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Pietro Archiati

Mi ami tu più di costoro?

Amore del corpo, dell’anima, dello spirito

COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Volume XI

dal capitolo 20,1 al capitolo 21,25

Seminario tenuto a Rocca di Papa (Roma)

dal 25 al 28 agosto 2006

Trascrizione integrale e redazione di Stefania Carosi non rivista dall’autore

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Gustav Dorè - La pesca miracolosa

Indice

Venerdì 25 agosto 2006, sera v. 20,1

Sabato 26 agosto 2006, mattina vv. 20,1 – 20,8

Sabato 26 agosto 2006, pomeriggio 20,9 – 20,18

Sabato, 26 agosto 2006, sera vv. 20,19 – 20,23

Domenica 27 agosto 2006, mattina vv. 20,24 – 20,29

Domenica 27 agosto 2006, pomeriggio vv. 20,30 – 21,11

Domenica 27 agosto 2006, sera 21,12 – 21,17

Lunedì 28 agosto 2006, mattina 21,18 - 21,25

Appendice

A proposito di Pietro Archiati

Venerdì 25 agosto 2006, sera
v. 20,1

Auguro a tutti il benvenuto!

È sempre una gioia spirituale ogni volta che ci si trova a parlare di questo bellissimo vangelo, in varie lingue. È il testo più bello che si possa immaginare nel senso che, cosa che ci siamo detti diverse volte, duemila anni fa è successo un finimondo, il finimondo di tutti i finimondi.

Adesso faccio un ricamo sulla parola finimondo, perché può sempre servire: il mondo visibile, il mondo creato, percepibile, il mondo che per l’uomo di oggi è l’unico che esiste, supponiamo innanzi tutto che esista veramente e poi supponiamo che sia stato creato per dare all’uomo la gioia di vivere un finimondo. Cioè la gioia di far morire il mondo per resuscitare a un mondo ancora più poderoso.

Il senso della nascita è la morte perché il senso della morte è la resurrezione.

Perché si fa nascere qualcosa di materiale? Per dare la possibilità allo spirito umano di diventare sempre più creatore consumando l’elemento di fissità: non soltanto di fisicità, ma di fissità. Infatti, nella misura in cui il creato scende dal livello spirituale al livello animico (astrale), cioè al livello animale, poi al livello delle forze viventi (eterico) che sono all’opera nel mondo vegetale e infine al livello minerale, cosa c’è in quest’ultimo livello, l’unico mondo che noi percepiamo e che ci sembra quello reale? L’elemento fondamentale del mondo visibile è la forma fissa. La forma fissa, il mondo delle forme.

Guardate qui davanti: la lavagna ha una forma, io ho una forma. Il vivente, il vegetale è invece forma in metamorfosi, in un continuo cambiamento di forma. Però la metamorfosi è talmente al rallentatore che noi non la vediamo all’opera. La scienza dello spirito, in un primo recupero dell’invisibile, ci dice: guarda questa foglia così piccolina, com’è che cresce? Com’è che diventa più grande? Lentamente, lentamente, lentamente: se tu la vedi fra dieci giorni, se la vedi fra venti, sarà diventata molto più grande, in un passaggio che è di continuità, non di salto da una forma all’altra, fra due forme fisse, belle morte, una dopo l’altra! No, è un fattore di continuità, di vivacità: il vivente è metamorfosi all’opera, in opera.

Lì la scienza naturale di oggi già si trova un po’ spiazzata perché dice: figlio mio, finché tu mi presenti qualcosa di ben definito va bene… anche con la matematica i conti tornano… ma quando vieni a parlarmi di forze eteriche, viventi…

Una volta si parlava della vis vitalis, la forza vitale. Poi i fisici moderni l’hanno sempre più lasciata perdere perché dicevano: nessuno la percepisce, gli strumenti anche più sofisticati non la misurano. Finché mi presenti materia, quella è ponderabile, è misurabile, e allora ci siamo; ma tutti i fenomeni del mondo della materia che non si spiegano in base al mondo delle forme percepibili sono… energia!

Ci siamo detti diverse volte che il concetto di energia o, se preferite, il concetto di forza dello scienziato naturale moderno è puramente negativo: energia, forza, è tutto ciò che non è materia. Affermazioni positive, contenutistiche, immanenti sull’essere rea-le, concreto, articolato di questa energia non esistono. Perché? Perché bisognerebbe cominciare a percepire questo mondo di forze, di energie, per fare delle affermazioni positive.

Un altro concetto che già esisteva ai tempi miei, quando ero studente, un concetto usato da chi si sentiva un po’ a disagio usando la parola energia o la parola forza, era “antimateria”. Cos’è l’antimateria? Tutto ciò che è contro la materia. Però anti è di per sé un concetto negativo. Non dice qualcosa di positivo, dice: sta’ attento, adesso hai qualcosa che non è materia, è contro la materia, ha tutt’altre leggi.

Faccio una piccola introduzione, adesso. Ci siamo sempre detti che affrontando l’invisibile, affrontando ciò che non percepiamo con i sensi fisici, in chiave scientifica saltano fuori subito tre forme fondamentali di cosiddetta energia, cioè tre mondi diversi di ciò che non è fisso.

Fisso è il mondo della materia minerale. C’è poi un mondo non fisso, un mondo vivente a livello del vegetale – il mondo in cui viviamo è pervaso di correnti vitali, di forze vitali all’opera soprattutto nel mondo delle piante, ma che sono della stessa natura delle forze di pensiero, – poi c’è un mondo di correnti chiamiamole animiche, un mondo dell’anima: emozioni, sentimenti, passioni. Infine c’è il mondo creativo dello spirito.

Tre Mondi del Non-Fisso

Mondo dello spirito

creazioni dal nulla

Mondo animico o astrale

emozioni, sentimenti,
passioni, fenomeni ritmici

Mondo del vitale o eterico

fenomeni continuativi
di trasformazione

Un Mondo delle Forme Fisse

Mondo della materia minerale

peso numero misura

In una foglia è all’opera un’energia emotiva? No. Cosa vi fa dire di no? A dire di no si fa presto. Ma perché no? Perché tutto ciò che è emotivo non è continuativo, va a salti: aggredisce e poi se ne va, aggredisce e poi rientra. Invece il mondo del vitale, la legge della crescita, è di una continuità spassionata, lineare, non si lascia sviare… a meno che fattori esterni naturalmente impediscano il fenomeno: se manca l’acqua, ovviamente la foglia smette di crescere. Però se ci sono tutti i fattori, se c’è la conditio sine qua non, la foglia nella sua crescita è regolare. Invece quando io mi arrabbio, posso essere arrabbiato per un anno sempre così ? No, non sarebbe una arrabbiatura. Quindi tutto ciò che ha a che fare con fenomeni animici è ritmico: picchia e risucchia, picchia e risucchia.

Allora, questi sono due gradini dell’invisibile: il vitale e l’animico. E lo spirituale? Qual è la legge evolutiva dello spirito?

La legge evolutiva dell’eterico è la crescita continuativa tant’è vero che quando interviene la morte subentrano tutt’altri fattori, termina il crescere e non è che entri nella crescita un’altra legge evolutiva: proprio termina la crescita. La legge del vitale è la crescita costante.

La legge dell’animico è invece il ritmo: un colpo, si arrabbia e poi si riconcilia, ti assale e poi chiede perdono, un giorno è depressivo, un altro giorno maniaco.

E la legge dello spirito? Lo spirito, naturalmente, lavora insieme con l’anima, si serve di correnti animiche, lavora insieme al vitale e lavora nel mondo materiale, se è spirito incarnato com’è quello dell’uomo. Però lo spirito in quanto tale ha la sua legge evolutiva che è la creazione dal nulla, cioè lo spirito dimostra di essere spirito quando inventa qualcosa che prima non c’era. Se lo fa in piccolo magari è lo spirito umano, se lo fa in grande è lo spirito divino.

Cos’è la creazione del mondo, la cosiddetta creazione del mondo? Da dove viene il mondo? Il mondo è la più grossa pensata dal nulla dello spirito creatore. Volete chiamarlo divino? Vabbè, non è necessario chiamarlo divino, lo spirito è spirito. Lo spirito è creatore per natura, altrimenti non è spirito.

Quindi il concetto di spirito, il concetto di creatore e il concetto di divino sono la stessa cosa. Che io dica spirito, che io dica Dio, che io dica creatore è lo stesso. Se l’essere umano (ai suoi livelli, certo) è uno spirito, allora è divino ed è creatore, altrimenti non sarebbe uno spirito. Che poi in questo creare dello spirito ci possano essere gradini di intensità diversa, questo senz’altro; però la natura dello spirito è sempre la stessa altrimenti non è spirito, altrimenti è anima.

L’animale non è in grado di creare nulla, zero virgola zero zero zero zero. Anche se c’è sempre il tizio che dice: Questo vale per tutti gli altri cagnolini, ma il mio cagnolino è un po’ creativo… Sì, forse tutti gli altri animali… ma il mio è diverso!

La creatività degli animali è zero virgola zero zero zero… continuate pure ad aggiungere zeri all’infinito, perché non ha uno spirito, ma proprio nulla di spirito. Sarebbe complesso entrare nei fenomeni dell’addestramento che noi interpretiamo in un modo del tutto sbagliato.

Se prendete un cavallo qualsiasi e gli mettete davanti tutta una serie di dadi, o di cose qualunque, per esempio una serie di diciotto, e lo abituate a mettersi in rapporto con questa serie battendo una zampa mentre voi contate e quando arrivate a diciotto gli date una zolletta di zucchero e contemporaneamente gli fate battere la zampa più forte – cioè mettete sempre il diciotto in rapporto con un pezzettino di zucchero che lui si piglia se però batte più fortemente con lo zoccolo – voi potete dirgli: Conta fino a diciotto!, e lui batterà fino a diciotto e quando arriverà a diciotto pesterà lo zoccolo un po’ più forte perché a quel punto lì piglierà lo zucchero.

Al che poi dicono: Ah, vedi?, sa contare, quindi c’è un inizio di raziocinio! Invece no, nulla. E poi, in tutta onestà, dobbiamo ammettere che se gli animali avessero anche soltanto un inizio di raziocinio, di spirito creatore, in tutti i millenni che hanno avuto a disposizione, come l’uomo, avrebbero fatto evolvere il loro spirito. Invece la scimmia è rimasta scimmia, il cavallo è rimasto cavallo. Il bambino piccolo parte alla pari con la scimmia, ma nel giro di pochi anni va avanti di millenni di evoluzione. A 14-13 anni, adesso anche a 12 anni dice: No, no, no, io voglio fare le cose come vanno a me!

Quando arriva il cane a fare questi ragionamenti?

Quindi abbiamo un mondo che gioca, che suona, diciamo, le sue melodie su un violino a quattro corde. E le quattro corde cosmiche sono:

1- la corda delle forme

ciò che è morto (es. una pietra)

2- la corda delle metamorfosi o del principio di trasformazione

il vivente (es. le continue trasformazioni della pianta)

3- la corda del vissuto

l’animico (il vivere, il sentire un’emozione, una passione)

4- la corda del creare

lo spirito (l’inventiva, la creazione dal nulla)

Quando noi chiediamo ad una persona, alla persona che ci è più vicino: chi sei tu? o a noi stessi: chi sono io?, la risposta è: io sono un’invenzione unica. Questo è il livello dell’Io, dello spirito individuale, questa è la definizione dell’Io, dello spirito. Perché se tu non hai immesso nel mondo, con il tuo essere, qualcosa di unico, se tu non sei nel mondo una creazione dal nulla che è diversa da tutto il resto, allora sei il risultato di qualcosa d’altro e non sei uno spirito.

Se sei uno spirito sei una creazione unica, dal nulla. È una gran bella cosa, se uno ci riflette, che l’Io vero, insieme all’Angelo custode, insieme a Gesù Cristo, al Logos universale, abbiano concepito ogni Io umano con una creazione dal nulla, unica, che non copia nulla, ed è diversa da tutte le altre creazioni!

Che poi noi ci riduciamo alla salsa di gruppo che è l’anima, o a quelle correnti del vitale che sono sparse in tutta l’umanità, o che addirittura ci lasciamo accattivare dalle leggi del morto, del minerale, questo dipende dalla nostra libertà. Perché se lo spirito, la legge dello spirito, è quella di creare dal nulla vuol dire che non “deve” farlo, perché se è costretto allora crea “dalla costrizione”, non “dal nulla”.

Fa parte dello spirito l’assoluta libertà, e quindi i grandi peccati sono peccati di omissione: ometto di vivere sempre di più al livello dell’unicità del mio Io che crea dal nulla ed immette nell’uma-nità qualcosa che soltanto Io posso immettere, di cui soltanto Io posso arricchire l’umanità. Se ometto questo livello di creatività dello spirito mi riduco a quello che c’è non per libertà ma per natura, cioè all’elemento dell’anima, all’elemento del vivente, all’elemento minerale morto delle forme fisse.

Possiamo aggiungere che, se è vero quello che stiamo dicendo (benché naturalmente ci arrabattiamo un pochino ad esprimere in parole queste cose così fondamentali, così alte), deve risultare vero che nella misura in cui l’essere umano non mette in atto questo elemento specifico del suo spirito, non può essere felice. Perché non si realizza. Questo ci spiega perché la depressione che viene vissuta a livello dell’anima cresce nell’umanità di oggi. Perché, da un lato, l’evoluzione dello spirito umano è a un punto tale che potrebbe veramente diventare sempre più individuale, sempre più creativo e, dall’altro lato, nella misura in cui viene omessa questa creatività individuale, l’uomo si sente sempre meno realizzato, sempre meno soddisfatto.

Perché non è possibile una depressione vera e propria in un bambino di 5 anni? Perché non ha ancora conseguito la facoltà reale di essere creatore come spirito: lo è in potenza. Quindi, man mano che l’umanità va avanti nell’evoluzione, o il singolo essere umano diventa sempre più individualizzato e creatore, oppure aumenta sempre di più il senso di non realizzazione e quindi il senso di depressione e di scontentezza.

Che poi questa unicità – chi sono io? chi sei tu? – dal contenuto ricco, in un certo senso inesauribile, non si scopra in un giorno e neanche in un mese, questo lo può capire ognuno. Ma ogni giorno ti è offerto per dare a te stesso la fiducia, così come tu la dai ad ogni altro essere. Questo è il compito dell’evoluzione. Incoraggia te stesso e incoraggia ogni altro uomo ad essere sempre più creativo, e man mano che uno prova varie cose, man mano che uno fa degli sbagli, trova sempre di più la sua identità perché scopre sempre meglio ciò che non fa per lui, ciò che non gli riesce bene e scopre sempre meglio ciò che gli riesce bene.

Se uno è pittore non vale nulla dire che ci sono tante migliaia di pittori, perché questo pittore qui dovrà, prima o poi, scoprire il suo modo unico, creatore, originale di essere pittore. E se è veramente un pittore, se è sceso dal mondo spirituale incarnandosi con la stoffa del pittore in quanto spirito, allora porta in sé, alberga in sé in un modo del tutto unico la potenzialità di esprimere il pittorico, il colloquiare dei colori tra di loro, il linguaggio che i colori creano parlandosi insieme. Basta che lo scopra esercitandosi, provando e riprovando.

E se un pittore mi porta incontro la segnatura unica del suo spirito, io, guardando un quadro, devo poter dire: questo non può essere un Raffaello, questo deve essere un Leonardo da Vinci. E cosa me lo fa dire? L’unicità dello spirito di Raffaello, l’unicità dello spirito di Leonardo che sono diversi, sono due individualità, due mondi diversi.

Non so se vi ho già raccontato questo fatto: nella letteratura tedesca, come sapete, ci sono Schiller e Goethe, due stili del tutto diversi. Per esempio, Goethe usa quasi sempre immagini, raramente concetti astratti. Schiller quasi sempre concetti astratti, è un poeta sommo, ma di poche immagini. In Germania hanno voluto mettermi alla prova leggendomi delle poesie sconosciute, o poco conosciute, dei due poeti. Pensando di aver scovato un Goethe molto simile a Schiller e uno Schiller molto simile a Goethe, mi hanno chiesto di indovinare : non ne ho sbagliata nessuna, proprio nessuna. Ho sempre detto: questo è Schiller, non può essere Goethe; questo è Goethe, non può essere Schiller. Il carattere unico dello spirito umano!

Con Dante lo si potrebbe fare, tra l’altro, se si conosce il Dante della Divina Commedia. È povertà di spirito che queste cose non le coltiviamo più, veramente. Non è che io sia laudator temporis acti però Dante è Dante, la lingua italiana vive di questa ricchezza originaria del linguaggio italiano.

Se uno studiasse la Divina Commedia come si faceva ai miei tempi (io l’ho fatto a Firenze, all’Abbadia Fiesolana) arriva al punto di entrare nello spirito della lingua italiana. Dante incarna archetipicamente lo spirito della lingua italiana. Steiner, che qualcuno di voi conosce, dice: la lingua italiana, dopo Dante, non può fare immanentemente nessun passo in avanti. La lingua italiana, per natura, non può diventare più alta, più profonda, più ricca, più metafisica, più divina di quanto già è in Dante.

Per quel che riguarda la lingua tedesca, non può diventare migliore, più perfetta di quanto è in Goethe. Anche Steiner è molto più modesto di Goethe: il compito di Steiner non era di propinare un tedesco ancora più bello, no no, è molto più modesto il tedesco di Steiner! Per lui si tratta di contenuti.

In fatto di perfezione creativa, lo spirito della lingua italiana, parliamo di spirito eh?!, ha una sua unicità, come tutte le lingue del resto, non è scambiabile con nessun altro spirito, e si è manifestato, si è incarnato nella sua forma più pura in Dante. Per cui deve essere possibile che se qualcuno ci porta tre righe, quattro righe, noi possiamo dire: questo non può essere Dante! Oppure: questo deve essere Dante!

C’è un cammino, tutto aperto, alla creatività dello spirito, che è la chiamata di ogni essere umano. Ogni essere umano è potenzialmente, proprio divinamente creato come spirito creatore e più esprime, più realizza questa unicità del suo essere, più gode di questa partecipazione al divino essendo creatore, e più potrà mietere la riconoscenza, la gratitudine degli esseri umani che gli diranno: quanto è bello l’arricchimento che tu solo puoi portare nel mondo!

E questo vale per ognuno. Ogni essere umano è una creazione dal nulla, un arricchimento che soltanto lui può portare.

L’ultima volta ci siamo lasciati a una soglia, nel vangelo di Giovanni, che è la soglia dell’umanità di oggi. Abbiamo finito con la sepoltura, se vi ricordate, e ci siamo detti: la prossima volta ricominciamo con la resurrezione. La sepoltura è la fine del mondo materiale: c’era stato questo Gesù di Nazareth, chiamatelo come volete, non si sapeva neanche chi fosse suo padre, chi fosse sua madre, da dove venisse, uno che comunque aveva creato problemi tali che l’avevano fatto fuori e perciò adesso è sparito. Questo mondo-Gesù-di-Nazareth, come mondo di percepibilità sensibile, è finito. Cosa ci resta?

Voltiamo pagina, cominciamo il ventesimo capitolo e la prima cosa che ci salta agli occhi sono le cosiddette apparizioni del Risorto, cioè i modi in cui i discepoli percepiscono il Risorto. Tra l’altro, per tutte le donne che sono qui in sala, dico in anticipo che il vangelo di Giovanni è l’unico che ci presenta, anche a livello storico, il primo essere umano assurto alla capacità spirituale, in qualche modo sovrasensibile, di percepire il Risorto: non è un maschio, anche se il Cristo era stato circondato da 12 maschietti, ma è una donna, Maria Maddalena.

Questo è importantissimo nel vangelo di Giovanni e ci dimostra, tra l’altro, la modernità assoluta di questo testo. Non è l’elemento fisico che ha accesso diretto allo spirituale, ma è l’anima che fa da tramite fra il materiale e lo spirituale. Vedremo che Pietro rappresenta maggiormente la pietra, l’elemento minerale, materiale (elemento legittimo, naturalmente), e vedremo la fatica che farà per capire il mistero della tomba vuota. Giovanni-Lazzaro rappresenta maggiormente lo spirituale.

Maria Maddalena è la prima che ha una visione di due angeli vestiti di bianco: uno seduto dove c’era il capo, l’altro dove c’erano i piedi del Cristo, quando è stato deposto nel sepolcro.

Quindi ci troviamo nel vangelo a questa soglia, dove tutto ciò che era fisicamente percepibile di questo Gesù di Nazareth sparisce e la prima affermazione che ci viene presentata è che il modo di vivere il Risorto da parte dei discepoli è diverso da persona a persona, cioè individualizzato.

Non ci troviamo di fronte qui ad una Chiesa di discepoli che celebra una messa uguale per tutti – ma non prendete in chiave polemica quello che sto dicendo, è inteso in chiave di riflessione oggettiva –, no, non è questo che il vangelo ci presenta come esperienza del Risorto. Quelle che questo vangelo ci presenta, e vale anche per gli altri vangeli, sono esperienze di individui, in ognuno diverse. Tanto è vero – e qualcuno di voi forse lo ricorderà, o anche chi ha studiato Steiner, la sua scienza dello spirito – che i vangeli diventano particolarmente difficili nelle apparizioni del Risorto, nei racconti della Resurrezione.

Perché? Perché prima della morte c’era la falsariga del fatto storico, c’era la falsariga di quello che si vedeva e si sentiva. Quindi lì c’era un aiuto. Una volta che il Cristo Gesù è morto non c’è più il sostegno oggettivo, uguale per tutti, di ciò che è fisicamente percepibile: non c’è più la percezione sensibile esterna perché tutte le apparizioni del Risorto sono percezioni ad altri livelli.

Scompare la percezione sensibile. Ci troviamo a questa soglia del vangelo, la soglia più importante, no?, dove l’elemento di percezione sensibile termina e l’uomo viene confrontato con lo spirito del Cristo, con l’anima del Cristo, con le forze eteriche vitali del Cristo, ma non col fisico. Il fisico non c’è più, tanto è vero che Maria Maddalena, subito, all’inizio del ventesimo capitolo, va alla tomba e la vede vuota. Che fa? Dice forse: allora è risorto!? No, no, no. Cosa pensa? Pensa: chi l’ha rubato? Corre da Pietro e da Giovanni: l’hanno rubato, l’hanno rubato, l’hanno rubato!

L’umanità di oggi si trova a questa soglia: conosce solo il mondo materiale, sa fare l’esperienza solo del mondo materiale perché questo è il cosiddetto peccato originale: viene chiamato così, ma non è un “peccato”, era un necessario inserirsi dello spirito umano nel mondo della materia per acquisire l’individua-zione.

Oggi son passati duemila anni dal mistero del Golgota. Il Sole impiega 2.160 anni – tutti, oggi, ci intendiamo di astronomia, no? Avete sentito che hanno degradato Plutone? Poveretto, non è più un pianeta. L’ha deciso il congresso degli astronomi, con una risoluzione a maggioranza e quindi i pianeti adesso sono otto – per passare da un segno zodiacale all’altro, cioè trascorre 2.160 anni in ciascun segno zodiacale. Quindi ogni 2.160 anni c’è un cambiamento di registro possente, fenomenale, assoluto nella conduzione culturale ed evolutiva dell’umanità (lo vedremo soprattutto nell’ultimo capitolo, il ventunesimo, dove c’è un mandato di Pietro e un mandato di Giovanni).

Noi ci troviamo, oggi, verso la fine di questi 2.160 anni, non proprio alla fine, però le cose non sono puramente matematiche – il tal giorno, la tal ora. Soprattutto è importante che noi abbiamo la gioia e anche la gratitudine di poterci trovare, diciamo, un pochino privilegiati perché non sono sei miliardi di persone che si occupano di queste cose, ma siamo in pochi. Significa allora che è nel nostro karma, e anche nel nostro compito, di precorrere un pochino i tempi rispetto al grosso dell’umanità. Qui stiamo facendo dei discorsi che per tutta l’umanità, magari, saranno più attuali fra 160 anni, però ci vuole qualcuno che li prepari, altrimenti l’umanità si troverebbe del tutto spiazzata.

Possiamo perciò dire che ci troviamo nel grande passaggio dal cristianesimo petrino al cristianesimo di Giovanni (e vedremo subito in questo ventesimo capitolo come reagiscono Pietro e Giovanni-Lazzaro di fronte alla tomba vuota). Il cristianesimo petrino doveva accompagnare l’umanità per i primi 2.160 anni: adesso comincia a finire il suo tempo e noi percepiamo che se l’umanità non comincia a creare basi nuove, proprio a ritrasformarlo, a reinterpretarlo, a capirlo in un modo del tutto diverso, rischiamo di perdere addirittura il cristianesimo stesso.

E in che cosa consiste questo passaggio per l’umanità che negli ultimi 2.000 anni è scesa ancora di più nella materia (il peccato originale), si è identificata ancora di più con il mondo della materia tant’è vero che non capisce più nulla dello spirito, e lo nega, addirittura?

Il punto infimo dell’oscuramento della coscienza umana non è stato 2.000 anni fa, ma è nel nostro tempo. Possiamo chiederci: ma allora perché il Cristo non ha aspettato a redimere l’umanità, prendendola oggi nel punto infimo? Un modo di rispondere a questa domanda, che è molto complessa, quindi solo un avvio di risposta, visto che gli aspetti sono sempre tanti, è che se il Cristo avesse aspettato altri 2.000 anni non ci sarebbe stata più nessuna possibilità, neanche minima, di riconoscerlo.

Quindi doveva venire all’undicesima ora. Questo è il concetto di undicesima ora: l’undicesima ora anticipa le forze che vanno in su, però l’evoluzione va ancora per tutta un’ora ancora più in giù. I presupposti per risalire sono seminati nell’umanità.

E poi ti arriva una scienza dello spirito veramente solida nei suoi fondamenti, tetragona ai colpi di sventura, questa scienza creata dal nulla quasi un secolo fa da Rudolf Steiner, e ogni spirito umano può, liberamente, a sua volta creare dal nulla partendo da queste basi. Steiner, infatti, non ha fatto il lavoro al posto degli altri spiriti umani. Ha messo delle fondamenta, ha creato una terminologia dicendo agli esseri umani: adesso diventate creativi, ognuno a modo suo, su questa base.

In fondo, quando noi, usando la terminologia della scienza dello spirito, diciamo che ci sono il fisico, l’eterico, l’astrale (o animico), e lo spirituale, cosa abbiamo? Abbiamo un violino con quattro corde, ma la musica non c’è ancora. E che musica salta fuori? Ogni essere umano viene incoraggiato a creare melodie dal nulla. È compositore, altrimenti non è uno spirito. E dimostra di essere uno spirito non dicendo: ma se Steiner ha già messo lì questo violino allora non c’è più nulla da fare!, ma lo dimostra suonando. Se sei uno spirito suona, e suona in un modo diverso da tutti gli altri esseri umani! Non suonare la composizione di un altro, ma componi tu stesso.

Qual è il termine artistico della creazione dal nulla? Gli italiani amano questa parola, mentre in tedesco non c’è neanche: improvvisare. Quella è la creazione dal nulla: un’improvvisazione perfetta. Qualcuno ha detto che si possono improvvisare bene soltanto le cose che si sono esercitate per tutta una vita: cioè uno spirito umano può “improvvisare” bene soltanto ciò che da sempre ha in sé, perché è una dimensione del suo spirito. Solo che questa dimensione del suo spirito non si era mai manifestata. Adesso, come una sorgente, salta fuori, e uno sente e guarda e dice: ma è una creazione! Sì, ma in realtà crea qualcosa che c’era da sempre: viene portato all’essere, al livello del mondo in cui viviamo, qualcosa che spiritualmente c’era. Quindi lo spirito, la definizione dello spirito, è quella di una potenzialità immanente di creazioni infinite.

Qual è il concetto di bravo maestro? È uno che sa improvvisare bene. Se ha bisogno delle regole pedagogiche, se ha bisogno delle norme di didattica, se ha bisogno che gli si dica cosa e come deve fare, ai tempi miei dicevano: ma vada a pascere i gallinacci! Non è un insegnante. Un vero insegnante sa, proprio da questa sorgente interiore, come porsi di fronte a questo bambino, a quest’altro bambino, a quest’altro bambino. Lo sa dall’ispirazione del suo spirito. Lo sa perché la mattina, nella meditazione, si è posto di fronte allo spirito dell’alunno dicendogli: noi ci conosciamo da qualche millennio e che cosa ci siamo detti? E tu stamattina, fra due o tre ore, mi verrai incontro come un nanerottolo di sette anni, e cosa ti aspetti da me? Ti aspetti da me quello che mi hai detto 30 anni fa, 40 anni fa quando eravamo ancora tutti e due nel mondo spirituale: guarda che io quando vengo sulla Terra ti acchiappo come maestro, eh? Perché soltanto tu sei il mio maestro, la mia maestra, e guai a te se non mi porti incontro quello che io cerco e che posso ricevere soltanto da te!

Domanda: a che servono le norme pedagogiche? Una norma vorrebbe fare tutti i maestri uguali. Un assurdo! Un assurdo! Un impoverimento, un livellamento che è disumano nel modo più assoluto. E poi, tra l’altro, dovrebbe essere lo Stato, dovrebbero essere uomini di Stato quelli più illuminati in fatto di pedagogia!!! Ma viviamo in tempi di barbarie, altro che civiltà! Un politico che emette decreti in campo pedagogico!

Se oggi ci fossero degli scolastici vissuti nel Medio Evo ci direbbero: ma voi siete andati mostruosamente indietro! Siete diventati trogloditi rispetto a noi! Noi avevamo una libertà nella cultura, nella vita spirituale, nella pedagogia. Noi, nel Medio Evo, lasciavamo al professore, al maestro come trattare i suoi allievi, non gli davamo le leggi dello Stato che gli dicono: tu devi far così! Siete barbari! Ce lo direbbero molto forte.

E barbari siamo. Ma perché? Per via del materialismo. Conosciamo in tutte le sfaccettature il mondo della materia, ma abbiamo perso di vista tutto ciò che non è materia e che riassumiamo con la parola energia. Quando qualcuno parla di energia, lì stiamo zitti. Tutto ciò che ha a che fare con l’energia è questione di fede, perché lì la conoscenza scientifica non esiste.

Affrontiamo questa soglia, alla quale ci troviamo nella nostra spiegazione del vangelo di Giovanni. Se volete leggiamo insieme gli ultimi versetti del capitolo 19, dal v.38 al v.42, un pochino nello spirito di quello che ho cercato di dire, così, balbettando, ma con tutta onestà e anche serietà, posti di fronti a tutta la compagine anche di drammaticità dell’umanità di oggi. Tutti i problemi del terrorismo, tutti i problemi delle guerre che abbiamo (fra poco metà di ogni popolo cosiddetto civilizzato, vedi l’Italia, dovrà mandare metà del suo popolo come militare, a terrorizzare tutto il mondo)… dov’é l’origine di tutta questa disumanità, dov’é? È il materialismo. La radice più profonda è il materialismo.

Se noi avessimo milioni e milioni di persone che conoscono scientificamente sempre di più (e godono di questo conoscere) i mondi del vivente, i mondi dell’animico e, soprattutto, i mondi dello spirito, nessuno di noi vorrebbe avere, per quanto riguarda il materiale, più di ciò che è necessario come strumento per godere sempre di più lo spirito e l’anima. E tutto il resto, quel che non è strettamente necessario, via, via, via!, diventa zavorra insopportabile.

Per quanto mi riguarda voglio dirvelo in un modo assolutamente chiaro: non sto facendo questioni di lana caprina per le quali noi ci tiriamo via dal mondo di oggi e per questi tre o quattro giorni andiamo in brodo di giuggiole sul vangelo di Giovanni dimenticando il mondo! No! Qui o noi andiamo alle radici del dolore che c’è nel nostro mondo e ci facciamo veramente dei pensieri sul modo di non rendere più necessari questo dolore e queste guerre, oppure andiamo a casa. Non mi interessa venire dalla Germania per fare teorie, proprio non mi interessa, ho abbastanza da fare!

Quello che facciamo qui è la cosa più necessaria, più impellente, più urgente che ci sia per alleviare, per lenire la sofferenza enorme che c’è nel mondo: le guerre che hanno tutte la loro origine nel materialismo. Non nell’egoismo, perché dire che il problema è l’egoismo è solo un moraleggiare! L’egoismo lo deve avere ognuno, l’egoismo è il sano amore di sé: in quanto amore di sé l’egoismo va benissimo perché nessun uomo può dare qualcosa agli altri se non ama se stesso in modo da costruire in sé il meglio da dare. Il problema, la radice della disumanità e della sofferenza del mondo d’oggi non è l’egoismo, è il materialismo!

La guerra in Iraq che ha creato una recrudescenza del terrorismo, che ha creato una disumanità tale che ogni volta che prendiamo un aereo vediamo che ormai non ci possiamo neanche più muovere liberamente, il motivo più profondo di questa guerra è che qualcuno voleva il petrolio. È il materialismo, la radice! La cosa è lampante, e non è che io voglia adesso semplificare cose che sono complesse: abbiamo il diritto di andare ai fattori centrali. Non sto dicendo che non ci siano altri aspetti, però questo è un aspetto fondamentale. E se i politici, anche in Italia, non hanno il coraggio di dirlo in faccia al potente, al primo potente, tocca a noi dirlo, tocca a ogni individuo, perché se nessuno lo dice…

Farci una bella goduta del vangelo di Giovanni senza dirci queste cose sarebbe un tradimento dell’umanità. O facciamo queste cose perché appartengono proprio al nostro vivere con l’umanità di oggi, oppure lasciamole perdere.

La soglia a cui ci troviamo in questo vangelo è proprio la soglia dell’umanità di oggi: o riconquistiamo la realtà creatrice dello spirito oppure ognuno di noi getta l’umanità in un abisso di sofferenza sempre più terribile! Ma sono io a farlo, non gli altri!, se non coltivo lo spirito, se non godo lo spirito. L’umanità è fatta di individui, e i tempi in cui si manovravano gli individui per gruppi e per popoli sono finiti. Quando si ricade in questi anacronismi, succedono le tragedie del nazionalsocialismo, per fare soltanto un esempio, o del fascismo in Italia.

La cruna dell’ago dell’evoluzione in divenire è l’individuo. E se vogliamo un’umanità dove ci sono cento milioni di persone che godono e coltivano lo spirito, duecento milioni, questi milioni non saltano fuori insieme, saltano fuori uno alla volta, ognuno per creatività individuale. Oppure non ci saranno mai questi duecento milioni, e l’umanità non sarà mai migliore.

Allora, leggo la fine del diciannovesimo (che abbiamo già letto nel nostro ultimo incontro) e l’inizio del ventesimo capitolo, per darmi una calmata.

19, 38 “Dopo questi fatti Giuseppe d’Arimatea, che era anche discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Venne dunque e prese il corpo di Gesù.”

Tenete conto che un testo tradotto in italiano (col bel proverbio italiano, papale papale, che dice: traduttori traditori), trito di 2.000 anni, poi impolverato da un fenomeno esterno, culturale, di cosiddetto cristianesimo, va a vedere fino a che punto, un testo così, ha ancora a che fare con lo spirito di 2.000 anni fa. Teniamo presente che adesso io vi leggo la traduzione sancita dalla CEI. In Italia altre non ce ne sono. Ma c’è qualcuno che non sa cos’é la CEI? Conferenza Episcopale Italiana. Quindi ci riserviamo anche di spolverare un po’ la traduzione.

19,39 “Vi andò anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre”.

19,40 “Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici secondo l’usanza di seppellire dei Giudei”.

19,41 “Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo” il sepolcro è l’immagine del minerale morto, il giardino è l’immagine del vivente, delle forze viventi “nel quale nessuno era stato ancora deposto”.

19,42 “Là, dunque, deposero Gesù a motivo della Parasceve dei Giudei” la Pasqua “dato che il sepolcro era vicino”.

Adesso iniziamo la parte nuova.

Intervento: Posso dire una cosa prima che cominci?

Archiati: Ecco Luciana, sapete che è l’organizzatrice. A cena m’ha fatto una pappardella sul fatto che ci sono due microfoni e può parlare soltanto chi ha il microfono in mano. Ma evidentemente adesso lei vuole fare un’eccezione…

Intervento: No, ho il microfono, non lo vedi?

Archiati: Dai, ho dato a lui un po’ di tempo per dartelo in mano!

Intervento: Un po’ di tempo ci vuole… In questi ultimi versetti ci eravamo soffermati e avevamo detto che il sepolcro nuovo potevamo considerarlo Terra4, l’incarnazione attuale planetaria della Terra. Vorrei però che tu ti soffermassi un momento sulle parole “nel quale nessuno era stato ancora posto”. Su quel “nessuno”.

Archiati: Se il sepolcro è nuovo…

Intervento: Sì, però la Terra4 esiste da…

Archiati: No, no, no, volevo soltanto dire: “nuovo” e “nessuno” vanno insieme. E questo adesso ti facilita la comprensione di quello che sto per dire. Teniamo presente, però, in chiave metodologica, che io non ti dico: questa è la sola interpretazione. Do spunti di riflessione. La cosa si può considerare anche da un altro aspetto, e da un altro, e da un altro ancora… Questa è la sovranità della scienza dello spirito. Cosa faccio, io, qui? Improvvisazioni, a modo mio. Ognuno è autorizzato a fare le sue improvvisazioni sul vangelo di Giovanni…

Intervento: Col microfono.

Archiati: Allora, tu ci hai riportato a una prospettiva molto vasta, che è quella dei sette gradini evolutivi della Terra, i più grossi che ci siano, dei quali tutto il resto costituisce aspetti particolari. Questo modo di esegesi, questa linea di riflessione, ha un grosso vantaggio e un grosso svantaggio: il grosso vantaggio è che è onniabbracciante, perché è la più vasta che ci sia e tutto il resto poi trova il suo posto lì dentro; il grosso svantaggio che può nascere, se uno non se ne serve in modo giusto, se non la riempie di sempre più particolari, è che resta molto astratta, proprio perché è così vasta.

