” cioè una sopraffazione. L’intento di convincere è l’inizio della prevaricazione perché uno vuol soverchiare l’altro; se io mi con-vinco allora vinciamo insieme. Con-vincere significa “vinciamo insieme” e non “tu mi convinci”. Se ci convinciamo insieme avviene che io ho ricevuto da te uno stimolo, in base a questo stimolo mi convinco io stesso e allora possiamo parlare di con-vincere nel senso che, conoscitivamente, vinciamo insieme. L’altro significato di convincere è che uno viene e vuole convincermi, questa è aggressività; può un essere umano convincere un altro? No. Ognuno può convincere solo se stesso e quando una persona dice: “mi hai convinto” bara perché significa che l’altro ha sostituito il suo processo di pensiero. “Mi hai convinto” equivale al comodismo, alla poltroneria mentale. Ognuno vuole convincersi da sé e l’altro non può inculcargli la convinzione dall’esterno.

Intervento. Il Cristo va incontro con gioia alla morte? La vuole questa morte?

Archiati. Sì, perché la morte è il passaggio necessario per la resurrezione.

Replica. Allora perché dice: “Padre se puoi allontana da me questo calice”?

Archiati. Queste parole, nel vangelo di Giovanni, non esistono.

Intervento. A proposito di crisi, di decisione, nel momento in cui uno Spirito si appresta ad incarnarsi decide da chi, il luogo, il momento, la costellazione di nascita. Ora, io mi chiedo se prima della morte, in una stessa incarnazione, ci possano essere dei momenti precisi in cui si devono decidere delle cose e dopo questi momenti la decisione non è più possibile perché lo era solo in una determinata condizione di costellazioni, che è passata. Questi momenti fondamentali, passati i quali non c’è più libertà, possono esistere nell’arco della stessa vita, di una sola incarnazione?

Archiati. Sì, però non è mai il tutto della libertà, bisogna rimanere ai fattori concreti. Se ho capito bene tu vorresti che io facessi un esercizio conoscitivo mentale sul “momento giusto”.

Replica. Su qual è l’ultimo momento utile.

Archiati. Su cosa significa che c’è il momento giusto e cosa avviene quando il momento giusto è passato. La cosa è complessa, stai attento.

Replica. Ci possono essere delle decisioni che devono avvenire a livello comune, a livello collettivo ed io penso che siano i pianeti ad indicare qual è il momento giusto per prendere quella decisione.

Archiati. Quello dei pianeti è uno dei tanti fattori. Prendiamo un Io umano che si trova nel mondo spirituale e dice: “Io sto per incarnarmi, il momento migliore per incarnarmi sarebbe questo presente ed i genitori più adatti sarebbero questi”. Cosa intende dire lui? Che se tutto andasse bene quello sarebbe il momento migliore e quelli sarebbero i genitori adatti. Mettiamo che i genitori, nella loro libertà, decidano che non vogliono quel figlio: che fa lui?

Replica. Si orienta per una seconda scelta?

Archiati. Sì, e quindi verrà più tardi. Può darsi che debba cambiare il tempo, il luogo ed i genitori, cosa è successo?

Replica. Avrà occasioni di qualità diversa dalla prima scelta.

Archiati. Benissimo, non nascerà più in condizioni ottimali. Esiste una situazione in cui è tutto ottimale? No, la cosa è astratta: la libertà sta nel saper fare, al presente, il meglio possibile e non il meglio non possibile. Quindi è una disamina che può diventare sempre più minuta, più sminuzzata di tutti i fattori che mi circondano per vedere in che modo mi muovo. L’esercizio della libertà dipende in tutto e per tutto dal valutare sempre più minutamente tutte le mie possibilità evolutive che mi circondano, all’infinito. Ad esempio, voglio cucinare un pasto per una persona e vedo che il fornello è rotto, cosa faccio? Lo aggiusto e il pasto lo faccio più tardi. L’affermazione del Cristo dice che spostare un pasto di mezz’ora non causa conseguenze, ma non lo puoi spostare di cinque anni. La posponibilità della libertà non è all’infinito altrimenti non saremmo liberi. In altre parole, le cose vanno fatte, prima o poi.

Intervento. E poi se aspetti che venga il momento giusto magari quel momento non arriverà mai.

Archiati. Aspettare l’ottimo sotto tutti i punti di vista è un’assurdità.

Intervento. E’ sempre meglio farlo ora perché fra un po’ potresti essere morto, magari domani ci sarà la congiunzione planetaria perfetta ma tu potresti non esserci più.

Archiati. Esatto, però, stai attento: a me premeva aggiungere che la congiunzione astrale perfetta sotto tutti i punti di vista è un’astrazione assoluta, non esiste. Chi è che va cercando la costellazione astrale perfetta sotto tutti i punti di vista? Colui che cerca una scusa per non fare nulla perché la costellazione astrale perfetta da tutti i punti di vista è una chimera.

Intervento. La mia osservazione non era sulla perfezione ma era riferita all’ultimo microsecondo utile per fare qualcosa.

Archiati. Lui ti sta dicendo che l’ultimo minuto è il minuto prima che tu crepi e non lo sai quando crepi.

Intervento. Sono d’accordo, ma io sono ancora più pignolo di lui perché dico che non è la morte l’ultimo minuto ma è prima ancora.

Intervento. Ma in quel modo non siamo liberi.

Replica. No, la libertà sta nell’omissione di qualcosa.

Intervento. Allora eri più libero ieri e oggi sei meno libero perché non c’è più quella congiunzione astrale?

Archiati. Avete ragione tutti e due. Lui sta dicendo che ci sono delle cose che si potevano fare soltanto ieri, effettivamente queste cose ci sono e se io non le ho fatte ieri non si possono più fare. Però lui ti sta dicendo che oggi sorgono altre possibilità che ieri non c’erano. L’omissibilità si riferisce ad ogni giorno, ogni giorno ha parecchie cose, che si possono cogliere sempre più minutamente, che se non le faccio oggi non le faccio più. Una parola di conforto che potrebbe significare tantissimo per una persona, che magari sta lottando in questo momento con il suicidio, non gliela posso dire domani: o gliela dico adesso o è troppo tardi. Quindi, l’omissibilità della libertà è un mistero quotidiano non è della vita in generale; nel quotidiano il discorso diventa sempre più minuto.

Il cammino della coscienza sta nel rendere sempre più concrete sempre più minute le offerte date dalla libertà altrimenti facciamo grandi cose ma non ci rendiamo conto di quanti colpi perdiamo. Il famoso esame di coscienza alla fine della giornata consiste nel dire: “oggi avrei potuto pensare 5950 pensieri creativi e ne ho pensati soltanto 5900, tutti gli altri li ho omessi”. A quei livelli la vita diventa più interessante, però è offerto dalla libertà, a seconda di quanto uno è sveglio cammina nella luce oppure cammina nella tenebra.

Intervento. E’ proprio una questione di acquisire consapevolezza di quello che stai facendo.

Archiati. Esatto.

Intervento. Ed è ipotizzabile che ci sia anche un errore in senso contrario, e cioè che ci sia un’anticipazione della decisione, che uno si lasci prendere dalla nevrosi della decisione?

Archiati. No, perché mancano le condizioni. Steiner ti dice che il male consiste in un bene fatto troppo tardi o troppo presto: perché è un male se lo faccio troppo presto? Perché faccio violenza alla realtà, la realtà non è ancora pronta. Il rivoluzionario fa violenza alla realtà -perché non ha la pazienza di aspettare- e vuole qualcosa per cui il suo karma e il mondo non sono ancora pronti, quindi crea “non libertà”. Il male non è soltanto un bene che arriva troppo tardi è anche un bene che vuole imporsi troppo presto.

Buon appetito, ci vediamo stasera.

Sabato 21/02/2004. Sera
vv. 12,18 – 12,46

12,37. “Lui avendo compiuto questi segni davanti a loro, non credettero in Lui”.

Diciamo che mancano i presupposti evolutivi della coscienza umana per capire le parole del Cristo, non è un rimbrotto rivolto alla folla incapace ma una constatazione dello stadio di evoluzione dell’umanità. “Non credettero in Lui”, “non ebbero fiducia nell’Io” significa che il Cristo incontra l’umanità allo stato infimo di caduta, di inserimento dentro la materia, però la caduta è principalmente un fatto intellettuale, di coscienza o è un fattore morale?

Intervento. Di coscienza.

Archiati. La caduta è il crescente inserimento nella materia, il progressivo addentrarsi nella fisicità non può essere moralmente cattivo perché è il presupposto per lo sviluppo della coscienza individuale. Soltanto in seguito all’acquisto di una coscienza individuale, l’essere umano diventa responsabile delle sue azioni. I primi barlumi del “fattore morale” risalgono alla metà dell’evoluzione, è quello il momento in cui l’individuo comincia a diventare cosciente delle sue azioni e quindi ne può rispondere. In altre parole, la cosiddetta caduta è un oscuramento della coscienza umana, è la perdita progressiva dell’antica chiaroveggenza -come la chiama Steiner- ed è un elemento necessario all’evoluzione. “Non credettero in Lui” significa che il Cristo attua la svolta nel momento in cui l’umanità è al punto infimo della caduta, è al grado evolutivo in cui la coscienza si è talmente ottenebrata da ritenere reale soltanto ciò che è materiale.

Intervento. Mi chiedevo se questa situazione di compenetrazione della materia non sia andata aumentando anche duemila anni dopo la venuta del Cristo e quindi ci sia un maggiore pensiero materialistico e un maggiore oscuramento. Quindi non so mai se il punto infimo è quello in cui è avvenuto il mistero del Golgota perché dopo il Golgota c’è stato Pietro a cui era destinato il compito di far addentrare ulteriormente l’uomo nella materia.

Archiati. Questa Ora di cui stiamo parlando abbraccia un segno zodiacale, 2160 anni. Un’ora non è un’oretta nel senso in cui la intendiamo noi, è un’ora evolutiva. Questo che tu stai dicendo si trova nei sinottici ed è il concetto dell’undicesima ora; se il Cristo fosse venuto alla dodicesima ora -che è oggi- non solo non lo avrebbe capito nessuno ma non lo avrebbe percepito nessuno. Quindi doveva venire all’undicesima ora, prima che l’umanità precipitasse ulteriormente nella materialità, una mezz’ora prima, diciamo così. Certi termini fanno parte di un linguaggio tecnico esoterico e come tali vanno capiti, non sono paragonabili all’ora dell’orologio attuale. L’affermazione dice che il Cristo può compiere la svolta solo quando l’essere umano si trova al punto infimo. Quando il Cristo incontra l’uomo e dà inizio alla redenzione non può aspettarsi che nell’uomo sia già presente una capacità di redenzione, é quindi ovvio che non credettero in Lui. L’oscuramento della coscienza umana sta raggiungendo il suo culmine, altrimenti non lo avrebbero ucciso. Adesso, nel testo, la cosa diventa ancora più chiara, lo spiega.

12,38. “Affinché la parola di Isaia, il profeta, si compisse, il quale disse: Signore chi ha creduto alla nostra proclamazione e a chi si è manifestato il braccio del Signore?”

C’è due volte la parola Kurie (Kyrie) che si riferisce al Cristo. I profeti dell’Antico Testamento parlavano del Messia, ciò che i cristiani chiamano il Cristo è il Messia. Isaia dice: “O Kurie / Cristo / Messia, chi ha creduto al nostro annuncio”? Cosa annunciano i profeti? La prossimità della svolta, della venuta del Messia /Cristo. Se gli esseri umani potessero capire questo messaggio sarebbero già in grado di compiere la svolta quindi è chiaro che i profeti devono avere il coraggio di divulgare l’apprestarsi di eventi non immediatamente comprensibili agli esseri umani. Si comportano come il bravo pedagogo che sa di dover esporre il bambino, il ragazzo a scuola, a delle situazioni che, per intanto, deve vivere senza poterle capire, e guai se le recepisse subito! A 15 /20 /30 anni le capirà a livelli sempre diversi.

Isaia dice all’inizio del capitolo 53esimo: “Chi ha creduto al nostro messaggio”?[1] E questa è una domanda intellettuale. La domanda dell’azione, volitiva, invece è: “A chi si è manifestata la potenza, la forza brachiale, del braccio, del Signore”? Ossia: chi ha riconosciuto nelle gesta, nei fatti storici l’operare dell’Io Sono? In altre parole, la prima parte del versetto allude ad una comprensione dell’evoluzione in chiave intellettiva, l’uomo deve sapere che la sua massima aspirazione è il diventare un Io. La seconda parte è la volitività ad essere chiamata a cogliere nei fatti evolutivi, negli impulsi operativi, nelle gesta, il braccio dell’Essere che conduce gli esseri umani all’Io. Se l’essere umano, al tempo di Isaia -700 anni prima di Cristo- fosse stato in grado di capire intellettualmente i misteri dell’Io e di riconoscere, nella gestione dell’evoluzione, le opere dell’Io non ci sarebbe stato bisogno della venuta del Cristo perché era già presente nell’essere umano. Nel versetto 12,39 rincara la dose.

12,39. “Perciò non erano capaci di credere, non potevano credere poiché di nuovo, dice Isaia:”

Ecco la constatazione: non c’è la capacità, non ci sono le forze di credere, di acquisire fiducia.

12,40. “Accecò i loro occhi e indurì il loro cuore affinché coi loro occhi non vedano più e col loro cuore non comprendano più, affinché possano convertirsi e Io li guarisca.”

“Accecò i loro occhi e indurì il loro cuore” questo sta a dire che la colpa non è degli uomini, perché se Dio o il Cristo, il Signore, Kyrios, ha indurito i loro occhi e accecato il loro cuore non si può lamentare se non loro capiscono il Suo messaggio e non vedono il Suo operare. Quindi gli uomini non sono caduti per loro scelta ma sono stati fatti cadere deliberatamente.

Intervento. Ma queste cose le diceva Giovanni?

Archiati. Cita Isaia e Isaia dice: “Il Signore ha reso ciechi i loro occhi”, e perché l’ha fatto? Perché la conduzione dell’umanità ha reso ciechi gli occhi e indurito i cuori? Perché se i nostri occhi non fossero stati resi ciechi e se il nostro cuore non si fosse indurito nessuno di noi avrebbe la possibilità di esercitare quella libertà che apre gli occhi; soltanto gli occhi chiusi si possono aprire e soltanto un cuore indurito si può rammollire. Se il cuore fosse già molle, la libertà non avrebbe nulla da fare; se gli occhi fossero già aperti, la libertà non avrebbe nulla da fare. Allora, per dare alla libertà il compito di aprire gli occhi su tutte le cose e di rammollire il cuore su tutte le cose, per dare la possibilità alla libertà di tutto il cammino conoscitivo e di tutto il cammino dell’amore bisognava accecare la conoscenza data per grazia -l’antica chiaroveggenza- e bisognava indurire il cuore rammollito per grazia in modo che gli occhi si aprano grazie ad un cammino di libertà del singolo e il cuore si raddolcisca grazie ad un cammino di amore del singolo.

Intervento. Il peccato originale acquista tutto un altro significato.

Archiati. Il peccato originale è il presupposto necessario per la libertà. Quindi il più grosso moralismo che c’è stato è quello di aver condannato, interpretato il peccato originale in chiave morale. Il cosiddetto peccato originale non ha nulla a che fare con un peccato morale non è un fattore di morale, è un fattore di evoluzione della coscienza. La coscienza umana è diventata cieca, rispetto alla visione dello spirituale, per dare all’individuo singolo la possibilità di riconquistarsi liberamente e individualmente la percezione, la visione e l’interpretazione dello spirituale. Allora i conti tornano. Altrimenti questa citazione di Isaia sarebbe qualcosa di terribile: “ il Signore ha accecato il loro occhi e indurito il loro cuore affinché non vedano con gli occhi e non capiscano col cuore” Fa parte di un disegno del Signore che gli uomini non vedano e abbiano il cuore indurito. State attenti: come va avanti la citazione di Isaia?

Intervento. Si convertano.

Archiati. “Affinché si convertano”, cosa vuol dire convertire?

Intervento. Cambiare.

Archiati. Invertire, qui c’è strajein (strafein) che vuol dire invertire in senso della direzione della marcia. Supponiamo di essere andati giù e invertire la marcia significa risalire. Qual è il presupposto necessario per poter invertire la marcia e tornare su? E’ di essere andati giù, santa pace! La citazione di Isaia risale a 700 anni prima di Cristo. Il Cristo ispira Isaia che dice: “Ha accecato il loro occhi, ha indurito i loro cuori affinché coi loro occhi non vedano più e col loro cuore non comprendano più affinché possano invertire la marcia e fare l’esperienza della guarigione”.

Intervento. Affinché l’Io li risani.

Archiati. L’Io, l’esperienza dell’Io.

Intervento. Nella mia traduzione c’è: affinché non si convertano e io non li guarisca.

Archiati. Questo dimostra che non è stato capito per nulla, cioè che sono rimasti nell’interpretazione moraleggiante che il tutto sia una cosa negativa. Invece il testo in greco dice letteralmente: “Tetuflwken autwn touV ofqalmouV (tetùfloken autòn tùs oftalmùs) accecò i loro occhi, e kai epwrwsen autwn thn kardian (kai epòrosen autòn ten kardìan) indurì il loro cuore, affinché non vedessero più con gli occhi e non comprendessero col cuore e invertissero la marcia e Io li potessi guarire”.

Intervento. “Io li potessi guarire” sta parlando Isaia quindi è come se Isaia guarisse.

Archiati. Stai attenta: quando tu leggi l’Antico Testamento -forse è un po’ che non lo leggi-…

Replica. Non l’ho mai letto.

Archiati. Lo si capisce dal tipo di domanda. Le profezie cominciano sempre con: Dabar Jahve cioè “Parola di Jahve”, Jahve è il Cristo, i profeti non portano mai farina del loro sacco, è Jahve che parla. Queste sono parole di Jahve citate da Isaia, Isaia è il portavoce. I profeti dell’Antico Testamento dicono sempre che loro sono dei portavoce, che parla Jahve; questo è uno dei tratti fondamentali dei profeti dell’Antico Testamento.

Allora, attraverso la bocca di Isaia, l’Io Sono -ed anche il Padre perché ciò che avviene nella prima fase (accecamento e indurimento) è qualcosa di necessario- dice: “accecò i loro occhi e indurì il loro cuore affinché non vedano con gli occhi e non comprendano col cuore e invertano la direzione e Io -qui, all’operare del Padre subentra il Figlio- li guarisca. Si capisce che quelli che hanno aggiunto i non hanno sbagliato l’interpretazione.

Intervento. Senza i non loro non riuscirebbero a spiegare le parole di Isaia.

Archiati. Esatto, qui ci troviamo di fronte ad affermazioni fondamentali del vangelo che la teologia interpreta solo se riesce a fargli dire l’opposto di ciò che in effetti dice.

Intervento. La traduzione col non non ha senso.

Intervento. Ha senso se lo si legge in chiave di colpevolizzare quelli che non vedono, come se Lui li avesse resi ciechi perché non potessero vederlo, per convertirsi.

Archiati. Guardiamo bene se questa versione ci convince, leggila lentamente.

Intervento. “Ha accecato i loro occhi e incallito il loro cuore affinché con gli occhi non vedano e col cuore non comprendano e così non si convertano e Io non li guarisca”.

Archiati. Ma scherziamo? Qui c’è odio assoluto, su tutta la linea, verso gli esseri umani.

Intervento. Ma questa traduzione non ha nessun senso.

Intervento. Ha senso se lo si vede come un Dio punitore.

Archiati. Il Cristo punisce i crimini che ha compiuto Lui stesso! Senza inveire più di tanto, rendiamoci conto, con onestà intellettuale, che questo è l’abisso della teologia attuale. Rileggilo di nuovo ad alta voce, ascoltate bene.

Intervento. “Ha accecato i loro occhi e incallito il loro cuore affinché con gli occhi non vedano e col cuore non comprendano e così non si convertano e Io non li guarisca”.

Archiati. A meno che si prenda da Agostino una predestinazione cieca: alcuni li ha predestinati a salvarsi, altri li ha predestinati a dannarsi e quindi la libertà non c’è.

Intervento. Nel Vecchio Testamento (6:10) è scritto: “Rendi insensibile il cuore di questo popolo, indurisci suoi orecchi e chiudi i suoi occhi affinché non veda con i suoi occhi né oda con i suoi orecchi né intenda con il suo cuore e non si converta e Dio lo guarisca”.

Archiati. Qui il positivo viene riferito soltanto all’ultimo.

Intervento. Però su Giovanni avviene una manipolazione terribile perché riporta non su tutto, anche sulla guarigione.

Archiati. Non c’è un Giovanni, ci sono un sacco di manoscritti ed i manoscritti oscillano: c’è chi mette il non in un punto, chi lo mette in un altro, chi lo mette dappertutto, chi non lo mette da nessuna parte a seconda di ciò che uno ha capito.

Intervento. Secondo me è a seconda di chi lo mette al presente o al futuro.

Archiati. State attenti, secondo me il discorso fondamentale è l’interpretazione della caduta: o interpretiamo la caduta come fatto morale e allora l’essere umano deve essere capace di libertà prima della caduta oppure interpretiamo la caduta come fatto intellettuale di necessità evolutiva e allora non c’entra nulla col male morale. La caduta è il presupposto necessario per la riascesa. La frammentazione dell’umanità, l’oscuramento… che significa oscurare la mente? Significa che la mia mente non è più uno col cosmo; e cosa significa che la mia mente, il mio spirito cessi di essere uno col cosmo? È il presupposto per diventare un individuo singolo, quindi bisognava diventare ciechi a questo fluire in tutto il cosmo per diventare un Io isolato, cioè l’oscuramento della coscienza è un presupposto per l’isolamento, altrimenti non posso essere un Io ma sono tutto insieme.

Questo isolamento, questo oscuramento, questo non esserci più la connessione visiva di chiaroveggenza con tutto il cosmo è il presupposto necessario, la condizione necessaria per la libertà individuale, per l’autonomia del singolo. Questo oscuramento rende possibile l’inversione di marcia affinché l’individuo -senza perdere la sua individualità- si riconquisti liberamente e individualmente tutto il contenuto del cosmo. Per poter diventare singolo e per poter riconquistare tutto, il presupposto è che l’uomo si debba staccare e debba perdere tutto prima, e in seguito fa un percorso graduale di riconquistare liberamente le conoscenze perdute.

Intervento. Ma secondo te, quelli che hanno tradotto non e non dove volevano andare a parare? Non capisco.

Archiati. Vuol dire che c’è una predestinazione cieca.

Intervento. Scusa però Pietro, se ci si attiene al testo greco…

Archiati. Non esiste un testo greco ma manoscritti in greco.

Replica. Ad esempio, nel testo che ho io questo “non” si riferisce a “e non comprendano col cuore, e non si convertano” poi c’è una virgola che stacca la frase seguente “e io li guarisca”, cioè se ci si attiene a questo testo greco è chiaro il motivo per cui non si devono nemmeno convertire affinché l’Io poi li guarisca; quadra tutto: “non facciano questo né quello, né quell’altro, e Io li guarisca” c’è una virgola prima di “Io li guarisca”.

Archiati. Tu parli del testo greco, nel mio testo greco non c’è il non negli ultimi due, non soltanto nell’ultimo.

Replica. Neanche nel mio ma è giusto che non ci sia perché non c’è nessuna virgola.

Archiati. Ma la virgola è questione di scelta interpretativa, non c’era nei primi secoli in cui c’era la tradizione orale del testo e poi nei primi manoscritti non c’erano punti e virgole, è tutta una faccenda di interpretazione. Però stai attenta, tu stai dicendo che, per quanto riguarda l’inversione di marcia, dal discendere al risalire -di cui abbiamo parlato parecchio già oggi e ieri- si possono dire tutte e due le cose: intanto nella caduta va bene il non perché non lo fa l’uomo, ma in quanto ci si riferisce alla risalita verso la meta non va bene il non, l’inversione è il passaggio…

Replica. Sì, sì ho capito.

Archiati. Cos’hai capito se non l’ho ancora detto? L’inversione è il passaggio dalla gestione dal di fuori alla gestione dal di dentro e allora cos’è: è l’uno o è l’altro? Tutti e due. In quanto “termine della gestione dal di fuori” fa parte dell’inversione la gestione dal di fuori, in quanto “inizio della gestione dal di dentro” fa parte dell’inversione la gestione dal di dentro. Quindi, l’inversione come tale la si può interpretare sia col non che senza non perché tutti e due ne fanno parte, però il guarire è già pienamente nella parte della libertà, è già oltre l’inversione. L’inversione ha tutti e due i movimenti perché l’inversione è l’ultimo tratto discendente e il primo tratto ascendente, altrimenti non è un’inversione. L’ultimo tratto che scende è ancora conduzione divina e il primo tratto che sale sta all’uomo, quindi l’inversione è opera di Dio o è opera dell’uomo? E’ un mistero di trapasso dall’uno all’altro altrimenti non è inversione e allora lì capisco che i manoscritti oscillino perché l’inversione li comprende tutti e due, trapassa dalla conduzione divina alla conduzione umana. Però prima ci deve essere il non e dopo il non deve sparire.

Intervento. Il mistero del trapasso può anche essere una delle raffigurazioni di Michelangelo in cui il dito di Adamo e il dito di Dio si toccano? E lì può darsi che ci sia un tipo di inversione.

Archiati. Fin dove finisce il dito di Dio è Dio, e dove comincia il dito di Adamo è Adamo.

Replica. Però sono ad una certa distanza: né più in là né più in qua.

Archiati. Si toccano?

Replica. No, ma sono in quella precisa direzione.

Archiati. Ve lo traduco interpretandolo. “Il progetto Divino ritenne necessario che gli occhi si chiudessero e che il cuore s’indurisse, che arrivassero a non vedere più lo spirituale con i loro occhi e che arrivassero a non comprendere più lo spirituale col loro cuore affinché non fossero in grado, da soli, di invertire la marcia. L’inizio dell’inversione -per opera Dio- e il compimento dell’inversione -per mano dell’uomo- hanno dato all’umanità il modo di proseguire nel suo cammino evolutivo e di fare l’esperienza della guarigione, della redenzione”. Perciò dico che soltanto riguardo all’inversione la conduzione divina e la libertà umana s’incontrano.

Intervento. Posso dire una cosa? Forse c’è un modo per accostare il significato positivo della frase con quello negativo della doppia negazione se accettassimo l’idea che alla fine del periodo ci sia un punto interrogativo. A questo punto le parole di Isaia suonerebbero come una provocazione didattica: forse che Dio ha fatto così per fare così, così e così?

Archiati. Presupponi una domanda retorica in un contesto così complesso dove vengono riassunti i passi evolutivi. Il testo dice: “Accecò i loro occhi e indurì il loro cuore affinché facessero l’esperienza di non vedere più con i loro occhi e di non comprendere più con il loro cuore, per poter invertire la marcia e fare l’esperienza della guarigione”.

Intervento. Tu dici: “fare l’esperienza della guarigione” ma lui scrive: “affinché io non li guarisca”

Archiati. No. Il non, non c’è.

Intervento. Ma loro si guariscono da soli, dopo non hanno bisogno che Lui li guarisca.

Archiati. L’Io li guarisce. L’Io dentro li guarisce, l’Io fuori non esiste.

Intervento. Ma non c’è scritto “l’Io” (elle, apostrofo, io).

(Risata)

Intervento. Che tipo di guarigione è? Posto che il soggetto che guarisce l’Io… almeno nel mio testo c’è iasomai (iàsomai) come verbo utilizzato per la guarigione, io mi aspetterei…

Archiati. La guarigione è duplice perché la malattia viene espressa duplicemente. In altri testi, ad esempio Matteo, è triplice: ha chiuso i loro occhi, le loro orecchie e il cuore, ma questo non importa. Se qui la malattia è duplice anche la guarigione lo è: la guarigione sta nel riaprire gli occhi e nell’intenerire il cuore. Tu ti chiedi: perché usa un verbo che si riferisce particolarmente al corpo fisico? Perché per fare questo cammino di evoluzione eterica -che fa l’eterizzazione del sangue in un altro modo- e il cammino dell’anima che vede lo spirituale bisogna creare una costituzione fisica diversa e quindi un cervello in grado di pensare ad un altro livello, un cervello capace di riconquistare la visione dello spirituale ad un altro livello, e per fare questo deve avvenire una trasformazione anche al corpo fisico. Però il concetto di guarigione si riferisce a tutta la redenzione dell’uomo, naturalmente. Il sostrato, il fondamento di questa guarigione è un altro tipo di corpo fisico.

12,41. “Queste cose disse Isaia quando vide la sua Gloria e parlò di Lui”

“Queste cose disse Isaia quando vide la Gloria, l’Aura, la luce del Messia e parlò di Lui”.

Qui dice chiaramente che parlò di Lui, è Lui che ha accecato gli occhi, indurito i cuori affinché non vedessero più lo spirituale, non comprendessero più lo spirituale in modo da potere invertire la marcia e poter rivedere e ricomprendere lo spirituale a partire dalla libertà umana. Se volete, potete pensare che sia stato maggiormente opera del Padre il far perdere all’uomo l’antica chiaroveggenza e l’Io che è il Figlio attua la guarigione; il Dio Padre conduce l’umanità fino in fondo e il Cristo fa invertire la marcia e guarisce con le forze dell’Io. Se non lo si interpreta in base ad un minimo di Scienza dello Spirito, ciò che dice Isaia è indecifrabile ed un tipo di traduzione come quella che lui ci leggeva prima fa capire che chi ha tradotto in quel modo non ha capito, ha messo tutto in chiave negativa. Se Dio non vuole, se ha deciso di chiudere i loro occhi e di non farli convertire e di non guarirli, cosa fa di buono? Non ha senso.

12,42. “Ugualmente molti dei capi credettero in Lui ma a causa dei farisei non lo dicevano, non lo confessavano palesemente affinché non venissero esclusi dalla sinagoga”

Il testo aggiunge questo fenomeno di persone, che sono capi nel mondo giudaico e che, attraverso il modo di manifestarsi del Cristo, sentono di trovarsi di fronte ad eventi specifici del Messia e, in un certo senso, cominciano a credere in Lui. Sono, però, in preda alla paura perché è già stata sparsa la voce che coloro i quali si dichiarano dalla Sua parte saranno puniti con l’esclusione dalla sinagoga. Queste persone si trovano a dover scegliere tra una posizione sociale, religiosa umana e la propria coscienza che dice loro che le gesta compiute dal Cristo sono i segni della venuta del Messia come sono descritti dai profeti Isaia, Geremia, eccetera.

12,43. “Infatti amavano la gloria che proviene dagli uomini più che la gloria che proviene da Dio”

Vedete, il vangelo di Giovanni non ha peli sulla lingua, lo dice chiaramente: per loro era più importante ascoltare le dicerie degli uomini piuttosto che il messaggio Divino. Il vangelo è molto diretto su questi fattori semplici umani perché ognuno di noi si trova in questa scelta: fino a che punto mi importa la mia posizione, la mia reputazione, il mio prestigio, il mio successo e fino a che punto sono disposto a godere di non valere nulla sulla scena di questo mondo, pur di avere le carte in regola col Padreterno? Ognuno di noi si trova di fronte a questa scelta in tante cose della vita.

12,44. “Gesù proclamò ad alta voce e disse: colui che crede nella forza dell’Io non crede soltanto nell’Io ma in Colui che ha mandato me”

“Gesù proclamò ad alta voce -gridò, urlò- e disse: colui che crede nella forza dell’Io non crede soltanto nell’Io ma ha fiducia nel Padre che ha mandato questo Io”.

L’abbiamo già visto altre volte, questo urlare è una comunicazione a livello ispirativo. Teniamo primariamente conto del fatto che il Cristo non è più presente fisicamente e quindi questo parlare ad alta voce precede il profferire di una comunicazione puramente spirituale i cui contenuti sono riassuntivi e sono estremamente essenziali. Difatti queste parole sono le ultime che si rendono spiritualmente percepibili sulla scena di questo mondo, precedono il ritirarsi del Cristo nel cenacolo dove parlerà, per capitoli interi, soltanto per i dodici.

12,44. “Gesù proclamò ad alta voce e disse: colui che crede nella forza dell’Io non crede soltanto nell’Io ma ha fiducia nel Padre che ha mandato questo Io.” Dà fiducia a tutta la creazione che è stata creata per far sorgere l’Io umano. Dar fiducia alla forza cristica, alla forza di Io in ogni uomo significa dar fiducia a tutta la creazione, a tutte le piante, a tutte le pietre, a tutti gli animali che sono stati creati in vista dell’Io. L’emergere dell’Io non è soltanto un fatto antropologico ma è anche un fatto geologico, di tutta la creazione. Letteralmente: “colui che crede in me non crede soltanto in me ma in colui che mi ha mandato”. Colui che l’ha mandato è il Padre e da chi è mandato l’uomo? Da tutta la creazione che lo precede. Confidare nell’Io significa ritenere degna di fiducia tutta la creazione pietre, piante e animali che hanno reso possibile l’Io. In altre parole, il sorgere dell’Io umano genera fiducia verso tutta la creazione. Se tutta la creazione sfocia nell’Io è degna di fiducia perché la sua meta ultima -diventare un Io pensante e un Io amante- è la più bella e la più elevata che ci sia. “Colui che crede in me, non soltanto crede in me ma crede in colui che mi ha mandato”.

12,45. “E colui che vede me, vede colui che mi ha mandato”

Capire l’Io significa capire tutta la creazione, vedere l’Io significa vedere il contenuto di tutta la creazione.

12,46. “Io sono venuto al mondo come luce affinché ognuno che crede in me non resti nella tenebra”

La luce è la capacità di pensiero, quella che esercitiamo continuamente tutti. La forza, la realtà dell’Io, il Cristo nell’uomo, il Logos nell’uomo, perché è venuto? È venuto affinché la tenebra sparisca. Cosa vuol dire “capire qualcosa”? Vuol dire sciogliere, far sparire un frammento di tenebra. Dove viene l’Io c’è luce, l’esperienza dell’Io è l’esperienza del capire e dell’amare: luce e calore. Fare l’esperienza dell’Io significa fare l’esperienza di luce e di calore. L’Io, l’Essere dell’Io è venuto al mondo come Essere di luce affinché tutti coloro che hanno fiducia nella forza dell’Io non restino più nella tenebra.

Cosa vuol dire non restare più nella tenebra? Significa che ogni essere umano è capace di capire tutto. Come potenzialità evolutiva, ogni Io umano, in quanto pura luce -che poi è la luce del Cristo-, in quanto intriso delle forze di luce del Logos è capace di capire tutto. La seconda parte dell’evoluzione, tutti i millenni dall’evento del Cristo fino alla fine della Terra, serve per trasformare tutto in luce cioè serve per capire tutto, basta non perdere colpi, basta non omettere di far luce ogni volta che c’è da far luce. Quando voi m’interrompete è perché volete far luce su tutte le cose e se io ometto di spiegare una parola c’è qualcuno che m’interrompe e chiede spiegazioni. Essere un Io significa voler far luce su tutte le cose.

C’è un limite alla conoscenza? C’è un limite a questa luce? Si può fondare argomentativamente che il fatto che ci sia un limite sia in contraddizione con l’esistenza della luce? Prendiamo la luce fisica, che è la manifestazione della luce spirituale. Dicono i fisici -ho appena scritto, in tedesco, un libro per dimostrare l’assurdità di questa affermazione- che la luce cammina alla velocità di 300.000 chilometri al secondo. È possibile percepire una velocità del genere? È una pura astrazione e quindi è inventata.

Intervento. Loro l’hanno calcolata.

Archiati. Non la puoi calcolare.

Intervento. Qual è il processo per cui sono arrivati a dire questo?

Archiati. Te lo riassumo. Non perdete il filo perché sto arrivando al punto di porre la domanda: la luce può avere limiti? Prima esercitiamo sulla luce fisica e poi, per analogia, vediamo se si possono fare affermazioni sulla luce del pensiero. Domanda: la luce fisica si può vedere? No, possiamo vedere soltanto le cose che vengono illuminate. Allora la domanda era: come fanno gli scienziati ad arrivare a questo tipo di affermazione sulla velocità della luce? Fanno così.

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Fig. 8

Qui c’è un paravento con due aperture. Qui c’è l’apertura (A), qui c’è l’apertura (B) e qui abbiamo una sorgente di luce. La luce passa per l’apertura (A) e passa per l’apertura (B), d’accordo? Di fronte al paravento c’è una parete. Quando io accendo la luce nel punto (e), questa luce esce dall’apertura A e va dall’apertura A al punto x della parete, io calcolo quanto impiega a percorrere lo spazio da A a x e so quanto tempo ci mette. Quest’altra luce che invece proviene dall’apertura B non la faccio arrivare subito alla parete, ma tra la parete e il paravento frappongo un ostacolo e la fermo su questo ostacolo (nel punto a). Poi la faccio tornare sul paravento (nel punto a1), poi la faccio tornare sull’ostacolo (nel punto b), poi la faccio tornare sul paravento (nel punto b1). A seconda degli angoli si può calcolare quanto la luce deve andare avanti e indietro per diventare libera e arrivare alla parete (al punto y), e viene calcolata la differenza di tempo che intercorre tra il momento in cui la prima luce proveniente dall’apertura A arriva a toccare la parete (punto x) e il momento in cui la seconda luce proveniente dall’apertura B arriva a toccare la parete (punto y). Supponiamo che sia sperimentalmente possibile dimostrare che nel punto x la luce si accende prima o arriva prima e nel punto y arriva dopo perché ha percorso un tratto più lungo; con questo è dimostrato che la luce si muove? È dimostrato che la luce si muove ad una data velocità che va da un posto all’altro?

Intervento. Cosa vogliono dimostrare con questa prova?

Archiati. Loro ti dicono che nel punto x arriva prima e nel punto y arriva dopo.

Intervento. Se il fenomeno è ondulatorio, praticamente la luce non si muove ma è solo un fenomeno della fluttuazione che si muove e basta. È come la pietra che cade nello stagno: l’acqua non si muove, si muove solo il fenomeno.

Archiati. Supponiamo che dalla sorgente di luce al punto x ci siano 100 metri: se la luce si muove ad una velocità di 300.000 chilometri al secondo, praticamente è contemporaneamente nella sorgente e nel punto di arrivo, è una contemporaneità, non si può dire che nel punto x arrivi dopo, però, paragonandolo con il punto y, si può dire che al punto y la luce arriva dopo. Allora vi chiedo: che tipo di ipotesi è stata fatta dagli scienziati, senza rendersi conto? Tutti sappiamo che esiste la luce riflessa, la si proietta su uno specchio e si riflette. L’ipotesi che lo scienziato fa senza verificarla perché non si rende neanche conto di farla è che la luce riflessa sia la stessa di quella originaria.

Intervento. Come velocità?

Archiati. No, come natura intrinseca, lo scienziato la presuppone. Se accetto questa ipotesi allora accetto quello che lo scienziato dice come giusto, allora la luce si muove, ha una velocità, però lui non si è accorto di avere fatto questa ipotesi e se quell’ipotesi non fosse vera cadrebbe tutto. Ora io vi faccio un’altra ipotesi che per me non è un’ipotesi ma si evidenzia dall’Essere spirituale della luce (per chi lo vuole studiare: opera omnia 134): luce riflessa è l’opposto della luce, luce riflessa è l’inizio della materia, ciò che noi chiamiamo materia è luce riflessa. La luce pura non è né percepibile né materiale. La materia è la luce che si infrange e si riflette in se stessa, un raggio di luce s’infrange e si riflette in se stesso: questa è la materia, così nasce il minerale, il cristallo.

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Fig. A1

Intervento. La luce batte su una superficie e si riflette.

Archiati. No, arriva al limite della sua forza di irradiazione.

Replica. Più in là non va?

Archiati. No, perché desidera creare la forma.

Intervento. Lei si riferiva a quella specie di superficie dove tu hai fatto terminare il raggio, quella non è una superficie, vero? Non c’è ancora la materia a quel punto.

Archiati. No, questa base non c’è (cancella la superficie su cui ha fatto infrangere il raggio di luce) perché la luce torna indietro. La luce, prima di diventare percepibile non si muove da un posto all’altro: è. Come il pensiero. Il pensiero a quale velocità si muove? Io penso: America. E voi pensate che il mio pensiero si muove come la luce a 300.000 chilometri da qui e va in America? In altre parole, la luce spirituale e il pensare -che è luce spirituale- sono oltre lo spazio e il tempo. Questo valicare il mondo dello spazio e del tempo lo scienziato materialista non lo capisce, lo considera un dare i numeri e quindi interpreta tutto, anche la luce, come un elemento muoventesi nello spazio e nel tempo. “Io sono la luce del mondo” significa che l’esperienza dell’Io è oltre lo spazio e il tempo perché il pensare è luce spirituale che non si muove nello spazio e non impiega tempo per muoversi.

In altre parole, la luce del pensiero è la cruna dell’ago che ci fa passare da tutto ciò che è percepibile nello spazio e nel tempo al mondo in cui non si percepisce più ma si crea col pensiero. Categorie oltre lo spazio e il tempo sono, per l’uomo d’oggi, inaccessibili. Secondo me uno dei significati più fondamentali della Scienza dello Spirito è quello di dare all’essere umano strumenti per cominciare a capire qualcosa di ciò che è oltre lo spazio e il tempo, altrimenti continuiamo ad immaginarci anche le cose più spirituali con categorie spaziali e temporali. Il problema è sempre il materialismo. Con che cosa il Cristo spiega i misteri dell’Io, il mistero del pensare? Attraverso il mistero della luce. Però, deve essere chiaro che la luce è quell’elemento che sta alla soglia tra il mondo visibile e il mondo spirituale.

Intervento. Tornando a quel disegnetto che hai fatto, tu dici: di lì arriva, s’infrange e quando torna su qui è materia. Allora, la luce che percepiamo sono gli oggetti illuminati, è la materia illuminata dalla luce e tu dici che quando si infrange quella è la materia.

Archiati. La materia è luce infranta. Prendiamo le Gerarchie spirituali: ci sono gli Esseri della Volontà: i Troni, poi ci sono gli Spiriti della Saggezza: le Dominazioni, poi gli Spiriti del Movimento: le Virtù, e poi sulla Terra è subentrato l’elemento della forma: le Potestà. Come si passa, nella cosmogenesi, dal movimento puro spirituale alla forma visibile, percepibile? Steiner -la cosa è geniale solo che per un’umanità materialistica c’è parecchio da masticare- dice: gli Spiriti del Movimento, per rendere la creazione accessibile all’essere umano -Isaia riassume questo fenomeno con la perdita dell’essere diluiti nella divinità- deve renderla visibile. Per renderla visibile deve darle una forma. Come si passa dal movimento alla forma? Se questi Esseri -gli Spiriti del Movimento- che sono pieni di amore per l’uomo, non rinunciassero a proiettare un movimento di pensieri eternamente fluente, che non si infrange mai, non arriva mai ad un termine, non rifluisce mai su se stesso, impedirebbero il nascere della forma.

Intervento. E noi non lo vediamo mai.

Archiati. E noi non lo vediamo a meno che fossimo Angeli o Arcangeli. L’amore degli Spiriti del Movimento verso l’uomo sta nel fatto che hanno creato movimenti di luce che arrivano soltanto fino ad un certo confine e poi ritornano su se stessi. C’è un moto perpetuo che ad un certo punto si arresta per dare origine alla forma e rendersi accessibile all’uomo. Quindi, la luce era il puro scorrere del pensiero degli Spiriti del Movimento. Questo movimento è stato concepito come avente in sé uno slancio definito di amore per l’uomo e prevede che il movimento puro della luce ritorni su se stesso -perché termina di muoversi-, s’infranga e faccia nascere la forma cristallina. Questa è la nascita della forma del minerale. Poi, la scienza dello spirito spiega in che modo è nata la materia delle piante. Dove la luce s’infrange nel vuoto nasce il minerale. Dove la luce s’infrange dentro all’eterico sorge la materia di pianta. Dove la luce s’infrange in un elemento astrale sorge la materia di muscolo.

Intervento. Si deve infrangere in qualcosa, nell’eterico o nell’astrale: tu hai detto che per creare il minerale, la luce s’infrange nel nulla.

Archiati. Il minerale nasce dove la luce ritorna su se stessa ma senza un elemento in cui si trova la luce. Allora, qui abbiamo l’eterico (in verde alla lavagna), dove la luce termina di muoversi, cioè ritorna su se stessa dentro all’elemento eterico, abbiamo la materia di pianta.

Intervento. Io parlavo del minerale, tu hai detto che si infrange nel nulla: come fa a nascere qualcosa dal nulla?

Archiati. La creazione dal nulla esiste. La luce s’infrange in se stessa perché gli Spiriti del Movimento la bloccano.

Intervento. Quindi non s’infrange ma ha un ritorno.

Archiati. Vi ho detto che si infrange su se stessa.

Intervento. E’ difficile capire questa cosa.

Archiati. E’ la luce che ritorna in se stessa. Chiedi ad uno scienziato come spiega il sorgere di un cristallo. Dice che c’è stato il Big-bang e da lì è sorta la materia, cioè pone all’inizio della creazione un fattore del tutto irrazionale, una volta che c’è tutta la materia s’inoltra a spiegarne la composizione e la successione.

Intervento. Anche perché quest’opera della formazione del cristallo continua anche adesso, no?

Archiati. Certo, continua sempre. La neve ad esempio. Se noi chiediamo alla scienza moderna come nasce un cristallo, non ci sa dire nulla! Una volta che i cristalli ci sono, il vedere come si sviluppano ulteriormente lo possono fare tutti: basta guardarli, basta fare esperimenti, ma come sono nati, come sono sorti?

Intervento. Ci sono tante espressioni di minerale…?

Archiati. Perché è luce pura, perciò il cristallo è trasparente. La sua affinità con la luce è la trasparenza.

Intervento. Si può dire che questo ritornare della luce in sé sia anche un sacrificio dello Spirito del Movimento?

Archiati. Certo, è una rinuncia al movimento per far sorgere la forma accessibile all’essere umano.

Replica. Per lasciare il posto alla forma.

Intervento. E gli Spiriti della Forma, che funzione hanno, cosa fanno loro?

Archiati. Come, cosa fanno?

Intervento. Gli Spiriti del Movimento prendono la forma per permettere agli Spiriti della Forma di formare.

Archiati. Nell’indietreggiare degli Spiriti del Movimento entrano in campo gli Spiriti della Forma. Finché c’è il movimento operano gli Spiriti del Movimento; quando gli Spiriti del Movimento tornano indietro sorge la forma e la cosa assume un tutt’altro aspetto: la creazione diventa percepibile, il Logos si è fatto carne, è diventato percepibile.

Allora riprendiamo. Questo discorso sulla fenomenologia della luce l’ho fatto per creare un minimo di fondamento conoscitivo, per capire questi misteri della luce.

Intervento. All’inizio del discorso sulla luce avevi posto una domanda: la luce è limitata?

Archiati. Ah, sì. Applichiamo concretamente le mie affermazioni sulla luce spirituale. Abbiamo detto che dall’infrangersi del movimento della luce pura nasce la forma. Ora poniamoci questa domanda: la luce che si rende visibile è in movimento o no? Io dicevo che la luce percepibile è luce riflessa e quando entra a far parte del mondo della forma è in movimento, ma prima che sia riflessa travalica i limiti dello spazio e del tempo. E’ una pensata astratta sostenere che la luce pura si muova alla velocità di 300.000 chilometri al secondo, la luce pura è contemporaneamente ovunque, è oltre lo spazio e il tempo.

Vi dicevo anche che lo scienziato fa un’ipotesi fondamentale -ipotesi di cui è ignaro e quindi non fonda- e cioè che la luce riflessa abbia la stessa natura della luce pura; è come dire che la luce che fluisce sia della stessa natura della luce che si riflette in se stessa. La luce che fluisce - che è movimento puro, cioè è oltre lo spazio e il tempo-, nel momento in cui si riflette in se stessa acquisisce una tutt’altra natura perché crea forme. Creare forme percepibili significa creare il mondo con la dimensione spaziale.

Intervento. Mi hai riconciliato con l’esperienza che ha fatto (nome di persona) che parla proprio di questo incontro tra luce e tenebra. Mi stavi mettendo in crisi con questa teoria della luce che ritorna in sé invece adesso ho capito che questa è l’esperienza del (nome come sopra), è la luce riflessa che va nello spazio e crea forme.

Archiati. E quindi è in grado di muoversi nello spazio e nel tempo.

12,44 “ Gesù proclamò ad alta voce: colui che crede, che acquista fiducia nell’Io in quanto luce e in quanto calore -dalla luce sprigiona anche calore- non crede in me ma in colui che mi ha mandato, che ha mandato l’Io, e colui che vede me, che guarda me, guarda colui che mi ha mandato”.

Nel 12,46 cominciano i misteri della luce. “Io sono venuto come luce nel cosmo…”

Prima, nel vangelo, diceva: “Io sono la luce del cosmo”, adesso dice: “Io sono venuto come luce nel cosmo, affinché ognuno che crede nelle forze dell’Io, nella luce del cosmo non resti, non permanga nella tenebra”. Ovviamente indica la luce del pensiero, la tenebra materiale già la possediamo; il Cristo non è venuto a portarci via la tenebra materiale: quella ce l’abbiamo ogni notte. E’ chiaro che si parla di un’altra luce, la luce del pensiero, e la tenebra è il non capire. La luce della conoscenza -era questo che volevo dire- è sconfinata così come la luce pura -non quella riflessa- è illimitata perché è dappertutto. Quindi, conoscere significa essere capaci, perlomeno potenzialmente, di capire tutto. Il pensare è l’organo capace di capire tutto senza eccezione perché se esistesse qualcosa di non comprensibile al pensare, non sarebbe pensare.

Intervento. Certo che ci sono voluti duemila anni da quando l’impulso conoscitivo del Cristo ha inoculato questa potenzialità. Se quella frase di Isaia, di cui tanto si dissertava prima, è stata messa in luce dallo Steiner dopo duemila anni… è tutto relativo.

Archiati. Come?

Intervento. Circa il tempo è difficile capire, io non so più se c’è il tempo o non c’è.

Archiati. Nel vangelo di Giovanni, lo vedremo alla fine, il Cristo parla della differenza tra il compito di Pietro e il compito di Giovanni Lazzaro. Il Cristo dice a Pietro: “Il tuo compito è quello di seguirmi, di venire subito dopo di me, il tuo compito è quello di condurre l’umanità nel ciclo zodiacale -gli apostoli sono dodici- cioè nei 2160 anni che vengono subito dopo di me”. E perché il Cristo affida i 2160 che vengono subito dopo di Lui all’elemento “petrino”, all’elemento più materiale che ci sia? Perché l’umanità deve andare ancora più a fondo, deve identificarsi ancora di più con l’elemento materiale. Terminata la missione di Pietro subentra la missione di Giovanni e con lui ci sono i presupposti per un cristianesimo individuale, di luce, di pensiero mentre il cristianesimo di Pietro è di fede. Cos’è la fede? Calore senza luce. Cos’è la conoscenza? Luce più calore.

Intervento. Tra 1000 anni dovremo ritornare così troveremo già abbastanza lavoro fatto perché il cristianesimo di Giovanni sarà già abbastanza sviluppato.

(Risata)

Archiati. 12,46. “Io sono venuto nel mondo come luce affinché chi crede in me, nell’Io, non cammini nella tenebra”.

Intervento. Il 12,45 l’avevi saltato?

Archiati. Lo avevo già tradotto: 12,45 “Colui che vede me vede colui che mi ha mandato”, colui che capisce l’Io umano capisce tutta la creazione paterna. Il senso della creazione del Padre è quello di creare i presupposti necessari all’esperienza dell’Io e quindi capire l’Io umano significa capire il tutto della creazione. Il senso di tutta la creazione è l’Io umano. Nell’opera fondamentale di Steiner, la Scienza Occulta, che sarebbe interessante studiare parecchie volte, è scritto che i regni minerale, vegetale, animale non sono regni diversi dall’umano ma sono dimensioni dell’umano che l’uomo ha estromesso dal suo essere per potersi dare la possibilità di reintegrarli nel suo essere a partire dalla libertà. Cosa vuol dire che questi regni sono diventati estrinseci?

Che dapprima non vengono compresi. Il non capire equivale alla tenebra. Farli ritornare dentro di sé significa capirli e cioè trasformarli in luce.

La luce è sempre stata presa come la prima immagine, come la realtà che è al limite, come la soglia tra il visibile e l’invisibile. Quando la luce s’infrange in se stessa diventa visibile ma se non s’infrange in se stessa è il primo elemento spirituale e quindi tutte le culture hanno preso la fenomenologia della luce come metafora per la fenomenologia del pensiero.

Da dove viene la parola idea? Viene da video. E video è un vedere spirituale, è pura luce spirituale. Cosa vuol dire vedere spiritualmente l’essenza di una cosa? Capirla.

Cos’avviene quando io capisco una cosa? Divento un frammento di luce, un concetto, cos’è un concetto? E’ una unità di luce spirituale. La parola idea -le idee platoniche, ad esempio- viene da video ed è un vedere spirituale. Il vedere spirituale è il pensare e il vedere materiale è la percezione. Qual è il senso del vedere materiale? E’ la provocazione a vedere spiritualmente, a creare il concetto. Creare il concetto è un vedere spirituale. Nei fumetti si vede spesso una lampadina che si accende ad indicare che il personaggio ha avuto un’idea: cosa significa quando una persona umana -cioè tutti noi- dice di aver capito?

Intervento. Un’illuminazione.

Archiati. Un’illuminazione. Dove io ero tenebra adesso sono luce perché ho capito. Quando non capivo ero un frammento di tenebra, adesso che capisco sono un frammento di luce e sono destinato, sono chiamato a trasformare tutto in luce. Il Logos, la luce spirituale, si è fatto carne per dare all’uomo la possibilità di trasformare tutto il materiale in Logos spirituale, trasformare tutte le percezioni in concetti per diventare luce, calore, amore su tutta la linea, senza limite. La luce è l’elemento di transizione tra un mondo limitato di spazio e di tempo verso un mondo che è oltre lo spazio e oltre il tempo. Per l’uomo d’oggi è difficile capire perché è abituato solo a cose materiali inserite nello spazio e nel tempo. Tra tante altre cose, il peso morale della Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner, sta nell’essere una palestra fondamentale, un aiuto a livelli diversissimi a travalicare sempre di nuovo questo mondo di spazio e di tempo. Se non ci esercitiamo non capiremo questi testi perché parlano di cose spirituali.

Buonanotte ci vediamo domani alle 9.30.

Domenica 22/02/2004. Mattina
vv. 12,47 – 12,49

Vorrei fare una proposta: siete d’accordo di dare al relatore la possibilità di sviluppare qualcosa e siete d’accordo se coloro che hanno lo scioglibandolo un po’ sciolto si dominino un pochino e stiano zitti?

Dal pubblico. Sì.

Ieri stavamo vedendo questo dodicesimo capitolo. Non vi sto a ricordare che il dodicesimo capitolo è molto importante perché il vangelo di Giovanni è un testo che parla solo di cose importanti, tratta la fenomenologia dell’umano a livello archetipico e non esistono mai cose secondarie. Certo lo si può semplificare, però l’evoluzione umana è qualcosa di molto complesso e per trasmetterne interamente il carattere ci vuole un testo così articolato e complesso -non spaventatevi, mi darò una regolata- soprattutto per il fatto che l’evoluzione umana non è lineare ma c’è un percorso di andata fatto di preparazione, di costruzione di tutte le condizioni necessarie all’autonomia del singolo. A questo proposito, possiamo porre una domanda: qual è il valore supremo, che riassume tutto sia intellettualmente che moralmente, della creazione umana? Il valore supremo della creazione umana, dell’evoluzione umana -non parliamo di Angeli e Arcangeli, la loro evoluzione è affare loro- è l’individuo autonomo. C’è qualcosa di ancora più alto moralmente? No, non troverete mai qualcosa di moralmente più alto, più prezioso e più buono dell’individuo autonomo perché nell’individuo autonomo c’è tutto.

L’autonomia della mente singola dell’uomo non salta fuori senza premesse necessarie. La prima parte, quella pedagogica che io ho chiamato “conduzione dal di fuori”, serve a creare tutte le condizioni necessarie affinché l’individuo possa vivere la sua qualità di Io e la seconda parte è la gestione individuale delle forze dell’Io. Nella prima parte dell’evoluzione l’umanità doveva essere unilineare, in quella fase tutta l’umanità era insieme, c’era la stessa evoluzione per tutti, e il passo successivo consisteva nello staccarsi da quella matrice unitaria. Il peccato originale è il grosso taglio ombelicale dell’umanità. Il Paradiso era il grembo divino in cui tutti eravamo inseriti, però guai se fossimo rimasti là perché non saremmo mai diventati individui autonomi.

Il peccato originale, la cosiddetta “cacciata del Paradiso” è come un taglio ombelicale -necessario per l’evoluzione- che interrompe i rapporti col Paradiso. Cosa vuol dire per l’umanità l’essere “tagliata fuori” dal Paradiso? Significa che l’umanità ha iniziato a diventare sempre più cieca -ecco spiegati i termini del vocabolario di Isaia-, cioè la Legge dell’evoluzione era che gli esseri umani dovevano staccarsi sempre di più dalla connessione di natura col Divino per poter poi, dal punto di sconnessione dal Divino, ricercare il congiungimento col Divino liberamente e individualmente: queste ultime due qualità sono fondamentali. Per poter ricercare, riconquistare liberamente tutto ciò che è spirituale, la luce, tutti gli intuiti conoscitivi, tutti gli intuiti morali, il vero e il buono, bisogna aver perso questo patrimonio. Quindi, il senso della prima parte dell’evoluzione è di perdere la connessione col Divino data per natura, altrimenti la libertà non ha nessun compito da svolgere e allora non c’è l’esercizio della libertà.

Abbiamo visto che sulle due profezie di Isaia citate nel vangelo di Giovanni -le citazioni del vangelo di Giovanni dal Vecchio Testamento sono importantissime perché il vangelo di Giovanni cita solo le più importanti- le traduzioni ed anche i manoscritti greci vacillano perché la chiave di lettura del testo di Isaia la si capisce subito se si conoscono le leggi dell’evoluzione, altrimenti non la si capisce e si pasticcia. Perciò vi dicevo che si può interpretare questo testo solo con l’aiuto dei fondamenti di Scienza dello Spirito. Scienza dello Spirito significa conoscere le leggi fondamentali dell’evoluzione. Se uno non conosce queste leggi non si raccapezza. Dal testo di Isaia dicevamo: “Ha accecato i loro occhi e indurito il loro cuore affinché non vedano con gli occhi e non comprendano col cuore”. Un esegeta normale può esaminare il testo da tutte le prospettive ma se non ha già acquisito, in altri modi, un’idea delle leggi dell’evoluzione, pasticcia nell’interpretare.

Tutti gli equivoci interpretativi partono da un errato atteggiamento moralistico nei confronti del cosiddetto “peccato originale”, lo additano come se fosse stato qualcosa di male, come se fosse stato meglio evitarlo: questa è una baggianata. Il pensare che sarebbe stato meglio che il peccato originale non ci fosse stato equivale al pensare che sarebbe stato meglio che tutta l’evoluzione non ci fosse stata. Con questa premessa il testo diventa assurdo perché il testo dice: “ Li rese ciechi e indurì i loro cuori affinché non vedessero con i loro occhi e non capissero con il loro cuore affinché si convertano e lui li guarisca”. In alcune interpretazioni invece aggiungono altri due non in modo che l’essere umano non inverta la marcia e Lui non lo guarisca: in questo modo diventa veramente assurdo. Facciamo uno schizzo.

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Fig. 9

L’andar via dal Paradiso è il perdere sempre di più la visione dello spirituale, perché è importante perdere la visione iniziale dello spirituale? Perché non era individuale e non era conquistata dalla libertà ma era un puro fatto di natura. Se non l’avessimo persa saremmo rimasti esseri di natura e rimanere un essere di natura è l’antiumano per eccellenza, perché l’essenza dell’umano è la libertà e quindi il dato di natura si fa sostrato per la libertà. Il dato di natura diventa la somma del liberabile e quindi la somma di tutto ciò che la libertà può fare. Così come il dato di natura è il tutto del bambino piccolo, quando comincia la libertà la libertà comincia a lavorare sulla natura: deve trasformarla in libertà, trasformare ogni percezione in un concetto. Alla luce di ciò, era necessario che gli occhi si chiudessero, che il cuore s’indurisse, che gli orecchi si chiudessero altrimenti non ci sarebbe stata la svolta ed il guarire. La redenzione, il guarire, sta nel trasformare ogni frammento di natura in un’esperienza della libertà.

La conduzione divina -i tre gradini- ha chiuso gli occhi, le orecchie, il cuore all’uomo. In Matteo sono tre le cose: la natura divina si ritira dagli occhi, dalle orecchie, dal cuore. L’essere umano perde l’immaginazione atavica: gli occhi, perde l’ispirazione atavica: le orecchie, e perde l’intuizione atavica: il cuore, affinché possa avvenire la svolta. Il testo parla di convertire, il termine ebraico è shuv e significa invertire la marcia: se uno scende inverte e sale su oppure se avanza inverte e indietreggia. Questo invertire la marcia viene espresso in ebraico con il verbo convertire e nel greco troviamo come strafein (strafein). La caduta era necessaria per poter invertire la marcia e risalire; il risalire viene chiamato guarire. In questo modo il testo è semplice da capire perché descrive, nei tratti fondamentali, il senso e la direzione dell’evoluzione che è l’emergenza, il sorgere dell’individuo libero.

Dopo aver letto questi due versetti che citano Isaia abbiamo visto la reazione della folla -che in un certo senso è aperta- e la reazione dei capi. La differenza tra la folla e i capi è una specie di polarità: la folla sono gli esseri umani che non hanno interessi di potere e quindi ha maggiore libertà di essere aperta verso il messaggio cristico.

Ai capi, invece, era scomodo mostrare apertamente come questo messaggio lavorava su di loro perché, come sta scritto nel versetto 12,43.: “amavano la gloria degli uomini più che la gloria verso Dio”. Questo versetto è molto concreto, ci fa vedere come il vangelo non sia teoria ma vita, e ci dice come per i capi fosse più importante cosa gli uomini pensavano di loro che non cosa Dio pensasse di loro. Su questo punto del 12,43, io faccio la proposta conoscitiva che questo è un versetto che ci riporta alla svolta. Vivo la svolta ogni volta che mi chiedo: voglio che per me sia più importante ciò che la gente dice di me o ciò che gli Angeli dicono di me? E’ una scelta che noi facciamo sempre anche se inconsciamente: o diamo più importanza a ciò che siamo sulla scena di questo mondo o diamo più importanza a ciò che siamo nel mondo spirituale. Non si può fare tutti e due? Il vangelo di Giovanni ci porta sempre a questo dover scegliere -lo scegliere è il carattere fondamentale della libertà- ed una delle scelte fondamentali è che ciò che è importante sulla scena di questo mondo non sarà mai ugualmente importante nel mondo spirituale. Se lo fosse presupporremmo un mondo già perfetto, un’evoluzione umana già arrivata alla fine. Essendo noi nello stato di caduta dell’umanità, possiamo partire dal presupposto che le cose che sono importanti sulla Terra sono le meno importanti per il mondo spirituale e le cose che sono più importanti per il mondo spirituale sono le meno importanti sulla Terra. Deve essere così altrimenti non ci sarebbe la differenza, non ci sarebbe un’umanità caduta, ci deve essere un punto da cui non si scappa, si deve scegliere. E’ questo un punto in cui ciascuno è confrontato con se stesso, nessuno di noi ha la possibilità di avere un forte peso in tutti e due i mondi: o una persona pesa molto nel mondo spirituale e allora non avrà nessun peso sulla scena di questo mondo, oppure un essere umano ha molto peso sulla scena di questo mondo e allora pesa molto poco nel mondo spirituale.

Intervento. Il Pontefice ha un bel peso su questa Terra.

Archiati. Credo che si piglierà un attacco cardiaco quando si accorgerà quanto -in qualità di Papa- leggerino sia appena muore. Un esempio concreto: esiste peso più grande dell’essere ritenuto infallibile da milioni di bravi cattolici, compresa mia sorella suora che lo ritiene infallibile pure lei? Il Papa, appena muore, si rende conto di essere veramente infallibile?

Replica. Si rende conto di non essere mai esistito.

Archiati. Il potere di questo mondo è nullità nel mondo spirituale, è nullità spirituale. E’ un assunto che si capisce subito: chi esercita potere si annienta spiritualmente. Esercitare potere a qualsiasi livello è annientarsi spiritualmente perché esercitare potere significa distruggere la libertà e distruggere la libertà significa distruggere se stesso in quanto Io.

12,44. “Gesù proclamò ad alta voce: colui che dà peso all’esperienza dell’Io…” qui usa il termine dare peso. “Colui che crede in me”, colui per il quale l’individuo autonomo è importante: cosa vuol dire l’Io, l’esperienza dell’Io? Sono due esperienze di luce. Essere un Io significa vivere due esperienze fondamentali: intuito conoscitivo, luce conoscitiva, la ricerca del vero, e l’intuito morale, la ricerca del buono.

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Fig. 10

Queste sono le due esperienze fondamentali dell’Io. L’intuito conoscitivo, la conoscenza si riferisce a tutto il passato cioè a tutto ciò che già c’è. Tutta la realtà esistente ha una sua oggettività perché è così com’è e quindi va conosciuta. Quindi, la luce conoscitiva, la luce che ci fa cogliere la verità è la forza di essere oggettivi, di non voler vedere le cose come mi piacerebbe che fossero, ma essere contento di conoscerle così come sono, anche se mi è scomodo: questa è la prima luce, la prima forza dell’Io. Però questo sguardo conoscitivo che penetra, interpreta, comprende ciò che esiste, non basterebbe per accedere alla libertà. Se l’Io non avesse la possibilità di creare mondi nuovi e quindi di fare ciò che ancora non c’è non sarebbe completo. Il fatto morale si riferisce a ciò che ancora non c’è, risponde alla domanda: che cosa voglio fare? E questo ancora non c’è perché l’intuito morale si proietta nel futuro.

L’intuito conoscitivo si riferisce a tutto il passato -chiamatelo ‘natura’ o come volete-, è tutto ciò che c’è già ed è così com’è, non ha nulla a che fare con la moralità. Con la moralità ha a che fare ciò che parte dal momento presente e va verso il futuro. Morale è tutto ciò che ancora non c’è altrimenti non può essere morale, non posso farlo bene o male, non posso farlo così o colà. Quindi, vedete che l’Io è proprio la chiave di volta tra tutto il passato -che vuol conoscere- ed in base al conoscere le leggi evolutive del passato è capace di prospettare la trasformazione morale del passato per farne la sostanza della propria libertà. Qual è il senso della creazione divina giunta fino a questo punto? E’ la ricreazione dell’uomo cioè la seconda metà. La parola ricreazione è una delle più belle della lingua italiana perché ha due significati: la ricreazione ed anche la gioia perché è la creazione della propria libertà, è pura autorealizzazione. Quindi, il bene morale sta nel ricreare tutto il cosmo, creato dalla Divinità, a partire dalla libertà umana. Questa è la duplice luce dell’Io perché per conoscere la natura di tutto ciò che esiste c’è bisogno di luce, di intuito conoscitivo.

Nella Filosofia della libertà di Steiner, la prima parte tratta i misteri dell’intuito conoscitivo e nella seconda parte ci sono i misteri dell’intuito morale. Il libro è proprio strutturato in questo modo. Cos’è il bene morale? La libertà. Bene è tutto ciò che rende più libero l’uomo e male è tutto ciò che lo rende meno libero. La somma del male morale è l’omissione della libertà e perciò nel giudizio universale il Cristo elenca soltanto peccati di omissione, altri peccati non ne esistono. I peccati di commissione sono prove che uno fa e vede che non vanno bene e allora cambia, ma il cimentarsi in qualcosa non è un peccato, non è un male, tutti dobbiamo provare.

Ma quando io ometto la libertà, allora sì che è un peccato perché resto più povero, alla fine sarò tanto più povero quanto più avrò omesso. Questo per riprendere in chiave maggiormente morale ciò che ieri ho detto sulla luce: luce intellettiva, intuito conoscitivo e luce morale.

Per ognuno di noi la domanda concreta è sempre il momento presente, l’oggi, quando ognuno di noi si chiede: cosa devo fare, qual è il mio compito oggi? Quale facoltà l’uomo ha in mano per sapere cosa deve fare? Il pensare. Il pensare, la luce spirituale, è la chiave sia per l’esperienza del vero che per l’esperienza del buono. Più chiaro di così! Il pensare, la luce del pensare è la chiave per capire il passato, tutto ciò che c’è nella sua natura, così com’è, per capirlo nel suo dinamismo propulsivo, che è sorto per rendere possibile -non di necessità- la gestione individuale della libertà. Per me il fattore morale per eccellenza è la mia gestione individuale della mia libertà. Libertà significa che io prendo la responsabilità, faccio di tutta la creazione la mia responsabilità individuale. E’ vero o non è vero che ogni essere umano è individualmente responsabile dei destini dell’umanità e della Terra? Certo che lo è, può soltanto omettere di rendersene conto ma non giungerà mai ad una conclusione diversa. La somma del morale è la possibilità, la capacità offerta alla mia libertà di fare dei destini dell’umanità e della Terra una mia responsabilità individuale. Ce n’è da fare! Un’affermazione così non è contestabile, non è smontabile perché non ha l’alternativa. In che altro potrebbe consistere la somma del morale se non di fare dei destini di tutta l’umanità una mia responsabilità individuale? Come l’umanità si evolverà e come la Terra si evolverà dipende da me. Non dico che dipenda solo da me, dico che dipende da me.

12,44. “Gesù parlò ad alta voce: colui che trova fiducia nell’Io…” colui che dà peso morale al diventare un Io responsabile sia intellettualmente che moralmente “… non dà peso soltanto all’Io ma dà peso a tutta la creazione del Padre”. Vedete che adesso il linguaggio diventa sempre più accessibile? Nell’Io è compresa tutta la creazione, tutto il passato e tutto il futuro. L’Io, in quanto intuito conoscitivo, fa sua tutta la creazione del Padre e l’Io, in quanto intuito morale, fa sua tutta la creazione dello Spirito Santo. Nell’esperienza c’è sia il Padre che il Figlio. E’ sufficiente tradurre un linguaggio di duemila anni fa in un linguaggio più attuale e lo si capisce subito, immediatamente. “…e colui che vede me…” colui che capisce l’Io capisce il significato di tutta l’evoluzione. Il significato di tutta l’evoluzione è di far sorgere l’Io libero.

Come si capisce il mistero delle pietre, delle piante e degli animali? Si possono capire le pietre, le piante e gli animali senza capire l’uomo? No, perché sono stati creati in vista dell’uomo. Quindi, chi vede me vede anche il Padre. Cosa significa “Colui che mi ha mandato”? Colui che ha mandato l’Io. Nel disegno precedente ho fatto tre gradini, supponiamo che al primo gradino ci siano le pietre: evoluzione saturnia, al secondo gradino ci siano le piante: evoluzione solare, e al terzo gradino ci siano gli animali: evoluzione lunare, il significato di tutto questo è la Terra con l’emergere dell’Io umano.

“Io sono venuto come luce del mondo…” l’Io è luce, l’esperienza dell’Io è un’esperienza di luce, è un illuminarsi conoscitivo e morale, è un conoscere la natura per capire la libertà. Conoscere la natura significa capire la libertà perché il senso della natura è la libertà. La natura è il determinismo, e qual’è il senso del determinismo? Di vincerlo. Se non ci fosse non potrei vincerlo, se non lo vinco è senza senso. Quindi il senso del deterministico è il suo superamento, viene trasformato in libertà ed in questo senso il vitale e la coscienza non li si può godere entrambi a piene mani, sarebbe un controsenso perché allora avrebbero entrambi un significato assoluto invece il significato del vitale, che è un frammento di natura, è di essere liberato, di essere vinto. Il problema è che sia la parola “liberato”, sia “vinto” sono categorie quasi tutte un pochino moraleggianti. “Vincere” è un po’ moraleggiante, sarebbe meglio dire: trasformarlo, invertirlo in un’esperienza di libertà. La categoria di inversione è più pulita, il vincere la fa apparire come non buona invece non è che non sia buona, semplicemente è il presupposto per l’esperienza della libertà. Ogni frammento di determinismo lo inverto in un’esperienza di libertà, il senso del deterministico è di essere ri-svolto, invertito in un’esperienza di libertà. ‘Shuv’ è la categoria ebraica della svolta, strafein (strafein) in greco.

“L’Io è venuto come luce nel mondo e ognuno che dà fiducia all’esperienza di luce dell’Io…” l’esperienza di luce è conoscitiva e morale. Ciò che conosco è così com’è, il risvolto morale dell’intuito conoscitivo è che ogni cosa è così com’è per far diventare me sempre più libero. Quindi il senso di ogni cosa è l’esperienza di libertà che l’essere umano ne fa, un altro senso non c’è. 12,46 “…e colui che dà fiducia all’Io non resta nella tenebra”, colui che dà fiducia all’Io fa un’esperienza dopo l’altra di intuiti conoscitivi e un’esperienza dopo l’altra di intuiti di liberazione morale, di intuiti morali di trasformazione. Il concetto di svolta è anche trasformazione, è mutare ogni frammento di cogenza in un’esperienza di libertà. La mamma è stufa di pulire il bambino che si sporca ogni due ore: cosa fa? Può dire a se stessa: “Ma sì, dai, quello che mi tocca fare lo faccio volentieri”! Chi glielo proibisce? Se non trasforma questo frammento di necessità -il bambino va pulito- in un’esperienza di libertà sono affari suoi, però è possibile farlo. E’ possibile viverlo sia dal lato di necessità cioè “mi tocca farlo”, sia dal lato della libertà in quanto decido di farlo con gioia: “Oh, perbacco, adesso che l’ho cambiato non c’è più nulla da fare, ed io che morivo dalla voglia di pulirlo un’altra volta”!