D’altra parte, siamo agli inizi della scienza dello spirito, mentre la scienza naturale, che noi conosciamo, cioè la conoscenza del mondo visibile, pecca piuttosto di analisi esasperata che di sintesi esasperata – la sintesi manca proprio, perché ogni tipo di sintesi va nel mondo del pensiero.

Viviamo in una temperie spirituale di atomizzazione dello spirito umano che si è perso in questo sepolcro dello spirito che sono le infinite percezioni materiali. Ed ecco allora che la scienza dello spirito ci dà una metodologia complementare, una metodologia di orizzonti vasti, lasciando alla creatività di ognuno di riempirli, poi, con sempre più particolari. È una gran bella cosa.

Allora, la tua domanda si riferiva (e se sono un po’ fuori me lo dici) all’evoluzione planetaria della Terra: a Terra1 c’è stata una prima incarnazione, o manifestazione, della Terra, seguono poi Terra2, Terra3 e Terra4, l’attuale. (Fig. 1)

Tra l’altro Aristotele ne parla: non in questi termini, ma se uno, anche qui a Roma, alla Gregoriana, studia (come si faceva ancora ai miei tempi, otto semestri in latino, ve l’ho già detto) i quattro regni della natura: minerale, vegetale, animale e umano, vedrà che dall’uno al successivo c’è un salto qualitativo. L’affermazione fondamentale di Aristotele e della scolastica (e della scienza dello spirito) è che tra questi regni non c’è continuità. Per esempio, tra l’animale e l’uomo non c’è continuità, c’è un salto qualitativo. Ora, questo salto la scienza dello spirito lo descrive nella sua realtà dicendo: la prima manifestazione della Terra aveva alla base, come forza evolutiva, il minerale.

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Fig.1

Ora, il minerale non può evolversi passando nel vegetale per continuità, perché il minerale resta sempre minerale e non può mai diventare vegetale.

Per far sorgere il vegetale bisogna che dal mondo spirituale lo spirito creatore immetta nella Terra un nuovo, assolutamente nuovo principio evolutivo. Allora, questa Terra che ha come principio conduttore di evoluzione le leggi del minerale, deve terminare, proprio deve cessare di essere il fattore conduttivo dell’evolu-zione, e deve sorgere una Terra2 tutta diversa. Una creazione dal nulla.

E questa creazione è dal nulla, proprio perché è tutta diversa, è tutta nuova. Questa creazione ha come principio evolutivo il vegetale, quindi il minerale si pone alla base, non è più il fattore portante. È tutto diverso. Un conto è un’evoluzione nella quale le leggi del minerale, delle forme fisse, sono quelle conducenti, determinanti, e un conto è un tipo di evoluzione dove tutto ciò che è minerale fa da base e, come fattore evolutivo vero e proprio, subentra il vegetale.

Questo vale per Terra1 e Terra2, e se pensassimo che Terra2 debba andare avanti all’infinito, allora non staremmo qui come esseri umani a parlarci a vicenda. Infatti dobbiamo constatare che non soltanto è subentrato l’animale, ma anche l’uomo. Allora, di fronte a Terra2, ci diciamo: mancano ancora due passi, e lo possiamo dire per percezione insindacabile della realtà che ci circonda.

Allora, l’affermazione che facciamo è che per arrivare a Terra3 bisogna cancellare Terra2 e bisogna che Terra3 sia tutto un altro tipo di creazione, dove il principio conducente, determinante, dell’evoluzione è quello astrale, cioè animale, animico, e dove il minerale e il vegetale sono sub-servienti, cioè fanno da base, sono le condizioni necessarie del fenomeno animico. Questa Terra3 è un’altra creazione dal nulla. Bisogna annullare le leggi evolutive di Terra2, altrimenti non può saltar fuori Terra3 con tutt’altre leggi evolutive.

Voglio dire (e poi arrivo alla tua domanda specifica) che se noi, da spiriti moderni, magari aiutati un po’ da un primo inizio di scienza dello spirito (ma neanche è necessario), studiassimo con forza di spirito sia Aristotele sia Tommaso d’Aquino, io ritengo che potremmo arrivare, senza averla letta, alle affermazioni fondamentali de La scienza occulta di Steiner che, per chi non lo conoscesse, è il testo fondamentale sull’evoluzione. Il titolo è una brutta traduzione in italiano, io avrei evitato la parola “occulta”, nella cultura italiana: “La scienza dell’invisibile” sarebbe meglio. In tedesco si intitola Die Geheimwissenschaft. Comunque, è stato tradotto così dagli antroposofi italiani.

È il testo fondamentale di Steiner sull’evoluzione della Terra e dell’uomo, e pone alla base sette gradini, di cui vi ho accennato i primi tre. E sto dicendo che se l’individuo avesse una penetranza di spirito sufficiente, cosa possibile al gradino evolutivo di oggi, da masticare e capire fino in fondo il suo Aristotele, magari leggendolo in greco, e il suo Tommaso d’Aquino, magari masticandolo in latino, arriverebbe a dire che ognuno dei quattro livelli rappresenta una creazione dal nulla, altrimenti non ci sarebbe un salto qualitativo. In fondo, la scienza occulta di Steiner ti presenta le cose al livello scientifico-spirituale ma riprende le affermazioni fondamentali di Aristotele.

Quindi, a Terra3 subentra il fattore animico-animale e a Terra4 subentra il fattore umano. Terra4 è il quarto sepolcro, è il mondo visibile nuovo, del tutto nuovo, perché gli altri tre erano tutt’altra cosa. In questo sepolcro non è stato ancora sepolto nessun uomo perché nel primo sepolcro è stato sepolto il minerale, per farlo risorgere nel secondo come base del vegetale; nel secondo sono stati sepolti il minerale e il vegetale, per poi farli risorgere; nel terzo sepolcro sono stati sepolti il minerale, il vegetale e l’animale. L’uomo ha un sepolcro nuovo, il quarto, in cui nessun uomo prima era stato sepolto.

Intervento: Questo “nessun uomo era stato sepolto” non mi entra in testa.

Archiati: Perché lo spirito umano non c’era, prima.

Intervento: Appunto. Non era mai stato sepolto nelle incarnazioni planetarie precedenti, ma in Terra4, ancor prima dell’evento del Golgota, è già il nuovo sepolcro di tutta l’umanità.

Archiati: No, no, no. Terra4, intesa dall’inizio alla fine, è un solo sepolcro.

Intervento: Ah!, stiamo ragionando in termini di sintesi…

Archiati: E certo, è questo il punto! Sta’ attenta: io ho parlato, mi sono scalmanato un pochino, per evidenziare questa svolta dove ciò che è fisico, materiale, sensibile, sparisce e ti trovi di fronte allo spirito. Quindi, tutta l’evoluzione della Terra è fatta di due parti: la sepoltura, fino a metà, e la resurrezione. E questa sepoltura è una sola. È in questo senso.

Intervento: È la sepoltura dello spirito per farlo risorgere.

Archiati: Dello spirito umano. Per dargli la possibilità di risorgere.

Intervento: La sepoltura della prima metà dell’evoluzione perché alla svolta, all’evento del Golgota, possa risorgere.

Archiati: Certo, proprio questo. E perciò il Cristo, il Logos, l’ha evidenziato come fenomeno archetipico e dice: O spirito umano, la Terra è il tuo sepolcro nuovo – il sepolcro 3, il sepolcro 2 e il sepolcro 1 erano di tutt’altro tipo – per una resurrezione che soltanto il tuo spirito può vivere (Fig. 1).

Quando avvengono questa sepoltura e questa resurrezione? Sempre, sempre, ogni volta che lo spirito umano esce dal sepolcro. Quindi il sepolcro è il mondo della percezione e la resurrezione dello spirito umano è il creare concetti, che sono frammenti del Logos. Però il sepolcro è nuovo e non vi è stato sepolto nessuno: soltanto lo spirito umano può venire sepolto in questo sepolcro e può risorgere da questo sepolcro.

Stavo dicendo: in questa prospettiva così stratosferica, così universale, è chiaro che tanti, infiniti particolari si possono inserire. Però, o è giusta questa prospettiva, oppure… e sta al pensiero dire: è così, certo che è così.

Il primo passo di resurrezione dell’umano è il livello immaginativo: il Cristo come giardiniere. A Maria Maddalena – anticipo un frammento che poi domani affronteremo nel testo – il Risorto appare nell’immaginazione di un giardiniere. La Terra morta che diventa vivente.

Il secondo passo di resurrezione dello spirito umano dal sepolcro del mondo materiale Steiner lo chiama: il livello ispirativo. Il Cristo come consolatore.

Il terzo passo di resurrezione dello spirito umano è il livello intuitivo: il Cristo come Logos creatore.

Il primo gradino è l’immaginazione dove sovrasensibilmente il Cristo viene visto nel mondo eterico, cioè connesso con le forze del vivente, con le forze eteriche che fanno vivere sia le piante, sia gli animali, sia l’uomo. E noi dopo 2.160 anni, dopo 2.000 anni, viviamo nel tempo in cui gli esseri umani diventano capaci di contemplare immaginativamente il Cristo, il Logos, nel mondo eterico, cioè nel mondo delle forze viventi del cosmo.

Riprendo da dove mi ha fermato Luciana:

20,1 Il giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino,

Quelli di voi che hanno letto Le sorgenti della cultura occidentale

I misteri dell’antichità vol. I[1], avranno visto che uno dei tratti più importanti dell’antica iniziazione era che l’iniziando, dopo essere stato messo nello stato catalettico su un catafalco o su una croce per tre giorni e mezzo, veniva risvegliato andando incontro al Sole che sorgeva.

In questo secondo volume che vi abbiamo appena portato dalla Germania in traduzione italiana Le sorgenti della cultura occidentale – Il cristianesimo come fatto storico-spirituale vol. II, Steiner descrive come il cristianesimo sia sorto nella spiritualità degli Esseni, in una certa polarità, in una certa opposizione allo spirito del giudaismo tradizionale che, perciò, l’ha messo a morte perché la spiritualità non combaciava.

Una delle differenze importantissime tra gli Esseni e i Giudei è che i Giudei adoravano Jahvè nella sinagoga, nel tempio, mentre gli Esseni non andavano mai nel tempio, avevano delle grosse sale in pietra. Ma soprattutto la differenza era che quando il giudeo, quando l’ebreo pregava, si rivolgeva verso Gerusalemme, invece gli Esseni, secondo la tradizione esoterica che si rifaceva al mondo egiziano e anche al mondo persiano e indiano, quando meditavano e pregavano, si rivolgevano sempre verso il Sole che sorge, ad est.

Maria Maddalena va verso il sepolcro incontro al Sole che sta sorgendo. Queste immagini sono importantissime, ora si son perse di vista, ma tra chi leggeva, a quei tempi, c’erano ancora persone che capivano subito a che cosa si riferivano.

Nell’esperienza del Risorto da parte di Maddalena, il tempio di Gerusalemme non gioca nessun ruolo. Proprio niente. Invece il Sole che sorge gioca un ruolo fondamentale. Guardate che differenza c’è: (Fig. 2).

Qui a sinistra c’è Gerusalemme col tempio: tutti quanti, in Palestina, dal nord al sud, vanno a Gerusalemme per le feste e quando pregano si rivolgono verso Gerusalemme. È un’immagine di universalità? No. È una religione particolare, legittima eh!, che però vale per un pop

olo. Se sei giudeo ti va benissimo, se non sei giudeo non ti dice nulla.

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Fig. 2

Adesso, qui a destra, abbiamo la Terra e qui abbiamo il Sole che sorge. Quando gli uomini sulla Terra si rivolgono verso il Sole che sorge, sono tutti affratellati, nessuno viene escluso. Questa è un’immagine di assoluta universalità. Il tempio di Gerusalemme ha un significato centrale, legittimissimo, ma solo per i giudei. Il Sole ha un significato centrale per tutta la Terra, per tutti gli uomini sulla Terra.

Già in questo passaggio dal sabato, Maria Maddalena si trova di nuovo a una soglia del divenire fondamentale, una soglia nuova: adesso deve capire che il sabato giudaico ha terminato di essere il principio evolutivo perché ora il Figlio del Sole, il Logos, risorge nella Terra e quindi andare verso il Sole che sorge diventa più importante per Maria Maddalena che non andare verso il tempio. E deve capire che l’umanità si trova in questo passaggio dal celebrare il sabato al celebrare la domenica.

Sabato, Saturday: cos’è il sabato? Sabato è Saturno. Allora, avevo scritto prima (Fig. 1) Terra1, Steiner la chiama Saturno, Terra2 la chiama Sole, Terra3 la chiama Luna, Terra4 la chiama Terra, Terra vera e propria. Ora, la prima metà dell’evoluzione della Terra è stata retta dal Padre, la seconda metà viene retta dall’Essere solare, quindi Maria Maddalena si trova in questo grande passaggio dal celebrare il sabato al celebrare la domenica: Sonntag, Sunday, il giorno del Sole. Perché in italiano si dice domenica e non soledì (come lunedì, martedì...)?

Domenica. Perché nel linguaggio italiano, impregnato di forze dell’anima senziente più che di forze dell’anima cosciente o dell’Io, il Cristo, per questi primi 2.000 anni dell’evoluzione, più che come l’Essere solare che suscita la sovranità di luce e calore in ogni essere umano, è stato vissuto come il Dominus, il Signore, e noi siamo i suoi servitori. È un elemento anacronistico per chi vuole andare avanti nell’evoluzione, però dobbiamo essere tolleranti gli uni con gli altri, perché ci sono tante persone che ne hanno ancora bisogno, ma anche molte persone che scappano via. Fino ad oggi il sacerdote, non vorrei dire cristiano, diciamo pure cattolico, si rivolge ai fedeli e dice: Dominus vobiscum, il Signore è con voi. Se c’è un Signore, un Dominus, si presuppone un servo, o dei servi. E da lì viene la domenica.

Andiamo oltre l’Alpe, dove è successo il terremoto culturale della Riforma protestante: lì mica dicono domenica, ma Sonntag, giorno del Sole, come in inglese Sunday. Quindi in questo passaggio, in questa soglia che Maria Maddalena si trova ad affrontare tra il sabato saturnio, paterno, del padre dei cieli ebraico, e il giorno del Sole, del Logos, del Cristo che apre la seconda metà dell’evoluzione, la cultura italiana, cattolica, si trova ancora all’inizio perché dobbiamo addirittura creare i presupposti conoscitivi per orientarci un po’ in queste cose.

Vedremo domani che non è facile per Maria Maddalena, in termini di cammino di conoscenza e di coscienza, venir catapultata all’improvviso da una matrice culturale saturnia, dove il sabato era il grande giorno di riposo di Jahvè, all’essere adesso interpellata dal Logos solare che la chiama per nome. Soltanto quando Lui la chiama per nome – Mariàm! – riconosce la sua voce.

Steiner direbbe: nel momento in cui sale dal livello immaginativo – dove vede l’immagine del giardiniere e la Terra come un giardino, come un insieme di forze vitali di cui il Logos è l’essenza – al livello di ispirazione uditiva, nel momento in cui ode la sua voce, lo riconosce.

E perché lo riconosce nella voce? Perché Lui è il Logos che parla al cuore umano. Finché resta muto non lo riconosce; nel momento in cui fa sentire la sua voce come Logos, lo riconosce. E vorrebbe subito catapultarsi al livello intuitivo, dell’intuizione spirituale, vorrebbe afferrarlo, ma il Cristo dice: no, no, no, Maria Maddalena, piano, piano, piano… avrai bisogno di tutti i millenni della seconda metà dell’evoluzione per interiorizzare sempre di più la voce del Logos e soltanto quando avrai interiorizzato tutte le parole di sapienza e di amore con cui Lui parla all’umanità, avrai interiorizzato Lui, la sua essenza.

Il livello intuitivo, cioè, è il risultato cumulativo complessivo dell’evoluzione della Terra. In altre parole, essere uomini significa essere uditori in cammino della Parola del Logos, perché le cose che Lui ha da dirci, da narrarci, sono infinite.

Ogni volta che io giro la pagina e inizio una nuova conferenza di Steiner, faccio sempre questa esperienza: il Logos mi parla parole nuove. E poi nuove, e poi nuove, e poi nuove… La scienza dello spirito di Steiner è il narrare del Logos all’umanità di oggi più favoloso, più pieno di fiabe e di meraviglie che ci sia.

Auguro a tutti una buona notte, e domani porteremo a termine il 20° e il 21° capitolo (!).

Buonanotte.

Sabato 26 agosto 2006, mattina
vv. 20,1 – 20,8

Visto che siamo in argomento[2], vorrei dire una parola anch’io, su questo: parto dal presupposto che coloro che vengono a seminari di questo tipo sappiano già in partenza che devono venire non con le tasche vuote, ma con le tasche piene! Noi, poi, facciamo di tutto per trovare posti dove non si spenda molto per il soggiorno, in modo che vi restino molti soldi per comprare tutti i libri che sono là! I soldi che avanzano, naturalmente, li darete al relatore!!!

Al di là della facezia, ci troviamo adesso con la casa editrice in un nodo un pochino difficile, non dico proprio difficile… ma insomma. Il motivo fondamentale è che i prezzi sono veramente bassi, l’avete visto. In Germania questi bei volumi di Steiner (alcuni, tra l’altro, non sono mai stati pubblicati)[3], una persona normale se li compra nell’Opera Omnia della Rudolf Steiner Verlag e li deve pagare 2-3 volte di più. Una casa editrice che cerca di rendere accessibile il pane dello spirito a tutti si sostiene soltanto se ci sono delle persone che accompagnano questo tipo di amore per l’umanità anche per chi non ha soldi.

Questo, secondo me, fa parte in modo essenziale dello spirito che si è incarnato 2.000 anni fa e di cui stiamo parlando continuamente, e fa parte essenziale dello spirito della cosiddetta scienza dello spirito di Rudolf Steiner – che è poi la forma moderna, confacente all’uomo d’oggi e alla donna d’oggi, di quello spirito di 2.000 anni fa.

Se voi mi chiedeste qual è l’essenza di questo spirito, risponderei: è lo spirito umano nei suoi tratti migliori. E l’umano ce l’abbiamo tutti in comune. A chi non mi conosce dico che io sono fatto così, sono contento di essere fatto così: mi interessa ciò che è umano.

Quali sono le due caratteristiche fondamentali dell’umano? La libertà e l’amore. La libertà e la sacralità di ogni individuo, questo significa libertà. Ognuno è una creazione dal nulla, ognuno è un mondo diverso e il modo in cui questo mondo unico si esprime non ha leggi, perché le leggi sono universali mentre il principio della libertà è il principio della unicità di ognuno.

Nessuno ti può dire dal di fuori chi tu sei e come tu ti devi esprimere. Nella misura in cui ti sforzi di essere autentico, di scoprire veramente quali sono le scaturigini, le tue forze originarie, proprio le sfaccettature uniche del tuo essere, darai all’umanità, a tutti gli esseri umani intorno a te, un frammento di beatitudine perché contemplando in te questo modo unico di esprimersi dell’umano tutti diranno: che bello!, soltanto così posso cogliere quest’aspetto dell’umano, perché in un altro uomo c’è un mondo del tutto diverso.

Questo significa libertà. L’umano non è un fattore di gruppo. Tutto ciò che è fattore di gruppo (certo che esistono leggi comuni, ecc.) è il fondamento, è la base, dell’individualità. Così come il suolo, la terra, non determina quali fiori salteranno fuori, o le varie piante: la terra è comune. Nella società ci vuole tutta una parte comune, quindi anche la sfera giuridica delle leggi, un terreno comune che non è fatto per dire all’individuo che cosa deve produrre così come il terreno comune non dice alla viola, non dice alla rosa, non dice al tulipano come devono essere. È il tulipano che, a partire dalle sue forze formanti, interne, uniche di tulipano ti presenta il tulipano; senza terra non cresce, ma la terra non basta per far crescere il tulipano: ci vuole il tulipano.

Quindi libertà significa: l’umano è stato pensato in termini di individui unici. Ciò che è comune è la base, ma non basta. Se uno si riduce a ciò che è comune, si accontenta di ciò che è comune, ha omesso la realtà moralmente più importante che ci sia, cioè la realizzazione del suo Io, della sua unicità. E per questo si avrebbe il diritto di dirgli: ma cosa sei venuto a fare al mondo? Se sei venuto solo a ripetere, a dare, a manifestare in te stesso ciò che già si manifesta in milioni di altre persone, allora non abbiamo bisogno di te. Perché ci fai spendere tanti soldi per mantenerti se non immetti niente, se non immetti una ricchezza tutta tua nell’umanità che ci faccia dire: valeva ben la pena di fare tutto questo sforzo di dargli da mangiare, da bere, per poi goderci tutti questa cosa bellissima che soltanto in lui si manifesta!

Una polarità dell’umano, dunque, è la libertà – naturalmente mi sto arrabattando perché si tratta di cose così grosse, così basilari, che si possono di volta in volta soltanto fare degli accenni, che però sono veramente i fondamenti per la nostra esistenza –, e l’altra polarità qual è? Chiamatela come volete, ma se la libertà è quello che faccio per me, quale altra cosa ci può essere, polarmente? Quello che faccio per la libertà altrui.

Se la libertà vale per me, vale anche per gli altri. Posso io gestire la libertà dell’altro? No, la può gestire soltanto lui, perché il contenuto della sua libertà è la sua unicità. Posso io fare qualcosa per la sua libertà? Certo, perché nessuna libertà può esprimersi senza che ci siano le condizioni necessarie, il terreno. Ognuno di noi, per quanto riguarda la sua libertà, è sovrano: quella la può esprimere soltanto lui, soltanto lui può dire quali sono i contenuti unici del suo io. Però ognuno di noi può (e dovrebbe farlo, altrimenti nessuno potrebbe esprimere la sua libertà) mettere a disposizione dell’altro tutte le condizioni necessarie, il terreno, gli strumenti necessari perché possa vivere in libertà.

Questo rendere possibile all’altro la sua libertà da sempre è stato chiamato amore. Ma usate altre parole, se volete. Non contano le parole. Però la realtà che stiamo indicando con questa parola è enorme, è fondamentale. Quindi quand’è che un individuo ha il diritto di dire a me che mi ama? Ha il diritto di dirmelo a ragion veduta, altrimenti bara, altrimenti mente, soltanto quando mi dimostra che fa almeno qualcosa per rendere veramente possibile la mia libertà, mettendomi a disposizione gli strumenti affinché io possa essere sempre più creativo, sempre più libero, sempre più unico. Questa persona ha il diritto di dire che mi ama.

E questo vale anche per me. Ho diritto di dire a qualcun altro che lo amo soltanto se gli dimostro con i fatti, non con la teoria, di fare quello che posso per rendergli possibile il vivere in piena libertà. L’amore è mettersi al servizio della libertà degli altri nei fatti, non nella teoria.

Questo è l’aggancio alla casa editrice, e il discorso l’ho fatto in chiave di libertà vostra ma anche di amore vostro verso la nostra libertà, se vogliamo continuare a pubblicare. Questo nuovo libro Cultura politica economia[4] devo dire che mi ha fatto veramente sudare! Silvia Nerini ha fatto una bella traduzione, però io ci ho dovuto lavorare 3-4 settimane, mettendo da parte altre cose da pubblicare in tedesco. È un testo fondamentale di Rudolf Steiner, e sarebbe una gran bella cosa se ci fossero tanti piccoli gruppi che lo discutono, si arrabbiano, ecc. …

La cultura è la sfera della libertà individuale, l’economia è la sfera della solidarietà comunitaria, e la politica, o diritto, – ho scelto il termine politica perché in Italia tira di più che non diritto – è l’equilibrio, il ricreare sempre un equilibrio tra la libertà dell’individuo e la solidarietà della comunità. Costa soltanto 12 €, però se uno considerasse tutto quello che bisogna fare in termini economici per mettere sul mercato un libro del genere…

Fate conto, allora, che a nessuno di voi sarà concessa la libertà di lasciare questo seminario senza almeno 10 copie di questo libro!!!... altrimenti la baracca... Casomai, per qualcuno possiamo fare un’eccezione: 5 copie! Comprate questo libro anche per i vostri amici. Tra l’altro, in Germania, questo volume, che è il 332A dell’Opera Omnia, è esaurito, esiste soltanto nella Archiati Verlag, in tedesco, di cui questa che vedete è la traduzione italiana. Perché? Perché tutto il mondo degli antroposofi, che ha seguito la scienza dello spirito con tutta la buona volontà, va in brodo di giuggiole sulla cristologia, sugli Esseri spirituali… e ignora tutto ciò che Steiner ha dato come fondamenti della questione sociale, cioè l’equilibrio tra la libertà del singolo (i suoi talenti) e la solidarietà della vita economica.

Amare l’altro significa aiutarlo ad appagare i suoi bisogni, perché nella misura in cui li appaga è in grado di esprimere i suoi talenti. Di che cosa ha bisogno un essere umano? Quali sono i suoi bisogni genuini? Ognuno ha bisogno di tutto ciò che lo mette nelle condizioni (perciò le ho chiamate condizioni, conditio sine qua non) di esprimere in un modo sempre più creativo i suoi talenti unici: il soddisfacimento di questi bisogni è l’essenza della cosiddetta vita economica. Quindi la vita della libertà creativa è attivata dai talenti individuali, mentre la vita economica si fonda sui bisogni: però l’appagamento dei bisogni non è il fine della vita ma il presupposto, la conditio sine qua non per esprimere i talenti.

Ci sono degli esseri che vivono solo dell’appagamento dei bisogni? Sì, sono gli animali, e questa è proprio la definizione dell’animale. L’animale ha solo bisogni perché non ha talenti individuali, e perciò quando ha soddisfatto i suoi bisogni di mangiare, di dormire, di bere, eccetera, anche di procreare, ecc., non gli manca nulla. Quando l’essere umano ha soddisfatto tutti i suoi bisogni, invece, gli manca ancora tutto! Gli manca ciò che è specificamente umano e cioè l’esplicazione dei talenti.

Quindi questi di Steiner sono veramente testi fondamentali ed è in un certo senso tragico che proprio coloro che nel corso dei decenni hanno coltivato, con tutta la buona volontà, certo, la scienza dello spirito non hanno neanche sfiorato tutta questa faccenda sociale. In Italia questi testi proprio non esistono; in Germania sono esistiti ma nessuno li compera, tanto è vero che a noi hanno detto: voi siete matti a mettere questi testi sul mercato anche in Germania! Eh sì, la vendita non è che sia granché... ma ci vuole un po’ di idealismo, via! Però sta all’individuo prendere in mano questo libro, e lavorarci: va masticato, eh?!

Torniamo al testo, e guardate cosa succede passando dal capitolo 19 al capitolo 20. Dico le cose per sommi capi, come orientamento, poi entreremo nel merito dei versetti e ci avvicineremo ad alcuni particolari. Naturalmente anche il vangelo non ci può dire tutto, perché altrimenti dovrebbe descrivere l’evoluzione di ogni individuo dall’inizio alla fine e non si finirebbe mai. Bisogna avere il coraggio di procedere sempre per aforismi, per indicazioni, per accenni, lasciando alla libertà di ognuno, poi, lo svolgere questi accenni in chiave del tutto individuale.

Allora, prendiamo adesso l’organismo sociale di cui vi dicevo: l’umano. Abbiamo questa costellazione: Giovanni-Lazzaro che rappresenta il fattore di libertà, abbiamo Pietro e Maria Maddalena. Vedremo subito che Maria Maddalena va da Pietro e da Giovanni-Lazzaro e che sono questi due a correre al sepolcro. Pietro è ancorato maggiormente alla tradizione, quindi Giovanni e Pietro sono questo continuo rovello dell’essere umano di creare sempre il giusto equilibrio tra il passato e il futuro. Il passato è il fondamento, il terreno: se io tolgo il terreno, il futuro non può svilupparsi; però, se ho soltanto il terreno e non ci aggiungo mai nulla di nuovo, muoio, sono morto.

Prendiamo Pietro come archetipo del peso morale del passato, della tradizione, e allora da che parte lo mettiamo in termini sociali? Della comunità, perciò della Chiesa, della solidarietà di comunità: perché il passato cos’è ? È ciò che abbiamo in comune, il passato è la legge mosaica.

Già nella struttura che si presenta all’inizio dell’operare del Risorto nell’umanità, abbiamo questa triade, questa struttura ternaria: l’elemento femminile, l’anima che cerca l’equilibrio e va a chiamare gli altri due; l’anima che cerca l’equilibrio, sempre, tra il fattore di libertà individuale, che va verso il futuro, e il fattore di ancoramento al suolo, altrimenti c’è soltanto teoria, astrazione e illusione.

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Fig. 3

L’ancoramento al passato, alla tradizione è il Pietro dentro ogni essere umano, è quello che dice a Giovanni: vacci piano! E il Giovanni dentro ogni essere umano è quello che dice a Pietro: muoviti! E tutti e due ci vogliono, perché bisogna sempre trovare il giusto equilibrio.

Corrono al sepolcro e chi arriva prima?

Interventi: Pietro!... No, Giovanni!

Archiati: Ho appena detto che Pietro è quello che dice a Giovanni vacci piano! In questi minimi particolari il testo è preciso! Ma sta a noi leggere in chiave di interpretazione dell’umano, mica necessariamente di scienza dello spirito… dell’umano! Perché se il vangelo, un vangelo del calibro di quello di Giovanni, ti mette questi particolari, che poi sono delle piccole immaginazioni, a indicare fattori dell’umano e dice che Giovanni corre più veloce e arriva prima, però vede che nel sepolcro ci sono le bende ma non c’è il cadavere e non entra nel sepolcro... c’è da chiedersi: perché non entra?

Lascio a te lo scoprirlo. I motivi per cui non entra sono infiniti. Per esempio: non sia mai che io vado dentro e poi Pietro mi dice: l’hai rubato tu! Per esempio. Al che io posso dirgli: no Pietro, guarda che io non sono entrato, non ci ho messo mano, ho soltanto visto e siccome ti conosco, so come sei fatto, non mi sono permesso di entrare. Quindi tu puoi star sicuro che io lì dentro non sono entrato e ho soltanto visto quello che c’è.

Intervento: Pietro gli crede?

Archiati: Conosce Giovanni, sa che non è in cattiva fede, lo sa che non è il tipo che mente. E se tu invece hai dubbi non sei un bravo Pietro!

Intervento: Può anche voler dire che si dà la precedenza ad una percezione sensibile? Pietro-pietra, no? Quindi sì, d’accordo, l’interpretazione e la vista spirituale, ma questa si deve fondare sempre, prima, su una percezione autentica.

Archiati: Certo, certo.

Intervento: Quindi non campata per l’aria come uno sguardo, così, di immaginazione individuale, astratta.

Archiati: Ma fondata su questi due occhi così come la natura ce li ha dati.

Intervento: Esatto.

Archiati: Certo che rientra nel fenomeno della percezione, e lo vedi tu stesso, proprio mentre ti esprimi, che è convincente in assoluto.

Intervento: Quindi è proprio oggettiva.

Archiati: Sì, ma è convincente in assoluto, nel senso che Giovanni non ha il diritto di togliere a Pietro la percezione del fatto, perché se Giovanni è stato dentro e ha manipolato qualcosa, a Pietro tocca dire: però, caro Giovanni, adesso non so cosa avrei visto, cosa avrei percepito se tu non avessi manipolato le cose.

E allora Giovanni dice: caro Pietro, io quello che c’è da percepire l’ho lasciato intatto proprio per rispettare la tua percezione. Quello che tu ora metterai in moto nel tuo pensiero in base alla percezione, sono affari tuoi. Io la percezione non te l’ho manipolata, l’ho lasciata così come te la offre Colui che è morto ed il cui corpo è sparito. Perché Lui te la offre così.

In altre parole, Giovanni ha la percezione prima di Pietro, perché è corso più veloce, ma non manipola la percezione. Cosa vuol dire mettere a disposizione dell’altro la percezione non contaminata? È uno degli atti fondamentali dell’amore perché è uno dei presupposti fondamentali per la libertà di pensiero dell’altro, affinché possa prendere lui stesso posizione di fronte alla pura percezione. Quindi uno degli atti più importanti dell’amore verso la libertà dell’altro è di fare sempre in modo di lasciare all’altro la percezione non manipolata.

Vi faccio un esempio che mi viene in mente adesso, perché lo leggevo negli ultimi giorni (sto sfornando uno Steiner dopo l’altro in tedesco, adesso, visto che il karma ha voluto che mi venissero in mano tutti i manoscritti, tutte le trascrizioni di stenogrammi originali, per cui c’è parecchio da fare). Lasciare all’essere umano la percezione, non portargliela via, significa non trattarlo come un bambino, no? Significa non dirgli: la percezione ce l’ho io, tu non sei capace di farti i pensieri e allora te li faccio io.

L’esempio che vi volevo dare è questo: nel 1917-18, la sacra Congregazione a Roma, per la prima volta ufficialmente, prese posizione nei confronti di Steiner, mettendolo in una salsa comune con la teosofia, eccetera, in una rivista cattolica Maria Laach, si chiamava allora, sarebbe come Civiltà cattolica in Italia, di stampo gesuitico. C’era scritto che la Congregazione romana aveva decretato che per tutti i cattolici era proibito leggere Steiner, che veniva messo all’indice e si diceva: se tu vuoi sapere quali sono i contenuti di questa eresia devi leggere scritti cattolici su Steiner – come si è fatto in tante cose, no? – perché questo Steiner è un eretico ed è pericoloso.

Adesso a me interessa l’aspetto che tu ci hai evidenziato, anche in considerazione che la Chiesa cattolica non ha smesso di far di tutto perché le persone non leggano Steiner, lo fa oggi tale e quale. Io conosco tante persone che quando dico “Steiner” dicono subito: no no, per carità, per carità! e conosco tante persone che fanno di tutto perché altre persone non leggano Steiner. Son cose vere, mica vi sto parlando di cose inventate...

L’aspetto che adesso c’interessa è: cosa c’è di non giusto, di disumano nel fatto di impedire a qualcuno di leggere lui stesso Steiner? Gli si toglie la percezione! E togliere all’altro la percezione è disumano in assoluto perché gli si porta via la possibilità di crearsi pensieri suoi in base alle sue percezioni.

In altre parole, cosa si sostituisce alla percezione? I pensieri di qualcun altro. Ti dico io chi è Steiner, io ho avuto la percezione, io l’ho letto, proibisco a te di leggerlo o semplicemente ti dico che è pericoloso leggerlo in modo che tu non legga, non abbia la tua percezione. Ti rendo dipendente dai pensieri che io mi sono fatto sulla percezione. In altre parole, mi presento come superuomo: io ho diritto alla percezione diretta, tu no. Ti tratto da bambino.

Perché questo modo di fare è essenzialmente disumano? Prima di tutto perché lede la libertà degli esseri umani, ma soprattutto perché lede la legge dell’amore, quella che metteremo dalla parte della comunità nella Fig. 3, e che è il far di tutto per mettere a disposizione dell’altro gli strumenti che gli permettano di essere sempre più libero.

Intervento: Ma oggi più si proibisce, più si incentiva!

Archiati: Sì, ma sta’ attento che lo dici troppo alla svelta! Lo dici troppo alla svelta. Di rimbambolamenti ce ne sono all’infinito, nel mondo d’oggi. Prendi il rimbambolamento che c’è stato negli Stati Uniti: 280 milioni di persone imbambolate, e tu pensi che sia servito a farli svegliare? Vacci piano con l’affermazione che hai fatto. Funziona, l’abbindolamento, funziona!

Intervento: Poi c’è il silenzio!

Archiati: Eh certo! Se uno non ha la percezione... Manca la percezione… Se Mondadori stampa un libro e le Archiati Edizioni stampano un libro, che differenza c’è ? La differenza più grossa è che uno ha il potere di rendersi percepibile a 100 e l’altra ha il potere di rendersi percepibile allo 0,005: quella è la differenza! E nella misura in cui a voi interessa rendere percepibili libri come questi, nasce anche la responsabilità di farlo. Non è che io vi stia dicendo che dovete farlo, eh?, ma solo nella misura in cui vi interessa offrire la percezione di queste cose a più esseri umani possibile. Vi sto dicendo: o lo facciamo noi o non lo fa Berlusconi, non lo fa la Mondadori! Questo sto dicendo!

Allora “Nel giorno dopo il sabato…”… Luciana, vedi che finalmente arriviamo al capitolo 20, con il tuo permesso vero?

20,1 Nel giorno dopo il sabato Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.

Immagine bellissima: siamo sulla soglia tra la tenebra e la luce, una soglia bellissima. Se vogliamo, è l’eterna soglia tra il passato e il futuro, il passato che diventa sensato e acquista significato soltanto se si fa fondamento, substrato per i mondi sempre nuovi che la libertà e il talento creano. Quindi il passaggio tra la tenebra e la luce è il passaggio tra la percezione e i pensieri che mi faccio io. La percezione è tenebra, se no non è percezione.

L’essere umano vive strutturalmente in questa soglia, è l’essere della soglia che trasforma tenebra in luce, che trasforma chiusura in se stessi, cioè egoismo, in amore. Quando trasforma tenebra in luce vive la sua libertà di spirito creatore, quando trasforma l’egoismo in amore vive il suo calore di essere amante perché rende possibile all’altro la sua creatività.

Paradossalmente, di fronte a questo versetto e a quelli che vengono dopo, dov’è che si esprime l’amore del Cristo (Cristo è pura libertà e puro amore), dov’è che si esprime in modo sommo e puro l’amore del Cristo verso di noi? In altre parole, con che cosa il Cristo, nel suo amore, favorisce al massimo la nostra libertà? Ripeto la domanda, è una domanda interessantissima: dove si esprime in modo sommo, epitomatico se volete, sintomatico, proprio paradigmatico, l’amore del Cristo che consiste nel darci gli strumenti, i presupposti per l’esercizio della nostra libertà?

Interventi: Con la morte… nel pensiero… sparendo … rendendoci la percezione…

Archiati: Nnnno! È tutto giusto quello che state dicendo, però è un po’ lontano dal centro.