(Risata)

Archiati. E’ una faccenda psicologica, non è soltanto metafisica, e bisogna renderla concreta, cioè l’esuberanza della libertà sta nel fare tutto il bene morale volentieri, volutamente: questa è la libertà. Ed è sempre possibile. Nessuno mai deve farlo così ma è possibile, è un’offerta, la libertà è un’offerta che si può omettere. Se io non trasformo il dovuto in un voluto, non sono libero perché la libertà deve essere anche omissibile. La libertà sta sempre nel trasformare ogni dovuto in voluto. Voi direte: “ma ci sono anche cose che non sono dovute” in effetti non è così perché ognuno di noi deve tutto il suo essere agli altri, quindi il dovuto non ha misura; ognuno di noi deve tutto ciò che ha ricevuto ed allora non c’è limite. Il dovuto che si può trasformare in un voluto è infinito, la libertà è infinita perché ognuno di noi deve agli altri: al cosmo, alla creazione ai regni della natura tutto ciò che ha ricevuto, tutto ciò che è. L’esercizio della libertà è il godimento di far rifluire tutte le proprie forze nel cosmo liberamente, gioiosamente, con gratitudine perché sono state ricevute, altro che proprietà privata! Mi riferisco alla conferenzina di Steiner che vi ho tradotto, nella speranza che un po’ alla volta la stiate digerendo.

12,46. “L’Io è luce del cosmo e ognuno che crede nell’Io, in me, non rimane nella tenebra”. La tenebra è il dovuto, ad esempio. Il dovuto lo trasformo in luce nel momento in cui lo voglio liberamente. Tenebra è dove manca l’intuito conoscitivo e dove manca l’intuito morale e il senso della tenebra è di essere illuminata dalla luce. Il senso di ciò che io non ho ancora capito…ha senso ciò che io non ho ancora capito? Certo! E’ tutto quello che resta da fare alla mia libertà altrimenti la mia libertà non avrebbe niente da fare. Quindi ciò che non ho ancora capito è la mia libertà futura di capirlo e ciò che non ho ancora realizzato di buono -il mio egoismo- è la somma del morale possibile che mi aspetta. Posso godere anche di tutto ciò che non ho ancora capito perché so che il mio godimento non è finito qui ma avrò godimento anche in futuro. I due atteggiamenti sono: l’atteggiamento della tenebra è di chi vede la conoscenza imperfetta dal lato negativo: “Oh, quante cose ancora non capisco”, invece la luce arriva quando uno dice: “Ma che bello, quante cose ho ancora da capire”! Un gioco appassionante dà più gioia all’inizio o verso la fine?

Intervento. All’inizio.

Archiati. All’inizio, questa è la positività: più c’è da fare meglio è.

Intervento. Il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno.

Archiati. Esatto.

Guardate, il versetto 12,46 tratta l’Io dalla prospettiva dell’occhio, della luce e quindi dell’immaginazione; il 12,47 tratta l’Io dalla prospettiva dell’orecchio, del sentire, e quindi dell’ispirazione. Chi studia la Scienza dello Spirito ritrova i parametri, ritrova la struttura della Scienza dello Spirito e soprattutto i tre gradini della conoscenza spirituale, li ritrova in questi testi sempre di nuovo. Il versetto 12,46 è dedicato all’occhio, al vedere, all’immaginazione, all’Io come esperienza di immaginazione, come esperienza infinita di immaginazione; nel versetto 12,47 c’è l’Io come esperienza di udito: l’ispirazione.

12,47. “ Se qualcuno ode le mie parole e non le conserva io non lo giudico: non sono venuto al mondo per giudicare ma per salvare il mondo”

“Ode le mie parole ma non le conserva”, non le ascolta, ode ma non ascolta; un conto è udire, un conto è ascoltare. Ascoltare è un udire, l’ascoltare è un udire intriso di libertà… esiste anche un vedere intriso di libertà? Come si chiama in italiano un vedere intriso di libertà?

Intervento. Guardare.

Archiati. Il guardare è un vedere intriso di libertà, l’ascoltare è un udire intriso di libertà: “Chi ode le mie parole ma non le ascolta…” se i comandamenti oltre ad essere uditi diventano ascoltati veramente, li fai tuoi, diventano ciò che vuoi; ciò che devi diventa ciò che vuoi.

Il Cristo dice “chi ode, chi sente gli intuiti morali dell’Io -che sono le ispirazioni morali- ma non li ascolta, non è libero”, gli tocca farlo per forza: devi, devi, devi. “Se uno sente le mie parole e non le conserva…” questo conservare è ascoltare cioè farle proprie.

“…Io non lo giudico…” cioè Io non lo metto in crisi perché la crisi… Questo diagramma non è completo (rif. fig. 9) perché la svolta sta nel fatto che c’è una duplice possibilità di evoluzione (aggiunge l’arco che va verso il basso) altrimenti non ci sarebbe la libertà e la crisi sta nel fatto che dopo la svolta bisogna sempre scegliere, di questo stiamo parlando continuamente: o in su o in giù, o libertà o sottomissione. La sottomissione dopo la venuta del Cristo è moralmente cattiva perché è mortificante dell’Io.

Intervento. E’ omissione.

Archiati. E’ omissione di libertà. In che cosa consiste l’omissione di libertà? Abbiamo alle spalle duemila anni di Vecchio Testamento ed ho l’impressione che nessuno di voi abbia il coraggio di dire che la sottomissione è il male morale.

Intervento. Le pecore.

Archiati. L’essere pecore è l’omissione dei pensieri propri e quindi chiedere la sottomissione di qualcuno è un puro esercizio di potere. Il Cristo non chiede la sottomissione, chiede a ognuno che si sforzi di capire le cose. Se io capisco che qualcosa mi fa bene non la faccio per sottomissione, in quanto mi sottometto ad una volontà estrinseca a me, ma la faccio per libertà, per mio libero volere. Se ometto il mio libero volere mi sottopongo alla volontà di un altro. Sottomettersi alla volontà di un altro è l’essenza dell’immoralità perché è un cancellamento dell’Io. Io posso ascoltare gli impulsi morali di un altro ma li devo fare miei. Il Cristo dice: “chi sente ma non fa suo, non conserva nel suo essere…” usa la categoria del conservare nel senso di portare dentro di me. Una cosa deve far parte di me, la devo assimilare a me stesso e allora diventa la mia volontà, diventa parte della mia libertà.

Ci siamo raccontati già altre volte l’esempio estremo di una persona che alla fine della vita si presenta al Padreterno dicendo: “Io ho sempre ubbidito”. I guardiani delle prigioni naziste cosa hanno portato per discolparsi dai crimini commessi? “Ho ubbidito agli ordini, il mio dovere era di ubbidire agli ordini”. Un bravo cattolico -oggi, per fortuna, diventano sempre più rari- si presenta al Padreterno e dice: “Io ho sempre ubbidito alla Chiesa”, che deve fare ‘sto Padreterno? Gli dice: “In Paradiso non ti posso mandare perché non hai mai fatto una scelta tua -piuttosto mando la Chiesa in Paradiso-, all’Inferno non ti posso mandare perché non hai mai fatto una scelta tua… ma sì, dai, torna sulla Terra e datti una mossa”. Che altra scelta ha ‘sto Padreterno? Immaginiamoci che morale retriva, retrograda, anacronistica noi abbiamo, con migliaia di persone convinte che sottomettersi sia moralmente buono: è allucinante. Sottomettermi ad un altro essere umano è l’essenza dell’immorale perché significa cancellare l’Io, perché l’altro uomo è uno come me, anche se si ritiene infallibile, che è ancora peggio.

Intervento. Anche la parola italiana dice: essere sotto-omissione.

Archiati. Sottomissione viene da “mettersi sotto”. L’Io non è stato creato per mettersi sotto, è stato creato per mettersi sopra altrimenti non è un Io. Lui, qui davanti, dice: “Mannaggia! Proprio adesso che avevo qualcosa di importante da dire devo stare zitto”! Il compito degli ascoltatori è quello di essere sottomessi.

(Risata)

Intervento. E’ il compito della nostra libertà.

Archiati. Di stare buoni. Stare buono significa che quando uno sta zitto è buono, sono modalità per bambini su tutta la linea, se esagero ditemelo dopo, quando facciamo la discussione.

12,47. “Se qualcuno sente, ode le mie parole ma non le fa sue, non le conserva, Io non lo giudico, non sono venuto nel mondo per giudicare…” giudicare significa condannare, cioè che è Lui a decidere se un essere umano va giù o se va su. Intende dire: “a decidere se un essere umano si sviluppa in senso positivo o in senso negativo può essere soltanto lui stesso” nessuna istanza esterna è mai in grado di farlo andare su o giù, eccetto lui stesso. In altre parole, è la sua libertà soltanto a decidere se la esercita o se la omette. Il Cristo dice: “Io sono venuto soltanto per aiutarvi a capire queste cose: adesso è la libertà a decidere, non più la legge, non più l’autorità esterna ma soltanto tu, caro essere umano”, soltanto l’Io di ognuno può decidere se esercita la libertà o se la omette”, ognuno può essere giudice soltanto di se stesso; la libertà individuale è la crisi, lo spartiacque. Detto ancora meglio: la libertà del singolo è il criterio -criterio viene da crisi- della moralità. Altri criteri del bene e del male non ne esistono, altri criteri della moralità non ne esistono. Dove il singolo esercita, attua la sua libertà, attua il bene morale. Dove il singolo esperisce un frammento di non libertà, omette la libertà, è lui che si giudica perché soltanto la sua libertà è, per lui, il criterio del bene o del male. Questo tipo di moralità è agli inizi nell’umanità, già facciamo fatica a capirla, figuriamoci poi a realizzarla.

I grandi problemi sociali provengono dal fatto che noi abbiamo una morale che è stravecchia di almeno duemila anni. Questo è il grosso problema, che ci siamo trascinati per duemila anni la paura della libertà. Gli esseri umani non possono aver paura di nient’altro tanta quanta ne hanno della libertà perché la libertà deve far paura più di ogni altra cosa; nessuna sfida può paragonarsi alla libertà e nessun abisso può paragonarsi a ciò che succede quando si omette la libertà. Quindi, la libertà fa paura, a ragione, perché l’animo umano avverte che la libertà è il criterio, il fattore determinante del bene. Però, averne paura per metterla sotto sospetto significa ometterla e più gli esseri umani omettono l’esperienza positiva della libertà e più si azzanneranno, si azzufferanno, si arrabbieranno a vicenda perché nessuno riesce a fare l’esperienza della libertà e ognuno darà la colpa agli altri per la libertà che non è capace di crearsi lui. Ricordate la frase di prima? Che non è possibile esercitare il potere di questo mondo -quindi non libertà- e avere libertà dello spirito. O do priorità alla libertà dello spirito e allora non varrò nulla sulla scena di questo mondo, o voglio valere qualcosa sulla scena di questo mondo e allora devo pestare, pestare, pestare la libertà degli altri e la mia: bisogna scegliere.

12,48. “Colui che mi scarta e non accoglie le parole dell’Io ha chi lo giudica e cioè la parola che Io ho detto: quella lo giudica all’ultimo giorno”

Colui che dice peste e corna dell’Io: “Ma sì dai, ma cos’è ‘sta libertà, che esagerazione…”

“Colui che elimina l’Io e non accoglie le parole dell’Io ha chi lo giudica…” non c’è bisogno di giudicarlo dal di fuori. In altre parole, la presa di posizione nei confronti dell’Io, che lo si accolga come il valore supremo o che lo si elimini come qualcosa che non vale nulla, questa scelta della libertà -o di onorare l’Io oppure di eliminarlo- è il giudizio che l’uomo fa su se stesso perché questa scelta lo porta o in una direzione o nell’altra. La dicitura è immediatamente comprensibile se la riferiamo all’Io.

“Colui che mi scarta e non accoglie le mie parole ha chi lo giudica e cioè la parola che Io ho detto: quella lo giudica, all’ultimo giorno”. L’ultimo giorno è riferito soprattutto al momento in cui si fa il bilancio di una vita. Il Cristo prende l’immagine del “giudizio particolare”, come viene chiamato nel linguaggio scientifico spirituale. Quando si muore si fa il bilancio dell’esistenza, dov’è il giudice? Chi giudica? Il giudizio particolare, il purgatorio, il dopo morte consiste nel fatto che l’uomo non deve guardare ad un giudice seduto sul seggiolino che gli sentenzia se è stato buono o cattivo, l’uomo guarda se stesso: se si vede pieno di buchi… ha bisogno di qualcuno che glielo dica che è pieno di buchi? No, lo vede da sé. Io sono il giudice di me stesso e dico: “questi buchi sono tutto ciò che avrei potuto diventare nel mio essere e non sono diventato, tutti i cammini di pensiero che avrei potuto fare e non ho fatto, tutti i cammini di amore che avrei potuto dedicare agli altri e non ho dedicato, sono mingherlino, sono striminzito”. Tra l’altro, vi dicevo un’altra volta, in Matteo, capitolo 25, c’è il giudizio universale che è il bilancio totale dell’evoluzione. I buoni vengono messi a destra e i cattivi a sinistra e i cattivi vengono mandati nella dannazione eterna. Chi ha i quattro vangeli può leggere il capitolo 25?

Intervento. Matteo 25,46. “E questi se ne andranno al castigo eterno”.

Archiati. Il castigo eterno! Pensiamo al giudizio universale di Michelangelo nella Sistina in cui appare questo Dio che fa da giudice e proclama: “tu sei stato cattivo e sarai punito, tu sei stato bravo e andrai in Paradiso”. Steiner dice che questo modo giuridico di pensare non ha nulla a che fare con lo spirito del cristianesimo. E’ la Chiesa cattolica che ha recepito le categorie di potere terreno dell’impero romano e col cristianesimo non hanno nulla da spartire. A questo punto voi mi chiederete cosa dice il testo greco. Allora, in Matteo dice: “Gli uni faranno l’esperienza in cui si vedono pieni e gli altri si vedono kolasiV (còlasis = potati, mutilati); andranno verso la còlasis, kolazw (colazo) significa mutilare cioè non sono completi, sono manchevoli, vedono che gli manca questo, quest’altro e quest’altro. Che cosa ha a che fare il rendersi conto di aver omesso tanto di ciò che avrei potuto divenire con un giudice dal di fuori che mi castiga, mi spedisce nella dannazione eterna? Vedete che differenza enorme? Vedete che il cristianesimo deve ancora cominciare? A che serve ‘sto giudice? A far paura alla gente, a tenerli sottomessi, a tenerli belli buoni, ma allora diciamo che vogliamo un’umanità di bambini, i bambini si possono tenere belli buoni.

Quindi questo versetto di Giovanni (12,48) è micidiale e dice: “non crediate mica che sia un’istanza esterna a giudicarvi, l’unico criterio è ciò che tu sei divenuto e ciò che tu non sei divenuto”, che altro criterio ci può essere per il bene e per il male? Il bene è ciò che sei divenuto e il male è la somma di ciò che hai omesso, di ciò che potevi diventare nella tua mente e nel tuo cuore e non sei diventato, peggio di così… La traduzione con castigo è impropria, è come se un ad bambino -uso un’immagine paradossale, ma concedetemela perché se non è paradossale abbastanza non ci capiamo- a cui una macchina ha tagliato un braccio la mamma, per di più, gli dà una botta. Questo è il concetto cattolico del castigo, e dovrebbe essere conciliabile con la bontà, con l’amore Divino: visto che tu ti presenti bello monco, adesso ti do un castigo, ti do una bella botta in testa. Come se non bastasse la sventura di aver perso un braccio, vedete che assurdità?

Se ciò che sto dicendo è minimamente sensato, io vi chiedo come mai tutte queste teste di bravi pensatori in duemila anni non ci arrivano? È ora che ci svegliamo, santa pace. Con queste assurdità si proibisce la libertà come se la libertà fosse un male morale, ma scherziamo? Con questo tipo di testi poi! Secondo la teologia tradizionale i cattivi andranno alla dannazione, al castigo. Eppure gli esegeti lo sanno il greco, sanno che la parola kolasiV (còlasis) -kolazw (colazo)- significa moncare, tagliare una gamba, tagliare un braccio.

Steiner descrive il “dopo morte” in questa chiave, in un modo bellissimo: chi ha omesso l’evoluzione intellettuale e morale si sente manchevole perché non è capace di agganciare, di capire l’Angelo, l’Arcangelo, eccetera e vive una solitudine molto intensa; sono monco quando mi manca l’aggancio, mi manca la comunione, mi manca la capacità di…vuoi dargli una botta in testa ancora, in più?

Intervento. Scusa Pietro, ma uno che continua ad omettere come fa ad avere la coscienza di quello che ha omesso?

Archiati. Per questo c’è la morte, dopo la morte ci si rende conto di tutto.

Replica. Gli viene tutta la coscienza insieme dopo la morte?

Archiati. Ma chi ti proibisce di farti venire un po’ di coscienza anche quando sei in vita? Una persona non si rende conto dei suoi buchi nella vita soltanto perché ha altri assilli di potere sulla scena di questo mondo. Te lo dice il testo: siccome ha altri assilli, ha altre priorità, non si accorge dei buchi che crea nel suo spirito. E allora lo facciamo morire perché finalmente se ne accorga. Tornano o no i conti?

Replica. Essendosi interessata solo al potere, questa persona è completamente rivolta verso le cose della Terra e quindi non dovrebbe rendersi conto delle sue omissioni.

Archiati. Quando si trova in un mondo spirituale, si rende conto che non ci capisce nulla.

Replica. Scusa, prima della svolta l’uomo va giù poi dopo la svolta continua ad andare ancora più giù, a maggior ragione non si rende conto.

Archiati. No, adesso ascolta: finché vive sulla Terra ha un pieno sostitutivo che sono le cure di questo mondo e questo pieno lo tiene occupato, non gli consente di vedere il vuoto; quando muore questo pieno sparisce e per forza lo vede il vuoto, non ha un’attività alternativa che lo distoglie. Sono così semplici le cose. E’ questo il senso della morte: di aiutarti proprio a vedere il vuoto perché ti toglie via tutto ciò che ti distoglieva dal vuoto spirituale, sparisce tutto e adesso sei confrontato col vuoto spirituale. Tant’è vero che nel giudizio universale il Cristo dice: “l’Io aveva fame, doveva essere nutrito e non gli avete dato da mangiare, l’Io aveva sete, nell’umanità c’è sete di Io e non gli avete dato da bere…” E loro, quelli che omettono, cosa dicono? Cadono dalle nuvole. Cos’è che non hanno notato? I buchi spirituali! Perché non li hanno notati? Perché erano occupati, ma dopo la morte queste occupazioni spariscono e allora sono obbligati ad accorgersi dei buchi. L’evidenziazione dei buchi …è proprio questo il concetto di giudizio universale, che il Cristo gli dice: “C’era tanto da fare sia in chiave conoscitiva che in chiave morale per coltivare l’Io: c’era fame di Io, sete di Io, nudità di Io, eccetera e voi non avete fatto niente per l’Io? Quando mai?” Perché eravate occupati con le altre faccende. Tornano i conti?

12,48. “Colui che scarta l’Io e non accoglie le parole dell’Io ha colui che lo giudica, la parola…”

E’ il suo essere stesso che lo giudica, ciò che diventa e ciò che non diventa. Voi nel testo avete tradotto “la parola” però nel greco dice “Logos”, il Logos è il giudice, il Logos intellettuale e il Logos morale. Ho coltivato il Logos? Mi ritrovo pieno. Non l’ho coltivato? Mi ritrovo vuoto.

È quello il giudizio, un altro giudizio dal di fuori non c’è. Il giudizio sarebbe il pensiero che un giudice o qualcuno dal di fuori mi possa rendere più bello o più brutto di quello che sono: no, nessuna istanza esterna può rendermi più bello o più brutto di quello che sono. Né la lode né il biasimo può rendermi più bello o più brutto di quello che sono e quindi un giudizio estrinseco è una contraddizione di termini. Però è una bella liberazione interiore quella di dirsi: “nessuno ha il diritto di giudicarmi”. E posso sentire questa libertà del non potere essere giudicato dall’esterno soltanto se mi proibisco in modo assoluto di giudicare qualsiasi altro essere umano.

Il testo sinottico dice: “Non giudicate affinché non veniate giudicati”. Un giudizio dal di fuori non c’è, non esiste, chi di noi può sapere quanto un altro essere umano avrebbe potuto fare e ha omesso di fare? Non lo sappiamo neanche per noi stessi! Chi di noi è in grado di sapere riguardo a se stesso tutto ciò che avrebbe potuto realizzare e che ha omesso? Ci tocca andare a grandi spanne riguardo a noi stessi, figuriamoci se sappiamo fare un bilancio morale o intellettuale sull’evoluzione di un altro, è impossibile. È liberante il discorso, nel senso che ognuno viene affidato al cammino della sua libertà. La libertà è una duplice esuberanza, è un’esuberanza di gioia conoscitiva nel senso di capire sempre meglio il mondo in cui viviamo ed è un’esuberanza di gioia morale nel senso di donarsi moralmente, di contribuire all’evoluzione di tutti gli esseri che esistono, specialmente degli esseri umani e della Terra in genere. Allora invece del vuoto c’è sempre di più il pieno.

12,49. “E ciò perché Io non sono venuto da me stesso, ma colui che mi ha mandato, il Padre, Lui mi ha dato il comandamento su ciò che io dico e su ciò che racconterò”

L’Io non compare dal nulla, l’emergenza dell’Io è la conseguenza di tutta la creazione del Padre. Il Figlio, l’Io ha senso soltanto in quanto mandato dal Padre e quindi non si può capire la libertà umana se non si capisce contemporaneamente il mistero della natura. Libertà è liberazione del determinismo di natura.

“…ma colui che mi ha mandato, il Padre, Lui mi ha dato il comandamento su ciò che Io dico e su ciò che racconterò”. Sarà giusta questa traduzione con la parola comandamento?

Questa interpretazione è analoga a quella precedente sulla condanna. Del discorso sul “vedersi mutilati” se n’è fatto un castigo, in quest’altro versetto è stato fatto qualcosa di simile.

La parola greca entolh (entolè) è composta da en (en) che significa dentro, in, e tolh (tolè) che viene da teloV (telos) che vuol dire “il fine”, “lo scopo”. La parola tedesca Ziel (scopo, fine) viene dal greco telos. La parola greca si traduce: “il fine dentro”. Da una parola che dice: “il dinamismo verso la meta evolutiva è dentro” si è fatto un comandamento, che è fuori. La parola “Entelechia” è composta da en-teloV-ecw (en-telos-echo); Goethe usa volentieri la parola entelechia per definire l’Io eterno, Aristotele usa spesso la parola entelechia per dire che l’essere umano porta in se stesso il dinamismo della fine. Quindi, essere uomini significa anticipare conoscitivamente e moralmente la direzione di tutta l’evoluzione, sapere in proprio dove si va e quindi volere liberamente. Portare in se stessi il fine della propria evoluzione significa capirlo, comprenderlo e andarci liberamente. Questa parola entolè viene tradotta con “comandamento”; entolè significa dinamismo intrinseco, dinamismo evolutivo. Il tendere verso il fine è il dinamismo evolutivo che uno porta dentro.

L’Io conoscente e amante è un dinamismo evolutivo interiorizzato.

Intervento. Diventa un comandamento interiore.

Archiati. Sì, ma allora non è più un comandamento, vedi?

Intervento. Può essere connesso con “intelligere”, “capire”?

Archiati. No, lì l’etimologia diventa molto più complessa. La traduzione di entolè con “comandamento” è un altro esempio madornale di falsificazione morale perché se noi, veramente, col valore morale semantico delle parole italiane, traducessimo: “poiché Io non ho parlato da me stesso ma colui che mi ha mandato, Lui stesso mi ha dato un comandamento”, questo modo di tradurre è assurdo perché allora il Figlio ubbidisce al Padre tanto quanto gli animali, le piante, eccetera. Cos’è la natura? Pura ubbidienza perché non ha la possibilità di capire e quindi di gestire liberamente le leggi che regolano la sua evoluzione; una legge di natura è pura ubbidienza al Padre, è un nulla di libertà. Se il Figlio dice: “Io ubbidisco al Padre” non c’è nulla di nuovo e allora restiamo alla natura, invece la parola greca è l’opposto di ubbidire, è il recepire interiormente e quindi capire e volere liberamente il senso dell’evoluzione. En-tolh (En-tolè) equivale all’interiorizzare conoscitivamente e moralmente la direzione dell’evoluzione e allora significa muoversi pienamente verso di essa.

Intervento. E’ l’essenza del Figlio.

Archiati. E’ l’essenza del Figlio, il Padre comanda e fa saltar fuori pietre, piante e animali, il Figlio si rifiuta di comandare altrimenti ripete il Padre. Rifiutandosi di comandare lascia liberi. Il suo operare, che è l’opposto del comandare, è diventato, in questa traduzione, un comandamento e questo significa che non si è capito proprio nulla. Niente di male, l’importante è che cominciamo a capire.

Intervento. Un libro scritto da don Milani negli anni ’50 dice che l’ubbidienza non è una virtù…

Archiati. Quanto deve durare la pausa? Un quarto d’ora italiano.

Ciò che stiamo chiamando “Io” non è sospeso nel vuoto, l’Io esiste nel contesto reale dell’evoluzione, quindi quando poniamo la domanda: qual è l’evoluzione dell’Io? Abbiamo soltanto l’Io per sapere qual è l’evoluzione dell’Io? No, ci sono due fattori fondamentali: l’Io e il mondo, il centro e la periferia. Ogni Io è un centro però, essere un Io non significa che non ci sia nient’altro, c’è un cosmo, c’è una creazione. La legge di interazione tra Io e mondo…se è una legge intelligente, che legge deve essere? Di favorirsi reciprocamente. Se, invece, la legge non è intelligente ci dice che l’Io e il mondo sono fatti per distruggersi a vicenda. Avrebbe senso se l’Io e il mondo fossero fatti per distruggersi a vicenda? No, allora tanto valeva non creare né l’uno e né l’altro. Quindi, è chiarissimo che l’Io e il mondo -questa interazione continua- devono essere stati fatti di una natura tale che se l’Io e il mondo seguono la loro natura si favoriscono a vicenda. Il Cristo dice: “l’Io non parla da se stesso ma parla in riferimento al mondo” e interpreta il mondo come aspirazione all’Io e interpreta l’Io come liberazione del mondo. A che serve il mondo? Per far sorgere l’Io. A che serve l’Io? A trasformare tutto il mondo in Io. Ma se non ci fossero due poli che si riferiscono l’uno all’altro non ci sarebbe nessun criterio, nessun orientamento e allora il Cristo sta dicendo che l’esperienza dell’Io non è nell’isolamento “Io non parlo da me stesso”. L’Io è la capacità di interpretare il senso di tutta l’evoluzione.

In altre parole l’uomo ha diritto di essere uomo soltanto se in lui si compie l’aspirazione di tutte le pietre, di tutte le piante, di tutti gli animali, se no che ci stanno a fare? A che scopo sono stati creati? Devono pur avere un senso. Il senso del mondo è il sorgere dell’Io umano e il senso dell’Io umano è l’umanizzazione di tutto il mondo. Se ognuno trova il suo senso in riferimento all’altro, allora sì che tornano i conti e questi due fattori che si possono capire soltanto nella loro struttura interattiva, il vangelo di Giovanni li chiama: il Figlio e il Padre. E’ importante capire la terminologia. Il testo dice: “Io, che sono il Figlio, non parlo da me stesso, interpreto l’Io guardando al Padre, al mondo” quindi, l’Io umano si capisce guardando al mondo e il mondo lo si capisce guardando all’Io umano, il discorso è molto bello, fondamentale e pulito. Allora riprendiamo il versetto 12,49 in cui il Cristo dice: “Io non ciancio a partire da me, senza nessun criterio oggettivo, ma io parlo in riferimento ad un criterio oggettivo che è il Padre, la creazione”. In altri termini, le parole dell’Io sono duplici: parole conoscitive e parole morali.

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Fig. 11

A sinistra abbiamo il mondo, al centro l’Io e a destra la creazione futura, la morale. Il mondo va capito e questo corrisponde all’evoluzione intellettuale, alla conoscenza. Il Cristo dice: “non parlo da me stesso, senza criterio”, quindi, il criterio della moralità, del da farsi, è la conoscenza di ciò che esiste; morale è soltanto ciò che porta a compimento ciò che esiste. Per portare a compimento -nell’Io umano- ciò che esiste, lo devo conoscere e quindi devo conoscere che l’essenza di tutto ciò che esiste è l’aspirazione alla libertà e all’amore. Libertà e amore è la stessa cosa, però devo capire che questa libertà e questo amore che si esprime nell’uomo è l’aspirazione di tutto il mondo, se io conosco il mondo nella sua natura vera. Quando noi diciamo che le pietre sono mute, che non parlano…perché non abbiamo un termine positivo ad indicare questo stato della pietra?

Intervento. Perché non lo conosciamo.

Archiati. No, perché l’unico punto di riferimento siamo noi. L’unico punto di riferimento è chi parla e quindi sia alle pietre, sia alle piante, sia agli animali manca l’umano: questa è la conoscenza, e allora diamogliela. Se il mutismo delle pietre fosse una perfezione assoluta in se stessa noi nel linguaggio avremmo una parola positiva non negativa. Deve essere una parola negativa perché l’essere umano parla e alla pietra invece manca la parola.

12,49. “Io non parlo da me stesso…” ma parlo a nome di tutte le creature che non sanno parlare… Non saper parlare significa aspirare a diventare parlanti dentro all’uomo, tramite l’uomo. Nessuna creatura può essere contenta di essere non parlante e di restarlo in eterno, perché?

Perché è una carenza. Quindi, l’aspirazione di tutta la creazione è l’aspirazione verso la figliolanza, come dice Paolo nella Lettera ai Romani, di diventare parlante, pensante e amante dentro all’uomo, nell’uomo. Per essere uomini bisogna conoscere la natura di tutto il mondo extraumano, che è la sua aspirazione a diventare umano. 12,49. “Io non parlo da me stesso…”

Intervento. “Non ho parlato” o “non parlo”?

Archiati. “Non ho parlato” perché quello che il Cristo sta facendo adesso è l’ultimo discorso.

“Non ho parlato da me stesso ma colui che mi ha mandato, Lui stesso ha posto dentro di me il dinamismo evolutivo che anticipa, nel presente, la fine…” Entolè significa potere anticipare conoscitivamente, nel presente, la fine. Cosa vuol dire volere qualcosa? Rendere presente qualcosa nel futuro. Volere qualcosa, tendere verso un fine significa, conoscitivamente, rendere presente ciò che è futuro; è futuro nell’esecuzione ma è presente nella conoscenza. Entolh, ovvero: “il fine diventa immanente attraverso la conoscenza del presente”. La lingua greca aveva ancora questo tipo di parole che noi non abbiamo più, dovuto al materialismo dell’umanità in questi duemila anni. Allora, 12,49. “…il Padre mi ha dato la facoltà conoscitiva di anticipare il fine, nella conoscenza, nel presente: che cosa dirò e che cosa racconterò” dirò e racconterò sono due verbi di cui non vi so spiegare la differenza esatta.

Quando tornerò sulla Terra la prossima volta ci capirò ancora di più. Il testo è pieno di misteri e siamo, almeno io, agli inizi della comprensione. Comunque qui c’è il verbo eipon, epoV (eipon, épos) e poi c’è lalein (lalein). Se volete, però, è un po’ una questione di lana caprina, il testo porta due livelli diversi di uso del linguaggio: quello dei bambini -il balbettare- e quello degli adulti.

Quali sono i due stadi, i due modi fondamentali di vivere il linguaggio? Steiner descrive, in tante conferenze, come i tre passi per diventare uomini siano: l’acquisizione della posizione eretta -la prima cosa che avviene, verso la metà del secondo anno-, dopo avviene l’imitazione del linguaggio materno e quando il bambino comincia a parlare, a dire “mamma” o “papà” non è ancora capace di pensiero; la capacità di pensiero viene al terzo livello. Allora i due livelli di linguaggio sono: il primo è il balbettare, il parlare senza capire, il secondo stadio è il parlare capendo ciò che si dice. Steiner dice che la maggior parte degli uomini d’oggi usano il linguaggio senza aggiungerci il pensiero, si esprimono per automatismi di linguaggio. Sono due cose ben diverse: una cosa è usare le parole che il linguaggio mette a disposizione, soprattutto il linguaggio materno dove c’è un sacco di automatismo, ed è un’altra cosa accompagnare ad ogni parola il pensiero, il concetto corrispondente. Soprattutto quando parliamo automaticamente, la lingua materna, non necessariamente stiamo pensando, cos’è che ci fa capire che il bambino sta passando dal linguaggio al pensiero?

Per dare un’idea dell’evolversi da un linguaggio automatico ad uno pensato faccio un esempio che si svolge tutto in poche settimane, due, tre settimane. Il bambino ha due anni e un mese, siamo in campagna -oggi i bambini sono un po’ sprovveduti riguardo alla natura e sarebbe molto benefico se avessero con essa una maggiore confidenza - dove ci sono delle mucche, la mamma indica una mucca e dice: “mucca”, il bambino dice anche lui: “mucca”. Il bambino ha la parola “mucca” ma ha anche il concetto di mucca? Il concetto viene creato dal pensiero. Come faccio io a sapere se il bambino ha soltanto la parola per indicazione della madre o se comincia ad aggiungerci il concetto? Adesso guardate bene, se noi facessimo queste osservazioni, a livello proprio di concentrazione, di attenzione vedremmo subito quando il bambino comincia a pensare, ad aggiungerci il concetto.

La mamma e il bambino sono già andati per diversi fine settimana in campagna, la mamma dice: “mucca” il bambino dice: “mucca”. Supponiamo che ci siano delle mucche sparse una qua, una là ed una laggiù, la mamma indica una mucca e dice: “mucca”, il bambino ripete ma lo sa che la mucca che si trova tre metri più lontana è sempre una mucca? No, lo sa soltanto quando comincia a pensare. Arriva un giorno in cui la mamma dice: “mucca” e il bambino dice: “mucca”. Quando il bambino, da solo, senza imitare la mamma indica le mucche sparpagliate e dice: “mucca, mucca, mucca”, questo è il concetto. Una settimana prima non era capace, una settimana dopo diventa capace di riconoscere la mucca senza che glielo suggerisca la madre. La settimana prima diceva “mucca” soltanto dove la mamma diceva “mucca”, poi comincia a capire che sono tutte mucche, però capire che sono tutte mucche vuol dire essere capaci di concetto.

Da questo tipo di osservazione si vede che il livello del pensiero è un terzo livello che differisce dal linguaggio, è aggiungere alla percezione i concetti. Se la mamma mi dà la parola ed io copio la mamma, questa imitazione è la percezione, ma non ho ancora il concetto; il concetto è generalizzare la percezione. Il concetto è un modo assoluto di trascendere la percezione perché come faccio io a sapere che mi sposto di tre metri e dico mucca, poi di altri tre metri ed è ancora mucca? Devo avere il concetto di mucca, per quanto incipiente. Poi, l’occhio del bambino va più in là e vede una capra: se ha già detto quattro volte “mucca”, dice di nuovo “mucca”? No, tre settimane prima, invece, se la madre avesse indicato la capra e detto: “mucca” il bambino l’avrebbe imitata, è inevitabile perché il bambino è ancora a livello della parola e non ha ancora sviluppato il concetto. Cos’è allora il pensare? E’ un attenersi all’oggettività del mondo perché una mucca è una mucca e una capra è una capra.

Il pensare è la fine dell’arbitrarietà: “Io non parlo da me stesso” non parlo arbitrariamente, mi attengo al criterio di oggettività che è il mondo e quindi la forza dell’Io è la forza dell’oggettività. L’Io è forte della sua coerenza col mondo, una forza più grossa di quella di farsi forte dell’oggettività di tutto il mondo, da conoscere, da amare, da favorire nella sua evoluzione, non c’è. L’Io non è senza riferimento intellettuale e morale, l’Io è solidamente ancorato, conoscitivamente e moralmente, al mondo e per questo il testo dice: “Io non ho parlato da me, ma colui che mi ha mandato, il Padre…” avevo interrotto il versetto per analizzare questi due livelli del linguaggio: il balbettare è l’imitare la mamma ed è il livello in cui manca il concetto; invece il parlare da adulto è il livello a cui si aggiunge il pensiero che è il terzo gradino di umanizzazione della creazione in cui viviamo. La posizione eretta significa immettere nella creazione forze di volontà, il parlare significa immettere nella creazione forze di amore e il pensare significa immettere nella creazione forze di comprensione. Quindi, le tre forme di umanizzazione della natura sono: il pensare il sentire e il volere. Il volere è nella posizione eretta, nel poter camminare liberamente; il sentire è nel parlare e il pensare è nei concetti.

12,50. “E so che il suo comandamento è vita eterna. Infatti quello che dico è come il Padre mi ha narrato, così parlo anch’io”

“E so, capisco, che il suo comandamento è vita eterna. Infatti tutto quello che dico è come il Padre mi ha narrato, così parlo anch’io, Io ripeto ciò che il Padre mi ha detto”.

Il comandamento del Padre è il fine immanente della creazione, il Padre non può avere un altro comandamento, avendo creato il mondo, che quello di aver messo nel mondo un suo Figlio immanente. Se il fine del mondo restasse estrinseco al mondo, sarebbe comprensibile al pensare umano? No, sarebbe una contraddizione e quindi il fine del mondo non può essere che immanente al mondo: devo capire la natura del mondo.

Qual è il fine del mondo? Quello di umanizzarsi. Cosa va fatto rispetto a questo fine? Prima cosa è capirlo. L’Io è la forza di comprensione, l’Io comprende che il fine immanente del Padre dà vita sia al mondo, attraverso l’uomo, sia all’uomo attraverso la liberazione di tutto ciò che è mondo.

Dove lo trovate voi un testo migliore? E’ qualcosa di incredibile.

“Io ho capito, ho intuito, in chiave di pensiero, che il fine, il dinamismo immanente del mondo è vita eterna…” il significato può essere passeggero? Ogni frammento di significato è un frammento di eternità, un pensiero giusto non può essere giusto oggi e domani sbagliato; vivere nella verità significa vivere nell’eternità, al di là dello spazio e del tempo: la vita eterna. Eterna significa al di là dello spazio e del tempo. Pensare significa essere al settimo cielo, se ce ne sono solo sette; pensare significa essere nell’eternità nel senso verissimo della parola. Si può distruggere l’Io?

Intervento. Sì.

Archiati. Attenta, tu vuoi dire che si può omettere di costruirlo, che è diverso dal distruggerlo. Qualcosa che esiste non può essere distrutto.

Intervento. Una volta costruito l’Io, se poi inizio ad omettere…

Archiati. Non esiste che una volta che è stato costruito poi cominci ad ometterlo perché se cominci ad ometterlo vuol dire che non lo costruisci.

Replica. E’ una costruzione eterna.

Archiati. E’ una costruzione eternamente in corso. Chi ha costruito il tutto dell’Io? Solo il Cristo, la definizione del Cristo è la totalità dell’Io, noi siamo ancora in costruzione, però ogni frammento di Io è un frammento di eternità. Prendiamo l’esempio di un intuito: io ho il concetto di triangolo, può mai finire di esistere il concetto di triangolo? Il concetto è eterno, possono sparire tutti i triangoli visibili ma il concetto di triangolo non può sparire perché è un frammento di verità. Qualcuno vuol fare la prova a darmi il concetto di triangolo?

Intervento. La somma degli angoli di un triangolo è di 180°.

Archiati. Questo vale per i triangoli visibili.

Intervento. Sono delle linee spezzate che si congiungono: questa idea è mia, eh?

Archiati. Provate a riferire il triangolo alla Trinità.

Intervento. Io ho tre centri ed ho un triangolo perché i vari centri si mettono in relazione tra loro.

Archiati. Vedi quanto c’entra la percezione in ciò che stai dicendo?

Replica. Io ho in mente il triangolo che percepisco e il triangolo ideale lo posso esprimere soltanto con una figura.

Archiati. Prendiamo la triade del Padre Nostro, il Padre Nostro è fatto di una triade e di una quaterna.

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Fig. 12

Nella triade c’è la Volontà: sia fatta la tua Volontà; il Nome: sia santificato il Tuo Nome; e il Regno: avvenga il Tuo Regno. Il concetto di triangolo è, ad esempio, che né la Volontà né il Regno né il Nome si possono capire senza gli altri due, nessuno di essi ha senso senza gli altri due e nessuno si può realizzare senza gli altri due. Triangolo è tutto ciò che è strutturato ternariamente in modo che ognuno degli elementi non può essere senza gli altri due.

Replica. E quella non è una relazione?

Archiati. Certo.

Intervento. Allora è un equivalente delle tre forze: più, meno e uguale.

Archiati. Sì, però bisogna svolgere il pensiero, tu l’hai solo accennato, e allora, nello svolgimento del pensiero, chi ti ascolta può dire che tu hai svolto quel pensiero in chiave di ternario, in chiave di triangolo e quindi ravvedere il concetto di triangolo. Stiamo parlando del concetto di triangolo.

Intervento. Hegel aveva espresso questo concetto?

Archiati. Anche gli scolastici dicevano: “Omne trinum est perfectum”.

Intervento. Quindi il triangolo cade nel concetto di tre.

Archiati. Sì, il triangolo ha un sacco di percezioni perché il tre viene semplificato dal triangolo, però il triangolo è un’esemplificazione, a livello di percezione, del concetto puro del tre. Quando io dico tre sono maggiormente costretto a rimanere a livello di concetto perché il tre non dice se sono 3 mele o 3 angoli o 3 donne o 3 uomini o 3 quote. Chi vuole provare a dirmi cosa vuol dire tre?

Intervento. Equilibrio.

Archiati. L’equilibrio lo posso avere anche con l’uno, col due e col quattro.

Intervento. Tesi, antitesi, sintesi.

Archiati. Sì però il tuo è un riassunto, non svolgi il concetto. Questi sono esercizi di pensiero che non abbiamo mai fatto. Lo studio di un testo come La Filosofia della libertà di Steiner sarebbe da fare per concedersi il tempo di praticare tutti questi esercizi. Io vi ho chiesto: che cos’è tre?

Intervento. E’ la divisione dell’uno in tre parti.

Archiati. Il tre non è la divisione, potrebbe essere anche la somma dell’uno.

Intervento. E’ un accordo di mediazione fra due contrapposti.

Archiati. Questi esercizi di pensiero non si fanno così, d’acchito, perché salta sempre fuori che non abbiamo pensato quasi mai, salta sempre fuori che siamo agli inizi del pensiero.

Intervento. Ma il tre cos’è?

Archiati. Dovremmo costruire tutto un contesto per spiegare il tre…

“Io so…”, oida (oida) viene da idein (idein) e significa che l’Io è un intuito conoscitivo che comprende che il dinamismo immanente della creazione del Padre è vita eterna, che trascende la percezione, che è transeunte…ero arrivato qui no?

12,50 “…infatti quello che Io dico è come il Padre mi ha narrato, così parlo anch’Io, Io ripeto ciò che il Padre mi ha detto” nei gradini evolutivi dell’Io si ripete ciò che il Padre ha detto, e cos’ha detto il Padre? “Ci sono gli animali che non sanno parlare: falli parlare nel tuo pensiero. Ci sono le piante che non si sanno muovere: falle muovere. Ci sono le pietre che non sanno né parlare, né muoversi, né fare: falle pensare, falle parlare e falle muovere.”

Dove vediamo il compito evolutivo dell’Io? Nel mondo.

Intervento. Nella trasformazione.

Intervento. Nell’ecologia.

Archiati. Nell’umanizzazione del mondo, nell’ecologia. Diversamente l’essere umano cos’ha da fare? Da dove le piglia le percezioni da trasformare in concetti? Quali concetti può creare l’uomo? Tutti i concetti che gli dà la percezione. Può l’uomo creare altri concetti oltre a quelli che gli vengono suggeriti dalle percezioni? No, dovrebbe avere un mondo alternativo, quindi, il Figlio si attiene a quello che ha detto il Padre. Il Padre lo dice in chiave di percezione, il Figlio lo dice in chiave di concetti. Il Padre è il mondo della percezione e il Figlio, l’Io umano, è la creazione del pensiero; può il pensiero creare altri concetti oltre a quelli che corrispondono al mondo esistente? No, il pensiero può creare soltanto concetti riferiti alle percezioni del mondo che c’è.

Intervento. Il pensiero puro non è il pensiero senza percezione?

Archiati. Stai attento che Steiner non ti parla mai di un pensiero senza la percezione, ti parla di un pensiero non dipendente dal corpo; un pensiero senza riferimento alla percezione è aria fritta, nella Filosofia della libertà viene chiamato “astrazione”. Il pensiero astratto è quello che va avanti senza riferimento alla percezione, consegue una realtà? No, perché la realtà che l’hai soltanto se hai tutti e due i lati: il lato di percezione ed il lato di concetto devono congiungersi. Se hai solo il lato di concetto senza la percezione, hai astrazione ma non hai la realtà; se hai soltanto la percezione senza aggiungerci il concetto non hai una realtà. La realtà ce l’hai soltanto se unisci il mondo del Padre -percezione- col mondo del Figlio -concetto-.

Intervento. Allora tutto ciò che pensiamo deriva dalla percezione.

Archiati. No, perché c’è un tipo di pensiero astratto che disattende la percezione, però quello non consegue una realtà perché non ha nessun riferimento alla percezione.

Intervento. Abbiamo percezioni spirituali e anche animiche, non solo percezioni fisiche.

Archiati. Allora sarebbe più giusto dire che abbiamo percezioni nello spirituale perché ogni percezione è anche spirituale... Ci sono percezioni nel mondo visibile e percezioni nel mondo spirituale ma è la stessa cosa. Le percezioni introspettive, in cui io percepisco, ad esempio, una rabbia che è dentro di me, sono senz’altro percezioni. Percezione significa constatare qualcosa che c’è e pensarci sopra.

Intervento. Tutto il resto è fantasia.

Archiati. Cosa intendi?

Replica. Quello che formula concetti astratti che non hanno attinenza con il reale, quello che si chiama fantasia.

Archiati. Il pensiero è un pensiero che si attiene al reale soltanto quando qualsiasi pensiero tu esprimi sei in grado di dire dov’è il lato di percezione che anch’io posso percepire, perché se non mi concedi un lato condivisibile di percezione, io non so di che cosa tu parli.

Replica. Si esce dall’oggettività, no?

Archiati. Non c’è mai stata l’oggettività. Supponiamo che tu dica “mucca” e qualcuno ti chieda cosa intendi dire con “mucca”, tu cosa gli rispondi?

Replica. Che è un animale con quattro gambe, con le corna…

Archiati. Ti riferisci alla percezione e cosa significa riferirsi alla percezione? Significa rifarsi a ciò che è accessibile anche all’altro. La percezione è il lato di oggettivazione del mondo e il pensiero è il lato di umanizzazione del mondo, però l’Io è in grado di umanizzare soltanto ciò che c’è, non può umanizzare ciò che non c’è. Di ogni pensiero si deve essere capaci di indicare il lato di percezione sennò non si parla di nulla, non ci si riferisce a nulla. I 300.000 chilometri della luce, chi li ha percepiti? L’atomo chi l’ha percepito? L’atomo è un’astrazione perché nessuno l’ha mai percepito, è un’invenzione perché non corrisponde a nulla di reale. Se l’atomo corrispondesse a qualcosa di reale, lo scienziato mi dovrebbe indicare che è percepibile e allora dovrebbe essere percepibile anche a me, perlomeno in linea di principio. La scienza attuale, siccome conosce soltanto la percezione sensibile, tribola ogni volta che viene alle prese con fenomeni privi di materialità e allora bisognerebbe ricorrere alla percezione psicologica, introspettiva e alla percezione spirituale. Un concetto è una percezione o un elemento di pensiero?

Intervento. Un elemento di pensiero.

Archiati. Tutti e due. Il pensiero che penso in questo momento non può essere percezione, ma un pensiero che ho già pensato diventa percezione perché ce l’ho in me.

Intervento. Nel momento in cui lo formulo diventa percezione?

Archiati. Subito dopo, non nel momento in cui lo formuli perché non è ancora.

Replica. Io lo esprimo e poi lo percepisco.

Archiati. Quindi, cosa significa esprimere? Oggettivare, ma è un processo vivente.

Intervento. Tu dici che se non c’è la percezione manca la possibilità di comunicare perché manca un riferimento reale…

Archiati. Oggettivo.

Replica. Oggettivo, ma allora se tu ti riferisci ad una percezione interiore, che è assolutamente soggettiva, questo riferimento manca.

Archiati. Non necessariamente, la percezione della tristezza, ad esempio, o di un sentimento qualsiasi ha certi aspetti che sono del tutto individuali e personali ma non ha soltanto quelli, ha anche degli aspetti che sono riscontrabili, percepibili in ognuno e da ognuno. Il sentimento, qualunque sentimento, può venire percepito da tutti gli esseri umani perché tutti hanno sentimenti, eppure non è una percezione sensibile, è una percezione introspettiva. Un essere umano senza sentimenti non esiste, è soltanto un essere che non si è mai percepito interiormente e non si è mai accorto di avere sentimenti, però li ha. Un essere umano non può essere umano se non ha sentimenti.

Intervento. Chi vede cose che altri non vedono o ha riferimenti di scritture che gli altri non hanno, che tipo di percezione è?

Archiati. I personaggi di Moby Dick vanno in mare e vedono una balena che gli altri non hanno mai visto, che fenomeno è? Che l’hanno vista soltanto loro e che gli altri non l’hanno vista. Significa che gli altri, in linea di principio, non possano avere questa percezione? No, perché se vanno là la vedono anche loro la balena. Tu hai detto che gli altri non possono vedere, cosa c’è che gli altri non possono vedere? Nulla, perché essere un Io significa avere la capacità, perlomeno potenzialmente, di percepire tutto quello che c’è da percepire.

Intervento. Forse lui intendeva percezioni visionarie.

Archiati. Ho capito bene, ma che significa visionarie?

Replica. Che le vede solo lui.

Intervento. I sette Santi Rishi hanno avuto delle percezioni, così mi hanno raccontato, riguardo all’atomo, alla natura che non sono comuni a tutta l’umanità, sono cose riservate, non dico a pochi, magari ci arriveremo anche noi, ma per il momento non siamo in grado.

Archiati. Siamo ricascati davanti alla rivalutazione del guru: torniamo daccapo, il mio compito è quello di smontarlo ‘sto guru, se ho smontato il Papa infallibile…vado all’osso altrimenti si arrabbiano quelli che vogliono andare avanti col Vangelo e dicono: “ma come, in 2 giorni abbiamo fatto solo 15 versetti?” Allora cerco di accontentare un po’ tutti e la cosa principale è che accontenti me stesso.

(Risata)

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Fig. 13

Siamo nel 2004, chiaro? Un’altra chiave di volta è l’anno zero -duemila anni fa-, andiamo ancora indietro -per andare fino all’epoca dei Santi Rishi dovrei andare oltre la lavagna…- (risate) a 5000 anni prima di Cristo.

Intervento. Meno 5000.

Archiati. Meno 5000 e più 2004, elettricità positiva e elettricità negativa. Nel 5000 prima di Cristo, tutti noi -eravamo tutti là- eravamo dei bravissimi visionari e non c’entra nulla chi vedeva di più, chi di meno, chi una cosa, chi un’altra cosa. Ce l’ha detto Isaia! Allora cosa lo stiamo studiando a fare il testo? L’ha detto Isaia che il senso dell’evoluzione è di accecare questa visione, “Li ha resi ciechi” perché se avessimo continuato a spappolarci in questo tipo di visionarietà, dove sarebbe stata la libertà? Un bambino piccolo, cos’è? Un visionario. Un bambino piccolo capisce le fiabe, le fate, gli Angeli eccetera, sa subito di che si tratta perché è il mondo in cui vive.

Diventare evoluto significa diventare cieco, perché? Ha senso? Certo che ha senso perché attraverso questa svolta qui, (rif. anno zero fig. 13) per fortuna, si è persa tutta la visione di natura -che non è neanche un frammento di libertà- e a partire dalla svolta l’uomo ha la possibilità di riconquistarsi… come si chiama la visione conscia? Il p e n s a r e !

Il pensare è una visione conscia e vale mille volte di più che non tutte le visioni spappolanti di questo mondo. Un concetto, uno solo è intriso di libertà dell’Io e vale di più di tutte le visioni di questo mondo, santa pace. Non abbiamo ancora capito nulla del cristianesimo. Queste visioni spappolanti dove non c’era la forza dell’Io, non c’era la libertà, non c’era la penetrazione del pensiero, era importante che sparissero, per far posto ad altro. Quindi, se tutti i visionari di questo mondo -la Chiesa cattolica ne è piena- si dessero una mossa, una mossicina, sparirebbero le visioni, santa pace. Io vi chiedo: a che servono queste visioni? Servono solo all’autogodimento. Non prendetelo come ingiuria, è una caratterizzazione oggettiva; questo tipo di godimento andava bene quando eravamo bambini perché non c’era altro, non eravamo capaci di altro. Quando uno arriva a dirmi: “io vedo, vedo, vedo” , cosa ne ho io di questo suo vedere? Gli do un calcio nel sedere.

Intervento. Lo si usa come testimone…

Archiati. Testimone di cosa?

Replica. Testimone alla vecchia maniera…

Archiati. Testimone di che cosa?

Replica. Dello spirituale.

Archiati. Avere le visioni oggi testimonia l’imbambolamento animico! Una visione, cosa ha a che fare con lo spirituale? Una visione è un frammento di astralità, non c’entra nulla con lo spirituale. Un concetto è qualcosa di spirituale, una visione è una farragine animica, non è qualcosa di spirituale, è una proiezione nell’astrale dei propri desideri. Ad esempio quelli di Medjugorie hanno desiderato ardentemente di vedere la Madonna, di essere migliori degli altri, e allora proiettano un frammento del loro corpo astrale e vedono la Madonna. Il mondo cosa ha raggiunto? Che partono tutti in pellegrinaggio per Medjugorie, l’umanità va indietro di 3-4-5000 anni. Allora, per tanti cristiani, le rivelazioni di Medjugorie diventano più importanti del vangelo di Giovanni: questo è l’abisso dell’umanità. Il vangelo del pensiero, del Logos è meno importante dell’andare a Medjugorie! Io ho conosciuto dei preti, miei confratelli, che mi prendevano per matto perché io stavo nella mia stanzetta a studiare il vangelo di Giovanni, mentre loro andavano in pellegrinaggio -ore, ore, ore- a Medjugorie, come se il vangelo di Giovanni non valesse nulla. E volevano convincermi che quello è il cristianesimo. Non vi sto parlando di teorie, vi sto parlando di cose concrete da me vissute. Quando una persona fa dei passi avanti nel pensiero, nella forza del Logos, le visioni spariscono. Lo vedremo alla fine del vangelo quando il Cristo dice a Tommaso: “Beati coloro che crederanno…” quindi sentiranno la forza dell’Io senza vedere.

Intervento. Il concetto del Cristo eterico come lo possiamo introdurre?

Archiati. Un momento…cosa sono le visioni? La prepotenza della percezione sul concetto. E’ la prevaricazione della percezione sul concetto perché è una percezione così imbambolante, così accattivante da proibirti il concetto. La visione è la prepotenza atavica, anacronistica della percezione sul concetto e perciò Steiner dice che l’immaginazione, anche l’immaginazione del Cristo eterico, non ti vale nulla, è meglio che tu non ce l’abbia se non ci aggiungi l’ispirazione -il concetto- e l’intuizione -la conoscenza che mette insieme percezione e concetto-. Tant’è vero che gli esseri umani, se si attengono al Cristo, non avranno mai la visione del Cristo o avranno veramente la visione del Cristo soltanto se saranno in grado di aggiungerci il concetto e la conoscenza intuitiva, altrimenti sono visioni ataviche, è un andare indietro. Faccio un passo indietro: riproviamo a chiederci un’altra volta che fenomeno è quello delle visioni.

Intervento. E’ un fenomeno esterno.

Archiati. Non metterci un’etichetta, che vuoi dire con esterno?

Replica. Che viene dal mondo del Padre, dalla natura?

Archiati. Usa un linguaggio tuo, che ne so io cos’è il Padre?

Intervento. Sognare.

Intervento. Avere percezioni che non sono attinenti al nostro mondo reale.

Intervento. Sono immagini non percepite dall’occhio.

Archiati. Anche le immagini di sogno non vengono percepite dall’occhio.

Intervento. E’ un’attività dell’astrale.

Archiati. Cos’è l’astrale?

Intervento. Ma non sono le visioni che vengono quando si è in meditazione, che uno rimane lì concentrato su questi pensieri spirituali e poi improvvisamente gli vengono le visioni?

Archiati. Le categorie che ho cercato di usare io sono queste: ci sono delle cose che sono comuni a tutti noi e che chiamiamo oggettive. Se io, qui davanti, non cercassi di attenermi a ciò che è accessibile e comune a tutti distruggerei l’esercizio che stiamo facendo perché verrei a sfoggiare cose che io ho e che voi non avete: a voi a che serve? Quindi, esiste ciò che è comune a tutti perché si riferisce all’oggettività del cosmo ed io lo chiamo “il pensiero”. Un pensiero lo vedono tutti che è giusto perché lo capiscono -io le teste le guardo bene, in continuazione, vedo fino a che punto arriva il capire, il dire: “ah sì, è vero”-, e che significa dire che è vero? Che è oggettivo, che vale per tutti. Le visioni che una persona ha valgono solo per lui. Le potrà avere, vabbè, se le goda, ma a me non dice nulla. E se lui insiste perché io le renda importanti vuole costringermi a rendere importante lui invece di rendere importante me, ma io voglio rendere importante il mio spirito.

Il visionario vive in un mondo soltanto suo invece il pensiero è il mondo comune, c’è una bella differenza; e quando io dico che una cosa la capisco significa che appartiene a tutti, è oggettiva, è eterna. Con le visioni che ha un’altra persona che ci posso fare? Il loro senso può essere soltanto che lui mi voglia umiliare perché lui è più bello, che altro senso ha?

Intervento. Però c’è chi è contento delle visioni altrui.

Archiati. Certo che c’è chi gode delle visioni altrui, guardiamolo questo fenomeno, però tu vorresti da me che io ti indicassi l’oggettività di questo fenomeno in modo che tu poi dica: “sì, è così”.

Replica. Vorrei una spiegazione.

Archiati. Ma vorresti una spiegazione a cui il tuo pensiero acconsente. Adesso io ci devo pensare bene perché devo dire qualcosa che colga l’oggettivo: se una persona non crea nulla col suo pensiero diamole almeno il contentino di godere di qualcosa che ha l’altro.

(Risata)

Archiati. Godere delle visioni altrui è il contentino di chi non sa pensare. Il vostro pensare dice di sì a questo pensiero?

Dal pubblico. Sì.

Archiati. Glielo vogliamo proibire questo contentino? Affari suoi, no? Io vi sto dicendo con tutta chiarezza che a me non basta, sono padrone, però se a quello lì basta, se non ha altro…Io potrei tentare di dirgli che c’è qualcosa di meglio, ma se quello mi dà un calcio? Io ci ho provato a dire alla Chiesa cattolica che c’era qualcosa di meglio che Medjugorie...

Il vangelo di Giovanni che avevano in camera non valeva nulla perché lì non c’erano le visioni.

Poi ci lamentiamo che il cristianesimo sta andando a rotoli.

Intervento. Come la dobbiamo interpretare le rivelazioni di santi che hanno avuto delle visioni?

Archiati. Io ho usato una categoria per definire il fenomeno, ma se voi trovate categorie migliori ditele e se io la troverò migliore lo dirò; io ho fatto questa proposta di terminologia, l’ho chiamata “goduria animica”, ne trovi una migliore di caratterizzazione? Tu vuoi proibire, a chi non sa godere di altro, la goduria animica? Se uno è abbastanza affaccendato non va a proibire agli altri quello che vogliono fare.

Intervento. Lui forse si riferisce a spiritualità che hanno avuto accesso al mondo spirituale, come ad esempio Steiner.

Archiati. No, no lui sta parlando di quello che eravamo tutti noi 5000 anni fa.

Intervento. Io sento molto parlare di Padre Pio.

Archiati. Sì, e che fenomeno è?

Replica. Non ne ho idea.

Archiati. Allora, se non ne hai idea… Chi ne ha un’idea?

Intervento. Di Padre Pio?

Archiati. Del fenomeno.

Intervento. Era uno che aveva le visioni ataviche, il tipo di visioni che si avevano nei tempi remoti.

Archiati. Supponiamo che il fenomeno in questione abbia avuto le visioni, embè? Un bambino piccolo le ha continuamente le visioni, vede le fate.

Intervento. Infatti la conseguenza è un’adorazione di Padre Pio.

Archiati. Prendo il fenomeno da un’altra angolazione: se io faccio delle concessioni, per amor di pace, non vi serve a nulla perché il pensiero non riceve dei solleciti a cogliere il fenomeno nel segno. Quando io picchio non è perché sono cattivo ma è perché godo io stesso nell’aiutare gli altri a cogliere nel segno perché è soltanto allora che si capisce veramente. E andare dritti all’obiettivo in un’umanità piena di sfasamenti è visto come un picchiare. Allora, adesso picchio, ma picchio con l’intenzione di cogliere nel segno e se lo capite proverete sollievo: “ohhh”.

L’essenza dell’anticristiano e dell’antiumano è il pensiero che dice che un essere umano è migliore di un altro: non esiste un essere umano migliore di un altro! Quindi tutta la venerazione di Padre Pio è, nel suo centro, antiumanesimo e anticristianesimo perché rende alcuni esseri umani dipendenti da un altro essere umano. Il Cristo è venuto a scuoterci: “basta con la dipendenza!”

Intervento. Ma sono stati gli uomini a creare questo fenomeno.

Archiati. E chi deve crearlo? Tutto ciò che è umano viene creato dagli uomini, però o abbiamo il coraggio di dire che ogni forma di dipendenza è anticristiana e antiumana oppure non cogliamo nel segno. Se io ho il Cristo in me, se ho la forza del Logos in me, che m’importa di ‘sto Padre Pio? Voglio essere io un Padre Pio, magari migliore di lui, e allora ecco che le visioni spariscono. Come se le visioni fossero migliori del pensiero: è un’aberrazione anticristiana, anticristica, ma scherziamo?

Intervento. E Sai Baba?

Archiati. Peggio ancora! Facciamo una cosa bellissima: andiamo tutti a mangiare.

Domenica 22/02/2004. Pomeriggio
vv. 13,1 – 13,2

Con il capitolo dodici si conclude quello che il Cristo, attraverso il visibile e percepibile Gesù di Nazareth, aveva da dire in pubblico, quindi anche queste ultime parole auliche, proclamate ad alta voce, dal versetto 12,44 al 12,50 sono state pronunciate come una specie di testamento per il popolo. Per quanto riguarda i dodici o i tredici, se ci mettiamo anche il Lazzaro, il Cristo avrà ancora tanto da dire, però i suoi discorsi dell’ultima cena avvengono in ambito privato.

Queste due dimensioni dell’insegnamento del Cristo, il modo di interagire tra il Cristo e l’umanità e tra il Cristo e i dodici sono molto importanti, vengono chiamate: “un modo di comunicare essoterico”, che vuol dire “per tutti”, e “un modo di comunicare esoterico” che è indirizzato solo a chi ha i presupposti per capire. Se uno studia matematica, i primi fondamenti sono essoterici, sono accessibili a tutti; essoterico è tutto ciò che non richiede particolari presupposti. Io, fin dall’inizio, ho detto che voglio sforzarmi affinché il testo del vangelo di Giovanni sia essoterico, nel senso che non voglio escluderne nessuno, chiunque è benvenuto, anche senza presupposti. Poi c’è un modo di parlare che ha senso soltanto per chi ha certi presupposti; al secondo, terzo, quarto anno di matematica non si può sempre parlare come all’inizio se no non si approda mai a nulla. D’altra parte, chi ha già fatto due o tre anni di matematica ha il diritto di andare avanti. Ciò sta a dire che l’evoluzione del tempo comporta -nella grande complessità che c’è, che ci deve essere- che una legge fondamentale della libertà è quella di essere liberi di procedere ad un’andatura più o meno veloce. Se fossimo costretti ad andare in marcia come i soldati, tutti belli allineati, non ci sarebbe libertà.

(Squilla un cellulare).

Archiati. Uno è libero di chiudere il cellulare e l’altro di tenerlo aperto.

(Risata)

Archiati. Il fattore della libertà comporta una multiformità infinita, però in questa varietà ci sono due orientamenti di fondo, e cioè c’è un movimento di massa, però non è bello parlare di massa, è meglio dire ‘il corso normale’, questo è il cammino evolutivo, questo è l’anno 2004:

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Fig. 14

-c’è il corso normale

-poi ci sono i ritardatari, quelli che stanno qua (rif. fig. 14) e ci devono essere, se no l’evoluzione non sarebbe possibile,

- ci deve essere anche chi precorre i tempi, nel senso che li prepara, perché se non c’è qualcuno -e non può essere la massa- che li prepara, i tempi successivi non possono venire; e il preparare i gradini successivi dell’evoluzione è ciò che si chiama “esoterismo”.

L’iniziato, chi coltiva l’esoterismo, è colui che riceve karmicamente il compito di preparare i tempi; colui a cui viene affidato tale compito ha il dovere di svolgerlo onestamente: o è il suo compito o non è il suo compito, ma questo compito ci deve essere, qualcuno lo deve svolgere, qualcuno deve preparare i tempi.

Quindi fa parte di questa missione una certa solitudine, un certo isolamento, un certo venire ostracizzati, fa tutto parte dello svolgere questo compito; perché se uno, supponiamo, prepara i tempi futuri però vuole l’osanna di tutto, allora sta qui (rif. fig. 14), allora deve esprimere il livello d’evoluzione di tutti quanti. Questo è uno dei sensi, il modo più facile di capire cosa significa essoterico e cosa significa esoterico. In greco exo vuol dire “fuori” ed eso significa “dentro”, molto semplice la cosa.

Qual è l’insegnamento essoterico del Cristo? Le storielle, le parabole, cosa sono le storielle e le parabole? Ad esempio: “un seminatore andava a seminare…ecc. ecc”. Un po’ di seme cade sulla strada, un po’ fra i sassi, un po’ fra le spine e 1 /4 cade in un terreno buono. Io, che sono nato contadino, mi sono sempre chiesto: ma che seminatore è che su 4 /4, 3 /4 li fa andare a male? Sembrerebbe una storiella. Il Cristo è forse venuto sulla Terra a raccontare storielle? Lo ha fatto perché esse sono accessibili a tutti. Il bambino sente la storiella, ed è tutto contento, l’anziano, sente la storiella espressa per immagini che poi col passare del tempo capirà.

Il lato esoterico dell’insegnamento del Cristo è che ai 12, che ha istruito un pochino e che dovrebbero capire un po’ di più, egli spiega la parabola cioè traduce le immagini in concetti; spiega loro che il “chicco” è la parola di Dio, e i discepoli che lo ascoltavano, Pietro, Andrea eccetera, si dicono: “ci potevo arrivare anch’io”. Per recepire i concetti del Logos bisognava essere un po’ più evoluti della norma.

Questi sono i due livelli fondamentali che fanno parte dell’evoluzione umana:

- c’è una comunanza che ci abbraccia tutti,

- e c’è una chiamata alla quale siamo chiamati tutti

ma qualcuno deve prepararli questi tempi, e ci sono quindi delle persone che si assumono questi compiti. Tra l’altro, coltivare una Scienza dello Spirito, significa “assumere” e non soltanto fare belle teorie, se no diventano teorie della Scienza dello Spirito. Coltivare una Scienza dello Spirito oggi, in chiave morale, significa assumersi un compito, una responsabilità personale nei confronti dell’evoluzione dell’umanità, se no è di nuovo una goduria egoistica, perché l’umanità non andrà avanti se prima o poi non affronta una conoscenza scientifica dei mondi spirituali.

Questo per dire che, con la fine del capitolo 12, l’insegnamento al popolo, a tutti quanti, finisce nel vangelo di Giovanni, e col capitolo 13, che adesso affronteremo, ci troviamo in un cenacolo, in una sala, in un luogo ristretto, dove il Cristo parla soltanto a queste 12-13 persone.

Se volete, il mistero del 12-13 è che:

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Fig. 15

Qui, supponiamo abbiamo il Cancro, qui abbiamo il Capricorno, qui l’Ariete, qui la Bilancia, qui lo Scorpione, che è il pungiglione della morte, il traditore, che è quel dodicesimo, quell’1/12 che fa parte di ogni essere umano: il Giuda è una dimensione presente in ogni essere umano, sono le controforze; questa fenomenologia la vedremo adesso.

Nei segni zodiacali più antichi, al posto dello Scorpione c’era l’Aquila cioè lo spirito umano. Il modo di articolare i propri pensieri ai primordi dell’umanità si librava nelle altezze dello spirito e poi il pensare umano è piombato nella materia e piombando nella materia ha dato morte allo spirito umano, l’ha oscurato e quindi questo dodicesimo, che è lo Scorpione, è proprio il mistero del fatto che con la caduta l’essere umano da Aquila è diventato uno Scorpione. Però da adesso si inverte la marcia e si comincia a riascendere: lo Scorpione esce fuori e vediamo che il testo dice “quando Satana entra in Giuda, Giuda esce fuori nella tenebra” e resta l’Aquila cioè Lazzaro

Quindi, questo mistero dello Scorpione nell’ultima cena abbraccia Giuda e Lazzaro:

-Il pensiero che dà morte: Giuda

-Il pensiero che si redime, che riascende nei mondi spirituali e riconquista la vita: Lazzaro risvegliato dalla morte.

Il cristianesimo tradizionale, i primi duemila anni di cristianesimo sono stati anni di cristianesimo essoterico e adesso ci sono i presupposti per un cristianesimo esoterico, però non ancora per tutti, mica va così alla svelta la cosa, però man mano che si procede nell’evoluzione si creano sempre di più i presupposti per un cristianesimo esoterico, cioè un cristianesimo che può sempre meglio capire i misteri di Lazzaro.

L’autore del vangelo di Giovanni è Lazzaro. E chi altro poteva scrivere questo vangelo, il più profondo che esista, se non la persona, l’unica persona che è entrata nel mistero della morte e quindi si è congiunta col mistero di Giuda ed è stata richiamata -quindi ha invertito la marcia- dal Cristo stesso, da oltre la morte, per scrivere un testo nell’umanità, il testo più profondo sui misteri della morte e della resurrezione, che è la totalità dell’evoluzione umana?

Dicevo qui ieri sera ad un paio di persone, che Albert Dürer ha fatto una incisione su legno dell’ultima cena dove le teste sono chiarissimamente tredici, oltre alla quattordicesima del Cristo; sei da una parte, sei dall’altra e sul petto di Gesù la tredicesima. Secondo me è un segno chiaro che c’erano ancora dei filoni nell’umanità, già ancora nel sedicesimo secolo ai tempi di Durer, che avevano perlomeno un sentore, un qualche barlume di questi grossi misteri.

Adesso, passando dal capitolo 12 al capitolo 13, le cose diventano un pochino più impegnative perché il Cristo non sta più parlando alla folla; adesso però, per non farci perdere coraggio, non comincia subito con grossi e profondi discorsi esoterici, ma il testo va avanti in chiave drammatica descrivendo un’azione che viene compiuta, e cioè la famosa “lavanda dei piedi”.

Intervento. Vorrei fare una domanda: quei preparatori del tempo futuro, devono passare attraverso la caduta, la svolta, la guarigione?

Archiati. Noi li abbiamo tutti alle spalle, li abbiamo già fatti tutti. Quale essere umano può fare l’evoluzione umana senza fare l’esperienza della caduta? O, se vuoi, cosa che verrà nel testo, è il concetto di “tutti sono chiamati, pochi sono gli eletti”, e Cristo dice: “ Io so chi ho eletto”

Che vuol dire “tutti sono i chiamati, pochi sono gli eletti”? E’ di nuovo un discorso elitario? La chiamata è l’andata. L’elezione è il ritorno.

Allora facciamo… -naturalmente tutto ciò che io faccio alla lavagna è per rendere visibile tutto ciò che non è visibile, per poter capire meglio-

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Fig. 16

Questa è la Terra, la “chiamata” è la chiamata all’evoluzione terrestre quindi è l’andata; l’andata non è questione di libertà, è determinata, la fanno tutti, invece poi ex-legw (ex-lego) significa tirar fuori dal mondo della materia. Quindi, entrarci dentro è di tutti, la chiamata ad entrare nell’evoluzione della Terra è per tutti, tutti gli esseri umani sono chiamati ad entrare in questa evoluzione della Terra. Se anche l’elezione, -ex lego, l’elezione, dal latino ex-lego, legw (lego) è la cernita ed ex è fuori- cioè il venire chiamati fuori dalla Terra valesse ugualmente per tutti non ci sarebbe libertà.

In altre parole, la chiamata non ha nulla a che fare con la libertà, quindi, vale ugualmente per tutti. Siccome la seconda metà dell’evoluzione, il tirarsi fuori, il riconquistare lo spirito, la redenzione, è un fattore di libertà, non si è costretti a farlo. C’è chi lo fa, c’è chi non lo fa e questo è un mistero della libertà. Vedete che i conti tornano se si capiscono le cose con queste chiavi di lettura? L’esegesi tradizionale fa dei salti mortali intellettuali per spiegare questa frase del vangelo, ma non la spiega, non la spiega. “Tutti sono i chiamati e pochi sono gli eletti” E’ forse predestinazione? Verrebbe da dirsi: “allora, quelli che il Cristo elegge sono privilegiati per arbitrio Suo, ed io che non sono stato eletto? Che ci posso fare io se non mi ha eletto”? Questo mistero lo si spiega soltanto con l’assunto fondamentale della libertà, allora si capisce subito cosa vuol dire il testo.

Intervento. Però è sconfortante che il Cristo dica “a pochi”.

Archiati. No, bisogna sapere il greco e il latino: polloi (polloi) significa molti tra l’altro, però ci sono certe diciture in cui polloi significa tutti.

Replica. Polloi è per i chiamati, ma per gli eletti, il testo antico…

Archiati. Dice oligoi (olìgoi) che vuol dire…

Replica. …dice che pochi sono gli eletti…

Archiati. No, significa non tutti.

Replica. Ah ecco, bene, mi hai confortato.

Archiati. Ma scusa, un discorso qualitativo così fondamentale lo vuoi ridurre a un discorso quantitativo?

Replica. Per forza non mi andava bene!

Archiati. Sembrava quasi che volessi dare la colpa a me…

Replica. No, anzi ti ho detto che mi hai confortato.

Archiati. E’ un discorso qualitativo, non quantitativo. All’andata ci sono tutti, e il venirne fuori dipende dalla libertà, ma una volta capito questo assunto fondamentale si capisce subito il discorso, che cioè sta soltanto a dire: sta attento che il fatto della redenzione non è così automatico come l’incarnazione, come la caduta; la caduta è automatica perché è di necessità, bisogna esperirla, tutti ci devono passare. In risposta alla domanda che lei aveva fatto sul venirne fuori, io uso venirne fuori -sono tutte immagini che usiamo-, ma si può anche dire la risalita se volete; la risalita dipende dalla libertà perché se non c’è la libertà non c’è la moralità. Che cosa varrebbe l’uomo, l’essere umano, se non ci fosse la libertà? Nulla! Varrebbe tanto quanto un pollo o un gatto, se volete. Ciò che fa dell’essere umano un essere umano è la libertà, santa pace.

Questo vuol dire la frase del vangelo. E in questo processo di redenzione ci sono passi essoterici che valgono per tutti, sono possibili a tutti. Nel 2004 c’è uno stadio di coscienza, ci sono conquiste evolutive possibili a tutti gli esseri umani incarnati in questo tempo, e ci sono conquiste evolutive possibili solo a pochi che hanno la chiamata, hanno il compito, o come lo volete chiamare, di precorrere i tempi nel senso di anticiparli, prepararli e renderli possibili agli altri, non nel senso di una preferenza elitaria “che loro sono più belli”, ma nel senso di una responsabilità, nel senso di una necessità evolutiva. Voglio dire: prendete un qualsiasi processo, anche in un’azienda, nell’economia, ecc, c’è l’attività che si sta compiendo -e quella vale per tutti- ma se non c’è nessuno che pianifica, che precorre, che prova, ecc. ecc. ecc, non si può andare avanti, non si andrà mai avanti. Quindi, il pensiero è immediatamente comprensibile.

E allora io dicevo: il discorso che vale per tutti, da sempre è stato chiamato essoterico -exo significa fuori- quindi fuori dal recinto dei discepoli particolari, che hanno presupposti particolari; ed esoterico è quello a cui hanno accesso soltanto coloro che hanno certi presupposti. Ma in effetti, anche questo modesto commento al vangelo di Giovanni, forse voi non l’avete notato, ma io lo noto eccome, all’inizio dovevamo andarci un pochino più cauti a parlare di certe cose, adesso, al nostro sesto incontro, ho l’impressione che man mano che andiamo avanti -chi viene per la prima volta se la veda un pochino lui-, di volta in volta ci sono sempre più cose che si possono presupporre, perché si vede che vengono capite con più immediatezza. E’ nella natura delle cose, è nella natura di ogni evoluzione nel tempo che ci debba essere ciò che è ritardatario, che perde i colpi. Ci deve essere la possibilità di perdere i colpi, certo, sennò non si sarebbe liberi; se si è obbligati a non perdere mai i colpi non si è liberi, e il male o il bene che vuol venire prima del tempo, cosa vuol dire? O troppo tardi o troppo presto. Che vuol dire troppo presto?

Intervento. Non al momento e all’ora stabilita

Intervento. Non al momento opportuno

Archiati. E’ chi parla di ciò che sarà possibile fra 200 anni e si arrabbia per le persone che non vanno a quella velocità. Vorrebbe costringere tutti quanti ad andar veloci più di quello che possono, è l’impazienza Qui c’è l’indolenza, qui c’è l’impazienza (rig. figura 16). La libertà deve consentire tutti e due, se no non saremmo liberi.

Allora, vediamo un pochino il nostro capitolo tredici cosa ci propone da masticare. Come vi dicevo, prima di arrivare ai grossi discorsi dell’ultima cena c’è un po’ di azione, c’è la lavanda dei piedi. Come sapete una delle cose più caratteristiche del vangelo di Giovanni è che all’ultima cena non racconta, per lo meno esteriormente, il pasto pasquale, il pane, il vino, ecc. ma racconta la lavanda dei piedi, che manca negli altri vangeli.

13,1. “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”

“Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo, avendo piena consapevolezza che la sua ora è giunta…” vi sottolineavo proprio adesso l’importanza dell’ora giusta, perché se uno non acchiappa l’ora giusta per ciò che va fatto, o è troppo presto o è troppo tardi: se è troppo presto fa forzature, se è troppo tardi frena; sia forzare l’evoluzione, sia frenare l’evoluzione è lesivo della libertà, perciò è male. Il male morale è sempre in riferimento alla volontà. Quelli che tirano indietro ledono la libertà di andare avanti giustamente, quelli che corrono avanti ledono la libertà di andare in funzione dei passi che ciascuno può e vuole compiere. Quindi, il male morale è sempre un qualche modo di ledere la libertà perché il bene morale è la libertà su tutta la linea.

Cosa vuol dire “l’ora” che il Cristo deve entrare nella morte, far l’esperienza della morte e della resurrezione all’ora giusta? Significa che tutto ciò che deve avvenire prima -la morte e resurrezione del Cristo è il centro dell’evoluzione della Terra, quindi dev’essere al centro- non è spostato neanche di un’ora, telluricamente e cosmicamente. E che tipo di coscienza ci vuole per capire quando è il centro? Ci vuole una coscienza cosmica -il Cristo non è un essere umano come tutti noi, il Cristo è un Essere cosmico- che percepisce che tutti i fattori, tutte le opere delle Gerarchie Celesti che devono precedere quest’ora della Sua morte e della Sua resurrezione sono compiute. Questa è l’ora.

Tutto ciò che nel sistema planetario dev’essere compiuto prima della morte del Cristo, bisogna aspettare che sia compiuto, e ad un preciso momento giunge l’ora; se Lui aspettasse ancora un po’ sposterebbe, in un certo senso farebbe torto a tutto ciò che può avvenire soltanto dopo la Sua morte e la Sua resurrezione. La percezione dell’ora giusta è un livello di coscienza, é una proposta conoscitiva infinita -come chiamata anche per la coscienza umana- di comprendere sempre più fattori nel loro carattere di preparazione e nel loro carattere di compimento.

Il concetto puro di “pienezza dei tempi”…l’ora della morte del Cristo è l’ora della pienezza dei tempi, cosa vuol dire “pienezza dei tempi”? Vuole dire che i tempi della preparazione sono pieni, non manca più nessun presupposto necessario, non manca più nessuno strumento necessario, non manca più nulla all’esercizio della libertà umana. Quindi tutto quello che si compie prima di questa ora…(rif. fig. 16) l’ora di cui stiamo parlando è questa qui al centro, noi siamo qui al 2004, siamo dopo…

L’ora di cui stiamo parlando è l’ora della morte e resurrezione del Cristo; fino a quest’ora Lui doveva aspettare, se fosse morto prima sarebbe stato troppo presto perché si stavano ancora preparando e compiendo tutti i presupposti, le condizioni per l’esercizio della libertà. La pienezza dei tempi significa: ora ci sono tutte le condizioni necessarie per l’esercizio della libertà, e la seconda parte dell’evoluzione è l’esercizio della libertà. La pienezza dei tempi significa: nessun uomo può più lamentarsi che gli manchi anche il minimo presupposto per l’esercizio della libertà. Presupposto significa, per esempio, che l’evoluzione della coscienza arriva ad un punto tale da concedere ad ogni essere umano che non poltrisce di usarla in senso libero, basta che decida di non poltrire, non potrà mai dire: “non sono capace” perché la pienezza dei tempi significa che ogni coscienza umana è capace di farlo.

Se ci fossero ancora coscienze umane non capaci, i tempi non sarebbero ancora pieni, quindi la potenzialità, il creare della potenzialità della libertà, il creare la possibilità fino alla pienezza dei tempi è il senso della prima parte dell’evoluzione. La seconda parte dell’evoluzione è per esplicare la libertà, esercitarla, viverla. Quindi, c’è una percezione a livello anche cosmico dell’operare delle Gerarchie, degli Spiriti della Saggezza, degli Spiriti della Forma, spiriti del Movimento, ecc. ecc.

E’ come se il Cristo dicesse: “beh allora, ci siamo? Abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare? Bene. Allora è giunta l’ora di entrare nella morte”, per lo Spirito del Sole che significa “entrare nella morte”? Che lo Spirito del Sole diventa Spirito della Terra.

A questo punto qui l’Essere del Sole lascia il Sole, cioè il Sole termina di essere il Suo corpo, ed entra nella Terra. Questa è l’ora di cui stiamo parlando, cioè l’ora in cui il Cristo diventa l’Aura spirituale della Terra.

Comunque questo lo vedremo più avanti; tutti i discorsi della cena sono per articolare questi misteri, a carattere un pochino più profondo, un pochino più esoterico.

“Gesù sapendo…” eidwV (eidòs) significa avendo piena consapevolezza immaginativa, ispirativa e intuitiva, a livello di tutte le Gerarchie, che i tempi sono compiuti; sapendo immaginativamente, ispirativamente, intuitivamente che la Sua ora, l’ora dell’Io, l’ora dell’Io che decide, che vive la sua libertà entrando liberamente nella morte per trasformare ogni morte in un’esperienza di resurrezione.

“…sapendo che era giunta la sua ora…” la Sua ora consiste nel passare… “affinché passasse -ina metabh, ina metabè- da questo mondo verso il Padre”, cos’è il “passare da questo mondo al Padre”? Terminare di essere percezione sensibile e diventare pensiero puro.

Il Cristo termina di essere visibile agli occhi fisici.

Gesù termina di essere un frammento di materia visibile e diventa l’aura spirituale della Terra, proprio in senso reale. Il ritorno del Cristo, la seconda venuta del Cristo è quel gradino di coscienza umana… il ritorno del Cristo non è una faccenda Sua, non è qualcosa che Lui deve fare, perché non è che la Sua prima venuta fosse stata carente per cui Lui deve venire un’altra volta.

La cosiddetta seconda venuta è quel gradino di coscienza umana attraverso la quale gli esseri umani cominciano ad avere la capacità di coglierne la presenza di risorto quindi è un andare incontro a Lui da parte della coscienza umana, perché lui c’è da sempre, da duemila anni è spiritualmente nella Terra, mica è sparito.

Duemila anni fa nella cosiddetta “prima venuta” il Cristo si è reso accessibile attraverso la percezione fisica, e il senso di questa percezione fisica, come ogni percezione materiale, è di diventare il presupposto per un concetto spirituale; la prima venuta come percezione materiale è il presupposto per percepire il Cristo spiritualmente nella seconda venuta. E questo cammino di coscienza dura tutto un segno dello Zodiaco. Quindi, il Cristianesimo “petrino” -il Cristo disse a Pietro: “tu Pietro vieni subito dopo di me”- è la fissazione sull’elemento storico, materiale, visibile, percepibile del Cristo, perché gli esseri umani non hanno ancora la capacità di coglierne la realtà spirituale, e il cosiddetto “cristianesimo Giovanneo”, che è quello di Lazzaro, è l’incipiente -perlomeno al giorno d’oggi- capacità umana di cogliere Cristo come realtà spirituale. E il Cristo come realtà spirituale, come si coglie? Col pensiero. Il problema è solo che per la coscienza umana decaduta -ed è questa l’essenza della caduta- una percezione sensibile è una realtà, e un pensiero è aria fritta! Questa è l’essenza della caduta. Mentre invece è vero proprio l’opposto: una percezione sensibile è nulla, tant’è vero che quando noi moriamo e non abbiamo più i sensi non la vediamo neanche, e invece un pensiero è una realtà assoluta. Lo spirito è una realtà, la materia è il nulla dello spirito, la cosiddetta “maya” delle culture orientali, la “grande illusione”.

Quindi la seconda venuta del Cristo è quel passo gigantesco della coscienza umana che si dice: “no, la realtà vera non è la materia, ma lo spirito”. Il Cristo vero non è quello che si vede con gli occhi fisici, il Cristo vero è quello a cui si trova accesso col pensiero, ed è quindi giunta l’ora affinché terminasse di essere un frammento di percezione sensibile di questo mondo per entrare nel mondo del Padre, che è il mondo dello spirito. Il Cristo termina di rendersi percepibile fisicamente per darci la possibilità di percepirlo spiritualmente. Difatti nei discorsi dell’ultima cena dirà: “Se io non vado, non può venire lo Spirito Santo” cioè: se io non sparisco, voi continuerete a fissarvi sulla percezione fisica; continuereste a dire “è là, è a Roma, è a Medjugorje, è a Dornach…” e non verreste mai al punto da dire: “ la realtà non è nella materia, è nello Spirito!”

Allora il Cristo dice: se voi volete fare l’esperienza dello Spirito dovete concedermi di sparire come pezzo di materia, se no continuerete a fissarvi su un pezzo di materia. Vi dicevo questa mattina un esempio del fatto che il cristianesimo, a tutt’oggi, il cristianesimo di massa, tradizionale, è più petrino che non lazzareo, e lo ricavate dal fatto che c’è gente, addirittura sacerdoti, che invece di godersi il vangelo di Giovanni vanno a Medjugorje. La differenza qual è? A Medjugorje c’è una percezione sensibile, materiale, invece se vuoi godere il vangelo di Giovanni devi muovere il tuo spirito oppure non ti dice nulla, questa è la differenza…o esagero?

Intervento. No. A Medjugorje non c’è neanche la percezione sensibile per chi ci va…

Archiati. Certo, certo, c’è anche qualcosa da vedere, ci sono i ragazzini e altre cose, se non ci fosse nulla da vedere la gente non ci andrebbe.

Replica. Sì ma non c’è ciò che eventualmente…

Archiati. Sì, sì, certo. Io mi sono fatto raccontare il contenuto del messaggio, mi dicevano: “bisogna digiunare una volta alla settimana, poi bisogna volersi bene”, ed io dicevo: “ma mi pare che fosse già stato detto”

Intervento. Da duemila anni!

Archiati. Da duemila anni mi pare. Quindi la differenza è essere fissati su qualcosa di visibile, di esperibile a livello materiale, o su qualcosa che è puramente spirituale. Certo, è questa la differenza. E si tratta soltanto di essere onesti con noi stessi perché se bariamo non andiamo avanti nell’evoluzione. L’evoluzione va avanti soltanto con l’onestà intellettuale e spirituale.

“L’ora affinché passasse da questo mondo verso il Padre”, io vi propongo uno dei tanti modi di tradurre questo versetto, ma ognuno di voi può trovare altri modi: “affinché terminasse di essere fisicamente percepibile e diventasse puramente spirituale”, affinché poi ognuno di noi lo possa esprimere a modo suo; si tratta di finire di essere fisicamente percepibile, perché se il Cristo fosse rimasto, se fosse una questione di percezione sensibile, lo ripeto, allora bisognerebbe sapere dov’è e bisognerebbe andare là dove si trova. Nei sinottici soprattutto c’è il concetto dei falsi profeti “verranno falsi profeti”, qual è il concetto puro del falso profeta? Il vangelo lo dice: “verranno falsi profeti e vi diranno: “è là, è là, è là”. Cioè il concetto di falso profeta è che materializza lo Spirito, più falsi profeti di così! Perché il profeta buono, non falso, il profeta vero è quello che dice la verità sull’evoluzione; profeta significa che anticipa l’evoluzione.

La verità sull’evoluzione futura è che tutto ciò che è materiale è destinato a spiritualizzarsi sempre di più. Il falso profeta dice la falsità sull’evoluzione perché invece di parlare dell’evoluzione parla dell’involuzione cioè dice che ciò che è spirituale diventa materiale “è là, è là, è là”. Questo è il concetto evangelico del falso profeta, che ha bisogno della materia per pianificare lo Spirito.

La Chiesa cattolica ha detto: tu non puoi aver il Cristo, che è una realtà spirituale, se non hai Roma, se non hai la Chiesa cattolica. E’ una realtà puramente spirituale la Chiesa cattolica? Mi pare proprio di no. Ti arrivano gli antroposofi e ti dicono: tu non puoi avere la Scienza dello Spirito se non hai Dornach. È la stessissima cosa. Se non hai la Società Antroposofica non puoi avere la Scienza dello Spirito. È la stessa cosa ma è anche molto più tragica perché il cattolicesimo era previsto per un’umanità ancora bambina a tanti livelli, invece la scienza dello spirito è un impulso di risveglio, è proprio l’impulso della seconda venuta del Cristo, dello Spirito, quindi rimaterializzarlo tale e quale è molto più tragica la cosa perché è in piena contraddizione con questo impulso. Però è stato fatto tale e quale, ve lo garantisco, e parlo per esperienza. Questo materialismo che considera lo spirito puro come fosse aria fritta, che diventa qualcosa soltanto se lo si aggancia a qualcosa di materiale, il vangelo lo esprime col concetto del falso profeta, perché il vero profeta dice la verità sul futuro dell’evoluzione, che è quello di spiritualizzare tutto ciò che è materiale. Il falso profeta dice la falsità sull’evoluzione perché continua a materializzare ciò che è spirituale.

Sono diverse le persone che mi hanno detto che io non sono fedele, che ho tradito lo spirito di Steiner perché non sono rimasto socio della Società Antroposofica, ci sono tante persone che hanno questa incredibile convinzione. Così come mia sorella suora, lei è convinta che se io lascio la chiesa cattolica tradisco il Cristo. E’ la sua convinzione. Tra l’altro prega per la salvezza della mia anima, giorno e notte, si piglia di quei mal di testa… E io mi sono sempre detto: “se sapesse quanto bene vengono esaudite le sue preghiere, si darebbe una calmata”.

Intervento. E tuo fratello prete che dice? Tanto per cambiare soggetto…

Archiati. Mio fratello prete non discute, non dice nulla, ha da fare col computer, è diventato un esperto di computer. Prendete queste cose non come provocazione alla polemica, vogliamo parlarci con sincerità ed anche con onestà, se no restiamo nelle stratosfere e non serve a nulla. Io mica vengo in Italia per fare disquisizioni accademiche, ce ne sono già abbastanza, basta andare nelle università.

Allora: “è venuta l’ora affinché passasse da questo mondo al Padre…” Il Padre è il contenuto spirituale, la realtà spirituale di tutto ciò che è materiale, questo è il Padre. La realtà spirituale o il risvolto spirituale di tutto ciò che è materiale, perché un conto è vivere il mondo come se fosse soltanto materia e un conto è vivere il mondo materiale come intriso dappertutto di spirito, è ben diverso.

“…avendo amato…” qui probabilmente avrete come traduzione “avendo amato i suoi”, vero? Che traduzione avete nei vostri testi?

Intervento. “…dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”

Archiati. E’ la stessa traduzione che avete nel prologo: “venne a casa sua”, “venne verso i suoi”, idiouV (idìus) queste traduzioni sono traduzioni gioco-forza “petrine” perché il cristianesimo, lo stadio di coscienza era quello di stampo materialistico e va corretto, nel senso che è una traduzione propedeutica, ma guai a noi se restassimo a questa traduzione.

IdioV (Idios), queste due “i” di Idios… Idios è l’individuo singolo, “avendo amato negli uomini ciò che trascende ogni realtà di gruppo”. Il Cristo, avendo amato negli uomini ciò che è individuale e unico in ognuno amò l’Io, questo Io individuale, fino alla fine, creando tutti i presupposti per tutta l’evoluzione futura. Quindi, Idios significa l’Io individuale, e se viene tradotto “con i suoi” sparisce tutto, viene vanificato il significato profondo della frase. Con questo non si dice, non è detto che il Cristo non ami in noi, in ogni essere umano, ciò che esso ha in comune con altri. Se si è italiani, si ha in comune la lingua italiana, il Cristo non dice che tutto ciò che è di gruppo deve sparire, non dice questo, ma dice: “tutto ciò che è di gruppo è strumento per l’Io individuale e il male morale consiste nel fare di ciò che è di gruppo il fine e di rendere l’individuo come strumento del potere di un gruppo”. E questa è la grande scelta della libertà: o l’individuo viene visto come strumento per un qualsiasi gruppo, e allora è l’uomo per il sabato, l’individuo per la Chiesa, l’individuo per lo Stato, l’individuo per la sua ditta eccetera, oppure ogni realtà di gruppo è necessaria, preziosissima come strumento, ma il fine resta l’individuo. Quindi il mistero dell’Idios greco è che il fine dell’evoluzione è l’individuo singolo nella sua libertà, tutto il resto è strumento.

Avendo amato in ogni essere umano la libertà individuale, “l’amò fino alla fine”, cioè pose i presupposti, le forze, riversò nella Terra le forze che consentono ad ogni essere umano di portare la sua individualizzazione, di realizzare l’unicità del suo essere, di dare quel dono che soltanto lui può apportare per arricchire l’umanità, fino al compimento. Immaginate se nell’umanità ci fosse solo una realtà di gruppo, che povertà, che appiattimento! La ricchezza, la bellezza dell’umanità è che ognuno, ogni essere umano, è chiamato ad immettere nell’umanità un mondo tutto suo e che viene creato soltanto da lui. Quella sì che è un’umanità bella, ricca. Ed è questo che il Cristo ama. Se il Cristo amasse soltanto la realtà di gruppo, cosa amerebbe? Bambini, e amerebbe che tutti gli esseri umani restassero bambini con la mamma che li conduce tutti in modo uguale.

Intervento. Quindi, “l’amò fino alla fine” è “amò l’Io fino alla fine”?

Archiati. I singoli, idios, nella traduzione di questa parola sta la chiave di tutto. Egli amò la singolarità, amò l’unicità, il Cristo ama l’unicità di ogni individuo. In tedesco esiste una bella parola. E poi lo diceva già Aristotele: ogni essere umano è una specie a sé. È questo che il Cristo ama. Tutti i gatti che ci sono, tutti i cani che ci sono hanno una sola anima di gruppo: c’è la specie del gatto, la specie dell’asino, eccetera, gli esseri umani invece sono ognuno una specie a sé, sono ciascuno un mondo diverso, ed è questo che il Cristo ama, è questa la chiamata; ciò che è comune ce lo dà la natura, ciò che è comune, la lingua comune… chi di noi ha imbastito la lingua italiana? Nessun uomo, ce la dà la natura. Ci può dare la natura ciò che è unico in ognuno? No. La natura è il dato comune, se no non sarebbe natura, quindi è chiaro che, per definizione, ciò che è unico in ognuno tocca a lui tirarlo fuori e dev’essere omissibile. Quindi ciò che è unico in ognuno è la creazione della libertà: ognuno lo può sia coltivare che omettere.

Il Cristo ama al massimo non ciò che il Padre fa comunque, quello non c’è bisogno che il Cristo lo ami perché il Padre lo fa comunque, il Cristo non può amare al massimo ciò che è di natura comune. Il Cristo ama al massimo ciò che può anche andar perso perché l’essere umano lo può omettere ed è l’unicità di ognuno, la singolarità, l’individualità, la libertà singola, la creazione unica nel pensiero, nel sentimento, nel modo di amare, nel modo di agire. In tutta l’evoluzione ogni essere umano è chiamato a tirar fuori una creazione che porta lo stampo unico, inconfondibile del suo essere: ma che umanità ricca, bella, infinita può saltar fuori. Il Cristo ama quella. La natura ci rende tutti uguali, il Cristo ci aiuta ad essere tutti diversi.

La traduzione di questo idioV, sia nel prologo sia qui all’inizio della seconda parte del vangelo, è fondamentale. Vedete che il cristianesimo essoterico, di fatto, fin’ora non aveva i presupposti di coscienza per tradurlo, quindi non è stato compreso.

“Avendo amato i suoi” significa forse che alcuni sono suoi, e altri non sono altrettanto suoi amati? Già basterebbe pensare il secondo pensiero per rendersi conto che è bacata la cosa, non si è mai arrivati al secondo pensiero. E’ chiaro quindi che c’era un gradino di coscienza tale per cui non c’erano ancora i presupposti per affrontare il mistero della libertà individuale. Idios in greco è l’individuo singolo, in quanto diverso da tutti gli altri. Immaginate di prendere soltanto un’ora, una singola ora, quanti pensieri sono frullati per la testa in ognuno di noi nell’ora scorsa o due ore fa, se qui siamo 80 /90 persone, siamo mondi e pensieri ognuno del tutto diversi, è palese la cosa. Ci possono essere due teste che per un’ora hanno pensato la stessa cosa?

Intervento. Neanche per un minuto si può pensare la stessa cosa in comune.

Archiati. Esattamente, neanche per un minuto. Quindi è vero ciò di cui stiamo argomentando, però rendersene conto e prendere in mano questa evoluzione, questa creazione unica e renderla sempre più bella, è sempre più un contributo fecondo per tutta l’umanità. Questo è il modo in cui il Cristo ama l’Io fino alla fine, fino al compimento, perché alla svolta questo io singolo è incipiente, e bisogna prospettarlo fino al compimento: teloV, eiV teloV (télos, eis telòs) cioè “fino al compimento”.

Il Cristo apre tutte le condizioni evolutive. La prima metà dell’evoluzione ha creato le condizioni evolutive comuni nel dato di natura, il Cristo offre le condizioni evolutive per una evoluzione che sia in ognuno diversa. E’ molto più complessa la cosa, e tra l’altro potete notare che il verbo è “amò”, e il Padre non ama, il Padre “fa”. Di fronte alla libertà non si può fare, la si può soltanto favorire dal di fuori e favorire dal di fuori significa amare, e l’amore non impone. La libertà dell’altro la si può solo amare, non la si può gestire perché significherebbe distruggerla; se me ne frego non agevolo il cammino verso la libertà, l’unica cosa che può favorire la libertà dal di fuori è l’amore. Quindi, anche tecnicamente, proprio da un punto di vista scientifico spirituale, il testo è molto preciso: “avendo amato la singolarità di ogni essere umano, l’amò fino alla fine”, quindi non impone nulla, offre soltanto l’aiuto, le condizioni.

Amare significa sempre mettere a disposizione dell’amato gli strumenti della libertà: se ne avvale? Non se ne avvale? Affari suoi. E’ questione della libertà. Però l’amore, il compito dell’amore è di mettere a disposizione, di creare le condizioni necessarie per la libertà proibendosi di gestirla, perché quando uno comincia a gestire la libertà dell’altro, la distrugge.

Avendo amato gli individui singoli o l’Io singolo, l’Io individuale in ogni uomo, li amò sino alla fine -touV en tw kosmw (tùs en tò kosmò), gli io, gli individui umani che sono in questo mondo, perché è in questo mondo che avviene l’evoluzione della libertà, li amò sino alla fine-.

13,2 “ E terminata la cena, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo”

Intervento. Qui è scritto “mentre cenavano”

Archiati. No, è ginomenou (ghinomènu), terminata la cena, terminato il pasto… stavo per dire che ogni minimo particolare di questa ultima cena, la lavanda dei piedi ecc, ogni minimo particolare ha anche un risvolto semplicemente storico, “hanno mangiato” è senz’altro un evento storico, la traduzione “mentre mangiavano” però non ha molto senso; il testo dice: “dopo aver mangiato” perché se stanno ancora mangiando mica gli va a lavare i piedi. A livello puramente storico aspetterà che abbiano mangiato prima di lavargli i piedi, no? Comunque è un evento storico, semplice, storico… ma questo non è il solo livello di lettura dell’evento perché dove opera il Cristo -il Cristo è l’Essere cosmico di tutto il sistema solare, che abbraccia tutte le forze del sistema solare- ogni minima azione che compie, ogni minima parola che Lui dice sulla Terra ha tanti, diversi livelli di lettura.

Allora, quella sera hanno mangiato un pasto, e questo è un livello, è una realtà storica, ma c’è un altro livello cosmico di questo pasto e cioè: questo pasto, questa cena è al contempo per altri livelli di coscienza, più profondi, del Lazzaro per esempio; può essere la rammemorazione di un altro pasto, che viene a terminare, perciò è importante che termini il pasto.

Intervento. Pasto materiale, la materia?

Archiati. L’uomo, in questa ora, ha assimilato tutte le forze di natura, ha mangiato tutto il mondo del Padre, e soltanto se ha assimilato tutte le forze di natura può cominciare ad invertire la marcia ed esercitare la libertà. In altre parole, l’essere umano fino alla svolta è un puro ricettore -ecco il mangiare- ha ricevuto tutto. Ciò che ho chiamato “le condizioni” per la libertà, gli strumenti per la libertà sono il pasto del Padre, cioè tutto ciò che è stato donato all’essere umano, tutte le forze che ha acquisito per grazia. Terminato di ricevere tutte le forze del corpo fisico, di ricevere tutte le forze del corpo eterico, tutte le forze del corpo astrale e dell’Io adesso comincio a far qualcosa, no? Terminato di ricevere, l’essere umano viene messo in grado di cominciare a dare, essendo stato fino ad ora una creatura è adesso in grado di cominciare ad essere un co-creatore. Quindi, il vangelo ci dice “terminato il pasto”, perché se il pasto è ancora in corso l’ora non è ancora giusta, non è ancora giunta l’ora, la prima parte dell’evoluzione deve essere compiuta.

C’è una lettura che si ferma soltanto alla cena che stanno facendo; è quasi arbitrario dire se hanno finito la cena o se l’hanno quasi finita, se invece, come dev’essere, questa cena diventa il segno visibile di una cesura, della pienezza dei tempi di preparazione compiuti, e che adesso comincia la seconda parte, allora il testo deve dire: “la cena è finita”. L’essere umano non ha più il diritto di fagocitare, di prendere, prendere, prendere: adesso deve cominciare a dare.

Intervento. “Terminata la cena”? Qui dice: “mentre cenavano”.

Archiati. Non avete nessuna traduzione che dice “terminata la cena”?

Intervento. …venuta la cena…

Archiati. Che altre traduzioni avete?

Interventi sparsi. “Durante la cena”, “Iniziata la cena”, “mentre”.

Archiati. Cosa vuol dire questo? Che i manoscritti tergiversano, significa che c’è uno sforzo di comprensione.

Intervento. Ma il termine greco qual è?

Archiati. ginomenou (ghinomènu), che significa: “generata la cena”

Intervento. Finita?

Archiati. Finita. Volevo dire, se io la intendo, se io ci vedo soltanto la cena materiale, che stanno mangiando, non è poi così importante se hanno quasi finito o già finito; se invece io affronto il testo, cosa legittima spero, col presupposto di lettura di coscienza che dove il Cristo, incarnato attraverso il Gesù di Nazareth, non compie mai nulla, ma neanche un pezzo di cena, che non sia l’oculare di processi cosmici, allora è importantissimo sapere se è giusto che la cena sia ancora in corso o se sia finita, se la cena non è finita l’ora non è ancora venuta.

Intervento. “Quando già il diavolo aveva messo in cuore…”

Archiati. “Il diavolo ha già messo in cuore a Giuda…” non dice: “Il diavolo aveva cominciato a mettere a Giuda”, ‘questa ora’ avviene quando tutto ciò che è propedeutico a questa ora -che è una preparazione- è compiuto, se no bisogna ancora aspettare, bisogna ancora aspettare oltre. Voglio dire, se invece il vangelo viene materializzato, viene trivializzato, lo si vede solo in chiave materiale, e quindi che si tratta soltanto di una cena qualsiasi, a quel punto lì che abbiano finito o quasi finito non stiamo a scannarci per quello. Se andiamo oltre, se vediamo altre dimensioni la cosa diventa importante. Comunque già nei manoscritti greci c’è questo tergiversare in qua e in là in su questo “hanno terminato, compiuto la cena” (ginomenou, ghinomènu), e io vi dico che per quanto mi par di capire dev’essere finita la cena, santa pace. Ma anche da un punto di vista igienico, scusate, se stanno ancora mangiando gli vado a lavare i piedi?

Intervento. Vabbè che è il Cristo!…

Intervento. Qui dice “iniziatasi la cena perché la lavanda dei piedi si faceva prima dei pasti”.

Intervento. Questo è il punto.

Archiati. Allora dovrebbe dire: “prima di cominciare la cena” e non “iniziatasi la cena”. Allora vogliamo barare o vogliamo essere onesti? Siccome si faceva prima della cena, lui la fa “iniziatasi la cena”? E’ un barare questo, allora dovrebbe tradurre “prima della cena” ma non c’è nessun manoscritto che ti dice: “prima della cena”.

Intervento. Nel mio testo dice addirittura “mentre cenava”

Intervento. Forse l’inganno è che sembra che la cena debba ancora finire perché in realtà dopo viene il pezzo del boccone del pane, cioè per giustificare quello che viene dopo, può darsi che…

Archiati. Una specie di interruzione.

Intervento. Perché si leva le vesti?

Archiati. Adesso ci arriviamo, uno alla volta, una parola alla volta. Allora, “compiuta la cena”, l’aver mangiato tutto quello che c’era da mangiare io lo riferisco a tutte le forze di natura che l’essere umano deve aver già acquisito per compiere questa svolta e cominciare ad esercitare la libertà, di questo sto parlando. Quindi, a questo livello della cena, del nutrirsi -che naturalmente ha un significato molto più profondo, molto più vasto di un semplice desinare materiale, e di cui la cena materiale è solo una piccola espressione- l’essere umano una volta ricevuto, mangiato, tutto ciò che ha da ricevere è in grado di cominciare a dare. Questo è il discorso.

Il Cristo sopravviene in questo momento cruciale di svolta perché è Lui che crea la svolta, è Lui che porta a conclusione tutto ciò che c’è da ricevere e da dare e che anticipa tutto ciò che l’essere umano è capace di ridare al cosmo. E quindi ama il singolo. Noi riceviamo, in quanto uomini, e diamo liberamente in quanto singoli, in quanto individui. Riceviamo per natura in quanto uomini tutti uguali e ri-diamo liberamente, individualmente, ognuno a modo suo. Tant’è vero che i cibi che noi mangiamo quando veniamo serviti a tavola sono uguali per tutti, quello che salta fuori dai cibi: il tipo di naso, gli occhi, la bocca di ognuno è diverso.

E il Cristo ama non tanto la parte che è uguale per tutti -quello è l’operare del Padre- ama ciò che ognuno, singolarmente, individualmente è chiamato, ama il modo individuale di trasformare il cosmo dentro all’individuo umano, e quello dev’essere diverso in ognuno, se no avremmo povertà, avremmo soltanto anima di gruppo anche nell’umanità.

E perciò il testo dice: “avendo amato gli esseri umani individuali, singoli, li amò sino alla fine” quella è la chiave di lettura. “Avendo il diavolo già gettato nel cuore di Giuda, l’impulso di tradirlo, affinché lo tradisse, Giuda Iscariota figlio di Simone”. La percezione della svolta, l’ora, fa parte dell’ora la constatazione che il diavolo ha già messo nel cuore di Giuda -di ogni essere umano in quanto Giuda- l’impulso di tradirlo. Quindi il Cristo deve aspettare, l’ora non viene finché ogni essere umano non ha l’impulso, la capacità, la voglia di uccidere l’umano. Se non ci fosse in ogni essere umano la voglia, la capacità, l’impulso di uccidere l’umano -far vivere l’umano sarebbe automatico- non sarebbe libero. Far vivere l’umano è libero soltanto se ognuno di noi sarebbe altrettanto capace di ucciderlo, di tradirlo. Quindi il Cristo deve aspettare, la caduta è compiuta soltanto quando ogni essere umano non solo è capace ma gli viene sempre di nuovo voglia di uccidere ciò che è umano perché è scomodo, gli viene voglia di tradirlo.

A questo punto qui, la domanda che si pone è: ma come mai il negativo dell’umano -il Giuda è il negativo dell’umano, l’impulso ad uccidere, a tradire l’umano- come mai il negativo dell’umano è 1/12 e il positivo è 11/12? A uccidere l’umano non è l’individuo ma è la natura in noi, quindi quando uccidiamo l’umano diventiamo tutti uguali perché perdiamo l’umano, perdiamo la singola individualità umana; quando invece facciamo vivere l’umano lo facciamo emergere ognuno individualmente, in un modo diverso: ecco gli 11/12.

In altre parole, si può essere egoisti soltanto tutti allo stesso modo, non ci sono diversi modi di egoismo; e si può essere amanti soltanto ognuno in modo diverso. L’istinto che uccide la libertà è uguale in tutti, ma l’esercizio della libertà è individuale, è diverso in ognuno. Il Padre, cioè l’istinto di natura che se resta da solo subissa l’uomo, uccide l’uomo, cosa vuol dire istinto di natura? Che è uguale in tutti, altrimenti non sarebbe istinto di natura, per questo basta una unità su dodici.

In altre parole, l’uccisione dell’umano è l’annientamento della diversità, e perciò sarebbe sbagliato se ne avessimo 2-3-4 /12. Solamente un segno zodiacale è negativo perché è la cancellazione della molteplicità, della diversità, invece il bene è l’emergere della diversità, ed ecco che Bartolomeo, Matteo, Tommaso, ecc. ecc. sono ognuno diverso dall’altro. In quanto traditori dell’umano siamo tutti uguali, non si può tradire l’umano in mille modi perché lo si può tradire soltanto capitolando a ciò che è individuale. Si capisce il discorso?

Intervento. Non c’è libertà nel tradire?

Archiati. Non c’è libertà nel tradire. Quindi non c’è neanche individualità singolarità, diversità, il Cristo è diversità. Nel mio libro sull’amore ho cercato di spiegare che l’orgasmo di natura è uguale per tutti perché è di natura; l’orgasmo spirituale è diverso in ognuno e perciò è per natura più interessante, però richiede uno sforzo maggiore perché non viene da solo, perché non è di natura. Da un altro lato, veniamo al mistero dell’Idios, dell’individualità singola, diversa in ognuno.

Giuda, il tradimento dell’umano, è l’annullamento della singolarità, della diversità.

Intervento. Che però può avvenire in modi diversi? Può capitolare in modi diversi? Oppure un pezzetto per volta?

Archiati. No, è quello che ometti che è diverso, però lo ometti e quindi quello che resta è uguale per tutti. Se ometti ciò che è diverso, ciò che resta è uguale per tutti…piglia e porta a casa…Ciò che è diverso, ciò che è individuale deve essere omissibile, invece l’altro -il non omissibile- è di natura e quindi deve essere comune, dev’essere uguale in tutti.

Il problema è che t’arrivano certi scienziati naturali che non hanno una formazione di pensiero e ti dicono: anche gli animali sono individualizzati perché questo leone qui ha fatto nella sua vita tutt’altri percorsi che quest’altro leone. Il fatto che questo leone, chiamiamolo leone 1, abbia sbranato altri animali che non il leone 2 è un’individualizzazione o no?

Intervento. Sono esseri di natura tutti e due.

Archiati. Tutti e due uguali?

Replica. E’ il pasto del leone, il mangiare del leone.

(Brusio)

Archiati. Un momento, un momento, questo è un esercizio, lo facciamo brevemente ma è molto importante, e quindi parlate uno alla volta, ma andiamoci piano. Vi ripeto il compito: leone 1 ha sbranato tutt’altri animali che non leone 2, significa che sono, nella loro natura, diversi? Perché no? Questo voglio sentire.

(Brusio)

Archiati. Uno alla volta! Scusate…

Intervento. Loro seguono la natura, non hanno la libertà di decidere.

Archiati. Tanti scienziati naturali ti dicono: lo dici tu.

Intervento. Perché l’impulso che hanno seguito era uguale, di sbranare.

Archiati. Lo dici tu, provamelo.

Replica. Lo ha sbranato e basta…

Archiati. Ma loro, gli scienziati, dicono: provamelo, tu lo dici semplicemente, perché ti devo credere?

Intervento. Ma anche dall’altra parte è la stessa cosa, io devo credere a lui? Allora, opinioni per opinioni…

Replica. E’ sempre uno sbranare, che poi abbia sbranato un agnello o un falco è la stessa cosa…

Intervento. Bisogna andare a bere una birra insieme.

Archiati. Andare a bere la birra insieme…

Intervento. Col leone?

Replica. Con lo scienziato.

Intervento. Hanno sbranato tutti e due…

Archiati. Sì, ma lo scienziato ti dice che hanno sbranato bestie diverse e quindi hanno fatto esperienze del tutto diverse.

Intervento. E’ sempre uno sbranare, che poi abbia sbranato un agnello o un falco, è la stessa cosa.

Intervento. I cani non hanno tutti lo stesso carattere, così come una pianta non è uguale all’altra… cioè quello che trae in inganno secondo me è questo aspetto, cioè: non vedi mai due pioppi uguali, due animali uguali, il gatto mio è timido, l’altro è estroverso…hanno un’individualizzazione? No. Perciò questo è quello che trae in inganno o quello per cui c’è il leone più grosso, più piccolo, più feroce, più… ecc.

Archiati. Quindi il concetto di diversità non ci basta.

Replica. Esatto.

Archiati. Perché c’è anche qui la diversità. Cos’è che va aggiunto?

Replica. La coscienza.

Archiati. La libertà. Se l’essere umano con cui sto parlando sa cosa sia la libertà -quindi deve aver fatto l’esperienza della libertà- è in grado di dire: “questo tipo di esperienza, il leone non mi dimostra di averla”, però se ho a che fare con un essere umano che l’esperienza della libertà non se l’è resa conscia, le possibilità di intenderci sono molto poche, allora al massimo andiamo a bere una birra insieme.

Quindi, non basta la diversità per l’individualizzazione umana, l’individualizzazione umana crea diversità in base alla libertà. E questo è ben diverso, però gli stessi scienziati naturali ti negano già in partenza la libertà, vedi? Ti fregano; fregano se stessi però. Il compito non è semplice, non è semplice questo mistero del Cristo che ama la libertà individuale. Guardate che io ho parlato di libertà individuale, non soltanto di diversità. La diversità è il risultato della libertà. Un leone è libero?

Intervento. No, segue l’istinto, segue la natura…

Intervento. No, no.

Archiati. Non mi basta sentir dire di no, mi aspetto un minimo di articolazione, ci vuole qualcuno che articoli, perché mi dici che il leone non è libero?

Intervento. Perché quando ha fame, se ci sto io davanti o se ci sta un altro, ugualmente sbrana chiunque.

Archiati. Ma anche tu quando hai fame vai a mangiare.

Replica. Sì però posso anche scegliere.

Archiati. Sì, aspetta tre giorni poi voglio vedere se…

Intervento. Non può fare l’esperienza della libertà.

Archiati. Lo so dire anch’io che non può fare l’esperienza della libertà, ma spiegamelo, non basta che me lo dici. Perché dici che non può fare l’esperienza della libertà?

Replica. Perché autonomamente non può decidere…

Archiati. Se lo dici tu…

(Brusio)

Archiati. Vedete che la cosa non è semplice, dobbiamo abituarci sempre di più a fare percorsi di pensiero, non soltanto a buttare lì un “sì” o un “no”, e il creare percorsi di pensiero, il fare riflessioni, il coltivare il pensiero conoscitivo non sono cose che saltano fuori dall’oggi al domani.

Facciamo una pausa del nostro solito quarto d’ora poi non parla nessuno, eccetto io naturalmente.

Ci eravamo messi d’accordo che per i prossimi tre quarti d’ora non parla nessuno eccetto io.

Questa scena della lavanda dei piedi ha dei risvolti così profondi, così belli che non necessariamente si prestano tutti a discussioni, per cui se creiamo un minimo -per lo meno in via eccezionale- di atmosfera, in questo modo mi consentite magari di fare delle riflessioni un pochino più auliche o più spirituali se volete, e poi l’occasione di discutere in termini di pensiero conoscitivo c’è sempre, anche quelli ci vogliono…per esempio leone1 e leone 2 sono esercizi importanti da fare.

Vi dico questo perché, per esempio: “terminato il pasto, il diavolo…” diaboloV (diabolos) è ciò che la scienza dello spirito chiama “la controforza necessaria luciferica nell’uomo” e la controforza luciferica è la somma dell’egoismo. Il diabolos, Lucifero, è l’amore di sé in quanto opponentesi all’amore altrui, questo è Lucifero. C’è infatti un tipo di amore di sé che non è opposto all’amore altrui, c’è un modo d’amare se stessi che è al contempo amore agli altri, cioè: un conto è coltivare la mia interiorità per essere più bello degli altri -questo è amore di sé senza amore degli altri- e un conto è coltivare la propria bellezza interiore in quanto dovere, ciò che devo agli altri.

Sono due modi diversi, due atteggiamenti diversi nei confronti della propria interiorità.

Diabolos è l’insieme dell’egoismo, l’unilateralità dell’amore di sé; questo impulso dell’egoismo porta, attira nell’essere umano l’altro impulso opposto, quindi l’entrata di Lucifero dà ad Arimane la possibilità di entrare e Arimane, la controforza arimanica, la possiamo riassumere attorno alla parola “potere”. Così come egoismo è una parola che riassume tante cose -e più o meno tutti capiamo qualcosa- allo stesso modo ciò che la Scienza dello Spirito chiama Arimane si riassume attorno al mistero della parola “potere”. L’egoismo è una faccenda interiore. Il potere è il modo in cui l’egoismo si manifesta verso l’esterno. “Potere” significa usare tutto ciò che è attorno a me, per me, questo è il potere.

Quando poi, fra poco, il Cristo dà al Giuda il boccone e Giuda mangia il boccone, il testo dice: “dietro al boccone entrò in lui Satana, (SatanaV, Satanàs)” quindi abbiamo tutti e due i termini tecnici del vangelo, ciò che è luciferico e ciò che è arimanico. I termini tecnici per indicare le due principali controforze sono:

- Diabolos

- Satanas

Il testo è scientificamente e tecnicamente molto preciso “avendo il diavolo già immesso nel cuore di Giuda l’impulso di tradirlo”

13,3. “Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava”

“Sapendo Gesù” Gesù vedendo, avendo una coscienza cosmica del fatto che il Padre gli ha dato tutto nelle mani, portando nell’umanità la consapevolezza del fatto che tutto il dato di natura viene offerto alla libertà, il Padre dà tutto nelle mani del Figlio; tutto ciò che è di natura, tutto è materiale utile per esercizio della libertà.

In altre parole, tutto ciò che è determinato è passibile di venire liberato e il senso di ogni determinismo è la sfida alla libertà, è la passibilità d’essere liberato, quindi il Padre confida tutta l’opera sua di natura al Figlio e il Figlio ne fa il compito totale della libertà.

“Sapendo”, noi traduciamo sapendo, però il testo intende dire: portando nell’umanità la consapevolezza, la presa di coscienza per cui la coscienza umana coglie il dato di natura come compito in tutto e per tutto, senza nessuna eccezione, della libertà di venire liberato.

“E sapendo che era venuto da Dio e che verso Dio ritorna”, sapendo che il mondo materiale proviene dallo spirito per ritornare allo spirito, sapendo che tutto ciò che è materiale è soltanto, diciamo, un’altra forma di ciò che è spirituale.

13,4. “Si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita”

Si alza dal pasto. Il pasto della Terra sono tutte le forze di natura; adesso vi aggiungo spiegazioni che vanno al di là del fatto storico mingherlino: il pasto sono tutte le forze della Terra, riassume tutte le forze della Terra date in pasto all’uomo in quanto concorrenti all’erezione dell’Io. “Si alza dal pasto” quindi riassume tutte le forze che sono state date in nutrimento all’essere umano, in quanto forze di posizione eretta, poi “depone”. È bella questa polarità: Lui si innalza e depone, e cos’è che depone? La veste. Il Cristo lascia la sua veste solare per rivestirsi delle forze dell’asciugatoio. Si riveste dell’asciugatoio.

In altre parole, ripete tutta l’evoluzione che ha fatto passare la Terra dallo stato liquido allo stato solido: l’asciugatoio. La Terra si è asciugata, è diventata solida. Qual è il senso del “diventare solido” della Terra? Qual è il senso di questo asciugamento cosmico? La Terra è il punto, è il luogo in cui le forze cosmiche si asciugano. Qual’è il senso di questo asciugarsi? E’ il camminare, il poter stare in piedi. Ora, il Cristo lascia la sua veste cosmica fatta di questo mare di forze eteriche e si riveste di queste forze terrestri che creano nella Terra, con la Terra, l’asciugatoio cosmico delle forme solide su cui l’uomo può camminare, cingendosi di questo asciugatoio che sono le forze terrestri del solido su cui l’uomo cammina.

E cosa sarà il gesto successivo? Che rende i piedi umani capaci di camminare secondo la libertà. Conferisce agli esseri umani le forze secondo le quali, ognuno, ogni essere singolo, cammina sui suoi piedi. La lavanda dei piedi è il Cristo, l’amore del Cristo consiste nel rendere ogni essere umano capace di camminare con i suoi piedi. L’amore consiste nel rendere possibile il cammino della libertà. Quindi il Cristo non cammina per noi, non fa le cose al posto nostro ma ci pulisce i piedi, ci dà l’asciugatoio che è la Terra, cioè il sostrato solido per poter camminare, lava i piedi, sul testo c’è soltanto che li lava? C’è anche che li asciuga. Quindi anche nei piedi, anche in queste forze di volontà c’è proprio la capacità di camminare sul solido. Il Cristo dà agli esseri umani il sostrato solido, asciugato, della Terra su cui camminare, e due piedi asciugati, ossia anch’essi ben solidi per poter camminare.

In queste immagini viene detto che il Cristo crea e mette a disposizione degli uomini tutte le condizioni del cammino individuale perché ognuno cammini con le sue gambe nella libertà. Credo che un senso più bello della lavanda dei piedi proprio non si possa trovare, perché questo smettere la veste e cingersi dell’asciugatoio non ha soltanto il significato di un panno che si è tolto e di un altro panno che si è messo addosso, ma è sempre l’espressione di qualcosa che avviene a livello cosmico. Steiner descrive questa decisione del Cristo di entrare nelle forze della Terra. È la decisione di svestirsi di questo manto cosmico, di queste forze solari che sono stati la Sua dimora fino ad allora, perché finora il Cristo aveva avuto come Sua veste tutte le forze solari di Esseri gerarchici, di Angeli tutti al suo servizio, e ora li lascia per entrare nella sua povertà. “Smette questa veste” significa: termina di gestire gli uomini preparando la loro libertà e si unisce con le forze dell’asciugatoio, che è la Terra, per far posto adesso al cammino umano, lavando i piedi agli uomini.

“Si alza dal pasto, depone la veste”, nella traduzione italiana avete “si alzò da tavola” invece è “si alza dal pasto” c’è una bella differenza se il testo dice “da tavola” o “la cena”, “il pasto”.

Intervento. …da cena…

Archiati. “Depose le vesti e preso un asciugatoio se ne cinse…” quindi si riveste lui stesso delle forze della Terra, di questo asciugatoio cosmico, dove c’è il solido su cui camminare, il suolo solido su cui camminare. Ai primordi, la Terra era acqua, era elemento acqueo e soltanto in seguito si asciugò, si prosciugò. Quindi lui prende l’asciugatoio, che è il mistero delle forze formanti della Terra, e poi asciuga i piedi, dopo averli lavati; dopo la fase in cui le forze volitive dell’uomo sono ancora inserite nell’eterico i piedi vengono asciugati, in modo che le forze volitive dell’uomo si inseriscano nell’elemento fisico e l’uomo diventi attivo, cominci a camminare sulla Terra.

13,5. “Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto.”

“Lavarli” cioè renderli mondi, le forze volitive vorrebbero essere monde, pulite. Ci sono forze volitive inquinate e ci sono forze volitive pure. Le forze volitive inquinate noi le chiamiamo i poteri lesivi della libertà altrui, le forze volitive pulite, pure -i piedi lavati-, è un fare ed un agire che non s’impone all’altro, che non prevarica l’altro ma che contribuisce alla libertà di tutti. Quindi, i “piedi sporchi” e i “piedi puliti” simboleggiano una volontà inquinata ed una volontà pura. Che cosa fa pura la volontà? La volontà è pura quando è amante. La volontà è impura ed inquinata, sporca, quando è egoistica.

Quindi il lavare i piedi, il gesto del Cristo che lava i piedi, sta a dire: guarda che il tuo compito evolutivo, il tuo camminare, consiste nel rendere sempre più puri i tuoi intenti volitivi, ed essi sono puri nella misura in cui ciò che tu fai, gli scopi che tu ti proponi non sono lesivi della libertà altrui. E’ possibile agire, è possibile esprimersi come essere umano, senza ledere la libertà altrui?

C’è sempre stato chi dice: “no, non è possibile, ogni essere umano si impone, è un’imposizione, perché ognuno deve fare i conti così com’è”, invece l’intuizione dell’amore è un modo di pensare gli impulsi volitivi. È un fatto che ognuno di noi ha i suoi piedi, i suoi due piedi, ha i suoi impulsi volitivi individuali ed è un fatto che la lavanda dei piedi ci sta a dire che i piedi, cioè gli impulsi volitivi di tutti gli esseri umani, possono essere sia sporchi sia puliti, sia puri sia impuri, tutte e due le possibilità, altrimenti non ci sarebbe libertà.

Allora dobbiamo chiederci: quando i miei impulsi volitivi, quando gli impulsi volitivi in una persona sono puliti, sono puri e quando sono impuri? Sono puri quando favoriscono non soltanto la propria evoluzione ma anche quella degli altri, e sono impuri quando mirano alla propria evoluzione a danno degli altri.

C’è un’immagine di impulsi volitivi di un operare, di un esprimere il proprio essere che è al contempo individualizzato ma è al contempo un favorirsi a vicenda assoluto: è l’organismo, e perciò le scritture ritornano sempre a questa immagine dell’organismo, che l’umanità è in realtà un organismo, un organismo spirituale, siamo tutti membra dello stesso corpo. Essere membra dello stesso corpo significa che nella misura in cui rendiamo la nostra volontà sempre più pura laviamo i piedi sempre di più -i piedi stanno per gli impulsi volitivi-, ci viviamo a vicenda, facciamo l’esperienza, proprio ci percepiamo proprio come membra di un solo corpo. Le membra di un corpo hanno la duplice caratteristica che il funzionare, cioè l’espressione volitiva e operante di ogni membro, è diversa, è individuale: il cervello fa tutt’altra cosa che il polmone e il rene ecc. ecc, e ciò nonostante non s’intralciano a vicenda, non soltanto non sorge nessuna contraddizione ma avviene un assoluto favorirsi a vicenda, e questa è la salute.

Esseri umani che sono del tutto individualizzati nei loro impulsi volitivi, nel perseguire le loro mete evolutive, nell’intento di autorealizzarsi in quanto individui singoli e al contempo, proprio facendo questo, di favorirsi in assoluto a vicenda, come fanno gli organi, i membri di un organismo, cos’è tutto questo? E’ la metà evolutiva del cammino umano.

Ed è importante portare nella mente e nel cuore questa meta evolutiva per avere sempre davanti agli occhi la direzione che seguiamo, e perciò il testo dice: “Il Cristo li amò fino alla fine” (13,1), cioè li amò fino al compimento evolutivo di questi piedi che Lui sta per lavare.

In altre parole, il Cristo lava i piedi nella prospettiva di rendere, di incoraggiare ogni essere umano a purificare, lavare i suoi impulsi volitivi sempre di più fino a raggiungere la meta evolutiva dell’amore e la meta della saggezza divina, in modo che gli esseri umani attraverso una spiritualizzazione sempre maggiore -finché restiamo materiali questa contraddizione non si può del tutto sorvolare- comprendano che la meta ultima dell’evoluzione è l’esperirsi realmente, in un modo assolutamente reale, come membra di un organismo spirituale, membra del corpo di Cristo, membra del corpo spirituale del Cristo.

13,6. “Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”

Da questo versetto si evince che non vengono descritti tutti e dodici gli apostoli, ma viene descritto il modo in cui lava i piedi a Pietro adesso, perché Pietro rappresenta l’essere umano che si oppone a questo lavare i piedi. Ovviamente è inteso il Pietro in ciascuno di noi, perché ogni essere umano ha questi 12 impulsi, così come ogni essere umano deve avere il Giuda in sé da superare, da vincere -altrimenti non ci sarebbe la libertà- così ogni essere umano ha in sé il Filippo, l’Andrea, il Tommaso e il Pietro. Cosa fa il Pietro in ognuno di noi di fronte al Cristo che arriva fino a lui per lavargli i piedi? Non ci sta, si oppone. Pietro pensa: “o sei capo o sei servitore, non puoi essere tutti e due. Tu sei sempre stato il capo, adesso mi vieni a servire? No, è una contraddizione”.

Nella logica dell’amore è capo chi serve. Nella logica del potere di questo mondo si può essere capi soltanto non essendo servitori. Nella logica del potere di questo mondo essere capo ed essere servitore si contraddicono, nella logica dell’amore essere capo ed essere servitore si identificano. Ed è questo che Pietro non capisce e quindi il Cristo lo aiuta a capirlo.

Allora, il testo dice: “viene da Simone Pietro e questi gli dice: dice: Kurie (Kyrie), Signore -va tradotto con capo- tu lavi i piedi a me”? -su mou nipteiV touV podaV, sù mù vìpteis tùs pòdas?-

13,7. “Rispose Gesù: “quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”

La tua coscienza è nello stato di caduta, la tua coscienza è intrisa di egoismo, quindi non puoi capire, mentre sei in questo stato, la logica dell’amore. Aspetta Pietro, tu non lo puoi capire adesso, lo capirai man mano che vai avanti nell’evoluzione e trasformi, purifichi, lavi i piedi intrisi di egoismo, le volizioni intrise di egoismo, solo allora capirai che l’amore comanda servendo, adesso non lo puoi capire, perché l’egoismo comanda comandando, non servendo.

Il Cristo gli dice: “Pietro, abbi un po’ di pazienza, aspetta, ciò che io faccio -o egw poiw, o egò poiò- tu non lo capisci ora, non lo sai ora, lo capirai dopo, le capirai dopo queste cose”.

Pietro comincerà a capirlo a partire dalla resurrezione, quando il Cristo si avvicinerà a Pietro in un’altra dimensione. Una cosa che per esempio Steiner sottolinea è che questi due stati di coscienza -Pietro e Giuda- che accompagnano questo mistero della svolta corrispondono all’impulso dell’egoismo e all’impulso del potere; vi ricordate che al capitolo 10 il Cristo aveva detto: “coloro che sono venuti prima della forza dell’Io, sono ladri e briganti”? (v. 10,8).

- Ladro: il ladro ruba

- Brigante: il brigante picchia

Il samaritano s’imbattè nei briganti, questi lo picchiarono e poi gli rubarono quello che aveva. Il “rubare” è un termine tecnico che esprime l’egoismo. E’ l’individuo che succhia, succhia, succhia dall’umanità, prende tutto per sé senza ridonare, quindi ruba, perché chi prende per sé, chi si avvale dell’umanità -dobbiamo farlo tutti- per la sua evoluzione ma non ridà nulla, ruba. Se invece uno ridà tutto quello che riceve -e dobbiamo ricevere, non si può fare altrimenti- lo ridà, non ruba.

Tutto ciò che noi riceviamo o succhiamo dall’umanità e non lo ridiamo, è un rubare. Nella conferenza di Steiner che ho tradotto e che avete a disposizione, cosa dice Steiner in quella conferenza? “L’origine di tutti i mali sociali è la proprietà privata”. La proprietà privata è qualcosa che io ho ricevuto, perché dall’umanità deve venire tutto ciò che uno ha, e che non ridò. Quindi il ladro, l’egoismo -qui il ladro è Lucifero- prende e non dà. Prendere va bene, tutti dobbiamo prendere, il problema è il non dare, il non restituire; il ladro è tirchio nel restituire. Il brigante è l’impulso del potere, picchia, ti costringe, non ti lascia lì, ti costringe a fare qualcosa perché vuole raggiungere qualcosa.

Attorno al Cristo che entra nella sua morte c’è Pietro, che è il ladro, ladro nel senso tecnico della parola, e c’è Giuda che è il brigante. Il ladro si chiude in sé, non fa rifluire nell’umanità i doni che ha ricevuto -Steiner descrive il fenomeno di Pietro come oscuramento di coscienza- e qui, con Pietro, abbiamo l’inizio dell’oscuramento di coscienza. “Pietro tu non lo capisci ora” perchè la persona egoistica, che si chiude in se stessa, perde la coscienza dell’organismo dell’umanità a cui appartiene. Un visionario per esempio, è un ladro, si acchiappa delle immagini, si chiude in se stesso e perde la comunanza.

Quindi, accanto al mistero del Cristo, che entra nella sua morte, abbiamo -e nel vangelo di Giovanni poi ritornerà- la fenomenologia di Pietro ossia l’oscuramento di coscienza, e la fenomenologia di Giuda cioè il denaro, il potere, il tradimento e l’uccisione. L’essere umano che si chiude in se stesso e l’essere umano che picchia e uccide: Pietro e il Giuda. Però vanno capiti come forze necessarie, come controforze necessarie presenti in ogni essere umano.

Se il Pietro in noi fosse automaticamente in grado di capire la lavanda dei piedi non ci sarebbe libertà. Quindi il Cristo dice: “Pietro, guarda che capire il senso dell’evoluzione non lo puoi capire per grazia ricevuta, così d’acchito, è questione di conquista della libertà. Io ti sto soltanto lavando i piedi per renderti in grado, per darti la possibilità di camminare, ma il senso del camminare lo capirai soltanto man mano che cammini. Come puoi capire il senso del camminare senza camminare”? Questo il Cristo gli dice.

“Pietro quello che io faccio non lo puoi capire ora, lo capirai soltanto camminando, le capirai dopo queste cose -de meta tauta, dè metà tauta-”, nella risposta successiva di Pietro (13,9) è da notare che poco prima non voleva assolutamente che gli lavasse i piedi e poi gli chiede di essere lavato tutto quanto.

13,8 Gli disse Simon Pietro: “non mi laverai mai i piedi!” gli rispose Gesù: “se non ti laverò, non avrai parte con me”

Dice: “tu non mi laverai i piedi in eterno -eiV ton aiwna, eis tòn aiòna-, per tutto l’eone in cui ci troviamo”, allora il Cristo gli dice: “Gesù gli risponde: se io non ti lavo i piedi non avrai parte di me, resterai incapsulato in te stesso, resterai chiuso in te stesso”. Se tu non lavi i piedi, se non ti lasci lavare i tuoi piedi e non cammini sulle vie aperte all’umanità resti chiuso in te stesso; quindi, se io non ti lavo i piedi non avrai parte nel cammino dell’Io, non avrai parte di me, non potrai camminare per diventare sempre di più un Io, un Io individuale autonomo.

Pietro gli dice: “tu non mi laverai i piedi per questo eone”; “Se io non ti lavo i piedi” -Ean mh niyw, eàn mè nipso-, dice il Cristo, “non avrai parte all’evoluzione camminante passo per passo, che ti fa diventare un’individualità libera e amante”.

In altre parole: caro Pietro, non c’è evoluzione senza i piedi puliti, che sono volontà pura che cammina, che fa, che compie azioni e fa l’esperienza di tutti i passi dell’evoluzione. Gli dice: Pietro, i passi dell’evoluzione li devi fare tutti tu, però il Cristo ti lava i piedi, e guai se il Cristo non ti indicasse in che modo la volontà diventa pura, lavata, pulita. Allora, a questo punto Pietro risponde:

13,9 “Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”

“Signore, non soltanto i piedi ma anche le mani e la testa” è una triade, come vedete si tratta di una triade, prima c’erano soltanto i piedi, adesso ci sono anche le mani, le braccia -che rappresentano tutta la parte mediana del ritmo- e la testa che è il sistema neuro-sensoriale. Con la parola “testa” si indica tutto il sistema neuro-sensoriale, con le “mani” si indica tutto ciò che è di natura ritmica, soprattutto la respirazione e la circolazione del sangue, i “piedi” sono tutto ciò che è di natura metabolica; e quindi diciamo: la testa significa il pensare, le mani il sentire, i piedi il volere. Pietro sta dicendo: “Bene, allora non mi lavare solo i piedi, lavami anche il sentire -le mani e le braccia- e il pensare -la testa-”. Naturalmente dimostra ancora di non aver capito, perché il lavare i piedi significa rendere il cammino della libertà possibile, lavargli la testa invece significa sostituire la libertà. Quindi è chiaro, con la sua risposta cosa dimostra Pietro? Dimostra quello che il Cristo gli aveva detto, e cioè “tu non sei in grado di capire, adesso, cosa stai facendo” ha infatti capito l’opposto, e non ha capito che l’amore non consiste nel sostituirsi alla libertà, l’amore consiste nel renderla possibile.

Quindi il Cristo lava i piedi in modo da renderci capaci di camminare, ma non cammina per noi. A maggior ragione, non pensa certo al nostro posto. Se il suo scopo fosse quello di pensare al nostro posto non ci sarebbe nessun rinnovamento, l’ha fatto da sempre, il nuovo sono proprio i pensieri che ognuno crea e i passi che ognuno fa a partire dalla sua libertà, questa è la cosa nuova. E perciò il Cristo gli deve dire: “no, no Pietro, le mani, l’evoluzione delle mani e l’evoluzione della testa sono il mistero della libertà individuale di ogni uomo”.

Le condizioni, creare le condizioni del suolo e dei piedi capaci di camminare, questa è la grazia, questo è amore divino. Quindi, l’amore divino ti rende capace di camminare e camminando, facendo le esperienze che il tuo karma -verso il quale vai camminando- ti porterà, l’amore divino ti farà capire quali impulsi del sentimento devi coltivare dentro di te e, a maggior ragione, ti porterà a pensare sempre di più autonomamente, con la tua testa.

13,10. “Soggiunse Gesù: “chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; voi siete mondi, ma non tutti”

Chi è lavato, pulito, chi ha fatto il bagno… qui dice: “colui che ha fatto il bagno, non ha bisogno che di lavarsi se non i piedi -O leloumenoV ouk ecei creian ei mh touV podaV, o lelumènos uk échei chrèian ei mè tùs pòdas-” . Allora, che vuol dire che “si è fatto il bagno”? Per una persona umana normale, alla fine della giornata, c’è bisogno soltanto di lavare i piedi perché la lavatura di tutto l’essere umano è già avvenuta, questo sta dicendo. Ovviamente non va inteso soltanto in senso fisico. Questo punto almeno è chiaro, perché se interpretiamo tutto soltanto in modo fisico è ridicola la cosa: “chi ha fatto il bagno”, che significa “chi ha fatto il bagno”? Significa che viene presupposto che al momento in cui il Cristo compie la lavanda dei piedi ogni essere umano è stato lavato. E cos’è questa lavatura che ognuno porta con sé?

Intervento. Il battesimo?

Archiati. Il battesimo, che vuol dire?

Replica. Quando il Battista lo immerge…

Intervento. L’Io?

Archiati. L’Io… in che senso? Articola un paio di frasi.

Replica. Nel momento in cui io ho sviluppato il mio Io mi sono liberato di tutto il passato di natura, di quello che è stata la caduta di natura, così io col mio io mi rendo libero, sono pronto a…

Archiati. Quindi la potenzialità della libertà, che è presente al centro dell’evoluzione, rende pura -è la purificazione- tutta la natura perché ne ha quel significato: puro.

Quindi ogni essere umano, al centro dell’evoluzione, all’ora in cui il Cristo compie la sua morte, dove i tempi sono compiuti, nella pienezza dei tempi, ha ricevuto la potenzialità della libertà, è capace di libertà. Essere capace di libertà è la purezza, la purificazione della natura. E cos’è che rende la natura, il dato di natura nell’uomo, impuro? La necessità, perché tutto ciò che è di necessità è impuro nell’uomo, perché l’uomo è chiamato a trasformare tutto in libertà. Quindi, la potenzialità, la capacità, la potenzialità di libertà, è la purificazione, la purezza di tutta la natura. Però adesso, si tratta di attualizzare questa potenzialità.

Intervento. E’ già attuata la purezza, dandoci la potenzialità, oppure dobbiamo aspettare che l’uomo…

Archiati. Non è ancora attuata la purezza dell’uomo, ma è attuata la mondezza della natura, il rendere pura la natura. In altre parole, la natura umana, la natura dell’uomo diventa pura a partire dal momento in cui l’uomo ha la potenzialità della libertà, perché è possibile cambiarla tutta in libertà. L’attuazione di questa libertà, è questo il cammino della libertà, i piedi che devono camminare. Quindi una volta ricevuta questa mondezza intrinseca che è la capacità, la potenzialità della libertà si tratta soltanto di muovere i piedi, di attuarla.

Intervento. La coscienza della potenzialità, ad un certo momento l’uomo è cosciente di avere questa potenzialità?

Archiati. In altre parole, la Grazia divina non consiste nel darci la libertà, perché non sarebbe libertà, non saremmo liberi. La Grazia divina è la purezza dell’essere umano. Quindi l’operare della Grazia divina nell’uomo è la sua purezza. In cosa consiste la purezza dell’uomo, l’operare della Grazia divina? Non nel renderci liberi ma nel renderci capaci di libertà, questa è la purezza dell’operare della Grazia. La libertà non si può dare dal di fuori, la si può solo rendere possibile. Quindi la mondezza -non l’immondezza- ma la mondezza della natura umana, la purificazione della natura dentro all’uomo, è la potenzialità della libertà, la capacità intrinseca di trasformare tutto in libertà, e ogni essere umano che è stato pulito, che è stato lavato, che è stato mondato -in quanto la Grazia divina gli purifica tutta la natura rendendola capacità di libertà- ha bisogno soltanto dei piedi per camminare, per infondere questa stessa purezza dentro agli impulsi volitivi, per attuare coi passi evolutivi, questa capacità di libertà.

Questo tipo di interpretazione che arriva a dire “una volta fatto il bagno” banalizza molto il testo perché il Cristo non può aver detto a Pietro: chi ha fatto il bagno ha bisogno soltanto di lavare i piedi.

Intervento. Eh no, anche perché se s’è fatto il bagno, s’è lavato pure i piedi…

Intervento. Posso associare ai piedi la base istintiva dell’uomo?

Archiati. No. I piedi rappresentano gli impulsi volitivi.

Replica. Gli impulsi volitivi?

Archiati. La volontà.

Replica. Per cui anche le mani, la base emozionale, sono fuori tema?

Archiati. No, è un’altra sfera.

Replica. E’ un’altra sfera. Ho capito.

Archiati. I piedi rappresentano le volizioni, cioè ciò che una persona vuole, le mete, gli scopi, gli intenti, le decisioni.

Replica. C’è cascata lì una conclusione, saltando un momento da quando Gesù va da Matteo e trova la Maddalena che gli asciuga i piedi, gli tocca le mani e i capelli.

Archiati. L’abbiamo già fatto, quella scena si svolge in tutt’altro contesto, con questa domanda ci porti fuori dal contesto.

Replica. Sentivo di voler chiarire questo, per me personalmente…

Archiati. No, il testo non lo puoi chiarire andando via dal testo. Il testo lo capisci soltanto nel con-testo, quindi il testo è il suo stesso contesto. Se questo testo mancasse di qualcosa, che è necessario per capirlo, sarebbe un testo deficiente. Il contenuto del vangelo di Giovanni è così perfetto che tutto ciò di cui hai bisogno per capire il testo è nel contesto, altrimenti sarebbe un testo imperfetto, e allora cercheremmo altri testi su cui lavorare. Quindi, ogni andar via dal testo per trovare altrove una spiegazione del testo, invece di servire a qualcosa, ti porta via.

Replica. Pensavo di rafforzare, invece di…

Archiati. No, no, così vai via dal testo, vai in un altro contesto, e un altro con-testo non serve a questo testo.

Replica. Anche questo testo è un testo elevato …come un piano…

Archiati. Non si tratta di elevare, si tratta di non mollare e di restare, parola per parola, inciso per inciso, masticare senza andare via, e nel momento in cui tu vai via dal testo, allora tutto è permesso

Replica. Mantenere l’ottava.

Archiati. Dov’è l’ottava qui nel testo?

Replica. Il testo.

Archiati. No, l’ottava, tu hai parlato dell’ottava, non c’è qui l’ottava.

Replica. Ha dei passi… che sono…

Archiati. I passi ci sono in quanto si tratta di piedi. Voglio dire questo: o facciamo un tipo di esercizio, di spiegazione che s’impone come disciplina mentale di restare, di usare le immagini, le categorie, i concetti che il testo mi dà, oppure decido di usare tutto quello che mi pare, fuori dal testo, e allora tutto è permesso, però diventa tutto arbitrario perché non fa parte del testo.

Replica. Contribuisce alla confusione…

Archiati. Sta attento, quello che voglio dire è che adesso abbiamo fatto uno sforzo per capire cosa intende dire con “il lavato” -leloumenoV (lelumènos)-, poi tradotto “chi ha fatto il bagno”; in greco c’è “chi è lavato”, la mia domanda a te sarebbe: se non vogliamo uscire dal testo, mi dici chi è “il lavato”? Questo è il compito da affrontare. Siccome il compito è difficile tu te ne vai all’ottava, vedi? E quando sei all’ottava mi puoi dire tutto quello che vuoi. Nel testo c’è “il lavato”, me lo dici che significa?

Replica. Pronto per?

Archiati. No, pronto e lavato sono due categorie del tutto diverse, per lavato intende una immondezza che viene lavata, in pronto l’immondezza non c’è, vedi? Vedi che non mi serve? Ditemi qualcos’altro sul lavato

Intervento. Mondo, che è lavato.

Archiati. Da che cosa? Una spiegazione non si fa con una parola.

Replica. Mondo come participio del verbo mondare, vuol dire anche lavare…

Archiati. Sì, mondato, ma da che cosa?

Intervento. Mondato nel senso della parte terrena che c’è in me…

Archiati. Vedi che adesso cominci ad entrare…

Intervento. Mondato dal dato di natura.

Archiati. Mondato dal…da che cosa?

Intervento. Dall’egoismo.

Intervento. Dall’incrostazione.

Intervento. Dal determinismo.

Intervento. Dall’egoismo…non so…

Archiati. Quello di mondare dall’egoismo è il compito della libertà, se me lo fa lui, se mi monda lui, non c’è più nulla da fare. Che proposta ho fatto io?

Brusio.

Archiati. Vi ho detto che se la mondezza fosse la purificazione dall’egoismo, la libertà non avrebbe più nulla da fare, sparirebbe la libertà.

Intervento. E’ una potenzialità.

Archiati. Resta soltanto la potenzialità, non si scappa.

Intervento. Allora, lavato da?

Archiati. Lavato dall’essere in tutto e per tutto assoggettato al determinismo di natura, che è l’impurità della natura umana, perché la natura umana è pura soltanto in quanto potenzialità di libertà.

Intervento. Lavato dal determinato.

Archiati. Lavato dal determinato, però senza negargli la libertà, se no non ha niente da fare.

Intervento. Lavato dal determinato perché comincia a…

Archiati. Per dargli la possibilità…

Replica. Di usufruire della libertà.

Archiati. E questo si chiama potenzialità.

Replica. Però qui sembra che già tutti siano mondi, mondati, ma è una lotta continua, da…

Archiati. No, quella è l’attuazione della libertà.