Intervento: Non si impone a noi.

Archiati: Sì, ma dillo concretamente, come lo dice concretamente il vangelo. Qual è l’espressione somma dell’amore, nel senso che questo amore è sommo in quanto rende possibile la massima espressione della libertà da parte nostra?

Interventi: (vari commenti incomprensibili ndr).

Archiati: Sì, ma siete tutti sulle stratosfere! Dandoci la percezione della tomba vuota! Questa è l’espressione somma dell’amore, perché lì l’essere umano è proprio sfidato al massimo a tirar fuori il massimo del suo pensiero. Non soltanto non c’è nulla nella tomba, ma è la sfida più grande a chiedersi: cos’è successo, qui?

Tomba vuota: il mondo materiale è fatto per svuotarmi affinché io mi riempia di luce, risorgendo come essere di pensiero. Il mondo materiale è la tomba vuota del Logos che permette allo spirito umano di riempire il mondo di luce, di pensieri: questo è l’amore nella forma più pura perché rende possibile l’esercizio della libertà all’infinito. Mi dispiace, ma così è fatto il vangelo di Giovanni! Anzi, non mi dispiace, mi piace proprio, è una cosa straordinaria!

Vi rendete conto che non sto barando? Vi sto dicendo quello che dice qui: Maria Maddalena corre là alla mattina e trova la tomba vuota. Era così bello quando era ancora in vita! Allora sì che ci amava, perché ci permetteva di andare in brodo di giuggiole e mo’, dicono a Roma, ci ha piantati in asso! Eh, adesso ti ama molto di più perché adesso hai la possibilità di tirare fuori qualcosa da te! Andavi in brodo di giuggiole, ma c’è qualcosa di meglio, perché le giuggiole ci sono già.

Di meglio che godere il creato, che già c’è, è il creare! Perché gli essere umani affrontano troppo poco questo meglio assoluto ? Perché costa un pochino più fatica che non godersi ciò che già c’è. Ma per fortuna il goderci ciò che già c’è non ci basta, e il fatto che non ci basta ci rende sempre di nuovo tristi, insoddisfatti, ci dà le depressioni… e questo è proprio l’incentivo per dirci: no! guarda che tu non sei fatto soltanto per godere quello che già c’è!

Naturalmente tutte le altre riflessioni fatele voi. Già ieri accennavo che su questo versetto potremmo passare tutti e tre i giorni, in questo versetto c’è il mistero del sabato, che a tutt’oggi viene celebrato come grande giorno nel mondo ebraico, e c’è il fatto che questa Maria Maddalena, giudea abituata a celebrare il sabato, si trova di fronte non più all’elemento saturnio di Dio Padre ma di fronte all’Essere solare, il Cristo, che crea il giorno del Sole, la domenica, come dicevamo ieri sera. Il Sole non riceve luce, il Sole non riceve calore ma crea luce, crea calore.

Non si può pretendere che l’anima umana, di botto, capisca che si tratta di trasformare un mondo che finora era l’unico, renderlo adesso puro substrato, puro fondamento per qualcosa che è l’essenza dell’umano, e che è ancora tutto da costruire. Quindi è chiaro che il Cristo stesso le deve presentare delle immagini, a livello di visione. Si presenta come giardiniere e poi la chiama per nome, quindi deve introdurre l’anima umana a poco a poco nei misteri della libertà, della creatività, del Sole che emana luce e calore.

Il calore è sempre raffigurato in linee ondulate, perché l’amore va più lento che non la conoscenza, il calore è l’elemento della vita, è la saggezza che si trasforma in vita. Capire le cose possiamo farlo in un lampo, invece per attuarle nella vita andiamo più lentamente. Perciò l’amore è sempre stato espresso con un tratto ondulatorio – e infatti il calore si trasmette per ondulazione. L’ostensorio ha sempre avuto la lunetta (si chiama proprio lunetta) e l’ostia del Sole sulla lunetta, sulla Luna (è una visione dell’Apocalisse), e poi i raggi: quelli dritti sono i raggi della luce e quelli ondulati sono i raggi dell’amore.

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Fig. 4

Il Sole come sprigionante da sé libertà e amore, libertà della conoscenza e amore nel favorire la libertà dell’altro.

Maria Maddalena, l’anima umana, si trova sempre tra questi due mondi: fare del passato la base per conquiste sempre nuove. Il primo giorno dopo il sabato è la domenica: il sabato non poteva lavorare, non poteva andare al sepolcro a fare qualcosa; appena trascorso il sabato (e noi sappiamo che dopo viene la domenica, noi siamo abituati a festeggiare la domenica, ma lei ha festeggiato il sabato) può cominciare il primo giorno della settimana dove si può riprendere a fare. E allora vuole andare al sepolcro per finire l’unzione del cadavere e altro ancora.

Sabato. Cosa significa sabato? Shabàt, in ebraico  (che bei caratteri ha l’ebraico!) significa riposare, e quindi il sabato è il giorno in cui Jahvè, chiamatelo come volete, il Creatore, dopo aver sudato per sei giorni a fare tutta la creazione e dopo che al sesto giorno ha creato l’uomo (vedi la Genesi), al settimo giorno si è riposato. Per questo tutta la cultura giudaica, imitando Jahvè, imitando Dio, lavora per sei giorni a partire dalla nostra domenica, che è il primo giorno della settimana, poi lunedì, martedì, mercoledì, giovedì e venerdì, e al sabato si riposa, sempre a imitazione di Jahvè, e quindi festeggiando Jahvè con il culto nel tempio, nella sinagoga. Sapete che nel corso dei secoli è stata fatta una casistica minuta di quali cose erano permesse il sabato – proprio pochissime cose, in realtà non si poteva fare nulla.

In chiave di rapporto tra Dio Padre e Dio Figlio, diciamo tra il Padre e il Cristo, qual è il significato del riposo del Padre? Quello di far posto al Figlio perché se il Padre non si ritira mai indietro, il Figlio non potrà mai trovare il suo posto.

Intervento: Nell’evoluzione metti un altro al tuo posto.

Archiati: No, fai posto all’altro, ma il suo posto è diverso. Fai posto all’altro, questo è il riposo. Cosa vuol dire far posto all’al-tro? È l’essenza dell’amore: rendere possibile la sua libertà.

Intervento: Quando avviene questo?

Archiati: Non è che avviene in un secondo, avviene nel corso del tempo. La domanda: quando avviene questo?, è la grossa domanda dei genitori. Come avviene, come gestisco io il ritirarmi per far posto al figlio, o alla figlia? Naturalmente è molto complessa questa fenomenologia del trapasso dal Padre al Figlio che viene rappresentata qui. Tra l’altro, ci viene presentata anche la fenomenologia del modo in cui il Figlio, che sarebbe ancora l’amore comune, si tira indietro, sparisce, muore, per far posto all’individuo singolo: infatti adesso abbiamo non il Cristo, ma Maria Maddalena, Pietro e Giovanni-Lazzaro.

Quindi abbiamo il Cristo che ripete l’amore del Padre: il Padre si ritira (il riposo del sabato) per far posto al Figlio; il Figlio si ritira per far posto all’individuo singolo, per cui anche il Figlio adesso è sparito. Quando è sparito il Figlio? Nel sabato del Figlio, e adesso la domenica è il giorno dell’ Io Signore, dell’Io singolo di ogni essere umano.

La tua domanda voleva dire: adesso, caro Pietro Archiati, vieni giù dalle stratosfere e dicci un pochino come avviene questo, concretamente. Ora, non è che spenderò tre giorni soltanto a parlare di questo, però si possono sempre individuare degli elementi fondamentali. In queste cose complesse non si può essere sistematici: si tratta di individuare alcune piste, lasciando poi ad ognuno di seguirle.

Un fattore fondamentale è che il genitore per prima cosa si deve chiedere: com’è la mia struttura interiore? È tale per cui io, ancor prima che nascesse questo bambino che adesso ha 14-15 anni, ho sempre desiderato e fatto di tutto perché potesse arrivare al punto di essere autonomo, oppure ho di fatto sempre desiderato che restasse attaccato alla mia gonna per tutta l’eternità?

Questo è un fattore di onestà per ognuno, si tratta di essere onesti con se stessi: io devo sapere che se ho una struttura tale per cui, in quanto mamma, desidero che mia figlia mi resti attaccata alla gonna il più a lungo possibile, non potrò poi all’improvviso essere una persona che favorisce in tutto e per tutto la libertà e l’autonomia dell’altro. Perché non l’ho mai voluta.

Allora questa mamma dice: ma per essere quel tipo di persona lì, avrei dovuto ricevere io stessa tutto un altro tipo di formazione! Però non possiamo ripetere l’evoluzione e ritornare da capo: allora afferra l’evoluzione nel punto in cui sei e, se ti riesce di capire qualcosa in più, da questo momento cerca di creare i presupposti perché le cose vadano sempre di più nel modo giusto. È inutile che tu ricatti tua figlia dicendo: eh, io ho avuto una formazione così, per cui non sono capace di mollare e adesso ho bisogno di te per tutta la mia vita; perché tua figlia ha il diritto di dire: beh, mamma, se adesso te ne rendi conto, svegliati un pochino! Non potrai farlo in tutto e per tutto come sarebbe se tu avessi avuto un’altra formazione, però un pochino ti puoi svegliare perché liberi lo siamo tutti: non all’infinito, però neanche a livelli da non poter far nulla.

Intervento: Io volevo dire questo: se il genitore deve dare i presupposti, le basi per lo sviluppo del figlio, affinché cresca in modo armonico, come è possibile percepire queste necessità del figlio, che sono talmente individuali? Come si può stabilire un collegamento tra il genitore e il figlio? In effetti sembra un assurdo, perché i bisogni del figlio sono unici, particolari e forse è anche impossibile riuscire a capirli esattamente...

Archiati: Non i bisogni, i bisogni sono molto generalizzabili. Invece i talenti…

Intervento: Volevo dire i talenti.

Archiati: Allora, il problema è – poi andiamo avanti con il vangelo perché c’è sempre qualcuno che dice: tu fai tante belle teorie, però con il vangelo non vai mai avanti, e io vengo al seminario per macinare un versetto dopo l’altro. Tant’è vero che la Luciana, qui davanti, che vi rappresenta tutti, sta facendo una faccia patibolare in questo momento! Ti è concesso, sei libera… Se la sta godendo... – il problema è che noi viviamo soprattutto del passato. Di nuovo una via di pensiero, però secondo me veramente molto importante. Non dobbiamo mai sottovalutare il peso del passato – il passato c’è da solo – e non dobbiamo mai sottovalutare che il futuro, cioè il fattore di libertà, per quanto ci sforziamo sarà sempre esile, esile, esile.

Non è mai possibile che noi diamo più peso alla libertà del necessario, perché ci fa una paura, la libertà! Quindi dobbiamo partire dal presupposto che come punto di partenza, in ognuno di noi, strutturalmente, il passato ha maggior peso che non il fattore di libertà. Questo significa che ogni genitore, per natura, tende a voler gestire la libertà del figlio e della figlia: questo è un gravissimo errore ed è questo che deve vincere con la sua libertà. Io, come genitore, non posso sapere, a livello conoscitivo, cosa diverrà mio figlio perché non sono lui, e tantomeno posso gestirlo, cioè non ho voce in capitolo sul suo futuro.

Invece posso fare tutto il possibile per dargli la base, per dargli gli strumenti. Una formazione dove uno coltiva almeno un minimo il suo pensiero, un po’ di cultura, eccetera, eccetera, è una base fondamentale, oggi. Diamola a tutti. Diamo ai nostri figli la possibilità di girare il mondo, di conoscere tutta l’umanità. Questo non è un sindacare su ciò che individualmente salterà fuori da questo figlio o da questa figlia. No! è il mistero suo, quello, però devo sapere che viviamo con i problemi enormi di un’umanità che economicamente ormai è già globalizzata ma strutturalmente, nella mente, ha di quei parrocchialismi paurosi, e quindi uno dei doveri fondamentali dell’amore verso i giovani è di offrire loro la percezione dell’umanità intera, non soltanto di un paese!

Quando io spendo soldi per dar modo a mio figlio, a mia figlia, di percepire questa tomba vuota che è l’umanità materialistica di oggi, non decido minimamente che cosa lui sarà nel suo essere: no, assolutamente. Siccome facciamo troppo poco per mettere a disposizione gli strumenti, il terreno, i presupposti, le condizioni necessarie per la crescita, vogliamo sindacare sulla libertà. Perché quello fa comodo. C’è il desiderio che il figlio continui la ditta del padre: e se quello invece è nato per fare qualcosa d’altro, con l’intento di fare tutt’altro? Figlio degenere, mi hai piantato in asso! Ricatti paurosi, altro che amore! Dov’è scritto che il figlio debba fare la stessa cosa del padre? Vogliamo andare indietro di millenni, nell’evoluzione, a quando i genitori decidevano chi doveva essere il marito della figlia, e non era mica la figlia a decidere?

Serve un pochino questa riflessione?

Allora, vediamo le percezioni di Maria Maddalena: 20,1 “Si recò al sepolcro di buon mattino quando era ancora buio e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro”. La pietra è di nuovo una soglia: è la porta. Di nuovo un’immagine di soglia. Quando si toglie la pietra? O quando qualcuno deve entrare, o quando qualcuno deve uscire e passare la soglia. Maria Maddalena vede la pietra scostata – era proprio una pietra, una pietra rotonda, diciamo, la tomba era nella terra. Ho visto in Toscana, non mi ricordo più dove, delle tombe etrusche che erano proprio nella terra. A Betania ci sono stato molti anni fa: si metteva davanti una pietra e ci voleva più di una persona per farla rotolare via in modo d’andar dentro o uscire fuori.

Cosa pensa Maria Maddalena? Qui, o qualcuno è entrato o qualcuno è uscito. Pensa, guarda, vede i panni, le bende e dice: qualcuno ha rubato il cadavere. Vede che la pietra è stata ribaltata dal sepolcro e

20,2 corse, allora, e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava,

Va da questi due, eh? Quindi abbiamo a che fare con archetipi dell’umano: l’elemento femminile, cioè l’anima umana, il cuore umano, sempre in cerca di libertà e di amore, che sono l’elemento maschile dentro ogni essere umano.

L’anima cerca la libertà e cerca l’amore e dice: io non vengo a capo di questo mistero. Tu Giovanni-Lazzaro che rappresenti la libertà, tu, Pietro, che rappresenti l’amore, fattore della comunità di chiesa, andate e ditemi voi di cosa si tratta.

20,2 e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto».

L’anima umana vive il vuoto del mondo materiale, però soltanto lo spirito può riempire questo vuoto. L’anima non sa dove l’hanno messo, lo spirito, perché è anima. Perciò l’anima vive il vuoto, fa l’esperienza del vuoto. Cos’è l’anima umana? Anelito verso lo spirito. L’anima sente il vuoto quando le manca lo spirito perché se l’essere umano non sentisse nulla di vuoto quando gli manca lo spirito non lo cercherebbe mai, e allora sarebbe veramente perso.

Se vogliamo fare una riflessione successiva sull’umanità di oggi, dobbiamo dire che il sepolcro 2.000 anni fa era molto meno vuoto, era molto meno paurosamente vuoto rispetto ad oggi. Che cosa rende, oggi, il sepolcro vuoto di spirito, quindi il mondo materiale vuoto di spirito e molto più paurosamente disumano che non allora? Il fatto che Maria Maddalena, l’anima umana dentro ogni essere umano, sempre di meno ha la possibilità di sentire la mancanza dello spirito. Ci siamo abituati a vivere senza spirito. Questo è l’abisso ultimo perché è il punto di impotenza di Dio di fronte all’uomo.

Finché l’anima umana dice: la tomba è vuota, venite, venite, dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo fare qualcosa!, la situazione non è ancora disperata perché si dà da fare. Quando l’anima umana, e ci siamo, oggi, perde anche questa sensibilità nei confronti dello spirito, cosa resta come arma dell’amore che aiuta l’essere umano? Ce n’è ancora, una. Rifletteteci.

Intervento: La sofferenza.

Intervento: Una botta.

Archiati: La sofferenza. No, non è una botta, dai, Paolo… è l’ultima arma dell’amore…

Interventi: Scuotere.

Archiati: Scuotere. È l’ultima arma dell’amore. Questo ci spiega l’aumento di catastrofi naturali, l’aumento di guerre, eccetera, eccetera. Vanno capite da questo lato perché l’anima umana, 2.000 anni dopo il fenomeno archetipico, ha perso anche la sensibilità di sentire che le manca lo spirito e che non può vivere senza spirito.

Intervento: Quindi non sente il vuoto.

Archiati: Non sente il vuoto, e sono tantissime le persone che non sentono il vuoto. L’abisso del vuoto non è quando il vuoto c’è e si sente, l’ultimo abisso del vuoto é quando c’è e non si sente neanche più. Il fatto di non sentirlo più raddoppia il vuoto.

Intervento: La depressione però già ci dice che stiamo male.

Archiati: Sì, sì, sta’ attenta: la depressione c’è sempre di più nell’elemento femminile ma di maschietti che non sanno neanche dove sta di casa la depressione ce ne sono a iosa. Non si possono neanche permettere di diventare depressi perché la ditta li sbatte fuori e non possono più mantenere la famiglia. Conosco centinaia di persone che non possono permettersi un minimo di depressione e invece gli farebbe così bene!

Intervento: Il malato più grave è quello che non sa di esserlo.

Archiati: Proprio questo, proprio questo. E allora che si fa? Bisogna ricorrere alla sofferenza. Allora, versetto 2 – vedi Luciana come stiamo correndo, eh? Più veloci di Pietro! Siamo già al versetto 2 … Mi ha fatto un sorrisino da Monna Lisa… meglio che niente! No, anzi, siamo già al versetto 3, scusate.

Luciana: Un altro sorriso, allora!

20,3 Pietro allora uscì fuori e anche l’altro discepolo e si avviavano verso il sepolcro.

“Pietro uscì fuori”, ‘™xÁlqen oân Ð Pštroj (exèlthen un o Pètros) “e l’altro discepolo” kaˆ Ð ¥lloj maqht»j (kài o àllos mathetès): è l’autore di questo vangelo che parla indirettamente di se stesso, lui è l’altro discepolo, quello che Gesù amava.

Ci siamo già detti tante volte, ma lo ripeto per coloro che sono nuovi, visto che stavolta ci sono tante persone ed è una gran bella cosa, che “il discepolo che Gesù amava” è una dicitura consacrata dall’uso. Gli antichi maestri (già al tempo del Buddha, ma ancora prima del Buddha), gli iniziati, erano precursori del cammino dell’umanità. L’umanità si può evolvere soltanto se ci sono singoli individui che precorrono un pochino i tempi e li preparano: se tutti camminassero assolutamente con lo stesso ritmo non ci sarebbe libertà. Già il fatto della libertà presuppone che Pietro vada un pochino più lento e Giovanni un pochino più veloce: dicevo già ieri che tutta la fenomenologia dell’esperienza del Risorto si individualizza a tanti livelli.

Allora, nei tempi antichi, il maestro aveva una schiera di discepoli che sceglieva tra il grosso della popolazione (“discepoli” significa: quelli che preparano il cammino all’umanità). Poi, tra questa schiera, ce n’era uno in particolare (senza voler fare una valutazione morale rispetto agli altri), quello che aveva fatto più progressi, che era progredito interiormente al punto da poter lui stesso venire iniziato e poi diventare maestro.

In questo caso si diceva che il rapporto tra l’iniziato e questo discepolo era particolarissimo, nel senso che la spiritualità, lo spirito del maestro si era trasfuso in modo esemplare in questo discepolo – negli altri un po’ di meno – e allora questa sintonia tra il maestro ed il discepolo prediletto la si esprimeva così: questo è “il discepolo che il maestro ama”.

Ripeto, non è detto nel senso che il maestro fa preferenze ma nel senso che, oggettivamente, questo discepolo è progredito un pochino più degli altri e adesso è sul punto di poter venire iniziato. Quindi Giovanni-Lazzaro è “il discepolo che Gesù amava”, nel senso che è stato l’unico essere umano progredito a un punto tale da venire iniziato dal Cristo stesso, come abbiamo visto nel capitolo 11 – fenomeno molto complesso, perché nel Gesù si è incarnato il Logos universale.

Quindi l’anima umana chiama al sepolcro Pietro – vedremo poi Pietro nella bellissima pesca miracolosa, con i 153 pesci che rappresentano la pescata di tutto quel che c’è nell’oceano del mondo immaginativo, quindi il risultato di tutto il passato dell’evoluzione (Fig. 3), e vedremo cosa significa 153 – e Giovanni-Lazzaro, l’unico iniziato da Cristo stesso. È chiaro che, posti tutti e due di fronte alla percezione della tomba vuota, i pensieri che si crea Pietro devono essere polarmente integranti con i pensieri che è capace di crearsi Giovanni-Lazzaro, che è stato lui stesso tre giorni a mezzo nel sepolcro e poi è stato risvegliato.

Maria Maddalena vede il sepolcro vuoto, vede le bende e pensa: l’hanno rubato. Non è di sicuro la pensata migliore che ci sia… E perché? Non lo è dal punto di vista del raziocinio umano, perché l’anima non raziocina: sente. Le belle pensate non sono la sua forza, la sua forza è il sentire la mancanza. E quindi sente il vuoto: me l’hanno rubato, non c’è. Ma c’è, non c’è … non è convinta che qualcuno l’abbia rubato, lei vive il fatto che il corpo non c’è e lo interpreta nel suo vissuto dicendo: l’hanno rubato.

Perché non è una bella pensata? Perché non è pensabile che se qualcuno l’ha rubato è stato così stupido da perdere tempo addirittura a svolgerlo dalle bende, e poi lasciarle lì e portarselo via bello puzzolente, senza bende. È una cosa assolutamente impensabile! Se lo rubano, portano via anche le bende. Però Maria Maddalena non ci arriva. Perché è l’anima. Il suo impulso è di vivere nella mancanza, nel vuoto. Lo vive proprio, è il suo vissuto, lo sente, sente la mancanza. Nel momento in cui interpreta questa mancanza con il pensiero, con il concetto “l’hanno rubato”, sbaglia.

Adesso arrivano gli altri due: Giovanni-Lazzaro capisce subito perché sa, ne ha fatto l’esperienza. Qui è avvenuta una iniziazione. Addirittura Giovanni-Lazzaro comincia a capire che è possibile polverizzare tutto un corpo fisico e che quella sarà la destinazione di tutto ciò che è fisico.

Qual è la reazione di Pietro a livello intellettuale? Resta interdetto, non se lo spiega. Non capisce. È chiaro: come fa a spiegarselo? Non ha nessuna base di esperienza. Come risolviamo il problema di Pietro, che è poi il problema della Chiesa petrina? La teologia non ha mai spiegato la resurrezione e negli ultimi secoli, poi, si è talmente fatta impaurire dalla scienza naturale che abbiamo ormai teologi, per esempio in Germania, che dicono: ma questa faccenda della tomba vuota è la baggianata più grossa che ci sia! Teologi!! Perché fa a calci e a pugni con tutte le leggi di natura che conosciamo.

C’è un modo per risolvere il problema di Pietro? Sì, è Giovanni! Che vada ad imparare da Giovanni! Quello capisce, quello sa di cosa si tratta! Se Pietro diventa capace di andare a scuola da Giovanni, riuscirà a capire. La Chiesa cattolica è il Pietro che ancora si rifiuta di andare alla scuola di Giovanni – che è la scienza dello spirito – e che non vuole ammettere che non ci capisce nulla.

Perché la Chiesa tradizionale fa fatica a diventare discepola di Giovanni? Perché si è presentata per duemila anni come maestra e, adesso, le toccherebbe diventare discepola. Non prendete queste cose in chiave di polemica, non hanno nulla a che fare con la polemica: sono cose fondamentali della nostra cultura e vanno capite.

E il retroscena qualcuno di voi lo conosce: basta che chiudo gli occhi e mi vedo alla Gregoriana 30-40 anni fa, e c’era un francese, mi pare, che tenne tutto un corso sulla tomba vuota, sulla resurrezione, sull’eucarestia, ecc. ecc… non ci spiegava nulla! Nulla! Noi studenti – eravamo giovani, allora, io andavo in Gilera qui a Roma, terrorizzavo tutti e sette i colli! Poi una volta mi ha fermato la polizia e mi ha detto: ma lei ha la targa di Brescia e qui siamo a Roma. Mi hanno fatto pagare un sacco di soldi però io la targa di Brescia l’ho tenuta lo stesso: l’importante era pagare i soldi… – noi studenti chiedevamo: ma spiegaci dove è andato a finire il corpo fisico, dove è andata a finire la materia! Ci dicevano: devi credere. Tu devi credere! Mistero della fede.

Ed erano anche onesti, se volete, perché non lo sapevano spiegare. Tutti oggi abbiamo una formazione di matrice scientifica, in fondo, tecnica, visto il mondo tecnico in cui viviamo. Dov’è oggi l’uomo che ha un’esperienza tale della forza creatrice dello spirito da riuscire a trovare una spiegazione scientifica della resurrezione, proprio da un punto di vista di scienza naturale? Perché un corpo che sparisce è un fenomeno di scienza naturale, non soltanto di scienza spirituale.

Dov’è l’uomo, scienziato naturale, che riesce a trovare convincente per lo spirito umano che è proprio nel suo destino evolutivo di diventare così creatore che tutta questa cosiddetta materia, così come è sorta, la farà di nuovo sparire? Se tira fuori da tutto questo mondo di materia le forze dello spirito, tira fuori tutte le forze animiche, tutte le forze vitali, tutte le forze formanti… cosa resta? Polvere cosmica. Aristotele la chiama materia prima.

La materia prima è pura potenzialità, perché non ha in sé forza formante, né forza vitale, né forza animica, né forza spirituale. Quindi la materia prima (o polvere cosmica in senso esoterico) è il sostrato per nuove creazioni dal nulla.

La percezione della tomba vuota è la provocazione a creare il pensiero che dice: è il compito del mio spirito di uomo, con la luce del pensiero e con il calore dell’amore, di far sparire nel nulla tutta la materia che c’è, perché dal nulla viene e nulla è. Lo spirito è realtà.

A livello concreto, cosa che ci siamo già detti soprattutto l’ultima e la penultima volta nei due capitoli sulla passione e sulla morte, il Logos ha inabitato in questo corpo fisico per tre anni. Il Logos è la totalità della creatività del pensiero, è l’organismo di pensieri del cosmo in cui viviamo, organismo vivente, animico, spirituale. Ora, questo Logos brucia il sostrato di percezione materiale in senso assoluto, però non brucia tutto il cosmo, tutto il mondo di botto togliendoci via la percezione: brucia il suo corpo.

Quindi diciamo: l’inabitare del Logos nel corpo di Gesù di Nazareth è stato un assoluto consumare la materia per tre anni, e questo corpo non avrebbe potuto assolutamente farsi da supporto per una tale esplicazione di spirito oltre i tre anni e mezzo – che sono poi i primi tre anni e mezzo della vita del bambino, durante i quali assume la posizione eretta e impara a camminare, poi impara a pensare e a parlare.

Verrà un’umanità, dopo di noi, che saprà leggere i vangeli in questa chiave dei tre anni della vita del Cristo sulla Terra: nel primo anno, tutto quello che il Cristo fa e dice si incentra sui misteri della posizione eretta e del camminare, nel secondo anno sulla comunicazione della parola e nel terzo anno sul pensiero. Tant’è vero che il vangelo di Giovanni, che è il vangelo del pensiero, esaurisce i primi due anni del Cristo nei primi sei capitoli e quasi tutto il resto parla del terzo anno, dei misteri del Logos, del pensiero del Cristo. Tra l’altro, tutta la seconda parte, dal capitolo 11 alla fine, si svolge nell’ultima settimana di vita del Cristo.

Concretamente, da un punto di vista di scienza naturale, il corpo materiale di Gesù di Nazareth era diventato friabile in senso assoluto al momento della morte. Le spezie, gli unguenti che di solito servivano a conservare il più a lungo possibile il corpo (vedi le mummie presso gli egizi) su questo tipo di corpo hanno l’effetto opposto: accelerano il processo di polverizzazione, di disgregazione. Il vangelo dice, l’abbiamo visto la volta scorsa, che già sulla croce tutto l’elemento umoreo, tutto l’elemento di sangue e acqua è fuoriuscito, e questo indica che non c’è più nulla di vitale, c’è una materia che diventa sempre più secca.

Che cosa c’è, avvolto nelle bende? C’è la materia, chiamiamola così se vogliamo, però questa materia non è più tenuta insieme da nessuna forza formante, da nessuna forza vitale, umorea, acquea, liquida (perché tutto il liquido è uscito), non è tenuta insieme da nessuna forza animica (perché il Cristo è morto, già in croce ha esalato l’anima), e questa materia non è tenuta assieme da nessuna forza spirituale.

Il cadavere di un uomo normale resta compatto per un certo periodo di tempo per forza di inerzia, una forza di inerzia che prima o poi si dissolve. Le forze di inerzia che permettono a questo corpo di restare compatto ancora per un po’ di tempo sono in questo caso assolutamente minime, anzi non ci sono proprio. È bastato un movimento un po’ brusco della Terra, che in tutte le sue creature ha sussultato per questa liberazione dall’incanto nella forma fisica, è bastato quel minimo di terremoto che fa parte di questo movimento archetipo, per far andare in polvere il mucchio di materia e restano le bende.

Steiner dice: è stato un terremoto sussultorio, e un terremoto sussultorio crea delle crepe nella Terra. Noi siamo abituati a pensare, è il nostro materialismo, che quando c’è un terremoto il fenomeno si esaurisca nel fatto che le placche tettoniche si spostano, ma non poniamo neanche la domanda: chi le muove? Quindi tutti gli esseri della natura, tutti gli gnomi, le ondine, nel loro sussulto (sussultare significa muoversi) di giubilo, di gioia, è chiaro che creano proprio dove c’è il sepolcro una crepa nella Terra, una fenditura.

La Terra, madre di tutti gli uomini, apre la sua bocca e riceve per prima la comunione del corpo del Cristo, per tutti noi. Non per forze naturali, ma per gioia e per gratitudine di tutti gli spiriti di natura che sono lo spirito della Terra. Andate a dire queste cose ad uno scienziato, andate a dirle ad un teologo: vi rideranno in faccia, anche il teologo.

Intervento: Senti, ma quindi le bende erano rimaste nella stessa posizione?

Archiati: Ci arriviamo, ci arriviamo. Ti dice che le bende, poiché c’è stato un movimento sussultorio, si sono arrotolate. Sappiamo dalla tradizione che il cadavere veniva bendato con due tipi diversi di panni perché si sapeva da sempre che l’essere umano è composto di due fattori fondamentali: la testa e gli arti.

Dopo la morte, tutto ciò che è elemento della testa, e in Rudolf Steiner avete conferenze intere su questo fatto, tutto ciò che è stato il mondo della testa nella vita trascorsa sparisce, e tutti gli impulsi del sentimento e della volontà formano la base per la testa della vita successiva.

In altre parole, cari amici, tutte le teste che ci sono qui in questa sala (e non soltanto in questa sala), tutto il mondo che c’è nelle teste – e non è poco: tutto quello che pensiamo e anche sentiamo, nella misura in cui il sentimento viene portato a coscienza come cammino di libertà –, tutti questi mondi individualizzati che costituiscono la testa di ogni singolo, sono il risultato di tutto il vissuto, di tutti gli impulsi volitivi incoscienti della vita precedente. Quel che invece portiamo in noi stessi a livello incosciente, negli impulsi volitivi, nell’azione ecc. ecc., in tutto quello che facciamo senza aver coscienza di cosa combiniamo a noi stessi e agli altri, tutto questo crea la base per ciò che sarà la nostra testa nella vita successiva.

Nell’umanità, in passato, c’erano conoscenze che poi sono state tramandate, sono entrate nella tradizione, ma non è che 2.000 anni fa sapessero esattamente perché un cadavere andava avvolto con un panno per la testa e con un altro panno per tutto il resto del corpo. Sapevano solo che andava fatto così. Quindi si seppelliva il cadavere avvolgendo il capo con una benda a parte e tutto il resto con un’altra: anche i piedi venivano avvolti individualmente, uno per uno.

La stessa benda che era per la sfera del sentimento quando arrivava più in basso veniva tagliata in due e si avvolgeva di qua un piede, di là un altro piede; però tutta la benda che partiva dal collo fino in fondo era una sola. Un’altra benda, chiamata sudario, avvolgeva il capo.

Allora, Maria Maddalena, Pietro e Giovanni guardano dentro la tomba, loro lo sanno che sono due bende, l’una avvolta dalla parte del capo e l’altra avvolta dalla parte del tronco e dei piedi.

Intervento: Riproducevano la figura stessa?

Archiati: Ti ho già detto prima, non è che tu devi pensare: sì, è come sta dicendo Pietro Archiati. Io vi metto lì dei pensieri, che per voi sono percezioni: importanti sono i pensieri che voi appiccicate a queste percezioni.

Però, sta’ attento, che io ti ho dato dei pensieri che esprimono un’interpretazione di scienza naturale di questo fenomeno. Cioè il fenomeno naturale è che c’è stato un terremoto, che il corpo di Gesù era ormai ridotto in una polvere che non si teneva più insieme e che è penetrata in una fenditura della Terra. Il terremoto sussultorio ha creato un movimento anche nei panni… certo, un terremoto non ti lascia i panni così com’erano! Per cui chi guarda li vede in un certo senso un po’ avvolti tra di loro; tra l’altro, erano avvolti già, la testa era avvolta e avvolto anche il resto. Però separati perché erano già separati: erano due.

Quindi c’è il modo di spiegare i fatti. Come dicevo i pensieri che ognuno si fa, sono suoi. Io sto solo sostenendo che c’è un modo, se si hanno certe basi di scienza dello spirito, di spiegare questa tomba vuota da un punto di vista di scienza naturale altrimenti, se questa spiegazione scientifica non è possibile, la fede mi dice di credere al miracolo – nel senso che il miracolo è quello che mette fuori uso le leggi della natura, e non mi convince.

Perché non mi convince? Io vi dico perché non convince me: non mi convince perché un Dio, un Padreterno che crea leggi di natura per poi permettersi, quando vuole, di trasgredirle, eh! si contraddice! Perché una legge di natura o vale sempre o non è una legge di natura.

Quindi cos’è il credere al miracolo? È un pensiero bambino che ha ancora bisogno di crescere. Non sei ancora capace di spiegare gli eventi anche in chiave di scienza naturale e allora credici. Ma il senso del credere è di voler crescere sempre di più in modo da capire sempre meglio ciò che prima ho creduto. Però lo devo capire in un modo che mi convinca, e vi ho detto che a tutt’oggi la teologia non ha fatto grandi passi in avanti per spiegare la tomba vuota, proprio non ha i presupposti per spiegarla.

Intervento: Posso chiedere il significato della benda spezzata per isolare una gamba dall’altra, un piede dall’altro?

Archiati: Se no non puoi camminare. Si cammina soltanto se le due gambe sono indipendenti, libere. E da dove si evince che le bende erano separate, quelle dei piedi, che erano una benda sola, però spezzata?

Intervento: Dal risveglio di Lazzaro.

Archiati: Dal vangelo, bravo! Lazzaro esce fuori dal sepolcro. Se le gambe sono unite, non può venir fuori così.

Intervento: Saltellando.

Archiati: E sì, e allora il Cristo dovrebbe dire: andate a liberargli i piedi. Quindi vedi, il vangelo ti dà tutto quello di cui hai bisogno, tutto, però va meditato. Va meditato, bisogna passarci una vita meditandoci sopra, capito?

Tra l’altro i sinottici dicono: se il tuo occhio destro, se il tuo braccio destro, se il tuo piede destro, la tua gamba destra, ti sono di scandalo tagliali via! Allora c’è una differenza tra la gamba destra e quella sinistra. Si sapeva, cosa che la scienza dello spirito ci ripete, che nell’essere umano normale (a parte i mancini) tutta la parte destra è molto più forte, più attiva: è la parte dell’attività, della libertà. La parte destra crea, la parte sinistra accoglie, riceve. Tutte e due sono importanti, bisogna sempre trovare il giusto equilibrio, perché se non ricevo nulla non ho la base per diventare sempre più creativo.

E si diceva: l’essere umano non può esuberare dalla parte di ciò che riceve, perché riceve tutto e deve ricevere tutto, per natura; può invece illudersi di potere più di quello che realmente può. Quindi il braccio destro che diventa pietra d’inciampo è quando l’essere umano, nella sua libertà, vuole più di quello che il karma gli rende possibile.

Intervento: Eccede.

Archiati: Eccede… sì, ma non ci siamo ancora, in italiano.

Intervento: Pretende.

Archiati: Pretende, sì, ma non basta. Come dire: picchia e martella per avere, per ottenere, per raggiungere, per realizzare più di quello che il suo karma gli rende possibile.

Intervento: Si accanisce.

Archiati: Si accanisce, ecco. Vuole realizzare, per ambizione, più successo, più potere di quello che il karma gli dà a disposizione, che può masticare, che è previsto per lui.

Intervento: In tedesco ci sono più vocaboli per indicare questo?

Archiati: Un linguaggio dove c’è stato un Martin Lutero, che per la Chiesa cattolica era un prevaricatore (ecco, anche “prevaricare”), ha tutti questi vocaboli. La lingua italiana, dove il lessico è stato tenuto bene sotto le gonne dello Stato pontificio, non ha neanche i termini, neanche le parole per indicare questa forza dell’Io che diventa energumeno ad un punto tale che vuole più di quello che è previsto per lui.

Intervento: Mania di potenza.

Archiati: Sì, ma non soltanto. Vuole realizzare più di quello che poi saprà digerire.

Intervento: Megalomane.

Archiati: Sì, ma in italiano non ci sono parole precise… il tedesco lo dice in maniera perfetta: erzwingen che significa costringere, forzare… Comunque ci siamo capiti.

Facciamo una pausa che vi dà la possibilità di comprare tutti i libri che ci sono. Venti minuti di pausa!

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Vogliamo continuare? Dunque siamo arrivati al 20,3 “Pietro e l’altro discepolo uscirono fuori” devono uscire dalla loro casa per andare al sepolcro. Escono da dove abitano per andare al sepolcro. In questa immagine, soltanto uno spunto di riflessione, c’è questo: vivere da uomini, cioè realizzare l’umano, significa uscire sempre di nuovo dallo stato stanziale, dove uno abita, e che ha già conquistato.

Il grosso pericolo dell’evoluzione è di sentirsi a casa quando bisognerebbe invece essere per strada. La Terra non è una casa è una strada. Questo mistero dell’evoluzione che si fa camminando sulla Terra, quindi facendo della Terra il sostrato per i passi evolutivi dell’uomo, qui viene espresso dall’immagine dell’essere umano che esce dallo stato di comodità di chi si è stabilito, che è a casa seduto, in sicurezza, potere, soldi, per andare verso il vuoto, il sepolcro.

La casa è il pieno di ciò che ho già e il sepolcro è il vuoto di ciò che mi devo ancora conquistare. Ora, che cosa mi fa fare di più? Ciò che ho già dove sono a casa mia, ben seduto, ciò che possiedo perché mi ci siedo sopra, o il vuoto, ciò che ancora mi manca?

Intervento: La vera creazione è il vuoto.

Archiati: No, la vera creazione presuppone il vuoto.

Intervento: Ah, è vero!

Archiati: Se no non ci posso mettere nulla! A uno che va dalla casa verso il sepolcro vuoto e non riempie il sepolcro, gli diciamo: ma allora resta a casa! Perché tra una casa piena e un sepolcro vuoto, se le due possibilità sono soltanto queste, è meglio che resti in casa perché altrimenti perdi quello che hai e non ti resta niente.

Però c’è un tertium datur, c’è una terza possibilità, e cioè di riempire il sepolcro vuoto, e allora questo è ancora meglio. In altre parole, la legge dell’evoluzione è fare di tutto ciò che si è già conquistato un sostrato per camminare e conquistare qualcosa di sempre nuovo, e non di farne un motivo di comodo per sedersi. Quindi la legge dell’evoluzione è: non fermarsi mai. Il movimento. Altrimenti si è morti, se uno si ferma è morto, è morto al cammino creativo del suo spirito. Il vangelo questi misteri dell’umano te li mette lì in un versetto, in due immagini con il verbo uscire, ™xÁlqen (exèlthen).

Intervento: Scusa in quale versetto? Perché lo sto cercando...

Archiati: Versetto 3, Luciana. Stiamo andando astronomicamente veloci: tu sei rimasta al secondo! Ah ecco, adesso c’è arrivata al terzo, lei era ancora alla casa del secondo versetto. Esci fuori! È il v.20,3 che dice: “Uscì dunque Pietro” ™xÁlqen’ oân Ð Pštroj (exèlthen un o Pètros) “e l’altro discepolo” kaˆ Ð ¥lloj maqht»j (kài o àllos mathetès) “e camminano verso il sepolcro” kaˆ ½rconto e„j mnhme‹on (kài èrchonto èis to mnemèion).

20,4 Corrono i due insieme

–Etrecon dÚo Ðmoà (ètrechon de òi dýo omù). Questo “insieme” non è in senso locale ma in senso temporale, cioè in parallelo nel tempo, parallelamente; quindi si presuppone che uno esce da una casa, l’altro esce da un’altra casa perché se corressero insieme non soltanto temporalmente ma anche localmente verrebbero dalla stessa casa.

Se venissero dalla stessa casa, quali conti non tornerebbero? Quelli dell’individualizzazione: sarebbero due essere umani uguali, e allora dovrebbero avere la stessa reazione di fronte al sepolcro vuoto. Quindi dobbiamo farli partire da due case diverse, però il camminare è contemporaneo.

L’evoluzione della Terra è il camminare contemporaneo di tutti gli essere umani, però ognuno da punti di vita diversi. In altre parole, il tempo del percorso è lo stesso per tutti, il tempo che ci è concesso, ma la strada che ognuno percorre è diversa. In greco te lo mette con questo Ðmoà (omù), simul in latino, simultaneamente: ma simultaneamente è una categoria temporale non locale, di tempo non di spazio. `Omoà (omù), contemporaneamente.

Quindi la comunanza dell’umano è che siamo tutti contemporaneamente in cammino, ma le strade che percorriamo sono diverse per ognuno.

20,4 e l’altro discepolo corse avanti più veloce di Pietro

Kaˆ Ð ¥lloj maqht¾j prošdramen t£cion toà Pštrou (kài o àllos mathetès proèdramen tàchion tu Pètru). Tradotto letteralmente: “e l’altro discepolo precorse” (prošdramen, proèdramen) “più veloce di Pietro”. L’evoluzione è come una corsa ad ostacoli: c’è chi corre più veloce e chi corre più lentamente, se no non ci sarebbe la libertà. Come fatto storico supponiamo che questo discepolo sia più giovane, perché se corresse più veloce, pur essendo più vecchio, sarebbe un’ingiustizia di natura e il vangelo non sopporta questo modo di barare con le leggi di natura. Chiaro? Il discorso deve essere pulito a tutti i livelli. Se corre più veloce deve essere più giovane.

Intervento: Ma uno più vecchio può essere più giovane di un giovane.

Archiati: Che vuol dire più giovane?

Intervento: Più sano…

Archiati: No.

Intervento: Ha la capacità di accogliere attivamente... è più ricettivo.

Archiati: Tutte astrazioni, noi siamo abituati a fare astrazioni: abbiamo perso il contatto con la realtà.

Intervento: Più fresco, più lucido.

Archiati: Se il vecchio si è appena bevuto un espresso può essere più fresco lui di quello giovane! Datemi una categoria. Prendiamo il giovane ed il vecchio, e datemi una categoria che sia così pulita che uno dice: sì e chiaro che quella è la differenza fondamentale.

Intervento: Ha meno anni.

Archiati: Sì, ma che significa ha meno anni? Certo se è più giovane ha meno anni, ripeti quello che ho già detto.

Intervento: Di solito è più forte.

Intervento: È meno condizionato.

Archiati: Il giovane ha più futuro che passato, il vecchio ha più passato che futuro! E questa è una differenza oggettiva fondamentale molto più importante di tutte le baggianate che avete detto voi. Allora, ripeto, giovane e vecchio sono due categorie di tempo. Essere giovane significa: il mio passato è più piccolo – in senso normale, ovviamente, perché se quello muore dopo due anni è un’eccezione; ma noi consideriamo l’arco normale della vita. Quando io ho vent’anni significa che il mio passato pesa nella mia struttura meno che non il mio futuro. Il mio futuro ha molto più peso perché è più grosso. Quando io ho settant’anni il mio passato pesa di più che non il mio futuro.

Ah ah!, Pietro è l’essere umano nel quale il passato ha più peso che non il futuro, e Giovanni è l’essere umano nel quale il futuro ha più peso che non il passato. Ecco la polarità. Chi dei due è meglio? Tutti e due. Quando si è giovani bisogna essere giovani con la struttura di Giovanni, e quando si è vecchi bisogna essere vecchi con una struttura di Pietro. E la struttura di Pietro è umana quando non disdegna Giovanni, cioè quando si integrano a vicenda.

Dove dimostra Giovanni-Lazzaro di non approfittare della sua gioventù ? Nel fatto che lui arriva prima, però aspetta che arrivi anche l’altro. La scienza dello spirito sta ancora aspettando, eh? che ‘sto cristianesimo petrino arrivi, perché ancora non arriva. Aspetta, Giovanni, mica può imporre nulla! La libertà non può imporre nulla, altrimenti si distrugge come libertà.

In altre parole, il discepolo Giovanni-Lazzaro dice: a che mi serve andare avanti da solo se non porto con me Pietro? O andiamo avanti come umanità, come organismo unitario, oppure una salvezza individuale fuori dell’umanità non esiste. Quindi il vero mio cammino evolutivo, quale Giovanni-Lazzaro, avviene soltanto se io aspetto anche Pietro, perché fa parte di me. 20,4 “I due accorsero simultaneamente, l’altro discepolo corse più veloce di Pietro…”

20,4 e venne per primo al sepolcro.

kaˆ ½lqen prîtoj e„j mnhme‹on (kài èlthen pròtos èis to mnemèion).

L’atteggiamento interiore di chi arriva prima, se veramente arriva prima, qual è? Di gratitudine verso coloro che, arrivando dopo, gli hanno permesso di arrivare prima. Perché se non c’è nessuno che accetta di perdere colpi, nessuno arriva prima. In altre parole, precorrere l’evoluzione, un vero percorrere pieno di amore, c’è soltanto se sulla percezione che l’altro viene dopo (che l’altro viene dopo è una percezione) si crea questo concetto: che colui che viene dopo ha compiuto un sacrificio di amore per dare a me la possibilità di arrivare prima. È a lui che devo il fatto di essere arrivato prima, perché se lui non fosse venuto dopo io non sarei arrivato prima.

Intervento: È come la lavanda dei piedi.

Archiati: Sì. E anche nell’organismo, è tutto una cosa sola, tutto è merito di tutti. Quindi Giovanni-Lazzaro aspetta.

20,5 Abbassandosi guarda le bende giacenti ma non entrò.

ParakÚyaj (parakýpsas) “abbassandosi”: bisognava abbassarsi per vedere dentro. Chi anche si è abbassato? Qualcuno l’ha appena detto: il Cristo, per la lavanda dei piedi. L’abbassarsi è l’atteggiamento della lavanda dei piedi, che si china, che si china. Anche Cristo è stato nello stesso gesto del chinarsi.

“Chinandosi guarda” blšpei (blèpei) è “guarda”, ecco la percezione, “le bende giacenti” ke…mena ÑqÒnia (kèimena ta othònia), guarda nella tomba e vede bende riposte, “ma non entrò” mšntoi e„sÁlqen (u mèntoi eisèlthen). Quindi c’è una percezione, una presa di posizione a livello di pensiero, che interpreta questa percezione, ma non c’è una presa di posizione a livello di volontà, perché per quel livello deve aspettare Pietro.

In altre parole, il cammino di conoscenza è individuale ma il cammino totale di evoluzione è un fattore che riguarda tutta l’umanità. Nessun essere umano può evolversi di più o di meno di come si evolve l’umanità. In altre parole, il precorrere è un fattore di coscienza, non morale perché in fatto morale o ci muoviamo tutti insieme o non si muove nessuno; quindi i piedi restano fermi, le gambe restano ferme, Lazzaro-Giovanni non entra prima, entra insieme con Pietro.

Intervento: È un fatto di responsabilità?

Archiati: Di solidarietà, perché siamo membri gli uni degli altri. Una piccola parentesi: tutto questo pezzo “e l’altro discepolo corse più veloce di Pietro, venne per primo al sepolcro e chinandosi vide le bende…” tutto questo pezzo in molti manoscritti non c’è. Perché c’hanno visto una specie di privilegio giovanneo, no? Pensiamo al terzo, quarto secolo, quando il cristianesimo è diventato religione di Stato con Costantino, quindi è subentrato un fattore di potere: si cominciava a non sopportare più che Pietro fosse arrivato per secondo, e allora l’hanno tolto. Tanti manoscritti questo correre più veloce di Giovanni proprio non ce l’hanno: interessantissimo. Poi se uno facesse uno studio su quali manoscritti l’hanno tolto, la cosa diventerebbe molto interessante.

20,6 Viene dunque anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e vede anche lui le bende giacenti

–Ercetai oân kaˆ Sˆmon Pštroj ¢kolouqîn autù kaˆ e„sÁlqen e„j mnhme‹on... (èrchetai un kài Sìmon Pètros akoluthòn autò kài eisèlthen èis to mnemèion…) pure questo “anche” (kaˆ) è stato tolto in molti manoscritti!

Siamo membri gli uni degli altri, però l’altro lo seguiva a ruota. Il cristianesimo della scienza dello spirito, il cristianesimo giovanneo, segue quello petrino, non può venire prima. Storicamente, cioè a livello materiale, il cristianesimo petrino avviene prima di quelle giovanneo; però, quando viene il tempo del cristianesimo di Giovanni, quello di Pietro deve accodarsi, deve seguirlo. Si inverte la prospettiva.

Pietro viene seguendo lui: l’elemento di Pietro non è la conoscenza ma è maggiormente la volontà, l’elemento del fare, del realizzare. Quindi non viene detto nulla sull’elemento della testa di Pietro: che guarda, che vede qualcosa, che si fa dei pensieri... No. Viene detto soltanto che arriva e entra. Perciò Pietro, il cristianesimo petrino, è il grande gestore della tomba vuota. Entra.

Cosa sono questi 2.000 anni di materialismo sempre più puro? Un gestire la tomba vuota, un entrare nella tomba vuota. Tutta la scienza naturale è un entrare, un penetrare nei misteri di questa tomba che è il mondo materiale vuoto di spirito. Quindi Pietro che entra nella tomba vuota è questa indagine a livello volitivo, del fare, perché a livello di conoscenza non capisce nulla.

Di che cosa è fatta la nostra cultura? Meno di scienza, più di tecnica. La tecnica è la conquista della tomba vuota, l’evoluzione della tecnica umana entra nella tomba vuota a livello di impulsi volitivi, di azione di potere, senza capire ciò che si fa.

La tecnica è raggiungere le punte ultime del fattibile indipendentemente da ciò che si conosce e si capisce. Questo elemento del fattibile, del dominare la tomba vuota, viene espresso in un modo bellissimo, archetipico se volete, proprio nella tecnica moderna. Impulsi volitivi ciechi perché, l’abbiamo visto, in Pietro non si dice nulla riguardo alla testa.

Prendete la ricerca scientifica in campo chimico, che in Italia non sarà molto diversa dalla Germania: ormai negli ultimi decenni, ma già da un bel po’ di tempo, in questo campo non esiste l’intento di conoscere la natura vera di certi preparati o di conoscerne gli effetti sull’uomo, ecc. L’intento è soltanto di raggiungere dei risultati a livello di effetti concreti. Tecnica cieca e fattibile.

Adesso salta fuori che Dell o Sony hanno fatto delle batterie pericolose, e a milioni devono ritirarle dal mercato. Perché capita questo? Perché hanno fatto una ricerca che mirava al successo indipendentemente dall’appurare l’elemento di conoscenza oggettivo.

Intervento: Mirano alla vendita.

Archiati: Alla vendita, sì. Questa è la tecnica

Intervento: Ma solo così ottengono finanziamenti alla ricerca.

Archiati: Eh, sì. Ma è proprio questo che sto dicendo: che l’elemento di conoscenza non importa più nulla, importa soltanto il risultato operativo e il risultato operativo viene espresso nelle gambe di Pietro che entra. Del fare cieco.

Intervento: La ricerca è solo in mano alle multinazionali.

Archiati: Certo, è questo che sto dicendo, e quelle non hanno interesse di conoscenza, hanno interessa di potere, di smercio. È molto bello trovare nel vangelo di Giovanni, scritto 2.000 anni fa, cose così moderne.

Intervento: È quasi anche una previsione di quello che sarebbe successo. Già sapeva...

Archiati: Nella sua Apocalisse ti mette lì tutte le leggi evolutive, portandole fino alla fine: immagina tu se non sa prevedere i primi 2.000 anni! Quindi qui abbiamo in Pietro la fenomenologia del materialismo e nell’ultimo capitolo, se c’arriviamo, nel ventunesimo capitolo, è detto ancora più chiaramente. Il ventunesimo capitolo non è stato scritto da Giovanni: siccome si parla di lui in rapporto al compito di Pietro, del suo compito che viene quando il Cristo ritorna, quest’ultimo capitolo è stato scritto dai suoi discepoli. I tempi in cui comincia la venuta spirituale del Cristo sono i nostri, in base a una conoscenza spirituale del Cristo stesso.

Ma lì, 2.000 anni fa, viene suggellata in un modo ancora più fondamentale la fenomenologia dell’umanità petrina. Petrus è la pietra di un’umanità che conosce e si identifica soltanto col mondo minerale, fisico, materiale e che non conosce più, proprio ha perso ogni capacità di conoscere e apprezzare il vivente, l’ani-mico, lo spirituale.

Intervento: Forse è anche il concetto di causa che è messo in discussione qui, no?

Archiati: Che vuoi dire?

Intervento: Nel senso che il fenomeno che si verifica non si risolve solamente in un fatto materiale, di per sé, ma c’è anche una causa più profonda.

Archiati: Certo, se uno analizza un orologio, questo mio è ancora di quelli senza quarzo, vede che dentro c’è un meccanismo di molle molto complesso, e allora ci sono due modi di investigazione: uno petrino l’altro giovanneo. Tutti e due sono legittimi, però ognuno da solo è incompleto.

C’è un modo di considerare la struttura delle molle che studia come sono fatte e capisce in che modo le lancette continuano a muoversi. Ho capito tutto del fenomeno quando io mi sono ridotto a capire il meccanismo interno? No, perché il tutto del fenomeno comporta che qualcuno l’ha fatto, ‘sto orologio. Se voglio una spiegazione esauriente del fenomeno devo includere chi l’ha fatto.

Tuttavia c’è una legittimità nel lasciare da parte chi l’ha fatto e di considerare solo la legge immanente, perché se io spiego il movimento delle molle soltanto parlandovi di chi l’ha fatto, non spiego nulla. Il movimento delle molle lo spiego soltanto se io capisco come interagiscono le varie molle tra di loro, ed in questo tipo di considerazione l’architetto dell’orologio non c’entra nulla: devo riconquistarmi i pensieri che sono alla base delle molle che percepisco qui dentro. Però così non spiego com’è sorto l’oro-logio: com’è nato l’orologio lo spiego soltanto se vado a vedere chi l’ha fatto, i pensieri che lui ha pensato.

Ora, la scienza naturale è parziale perché considera soltanto le leggi immanenti di funzionamento del mondo materiale. La teologia tradizionale e la filosofia tradizionale sono altrettanto parziali perché considerano soltanto i pensieri nella mente di Dio o di qualche Creatore. La cosiddetta scienza dello spirito di Rudolf Steiner è allora qualcosa di assolutamente nuovo perché fa la sintesi di tutt’e due e ti dice: guarda che tu l’orologio lo comprendi nella sua pienezza soltanto se porti avanti tutti e due i livelli di riflessione.

E perciò, tornando ai fenomeni connessi alla tomba vuota, bisogna indagarne sia il meccanismo immanente, quello che per esempio studia le placche tettoniche, come sono fatte, dove sono i punti di sutura, i pesi, ecc. e poi, contemporaneamente a questo tipo di cammino petrino, bisogna fare una riflessione di tipo giovanneo sullo spirito all’opera nel mondo. Contemporaneamente, perché Pietro e Giovanni camminano contemporaneamente verso il sepolcro vuoto. Quando metti insieme i due cammini, quando arrivano tutti e due e uno aspetta l’altro, allora hai il fenomeno completo.

Intervento: Possiamo applicare questo anche alla salute e malattia?

Archiati: Certo, certo. Il medico normale cosa ti dice sulla salute e la malattia? Ti fa un’analisi delle leggi immanenti del corpo. È legittimo questo tipo di approccio? Certo che è legittimo, però è incompleto. E perché è incompleto? Perché io gli posso dire – che lui poi sia d’accordo o no sono affari suoi, però tu devi prendere posizione come ognuno, qui, ogni testa, deve prendere posizione di fronte a quello che io adesso sto per dire –: va bene, tu mi hai descritto le cause immanenti, l’operare immanente del corpo, un tipo di riflessione che ha la sua legittimità. Però non basta. Perché? Perché adesso io dico a te, medico: guarda che questo paziente qui ha un’anima che aveva bisogno di questa malattia che tu gli porti via, e finché tu non cambi qualcosa in quest’anima, o finché lui non cambia qualcosa nella sua anima, ne deve cercare un’altra, di malattia. Allora dov’è la causa della malattia?

Perciò ho sempre detto che l’abisso ultimo dell’evoluzione non è di essere nel sepolcro vuoto, ma di non accorgersi più che è vuoto. Quando il medico non si accorge più, non sa più che ha una riflessione parziale, un’ottica parziale, ti ride in faccia quando tu vuoi integrargliela con l’altra parte! In questo punto si trova l’umanità, oggi: con una tomba vuota e senza la sensibilità dell’a-nima, che è Maria Maddalena, cui manca qualcosa: l’hanno rubato, l’hanno rubato, l’hanno rubato! Sente, vive la mancanza dello spirito.

Adesso, 2.000 anni dopo, abbiamo sempre più esseri umani che non sentono neanche più questa mancanza e il medico ti ride in faccia quando tu parli di anima. A quel punto lì che cosa fai? E che fai col pedagogo che si è imbottito di teorie pedagogiche? Gli dici: ma guarda che questo bambino qui è uno spirito eterno, si è incarnato nel suo Io superiore con il suo Angelo custode, già con un piano per la sua vita del tutto individuale, eccetera eccetera. E guarda che tu, come educatore, sei soltanto un contadino che deve preparare il terreno, ma se da quel seme spunterà una rosa o un tulipano non dipende da te, tu non c’entri nulla, non potrai mai tirar fuori da una rosa un tulipano. E quello che fa? Ti ride in faccia.

Intervento: Ho assistito ad una discussione tra un medico antroposofo e un medico tradizionale e appunto il medico tradizionale prendeva in giro il medico antroposofo che usava metodi non convenzionali. Ma in realtà questo medico antroposofo non negava il medico tradizionale, anzi, diceva che ci vuole tutto il suo percorso al quale, però, va aggiunto un altro percorso. Erano in quattro contro questo antroposofo, veramente, che, fra l’altro, spiegava proprio dove cadeva la medicina. Ma niente, non c’è stato niente da fare e lo prendevano in giro.

Archiati: Tu non ci dici chi era, questo medico, e fai bene, però il discorso va integrato, a questo punto. In una situazione del genere, dove addirittura sono uno contro quattro, come tu dici, diventa essenziale la capacità di questo medico antroposofo di articolare i pensieri, perché se lui ti mette lì un dogma...

Intervento: No, no, no…

Archiati: Dogma è dogma.

Intervento: No, no…

Archiati: Sì, però non presupporre troppo alla svelta questa capacità di articolare perché neanche ci si immagina… Tu hai usato il termine del “cadere della medicina tradizionale”: ma come ti permetti? Sta in piedi tutta quella ricerca, non c’è nulla da dire, c’è soltanto da integrarla. Se il cosiddetto antroposofo che parla, parte in partenza col pensiero: “voglio far cadere”, ha già sbagliato tutto.

Intervento: No no.

Archiati: Questo termine l’hai usato.

Intervento: Sì, sì, ma non è esatto.

Archiati: Guarda che è una categoria psicologica che vive dentro di te, se l’hai usata.

Intervento: No, volevano far cadere il medico antroposofo, non lui i medici...

Archiati: E lui cosa faceva?

Intervento: Niente, lui spiegava semplicemente dov’era la carenza, dove avevano perso di vista l’essere umano, cioè nelle parti invisibili. Tanto è vero che gli hanno detto: allora prenderemo lo sciroppino dell’anima – e c’è stata una risata, appunto. No, no, lui rispettava, c’era un rispetto stupendo per la scienza e per la medicina.

Archiati: Io ti sto dicendo che il cammino interiore di articolare questa cosiddetta scienza dello spirito, in un modo che possa diventare perlomeno plausibile a chi non la voglia bloccare ferocemente, è un cammino di tutta una vita e sono troppo poche le persone che lo fanno. Quindi, nella maggior parte dei casi, la scienza dello spirito viene presentata come un dogma. Questo è un dato di fatto e un dogma non convince nessuno, e non per cattiva volontà dell’altro ma perché non c’è stato un cammino di conoscenza, un cammino di pensiero. Quello è fondamentale.

Intervento: Molti medici mandano i loro pazienti da questo medico antroposofo.

Intervento: Siccome è un oncologo, tra l’altro, veniva richiesto molte volte il suo aiuto proprio perché lui risolveva là dove gli altri non riuscivano a...

Archiati: Allora, rileggiamo il 20,6 “Viene anche Simon Pietro seguendolo ed entrò dentro al sepolcro e anche lui vede le bende giacenti”. Eh, la percezione non è che offre a Pietro più di ciò che ha offerto a Giovanni! Quando noi guardiamo un enorme albero, quella è la percezione, gli possiamo girare attorno ma... quindi dov’è che gli essere umani sono tutti uguali? Nella percezione. Diventano diversi nel pensiero – speriamo!

La percezione di un organismo malato, per prendere l’esempio che tu hai portato, è la stessa che ha un medico tradizionale e che ha un medico antroposofo: la percezione è percezione. L’interpretazione pensante è diversa: il medico tradizionale si ferma alle cause immanenti, che ci sono; il medico antroposofo, come tu lo chiami, con gli strumenti della scienza dello spirito ti aggiunge altre cause, che pure ci sono, nell’operare dell’anima, nell’operare del corpo eterico, eccetera. Però la percezione è uguale per tutti e due.

Supponiamo che il medico tradizionale, che il pedagogo tradizionale, dicano: no, queste altre cause non ci sono. Attenti, qui è un punto fondamentale: queste cause non ci sono. A partire da Aristotele, Agostino poi Tommaso d’Aquino, soprattutto a partire dalla scienza dello spirito, si fa una distinzione fondamentale tra un’affermazione che nega, e che perciò è una contraddizione in termini, e un enunciato che afferma qualcosa. Che differenza c’è fra dire che qualcosa non c’è e dire che qualcosa c’è?

Intervento: Quello che non c’è non si può dimostrare...

Archiati: … che non c’è...

Intervento: …per sua natura. Non c’è, quindi non è dimostrabile. Quello che c’è, è dimostrabile.

Archiati: Deve essere dimostrabile! Altrimenti non c’è!

Allora, ripeti il pensiero, ricamaci un pochino. Questo pensiero è fondamentale perché lì salta fuori, e si dimostra, la capacità di pensiero argomentativa dello scienziato dello spirito. E se non ha questa capacità argomentativa pone un dogma: lui dice sì e gli altri dicono no, ma sono sullo stesso piano. Invece il sì e il no sono su un piano del tutto diverso. Qual è la diversità?

Intervento: Ciò che non c’è…

Archiati: Quando io dico che qualcosa non c’è…

Intervento: …faccio un’affermazione diciamo paradossale in sé, perché la faccio su un qualcosa che in realtà non c’è e quindi non posso dimostrarla.

Archiati: E quindi non posso dire nulla su un qualcosa che non c’è. Perché paradossale? Con questa parola hai aggiunto qualcosa di molto bello…

Intervento: Sì, è paradossale perché faccio un’affermazione positiva su un qualcosa che invece non c’è, che è in negativo.

Archiati: “Quest’anima di cui tu parli non c’è”. È legittima questa affermazione? No. Legittimo è soltanto dire: ciò di cui tu parli io non lo conosco.

Intervento: O non lo vedo.

Archiati: O non lo vedo. Non lo conosco. Quindi deve fare un’affermazione su di sé, non sulla cosa.

Intervento: Però potrebbe dimostrarle che non c’è per questi e questi motivi…

Archiati: No, sta’ attento. Lui ti ha detto: non si può dimostrare qualcosa che non c’è.

Intervento: Se non c’è non è dimostrabile perché non c’è.

Archiati: Perché non c’è! Guardate che questo pensiero è importantissimo.

Intervento: Non si può affermare nulla quindi...

Archiati: …su qualcosa che è nulla.

Intervento: Se non so che c’è, non posso dimostrare che non c’è: è una contraddizione, effettivamente. Non posso dire nulla perché se non c’è non c’è, per cui non posso dimostrarlo.

Archiati: Se non c’è, dovrei dire che cosa è che non c’è.

Intervento: Non posso neanche nominarla, perché se dico: l’anima non c’è…

Archiati: Ecco, sì, è questo! Dovrei dire che cosa è che non c’è, però dicendo che cos’è dico che c’è.

Intervento: Però può essere stato coniato un termine, “anima”, per esempio, per qualcosa che non esiste. Però tutta l’umanità, diciamo, condivide, no?

Archiati: No no no. È possibile coniare un termine su qualcosa che non esiste? No, perché non esiste. Quindi se il termine è stato coniato vuol dire che, almeno per qualcuno, esiste.

Intervento: Se uno afferma che l’anima non c’è, allora io posso chiedere: dimmi che cosa intendi tu per anima.

Archiati: Dimmi che cosa è che non c’è.

Intervento: Cosa intendi per anima? Se mi dici che non c’è, spiegami che cosa è l’anima che hai detto che non c’è.

Archiati: Quindi l’unica affermazione legittima, onesta, è dire: caro amico, tu mi parli di anima, ciò di cui tu mi parli per me non esiste. Però per me.

Intervento: Ma deve dirmi che cosa intende per anima.

Archiati: Sì, ma magari me l’ha già spiegato per un’ora… me l’ha già spiegato per un’ora!

Intervento: E allora?

Archiati: E allora gli devo dire: ciò di cui tu mi parli per me non esiste. Allora va bene. Prevarica il campo di ciò che gli è concesso quando dice: non esiste per tutti, non soltanto per me. Perché “non esiste” significa che non esiste anche per te.

Intervento: Deve dire: io non ne ho l’esperienza.

Archiati: Sì, per me non esiste. Però lo scienziato normale ti dice: non esiste. Non dice: per me non esiste.

20,7 e il sudario che era posto sulla testa di lui, non giacente con le altre bende, ma a parte, avvolto su se stesso in un luogo a parte.

Il sudore, anche se può uscire da tutte le parti, classicamente esce dalla fronte: “il sudario che era intorno alla testa” soud£rion Ö Ân ™pˆ tÁj kefalÁj (to sudarion o en epì tes kefalès), il sudario che avvolgeva la fronte – c’è proprio la parola greca kefalÁj (kefalès), testa. “Non con le altre bende giacente” met¦ tîn Ñqon…wn ke…menon (u metà ton othonìon kèimenon) “ma a parte” ¢ll¦ cwrˆj (allà chòris) “avvolto su se stesso” ™ntetuligmšnon (entetyligmènon) “in un luogo a parte” eˆj žna tÒpon (èis èna tòpon).

Il sudario è l’evoluzione del pensiero, il sudare della mente, l’evoluzione della coscienza umana la cui legge evolutiva è la ri-flessione, l’autocoscienza che si ri-flette su se stessa: io sono un io e so di essere un io. Avvolto su se stesso. Agostino direbbe: cor curvatum in se ipsum.

Intervento: Ripiegato.

Archiati: Ripiegato su se stesso, altrimenti non c’è ri-flessione, autocoscienza. Una bellissima immagine dell’evoluzione è il pensiero. E l’evoluzione del pensiero va per conto suo. Poveri noi se l’evoluzione della volontà, se l’evoluzione della vita andasse così veloce come l’evoluzione del pensiero. Pensare a un ideale: eh, basta che lo penso e ce l’ho! Trasformare tutta la vita in modo da vivere secondo questo ideale, beh, beh, ce ne vuole!

Quindi questi due chiamiamoli involucri del Logos sono: l’evoluzione intellettuale, il cammino di pensiero degli esseri umani, a parte, che va più veloce, e che ha come legge evolutiva la riflessione, l’autocoscienza – ™ntetuligmšnon (entetuligmènon) avvolto su se stesso, bellissima immagine! – e poi c’è l’evoluzio-ne morale, che presuppone quella intellettuale e la porta a compimento. È l’evoluzione del cuore, del sentimento e della volontà: quello è l’altro involucro.

L’evoluzione nella libertà del pensiero è il sudario e l’evolu-zione morale, che sta proprio nel trasformare in vita gli ideali che cogliamo a livello di pensiero, è l’altro involucro, l’altra benda del Cristo, del Logos: libertà e amore. Quindi la legge evolutiva del fattore intellettuale, del pensiero, è la libertà e la legge evolutiva del fattore morale è l’amore. L’amore trasforma la vita. Capire si può in un lampo, per trasformare la vita ci vogliono i passi evolutivi e i passi si possono fare soltanto uno dopo l’altro.

Questa benda del capo (l’evoluzione del pensiero e della coscienza) e questa benda del tronco e degli arti (l’evoluzione morale della volontà) sono i due posti dove a Maria Maddalena appaiono i due angeli: quindi sono l’immaginazione dell’evoluzione della coscienza e l’immaginazione dell’evoluzione morale degli esseri umani.

In altre parole, a Pietro e Giovanni si presenta la percezione e Maria Maddalena ha la visione immaginativa di queste due percezioni, del sudario e dell’altra benda e verrà detto, fra poco: vide due angeli, uno dalla parte del capo e l’altro dalla parte degli arti. Quindi la polarità dell’essere umano è una polarità di volontà, di comunità, di amore (Pietro) e una polarità di pensiero, di libertà, di progetto verso il futuro, di progettazione (Giovanni), con l’in-tento, nelle forze dell’anima, di creare sempre il giusto equilibrio tra la libertà e l’amore, tra il passato e il futuro, ecc.

20,8 Allora dunque entrò anche l’altro discepolo

TÒte oân e„sÁlqen kaˆ Ð ¥lloj maqht¾j (tòte un eisèlthen o àllos mathetès). Quindi Pietro è già entrato, è stato già detto che Pietro è entrato; adesso entra anche Giovanni. Giovanni entra dopo Pietro, quindi l’elemento volitivo di realizzazione nella vita, che è proprio del giovanneo, viene dopo Pietro. Adesso, nel nostro tempo, siamo al punto in cui la realizzazione di un cristianesimo in chiave petrina cede sempre di più il posto per far entrare Giovanni-Lazzaro – e deve cedere il posto, perché non basta più il cristianesimo petrino, non basta più a sempre più esseri umani.

Allora, dopo che Pietro aveva avuto tutte queste percezioni, entrò anche l’altro discepolo

20,8 che era giunto prima al sepolcro e vide e credette.

Vengono dette due cose di Giovanni-Lazzaro: “vide e credette” eŒden kaˆ ™pisteusen (èiden kài epìsteusen). “Vide” eŒden (èiden) può andar bene, perché è l’elemento conoscitivo: percezione e interpretazione della percezione. Il credere, ciò che noi traduciamo con credere, è l’elemento del cuore e della volontà che dà fiducia a questo impulso evolutivo che porta l’evoluzione fino alla fine della seconda metà dell’evoluzione terrestre: quindi il verbo ™pisteusen (epìsteusen), una cosa che ci siamo detti tante volte, porta in sé la p…stij (pìstis) “la fiducia”, questa categoria volitiva di sentimento e di volontà, una categoria di evoluzione degli arti, una categoria morale. L’umanità, che è diventata sempre più materialistica, che ha fatto di tutto ciò che è spirituale una questione sempre più astratta e intellettualizzante, ha trasformato questa categoria morale in quella intellettuale più rarefatta che ci sia. Che significa “credere” qualcosa? È l’elemento più astratto che ci sia.

Intervento: Completa passività.

Archiati: Sì, però tutto a livello intellettuale, della mente. Invece il concetto greco di p…stij (pìstis) prima di tutto non è un concetto intellettuale ma morale, e significa dare fiducia nel cuore e anche nella volontà: uno si mette in cammino perché dà fiducia a questo impulso evolutivo. Vide, cioè capì a livello di pensiero, la direzione dell’evoluzione e cominciò a darle fiducia, a camminare.

Intervento: Anche “scegliere”.

Archiati: Però la categoria di scegliere la si può mettere anche in campo intellettuale. Cosa intendi per scegliere?

Intervento: Allora “affidarsi”.

Archiati: No, l’affidarsi è del bambino.

Intervento: Sentire delle forze interne e decidere di seguire quelle.

Archiati: Sì, quindi dargli fiducia.

Intervento: Allora è una polarità, perché mentre Pietro prima percepisce…

Archiati: …e poi non capisce!

Intervento: …e poi non capisce, bravo, o perlomeno Pietro fa precedere prima la percezione sensibile e poi la parte concettuale, la parte del pensare, del pensato corrispondente, invece in Giovanni c’è esattamente il contrario, cioè si parte prima da un universale ante rem, no?, come direbbe la tomistica, e poi si traduce un’idea portandola nella realtà, nella concretezza. È esattamente il processo contrario, in fondo.

Archiati: O tosco!, il pensiero che tu hai detto, tu lo vedi che è chiaro a te, però ti resta un pochino la perplessità se sia stato reso in modo chiaro per gli altri. Sono due cose diverse: l’averlo chiaro e l’esprimerlo in modo che possa arrivare. Adesso io do un piccolo aiuto per farlo arrivare un po’ a tutti.

Per il vedere di Pietro e per il vedere di Giovanni, che sono due percezioni (vedere significa percepire, no?), il testo greco usa due verbi totalmente diversi: Pietro qewre‹ (theorèi) 20,6 e Giovanni eŒden (èiden) 20,8. Da qewre‹n (theorèin) viene la nostra “teoria”, qe£omai (theàomai), “guardare”: è la percezione sensibile. Dal verbo qe£omai viene la parola “teatro” (qšatron, theàtron), e il teatro è la percezione sensibile.

Quindi Pietro ha la percezione sensibile. Pietro vede ma non capisce, invece eŒden (èiden) è un modo di percepire che interpreta in chiave di pensiero la percezione: proprio perché Giovanni-Lazzaro ha vissuto lui stesso tre giorni e mezzo nel sepolcro e anche lui ha lasciato il sepolcro vuoto, vede capendo ciò che vede e perciò dà fiducia a questa evoluzione che parte dal sepolcro vuoto.

Pietro ha la percezione di un bambino che non è ancora in grado di capire ciò che vede e il greco te lo mette in un modo così sovrano che ti usa qewre‹ (theorèi) per Pietro 20,6 e eŒden (èiden) per Giovanni 20,8 verso la fine.