Replica. E’ la lavanda dei piedi quella…

Archiati. No, i piedi ti vengono resi liberi per camminare, camminare lo devi fare tu. In altre parole, se noi non torniamo ad Aristotele questi concetti rimangono troppo difficili, se vogliamo restare al lavato in senso letterale, allora diciamo lavato e basta. Se invece vogliamo capire il lavato dobbiamo tradurlo in concetti, e se lo traduciamo in concetti bisogna inevitabilmente tornare ai concetti fondamentali di tutto il pensiero occidentale, a partire dai greci. Aristotele, Tommaso D’Aquino, quali categorie fondamentali hanno posto? La distinzione fra potenza e attuazione. Perché è così importante in Aristotele, in Tommaso D’Aquino e anche in Steiner la distinzione fra potenzialità, cioè la capacità di fare qualcosa e il farlo? Perché se io non distinguo fra la potenzialità della libertà e l’attuazione della libertà, della libertà non capirò nulla.

La Grazia mi dà la capacità della libertà, ma non la libertà. Se io non faccio questa distinzione, non capirò mai nulla, farò confusione all’infinito. E il vangelo -che naturalmente non ripete Aristotele in termini di concetti metafisici- lo mette in immagini, però le immagini le devo capire, ma non le capirò, non posso capirle, se non faccio la distinzione tra una capacità, una facoltà che mi viene data per grazia e l’esercizio di questa facoltà, che dipende dalla mia libertà. Perché un conto è avere la capacità di fare un qualcosa, un conto è farlo; però se uno non ha la capacità di farlo non può farlo, invece se uno è capace di farlo lo può fare, ma può anche non farlo, e quella è la libertà.

In altre parole, la Grazia ha reso ogni essere umano capace di libertà. Questa è la purezza, la mondezza della natura umana: più bello di così non si può, santa pace. Però la Grazia non può donarti la libertà, altrimenti che libertà sarebbe? Una libertà per Grazia ricevuta non è libertà.

Quindi si capisce perché per un Aristotele e un Tommaso d’Aquino la distinzione fra facoltà/potenzialità e attualizzazione/esercizio -lo stabilire che sono due processi del tutto diversi- questa distinzione è importantissima. Se vado indietro di qualche anno a quando avevo 22-23 anni, ricordo che nel primo semestre di lezioni in latino -alla Gregoriana- in metafisica aristotelica imparavamo bene la differenza tra potenzialità ed attuazione.

Renato mi dice che mi devo dare una calmata e poi una mossa di denti, perché pare che la capacità, la facoltà di mangiare ce l’abbiamo tutti, per Grazia ricevuta, però l’esercizio del mangiare lo deve fare ognuno: buon appetito.

Domenica 22/02/2004. Sera
vv. 13,11 – 13,17

13,10. “soggiunse Gesù: “chi ha fatto il bagno…” Gesù disse: “colui che è lavato, mondo, puro, non ha bisogno d’altro se non di lavare i piedi”. Il primo verbo che dice lavare, e il secondo verbo è tradotto anch’esso con lavare, ma in greco sono due verbi diversi: luw (luo) e poi niyw (nipso); luw è un lavare più duraturo, niyw invece è una lavata singola, che si fa spesso. Quindi, luo si riferisce ad una mondezza in quanto facoltà costante e nipso si riferisce alle concrete puntuali attuazioni di queste facoltà. La lingua greca ha in due verbi diversi tutte e due queste tipologie di lavare, è come la purezza e la purificazione: la purezza è uno stato costante, la purificazione è l’attuazione della purezza. Chi segue il testo in greco vede che sono due verbi diversi e invece in italiano immagino che tutte e due le volte abbiate lavare, no?

Intervento. Lavare.

Intervento. Ha fatto il bagno.

Archiati. Ma tutte e due le volte “ha fatto il bagno”?

Replica. No, in una “ha fatto il bagno” e nell’altra “lavare”.

Archiati. No, chiedevo se c’è qualcuno che ha una traduzione dove in tutte e due le volte c’è lavare. Allora non ha bisogno che di lavare i piedi, ma è kaqaroV oloV (katharòs òlos), tutto puro e kaqaroV (katharòs) purificato.

Intervento. Ed è puro…

Archiati. Ed è puro tutto oloV (òlos), “ e voi siete puri”; quindi vedete che è un’affermazione sull’essere umano, “voi siete puri” è un’affermazione sulla natura umana, sulla condizione umana. Poi dice: “eccetto”, cioè “voi siete puri, ma non tutti”, per 11/12 siete puri e per 1/12 non lo siete, e dice:

13,11. “Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: “non tutti siete mondi”

Il tradentelo (nel greco c’è proprio questa forma -ton paradidonta, tòn paradidònta-), c’era colui che stava per tradirlo e perciò il Cristo disse “non tutti siete puri”. Finché dice “siete tutti puri” abbiamo 12 uomini, ma quando dice “siete tutti puri eccetto uno” vuol dire che 11 sono puri e uno è impuro. Però io vi dicevo che entrambe le prospettive sono giuste. Perché dice “tutti puri eccetto uno”? L’uno è il Giuda, e perché viene escluso? C’è un’altra prospettiva di lettura, più profonda: se prendiamo le 12 forze fondamentali in ogni essere umano sembra contraddittorio il dire che la natura umana è tutta pura “eccetto uno”, viene da chiedersi: ma allora è tutta pura o no? Non del tutto. Che vuol dire?

Intervento. Che c’è quel dodicesimo in ciascuno?

Archiati. La natura umana, in quanto natura umana, è tutta pura, e infatti Lui dice “siete tutti puri”, però per l’esercizio della libertà ci dev’essere la possibilità di farsi possedere dal maligno. Quindi, quando dice “siete tutti puri eccetto uno” si riferisce non ad un frammento di natura umana che non è pura ma alla possibilità di diventare posseduti dal diavolo, e proprio con questa dicitura, dicendo le cose in questo modo annuncia già che Giuda rappresenta la possibilità di possesso di ogni essere umano. In altre parole, l’omissione della libertà ha due stadi fondamentali: il primo stadio dell’omissione crea un vuoto, nel secondo stadio dell’omissione questo vuoto lo riempie un essere maligno extra-umano, e questo è l’essere posseduti. Tant’è vero che dirà fra poco: “uno di voi mi tradirà: colui che innalza il suo calcagno su di me, sulla Terra, e dà il boccone a Giuda, e dietro al boccone entrò Satana”. Quindi fa parte non della natura umana ma fa parte dell’evoluzione nella libertà che, nella misura in cui l’essere umano crea dei vuoti in sé perché omette la libertà, dia ad esseri maligni antiumani la possibilità di entrare e di possedere l’uomo.

Il fenomeno del posseduto, cos’è? Che fenomeno è? Il concetto è che se noi partiamo dal presupposto che il mondo è pieno di esseri spirituali e se facciamo un altro presupposto, che ci devono essere tanti esseri spirituali che ci invidiano questo corpo umano che esprime addirittura la libertà dello spirito umano, possiamo anche immaginare che ci siano tanti esseri extra-umani che stanno lì ad aspettare che ci siano dei frammenti dell’umano che l’individuo non prende in mano lui stesso, e lo prendono in mano loro. Uno dei fenomeni fondamentali dell’operare del Cristo, soprattutto nei sinottici, qual è? La cacciata dei demoni. Che significa cacciata dei demoni?

Intervento. La cacciata di questi spiriti che si sono impossessati di alcuni esseri umani.

Archiati. Come fa uno spirito extra-umano ad impossessarsi di un uomo? Perché è proprio questo che avviene a Giuda: dopo che Giuda riceve il boccone non è più Giuda ad agire, Giuda è sparito, Satana entrò dentro di lui; quindi a quel punto lì agisce Satana. Come avviene una cosa del genere? Il corpo umano, la corporeità umana, sia fisica sia eterica è lo strumento nel mondo fisico, più perfetto che ci sia, di sicuro più perfetto delle pietre, più perfetto delle piante, più perfetto degli animali. Se l’uomo non lo usa, supponiamo che l’uomo non usi il suo cervello, se lui stesso non usa il suo cervello per pensare pensieri suoi, è importante che comprendiamo che ci sono tanti esseri che stanno ad aspettare di potersi servire del nostro cervello per pensare loro col nostro cervello, per fare loro questa esperienza.

Uno legge un articolo di giornale, supponiamo che recepisca passivamente senza criticare minimamente, senza vagliare il pensieri che sono scritti lì, senza prendere posizione, senza pensare lui pensieri suoi su questo qui, cosa avviene spiritualmente?

Intervento. Verrà posseduto?

Archiati. E’ un fenomeno di possedimento parziale ma reale però, non è che questi pensieri estranei al mio spirito mi posseggano in toto, però mi posseggono, sono a livello parziale di un posseduto perché non sono pensieri miei. Chi si sta servendo del mio cervello per pensare questi pensieri?

Intervento. Quello che ha scritto l’articolo.

Archiati. No.

Intervento. Il giornalista.

Archiati. No.

Intervento. Lo spirito del giornalista.

Archiati. No, è qualche spirito extra-umano, perché quando io leggo i pensieri del giornalista non è che entrino in me i suoi pensieri, i suoi pensieri sono nella sua testa, attenti bene, i suoi pensieri sono nella sua testa, non vanno a finire sulla carta, sulla carta non ci sono i pensieri. Quindi non entrano in me i pensieri del giornalista. Qualche diavolo reale si serve del mio cervello per pensare i suoi propri pensieri, perché il giornalista quando pensa i suoi pensieri si serve della sua testa.

Intervento. Giusto.

Archiati. Lui non può servirsi della mia testa per pensare i suoi pensieri, in quanto uomo. Però un diavolo ha la capacità di servirsi della mia testa per pensare i suoi pensieri, basta che io ometta di pensare i miei, basta che io ometta di usare il mio cervello per pensare i miei pensieri. Chi pensa in me quando io ripeto soltanto i pensieri che ha scritto quel tale giornalista? Un qualche diavolo, in senso realissimo. Ripeto: è possibile che lui, il giornalista, è possibile che il giornalista pensi i suoi pensieri attraverso il mio cervello? No, questo è escluso. Può pensare i suoi pensieri soltanto attraverso il suo cervello. Come vengono pensati i suoi pensieri attraverso il mio cervello? Ci deve essere un terzo spirito che si avvale del mio cervello per pensare i suoi pensieri. In questo modo la cosa è pensata pulita e non si scappa, perché i suoi pensieri, o li pensa lui, però li può pensare soltanto col suo cervello, o li penso io, ma allora sono i miei pensieri sui suoi pensieri. E’ chiaro?

Intervento. Possono anche coincidere.

Archiati. No, quando io sono d’accordo con un altro non c’è un processo solo di pensiero, sono due processi di pensiero: lui li produce, io li produco, produciamo lo stesso, però i processi del produrre, le attività del produrre sono due.

Intervento. Certo.

Archiati. E’ ben diverso. Se nel mio spirito non c’è un’attività di produrre pensieri miei, chi si serve del mio cervello per pensare i suoi pensieri? Ovviamente un terzo spirito.

Intervento. Ma a cosa gli serve al terzo spirito pensare i pensieri del giornalista? Come li usa?

Intervento. Perché ci dovrebbe essere qualcosa che ci rimbalza, che il lavoro che fa il diavolo ci rimbalza, io lascio il mio cervello senza i miei pensieri, qualcuno prende il posto e pensa i pensieri del giornalista, però si dovrebbero riflettere su di me in qualche modo.

Archiati. Sì, allora questo diavolo ci deve essere o potrebbe anche non esserci?

Intervento. Non c’è se penso io i pensieri…

Archiati. No, non entra dentro di me se io penso i miei pensieri, ma lui ci deve essere, è necessario che ci sia o potrebbe anche non esserci? È necessario che ci sia se no la libertà non ci sarebbe. Allora, gli è stato dato il compito di far di tutto per servirsi del cervello di coloro che non usano il proprio cervello per pensare.

Intervento. Quanti diavoli, allora.

Intervento. Certo.

Archiati. Guarda quanti spiriti umani abbiamo. Quindi vedi che il materialismo è veramente un’enorme povertà di spirito, pensare che il mondo sia senza spirito è limitante.

Intervento. Sono solo spiriti negativi? Cioè, se i pensieri che io leggo sono positivi, comunque se io ometto di avere i miei pensieri, sono sempre veicolati dentro di me da una forza negativa?

Archiati. No. L’unica cosa negativa è l’omissione della libertà. Però l’omissione della libertà bisogna che sia possibile se no non saremmo liberi. Allora, questi demoni -noi li chiamiamo demoni ma sono controforze necessarie- hanno il compito di rendere possibile la libertà, quindi hanno il compito di rendere possibile la possessione, il possedimento. È il Mefisto del Faust: il Padreterno dà al diavolo -non è un diavolo in senso di cattivo- il compito di usare il cervello umano quando l’individuo non lo usa lui; e per rendergli questo compito appetibile -sennò Mefisto non lo eseguirebbe, gli direbbe: non mi piace fare questo, fallo tu- cosa gli deve dare? Che ci deve trovare un minimo di gusto, se no se non c’è gusto non lo fa.

Quindi, soggettivamente, psicologicamente, se vogliamo parlare della psiche, dell’esperienza interiore di questi diavoli, dobbiamo partire dal presupposto che ci trovino un minimo di gusto, un minimo di vantaggio nell’usare un cervello umano per pensare, che facciano delle esperienze che altrimenti non saprebbero fare, che capiscano cose che diversamente non potrebbero capire, altrimenti rifiuterebbero di eseguire il compito affidatogli dal Padreterno. Però necessari lo sono, sono necessari.

Intervento. La coscienza di essere posseduti è già una difesa di per se stessa oppure non è sufficiente?

Archiati. Prendiamo Giuda, è il compito che ci viene dato adesso… qualcuno si è lamentato che m’interrompete troppo spesso e io non vado avanti col vangelo.

Intervento. Vediamo Giuda che è il parametro…

Archiati. Adesso veniamo a Giuda. Giuda viene posseduto da Satana, e quello che ci stiamo domandando, ed è importante che ci chiariamo un pochino le idee, che fenomeno è? Come avviene? Non è più Giuda ma è Satana. Partiamo, facciamo tutti i passi, tutti i passi fondamentali: supponiamo che -il vangelo dice che è così, ma comunque io per non essere troppo dogmatico vi faccio già i passi- il primo passo sia che Giuda ha un’enorme brama di potere, mettiamo denaro e potere, è la stessa cosa. Supponiamo che Giuda sia un uomo posseduto dalla brama, qual è la domanda successiva da chiedere? La domanda successiva da chiedere è: un uomo intriso da una forte brama di denaro e di potere, è libero?

Intervento. No, no.

Archiati. Ah, ci andate veloci voi, che vuoi dire dicendo che non è libero?

Replica. E’ qualcuno che dipende dalla brama…

Archiati. E’ posseduto dalla brama. Che vuol dire è posseduto dalla brama?

Replica. Che non può fare diversamente…

Intervento. Nei suoi pensieri di potere…

Intervento. Che sente questa brama…

Intervento. Il suo pensiero fondamentale è la brama, soprattutto…

Archiati. Ma perché non è libero?

Intervento. Perché ha paura di perdere…

Intervento. Non può scegliere…

Archiati. Perché?

Intervento. Perché non ha un’azione chiara…

Archiati. Perché? Lo dici alla svelta, lo dici così…

Replica. Perché vuol seguire la sua brama che è il potere

Archiati. No, lui ti dice: io sono libero, io scelgo liberamente di volere il denaro e di volere il potere. Sono liberissimo.

Intervento. E’ implicita una schiavitù.

Archiati. Lo dici, ma dirlo non basta, devi articolare. Perché? Perché è implicita una schiavitù? Non basta dirlo.

Replica. Non può esserci un’alternativa, se dici che è preso dalla brama…

Archiati. Ma no, io voglio accumulare più denaro possibile, ma sono liberissimo di farlo in questo modo o in questo modo, o in questo modo…

Replica. Ma non sei libero di non farlo…

Archiati. Non sei libero di non farlo, sei sicuro?

Replica. Io le dico questo…

Archiati. Uno che si gode, supponiamo, il pensiero tanto quanto Giuda gode il denaro, non è libero di non godersi il pensiero?

Intervento. Bisogna vedere, il denaro a cosa gli serve? Qual è il fine del denaro?

Archiati. Questo è estrinseco all’uomo.

Intervento. Chi è che brama? Chi è il soggetto, bisogna vedere chi è il soggetto, secondo me.

Archiati. Comunque vedete che ci rendiamo conto che sono processi di pensiero che finora non abbiamo fatto e che però vanno fatti e allora cerchiamo di farli, ma non facciamo finta di averli già fatti.

Intervento. La domanda è: se lo rende più libero, perché è vincolato da questo desiderio?

Archiati. Come agisce una brama nell’uomo?

Intervento. Monopolizza tutte le sue facoltà, come la droga…

Intervento. Oscura la coscienza.

Archiati. Oscura la coscienza. Perché?

Intervento. E’ una forza biologica, vitale…

Intervento. No, è una dipendenza.

Intervento. Agisce, aumentando sempre di più.

Archiati. Agisce aumentando sempre di più?

Intervento. Ieri hai portato l’immagine della bilancia fra le cose del Cielo e le cose della Terra, fra il potere e l’amore, è l’immagine della bilancia.

Archiati. La bilancia è libera, quando comincia a pesare giù di qua non è più libera.

Replica. Questa è un’immagine.

Archiati. Sì, però, fuori immagine, che cosa significa? Qual è l’esperienza interiore? E’ questo che stiamo vedendo, qual è l’esperienza interiore?

Intervento. L’insoddisfazione, non si è mai contenti…

Archiati. Vabbè. Prendiamo la cosa dall’altra parte, che è un pochino più facile. Ci siamo resi conto che siamo all’inizio di questo tipo di presa di coscienza, abbiamo chiesto: cos’è il condizionamento della brama? Facciamo un’altra domanda: cos’è la libertà, che esperienza è?

Intervento. Liberazione dal condizionamento.

Intervento. Poter scegliere.

Intervento. L’appagamento è la libertà, cioè, se tu raggiungi un obiettivo nella libertà, hai la sensazione di aver appagato qualche cosa. Nella brama non hai mai il senso di appagamento, non hai mai una cosa che finisce.

Intervento. Forse hai la libertà, è sempre una possibilità.

Intervento. Si può sempre fare l’esempio del chirurgo e del bambino che desidera il latte: ci sono diversi livelli di consapevolezza e quindi di soggetto che sta agendo in un caso o nell’altro…

Intervento. Vi è nell’esperienza della libertà che uno pensa di aver sciolto il legame da un vincolo, di essersi liberato da un qualche cosa di materiale…

Intervento. L’oggetto diventa soggetto, la brama diventa oggetto.

Intervento. La libertà è poter scegliere.

Intervento. E’ aver sempre una possibilità, cioè una possibilità nuova.

Intervento. La brama invece attua il proprio bene ma a scapito degli altri.

Intervento. Nella brama non hai un’unione dell’amore con il pensiero, non hai delle unioni di forze che si complementano, nella libertà tu unisci delle forze di pensiero con delle forze d’amore. Nel raggiungimento della brama, qualcosa la devi lasciare a discapito, non puoi raggiungere una brama con amore perché non ti è permesso.

Intervento. La libertà è che posso scegliere.

Archiati. Che vuol dire “posso scegliere”?

Replica. Ho le possibilità contrapposte di lasciare o di prendere.

Archiati. Sei neutra nei confronti di tutte e due? Perché molti scienziati ti dicono: no, questo essere neutri da tutto non esiste, o sei portato un po’ più di qua o sei portato un po’ più di là, solo che non te ne accorgi.

Replica. Però certamente se sono sottoposta in un certo momento ad una brama, non sono libera di fare altro che tutto il possibile per soddisfarla -perché non sono libera- perché io sono già una vittima di questa brama, se brama è, io non posso fare altro che fare di tutto per soddisfarla. Quindi è lei che mi muove, io che libertà ho più? Non ne ho.

Archiati. Diciamo che la differenza fra essere posseduto da una brama ed essere libero, una differenza fondamentale che si può dire ugualmente in tanti modi, è che l’essenza della brama è di voler avere qualcosa. L’essenza della libertà è nel non avere bisogno di avere nulla perché l’esperienza della libertà è la capacità di diventare tutto. Se io posso diventare tutto non ho bisogno di possedere nulla, perché posso io diventare io tutto. E qual è la facoltà che dà all’uomo la possibilità di diventare tutto? Il pensiero. Quindi soltanto col pensiero libero l’uomo… perché man mano che io faccio l’esperienza di poter diventare tutto, mai più mi accontento di possedere qualcosa. Il poter diventare tutto è molto più appagante!

Quindi, l’origine della non-libertà è la proprietà privata, il desiderio di avere. Nel desiderio di avere io devo portar via agli altri ciò che ho, perché nella misura in cui ognuno di noi, in quanto spirito pensante, ognuno di noi capisce che può diventare tutto, nessuno più si sogna di portar via qualcosa agli altri.

Il concetto del triangolo, ad esempio, lo possono pensare mille spiriti, milioni di spiriti umani possono, contemporaneamente, diventare triangolo. Quindi la brama è la tentazione, la controforza che mi spinge a possedere, e nella misura in cui io voglio possedere sono posseduto.

Intervento. Cioè?

Archiati. Sono posseduto dalla cosa che voglio possedere, questa è la brama. Quindi l’unico modo di uscire dalla brama è di non voler possedere più nulla, mai nulla, perché scopro che è molto meglio, mi dà molta più beatitudine diventare tutto.

Intervento. Anche utilizzare ciò che è importante…

Archiati. Che vuol dire “utilizzare”?

Replica. Farne l’uso secondo la necessità del momento, e poi basta.

Archiati. Circolazione, tutto deve essere in circolazione. Se tutto resta in circolazione, non diventa oggetto di brama. Oggetto di brama significa: lo voglio fermare per me. Ma lo posso fare soltanto portandolo via agli altri.

Intervento. Perché in quel momento entra il demone?

Archiati. Perché il Vangelo ti dice: Giuda era colui a cui era affidata la cassetta del denaro, e invece di godere che il denaro circola ed è bene di tutti lui lo intascava per sé. Quindi queste immagini della brama che il Vangelo ti dà devi usarle perché sono le migliori, se no il Vangelo di Giovanni te ne darebbe altre, per capire il mistero del rapporto tra la brama che mi possiede e la libertà che è liberazione da ogni possedimento. In che modo la brama del denaro mi possiede? Giuda prende il denaro per sé, che esperienza fa? Che ne vuol fare del denaro?

Intervento. E’ un impossessarsi, è una sottrazione agli altri… cioè lo nega agli altri.

Archiati. E’ un esercizio di potere.

Intervento. In altre parole la brama è un demone.

Archiati. La brama è un demone, diciamo che è un’astrazione per non dire che è un demone. Vedi che tu hai reagito al punto dove saltava fuori la prospettiva che il mondo è pieno di spiriti? Proprio perché non ti sei accorto che lì si va a finire. Ciò che noi chiamiamo brama è uno spirito demoniaco, demoniaco per l’uomo, nel senso che può entrare nell’uomo soltanto possedendolo perché si mette al posto di una omissione di libertà, dove c’è un vuoto di libertà.

Intervento. Anche nei pensieri, non è possibile avere un “orgoglio” del pensare… e di conseguenza…

Archiati. Chiamare in causa la categoria dell’orgoglio adesso complica le cose.

Intervento. E’ il contrasto, è… come dire, l’opposto dell’eros.

Archiati. Cosa intendi per eros?

Replica. Eros è questa tensione di andare verso gli altri, quindi l’esperienza di libertà è un’esperienza che non viene a favore esclusivamente tua ma anche degli altri. Allora è libera. Quando invece è dettata dalla brama è di esclusivo uso personale e a questo punto, come dicevi tu, sei posseduto…

Intervento. Se io bramo di capire tutto, è una brama?

Intervento. Eros conoscitivo.

Archiati. L’hai detto astrattamente. Come ti comporti nella brama di capire tutto? Non hai tempo, non dedichi tempo né a tua moglie né ai tuoi figli, che cos’è? Cosa salta fuori?

Replica. Che rubo agli altri?

Archiati. Eh, vedi? Perché sei posseduto da una brama.

Intervento. Che è un demone…

Intervento. Però, bramare non è un termine così negativo, perché se per bramare intendo dire togliere agli altri è negativo ma se per bramare intendo bramare la conoscenza… è mica detto che devo bramare solo in negativo…

Archiati. Però normalmente non si parla di brama di conoscenza, proprio questo è il punto.

Intervento. Perché ci sono brame e brame.

Intervento. C’è desiderio e brama.

Archiati. Sì, il desiderio non è la stessa cosa che la brama, il desiderio ha un livello di libertà, io sono libero nei confronti di un desiderio a tutt’altri livelli che nei confronti di una brama. Il concetto di desiderio nella lingua italiana -perché dobbiamo anche intenderci su come usiamo i vocaboli- il genio del linguaggio italiano ha creato queste due parole: desiderio e brama. Se noi comprendiamo bene tutte e due le parole, la differenza sostanziale è che io mi sento molto più libero nei confronti di un desiderio che sorge in me che non nei confronti di una brama che sorge in me. E la differenza di libertà è la differenza tra la brama e il desiderio. Se tu usi la brama come sinonimo di desiderio ci confondiamo le idee.

Intervento. La brama è qualcosa che prevarica?

Archiati. No. La brama è qualcosa che mi rende molto meno libero che non un desiderio. Che cosa mi rende ancora meno libero della brama?

Replica. La possessione?

Archiati. Cos’è che rende al massimo non libero? L’istinto.

Intervento. Cioè il rapporto tra pensiero e il vitale.

Archiati. Proprio quello, proprio quello. Però l’istinto è il massimo del vitale, la brama è 2/3 del vitale, il desiderio è 1/3.

Intervento. Io avevo detto “istinto” ma si vede che non mi hai sentito.

Intervento. Scusa Pietro, io posso capire che tu dai il nome di demone a…

Archiati. Ma non eri tu che ti lamentavi che vengo sempre interrotto?

Replica. No, vabbè, ho capito che non posso dirlo…

Intervento. Dillo per stavolta…

Archiati. Dai, facciamo un’eccezione.

Intervento. Allora ti dicevo, hai chiamato demone questa brama, che io faccio tutti questi pensieri per realizzare questa brama, stavamo parlando del denaro di Giuda che se lo tiene per sé…

Archiati. La brama del denaro, sì.

Continua. …Allora, io capisco che questa brama può essere un demone, può essere chiamato demone, però poi, ritornando all’esempio che io leggo un giornale e non mi faccio alcun pensiero su quello che leggo e perciò questo demone mi prende il pensiero, non lo vedo più, perché io proprio non ho il pensiero, ho assenza di pensiero, mentre con la brama io ho il pensiero che devo andare a prendere i soldi, come faccio o come non faccio, li faccio questi pensieri; l’esempio del giornale, tu hai detto: se io non mi faccio dei pensieri su quello che leggo…

Archiati. La brama è una delle forme di essere posseduti. Vi sono tante forme di possessione. Allora, torniamo al fatto della lettura dell’articolo. Io ti dicevo: lui, il giornalista, l’articolista, può pensare questi pensieri soltanto servendosi del suo cervello, quindi non li può pensare durante la mia lettura, se io durante la lettura non uso il mio cervello per pensare pensieri miei, chi pensa i suoi pensieri attraverso il mio cervello? Un terzo spirito, questo io ho detto. Non ti resta nessun’altra alternativa. Solo che in tempi di materialismo noi ci siamo messi in testa che lo spirito non sia una realtà, questo è l’unico problema, perché nel momento in cui fossi io ad usare il mio cervello per pensare col mio cervello prenderei posizione di fronte ai suoi pensieri. Basta familiarizzarsi con l’assunto puro e semplice che il mondo è pieno di spiriti, di spiriti e di folletti, perché è proprio così, è proprio così: il mondo è pieno di spiriti.

I Vangeli sono pieni di spiriti che il Cristo caccia fuori. Chiede ad uno spirito: il tuo nome qual è? Legiwn (Leghiòn), perché siamo in molti –legione– siamo in molti, e ognuno ha da fare qualcosa, ognuno stava facendo qualcosa. E il Cristo che fa? Li manda fuori tutti quanti, fa piazza pulita. Però il Cristo dice: guarda che io ti faccio piazza pulita, però se tu nella piazza pulita non ci metti il tuo spirito ritornano, ritornano con il rinforzo perché se, pur essendo molto forti, sono stati cacciati via, adesso devono ritornare ancora più forti per non essere cacciati via.

In altre parole, più l’essere umano omette e più la possessione, il possedimento diventa forte. E’ subito comprensibile la cosa. Vediamo come il Vangelo… che tipologia di immagini il Vangelo ci dà da masticare.

13,12. “Quando dunque ebbe lavato loro i piedi, riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro. Capite ciò che io vi ho fatto?”

“Comprendete ciò che io vi ho fatto?” Allora, finora hanno avuto la percezione, hanno avuto la percezione di ciò che lui ha compiuto, però la percezione ha senso soltanto se comprendo ciò che ho visto, se lo capisco. Lui aveva detto a Pietro: “ciò che io ti sto facendo, tu non lo puoi capire ora, lo capirai dopo”. Adesso non è che stia dicendo che tutti gli altri possono capire subito, fa la domanda: “fino a che punto siete in grado di penetrare col pensiero ciò che avete percepito”? E ciò dicendo, intende dire che il senso di ogni percezione è di venire capita, di venire penetrata in chiave di pensiero.

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Fig. 17

Cosa fa allora? Siccome parte dal presupposto che la comprensione umana, tutte le percezioni che ci sono, il mondo che è stato creato, tutta questa creazione è stata fatta per creare le percezioni: il Verbo s’è fatto carne per dare il mondo della percezione; tutto l’insieme della percezione è il pensabile, la somma del percepibile è la somma del pensabile. Quindi la seconda parte dell’evoluzione consiste nel pensare tutto il percepibile: percezione e pensiero, percepire e creare concetti.

La percezione, dicevo questo pomeriggio, cos’è una percezione? E’ una potenzialità di libertà, è una possibilità di essere intuito col pensiero. Quindi tutto il mondo della percezione è la somma della potenzialità dell’evoluzione della libertà, del pensiero. Però io non sono costretto a pensare tutti i pensieri che corrispondono alla percezione, posso omettere.

Vedete che i conti tornano anche se letti in questa chiave? Tornano benissimo. Allora il Cristo dice: “avete avuto la percezione della lavanda dei piedi”, per esempio, quindi la lavanda dei piedi dev’essere un archetipo, e perciò ho definito la lavanda dei piedi “il conferire della potenzialità della libertà”, percezione, quindi potenzialità della libertà. Qui è l’attuazione. (rif. fig. 17)

Perché dici che attualizzazione non è italiano? Non è italiano? Non è bello o non esiste?

Risposta. No, esiste ma è un’altra cosa: attuazione è mettere in atto, attualizzazione è fare una cosa nel tempo presente.

Archiati. Ah, ho capito, attuazione della libertà, va bene? Quindi tutto il percepibile è un’offerta alla libertà, però non sono costretto a pensarlo, altrimenti non sarei libero. Allora il Cristo dice: “siete in grado di compenetrare di pensiero le percezioni che avete finito”? La prima cosa da capire è che il senso nel mondo è il capire, la prima cosa da capire è che tutto il mondo della percezione è un’offerta per la libertà del pensiero, perché se io non capisco che il senso della percezione è il pensiero non mi metto a pensare.

Cristo dice letteralmente: Ginwskete ti pepoihka umin (ghinoschete tì pepòieka umìn)? comprendete? Capite? Riconoscete? Conoscete ciò che vi ho fatto?

13,13. “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono

Adesso arriva l’interpretazione, la chiave che il Logos dà, che il Cristo dà: “voi mi chiamate Maestro -didaskaloV, didàscalos- e voi mi chiamate Signore -KurioV, Kyrios-.

“Voi mi chiamate”, voi chiamate l’Io, la forza dell’Io è il Maestro, in quanto capacità pensante, mi chiamate Signore, KurioV, in quanto capacità volente, quindi:

- Maestro è l’evoluzione intellettuale

- Signore è l’evoluzione morale e delle azioni

- didaskaloV (didàscalos) è il pensiero

- KurioV (Kyrios) è la volontà.

Vedete che questa è una bella polarità che abbraccia tutto l’uomo e allora voi riconoscete nel Cristo, riconoscete nell’Essere dell’Io la potenzialità di tutto il pensabile, Maestro di tutto il conoscibile, di tutto il pensabile, e Signore è la potenzialità di tutto il volibile e l’agibile. Se colui che voi chiamate Maestro e Signore vi ha lavato i piedi, si è fatto vostro servitore, voi fate lo stesso a vicenda.

In altre parole si può essere, si può fare l’esperienza di diventare come il Cristo cioè Maestro e Signore soltanto lavando i piedi. E il Maestro è colui che si sostituisce al processo di pensiero del discepolo? No, è colui che lo rende possibile questo processo. Il Signore è colui che si sostituisce alle volizioni del servo? No, è colui che rende possibile le sue evoluzioni, le sue volizioni.

In altre parole, l’uomo si può amare soltanto amando la sua libertà di pensiero e di azione. Lo si può amare soltanto essendo

- un servitore, in quanto Maestro e

- un servitore, in quanto Signore

Allora il Cristo dice “ Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, dite bello, kalwV (calòs), dite giusto

UmeiV fwneite me 'O didaskaloV kai 'O kurioV kai kalwV legete eimi gar (Umèis fonèite mè O didàscalos kai O Kyrie kai calòs léghete eimì gar) dite la verità, dite la bontà, dite il vero, è vero, avete ragione quando mi chiamate Maestro e Signore.

13,14. “Se dunque Io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli altri”.

“Se Io…” se l’essere dell’Io, l’esperienza dell’Io, “vi ho lavato i piedi, Io che sono il Signore e il Maestro, anche voi vi dovete a vicenda il dovuto vicendevole”, e ciò che vi dovete a vicenda è di lavarvi i piedi.

Intervento. Di lavarvi…?

Archiati. I piedi a vicenda.

Replica. Gli uni agli altri?

Archiati. Gli uni agli altri. Allora, lavarsi i piedi a vicenda significa renderci a vicenda possibile la libertà, quindi l’amore è l’intento vicendevole di rendere possibile l’esercizio della libertà. Amare significa rendere possibile all’amato l’esercizio della libertà nel pensiero e nell’azione. Quando io rendo possibile all’amato discepolo l’esercizio del pensiero sono un buon maestro, e sono un buon maestro solo terminando di essere maestro. Ecco il paradosso. E quando io rendo possibile l’autonomia volitiva e agente dell’altro, in quanto Signore termino di signoreggiarlo.

In altre parole, amare significa rendere capaci; amarci a vicenda significa renderci capaci a vicenda di pensiero autonomo e di azione autonoma libera.

Intervento. Hai saltato un pezzo.

Archiati. Ho saltato un pezzo?

Replica. Qui c’è “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene…” poi tu sei passato al seguente, invece poi qui dice “perché Io sono”.

Archiati. No, non è “perché Io sono”, ma “perché lo sono”, eimi gar (eimì gar).

Replica. Qui c’è scritto “Io sono”

Archiati. No, è esattamente: “perché sono infatti”, cosa intende dire con questo?

L’Io, la forza dell’Io è Signore e Maestro, ma non nel senso di possedere l’altro e sostituirsi al suo processo di pensiero e alla sua libertà volitiva e nell’agire, ma nel senso di favorirne la libertà di pensiero e quindi favorire l’autonomia di pensiero dell’altro e l’autonomia delle sue azioni.

Amare significa volere la libertà altrui. Amare l’altro significa volere la sua libertà questa è la traduzione semplice. E volere la libertà dell’altro è anche duplice, la libertà dell’uomo è duplice:

- la libertà del pensiero: il Maestro e il discepolo, che ognuno diventi Maestro di sé stesso;

- la libertà nell’agire (Kurios) il Signore

Quando una persona va dal guru, dal Maestro spirituale e gli chiede: “cosa devo fare”? Ad un bambino si dice cosa deve fare, e perché? Perché non ha ancora la potenzialità della libertà, non è ancora capace di trovare, lui, autonomamente, l’impulso della sua azione.

Un adulto è per definizione potenzialità di libertà; per trattare un adulto in un modo cristico, cioè che risposta darebbe il Cristo alla domanda: cosa devo fare? Quale risposta ha dato il Cristo?

Intervento. Tu, lo devi sapere.

Archiati. Tu, lo devi sapere e finché non ne sei sicuro prova, prova una cosa, provane un’altra. Soltanto la tua sperimentazione ti dirà cosa va bene per te, nessuno dal di fuori, che è un altro, può dirti cosa va bene per te perché ognuno può sapere soltanto ciò che va bene per lui, e se non lo sa ancora deve provare, provare, provare. E man mano che prova, saprà sempre meglio ciò che va bene per lui, ma non potrà mai sapere ciò che va bene per un altro.

Allora, quando il Padre Spirituale dice ad un altro adulto “fa così”, che fenomeno è?

Intervento. Si sostituisce a lui… quindi…

Archiati. Possessione, il termine tecnico è che si mette al posto del suo spirito. Oggettivamente. E’ come dirgli: “guarda, visto che tu non hai lo spirito pensante, lo metto io al tuo posto. Farebbe mai una cosa così il Cristo? No, è assurdo, assurdo. Il Cristo gli direbbe: “guarda che se hai omesso finora di mettere il tuo spirito dove lo dovevi mettere comincia ora, perché se io ti dico cosa devi fare rincaro la dose della tua omissione, rendo la tua non-omissione impossibile perché mi metto io al posto della tua potenzialità di libertà”.

Quindi, quando un adulto chiede “cosa devo fare”? l’unica risposta cristica è “datti un mossa” se no il diavolo ti acchiappa sempre di più, poi sparisce la tua capacità, la tua potenzialità di trovare, a partire dalla tua libertà, le cose giuste per te. Quindi, un adulto che va a chiedere ad un altro cosa deve fare è sempre una persona che ha già omesso parecchio, perché una persona che non ha perso colpi sa cosa deve fare: sta sempre a sperimentare.

La vita è uno sperimentare. Ma chiedere ad un altro di dirmi cosa devo fare non è un enorme poltrire, scusate? E’ un enorme poltrire! Significa non volere lo strapazzo, non volere la pena o il rovellio di provare, provare, provare.

Chi di noi sa già in partenza cosa funzionerà? La vita è un continuo provare.

Ma che significa “la vita è un continuo provare”? La vita è un continuo esercizio della libertà, è la stessa cosa. Quando uno ha paura della libertà perché vorrebbe avere già tutte le garanzie, vorrebbe partire soltanto quando è sicuro, che tipo di matrice mentale è il voler partire soltanto quando si è già sicuri? Significa non voler rischiare nulla e cioè significa non voler essere liberi.

Quindi l’unica paura che veramente è paura, tutte le forme di paura si riducono ad aspetti di paura della libertà, perché una persona che non ha paura della libertà non ha paura: prova, prova, prova, e man mano che il mondo reagisce si aggiusta. In che altro modo si può vivere la vita? T’arriva un Tizio e ti dice: “ma come, là ti sei sbagliato, qui tu hai cambiato.. qui hai fatto un errore…”

Una volta Churchill era in parlamento, uno si alza e gli dice: “ma Churcill, tu un paio di mesi fa hai detto tutt’altre cose”! E lui: “beh, mi pare bene che la vita sia fatta per imparare, no? E se le cose cambiano devo cambiare anch’io, la politica è come un navigante che sta sulla nave e il politico deve orientarsi secondo i venti, no? A meno che voglia fare lui aria”.

La libertà è l’esuberanza dello spirito umano che si orienta secondo il mondo e che non chiede al mondo di orientarsi secondo lui. Quindi la libertà è un’assoluta flessibilità, così come la libertà conoscitiva sta nel fatto che di fronte a questa percezione devo diventare questo concetto, poi mi arriva subito un’altra percezione e devo diventare tutt’altra cosa, non è una contraddizione è una flessibilità assoluta, cioè una capacità di metamorfosi all’infinito. La libertà, l’esercizio della libertà in campo intellettuale è una capacita di metamorfosi all’infinito, di diventare tutti i concetti delle percezioni che ho; perché non deve essere lo stesso in campo volitivo?

Una persona ha voglia di sentirmi e io le parlo, adesso la vedo schifata? Me ne vado via! Sono libero no? Se invece forzo, cioè se invece vado contro la realtà… com’è che nasce la non-libertà? Faccio una forzatura a me e una forzatura all’altro, la forzatura è non-libertà.

13,14. “Se io ho lavato a voi i piedi”, lavare i piedi significa rendere capaci di camminare, lavare i piedi all’altro significa mettere l’altro in grado di camminare con i suoi piedi. Quando uno viene a chiedere “cosa devo fare”? La lavanda dei piedi consiste nel rifiutarsi di dire cosa deve fare, gli si dice: “no, devi camminare coi tuoi piedi”, questa è la lavanda dei piedi.

La lavanda dei piedi è mettere l’altro in condizione di camminare con i suoi piedi e non sostituirsi al suo cammino e non dire a lui quali passi deve fare perché i passi che invento io nella mia mente vanno bene per me casomai, ma mai per l’altro.

“Se io ho lavato i vostri piedi, io che sono il Signore e il Maestro, anche voi dovete -ofeilete, oflèilete- il dovuto vicendevole è di lavarvi i piedi a vicenda”.

13,15. “Vi ho dato infatti l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi”

“Vi ho dato l’esempio - upodeigma gar edwka umin, upòdeigma gar édoka umìn- affinché come ho fatto io facciate anche voi -ina kaqwV egw epoihsa umin kai umeiV poihte, ina kathòs egò epòiesa umìn kai umèis poiète-. Quindi diciamo che l’essenza dell’interagire umano è reciproca lavanda dei piedi. L’essenza di ogni incontro umano è l’intento di concedersi a vicenda la libertà, di rendersi possibile a vicenda la libertà. Calza, non fa una piega.

Tutto il resto è non umano, è un tentativo di possedere l’altro o di lasciarsi possedere dall’altro. Concedersi a vicenda il più libertà possibile, questo è lavarsi a vicenda i piedi. Ma concedersi è una categoria un po’ animica, è meglio dire: creare il più possibile le condizioni necessarie vicendevoli per la libertà. Quindi amare l’altro significa mettergli a disposizione tutti gli strumenti necessari per il suo esercizio di libertà.

Il lavare significa rendere possibile la libertà. Il rendere possibile la libertà viene tradotto con questa bellissima immagine: lavare i piedi, renderlo in grado di camminare con i suoi piedi. Quando il Cristo ha lavato i piedi, chi li gestisce questi piedi? Ognuno, non li può gestire il Cristo. Il Cristo li rende capaci di camminare, ma camminare deve ognuno. Quindi l’amore rende possibile la libertà e la libertà la attua.

Riguardo all’altro, ognuno di noi può soltanto rendergli possibile la libertà e questo è tantissimo, di più non si può, ma l’esercizio della libertà lo può fare soltanto ognuno per sé, nessuno può esercitare la libertà altrui, è una cosa assurda.

L’amore rende possibile la libertà altrui, quindi cos’è l’opposto dell’amore? Impedire la libertà altrui, ecco l’essenza dell’opposto dell’amore: precludere in qualche modo l’accesso alla libertà dell’altro, e il possedimento, la possessione cos’è? La stessa cosa. È esercizio di potere, è rendere all’altro non possibile un qualche frammento di libertà, impedirgli di essere libero.

Però l’altro mi rende in grado o rende in grado un diavolo di impedirgli di essere libero soltanto nella misura in cui omette la libertà e quindi dà al diavolo la possibilità di entrare nel suo spirito, quindi prima c’è l’omissione della libertà e poi c’è l’impedimento.

Il primo gradino del male è l’omissione del bene. Il secondo gradino del male è l’impedimento del bene. Sono due gradini enormi ma molto distinti uno dall’altro. L’Apocalisse dello stesso Lazzaro - Giovanni-Lazzaro- parla di questi due, anzi sono tre, gradini del male:

- l’omissione del bene che viene rappresentato con la caduta di Babilonia, della meritrice Babilonia;

- il possedimento, che impedisce il bene, con la bestia a due corna;

- terzo gradino del male sono gli esseri arimanici-asurici che si cimentano contro il Cristo: il demone del Sole, il demone della Terra, il demone della Luna si cimentano contro il Cristo attraverso l’omissione umana del bene; se questa omissione raggiunge certi livelli questi demoni diventano così potenti che cominciano ed essere in grado di mettere in forse le leggi di natura, che è la creazione del Padre.

Intervento. La bestia, come siamo in questa situazione attuale?

Archiati. In Germania sto facendo un seminario sul testo dell’Apocalisse che finirò adesso a novembre.

“Io vi ho dato un esempio, se io vi ho lavato i piedi, i vostri piedi, io che sono Signore e Maestro, anche voi dovete farlo a vicenda”, il dovuto reciproco, ciò che ognuno deve all’altro è di lavargli i piedi: “Io vi ho dato un esempio affinché come ho fatto io facciate anche voi”.

13,16. “Amen, amen, io dico a voi: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato”

Il versetto 16 comincia con “amen amen”, abbiamo già detto che quando un’espressione del Cristo comincia con amen amen c’è una sottolineatura particolare; non dimentichiamo che qui siamo in un insegnamento esoterico del Cristo. Egli non sta parlando alla folla, sta parlando ai dodici, tredici se ci volete mettere anche il Giovanni-Lazzaro, perché poi, quando Giuda uscirà resta Giovanni Lazzaro e restano dodici.

Allora, siamo in una frase del Cristo che comincia con amen amen in un contesto esoterico detto ai discepoli che hanno presupposti ben diversi di comprensione che non la folla.

“Amen Amen, io dico a voi: il servitore non è maggiore del Signore…” ouk estin douloV meixwn (ok estin dulos meizon) non ha più potenza, meixwn, megaV (meizon, megas, maggiore, grande); il servitore non ha più potere del padrone. Il padrone è il potere e il servitore è un esecutore, quindi il padrone è colui che genera gli impulsi conoscitivi, è colui che genera gli intenti dell’azione e li passa al servitore, quindi ha più potere perché è il padrone che decide cosa si deve fare e il servitore lo fa.

Allora, “amen amen, Io dico a voi: il servitore non è più potente, più grande del suo Signore, né il discepolo è più potente -meixwn, meizon- di colui che l’ha mandato”. Sono due immagini: Padrone e Servitore. L’altra immagine è l’apostolo, che significa il mandato, l’inviato; l’inviante è attivo, l’inviato è passivo. Allora dice: “il servitore non è maggiore, non è da più del padrone”, l’inviato non è da più dell’inviante. Che vuole dire? In teoria dovremmo saperlo già, è così ovvio! E perché lo sottolinea con amen amen? Poi ci aggiunge:

13,17. “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica”

“Se capite questo, beati voi”. Quindi ci sarà ben qualcosa da capire! Il Cristo sta dando agli uomini un compitino per capire, perché dice: “se capite questo -ei tauta oidate, ei tàuta òidate-, sarete beati se lo farete -makarioi este ean poihte auta, macàrioi éste eàn poiète autà-”.

Quindi si tratta di capire e di fare. “Se capite queste cose, sarete beati se le farete”.

Allora, chi ci ha capito qualcosa?

Intervento. Vuol dire che dentro di noi c’è sia il Padrone sia il Servitore.

Archiati Brava, questo mi piace. Allora? Chi è il padrone in noi e chi è il servitore in noi?

Replica. L’Io inferiore e l’Io superiore?

Intervento. Padrone è il pensiero, servitore l’azione?

Archiati. Allora il Cristo che si fa servitore è diventato un povero Io inferiore?

Replica. No, però l’Io inferiore usa le forze dell’Io Superiore sennò non fa niente.

Intervento. Se l’Io superiore è il mio padrone, nel senso che io divento padrone del mio Io superiore, sono contenta di fare da servitore, servitore al mio Io, cioè al mio padrone, io divento padrone del mio Io per cui so cosa vuole il mio Io, so dove va a parare, per cui è chiaro che faccio le cose che vuole il mio Io e divento servitore del mio Io.

Archiati. Siete partite tutte e due mettendo sia il padrone che il servitore dentro ad ogni essere umano, però la parabola -questa è una parabola- parte dal fatto che sono due persone diverse. Partiamo da lì: sono due persone diverse. Sono una categoria di rapporto fra uomo e uomo.

Intervento. Alla fine dovrebbe essere lo stesso però.

Archiati. Sono categorie di rapporto fra esseri umani ed esseri umani e dobbiamo stare attenti prima di interiorizzarle perché interiorizzandole le facciamo sparire dal sociale, dalla vita reale e ne facciamo tutta una questione di esperienza interiore. Ma il Vangelo non ce lo concede, sta parlando di lavarsi i piedi a vicenda quindi di rapporto fra persona umana e persona umana.

Allora, “il servitore non è maggiore del padrone e l’inviato non è maggiore dell’inviante”, “se capite questo e lo farete, sarete beati”, che vuol dire?

Intervento. Padrone e inviante possono lavare i piedi al servitore.

Archiati. Piano, piano, il servitore e l’inviato… avevi detto qualcosa?

Replica. Adesso mi sono confuso…

Archiati. Tu hai detto: servitore e inviato sono in grado di lavare i piedi all’inviante..

Replica. No, ho detto il contrario, poi avrò sbagliato…

Intervento. E’ nell’interesse del padrone che anche il servitore abbia i piedi puliti.

Archiati. La parabola dice: “si può diventare padroni soltanto servendo”, questo dice la parabola. Solo chi serve è veramente padrone e solo chi vive come inviato diventa veramente inviante.

Intervento. Sembra il contrario.

Archiati. Perciò il Cristo ti dice “se lo capisci sei beato” se fosse evidente non ci sarebbe bisogno di metterci amen amen. È per dirti: guarda che c’è un compito che se lo svolgi sarai beato.

Intervento. Vuol dire essere capace di servire un altro essere umano come se lui fosse il padrone, e servendo quell’essere umano io divento capace di essere anch’io padrone, cioè di essere il padrone giusto?

Archiati. No, significa capire che il Cristo dice: “beati voi se lo capite”, significa capire che il vivere da padroni è una vita da cani, da poveracci, invece vivere da servitori è una vita da gran signori, questo dice.

Intervento. Inverte…

Intervento. Perché si vive nell’azione?

Archiati. No. Si vive nell’amore.

Archiati. Chi è più beato, chi si fa lavare i piedi, che è il padrone, o chi li lava? Chi li lava, santa pace. Vedete che c’è da masticare? Però il paradosso è proprio di quelli grossi. Il pensare balordo di questo mondo dice che una vita migliore è quella del padrone che non quella del servitore, invece non è vero. La vita del padrone è una vita da cani.

Intervento. Però dice che il servo non è più grande.

Intervento. Io non ho mai conosciuto un padrone che rinunci ad essere padrone.

Archiati. Perché non conosce di meglio, non è diventato capace di qualcosa di meglio, questo è il suo problema. Altro sarebbe se tu mi dicessi che conosci tanti padroni felici, questo è diverso. Il Cristo ti sta dicendo: non si può essere padroni e felici, si può essere felici soltanto da servitori.

Intervento. Però dice “non è superiore”!

Archiati. Dice: “non è da più”, cioè non è più beato, non ha più pienezza.

Intervento. Ma il servo non è più beato del padrone.

Intervento. No, il servo è più beato.

Intervento. Però è questa la difficoltà… perché se dicesse che il padrone è più grande del servo, allora sarebbe facile.

Archiati. meixwn (meizon) viene da megaV (megas) che significa “non ha più potere”, il servitore non ha più potere del padrone, perciò ha più beatitudine.

Intervento. Ok.

Intervento. Così lo capisco.

Intervento. E’ una cosa non spirituale?

Archiati. Il potere è potere, non è una cosa spirituale.

Intervento. Ma neanche i servitori sono felici.

Archiati. No, io non ho detto “essere socialmente” servitore, ho detto “vivere da servitore”, anche un capo di azienda può vivere da servitore, si tratta del modo di vivere.

Intervento. Allora il Padre, che è colui che l’ha mandato, non è beato?

Archiati. E’ beato soltanto nel Figlio se no non avrebbe bisogno del Figlio.

Replica. Però non è che Lui faccia una vita da cani.

(Risata)

Archiati. Perché non si è mai detto che Lui è il padrone, scusa, tu stavi pensando che Lui è il padrone, il Vangelo non ti dice mai che il Padre è padrone, c’è una differenza fra Padre e padrone.

Intervento. Perché il padrone, avendo qualcosa, è legato a quel qualcosa che ha, mentre il servitore, non avendo niente, sa vivere tranquillo.

Archiati. In altre parole, ciò che una persona possiede lo possiede. Possedere qualcosa significa per natura essere posseduto. Tutte le lingue che noi conosciamo usano la stessa parola per possedere ed essere posseduto, anche in greco questo viene indicato dalla parola padrone.

Intervento. Infatti ereditare denaro significa ereditare fatica.

Archiati. E come mai tanti amano questa fatica?

(Risata)

Intervento. E chi è che ha ‘sto problema?

Archiati. In fondo il Cristo sta dicendo: Io che avrei potuto farla da padrone sono diventato servitore, Io che sono venuto nel mondo come inviato dal Padre -il Cristo si presenta continuamente, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, come inviato dal Padre, si riferisce sempre al Padre- potrei spacciarmi come il Grande Inviante degli uomini invece mi presento sempre come inviato e come servitore”. E il Cristo si presenta come servitore particolarmente adesso in questo gesto esemplare del lavare i piedi, del servitore che lava i piedi.

Tra l’altro, a quei tempi non era neanche permesso agli schiavi ebrei di lavare i piedi, talmente era ritenuta umiliante la lavanda dei piedi, lo si faceva soltanto per pietà a persone anziane o persone incapaci, e per farlo bisognava chiamare schiavi non ebrei, quindi più servitore di così!

Certo che il potere della Chiesa romana non si sogna di presentarsi come servitore.

Lunedì 23/02/2004. Mattina
vv. 13,18 – 13,19

Conto sul fatto che, finalmente, un po’ tutti avrete letto questa bella conferenza di Steiner che ho tradotto. Qualcuno m’ha detto che è una botta tale che io la prendo a centellini.

L’unica cosa che volevo aggiungere a ciò che ho detto ieri sera è che i miei testi non saranno mai testi popolari, quindi se uno si mette a fare l’editore di questi testi pensando di voler sfondare, di voler sfondare anche economicamente, è legittimo come pensiero però il messaggio è di una -per lo meno come onestà intellettuale e morale- esigenza tale che è come pretendere che, perdonate ma è così, lo spirito dei Vangeli diventi all’improvviso realtà di massa. La cosa mi darebbe parecchio sospetto perché vorrebbe dire che il testo è stato annacquato ad un punto tale che non ci è rimasto nulla!

Vi faccio un esempio: il mistero dell’amore, il discorso sulla sessualità è un discorso di evoluzione, di cammino interiore e di purificazione, ecc. non sarà mai un discorso popolare, tant’è vero che l’editore mi ha detto “non te lo stampo”, più chiaro di così… ma in fin dei conti è onesto, no? La trovo onesta la cosa. Quindi la cosa funziona soltanto se c’è qualcuno che dice: “voglio fare tutto il possibile, non sarà mai una grande diffusione, ma insomma quella si può raggiungere, non a scopo di far soldi perché non ci riuscirò, ma per amore dello Spirito del Cristo, affinché venga coltivata un pochino di più la verità. La cosa funziona soltanto se c’è un minimo di idealismo, ecco, sennò non vale la pena.

Allora, siccome questa volta io mi riservavo -ogni persona si riserva di avere le percezioni prima di farsi i concetti-, volevo percepire quanta gente veniva a questi seminari, se venivano venti persone dicevo “no lasciamo perdere il secondo in estate, facciamone uno all’anno che già basta”, invece visto che siete numerosi continuiamo a farne due, come al solito. Oppure voi dite tutti quanti, o la maggioranza dice: “no, no uno basta e avanza”.

Archiati. Chi di voi è contento di avere un altro seminario su Giovanni quest’anno in estate?

(Il pubblico vuole il seminario estivo.)

Archiati. Tutti dicono di sì, tanto da buon italiano uno si dice: intanto assicuriamoci che ci sia , poi se ci vado o non ci vado lo deciderò…Allora, dopo aver girato di là e di qua, siamo approdati alla data : la quarta settimana d’agosto 2004, va bene per tutti? E poi un’altra domanda è: vogliamo farla durante la settimana o vogliamo metterci un fine settimana? Io ho l’impressione che il fine settimana ha aiutato parecchie persone. Ieri sera alcuni sono spariti, stamattina non ci sono più, però non ci sarebbero stati per nulla se non ci fosse stato il fine settimana.

Certe volte, mentre vado alla spiaggia eccetera, mi dico: ma guarda, duemila anni fa, mai prima e mai dopo, lo Spirito del Sole -man mano che uno, non dico che studia teologia, che serve a poco, ma che studia la Scienza dello Spirito, per lui diventa una realtà- ha camminato sulla Terra, attraverso la bocca di questo Gesù di Nazareth ha detto le cose più grandi, nel modo più perfetto, più semplice e più complesso che ci sia. Poi, l’Essere del Sole ha preso un uomo -perché in chiave d’eccezione era l’unico in grado, quello più capace di cogliere questi misteri-, addirittura l’ha mandato nella morte per tre giorni, in modo che avvenisse questa iniziazione.

L’unico essere umano iniziato dal Cristo è stato da Lui richiamato dalla tomba col compito di dare all’umanità un Vangelo. All’inizio il Vangelo si tramandava oralmente poi, soltanto a partire dal quarto/quinto secolo è stato trascritto. Dice il Cristo a Giovanni-Lazzaro: il tuo compito, che è essenziale per l’umanità, è quello di articolare a livello di parole quello che è successo in questi tre anni: dall’incarnazione dello Spirito del Sole, che diventa Spirito della Terra nel battesimo del Giordano, fino alla Sua morte e resurrezione”, e questo è il testo che abbiamo in mano.

Delle volte mi chiedo cosa sarebbe l’umanità, l’evoluzione, se non avessimo questo testo, perché i sinottici –è un’altra dimensione– sono a livello dell’immaginazione; le parabole sono tutte immaginazioni. Dove si tratta di interpretare le immagini a livello ispirativo il Vangelo di Luca è un po’ meglio degli altri, ma arrancano… e poi quando si va a livello intuitivo dicono: rivolgiti al Vangelo di Giovanni. Però ti vengono i brividi a pensare che abbiamo qui proprio le parole, tramandate storicamente, del Cristo sulla Terra.

Prendiamo la parola di ieri sera, l’ultima, dove diceva “amen amen, dico a voi: beati voi se lo capirete, ecc…”, volevo dire che se non avessimo avuto, se non ci fosse stato questo Giovanni-Lazzaro, queste parole non le avremmo nella nostra vita, e vedremo fra poco che quando si tratta del mistero di Giuda…, il mistero di Giuda c’era uno solo nel cenacolo che potesse coglierlo. Perché Pietro dice a Lazzaro: “chiedigli chi è”? Non glielo può chiedere lui?

Vi anticipo il versetto 13,24 dove Simon Pietro fa un cenno a Lazzaro che chieda chi è -il Cristo aveva detto: uno di voi mi tradirà- che lo tradirà, e non glielo può chiedere lui stesso? Poi il Cristo risponde: l’unico che capisce -quindi non è questione di acustica esterna- è Giovanni Lazzaro; gli altri pensano che il Cristo intenda dire: “quello che fai fallo presto, siccome tu hai la sacchetta dei soldi vai a comprare ciò di cui abbiamo bisogno per la Pasqua”, Pietro sa che questa domanda è capace di porla soltanto Lazzaro, e gli dice: “chiedi, chiedi a Lui, chiedi…”

Nel Cenacolo del Leonardo, Pietro sta seduto soltanto cinquanta centimetri più in là del Cristo: glielo potrebbe chiedere lui, no? Quindi è chiaro che il testo è pieno di misteri insondabili che ci accompagneranno per i secoli e per i millenni dell’evoluzione.

Allora, 13,16. “Amen, amen, io dico a voi”, l’Io divino, l’Io cristico dice, narra, sussurra all’Io di ogni essere umano, a voi in questo momento, cioè ai dodici, a coloro che rappresentano la totalità dell’umano; i dodici non sono un plurale nel senso di pura somma di persone, ma un plurale di totalità dell’umano. Quindi l’Io solare, l’Io del Sole, dice a tutti e dodici i segni dello Zodiaco -perché il Sole li percorre tutti, li visita tutti- : “Io dico a voi: il servo non è maggiore del Signore” e intende dire fra le altre cose -naturalmente queste parole sono passibili di infiniti risvolti, riflessioni- che il Signore è lui e i dodici sono i servi, sono stati loro a dire che Lui è Signore: voi mi chiamate Signore e avete ragione”…

Il Cristo dice: se il Signore che voi conoscete si è fatto servo, voi che siete servi non siete da più, a maggior ragione dovete farvi voi servi. “Il servo non è da più del padrone”, se voi avete a che fare con un padrone che si fa servo, a maggior ragione voi dovete diventare servi. Quindi dice: se l’unico vero modo di essere padroni, di guidare l’evoluzione, di favorire l’evoluzione, è di farsi servo, e se è vero che nessun servo è maggiore del padrone e il padrone vero si fa servo, a maggior ragione il servo lo deve fare.

Quindi se il Cristo, che è il Signore, si fa il nostro servitore a maggior ragione noi dobbiamo farci servitori, visto che siamo da meno del Maestro. In altre parole, l’unico modo vero di comandare è di servire. L’unico modo vero di guidare e favorire l’evoluzione -che traduciamo con comandare, fare il Signore- è di servire. E torniamo sempre al fatto che le realtà più profonde della vita si possono dire soltanto in paradossi: “I primi saranno gli ultimi”, “Chi ama la propria vita, la perde, chi invece la dona generosamente, la conserva, la salva” eccetera.

Non sei soddisfatta?

Intervento. Non di quello che dici…

Archiati. Il testo?

Replica. Eh, appunto, qui dice il contrario: “il servo non è più grande del padrone” per cui dice che il padrone è più importante.

Archiati. No. “Il servo non è da più del padrone”, certo che dice così, è tradotto giusto. Tu adesso sei rimasta indietro nel processo di pensiero, sei rimasta all’inizio.

Replica. E’ un sillogismo…

Archiati. Padrone e Servo. Il padrone è da più, il servo è da meno. Adesso bisogna distinguere tra dove il discorso comincia e dove va a finire. E Lui ti dice: sta attenta, il discorso comincia che si capisce, però poi va a finire che non si capisce più. “Beati coloro che lo capiscono anche alla fine”. Allora, fin qui va bene, l’inizio del discorso è semplice: il padrone comanda, quindi è da più, il servo lo ubbidisce, quindi è da meno. Adesso, il passo successivo è che il padrone di cui stiamo parlando è il Cristo e i servi sono i discepoli.

“Voi mi chiamate Maestro e Signore”. Allora è chiaro che Kurios è il Cristo e .. Duloi sono i discepoli, e fin qui va bene. Adesso però arriva il ribaltamento: se resta vero che il servo non è da più del padrone -questo è il passo successivo-, allora i discepoli, che sono da meno, vedendo che questo padrone ci tiene ad essere padrone soltanto servendo, devono servire ancora di più, a maggior ragione. L’hai fatto adesso il secondo passo? Però scappa via, guardate che scappa via, e perciò lui ti dice…

Replica. Ieri sera l’avevo fatto però ora non ci riesco più, però Lui ti dice che è difficile capire!

Archiati. Esatto. Allora, il versetto successivo è fatto apposta per dirti… Giovanni-Lazzaro che ha scritto questo testo, che l’ha coniato, ti dice: guarda che questo mantram di meditazione è fatto in un modo tale che tu esci sempre di nuovo fuori, e allora? Ritornaci dentro. Questo ti sta a dire.

In altre parole, un mantram di meditazione non è fatto per essere capito tutto in una volta, non basta leggerlo una sola volta bisogna rifarlo, rifarlo e rifarlo finché diventa vita. Allora uno non lo perde. Invece se è soltanto un esercizio intellettuale, a barlumi arrivi al secondo passo, ti sembra d’averlo poi lo riperdi, perché ritorni a pensarci e ti dici: “ma come, il padrone è il padrone, è da più”, hai perso di vista il fatto che questo padrone qui ti sta dicendo che l’unico modo di restare veramente padroni è di servire.

Intervento. Nel dire: “non è da più” non esclude però che sia uguale, allora non lo esclude, esclude solo che sia di più, quindi anche in questo essere uguali si potrebbe vedere la necessità, non a maggior ragione, ma semplicemente l’evidente necessità di essere come, no?

Archiati. Il problema non è la traduzione di meixwn (meizon), ma il contenuto spirituale di meizon. Il contenuto spirituale non è “da più”, ma significa “ha più potere”. Allora, il servo non ha più potere del padrone, e se il padrone ha potere di restare padrone soltanto servendo -e meno ancora riusciranno i servi ad essere padroni, se non servendo- non può il padrone essere padrone se non servendo, a maggior ragione i servi.

Intervento. In pratica, perdendo il potere.

Archiati. Certo.

Replica. Lui continuerà ad essere padrone se perderà il potere.

Archiati. No, soltanto se ci rinuncerà; in altre parole, il potere rende schiavi, questa è la quintessenza. Tutti questi intuiti aggiuntivi risultano man mano che uno ci medita, e perciò la frase dopo che dice: “Beato sei nella misura in cui lo comprendi sempre di più, quindi ritornaci” è da meditare profondamente. Il testo è fatto per essere meditato.

Steiner in tante conferenze dice che il Vangelo di Giovanni non è fatto per una semplice lettura, è un testo di meditazione su cui si vive, man mano che vivi ci ritorni e diventa sangue del tuo sangue, ma è un processo di vita, non intellettuale, perché una comprensione intellettuale ti dice che è una baggianata, che si contraddice. Son padroni di pensarla così.

Intervento. E’ il senso dell’Amore.

Archiati. Certo, il senso dell’amore. Uno ci medita per un quarto d’ora, poi nella vita ognuno di noi fa l’esperienza di -ognuno di noi vorrebbe valere qualcosa, no?- che cosa salta fuori quando cerca di esercitare potere sugli altri. Quando cerco di esercitare potere sugli altri, cosa succede? Come reagiscono gli altri? Scappano via, quindi mi rendono impotente. L’esercizio del potere, rende l’uomo impotente, perché scappano via tutti.

L’unico vero modo di guidare gli altri, di “esercitare potere” è di servire, perché quando io servo, gli altri vogliono continuare a ricevere la mia prestazione, e quello è il potere giusto, vero che poi non si potrebbe più chiamare “potere” ma si dovrebbe usare tutta un’altra parola: l’amore.

Tu l’hai riassunto nella parola amore. Detto in un altro modo, l’unico esercizio di potere che tutti cerchiamo, che tutti volentieri riceviamo è il servizio, l’unico esercizio di potere che tutti concediamo agli altri è il servizio, è di essere serviti.

Ha un potere chi mi serve? Certo, perché io dipendo da lui, dipendo dal suo servizio.

Chi ci serve a tavola, per dire un esempio, esercita un potere su di noi? Certo, in un certo senso sì, perché siamo dipendenti da lui, se non ci porta nulla non mangiamo nulla.

L’unico vero modo di avere un influsso sugli altri è di servirli.

Intervento. Forse viene rovesciata la situazione, perché poi può succedere anche questo… che dipende anche dagli altri. Voglio dire, questo atteggiamento che va in una direzione…

Archiati. No, non è che dipenda dagli altri.

Replica. No voglio dire: nella vita abbiamo l’esperienza che se qualcuno prova e ci si trova davanti qualcun altro che magari ne approfitta…

Archiati. Non ci sono “gli altri”.

Replica. Bisogna sottomettersi fino ad un certo punto…

Archiati. No, siamo tutti fatti così, perché quando l’altro mi serve gli do volentieri questo potere.

Replica. D’accordo.

Archiati. Quando l’altro mi vuol soverchiare, gli tolgo questo potere e me ne vado via.

Replica. Ho capito meglio adesso.

Archiati. Allora di’ che non avevi capito.

Replica. La seconda parte era meno chiara…

Archiati. A lui mica gli va di dire “non avevo capito”, no, dice “tu non lo avevi spiegato in modo giusto”; io mi sono sforzato di servirti, ma per la tua testa ti devi muovere tu, io non posso diventare padrone della tua testa. Come si chiama in italiano chi vuol diventare padrone della tua testa? L’indottrinatore, il dittatore, il guru, che invece di fare il servitore fa il padrone, e così scappan via tutti. E sarebbe ora che scappassero via tutti; che poi, è un commento ulteriore sulla lavanda dei piedi. La lavanda dei piedi è che si favorisce l’evoluzione rendendo l’altro capace di camminare, aiutandolo a camminare con le sue gambe e non spingendolo o tirandolo.

“Beati sarete - makarioi este, macarìoì este-” nella misura in cui comprenderete sempre meglio, in un modo sempre più vasto queste cose, sarete beati. Quindi sono due i livelli:

- nella misura in cui “comprenderete” queste cose sarete beati;

- nella misura in cui le tradurrete in vita, “le farete”

oidate (òidate) è il capire, perché nessuno può fare cose che non capisce, le azioni hanno il contenuto dei nostri pensieri. La realtà morale di un’azione sono i pensieri dell’uomo, non esiste un’azione oggettiva, non esiste una moralità oggettiva dell’azione; la moralità di un’azione sono i pensieri che un uomo pensa. Ho sempre portato l’esempio di uno che ammazza l’altro: è sempre un’azione cattiva? Dipende, vi ho sempre portato l’esempio di uno che stava pulendo la canna del fucile, non sa che il fucile è carico… c’è lì vicino il suo amico migliore… parte accidentalmente un colpo: morto! È omicidio?

Intervento. No, non c’era l’intenzione.

Intervento. Poteva fare attenzione prima però, mio papà è andato a caccia, han preso il suo cappello e non è più andato.

Intervento. E’ un caso limite.

Archiati. Non è un caso limite, è per dire che, ogni volta, in tutte le azioni la moralità non sta mai nell’esteriorità dell’azione ma sta sempre nell’interiorità dell’uomo. Questo vale per tutte le azioni.

Intervento. Per questo non si può giudicare?

Archiati. Per questo non si può giudicare, proprio per questo motivo qui, perché l’interiorità degli altri -già siamo fortunatissimi se conosciamo un pochino la nostra, perché per conoscere un pochino la nostra, bisogna essere onesti con sé stessi, quindi già siamo fortunati se conosciamo un pochino la nostra interiorità- nessuno la può conoscere, e guai se la conoscessimo.

E perciò il Cristo taglia corto e dice: “non giudicate” ciò significa nessuno di noi ha in mano gli elementi per giudicare moralmente un altro, perché non sa ciò che avviene nell’interiorità dell’altro. Nessuno di noi lo sa.

13,18. “Non parlo di tutti voi, io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno”

“Non per tutti voi dico questo”… adesso il testo comincia a diventare…

Intervento. Ah, dice “per tutti”, non “di tutti”

Archiati. “Non di tutti”.

Intervento. “Non di tutti”, qui dice “non parlo di tutti voi”.

Archiati. Dammi un po’ di tempo per variare, prima ti faccio la traduzione poi man mano ti spiego, se tu parti subito, rompi il processo. “Non circa tutti voi dico questo”, i miei tentativi di traduzione stanno a dirti che il testo greco non è traducibile soltanto in una direzione.

Voi avete una certa traduzione, però il testo greco non fornisce una traduzione rigida, ma consentirebbe di andare un po’ di qua e un po’ di là, un po’ su e un po’ giù. Allora, se tu mi dai due o tre minuti io vi vario un pochino e poi vi allargo un po’ la prospettiva.

Come mai il Cristo dice: “non mi riferisco, non parlo di tutti voi, io so quali, chi -tinaV, tinas-, ho scelto”? alcuni manoscritti dicono “so quali”, altri manoscritti dicono “quali ho scelto tra di voi, fuori da voi, ma affinché la Scrittura si compisse”, diventasse compiuta, diventasse completa -plhrwqh, plerothe- affinché non mancasse ancora nulla perché la Scrittura si compisse la pienezza dei tempi, che non ci manca ancora nulla. Cosa dice la Scrittura? “Colui che mangia il mio pane, alza su di me il suo calcagno”

Intervento. “Contro di me”.

Archiati. “Su di me -ep'eme ep'emè-”. Prima dobbiamo capire di che si tratta e poi ci rendiamo conto che non è facile per nulla, vi sembra che faccia un discorso elitario, mentre dice “non parlo di tutti voi”? Non è un discorso elitario: “io so chi, quali ho scelto” questo scegliere… la traduzione con scegliere è in un certo senso fuorviante perché la scelta, prima di tutto ha, come parola italiana, dei connotati arbitrari di … ve lo dicevo ieri

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Fig. 18

Qui c’è la Terra, l’evoluzione terrestre. Dal Paradiso entriamo nella Terra. Entrarci è di tutti, l’andata è di tutti, d’accordo? Quindi, “molti sono i chiamati”, vi dicevo ieri, significa “tutti sono chiamati, pochi sono gli eletti “ significa che non tutti sono eletti - ex legw, ex lego-.

Ex significa tirar fuori, se tutti fossero eletti, cioè chiamati fuori -eletti significa chiamati fuori- non ci sarebbe libertà, anche il processo di riscatto dalle pesantezze delle leggi di natura sarebbe pura Grazia divina, e noi non ci potremmo far nulla perché come la Grazia divina ci ha fatto piombare nella materia, così la Grazia divina, tutti in modo uguale, ci tira fuori, ecco “lego”, l’elezione. Invece il testo dice: l’elezione, il venire fuori, il purificare, il far risorgere lo spirito dalla materia, dipende dalla libertà umana, quindi può anche andare nella direzione dove lo spirito si perde di più nella materia, dove si identifica con le leggi deterministiche di evoluzione della materia, e questa è una scelta che dipende dalla libertà.

La grande svolta dell’evoluzione è l’inizio della libertà. Prima della svolta il cammino di un uomo non dipende dalla sua libertà e quindi siamo uguali, camminiamo tutti più o meno nella stessa direzione. La svolta sta nel fatto che, a partire della svolta, ogni essere umano decide lui, in che direzione andare. E questo non soltanto nell’insieme, ma in ogni passo, per esempio, dove abbiamo appena visto le due direzioni possibili (rif. fig. 18):

- far da padrone, intendendolo proprio nell’accezione negativa “far da padrone”-

- e servire cioè amare

Tra potere e amore si deve scegliere, non ci sono altre possibilità, l’abbiamo appena visto. Il Cristo aveva detto: “Beati se lo capirete e se lo farete” e qui dice: “Io so chi ho scelto”, soltanto chi fa da servitore, soltanto chi ha l’atteggiamento del servitore riscatta sempre più, si libera sempre più dalle prigionie del denaro, della materia, del piacere di questo mondo, di quello che volete. Soltanto chi serve, chi fa da servitore dell’Io superiore di ogni uomo è beato; poi ognuno lo metta con le parole che vuole, però la scelta, il bivio è chiaro.