Rendiamoci conto che il vangelo di Giovanni è scritto in lingua greca, con una precisione scientifico spirituale tale che addirittura nel modo di percepire di Pietro e di Giovanni ci sono due categorie verbali del tutto diverse. Quindi il verbo qewre‹n (theorèin), da cui viene la cosiddetta teoria, è un modo di percepire indipendente dalla capacità di pensiero che interpreta ciò che si vede; invece da eŒden (èiden) viene l’idea. È un’interpretazione della percezione in chiave di pensiero.

Intervento: C’è anche una polarità, no? tra qewre‹n (theorèin), il fatto che “vedo in fila” pur senza capire, però con un ordine, e eŒden (èiden), “comprendere”, mettere insieme tutte le cose.

Archiati: A parte le disquisizioni filosofiche, visto che stiamo usando il linguaggio italiano e qui abbiamo toscani, come dire, successori di Dante Alighieri, chiediamoci: che cosa intendiamo quando in italiano diciamo la parola “teoria”, che deriva direttamente da qewre‹n (theorèin)? Cos’è una teoria? E voi dovreste saperlo meglio di me, perché io da trent’anni, da quarant’anni sono via dall’Italia.

Intervento: Non è una sequenza?

Archiati: Per esempio in Dante cos’è una teoria?

Intervento: Una sequenza.

Archiati: Un processo mentale indipendente dal mondo reale della percezione.

Intervento: Un’astrazione.

Archiati: Un’astrazione, una bella teoria,

Intervento: Un’ipotesi.

Archiati: Teorica. Quindi c’è nel linguaggio. Noi abbiamo tutto il diritto di lasciarci istruire dal linguaggio, il linguaggio è stato architettato da un arcangelo eh?, nemmeno da un angelo.

Intervento: Sì, però la teoria è una cosa che io vedo e mi impressiona, questa teoria non è che non c’ha effetti…

Archiati: Intellettualmente. Quindi una teoria è una goduria mentale a scapito della realtà.

Intervento: Perché a scapito della realtà?

Archiati: Se mi interessa la realtà non faccio teorie.

Intervento: No, non le faccio. Io la vedo, infatti, la teoria. La vedo, è questo che volevo dire: l’elemento di passività nel qewre‹n (theorèin) è che io vedo queste cose e…

Archiati: …a quel tempo si vedevano adesso non si vedono più.

Intervento: Alzo le mani.

Archiati: Adesso come parola è diventata pura disquisizione.

Intervento: Adesso sì. Io parlavo della parola in senso più preciso, più ...

Archiati: La mia domanda era: qual è l’esperienza interiore che il linguaggio esprime con la parola “teoria”?

Intervento: Pensiero vuoto appunto.

Archiati: Vuoto di che?

Intervento: Vuoto di pratica.

Archiati: Eh sì, il sepolcro vuoto.

Intervento: Vuoto di vita.

Archiati: È un teorizzare indipendente dalla realtà. Noi non diciamo idealizzare, diciamo teorizzare. Non diciamo “è una bella pensata”, ma diciamo “è una bella teoria” e intendiamo dire: sì, è bella come teoria, ma...

Buon appetito e buona siesta.

Sabato 26 agosto 2006, pomeriggio
20,9 – 20,18

Per aiutarvi a finire la siesta volevo fare un altro commentino su questi due nuovi volumi che abbiamo portato giù dalla Germania (gli altri naturalmente li conoscete già). Questi due volumi sono nuovi. Vi ho accennato che, lasciando da parte altre cose, mi sono messo un paio di settimane soprattutto su questo di Rudolf Steiner Cultura politica economia, per rendere il più possibile anche in italiano le sfumature del pensiero tedesco. Se l’avete scorso un pochino, spero che abbiate notato che, insomma, è una lettura non del tutto spiacevole.

Volevo farvi presente una cosa che per me è molto importante: oltre alla traduttrice Silvia Nerini, che viene pagata come professionista, c’è stata Letizia Omodeo, che molti di voi conoscono e gli altri la possono conoscere, che ha dedicato veramente tante forze senza chiedere nulla (altrimenti non sarebbe possibile pagare tutti) per inserire tutti gli scarabocchi che io le mandavo dalla Germania, per migliorare il testo di volta in volta. Ore e ore, giornate intere ha lavorato con una dedizione che mi ha veramente commosso, in modo da potervi presentare questo testo. Sarei molto felice se portaste a coscienza che senza il suo contributo non sarebbe stato possibile presentarvi questo testo Cultura, politica ed economia, e anche l’altro.

Perché ho insistito tanto su questo libro? Prima di tutto perché è un testo fondamentale di Steiner sulla cosiddetta questione sociale, e io considero un libro come questo cristologia applicata. Dicevo che cultura è l’impulso della libertà, economia è l’impulso della solidarietà, dell’amore reciproco, dell’aiuto reciproco e politica, diritto, è la parità di diritto alla libertà e alla solidarietà che tutti abbiamo – pari diritto alla libertà nell’espletamento dei talenti e alla solidarietà per l’appagamento di bisogni.

Ora, la scienza dello spirito moderna è il ritorno del Cristo in forma di Spirito Santo: questo è il Giovanni che si presenta alla fine del vangelo. Pietro è il Cristo che lavora nell’umanità per 2.160 anni al fine di creare i presupposti perché l’individuo afferri il Cristo in chiave di pensiero, in modo individuale, in modo libero. Quando l’individuo afferra in chiave di pensiero il mistero del Cristo in un modo libero e individuale, il Cristo si esprime in forma di Spirito Santo.

In altre parole, lo Spirito Santo è lo spirito del Cristo, lo stesso spirito, è Lui che lo manda: però è un Cristo interiorizzato e in questo senso individualizzato – cosa che vi ho detto anche altre volte. È tutt’altra cosa. Maria Maddalena, che vedremo adesso nel ventesimo capitolo, è ancora al punto di cercare il Cristo come un’istanza fuori di sé, come una realtà che la interpella da fuori. Quindi il Cristo fa da passaggio tra il Padre e lo Spirito Santo nel senso che rende gli essere umani capaci di interiorizzare questo Logos cosmico fatto di sapienza, di pensiero e di amore, e interiorizzandolo ognuno di noi lo individualizza, perché lo esprime in un modo del tutto diverso. Questa è la pluralità, diciamo, la ricchezza dell’umanità.

Questo primo secolo di scienza dello spirito non possiamo dire che sia stato proprio cristianesimo dello Spirito Santo: è ancora stato cristianesimo del Figlio, nel senso che si è fatta cristologia, ma non una cristologia che è diventata vita, perché altrimenti le tante conferenze sociali di Steiner sarebbero state come minimo tradotte in Italia e anche masticate. Di questo si è fatto poco o nulla. In altre parole, il primo secolo di scienza dello spirito è stato una bella teoria.

Se voi prendete quest’altro volume (e vi raccomando di comprarne almeno 5 o 10 copie ognuno!), il secondo volume de Le sorgenti della cultura occidentale, sempre di Rudolf Steiner, vedrete che sono bellissime conferenze sul mistero del Cristo; c’è però il pericolo che se uno si ferma nella contemplazione di questi bellissimi contenuti si fa una bella goduta spirituale senza immettere queste forze nell’umanità.

Invece, se uno non rimane al livello della teoria, lo sbocco normale di queste considerazioni è che diventano vita. Cultura politica economia è lo spirito del Cristo che diventa vita, incarnato, e allora sì che il sociale si rinnova passando però per la cruna dell’ago dell’individuo.

L’umanità e il sociale non si rinnovano più per suggestione di massa o per movimento di popolo: tutto questo appartiene al passato, il futuro è dell’individuo. E l’umanità sarà di tanto migliore per quanti individui ci saranno che rendono se stessi migliori, migliori nel senso di acquisire coscienza sempre più illuminata dei fenomeni del mondo e sempre più forze di amore per rinnovare l’umanità.

La possibilità di rendersi migliore è data ad ognuno. Diventare migliore è possibile subito, qui e subito, ad ogni essere umano: basterebbe che se ne rendesse conto e lo facesse. Però nessun essere umano può più accettare di fare le cose per imposizione di comandamento o di legge o di Stato, o per punizione, o per minaccia di andare all’inferno o in prigione.

Per fortuna ci sono sempre meno esseri umani che fanno il bene per costrizione o per paura. Il bene, allora, lo può fare soltanto l’individuo per convinzione sua. Attendendo che questo individuo (che poi sono 6 miliardi di individui incarnati più tutti gli altri che aspettano di venir giù dal parcheggio dei mondi spirituali) si renda conto di quello che c’è da fare e lo faccia, ci fa paura il pensiero che le sorti dell’umanità siano in mano all’individuo? Se questo ci fa paura dobbiamo capire che l’unica alternativa sarebbe di distruggere la libertà e non è un’alternativa avviabile.

Quindi il grande futuro, l’unico futuro positivo dell’umanità è la libertà dell’individuo, di ogni individuo. Il mondo migliora, l’umanità migliora soltanto se io miglioro me stesso, non le condizioni economiche. In questo libro viene data una bella lavata di testa al marxismo e a tutto il socialismo che si è messo in testa questa bella pensata, stupida no?, che basti cambiare la situazione economica per far saltar fuori una vita culturale e una vita giuridica che vadano bene. No, l’umanità non si rinnova dal di fuori, ma rinnovando l’interiorità dell’individuo. E quando l’individuo, un numero sufficiente di individui, cambierà interiormente darà vita a istituzioni nuove, edificherà un assetto esteriore corrispondente a questo rinnovamento interiore.

Appellarsi alla libertà dell’individuo come fattore decisivo del futuro dell’umanità, in termini cristiani è proprio il cristianesimo dello Spirito Santo, non più del Cristo. Il Cristo crea il presupposto nell’individuo perché lo possa fare.

E quando l’individuo è lasciato a se stesso vediamo, nella triade di Maria Maddalena (l’anima) posta tra Pietro e Giovanni, le tre matrici fondamentali dell’essere umano, dove ognuno di noi trova le sue forze fondamentali. La forza del pensiero, dove comincia la libertà espressa soprattutto in Giovanni-Lazzaro, la forza di volontà che però deve illuminarsi con il pensiero per essere libera, espressa soprattutto da Pietro, e la forza del cuore, la forza dell’anima pura, che è Maria Maddalena.

20,9 Infatti non avevano capito la Scrittura: che Lui doveva risorgere dai morti.

Diciamo che questa noticina la scrive Giovanni-Lazzaro, che è l’autore del vangelo di Giovanni, però non riferendosi a se stesso. Dobbiamo capire che questo testo è anche un pochino cifrato, nel senso che l’autore deve parlare anche di se stesso perché si pone in rapporto con Pietro e quindi certe affermazioni deve farle indirettamente. Non può dire che gli altri non avevano capito che lui stesso era stato risvegliato, cioè iniziato dal Cristo, e che era stato tre giorni e mezzo oltre la porta della morte. E di questo rovellìo, di questa lotta conoscitiva sia di Pietro che di Maria Maddalena (poi anche di Tommaso, lo vedremo), Giovanni-Lazzaro dà un cenno, mette una noticina su questi fenomeni e ci dice che non avevano capito che doveva risorgere dai morti.

Cos’è che non avevano capito gli essere umani e che anche noi stiamo appena cominciando un pochino a capire? Che il senso dell’evoluzione è il morire (Fig. 5).

Morire dentro la materia è la prima parte dell’evoluzione, e il senso di questo morire è il risorgere nella seconda metà. Qui, al centro, abbiamo l’evento del Cristo che crea la svolta. In altre parole, gli esseri umani si trovano nel mezzo dell’evoluzione al punto estremo della caduta perché non hanno ancora capito che il senso della caduta è la riascesa. Nel momento in cui uno capisce che il senso della caduta, il senso del peccato originale, è la redenzione, in quel momento ha il tutto. L’abbiamo detto che il pensiero, in un baleno, è capace di capire il tutto.

Che cos’è che si tratta di capire? Si tratta di capire la struttura totale dell’evoluzione che è: morte e resurrezione. E questo i discepoli non l’avevano ancora capito: che il Cristo è morto per risorgere. E allora vanno a vedere dov’è, dov’è, dov’è… il corpo. No, il Cristo è morto per risorgere!

Il senso del sorgere della materia è di disintegrarla di nuovo. Però questo non avviene in poco tempo. Il Cristo ci ha messo tre anni per disintegrare un corpo. Per disintegrare tutto il corpo della Terra, tutte le percezione che abbiamo, abbiamo bisogno di tutte le vite, di tutte le incarnazioni della seconda parte dell’evoluzione terrena.

Tutto ciò che fa parte dell’evoluzione veniva e viene sempre strutturato in settenari: tre passi sono l’andata, nel mezzo c’è un quarto passo che fa da perno per la svolta, e il ritorno è di nuovo di tre passi. Il 5 è la resurrezione del 3, cioè di ciò che si è seminato, che è sceso nella materia durante il 3; il 6 è la resurrezione del 2; il 7 è la resurrezione dell’1; il 4 è la svolta che crea i presupposti per invertire l’evoluzione.

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Fig. 5 Struttura Totale dell’Evoluzione

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Tutto ciò che è evoluzione nel tempo, vedi l’Apocalisse, si struttura secondo il 7: prima un ternario, poi una fase a parte, quel quarto passo che crea sempre una svolta, e poi un secondo ternario nel quale il primo ternario inverte la marcia.

Ci sono tante conferenze di Steiner dove vengono descritti vari tipi di settenari che abbracciano diverse lunghezze di tempo – adesso uso un paio di termini della scienza dello spirito, alcuni di voi li conoscono altri no, ma non fa niente –, per esempio le 7 grandi epoche ognuna suddivisa in 7 periodi di cultura. Noi siamo nel quinto periodo di cultura della quinta epoca postatlantica.

Se prendiamo i periodi di cultura, vediamo che sono livelli più piccoli, ognuno di 2.160 anni, che corrispondono agli anni che il Sole impiega ad attraversare un segno zodiacale. Questi periodi sono: 1) il periodo paleo-indiano, 2) il periodo paleo-persiano, 3) il periodo egizio-caldaico, 4) il periodo greco-romano, che va da 747 a.C. al 1413 d.C., dove avviene la svolta e dove si è incarnato il Cristo, che ha creato tutti i presupposti per la svolta, 5) il periodo attuale, nel quale noi siamo a partire dal 1413 e che durerà fino al 3.573 (cioè 1413+2.160 anni e, se vi va, fatevi i conti su tutti gli altri periodi[5]). In fondo, siamo ancora all’inizio di questo quinto periodo. Verranno poi 6) il sesto periodo e 7) il settimo periodo.

Se è vera questa struttura dell’evoluzione con tutte le sue corrispondenze fra i periodi, deve essere anche vero che tutti i fenomeni culturali dell’umanità in questi secoli che noi viviamo (quinto periodo di cultura) sono il risvolto, la corrispondenza ad un livello diverso di ciò che è avvenuto nel periodo egiziano, il terzo (Fig. 5).

Ci sono conferenze intere di Steiner, ma bellissime, proprio interessanti, che fanno capire che un riflesso fondamentale del nostro materialismo, per esempio, si rifà alla decisione degli egiziani di mummificare il corpo umano e quindi di conservarlo. Questo fissarsi sul corpo umano, che è un pezzo di materia, tra l’altro, al tempo dei persiani sarebbe stato impensabile: la cultura era troppo spirituale, in quei tempi antichi, per accorgersi addirittura che c’era un corpo fisico. La realtà era quella spirituale.

Nel periodo egizio caldaico comincia invece a diventare talmente reale, talmente determinante la fisicità, che si fa di tutto per conservare oltre la morte il corpo fisico. Al contempo la morte diventa un grosso enigma, che diverrà ancora più oscuro tra i greci e i romani.

Se un indiano del primo periodo di cultura (7.227-5.067 a.C.) avesse osservato questi sacerdoti egizi che mummificavano, avrebbe avuto un infarto cardiaco, avrebbe detto: ma voi siete matti! Il corpo non è neanche una realtà e voi la volete eternizzare?! È maya, tutto ciò che è materia è illusione!

Vediamo così che la cosiddetta scienza dello spirito ci dà la possibilità di cogliere in modo scientifico la struttura dell’evo-luzione a tutti i livelli: a livello fisico, di scienza naturale; a livello del vivente; a livello dell’animico, scientificamente studiato, cosa che nella storia viene proprio del tutto disatteso; e poi l’evo-luzione dello spirito. E cos’è che l’essere umano deve capire? Il senso dell’evoluzione, la struttura dell’evoluzione. E qual è la struttura dell’evoluzione? Un’andata con una svolta e poi un ritorno.

E la vita? Prendiamo la vita, visto che mi guardate e ognuno mi sta chiedendo: dammi elementi di percezione reale, se no ti devo credere come un dogma! Quando noi parliamo dell’interezza dell’evoluzione, è chiaro che non ne possiamo avere la percezione diretta. Eppure, dov’è che abbiamo nella percezione diretta un’immagine dell’evoluzione? Nello scorrere di ogni vita umana: perché la vita comincia da zero nel grembo della madre, nel concepimento, poi si svolge, si svolge, si svolge e poi finisce.

Allora, qual è la struttura della vita umana? L’andata ve la faccio in su, adesso, se no vi confondete le idee. O forse provo a farla in giù, e vediamo se vi è chiaro lo stesso… sarebbe meglio, sarebbe più da scienza spirituale venire in giù che non andare in su.

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Fig. 6

Allora: qui a 0 facciamo la nascita – prima ci mettiamo il peccato originale, la cacciata dal paradiso –, l’uomo nasce e poi diventa sempre più materiale, il materiale acquista sempre più forza decisiva. A 35 anni, nel mezzo del cammino di nostra vita, c’è un’inversione di marcia: fin lì, fin verso metà della vita (adesso non mi pigliate sui secondi o sui minuti, è chiaro che stiamo parlando della struttura generale) c’è un crescere, crescere, crescere di forze fisiche e poi a metà si inverte la marcia, e il fisico va a scendere scendere, scendere. Decresce… mai successo che uno a ottant’anni abbia fatto il record dei 100 metri. Mai successo e non succederà mai. È inutile che ti ci metti Luciana, capito?

Luciana: Testimonio che dici la verità.

Archiati: Davvero? E perché? Perché qui adesso stiamo seguendo la falsariga di qualcosa che tutti abbiamo nella percezione reale. Perciò vi ho detto: quando le cose diventano troppo difficili perché stiamo parlando dell’evoluzione nel suo insieme, e quando uno, giustamente, obietta: sì, quello che mi dici è bello però è pura teoria, dov’è la percezione reale?, allora c’è bisogno di ritornare sempre alla vita umana perché quella ce l’abbiamo per intero nella percezione. Vediamo il bambino che nasce, addirittura possiamo seguire attraverso gli strumenti che abbiamo tutta l’evoluzione embrionale dei nove mesi, poi abbiamo la percezione del bambino di un anno, di cinque anni, di dieci anni, fino ai novantenni e passa.

Qui ci tocca dire, perché è vero (e perché Luciana è testimone, se non avesse testimoniato lei noi non lo sapremmo!) che la struttura della vita è tale che c’è una direzione che rimane la stessa per un certo tempo, e poi si inverte. La direzione è di un crescere, crescere, crescere di forze fisiche, poi s’inverte la direzione e le forze fisiche decrescono.

E il senso qual è ? L’essere umano è chiamato a capire che il senso di questa morte è la resurrezione dello spirito. Però la resurrezione dello spirito non è un fatto di natura. Se fosse un fatto di natura sarebbe noiosa la cosa, non ci darebbe soddisfazione più di tanto perché accadrebbe per forza e noi resteremmo la ruota di scorta del divenire.

Invece il bello dell’evoluzione è proprio quello che è lasciato alla libertà dell’uomo. In altre parole, la struttura dell’evoluzione è che lo spirito umano può crescere, crescere in forza, in luce e in amore soltanto consumando la materia. Cos’è il diventare vecchi? È lo spirito che si trova sempre più nella possibilità di consumare la materia. Ma se non la consuma, la materia segue la sua legge, invecchia senza che questo invecchiarsi del fisico si faccia da supporto, si faccia da strumento, si faccia da conditio sine qua non per il compito della libertà: la resurrezione dello spirito (Fig. 6).

Il versetto 20,9 dice: i discepoli non avevano ancora capito la struttura dell’evoluzione. Ma una volta capita, ognuno ha la possibilità di esprimerla con le parole sue. Una volta capita, non è più importante se usiamo la parola “redenzione” o “resurrezione dello spirito” o “libertà”, o altre ancora: ci capiamo, perché abbiamo capito di cosa stiamo parlando.

Quando le persone si impuntano sui concetti, sulle parole, è perché non hanno capito abbastanza. Nel momento in cui le cose si capiscono, si capisce anche che si possono usare espressioni diverse: tu usi questa parola qui, capisco che cosa intendi; usi quest’altra parola, capisco cosa intendi.

Quindi “resurrezione” è una parola classica e sta a dire il carattere fondamentale della seconda metà dell’evoluzione. La prima metà è condotta dalla natura, mentre nella seconda metà le forze di natura si ritirano sempre più (vedi il Padre che al sabato si riposa, per far posto alla libertà umana).

La prima metà dell’evoluzione, come la prima metà della vita, è condotta dalle forze di natura, dai determinismi di natura, la seconda metà è lasciata alla libertà. Ma se è lasciata alla libertà non significa che la libertà è costretta a prendere in mano le redini; può farlo, se vuole, ma non è un obbligo, altrimenti non sarebbe libera. Se l’essere umano omette di creare ciò che gli è reso possibile creare, c’è lo sfacelo dell’elemento di natura e solo quello. E se uno si lamenta perché è posto di fronte a questo sfacelo di forze di natura, e dice: ma è ingiusto!, cosa gli diciamo?

Intervento: Datti una mossa!

Archiati: Eh, proprio questo pensavo! L’unica alternativa è “datti una mossa”, se non te la dai non andare ad accusare gli altri o la vita, devi accusare te stesso che non ti dai una mossa. Sì…, però io sarei più contento… mi tornerebbe meglio se l’evoluzione an-dasse tutta bene, se io fossi felice senza dovermi dare una mossa… eh!, allora pretendi di essere il Padreterno che crea un’altra natura umana alternativa a quella che c’è, e pretendi un po’ troppo! Un essere umano che è felice senza far niente non esiste. Mi dispiace ma non c’è. È una fregatura, Bruno?

Bruno: Direi che è uno stimolo…

Archiati: Ma perché ci deve essere questo stimolo? Perché non è meglio essere felici senza fare niente? Allora, Bruno… quando uno dice una cosa mezza sensata diamogli il microfono. Attenti a come si è espresso, eh?

Bruno: Ascolto persone, nei miei incontri, che sembrano avere tutto eppure non è loro sufficiente.

Archiati: Quindi l’essere umano è strutturalmente creato così, che non è felice se si ferma. È felice soltanto in movimento. È felice soltanto se trova la forza di essere in divenire. Io posso solo assicurarvi che è meglio così, eh? che quell’altra natura umana non sarebbe meglio, però... se vi convince o no sono affari vostri.

Per ognuno convincersi è questione di esperienza, nessuno ti può convincere per teoria: o hai fatto quest’esperienza, e la vita è fatta apposta per farcela fare, oppure dal di fuori non ti si può convincere. E ognuno di noi può dire di sé: in quelle giornate, in quelle ore in cui ho realizzato qualche cosa – e da dove mi siano venute le forze, non lo so! –, ero più felice che nei giorni in cui ho poltrito. Lo sa ognuno. Rimboccarsi le maniche non è la cosa più difficile: è la cosa più bella che c’è.

Quindi il materialismo è una povertà di spirito tale che sta creando delle menti così bacate da pensare che sarebbe bello poter campare senza fatica. L’abisso del materialismo non è tanto morale, è proprio un abisso di coscienza, è un errore, ma così stupido che istupidisce gli essere umani a un punto tale da mettergli in testa che la vita comoda rende felici. Più stupidi di così non si può essere, perché un essere umano che vuol vivere da comodo non può essere felice!

L’umanità è talmente sepolta in questo mondo della materia che si lascia imbambolare da un’idiozia così assoluta come questa. Sono i poteri di questo mondo che hanno interesse che gli uomini non coltivino le forze di libertà, altrimenti non li potrebbero manipolare secondo i loro scopi. E allora chi è che propina questa enorme assurdità che la vita ti rende felice nella misura in cui è comoda? Coloro che vogliono distruggere le forza di volontà dell’individuo per poterlo manipolare secondo i loro scopi.

A questo punto ci rendiamo conto che è importantissimo capire queste cose perché sono quelle che più lavorano nel quotidiano di oggi. L’essere umano è strutturalmente creato in modo tale che è felice nella misura in cui la vita è scomoda, “scomoda” tra virgolette naturalmente, nel senso che lo provoca all’azione. E più fa, più prende in mano le sue sorti, più l’uomo è felice.

A quel punto gli sbagli non contano nulla, perché prendere in mano la propria sorte significa aver il coraggio di provare, provare, provare, e man mano che uno prova diventa sempre più bravo a evitare gli sbagli. Quindi la cosa peggiore è quando questo dogma del potere riesce a convincere gli essere umani che più la vita è liscia più c’è felicità. Perché non è vero, è una menzogna assoluta.

Quando ci sono più soldi, quando ci si può permettere di non far nulla, di far lavorare gli altri al posto nostro, le depressioni (che, abbiamo visto, di per sé sono positive in quanto segnalano la mancanza dello spirito) aumentano all’infinito senza risolversi. Chi ha qualcosa da fare non ha troppo tempo per le depressioni: ha da fare! Una lunga depressione se la può permettere soltanto chi non ha nulla da fare. Ma il problema non è che è depresso: il problema è che non ha nulla da fare, quello è il problema!

Questo è il mio commento al versetto 20,9, perché lì si tratta di capire la struttura dell’evoluzione. “Non avevano capito la Scrittura”, e la Scrittura, l’Antico Testamento, è fatta di profezie. La Scrittura sono i pensieri divini sull’evoluzione umana, e in essa i profeti anticipano a livello di coscienza il senso dell’evoluzione.

Il contenuto di tutte le profezie, che siano di Isaia o di Geremia non importa nulla, è che l’evoluzione si svolge in due fasi con un punto nodale di inversione di marcia, che l’umanità scende sempre di più nel mondo della materia e che il senso di questa discesa nella materia è di creare l’individualità singola. Il senso della congiunzione con la materia è l’emergenza dell’individuo singolo per dare a lui la possibilità di far risorgere lo spirito umano, nella seconda metà dell’evoluzione, in chiave di libertà, in chiave di spirito individualizzato.

20,10 I discepoli tornarono di nuovo ognuno a casa sua.

“Ognuno a casa sua” è eautoÝj (eautùs): alcuni manoscritti hanno tirato via la e iniziale lasciando aÙtoÝj – lo dico per chi sa bene il greco –, però i manoscritti più antichi hanno questa e: eautoÝj (eautùs) “ognuno a casa sua”. È la casa individuale, quindi il punto di partenza è individuale. Pietro e Giovanni non ritornano tutt’e due alla stessa casa; e il fatto che ognuno ritorni alla sua casa ci fa capire che erano partiti da due punti diversi.

L’andare verso il sepolcro è parallelo nel tempo ma non percorrono la stessa strada in senso locale, nel senso geografico di iscrizione di passi sul corpo della Terra.

A un altro livello questo versetto ci dice che la percezione del sepolcro vuoto distoglie lo sguardo dei due discepoli dall’aspet-tarsi tutto dal Cristo e li riporta nella coscienza desta dentro il proprio corpo. Ognuno ritorna nella sua casa, che è il proprio corpo. In altre parole, il primo passo della riascesa, della resurrezione dello spirito è proprio il destarsi della coscienza dell’Io che ha, come condizione necessaria, l’inabitazione nel proprio corpo.

Allora, proprio letteralmente: “andarono via” ¢pÁlqon (apèlthon) da questo luogo esterno che è il sepolcro, “di nuovo” oân p£lin (un pàlin) “verso se stessi” prÕj eautoÝj (pros eautùs). In italiano tradurremmo al meglio questa espressione dicendo: “ritornarono in se stessi”. Cosa intendiamo dire con l’espressione “torna in se stesso”? Che prima era fuori e adesso ritorna in sé. Il ritornare in se stessi è il punto di partenza di tutta un’evoluzione che si compie a partire dalle forze dell’individuo, di coscienza e di libertà.

Adesso Pietro e Giovanni vengono lasciati un momento da parte e il vangelo si concentra sull’esperienza che Maria Maddalena fa del Risorto. Teniamo presente che finora tutti e tre, sia Maria Maddalena, sia Pietro, sia Giovanni, hanno visto il sepolcro, la pietra spostata, le bende ecc., però il Cristo risorto non l’hanno incontrato. La prima persona che lo incontrerà è Maria Maddalena.

Qualcuno ha fatto notare, se vi interessano queste cose interessantissime, che per Pietro c’era il verbo qewre‹n (theorèin), per Giovanni c’era eŒden (èiden) e poi c’è un terzo verbo, all’inizio, che è usato per Maria Maddalena che vede la pietra, però dal di fuori, la pietra spostata: blšpei (blèpei).

Intervento: La traduzione letterale di qewre‹n (theorèin) qual è?

Archiati: È difficile dirlo, perché in italiano non abbiamo le categorie di tutto questo “vedere”. Tutti e tre significano vedere, però c’è un vedere dove il corpo eterico è la forza portante blšpei (blèpei); c’è un tipo di vedere dove il corpo astrale è la forza portante qewre‹n (theorèin); e c’è un tipo di vedere dove lo spirito è la forza portante eŒden (èiden).

Intervento: Dov’è blšpei (blèpei)?

Archiati: Nel primo versetto, 20,1. Noi, in italiano, abbiamo tutte e tre le volte “vide”. Vide, vide, vide. Riflettiamo sul fatto che il greco era un linguaggio che aveva ancora contenuti tali da poter specificare lì dove noi abbiamo un verbo solo: vide con l’occhio del corpo eterico, blšpei (blèpei); vide con l’occhio del corpo astrale, dell’anima, qewre‹ (theorèi), vide con l’occhio dello spirito eŒden (èiden).

A questo punto, insomma, è chiaro che non basta avere una traduzione italiana del vangelo di Giovanni, non basta. Come vedete, non basta neanche la teologia tradizionale, proprio non basta. Il presupposto è proprio un minimo di scienza dello spirito che distingue tra il corpo eterico, il corpo astrale e l’Io, e allora uno ritrova queste cose nel vangelo e dice: un testo del genere merita.

Intervento: Posso chiederti una cosa proprio sul vedere? Io non ho il testo greco qua, ma viene detto due volte di Giovanni che “vide”: in tutti e due i casi usa il verbo eŒden (èiden)?

Archiati: Dove?

Intervento: La prima è “chinatosi vide le bende”, 20,5 e poi c’è quello di cui stai parlando tu, che è il 20,8 “vide ed ebbe fiducia”. Volevo sapere se in greco ci sono verbi diversi.

Archiati: Per sapere che verbo va usato, bisogna considerare l’oggetto del vedere. Qual è l’oggetto nel quinto versetto? Sono le bende. E quindi usa blšpei (blèpei). Le bende le puoi soltanto percepire: è una percezione guidata dalle forze eteriche, dall’ani-ma senziente, se volete.

Sì, certo, possiamo considerare anche così: l’anima senziente blšpei (blèpei), l’anima razionale qewre‹ (theorèi), l’anima cosciente eŒden (èiden). Certo, certo. Però questo presuppone non soltanto una terminologia ma anche l’aver masticato un po’ di scienza dello spirito che ha dei contenuti ben precisi quando parla di anima senziente, quando parla di anima razionale e quando parla di anima cosciente. Altrimenti sono soltanto parole astratte che non servono a nulla. Capito?

20,11 Maria stava davanti al sepolcro, di fuori, piangente.

Maria è la parola ebraica-latino-greca che traduce il sanscrito Maia, che in realtà andrebbe scritto Mahia, con una specie di vocale consonante. Quindi Maria significa Maia. Ci sono tre donne col nome Maria sotto la croce, le abbiamo viste, tutte e tre insieme rappresentano le tre forze dell’anima: Maria Maddalena rappresenta le forze dell’anima senziente, Maria, moglie di Cleopa, le forze dell’anima razionale, e Maria, madre di Gesù, le forze dell’anima cosciente.

Adesso abbiamo Maria Maddalena, e siccome l’anima comincia proprio dalle forze affettive, sarebbe stato meglio, anziché anima senziente, dire “anima affettiva”, come è nella tradizione di Rosmini quando traduce i termini scolastici. Purtroppo nel mondo antroposofico non ci sono stati filosofi più di tanto e alcune terminologie della scienza dello spirito sono state tradotte in un modo che andrebbe un po’ rivisto.

Come in questo caso: anima affettiva è molto meglio di anima senziente. Maria Maddalena è l’evoluzione dell’anima che comincia dalle forze affettive; poi vengono sviluppate sempre di più le forze razionali, la seconda Maria, e poi sempre di più le forze dell’anima cosciente. Quindi si parte dal punto più basso, perché nell’evoluzione si deve arrivare al punto infimo per salire sempre più in alto.

Perché è stata chiamata Maia? Questa bambina è nata concretamente, no?, ed è stata chiamata Maria, Maia. Poi, siccome aveva ereditato un castello e per quei tempi era abbastanza benestante, il castello Migdal (che in ebraico significa “grosso”, un grosso castello), venne ulteriormente detta Maria Magdalena, Maria del castello di Magdala. Però alla nascita fu chiamata Maria.

I nomi non si davano mai a caso, come si fa oggi. La futura madre, già nove mesi prima della nascita, al momento del concepimento, qualche volta addirittura prima del concepimento, aveva una visione spirituale, immaginativa dello spirito che voleva nascere da lei e quindi, immedesimandosi nella compagine della sua natura, sapeva qual era il tratto fondamentale di quest’essere e gli dava il nome corrispondente alla sua forza fondamentale.

Quindi il nome esprimeva l’essere, l’essenza dello spirito che si era incarnato. Quando una bambina veniva chiamata Maria, con questo si voleva dire che in lei s’incarnava archetipicamente una forza dell’anima. Perciò la donna esterna che io vedevo, come una donna tra tante altre, era Maia, illusione, perché l’essenza di lei è una forza dell’anima. E se io vado oltre questa Maia, oltre questa illusione e penetro l’essenza, la realtà animico-spirituale, trovo l’anima senziente archetipicamente espressa. Ciò che mi si presenta come realtà fisica è una Maia. Questo per commentare il nome di Maria, e il perché la Maddalena si chiama, non a caso, Maria.

“Maria stava davanti al sepolcro, di fuori, piangente”, piange, l’anima senziente piange, sente la mancanza dello spirito: è morto, è sparito, era così bello finché c’era, finché lo si poteva vedere, percepire, sentire la sua parola… adesso non c’è più! Piange. Il piangere è l’esperienza del sentirsi soli, tra le tante altre cose, è la tristezza di essere soli e, dicevamo già questa mattina, è la consapevolezza molto forte di una carenza, di un qualcosa che manca. Ma se l’umanità dovesse arrivare al punto che gli essere umani non sono neanche più capaci di piangere, e molti arrivano già a questo punto – in Germania non è permesso piangere, per fare un esempio, soltanto le femminucce lo fanno, magari nella loro cameretta –, allora non si fa neanche più l’esperienza della carenza.

Maria Maddalena porta incontro al Risorto l’esperienza di solitudine dell’anima a cui manca il Cristo che pensa sia sparito. È l’anima che finché c’è la percezione sensibile, sente qualcosa, affettivamente, ma quando non c’è più la percezione sensibile per lei non c’è più nulla. Come punto di partenza. Da questo punto di partenza la prende il Cristo, e lei dimostra che quando non c’è la percezione sensibile, come punto di partenza non c’è nulla: infatti, avendo visto le bende, è convinta che abbiano rubato il corpo. Della cosiddetta resurrezione non capisce, come punto di partenza, nulla. A questo punto il Cristo la prende e comincia farle fare i primi passi.

La forza che lei porta incontro al Cristo è il piangere, questo è suo: gli manca, il Cristo gli manca.

20,11 Mentre piangeva si chinò verso il sepolcro

“Mentre piangeva”, viene ripetuto æj oân Ÿklaien (os un eklàien). In questo processo, in quest’esperienza del piangere, proprio grazie al vivere questa esperienza del piangere per la mancanza, il vuoto, la carenza, “si chinò per guardare dentro il sepolcro” parškuyen e„j mnhme‹on (parèkypsen èis to mnemèion). Quindi il piangere la porta, le dà questo impulso di guardare più da vicino. Maria Maddalena aveva già visto che la pietra era spostata, però non aveva ancora guardato dentro, era corsa subito dagli apostoli. Non aveva guardato dentro perché dalla pietra spostata aveva subito concluso: l’hanno rubato. Perciò era andata dagli apostoli. Adesso è ritornata e, mentre piange, riceve l’impulso di dirsi: ma fammi guardare dentro.

Intervento: Che verbo usa per guardare?

Archiati: No non dice guardare, dice: si chinò verso il sepolcro.

Intervento: Adesso arriva il “vedere”.

Archiati: Sì, adesso arriva:

20,12 e vede due angeli in vesti bianche seduti,

Ecco di nuovo il vedere, e c’è qewre‹ (theorèi).

Intervento: Ecco, meno male, io avrei messo qewre‹ (theorèi).

Archiati: Brava, e difatti c’è qewre‹ (theorèi). Quindi prima era blšpei, adesso è arrivata al livello di Pietro, qewre‹ (theorèi), perché i due angeli non si possono vedere con la percezione sensibile; la pietra sbalzata la si può vedere con la percezione sensibile, guidata dalle correnti eteriche che sempre accompagnano la vista fisica, ma i due angeli no. Allora c’è qewre‹ (theorèi). Non ancora eŒden (èiden) che è il vedere dello spirito, il capire.

Intervento: Siamo a livello animico.