Che meccanismi si mettono in moto quando si vuole far da padrone? Bisogna tirar fuori il peggio di sé, perché bisogna pestare e si costringono gli altri a difendersi o a scappare o a rispondere picche, a rispondere a tono innescando la guerra di tutti contro tutti, andando in direzione della guerra di tutti contro tutti.

Può il Cristo eleggere, riscattare, redimere il Giuda in ogni uomo? Nell’uomo?

Intervento. Sì.

Intervento. Ognuno di noi lo può fare da solo.

Archiati. Dovrebbe distruggere la libertà. Lui lava i piedi anche a Giuda, teniamo presente che il testo non dice che a Giuda non ha lavato i piedi, però, purificare il Giuda in me, il Cristo non può costringermi a farlo col potere.

Intervento. Costringermi non può, ma aiutarmi sì.

Replica. Giusto, me lo rende possibile.

Archiati. Cosa significa “aiutare”?

Replica. Mi dà la forza, ha portato la sua forza nel mondo, no?

Archiati. La forza la dà a tutti.

Replica. Cioè è una grazia, una grazia nuova, non quella del Padre ma quella del Figlio, se no allora io devo fare da sola… gli Angeli…

Archiati. Sei pienamente soddisfatta del discorso che hai fatto? O c’è ancora un po’ di nebbia in Val Padana?

Replica. Dentro di me ho una certa convinzione.

Archiati. Però non è bello chiaro, proprio bello chiaro.

Replica. No.

Archiati. Ecco vedi, questo è importante, perché se mi perdoni, non è un’offesa, è un po’ il parlare della chiesa cattolica quello che tu dici, non c’è niente di male, il problema è che quando noi sottolineiamo ciò che l’uomo deve fare pensiamo subito: “ah, ma allora se facciamo noi la Grazia non ha nulla da fare”! Se invece vogliamo salvare la grazia riusciamo a salvare la grazia soltanto tirando via quello che deve fare l’uomo.

L’unica soluzione è di vedere chiaramente come grazia e libertà possano andare soltanto insieme e allora ripeti il discorso di ieri: la grazia consiste nel darmi la capacità di vincere il Giuda.

Replica. Sì, volevo dire questo.

Archiati. Sì, però tu parlavi di aiuto, che significa aiuto? E’ una categoria troppo diffusa e può essere fraintesa; una volta che la Grazia divina mi rende capace di vincere il Giuda in me, quanto è fatto di questa vittoria? Nulla!

Replica. Certo.

Archiati. Sono capace, capace nel senso che non mi mancano i mezzi per vincere il Giuda in me, però che io questa capacità la eserciti o meno dipende esclusivamente da me, ecco. L’esercizio non dipende dalla Grazia. Il fatto che io eserciti questa capacità non significa che con la grazia non abbia nulla a che fare perché è la Grazia mi dà la capacità, cosa non da poco. Se non distinguo la capacità dall’esercizio della capacità sono perso.

Intervento. La lavanda dei piedi.

Archiati. La lavanda dei piedi.

Intervento. Il saperlo è già una grazia, voglio dire, il sapere che io posso combattere questo Giuda in me è già una grazia, come diceva lei, nel senso che se già lo so posso, come dicevi tu, cominciare ad esercitare questa capacità, ma se addirittura neppure so di averla mi perdo proprio, perché ho paura di non farcela.

Archiati. No, sta attenta. Tu dici che capire è già una bella grazia. Allora, se il capire…

Replica. Nel senso che mi posso avviare, senza esitare…

Archiati. No, il capire avviene per grazia o avviene perché ci si è dati una mossa?

Replica. Per il darsi una mossa.

Archiati. Vedi? E tu invece dicevi che il capire è già una bella grazia. Il Cristo ti dice: “beati siete voi se capirete”, nella misura in cui capirete. In altre parole, il capire lo lascia a te.

Lui ti rende capace di capire, però esercitare il pensiero giorno per giorno, coltivare il pensiero, sentire una certa responsabilità nei confronti dell’evoluzione intellettuale è questione, è faccenda della libertà umana. Quindi, una persona deve avere la capacità di poter disattendere, trascurare l’evoluzione del suo pensiero in tutto e per tutto.

Il Cristo non ti costringe a curare il tuo pensiero, se no sparirebbe la libertà, però il Cristo ha reso tutti capaci -perché siamo già duemila anni distanti dalla svolta- di pensiero, di pensare in proprio.

Quindi una persona che dice: “io sono poverello nel pensare”, non può dare la colpa a nessun altro fuorché a se stesso; si dia una mossa, anziché dire “io non so pensare” dica piuttosto “ho pensato troppo poco”. Essere un essere umano, cioè un essere pensante, lo si è per Grazia divina, se no non sei un essere umano. La Grazia divina è saper pensare, essere capaci di pensare, e nessun essere umano, che sia essere umano, può dire “non so pensare”, è una baggianata! Hai esercitato magari questo pensiero troppo poco? Esercitalo di più. L’essenza della natura umana è facoltà pensante, o che altro?

Intervento. Si può dire che non è per caso che capiamo, è per caso che percepiamo?

Archiati. Non è per caso neanche che percepiamo, perché l’Io superiore se le sceglie tutte le percezioni e dirige i tuoi occhi là, soltanto là dove tu devi avere una percezione; nessuna percezione avviene a caso.

Replica. Ma poi la percezione non si traduce nel concetto?

Archiati. Sì, ma adesso hai portato tutta un’altra categoria. La percezione è la libertà dell’Io superiore e il concetto è la libertà dell’Io normale, va bene?

Intervento. Forse è fuori luogo, ma mi domandavo, in tutto questo come si colloca la preghiera?

Archiati. La preghiera, ci sono tante forme di preghiera e dare una risposta breve... “chiedere qualcosa”, prendiamo la forma di preghiera che chiede qualcosa, è il modo di esprimersi di chi è bisognoso d’aiuto. Il bambino è bisognoso d’aiuto perché non è ancora autonomo, l’adulto che chiede qualcosa va a dare consigli al Padre Eterno: “fa questo, fa quest’altro…” altrimenti, senza i suoi consigli, il Padreterno non sa cosa deve fare. Ho un esame? Fammi essere promosso. Prendiamo il Padre nostro: Padre nostro che sei nei cieli…

Replica. Non c’è posto per la preghiera allora?

Archiati. Piano, piano…“Dacci oggi il nostro pane, pane quotidiano…” è una delle sette petizioni del Padre nostro, oppure c’è addirittura “non ci indurre in tentazione” cioè: per favore, ti prego, non mi indurre in tentazione. Tanti cattolici hanno ancora un animo così infantile, senza offendere nessuno, da non rendersi neanche conto che la prima cosa che ha dovuto fare il Cristo appena è entrato nel mondo è stato di confrontarsi col tentatore.

Allora, questi cattolici vogliono essere migliori del Cristo, che loro la tentazione non la vogliono? “Non ci indurre in tentazione”, quindi ce n’é di strada da fare, di rendersi conto, di processi di coscienza, perché è chiaro che a questo livello qua in cui si crede che se tu non gli ricordi di darci il pane Lui si scorda… Il Padreterno ha bisogno di noi che gli diciamo: non ti dimenticare, dacci il nostro pane quotidiano perché se non ci sono io a chiedertelo tu ti dimentichi.

Intervento. Però è vero che noi possiamo rivolgere delle preghiere, cercare degli aiuti che non si sovrappongono alla nostra volontà, non so come dire, quando tu chiedi l’aiuto di un morto, di una persona che ti era cara può essere un aiuto che magari ti arriva come pensiero dall’inconscio.

Lo dicevi quando si parlava, mi sembra, della pratica che uno fa di notte, prima di addormentarci, che uno cerca di comunicare con i defunti e poi arrivano le risposte, cioè, questa è una richiesta d’aiuto che facciamo insomma, è una preghiera di avere degli strumenti in più.

Archiati. Comprensibile è tutto ciò che è umano, tutto ciò che è umano è comprensibile perché è umano. Il nostro intento, il nostro compito è di mettere più chiarezza possibile nelle cose, allora uso un’altra immagine perché, in un certo senso, è giusto quello che tu dici.

Replica. Nel senso che cerchiamo proprio un aiuto.

Archiati. Ma l’aiuto c’è! L’aiuto c’è, quello è il problema. Noi facciamo come se gli dovessi dire: “aiutami”, se no non m’aiuta. E allora? Ometto di rendermi cosciente che l’aiuto c’è sempre: Lui la sua parte la fa sempre. Te lo traduco in una immagine: avevo nove anni e mezzo quando è venuto a un missionario degli Oblati di Maria Immacolata; a quei tempi tutti i bambini andavano in chiesa, i preti hanno fatto una predica su quelli che in Africa, in Asia, eccetera, non conoscono il Cristo. Il Cristo era la cosa migliore che avevano da offrire a quelle popolazioni. E poi hanno chiesto: chi di voi vuole diventare missionario? Io ho alzato la mano, sono entrato in sacrestia, hanno preso contatto con i miei genitori… ricordo, io ero un bambino piccolo, ricordo quella volta che prima di andare via questo missionario stava proprio davanti a me e disse a mio padre: “preghi perché il Cristo tenga la mano su questo bambino”, e mio padre gli risponde: “No, padre, io pregherò perché questo bambino non tiri via la testa da questa mano”! Mio padre, un contadino, che dà la lezione al prete. Se l’ha capito o no non lo so, la storia non lo dice, però io nel corso della vita l’ho capita quella lezione.

La maggior parte delle preghiere chiede al Cristo di mettere la mano al posto giusto, e il Cristo ti risponde: “no, mettete voi le teste al posto giusto, sotto la mano”. Vedi c’è una bella differenza? Allora, chi chiede la mano che protegge lo fa per non pensare a dove lui mette la sua testa, perché invece se si occupasse di mettere la testa al posto giusto la mano del Cristo la lascerebbe in pace, quella sta sempre al posto giusto; invece la maggior parte delle preghiere danno consigli a Lui, gli dicono dove deve portare la sua mano! E questo è un livello di coscienza che va superato perché è un livello-bambino, questo volevo dire.

Intervento. Queste richieste, sono fatte al nostro Io?

Archiati. Perché no?

Intervento. Anche quando parli di grazia, che crea una potenzialità di libertà e di formarsi nell’individuo… il concetto di grazia ti farebbe pensare al concetto tradizionale di un gesto arbitrario di Dio, della divinità che interviene nel processo dell’evoluzione della storia, un gesto arbitrario e magari sollecitato dalla nostra preghiera, al limite. Invece, come va interpretata la grazia?

Archiati. No, proprio non ci siamo. La somma della grazia è la tua natura.

Replica. Sì, però…

Archiati. Piano, piano prima hai parlato tu e io sono stato zitto, adesso stai zitto e lasciami parlare, ho appena cominciato. Tu dici, hai consentito, hai detto di sì al fatto che la somma della grazia è la tua natura, in che cosa consiste la tua natura?

Replica. Nella potenzialità di essere un individuo libero.

Archiati. La libertà, quindi la capacità di libertà, è la natura umana, e non ci può cambiare niente neanche il Padreterno, altrimenti dovrebbe inventarsi un’altra natura umana. Quindi, una grazia che lede la libertà si contraddice, perché allora io gli dico: “tu, caro Padreterno, hai voluto un uomo libero o non l’hai voluto libero? Se volevi un cagnolino, ce ne sono già abbastanza di cagnolini, quelli li puoi gestire tu in toto”, lo fa da sempre coi cagnolini…

Esseri umani a cui farebbe comodo aver la scusa per tutto quello che fanno, che tanto sono cagnolini e non ci possono far nulla, sono rappresentati da tutta la scienza moderna; gli scienziati moderni cosa ti dicono? Chi decide in noi è la natura -il Padreterno- i geni decidono. Bella scusa, bella scusa per poltrire.

Replica. E non si può dire che la grazia corrisponda a questo mistero del fatto che noi ci troviamo in questa potenzialità che, tutto sommato, è pur sempre misteriosa?

Archiati. Dio è il più grande padrone che ci sia, o no? Ti sta dicendo: guarda che io ho deciso di essere padrone soltanto servendo, facendo posto all’uomo; e se Lui ha deciso così, tu non puoi cambiare la sua decisione. Lui fa posto alla libertà dell’uomo, ha il diritto di farlo perché è Lui il padrone, e te lo sta dicendo qui sul vangelo, frase per frase, una botta dopo l’altra…

Intervento. Perché “chiedete e vi sarà dato” se quello che è stato dato è una grazia?

Proteste. Andiamo avanti! Non andiamo più avanti qui!

Archiati. Non ci serve a nulla saltare di palo in frasca. Tu pensi che dicendomi una frase da un altro Vangelo io, che sarei il guru, ti metto lì un oracolo e tu hai la risposta bell’è pronta?

Onestamente, se io voglio fare il servitore del tuo cammino intellettuale ti devo mettere un minimo di contesto, e prima che tu arrivi ad un intuito mi ci vuole una mezz’ora, allora una mezz’ora tu la porti via al processo che stiamo facendo, te l’ho già detto tante volte.

Mi vieni sempre con altre cose e io non ti posso dare un oracolo e dire: è così. Io non sono venuto a fare il padrone su di te, il mio compito è quello di crearti un contesto tale che tu ci arrivi, ma stiamo lavorando a questo testo e non ad un altro Vangelo.

Allora: “Io non dico di tutti voi”, Io Sono, conosco la natura -vi faccio delle variazioni naturalmente, per farvi capire cosa intendeva-, conosco l’Io in ogni uomo. L’Io Cristico, l’Io di ogni uomo, conosce la natura, di che natura è ciò che viene eletto. L’Io in ogni uomo, l’Io è il Cristo, il Cristo in ogni uomo conosce il cammino intellettuale; il cammino conoscitivo sta nel conoscere che cosa, quali forze, quali dodicesimi dell’essere umano vengono eletti -cioè vanno verso l’alto- e quali forze vanno verso il basso. Chi sa fare questa distinzione?

L’Io pensate e l’Io amante! L’Io sa quali forze, quali componenti, quali esseri umani poi nell’ultima analisi vengono eletti e quali invece vengono subissati o si lasciano subissare.

Come distinguo io l’uno dall’altro? Con la conoscenza. Con la forza pensate data dall’Io. Io so quali ho eletto, quali forze sono destinate a vincere il dato di natura, quali forze sono destinate, sono di natura tale da venir subissate dal dato di natura.

“Affinché la Scrittura si compisse”… la Scrittura, nella prima parte dell’evoluzione di cosa parla la Scrittura? Parla delle leggi evolutive. Quando si compiono le scritture? Quando ogni essere umano è capace di libertà, di scelta. Quando ogni essere umano è capace di scelta, non c’è più nessuna Scrittura che aspetta di essere compiuta, perché quello è l’ultimo compimento.

C’è un altro compimento, ancora maggiore che non la capacità di scelta? Di libertà? No, non ci può essere, perché più della libertà non ci può essere.

Quindi la Scrittura, tutte le scritture tutta la prima parte, si compie nella capacità di libertà, nella facoltà della libertà. E la capacità di libertà sta nel fatto che “colui che mangia il mio pane”…

C’è la Terra “Colui che mangia il mio pane…” -il pane dell’Io della Terra, il Cristo sta diventando l’Io, lo spirito della Terra- “…cammina su di me”. Qui provoca: “ogni uomo cammina su di me”, ognuno cammina, ogni passo che noi facciamo… di chi è la Terra? Il corpo di chi?

Intervento. Di Cristo?

Archiati. Dello Spirito della Terra, e quando noi camminiamo sulla Terra sul corpo di chi camminiamo? Sul corpo del Cristo, dell’Io della Terra. Quindi Lui è il sostrato della nostra evoluzione, ci rende capaci di camminare perché ci dà la Terra per camminare, mangiamo il Suo pane, il pane della Terra che è il Suo corpo. Il Cristo ci dà il pane e camminiamo su di Lui.

Luciana, che dici? Che c’è ancora da masticare, questo dici?

Intervento. “Ha levato contro…”

Archiati. No, il calcagno… è levato ephren (epèren), non antihren (antìeren); tu non hai la versione in greco: “contro” è fuorviante. Loro, i teologi tradizionali, hanno pensato il calcagno, gli dai una scalcagnata… perché non hanno capito che la Terra è il corpo di Cristo.

La teologia tradizionale non aveva gli strumenti per capire veramente o sapere che la Terra è il corpo del Cristo in un modo realissimo.

Quando noi diciamo del nostro pezzo di materia “questo è il mio corpo”, non lo intendiamo in senso metaforico, chiaro? Non intendiamo dire questo pezzo di materia è il mio corpo in senso metaforico, lo è in senso reale, lo inabito questo pezzo di materia, lo inabito, lo configuro, l’ho configurato a seconda del mio essere. Questo è il mio corpo. Lo stesso rapporto c’è tra il Cristo e la Terra.

Intervento. Questo non potrebbe essere anche: cammina su di me, cammina sull’Io, evolve sull’Io?

Archiati. Certo, spiritualmente, perché la materia è il sostrato del cammino spirituale. Quando tu vai a visitare una persona lo fai in vista dei pensieri, dei sentimenti, eccetera, in vista di quello che di invisibile vivrai, però la condizione che ti rende possibile questo, qual è? Quella di poterci andare. Perciò tutto ciò che è fisico è il sostrato, il fondamento necessario, finché non moriamo, finché non diventiamo Angeli, di tutto ciò che viviamo.

Allora il mangiare si riferisce maggiormente alla testa, al pensare e, se vuoi, il camminare si riferisce alla volontà, al fare: una bellissima polarità.

Intervento. E qui è “sopra”?

Archiati. Sopra, su di me, cammina su di me.

Replica. Un’altra cosa, però il passato “camminato”, escluderebbe la categoria del divenire… cammina, cammina sempre.

Archiati. No, l’evoluzione è sempre quella che è avvenuta finora, “cammina da sempre su di me”.

Però non può dire che ha già camminato dove ancora non ha camminato.

Intervento. “Cammina”, “ha camminato”…

Archiati. Ha camminato da sempre, è arrivato qui camminando su di me, è arrivato dove è arrivato camminando su di me. Ti riassume tutta l’evoluzione passata, altrimenti tu hai soltanto il presente ma non hai presente tutta l’evoluzione passata: ha da sempre comminato su di me.

Intervento. E mentre cammino su di Lui, io produco i presupposti per essere fra gli eletti o i subissati? Ma durante questa esistenza e dopo di questa, io farò il percorso dell’elezione o del subissamento? O già… è qui che mi perdo un po’.

Archiati. No, riscattare tutto l’umano o subissare tutto l’umano è impossibile in una vita sola; è molto semplice il discorso.

Replica. Ah, così son più tranquillo…

Archiati. Ci potevi anche arrivare da solo, scusa. Basta che pensi il pensiero successivo e ti chiedi: la categoria del subissamento, o è totale o non è ancora un subissamento, e questo significa che perdere tutto l’umano o riscattare tutto l’umano in una sola vita è impossibile; la domanda successiva da porsi è: è possibile in tutta una vita diventare tutto cattivo o tutto buono? No, è impossibile. E questo è un pensiero così semplice che la Chiesa Cattolica non l’ha mai capito, perché canonizzare una persona, significa dire: è perfetto!

Intervento. I Santi.

Archiati. Se fossimo onesti dovremmo dire: ogni essere umano che muore a questi livelli dell’evoluzione non può essere compiuto.

Siamo a duemila anni dalla svolta e c’è una somma infinita di potenzialità evolutive che ancora aspettano di essere realizzate. Qualcosina è stata realizzata, in bene ed in male, ma qualcosina; ognuno di noi, anche i santi, muoiono con tanti fattori ancora aperti.

Intervento. Devono ritornare.

Archiati. Chi di noi ha realizzato tutte le potenzialità della natura umana?

Intervento. Nessuno.

Archiati. Tutte le potenzialità della natura umana! La natura umana in ogni essere umano ha la potenzialità di un artista come Michelangelo, tutti devono averla, altrimenti il Padre Eterno avrebbe fatto delle cose belle e delle cose bruttine. Michelangelo questa potenzialità di artista l’ha realizzata in quella vita lì, e io quando? Se non l’ho ancora realizzata la dovrò realizzare, perché se restassero tante potenzialità senza possibilità di essere realizzate allora il Padreterno bara, perché m’ha dato delle potenzialità senza la possibilità di realizzarle.

Il concetto fondamentale è che la natura umana è un’infinità di potenzialità evolutive, perché lo spirito è infinito e in una vita, anche la persona più santa di questo mondo, ne può realizzare sempre e solo un frammento. Quindi di cammino mentale ce n’é da fare, anche nella teologia tradizionale, che è poverella proprio a livello di pensiero; è poverella proprio perché non sa ancora pensare i pensieri più importanti della vita. Rende sante certe persone, le colloca in Paradiso, ormai sono perfette, quelle non hanno più nulla da fare! È da bambini, da bambini.

Tra l’altro, personaggi come un sant’Antonio, un san Francesco d’Assisi…supponiamo che san Francesco d’Assisi si reincarni, ritorni sulla Terra, cosa fa? Adora se stesso, prega se stesso! È devoto di san Francesco d’Assisi ed è proprio lui san Francesco D’Assisi! È questo che trovo interessante. La stessa Madonna, la cosiddetta Madonna -la Madonna è una persona umana- se è vero che tutti ritorniamo sulla Terra, questa Madonna dovrà essersi reincarnata di nuovo, no? Supponiamo che adesso sia nel mondo, se è nel mondo è probabile che diventi devota della Madonna, se è una brava cattolica è devota alla Madonna, a se stessa! Detto tra parentesi: non penso proprio che sia una brava cattolica altrimenti non sarebbe stata la madre di Gesù. Però il concetto della teologia è questo. I pensieri della teologia sono questi, sono pensieri bambini, proprio bambini, bambini…ce n’è da fare! E se quelli si arrabbiano quando cerchi di mettere un po’ di ordine nei pensieri, le arrabbiature sono problemi loro. Però se non ci svegliamo l’umanità va veramente a rotoli, perché in questo modo qui, tenendo gli essere umani bambini, non andiamo avanti e poi perché se il Cristianesimo viene tenuto a questo livello bambino la gente che comincia veramente a pensare dice: “che ce ne facciamo di queste baggianate”? E le butta via.

Cosa è diventato il Cristianesimo nella nostra cultura? La ruota di scorta rotta, quella già cambiata. Questa è la funzione del cristianesimo nella nostra cultura, perché uno dei motivi fondamentali è che la teologia, la Chiesa, ecc. è rimasta indietro, molto indietro, nel pensiero.

Intervento. Volevo chiedere una cosa…

Archiati. No, no, Renato ha detto di dire no.

Intervento. Devi incavolarti di più, Pietro.

Archiati. Ho sentito bene? Già ho patemi d’animo che mi incavolo troppo… bene, grazie, grazie.

(Risata)

13,19. “Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché quando sarà avvenuto crediate che Io Sono”

“Perciò vi dico queste cose prima che avvengano -ap'arti legw umin pro tou genesqai, ap'arti lego umìn prò tù ghenèsthai-…” le dico fin d’ora, prima che avvengano, perché il tradimento vero e proprio, la notte, arriverà due giorni dopo, storicamente; però questa frase sta a dire che la conoscenza deve sempre precedere l’azione, altrimenti è un agire cieco.

Allora dice: Ve lo dico prima che ciò avvenga, in modo che, quando voi vedrete il Giuda, o il Giuda stesso si vedrà, avrete la possibilità di capire quello che stava avvenendo. La vera evoluzione è l’evoluzione della coscienza, l’essenza dell’uomo è la coscienza, e che altro?

Lo spirito è l’essenza della coscienza, quindi il significato della conoscenza è di precedere l’azione in modo da poterla illuminare, perché un’azione non illuminata dalla coscienza individuale dell’io è da animali, non da uomini. È certo l’azione dell’animale è illuminata dall’anima di gruppo ecc, però l’animale non ha il tipo di illuminazione specificamente umana che è quella di capire individualmente le cose e quindi di renderne conto e di esserne responsabili individualmente Questo l’animale non lo può avere. Essere uomini significa agire a ragion veduta.

“Io vi dico queste cose prima che avvengano affinché quando avvengono le capiate” perché se non le capite non servono a nulla. Il senso dell’evoluzione è il capire, di azioni fatte senza capire ce n’è già abbastanza : un gatto fa molto di più di quanto faccia io in un giorno. Il “fare” è tra virgolette, e l’essere umano lo sa perché è portato a cercare la conoscenza, la coscienza, e quando trascura il cammino di conoscenza è triste, si sente triste. Quando si va in vacanza al mare o in montagna o dove si vuole, molte persone tornano a casa tristi -per fortuna sono ancora molti quelli che si sentono tristi, perché quelli che non hanno un rosicchio sono ancora più malmessi-, e questo accade perché c’è l’inconscia percezione: “ma guarda, ho fatto tanto per il corpo e quasi nulla per la coscienza”. C’è la percezione: “non è che torno a casa più ricco, torno a casa ancora più povero”.

Intervento. Ho vacato, “vacuo”, vacare, vacanza , cioè “ho fatto buchi”.

Archiati. Si vaca, la testa vaca, quindi il concetto di vacanza è puramente negativo in italiano; invece in tedesco “Urlaub” significa la forma primigenia del permettere “erlauben” significa “ti permette qualcosa”, invece in italiano uno è vacante. Forse vi ricordate quando c’è stato il concilio ecumenico a Roma: dovevano mettere le scritte in latino anche nei gabinetti, e dovevano mettere le scritte “occupato” o “libero” in latino. Come hanno fatto per mettere libero e occupato in latino? Per occupato hanno messo “feliciter regnante”, per libero hanno messo “sede vacante”.

(Risata)

Archiati. Io ero studente a quel tempo. E quella era la soluzione migliore per dire cosa significa la vacanza: vaca. Se c’era “sede vacante” allora uno ci entrava. La porta era chiusa? “Feliciter regnante” allora no, non entriamo, lasciamolo sul trono.

(Risata)

Archiati. E se poi anche tutti i vescovi americani sapessero il latino così bene la storia non lo dice, comunque prima o poi hanno capito la scritta.

Intervento. Scusa qui tu hai detto, la conoscenza prevede…

Intervento. Andiamo avanti!

Archiati. Vedi? Quando interrompe lui tutto va bene, quando interrompi tu lui protesta e dice che dobbiamo andare avanti. Parla pure.

Intervento. Qui dice: “fin d’ora ve l’ho detto, prima che accada, affinché quando avverrà… ecc.”, ma “quando avverrà”, per i dodici ciò che avverrà non è una percezione? E quindi… non so… forse non ho capito quello che hai detto.

Archiati. Ha parlato dei calcagni che si muovono su di Lui, e ha parlato del “mangiare del suo pane”… quando avviene questo? Sempre. Solo che lo devo capire che avviene sempre, quello è il problema. Allora lui mi aiuta dicendomelo, mi aiuta affinché non soltanto avvenga ma io capisca che avviene, perché se avviene senza che io lo capisca, per me è indarno.

Replica. Io pensavo si riferisse al tradimento questo “avvenga”.

Archiati. Certo, e quando avviene il tradimento? Sempre quando io dormo, quello è il tradimento del Logos. Il tradimento del Logos qual è? Il tradimento del Logos in che cosa consiste?

Intervento. Nell’omissione del pensiero.

Vociare.

Archiati. Quando sono illogico, è il non-senso.

Quanto deve essere lunga la pausa? Dopo la pausa non parla nessuno.

Il cammino della conoscenza è fatto per comprendere il rapporto tra natura e libertà, per quanto riguarda l’essere umano. Nelle pietre, nelle piante, negli animali c’è soltanto natura, determinismo di natura. Lo specifico dell’umano è l’interazione tra determinismo di natura e la capacità umana di prendere posizione nei confronti della natura, di gestirla, di gestirla sia conoscitivamente in quanto capacità di capirla sempre di più, e sia volitivamente nel senso di ridurre, se ne ho la possibilità, di ridurre sempre di più ciò che mi determina e ampliare sempre di più il modo in cui io mi determino, decido del mio cammino.

E per l’esercizio della libertà, bisogna che ci siano tutti e due: la natura e la libertà.

Posso scegliere di far prevalere la natura in me, e allora le forze della libertà diventano sempre più esigue fino a farmi diventare schiavo della natura. Se invece voglio diventare padrone della natura e fare della natura il servo devo generare dentro di me una forza che non viene da sola: questa è la libertà. Perché se questa forza venisse da sola non sarebbe libera. E il fatto che siano tanti esseri umani a non generare questa forza non ha mai dimostrato che non sia possibile generarla.

Allora, comprendere l’interazione tra natura e libertà sta soprattutto nel capire che la natura c’è per forza, perché non è libera, invece la forza che supera il determinismo di natura non c’è per forza perché è libera, e quella è sempre possibile ometterla.

Capire la libertà significa capire che se io non mi do una mossa nessuno può farlo al mio posto.

E se io decido di dormire e di non darmi una mossa ciò che si muove da solo è il determinismo di natura, e quello si muove da solo, non ha bisogno di nessuno sforzo da parte mia.

In altre parole, ciò che è libero può sempre venire omesso e viene non omesso soltanto per decisione libera e cosciente, cioè: di libero c’è soltanto ciò che io ci metto coscientemente e liberamente, non di più, sennò smette di essere libero. Quello che io non ci metto coscientemente e liberamente è natura in me, perché la natura c’è anche senza la mia coscienza e senza la mia decisione libera.

Lo dico di nuovo: libero in me è soltanto ciò che ci metto io coscientemente e liberamente.

Qualcuno potrebbe dire: “eh, allora la faccenda si complica, perché l’area del non-libero è enorme”. Se di libero c’è soltanto ciò che io ci metto coscientemente e liberamente, c’è sempre un disavanzo. E poi subentra un altro intuito, l’intuito del valore morale attribuibile a ciò che è di natura e a ciò che è libero: come peso morale, un frammento di libertà pesa moralmente di più di tutta la natura che c’è, perché tutta la natura che c’è è a-morale, non immorale. A-morale cioè non libera, non ha libertà di scelta. Quindi, un frammento di libertà ha un peso morale, nel cosmo, maggiore di tutto ciò che non è libero, lo si capisce subito, basta capirlo e una volta capito non dovrebbe scappare più.

Questo che io ho cercato di dire adesso in nuce, il Vangelo lo sminuzza e dice: il discorso della libertà non può riferirsi a tutto, si riferisce soltanto a ciò che è libero, bisogna quindi distinguere. Il Cristo dice: l’Io, la qualità dell’Io non può venire attribuita anche a ciò che non è libero, la qualità dell’Io si attribuisce soltanto a ciò che è libero: all’Io, appunto.

Il Vangelo non parla di tutto, perché nella natura non c’è l’Io libero. L’Io sa quali forze esuberano, si tirano fuori, vengono elette fuori dal determinismo di natura. È l’Io pensante che capisce in che cosa consiste la libertà… e in che cosa consiste la libertà? Nel far qualcosa che esula dal dato di natura. E questo esulare, il testo evangelico lo mette con questa bellissima immagine dell’eleggere, del tirare fuori. Quindi, da tutto ciò che è di natura, che è come sostrato, emerge ciò che è libero, e solo questo ha valore morale, solo questo interessa al Cristo, perché la creazione del Padre c’è da sempre, quella è una faccenda del Padre. Quindi, la creazione del Padre è la natura, il determinismo di natura, la creazione del Figlio è ciò che emerge, ciò che si affranca dal determinismo di natura perché è libero.

Le immagini sono belle, sono molto loquaci. Allora diciamo, vi traduco adesso 13,18. “non so quali esseri umani, quali persone, ma so quali forze -egw oida tinaV, egò oida tinas-, quali dimensioni…” l’Io sa quali dimensioni appartengono all’emergenza della libertà e quali invece appartengono al sostrato di natura. Allora, questa interazione fra natura e libertà è il compimento di tutta la promessa evolutiva, è il compimento delle scritture. Cosa dicono le scritture?

Le scritture dicono, anticipano il senso dell’evoluzione, e il senso dell’evoluzione è che tutto ciò che è determinismo di natura è destinato a farsi da strumento e da sostrato per ciò che è libero.

Il Cristo viene a compiere l’opera del Padre, l’opera del Padre è il dato di natura, e il Cristo compie in ogni uomo l’opera del Padre quando si avvale della natura come strumento per far sprigionare ciò che è libero. L’opera del Padre sono le percezioni. Dove e in che cosa si compie la Scrittura delle percezioni? Nel concetto. Però il concetto è libero ed io posso o guardare o dormire. Quali concetti creo in base alla percezione? Faccenda mia.

(rif. v. 13,18) “Affinché fosse piena, diventasse piena la Scrittura”… La Scrittura per che cosa è fatta?

Per venire letta, per venire decifrata. Qual è la pienezza della Scrittura? La Scrittura è piena quando al dato di natura non manca più nulla perché sopravviene la libertà. Quando sopravviene la libertà, la Scrittura è piena. Noi aspettiamo che ci sia ancora di più da leggere? No. Esercitiamo il leggere, ce n’è già abbastanza da leggere. La Scrittura è piena, è compiuta, adesso si tratta di leggere, di interpretare, di capire, di pensare.

Siccome il Vangelo va per immagini: la Scrittura, l’e-leggere, il tirar fuori sono tutte immagini, e queste immagini sono suscettibili di venire tradotte in tante concettualità, è un leggere, stiamo leggendo la Scrittura, no? Proprio perché sono immagini, così come in una fiaba, una fiaba non ti dà un’interpretazione intellettuale perché l’interpretazione intellettuale va di volta in volta in una direzione, una fiaba ti dà un quadro con l’immagine: il lupo, la fata, ecc. per darti la possibilità di affrontare questa realtà globale concettualmente da diversi lati, perché è inesauribile.

Allora, la Scrittura è ciò che è stato scritto, e cos’è? Tutto ciò che si può leggere, tutto ciò che si può interpretare, e cos’è che si può interpretare? Tutto, tutto è Scrittura per la mente umana che legge e che interpreta. Che cos’è più interessante la scrittura o la lettura?

Intervento. La lettura.

Archiati. La lettura. Ma se è una scrittura data a uno che non sa neanche leggere… se mi date un giornale in cinese -magari ebraico, ancora ancora potrebbe andare per me, ma un giornale cinese…- sto lì e dico: “come son belli questi ideogrammi”!

A parte che quand’ero studente mi ero cimentato col cinese, poi ho dimenticato tutto. Quand’ero nel Laos avevo imparato trecento ideogrammi, di ciò che avevo imparato non è rimasto più niente, però il laotiano lo parlavo bene perché dovevo insegnarlo.

“Affinché si compia la Scrittura”, adesso riassume la Scrittura in un’immagine di “calcagno” e di “mangiare”. La Scrittura è la Terra, perché tutto è stato scritto nella Terra, per aria, nei cieli non c’è scritto nulla, quindi la somma della Scrittura è il corpo della Terra, lì è stato scritto tutto, ed anche tutti i libri che abbiamo sono sulla Terra.

Su questa Terra, che è la Scrittura, noi camminiamo -il camminare sono le azioni, gli impulsi volitivi-, camminiamo sul corpo dell’Io, ogni passo è un passo d’evoluzione dell’Io e mangiamo, ci nutriamo del suo pane, letteralmente.

Il Cristo cita il Salmo 41,10. “Colui che mangia il mio pane, alza su di me il suo calcagno”.

Pensare significa mangiare il pane che ci dà il Cristo, e volere, cioè agire significa camminare: i due esercizi della libertà. Il Pensare è un mangiare spirituale, bella questa immagine! Che cosa significa trasformare una percezione in concetto? Mangiarlo, assimilarlo. L’immagine quindi calza, e la percezione cos’è? E’ un frammento del corpo del Cristo, proprio in senso realissimo. Ogni percezione è un frammento del corpo del Cristo ed io, trasformandola in concetto, la faccio sostanza del mio spirito. E l’immagine più bella e calzante è quella di assimilare, di mangiare poi questi pensieri che mi fanno comprendere il senso dell’evoluzione, si trasformano in azione. Io cammino in questa evoluzione e mi evolvo, e camminando faccio da servitore agli altri, e in questo modo ci evolviamo a vicenda. Pensiero e volontà, pensiero e amore sono due dimensioni fondamentali dell’uomo.

13,19. “Fin d’ora ve lo dico, prima che accada”… ogni frase, ogni inciso sono aspetti fondamentali del fenomeno umano, perché se il Vangelo non parla del fenomeno umano, sbattiamolo via, a che ci serve? Dovrebbe essere chiaro che ha il diritto soltanto di trattare del fenomeno umano, e questo ci basta perché nel fenomeno umano c’è dentro tutto, e qui aggiunge un altro aspetto fondamentale dell’evoluzione. Vi dicevo prima che la conoscenza deve precedere l’azione perché essere umani significa agire a ragion veduta, sennò… “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Il Cristo dice: ve lo dico ora, prima che avvenga, in modo che la conoscenza preceda l’azione.

Perché è antiumano non far precedere all’azione la conoscenza? Perché è antiumano fare senza sapere quello che si fa, perché non c’è libertà, proprio per questo, perciò è disumano, perché la libertà sta nel capire, non nel fare. La libertà sta nel capire perché io faccio qualcosa, a cosa serve.

Questo mistero del Cristo in croce che chiede il perdono per gli uomini al Padre e dice: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” -ora mi riferisco al Vangelo di Luca, ma è per spiegare questo qui- duemila anni fa, al momento della caduta, al centro dell’evoluzione…

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Fig. 19

Qui, al centro dell’evoluzione, il Cristo dice: “Padre perdona loro…”, perché tutta la prima parte dell’evoluzione era tale perché gli esseri umani non avevano ancora acquisito gli strumenti per la libertà, questa prima parte dell’evoluzione è propedeutica alla libertà, crea i presupposti per la libertà. Quindi il Cristo dice al Padre: “non puoi pretendere dagli esseri umani che siano già capaci di pensiero, cominciano solo adesso”, gli esseri umani sono ancora come bambini, e al bambino bisogna perdonare perché non sa quello che fa. Questo perdono, questo diritto al perdono, vale anche dopo?

Intervento. Sempre meno.

Archiati. Vale sempre meno, perché l’esercizio della libertà sta nella responsabilità morale dell’evoluzione della coscienza. Non posso restare libero, non posso diventare sempre più libero se non coltivando sempre di più la mia coscienza. In altre parole, ho sempre meno il diritto di non sapere quello che faccio. Una persona che non sa quello che fa, quando invece potrebbe saperlo, è irresponsabile, e quindi non è libera.

La domanda quindi non è più: gli esseri umani non sanno quello che fanno?

La domanda è: cosa potrebbero sapere e hanno omesso di conoscere?

Noi, in quest’epoca, ci troviamo già nella fase della possibilità di omettere la conoscenza, perché se non avessimo la possibilità di omettere il cammino di conoscenza non saremmo liberi, in che cosa consiste primariamente l’esercizio della liberà? Che cosa ci è sommamente libero? Il cammino di conoscenza, che altro? Ciò che noi possiamo cambiare nel mondo è limitato, ma ciò che ognuno può fare con la sua testa, lì nessuno gli mette limiti, non ci sono limiti alla conoscenza, non ci sono limiti al pensare.

Quindi i peccati di omissione più grossi avvengono nel poltrire riguardo al cammino di conoscenza.

Per tutte le altre omissioni il mondo è corresponsabile, per le mie omissioni nel pensiero, nel mio pensiero, sono responsabile soltanto io, perché ciò che avviene nel mio pensiero è tutta roba mia, lì gli altri non c’entrano nulla.

Quando sto facendo qualcosa devo fare i conti con tanti altri fattori, con tante altre cose; ma quando ho a che fare con la mia testa, ciò che viene fatto viene fatto tutto da me, e ciò che viene omesso viene omesso tutto da me. Si capisce il discorso?

Allora uno capisce perché, duemila anni dopo, arriva nell’umanità l’iniziato Cristico più grande -Rudolf Steiner- ed è un finimondo! Su che cosa pone l’accento? Sulla scienza dello spirito, che non ti dice: “dovete fare, dovete fare”, ma ci dice: coltiva la tua testa, se no sei perso. L’Io pronuncia i compiti della conoscenza a partire da ora, fin da ora; quindi i compiti della conoscenza vengono dati a partire dalla svolta, in modo che nessuno possa dire: “ah, non lo sapevo”! Te l’avevo detto, dice il Cristo. Le cose te le ho dette prima che avvenissero, in modo che tu non possa mai dire: “ah ma è successo qualcosa dove non sapevo, non potevo sapere che cos’era”!

Non c’è nulla di fronte al quale gli esseri umani possano dire: non ho gli strumenti per capirlo.

Il Cristo dice: gli strumenti per capirlo ve li ho dati fin d’ora, prima che tutto avvenga, in modo da poter affrontare tutti gli avvenimenti del futuro. L’essere umano è la capacità di affrontare tutto ciò che avviene, in chiave conoscitiva. Non c’è nulla per cui non gli siano state date le chiavi conoscitive, perché il pensare è la chiave per tutte le cose, ma solo se è esercitato.

“Vi dico questo fin d’ora”, a partire da ora. Il testo greco è difficile da rendere in l’italiano ma dice: “a partire da ora” qui, proprio a questa svolta. D’ora in poi l’essere umano ha lo strumento conoscitivo capace di interpretare tutto ciò che avverrà, prima che avvenga.

Quindi lo strumento conoscitivo ci viene dato prima che avvengano le cose da interpretare, perché se lo strumento per interpretare ci viene dato dopo, allora abbiamo la scusa di dire: “eh l’ho fatto senza sapere; non potevo sapere, non potevo sapere quello che facevo oppure ciò che qualcun altro ha fatto, la guerra in Iraq ad esempio, non avevo gli strumenti per capire”.

Il Cristo dice: “no, a partire da qui ogni essere umano ha in mano tutto il pensatoio che gli serve”. Sono affermazioni anche incoraggianti, liberanti! A partire da ora, “ve lo dico a partire da ora”, l’Io del Cristo parla, istruisce il pensare di ogni essere umano prima che ciò avvenga, sempre prima.

Gli strumenti conoscitivi precedono sempre il fare o gli eventi del mondo prima che avvengano -pro tou gensqai, prò tù ghenesthai- affinché crediate -traduco letteralmente-, quando avviene, che Io sono. “Affinché quando avviene, crediate che Io sono”, e che vuol dire?

Affinché quando qualcosa avviene, qualsiasi cosa, vi rafforziate: pisteushte (pistèusete), significa rafforzarsi nella forza dell’Io, affinché capiate che il senso di ogni cosa che avviene è di offrire all’essere umano un’occasione per rafforzare l’io pensante e l’io amante.

Però l’uomo deve saperlo prima sennò gli capita qualcosa e non sa per che cosa gli capita. Quindi, il Cristo ci dice in partenza che tutto ciò che capita, capita per rafforzarci: pisteushn (pisteusen) lo traduciamo con credere, però questo credere non significa proprio nulla.

“Tutto quello che capita”, la chiave interpretativa che ti viene data in partenza, fin dall’inizio per capire tutto quello che capita, e che ti capita è che: tutto quello che ti capita e che capita è per rafforzare negli esseri umani, pisteusen la forza duplice dell’Io: pensante ed amante.

“Affinché crediate che nel mondo c’è l’emergenza dell’Io sono…” che il fenomeno di tutti i fenomeni è l’emergere, il rafforzarsi, la fiducia nell’Io sono. Il senso di tutto ciò che accade è la crescente fiducia nell’Io. L’Io che è il Cristo in noi, l’Io che è il nostro Io Superiore, l’Io che è il senso di tutta l’evoluzione, l’Io che è duplice: pensante, amante-agente.

Quindi in greco il testo dice: il senso dell’evoluzione è pisteuw (pisteuo) il rafforzarsi dell’egw eimi (egò eimi). Qui c’è egw eimi (egò eimi).

Per sette volte nel Vangelo di Giovanni c’è la frase “Io sono la luce del mondo, Io sono…”[2]. Qui non dice “Io sono qualcosa”, perché questo “Io Sono” si riferisce a tutti gli uomini.

Le altre sette espressioni si riferiscono primariamente al Cristo e soltanto nella misura in cui noi ci cristifichiamo diventano anche nostre, invece qui è una specie di ottavo “Io Sono”, e non lo dice riferendosi a sé “Io sono questo, questo e questo”, non dice: “Io sono la luce del mondo”, che non vale per noi subito. Questo ottavo “Io sono” si riferisce a tutti noi.

“Vi ho detto, prima che accada, tutto ciò accade affinché crediate, affinché vi rafforziate, in tutto ciò che accade, nella forza dell’Io” per fare di ogni accadimento l’esperienza “Io sono un Io”, questo è il senso di ogni accadimento.

E lui ce lo dice, ci avverte, ma non è che ci possa costringere, se no non saremmo liberi. Quindi il senso di ogni evento è il crescere nella libertà. E il crescere nella libertà per il pensare e per l’amare è pura libertà. Vedete che il testo stesso ci induce, come dire, a salire proprio di alcuni piani, salire di livello. Adesso vi faccio la traduzione letterale, quella che voi avete sui vostri testi, a livello di coscienza di cristianesimo tradizionale, e vedrete che non significa nulla, proprio nulla.

Io adesso ho cercato di renderlo al meglio, di spiegarlo, però la traduzione che banalizza il testo dice: “Ve lo dico fin d’ora, prima che avvenga, in modo che, quando avviene, crediate che Io sono”.

Che cosa ci capisce il cristiano normale? Nulla.

E se è anche minimamente intelligente dice: “cosa ci sto a perder tempo, vado piuttosto a leggere un libro di ingegneria o chimica, almeno lì ci capisco qualcosa e almeno mi serve a qualcosa”.

Nelle traduzioni che voi avete, ci sarà di sicuro: “Ve lo dico fin d’ora, prima che avvenga, in modo che quando avverrà, crediate o sappiate che Io sono”.

La maggior parte della gente pensa: “beh, forse vuol dire che è bello lui…” Quindi, il lavoro che stiamo facendo… insomma, penso proprio che ne valga la pena! E non è una polemica, una critica, è onestà intellettuale, siamo onesti con noi stessi, non facciamo come se la teologia tradizionale facesse parlare in un modo intelligente questo testo, perché non lo fa affatto parlare in un modo intelligente, non ne ha gli strumenti, non è in grado di farlo. Questo ci diciamo se siamo onesti e il dirsi questo non ha nulla a che fare con critica o con polemiche.

Intervento. E’ l’evidenza.

Archiati. E’ l’evidenza, è la realtà così com’è.

13,20. “Amen, amen io dico a voi: chi accoglie colui che Io mando, accoglie me, chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”

Il testo qui dice “Amen, amen”, fate attenzione “Io dico a voi”, l’Io dell’umanità, dice all’Io di ogni uomo, lo Spirito della Terra parla allo Spirito di ogni uomo…perché l’Io di ogni uomo è una partecipazione, un frammento se vogliamo, una particola o un membro dell’organismo di questo Io.

L’Io del Cristo è il tutto, il “Corpo Mistico”, e noi siamo membra di questo Corpo. Lo Spirito dell’Umanità parla allo Spirito di ogni membro dell’umanità, lo spirito è lo stesso però, solo che c’è una differenza tra il “tutto” e un piccolo frammento, però la natura del frammento è la stessa. La sua evoluzione sta nell’ampliarsi sempre di più conoscitivamente e in chiave d’amore in modo da immedesimarsi, da identificarsi sempre di più col tutto dell’umanità, amandola e conoscendola.

Allora l’Io dell’Umanità dice all’Io singolo -l’Io dell’Umanità è la prospettiva evolutiva totale dell’Io singolo- “Colui che accoglie chiunque io invii, accoglie me, e colui che accoglie me accoglie colui che ha mandato me”. Il Cristo fa un discorso triarticolato, il che fa pensare che andiamo bene, perché finché abbiamo solo dualità non basta, le dualità sono legittime, però ad ogni dualità va aggiunto il terzo fattore che fa da mediazione. Quando abbiamo una quaterna, siamo in chiave di evoluzione, ma va risolta, in qualche modo, in chiave di trinità.

Ogni trinità è perfetta, è conclusiva, nel senso che la trinità è un altro modo di esprimere l’unità: la trinità è un’unità triarticolata, è un’unità in evoluzione, e la trinità sta in questo: allora, ve lo metto, vi traduco i tre aspetti: “credo in colui che…”, “chi accoglie colui che ha mandato me…”, colui che ha mandato me è il Padre che ha mandato il Figlio. Il Figlio manda ogni uomo e dice: “colui che accoglie un altro uomo accoglie il Cristo che l’ha mandato, e chi accoglie il Cristo che l’ha mandato accoglie il Padre che ha mandato il Cristo”. Questa è la Trinità.

Quindi la Trinità è:

Il Padre, il Cristo -il Figlio-, l’Uomo, il singolo, l’individuo umano

E ognuno di loro manda: il Padre manda il Cristo e il Cristo dice: l’evoluzione non si ferma a me, anch’io sono venuto per servire ad una terza dimensione dell’evoluzione che è il singolo. L’evoluzione dell’umanità non si ferma ad una umanità che è tutta una, dove andiamo tutti in brodo di giuggiole, ma il senso dell’umanità-una è di sminuzzarsi e di ripetersi nella sua totalità nella coscienza e nell’amore di ogni individuo.

Allora facciamo una traduzione possibile di queste tre parole:

- l’individuo, più o meno sappiano cos’è;

- il Cristo, è già visto come una categoria religiosa di un certo tipo fatta per quella gente che parla del Cristo…

- il Padre poi, non ne parliamo, quello là con la barba lunga…

Proviamo a tradurre queste categorie, c’è qualche proposta di traduzione?

Intervento. Dato di natura?

Intervento. Corpo, anima e spirito.

Archiati. Corpo, Anima e Spirito. Che studiamo Steiner a fare? Corpo, Anima, Spirito. Il problema ce l’ha soltanto il cattolicesimo tradizionale che lo spirito l’ha mandato a farsi benedire e l’essere umano è pensato composto solo di corpo e anima. Perché questo? Perché lo spirito diventa pericoloso per la Chiesa, questo è il motivo, allora il buon cattolico è composto di corpo e anima e Chiesa o Papa. E il buon antroposofo? Di Corpo, anima e Opera Omnia.

(Risata)

PADRE CORPO, NATURA

FIGLIO ANIMA, ASPIRAZIONE

INDIVIDUO SPIRITO, PENSARE e AMARE

Il corpo sta per tutto ciò che è di natura, qui la libertà non c’entra, ed è il mondo del Padre, in effetti.

Cosa vuol dire, cosa si intende dire quando dice che il Padre manda il Figlio? Significa che il dato di natura non ha senso se non sfocia nella libertà, quindi non ci si può fermare alla natura, e l’essere umano che si fermasse alla natura, al dato di natura, è un controsenso assoluto, non è un uomo. Quindi il senso della natura è di farsi strumento, porsi al servizio, servire alla libertà.

Il Padre manda il Figlio, si fa da sostrato, ciò che è di natura si fa sostrato per la libertà. Il problema, finché ci si ferma al corpo fisico, lo si capisce meglio, ma il problema è il passaggio dal secondo al terzo cioè dall’anima allo spirito. Il Figlio ha il compito di aggiungere al dato di natura -che è il Padre- la libertà, però il Figlio ha un problemino, deve avere un problemino perché la libertà è un bel problemino, immanente, e cioè che non la si può dare, perché se la si dà non è libera! Può solo renderla possibile. Questa è la soluzione del problemino, perché la natura non rende possibile la libertà. La natura è puro determinismo.

Cos’è allora l’anima? È potenzialità di diventare Spirito, è potenzialità di aprirsi sempre di più allo Spirito, è potenzialità, è proprio la capacità. Anima è capacità di Spirito, e perciò questa triarticolazione, nella scienza dello spirito di Steiner, è così importante, perché se noi non distinguiamo anima e spirito tanto quanto distinguiamo anima e corpo, non capiamo nulla della Trinità Padre/Figlio/Spirito Santo e, a questo punto, ci conviene vendere tutto il cristianesimo, tant’è vero che l’islamismo la Trinità l’ha sbattuta via, c’è soltanto Allah.

Proprio questo, proprio questo è il punto: vengono aboliti tutti i presupposti per capire la libertà. Quindi il Cristo non è venuto per darci la libertà, la libertà non si può dare. Egli ci rende capaci, ogni giorno, ci rende capaci di libertà, lavora nella nostra anima, il Cristo rende la nostra anima giornalmente, continuamente capace di libertà.

Faccio un esempio: dov’è che noi facciamo l’esperienza dell’anima, che è intrinsecamente aspirazione? Capacità è aspirazione, desiderio, perché l’aspirazione a qualcosa non è qualcosa, è soltanto il volerlo raggiungere. Quando una persona omette, trascura l’evoluzione dello spirito, si sente triste. La tristezza è un dono del Cristo che gli ricorda: “la tua anima non può essere felice senza lo spirito”, quindi questa tristezza è operare puro del Cristo, perché Lui, con la tristezza, non ti costringe a coltivare lo Spirito ma ti fa capire che tu sei intrinsecamente, nella tua anima, desiderio di Spirito, e quando ti manca, ti manca, perché se l’essere umano non sentisse mai tristezza per la mancanza dello Spirito, significherebbe che non ne ha bisogno, che vive benissimo senza Spirito.

Ciò che io ho tradotto filosoficamente col termine di “potenzialità” è un mondo enorme, è l’anima umana che non può vivere felice senza aprirsi allo spirito. Però c’è una differenza tra l’Anima e lo spirito, perché l’anima è il desiderio, il sentire la mancanza, il sentire la gioia, l’anima è la gioia dello Spirito, però sente la gioia quando lo spirito c’è, e sente la tristezza quando lo spirito non c’è.

Gioia e tristezza sono in riferimento allo spirito e il cristianesimo tradizionale, o l’umanità se volete, senza questa scienza dello spirito di R. Steiner o, lasciamo da parte Steiner, senza questa distinzione netta fra Anima e Spirito, questi due livelli vengono talmente confusi che il concetto di spirito non c’è e quindi non c’è il concetto di libertà, perché la libertà non è nella gioia e nella tristezza.

Vedete che gioia e tristezza oscillano tra il dato di natura e lo spirito: lo spirito è puramente libero, ma io nella gioia o tristezza non sono puramente libero, oscillo. Il corpo fisico è determinismo di natura; ma la gioia o la tristezza non sono istinto di natura, e lo spirito è pura libertà, faccio l’esperienza dello spirito quando ho un intuito pensante.

Questa distinzione tra Anima e Spirito è una delle cose più importanti nell’evoluzione del pensiero umano per capire la natura umana, se no ci tocca continuamente andare a piagnucolare dal Padre e dirgli: “perdonaci perché non ci capiamo nulla, non capiamo quello che facciamo”, e Lui non può che rispondere: “ma guarda che ti ho dato una testa perché tu ti svegli e capisca sempre di più le cose, cosa aspetti a distinguere tra Anima e Spirito? Aspetti che l’umanità vada ancora più a rotoli? Che ci sia ancora più tristezza? Perché non coltivi lo spirito? Aspetti un maggiore scannarsi a vicenda? Che aspetti? Svegliati, no”? E noi: “Padre, svegliami tu”. In albergo c’è la sveglia, ma il Cristo dice: “se ti sveglio io, che ci sta a fare lo Spirito Santo? Allora me lo rimangio lo Spirito Santo! Io devo sparire se no lo Spirito Santo non può venire”.

E lo Spirito Santo è il capire che ognuno si può svegliare da solo, altrimenti sarebbe come costringermi a capire qualcosa. E costringermi a capire qualcosa è un’assurdità: “fammelo capire”! Io mi scalmano eccetera, arriva Luciana e dice: fammi capire!

Replica. Ci sei apposta!

Archiati. Ho preso te perché sapevo che m’andava bene. Quindi lo spirito è in assoluto ciò che può essere gestito unicamente dall’individuo, in assoluto, perciò è il mistero della sua libertà.

Nello spirito dell’individuo può avvenire soltanto ciò che l’individuo stesso fa, e non avviene ciò che lui non fa. Sarebbe un guaio se il Cristo ci mettesse mano, non lo farebbe mai perché quella è questione dello Spirito Santo. Spirito Santo significa spirito intoccabile, non gestibile dal di fuori.

I peccati contro lo Spirito Santo non si possono perdonare dal di fuori, i peccati di omissione, io ho omesso di pensare, e chi mi può perdonare di aver omesso di pensare? Il perdono può soltanto consistere nel fatto che recupero il colpi persi, è evidente la cosa.

Ci sono cristiani che dicono: “Oh, ma che brutti quei peccati contro lo Spirito Santo! Ma perché il Padreterno è così cattivo? Perché non può perdonare anche quelli”? No, sono per natura non perdonabili. Sarebbe come se uno dicesse: “non ci capisco nulla” e l’altro dice: “beh, non fa nulla, facciamo come se tu l’avessi capito”. E questo sarebbe il perdono dei peccati contro lo Spirito Santo.

Intervento. Un condono.

Archiati. Ti condono, tanto è lo stesso, facciamo come se tu lo avessi capito.

Intervento. Perché “Santo”?

Archiati. Santo significa non toccabile dal di fuori, non gestibile dal di fuori, intoccabile, sacro. È il “Santo Santorum” dove ci va soltanto il sommo sacerdote, che è l’Io in ogni uomo, e nessun altro.

Il Padre, cioè la realtà della natura corporea, manda, quindi si fa da condizione, da sostrato, per il Figlio, per tutto ciò che è di natura animica e non si ferma a ciò che è di natura animica, perchè il senso di ciò che è animico è lo Spirito, e lo Spirito è individuale in ognuno di noi. La realtà corporea è la realtà di assoluta non libertà, la realtà dello Spirito è la realtà di assoluta libertà, e l’anima può scegliere di perdersi nel non libero e può anche scegliere di aprirsi a ciò che è libero. Sempre.

L’Anima è sempre in questo oscillare. L’Anima è come se dicesse: “ma dai adesso c’è il pranzo, però alle quattro andiamo avanti col Vangelo, ma è così impegnativo, mannaggia! Però la bistecca è così attraente… la mia animuccia brama di più una bella bistecca… se poi alle quattro il mio cervello non può funzionare così bene, non è poi così importante”. È questa un’anima per la quale il corpo, le brame del corpo, sono più importanti dello Spirito. Un altro tipo di anima invece potrebbe dire: “Ahò, le lampadine che si accendono quando quello là davanti fa il clown sono così interessanti… fammi star sicuro di mangiare un po’ leggerino perché voglio assolutamente godermi quello che là davanti può saltar fuori”.

È una questione di gusti, l’anima è sempre libera, oscilla di qua o di là, in ogni momento. Noi queste scelte le facciamo ma a livelli sottilissimi che bisogna soltanto vedere fino a che punto ce ne rendiamo conto. Adesso qualcuno sta pensando: facciamo una pausa?

Intervento. No, no continuiamo.

Intervento. Continuiamo, dobbiamo nutrire lo Spirito.

Archiati. Altri, invece dicono: ma come, io neanche m’ero accorto d’avere un corpo! Questione di gusti ve l’ho detto, e un povero relatore a chi deve dar ragione?

Intervento. A se stesso.

Intervento. E’ un individuo libero.

Archiati. Allora, c’è chi ha mandato il Cristo “Colui che mi ha mandato”, e c’è chi Lui manda. “Chi ha mandato” significa la direzione, cioè lo scopo del suo operare. “Il Padre manda il Figlio” significa: lo scopo dell’operare del Padre è il Figlio. E il Figlio, a sua volta, dice: “Io, per quanto mi riguarda, non sono lo scopo ultimo, lo scopo ultimo del mio operare è colui che io mando: l’individuo singolo, cioè lo Spirito libero dentro ogni uomo”.

Che significa che il Re manda un ambasciatore? ApostoloV (apòstolos) è l’ambasciatore: apo (apo) significa via, stellw (stello) è mandar via, inviare.

Che significa che un Re manda l’ambasciatore? Significa che gli dice: “fai tu, io non posso andare dappertutto”, “fai tu, mi rappresenti”, “fai tu”: gli dà fiducia. Allora l’ambasciatore, l’inviato è lo stesso dell’inviante o è qualcosa di diverso? Tutti e due. Sì e No.

Intervento. Un po’ e un po’.

Archiati. Un po’ e un po’, perché non sarebbe vero ambasciatore se tirasse fuori qualcosa di contraddittorio con chi lo invia. D’altra parte, se facesse soltanto ciò che farebbe chi lo invia, che ci sta a fare? Quindi l’evoluzione è sempre nel rapporto bilanciato tra la continuità e l’innovazione. Solo l’innovazione cade nel vuoto, perché fai sparire il fondamento; solo tradizione...

Intervento. Non va bene.

Archiati. Cosa c’è, perché non va bene?

Intervento. Non c’è evoluzione.

Archiati. Sclerotizzazione su tutta la linea. Ma perché non è bello restar sempre uguali?

Cos’è che rende l’anima scontenta? Perché l’anima umana è fatta così, che vorrebbe ogni giorno almeno qualcosina di nuovo, se no si annoia. E se è fatta così, mica volete dare la colpa a me, no? Io non c’entro nulla, colui che l’ha mandata l’ha fatta così. Il punto di riferimento è sempre l’uomo, cioè noi, il modo in cui il corpo -il nostro corpo è la somma di tutta la corporeità- funziona o non funziona; il modo in cui la nostra anima funziona, l’anima funziona così che vuole fare del corporeo il dato di continuità, il sostrato, non vuole perdere il terreno sotto i piedi, però il terreno sotto i piedi non le basta, vuole anche qualcosa di sempre nuovo; mangiare dobbiamo ogni giorno, sempre. Sempre mangiamo, però non sempre la stessa cosa.

Intervento. E’ anche un po’ il segno dell’Archiati Verlag?

Archiati. Che hai detto?

Intervento. Questo segno che tu hai scelto della casa editrice.

Archiati. Ah, quel segno della casa editrice! È molto semplice, speravo tu lo capissi.

Intervento. Ci solletica.

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Fig. A2

Archiati. Allora, questo è il Padre che diventa sempre più sottile, il dato di natura. Poi lo Spirito Santo, qui comincia esile, esile e poi diventa sempre più forte. E il Figlio? È Lo spazio in mezzo.

Intervento. Non c’è il vuoto?

Archiati. No, non c’è il vuoto. È questo il punto. Corpo, Spirito e nello spazio c’è l’Anima. È una cosa molto semplice. I due giovani editori di Monaco mi hanno detto: “vabbè, se piace a te”…

Buon appetito, ci troviamo alle quattro.

Lunedì 23/02/2004. Pomeriggio
vv. 13,21 – 13,27

13,20. “Amen, amen, io dico a voi: colui che accoglie quelli che Io mando, accoglie me e colui che accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”. In altre parole, l’evoluzione si svolge sempre per cause ed effetti in un certo senso, non prendetelo in assoluto, ma è un aspetto da tenere presente. Ogni realtà ha della premesse perché nulla può avvenire nel vuoto e quindi ogni realtà è la conseguenza di ciò che lo prepara. Allora, o uno prende insieme sia le cause sia gli effetti, o lascia tutti e due: non si possono prendere le cause e non volere gli effetti e non si può pretendere di avere gli effetti senza creare le cause. È questo che Lui vuol dire:

- Il Padre è la causa del Figlio e il Figlio è l’effetto del Padre

- Il Figlio è la causa dello Spirito Santo

- Lo Spirito Santo è l’effetto del Figlio

O te li pigli tutti e tre, o ti pigli insieme causa ed effetto, o non hai nessuno dei due.

In altre parole, l’evoluzione non è selettiva, per cui ti pigli quel che ti piace e lasci quel che non ti piace. La natura umana o la pigli tutta o la lasci tutta, non è divisibile, e così anche l’evoluzione: o la realizzi in positivo e allora ce l’hai tutta, o la realizzi in negativo allora la perdi tutta, naturalmente questo avviene nel corso del tempo.

In altre parole, ci troviamo in una evoluzione unitaria dove non si può procedere col pensiero atomisticamente: mi piglio questo frammento come se fosse indipendente dagli altri frammenti, non è possibile, è tutto collegato insieme. Non posso rapportarmi alla natura ecologicamente, eccetera, eccetera, senza comprendere il fattore Figlio, della libertà umana, perché il senso della natura è la libertà umana. Dov’è il criterio per sapere qual è il giusto modo per trattare la natura? La natura va trattata così da renderla lo strumento migliore per l’evoluzione umana, questo è il criterio.

Se noi tralasciamo l’umanità, che è il Figlio, colui che il Padre manda è il Figlio, se noi mettiamo da parte l’uomo non abbiamo alcun criterio per sapere come trattare la natura, diventa tutto arbitrario. L’interpretazione del fattore uomo non è semplice, perché l’interpretazione del fattore uomo dipende dal fatto che dobbiamo capire che l’umanità non è soltanto una pasta-frolla tutta unica, ma è orientata verso l’individualizzazione di ognuno.

Allora, la natura /corpo è l’umanità in quanto unità. La natura manda l’umanità, genera l’umanità, causa l’umanità, l’umano è effetto della natura. L’umanità causa l’individuo singolo, dall’umanità emerge l’individuo singolo. Io non posso capire l’uno -il Padre-, il due -il Figlio-, il tre -lo Spirito Santo- se non comprendendoli tutti e tre insieme, perché sono collegati, dipendono uno dall’altro. Quindi:

– il Figlio è l’umanità intera

– lo Spirito Santo è l’autonomia del singolo

– il Padre è la natura

Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si mandano a vicenda, si tramandano, si condizionano, decidono delle loro sorti a vicenda. Il bene della natura è l’uomo, è l’umanità, e tutta la natura aspira all’umanità. Quindi il criterio per sapere come dobbiamo trattare la Terra, tutto il cammino ecologico è sapere quale tipo di trattamento della Terra offra al fattore umano, all’evoluzione umana, il sostrato migliore per l’umanizzazione dell’uomo e poi per l’umanizzazione della natura.

Adesso veniamo al fattore umano: qual è il modo migliore di trattare l’umanità? Di trattare tutto ciò che abbiamo in comune, in quanto esseri umani? Il modo migliore è quello che consente al massimo di mandare lo Spirito Santo, cioè di far emergere, di coltivare, di rendere possibile l’autonomia di ognuno.

Quindi i tre passi sono:

- natura

- umanità

- singolo

Corpo, Anima e Spirito. Il Padre, il Cristo -Figlio- e l’individuo. Concatenandoli si può dire:

- colui che accoglie chiunque Io mandi, accoglie me,

- colui che accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato

In altre parole, non puoi prendere l’uno e lasciare l’altro, è tutto concatenato, c’è un rapporto di causa ed effetto intimissimo tra natura e uomo, e c’è un rapporto di causa ed effetto intimissimo tra il Cristo e lo Spirito Santo; c’è un rapporto tra l’umanità, in quanto realtà animica di gruppo comune a tutti e l’individuo, perchè proprio da questa umanità comune a tutti può sorgere, è destinata a sorgere, la specificità, l’unicità, la particolarità assoluta in ogni individuo, come ricchezza poi dell’umanità.

Questo è come fosse un altro commento su questo versetto, i cui risvolti sono, naturalmente, infiniti.

Da questo versetto fino al 30, li conoscerete, sono tra i brani più commoventi, anche più drammatici del Vangelo di Giovanni. Per chi magari desidera avere anche le cose, a tutta prima, in uno sguardo d’insieme il problema è che leggendo la traduzione tradizionale si rischia di essere imprecisi, comunque facciamolo in via di eccezione.

13,21. “Dette queste cose Gesù si commosse profondamente e dichiarò: in verità, in verità vi dico uno di voi mi tradirà”

13,22. “I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse”

13,23. “Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù”

13,24. “Simon Pietro gli fece cenno e gli disse: Dì chi è colui a cui si riferisce?”

13,25. “Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: “Signore chi è?”

13,26. “Rispose allora Gesù: è colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone”

13,27. “E allora dopo quel boccone, Satana entro in lui. Gesù quindi gli disse: Quello che devi fare fallo al più presto”

Ve lo leggo come è scritto qui.

13,28. “Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo”

13,29. “Alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: Compra quello che ci occorre per la festa, oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri”

13,30. “Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte”

13,31. “Quand’egli fu uscito, Gesù disse: ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui”

“Quando Giuda fu uscito, Gesù disse…”, questo brano ci porta all’uscire di Giuda, pongo una domanda, che parte dalla fine: è tutto integrabile nell’evoluzione o c’è qualcosa che va scartato?

E’ tutto redimibile? Lui è uscito, esce. Quindi l’immagine che Giuda è uscito c’è: è qualcosa che si scarta, che poi è una delle categorie fondamentali dell’Apocalisse: il Sorath -shur in ebraico significa scartare-, cade nell’abisso, c’è tanta realtà che cade nell’abisso perché non serve più. È tutto integrabile? È tutto redimibile?

Intervento. Secondo quel che hai detto sembrerebbe di no.

Intervento. Volevo chiarire una parola, qui dice: quello che devi fare…

Archiati. In italiano, però adesso aspetta per quella parola, lavoriamo su quello che ho proposto io, che poi le parole le riprendiamo una per una, la traduzione è piena di imprecisioni, perciò abbiamo sempre fatto in base al testo greco, parola per parola.

Adesso cominciamo da questa domanda: “è tutto redimibile”? Lui esce fuori, tutto il resto del vangelo si svolge senza Giuda, allora la domanda si pone: il bene, la forza del bene, che è il Cristo, non è una forza sufficiente per redimere il Giuda? Perché lo manda fuori? Questa è la domanda importante. È una domanda importante come compito di pensiero, non è che noi adesso, in due parole risolviamo la questione, ma è per indicare che lì c’è un compito enorme di pensiero…

Intervento. Perché era entrato Satana, esce..

Intervento. Giuda è Satana…

Archiati. Sì, ma a livello fisico è Giuda che esce, tant’è vero che loro pensano: “ah, forse va a comprare qualcosa per la Pasqua”.

Intervento. Allora forse è redimibile, sì.

Intervento. Ci dev’essere spazio per chi non accetta la libertà e va in altra direzione e quindi Giuda rappresenta quella parte lì, di rinuncia.

Intervento. Non siamo ancora arrivati a: “Non sanno quel che fanno, Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Archiati. Vi propongo un’altra immagine: supponiamo che l’egoismo sia come una nebbia, un obnubilamento, arriva il sole e scioglie la nebbia, è stata scartata la nebbia?

Intervento. E’ stata trasformata.

Intervento. Dissolta.

Intervento. Sparita.

Archiati. Sparita. Con queste domande cominciamo daccapo il testo, perché sono le domande che ci accompagneranno per la lettura, perché se non abbiamo un orientamento qui il testo diventa difficile.

13,21. “Gesù dicendo queste cose si scosse…” etaracqh (etaràcthe) si scosse. Diciamo che per noialtri, modesti principianti nella scienza dello spirito, quando nel Cristo stesso c’è uno scuotimento della sua anima, il testo ci vuol dire che ci si trova di fronte ad un modo di confrontarsi con le controforze. Giuda rappresenta la totalità della controforza, che è necessaria all’evoluzione.

E quindi il Cristo ha bisogno di una controforza degna di Lui, la forza del Cristo non può avere a che fare con una controforzina perché non gli corrisponderebbe. Quindi questo scuotersi sta a dire che la morte del Cristo consiste nel suo affrontare la totalità della controforza. Siccome Lui è lo Spirito di tutto il sistema solare, lo spirito di tutta l’Umanità, lo spirito anche di tutte le Gerarchie Angeliche, la controforza deve essere consona alla sua forza, e quindi il Cristo stesso deve, ora che si tratta di entrare nella morte, raccogliere tutte le sue forze per far fronte ad una controforza che è ugualmente radicale, ugualmente universale quanto Lui, tant’è vero che verrà chiamata Satanas. L’abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, vi ricordate? “Diabolos”, il versetto 2 del capitolo 13 diceva che il diavolo già aveva gettato nel cuore di Giuda l’impulso a tradirlo.

Quindi, qui abbiamo la “forza luciferica” -come la chiamerebbe Steiner- e l’intervento di Lucifero ha chiamato, ha tirato in ballo l’impulso di Arimane, e quindi adesso -parlando di Satana che entra dentro di lui- ci sta a dire che il Cristo viene confrontato con la totalità duplice del male o delle controforze. La forza cristica è la forza dell’equilibrio fra due estremi.

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Fig. 20

Perché il male è un estremo? Perché ogni estremo è un male?

Intervento. Perché gli manca l’altra parte.

Archiati. Perché gli manca l’altra parte. Prendiamo… sto pensando alle quattro virtù platoniche, a quale di esse ci potrebbe servire meglio…prendiamo la macerazione, l’ascesi, e all’altro opposto mettiamo la dissolutezza. Che altre parole ci sono in italiano per dissolutezza? Lasciarsi andare, o incontinenza, dicevano ai tempi quando io studiavo.

Intervento. Meglio dissolutezza.

Vari. Dato l’uso che si fa attualmente della parola incontinenza…

Archiati. Ci cambiano tutto il vocabolario, santa pace, era così bella questa parola… rendeva così bene l’idea di uno che non si contiene...

Adesso è stata resa più tecnica la cosa… comunque ci capiamo.

L’asceta macera il suo corpo, quindi è il brigante che picchia, che fa violenza al corpo, il brigante fa violenza. La dissolutezza è il ladro, cioè non s’impegna per gli altri, vuole tutto per sé, si gode solo se stesso, la dissolutezza è puro autogodimento, e allora il ladro si chiude in sé stesso. Il ladro porta via le forze che potrebbe immettere nell’umanità e se le tiene tutte per sé. Queste parole, questi termini vanno intesi in senso tecnico, allora sì che quadrano. La domanda era: “perché ogni estremo è un male”? Il Cristo, la forza Cristica, la forza dell’Io, è sempre la forza di mediazione fra estremi, sempre, a tutti i livelli. E qui, nel Giuda, abbiamo tutti e due gli estremi: Diabolos è il ladro, che in termini di scienza dello spirito di Steiner è Lucifero. Satanas è il brigante, per la scienza dello spirito è Arimane. Se poi queste categorie le usate per tante cose, si possono rivelare molto utili.