Archiati: Siamo a livello animico. Vede due angeli in bianco, “in bianche” vesti, ™n leuko‹j (en leukòis) “seduti” kaqezomšnouj (kathezomènus). Lo star seduto è, pensate al Buddha, la posizione del maestro che impartisce un insegnamento. Quindi, vedere nell’immaginazione esseri angelici seduti vuol dire: hai qualcosa da imparare, ti insegnano. Quando il Cristo andò sulla montagna (il discorso sulla montagna), salì sul monte e si sedette. Dove? Sul cucuzzolo? È chiaro che questo si sedette non è inteso fisicamente, o forse anche, ma non importa, è inteso nel senso di dire: ora ammaestra.

Due angeli che ammaestrano l’anima umana. Cosa vuol dire due angeli? L’angelo è il futuro dell’uomo. Quando l’essere umano avrà svolto tutta la sua evoluzione, il gradino successivo cui salirà è quello angelico: l’angelo è la prospettiva evolutiva del futuro dell’uomo (Fig. 6). Perciò, se compaiono due angeli in ve-sti bianche, in chiave di saggezza, e non con vesti rosse in chiave di amore, impartiscono, seduti, una lezione di saggezza. E quali contenuti di conoscenza vogliono presentare all’anima umana? Vogliono farle capire il futuro dell’evoluzione.

Qual è, questo futuro? Uno è quello della testa e uno è quello degli arti: pensiero e volontà, libertà e amore. Quindi questi due angeli sono due impulsi, due forze evolutive dell’uomo che si presentano a Maria Maddalena nell’immaginazione di due angeli, che rappresentano il futuro duplice dell’evoluzione umana: uno è l’evoluzione della testa – e perciò una di queste figure angeliche sta lì dove c’era la testa, dove c’era il sudario di Gesù di Nazareth – e l’altro è l’evoluzione degli arti – e perciò l’altro angelo sta dove ci sono le gambe e i piedi.

Due angeli in bianco, seduti

20,12 uno dalla parte della testa e uno dalla parte dei piedi là dove giaceva il corpo di Gesù.

È un primo ammaestramento all’anima umana della duplice evoluzione dello spirito in chiave di conoscenza, la testa, e in chiave di vita, in chiave di volontà, in chiave di evoluzione morale. Evoluzione intellettiva, l’angelo dalla parte della testa; evoluzione morale, l’angelo dalla parte dei piedi.

Cosa presuppone questo testo? Se ci immedesimiamo un po’ nella teologia degli ultimi secoli, è un testo che presuppone la realtà assoluta di ciò che è spirituale. Se uno parte dal presupposto che gli angeli non esistono e che allora questa Maria Maddalena deve aver avuto delle allucinazioni, il testo diventa assurdo.

Appare subito evidente che è un testo scientifico spirituale che presuppone la realtà assoluta di ciò che è spirituale e che la teologia tradizionale, con tutta la buona volontà, deve fare un’enorme fatica per raccapezzarsi. Che un angelo sia dalla parte della testa e l’altro dalla parte dei piedi che cosa vuol dire? Forse dovevano farsi spazio a vicenda e quindi uno si mette da una parte e l’altro si mette dall’altra? Ma questo non spiega il fenomeno.

20,13 E dicono a lei: «Donna, perché piangi?»

“E dicono a lei”: sono seduti e devono impartire una lezione, devono ammaestrarla. “Anima umana”, gÚnai (gýnai) – gÚnai è donna, però rappresenta l’anima umana – “perché piangi?” t… kla…eij (ti klàieis)? Quindi il primo ammaestramento è una domanda. Lo spirito non dà risposte dal di fuori, mette la pulce nell’orecchio e poi le risposte le deve trovare ognuno. Se sei un angelo dimmelo tu perché piango, no?... No, sei tu che piangi, perché piangi?... Mi manca, me l’hanno rubato, mi sento sola… Potrebbe dire: ma sei stupido, perché me lo chiedi? È ovvio, no? Sei lì seduto dove c’era Lui, l’hai rubato tu, che mi chiedi perché piango!?! Lo sai no?

Certo che lo sa, l’angelo, però Maria deve portare a coscienza il perché del suo piangere, cosa significa, e questo è un processo interiore di cammino conoscitivo. Beati coloro che piangono perché solo chi piange può venire consolato. E venir consolati è un’esperienza molto più bella che non quella di non averne bisogno. Perché chi non ha bisogno di consolazione è indifferente, e essere indifferenti dà meno gioia che non venir consolati. Però per venir consolato devo piangere: torniamo alla dinamica del divenire. Il senso delle lacrimucce è di godersele senza barare, quindi ci vuole la consolazione reale. Gli angeli chiedono: donna, perché piangi?

20,13 Dice a loro: «È perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno messo»

Lei aveva vissuto il Cristo come Signore, un’istanza ancora esteriore che attende di venire interiorizzata per terminare di essere il Signore a cui viene reso un servizio da fuori. Perciò è sparito. “… e non so dove l’hanno messo”: intende il cadavere, naturalmente. Si accontenterebbe di sapere dov’è il cadavere per potervi almeno piangere sopra, perché piangere senza nemmeno il cadavere, insomma, è proprio una sconsolatezza assoluta! Se invece piange col cadavere, accarezzando il cadavere, ritornano le memorie di quello che si era... Quindi Maria Maddalena cerca il cadavere: dimmi dove l’hai messo, se sei stato tu dimmi dove l’hai messo, dirà adesso al giardiniere.

20,14 Dicendo ciò si girò indietro e vede Gesù in piedi e non sapeva che era Gesù.

“Dicendo ciò”, quindi è un processo di coscientizzazione, è un processo di riflessione interiore. Prima c’è il piangere, e quello viene da lei; poi questo inizio di dialogo con i due angeli che le chiedono: perché piangi? Questa domanda mette in moto in lei il pensiero: “piango perché l’hanno rubato e non so dove l’hanno messo”.

A questo punto fa un passo in avanti: mentre dà questa risposta si gira, e non è che si giri fisicamente, non è che prima guarda dentro il sepolcro, parla con gli angeli e poi si gira fisicamente e vede il giardiniere! No non è inteso materialmente: è un passaggio dal corpo astrale a un primo inizio dello spirito libero, di conoscenza intrisa di forze dell’Io. E mentre fa una svolta nel suo essere passando dall’animico a un primo inizio di spirito, si trova in contatto con il Cristo sotto forma di un giardiniere.

Maria Maddalena compie una svolta interiore, no? C’è una conversione interiore nel momento in cui si stacca dall’essere subissata dalle forze dell’anima e si apre allo spirito: in questo aprirsi sente la voce del Cristo che però a livello immaginativo vede sotto forma di giardiniere. Il giardiniere è il Cristo, è l’Essere del Sole come totalità delle forze vitali, viventi in tutta la Terra. Il Sole, proprio realmente, oltre ad essere la sorgente del calore dell’amore e della luce della conoscenza è anche sorgente di tutte le forze vitali che fanno spuntare le piante dal corpo della Terra.

Quindi Maria Maddalena, come primo contatto con il Cristo dopo la morte, aveva visto il cadavere – e il cadavere è il livello minerale. Adesso c’è il primo passo dell’incontro col Cristo nel mondo eterico e lo vede come il giardiniere che semina e coltiva nella Terra tutte le forze vitali, viventi.

Dicendo queste cose si gira indietro e vede (qewre‹ , theorèi) Gesù in piedi: gli angeli erano seduti, Gesù è in piedi come punto di partenza per un’evoluzione fatta con i passi dell’essere umano. “Vede Gesù stante in piedi e non sapeva che era Gesù”, pensa che sia il giardiniere perché il sepolcro era in un giardino, l’abbiamo visto nel capitolo 19. Non sapeva che era Gesù, oÙk Ìdei (uk èidei) non sapeva.

Intervento: Interessante.

Archiati: Come?

Intervento: Anche qui è interessante: non lo sapeva perché non lo vede come Cristo, come Gesù. Lo vede come giardiniere.

Archiati: OÙk Ìdei (uk èidei), non lo vedeva al terzo livello spirituale.

Intervento: Lo vede come qewre‹n (theorèin) e basta, non come...

Archiati: E quindi al livello di qewre‹n (theorèin) appare come un giardiniere; se invece lo vedesse con gli occhi dello spirito (eŒden, èiden) sarebbe il Risorto. Il testo presuppone una scienza dello spirito molto complessa, dove ci sono livelli ben distinti e ben diversi, come ogni disciplina scientifica entra nella complessità delle cose. Ed è molto bello per me, è proprio una delle cose più belle appurare che il vangelo di Giovanni ci dimostra che abbiamo bisogno nell’umanità di una scienza dello spirito che entri in complessità vere e proprie.

20,15 Gesù le dice: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?»

Anche Lui le chiede: perché piangi? però aggiunge: “chi cerchi?”. L’angelo non può dire: chi cerchi? perché vive oltre l’elemento umano. Il Cristo è diventato uomo e sa che il cuore umano, l’ani-ma umana, cerca qualcuno: l’archetipo dell’umano. L’anima umana cerca la perfezione dell’umano e questo concetto può averlo soltanto il Cristo, che è diventato uomo. Gli angeli chiedono soltanto: perché piangi? Gli angeli restano alla percezione, il Cristo aggiunge il concetto dell’umano. Qual è il concetto dell’umano? Un eterno ricercare, divenire, essere in evoluzione, essere in cam-mino.

Chi cerchi? Essere uomo è essere cercatore, essere per via, essere in evoluzione, essere in cammino, in cammino verso una pienezza dell’umano sempre più ricca, per gioirne sempre di più. Per noi che siamo uomini, e lo siamo tutti quanti, queste parole, benché balbettanti, sono evidenti, le capisce ognuno: cos’è che cerchiamo? La pienezza dell’umano no? Cerchiamo di capire sempre di più, di amare sempre di più, di godere sempre di più. Ognuno di noi lo capisce subito, perché siamo uomini.

Chi cerchi? In altre parole, la prima cosa che il Cristo evoca nell’uomo è l’autoconoscenza. Finché non c’è l’autoconoscenza l’essere umano viene gestito dal di fuori ed è perciò come un bambino, non è ancora un uomo.

Facciamo un altro passo per rispondere a questa domanda: chi cerchi? Cerco l’autonomia interiore, per forza, perché finché resto dipendente da qualcun altro non sono ancora io stesso. Quindi ogni essere umano cerca l’autonomia interiore. Come l’abbiamo sempre chiamata questa autonomia interiore? La libertà! La capacità di pensare con i propri pensieri e di volere sempre di più a partire dai propri impulsi volitivi.

Chi cerchi? Questo “chi cerchi?” lo aggiunge il Cristo; gli angeli hanno soltanto chiesto “perché piangi?”. Aggiungendo “chi cerchi?”, cioè l’autocoscienza, la conoscenza di se stessi, fa un enorme passo in avanti perché adesso il motivo del piangere è che cerca qualcuno, non qualcosa: “chi cerchi?”

L’anima umana piange perché cerca qualcuno, cerca l’uomo, cerca lo spirito umano. Lo spirito umano, non angelico, perché lo spirito angelico lo cercheremo soltanto dopo aver conseguito la perfezione dello spirito umano – ce n’è ancora un pochino prima di arrivarci, millenni e millenni. Ma è anche bello, no?, avere ancora così tanto da fare, perché il da farsi è molto bello, è tutto godimento!

20,15 Lei, pensando che fosse il giardiniere, gli dice: «Signore, se lo hai portato via tu, dimmi dove lo hai messo e io andrò a prenderlo».

Pensando che fosse il giardiniere: l’immaginazione che Maria Maddalena ha del Cristo è di una figura sovrasensibile intrisa non di forze animiche né di forze spirituali, che non è ancora al punto di poter percepire, ma intrisa di forze viventi, di forze vitali. Il giardiniere che coltiva, che dà a tutte le pianticelle la possibilità di esplicare, crescendo, le loro forze.

Quante volte Rudolf Steiner si scalmana a dirci: cari esseri umani, aspettate un po’! Il primo gradino di incontro con il Cristo non sarà un incontro nel mondo astrale, non sarà un incontro nel mondo spirituale, ma sarà nel mondo eterico, come per Maria Maddalena. Nel mondo eterico il Cristo compare nell’imma-ginazione di un giardiniere e nessuno arriva alla percezione della compagine totale del Cristo se prima non è passato per la percezione di Lui nel mondo eterico delle forze vitali.

“Signore”, KÚrie, (Kýrie): ancora questo rapporto di sudditanza, ma ogni essere umano è chiamato a diventare lui stesso KÚrioj (Kýrios), un Io sovrano nel pensare e nel volere. “Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai messo e io lo prenderò”.

Chiediamoci un’altra volta: dove è andato a finire il corpo fisico? Chi l’ha rubato?

Intervento: È nella Terra, è entrato nelle forze della Terra.

Archiati: Vaglielo a dire a Maria Maddalena! Rendiamoci conto, un’altra volta, che abbiamo a che fare con cose enormi e non perché io le leggo in Rudolf Steiner significa che le ho capite, macinate, e che ho fatto tutti i cammini di conoscenza necessari per farle veramente mie.

Maria Maddalena è al punto dove dice: dove l’hai messo il cadavere? Qualcuno deve averlo rubato, nel sepolcro non c’è, dimmi dove l’hai messo che voglio seppellirlo come si deve. La sepoltura era stata fatta un po’ provvisoriamente perché l’indomani veniva il sabato, e non si poteva lavorare. Adesso lei vuol fare una sepoltura come si vede, e una sepoltura come si deve presuppone che si pianga sopra il cadavere almeno un paio di giorni, come elemento umano fondamentale per interiorizzare la morte, no?

La morte è proprio interiorizzare tutta la prima metà dell’evo-luzione perché soltanto quando io, piangendo, piangendo, piangendo, ho l’esperienza cumulativa di ciò che manca, poi lo ricerco con tutte le forze. In altre parole, umanamente parlando, questa Maria Maddalena è l’anima umana che dice: ma non abbiamo avuto tempo neanche di fare un funerale come si deve, con tutti i fattori umani! E più andiamo indietro, nei popoli del passato, e più proprio il piangere era ritualizzato in modi che facevano parte della cultura. E nel mezzogiorno, se sono bene informato, ci sono ancora addirittura delle persone pagate per fare questo lavoro di piangere.

Intervento: Le prefiche.

Archiati: Sì, le prefiche, che svolgono il compito di accompagnare la morte con il pianto.

Intervento: Pietro ti faccio una domanda terra terra: nell’imma-ginazione di Maria che figura appare se lei, che ha visto Gesù fino al giorno prima, non lo riconosce in quella figura?

Archiati: Appare come un giardiniere.

Intervento: È una figura eterica, non è una figura fisica!

Archiati: Certo! Non è fisica.

Intervento: È una forma eterica.

Archiati: Certo, un’immaginazione, ti dice Steiner, proiettata dalla sua anima e in questa immaginazione lo vede come un giardiniere. Se tu vai a San Marco, a Firenze, vedi il beato Angelico che ti presenta questa immaginazione della Maddalena: il Cristo con una falce! Il giardiniere taglia l’erba. Io, da contadino, da figlio di contadini, quando l’ho vista la prima volta ho detto: sì, quello è il giardiniere che ha visto la Maria Maddalena. Ora traduciamo le immagini, perché il giardiniere deve avere qualcosa del giardiniere per suscitare il pensiero: quello è un giardiniere.

Intervento: Un rastrello.

Archiati: Deve avere un rastrello? Sì, però il rastrello presuppone che tu l’erba l’abbia prima tagliata…

Intervento: La forbice.

Archiati: No la forbice è per un giardiniere del balcone, non del giardino. Nel giardino vero te la puoi scordare la forbice, capito? Sul balcone sì, lì usi la forbice perché non c’è nessun giardino. Ma adesso, sinceramente, andiamo prima di tutto indietro di 2.000 anni: se io vado indietro di 50-60 anni, ne ho 62, e voi mi parlate di giardiniere, cioè di uno che ha a che fare con l’erba, penso subito alla falce e al rastrello. L’erba cresce da sola, e il giardiniere cosa viene a fare? A mieterla. Il beato Angelico te lo presenta con la falce, che però non è la falce della morte, con il teschio, ma è la falce del giardiniere che miete, che falcia l’erba.

Intervento: Lo si può immaginare anche con i semi: pianta.

Archiati: Sì, ma... se fosse il seminatore andrebbe a seminare nel campo non nel giardino! Si vede che non sei figlia di contadini, ma te lo perdono, eh?

Intervento: No, io c’ho il giardino e ci pianto i fiori!

Archiati: Sì, ma l’erba la tagli, altrimenti non è un giardino. Tu stai parlando di un giardino piccolo piccolo, capito? Vabbè, non sei competente più di tanto perciò sta’ zitta un momento, perché sto arrivando al punto. Per il beato Angelico non c’è nessun problema a presentarti il Cristo con la falce perché trovi in Steiner la conferenza dove ti dice: tagliare l’erba significa renderla più vivente, tagliandola crei il presupposto perché possa crescere più forte. Tu uccidi la pianta soltanto quando strappi fuori la radice. Quindi il giardiniere che taglia l’erba è proprio colui che rinforza le forze vitali della Terra perché dà all’erba la possibilità di crescere, di crescere, di crescere. Sarebbe un giardiniere snaturato se strappasse le radici, e quindi viene presentato con la falce dal beato Angelico, spontaneamente.

Quando si falcia l’erba, Steiner addirittura descrive che tutti gli esseri della natura, soprattutto le ondine e le silfidi (meno gli gnomi, perché non si tratta dell’elemento minerale ma dell’ele-mento vitale) godono all’infinito. Invece sentono sofferenza quando si strappano le radici perché quel gesto fa morire la pianta. Invece il tagliare la fa crescere ancora più robusta così come il potare.

Intervento: Ma la gramigna si può strappare?

Archiati: Come risposta a questa domanda c’è una parabola nel vangelo di Marco che ti dice: chi vuol strappare la gramigna non ha capito la legge dell’evoluzione perché vorrebbe far sparire la controforza. Ma se fai sparire la controforza non c’è più possibilità di evoluzione. Quindi una legge fondamentale dell’evoluzione è di avere la forza morale di voler vivere fino alla fine con la controforza. Come la chiama la gramigna? La zizzania, la zizzania è la controerba. Gli esseri umani si presentano impazienti e dicono: ma non sarebbe meglio strapparla? E il Cristo dice: no, no, se la strappi è finito tutto. Se fai sparire il male non c’è più neanche il bene.

Intervento: Quindi, in termini contemporanei, per rendere attuale quello che stavi dicendo…

Archiati: Sulla zizzania?

Intervento: …sì, penso che abbia a che vedere con il discorso dell’eutanasia.

Archiati: Ha a che vedere con tutto, se vuoi, no? Perché parliamo di una legge fondamentale dell’evoluzione.

Intervento: E quindi interrompere la propria vita per togliere un male in realtà è interrompere la nostra evoluzione.

Archiati: Piano, piano, tu adesso vuoi prendere un’affermazione conoscitiva, generale, sull’evoluzione, come ricetta per risolvere un problema immediato, ma non è così semplice la cosa! La scienza dello spirito, dandoti una chiave di lettura, ti mette in mano uno strumento di pensiero non per renderti più comoda la soluzione dei problemi (perché con il comodismo non vai avanti), ma al massimo per renderla ancora più complessa. Però ti dà in mano la chiave.

Allora, torniamo all’affermazione di base della parabola della zizzania dove chiedono al Cristo: ma non sarebbe meglio togliere la zizzania in modo che ci sia soltanto il grano buono? e il Cristo risponde: guarda che se tu togli la controforza non hai più nulla da fare, perché non puoi più vincere la controforza. La cosa più bella dell’evoluzione è vincere la controforza sempre e di nuovo, ma per vincerla bisogna che ci sia.

Il tuo pensiero, pensato coerentemente, dice: ma se la controforza è così necessaria, mettiamocene più che è possibile! E quello è l’errore! Perché il tuo compito non è quello di assicurare che ci sia sempre più controforza: di quella ce n’è già abbastanza, sempre. Il tuo compito è quello di vincerla. Al fatto che ci sia, ci pensa la conduzione del mondo, tu non devi preoccupartene, anzi ce n’è sempre più del necessario perché gli essere umani non omettono mai di immetterla (visto che quello non è il loro compito!), ma omettono di vincerla, sempre molto di più di quello che dovrebbero. Quindi il nostro assillo, il nostro problema, non è mai quello di dire: ah, nel mondo non c’è abbastanza controforza, aspetta che ce ne metto io un po’!

Allora vedi che un orientamento del pensiero lo si può afferrare nel modo giusto, però si possono anche compiere gravi sbagli. Errato è anche l’altro pensiero che dice: voglio far di tutto per estirpare la controforza, ed il Cristo dice: no, no, lavora a vincere la controforza che c’è dentro di te, perché quella che c’è nell’altro sono affari suoi.

Ma avete già sbofonchiato un’ora e mezza? Luciana?

Luciana: Sì, sì.

Archiati: Ma è roba da matti! Facciamo una pausa di un quarto d’ora e poi arrivo... Renato, arrivo alla fine del capitolo!

*******

Vogliamo continuare? Vedo che ci manca un po’ di gente.

Intervento: Non mi è chiaro, o forse non lo abbiamo approfondito, come mai Maria Maddalena non si stupisca di vedere gli angeli. Cioè, sembra normale che lei veda due angeli. È vero che sta vivendo un momento anche particolare, tutta presa da questo dolore, ma questa cosa non la stupisce?

Archiati: E perché dovrebbe stupirla? Mica per il fatto che stupirebbe te, oggi, 2.000 anni dopo, significa che deve stupire lei!

Intervento: Sì, ho pensato anche questo, però...

Archiati: Se il testo evangelico non parla di stupore ti dice indirettamente che è una cosa normale.

Intervento: Sì, ho pensato che potesse essere… Ma volevo un chiarimento, insomma. Grazie.

Archiati: Altrimenti il vangelo ti direbbe: si stupì. Te lo direbbe.

Mi concedete due minuti per una cosa per me molto importante? Ma spero che sia importante anche per voi. Una cosa che ho scoperto adesso, durante la pausa, e mi sembra di un’importanza tale che, insomma, ho il dovere di farvela presente[6].

Allora, al 20,15: Dice a lei Gesù: “Donna perché piangi? Chi cerchi?”. Lei pensando che sia il giardiniere gli dice: “Signore, se tu lo hai portato via dimmi dove l’hai messo e io lo andrò a prendere”.

20,16 Gesù dice a lei: «Mariàm!» Lei essendosi voltata dice a lui: «Rabbunì» (che significa Maestro).

La chiama per nome. Cos’è l’elemento che desta la coscienza dal di dentro? L’elemento individuale: il nome, il nome di persona non di famiglia, non il cognome, il nome è l’elemento individuale. Quindi il Cristo le porta a coscienza, per lo meno incipientemente, la sua identità e lo fa chiamandola per nome.

Il primo passo da compiere per interiorizzare il Cristo, per fare l’esperienza dello Spirito Santo è chiedersi: chi sono Io? Lui aiuta Maria Maddalena, aiuta l’anima umana a fare i primi passi verso lo Spirito chiamandola per nome, perché il nome dice l’essenza e in questo caso, almeno incipientemente, l’essenza individuale particolarissima. Lei si volta di nuovo: interpretare fisicamente questo suo secondo voltarsi a questo punto è assurdo, perché si è già voltata una volta dalla tomba verso fuori e ha visto il giardiniere, e adesso dovrebbe voltarsi di nuovo verso la tomba. Presa fisicamente è assurda la cosa.

Quindi è chiaro che c’è un primo passaggio dall’eterico all’astrale, la prima svolta, la prima conversione, la prima inversione di marcia interiore, e adesso dall’astrale allo spirituale. E passando dall’elemento animico all’elemento spirituale c’è un primo cogliere lo spirito del Cristo: Rabbunì, Maestro, sei tu, non sei il giardiniere, sei tu! Riconosce il Cristo e lo riconosce conoscendo se stessa, essendo stata chiamata per nome. E questo chiamare per nome l’abbiamo già visto nel discorso sul buon pastore che chiama le pecore per nome, ognuna col suo nome – vi ricorderete, no?, il discorso sul buon pastore.

Gesù dice a lei: “Mariàm e lei, convertitasi di nuovo” strafe‹sa (strafèisa), rivoltatasi di nuovo “dice a lui (in ebraico) Rabbunì, che significa in greco Maestro”. Il Maestro è il Cristo, Colui che l’ha sempre ammaestrata nella vita. Non più il giardiniere, ma Lui, il Maestro. Quindi per Maria Maddalena, per l’anima umana, l’esperienza del Cristo è l’esperienza del venire ammaestrati.

Maestro: qual è il compito del maestro? Quello di rendersi superfluo. Quindi se lei lo vive come maestro, Lui, se è un buon maestro, raggiunge lo scopo della sua pedagogia quando il discepolo diventa sempre più autonomo nel suo pensare e il maestro non è più necessario. Quindi è importantissimo che la categoria che Maria Maddalena usa per dire l’essenza del Cristo è: Maestro, Rabbunì, Did£skaloj (Didàscalos) in greco.

Adesso si trova di fronte al Maestro che ha avuto fisicamente davanti a sé, e qual è la prima cosa che il Cristo dice in quanto Maestro?

20,17 Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre.

mou ¤ptou (me mu àptu): vi ricorderete che nella Vulgata è tradotto noli me tangere, che poi in italiano è diventato “non mi toccare”. Però questa traduzione non è esatta: §ptw (àpto) significa trattengo, afferro; in tedesco c’è una parola che è la stessa, haften. Quindi il Cristo non dice: “non mi toccare” – vedremo poi nello stesso capitolo che a Tommaso dice: tocca! – ma dice: “non mi fermare, non mi trattenere”.

In altre parole, il gesto animico di Maria Maddalena è di abbracciarlo e tenerlo tutto per sé e il Cristo dice: guarda che io non sono una cosa che si può possedere, di cui si può fare una proprietà privata. Ti voglio tenere stretto in modo che non mi scappi più!... No, lo spirito non è una cosa da tener stretta in modo che non scappi più, non è una cosa che si tiene prigioniera una volta per sempre, che si acchiappa una volta per sempre: lo spirito va conquistato di momento in momento, sempre di nuovo.

E dice: “Non mi trattenere, non mi avvinghiare perché non sono ancora salito al Padre”. Allora, finché siamo in evoluzione, lo spirito non è mai questione di qualcosa che possediamo ma di qualcosa che dobbiamo sempre riconquistare e ciò che dobbiamo di giorno in giorno riconquistare non possiamo possederlo definitivamente, cosicché non ci scappi più. E il Cristo dice: il momento in cui avrai conquistato lo spirito a un punto tale che diventerà patrimonio tuo, duraturo, sarà quando tutta l’umanità avrà percorso tutto il cammino di ritorno al Padre.

Allora: la prima metà dell’evoluzione è il figliol prodigo che va via dal Padre, lascia la casa paterna che è il Paradiso, lascia il mondo dello Spirito, si inserisce e scende sempre di più nel mondo della materia. Poi c’è la svolta dell’evoluzione e la seconda parte che è la risalita per il ritorno al Padre, allo spirito cosmico (Fig. 5). Non mi avvinghiare perché il ritorno al Padre non avviene in un attimo, ma è questione di conquista evolutiva fatta addirittura di ripetute vite terrene. Lo spirito non si acchiappa in una volta: si conquista nel corso di millenni. L’anima vorrebbe abbracciarlo: adesso non mi scappi più, eh? Quindi uno dei tratti fondamentali dell’anima, in quanto diversa dallo spirito, è quella di voler possedere perché non ha la forza di conquistare.

Intervento: Infatti si dice che l’anima deve essere degna di modellarsi a veste dello spirito.

Archiati: E questo avviene sempre, sempre di nuovo. Lo spirito non ha bisogno di possedere perché crea sempre di nuovo. L’anima, non essendo creatrice, vuol possedere. Allora il Cristo le dice: c’è di meglio che non possedere ed è di ritornare al Padre, passo per passo. Quando l’uomo possiede qualcosa diventa posseduto, perché deve impegnare tutte le sue forze a difendere ciò che possiede affinché non gli venga portato via. Quindi nei linguaggi la parola che dice “possedere qualcosa” e la parola che dice “essere posseduto” sono lo stesso verbo. Anche in greco, anche in tedesco: besitzen e besetzen. Non mi avvinghiare! Non mi imprigionare!

Si può vivere senza possedere nulla?

Intervento: San Francesco ci è vissuto...

Archiati: Si ha il diritto di non possedere nulla – riguardo a Francesco noi lo si prende soltanto dal lato dei panni che ha buttato lì a suo padre, ma poi è andato sotto il manto dell’arcivescovo di Spoleto, no? –, si ha il diritto di non possedere nulla soltanto se ciò che ci si conquista ogni giorno vale di più di quello che si sarebbe posseduto. Ripeto: si ha il diritto di non possedere nulla soltanto se ciò che ci si conquista ogni giorno di nuovo vale di più di tutto quello che si sarebbe posseduto. Allora vale la pena di non possedere nulla, ed è possibile.

Intervento: Bellissimo!

Archiati: E ritorniamo nel dinamismo del divenire dell’evo-luzione. Chi crea non ha bisogno di possedere. Possedere è la povertà di chi non sa creare. Sono discorsi da matti nella società borghese tutta intrisa dalla cultura della proprietà privata. Però questo tipo di cultura ha sempre detto, di quel tipo di 2.000 anni fa, che aveva idee proprio da matti, tant’è vero che l’hanno fatto fuori.

Dove sei Paola? la voce la riconosco ma.. ah, sei giù in fondo… aspetta che arriva il microfono.

Paola: Siccome la Chiesa ancora non accetta questo insegnamento, come si fa..

Archiati: Sì, in teoria l’accetta, in teoria l’accetta…

Paola: Come può essere… no, non accetta questo insegnamento, non accetta... Steiner ancora è un eretico.

Archiati: Paola tu vorresti che io risolvessi tutti i problemini della Chiesa cattolica: pretendi un po’ troppo! Cosa vuol dire eretico?

Paola: Che non condivide quello che dice la Chiesa, che non è delle stesse idee.

Archiati: Niente di male.

Paola: Che dice cose al di fuori della Chiesa.

Archiati: E che c’è di male?

Paola: Non è d’accordo.

Archiati: Eh, sì, ma che c’è di male? Bisogna essere d’accordo, è meglio esser d’accordo?

Paola: Sì… no….

Archiati: Sì, no…

Intervento: Vorrei ritornare sul francescanesimo…

Archiati: Voi fate tante domande, e allora non è colpa mia se andiamo lenti col vangelo, eh?,

Intervento: Allora il francescanesimo è riproponibile, se ho capito bene: cioè l’abbandono della vita materiale, lasciare i beni... è riproponibile? A me sembra che il francescanesimo ha fallito da un certo punto di vista.

Archiati: No no no no, sta’ attenta, dici una cosa come se fosse semplice, ma è molto complessa. Un conto è lo spirito di un Francesco d’Assisi, che è uno spirito complesso, molto affine allo spirito del Cristo, questo senz’altro. Ma la proposta che lui ha fatto 700 anni fa per tradurre in modo sociale questo spirito era consona a quei tempi, oggi farebbe a calci e pugni con il tipo di società che abbiamo. Dobbiamo sempre prendere sul serio il cammino dell’umanità. Quindi non mettiamo l’accento sull’espressione storica di questo spirito, guardiamo direttamente al suo spirito: cosa c’era nello spirito di Francesco? C’era la realtà di un uomo che godeva maggiormente lo spirito che non la materia. Eh, eh!... Se cerchi di farlo anche tu...

Intervento: Però ha abbandonato la materia, ha abbandonato la materia!

Archiati: Il modo in cui lui l’ha fatto lascialo a lui! Se tu dici (stiamo parlando per sommi capi, per riassunti, naturalmente): mi sta bene di dare più valore allo spirito che non alla materia, allora devi trovare un modo tuo, individuale, di esprimere questo spirito, perché tu non sei Francesco di Assisi e non vivi 700 anni fa.

Intervento: Ma lo spirito si esprime nella materia, nella quotidianità...

Archiati: Sì, sì, ma guarda che nella quotidianità c’è uno spirito umano che dà maggior valore alla materia e c’è uno spirito umano che dà maggior valore allo spirito. Tu pensi che quelli che hanno bombardato l’Iraq siano persone che danno maggior valore allo spirito? E quali cose hanno più peso per te lo devi decidere tu, e se tu decidi di vivere in modo tale da dare più valore a ciò che è spirituale, il modo tuo di esprimere questa priorità sarà diverso da ogni altro modo. Però dimostrerai, sennò menti, che tu sei uno spirito che dà più valore a ciò che è spirituale. Spiriti umani che danno più valore al materiale, per i quali il soldo è più importante che non i pensieri, ce ne sono, eccome!

Intervento: Sì, sì, grazie.

Archiati: E se c’è un essere umano, archetipico, per il quale ciò che è spirituale valeva in assoluto, e ciò che è materiale valeva unicamente come strumento necessario per lo spirito, questo è il Cristo che si è incarnato 2.000 anni fa. È il concetto del Cristo. Tutto ciò che è materiale è strumento necessario e preziosissimo (era questo quello che tu volevi dire, parlando di Francesco che abbandona la materia), però strumento per lo spirito, non il fine della vita. E uno può dimostrare che tutto ciò che è materiale è strumento, nel senso che se ne avvale per un cammino reale dello spirito.

“Non mi fermare, non mi trattenere, non mi possedere, poiché non sono ancora asceso al Padre”. Quindi il ritorno al Padre è un lungo cammino di evoluzione individuale da compiere ogni giorno in chiave di libertà. Avvinghiare è il gesto di voler arrivare subito per risparmiarsi il cammino. Ti piglio. Psicologicamente, nella nostra cultura, il successo immediato è proprio questo: la disaffezione nei confronti dei passi progressivi, il voler essere subito al risultato, al successo. Le macchine ci propinano, proprio ci inoculano questa mentalità del successo: schiacci il bottone e hai subito l’effetto.

In campo religioso, c’è tutta la sfera del fondamentalismo, specialmente in America. Qual è uno dei pensieri fondamentali nel movimento pentecostale? Sono rinato nello Spirito. Sono stato slain in the Spirit, ucciso nello Spirito. Oppure: Gesù mi ha salvato. Fatto, tutto fatto, sono a posto. È il gesto di questa Maria Maddalena che dice: ti piglio e non ti mollo più. Adesso lo posseggo, il Cristo ce l’ho, proprietà privata. In che cosa consiste la tentazione del voler essere arrivati? Nel non aver voglia di camminare

20,17 «Vai dai miei fratelli e di’ loro:

Il Cristo ammaestra l’anima umana, le dice di presentarsi a quell’istanza nell’essere umano che crea sempre di più lo spirito, l’istanza attiva che viene espressa nel maschile – però è attiva in ogni essere umano, non importa nulla se biologicamente maschio o femmina. Allora: non mi trattenere, non mi voler possedere, non mi avvinghiare perché non sono ancora andato al Padre…

Intervento: Il Cristo lo dice di se stesso?

Archiati: Certo, perché può andare al Padre solo con l’umanità, senza l’umanità non è nulla, il Cristo!

Intervento: Però dopo dice: “Io salgo al Padre”.

Archiati: Sì, ma soltanto con i miei fratelli “al Padre mio e Padre loro, Dio mio e Dio loro” vedi? Cioè, l’ammaestramento che adesso il Cristo impartisce all’anima umana è proprio per farle capire che Lui si identifica in tutto e per tutto con l’umanità. Proprio questo sta avvenendo adesso, altrimenti non si capirebbe la frase “ non sono ancora andato al Padre”, si riferirebbe soltanto a lui.

Intervento: Appunto. Questa era la mia domanda.

Archiati: Per evitare questo arriva quello che ti sto dicendo, quindi aspetta un attimo, non ha ancora finito di parlare.

20,17 Salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro».

“Va’ dai miei fratelli”: vedi la prima botta? Dice “miei” fratelli, e molti manoscritti hanno sbattuto fuori la parola “miei”. Interessantissimo: solo “dai fratelli”. I manoscritti più antichi hanno che il Cristo chiama gli essere umani i miei fratelli, poi sono venuti i cristiani che hanno considerato degradante per il Cristo chiamare gli uomini suoi fratelli, e hanno sbattuto fuori la parola “miei”. E tanti manoscritti non ce l’hanno. Tu ce l’hai? C’è qualcuno che non ce l’ha nella traduzione?

Intervento: Io ho: “va’ dai miei discepoli”.

Archiati: Ah, i discepoli! Neanche i fratelli?! Ma che interessante! Interessante! Eh, lì sono i 2.000 anni di cristianesimo che sono andati sempre più nel materialismo. Allora, traduco letteralmente dal greco: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro.” Quindi è un ritornare al Padre, allo spirito cosmico del Cristo che accompagna tutta l’umanità. Il Cristo ritorna al Padre non senza l’uomo, non prima dell’uomo, ma dentro l’uomo, dentro ogni spirito umano, perché quel Padre lì è Padre suo e nostro, è il Dio suo e nostro. Queste parole, se le prendiamo insieme meditandoci, contengono una identificazione del Cristo con l’umanità: il Cristo fa dell’umanità la sua anima, il suo corpo.

20,18 Maria Maddalena viene annunciante ai discepoli: «Ho visto il Signore e mi ha detto queste cose».

Questa è l’annunciazione della Maddalena ai discepoli: annunciante, ¢ggšllousa (anghèllusa) – in questa parola c’è l’angelo che annuncia.

Intervento: Che tipo di verbo c’è per questo “ho visto”?

Archiati:Eèraka (eòraka), il vedere dell’anima.

Intervento: Prima ha chiamato il Cristo “Maestro”, adesso “Signore”.

Archiati: Quando parla con Lui lo chiama Maestro, quando dice agli apostoli chi ha visto dice “il Signore”.

Intervento: Allora lo vede come anima perché lo percepisce esterno.

Archiati: Perciò non c’è il verbo e‹den ma ™èraka.

Intervento: Un momento lo percepisce spiritualmente, con la coscienza, un altro momento…

Archiati: Quindi fa da tramite tra il Cristo e gli apostoli. Perché altrimenti gli apostoli potrebbero dire: ma perché ce lo vieni a dire tu? Perché non ce l’ha detto lui direttamente? Maria Maddalena, l’anima, ha proprio una funzione di soglia, di tramite, di svolta.