Intervento. Lucifero è sempre collegato all’ascesi, però in questo caso viene chiamato in causa per un’altra cosa.

Archiati. No, Lucifero non è collegato all’ascesi, è una… come dire…

Replica. Nel senso che si vuol salvare solo lui, ecco.

Archiati. No, no, è una semplificazione ad uso e consumo degli antroposofi, quella di identificare Lucifero con l’ascesi, è una semplificazione che non serve.

Replica. E’ usato per quella categoria lì, dell’ascesi.

Archiati. Da chi? Da certi antroposofi, non da Steiner.

Replica. Anche tu l’hai usato, se è per questo.

Archiati. No, l’ho usato per l’egoismo, e l’egoismo non c’entra con l’ascesi. L’ascesi è picchiare, cioè usare violenza al proprio corpo. In altre parole, vi dicevo che l’uno -Arimane /Satanas /brigante- è l’esercizio del potere, e qui (rif. fig. 20) -Lucifero /Diabolos /ladro- abbiamo l’egoismo, cioè puro autogodimento, la dissolutezza è puro autogodimento. Per essere asceta bisogna esercitare potere sul proprio corpo: il Giuda è l’oscillare dall’uno all’altro.

13,2. “Avendo il Diabolos già posto nel cuore a Giuda l’impulso a tradirlo…” l’impulso a tradirlo è un frammento d’anima, l’impulso a tradirlo lo porta a compiere gesti di potere contro il Cristo, lo porta ad esporlo al potere di Pilato e dei Romani. Tra-dire significa esporre, tradere.

Intervento. Condurre?

Archiati. No, non condurre, tradere…

Intervento. Trascinarlo?

Vari. Tradurlo, trasportarlo…

Archiati. Consegnare è la parola più vicina finora. Tradere significa consegnare. La tradizione viene consegnata di generazione in generazione.

13,21. “dette queste cose…” Gesù, posto di fronte alla totalità delle due controforze, deve raccogliere in sé tutte le forze del bene, della mediazione, per restare tetragono ai colpi di sventura che vengono da destra e da sinistra. In altre parole, attraverso il Giuda, che poi è il Giuda in ogni uomo, il Cristo è sempre confrontato con tutta la somma di egoismo, di incapsulamento in sé stessi, e con tutta la somma di violenza… ecco qui un’altra parola: la violenza.

Potere, violenza, lesione della libertà.

Arimane è sempre dove viene lesa la libertà altrui, io non posso ledere direttamente la libertà altrui attraverso l’egoismo. L’egoismo, cioè il volere tutto per me, mi porta per raggiungere i miei scopi egoistici, magari quando l’altro non mi permette di essere egoista, ad essere violento. Però sono due impulsi polarmente opposti, perché l’egoista vuole essere lasciato in pace, invece il violento picchia. L’egoista dice: “non t’aiuto”, il violento dice “se non m’aiuti ti rompo la testa”. Sono due posizioni completamente diverse, sono proprio polari, vanno sminuzzate, vanno giocate, vanno proprio portate nel contesto della vita; tutta la scienza dello spirito è fondata proprio su questa triade dell’equilibrio. Il bene non è una terza realtà, dice lo stesso Steiner, è proprio l’equilibrio: da un lato c’è l’amore di sé e dall’altro lato c’è l’amore dell’altro, del prossimo (rif. fig. 20).

In che cosa consiste l’amore buono, vero? Nell’equilibrio, ma l’equilibrio significa che amo me stesso per poter essere qualcosa per gli altri, e amo l’altro perché amando l’altro divento più bello io stesso. In altre parole, l’amore di sé e l’amore dell’altro non sono più due cose che si oppongono a vicenda ma sono due realtà che si favoriscono a vicenda.

Allora, si oppongono a vicenda o si favoriscono a vicenda? A seconda del modo di viverle: c’è un modo d’amare se stessi che si oppone all’amore altrui e c’è un modo d’amare se stessi che concorre all’amore altrui. E la libertà sta nella scelta. In altre parole, è sempre possibile amare sé stessi nel modo migliore per favorire l’evoluzione altrui, ed è sempre possibile amare sé stessi fregandosene dell’evoluzione altrui, se no non ci sarebbe la libertà; ed è possibile amare l’altro con l’atteggiamento di chi lo fa a denti stretti “perché ci rimetto io”, ed è sempre possibile amare l’altro con grande gioia, perché è soltanto amando l’altro che cresco io stesso nella mia evoluzione, tutti e due sono possibili.

Quindi vedete che la moralità sta sempre nell’atteggiamento del pensiero, nell’interpretazione delle cose che faccio e, a seconda dell’interpretazione, il mio modo di amare, sia me sia l’altro, è così o così…

Intervento. Ama il prossimo tuo come te stesso.

Archiati. Come te stesso. Che vuol dire come te stesso? Uguale? Quantitativamente?

Intervento. Nella stessa maniera.

Archiati. Eh no, nella stessa maniera non funziona perché l’amore di me… amare me stesso significa produrre la mia libertà, quindi alla stessa maniera non posso amare, perché io non posso produrre la libertà dell’altro. L’amore per l’altro invece è il permettere, il rendere possibile la sua libertà. Quindi, “alla stessa maniera” -si capisce cosa tu vuoi dire- non ci aiuta come categoria, d’accordo? Allora il significato esoterico di “ama il prossimo tuo come te stesso” è: ama il prossimo tuo con la convinzione che lui è te.

Intervento. E’ il “te stesso”

Archiati. E’ il “te stesso”. E dove è vero questo? Nell’organismo, al polmone diciamo: ama il cuore prossimo tuo -è il suo prossimo, no?- come te stesso. Che vuol dire? Che non ci sono sorti diverse.

Intervento. Che non sei superiore a lui.

Archiati. No. Vuol dire che non ci sono sorti diverse: il polmone non può essere sano, attraverso la malattia del cuore, e il cuore non può essere sano attraverso la malattia del polmone. Non ci sono sorti diverse tra l’Io ed il Tu: o cresciamo tutti e due o diminuiamo tutti e due, perché siamo membra dello stesso corpo. Però questo percepirsi come membra dello stesso corpo è questione di evoluzione della coscienza, perché è nella coscienza che ci deve essere questa interpretazione.

In altre parole, pensare di avere un vantaggio mio a scapito dell’altro è sempre un’illusione, questo è il punto, è illusorio, perché se io cerco un vantaggio mio a scapito dell’altro sto facendo un atto di disamore a mio stesso scapito, perché retrocedo nella mia evoluzione.

In altre parole, siamo uno Spirito solo, un Corpo solo: o cresciamo tutti o andiamo indietro tutti. Però il fatto di capirlo e di vivere così è questione dell’evoluzione della coscienza di ognuno, individuale, per cui è possibile che uno viva l’inscindibilità dell’amore di sé e dell’amore dell’altro, e che un altro invece non ci abbia ancora capito nulla e resti ancora in questi tentativi illusori di un evoluzione propria a scapito degli altri. Oppure pensa che nel momento in cui lui favorisce l’evoluzione altrui gli tocchi rinunciare alla propria, e anche questo è illusorio, però l’illusione dev’essere possibile, se no non saremmo liberi.

Allora, in che cosa consiste il cammino della coscienza? Consiste nel far sciogliere, come nebbia al sole, ogni illusione e allora le polarità non si oppongono più ma si uniscono. Quindi, l’amore di sé non è più vissuto in opposizione -questo sarebbe l’estremo, in opposizione all’amore del prossimo- ma è vissuto come se fosse la stessa cosa, e l’amore del prossimo è vissuto come l’amore di sé. Allora, invece di andare agli estremi, che si escludono a vicenda, vengono sempre di più verso il centro, si cristificano sempre di più e diventano una cosa sola. “Ama il prossimo tuo amando te stesso, e ama te stesso amando il prossimo tuo”. Altri modi non ci sono.

Qual è il modo migliore di amare il proprio prossimo? Di ammazzarsi per l’altro?

Dal pubblico. Di lasciarlo libero. Amare sé.

Archiati. Amare sé, dicci una frase o due, in che senso intendi? Come?

Intervento. Beh, intanto… in relazione alla mia libertà è il permettere la libertà dell’altro

Intervento. Avere il senso del limite.

Archiati. Cerchi ancora qualcosa di un pochino più concreto, vero? Lo si vede dal volto, ed è giusto… io ho chiesto a te perché avevo bisogno io stesso di un paio di secondi per mettere a fuoco la cosa.

Intervento. Pensavo al servo ed al padrone; il servo diventa servo perché così è padrone veramente, però deve anche farsi servire, allora diventa servo però deve anche, ad un certo punto, lasciare che qualcun altro faccia il servo. Quindi è una cosa vicendevole.

Archiati. Bene, bene. All’inizio c’è stato intuito di pensiero, e ti era chiaro, poi hai fatto l’esperienza che un conto è avere un intuito e un conto è svolgerlo, e nello svolgimento ci si può anche perdere, e allora mentre parlavi dicevi: “ma come, all’inizio era così chiaro… adesso vedo che…” quindi, svolgere un pensiero è molto più complicato che avere un’intuizione iniziale. Perciò sono importanti questi esercizi, perché uno si rende conto.

Allora, io dico la stessa cosa facendola più semplice, più terra, terra e cioè: il modo migliore di amare l’altro è di portargli incontro un po’ di ricchezza; quindi, l’unico modo veramente di amarlo è di arricchirmi un pochino, se no gli porto incontro povertà. E’ amore questo portare incontro agli altri povertà, che scappano via? Però, un conto è abbellire la propria anima per avere doni per l’altro, e un conto è abbellire la propria anima per sentirsi migliori dell’altro e dire peste e corna dell’altro. Tutte e due queste cose sono possibili. Però, amare l’altro portandogli incontro povertà, non è possibile perché sarebbe amore dell’altro senza amore di sé, e non può funzionare. Si capisce il discorso?

Intervento. Sì.

Intervento. Arricchire sé stessi per donarsi.

Archiati. Per avere qualcosa da dare. Perché nessuno può dare quello che non ha.

Intervento. Per cui, anche lasciarsi amare è buono…

Archiati. C’è modo e modo di farsi amare, tu pensi che io te la lasci passare… spiegala un pochino la cosa…

Replica. Amare l’altro lasciandomi amare, cioè lasciandomi amare come l’altro mi ama, senza chiedere come voglio essere amato… ossia … parlo così, eh?

Archiati. Eh, lo so, lo vedo, lo vedo.

(Risate).

Archiati. Ma va bene, va bene, mica… non c’è bisogno che lo dica, è chiaro che vai un po’…

Replica. Più che altro ho una percezione molto chiara, ossia che è più difficile ricevere che dare, cioè dare ti gratifica, no? Però Io permetto anche all’altro di sentirsi gratificato nel permettergli di dare, per cui so ricevere non per ricevere, ma lasciando all’altro la possibilità di dare, dare a me…

Archiati. Quindi il vero padrone è il servitore, vedi? Perché chi si può permettere di godere di più l’amore dell’altro per me che non il mio per lui? Chi è ricco. Chi si può permettere o chi è capace di godere di più l’amore che ha l’altro per me, che non il mio per lui?

Replica. Se no amo ancora me stesso attraverso di lui.

Archiati. Esatto.

Replica. I miei due matrimoni sono andati per lo più così e…

Intervento. Il terzo andrà meglio.

Intervento. “Si commuove”, è lo stesso verbo greco…

Archiati. Sì, è tarasso. Da dove viene la scossa? Dal ricevere botte da destra e da sinistra, è la tensione, perché ci sono tutte e due le polarità nella loro pienezza. Un’altra immagine di questo tipo è la flagellazione, anche qui ci sono botte da destra e da sinistra, e l’Io che è al centro, la colonna, è un’altra immagine di questo confrontarsi con tutti e due gli estremi, perché puoi fare l’esperienza dell’equilibrio fra gli estremi soltanto se ti confronti con tutti e due e cioè se sei labile, se sei passibile di diventare unilaterale sia di qua, sia di là. Perché l’equilibrio è sempre labile, un equilibrio stabile è la morte, non esiste.

In altre parole, se noi prendiamo l’amore, un amore è statico, cioè un equilibrio statico tra amore di sé e amore del prossimo sarebbe la morte, quindi amore è sempre un oscillare. Ma un conto è oscillare in un modo che io vivo l’intimità dell’oscillazione, e un conto è oscillare in un modo che mentre sono su un estremo non vivo l’estremo opposto e mentre sono sull’altro estremo non vivo l’estremo opposto. Quindi è la compresenza che conta.

In altre parole, è fondamentale avere ben chiaro che:

- se nell’amare l’altro termino di amare me stesso, questo è il male

- se nell’amare me stesso termino di amare l’altro, questo è il male

Perché se io, amando me stesso, termino di amare l’altro non amo me stesso. E se io, mentre amo l’altro termino di amare me stesso non amo l’altro. Perché possono andare soltanto insieme. Quindi l’unilateralità, come dicevi tu prima, consiste nel fatto di avere un lato senza l’altro; ma se ho un lato senza l’altro anche il lato che ho è inquinato, è falso.

Quindi, un amore di sé senza amore dell’altro non esiste, è impossibile, perché l’unico amore di sé che esista è l’amore altrui; soltanto l’amore per l’altro mi fa crescere, mi fa evolvere eccetera, perché amore di sé significa coltivare la propria evoluzione.

Intervento. L’amore di sé soltanto diventa egoismo.

Archiati. Sì. Allora abbiamo l’egoismo e l’altruismo: come mai, due parole che si corrispondono -è un altro esercizio molto interessante- come mai queste due parole, egoismo e altruismo, che in italiano si corrispondono, parlo del linguaggio italiano, in tedesco non sarebbe possibile, come mai l’uno è considerato brutto e l’altro è bello? Eppure sono polari.

Intervento. Perché noi vediamo l’altruista come quello che fa del bene a noi e l’egoista come quello che toglie questo servizio a noi.

Archiati. Sì, però è anche riferito a me, la Santa Madre Chiesa mi dice: “se sei altruista vai bene, se sei egoista vai male. In altre parole, mi dice: se ami l’altro vai bene, se ami te stesso vai male. Questo dice.

Intervento. Perché non esiste l’aspetto dello spirito.

Archiati. Perché non esiste l’aspetto dello spirito, dell’equilibrio.

Intervento. Anche perché il bene si oppone al male come criterio, invece il bene…

Archiati. L’egoismo è l’amore di sé unilaterale, quindi essendo unilaterale è carente. L’altruismo è l’amore dell’altro unilaterale, né più né meno. E perché, come mai può essere migliore dell’egoismo?

Intervento. E’ un ricatto…

Archiati. E’ un ricatto, proprio questo, è un ricatto. È un esercizio di potere sugli uomini imponendo loro di amare l’altro: “devi amare l’altro”. Come se fosse possibile amare l’altro senza amare sé stessi! Questo non è stato capito. Quindi, di pulizia di pensiero da fare ce n’è parecchia. Immaginate quanto liberante è il dirsi, con tutta pulizia di pensiero, che l’altruismo non è meno unilaterale, non è meno negativo dell’egoismo. Si corrispondono.

Seguendo la logica di questa interpretazione (della teologia tradizionale) si concluderebbe che egoismo significa amore di sé senza amore dell’altro. Cosa abbiamo detto prima a questo proposito? Che è un’illusione. Poi, altruismo significa amore dell’altro dimenticando se stessi. È di nuovo un’illusione: non esiste amore dell’altro dimenticando me stesso.

Intervento. Ma quello lo chiamerei “buonismo”, in contraddizione all’egoismo…

Archiati. No, non te lo concedo, accetti il ricatto di dover trovare un’altra parola perché accetti che questa parola -altruismo- è positiva. No, non te lo concedo, questa parola dobbiamo abituarci a vederla altrettanto negativa quanto la parola egoismo, allora facciamo pulizia, perché se tu accetti di trovare un’altra parola accetti il ricatto che questa parola è positiva, e di questo passo continueremo a ricattare gli esseri umani che si devono ammazzare, ammazzare, ammazzare per gli altri.

Replica. E’ necessario chiamare in causa il concetto di libertà, nel senso che tra quello che è bene e quello che è male, al centro c’è la libertà dell’uomo. Se tu escludi questo concetto allora arriviamo a considerare l’egoismo e l’altruismo come due fattori unilaterali. Il sentimentalismo è un bene sentimentale non è un vero bene; questo intendevo dirti.

Archiati. Il concetto tradizionale di altruismo -calco un po’ le tinte per far capire- è: “sei buono soltanto quanto t’ammazzi per gli altri”, che è assurda illusione. Perché se uno si ammazza per gli altri, cosa porta incontro agli altri? Ammazzamento. Altro che amore altruista, altro che altruismo. 13,21. “si scosse nel suo Spirito” questa tensione tra due poli nel suo spirito “e dette testimonianza e disse” quindi il Cristo testimonia delle leggi, dà testimonianza delle forze e delle leggi fondamentali dell’evoluzione e venendo confrontato, nel Giuda, sia con l’operare del Diabolos sia con l’operare del Satanas, di che cosa rende testimonianza il Cristo? Della forza che media fra gli estremi, questo testimonia il Cristo. Il Cristo nell’uomo, testimonia la forza di equilibrio, la forza dell’equilibrio. “E disse: Amen amen io dico a voi che uno da voi, uno fuori da voi, mi tradirà” Non dice: due, a destra e a sinistra, dice: “quando si lascia la forza del mezzo si tradirà l’Io”. Si tradisce l’Io, cioè si manda a morte l’Io quando si confida nelle forze del Diabolos o quando si confida nelle forze del Satanas.

Detto in un modo più semplice: ogni essere umano, deve avere in sé la totalità delle controforze, e la totalità delle controforze sono quelle che mandano a morte l’Io. C’è in ogni essere umano il traditore, questa è la testimonianza. In ogni essere umano ci deve essere il traditore, se no non ci sarebbe libertà.

Saranno gli Apostoli capaci di capire subito, al centro dell’evoluzione, dove c’è ancora tutto il tempo, tutta la seconda metà, che l’affermazione su Giuda non è un’affermazione rivolta solo a Giuda? Loro si chiedono: “chi è che tradisce? È lui, e se è lui allora non sono io”. No, non possiamo pretendere dagli Apostoli che siano già capaci subito, all’ultima cena, di spostare la prospettiva dal Giuda -che è poi l’incarnazione di questa forza che è in ogni uomo- all’interno di ogni uomo. Dobbiamo capire che se noi fossimo stati presenti è chiaro che ci saremmo chiesti: “chi è”? Intendendo dire: “se è lui, non sono io”.

Che prospettiva è andata persa? Va persa la prospettiva delle sorti uniche, che siamo un organismo solo. Se c’è nell’organismo dell’umanità un traditore, sono traditore anch’io; se nell’organismo c’è una malattia, è malato tutto il corpo. Quindi gli Apostoli cominciano ad avere questa prospettiva di estrinsecità per cui: se sei malato tu non sono malato io, se sei traditore tu non sono traditore io, se amo te non amo me stesso, se amo me stesso non amo te.

Da questa prospettiva materialistica, estrinseca, di alternanza, come se noi fossimo degli esseri completi ognuno indipendentemente dall’altro, l’operare del Cristo porta gli esseri umani, sempre di più, a viversi gli uni dentro gli altri. E, questa prospettiva di avvicinarsi al cuore del Cristo per cogliere la risposta che dice: “il traditore è in ogni uomo”, per ora questo livello di coscienza ce l’ha soltanto Giovanni-Lazzaro, colui che è stato risvegliato dal Cristo.

“Amen amen dico a voi che uno di voi mi tradirà”.

13,22. “Si guardarono a vicenda i discepoli, cercando di scervellarsi - aporoumenoV, aporùmenos-… chiedendosi, di chi sta parlando -peri tinoV legei, perì tinos leghei-? Chi intende dire? Chi sarà? Nel quadro, adesso restaurato, di Leonardo a Milano la scena è proprio subito dopo questa affermazione del Cristo, e gli Apostoli si stanno chiedendo: “chi è, chi è”? “Chiedi, chiedi”.

C’è Giuda seduto tra Pietro e Giovanni, Giuda si ritrae perché sa che è lui, lui è seduto in mezzo ma la sua testa viene di qua, per cui la testa di Pietro và in mezzo, e Pietro dice a Giovanni: “chiedi, chiedi chi è”, “ma come, uno di noi lo tradisce? Chi è, chi è? Io no… sono forse io”?

Che tipo di coscienza, che stadio di coscienza è la coscienza che dice: “se è lui non sono io, l’importante che sia un altro”? Come possono nell’umanità sorgere le forze che tradiscono, le forze opposte all’Io, senza che anch’io abbia concorso a crearle? Può mai sorgere nell’umanità qualcosa senza il mio concorrere? Sono forse io fuori dall’organismo dell’umanità?

L’alternativa è un pensare che ci vede tutti spiritualmente un corpo solo, quindi ognuno di noi è responsabile di tutto ciò che avviene nell’umanità, è co-responsabile, oppure l’altra alternativa è quella della coscienza caduta che ci vede separati gli uni dagli altri: “se è lui, non sono io”

Intervento. E’ per questo che dice “non giudicate”?

Archiati. Per questo dice non giudicate, perché quando giudichi, giudichi te stesso; “ama il prossimo tuo come te stesso” perché siete una cosa sola, un corpo solo: se dici peste e corna dell’altro, le dici di te stesso. Però gli Apostoli non sono ancora a questo punto di coscienza. Noi cominciamo adesso, a barlumi, a vederlo un pochino, vivere in questo modo è di nuovo un’altra faccenda mica semplice. Perché un conto è cominciare a capire “ah sì, in fondo, in effetti i nostri esseri sono tutti intessuti gli uni gli altri”, un conto è avere un primo barlume, che poi ci scappa via sempre di nuovo, già nella coscienza, e un conto è poi vivere di conseguenza. Per vivere sempre di più di conseguenza, per cui mi sparisce ogni illusione che un progresso mio possa avvenire attraverso uno scompenso per l’altro… ce ne vuole del tempo!

E tutta l’evoluzione è fatta per far sparire ogni illusione di separazione, di separatezza. Ciò che faccio a me stessa lo faccio immediatamente all’organismo animico e spirituale dell’umanità, e ciò che avviene nell’umanità avviene in me, così come ciò che avviene in un organo dell’organismo, avviene di riflesso – ma un riflesso molto immediato, molto reale – in tutto l’organismo. Non ci può essere un organismo dove soltanto un organo è ammalato, si evidenzia in un organo, ma è ammalato tutto l’organismo. L’organismo, o è tutto sano o è tutto malato.

13,23. “En anakeimenoV eiV ek twn maqhtwn (en anakèimenos V eis tòn mathetòn)... ”, “Uno degli Apostoli era disteso, giaceva (anakeimenoV, anakèimens) nel…” come si dice…nel petto…nel grembo… il problema è che in italiano non è facile avere parole così tecniche come le ha il greco.

Allora, facciamo qui una specie di essere umano

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Fig. 21

quello che il testo vuol dire è che ci sono sempre tre livelli fondamentali:

- il livello della testa

- il livello del cuore del petto (sthqoV, stèthos)

- e qui poi la parte delle forze generative e dunque di digestione e di procreazione (kolpoV, colpos)

Un discepolo era congiunto con questa parte chiamiamola inferiore del Cristo, si innalza al petto, si congiunge con le forze del cuore del Cristo e soltanto intridendosi delle forze del cuore del Cristo, (anapeswn oun ekeinoV outwV epi to sthqoV, anàpeson un ekèinos utos tò stèthos) è in grado di porre la domanda: “chi è”? E di cogliere la risposta, perché il Cristo gli darà la risposta, e gli altri non è che non abbiano capito -è una proposta che io vi faccio-, ma la domanda e la risposta del Cristo non avvengono nel mondo sensibile. Né la domanda né la risposta vengono espresse, avvengono con voce materiale; quindi è un dialogo soprasensibile, è un dialogo spirituale tra Lazzaro e il Cristo. E questo dialogo spirituale, questo comprendere il mistero della controforza… l’essere umano diventa capace di capire il mistero della controforza, e quindi anche di redimerla, nella misura in cui si sposta dall’epicentro generativo -digestione-…

Intervento. Al cuore.

Archiati. No, la digestione è per ri-costituire sempre il proprio corpo, la generazione è per raddoppiare il proprio corpo. Allora, dov’è il centro qui, “kolpoV, colpos”? Nel corpo.

Perché digestione è per ricostruire sempre il proprio corpo, le forze della generazione, le forze della sessualità, sono per moltiplicare il proprio corpo. A livello del corpo l’amore di sé esclude l’amore all’altro. A livello del corpo siamo separati, quello che mangio io non lo può mangiare l’altro.

Innalzarsi da questo livello di frammentazione, di esclusività, di guerra di tutti contro tutti, degli esseri gli uno contro gli altri, il vantaggio mio è uno svantaggio tuo -e ci siamo in pieno, nell’economia di oggi ci siamo in pieno-, e salire al cuore significa salire dalla guerra di tutti contro tutti per la sopravvivenza all’amore. Il cuore sta ad indicare: posso amare me stesso soltanto amando anche te e posso amare te soltanto amando anche me.

Quindi la prospettiva “o tu o io” si inverte e diventa “o tutti e due o nessuno”.

Questo enorme passo evolutivo viene espresso in questo movimento del discepolo che Gesù amava -quello che evidenzia, che si è massimamente intriso di forze d’amore- che chiede a Cristo: “chi è”?

E colui per il quale il mangiare è la cosa più importante, sta qua sotto (rif. fig. 21). Colui al quale dà un boccone da mangiare. L’essere umano che è ancora nella dimensione corporea, che mette in primo piano la dimensione del corpo. E finché si mette in primo piano la dimensione del corpo accade che: quello che è per me non è per te e quello che è per te non è per me. L’avidità di ciò che è materiale si esprime nel mangiare, ma si esprime anche nel denaro -il denaro sta per tutte le cose che si comprano-, sono le forze che tradiscono.

Intervento. Scusa Pietro, tu hai detto che questa domanda si svolge sul piano soprasensibile, ora, questa tua lettura, mi sembra che possa benissimo conciliarsi col fatto che questo storicamente sia proprio accaduto. Perché Pietro gli chiede, e Giovanni chiede a Gesù. Cioè la tua lettura non richiede che ciò avvenga soltanto spiritualmente.

Archiati. Non esclude l’altra.

Replica. Non ti chiede necessariamente che ciò avvenga soltanto spiritualmente…

Archiati. Io non ho detto che avvenga soltanto sul piano soprasensibile.

Replica. Tu hai detto che questo avviene sul piano soprasensibile…

Archiati. Sì, ma non ho detto soltanto, però è importante che ci sia il piano soprasensibile perché altrimenti può chiederglielo Pietro.

Replica. Sì, sì.

Archiati. Era questo. Se fosse soltanto sul piano sensibile, glielo può chiedere anche Pietro. Però è anche sul piano soprasensibile per il fatto che loro reagiscono alla risposta del Cristo, però non ci hanno capito nulla, e allora vedi che…

Replica. Però anche il resto avviene sul piano sensibile, cioè...

Archiati. Sì, ma certo. Gli Apostoli e il Cristo sono lì, sono lì fisicamente sul piano sensibile, quello non lo puoi far sparire nel nulla, però il testo è pieno di misteri, nel senso che uno dice: “ma come, l’ha data o non l’ha data la risposta? Se si tratta di chiedere fisicamente lo può chiedere anche Pietro, perché lo deve chiedere Giovanni?

Replica. Sì, sì ho capito, ma quello che volevo dirti io è che comunque, stante la lettura che ne hai dato, che è quella che poi dà significato al testo, non esclude che Giovanni la domanda, fisicamente gliel’abbia fatta. Questo ti volevo dire, non mi sembrano due cose in contraddizione.

Intervento. Per me il dubbio c’è, perché la risposta sarebbe talmente comprensibile che ci si chiede veramente come mai non abbiano capito.

Replica. Eh no, perché lui dice “colui per il quale intingerò il boccone…”, ma ogni frase, ogni termine del Vangelo abbiamo visto che deve avere una lettura più profonda.

Archiati. Sì e ci arriviamo, ancora siamo all’inizio. Però, quello che io volevo sottolineare è: quale ragione mi dai, quale motivo mi dai, se la domanda viene fatta anche sul piano fisico, quale motivo mi dai per cui non la fa Pietro? Questo stavo dicendo. Vedi? Questa domanda si pone.

Pietro dice a Giovanni-Lazzaro: “chiedigli, chiedigli..”, ma perché non chiede lui? Quindi, nel chiedere c’è un mistero, c’è un modo particolare di porre la domanda.

Pensate al Parsifal. Il Parsifal va nel castello del Graal per la prima volta e non è ancora in grado di chiedere, quindi è un Pietro. Poi torna indietro, forse allora era troppo giovane, fa tutta una evoluzione per cui arriva al gradino di Giovanni-Lazzaro, adesso ritorna nel castello del Gral e adesso è capace di chiedere. Cioè, questo chiedere -vabbè, poteva anche essere stato sul piano fisico-, l’essenza di questo chiedere è un gradino evolutivo della coscienza. Questo vuol dire il testo quando dice che Pietro lo fa fare all’altro. Quindi, dietro a questo chiedere c’è un gradino evolutivo della coscienza.

Intervento. Di che “boccone” si tratta se…

Archiati. Ci arriviamo, ci arriviamo, non siamo ancora al boccone..

Intervento. Scusa Pietro, se la parte che tradisce è in ognuno di noi, come dici tu, questo comprova quello che dici tu in quanto, se è una parte in ognuno di noi, sarebbe stato più logico che Cristo non avesse dato risposta proprio per…

Archiati. Cioè, Pietro ha un sentore, un’intuizione che il passaggio evolutivo dal grembo, o da…come lo chiamate voi in italiano, com’è tradotto in italiano?

Dal pubblico. Grembo, fianco, petto, seno…

Archiati. Dal seno al petto, che questo passaggio evolutivo dalla sfera generativa, dalla sfera del mangiare e del generare alla sfera del cuore, l’ha compiuta soltanto il Giovanni Lazzaro, e il testo lo dice. State attenti, lasciatemi parlare un momento.

Il 13,23 dice: “giaceva uno dei discepoli nel seno di Gesù, che Gesù amava”, va bene? Ma questo fatto che lui, Giovanni Lazzaro, prima si trova congiunto al seno e poi si innalza e si congiunge con il petto, è un movimento, se vogliamo, fisico, che evidenzia un’evoluzione che lui ha compiuto, e che Pietro non ha compiuto. Questo è importante. Quindi lui, avendo compiuto questa evoluzione dell’anima e dello spirito la evidenzia a livello fisico spostandosi verso il cuore.

Dalla fissazione su ciò che si mangia e si beve, dalla fissazione sul corpo, all’incentrarsi sull’Amore. Noi abbiamo oggi una cultura del tutto fissata sul corpo, e che cosa esprime il corporeo meglio del mangiare che rigenera? Mangiare è il rigenerare il proprio corpo e la generazione è il raddoppiarlo, meglio di così non si può dire. Non si può esprimere meglio la fissazione sul corporeo, però il corporeo ci disgrega, il corporeo ci mette gli uni contro gli altri, perché quello che io spendo per star bene io lo porto via a te. Ciò che io faccio per il mio corpo non lo posso fare per il tuo, invece ciò che io faccio per la mia anima lo posso fare eccome per la tua anima, anzi, posso coltivare la mia anima soltanto coltivando anche la tua.

Quindi, i corpi sono alternativi: “o tu o io” e le anime invece sono sempre concilianti, e a maggior ragione gli spiriti. Questa è la differenza fondamentale. Questo è il tipo di evoluzione a cui tutti gli uomini sono chiamati: di spostare l’epicentro degli interessi dal corporeo, che ci mette gli uni contro gli altri, a ciò che è l’amore, dall’egoismo all’amore. Dall’egoismo, in quanto amore di sé esclusivo, all’amore, in quanto amore di sé che include l’amore altrui. L’amore altrui che include l’amore di sé è la grande direzione dell’evoluzione. E questo Giovanni-Lazzaro è la persona fra i dodici, che poi è il tredicesimo se vogliamo essere più precisi, che precede gli esseri umani in questa evoluzione.

Intervento. E l’altruismo come si collocherebbe? Si collocherebbe pure in basso l’amore dell’altro escludente l’amore di sé?

Archiati. Sì, se usassimo il vocabolario in modo pulito. L’altruismo unilaterale, che fenomeno è? Prova a dirlo, così…

Replica. E’ sempre un estremo della polarità

Archiati. Parliamone senza illusione che sia buono. Ammazzarsi per gli altri, l’ho definito io, che fenomeno è?

Intervento. Fare per gli altri.

Archiati. Faccio star meglio gli altri quando io mi ammazzo per loro? No, è un’illusione di amore per l’altro, perché manca l’amore di sé. Quindi, o li ho tutti e due o non ne ho nessuno dei due.

Intervento. Sta sempre nella dimensione della corporeità.

Archiati. Certo, certo.

Intervento. Questo gioco di egoismo/altruismo, per vedere come attuarlo meglio nella pratica, come si inquadra nell’evoluzione del singolo individuo durante la sua vita? Da un certo punto di vista ho l’impressione che con l’altruismo si tenderebbe ad essere più aperti verso gli altri, mentre invece può accadere al contrario…

Archiati. Il Vangelo è più scientifico, è più pulito. Il Vangelo ti dice: finché noi siamo incentrati, finché la cura centrale è il corpo, siamo costretti a scegliere “o amore di me o amore dell’altro”. Se amo l’altro non amo me stesso; se do da mangiare a lui non mangio io, e se do da mangiare a me non mangia lui.

In altre parole, finché restiamo incentrati sul corporeo, l’amore di sé e l’amore dell’altro si escludono a vicenda, è questo che non funziona. Quando invece saliamo, quando invece adoperiamo il corporeo come strumento, non come il fine della vita pieno di brame, ma come strumento, e cominciamo a godere dell’anima e dello spirito, da quel momento l’amore di sé e l’amore dell’altro non solo non si escludono, ma possono soltanto andare insieme.

O mancano tutti e due o ci sono tutti e due, questa è la differenza.

Quindi, il materialismo è la fissazione sul corporeo che, per natura, ci mette gli uni contro gli altri. Il soldo è qualcosa di materiale, pensate a quante cose materiali ci si comprano. I cinquanta euro che ho in tasca io -gli stessi cinquanta euro- non li può avere in tasca l’altro. La sfera del corporeo è la sfera di ciò che è esclusivo, è il diritto esclusivo, la proprietà privata. Perché si chiama proprietà privata? Perché ne privo gli altri. Io posso fare di qualcosa una proprietà privata soltanto privandone gli altri. Il concetto stesso esclude che la possiamo avere tutti e due. Il concetto stesso di privata, che vuol dire? Che devo privare gli altri per averlo io.

Intervento. E se facciamo il cinquanta per cento per uno?

Archiati. Allora non è proprietà privata… però se metà è privata per te e metà è privata per me, sono due proprietà private, perché poi a me non basta averne soltanto il la metà, voglio avere tutto: me lo dai?

Replica. No, io ti do venticinque euro, se li vuoi, se no mi tengo tutti i cinquanta.

Archiati. Voglio dire, il Vangelo non lo possiamo ammansire, non esiste. O siamo puliti abbastanza, per lo meno intellettualmente, poi i conti ognuno se li faccia per la sua vita, sono affari suoi, ma il Vangelo ci dice: guarda che non puoi barare, è inutile che vieni a barare. Se resti incentrato sul corpo avviene la lotta di tutti contro tutti, e l’unico modo per venire fuori dalla lotta di tutti contro tutti è di terminare di essere incentrati su ciò che è materiale. Il discorso è pulito, non si scappa. Se è vero che per duemila anni s’è fatto di tutto per pasticciar le cose, i risultati li vediamo, che siamo ancora a livello del corpo, e il godimento dell’anima, il godimento dello spirito quasi non c’è. Omissione su tutta la linea.

13,24. “Simone Pietro, fa un cenno -neuei, neuei- a costui”, questo Giovanni che sta sul petto di Gesù, fatemelo dire una volta per tutte, per me è chiarissimo: Giovanni-Lazzaro non è uno dei dodici. Diventerà uno dei dodici tra poco, quando Giuda esce, allora restano in undici ed il dodicesimo è Giovanni-Lazzaro, è l’Aquila che ritorna al posto dello Scorpione.

Intervento. Quindi erano in tredici inizialmente.

Archiati. Nel cenacolo sì.

Intervento. Però qui a questo punto della frase, del versetto che stai leggendo, si trova…

Archiati. Sì, ma certo, è colui che, come tutti gli esseri umani, parte da sotto, poi s’innalza.

Replica. Ma lo sto dicendo per correggere il testo, non perché non sia esatto.

Archiati. E allora correggi il testo a bassa voce, scusa, anzi in silenzio.

13,24. “Simon Pietro fa un cenno e dice, affinché chieda chi è colui del quale sta parlando che lo tradirà.

Il 13,25 ti descrive l’evoluzione. Allora, questo Giovanni è il discepolo che inizia dallo stesso punto di partenza di tutti, perché se non parte da dove partono tutti non fa l’evoluzione, però è già andato più avanti degli altri, nel senso che non è rimasto al gradino del corpo, da cui partiamo tutti, ma si è innalzato. È colui che più di ogni altro si è già innalzato, e lo evidenzia adesso esteriormente, col gesto fisico, spostando l’epicentro della sua coscienza della sua evoluzione dalla zona della ri-generazione del proprio corpo col mangiare -della generazione del corpo con le forze della sessualità- alle forze del cuore. SthqoV (stèthos) è il petto, dove c’è il cuore, chiarissimamente, la forza dell’amore. In altre parole, evolversi significa passare dall’egoismo all’amore.

Egoismo significa essere incentrati sul corporeo, che ci mette gli uni contro gli altri per natura, e amore significa avere abbastanza, per quanto riguarda il corporeo, di quello che serve mi basta quello che serve perché il corpo sia sano, perché ho altro e di meglio da godere, che è l’amore, l’anima, ciò che è di natura spirituale. Una persona che non è ancora in grado di vivere l’amore, o ciò che è animico, ciò che è spirituale, cosa gli resta? Gli resta ciò che è materiale.

Tante persone oggi sanno veramente godere l’amore? L’amore dato, in quanto comandamento, non è amore, l’amore è amore soltanto quando godo. L’amore all’altro è amore all’altro soltanto quando è amore anche a me stesso. L’amore, o è godimento reciproco, o non è amore. Sono tantissime oggi le persone capaci veramente di amore? No, dovrebbero essere persone a cui il corporeo non interessa più di tanto, una volta che c’è come base, basta, non serve di più perché il di più ci mette gli uni contro gli altri. C’è tanto da godere nell’amore che mai più ci metteremmo a begare su ciò che è corporeo, perché ne basta un minimo.

Se uno si gode l’anima, se uno si gode l’amore, basta un decimo, un ventesimo dei soldi che la maggior parte della gente ha. Questo è il discorso. Però il presupposto è che non serve a nulla dire che devi rinunciare ai soldi se uno non si gode l’amore. Nella misura in cui uno si gode veramente quello che io sto chiamando l’amore fa parte dell’avere il meno possibile, perché più uno ha e più distrugge l’essere. Quindi, o l’avere è strumento per l’essere, però bisogna godersi l’essere allora, oppure, se non c’è la capacità di godersi l’essere, come sostituto spurio, almeno mi godo il corporeo.

Nella misura in cui si gode -perché poi il godimento del cammino di conoscenza è anche godimento animico, mica soltanto spirituale-, più l’anima gode dello Spirito e più sta bene attenta che nel corporeo non ci sia più del necessario, se no pensate alle macchine che abbiamo: macchine e ancora macchine e altre macchine, e sempre più complesse e sempre di più, alla fine tutte le nostre forze sono dedicate alle macchine. E allora non è più la macchina per l’uomo ma l’uomo per la macchina.

Il senso del corporeo è di essere per l’anima, strumento dell’anima, se no è un controsenso. Però godere veramente, l’anima che gode del cammino dello spirito non salta fuori dell’oggi al domani, va esercitata, è un fatto di evoluzione. Ed è questo che qui, nell’ultima cena, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, che non parla del pane, del vino, ecc... pone le immagini ad un livello molto più fondamentale, molto più biologico e dice: guarda essere umano, la scelta della libertà è: l’anima può rivolgere le sue brame sia verso il corpo, e allora il corporeo diventa lo scopo della vita, coltivare il corpo -jogging, eccetera-, oppure fai la domanda al Cristo.

Qui, nel vangelo, la testa di Lazzaro è sul cuore di Cristo e pone la domanda alla testa, lui stesso vuol capire la testa, allora il Lazzaro che fa la domanda su quali sono le forze che tradiscono il Figlio dell’uomo è l’anima che aspira alla conoscenza spirituale. E l’anima umana è sempre in questa duplice dimensione, e questa è la libertà. Questa è la libertà: che l’anima può bramare ciò che si mangia, ciò che serve alla generazione del corpo e alla ri-generazione del corpo, e l’anima può desiderare ciò che fa camminare lo spirito. In questo sta la libertà.

La domanda di Giovanni-Lazzaro è stata: cos’è che uccide l’uomo? La freccia che va in giù, la fissazione del corporeo, “colui al quale darò il boccone”, e dietro a questo boccone, dietro alla cura per il corporeo chi entra nell’uomo? Il Satana, che ci mette gli uno contro gli altri, questo tradisce l’uomo, tradisce l’amore, tradisce il cammino di conoscenza, tradisce il coltivare lo spirito perché ti incentra, ti attanaglia a ciò che è corporeo.

Allora, letteralmente: 13,25. “Costui…”, qui abbiamo l’evoluzione che si sposta dall’incentrarsi sul corporeo all’incentrarsi nell’anima che si rivolge -ponendo la domanda dello spirito, la domanda del bene e del male, di ciò che uccide il Figlio dell’uomo e di ciò che lo fa vivere- allo spirito.

13,25. “Costui salendo -anapeswn, anapeson-…” questo è uno dei verbi più enigmatici nel Vangelo, perché ana significa verso su, e peswn significa andar giù.

Costui, salendo dalla sfera genitale, chiamiamola così, alla sfera del cuore (rif. fig. 21)

Colpos é la fera genitale, Stèthos é la sfera del cuore -epi to sthqoV tou Ihsou, epì tò stethos tù Iesù- prima c’era stato detto che giaceva nella sfera genitale, adesso ci viene detto che la sua evoluzione consiste nell’innalzarsi alla sfera del cuore, congiungersi con la sfera del cuore.

“Dice a lui…”, quindi Lazzaro, congiunto con la sfera del cuore, gli chiede: “chi è o Signore?” “Kurie tiV estin (Kyrie, tìs estin)?”

13,26. “Gli rispose il Signore: colui, è colui al quale io intingerò il boccone, il bocconcino…” quindi il solido si congiunge al liquido; “intingerò il bocconcino…” quindi è un tipo di evoluzione incentrata non sull’astrale e non sullo spirituale ma sul fisico e sull’eterico che, invece, dovrebbero essere soltanto strumenti, ma vengono fatti il fine della vita; “colui al quale intingerò il boccone…” il boccone è la corporeità fisica del cosmo, e l’intingere è l’etericità del cosmo; “Colui al quale intingerò il boccone e lo darò a lui. E, intinto il boccone, lo prende e lo dà a Giuda Simone di Iscariota”.

13,27. “E dietro al boccone…” allora vediamo Giuda che prende il boccone, lo mette in bocca, il boccone scende…i cattolici fra di noi si ricorderanno che la particola non andava masticata e si diceva: “quando comincia ad andar giù fa il lavoro che fa qualsiasi cibo”, naturalmente, perché poi viene digerita cioè entra nella sfera del metabolismo. Quando il boccone lascia la bocca e comincia a venir digerito le forze del metabolismo si mettono in moto e l’essere umano è incentrato nel suo corpo, è incentrato nelle forze vitali che sono in pieno corso, e dietro al boccone, quando il boccone lascia la bocca e comincia a mettere in moto il processo di metabolismo, l’essere umano fa esperienza delle forze sataniche, Satanas, fa l’esperienza di ciò che ci separa gli uni dagli altri.

In quanto testa e cervello, noi il cervello ce l’abbiamo per capire cose che sono valide per tutti, però la digestione che uno fa vale soltanto per lui, per il suo corpo, quello è il Satanas, quello è lo Scorpione che… skorpizein (scorpizein) significa disperdere, è quello che ci disperde, è quello che ci mette gli uni contro gli altri. Quindi, nella digestione, nel mangiare ognuno è chiuso in sé, l’amore di sé è, per natura, esclusivo dell’amore altrui.

Intervento. Non ho capito.

Archiati. Nel mangiare e nel digerire, quello che avviene nel mio corpo è per natura esclusivo, cioè non può avvenire nel corpo di un altro.

L’abbiamo già detto, ma lo ripeto per chi non si ricordasse: il discepolo che Gesù amava è un’espressione tecnica dell’esoterismo. Nella tradizione dell’esoterismo c’era il Maestro, l’Iniziato e il Maestro ha dei discepoli -naturalmente il rapporto tra Maestro e discepolo si evolve anche quello, abbiamo visto che il Cristo dice che adesso si invertono le parti perché ogni discepolo è chiamato a diventare Maestro e ogni Maestro è chiamato a diventare discepolo. Il padrone diventa servitore e il servitore diventa padrone.

Nell’evoluzione prima di Cristo c’era un rapporto di forte dipendenza o di intima connessione tra il discepolo ed il Maestro, pensiamo ai Guru, ai santi Rischi dell’Oriente eccetera. I discepoli non è che si evolvessero tutti con la stessa velocità, è chiaro che tra loro c’era già una certa diversità, allora quando un discepolo particolare arrivava al punto da poter venire iniziato, di questo discepolo si diceva “è il prediletto”, cioè “ è il discepolo che il Maestro ama” nel senso che la comunione tra questo discepolo e il Maestro è la più intima che si possa immaginare, per cui il discepolo è arrivato al punto da venire iniziato. L’essere chiamato “prediletto” non è un elemento di preferenza arbitraria, che il maestro vuol più bene a quello che non a quell’altro, ma è una comunione maggiore che non con altri discepoli.

Questo discepolo ha costruito dentro di sé una tale affinità con lo spirito del Maestro che il Maestro ora è in grado di comunicargli la sua stessa iniziazione; quindi, “il discepolo che il Maestro ama” tecnicamente significa: il discepolo che è giunto al punto da poter venire egli stesso iniziato dal Maestro. E quale discepolo, l’unico, è stato iniziato dal Cristo? Il Lazzaro.

Quindi, dire che Lazzaro è l’unico che nella sua evoluzione è stato in grado di venire iniziato dal Cristo e dire che Lazzaro è il discepolo che Cristo amava, è la stessa cosa. L’importante è non intendere la dicitura “il discepolo che il Cristo amava” come predilezione, come preferenza arbitraria, che sarebbe una contraddizione con l’amore. Però l’amore non bara e non è che, per far tutti uguali, possa iniziare tutti quanti, anche quelli che non sono pronti.

Il discepolo che il Maestro ama è il discepolo pronto a venire iniziato qui c’è un amore, una progressione, una comunione particolarissima, la più intima che si possa immaginare, e questa comunione si esprime in termini di amore. Questo significa “il discepolo che Gesù amava”. Tecnicamente, chi legge il Vangelo conoscendo il linguaggio dell’esoterismo sa subito che non può che riferirsi a Lazzaro, perché Lazzaro è stato iniziato dal maestro Cristo, e soltanto Lazzaro.

E difatti, il risveglio di Lazzaro nel suo Vangelo, che Lazzaro ha scritto, sta proprio al centro. L’undicesimo capitolo scinde il Vangelo di Giovanni: dieci capitoli prima, dieci capitoli dopo e al centro c’è il risveglio di Lazzaro.

Il Vangelo di Giovanni ha, tra l’altro, la stessa struttura della Filosofia della libertà di Rudolf Steiner: la prima parte, dal capitolo uno al capitolo decimo, è dedicata alla conoscenza della libertà, la libertà in quanto fattore di conoscenza; e la seconda parte del Vangelo di Giovanni, dove il Cristo entra nella realtà della morte e della resurrezione, è la realizzazione della libertà. E la seconda parte della Filosofia della libertà di Rudolf Steiner si chiama: la realtà della libertà.

La prima parte della Filosofia della libertà è la scienza della libertà e la seconda parte è la realtà della libertà.

La prima parte del Vangelo di Giovanni è l’ammaestramento del Cristo, e la seconda parte è l’esempio del Cristo. La prima parte è il Cristo che dice come si diventa liberi e la seconda parte è il Cristo che attua la libertà entrando nella morte e trasformandola in una resurrezione.

Quindi, per quanto mi riguarda, lo spirito che ha scritto questo Vangelo e lo spirito che ha scritto la Filosofia della libertà di Rudolf Steiner, indipendentemente dal fatto che sia o non sia la stessa individualità, è lo stesso spirito, e io lo vedo in tantissimi paralleli. In Germania ho avuto modo di fare diversi corsi in cui paragonavo il Vangelo di Giovanni alla Filosofia della Libertà.

Allora, eravamo arrivati al versetto 13,27. A proposito del versetto 27: ogni volta che un essere umano mangia qualcosa, finché il boccone è in bocca ancora non comincia la digestione vera e propria, appena lascia la bocca il corpo comincia a farlo suo e, dove comincia la digestione comincia l’esperienza del ricostituire il proprio corpo in quanto elemento, in quanto strumento che mi separa da tutti gli altri esseri umani. Dietro ad ogni boccone entra il Satana, che ci divide, che ci separa, che ci mette gli uni contro gli altri, che ci imprigiona ognuno nel suo corpo.

Intervento. Sempre?

Archiati. Sempre, è nella natura. Tu mi puoi dare qualcosa della tua digestione?

Intervento. Non mangiamo più.

Archiati. Non mangio più, faccio l’ascesi.

Intervento. Entrerà dall’altra parte

Archiati. Entrerà dall’altra parte, certo, proprio in questo senso concreto. Il Vangelo è così concreto, reale e vero perché le realtà dell’anima e dello spirito devono tradursi in realtà anche corporee, fisiologiche, perché tutte le esperienze animiche, le esperienze spirituali sono sulla base del corpo. Quindi, il mangiare, il digerire sono l’espressione massima -che si può aumentare soltanto col generare, con le forze generative- dell’essere chiusi nel proprio corpo. Quando dormiamo siamo via dal nostro corpo, quand’è che siamo massimamente chiusi nel nostro corpo da svegli?

Intervento. Quando mangiamo.

Archiati. No, nel digerire, è vero ed è oggettivo: nel digerire.

Intervento. E quando siamo malati?

Archiati. Si potrebbe interpretare, capire ogni malattia come una forma di ritardo, difficoltà di digestione. In altre parole il fegato o la milza o qualcosa non riesce a smaltire in tempi normali quello che ci sarebbe da smaltire, e quindi c’è una esuberanza di venire alle prese con l’elemento materiale. La digestione sana, come avviene? Si digerisce, punto e basta, e poi si è nuovamente liberi di fare e di pensare. Il fegato malato è una digestione ritardata, è alle prese con qualche elemento materiale che non riesce a smaltire. Quindi la digestione: o è strumento per ricostituire il mio corpo in modo da potermi, di nuovo, aprire al mondo, oppure mi chiude.

Quindi, la digestione, o mi chiude in me stesso soltanto momentaneamente in modo da potermi riaprire sempre di nuovo, oppure se diventa più lunga, o se ritarda, mi chiudo in me stesso più di quello che è sano per il convivere, per aiutarci a vicenda, per camminare insieme, in questo caso sono costretto a dedicare più energie, più attenzione al mio corpo di quanto sarebbe bene per me e per l’altro, perché la fissazione sul corpo è a danno sia mio sia dell’altro.

L’amore, o è a vantaggio di tutti e due o è a svantaggio di tutti e due, non esiste il vantaggio di uno a svantaggio dell’altro, è illusorio.

Il Vangelo diventa concreto fino a questi livelli di fisiologia: “dietro al boccone entrò in lui Satana”, il mangiare è l’elemento di massima chiusura nella propria corporeità; mangiare inteso come premessa del digerire.

Intervento. Scusa, un elemento spirituale non compreso, non conosciuto, può creare una difficoltà di digestione?

Archiati. “Un elemento spirituale non compreso…” è l’opposto: è una difficoltà di digestione che crea sempre un qualcosa di non compreso. Difficoltà di digestione significa che le forze di ricostituzione del mio corpo mi impegnano l’anima e lo spirito più di quanto dovrebbero, e allora invece di smaltire ciò che mangio in tempi brevi e lasciarmi libero lo spirito per capire, devo impegnare forze del mio essere ad occuparmi del corpo e quindi non posso capire.

Ripeti la domanda come l’avevi posta.

Replica. Io ho posto questa domanda: un elemento spirituale non compreso…

Archiati. Perché non lo comprendo?

Replica. Perché non avendo elementi per comprenderlo…

Archiati. No, il non comprendere è sempre dovuto al fatto che il corpo mi prende troppe energie, sempre, perché tu adesso progetti un essere umano dove il corpo non c’entra nulla? Corpo, anima e spirito sono sempre in interazione, quindi di ogni omissione nello spirito dobbiamo trovare il correlato fisiologico in una esuberanza corporea, non c’è omissione spirituale senza un correlato fisiologico di una esuberanza corporea, non esiste. Altrimenti facciamo spiritualismi.

Intervento. Ma che dici, questo è un deficit, diciamo di pensiero, un deficit, una mancanza, una non rispondenza del cervello mettiamo in questo processo di pensiero?

Archiati. Ma è sempre conseguenza di un fatto biologico. Questo voglio dire. O se non volete vederli come causa ed effetto, prendeteli come con-cause e co-effetti, ma vanno insieme, cioè non ci può essere una disfunzione nello spirito senza che ci sia una disfunzione nel corpo, perché l’uomo è sempre una unità.

Intervento. Le stesse forze che operano nella digestione, sono quelle che possono essere impiegate per lo spirito, per il pensiero.

Archiati. Sono le stesse forze.

Replica. O al di qua o al di là.

Archiati. Perché il bambino piccolo non è ancora in grado di pensare? Perché tutte le forze pensanti le sta usando per la crescita. Quando non ha più bisogno di usare tutte le forze eteriche per la crescita, quando alcune di queste forze diventano libere, cioè non sono più costrette a lavorare nella carne, sono forze di pensiero. Ma sono le stesse forze. Prima lavoravano dentro al corpo, adesso lavorano nell’eterico puro, e il bambino comincia pensare. Sono le stesse forze.

Noi abbiamo una scienza naturale e una teologia che sono tutte e due unilaterali, ci potranno essere eccezioni ma nell’insieme è così: la teologia fa spiritualismi -luciferica pura- come se la materia non esistesse, e la scienza naturale vede tutto come se la materia fosse l’unica realtà e come se lo spirito non esistesse.

Quello che ci manca – ma proprio ci manca nella nostra cultura – è ad un modo di guardare ai fenomeni, che ogni fenomeno umano deve avere:

- sia un aspetto spirituale

- sia un aspetto animico

- sia una aspetto corporeo

…se no non è un fenomeno umano. Di ogni fenomeno umano, per comprenderlo nella sua totalità, devo saper dire che cos’è nello spirito, che cos’è nell’anima e che cos’è nel corpo. Non esiste un pensiero che non causi nulla nel corpo. E non esiste un movimento fisiologico che non abbia una conseguenza sullo spirito. In altre parole, abbiamo fatto proprio queste due unilateralità: da un lato c’è una scienza naturale che è puro brigantaggio, dall’altro lato c’è una teologia che è pura diavoleria. E’ proprio così.

C’è tutta una spiritualità che si comporta come se il corpo non esistesse, e tutta una scienza naturale che fa come se lo spirito non esistesse. Il Vangelo invece ci dà addirittura il lato fisiologico di quello che avviene “dietro al boccone entra Satana”, più chiaro di così! Cioè, senza boccone niente Satana.

Intervento. Perché Satana? Visto che il boccone, cioè il cibo, è quello che ci chiude nel massimo egoismo? Perché allora non il diavolo? Anche se devo dire che al versetto 2 è finita la cena e quindi non so se c’entri “il diavolo è entrato in Giuda”

Archiati. Certo, le cose si complicano, quando uno vuol dare degli orientamenti, gli orientamenti servono fino ad un certo punto poi, man mano che si diventa sempre più scientifici le cose si complicano. Allora, essere chiusi in sé stessi animicamente è luciferico, essere chiusi in sé stessi biologicamente è arimanico. Essere incentrato su quello che devo mangiare mi costringe a fare un sacco di soldi, a picchiare gli altri, a portar via agli altri.

Intervento. Potere?

Archiati. Ecco, il potere. Essere chiusi in sé stessi a livello biologico, lo si può soltanto esercitando potere.

Intervento. Quindi si torna a questa lemniscata in cui uno presuppone l’altro.

Archiati. Sì certo, e poi, secondo Steiner, può anche capitare che Lucifero e Arimane si scambiano i ruoli ed anche le prospettive di azione rispetto all’essere umano. Steiner in intere conferenze dice che fenomeni che sono interiormente luciferici esternamente sono arimanici, e quando la causa esterna è luciferica l’effetto interno è arimanico. Naturalmente qui le cose si complicano: un conto è una chiusura in se stessi biologica e un conto è una chiusura in se stessi animica. Una chiusura in se stessi a livello dello Spirito non esiste, perché lo Spirito non ammette chiusura. La chiusura animica è di tutt’altra natura che quella corporea perché già va nella direzione dello spirito, e perciò dicevo che la chiusura animica è illusione, invece la chiusura biologica non è illusione, è reale.

Pensare di poter amare me stesso senza amare l’altro non esiste, questa chiusura non esiste è soltanto illusione, ma il mio metabolismo non è quello dell’altro: lì sono ben chiuso in me stesso perché il corpo è l’elemento di separazione. “Materia principium individuationis” dicevano gli scolastici, già rifacendosi ad Aristotele. La materia è il principio di frammentazione, di individualizzazione, di separazione. Soltanto grazie alla materia siamo separati, nell’anima non possiamo più essere separati e tanto meno nello Spirito.

Intervento. Volevo chiedere: è importante la qualità del cibo?

Archiati. La qualità del cibo, ma certo che lo è, ma scherziamo? C’è il cibo sano, che significa assumere un cibo sano? Che non mi fa stare incentrato su di me più di quello che è sano, più di quello che è necessario per riaprirmi. Un cibo malsano mi costringe a restare incentrato su di me più di quello che sarebbe necessario.

Replica. Cosa intendi per cibo sano?

Archiati. L’ho appena detto, e non mi hai sentito. Il cibo sano è quello che mi concede di restare incentrato su di me, sul mio metabolismo il meno possibile e che mi rende in grado di riaprirmi agli altri il più presto possibile. Il cibo sano è quello che si digerisce più alla svelta. Però senza diventar pelle e ossa, quello non si chiama digestione.

Replica. Certo…

Archiati. Un pranzo che mi occupa tutto il pomeriggio, altro che siesta eccetera, è sano? A me è capitato alcune volte, col mio stomaco devo stare un po’ attento, di andare a cena da amici, e poi mi pento ogni volta. È cibo sano per il mio stomaco quello che impiego sei ore a digerire? Il cibo sano è quello che si smaltisce più alla svelta possibile perché il corpo, la natura del corpo è di essere strumento per l’Anima e per lo Spirito.

Il violino perfetto qual è? Quello che non noti, è talmente accordato bene che tu sei tutto incentrato sulla musica e non lo noti. Il corpo sano qual è? Quello che non si nota.

C’è tanta gente che s’arrabbia quando io dico questo, ma è vero. Quando il mio corpo è sano? Quando non lo noto. Fila il discorso?

Poi c’è stomaco e stomaco naturalmente, non si può dire in assoluto quali cibi siano sani. Se è vero che ci individualizziamo sempre di più, di riflesso, l’individualizzazione dell’Anima e addirittura l’individualizzazione dello Spirito individualizzano anche il Corpo sempre di più. Quindi si potrà dire sempre meno cosa fa bene mangiare. Ognuno deve farsi la sua esperienza, tant’è vero che noi sappiamo che ognuno deve orientarsi secondo il suo gusto, e il gusto, il masticare è l’inizio della digestione.

“Prima digestio fit in ore” (la prima digestione avviene in bocca) quindi è importantissimo non perdere questo criterio, però c’è gente che, indipendentemente se gli piace o no, dice: “no, no, non importa se mi piace, l’importante è che sia sano”. È come la gente che pesa il cibo che deve mangiare, come se non potesse sapere da se stesso quanto deve mangiare, come se glielo dovesse dire la bilancia. Questi sono elementi di non sanità; il gusto, le papille gustative sono fatte apposta per dirmi: questo farà bene al tuo stomaco e questo invece non farà bene al tuo stomaco.

(Brusio.)

Archiati. A parte i gelati.

(Risata)

Archiati. Lo so che state pensando: “ma ci sono delle cose che mi fanno così bene al palato, invece poi non fanno altrettanto bene allo stomaco. Questo accade perché noi, se andiamo avanti così, avremo sempre di più palati malsani. Un palato sano è un palato amico dello stomaco; un palato che va per conto suo e se ne infischia dello stomaco non è sano, è l’anima che si è intrisa di brame: “non importa niente se non va bene allo stomaco, l’importante è che mi piaccia”, e poi m’arrabbio ogni volta perché lo stomaco mostra di non condividere le mie scelte alimentari.

Intervento. Tornando al Vangelo, all’episodio del Vangelo, fa parte dell’ultima cena?

Archiati. Certo.

Intervento. Ma la cena non era finita?

Archiati. No, fa parte. Il boccone è appena entrato, Satana…

Replica. Avevamo detto che si era alla fine della cena…

Archiati. No, “alla fine della cena” sono tutte banalizzazioni del testo, adesso siamo al punto dove Satana corre dietro al boccone, siamo a quel punto lì.

(Vociare)

Archiati. Ma non credere che si tratti soltanto di una cena, per cui ci si sta a chiedere: “ma siamo all’inizio, siamo a metà o siamo alla fine”? Stiamo parlando dell’interazione tra il fattore corporeo-biologico-metabolico e ciò che avviene all’Anima e ciò che avviene allo Spirito, di questo stiamo parlando.

Replica. Sì, però mi ricordo che avevamo sottilizzato sull’inizio e la fine, allora quello era un discorso superato?

13,27. “e dietro, dopo il bocconcino -kai meta to ywmion, kai meta tò psomion- entrò -eishlqen, eisèlthen- dentro di lui Satana”. Adesso viene questa frase: “Gesù disse a lui ciò che fai- o poieiV, o poieis- fallo -poihson, poieson- più velocemente -tacion, tachion-.

TacuV (tachùs) significa “veloce”; taciwn (tachion) è comparativo “più velocemente”; tacistoV (tàchistos) è “il più veloce possibile”. tacion (tachion) è comparativo: “più veloce anziché meno veloce”, “anziché meno velocemente, più velocemente”.

Questa del Cristo a Giuda è una delle frasi più misteriose del Vangelo: o poieiV poihson tacion (o poieson poieson tachion); è una frase, una risposta, una parola del Cristo a Giuda che è un grosso mistero per l’esegesi tradizionale, perché il Cristo gli ha detto che sa che lo tradirà: “è colui al quale darò il boccone”, vede il Satana entrare in lui. Quindi il Cristo sa che Giuda lo tradirà e sa anche che il Giuda poi si toglierà la vita. Come fa il Cristo a dire “quello che devi fare, fallo presto”?

Mi tradisci e ti suicidi? Fallo presto, dai, dai, che andiamo bene!

“Giuda, non tergiversare, che vai bene”... Per l’esegesi tradizionale questa frase non è un mistero da poco!

O poieiV poihson tacion...

“Giuda”, dice il Cristo, “ogni essere umano deve passare per il tradimento”, ogni essere umano deve passare per l’autodistruzione, perché ogni essere umano deve passare per tutte le esperienze dell’umano. Ogni essere umano deve essere confrontato con le controforze, sennò non c’è evoluzione e non c’è libertà. Giuda, il senso delle controforze sta nel fatto che sono fatte per rafforzarti, per renderti più forte, in modo che, in men che non si dica, non ci sia più bisogno della controforza. Giuda, non restare nella posizione dell’auto-distruzione -suicidio-, del tradimento dell’uomo più a lungo di quanto è necessario. La caduta è un passaggio di transizione: non ti fermare nella caduta, però ci devi passare, ogni uomo ci deve passare, e più presto ne vieni fuori meglio è per te, perché più a lungo resti dentro e più il diavolo ti acchiappa, ti pesta e rischi di subissarti. Giuda, affronta l’ostacolo, vedendone e realizzandone la positività; affronta la controforza, comprendendone, a livello di coscienza, e realizzandone, a livello della volontà, la positività, e la positività qual è? Di renderti più forte.

Qual è il senso dell’autodistruzione? Che dopo so, per esperienza propria e non per comandamento, che cosa distrugge l’umano e non lo vorrò più, e non avrò più bisogno di qualcuno che mi dice: non farlo, non farlo, non farlo. Nella parabola del Figliol prodigo, il figlio maggiore dice al padre: “ma come, ‘sto manigoldo ha sperperato tutto quello che aveva e tu gli fai festa”?

“Ciò che fai…” -la traduzione corretta non è “ciò che devi fare”-. O poieiV, o poieis “… fallo presto” cioè: “non camminare, nell’evoluzione, più lentamente del necessario”. Camminare nell’evoluzione più lentamente del necessario significa omettere.“Non perdere colpi” dice il Cristo, però il figliol prodigo deve passare per la sfera dell’autodistruzione, ha perso tutto quello che aveva, non può più neppure mangiare come si deve, va a mangiare le ghiande riservate ai porci. Poi però ritorna e si fa festa.

Una morale che demonizza Giuda è una morale non cristiana, perché il Cristo dice a Giuda: “affronta l’ostacolo, c’è apposta per te, per renderti più forte”, e l’ostacolo cos’è? Oscuramento della coscienza. L’ostacolo cos’è? Autodistruzione. Ma come faccio a sapere che cosa mi distrugge se non ne ho mai fatto l’esperienza? Come faccio io a sapere che cosa non tradisce l’Io Sono in ogni uomo, se non ne ho fatto l’esperienza?

Allora il Cristo gli dice: “Giuda, guarda che il senso dell’evoluzione è di non aspettare che ti capiti cinque volte per capire, cerca di capirlo subito, ammazzati una volta, ma non cinque volte”!

“Ciò che fai, fallo veloce”, più veloce anziché meno veloce. Uno che lo fa meno veloce s’ammazza ma non capisce il significato negativo dell’autodistruzione, e allora deve ritornare un’altra volta, deve distruggersi un’altra volta per capirlo.

Quante volte l’essere umano deve fare un’esperienza per capire? A seconda di quanto è veloce nella sua evoluzione di coscienza. Allora il Cristo vuol dire: la natura umana, la salute dell’uomo è quella di andare piuttosto più veloce che meno veloce, e meno veloce significa ritardare, essere in ritardo, frenare. In italiano c’è la bella espressione: “non perdere colpi”. Uno perde un colpo quando vive un’esperienza che gli potrebbe dare tutti gli elementi per fare un passo in avanti e lui non realizza, non è servita a nulla. E allora ha bisogno di ripetere l’esperienza. Quindi, l’evoluzione è una pedagogia: se non impari alla svelta ti tocca imparare più lentamente, però se impari più lentamente è a spese tue perché ti tocca ripetere le esperienze negative. Se invece ogni esperienza dell’ostacolo l’acchiappi subito nella sua realtà, allora ogni esperienza di ostacolo basta una volta sola.

C’è bisogno di ripetere due volte la stessa cosa? Il bisogno di ripetere due volte la stessa cosa c’è soltanto quando la prima volta non è servita a nulla, perché se è servita a qualcosa allora si ripete magari in variazioni, ma non la stessa cosa. Quindi noi siamo costretti a ripetere esattamente la stessa cosa quando la prima volta non è bastata, non è servita a nulla.

In altre parole, in un’evoluzione sana, non si ripete nulla, si va sempre avanti perché da ogni esperienza si impara e si diventa diversi, è logico, vero?

Intervento. Tant’è che il superlativo relativo ci starebbe ancora meglio che il comparativo.

Archiati. Il superlativo relativo?

Replica. Ci starebbe ancora meglio perché dice: “cadi, ma insomma non ci rimanere, stacci il meno possibile”.

Archiati. No, il superlativo comprende una pluralità di possibilità, invece la pluralità di possibilità il Cristo te le riduce a due, e il comparativo va meglio perché è sempre fra due possibilità. Quando il testo ti riduce a due possibilità devi stare attenta perché allora devi diventare essenziale, quali sono due le possibilità di velocità di marcia? Una più veloce, l’altra meno veloce. Il testo dà queste due velocità: “prendi quella più veloce anziché quella meno veloce”, però sono due. Quali sono? Vedi che il testo ti provoca il pensiero?

Replica. Bello, bello.

Archiati. E adesso dimmi tu quali sono le due, perché il testo ti parla di due possibilità: o più veloce o meno veloce.

Replica. Di adagiarsi, di sostare troppo nella caduta.

Archiati. No, in questo modo non mi parli di due, per cui io dico: sono soltanto queste due e non ce n’è una terza.

Replica. Non lo so

Archiati. Pensaci, lo stai cercando, niente di male.

Replica. Voglio dire che bisogna un momentino pensarci, la risposta immediata non ce l’ho.

Archiati. Sì è vero, però vedi che non a caso il testo ti dà due possibilità, altrimenti sarebbe tacistoV (tachistos).

Replica. Infatti, questo fatto mi ha fatto riflettere.

Archiati. Brava, e quali sono le due possibilità? Il più veloce e il meno veloce.

Intervento. Il più veloce è il subito.

Archiati. Ah, ah, ah…

Replica. Oggi, ora.

Archiati. Ora. E il meno veloce è tutto ciò che non è ora. Vedi che sono due le possibilità? Ora, oppure “non ora”. C’è più veloce di ora? No, Però le possibilità sono due: o nel presente oppure non nel presente. O c’è presenza di Spirito oppure si ha la mancanza di presenza di Spirito, una terza alternativa non c’è. Però, più veloce della presenza di spirito non c’è, quindi l’evoluzione si compie o adesso o mai; perché questo? Cosa abbiamo a disposizione noi di volta in volta?

Sempre e solo il presente, l’ora. Vedi che se uno non molla, questo è un testo che veramente ti porta ad un cesellare del pensiero, ad una pulizia che proprio fa veramente bene? Le due alternative sono: o acchiappi il momento presente o lo perdi.

Intervento. Non perdere il colpo.

Archiati. Non perdere il colpo, esatto. Perché l’evoluzione ci è data sempre al momento presente, io non ho mai a disposizione il momento prima o il momento dopo: il momento prima è già passato e il momento dopo deve ancora venire; ho a disposizione sempre e solo il momento presente, e le due alternative sono: o che l’acchiappo o che non l’acchiappo. Se l’acchiappo vado più veloce, se non l’acchiappo vado meno veloce. Altre alternative non ci sono e i conti tornano. “Giuda, acchiappa la sfida esistenziale in cui ti trovi perché tale e quale non verrà più, se la perdi la perdi”.

Intervento. Pietro scusa, allora vuol dire che il momento presente è sempre… nella presenza del Cristo.

Archiati. “Eh, già certo. Allora il Cristo dice a Giuda: “Giuda, la legge dell’evoluzione è o ora o mai”, perché ogni essere umano ha sempre e solo a disposizione il presente, l’ora.

Replica. Perché quando si dice dopo, il dopo è indefinito perché non si sa mai dove comincia e dove finisce.

Archiati. Il dopo è passato. Il corridore dice: “ma io col mio cavallo sono arrivato solo mezzo secondo dopo…” O sei primo o non sei primo, mezzo secondo dopo sono tre metri di differenza, se i cavalli marciano.

Intervento. Non mi è chiara una cosa: se uno è posseduto da Satana, Cristo a che parte di Giuda si rivolge?

Archiati. Il Cristo sta parlando a Satana o sta parlando a Giuda?

Replica. Se Giuda ci fosse non farebbe il male, ma non c’è, s’è lasciato possedere.

Archiati. Stai presupponendo una cosa: stai presupponendo che Giuda sia posseduto in toto, vacci piano.

Replica. Te lo chiedevo perché avevo questo dubbio.

Archiati. Un essere umano posseduto in toto è possibile soltanto alla fine dell’evoluzione, ed è un essere umano che ha perso tutti i colpi. Quindi, possiamo partire dal presupposto ovvio che Giuda in questo momento è una composizione è una compresenza, di sicuro molto complessa, delle forze dell’ostacolo chiamate Satanas e anche dell’uomo, perché se l’uomo non c’è più allora è natura, e allora il discorso non fila.

Il Cristo gli dice: “Giuda, tu adesso fai l’esperienza di venire posseduto da Satana: sii desto nella tua coscienza in modo da seguire, proprio con coscienza desta, ciò che avviene all’essere umano quando è posseduto dal mangiare, dall’ipnotizzazione del corpo, non fare questa esperienza soltanto godendoti lo stomaco senza renderti conto di ciò che avviene all’essere umano che viene isolato da tutti gli altri, perché se non ti rendi conto di ciò che avviene all’essere umano attraverso questo possedimento ti tocca di ripeterlo, perché il senso del fatto che ti avviene è di capire che cosa opera nell’essere umano, perché se capisci che cosa opera nell’essere umano poi, per libera volontà, farai di tutto perché non succeda più; però devi stare sveglio, perché se perdi il primo colpo deve venire il secondo, se perdi il secondo deve venire il terzo, eccetera”.

Come vi dicevo, è un versetto nel Vangelo di Giovanni, un versetto dei Vangeli fra i più difficili, soprattutto per un’esegesi che demonizza Giuda. Il problema del Giuda è che il cristianesimo tradizionale l’ha demonizzato, l’ha visto come negativo, invece il Giuda va capito, nel senso che ci rappresenta tutti, è una dimensione dell’umano, ed è un’esperienza di auto-distruzione, di suicidio, di tradimento del figlio dell’uomo dentro di noi; un’esperienza che ogni essere umano, in un modo o nell’altro deve fare, perché un essere umano a cui mancasse l’esperienza di Giuda, non sarebbe completo. In questa chiave positiva, di questa cruna dell’ago attraverso la quale ogni essere umano deve passare possiamo capire il modo tutto positivo del Cristo che gli dice: “Giuda, ma guarda che questa esperienza non è per distruggerti, questa morte tua fa parte della mia morte e della mia resurrezione” Può morire il Cristo senza il tradimento di Giuda? No, quindi il tradimento di Giuda fa parte della necessaria morte del Cristo, come premessa necessaria per la resurrezione.

Una teologia, un cristianesimo che vede Giuda soltanto in chiave negativa: “quel poveraccio, quel brutto, eccetera”, è chiaro che non può capire questa frase così positiva: “ciò che fai fallo più veloce, anziché meno veloce”.

Intervento. Non si può dire neanche che Giuda sia il migliore o il peggiore di tutti, no? Non c’entra niente, è una cosa che riguarda tutti.

Archiati. No, non c’entra niente, passare per la morte è peggio che…

Replica. Intendo dire: non dobbiamo vedere la persona fisica, qui è un discorso che vale per tutta l’umanità.

Archiati. Un mistero evolutivo, che fa parte di tutti noi, si evidenzia attraverso la figura di Giuda, però a noi interessa non lui, ma ci interessa ciò che lui evidenzia come destino di tutti noi. Giuda è il Giuda in ogni essere umano. Le forze del tradimento sono importanti, un essere umano senza le forze del tradimento, un essere umano non capace di ammazzarsi non vale nulla. Il fatto di continuare a vivere è automatico, è dono di natura; il vivere è interessante soltanto se uno ha vissuto la voglia di ammazzarsi. Se uno non ha mai avuto la voglia di ammazzarsi non sarà mai in grado di apprezzare la vita. Siamo pieni di moralismi che, in partenza, pensano che la voglia di ammazzarsi sia negativa; ma se io quotidianamente vinco la voglia di ammazzarmi perché colgo l’esistenza anche della parte positiva, vincere la voglia di ammazzarsi è meglio che non averla, genera molta più forza.

Intervento. E chi cade vittima di questa voglia di ammazzarsi proprio fisicamente?

Archiati. Anziché andar più veloce va più lento. Vedi, che allora la frase del Cristo è così importante? Però il Cristo non è che dica: “Giuda, però sta attento, perché se anziché andar più veloce vai più lento, poi non c’è più nessuna possibilità”, gli dice invece: “guarda che, di volta in volta, le chances evolutive sono perfette così come sono soltanto nel presente, e c’è una ricuperabilità ma questa non è mai al cento per cento, perché se ci fosse una ricuperabilità al cento per cento non ci sarebbe evoluzione, il tempo sarebbe tutto uguale. Quindi l’evoluzione evita i due estremi:

- un estremo è quello secondo cui c’è sempre tempo per tutto perché i momenti sono tutti uguali. Questo è un estremo che ci porta fuori dalla realtà;

- l’altro estremo che ci porta fuori dalla realtà è di dire: non c’è nessuna recuperabilità, se perdo un colpo ho perso tutto.

L’evoluzione si svolge nell’equilibrio tra questi due estremi. I colpi perduti si possono recuperare, entro certi limiti.

Intervento. Si può dire lo stesso anche per Giovanni, che anche lui vale per tutti.

Archiati. Certo, certo, ma tu vuoi che non ci sia in te, come essere umano, una dimensione che il Cristo ama o predilige? Non saresti un uomo.

Replica. Ma me lo domandavo perché siccome lui è il tredicesimo, poteva essere una cosa diversa.

Archiati. Ma il tredicesimo è il Sole, che li visita tutti.

Replica. Quindi è un po’ una cosa diversa…

Archiati. Diversa da che cosa?

Replica. Dagli altri, che invece…

Archiati. No, i dodici rappresentano le dimensioni dell’umano, in quanto dimensioni singole, il tredicesimo le rappresenta tutte, in quanto sintesi, organismo dei dodici. L’umano comprende tutte e due le cose. Il fegato, da un lato ha una evoluzione sua che non è esattamente la stessa che ha il resto del corpo, e dall’altro lato però è inserito nel corpo. Quindi, il mistero dell’umano è duplice, è di una molteplicità e di una unità; in quanto molteplicità di forze abbiamo i dodici apostoli, e in quanto unità di forze abbiamo il Cristo e Lazzaro, e tutte e due le dimensioni sono reali, è chiarissimo. Se io vedo soltanto l’unità allora non ci sono dimensioni singole da privilegiare di volta in volta: stavolta, in questa reincarnazione, faccio più questo, faccio più Bartolomeo, in quest’altra faccio più Matteo, ecc. ecc. Se vedo soltanto l’unità escludo la molteplicità. Se vedo soltanto la molteplicità non ci sarà mai l’unità, ci sarà soltanto dispersione.

Intervento. Contenuto e contenitore.

Archiati. Cioè?

Replica. Contenitore e contenuto.

Archiati. Cioè? Con queste parole ci porti via dall’organico, io ho dato un’immagine organica. Vedo che Luciana ha già guardato l’orologio cinquantamila volte e allora vi auguro un buon appetito.

Lunedì 23/02/2004. Sera
vv. 13,27 – 13,32

Questo mistero del Giuda è il cimentarsi dell’uomo con le controforze: Giuda si suicida e quindi effettua l’uccisione di sé, è traditore del Figlio dell’uomo e quindi è omicida. Però abbiamo detto che suicidio e omicidio sono la stessa cosa perché ciò che io faccio all’altro lo faccio a me e ciò che io faccio a me lo faccio all’altro, la prospettiva di separazione è illusoria.

Che soluzione c’è al non uccidere il figlio dell’uomo tradendolo -perché tradirlo significa mandarlo a morte-, e al “non ucciderti”? Perché il “non uccidere” possa terminare di essere un comandamento dal di fuori a cui devo sottomettermi, che soluzione c’è? Che devo provarci, che devo fare la prova, devo fare l’esperienza. E non c’è altra soluzione.

Moralmente parlando, restare al livello di un comandamento che mi dice: “devi…” e a cui io mi sottometto, e forse non lo vorrei, di sicuro non è moralmente più alto che non decidere di fare o di non fare qualcosa per convinzione propria, per esperienza propria.

Questo significa che le esperienze bisogna farle. Fare tutte le esperienze dell’umano, non tutte allo stesso modo e non tutti allo stesso modo, ci sono tanti modi di ammazzarsi, però l’esperienza di ammazzarsi la deve passare ognuno, sennò gli manca una delle esperienze fondamentali, gli manca una qualche forma di auto-annientamento. Come può un uomo sapere cosa significa “costruirsi”, se non si è mai “demolito”? Come può una persona apprezzare la salute se non è mai stata malata?

E se non ha avuto la possibilità di apprezzare la salute in questa vita perché è sempre stato sano, sarà per la prossima volta, o magari, è stato malato la volta passata.

Comunque, il concetto di evoluzione dell’uomo è che si diventa uomini, e si acquisisce la pienezza dell’umano per esperienza propria, e quindi bisogna fare l’esperienza di tutto ciò che fa parte della natura umana, anche della capacità di auto-distruggersi e della capacità di costruirsi liberamente, perché uno assolutamente lo vuole e non perché lo deve in quanto gli viene comandato.

Un altro pensiero che molti di voi di certo conoscono, almeno come prospettiva offerta alla conoscenza, una domanda per il cristianesimo tradizionale di enorme spicco conoscitivo è: “come può il Cristo presentare la positività, la necessità positiva, di quello che Giuda sta passando se Cristo avesse la convinzione che Giuda non ha più la possibilità di andare oltre, di imparare da quello che fa”? Il pensiero che dal suicidio, dal tradimento del Figlio dell’Uomo e dal suicidio, Giuda vada in un inferno eterno ripugna ogni essere umano che abbia il coraggio di pensare sanamente, perché fa a calci e pugni con l’amore divino, perché se fosse vero che Giuda rischia, anche soltanto rischia, di andare all’inferno eterno il Cristo glielo dovrebbe dire: “No, Giuda, no, sta attento che se lo fai vai all’inferno”! Avrebbe il dovere assoluto di dirglielo.

Intervento. E’ la libertà del Giuda? E’ un’esperienza sua?

Archiati. No, Si tratta di dargli l’informazione conoscitiva, non nel senso di vietargli di farlo. “Sta attento che la conoscenza della realtà è questa”, avrebbe dovuto dirglielo; io non ho detto che avrebbe dovuto impedirgli di farlo. Il Cristo fa un’affermazione: “ciò che fai, fallo presto”. Io ho sempre detto che tutte le affermazioni del Cristo vanno intese, vanno interpretate in chiave conoscitiva, non di comandamento, altrimenti bastava il Vecchio Testamento, ce n’era già abbastanza. Quindi è un’informazione conoscitiva: “la natura di ciò che stai facendo è positiva nella misura in cui non ti attardi troppo dentro, quando cominci ad attardatici dentro diventa negativa”.

È una pura indicazione conoscitiva.

Man mano che l’umanità cammina nell’evoluzione e viene alle prese con l’archetipo dell’umano, che si è presentato duemila anni fa, arriva alla soglia dove sempre più esseri umani dovranno porre la domanda se si vive una volta sola o se si vive più volte. Il concetto delle ripetute vite terrene è diverso, in chiave cristiana, da come lo si poteva concepire da prima, in Oriente. In Oriente, nelle religioni orientali, non c’era ancora -e non era possibile- un’interpretazione dell’evoluzione in chiave storica, era come una evoluzione “sub specie aeternitatis” dove i cicli della natura si ripetono sempre uguali e l’uomo fa parte dei cicli della natura. Soltanto attraverso il giudaismo e soprattutto poi, attraverso il cristianesimo, è sorta una concezione della storia dell’evoluzione che ha un inizio e una fine.

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Fig. 22

Allora, i due estremi dell’incarnazione umana sono:

- si continua all’infinito a reincarnarsi

- ci si reincarna una volta sola

Noi, che siamo tutti in favore della sintesi fra estremi, diciamo che le vite terrene sono diverse ma non infinite, sono ben contate. Qui (rif. fig. 22) si hanno tutte le incarnazioni prima del Cristo, ognuno di noi ha fatto diverse incarnazioni prima del Cristo, ma non all’infinito, c’è stato un inizio delle vite terrene e ci sarà una fine.

Il concetto delle ripetute vite terrene è che: si addice alla dovizia della Grazia divina di concedere ad ogni essere umano di imparare sempre di nuovo, di partecipare a tutta l’evoluzione, ma anche che la chiamata evolutiva dell’uomo è di prendere responsabilità, di partecipare responsabilmente e con sempre più responsabilità a tutta l’evoluzione. Perché uno Spirito umano dovrebbe partecipare, e quindi anche moralmente, essere compartecipe di un solo frammento dell’evoluzione?

Qui (rif. fig. 22) siamo nell’anno 1900 e qui siamo nell’anno 2000. Perché incarnarsi soltanto una volta e partecipare soltanto ad un frammento dell’evoluzione? Sarebbe come una persona che nasce a 30 anni. Come può uno Spirito umano vivere questo pezzo di evoluzione senza aver vissuto tutti gli altri pezzi precedenti e senza poi poter continuare? Così come non ci si può tuffare nella vita a 30 anni, ma bisogna arrivarci, allo stesso modo nessuno di noi può tuffarsi in questa vita senza esserci arrivato. Logicamente argomentando: nessuno di noi può avere lo stadio evolutivo di coscienza moderna attuale senza averla conseguita, e conseguirla significa passare tutti gli stadi pregressi, averli fatti. Quale motivo ci potrebbe mai essere nel disegno divino di dare ad ogni essere umano la possibilità di partecipare soltanto a un pezzetto dell’evoluzione?

E coloro che sono vissuti soltanto una volta prima di Cristo? Come vivono l’evoluzione dopo Cristo? Se l’evoluzione dopo di Cristo la si può vivere anche da disincarnati, allora nessuna incarnazione è necessaria, allora si può vivere restando nel mondo spirituale, non c’è bisogno di nessuna incarnazione.

Il senso dell’incarnazione, il senso dell’entrare nel corpo è che proprio tutta l’esperienza umana, il cammino della coscienza umana è intrinsecamente legato al corpo, e quindi la seconda parte dell’evoluzione mai più la possono esperire, compiere, coloro che sono vissuti prima di Cristo, a meno che si reincarnino. Come mai abbiamo tutto un Occidente, dicentesi cristiano, che non ha ancora integrato questo quesito enorme? Io ho dovuto lasciare la Chiesa Cattolica fondamentalmente perché ho posto questa domanda, indipendentemente dalla risposta. Ho detto: “Noi non possiamo permetterci, con onestà intellettuale, di andare avanti, addirittura all’inizio del ventunesimo secolo permettendoci ancora di non porre neanche la domanda”, e non era compossibile. La cosa comportava una difficoltà tale che ho dovuto lasciare. Certo che la Chiesa cattolica per esempio, ha delle difficoltà oggettive nel senso che, supponiamo che salti fuori, che risulti che la verità oggettiva è che ci sono ripetute vite terrene, che ogni Spirito umano si incarni tante volte, qual è il grosso problema di potere che salta fuori per una Chiesa cattolica? Che milioni di persone direbbero: “ma allora, finora ci avete preso per il naso con la vostra infallibilità, con la vostra cattedra di verità”.

Un altro aspetto: se io parto dal presupposto che sono piombato qui in questa vita senza altri cammini, chi è responsabile di quello che mi capita, di quello che sono, del tipo di corpo che ho, del popolo che ho? Il buon Dio. E i suoi disegni sono imperscrutabili. Lo sa Lui perché sei nato da questi genitori che erano bianchi e così sei diventato bianco anche tu, se nascevi da due genitori neri diventavi nero anche tu. Perché mi sono pigliato questi genitori e non quegli altri? Disegno imperscrutabile di Dio. Un’umiliazione del pensare umano, perché quello che tu non riesci a perscrutare può darsi che io riesca un pochino di più, perché mi vuoi umiliare e dire che dev’essere per forza imperscrutabile anche per me? Vuoi porre limiti a quello che io posso pensare?

La mente umana moderna formata al rigore e anche al coraggio della scienza moderna, dice: ma perché? La cosa è diversa se invece dico: “ognuno ha già fatto tutta la strada fin dall’inizio e ognuno è ciò che ha fatto di se stesso, ognuno è ciò che è diventato; ognuno porta in sé ciò che ha costruito e ad ognuno manca ciò che ancora non ha fatto”. E ognuno di noi, ogni essere umano, questa volta, prima di rituffarsi nell’incarnazione s’è chiesto, da buon pensante: “se il Padreterno ci ha dato una mente umana per pensare male allora poteva fare a meno di darcela. È chiaro che deve averci dato una mente per pensare bene”!

Quindi noi, da benpensanti, cosa abbiamo detto prima di nascere, quando eravamo in compagnia con benpensanti ancora più di noi, che son tutti Angeli, Arcangeli ecc.? Abbiamo fatto un bilancio e abbiamo detto: “ dunque, finora ne ho combinate parecchie, una volta sono vissuto come cinese, una volta sono vissuto come indiano, un’altra volta sono vissuto nell’America Centrale, un’altra volta ne ho combinate di tutti i colori. Va bene, adesso siamo un poco dopo la metà dell’evoluzione: nessuno è ancora perfetto però ognuno è diventato qualcosa. La prossima volta che voglio fare? Ci sono ancora tantissime cose da fare, che devo ancora divenire, che devo ancora capire. Però devo scegliere, mica posso fare tutto in una volta. Allora, fammi vedere: i genitori? Quei due là, di tutti quelli che ci sono i migliori sono quelli perché gliene ho combinate un sacco e adesso, stavolta devo rimediare. La lingua materna? L’ultima volta avevo il giapponese… dicono che sulla Terra ci sia una lingua che è quella degli Angeli: proviamoci”! La lingua degli Angeli è l’italiano.

(Risata)

Archiati. I tedeschi se la cavano dicendo che il tedesco è la lingua degli Arcangeli. “…Poi, dunque, che tipo di esperienza fondamentale devo fare? Mi cerco, mi imbastisco le esperienze che sono quelle che mi danno modo di acquisire dei nuovi arricchimenti. L’ultima volta che sono stato sulla Terra ero un poltrone, non me ne sono accorto che ho poltrito. Beh, la prossima volta… la prossima volta mi metto accanto a persone così impossibili, proprio insopportabili, che non mi danno nessuna possibilità di poltrire”.

Allora, se io trovo spiegazioni a tutto quello che mi capita, a tutte le possibilità evolutive che saltano fuori in questa vita come risultato logico di tutto ciò che ho già fatto, di tutto ciò che ancora voglio fare, allora ho un tutt’altro modo di spiegazione che dire: “quello che mi capita lo vuole il buon Dio, ma io non so perché”. E noi abbiamo a che fare con menti umane che sempre di più vogliono sapere il perché, perché un motivo ci deve essere. L’alternativa avrebbe dell’assurdo, ma quello non è convincente al pensare umano. A ognuno capita ciò che lui stesso ha pianificato, ha voluto, come il meglio che poteva offrirsi come sfida ad andare avanti. Le persone intelligenti pianificano così una vita, no?

Se voi prendete questi archi qui (rif. fig. 22) e invece di essere le vite successive sono i giorni, come li mettiamo noi i vari giorni della vita? Come pianifichiamo il domani? Arrivati alla fine di oggi, come pianifichiamo il domani? Facciamo un bilancio: sto a vedere quello che ho combinato e quello che non ho combinato, quello che non ho ancora aperto, quello che ancora devo fare, so di non poter fare tutto domani -perché spero che venga anche un dopodomani e un dopo-dopodomani- e dico: “allora, questo, questo e questo me lo riservo per domani”. Mi sveglio domani mattina, e cosa faccio? È tutto a vanvera? No, faccio quello che ho pianificato in base a quello che avevo già fatto -e non lo ripeto se l’ho fatto bene- e a quello che è ancora in sospeso. So che mi aspettano anche delle sfide per svolgerle in positivo.

Questo come commento al mistero di Giuda, l’alternativa è l’inferno eterno. Il correlato dell’inferno eterno è che chi non va all’inferno, dopo un breve purgatorio va in paradiso; però l’andare in paradiso non è meno problematico, lo dicevamo oggi. Ogni essere umano muore del tutto incompiuto, del tutto incompiuto, santa pace. Ogni essere umano muore oggi, nella nostra epoca, con tantissime potenzialità che non si sono ancora espresse. Per esempio, ognuno di noi ha la potenzialità di imparare tutte le lingue che ci sono, basterebbe che ne avesse il tempo e la possibilità, perché ogni lingua che s’impara e che si parla, sono aspetti dell’umano, frammenti dell’umano che si acquisiscono soltanto in quelle lingue.

Si muore del tutto “iniziali” e invece nella concezione tradizionale uno che muore viene catapultato nel definitivo: è l’irrazionalità più pura che si possa immaginare! È proprio illogica perché, o sei definitivo, quindi sei compiuto sia nel bene sia nel male, o sei incipiente, e se sei incipiente devi poter continuare la tua evoluzione. Non convince che ti vengano a dire: “ dopo che muore uno è compiuto, non c’è evoluzione successiva” perché esiste il fatto reale di constatare che è un’evoluzione veramente all’inizio per ognuno, che c’è ancora un sacco da imparare. Ognuno di noi muore con un sacco, anzi parecchi sacchi, da imparare.

Diceva il 13,27. “Ciò che fai fallo più veloce”

13,28. “Nessuno dei commensali capì, seppe, comprese a che scopo -proV ti, pròs tì- gli dice questo” proV ti = a che scopo, gli dice questo, quindi hanno sentito tutti che ha detto: “quello che devi fare, fallo presto”, “non sapevano a che scopo Lui dicesse questo…”

Intervento. Lo spiega…

Archiati. Sì, lo spiega.

13,29 “Alcuni…” alcuni sta ad indicare che c’è la presa di posizione individuale, e quindi lo sforzo di interpretazione individuale. Diciamo che è bello poter constatare che il Cristo non esprime cose che hanno già masticato tutte, per cui tutti capiscono la stessa cosa. Ci tiene invece a dare dei compiti conoscitivi, per cui gli uni arrivano a questo risultato, altri arrivano ad un altro risultato. Questo è bello vederlo nel testo. Dice alcuni, non dice tutti.

13,29. “Alcuni pensavano -edokouun, edòkun- poiché Giuda aveva la cassa comune, che Gesù gli dicesse: compra ciò di cui abbiamo bisogno per la festa oppure -quindi altri hanno pensato che intendesse dire che Giuda desse qualcosa ai poveri- toiV ptwcoiV ina ti dw, tois ptòchois ina tì dè- affinché dia qualcosa ai poveri”. Siccome in occasione delle feste si soleva dare qualcosa ai poveri in modo che anche loro potessero partecipare alla festa, per esempio andare a Gerusalemme, allora sentendo dire al Cristo “ciò che fai fallo presto”, alcuni hanno pensato che dovesse comprare qualcosa, altri hanno pensato che intendesse dire: “dai qualcosa ai poveri”.

13,30. “Colui…” ekeinoV (echèinos), adesso viene chiamato “colui” non viene più chiamato “Giuda” per indicare che la partecipazione cosciente, libera e volitiva del Giuda si è ridotta ad un minimo, se vogliamo parlare così, e che il Cristo è confrontato direttamente con Satanas, con le forze avverse -che sono necessarie-. “Colui, prendendo il boccone uscì subito, -exhlqen euquV, exèlthen euthùs- uscì immediatamente. Era notte.”

Intervento. Notte.

Archiati. E’ la notte della coscienza, che è molto più importante della notte esterna. Esce dalla sfera dell’umano, dalla sfera della coscienza luminosa del Logos perché vive nella tenebra. Abbiamo tante volte che il polo della coscienza opera polarmente alle forze di vita.

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Fig. 23

Il boccone sta proprio ad evidenziare che Giuda s’identifica col nutrire il proprio corpo, e il nutrire il proprio corpo è per natura oscuramento di coscienza. Oscurandosi la coscienza sparisce l’elemento di comunanza, perciò esce. Esce da quella comunanza del Logos che viene resa possibile dalla coscienza. S’identifica, si unisce con le forze tenebrose del vitale, e quindi esce ed è notte. Esce dal luminoso della coscienza ed entra nella tenebra del vitale.

La tenebra del vitale noi la vediamo anche ogni notte quando facciamo uscire la coscienza dal corpo - il corpo, mentre è nel letto durante la notte, è puro vitale- per ricostituirsi. Quello che gli esseri umani fanno sempre, cioè l’oscuramento di coscienza per permettere al vitale di rigenerarsi, viene espresso in questo mistero di Giuda: “uscì subito ed era notte”.

Intervento. Perciò va bene, sotto certi aspetti va bene.

Archiati. Fa parte delle necessità evolutive, perciò ho sottolineato che il Cristo non gli ha detto: “guarda che fai male”. Giuda è l’uomo che impara attraverso l’esperienza propria. Lo traduco adesso in termini universali: abbiamo qui il Giuda, in quanto l’uomo, ogni uomo che impara che le forze della coscienza e le forze della vita sono opposte l’una all’altra. Nel momento in cui il boccone entra si mettono in moto le forze metaboliche della vita e si oscura la coscienza.

Da questo cammino, da questi versetti che abbiamo fatto vediamo che il Vangelo contiene sempre aiuti per la conoscenza di sé, ed anche in questi versetti abbiamo elementi di antropologia, elementi di conoscenza di sé. Il Giuda -ogni essere umano è Giuda-, deve sempre di nuovo diventare Giuda ogni volta che, dovendosi affidare alle forze della vita, oscura la coscienza. Basta togliere dal testo i moralismi che si sono fatti, che non c’entrano col testo, allora il testo diventa un testo di fisiologia, un testo di dietetica se volete, un testo di filosofia, un testo di cammino di coscienza, un testo di lettura della natura umana. Ecco, un testo di lettura di come funziona la natura umana.

Allora capiamo che è il Logos il servitore del cammino della coscienza umana, che dà queste informazioni perché lui è il Maestro, in quanto servitore, come dicevo. È il Cristo che ammaestra gli esseri umani e dice loro: “sta attento, forse non ti serve a niente che io ti faccia la lezione teorica che questi due poli sono opposti l’uno all’altro, fanne l’esperienza”. E Giuda ne fa l’esperienza.

Intervento. Mi rimane un po’ misterioso quel verbo intingere ripetuto poi al passato intinto.

Archiati. Nel versetto?

Replica. A proposito del boccone, versetto 13,36.

Archiati. “Gesù risponde: è colui al quale, per il quale io intingerò il boccone e glielo darò…”

Replica. “e dopo aver intinto glielo dà”. Ecco quel verbo mi rimane un po’ misterioso.

Archiati. Intingere.

Replica. E’ ripetuto due volte.

Archiati. Allora, la prima volta è l’annuncio conoscitivo ed è per capire poi quando viene fatto, quando viene vissuto. La prima volta lui non lo fa, lo annuncia. È come quando pedagogicamente si vuol far vivere ai bambini una fiaba o una favoletta o un pezzo di poesia e prima glielo spieghi, li orienti, e poi li fai tuffare nell’esperienza. Il Cristo, prima gli spiega in modo che la coscienza sappia, possa partecipare a quello che avviene e poi lo faccia. Adesso tu dici: cos’è questo intingere? Io dicevo che è il congiungersi del solido col liquido.

Replica. So che l’hai detto.

Archiati. Adesso ti do la prospettiva più ampia, e poi le altre piccole le trovi tu, la prospettiva più piccola è nel boccone reale che gli dà. La prospettiva più ampia è che la prima parte dell’evoluzione è stata l’opposto: dalla salsa dell’eterico è stato tirato fuori il boccone che è la Terra, che è il solido. Dalla salsa liquida, che è l’eterico… vedi che la Scienza dello Spirito dà veramente aiuti che altrimenti non si colgono?

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Fig. 24

Intinse il boccone nella salsa -uso la parola salsa tra virgolette, però ci capiamo-, quindi dal mare eterico, dal liquido eterico, tirò fuori il boccone che è il solido, che è la Terra, pane per i denti. La seconda parte dell’evoluzione è chiaro che è fatta per invertire il processo, cioè per ri-intingere il boccone nell’eterico. Trasformare tutta la materia morta in vita. Questo è la percezione, il boccone è la percezione. Il liquido è il pensiero, il concetto.

Intervento. Quindi anche lì c’è un tre, e cioè: prima era terra-acqua-eterico, e poi con questo far ri-incontrare, nasce un elemento diverso, nasce un’altra cosa che non è più la somma dei due, non è più una somma dei due.

Archiati. Se noi restiamo nella prospettiva di un cincino di pane che mette dentro… è chiaro che non è quello.

Intervento. Certo.

Archiati. Il solido, cosa vuol dire intingere tutto ciò che è solido nel liquido?

Intervento. Si scioglie.

Archiati. Hai la chiave, vedi che hai la chiave? La chiave te la dà soltanto una Scienza dello Spirito: dovunque tu hai il solido e il liquido sai che ti rappresenta…

Replica. Percezione e pensare.

Archiati. …ti rappresenta tutto il solido della Terra e tutto il mondo eterico, se no non è la chiave di lettura, è proprio questo il punto. Una volta che tu hai questa chiave enorme di lettura, poi la puoi sminuzzare. Allora puoi dire: ogni volta che io trasformo una percezione, che ha una forma ben precisa, nel concetto, la faccio tuffare nell’eterico.

Intervento. La rivitalizza.

Archiati. Nei sinottici, questo intingere il boccone nell’acqua, una delle forme, è: se avrete forza pensante abbastanza direte a questo monte -che rappresenta la Terra, il boccone solido-: “spostati, tirati via e gettati nel mare”. E’ la stessa cosa, è la stessa cosa. La teologia tradizionale fa fatica a spiegare che significa perché un monte reale non l’ha mai spostato nessuno, e allora dicono: di cosa parla ‘sto vangelo? Non sanno che la montagna è un termine tecnico per indicare il mondo fisico, solido; quale immagine migliore si può prendere per ciò che sta così fermo, radicato, che la montagna?

Bisogna saperlo che la montagna sta per il mondo solido, fisico e che l’eterico è sempre stato espresso in termini di mare, perché nell’eterico ci sono metamorfosi, ci sono cangiamenti, onde, non ci sono forme fisse. Una volta che io so -però è una chiave di lettura del linguaggio- che la montagna significa tutto ciò che è solido, fisico, formato, la forma fissa, e che il mare è l’eterico, dove ci sono metamorfosi ma non forme fisse, capisco che l’evoluzione umana sta nel trasformare tutto ciò che è forma fissa e farlo risorgere a metamorfosi. E allora, qual è il boccone, ragionando ad un altro livello, per Giuda?

Intervento. Non ho capito la domanda.

Archiati. Qual è il boccone di Giuda ad un altro livello? È il suo corpo appiccato che permette alla sua anima di tuffarsi nel cosmo. E’ una variazione sullo stesso tema, però se non hai il tema, se non afferri il tema, non puoi fare nessuna variazione. E ci sono ancora tanti altri aspetti, ci mancherebbe altro. In altre parole, il Cristo sta dicendo: il senso di tutto ciò che è fisico è la possibilità umana, è dare agli uomini la possibilità di scioglierlo. Come potrebbero scioglierlo se non fosse fisico?

Intervento. Ma in questo sciogliere, la coscienza dell’Io che metamorfosi ha? Perché se la coscienza dell’Io è legata all’avere un corpo solido, una forma, nel momento che noi dissolviamo, che ne è di questa coscienza?

Archiati. Attento: il pensare umano dipende dal cervello fisico non per l’Io ma per ricevere la coscienza dell’Io. In altre parole, il cervello fisico non mi serve a pensare, perché si pensa nell’eterico. Tramite il cervello fisico porto a coscienza il mio pensare, divento consapevole di pensare. Però, un conto è pensare e un conto è sapere di pensare: si pensa senza il cervello fisico. Il cervello fisico non c’entra nulla col pensare, però si può sapere di pensare soltanto grazie al cervello fisico. Quando noi dormiamo, pensiamo né più né meno, solo che non sappiamo di pensare perché non siamo più connessi col cervello fisico. Tu vorrai mica dire che quando noi dormiamo il nostro spirito non pensa? Si muove soltanto nell’eterico, va via dallo specchio. Quando ci risvegliamo, il fatto di connetterci con questo apparato speculare che è il cervello, abbiamo coscienza di pensare. Il cervello non ha la funzione di farci pensare, il cervello ha la funzione di portarci a coscienza il fatto che noi pensiamo sempre.

Intervento. Di riflettere…

Archiati. Di riflettere. Lo specchio ti riflette. Lo specchio non ti può creare nulla oltre quello che c’è e che si riflette dentro. Il nostro cervello non ci può riflettere, non ci può portare a coscienza più o meno di quello che noi abbiamo spiritualmente. Però il pensare è un puro movimento eterico nell’eterico. Attraverso la connessione col cervello fisico non soltanto io penso, ma so di pensare, che è ben diverso, perché pensare senza sapere di pensare è tutt’altra cosa.

La scienza moderna, che è poverella in chiave di pensiero, perché si è buttata in tutto e per tutto sul lato della percezione, sperimenta ecc, e poi alla tecnica non interessa di capire le cose ma vuol fare e fare, e confonde il pensare con la coscienza del pensare. Infatti sostiene che non esiste pensare umano senza cervello, dunque il cervello è la causa del pensare. Ci sono due sbagli di pensiero:

- il primo è che non si distingue tra il pensare e il diventare consapevoli del pensare.

- il secondo è che -l’ho detto diverse volte- si confonde una condizione “sine qua non”, una condizione necessaria, con la causa.

Il fatto di dire che il cervello è necessario per il pensare non significa che ne sia la causa. Senza benzina e senza macchina non si può andare in macchina, dunque benzina e macchina sono la causa dell’andare in macchina. Così ragiona la scienza: senza cervello niente pensiero, dunque il cervello è la causa del pensiero. Roba da matti! È lo stesso ragionamento come dire che senza benzina l’auto non si muove, dunque è la benzina a far muovere l’auto.

Intervento. E a dirigerla.

Archiati. A dirigerla, farla muovere basterebbe. Che differenza c’è fra condizione necessaria e causa? La causa produce necessariamente l’effetto. E la condizione necessaria senza la causa non produce nulla: io ho la macchina piena di benzina ma se uno non si mette dentro e non la muove, non si muove. È chiaro che non è la benzina la causa del movimento della macchina, però l’uomo non può muovere la macchina senza che ci sia la benzina. Allora, la benzina è la condizione necessaria, ma non la causa, perché se la benzina fosse causa, la presenza della benzina dovrebbe far muovere l’auto.

La causa è causa soltanto in quanto produce necessariamente il suo effetto, perché se non lo produce necessariamente, non lo causa. Questo è il primo semestre di formazione filosofica che abbiamo fatto noi alla Gregoriana, in latino, il primo semestre, mica il secondo o il terzo. Se non si sapeva distinguere tra condizione necessaria e causa si tornava a casa, altro che andare al secondo semestre. La scienza moderna è poverella: senza cervello niente pensiero, dunque il cervello è la causa del pensiero. Di notte il cervello c’è tale e quale, e perché non produce il pensiero?

Mi guardi allibita?

Intervento. Rifletto a quello che dici.

Archiati. Ma fila il discorso?

Replica. Esatto.

Archiati. Ma come si fa ad essere così bacati? Tutti ‘sti fior fior di scienziati… come si fa ad essere così poverelli nel pensare?

Intervento. Mi verrebbe da rispondere che produce, ci sono i sogni.

Archiati. E’ un’altra cosa, più complessa ancora, se vogliamo. I sogni, non stiamo parlando di sogni, stiamo parlando del pensare. Il sogno è un fenomeno di soglia, il sogno sorge nell’addormentarsi e il pensiero sorge nello svegliarsi, quindi è un tutt’altro fenomeno. Il pensare ha luogo, è in corso durante tutto lo stato di veglia. Se il cervello fosse la causa del pensare, se fosse il cervello a produrre il pensare… non c’è la possibilità di dimostrare che il cervello diventi sostanzialmente diverso quando l’uomo muore. Se fosse il cervello, per natura, a produrre il pensare dovrebbe produrlo anche di notte, quando uno dorme.

Intervento. Il cervello di notte può produrre cose che in passato…

Archiati. Il cervello non può produrre nulla. Uno specchio può produrre qualcosa?

Intervento. Se mi rifletto sì, però è solo un riflesso…

Archiati. Non lo produce, lo rende, non lo produce. Ciò che si riflette non lo può produrre lo specchio, quindi il cervello è un apparecchio riflettente.

Intervento. In cui si concentra la sostanza del pensiero…

Archiati. Certo, sta attento: io cammino, cammino, cammino e non ci sono specchi, non mi vedo, d’accordo? Cosa cambia quando vado davanti ad uno specchio? Mi vedo. Quando penso di notte: penso, penso, penso, ma non mi vedo pensare. Quando penso di giorno sono davanti allo specchio e mi vedo pensare. E’ una bella differenza, cioè porto a coscienza il fatto che penso: non soltanto penso ma so di pensare. Di notte invece penso senza sapere di pensare.

13,31. “Quando uscì…” Questo uscire di Giuda è una cesura, adesso Arimane, Satana, le controforze devono avere il loro gioco, Giuda si deve alleare con l’autorità religiosa, si deve alleare con l’autorità politica per mettere a morte il Figlio dell’Uomo. Queste sono tutte faccende di Arimane, tutte faccende di Satana che adesso entra in gioco. Partiamo dal presupposto che ciò che Giuda fa esteriormente lo fa spinto da Satana che è entrato in lui. Nel cenacolo cosa resta? Restano i dodici segni dello Zodiaco, le dodici matrici fondamentali dell’umano. Visto che adesso stavamo parlando del pensiero, del pensare, restano le dodici posizioni del pensare umano rispetto al mondo:

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Fig. 25

Materialismo, Spiritualismo, Realismo, Idealismo, Sensismo, Fenomenalismo, Dinamismo, Monadismo, Pneumatismo, Psichismo, Razionalismo, Matematicismo, Sensismo

Intervento. Fanatismo?

Archiati. No, il fanatismo non è una visione del mondo, si può essere fanatici in tutto. Qui, nel dinamismo, che è lo Scorpione, al posto di Giuda c’è Lazzaro. Gli altri non ve li dico chi sono, altrimenti facciamo speculazioni a non finire. Qui ci sono i dodici archetipi dell’umano e il tredicesimo è il Sole, che è la chiamata dell’uomo a fare la sintesi, cioè a non restare unilaterale. Il Sole li visita tutti, il Sole lo dobbiamo vedere in movimento. Questo rimane nel cenacolo: il dodici e il tredicesimo, che è il Cristo. E Lazzaro ha il posto di Giuda, l’Aquila, Giovanni Lazzaro prende il posto dello Scorpione. Che polarità è lo Scorpione e l’Aquila? Lo Scorpione è sempre stato connesso con le forze generative, quindi il massimo del vitale è il massimo d’oscuramento della coscienza. Qual è l’opposto, cioè qual è il massimo di lucentezza, il massimo di chiarezza della coscienza? L’Aquila. I pensieri che si librano nelle altezze. Quindi diciamo che il mistero di Lazzaro e di Giuda è:

Lazzaro - l’Aquila - Sono le altezze della coscienza;

Giuda - lo Scorpione - E’ l’oscuramento del vitale più assoluto.

Intervento. C’è un oscuramento della coscienza. Hai detto vitale…

Archiati. Dovuto al vitale, dovuto all’esubero assoluto del vitale. Questo dodici rimane, uscito Giuda rimane questo dodici, cioè la positività dodecuplice e l’unità del Sole che passa tutti i pianeti.

13,31. “Come lui era uscito, dopo che uscì, dice Gesù: ora è stato innalzato, ora è stato glorificato, ora riceve la pienezza della sua glorificazione, il Figlio dell’Uomo”.

Il Figlio dell’Uomo è tutto ciò che l’uomo può generare a partire dalla sua libertà. Figlio dell’Uomo significa generato dall’uomo, fatto dall’uomo, prodotto dall’uomo, a partire dalla sua libertà. L’uomo riceve via libera nella sua evoluzione nella misura in cui il vitale diventa strumento e non causa, strumento, condizione necessaria per l’evoluzione della coscienza. Nel momento in cui il vitale, tutto ciò che è vitale, invece di farsi strumento, invece di farsi condizione necessaria per l’evoluzione dell’Io, della coscienza intellettuale e morale, invece di farsi strumento si fa il fine, quando il vitale diventa il fine abbiamo l’oscuramento dell’uomo, che vive come un animale, e quindi ciò che sarebbe umano viene oscurato, sparisce.

Nella misura in cui si elimina, Giuda va fuori, si elimina la prepotenza del vitale, diventa possibile glorificare il Figlio dell’Uomo. Però bisogna eliminare la prepotenza del vitale, la prepotenza di Satana. Quando il vitale vuole dominare, allora la coscienza diventa strumento per il vitale, tutta l’intelligenza umana viene usata per star meglio fisicamente. Uno è a capo di un governo, ha un paio di giorni liberi, e invece di andare a fare un seminario sul Vangelo di Giovanni va a farsi un lifting.

(Risata)

Archiati. In Germania i giornali dicevano: ma non ha niente altro da fare?

“Ora è stato glorificato il Figlio dell’Uomo e Dio, -il Dio è sempre il Padre, e quindi la natura- viene glorificato con lui”. La vera gloria, la vera perfezione del dato di natura è diventare servitore, e non padrone, dell’evoluzione dello Spirito. L’unico modo di con-glorificare, di glorificare insieme, anche il corporeo, è di dare la possibilità a tutto ciò che è corporeo di essere strumento, servitore per l’evoluzione dello Spirito. Bellissimo, eh?

Dice: “ora è stato glorificato il Figlio dell’Uomo e il Padre, Dio Padre che opera nella natura, il Dio, è stato glorificato in lui”, quindi la natura può essere glorificata soltanto nell’uomo. La natura viene mortificata quando l’uomo decade a livello di natura, perché allora la natura perde il suo significato. Il significato della natura è di farsi sostrato per il cammino della coscienza umana.

Quando viene glorificata, portata in auge, sviluppata la coscienza umana, viene portata a compimento anche la gloria, il senso, il significato, la natura di tutto ciò che è corporeo, di tutto ciò che è natura liberata, spiritualizzata.

Intervento. Può essere questa la lode al Signore?

Archiati. Cosa intendi per “lode”?

Replica. Per lode? E’ riconoscere tutto questo…è una delle fasi della preghiera in cui mi ritrovo.

Archiati. Prendiamo un bambino che vuole lodare la mamma. Qual è la migliore lode che il bambino può dare alla mamma?

Intervento. Il bacio.

Intervento. Il riconoscerla, il sostenerla.

Archiati. C’è di molto meglio.

(Vociare)

Archiati. Tutte le donne ti dicono di no, la migliore lode che un bambino può dare alla mamma è di essere bello e sano! Una lode più bella non c’è. A che mi serve lodare Dio a parole se il mio essere è talmente squinternato che lo biasimo col mio essere? E chi mi guarda dice: ma che ha combinato Dio? E si permette di lodarlo? Ma come…

Replica. Questa è una bella risposta, grazie.

Archiati. Prego.

(Risata)

Intervento. Dover riconoscere la bellezza di tutto…

Archiati. A che ti serve riconoscere la bellezza di tutto se non diventi bellezza tu?

Replica. Eh, ma io sono parte del tutto.

Archiati. Sì, ma soltanto se diventi bellezza, perché si può anche omettere. La creazione non può omettere di essere bella, è bella. E l’unico modo di lodare il creatore è diventare belli, perché possiamo anche ometterlo. Il concetto di lode antico era, in un certo senso, ancora bambino, ed era quello di dire qualcosa di bello. Invece c’è un concetto molto più esistenziale e profondo della lode ed è quello di farsi belli, che è ben diverso, è un impegno morale di tutt’altra natura. Farsi belli va compreso nel senso giusto però: farsi belli nel pensiero, nello spirito, nell’anima, cioè coltivare la conoscenza più che si può e coltivare l’amore più che si può.

La lode di Dio più bella che esista è uno Spirito pensante e un’Anima amante. Quello piace a Dio di più di uno che gli dice quant’è bello Lui. Così come piace di più alla mamma che tutti dicano: “quanto è bello il tuo bambino” piuttosto che dicano quanto è bella lei e che il bambino è brutto, se è una buona mamma naturalmente, perché non tutte lo sono, perché anche nel modo di essere mamma c’è la libertà.

In altre parole, per lodare Dio, smetti di dire qualcosa: fa qualcosa. Perché finché dici, dici, dici può darsi che serva a nulla, quindi la prospettiva si approfondisce: diventa tu lode.

Intervento. E col fare, fare, fare, comincio ad essere.

Archiati. Sì, fa qualcosa nel senso di: diventa qualcosa, diventa lode, diventa tu lode più che puoi. Allora è convincente, perché se io dico una lode ma non lo divento. Allora, cos’è la lode di Dio? Le sue creature, e la creatura più alta nel mondo visibile è l’uomo. La natura dell’uomo è libertà e di conseguenza la lode più grande che gli uomini possano dare a Dio è l’esercizio della libertà, perché è la cosa più bella che Lui ha fatto. Di meglio non c’è. Questa libertà dentro la materia, dentro nel mondo fisico ce la invidiano gli Angeli, perché loro dicono: “facciamo bene noi ad essere liberi nel mondo spirituale, ma quelli là, gli uomini, che invidia! Sono capaci di diventare liberi dentro la costrizione della materia, di trasformare ogni percezione in un frammento di libertà, in un concetto” e gli Angeli dicono ancora: “Ma noi le percezioni non le abbiamo, dove gli esseri umani vedono cose materiali noi non vediamo nulla”.

C’è una bella parabola giudaica che vi ho raccontato, mi pare un paio di volte, che fa parte del Midrash cioè del commento alla Genesi[3]. Naturalmente l’uomo è stato creato alla fine, al sesto giorno, poi Lui s’è dato una calmata: s’era stufato talmente a creare l’uomo al sesto giorno che poi, al settimo, s’è dovuto riposare. Questa leggenda rabbinica dice che quando gli Angeli hanno sentito che non era mica finita la creazione, con tutti gli animali, con tutte le piante, ecc, ecc. e che Dio deve creare l’uomo, Adam, essi dicono: “mah, a che serve l’uomo? Qui non manca nulla, c’è già tutto…”, e quindi gli Angeli vogliono andare da Jahvè e mostrargli la loro perplessità: “a che serve l’uomo? Addirittura il culmine della creazione? Che deve fare? Noi non bastiamo”? Jahvè crea l’uomo, e poi deve far capire agli Angeli a cosa serve l’uomo e quindi deve far vedere loro qualcosa che l’uomo sa fare e loro no. Li porta tutti con Adamo -Eva non c’era ancora-

Intervento. Sempre le solite ingiustizie sociali.

(Risata)

Archiati. Adamo non era un maschio, era l’umanità unitaria. Allora, lo porta dove c’era un asino e Dio chiede agli Angeli: “sapete cos’è”? Gli Angeli cadono dalle nuvole perché neanche lo vedono, l’asino. E poi chiede ad Adamo: “cos’è questo”? E lui risponde: “è un asino, non lo vedi”?. Gli Angeli cominciano a sentirsi confusi. Poi li porta a vedere un grosso pezzo di quarzo, una montagna, gli Angeli, gli Arcangeli, i Principati non sanno cosa sia, non lo vedono, Dio chiede ad Adamo e lui risponde: “è un quarzo, è un cristallo, non lo vedi? Perché chiedi a me”? Il senso dell’uomo, cosa che gli Angeli non possono fare, è di trasformare in Spirito tutto il mondo percepibile. Guai, se non ci fosse stato l’uomo! Da quel giorno gli Angeli hanno avuto un tale rispetto per gli uomini, che non hanno più chiesto a che servono gli uomini. E da allora guardano giù e dicono: “ma come mai gli uomini non si rendono conto del perché sono stati creati”? Perché gli Angeli adesso lo sanno e gli uomini non lo fanno.

(Risata)

Archiati. Queste parabole, accanto alle sacre scritture, sono molto importanti perché fanno capire, in forma di storiella, lo spessore morale dell’essere uomini, che è di essere uno spirito incarnato per trasformare, per ricreare la creazione. Se la creazione non fosse cristallizzata nelle forme fisse, noi non avremmo la possibilità di ri-crearla a partire dal nostro pensiero. Dio ha fatto la creazione e noi dobbiamo fare la ri-creazione.

13,32. “E Dio è stato glorificato in Lui e il Dio glorificherà Lui in se stesso e lo glorificherà subito.”

Abbiamo di nuovo questa triade: 13,31. “Il Figlio dell’Uomo è stato glorificato, e il Dio è stato glorificato in lui”, 13,32. “e il Dio è stato glorificato in lui -alcuni manoscritti cancellano questa seconda volta- e il Dio glorificherà lui -doxasei auton, doxàsei autòn- in se stesso”. In altre parole sta a dire che la glorificazione è reciproca. Se c’è il conseguire della pienezza da parte dell’essere umano, questo comporta che, automaticamente, anche la creazione trovi la sua pienezza, se l’essere umano non trova la sua pienezza anche la creazione non può trovare la sua pienezza. La pienezza della creazione è la pienezza dell’essere umano e la pienezza dell’essere umano è di portare alla pienezza la creazione, di spiritualizzarla, di trasformarla in scintille di spirito.

“E lo glorificherà subito” subito -euquV, euthùs-. EuquV è un avverbio che piace allo scrittore del Vangelo di Marco e significa all’improvviso, in un attimo. Cos’è che avviene in un attimo?

Intervento. Il pensiero.

Archiati. L’intuito. Il pensiero no, è una facoltà. L’intuito è il lampeggiare di questa facoltà, l’intuizione. L’evoluzione del pensiero umano o avviene per lampi o non si sentono neanche i tuoni. Il valore sommo della creazione in cui siamo è la presenza di Spirito. Presenza è il momento presente, quello che io colgo, quello che io ho ora. Quello che io ho pensato mezzo minuto fa, fa già parte della rendita, vivo di rendita; quello che ancora non ho pensato, non l’ho ancora pensato. Lo Spirito si coglie nel lampo presente, oppure non è Spirito, è Anima. Il già pensato è anima.

Questa è la differenza tra Anima e Spirito: l’Anima è il passato dello Spirito, lo spirito è sempre presenza.

Intervento. La sinderesi proviene da qua?

Archiati. Cosa intendi con sinderesi?

Replica. Cioè, l’essere desti nella coscienza, cioè avere un insieme di coscienza e veglia.

Intervento. Non ho capito scusa, vuoi ripetere?

Archiati. Non credo che ripetendo diventerà molto più chiaro, anche perché adesso non si ricorda più quello che ha detto.

Intervento. Infatti, perché…

Archiati. Perché non era chiaro abbastanza.

Replica. Perché prima, quando stavi dicendo questa cosa, mi ero proprio appoggiata così, e veramente io ho proprio sentito che mi stavo addormentando, veramente è un altro stare, cioè se sto in una certa posizione perdo il contatto, l’ho proprio vissuto io in un lampo. È come un delegare.

Archiati. Sta dicendo che si sente fulminata da me, ma il discorso è che sarebbe meglio se ti fulminassi da sola! Quello è il discorso.

Si ride.

Archiati. Come avviene l’intuito? Questo è il mistero della parola all’improvviso è proprio il mistero dell’intuito. Come viene l’intuito?

Intervento. Cogliere l’attimo.

Archiati. E come un catodo, un elettrodo, che cos’è che crea in noi la tensione che fa sorgere la scintilla?

Intervento. Il contatto.

Archiati. L’amore alla conoscenza. Ci struggiamo talmente, proprio godiamo, ci piace e vorremmo capire perché è così bello quando capiamo qualcosa che questa carica animica provoca, è la condizione necessaria per questa scintilla dello Spirito. In altre parole, ogni essere umano capisce soltanto ciò che appassionatamente ama -perché se non lo ama appassionatamente non lo capirà, sarà una conoscenza intellettuale-, ma resterà eterna. E questo amore è la carica elettrica che fa scattare la scintilla. Se uno non ha travagliato abbastanza, lottato abbastanza, sarà una conoscenza, sarà un’informazione, ma non un intuito. L’intuito è un parto e nessun parto avviene senza sofferenza e senza gestazione. L’uomo d’oggi è poverello perché non si concede il tempo che precede a questo lampo, che è il tempo dell’anima, il tempo della ricerca, il tempo della sofferenza, il tempo del desiderio. È troppo occupato, ha troppo da fare e poi si lamenta che non c’è profondità, che non c’è lucentezza, che non c’è luminosità.

Intervento. E’ anche troppo impaziente.

Archiati. E’ troppo impaziente certo, certo, perché pensa che il lampo venga da solo, senza preparazione, è proprio questo. Il lampo non viene senza preparazione, così come la scintilla elettrica non avviene senza la carica.

Intervento. Però questa passione, questo innamoramento è una totale identificazione, quindi in questo senso è un contatto, per cui è un intuito, è qualcosa che va coltivato, che in effetti sorge come un lampo, cioè subito.

Archiati. Cosa vuol dire coltivato?

Replica. Desiderato, aspirato.

Archiati. E’ una questione di priorità reali nella vita. In altre parole, il dare priorità a questo, mi è costato qualcosa. Un intuito che non ci costa nulla non vale nulla, non è neanche un intuito.

Intervento. Non c’è un intuito gratis.

Archiati. No.

Domani ci troviamo alle nove.

Martedì 24/02/2004. Mattina
vv. 13,33 – 13,38

Sono quattro apostoli che pongono quattro domande, ve lo dico come orientamento così poi quando la prossima volta ci troviamo…

Prendete il versetto 13,36., in cui Pietro fa una domanda. “Signore, dove vai”? Sono quattro apostoli che prendono la parola, e naturalmente trattandosi di quattro ci fa sospettare che rappresentino una croce: 1,2,3 e 4 (rif. fig. 26). Di sicuro non sarà a caso quali siano i quattro e che cosa dicano.

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Fig. 26

Essendo quattro, viene subito fatto di pensare che ognuno rappresenta anche i due che gli sono accanto, e quindi anche qui sono tre, di volta in volta vengono rappresentati tre e così abbiamo il 12. (rif. fig. 26) Ogni volta sono piccoli ternari rappresentati da quello che sta in mezzo.

Nel 13,36. “Pietro dice: Signore dove vai”? Allora mettiamo Pietro qui, che pone la domanda sul fine: “dove vai”? Vuole sapere la meta, è l’idealista. L’idealista guarda alla meta, ha un ideale da raggiungere, quindi vedremo che attorno alla domanda di Pietro c’è tutta la somma di idealismo che guida l’evoluzione umana. Qual è la polarità della mèta? È la via.

Intervento. Il realismo.

Archiati. È il realismo. E chi pone la domanda della via? L’idealista tende ad astrarre perché, giustamente, da idealista, nella misura in cui tutti abbiamo bisogno di idealismo dobbiamo avere la forza, la capacità di trascendere la situazione reale attuale, poverella, sempre imperfetta per tuffarci in qualcosa di bello, di ideale. Una storiella, una fiaba, un ideale. Il bambino non è ancora capace di realismo e vive nell’idealismo. Allora, qui il realista dice all’idealista: “Sì, tu sogni, ma guardiamo qui adesso, dove mi muovo, qua c’è un inciampo e qua…ecc. ecc. La via è il “qui e ora”, cosa c’è da fare qui e ora? I passi concreti: realismo. Chi fa la domanda sulla via?

È Tommaso, nel 14,5. “Kurie, non sappiamo dove vai”, tu ci parli della meta evolutiva, se non sappiamo dove andare, come possiamo conoscere la via? Tommaso è il realista. È lo stesso che poi si ripresenterà. Gli undici erano presenti e lui no. Gli altri, gli idealisti, fan tutti l’esperienza del Risorto, lui non la fa. Dove si trattava di idealismo lui non c’era. Poi il Risorto arriva, una settimana dopo, apposta per lui, e gli dice: “Tommaso, tu sei realista, dai tocca, tocca qui che poi…”

Sono belle queste strutture fondamentali del vangelo, che poi verificheremo parola per parola, però bisogna orientarsi…è molto bello. Vi ricordate che cosa c’era dall’altra parte? Allora, questo è il raggio trasversale della croce. Cosa c’era qui? (rif. fig. 26)

Intervento. Il materialismo e spiritualismo.

Archiati. Il materialismo lo mettiamo sopra o sotto?

Dal pubblico. Sopra, sotto…

Archiati. La materia del cosmo è maggiormente, esemplarmente squadernata quando il Sole è al punto più alto, al Cancro. Il materialismo è sopra. E lo spiritualismo, è nel Capricorno, c’è il buio: e visto che non mi posso godere il mondo materiale mi godo il mondo spirituale. Lo spiritualismo è in basso. Già a quei tempi i teosofi, i pii teosofi e antroposofi, si sono arrabbiati con Steiner perché metteva lo spiritualismo sotto. Il materialismo così in alto? E il dottor Steiner gli ha dovuto spiegare che il mondo spirituale non disdegna la materia, la ama, se no faceva a meno di crearla.

E qual è la domanda dello spiritualista? Lo spiritualista chiede: qual è lo spirito primigenio?

“Il Padre, mostraci il Padre, continui a parlare del Padre, ce ne hai fatto una solfa per tre anni... mostracelo”! Chi è che fa la domanda sul Padre?

Nel 14,8. “Dice a lui Filippo: Kurie deixon hmin ton Patera (Kyrie, deixon emìn ton Patèra). Facci vedere ‘sto Padre e ci basterà”, finché ce ne parli, ce ne parli ma non vediamo niente… Filippo vorrebbe avere la percezione, vorrebbe avere la percezione dove si tratta di trovare i concetti. Lo Spirito, faccelo vedere! No, lo spirito paterno, lo spirito del cosmo va pensato, non si può vederlo.

Filippo pone la domanda del Padre che è lo Spirito, non del Padre in quanto nella natura, ma in quanto Padre, spirituale. Cosa ci resta? Il mondo. Il concetto giovanneo di materia in quanto refrattaria, in quanto vissuta dall’uomo priva di spirito è il mondo, questo mondo.

E allora ecco il quarto apostolo che si chiama Giuda, ma non Iscariota, l’altro Giuda, che si trova al 14,22. Giuda pone la domanda: “come mai ti manifesti a noi e non al mondo”? Il mistero del mondo, della maya che viene vissuto come privo di Spirito.

E il Cristo gli dovrà dire: “è perché il mondo va trasceso, va superato, il mondo in quanto privo di Spirito va visto come illusione, che non esiste”. Ci dovrebbe essere in italiano il volume dell’opera omnia 151, Pensiero umano e pensiero cosmico[4]. Alcune settimane fa ho fatto una settimana su questo libro, ci sono quattro conferenze, in Germania c’era un sacco di gente, è stato molto bello. Tratta proprio di queste 12 visioni del mondo, di cui quattro, queste quattro, sono la croce fondamentale: Idealismo, Realismo, Spiritualismo, Materialismo.

- Materialismo: Giuda pone la domanda sul mondo.

- Spiritualismo: Filippo pone la domanda sul Padre.

- Realismo: Tommaso pone la domanda della via, dei passi concreti da fare, qui e ora, realisticamente.

- Idealismo: Pietro pone la domanda della meta finale, dell’ideale globale da conseguire, verso cui si cammina.

Questo come orientamento, poi, preparato un pochino, il testo diventa ancora più esaustivo.

Volevo aggiungere che già il fatto di avere queste quattro conferenze di Steiner come orientamento è di grande aiuto. Tra l’altro, in queste quattro conferenze di Pensiero umano e pensiero cosmico Steiner parla delle dodici visioni del mondo, che sono oggettive. Ognuno di noi, per carattere, per temperamento, per costituzione animica spirituale privilegia una di queste.

Ognuno di noi è uno spiritualista, o un idealista, o un realista eccetera.

Qui in mezzo (rif. fig. 26) dopo l’Idealismo viene lo Psichismo, il Pneumatismo; dopo lo Spiritualismo c’è il Monadismo, il Dinamismo; dopo il Realismo viene il Fenomenalismo e il Sensismo; dopo il Materialismo c’è il Matematicismo e il Razionalismo.

Ogni essere umano si esprime in modo privilegiato in uno di questi atteggiamenti verso il mondo, è la sua casa: “nel regno del Padre mio ci sono tante case”, case specifiche, non è una zuppa tutta uguale, ma ci sono case specifiche, cioè modi di essere ben specifici.

C’è un dodici, ci sono dodici modi fondamentali, non ce ne sono tredici, non ce ne sono quindici e non ce ne sono undici, ma ci sono dodici angolature fondamentali per considerare il mondo. Poi Steiner aggiunge in queste conferenze ciò che complica le cose ancora di più, ma è una cosa molto bella, e sono le sette qualità animiche, che sarebbero i sette pianeti.

Questi sono i dodici (rif. fig. 25) segni dello Zodiaco e ci metto qui il Sole, poi faccio la leminiscata, con i vari pianeti: la gnosi, il logicismo, il volontarismo, l’empirismo, il misticismo, il trascendentalismo, l’occultismo, sono le qualità fondamentali dell’Anima.

Le visioni del mondo sono qualità fondamentali dello Spirito. Lo Spirito è fatto per cogliere l’oggettività del cosmo, quindi l’oggettività del cosmo è dodecuplice.

L’eco-animico, l’eco-soggettivo, le possibilità fondamentali dell’animico sono sette:

- Gnosticismo: Giove

- Logicismo: Saturno

- Volontarismo: Marte

- Empirismo: Sole

- Misticismo: Venere

- Trascendentalismo: Mercurio

- Occultismo: Luna

Però non c’è tempo per spiegarvi tutto, dovrei parlarvi di Eduard von Hartmann, della “cosa in sé” di Kant, del (tedesco) che è sempre di là, oltre, cioè tu hai la percezione, ma la percezione non ti dà la cosa in sé, è sempre dietro: trascendentalismo.

Intervento. Facciamo un fine settimana su questo argomento.

Archiati. Visto che mi smontate i libri in Italia e mi rivalutate i seminari, facciamo più seminari e meno libri. Tra l’altro io nei libri non ci ho mai creduto, lasciano il tempo che trovano.

Intervento. Qualche anno fa non credevi nei libri?

Archiati. Non ci ho mai creduto.

Intervento. Poi però hai preso la strada dei libri.

Archiati. No, sono tutte concessioni. Al giorno d’oggi bisogna farli ma questo non significa che ti illudi di aggiungere più di tanto. Steiner stesso -nella misura in cui vi dice qualcosa, a me dice molto- diceva: ciò che è veramente e spiritualmente importante non si fa mai attraverso la lettera morta, stampata. Ciò che veramente incide nel karma dell’umanità avviene nella comunicazione da bocca ad orecchio, dove c’è l’Io, il corpo astrale, il corpo eterico, il corpo fisico di chi ti parla, e tutti e quattro i corpi di chi ti ascolta, allora lì avviene karma. Quando io leggo, cosa ho di chi ha scritto quelle parole? Il suo corpo fisico, eterico ed astrale sono in Germania, cosa ho?

Pura astrazione.

(Vociare)

Archiati. Sì, ma Steiner è morto. Lui, quando era vivo si arrabbiava nel vedere le sue parole stampate e ha detto: mi è toccato farlo perché questi beceri qua -beceri l’ho detto io, non lui- non sanno apprezzare le parole più della lettera stampata. Le cose importanti avvengono vivacemente, dove c’è l’incontro umano lì avvengono tante cose di cui noi non ci rendiamo conto… che stai bofonchiando?

Intervento. Dico che non c’è bisogno di stare nelle stesse quattro pareti per cercare lo spirituale.

Archiati. L’incontro diretto è più importante, ma vedi che tu ti godi il seminario perché m’interrompi continuamente? Quando invece mi leggi non mi puoi interrompere.

Replica. Mi lamento, solo che tu non mi puoi rispondere.

Archiati. E perciò ci trovi meno gusto, vedi? Steiner vuol dire che l’incontro reale karmico è tutta un’altra dimensione.

Allora, riprendiamo dal versetto 13,31. e diciamo una unità di significato:

13,31. “Dopo che fu uscito, Giuda… dopo che uscì Giuda…” diciamo che c’è anche uno stadio evolutivo che prevede anche l’estromissione del male. L’evoluzione non è che continuerà sempre e solo a botte. Il vincere il male significa che la natura umana ha la possibilità di estromettere tutto ciò che è disumano, che è antiumano, e la Terra si crea come un’ottava sfera, se volete.

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Fig. 27

Qui c’è l’evoluzione della Terra, come sarà alla fine? Alla fine ci sarà una specie di scoria, che è ciò che viene espulso, escluso. C’è la Terra spirituale con tutti gli uomini e una specie di scoria, che poi, quando la Terra ricomincia il ciclo successivo, cioè il ciclo gioviale, ricomincia una specie di interazione tra il bene e il male. Quindi c’è il concetto di scartare, mandare fuori.

La meta è il bene, e il bene significa che nell’ultima istanza vince tutto il male, però non è che lo nientifichi in assoluto, non esiste un far sparire in assoluto, ridiventa materia caotica perché ci deve essere la possibilità che ogni essere umano, anziché terminare qui in alto (rif. fig. 27), cada qui in basso e quindi di consistere solo della sua Anima -perché lo Spirito non ce l’avrà più-, di puro caos animico: brame, istinti, e quindi determinismi di natura.

Gli esseri umani possono essere liberi di andare sia su sia giù. Per quanto riguarda l’evoluzione del bene, l’elemento della controforza, l’elemento maligno viene estromesso. Questo indica il vangelo, tra le altre cose, nel mistero del Giuda che “esce fuori”: è la componente di ciascuno di noi che siamo chiamati a vincere, ad estromettere.

Intervento. Quella componente di scoria è poi passibile di redenzione oppure proprio l’annullamento rimane, a che punto la metti nell’evoluzione?

Archiati. Il testo -io vi faccio un accenno, ma c’è poi chi ha il tempo d’approfondire le cose- che più di tutti ti dà le basi per rispondere a questa domanda è: da un lato l’Opera Omnia 104, cioè le conferenze sull’Apocalisse[5], e poi c’è O.O. 110[6]. Questi due testi.

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Fig. 28

Sempre per rispondere alla tua domanda: qui faccio Terra-Luna, qui Terra-Sole, qui Terra-Saturno, Terra-Giove, Terra-Venere e Terra-Vulcano. Nell’insieme, sono sette incarnazioni planetarie della Terra. Fin dove arriva l’interazione fra il bene e il male? Fino a metà Venere. Nella seconda metà di Venere il male viene espulso e poi qui e qui (rif. fig. 28) sono due mondi separati che si guardano a vicenda, non interagiscono più a livello dinamico, di volontà, si guardano, tra loro c’è soltanto un rapporto conoscitivo.

Intervento. E’ il figlio della perdizione allora.

Archiati. Sì, è questo. E’ il figlio che porta alla perdizione. Il Figlio dell’uomo è quello che realizza l’umano e il figlio della perdizione è quello che perde l’umano, che fa andar perso l’umano. Senza moralismi però. Di volta in volta si affronta, scientificamente, cosa intendiamo per positività dell’umano che si realizza e cosa è la negatività dell’umano, che fa perdere l’umano. Le cose vanno affrontate scientificamente, oggettivamente. Nella misura in cui manca la conoscenza scientifica si moralizza. Quindi, ce n’è ancora di strada da fare, di interazione fra il bene e il male.

Intervento. Quindi il libero arbitrio si ferma a metà di Venere?

Archiati. Sì, ti pare che si fermi troppo alla svelta?

Replica. No, no.

Intervento. E quindi dopo che rimane, l’amore?

Archiati. Alla fine dell’evoluzione gli uomini saranno a livello angelico, capaci di altre interazioni e l’evoluzione umana la passeranno esseri che vengono dopo di noi. Già cominciano ad esserci questi esseri; attenti: gli esseri umani nella loro evoluzione creano altri esseri. La nostra evoluzione consiste nel diventare a brano a brano, di gradino in gradino, Angeli. Però, noi uomini, in questo processo di passare da uomini ad Angeli creiamo altri uomini, che all’inizio faranno il loro primo gradino qui sulla Terra. Questa creazione di “uomini” che vengono dopo di noi -uomini tra virgolette- comincia qui sulla Terra, quindi ciò che per noi è la Terra è il loro Saturno, al nostro Giove equivale il loro Sole -acquisizione del corpo eterico-, quando noi attraverseremo l’epoca di Venere loro passeranno l’epoca Lunare -acquisizione del corpo astrale-, quando noi saremo nell’epoca di Vulcano loro saranno al punto in cui siamo noi ora. Naturalmente la loro evoluzione sarà completamente diversa dalla nostra. (rif. fig. 28)

Intervento. I primi ad essere umanizzati saranno gli animali?

Archiati. No. Gli animali che adesso ci sono non sono esseri extra-umani, sono dimensioni dell’umano.

Intervento. Saranno gli esseri elementari allora?

Archiati. No. Vengono creati dalla nostra moralità.

Intervento. Scusa Pietro, ma come mai Steiner nel libro La missione di Michele[7] dice che gli attuali esseri, che già sono presenti sulla Terra, saranno uomini su Giove? Tu lì hai fatto un altro percorso…

Archiati. No, cominceranno la loro evoluzione umana su Giove, non saranno uomini compiuti su Giove. Anche gli uomini erano uomini su Saturno, sono uomini sulla Terra e saranno uomini su Giove. Le affermazioni di Steiner vanno poi ancora di nuovo complicandosi.

Replica. E sì perché lui dice: saranno uomini, cioè avranno il nostro grado di coscienza umano.

Archiati. No, quello ce lo aggiungi tutto tu.

Intervento. Uomini come?

Archiati. Piano, piano. Noi quando eravamo a Saturno eravamo a livello di fantoma. L’evoluzione solare ci aggiunge il corpo eterico. La nostra evoluzione morale sulla Terra produce fantomi dell’uomo, l’evoluzione di Giove produrrà che i nostri fantomi acquisiranno un corpo eterico. Quando noi saremo su Venere ai nostri fantomi si aggiungerà il corpo astrale, e quando noi saremo su Vulcano i nostri fantomi conseguiranno l’Io.

Intervento. Sempre a livello materiale, come noi adesso?

Archiati. No, nessuna evoluzione si ripete tale e quale. Le cose si complicano, io le sto semplificando.

Intervento. Pure.

Archiati. Comunque nella misura in cui si trova tempo, voglia e gusto si cerca di capire sempre di più, la vita ci è stata data per questo, no?

Fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtude e conoscenza”.

Nell’Opera Omnia di Steiner, nella scienza dello spirito c’è da masticare, però man mano che si mastica c’è anche beatitudine, c’è anche godimento. Pensereste voi, vi verrebbe da pensare, che il mondo in cui viviamo sia semplice? Solo per sceverare l’apparenza materiale del mondo abbiamo centinaia di scienze, immaginiamo se poi entriamo in tutta la realtà non soltanto fisica ma eterica, astrale e spirituale, animica e spirituale. È infinita la cosa. A maggior ragione, man mano che le cose si complessificano è importante avere degli orientamenti, questi orientamenti.

Se il dodici ti è troppo complicato… il dodici è un orientamento enorme perché tra questi dodici (rif. fig. 26) ci sono infinite sfumature naturalmente, però se non riduco queste infinite sfumature a dodici matrici fondamentali non mi oriento. All’inizio trovo difficile, troppo complicato, il dodici? Comincio con il quattro. Il vangelo, siccome adesso sta parlando proprio dell’Amore, ci dà un quattro all’inizio. Però, gli apostoli sono soltanto quattro? No, sono dodici, sono lì presenti, e quattro rappresentativi dei dodici prendono la parola. Un testo più pedagogico di così, più amorevole di così proprio non si può trovare, è una gran bella cosa!

Allora, 13,31. “dopo che fu uscito Giuda, dice Gesù: ora è stato glorificato il Figlio dell’Uomo e il Padre viene glorificato nel Figlio”, il Figlio dell’Uomo viene glorificato nell’uomo e il Padre viene glorificato nel Figlio. Nel 13,32. ripete, infatti molti manoscritti non hanno questa ripetizione, “e il Dio è stato glorificato in lui e il Dio lo glorificherà”.

La domanda che sorge è: il Padre glorifica il Figlio o il Figlio glorifica il Padre? Tutti e due.

Lo vedevamo ieri con l’esempio della mamma: è il bambino a dare onore alla mamma o è la mamma a dare onore al figlio? È reciproca la cosa. Quando il bambino è piccolo non sono ancora due esseri del tutto autonomi, dove c’è tanta involuzione del figlio non la si può attribuire alla mamma, finché il bambino è piccolo uno pensa: “è un prodotto della mamma”.

Se è bello il prodotto è bello il producente, e se è bello il producente sarà bello il prodotto: c’è un’affinità tra i due. Allo stesso modo, la gloria della natura è l’uomo e la gloria dell’uomo è la natura pura. Si corrispondono, no? Quindi, il criterio dell’umano è la natura umana e il criterio della natura è la libertà, ossia: il criterio della natura è la libertà, e il criterio della libertà è la natura. Se la libertà andasse contro natura, l’uomo non farebbe la cosa giusta.

Cosa ho io come criterio di gloria, di genuinità, di trasparenza, per sapere se è vera libertà o libertà inquinata, illusoria? Devo capire sempre meglio la natura umana. E che criterio ho per capire se ho a che fare con la natura umana? Per capire la natura umana devo capire la libertà, perché l’essenza dell’umano è la libertà. Gli antichi lo chiamavano “agire secondo natura”.

Il problema nella scienza d’oggi è che molti scienziati negano che ci sia una natura umana oggettiva; hanno ragione per quanto riguarda il lato materiale, tant’è vero che i geni dell’uomo sono quasi per nulla diversi da quelli della scimmia, se disattendiamo la libertà non c’è una natura umana. Molti scienziati negano addirittura che ci sia libertà e dicono: la libertà è un’illusione.

Se la libertà non esiste allora la natura umana è un’illusione, hanno ragione. E questo dimostra che il mistero della natura umana è grande, e tutto il mistero della natura umana sta nella libertà, non c’è un’altra natura umana. La natura dell’umano non sta nella sua biologia, ma ci mancherebbe altro. La biologia è il sostrato, è la conditio sine qua non, non la natura dell’uomo.

La natura dell’uomo è nella libertà. Se neghiamo la libertà o se non la capiamo o se non la avvertiamo, ci tocca dire: non c’è una natura umana. Se non c’è una natura umana non c’è nulla di normativo, non c’è nulla di contro-natura, non c’è il bene e il male, solo gli animali.

Intervento. Puro determinismo.

Archiati. Quindi le conseguenze sono enormi, sono tantissime. A maggior ragione sorge l’importanza di rifarsi, di ri-chiarirsi le idee di fondo. Queste persone, questi scienziati dicono: tu sei dogmatico, fanatico, quando dici che c’è una natura umana oggettiva, sei un terrorista, vuoi costringere gli esseri umani ad attenersi alla natura che ti sei messo in testa tu, vuoi dettare agli esseri umani quale sia la natura umana, ma la natura umana non c’è. E cosa gli si può dire? C’è qualcosa di normativo?

Intervento. Ma, il pensiero…

Archiati. Ognuno pensa quello che vuole. Il concetto di natura è che c’è una normatività, c’è qualcosa che è secondo natura, ed è bene, e c’è qualcosa che è contro la tua natura di uomo, ed è male. Se non c’è una natura non c’è nessuna normatività. Il pensiero… prima di tutto ti dicono che il pensiero è una funzione del cervello, ma anche se ci fosse il pensiero, ognuno pensa quello che vuole, dov’è la natura che vincola?

Intervento. L’uomo è l’unico essere vivente che ha la capacità di pensare…

Archiati. Te lo negano, te lo negano. Fanno tantissimi esperimenti per far vedere che una scimmia sa pensare anche lei, solo un pochino meno, e se tu guardi certe teste umane…ma neanche un pochino di meno, tale e quale.

(Risate)

Archiati. E’ poi mica semplice la cosa.

Intervento. La sezione del midollo spinale centrale non conferma che solo l’uomo ha la capacità di camminare, pensare e parlare?

Archiati. E loro ti direbbero che non è una differenza sostanziale, essenziale ma di grado. L’uomo è soltanto un pochino più eretto della scimmia, è solo un pochino meno scemo della scimmia.

(Risate)

Intervento. E poi loro guardano solo e sempre il materiale.

Archiati. Guardano sempre solo il materiale e lì c’è paragonabilità su tutta la linea.

Intervento. Certo.

Archiati. Ai tempi di Goethe cercavano l’osso intramandibolare per dimostrare che l’uomo era diverso, e Goethe s’arrabbiava e diceva: “ma non può mica essere in un osso la diversità”. Ed era riuscito a trovarlo anche nell’uomo, per cui è riuscito a dimostrare che osteologicamente non c’è questa differenza. Quindi, è di natura spirituale la differenza, se c’è, ma se non si coglie lo spirituale, diventa difficile la cosa.