Buon appetito a tutti, ci ritroviamo alle 20,30.

Sabato, 26 agosto 2006, sera
vv. 20,19 – 20,23

Auguro una buona serata a tutti quanti. Come vi ho promesso, porteremo al termine il ventesimo capitolo e poi, finalmente!, potrete anche voi aprire il becco!...se tutto va bene, se non vengo interrotto ogni cinque minuti…

Abbiamo visto l’esperienza di Maria Maddalena, balbettando un po’, dicendo aforisticamente qualche commento. In ognuna di queste scene sono racchiusi misteri all’infinito, perché in fondo sono sempre immagini del cammino umano, dell’evoluzione verso la pienezza dell’umano. Ed è giusto che di volta in volta noi, lo sottolineo sempre volentieri, siamo grati a questa scienza dello spirito che ci dà fondamenti conoscitivi nuovi, che prima non c’erano nell’umanità. Questo fatto culturale di enorme portata ci dà la possibilità di approfondire questi testi in un modo un pochino più degno del loro peso.

Ci rendiamo conto che se c’è un risultato nell’affrontare il vangelo di Giovanni in base alla scienza dello spirito inaugurata da Steiner, è proprio il fatto che, in base a questa scienza (secondo me, eh?, voi poi dite se vi torna), si ha la dimostrazione convincente che il vangelo di Giovanni è un testo scientifico-spirituale. Proprio convincente. Non è un testo che si può affrontare a spanne.

Già tutta la fenomenologia delle visioni che Maria Maddalena ha avuto – i due angeli seduti, uno dov’era la testa l’altro dov’erano i piedi, poi il giardiniere – sono elementi così precisi che o si ha una chiave di lettura che consente un minimo di orientamento, oppure si dice: no, non ci siamo ancora.

E vi dicevo che, avendo studiato per anni e anni la teologia tradizionale, posso confermarvi per esperienza diretta che, con tutta la buona volontà che c’è – i teologi non sono mica persone in cattiva fede –, è una teologia che va a naso perché non ci sono gli strumenti scientifico-spirituali per dire oggettivamente che differenza c’è tra quest’angelo che sta dalla parte della testa e quello che sta dall’altra parte. Perché se non ci fosse una differenza ben precisa il testo non li metterebbe uno dalla parte della testa e uno dalla parte dei piedi. E perché sono seduti? Cosa vuol dire? Tanto per fare un esempio, eh? Se il fatto che son seduti non avesse nessun significato, il testo non lo direbbe. Non è un testo che mette lì cose insignificanti, è un testo essenziale in tutte le cose che dice.

Ora si cambia registro, e questo fa vedere che anche il vangelo di Giovanni non ci presenta le cose sistematicamente. Ora c’è la visione del Cristo alla sera della domenica – quindi il primo giorno della settimana – da parte di 10 apostoli. Eh, siamo scesi a 10, perché Giuda è già andato via all’ultima cena e poi s’è impiccato (casomai è ancora appeso all’albero, ma non c’è adesso che il Cristo appare) e un altro che manca è Tommaso, del quale viene detto che manca: quindi c’è un’esperienza del Risorto fatta dai Dodici meno due. E questo è anche importante.

Per chi fosse entrato addentro a queste cose, ricordo tutte le conferenze, sono parecchie, che Steiner ha tenuto sui dodici sensi: è una scienza complessa e all’inizio, per due o tre anni, Steiner ha parlato di 10 sensi (pensate alle 10 categorie di Aristotele, non sono 12). Poi ha aggiunto due sensi, e sono quelli che si riferiscono al mistero di Tommaso e di Giuda: il senso del tatto e il senso dell’io (Fig. 7).

I sensi sono 12, non solo i 5 che noi conosciamo perché sono i più evidenti: ce ne sono altri 7. Ogni organo di senso ha una percezione, un tipo di percezione, e il senso dell’io ci dà la percezione dell’io altrui. Quindi l’io degli altri è un fatto di percezione.

I due sensi del tatto e dell’io hanno i loro organi su tutto il corpo. Noi diciamo che l’organo del senso della vista è localizzato nell’occhio, perché non vediamo con tutto il corpo; l’organo di percezione dei suoni è localizzato nell’orecchio, e così via. Invece il tatto è su tutto il corpo, su tutta la superficie della pelle. Perciò il Cristo dice a Tommaso: tocca. Tommaso è la rappresentanza del senso del tatto nei 12 sensi dell’essere umano. Lui dice: finché non tocco con le mie mani non ci credo, e questo palpare è il senso del tatto.

Che cosa mi dà il senso del tatto? La percezione del mio io, perché ogni volta che io palpo qualcosa ho la percezione di un mondo esterno che viene a contatto con la mia pelle, e la mia pelle è su tutta la superficie, è il confine di me. Il senso del tatto è in assoluto la percezione del proprio corpo come unità. Tocco, e in questo punto d’incontro da qui in qua sono io e da qui in là è il mondo. Questo vale ugualmente per ogni punto dove c’è un con-tatto. Quindi i confini del mio corpo, come sostrato di tutto il mio essere, sono il mondo esterno.

Dove il mio corpo e il mondo esterno si toccano c’è il tatto. Il senso del tatto è quello che ci dà la percezione della nostra unità corporea come isolata dal mondo. Io sono un io perché ho un corpo mio, che non è semplicemente un’unità del mondo: lo sento come qualcosa che gestisco io dal di dentro e dove si presenta il confine, dove c’è qualcosa che io non gestisco più dal di dentro, lì io tocco, lì c’è qualcosa che tocco.

Invece la percezione dell’io, che è il senso dell’io, avviene quando vedo un altro uomo, quando parla, quando lo sento, quando lo tocco… ma come avverto che l’altro è un io? In che modo ho la percezione dell’io?

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Fig. 7

Prima della percezione dell’io c’è un altro tipo di percezione, quella del pensiero; prima ancora c’è la percezione della parola (del linguaggio), e poi c’è la percezione dell’udito, il senso dell’u-dito. Quindi noi abbiamo un organo di senso per i suoni non articolati, ed è l’udito, un altro senso per la percezione della parola, un altro senso per la percezione dei pensieri e un altro per la percezione dell’io: s’intendono sempre la parola altrui, i pensieri altrui e l’io altrui.

Il suicidio di Giuda è l’abisso umano dove ogni uomo deve passare, in un modo o in un altro, perché uccidendo se stesso si toglie la percezione dell’io dell’altro. In questo senso è l’abisso ultimo dell’egoismo.

Giuda ha a che fare col mistero della percezione dell’io dell’altro, col mistero che l’altro è un io; Tommaso ha a che fare con il senso del tatto in quanto percezione del proprio corpo come unità organica separata dal mondo, indipendente dal mondo, le cui sorti sono determinate dalla propria anima e dal proprio spirito, non dalle sorti del mondo, non da quello che avviene nel mondo.

Certo, il corpo subisce influssi dal di fuori, ma molto meno determinanti che non gli influssi che subisce dal di dentro, perché le sorti della malattia o della salute, la forza o meno del corpo di una persona che si esprime nella sua totalità arrivando fino al confine della superficie della pelle, viene decisa molto di meno dagli influssi che vengono dall’esterno che non da quelli che vengono dal lungo cammino dell’anima e dello spirito della persona in questione. Ancora prima di nascere, le malattie karmiche, previste perché fanno parte del mio karma, sono scelte e sono volute dal mio Io, e se la medicina fa di tutto per impedire che sorgano, l’Io deve trovarsi un sostituto, un surrogato.

Prima di entrare nei versetti singoli, ricordiamo che Maria Maddalena è andata al sepolcro alla mattina, era ancora buio, e quindi tutto l’evento della Maddalena avviene nel trapasso tra il buio e la luce del giorno. I dieci apostoli, senza Tommaso e senza Giuda, fanno l’esperienza del Risorto alla sera della domenica, del primo giorno della settimana. Il sabato ebraico è già finito, la mattina della domenica sono corsi al sepolcro Pietro e Giovanni e l’apparizione del Risorto avviene alla sera.

Cosa vuol dire la sera? Abbiamo già visto nei vangeli che il Cristo, che è lo spirito del Sole, opera le guarigioni dopo che il Sole fisico è tramontato. C’è un’alternanza tra l’operare fisico del Sole nella Terra – vedi il giardiniere che fa crescere le piante – e l’operare spirituale: quando l’operare fisico si ritrae perché il Sole tramonta, allora il Cristo come Spirito del Sole può operare spiritualmente nell’umanità. Quindi l’incontro col Risorto, con lo Spirito del Sole che ora è morto, ha lasciato il corpo di Gesù e si può esprimere come puro spirito nell’umanità, viene dopo il tramonto del Sole fisico. E qui comincia il versetto 19:

20,19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù e si pose in piedi in mezzo a loro e disse:

Dopo che il Sole ha svolto la sua attività fisico-eterica, lo spirito del Sole svolge un’attività animico-spirituale negli apostoli. “Ven-ne Gesù, stante in piedi nel loro mezzo” ½lqen Ð ‘Ihsoàj kaˆ Ÿsth e„j mšswn (èlthen o Iesùs kài èsthe èis to mèson). Diciamo che i dodici sensi, i dodici apostoli, rappresentano i dodici modelli di pensiero dello spirito, i dodici sensi, le dodici porte di percezione.

Il Sole è in mezzo e percorre dal di dentro tutti i segni zodiacali, e ogni io umano è chiamato a percorrere, a far sue, tutte e dodici le matrici dell’umano.

Le porte sono chiuse per paura dei giudei: i giudei sono il vecchio, rispettabilissimo perché è quello che è invalso per secoli; gli apostoli che hanno seguito il Cristo per tre anni rappresentano il nuovo. Se non ci fosse nessun elemento di tensione, di lotta, di contrasto, di opposizione tra il vecchio e il nuovo, non ci sarebbero il nuovo vero e il vecchio vero.

Il vecchio è veramente vecchio nella misura in cui si oppone al nuovo, e il nuovo è veramente nuovo nella misura in cui deve aver paura che il vecchio lo voglia far fuori. L’incontro col Cristo presuppone l’esperienza della tensione interiore, della lotta tra il vecchio e il nuovo, un vecchio e un nuovo non soltanto esteriori, ma soprattutto interiori.

E cos’è la tensione fra il vecchio e il nuovo? Il divenire, perché il divenire è proprio una tensione tra il vecchio e il nuovo. Se c’è soltanto il nuovo c’è la rivoluzione, ma la rivoluzione non funziona perché si toglie la base, si spazza via il fondamento, e tanti vogliono la rivoluzione violenta perché sanno che non funziona e così poi hanno la scusa per non far nulla. Se c’è soltanto il vecchio non succede nulla perché niente si rinnova. Quindi la legge dell’evoluzione è quella di un’alta tensione tra il vecchio e il nuovo.

Gli apostoli chiudono le porte nel senso che hanno paura che l’elemento conservatore del vecchio sia tanto potente da spazzarli via. L’organo di percezione del Cristo è questa tensione interiore. In altre parole, l’essere umano diventa comodo interiormente sia perché non vuole nulla di nuovo e si appoggia al passato, sia perché vorrebbe soltanto il nuovo risparmiandosi la tensione di fare i conti col difficile colloquio con il vecchio, per portarlo avanti infatti non si tratta di fare come se non ci fosse, ma si tratta di trasformarlo.

Nella misura in cui l’essere umano evita queste due posizioni di comodo, che sono due unilateralità, e vive nella tensione di composizione degli estremi, di riconciliazione degli estremi, il vissuto di questa tensione interiore è l’organo per la percezione del Cristo. Perché cos’è il Cristo? È la forza mediatrice fra estremi.

Nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner l’essenza del Cristo viene sempre presentata come la forza di mediare fra estremi.

I due estremi vengono chiamati Lucifero e Arimane, però se li prendiamo, per esempio, fisiologicamente sono i due estremi della sclerosi (l’elemento arimanico) e dell’infiammazione (l’elemento luciferino).

Se li prendiamo nell’anima abbiamo l’estremo della pedanteria (Arimane) e l’estremo dell’esaltazione (Lucifero).

Al livello dello spirito, invece, abbiamo l’estremo del materialismo (Arimane) e quello dello spiritualismo (Lucifero): l’uni-lateralità dello spiritualismo non è migliore di quella del materialismo, non è meno disumana.

Il cristianesimo tradizionale deve rivedere i conti: uno degli elementi fondamentali da riformare, uno degli errori fondamentali commessi dall’umanità negli ultimi 2.000 anni, è di avere instaurato una dualità fra il bene e il male:

È quindi praticamente sorto il pensiero che più l’essere umano si spiritualizza e migliore diventa, e questo è un errore: il bene umano, infatti, non è diventare sempre più spirituali, perché questo significa poltrire sempre di più, significa volersi risparmiare il compito di portare a resurrezione tutto il mondo materiale. Quindi è una posizione di buddhismo, di fuga dal mondo, quella di voler lasciare la materia e spiritualizzarsi sempre di più. Una spiritualizzazione unilaterale dell’essere umano non è meno disumana della materializzazione, perché ambedue perdono l’umano.

Specifico dell’umano è l’interazione continua tra spirito e materia, ecco la tensione. La scienza dello spirito di Steiner, in tantissime variazioni su questo tema fondamentale, presenta l’Essere del Cristo, il Verbo che si è incarnato ed è diventato uomo, come l’esperienza di mediazione fra polarità.

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Fig. 8

Mediazione che è l’opposto del fare un misto fritto, naturalmente. Facciamo una riflessione breve breve.

Materializzazione, diventare sempre più materialisti, si capisce facilmente cos’è: ci si dedica alle cose materiali, a ciò che uno possiede, alle cose che fabbrica, ai soldi, ecc. e lo spirito non interessa.

Spiritualizzazione è quando si disprezza tutto il mondo della materia, si tende a tutto ciò che è bello spirituale, si vuol pregare, si leggono libri sugli angeli, ecc. Pure questa posizione si può capire.

Però la domanda che pongo è più difficile: cosa vuol dire concretamente, esperienzialmente, far interagire spirito e materia? E, soprattutto, perché diventiamo più umani, perché evolviamo ulteriormente proprio nell’interazione? E perché non evolviamo quando siamo o soltanto materiali o soltanto spirituali? Svolgere questo enunciato, evidenziare che è veramente così per via d’esperienza, non è semplice.

Diciamo che, come avvio di pensiero, tenerli insieme tutti e due, non perdere né l’uno né l’altro, richiede maggiore forza, maggiore sforzo, e questo maggiore sforzo è l’umano, perché genera maggiore energia. Nel senso che l’amore si raddoppia. Amare solo la materia è più facile, amare solo lo spirito è più facile: amarli tutti e due è più difficile e siccome è più difficile fa evolvere l’essere umano molto di più.

È più difficile perché richiede più forze, più energie. Perché l’amore si raddoppia: si ama intimamente e appassionatamente tutto il mondo della materia, che è il luogo insindacabile del nostro cammino di uomini, e si ama tutto il mondo dello spirito. Il mondo della percezione e il mondo dei concetti, per esempio: non possono esserci concetti senza la percezione, e la percezione non ha senso se non si crea il concetto. Già questa interazione semplicissima, e che viviamo continuamente, tra percezione e concetto è un mediare dello spirito umano tra il mondo della materia – la percezione – e il mondo del concetto – lo spirito.

Questi due sensi di Giuda e di Tommaso che cosa sono, in fondo? Il senso del tatto è la percezione pura, e il senso dell’io è la percezione del pensiero più puro che c’è, perché percepire un pensiero è precedente al percepire l’io. Già il pensiero è spirituale, quindi nel senso del pensiero percepisco lo spirito; nel tatto percepisco il mio corpo. La percezione più spirituale che c’è è la percezione dell’io dell’altro, che è uno spirito puro.

Quindi questi due sensi, senso del tatto e senso dell’io altrui, sono come l’archetipo dell’interazione tra spirito e materia: col senso del tatto ho la percezione di me come materia, del mio Io incarnato nel mio corpo, e col senso dell’io ho la percezione dell’altro come spirito puro, cioè non soltanto come uno che svolge dei pensieri, ma come scaturigine di pensieri. L’io è la sorgente dei pensieri, è lo spirito che li crea, e i pensieri sono già una manifestazione ab extra dello spirito. Ancora più esteriori sono le parole (senso del linguaggio, o della parola). La fenomenologia dei dodici sensi sarebbe veramente un bello studio da fare, anche quello complesso ma molto appassionante.

Allora, era la sera della domenica, il primo giorno dopo il sabato, erano chiuse le porte – ho parlato di questa tensione fra il vecchio che non vuole il nuovo e il nuovo che ha paura di venire spazzato via dal vecchio – e la paura degli apostoli è proprio l’evidenziarsi di questa tensione interiore. Nell’elemento della coincidentia oppositorum viene vissuto il Cristo come forza di mediazione fra estremi. Questa è la quintessenza di ciò che ho cercato di dire. Gesù si fermò in mezzo a loro, ecco la forza mediante fra unilateralità, e disse:

20,19 «Pace a voi»

E„r»nh Øm‹n (eirène ymìn). Loro sono in tensione e Lui gli dice: pace. Cosa è meglio, la tensione o la pace? Se li prendiamo come polarità, tutt’e due. Tutt’e due. Se uno ha soltanto tensione e non vive mai questa tensione come la sua pace, come il suo elemento dove veramente cresce, allora diventa guerra. E la guerra uccide perché presuppone che uno deve vincere e l’altro perdere. Quindi l’arte della vita, l’elemento cristico, sta nel vivere la tensione come la forma di pace più bella che c’è.

Intervento: Anche perché la pace del Cristo è armonia.

Archiati: Certo. “Io vi do la pace non come la dà il mondo, ma...”, non come un’armonia di riposo, però, o di comodismo. Quando diventa giusta la tensione? Quand’è che la tensione è una pace? Quando viene voluta e confermata. Voluta e confermata. Finché io sono nella tensione, ma non vorrei che ci fosse e penso che sarebbe meglio se non ci fosse, non sono in pace. Faccio pace con la tensione quando la benedico, per usare un termine un po’ più religioso.

Intervento: Quando non la patisco.

Archiati: Quando non la patisco ma la voglio come l’elemento migliore per crescere.

Intervento: Ma loro hanno paura.

Archiati: E perciò deve portargliela il Cristo, la pace, se no ce l’avrebbero già. Quindi il Cristo gli dice: cari apostoli, questa tensione è l’elemento di pace più bello che ci sia. Basta volerlo con gioia, perché se io resto nella compagine interiore, nell’atteg-giamento interiore che si arrabbia contro questa tensione, vorrei essere comodo. E non ho pace. La forma suprema di pace che esiste è godersi la vita difficile.

Intervento: È un ossimoro.

Archiati: È di questo che stiamo parlando continuamente. La mediazione fra opposti. Dove c’è tensione va tutto bene, questo è il pensiero: nel momento in cui io sono convinto che dove c’è tensione va tutto bene, va molto meglio che dove non c’è tensione, vivo in pace.

Intervento: La pace non è l’opposto della tensione. L’opposto della tensione è l’assenza di pace…

Archiati: È il comodismo. Il poltronismo. Se uno afferra queste verità in chiave pulita di intuizione spirituale, sono molto importanti, eh? Perché lì la psicologia ci inganna da tanti lati quando ci vorrebbe dire: guarda che se lasci perdere questo e quest’altro avrai risolto i problemi. No, i problemi non si risolvono lasciandoli perdere, i problemi si risolvono godendo il difficile.

Intervento: Come la salute.

Archiati: Sì, la salute è mantenere in piedi qualcosa di molto complesso e labile.

Intervento: Perderla e riconquistarla.

Archiati: Esatto. È un vivere volentieri con la complessità. Quindi la salute è un tipo di alta tensione, non di bassa tensione. La malattia è subito una bassa tensione. Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu: il bene lo si ha soltanto quando c’è tutto – la salute c’è soltanto quando tutto è sano – invece per avere la malattia, o il male, basta una cosa sola che manca. È un adagio scolastico che già veniva dai greci. Bonum ex integra causa, il bene si ha quando si ha tutto, malum ex quocumque defectu, per il male basta che manchi qualcosa.

Ciò che in noi tende verso il comodo, la tentazione del comodo, dice: ma è ingiusto che per essere sano deve essere sano tutto e invece per essere malato basta che sia malato un solo organo. È ingiusto. Per essere sano bisogna che sia tutto a posto, per essere malato basta un niente. È giusto o no?

Intervento: È giusto.

Archiati: Perché?

Intervento: Perché l’organismo è composto da questa situazione armonica e allora basta che una rotella sia fuori posto e manda all’aria tutto.

Archiati: È ingiusto, no? Dovrebbe non funzionare una cosa sola, non che l’intero organismo deve partecipare alla mancanza. Il problema è che il polmone malato rende malato tutto l’organismo. Questo è giusto o non è giusto? Tu mi dici: ma no, è malato soltanto il polmone, non il resto del corpo. Ma il medico mi dice: sei malato tu. E tu dici: no, è malato soltanto il polmone! Eh, però basta perché tu sia ammalato.

Intervento: Sembrerebbe non giusto.

Archiati: Sembrerebbe non giusto nella logica del comodo. In quale logica è giusto che per avere la salute deve essere tutto sano? Nella logica della massima tensione. E la massima tensione sta nel tenere sani tutti gli organi, perché ci devono mettere tutte le forze. Ogni tipo di tensione che è minore è un tipo di tensione dove non rendo il massimo, quindi è carente.

Così come noi facciamo di tutto per mantenere in atto questa alta tensione perché tutti i membri del corpo devono funzionare ed essere sani, immaginiamo cosa sarebbe vivere trattando l’anima, e soprattutto il nostro spirito, in modo tale da far sì che sia tutto sano nello spirito, tutto sano nell’anima. Per il corpo lo facciamo volentieri. Perché? Perché la malattia anche di un solo organo ci fa soffrire.

Allora il nostro problema è che la malattia, anche di un solo organo dell’anima, non ci fa più soffrire. E che la malattia anche di un solo organo dello spirito non ci fa più soffrire. Questo ho descritto questa mattina come punto ultimo della caduta dell’uo-mo: che le sue carenze nel corpo gli fanno ancora sentire qualcosa, ma le sue carenze nell’anima e nello spirito non le sente più. Non sa di essere malato nell’anima e nello spirito, e allora ci vuole una dose rincarata di sofferenza. Infatti cos’è la malattia? L’aiuto che ci dà la sofferenza. Il dolore. Mi fa male, e questo mi aiuta a far qualcosa per ritornare sano.

Intervento: Puoi spiegare cosa intendi per malattia dello spirito?

Archiati: Ti do un piccolo avvio di pensiero. Abbiamo presentato la malattia come carenza: invece di avere tutti gli organi del corpo fisico funzionanti, ce n’è uno che non funziona, quindi c’è una carenza di funzione. Prendi lo spirito al livello del pensiero – il pensiero è una delle esplicazioni fondamentali dello spirito –: una persona oggi aveva la possibilità (ma è un modo semplice semplice di avviare un pensiero, eh?) di creare, faccio per dire, 100 pensieri dal nulla, nuovi, e ne ha infilati soltanto 90. Ecco la malattia, la carenza dello spirito: ne mancano 10.

Intervento: Se lo spirito è tagliato fuori e non viene ascoltato – si diceva prima, per esempio, che il colmo del materialismo è non rendersi più nemmeno conto di aver perso lo spirito – si fa nel campo dell’anima la fine di Pinocchio che si brucia senza accorgersene, no? Finché poi non arriva la catastrofe… Se lo spirito è sovrano ed è la sorgente di tutto e noi lo tagliamo fuori con parti egoiche del nostro animo, più o meno malato, non è lo spirito che è malato, ma il canale, in questo caso l’anima, che si collega con lo spirito. Lo spirito non è mai malato! Se no cosa c’entra tutto il discorso che facciamo sulla reincarnazione?

Archiati: Sì, è giusto quello che dici. Parliamo adesso non in ter-mini altamente scientifico-spirituali, altrimenti dovremmo rendere le cose molto più complesse: usiamo un tipo di riflessione accessibile un po’ a tutti, però senza andare a spanne. Prendiamo l’anima, che è l’elemento di alta tensione perché il compito, la funzione dell’anima è di fare da mediazione fra il corpo e lo spirito. Tu parlavi di anima, eh?

L’anima, che è poi ciò che portiamo nella coscienza, può diventare unilaterale dal lato della materia, nel senso che ama, cerca, vive, vuole, gode soltanto la materia. Oppure può diventare unilaterale dal lato dello spirito, nel senso che legge dalla mattina alla sera conferenze di Rudolf Steiner e manda a ramengo tutto quello che c’è, non le importa nulla di quello che avviene nel mondo della materia, per fare un esempio.

Se ho capito bene la tua domanda, molto legittima e molto importante, tu chiedi: cosa avviene quando l’anima blocca lo spirito e non lo lascia entrare? Perché tu dici giustamente: la natura dello spirito non la possiamo cambiare. Quello che possiamo fare è bloccarlo, non interessarcene, quindi non lasciarlo entrare nell’a-nima, oppure possiamo cercarlo e lasciarlo entrare nell’anima.

La riflessione da fare in chiave di autoesperienza reale, così il discorso diventa concreto, è domandarsi che tipo di psicologia è quella che dice: lo spirito non mi interessa, son tutte fandonie. Che anima è, quella che dice così? Non le interessa… manca l’interesse… e noi stiamo dicendo che un’anima a cui manca l’interesse per lo spirito è malata, nel senso che è enormemente carente, ed è peggio quando non se ne rende conto. Però tu hai ragione quando dici: la natura dello spirito non la possiamo cambiare, lo spirito è spirito.

Intervento: Malattia è negazione, per quanto riguarda lo spirito.

Archiati: È sempre unilateralità, e unilateralità è negazione dell’altro lato. Uni-lateralità: si piglia un lato e si nega l’altro. Va bene così, tornano i conti? A questo punto qui, quando una persona mi dice: tu parli di spirito, di scienza dello spirito, ma a me non interessa, a questo punto beviamo un bicchiere di birra insieme! Con le ire di Luciana che dice: no, un bravo antroposofo non beve birra!

Luciana: Figurati, io bevo il vino!

Archiati: Ah sì? Avevo sempre pensato che eri una brava antroposofa! Addirittura bevi vino?

Luciana: Rosso.

Archiati: Rosso! Chianti, addirittura! Non ti darò più voce in capitolo! Un’anima che cerca lo spirito nell’alcool! Spirito puro, eh?

Luciana: Sei più antroposofo tu che bevi solo acqua minerale.

Archiati: La grossa malattia della nostra cultura, che chiamiamo materialismo, è che alla gente, dello spirito, non gliene importa niente, proprio non gliene importa niente! Quando tu parli di soldi gli importa, sì sì sì, m’interessa… Parli di spirito… pff.

Intervento: Peggio, si infastidisce.

Archiati: Te lo fa pesare che s’infastidisce, e a quel punto lì che fai? A quel punto lì sei felice e contento che ci siano almeno quei quattro scalmanati, matti del tutto, che lo cercano, lo spirito. Perché se non ci fossero nemmeno quei quattro matti, l’umanità andrebbe veramente nell’abisso. E le cose sono serie, eh?, mica stiamo dicendo cose da poco!

Io sono un battitore libero, in Germania ormai sono rimasto l’unico che fa conferenze pubbliche sulla base ben dichiarata della scienza dello spirito. Non si fida più nessuno, e la gente non viene. Io parlo volentieri anche davanti a trenta, quaranta persone, magari dopo aver fatto una sfacchinata per arrivare in una qualche città. Il grosso problema è che la gente ti dice: chi se ne frega.

Intervento: Ma allora si tratta anche dell’assenza del senso dell’io personale, a questo punto?

Archiati: Certo.

Intervento: Allora c’è sia il senso dell’io altrui, sia del proprio? Son due? C’è anche la sensazione di sé come elemento spirituale?

Archiati: Questa è la malattia in quanto carenza, povertà. Vi ho raccontato diverse volte che quando ero studente, ero appena stato ordinato prete, mi ero scalmanato a fare una predica sulla Trinità per dimostrare che sono tre in uno eccetera eccetera. Poi arriva uno in sacrestia, ce l’ho ancora davanti agli occhi, e mi fa: Padre, lei ha parlato sulla Trinità, ma che siano tre o che siano cinque, a me non me ne frega niente, basta che non li debba mantenere io! Oh, venne in sacrestia proprio per dirmi questo! Quel giorno lì ho deciso: non farò più una predica nella mia vita sulla Trinità, perché non gliene frega niente a nessuno.

Intervento: Volevo una precisazione. A parte questi quattro matti che si occupano di spirito, lo spirito vissuto per esempio attraverso le Chiese, ha valore nell’evoluzione dell’umanità o no?

Archiati: La cosiddetta scienza dello spirito ti dà spunti di conoscenza, non ti dice cosa devi fare. In chiave conoscitiva, oggettiva, ti dice: attento, tu parli di spirito, ma non è spirito, è anima! Perché tutte le conoscenze spirituali che c’erano sono andate perdute.

Intervento: Fin qui sono d’accordo.

Archiati: Sono andate perdute per dare all’individuo la possibilità di riconquistarsele individualmente. Quindi è giusto dire che il cristianesimo tradizionale – con tutto il rispetto delle Chiese, eh?, non vogliamo offendere nessuno, però vogliamo essere oggettivi e veraci – è pieno di anima e non c’è quasi nulla di spirito.

Intervento: Ma chi lo segue, non sapendo questo, sta esercitando una spinta in buona fede?

Archiati: Se è in buona fede o no, a noi non interessa sindacare sul fatto morale. Se tu chiedi a me di dare un giudizio conoscitivo, posso fare un’affermazione un po’ stratosferica (che dovete prendere cum grano salis, eh?, nel senso che se la metto lì in assoluto è un po’ esagerato, ma nell’insieme…): la religione tradizionale è al 99% autogodimento animico. Che va bene! A nessuno è proibito di godere della sua anima, però non mi vengano a dire che ci sono elementi oggettivi di realtà spirituale. Non ci sono! Proprio non ci sono!

Intervento: Per cui non contribuiscono all’evoluzione dell’uma-nità?

Archiati: Nella misura in cui noi diciamo che l’anima umana cerca lo spirito. Per esempio, il cristianesimo tradizionale di stampo cattolico in Italia è culturalmente ben noto, perché non ce ne sono altri: tenete presente che in Germania da cinque secoli c’è una bellissima concorrenza tra l’elemento cattolico e quello protestante, e tutti e due sono stati costretti a restare un bel po’ più svegli che non il cattolicesimo italiano che, non avendo nessuna concorrenza, ha dormito molto di più. Questo è molto importante.

Questo fattore culturale, comunque, lo conosciamo molto bene: la dimensione dello spirito manca in modo cospicuo – si parla di spirito, ma se è spirito veramente, quella è un’altra cosa – e questa mancanza si evidenzia, vi porto un esempio grosso, nel fatto che non si pone neanche la questione della reincarnazione.

A parte il fatto di dare una risposta alla domanda se lo spirito umano si incarna una volta sola o più volte, questa è una domanda conoscitiva spirituale che non ha nulla a che fare col mio godimento animico, se a me piace o non piace: è una domanda di conoscenza spirituale. Eppure nel mondo cattolico non è permesso neanche porla. Ciò dimostra che è un mondo dell’anima dove la realtà di conoscenza oggettiva dello spirito è quasi del tutto assente.

Uno dei cardini dello spirito è la ricerca della conoscenza oggettiva, della verità: lo spirito vive di verità, indipendentemente dal fatto che salti fuori che la verità oggettiva è che l’essere umano vive una volta sola o più volte. Resta il fatto che è un elemento di verità importantissimo trovare la verità sul fatto che si viva una volta sola o più volte. Ebbene no, questo cammino di verità, di ricerca oggettiva della verità, che è un cammino dello spirito, nel campo cattolico è proibito!

Se tu poni questa domanda sei un eretico e devi andar via. Io ho dovuto lasciare la Chiesa cattolica perché non si poteva più andare insieme, per tanti motivi, ma fondamentalmente perché io ho posto questa domanda. Ho detto: se noi cerchiamo veramente la verità, questa è una delle domande fondamentali. No!, ponendo questa domanda sei un brutto cattivo eretico perché fuorvii i fedeli – ecco l’anima che ha paura del cammino di verità – e allora vai a far le cose per conto tuo, qui non c’è posto per te. Cosa che io ho rispettato, perché la Chiesa ha il diritto di dirmi che non ha posto per me, e io mi trovo un posto fuori. Ma in questo modo dimostra di non aver posto per una scienza dello spirito.

Intervento: Perché il protestantesimo è un po’ più sveglio del cattolicesimo?

Archiati: Perché s’è fatto svegliare dal cattolicesimo, perché si sono dati botte amorevoli a vicenda per cinquecento anni. C’è stata più alta tensione. In Italia non c’è nessuna tensione, c’è soltanto cattolicesimo! Dormitorio generale.

Intendo dire che quando un esponente – per esempio il cardinale Lehman che è il capo della CEI in Germania – fa un’affer-mazione di quelle grosse in politica, si espone soprattutto alle critiche di tutto il mondo protestante, e quindi questo esporsi a una controparte è salutare nel senso che uno è incentivato a fare molta più attenzione a quello che dice. E questo porta avanti la coscienza.

Intervento: Volevo fare una domanda proprio riguardo alla domanda sulla reincarnazione posta in ambito cattolico. In questo caso, quando la risposta è che si pecca di orgoglio, di mancanza d’umiltà, a quel punto com’è la cosa dal punto di vista del rischio dello spirito? Può uno spirito essere orgoglioso? Una ricerca spirituale può essere etichettata come una ricerca non umile?

Archiati: Non è di quello che si tratta. Il rischio c’è da tutte le parti. La salute è il rischio a tutti i livelli, perché la salute significa che tutti gli organi si possono ammalare. Quando un organo è ammalato c’è un rischio in meno, perché è già malato. Quindi la salute è rischio su tutta la linea.

Il problema è di definire in modo un pochino più pulito che cosa significa orgoglio: se la Chiesa definisce orgoglio il non sottomettersi ai decreti dei suoi preti, allora definisce orgoglio tutto ciò che non si sottomette al potere temporale, o se vuoi allo strapotere, all’arroganza di questi preti che vogliono comandare tutto il mondo.

Allora, cos’è l’orgoglio? Un essere umano che fa un giudizio morale su un altro, definendolo orgoglioso, dimostra di esserlo lui. Perché ogni giudizio morale sull’altro è arrogarsi un giudizio cui nessuno ha diritto. Il Cristo dice: non giudicate! Quindi, ogni prete cattolico che mi avesse tacciato di orgoglio, si sarebbe squalificato in partenza, perché avrebbe il diritto di chiamarmi orgoglioso solo se ritenesse di non esserlo lui. Se lui avesse la convinzione: lo sono anch’io quanto te, non verrebbe a rinfacciarmelo. Quindi ha il diritto di chiamarmi orgoglioso soltanto se lui si ritiene umile. E una persona che si ritiene umile, cos’è? È la più orgogliosa che ci sia!! Io sono umile, tu sei orgoglioso! Allora, in che cosa consiste l’orgoglio? Qual è l’essenza dell’orgoglio? Cos’è che rende orgogliosi?

Intervento: Uno dei sette peccati capitali mi sembra che sia l’orgoglio…

Archiati: Sì, ma cos’è?

Intervento: È una rivendicazione egoica di una nostra azione, di un nostro status…

Archiati: No, sei fuori.

Intervento: Veda un po’ lei…

Intervento: Dare importanza al proprio io…

Archiati: No.

Intervento: Ci sono dei sinonimi che sono molto ambigui, come “fierezza”…

Archiati: No, no. Siamo lontani dal centro, dall’essenza! L’es-senza dell’orgoglio è esprimere un giudizio su un altro essere umano: questa è l’essenza dell’orgoglio! Essere non orgogliosi si-gnifica proibirsi ogni giudizio su un altro essere umano. Ogni giudizio su un essere umano è di tipo morale, perché è un giudizio sull’essere. Quindi l’essenza dell’orgoglio è l’arrogarsi di poter emettere sentenze sull’altro. Il Cristo dice: non giudicate. Non avete mai in mano gli elementi per emettere un giudizio sull’altro.

Soltanto il Padreterno è in diritto di giudicare un essere umano e perciò tiene il becco chiuso! L’essenza dell’orgoglio sta nell’ar-rogarsi il diritto di giudicare l’altro e io mi sono sempre opposto, ferocemente, tutto si è ribellato in me, dicendo: tu non hai il diritto di giudicarmi! Chiudi il becco oppure sparisco.

Giudicare è l’essenza dell’orgoglio, e non ne troverete una che colga più nel centro. Tutto il resto è molto meno orgoglio, che non l’arrogarsi il diritto di giudicare l’altro.

Tu sei un eretico. Ma che ne sai tu? Aspetta il giudizio universale, e me lo dirà il Giudice universale se sono eretico o no. Tu ti erigi a giudice universale e dici: sei un eretico. Ti proponi come misura della verità oggettiva, tu piccolo essere umano, ma sta’ zitto! chiudi il becco! Questo è l’orgoglio. E non emettere giudizi sugli altri esseri umani non è umiltà, è semplicemente buon senso.

Intervento: Le azioni, però, vanno prese per quello che sono, al di là di chi le compie.

Archiati: Sì. Allora, uno ha ammazzato un altro: fammi un giudizio su questa azione. Adesso voglio vedere se sei capace di sceverare l’elemento morale – dove il giudizio, di riverbero, si riferisce alla persona – dal giudizio soltanto sull’azione.

Intervento: Lo fanno sempre gli avvocati quando cercano le attenuanti. Dire che quella persona è stata provocata e quindi…

Archiati: No, gli avvocati ti dicono: qui l’elemento morale non entra, noi non usiamo il metro del male morale, ma usiamo il metro della legge. Noi consideriamo, col metro della legge, ciò che la legge ti consente di fare e ciò che la legge ti proibisce di fare. La legge ti dice: questo non lo puoi fare e se lo fai ti mettiamo in prigione. L’avvocato non viene con un criterio morale, viene con un criterio giuridico, che è ben diverso.