“E verrà glorificato presto” abbiamo commentato ieri sera questo presto -euquV doxasei, euthùs doxàsei- subito. La glorificazione dell’uomo non sta nell’Anima ma nello Spirito. L’essere umano trova la sua vera gloria, quindi il suo vero splendore nello Spirito. E lo Spirito non è mai nel passato o nel futuro, ma è sempre nel presente, è il subito, è l’intuito.

Il pensare è sempre un processo presente e questo processo pensante dello Spirito è la glorificazione dell’uomo, perché ne rappresenta la pienezza, non c’è nulla che sia meglio o moralmente più alto del pensare. Si può pensare sempre meglio, si può pensare sempre più vastamente, sempre più profondamente, ma non c’è qualcosa di meglio del pensare, perché il pensare è pura attività spirituale.

Aristotele chiama la divinità “pensare il pensare”, e questo lo può fare anche l’uomo. L’uomo lo fa incipientemente, può diventare sempre più bravo, ma questo gradino di divinità, il pensiero cosciente di sé è l’elemento sommo della creazione in cui viviamo. Quindi neanche la divinità può andare oltre o avere qualcosa di meglio del “pensare del pensare”, non esiste un qualcosa di meglio. Pura trasparenza di Spirito, proprio una presenza di Spirito: “lo glorifica subito”.

13,33. “Figlioletti, ancora per poco sono con voi, mi cercherete e, come ho detto ai giudei lo dico anche a voi oggi: dove Io vado voi non potete venire”

“Figlioletti…” Teknia (tecnìa = figlioletti) è l’Io umano. Qui (rif. fig. 28) abbiamo le sette evoluzioni della Terra: il corpo fisico ha cominciato su Saturno e quindi, sulla Terra, è vecchietto, ha già quattro passi evolutivi. Il corpo astrale ha tre passi evolutivi. Il corpo eterico ha due passi evolutivi. Il baby dell’evoluzione, come dice spesso Steiner, è l’Io. E nei vangeli -questo indica veramente che i vangeli sono scritti in gran parte in linguaggio tecnico esoterico- quando il Cristo dice: “se non diventerete come bambini, o li chiama bambinetti, si riferisce all’Io.

Qui nel testo Teknia si riferisce all’Io, e l’Io è all’inizio della sua evoluzione, è bambino, proprio in senso tecnico. A livello borghese, non esoterico, che effetto ci fa il Cristo che li chiama figlioletti? Insomma non è che sia particolarmente edificante. Com’è che hanno risolto il problemino nella vostra traduzione?

Intervento. Figlioletti

Archiati. C’è qualcuno che ha tradotto “figlioli”?

Intervento. Figliolini.

Intervento. Figlioli.

Archiati. Ecco, quelli che hanno tradotto figlioli hanno barato perché trovavano insopportabile la parola figlioletti. E invece in greco c’è Teknia, figliolini, figliolinini. Teknon (tecnòn) è il figlio, teknion (tecnion) è il figlio piccolo. Vogliamo essere d’accordo che una lettura non tecnica non…

Intervento. Non dice niente…

Archiati. Ma proprio ripugna. Com’è possibile che il Cristo, in chiave normale di linguaggio, gli dica figlioletti? Sono dodici persone ben mature, e poi ne hanno passate con lui in tre anni!

Intervento. Al versetto 32 c’è una specie di commento su questo testo che io ho, e dico: com’è possibile che si possa fare questa cosa?

Archiati. Dicci cosa dice il commento.

Replica. Dice che tante volte, ben 5 volte in questo periodo, fa sentire…

Archiati. Doxazo, la doxa.

Replica. La nota dice: “Fa sentire, quasi fisicamente, il senso di sollievo che deve aver provato Gesù all’allontanarsi di Giuda, divenuto per lui oggetto di vero ribrezzo”.

Archiati. L’essere umano, che è stato portato alla cruna dell’ago della sua evoluzione, che lotta tra l’autodistruzione e l’autocostruzione, che è proprio la prova che ogni essere umano deve passare in infiniti modi, al Cristo fa ribrezzo! Queste interpretazioni provano che il cristianesimo è proprio tutto da fare. Gli ha detto: “quello che devi fare, fallo presto”, che c’entra il ribrezzo?

Bisogna rendersi conto dell’effetto di questo modo di pensare, di questo modo di sentire, su milioni e milioni di animi; sono i preti che scrivono queste cose e questo modo di pensare ha lavorato sulle persone. La demonizzazione di Giuda, gli effetti della demonizzazione di Giuda sono micidiali. Invece di affrontare le forze dell’ostacolo si sono demonizzate: via, via, via… si è represso, represso, represso.

Replica. Io l’ho vissuto così male… perché: Giuda gli fa ribrezzo, e gli apostoli li chiama “figlioletti”.

Archiati. Allora, direi che noi continuiamo ad andare dritti per la nostra strada perché queste cose -che Giuda non gli faccia ribrezzo e che il Cristo non si rivolga agli apostoli in tono paternalistico- le presupponiamo, poi io, ogni tanto do delle botte in trasversale, ma è soltanto per verificare la vostra posizione.

Dicevamo che Teknia, figlioletti, deve avere un significato ben preciso, non è paternalismo.

“E ancora un breve tempo sono con voi…”, “ancora un poco -mikron, micròn- alcuni manoscritti aggiungono la parola tempo, altri non ce l’hanno- sono con voi, mi cercherete e, come ho detto ai Giudei, dove io vado, voi non potete venire, e questo che ho detto ai giudei lo dico anche a voi oggi”. Ai giudei aveva detto: “ancora un poco ma poi mi cercherete”, “ancora un poco mi vedrete e poi mi cercherete”, si riferisce primariamente al fatto che sta per scomparire come percezione sensibile, molto semplicemente. E questa è la prima lettura.

“Per poco ancora” e qui si tratta di un giorno e mezzo, due, “mi vedrete”, la percezione sensibile, “e poi sarò scomparso e mi cercherete”. C’è la struttura tra ciò che noi vediamo e intendiamo normalmente, siccome non abbiamo ancora la visione immaginativa, che verrà poi, in futuro.

Siamo qui, al centro dell’evoluzione. Il centro dell’evoluzione della Terra si caratterizza per la visione materiale “ancora un poco mi vedrete, ma poi non mi vedrete più e mi cercherete”, quindi l’essere umano cerca ciò che non è materiale, ma lo cerca dapprima a mo’ di ciò che è materiale: dov’è andato, dov’è, dov’è?

Intervento. La Maddalena col giardiniere.

Archiati. La Maddalena col giardiniere. L’uomo, a forza di non trovare ciò che cerca, si spera gli entri in testa che il cercare che veramente trova si chiama pensare. L’unico cercare che veramente trova è il pensare, però l’essere umano, testa dura, ce ne mette di tempo! Dopo duemila anni stiamo ancora cercando. Perciò vi dico di non sottovalutare il fatto che c’è chi dice che è a Roma, là… e c’è chi dice che è a Dornach, là! E gli esseri umani stanno ancora cercando dov’è. Dove, dove, dove si è reincarnato Rudolf Steiner? Chi è, chi è la reincarnazione di Rudolf Steiner? Io, secondo alcuni, sarei uno dei candidati, ma ce ne sono almeno ventiquattro in giro!

Intervento. Steiner non si è ancora incarnato?

Archiati. Stando alle affermazioni di Rudolf Steiner di allora -l’aveva detto una o due volte almeno-, da quanto io ne capisco, allora diceva che alla fine del secolo saremo di nuovo tutti sulla Terra. “Saremo” vuol dire che è incluso anche lui. A me non me ne frega, proprio non me ne frega di andare a dargli la caccia. Mi importa lo Spirito che tutti abbiamo in comune, perché ogni minuto che noi dedichiamo a questa domanda del cercare un’indicazione fisica, non soltanto lo portiamo via al cercare lo spirito di Steiner, del Cristo che ci accomuna, ma è tempo di rovina dell’umanità perché si creano soltanto lager.

Intervento. Prigioni.

Archiati. No, partiti, sette. Ogni minuto dedicato a questa domanda rovina l’umanità. Questo “mi cercherete” è da prendere sul serio perché, dicevo, col Cristo c’è la svolta dell’evoluzione, adesso siamo poco dopo, e stiamo ancora cercando, fisicamente. Uno dice: “in quale volume dice questo”? Dove, dov’è? Volume 151!

(Risate)

Archiati. Mica siamo al punto di poter dire: cerca nel tuo cervello!

Intervento. A che pagina?

(Risate)

Archiati. Lì, nel tuo cervello, lo trovi! No, si preferisce andare a cercare il volume 151. Perciò va detto che il bravo antroposofo consiste di corpo , anima e opera omnia.

E il bravo cattolico consiste di corpo, anima e Vaticano.

(Risate)

Archiati. Quindi il Cristo dice: “mi cercherete”, dapprima nello stato di caduta, con l’intento di identificarmi esteriormente con una località: là, e quindi non da un’altra parte. Il cercare per sapere dov’è in un modo materiale ha un grosso limite: se dico che è in un posto, non è in un altro.

La differenza col cercare spirituale è che se il Cristo è in uno Spirito umano, questo non nega che possa essere in un altro, in un altro, in un altro.

Quindi, dov’è il Cristo? Dappertutto dove lo si coltiva, il suo Spirito.

“Mi cercherete” dapprima in chiave di caduta dello Spirito umano, cercando di identificarvi col tempo e col luogo, nell’esclusività di tutti gli altri tempi e di tutti gli altri luoghi, finché imparerete a cercare spiritualmente. Che cos’è che fa imparare a cercare spiritualmente? Il fatto che materialmente non lo trovi, eccetto quelli che, naturalmente, l’hanno fatto reincarnare: lì la tragedia è ancora più grossa, perché quelli veramente si rendono impossibile la ricerca spirituale.

L’abisso dell’evoluzione è l’assunto che dice: stiamo aspettando che ritorni, in modo da poter dire: è là. E questo è il concetto del falso profeta, il concetto biblico del falso profeta. Verranno falsi profeti che in questa ricerca dell’umanità vi diranno: è là, è là. E questo è il concetto puro del falso profeta: identifica ciò che è di natura spirituale con qualcosa di materiale.

Ponendo le cose in questo modo, nella loro semplicità, abbiamo un bel pezzo di fenomenologia di quello che avviene al giorno d’oggi. E’ proprio questo che sta avvenendo, anche fra i coltivatori della scienza dello spirito, perché il fatto che uno legga Rudolf Steiner non lo fa diventare automaticamente una persona spirituale, non automaticamente.

L’evoluzione del pensiero non si fa per automatismi. Uno può essere grato all’Opera Omnia di Rudolf Steiner nel senso che lì c’è da masticare, però va masticato, perché se io lo imparo a memoria per farmi bello, a che serve? Avevo prima la pancia più piccola e adesso ce l’ho più grossa, ma sì, era meglio non gonfiarsi. L’Opera Omnia di Steiner ha soltanto senso come proposta di cammino e di pensiero, ma il cammino va fatto e va fatto individualmente.

Constatiamo, ed è una cosa molto bella, che queste parole del Cristo -che poi vanno avanti per capitoli, questi discorsi dell’ultima cena- sono di una semplicità e di una fondamentalità enorme. Ogni frase ha aspetti proprio fondamentali dell’evoluzione e il fatto che cercheranno, all’inizio in un modo materiale, dimostra che sono spiritualmente bambini, proprio questo.

Figlioletti, vi dimostrerete dei bambini per il fatto che andrete a cercarmi, quando sarò sparito sul piano fisico, di cercarmi ancora come figura fisica. Ed è vero, l’umanità di oggi è in sostanza ancora a questo punto, tutta la nostra scienza è fatta in modo tale che se qualcosa è puramente spirituale non è nulla, è aria fritta. Vanno a cercare i geni, le particelle ancora più piccole, perché soltanto se vedono qualcosa fisicamente, è qualcosa. Dove non vedono più nulla, nel loro spirito, non c’è nulla.

“Mi cercherete”, cercherete l’Io e lo cercherete nella percezione e “come io ho detto ai giudei così dico a voi che dove io vado non potete venirci d’acchito”, il Cristo va nel mondo spirituale. Diventare puro Spirito, spiritualizzare l’uomo, dare sostanza allo Spirito, vivere ciò che è spirituale come infinitamente più reale che non la materia è questione di evoluzione. Lui, il Cristo, è puro Spirito a metà dell’evoluzione, l’uomo diventa puro Spirito, se tutto va bene, nel corso della seconda metà, e sarà alla fine dell’evoluzione terrestre dove il Cristo si trova al centro.

Quindi il fenomeno Cristo è un’anticipazione dell’evoluzione umana. Il Cristo dice loro: “ se voi poteste arrivare subito là dove Io sono non ci sarebbe evoluzione”. E Pietro impaziente gli dice: “no, dimmi, dimmi, che io ci voglio arrivare subito” e il Cristo: “no, Pietro, se tu ci fossi già arrivato, saresti tu il Cristo e non saresti Pietro”. Se Pietro potesse capire tutto quanto il Cristo gli sta dicendo sarebbe già alla fine dell’evoluzione, quindi è normale che non capisca, ma poi Pietro ricorderà ciò che gli era stato detto. Lo stesso vale per il bambinetto, che non capisce tutto, va bene che non capisca tutto, altrimenti sarebbe lui il maestro. L’importante è che le parole che sente lavorino in lui in modo tale che, dieci anni dopo, lui si ricordi: “ah, questo mi diceva il maestro”!

Il Cristo non diceva le parole in vista del fatto che gli apostoli debbano capire subito, allora sarebbero già perfetti, no? Quindi soprattutto a Pietro dice: “Pietro devi darti una calmata, l’evoluzione si fa passo per passo, non in aereo”, perché chi vola sorvola le cose, solo chi cammina ci passa dentro. A che serve sorvolare? Quando io ho sorvolato, che cosa ho di ciò che ho sorvolato? Nulla. L’ho soltanto sorvolato, non mi ha fatto faticare, quindi non sono cresciuto, ho sorvolato. Quando una discussione diventa un pochino problematica si dice: sorvoliamo. Quando non c’è tempo di fare ‘sti strapazzi, di passare per tutte le Alpi col treno, sorvolo, Francoforte-Bologna: ho sorvolato le Alpi. Passo per passo, queste cose ci sono tutte nel vangelo.

“Dove io sono ora, dove Io vado…” Lui ci va perché vive, s’è soltanto reso visibile, ma Lui è Spirito. Voi non potete venire -alcuni manoscritto dicono ora- di primo acchito.

Intervento. C’è “ora”?

Archiati. In alcuni manoscritti, ma altre versioni sono diverse. Lui ripete quello che ha detto ai giudei, e in questo passaggio alcuni manoscritti hanno “ora”, altri non hanno “ora”.

È tutto un rovellio di capire, ma se uno capisce il significato fondamentale…

Replica. Per essere più forte…

Archiati. Sì, ci deve essere, ma può anche non esserci se capisci l’affermazione. “E lo dico anche a voi, ora”.

Intervento. arti (arti)

Archiati. arti, ora.

Intervento. Sì, però non è tradotto. Nella versione greca c’è, ma nell’italiano non c’è.

Archiati. Nel greco c’è ma in italiano non c’è, va bene, però è inutile che ci fai vedere ogni difficoltà di traduzione, lo sappiamo che ci sono difficoltà di traduzione. Allora, non è che quando io commento intenda dire: “care signore e signori questo è il commento”, no, io faccio dei ricami; si potrebbero dire anche altre cose e voi prendete quello che vi dico per quello che vi serve.

È come dare un esempio di come si potrebbe meditare su questo testo, ma i risvolti sono sempre infiniti. Allora, l’ha detto ai giudei e lo dice a loro ora, e perché si ripete se c’erano anche loro quando l’ha detto ai giudei? C’è un modo di dire essoterico: quando l’ha detto ai giudei, e c’è un tutt’altro modo di dire la stessa cosa in un modo esoterico.

In altre parole, la stessa verità non è la stessa se proclamata a tutto il popolo oppure se detta ai dodici. Per esempio, cosa non c’era quando ha detto questa verità al popolo?

Non c’era la parolina figlioletti, che è una componente enorme. Sarebbe stato micidiale dire al popolo: guarda che non hai neanche ancora cominciato ad evolverti. Quando si parla a tutti bisogna stare attenti a non scoraggiare gli esseri umani, invece la premessa fondamentale di ciò che è esoterico è che si può presupporre una forza morale maggiore che sopporta di dover camminare, di sapere che c’è ancora parecchio da fare. Per questo agli apostoli dice: “siete all’inizio: figlioletti, bambini”. Se l’avesse detto agli adulti dei giudei, sarebbero andati in bestia, non sarebbe stato recepibile, si sarebbero sentiti offesi o scoraggiati.

Quindi vedete che c’è una differenza tra ciò che ha detto ai giudei in chiave essoterica, per tutti, e ciò che ha detto agli apostoli: “lo dico a voi ora, figlioletti”. Anche se le parole fossero le stesse, vengono recepite, vengono vissute in un modo del tutto diverso, e il presupposto è: voi avete i presupposti per accogliere, per vivere queste parole in un modo del tutto diverso, se no non ha senso ripeterle, le hanno già sentite.

E adesso, nel 13,34 gli dà la spiegazione. È una spiegazione esoterica, c’è ora una dimensione esoterica che non era presente quando parlava al popolo. Questa è una delle frasi più note del vangelo:

13,34. “Vi do un comandamento nuovo affinché vi amiate a vicenda: Come Io ho amato voi amatevi gli uni gli altri”

Entolhn (entolèn)... “Vi do un comandamento nuovo, affinché vi amiate a vicenda, vicendevolmente, vi amiate l’un l’altro come l’Io ha amato voi”, l’Io del Cristo ha amato tutti voi affinché voi vi amiate a vicenda, e cioè: se il mio vicino viene amato dal Cristo, a maggior ragione lo posso amare io. Se ogni prossimo mio è amabile per il Cristo, a maggior ragione deve essere amabile per me. Imitare il Cristo significa amare tutto ciò che ama il Cristo.

Imitare il Cristo significa amare tutti coloro che ama il Cristo. E chi ama il Cristo? Tutti.

Quindi si può imitare il Cristo soltanto amando tutti gli uomini, perché lui li ama tutti. Qui è evidente l’assurdità del ribrezzo verso Giuda, altrimenti dovrebbe dire: “amatevi a vicenda come io ho amato voi, fuorché Giuda, perché mi fa ribrezzo e perciò l’ho sbattuto fuori”.

Intervento. Meno male è andato fuori.

Archiati. Meno male è andato fuori, ma non andava fuori se non lo sbatteva fuori. È stato Lui a dargli il boccone che gli tirava dietro Satana. E il boccone non è stato Giuda ad andare a prenderlo, glielo ha dato il Cristo.

Intervento. Ma il senso del comandamento non mi sembra quello che gli stai attribuendo tu.

Archiati. Ci arriviamo, ci arriviamo, adesso comincia.

“Vi do un comandamento nuovo”, comandamento è una parola italiana, e il Cristo non ha parlato in italiano. In greco c’è Entolh. Tradurre questa parola che significa “l’Io immette dentro di voi il dinamismo evolutivo che vi porta fino alla fine”, tradurre questa parola con comandamento è un controsenso assoluto perché il comandamento è un’ingiunzione dal di fuori.

Per sua natura il comandamento è un’ingiunzione dal di fuori, en tolhn (en-tolèn) comincia proprio col dentro. Sono queste le cose dove ci rendiamo conto che c’è cammino conoscitivo da fare, senza polemica, con onestà intellettuale. Finché traduciamo “vi dò un comandamento”… se è un comandamento non può essere nuovo perché i comandamenti ci sono da sempre, e il contenuto del comandamento non importa nulla, è fondamentale il fatto che sia un comandamento. Se è un comandamento non c’è nulla di nuovo perché il contenuto non importa, importa che mi devo assoggettare. “Comandamento nuovo” è una contraddizione assoluta, se è un comandamento è vecchio, restiamo alla legge di Mosè.

Intervento. E’ lo stesso termine che ha usato al 12,50?

Archiati. Sì, certo, certo. L’Io dà un impulso evolutivo dall’interno, questo significa entolh.

E qual è l’impulso evolutivo che sorge dall’interno per eccellenza? Il pensare. E attraverso il pensare, il volere, cos’è il volere? È un pensare intriso di dinamismo all’azione, ma se io non penso nulla non posso volere nulla quindi nel volere c’è il pensare dentro, c’è il pensare in vista dell’azione del pensare. Se io non so cosa voglio, non voglio nulla.

“Io vi do un comandamento nuovo” cioè l’Io Sono dà un impulso evolutivo pensante e volente, dal di dentro, immanente e quindi libero, da gestirsi in proprio da parte di ogni essere umano. Il fatto che stia parlando a bambinetti ci spiega perché, per duemila anni, questo impulso interiore immanente è stato tradotto con comandamento. Questo gli dà ragione, nel senso che parlava ad esseri umani bambini. Però Lui, da pedagogo dell’umanità sapeva e sperava bene che dopo 1000-2000-3000 anni si sarebbero ricordati di quello che il Maestro ha detto; e diranno: “finora non ci avevo capito proprio nulla, adesso comincio, un pochino, a capire”. Sta parlando a bambinetti, sta parlando a figlioletti, e quindi è chiaro che fraintenderanno o che non capiranno subito.

Lo dice: “dove io sto andando voi non potete venire subito” quindi non capirete subito cos’è il puro spirituale, cos’è il mistero della libertà, però verrà il tempo in cui mi capirete sempre di più.

“Vi do un impulso nuovo” un dinamismo verso il fine -teloV, telos è il fine-, un nuovo dinamismo propulsore verso il fine; nuovo nel senso di interiore e non più esteriore, “affinché vi amiate a vicenda”. Questo volevo adesso un po’ commentare, perché l’amore, quello che noi traduciamo con la parola amore, sta al centro. Ci serve una piccola riflessione: cerchiano di sospendere più che possiamo tutto quello che ci siamo trascinati dietro alla parola italiana amore, sospenderla un momentino e vedere se riusciamo a costruire qualcos’altro, non di contraddittorio ma d’altro, attorno alla parola greca Agape.

Voi non mi dite subito che Agape significa amore, perché io poi vi chiedo: cosa significa amore?

E se noi facessimo una mezz’oretta a chiederci cosa significa amore verremmo subito ad appurare che amore significa tutto e nulla.

Agape, cioè favorire, o meglio, godere di ciò che ogni essere umano è per l’organismo dell’umanità, nell’organismo dell’umanità. La cosa che mi preme maggiormente sottolineare è che non si può amare un essere umano singolo, sarebbe come amare il fegato indipendentemente dall’organismo. Ed è questo il livello di amore bambino che l’umanità si trascina dall’inizio dell’evoluzione.

Invece, il concetto di Agape è che ogni essere può essere amato soltanto nel suo organismo, nel suo contesto. Se amo tutto l’organismo in cui si trova, amo anche la sua salute e lo amo soltanto se lo vedo nel suo contributo, e quindi gli do aiuto, lo aiuto a dare il suo contributo all’organismo perché soltanto così lui è sano. Amare significa aiutare un’altra persona: “sii ciò che tu sei nell’organismo dell’umanità, un frammento di salute”. Però, cogliere e realizzare sempre più concretamente ciò che ognuno di noi è nell’umanità, quindi nella specificità dei suoi propri talenti e nella specificità dei bisogni altrui a cui questi talenti corrispondono, questo è un cammino di verifica infinita e di concretizzazione infinita. Dirgli: “sei anche tu un membro dell’umanità” non basta, bisogna dirgli come, il come concreto.

L’amore cristiano, l’Agape, è un continuo verificare i talenti stando ai bisogni altrui, è un continuo verificare quali bisogni interpellano me in base ai talenti. Quali bisogni degli uomini, dell’umanità hanno a che fare con me? Sono quelli per i quali io ho il talento di appagare questi bisogni.

Tutti i bisogni dell’umanità per i quali io non ho un talento di appagamento non mi riguardano: si rivolgano allo sportello accanto. Però questo lavoro di conoscenza specifica, esattamente di che cosa fa questa papilla gustativa dentro l’organismo, ecc. ecc, è un cammino di conoscenza e di autoconoscenza infinito, perché sta proprio sempre nel valutare le reazioni di tutto l’organismo, nel valutare cosa queste reazioni comportano in me. L’Agape è viversi come membri del corpo mistico di Cristo e non soltanto a livello generale astratto, ma concreto, sempre più concreto.

L’amore è una disamina sempre più concreta della corrispondenza tra i talenti e i bisogni.

La somma dei talenti, degli organi di un organismo -le chiamiamo funzioni- corrisponde perfettamente, se è sano, alla somma dei bisogni. E la malattia consiste nella non corrispondenza, perché ci sono dei bisogni che non vengono appagati, e ci sono dei talenti illusori, o non veri.

Per esempio, concretizziamo il risvolto economico, e subito sorge il problema che tante persone pensano: “l’economico è profano, tutto ciò che è economico non ha nulla a che vedere con lo spirituale. Quant’è brutto questo argomento! Stavamo dicendo cose così belle sull’amore e adesso si mette a parlare di economia, che c’entra”? Vedete la schizofrenia? L’economia è dove l’amore diventa concreto perché il caposaldo dell’economia è la corrispondenza tra i talenti e i bisogni.

I talenti si esprimono nella produzione e i bisogni si esprimono nel consumo.

Voi pensate che ci sia nell’economia mondiale veramente quest’amore all’organismo dell’umanità e a ogni membro di questo organismo, per cui noi nel modo di usare il denaro che c’è -la borsa- nel modo di decidere la produzione, teniamo conto dei reali bisogni dell’umanità? Per esempio si potrebbe fare un minimo di pianificazione di quanti miliardi di auto ci vogliono. Supponiamo che decidiamo insieme che per l’umanità di oggi -se non vogliamo rovinare del tutto l’ambiente, la Terra, che poi roviniamo noi stessi- ci vogliano non più di 1 miliardo di macchine. Faccio per dire un esempio, può darsi che il numero sia diverso. Cosa salta fuori se nel mondo -siccome la produzione produce non in vista del bisogno del consumatore ma per il profitto- si producono 3 miliardi di macchine? Che manca l’amore. Proprio questo amore di cui parla, perché l’amore sta nel commisurare il talento al bisogno. Un talento che non corrisponde ad un bisogno non è un talento, è una rovina. Qualcuno dice: “ma a me, mi va di farlo, ho il talento di farlo”. Ma se non viene consumato rovini l’organismo, è un cancro, è proprio un cancro.

Quindi, non basta mettersi in testa di avere il talento di fare questo, di fare quest’altro, bisogna chiedersi: dov’è il consumatore? Chi ne fruisce? A chi porta vantaggio?

È il concetto cristiano di amore, che non è filìa. Filìa è fare quello che ti dà soddisfazione, filìa è l’amore animico. Di fare quello che dà soddisfazione sono capaci tutti. Produci perché ti dà soddisfazione: di quello sono capaci tutti.

Il concetto spirituale, non animico, ma spirituale di amore, Agape, è l’amore al singolo in quanto membro del corpo mistico del Cristo, e amore all’organismo totale dell’umanità in quanto esprimentesi nei bisogni concreti di ogni individuo. Tutte e due le prospettive vanno tenute presenti allo Spirito umano per avere l’Agape cristiano. E di strada ce n’è da fare! Una strada bella, una strada di evoluzione di coscienza è bella ma va fatta perché l’economia mondiale è diventata paurosa, piena di disamore, piena di egoismo, piena di rovinarsi a vicenda.

Anziché essere gli organi uno per l’altro c’è la lotta di tutti contro tutti, perché? Perché non c’è questo amore universale che dovrebbe esprimersi nella rappresentanza… tutta la capillarità della produzione, cioè tutti i talenti individuali dovrebbero avere una rappresentanza che ha uno sguardo d’insieme di tutti i processi di produzione. Poi, ci vorrebbe un’altra rappresentanza che fa uno studio, uno studio sempre in corso, molto complesso, del consumo o dei bisogni.

Queste due rappresentanze mondiali -mondiali perché l’umanità è un organismo- mancano, non abbiamo rappresentanze mondiali dell’istanza di consumo che individuino i bisogni che veramente ci sono, per dare la norma alla produzione di quello che ha il diritto di produrre per la sanità dell’organismo dell’umanità, e ciò che non ha il diritto di produrre perché rende ammalato l’organismo.

Per esempio, è un carcinoma nell’organismo umano, è un disamore assoluto, che ci sia quattro volte più denaro di quello che in effetti si può usare, perché queste quattro parti in più di denaro non fanno altro che saccheggiare, non fanno altro che rovinare, non fanno altro che sabotare tutto l’organismo, perché tendono soltanto ad aumentare e non fecondano l’organismo. A questo punto, in chiave di cristianesimo tradizionale, tante persone si direbbero: “erano le 10.30, ha finito di parlare di vangelo e all’improvviso si è messo a parlare di economia, estraniandosi dal vangelo”.

In chiave tradizionale è così: l’economia non ha nulla a che fare col vangelo, l’amore del vangelo non ha nulla a che fare con l’economia. E andiamo avanti su due binari: in uno c’è la goduria animica, che serve a dimenticare la vita reale, perché tanto la vita reale è una cosa dove ci scanniamo a vicenda, e nell’altro binario c’è la vita concreta, pratica.

Allora, riassumo il concetto cristiano di amore: nessuno di noi può amare l’altro se non lo vede, se non lo coglie, se non lo vive, come membro del corpo mistico del Cristo. E nessuno di noi può amare la totalità del corpo mistico di Cristo senza incarnarla nel gesto concreto verso l’altro. L’amore cristiano è la compresenza di tutte e due le dimensioni: dell’individuo concreto e dell’universale, perché l’individuale, l’unghia, è vista nel suo organismo e l’organismo non è un tutto uguale ma si specifica in ogni membro concreto. Questo è il concetto specifico di Agape: la parte del corpo mistico del Cristo articolato, individualizzato, che si esprime in un modo diverso in ognuno.

Quanto deve durare la pausa? Il solito quarto d’ora.

Cristiano, specificamente cristiano, il che vuol dire universalmente umano, non parziale.

Cristiano è tutto ciò che travalica ogni parzialità, e quindi è umano. L’umano universale è privilegio dei cristiani? Non ci sono cristiani, ci sono esseri umani. Cristiano è ogni essere umano che ama, il problema è che abbiamo creato compartimenti stagni, però il passo successivo nell’evoluzione è di rompere questi compartimenti stagni. Non esistono cristiani e non-cristiani, esistono esseri umani più o meno avanti nella loro evoluzione.

Il concetto umano e non parziale -umano nel senso di non-parziale- di amore sta proprio in questa parola “amatevi a vicenda”, sta nella reciprocità di tutti i rapporti nell’organismo dell’umanità, questa è la parola che specifica l’Agape. Diventa amore universale, veramente umano, pienamente umano, e in questo senso cristiano, nella misura in cui non può mai guardare al singolo senza vederlo in tutta l’umanità. E non può mai amare, non riuscirà mai ad amare l’umanità senza amarla in questa persona concreta, in questo momento.

L’universale dentro l’individuale e l’individuale dentro l’universale. Questo è il senso della parola vicendevole. “Amatevi a vicenda”, amate l’organismo dell’umanità amando il singolo e amate il singolo amandolo per quello che è nell’organismo dell’umanità. E’ il rapporto vicendevole tra l’universale umano e l’individuale umano che fa l’amore completo e non parziale. Parziale è l’amore quando vado in brodo di giuggiole perché voglio bene a tutta l’umanità, basta che il mio vicino non mi pesti i piedi sennò gli pesto le corna, dico peste e corna, oppure quando amo il mio figlioletto e gli faccio tutti i favori possibili, a danno dell’umanità.

L’amore dell’umanità senza amore al singolo non è amore all’umanità e l’amore al singolo senza amore all’umanità non è amore al singolo. Possono essere soltanto vicendevoli “amatevi a vicenda come Io -l’Io- vi ho amati”, qui il modo specifico, il modo proprio di amare del Cristo è la compresenza di queste due dimensioni. Come ama il Cristo gli apostoli? In quanto archetipi di tutto l’umano, dodici archetipi di tutto l’umano. E come ama il Cristo tutto l’umano? Nella sua concretizzazione, in questo Pietro che non vuol farsi lavare i piedi...

Intervento. E anche di Giuda.

Archiati. E del Giuda, che il bocconcino se lo piglia e se lo mangia. Bello il discorso, semplice, però fondamentale, e vediamo quanto sia facile perdere di vista le due prospettive: quando perdiamo di vista la prospettiva singola facciamo grosse astrazioni, e quando perdiamo di vista la prospettiva universale facciamo particolarismi, preferenze; ad esempio quando crediamo di favorire l’organismo lavorando, magari per tre mesi o per due anni, alla salute del fegato e ignorando tutto il resto dell’organismo. Gente che pensa di star bene con le malattie altrui ce n’è tanta; la proprietà privata, cos’è? E’ il tentativo di star bene, di essere ricco con la povertà altrui. È proprio questo: pensare che ci possa essere un vantaggio del singolo a svantaggio degli altri.

In un organismo non c’è proprietà privata ma non c’è neanche proprietà collettiva: è la proprietà che non esiste, perché tutto è dono, tutto circola. Se noi instauriamo la proprietà, la proprietà collettiva è molto più micidiale che non la proprietà privata, perché il privato -almeno nel suo piccolo- ci sta attento, ma della proprietà collettiva non ne risponde nessuno perché è di tutti e non è di nessuno. Quindi, non che io vi stia rivalutando la proprietà collettiva di matrice di sinistra, no, non è assolutamente migliore, casomai, a tempi brevi, è peggiore. Difatti si è dimostrato che di là è tutto collassato e invece la proprietà privata ancora pare che funzioni, funziona in chiave di egoismo.

Il concetto di proprietà, la categoria mentale di proprietà è lesiva della natura dell’organismo.

Un pensare organico è un pensare che supera la categoria mentale di proprietà sia privata sia collettiva. Quando tu hai un talento, nell’umanità, da mettere a disposizione di tutti, un talento di cui tutti possono avvalersi, eccoti i capitali perché tu possa metterlo a frutto, facciamo circolare i soldi.

Nel momento in cui questo talento -perché muori, perché non ti va più di farlo eccetera- non c’è più, smetti di fecondare l’umanità, l’organismo, da questo talento; ti portiamo via il capitale e lo diamo ad un altro.

La circolazione del sangue, che poi rigenera tutti, è oltre, è una categoria che travalica, che va al di là della proprietà sia privata sia collettiva. È proprio l’opposto del modo di pensare di proprietà, di qualcosa di cui uno si appropria. Come ci si può appropriare di un talento? Come può, diciamo, il rene, appropriarsi della sua funzione? È grottesco il concetto.

A livello di evoluzione mentale siamo figlioletti, siamo bambini, ha ragione il Cristo. Lui ha detto: non crediate mica di arrivare subito dove l’Io Sono si trova. Ci dovete andare passo per passo, e i passi da fare ce li fa fare il vangelo di Giovanni in modo paradigmatico, nel senso che proprio ci sminuzza tutti i gradini di presa di coscienza. Il vangelo usa la categoria dell’amore e la interpreta in senso organico con la categoria del vicendevole e quindi ci aiuta a fare tutti questi passi evolutivi senza i quali non andiamo avanti, perché non riusciremo mai a costringere gli esseri umani a superare la proprietà privata.

Se non la si supera in chiave di evoluzione mentale, di coscienza, resteranno le paure.

La prima cosa è la paura, la paura di cadere nel vuoto, perché prima di togliere al singolo la sua proprietà privata bisogna coltivare questa solidarietà organica che vince sempre di più la paura e dice: se viviamo organicamente gli uni con gli altri, ne abbiamo un enorme vantaggio tutti. Però, questo tipo di fiducia fondata, non salta fuori dall’oggi al domani, è un lavoro interiore che non termina mai, e la paura va ri-vinta ogni giorno. E come si vince la paura? Non col fatto che so di avere comunque un po’ di soldi, la paura si vince soltanto facendo l’esperienza che ognuno di noi, ognuno, deve fare quest’esperienza: che quello che io immetto nell’umanità -i miei talenti- vengano apprezzati e ciò di cui ho bisogno per vivere e continuare questa gioia mi viene dato. Solo così si vince la paura.

Ci vuole l’apprezzamento di tutto l’organismo di ciò che ogni membro immette nell’organismo, e quando questo apprezzamento non c’è, per immaturità o per vari motivi, bisogna che ognuno di noi trovi la forza di arrabbiarsi e di dire: “guarda, che se il talento c’è, il servizio t’è stato reso e non lo apprezzi, non esiste che io te lo ripeta, perché se te lo ripetessi ti aiuterei a restare bambino, a perpetuare la tua bambinaggine”. Dobbiamo coltivare questo tipo di coraggio organico-sociale, e una persona che ha ricevuto un servizio o che ha reso un servizio e rifiuta l’apprezzamento, fa un peccato, proprio va contro le leggi del sociale. E’ suo dovere ricevere l’apprezzamento.

Non si ha il diritto di impedire, proibire all’altro di apprezzarlo. Sarebbe come se il fegato dicesse: “no, no, l’ho fatto gratis, quello che io ho fatto per l’organismo, non voglio ricevere sangue degli altri membri”. Una persona che non vuole ricevere soldi, li ha già rubati prima, perché se ne ha bisogno li accetta, eccome.

Siamo pieni di farisaismi, veramente, siamo pieni di farisaismi. Supponiamo che una persona renda un servizio ed il servizio venga apprezzato talmente che riceve più di quello di cui ha bisogno, lo passa! Fa una donazione! È libero no? Se è suo, è padrone di farne ciò che vuole. C’è gente che veramente è menomata o ha altri problemi. In Germania stiamo facendo fatica perché per le persone bisognose non ci sono soldi.

Intervento. Anche là.

Archiati. Anche là, sì, diventa sempre più difficile. Io conosco persone che… mamme di famiglia il cui marito se n’è scappato, hanno 2/3/4 figli piccoli a carico e non sanno come sbarcare il lunario. E alla borsa circolano miliardi, miliardi e miliardi. E i soldi per la povera gente non ci sono. Cioè il modo di pensare organico, questo amore cristiano vicendevole è tutto da fare, questo cammino di coscienza è tutto da fare. E sottolineo il cammino di coscienza perché… non voglio che voi abbiate l’impressione che io stia predicando, no, non sto predicando perché il devi, devi, devi, è stato predicato eccome, per duemila anni, e cosa ha dato come conseguenza? Nulla.

Quindi, o ci muoviamo con la testa, che ne scapitiamo tutti di questa mentalità del privato, o ci accorgiamo che il privare gli altri per essere sicuro io è illusorio o… Però, il capire che è illusorio è un processo di coscienza, ed è questo di cui parla il vangelo. Se si commenta il vangelo, questo brano qui per esempio, senza entrare minimamente nella vita reale, è un’altra variazione dell’alienazione. La religione come oppio del popolo, a quel punto lì ha ragione Marx: la religione serve per fuorviare, per far dimenticare i veri problemi, tanto chi mangia sta bene.

Intervento. Il concetto di formazione di comunità?

Archiati. Attento, l’umano è triarticolato: c’è l’individuo singolo che ha tutto l’umano perché è capace di pensare in proprio e di volere in proprio, quindi ogni essere umano è portatore di tutto l’umano, poi c’è tutta l’umanità -lo Spirito dell’umanità è il Cristo- e noi siamo inseriti in questa umanità, e quindi l’umano non esiste soltanto a livello di individuo ma anche a livello di umanità. Sono due le dimensioni su cui ho ricamato finora, adesso tu dici: “ma c’è una mediazione” e cioè? Ci sono gruppi, raggruppamenti, popoli, chiese, ditte, sette, raggruppamenti. Sul gruppo ho parlato diverse volte come mediazione fra l’individuo e l’umanità. Qui siamo un gruppo per esempio.

Intervento. E’ uno strumento anche il gruppo…

Archiati. Piano, piano, piano, non ho ancora cominciato e tu entri con le tue categorie. Il processo di pensiero che ti serve, che ti dà qualcosa, non sta nel buttar lì una conclusione; se tu butti lì una frasetta hai buttato lì una conclusione. La conclusione non porta a nulla se non arriva alla fine, come riassunto, se non è un riassunto di un processo ti dà soltanto una botta che ti mortifica, ma a te non serve a nulla.

Intervento. Ma per “l’umanità” che intendi?

Archiati. Che intendo per umanità? Intendo te, me e tutti quanti.

Replica. L’insieme degli individui.

Archiati. E che altro è l’umanità, scusa, a che altro pensavi? Tu volevi soltanto lo sfizio di interrompermi un’altra volta. Ma scusa, che altro può essere l’umanità? Dimmi, te lo sei mai chiesto? Cosa intendi per umanità? Come se per umanità si potessero intendere diverse cose, dimmene una.

Replica. Io volevo sapere se era questo che pensavo io…

Archiati. A che pensavi tu?

Replica. Che è un insieme di individui.

Archiati. Ma c’è un’alternativa?

Replica. Tu hai detto del corpo di Cristo.

Archiati. Ma l’insieme di individui sono soltanto tutti pezzi di materia o sono anche tutti gli Spiriti umani?

Replica. Anche gli Spiriti umani.

Archiati. Soprattutto. Quindi, il concetto di “corpo mistico di Cristo” è l’insieme degli Spiriti umani, ma non in quanto somma di parti, ma in quanto organismo. Le membra di un organismo sono una somma? Una somma qualsiasi? Un’aggiunta? Uno accanto all’altro…

Adesso ho capito, è che tu vorresti capire tutto in una volta, questo è il problema. E su questo il Cristo dice: Pietro, vacci piano, un passo alla volta. Adesso non stavamo parlando dell’umanità, stavamo parlando del gruppo. Vedete cosa vuol dire saltar di palo in frasca? Stavamo parlando del gruppo e lui m’interrompe. Sto appena incominciando a parlare del gruppo e lui fa una domanda sull’umanità… esagero? Ho fatto piazza pulita per porre un minimo di basi, perché lui si aspetta che io gli dica che il gruppo è questo, questo e questo. Poi si lamentano che Archiati fa il guru.

Intervento. Ho chiesto il concetto di formazione della comunità.

Archiati. Mi hai chiesto cos’è la comunità, mi permetti di usare…

Replica. Ma perché c’è anche un libro di Steiner “Formazione di comunità” per cui…

Archiati. …antroposofiche: O.O. 257[8]. Quindi a te interessavano le comunità antroposofiche, pensavi a quel volume di Steiner senza dirmelo. Mi fai fare una sudata sul gruppo, metafisicamente parlando, e poi sei insoddisfatto perché tu volevi il gruppo antroposofico!

Intervento. Andiamo avanti col vangelo.

Intervento. No, andiamo avanti con quello che stava dicendo, la comunità è interessante.

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Fig. 29

Archiati. Qui c’è l’individuo, da un lato c’è l’individuo, dall’altro lato c’è l’umanità. Tra l’individuo e l’umanità ci sono raggruppamenti di individui. Una prima caratteristica del gruppo è che non è fatto di un individuo solo -se no non sarebbe gruppo- e non è fatto di tutti gli individui, deve escludere almeno qualcuno altrimenti non sarebbe gruppo.

A che serve il gruppo? Per la libertà. Ogni fenomeno di gruppo può essere sia fagocitante l’individuo a danno dell’umanità, sia -cosa più difficile, perché il primo avviene automaticamente se si omette il secondo- favorevole all’evoluzione di ogni individuo. In altre parole, il raggruppamento può venire articolato in modo tale da favorire l’evoluzione di ogni individuo e favorendo l’evoluzione di ogni individuo facente parte del gruppo si favorisce l’evoluzione dell’umanità.

Se si omette il compito della libertà, quindi il lavorio della libertà di articolare il gruppo -questi sono cammini di coscienza molto complessi ed anche importanti-, se si omette di articolare ogni giorno il gruppo in modo tale che il suo funzionamento, il suo modo di essere, abbia l’individuo e la sua evoluzione come scopo in vista del fatto che ogni individuo che si evolve feconda l’umanità, per sua natura il gruppo fagocita l’individuo, lo rende strumento del gruppo e quindi rovina l’umanità. Il gruppo è infatti una controforza e la controforza si vince soltanto con una forza che va messa liberamente, e questa forza immessa liberamente è sempre preceduta dalla presa di coscienza delle leggi fondamentali di funzionamento.

Una istituzione, una ditta, ecc. ecc., se la lasciamo andare secondo i dettami naturali del gruppo diventa un insieme di meccanismi. In tedesco c’è una così bella parola, non sono mai riuscito a trovarne una altrettanto efficace in italiano. Sono le argomentazioni di necessità: “eh, sì, sarebbe bello a farsi ma non si può, non si può, ci tocca far questo, ci tocca...” Se vuoi sopravvivere come ditta: devi, devi, devi, ti tocca agire in un certo modo. E’ come l’egoismo e l’amore: l’amore è omissibile ma non l’egoismo, perché c’è per natura. Se io non ci aggiungo l’amore, e quindi aggiungendoci l’amore sciolgo l’egoismo, resta soltanto l’egoismo; l’egoismo c’è di necessità perché ce lo dà la natura.

Se manca la componente di libertà per cui ogni individuo, giornalmente, sta attento a tutte le transazioni che avvengono nel gruppo in modo da mantenerle tali da essere in vista dell’individuo -cosa non da poco- automaticamente l’individuo si trova dentro in un ingranaggio per cui è costretto a dire: “eh, sì, sarebbe bello ma ora non si può, forse tra un mese questo progetto si potrà attuare, però adesso non è possibile... ecc. ecc.”

Ogni raggruppamento, per gruppo intendo anche comunità, è la spada a doppio taglio della libertà nell’evoluzione dell’individuo e dell’umanità, nel senso che il gruppo può andare nella direzione di distruggere sia l’individuo sia l’umanità. E deve avere questa possibilità, altrimenti la libertà non ci sarebbe, perché la libertà sta proprio nel vincere questa controforza, questa inerzia di natura.

Il gruppo è una delle forme principali di inerzia di natura, che se non sopravviene la libertà individuale fagocita l’individuo. E le comunità antroposofiche non fanno eccezione.

Intervento. È il concetto che io ti… quindi quello che hai detto…

Intervento. Però non bisogna anche tener conto dell’evoluzione del gruppo? Cioè c’è una fase iniziale, una fase giovanile in cui è in grado di favorire sia l’individuo che l’esterno e poi c’è una strumentalizzazione.

Archiati. No, questa non è evoluzione automatica del gruppo. L’evoluzione automatica del gruppo è che all’inizio fagocita di meno l’individuo e man mano che va avanti lo fagocita sempre di più, questa è la legge del gruppo in quanto tale. Soltanto l’individuo può invertire il funzionamento del gruppo, ma i meccanismi di gruppo sono fatti apposta proprio per generare meccanismi che diventano sempre più complessi e che costituiscono un ostacolo sempre maggiore alla libertà, perché l’ostacolo alla libertà deve diventare, è giusto che diventi sempre maggiore. La forza della libertà, se si va avanti nell’evoluzione, deve crescere; una forza di libertà maggiore vuole un ostacolo maggiore. È nella legge immanente dell’evoluzione che ogni fenomeno di gruppo, col passar del tempo, deve offrire all’individuo un ostacolo maggiore, perché è il compito dell’individuo di diventare sempre più forte nelle scelte della sua libertà.

Naturalmente parliamo di livelli di coscienza dove dobbiamo veramente restar svegli, essere svegli ogni giorno e accorgerci subito dove l’individuo viene strumentalizzato.

C’è il ricatto della paga per esempio: “sì, certo, fai presto tu a dire, però, va bene, se rinunci alla paga ti facciamo fare quello che vuoi”, il ricatto della paga è soltanto un esempio.

Importante è se io me ne rendo conto, cioè se la coscienza comincia ad accompagnare questi processi, questo è importante. Perché dire al singolo: non ti lasciar sottomettere, ricattare, manipolare, a che serve la predica se poi quelli non mi pagano, se non posso comprare da mangiare per me e per i miei figli? Roberto, ti basta questo minimo di avvio sul gruppo?

Replica. Ci sarebbe da dire ancora, però…

Archiati. Ce ne sarebbe da dire ancora perché lui voleva parlare delle comunità antroposofiche.

Replica. E’ proprio quello che non ho nominato però, naturalmente, mi riferivo a quello che Steiner...

Archiati. Perché dici naturalmente?

Replica. Se no tu t’arrabbi.

Archiati. No, sta attento: Steiner parla di comunità antroposofiche soltanto perché sta parlando a persone cosiddette antroposofe, ma Steiner ha il diritto di dire, sul fenomeno comunità, solo ciò che è verità, e che è verità su ogni comunità. O dice la verità su ogni comunità, e allora ha il diritto di dirla, oppure non è la verità sulla comunità e allora gli dico: no, no, caro Steiner, qui stai sgarrando. Se è una lettura oggettiva del fenomeno comunità deve valere tanto per gli antroposofi, quanto per i cristiani, i cattolici, i ciellini -comunione e liberazione-, deve valere per tutti, dappertutto dove c’è comunità. Ti ho tradotto la parola comunità, che puzza un pochino di chiesa per molta gente, se non ho perso ogni rimasuglio di sentimento per la lingua italiana, e l’ho tradotto con gruppo.

Steiner non ha il diritto di dire altro che la verità sul fenomeno gruppo.

Replica. Però, voglio dire, la comunità è già un qualche cosa che si allarga rispetto alla famiglia, considerare la famiglia…

Archiati. La famiglia è una comunità.

Replica. Una comunità di persone che si adoperano per l’allargamento della comunità è una cosa intermedia tra famiglia e l’intera comunità. Mi pare che Steiner in un testo dica che bisogna organizzarsi in forma comunitaria, per esempio la scuola Waldorf differisce dalle altre perché vuole essere una scuola comunitaria, che poi non lo faccia è un altro discorso.

Archiati. No, il discorso non è questo, l’hai proprio svolto dalla parte sbagliata. Steiner ti sta dicendo come funziona una comunità che favorisce l’individuo perché favorisce l’umanità e ti dice come funziona una comunità o un gruppo che fagocita l’individuo e danneggia l’umanità. Poi, che tu lo vai ad applicare ad una scuola o ad un ospedale o ad una famiglia, non importa nulla.

Una scuola, non importa se statale o Waldorf, dove la legge fondamentale della coscienza è che gli individui siano svegli, che abbia come scopo il favorire ogni individuo, e attraverso il favorire l’individuo favorire l’umanità, questa è una comunità scolastica umana. Invece, una comunità scolastica i cui problemi, assilli, scopi si concentrano sui progetti a beneficio della comunità scolastica stessa, usa l’individuo, l’individuo diventa strumento per la realizzazione di certi progetti. Allora Steiner ti dice che quest’altro tipo di comunità scolastica è disumana.

Replica. L’arma a doppio taglio…

Archiati. Esatto. Che ti mancava? Ti mancava soltanto il comprendonio.

13,35. “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.”

Qui lo rimarca, “da ciò”, la caratteristica, lo specifico “da ciò riconosceranno che siete discepoli dell’Io” cioè discepoli che ponete, che imparate, che fate un cammino di coscienza evolutivo che pone l’individuo come valore supremo. Discepoli dell’Io significa porre l’individuo singolo come valore supremo. E da che cosa si riconosce? Che avrete un modo di pensare organico, che vi amerete a vicenda, perché la legge dell’organismo è “tutti per uno e uno per tutti”.

La grande parzialità del comunismo è “uno per tutti” ma non lo inverte; il discorso capitalista è: “tutti gli altri per me” basta non invertire il discorso. Ecco le due parzialità: né di qua né di là si ha un pensare organico, perché un pensare organico è il fluire, proprio il passaggio continuo, la circolazione. Qui c’è il cuore (rif. fig. 29) ogni raggruppamento, ogni istituzione è una mediazione, ogni ditta è una mediazione tra l’umanità e l’individuo e tra l’individuo e l’umanità.

Un gruppo sano è il modo in cui l’individuo sfocia nell’umanità e il modo in cui l’umanità sfocia nell’individuo, perché non possono toccarsi direttamente. Io non posso raggiungere l’umanità se non nella stazione, come raggiungo l’umanità in senso reale? Passando attraverso la mediazione di raggruppamenti. In questo momento, ad esempio, io raggiungo l’umanità, sto immettendo dei pensieri nell’umanità, ma non lo posso fare di colpo, io non ho altro accesso se non questo a livello di stazione dell’umanità, lo faccio attraverso queste persone. Queste persone portano, speriamo, almeno qualche frammento nell’umanità. Ogni raggruppamento, ogni istituzione, ogni comunità, è sana se fa da tramite tra l’individuo e ciò che l’individuo porta nell’umanità, e fa da tramite tra l’umanità e ciò che l’umanità dà all’individuo.

Se invece è disumana usa l’individuo e usa l’umanità, per che cosa? Per il proprio potere. E allora il potere è l’opposto dell’amore. Un individuo singolo può esercitare molto potere? No. Deve allearsi con un gruppo, deve fagocitare più individui possibili e quindi renderli dipendenti, ricattarli. Quindi, qui (rif. fig. 29) c’è il mistero dell’amore e del potere come transizione tra l’individuo e l’umanità. Ho riassunto il concetto di comunità o di gruppo in questo modo, come avvio conoscitivo, e cioè che il gruppo è la grande arma a doppio taglio dell’evoluzione perché è qui che si decidono le sorti dell’amore e del potere.

Una comunità fondata sulla legge dell’amore non reclama nulla per sé, le basta che gli individui stiano bene. Una scuola, che deve avere come scuola? Se c’è da costruire lo si fa soltanto perché degli individui hanno bisogno di costruire; nel momento in cui hai costruito per il prestigio della scuola, l’individuo sparisce per far posto al noi. Però è un noi che non è tutta l’umanità perché esclude parecchia gente ed è un noi che non è individuo perché lo fagocita.

Noi, noi, il grande mistero dell’America, l’America è uno dei gruppi più micidiali dell’umanità, è che questo mistero si esprime nelle parole “we Americans”. Io sono stato in America e poi ho amici americani, ma non ce n’è uno, non c’è una eccezione che non si unisca al dire “we Americans” (noi americani), e l’individuo singolo sparisce in questi milioni di bandierine americane; “patriotism” patriottismo, ecco il gruppo. Però non è soltanto in America, il gruppo c’è dovunque.

Riassumo: dev’essere la tendenza del gruppo che, se lo si lascia andare da solo, esercita potere, per natura. Perché ti dimostra subito: “questo va fatto, questo va fatto, abbiamo bisogno di questo, qui non si può fare a meno di… e qui non abbiamo tempo…devi fare…”

Avete mai visto un imprenditore che è a corto di argomentazioni su quello che c’è da fare? Non gli basterebbe un altro esercito in più per tutto quello che ha da fare. Se gli date come strumento tutta l’umanità, lui se ne serve. Se al presidente degli Stati Uniti gli date un altro mezzo milione di soldati, lui li manda in tutto il mondo, comincia con l’Iran, con la Siria…

“In questo conosceranno -en toutw gnwsontai, en tuto gnòsontai-…”, quindi è un cammino di conoscenza, un cammino di coscienza che sa distinguere spirito e contro-spirito.

“Conosceranno tutti”, cioè, stando al comprendonio, stando al sano capire che è a disposizione di ogni essere umano, ogni essere umano non soltanto potrà capire, ma capirà, da questo riconoscerà nel suo spirito, così come gli è stato dato da Dio, “tutti conosceranno che siete discepoli dell’Io, che siete miei discepoli”, che tenete in auge l’individuo singolo.

Avete questo criterio di non strumentalizzare mai l’individuo singolo, siete discepoli miei, siete discepoli dell’Io, se avete amore gli uni verso gli altri.

13,36. “Gli chiede Simon Pietro: Signore dove vai? Gli rispose Gesù: dove Io vado non puoi seguirmi ora, mi seguirai più tardi.”

Signore, dove vai a parare, dove vai? Cristo sta cercando di fargli capire i passi, il procedere, il dinamismo dell’evoluzione, e Pietro vorrebbe già essere alla fine: “dove? Dove arriviamo? Dov’è la metà”? Guardare alla meta è anche un’arma a doppio taglio, come tutte le cose, tutte le cose umane si possono fare senza libertà, con la mortificazione della libertà, o nella libertà. Guardare alla meta significa: quando la situazione è troppo difficile, dimenticare il presente e guardare avanti.

Ogni illusione è un guardare alla meta senza tenere conto del presente, dei passi che bisogna fare per arrivarci, è mettersi in testa che si possa arrivare alla meta con l’elicottero, con un salto.

Come mai Pietro sta già alla meta e dice: “dove? Dove vuoi arrivare? Dove vai?” Che tipo di articolazione di coscienza è questa di Pietro? E’ l’impazienza che vanifica il quotidiano e che vorrebbe l’evoluzione tutta di botto.

D’altra parte, non possono esserci i passi giusti senza sapere in che direzione si va. Quindi la cosa da fare è il giusto equilibrio tra l’occhio rivolto alla meta e il passo ancorato sulla Terra. Tutti e due ci vogliono. E Pietro ha soltanto l’occhio rivolto alla meta. Adesso capiamo perché non voleva che gli si lavassero i piedi, è perché gli piace volare. È parziale, è unilaterale, è un idealismo unilaterale che non si completa col realismo. Perciò arrivano poi Tommaso, Filippo ecc.

“Dove vai?” di fronte a questa domanda: “dove vai? Dove va a finire l’evoluzione? Dove va a finire tutto quanto?” che gli deve rispondere il Cristo? Calma, calma, un po’ alla volta, un po’ alla volta. Gli risponde Gesù, rispose a lui Gesù: “dove io vado non puoi ora seguirmi”, ora, subito, in un attimo, se no non ti resterebbe più nulla da fare.

In altre parole, il pensiero che dice: “oh, come sarebbe bello essere già alla meta”! E’ un’illusione. Camminare è molto più interessante che essere arrivati, basta avere le gambe buone e basta godersi il camminare. In che modo l’essere arrivati potrebbe essere più interessante del camminare? Ditemelo voi. Quando uno è arrivato, è arrivato, no?

Intervento. Felicità della strada..

Archiati. …la strada goduta, ma non diciamo la strada goduta, i passi goduti…

Intervento. Però, può essere più gradevole camminare sapendo dove si va, che avere invece un certo grado di ignoranza.

Archiati. Ma Pietro vorrebbe essere già arrivato senza camminare, questo è il problema.

Replica. Ma l’ignoranza ha una sua funzione?

Archiati. Certo. Sono tutti processi di coscienza. Dimmi, l’ignoranza, cosa vuol dire?

Replica. Impossibilità di sapere.

Archiati. Cosa?

Replica. La verità, come stanno veramente le cose.

Archiati. No, sei come Pietro, sei già alla fine, la verità è un grande fine dell’evoluzione.

Replica. Una cosa che io mi debbo conquistare e che quindi mi dà motivazione giusta.

Archiati. Diventa più concreto. È la presenza di spirito che, ogni passo, ogni momento, qui dove siamo adesso, mi dà la percezione se sto movendomi, se sto andando avanti, se sto facendo un passo nel mio cammino evolutivo. Nel momento in cui io dico: “oh, mi pare di capire, sì è vero quel pensiero lì…”, sono passi concreti. Oppure quando dico: “no, no, stamattina non ci siamo”, è la percezione di passi concreti che mi portano veramente un pezzettino avanti verso una meta.

Meta e passi concreti, passi concreti e meta: devono esserci tutti e due.

Pietro è ogni essere umano, in quanto deve avere la sensazione di stufarsi di camminare, perché se non ci fosse la tentazione di stufarsi di camminare, camminare diventerebbe automatico, non sarebbe libero e non ci darebbe gioia. Pietro voleva: o non lavare i piedi o lavare tutto. E il Cristo gli dice: “no, sono da lavare i piedi, in modo che tu cammini poi coi tuoi piedi”, e adesso Pietro dimostra questa sua tendenza a fare astrazioni, senza diventare concreto, chiedendo: “dove vai”? Ma come fa il Cristo a dirgli dove va l’evoluzione? È come quando Roberto mi dice: “cos’è una comunità?” Che, te lo dico? Vedi che astrazioni siamo abituati a fare?

La grande tentazione del pensiero è l’astrazione e la grande tentazione della volontà è l’impazienza. E queste controforze ci devono essere, perché se non ci fosse l’astrazione, non avrei il compito, non avrei la possibilità di riportare il pensiero sempre giù nel reale. E se non ci fosse l’impazienza, nei passi successivi lenti non avrei nulla da vincere, il camminare sarebbe automatico. Quindi è giusto, è importante che ci sia la tendenza all’astrazione, basta diventare sempre più veloci nell’accorgersi: “no, qui sto proprio navigando nelle stratosfere, ma non lo concretizzo”.

E quando divento impaziente che non mi basta il piccolo passo perché forse non lo vedo, devo cercare di accorgermi il più presto possibile e dirmi: “no, no, è giusto un po’ alla volta, e se stamattina ho fatto un piccolo passo non sarà necessariamente perché quello là davanti era scemo, è forse perché io, il mio spirito è capace solo di fare questo piccolo passo, ma è meglio che niente”. Soltanto una cosa, una cosa sola non va bene ed è lo stare fermi, ma nel camminare ognuno ha la sua velocità.

L’unico male della volontà è di star fermo, ma nessuno può dire ad un altro come deve camminare o con quale velocità. Quello se lo deve gestire ognuno, però gli si dice: guarda che se stai fermo, comunque, non arrivi da nessuna parte.

“Dove io vado tu non puoi ora seguirmi, mi seguirai come risultato totale e finale del tuo cammino”, che traduzioni avete?

Intervento. Mi seguirai più tardi…

Archiati. No, usteron (usteron) è l’ultimo

Intervento. Alla fine..

Archiati. Mi seguirai alla fine. “Il tuo seguirmi”, ve lo traduco in italiano, “il tuo seguirmi può soltanto essere il risultato di un lungo cammino”. Non comprendendo il versetto in questa centralità, alcune traduzioni dicono: “mi seguirai alla fine”, aspetta fino alla fine, poi alla fine, di colpo, mi seguirai. “Mi seguirai fino alla fine” non ha senso. Altri traducono: “mi seguirai fra poco” quindi è chiaro che questo versetto è da capire un po’ meglio.

“Il tuo seguirmi sarà il risultato finale di un lungo cammino” in questo modo di tradurre c’è sia il finale, sia la continuità, sia la progressività. Se togliamo la progressività facciamo un’astrazione, se togliamo la totalità siamo soltanto ai passi singoli e non abbiamo la meta. Se vogliamo mettere insieme i passi singoli e la meta, “il tuo seguirmi sarà il risultato totale e finale di un lungo cammino”, che altro gli può dire il Cristo? Pietro, passo per passo, ci arriverai alla meta, e man mano che cammini capirai sempre meglio la meta.

La meta la si capisce sempre meglio man mano che si cammina. È vero che io posso camminare sempre meglio a seconda se ho capito bene la meta, ma è vero anche l’opposto: che la meta la capisco sempre meglio man mano che cammino, perché la meta ha soltanto il diritto di essere in proporzione al cammino, perché se non è la meta del cammino, che meta è? Per capire la natura della meta devo capire sempre meglio la natura del cammino, e per capire meglio la natura del cammino devo capire sempre meglio la natura della meta. Sono reciproci, ecco di nuovo la reciprocità: man mano che cammino capisco sempre meglio la meta e man mano che capisco sempre meglio la meta sono in grado di camminare sempre meglio.

Di certo avrete alcune traduzioni che vi dicono: “alla fine”, perché “alla fine” corrisponde meglio alla parola greca usteron che significa finale, ultimo. E altre traduzioni, siccome hanno capito che in questa parzialità non ha senso, mettono “dopo, più tardi”, però “più tardi” fa torto al greco, assolutamente. “Più tardi” nel senso di “man mano”. Usteron è un comparativo, quindi la traduzione “più tardi” si può salvare, però va capita giustamente. “Più tardi” significa “man mano”, non c’è un capire totale, improvviso, c’è un capire progressivo, che procede col camminare.

13,37. “Gli replica Pietro: perché non posso seguirti subito? L’anima mia per te darei.”

“Gli disse Simon Pietro:…” non molla, Pietro è un discepolo che non molla.

Intervento. È un romano.

Archiati. È perciò la chiesa romana è quella che ci...

“Kurie, Signore”, alcuni manoscritti non ce l’hanno “Signore” “perché non posso seguirti ora”? Ora -arti (arti)- subito, Pietro s’arrabbia, vuole sapere perché, “devi dire perché”, s’è offeso.

“Tu non puoi seguirmi ora”, perché? Si chiede Pietro. Il Cristo ha a che fare con tipi come noi, la cosa è bella perché nei vangeli non travalichiamo l’umano, gli apostoli sono come noi. E il Cristo, nel suo modo d’interagire, prende gli uomini come sono, perché altri non ce ne sono, li ha creati Lui così. Quindi la domanda di Pietro la prende sul serio perché è una domanda tipicamente umana: “dimmi perché però, non mi basta che tu me lo dici, tu ci hai abituato a chiedere il perché”.

Tu ci hai abituato a chiedere perché, a voler capire le cose, allora fammi capire perché non ti posso seguire ora, subito, ora? “Porrò la vita, darò la mia vita per te, la deporrò”, sono pronto a morire per te, questo vuol dire Pietro. “E se sono pronto morire per te, sono pronto a venire con te, subito”, Pietro deve avere avuto un po’ di sentore: “questo sta per andare a morire, ne ha combinate tante che ormai lo stanno acchiappando, Giuda non è certo andato a comprare le uova di Pasqua, ha il sacchetto con i 30 denari”. Pietro avverte che il Cristo sta andando a morire, poi il Cristo lo ha anche detto. Allora Pietro dice: “beh, se sparisci tu la vita non è più interessante. Sono disposto a venire con te, e perché mi dici che non ci posso venire ora? Che non posso seguirti ora? Sono disposto a seguirti, a dare la mia vita per te”. Uper sou (upèr sù), per te.

Qui il testo ci dice che nella coscienza di Pietro tutti gli altri undici non ci sono “per te”, e non si chiede se invece dove stare in vita per gli altri uomini. No, lui vuole dare la vita perché era così bello col Cristo che se va via Lui vuole andar via anche Pietro. Goduria animica, legittima, chi ne può vivere senza? “Sono disposto a dare la vita per te”.

13,38. “Gesù gli risponde: “darai la vita per me? Amen, amen, io ti dico: il gallo non canterà prima che tu mi rinneghi tre volte”

Pietro s’aspettava tutto fuorché queste parole. Allora, le tre volte prima del canto del gallo… i sinottici dimostrano di aver capito questo mistero un po’ meno del Vangelo di Giovanni, perché invece di far rinnegare Pietro tre volte prima che canti il gallo, fanno cantare il gallo tre volte.

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Fig. 30

Poi ci sono anche testi dove il gallo canta due volte. Vi ho fatto un cerchio però stavolta dovete fare un pochino di ginnastica mentale perché vado in questa direzione, nel senso che: il Sole lo faccio tramontare qui. Ma si potrebbe fare anche all’inverso, facciamolo sorgere ad Oriente, allora è più facile.

Intervento. Ma sorge ad Oriente.

Archiati. Allora: sorgere del Sole e tramontare, questa è la polarità. E qui c’è la mezzanotte, mesonuktioV (mesonuctios); qual è la mezzanotte della coscienza umana?

La caduta, il punto infimo della caduta.

Attorno al Cristo: in Giuda si esprimono le forze del brigante, che picchia, il potere che uccide, in Pietro si esprimono le forze del ladro, che si chiude in se stesso e vive soltanto per se stesso, oscuramento di coscienza. Il tradimento di Pietro, il cosiddetto tradimento di Pietro, dove la serva gli chiede: “ma non sei anche tu uno dei suoi discepoli”? E Pietro dice: “no, no, non lo conosco”, che fenomeno è?

Intervento. Paura.

Intervento. Sentimento di paura.

Archiati. Leggendo Steiner ho trovato una chiave fondamentale che mi ha aperto, perché il rinnegamento di Pietro è sempre stato posto in chiave morale: che rinnega il suo maestro, nega di conoscerlo, nega di essere suo discepolo. Questo rinnegamento mi è sempre stato posto come un peccato morale, nel senso che lui sa di essere suo discepolo, sa di conoscerlo e dice: “non lo conosco, non sono suo discepolo”. E invece non è vero, non è un fenomeno morale ma è un fenomeno di coscienza. La coscienza di Pietro, a partire soprattutto dagli ultimi tre giorni, prima della morte del Cristo, comincia ad oscurarsi e si oscura sempre di più. Questo è uno dei contributi più belli della Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner alla comprensione dei vangeli e del mistero del Cristo. Quando la serva gli chiede: “ma non sei tu uno dei discepoli di Cristo?” Pietro dice di no perché non si ricorda, la sua coscienza è oscurata. Quindi non c’è un peccato morale di egoismo, di paura, la sua coscienza s’è oscurata in un modo tale che lui non sa più, è l’essere umano che non sa di essere in evoluzione verso l’Io, di essere discepolo dell’Io. Non sa più cosa vuol dire essere uomo. Perché questa posizione di Pietro ci vuole, è necessaria per l’evoluzione?

Perché queste controforze che oscurano la coscienza sono necessarie? Perché altrimenti il rischiaramento della coscienza sarebbe automatico.

La controforza del potere, Giuda, è necessaria se no non si può vincere liberamente. La controforza dell’oscuramento di coscienza -che non capisce più, non sa più nulla del mistero dell’umano- è necessaria, altrimenti l’acquisizione della coscienza dell’umano sarebbe automatica.

Allora, Pietro rappresenta il massimo di oscuramento della coscienza. Dalla mezzanotte della coscienza fino al canto del gallo ci sono sempre tre gradini (rif. fig. 30).

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Fig. 31

Invece di metterveli tutti e dodici vi metto il 7 e il 5. Il 7 sono le sette epoche evolutive della Terra o anche le epoche post-atlantiche, e il 5 lo metto come controforza. Per le epoche evolutive uso i numeri normali: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7. Per le controforze uso i numeri romani: I, II, III, IV, V. Le controforze non ci sono all’inizio e terminano prima della fine. Le controforze cominciano col 2, quindi al 2 c’è la controforza I, al 3 c’è la controforza II, al 4 c’è la controforza III e qui la controforza è massimamente potente, al 5 c’è la controforza IV, e al 6 c’è la controforza V.

Il V è il terminare del male, e quindi 5 è il numero delle controforze.

L’oscuramento di coscienza è massimo in modo che può essere massima la vittoria sull’oscuramento. Il quattro è la Terra in cui ci troviamo ora, ogni punto infimo dell’evoluzione è un quattro. Quanti passi ci vogliono per arrivare alla meta? Ci vogliono tre passi per costruire una coscienza desta. E il canto del gallo significava sempre il destarsi, e questo destarsi non avviene in una volta, glielo ha appena detto il Cristo: “prima che il gallo canti, prima di destarti del tutto, dovrai venire alle prese con le forze di oscuramento della coscienza per tre gradini successivi”, a tutti i livelli naturalmente. Il livello grande, la Terra, che si trova al quarto gradino ed ha tre gradini successivi: Giove, Venere, Vulcano, ed epoche post-atlantiche: indiana, persiana, egizio-caldaica, greco-romana in cui è morto il Cristo. E quanti gradini ci sono ancora nella coscienza oscura, che va sempre di più verso il canto del gallo? La quinta è la nostra, la sesta è Filadelfia, la settima è Laodicea. Questi nomi vengono presi dall’Apocalisse di Giovanni.

L’umanità oggi, se le cose vanno bene, si trova al secondo rinnegamento.

“Amen, amen, Io dico a te, il gallo non canterà finché tu non mi abbia rinnegato tre volte.”

Tante buone cose, fino alla prossima volta.

Intervento. Scusa, scusa, sul testo il verbo seguimi, che usa nei versetti 36 e 37, è sempre lo stesso verbo, poi però prima usa nun (nun) per dire ora, poi usa arti (arti), e poi abbiamo euquV (euthùs) ci sarà una differenza…

Archiati. Certo, certo. Nun è il momento presente, arti è fin d’ora, euquV è all’improvviso. Poi sta a te appiccicare ognuna delle traduzioni a dimensioni interiori. Io ho fatto la proposta che:

- All’improvviso si riferisce maggiormente alla dimensione del pensiero.

- Ora è la dimensione del volere: il passo o lo fai ora o non lo fai.

- Fin d’ora è il cuore, il cuore può amare fin d’ora tutta l’umanità.

Questa triade di avverbi greci, che noi non abbiamo, ti suggerisce di ritrovarli ogni volta nella triade dell’essere umano.

Tante buone cose.

Appendice – I Dodici punti di vi(s)ta

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12 Qualità fondamentali dello Spirito

7 Qualità fondamentali dell’Anima

Nota: la direzione dei segni dello Zodiaco è come quella della volta celeste, cioè in senso antiorario. In Steiner e Archiati invece la direzione è in senso orario.

[1] Isaia, 53,1

[2]6,35. Io Sono il pane della vita

9,5. Io Sono la luce del mondo

10,9. Io Sono la porta

10,11. Io Sono il buon pastore

11,25. Io Sono la resurrezione e la vita.

14,6. Io Sono la via, la verità e la vita

15,1. Io Sono la vite vera

[3] Midràsh (da darash “cercare”, “domandare”) (lett. ricerca, interpretazione; plur. midrashìm) metodo esegetico delle Scritture. Il termine indica anche la singola interpretazione e il libro che raccoglie sistematicamente più interpretazioni.

[4]“Pensiero umano e pensiero cosmico” 4 Conf. Berlino 20-23 gennaio 1914. Ed. Antroposofica, Milano

[5]L’Apocalisse” 13 conf. Berlino 1908, Ed.Antroposofica, 1976 Milano

[6]Le gerarchie spirituali e il loro riflesso nel mondo fisico. Zodiaco, pianeti, cosmo” 10 conf. Düsseldorf 1907, Ed. Antroposofica, 1980 Milano

[7] O.O. 194 “La missione di Michele” 12 conf. Dornach 1919, Ed. Antroposofica 1981 Milano

[8]La formazione della comunità antroposofica” 10 conf. Stoccarda e Dornach 1923, Ed. Antroposofica Milano

A proposito di Pietro Archiati

Pietro Archiati è nato nel 1944 a Capriano del Colle (Brescia). Ha studiato teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università statale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).

Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.

Nel 1977, durante un periodo di eremitaggio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito – destinata a diventare la grande passione della sua vita – indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invisibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.

Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafrica durante gli ultimi anni della segregazione razziale.

Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, indipendente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.

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