Intervento: Il criterio giuridico nasce dal criterio morale.

Archiati: No! No, assolutamente!

Intervento: Ma le leggi sono nate…

Archiati: Leggi questo libro Cultura politica economia

Intervento: Non parlo dell’Antico Testamento. Le leggi sono nate come compromesso fra i costumi degli uomini.

Archiati: No! Leggi quel libro e lì Steiner ti descrive che uno degli elementi fondamentali della cultura degli ultimi secoli è la scissione assoluta tra il diritto e la morale, cosa che prima non c’era. Nell’umanità, fino al XV secolo, diritto e morale erano una cosa sola; negli ultimi secoli il diritto è andato per la sua direzione, e ciò che è consentito o proibito dalla legge non ha niente a che fare col bene morale e col male morale intrinseci. Perché gli esseri umani hanno detto: sul bene morale e sul male morale, oggettivamente parlando, non ci intenderemo mai. Uno dei caratteri fondamentali della cultura dell’impoverimento degli esseri umani degli ultimi secoli è la scissione che è avvenuta tra il diritto (che decide ciò che è permesso e ciò che non lo è) e ciò che è, intrinsecamente, buono o cattivo in senso morale.

Intervento: Non ho capito. Questa scissione potrebbe essere un dato di libertà. Lo Stato etico fa paura a tutti, quello in cui drogarsi è reato, per capirci.

Archiati: E allora ti resta che il bene e il male oggettivi non ci sono più.

Intervento: Lo Stato che millanta di essere teocratico, o sub teocratico o parateocratico, mi fa molto più paura di uno Stato che dice che ognuno è responsabile delle sue azioni. Questa è la libertà.

Archiati: No, il terrorismo che ti impone il dogma che un bene o un male oggettivi non ci sono, non è meno terroristico di un cammino conoscitivo che ti dice: l’essere umano è capace di cogliere sempre di più l’oggettività di ciò che è oggettivamente buono (nel senso che favorisce l’evoluzione umana) e ciò che è oggettivamente cattivo (nel senso che fa involvere l’essere umano).

Il terrorismo ideologico dello Stato moderno, dogmatico, feroce, ti impone che non ci deve essere una verità oggettiva. Non è meno terroristico di un Tommaso d’Aquino che ti dice: no, se la cerchi la trovi, la verità oggettiva. Quello ti nega addirittura di cercarla e ti taccia per un dogmatico se tu dici: no, se la cerchiamo la verità oggettiva c’è. Allora, chi è più terrorista, chi è più dogmatico e intollerante? Di certo lo Stato che ti proibisce di cercare la verità oggettiva perché ti impone il dogma che non c’è. Questo è un rimbambimento assoluto degli spiriti umani. E questo dogma non è meno terroristico dell’altro perché quando ti presenti come uno che cerca la verità, che dice che c’è e la si può trovare sempre di più, ti sbattono fuori.

Eravamo arrivati al punto della pace, e voi mi avete fatto fare questa alta tensione sulla pace!

“Pace a voi”

20,20 E ciò dicendo mostrò loro le mani e il costato. Gioirono i discepoli vedendo il Signore.

‘IdÒntej (idòntes), “vedendo”: è un inizio di livello spirituale nel senso che lo riconoscono come il Signore. Tommaso manca, Tommaso non c’è.

20,21 Disse loro Gesù di nuovo: «Pace a voi. Come il Padre ha mandato me così io mando voi».

Qui abbiamo di nuovo, da un altro lato, la struttura trinitaria dell’evoluzione. La prima parte è condotta dal Padre, poi, nel tratto intermedio, il Padre si ritira per far posto al Figlio e nella terza parte così come il Padre ha fatto posto al Figlio, il Figlio fa posto all’individuo. Quindi il Cristo termina sempre di più di essere un’istanza che parla dal di fuori e vuole essere interiorizzato in modo che l’individuo viva un cammino di verità e di amore a partire dal di dentro, dalla libera volontà.

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Fig. 9

La conduzione del Padre è la conduzione delle forze di natura, è la conduzione del corpo; nella sfera intermedia il Cristo lavora nell’anima umana e l’elemento portante non è più quello di natura ma quello di cultura. Prima alla guida c’era il corpo poi, per un bel pezzo, nel cristianesimo tradizionale, la guida sono i pastori d’anime, quindi c’è l’elemento animico al centro, tant’è vero che abbiamo detto che di spirito non c’è quasi nulla. Poi, nella terza fase, l’elemento portante dell’evoluzione diventa lo spirito. Se il corpo lo abbiamo riferito alla natura e l’anima alla cultura, lo spirito lo riferiamo alla libertà.

L’osservanza delle leggi è un elemento fondamentale di cultura, di comunanza animica, invece la libertà non conosce leggi generalizzabili che vengano dal di fuori. Nella libertà ognuno crea mondi diversi, ognuno si esplica, presupponendo, naturalmente, il corporeo e l’animico che si fanno base – infatti non è che con l’emergere dell’elemento individuale, libero, spirituale tutto il corporeo e l’animico spariscono!

Il corporeo è il primo a farsi da base per l’evoluzione dell’ani-ma, e nella terza fase tutto ciò che è corpo e tutto ciò che è anima si fanno base, mentre l’elemento fondamentale di conquista, di tensione, è l’evoluzione dello spirito individuale, nella libertà.

Se i due mondi del corporeo e dell’animico si fanno strumento, vuol dire che, da una parte, tutto ciò che è di natura, che è corporeo, è moralmente buono per l’uomo nella misura in cui favorisce la libertà dello spirito dell’individuo; è moralmente cattivo nella misura in cui compromette o impedisce l’evoluzione dell’indi-viduo nella sua libertà e nel suo spirito.

Da un’altra parte, tutto ciò che è il vissuto dell’anima, che fa parte della cultura – quindi le leggi, i comandamenti ecc. – è buono, moralmente buono, nella misura in cui vuole favorire, e favorisce, il germogliare dell’individuo nella sua libertà e nel suo spirito; diventa moralmente cattivo, disumano, nella misura in cui non soltanto impedisce il fiorire della libertà individuale, ma non la vuole proprio, anzi la taccia di male morale in quanto prevaricazione: ecco l’orgoglio, ecco la Chiesa cattolica!

La definizione di orgoglio è il potere di questo mondo, il potere della cultura dell’anima che proibisce la dimensione dello spirito. Colui che fa questo è nella massima forma di orgoglio.

Questo come commento alla frase: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. Plurale: voi. Non comunità, ma ognuno, ogni singolo. Sono dieci, ne mancano due, Tommaso arriverà la settimana dopo, e sono gli archetipi dell’umano. E ogni Io umano, in quanto essere solare, è chiamato a far sue tutte e dodici queste espressioni dell’umano.

20,22 E dicendo ciò alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo».

Soffiò, espresse l’avvio, l’incoraggiamento a coltivare lo spirito, infondendo loro lo spirito. Come il Padre ha mandato me, facendo sorgere dal corpo l’elemento dell’anima, così io mando voi facendo sorgere, sulla duplice base del corporeo e dell’animico, lo spirito.

Lo Spirito Santo è lo spirito del Cristo in quanto interiorizzato e individualizzato. Interiorizzato è l’angelo di Maria Maddalena che sta presso la testa, e individualizzato è l’angelo che sta ai piedi. Come si interiorizza lo spirito? Con un cammino di conoscenza. Ciò che io capisco lo faccio mio. Come si individualizza lo spirito? Nell’agire, nel senso che le gambe di ogni persona fanno cammini tutti diversi da quelli di un’altra, e le azioni di una persona non sono mai le stesse di un’altra.

Se prendiamo queste due dimensioni, lo Spirito Santo è interiorizzare il Cristo come cammino di scienza dello spirito, ed è individualizzare il Cristo come individualismo etico, che realizza nelle azioni morali, nel comportamento nel mondo, un Io unico. Lo Spirito Santo è universalizzare il Cristo nel pensiero e individualizzarlo nelle azioni.

Quindi non basta il Cristo, ci vuole lo Spirito Santo, perché come il Padre ha mandato il Cristo, così il Cristo manda lo Spirito Santo.

Allora, ripetiamo di nuovo la domanda: che differenza c’è tra lo Spirito Santo e il Cristo? Il Cristo, finché era in vita, non poteva mandare lo Spirito Santo perché era ancora un’istanza esteriore, parlava allo stesso modo per dieci persone e per cinquecento persone. Ora che è sparito, il Cristo parla in un modo a Maria Maddalena, parla in tutt’altro modo ai Dieci, parla in tutt’altro modo a Tommaso. E poi, anche fra i Dieci, ognuno lo capisce a modo suo e anche se tutti e Dieci comprendono l’elemento oggettivo universale, universalizzante, ognuno poi lo deve esprimere a un livello del tutto diverso. E difatti andranno in tutte le parti del mondo e ognuno dovrà fare cose ben diverse.

Adesso viene un versetto molto importante: ha detto “Ricevete lo Spirito Santo” e adesso c’è una spiegazione dell’esperienza dello Spirito Santo.

20,23 «A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».

Questa è la traduzione ufficiale. In greco c’è: a coloro i quali porterete via i peccati, verranno portati via; a quelli che potrete aiutare a creare in sé una forza tale da non buttar via da sé i propri peccati ma da prenderli su di sé per cercare loro stessi, con la loro forza, il pareggio karmico, a quelli non portateglieli via, lasciateglieli e confermate questa forza.

Ci sono conferenze di Steiner, soprattutto quelle tenute ai teologi, dove commenta questo versetto che, potete immaginare, ha dato molto filo da torcere all’esegesi perché lo si è interpretato in termini di confessione, cioè che se ti vai a confessare il sacerdote ti toglie tutti i peccati e se non ti vai a confessare non ti sono tolti.

Però, in fondo, un essere umano adulto, si dice: ma no, non può essere così semplice, la cosa. È più complessa. Poi t’arriva Steiner e ti dice: no, no, ha tutto un altro significato. La differenza fondamentale tra l’anima e lo spirito è che l’anima non ha la forza di assumersi le responsabilità in proprio di ciò che fa, quindi l’anima è l’essere umano bambino. Invece una delle caratteristiche fondamentali dello spirito è la forza di assumere su di sé le conseguenze delle proprie azioni.

Allora il Cristo dice: il vostro compito di pastori in questi tempi di transizione tra l’anima e lo spirito, che dureranno ancora secoli, sarà di vedere, in chiave di conoscenza oggettiva delle persone, se c’è un’anima bambina che ha fatto qualcosa di male, di moralmente male, e si sente schiacciata perché non ha la forza di dirsi: ma io ritornerò sulla Terra, ritornerò con la forza di pareggiare tutto quello che ho fatto. A quest’anima, piuttosto che lasciarla schiacciare sotto il peso di ciò che non sa portare, il peso portateglielo voi.

Intervento: Sarebbero i peccati che assume su di sé il Cristo?

Archiati: Di fronte agli esseri umani bambini. Cosa facciamo, noi, col bambino? Non ha la forza morale di portare su di sé tutte le conseguenze di ciò che fa, e allora lo facciamo noi adulti. Quindi, la partecipazione all’amore del Cristo è la partecipazione al suo prendere su di sé i peccati che gli esseri umani non hanno ancora la forza di pareggiare individualmente, a partire dalla libertà.

Invece, nella misura in cui troverete esseri umani che hanno la forza di non fare a scaricabarili lasciando agli altri le conseguenze di ciò che fanno, ma hanno la forza morale di voler prendere su di sé le conseguenze di ciò che fanno e quindi anche di riparare i danni, a questi non portateglieli via, perché sono più avanti nell’evoluzione – infatti il compito dell’evoluzione è proprio questo.

Steiner dice che uno dei significati fondamentali di questa espressione del Cristo sullo Spirito Santo è: lo Spirito Santo è il criterio – “Vi mando lo spirito” – che rende capaci di distinguere tra l’anima che non ha la forza di prendere su di sé le conseguenze del proprio operato perché è ancora bambina, e allora ha bisogno di qualcuno che amorevolmente prenda su di sé quelle conseguenze, e l’essere umano che invece diventa sempre più spirito e ha la forza di portare su di sé le conseguenze del suo agire senza buttarle sugli altri.

Uno degli elementi fondamentali dell’operare dello Spirito Santo è che l’essere umano, nella misura in cui si convince, nel suo cammino di conoscenza spirituale, di avere a disposizione più di una vita, non desidererà più di affidare le proprie azioni morali negative al confessore che viene col cancellino e dice: sei perdonato, non avrai più nulla a che fare con le conseguenze di ciò che hai fatto. Un essere umano maturo, che si vive come spirito individualizzato, dice: voglio tornare di nuovo sulla Terra, e sono grato al Cristo che me ne dà la possibilità, col suo amore, perché voglio confrontarmi con le conseguenze delle mie azioni e non scaricarle sugli altri.

E quando voi, che siete gli archetipi dell’umano, voi apostoli, troverete questa forza, “confermatela”, kratÁte (kratète). Ricevete lo Spirito Santo: se a certi esseri umani toglierete via i peccati, gli saranno tolti; a coloro, invece, che trovate capaci di prenderli su di sé, confermate questa forza, non glieli portate via perché proprio prendendo su di sé le conseguenze delle proprie azioni l’Io diventa sempre più forte.

Intervento: In questa luce il non rimesso è altamente positivo.

Archiati: È molto più positivo che non essere ancora bambini che…

Intervento: Ma è altamente positivo. Nell’accezione comune, invece, quelli sono i grandi peccatori.

Archiati: La confessione che cos’è? La gestione di anime bambine.

Intervento: Da questa frase hanno acquisito un gran potere, le gerarchie ecclesiastiche…

Archiati: Sì, ma noi stiamo constatando che i presupposti di evoluzione di coscienza per iniziare un cristianesimo dello spirito, ci sono soltanto oggi. Quindi non possiamo pretendere che mille anni fa la Chiesa avesse già i presupposti per capire questa frase: era un cristianesimo petrino.

Intervento: Ma Steiner da un bel po’, essendo specialista nello studio della realtà spirituale, dice queste cose e in Vaticano non c’è nemmeno uno…

Archiati: Ma guarda che un secolo non è nulla! Ma guarda che nemmeno gli antroposofi hanno capito Steiner! Siamo all’inizio! Siamo all’inizio!

Intervento: Mentre mi è stato abbastanza facile capire la seconda parte del versetto: “a coloro ai quali constaterete questa capacità, questa forza di portare su di sé le conseguenze delle loro azioni, lasciategliele…”

Archiati: Confermate questa forza.

Intervento: …confermate questa forza”, non capisco come è possibile, in chi non ha questa forza, di togliergli le conseguenze delle azioni che ha fatto.

Archiati: Cosa fai col bambino di cinque anni che combina qualcosa? Non hai altra alternativa che prendere su di te le conseguenze di quello che ha fatto, perché lui non è capace di farlo.

Intervento: Ma, oggettivamente, su chi non ha la forza di portare queste conseguenze, le conseguenze arrivano o no?

Archiati: Sta’ attento, te lo calo nel concreto e presuppongo, però lo dovete dire voi, che nel momento in cui lo farò voi direte: eh, adesso è chiarissimo! – ma io sono un pochino restio certe volte a concretizzare le cose in modo tale da risparmiarvi tutto il cammino di pensiero, perché allora le cose diventano troppo comode.

Io avevo riferito il discorso alla vita successiva, per lasciare un pochino di spazio al pensiero. Adesso tu mi costringi a riferirlo a questa vita, e io ti chiedo: quando una persona dimostra che si vive come uno spirito e che ha la forza di prendere su di sé le conseguenze delle sue azioni? E quando, invece, una persona mi dimostra, nella percezione assoluta che non sgarra, di essere bambina, ancora tutta anima, e di non avere la forza di prendere su di sé le conseguenze delle sue azioni?

Una persona che ha questa forza dice: oggi, nella mia vita, mi capita soltanto quello che io ho fatto e di tutto quello che mi capita sono io la causa! L’animuccia debole mi dimostra di esserlo, proprio a livello di percezione, perché ogni volta che c’è qualcosa da fare si lamenta. Quindi non ha ancora la forza di ritenersi l’origine, la causa di tutto quello che gli capita. Lì hai la prova assoluta, e hai anche la verifica che siamo solo agli inizi del cammino di autonomia, perché sono poche le persone che vivono proprio in questo modo dicendosi non soltanto in teoria: tutto quello che mi capita è conseguenza diretta di ciò che ho fatto io stesso nella vita precedente e in quella ancora precedente.

Questa è la forza di cui parla il Cristo. Campa cavallo che l’erba cresce! Però, a questo punto, il discorso o è convincente, oppure ci stiamo prendendo in giro.

Intervento: Magari nella vita precedente erano animucce…

Archiati: Ma oggi nessuno ti proibisce, se tu lo vuoi, di vivere giorno per giorno dicendo: mi capita soltanto ciò che io ho seminato. Sei padrone di farlo. Però, se tu vivi così, smetti di dar la colpa agli altri per quello che ti capita, e di lamentarti. È ben diverso vivere senza lamentarsi, contenti di raccogliere ciò che si è seminato, come sfida a camminare sempre oltre.

E il mondo è pieno di persone che si lamentano: ma cosa ho fatto di male perché mi capiti questo? Il mondo è ingiusto! Dio è ingiusto! eccetera, eccetera, eccetera. Animucce, hai ragione, neanche anime, ancora. Bambini.

Uno dei cardini della verità oggettiva, proprio perché tu prima dicevi che lo Stato ha il diritto di impormi che non c’è la verità oggettiva, è che ad ognuno capitano soltanto le conseguenze di ciò che ha fatto. Questa è una verità oggettiva, non una opinione opinabile. Ma la maggior parte degli esseri umani ancora non se l’è conquistata, questa verità oggettiva, e allora scarica i barili e dice: questo mi è capitato perché il mio capo è un fesso... Ma te lo sei andato a cercare! Te lo sei cercato ancor prima di nascere, questo capo, perché ti appartiene… No, lui è il problema, io no!

Intervento: Scusi, nel perdono c’è, in parte, questa capacità di assumersi la responsabilità degli altri?

Archiati: Cosa vuol dire perdono?

Intervento: Se qualcuno mi uccide il figlio, le conseguenze sono grosse, io però sono in grado di perdonarlo.

Archiati: Affari dell’animuccia tua, eh? Perché se viene fuori nella verità oggettiva che nella vita precedente è stato tuo figlio ad ammazzarlo, allora chi deve perdonare chi?

Intervento: Ma non è giusto!

Archiati: Eh, non è giusto… attento! L’Io superiore si è incarnato con l’intento di non ucciderlo, però se l’io inferiore non si apre sufficientemente all’Io superiore, si vendica. E tu vieni a giudicare e dici: tu dovevi trovare le forze di perdonarlo. Vacci piano! Tieni il becco chiuso! Tu non puoi sapere se aveva le forze o no.

Se però ho le forze per espormi all’io inferiore di questo essere umano che puntualmente mi può uccidere, questi semi di odio li ho seminati io nella mia vita precedente: devo averlo trattato in un certo modo per portarlo al punto che oggi rischia di uccidermi. Non posso portare il suo io inferiore al punto di uccidermi se io, nel mio io inferiore, in qualche modo non l’ho ucciso per primo. Se io non l’ho ucciso in nessun modo, non lo porto al punto di avere in sé l’impulso a uccidere me. Questo è prendere su di sé le conseguenze delle proprie azioni, la forza dello spirito di cui parla il Cristo.

Oh, adesso che finalmente state un po’ zitti, andiamo a dormire. Buonanotte! Domani mancano solo…

Intervento: Posso fare una domanda?

Archiati: Gliela lasciamo fare? Con o senza risposta?

Intervento: Con risposta. Esiste il suicidio karmico?

Archiati: Esiste il suicidio karmico? Spiegami cos’è, io non lo so.

Intervento: Il suicidio dovrebbe essere un’azione libera, c’è un caso in cui, invece…

Archiati: Io speravo in una domandina facile… T’arriva invece con questa… Togliersi la vita non può essere mai la volontà dell’Io superiore, perché la sua volontà conferma la vita, non la uccide. Quindi la decisione di togliersi la vita è sempre una decisione di oscuramento della coscienza dell’io inferiore che perde di vista la volontà del suo Io superiore.

Buonanotte, ci troviamo domani alle 10.

Domenica 27 agosto 2006, mattina
vv. 20,24 – 20,29

Qualcuno ieri ha espresso il desiderio che l’oratore, sarei io l’oratore, possa parlare un po’ di più (viene in Italia per fare un po’ di esercizio d’italiano, una volta ogni tanto!), e non debba essere interrotto ogni cinque minuti visto che, poveretto, già fa fatica. Siamo d’accordo? Nessuna interruzione, questa mattina. Mi sono preparato una predica domenicale di quelle! Ma ecco Luciana che vuol far subito l’eccezione che conferma la regola.

Intervento: Qualcuno chiedeva che tu commentassi il versetto quando il Cristo mostra le mani e il costato.

Archiati: Ci arriviamo!

Intervento: No, l’abbiamo già passato ieri sera! 20,20 “Si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi. Detto questo mostrò loro le mani e il costato”.

Archiati: Ah, non ho detto niente perché adesso arriva Tommaso. Ai Dieci, mani e costato glieli ha fatti vedere soltanto “in televisione”, capito?, e adesso arriva Tommaso e dice: No, a me la televisione non basta, voglio toccarle io, le piaghe, voglio mettere il dito nel buco dei chiodi!

Attenti, adesso viene questa polarità bellissima! Tu vuoi andare troppo veloce, e gli altri mi fermano… Adesso verrà questa polarità del dito, quando il Cristo gli dice: Metti il dito nella piaga dei chiodi e metti la tua mano nel costato.

Le piaghe del Risorto presentano questa polarità: tra il dito che entra nel foro del chiodo, perché il chiodo è in forma di dito, quindi è una freccia che indica una direzione, e la mano con la quale invece operiamo, facciamo qualcosa. In tedesco, per esempio, azione si dice Handlung, una cosa fatta con la mano, un maneggiare. Anche in inglese si può dire molto bene. In italiano no.

C’è questa polarità tra il pensiero che, pur stando a metà dell’evoluzione, addita e indica le mete future, la direzione e il termine dell’evoluzione, e le azioni che occorrono per arrivarci passo per passo, azioni compiute con gli arti e con le mani. L’essere umano è un operatore che va con i piedi là dove il suo karma lo chiama, e poi compie le azioni con le mani, agisce nel mondo. Quindi la mano si congiunge con le forze di amore del Cristo nel costato dove è stato trafitto il suo cuore. L’evoluzione morale degli esseri umani è il crescere nell’amore del Cristo che si estende a tutta l’umanità, a tutta la creazione.

Ma ci arriveremo. Adesso c’è tutta la fenomenologia di Tommaso, altrimenti non si capisce come mai, alla fine, nell’ultimo capitolo scritto dall’evangelista Giovanni-Lazzaro (il ventunesimo capitolo è stato scritto dai suoi discepoli, perché si parla di lui più decisamente) come mai c’è questa polarità importantissima fra l’esperienza del Risorto fatta dai Dieci senza Tommaso, e poi quella fatta da Tommaso. Deve avere un peso sia conoscitivo sia morale enorme, questa polarità!

Il Cristo si presenta anche ai Dieci con la realtà delle piaghe, del costato e delle mani, però per loro è soltanto un’imma-ginazione, e difatti poi non viene più detto nulla, non viene detto quale presa di posizione hanno. Poi dicono a Tommaso: l’abbiamo visto! E lui dice: non mi basta il vedere, voglio toccare! Il senso del tatto!

Però prima di arrivare a Tommaso, volevo riprendere, perché è fondamentale, l’ultimo versetto 20,23, in chiave di dies Dominicus: oggi è domenica, vi dicevo già ieri che di fatto è il giorno del Sole in quanto dedicato allo Spirito del Sole che, a partire da 2.000 anni fa, è diventato lo spirito della Terra, lo spirito comune dell’organismo dell’umanità.

Noi celebriamo il Sonntag, il Sunday, il dies Dominicus, come superamento del sabato, dell’elemento saturnio rivolto verso il passato dell’ebraismo che preparava poi la venuta del Figlio, del Messia nell’umanità: il senso, nel cristianesimo e nell’umanità, è di celebrare lo Spirito del Sole, lo Spirito dell’Io, lo Spirito di comprensione intellettuale e di amore morale per l’umano. Ciò vuol dire che ogni singolo individuo è chiamato a diventare un essere solare.

Il senso della domenica, non soltanto cristiana ma della domenica umana, è che ognuno di noi è una creatura dello spirito del Sole. Questo vuol dire “essere chiamato”: però non soltanto come gruppo, come Chiesa, ma come individuo. Il gruppo vale per la fase d’infanzia: finché gli spiriti umani sono più anima che spirito, vanno trattati da bambini ed è giusto, così deve essere propedeuticamente, pedagogicamente, per far sì che diventino sempre più adulti.

Sono queste le due fasi espresse nel v.23: l’essere umano ancora bambino è incapace di prendere su di sé le conseguenze delle sue azioni, per cui bisogna perdonargliele, per cui bisogna dirgli: va be’, visto che tu non sei ancora capace, non hai ancora la forza di prendere su di te le conseguenze, di rispondere in proprio di quello che tu fai, ci sono dei pedagoghi, ci sono dei sacerdoti che lo fanno al tuo posto.

Però la direzione dell’evoluzione è che questa fase bambina, questa fase dell’anima, è per natura transeunte, deve per natura venire superata e quindi deve subentrare poi la seconda fase. Quindi: “Coloro ai quali dovrete rimettere i peccati, perché sono ancora bambini, saranno rimessi!” Questo è il cristianesimo petrino!

Perciò ricordiamo che l’evangelista, in questo ultimo capitolo, ci ha presentato Giovanni-Lazzaro e Pietro che corrono al sepolcro: quindi tutto il ventesimo capitolo, tutta la fenomenologia dell’incontro col Risorto, nel vangelo di Giovanni sono posti sotto la polarità tra il cristianesimo di Pietro e quello di Giovanni. Pietro che arriva dopo al sepolcro, però Giovanni-Lazzaro si ferma e lascia andare avanti lui, nel senso che il cristianesimo dell’anima, il cristianesimo degli esseri umani bambini, deve precedere il cristianesimo degli esseri umani adulti.

Tutto il capitolo ventesimo è posto in questa polarità. Il cristianesimo di Pietro ha la sua legittimità, perché gli esseri umani non possono subito diventare adulti, lo si diventa soltanto passando per la fase d’infanzia, e lo si diventa con velocità diverse, molto individuali.

Questi duemila anni ci dovevano essere, e ora vediamo che, dapprima pochi, poi sempre più esseri umani, dicono: No, questo tipo di cristianesimo non mi corrisponde più! Però deve essere onesta l’affermazione, devo dimostrare che non mi corrisponde più perché ho esigenze più adulte, perché adesso mi trovo con una mente, con una struttura pensante che vuole capire le cose a un altro livello, non soltanto crederle perché lo dice il parroco, o perché lo dice il pastore.

Nella misura in cui sorgono persone che dimostrano di cercare una conoscenza adulta, una conoscenza individualizzata, scientifica, rigorosa, che cerca l’oggettività anche nel campo dei fenomeni spirituali, allora queste persone hanno tutto il diritto di scoprire che proprio qui, soprattutto alla fine del Vangelo di Giovanni, si parla di queste due grandi fasi del cristianesimo stesso.

In questo versetto il Cristo dice: “Ricevete lo Spirito Santo”. Ricevere lo Spirito Santo è questione di evoluzione: ci sarà una prima fase in cui “dovrete rimettere i peccati”, perché gli esseri umani non hanno la forza di capire che ognuno semina individualmente, e ognuno crea delle conseguenze attraverso ciò che fa, e finché gli esseri umani hanno un’anima ma non ancora uno spirito, vanno trattati corrispondentemente.

Molte sono le anime bambine che per aver combinato qualche marachella o qualche malefatta precipitano nei patemi d’animo. Supponiamo che a qualcuno sia capitato di uccidere un’altra persona, e la sua struttura è al livello di evoluzione che riesce a risolvere il problema soltanto andando dal confessore che gli dirà: Va be’, insomma dai, ti do l’assoluzione! E questa persona adesso si sente a posto. Se non sa far altro che vogliamo fargli? Vogliamo dargli una mazzata in modo da far fuori anche lei, visto che ha già ucciso un’altra persona?

Però non siamo assolutamente autorizzati a dire che questo tipo di struttura mentale sia l’apogeo, sia il termine ultimo di ciò che si può chiedere a un essere umano, perchè se cresce dovrà trovare la forza di dire: ho ucciso un’altra persona e so che questa azione ha delle conseguenze ben precise. Conseguenze oggettive nel mondo, che il Cristo prende su di sé perché io non ci posso far nulla, ma anche conseguenze dentro il mio essere: uccidendo sono decaduto, sono stato catapultato indietro nella mia evoluzione, ma posso recuperare compiendo azioni opposte a queste dettate dall’egoismo, a queste azioni di negazione dell’altro. E man mano che faccio questo cammino reale, cresco nella forza intellettiva e morale di prendere su di me le conseguenze delle mie azioni!

Ed è questo il cristianesimo di Giovanni. Coloro nei quali voi vedrete la forza di prendere su di sé i peccati, a questi non portate via le conseguenze perché significherebbe trattarli da bambini, impedendogli di confrontarsi con le conseguenze delle loro azioni.

Rivediamo l’evoluzione umana in ogni vita, perché la vita è proprio a livello di percezione concreta la ripetizione filogenetica, ontogenetica di tutta l’evoluzione: c’è una fase bambina, dove la conduzione deve venire dall’esterno, la fase dell’anima, che è destinata a terminare; e c’è una fase adulta dove lo spirito umano è destinato a crescere a un punto tale da assumersi sempre di più la responsabilità morale dei destini non soltanto suoi, ma anche di tutta l’umanità e di tutta la Terra.

A questo punto il v.23 dice cosa significa ricevere lo Spirito Santo: è uno spirito di luce che ci fa capire da adulti, in chiave di pensiero, il senso dell’evoluzione sempre più profondamente, ed è uno spirito di calore. È il Sole come sorgente di luce e di calore. Celebrare la domenica significa celebrare la chiamata di ogni spirito umano a diventare uno spirito del Sole, una scintilla dello spirito solare. L’affermazione fondamentale della domenica è che ogni essere umano è chiamato a diventare, lui stesso, sacerdote, profeta e re.

Sacerdote è che ognuno sa il fatto suo nella vita culturale, nel campo dello spirito – prendete il libro che avete in mano in questi giorni, Cultura politica economia –; nella vita giuridica ognuno è chiamato a diventare re; e nella vita economica (potete distribuire in altri modi) è diventare profeta, nel senso di contribuire al futuro dell’umanità, per farla andare avanti in un modo sempre più solidale.

La domenica cristiana si celebra nella misura in cui ogni individuo umano diventa sorgente di luce e di calore. Questa è l’essenza del Sole. Quindi non si tratta di prendere in prestito i pensieri da qualcun altro che sa pensare, visto che io non so pensare perché sono una pecorella o sono un bambino. No, la chiamata di ogni essere umano è di evolvere nel pensiero in modo da diventare nel suo spirito una sorgente di luce.

Potenzialmente ogni essere umano ha in sé la stoffa che gli consente di diventare per natura – altrimenti non sarebbe un essere umano – sempre più creatore nel suo pensiero, se non perde colpi, se non poltrisce, se non omette di fare i passi che gli sono dati di fare. Solo quando è bambino ha bisogno dei pensieri altrui, però è chiamato a superare questa fase.

Ogni uomo porta in sé la potenzialità, direbbe Aristotele, cioè è capace di diventare sempre più creatore nel suo spirito, e intuendo sempre di più il senso di tutta l’evoluzione agirà per amore, non per comandamenti, non per leggi, non per paura di andare all’inferno o di andare in prigione. Agirà partendo dall’esuberanza del suo cuore, da questo costato, da questo cuore che viene trafitto dall’amore per l’umanità, dall’amore per la Terra.

E finché noi celebreremo la domenica andando a messa – scusate, sono cose molto serie – andando a messa come pecorelle e il prete celebra soltanto lui, resteremo eternamente nella fase bambina del cristianesimo petrino, mentre qui ci viene detto che va superata nel corso del tempo.

A questo punto voi mi chiederete come mai anche nella scienza dello spirito tutte le cosiddette conferenze sociali sono poco considerate. Soprattutto in Italia, finché io faccio bella spiritualità dicono: bello, che bello ! ma appena tocco la realtà del sociale: ecco, Archiati comincia a far politica! Lo spirito è bello e pulito soltanto se non ha nulla a che fare con la vita!

Il mistero di Tommaso è che rappresenta l’essere umano che dice: uomini che sono morti e che poi sono apparsi come puri spiriti ci sono stati da sempre, ma questo qui è il primo che si presenta con delle piaghe, trafitto, cioè si presenta dopo la morte come uno spirito ancora inserito nella realtà del mondo fisico! Uno spirito che compenetra il mondo della materia!

Siamo al superamento del buddismo! Perché il buddismo diceva: la materia è fatta per uscirne fuori, per lasciarla, perché non è neanche una realtà! Tommaso è il primo ad avere l’intuizione che il mistero del Risorto, il mistero della resurrezione cristiana, riguarda il fantòma del corpo fisico!

Dal sepolcro è risorto non soltanto uno spirito, non soltanto un’anima – di anime e di spiriti è pieno tutto il mondo! – sono risorte le forze formanti del corpo fisico. Questo è il corpo di resurrezione!

Questo è il fantòma: è un corpo fisico umano in tutte le sue forze da cui la polvere della materia è andata via,via! Così queste forze formanti sono pure: ma non forze eteriche vitali, perché anche quelle sono puramente sovrasensibili, bensì sono pure forze formanti del corpo fisico!

Per la prima volta il fantòma invisibile, ma spiritualmente reale del corpo fisico, è risorto da questo sepolcro del mondo fatto di materia. Sono risorte tutte le forze formanti del corpo fisico ripristinate dal Logos, che è l’insieme di tutte le forze formanti, di tutti i pensieri che stanno alla base di ciò che prende forma nel mondo fisico.

L’essenza del peccato originale, l’essenza della caduta dell’u-manità, consiste nella degenerazione delle forze formanti del corpo fisico, e di queste cose il Buddha non poteva avere la minima idea. Mancavano i presupposti di coscienza, nell’umanità, per entrare nei misteri dell’amore di queste forze formanti per la Terra – e la materia è fatta per renderle visibili ai nostri occhi sensibili!

Quindi cos’è un corpo fisico? Un corpo fisico, quale noi possiamo vedere qui in questa sala, è un complesso di forze formanti sovrasensibili, rese visibili fisicamente dal riempitivo della materia. La materia è come un ripieno che rende visibile il corpo fisico, ma non ne è l’essenza.

Per capire queste cose – e se le capiamo, tra l’altro, ci rendiamo conto di come siamo appena all’inizio del cristianesimo – aiutiamoci col paragone del campo magnetico: questo campo calamitante c’è, ma finché io non ci metto della limatura di ferro che evidenzia, che rende visibili queste correnti che hanno delle forme ben precise, io non vedo nulla. Non vedo nulla, ma queste forze ci sono, operano! Se però ci metto della limatura bella sottile, questa si va a disporre secondo tutte queste correnti magnetiche, fra i due poli, e le rende visibili.

Allora cosa è risorto dal sepolcro vuoto? La materia è tornata allo stato di polvere, come la limatura di ferro, e siccome le correnti di forze del fantòma si sono tirate fuori, questa polvere perde la sua forma, perde ogni possibilità di acquistare una forma, e cade nella Terra.

Cosa sorge, allora, dal sepolcro?

La struttura invisibile, soprasensibile, delle forze del corpo fisico! E un altro corpo non c’è! Nella misura in cui l’essere umano, nel suo spirito e nel suo cuore, ama intellettivamente e ama moralmente il Logos, questo organismo di forze formanti infonde e ripristina nel suo corpo fisico le forze che si erano indebolite, perché la materia, a forza di entrarci dentro, è diventata sempre più pesante fino a deformarle, almeno un po’.

Immaginate voi quanto ogni fisiologo, in chiave di anatomia, di patologia, ha da studiare per tirar fuori tutto quello che c’è in un organismo fisico! E allora, quando noi parliamo di un organismo di forze formanti intendiamo dire qualcosa di estremamente complesso che è stato sottoposto a millenni di indebolimento, a millenni di deformazione anche minima, a tutti i livelli, e sono sorte malattie a non più finire!

Il risultato? È che diciamo: eh sì, sarebbe bello, ma non ce la faccio!

Cosa vuol dire “non ce la faccio”? Che l’elemento di materia in me, l’elemento di natura che mi costringe, è diventato talmente forte che io, come spirito, sono meno forte di lui. Questa è l’es-senza del peccato originale, della caduta: che lo spirito è diventato meno forte della materia!

La redenzione dell’umanità, la redenzione dell’uomo, sta nell’invertire la marcia, sta nel ridare allo spirito singolo umano più forza che non alla materia.

E come si fa? Lasciando entrare in sé, invocando, amando, volendo far proprie queste pure forze formanti, primigenie, non deformate, non indebolite, forti di tutta la loro bellezza, di tutta la loro purezza di pensiero e di tutta la loro forza morale di plasmazione della materia.

Quindi, la cosiddetta imitazione del Cristo significa cristificare il proprio pensiero e, aristotelicamente, tomisticamente, significa rifarsi i pensieri puri sulle forme delle piante, sulle forme del corpo umano, sulle forme degli animali.

Gli interventi transgenici, invece, indeboliscono sempre di più i pensieri divini sulle specie delle piante e degli animali. Oppure, se noi mettiamo la materia che è stata conformata secondo i pensieri posti alla base della pesca insieme alla materia conformata in base ai pensieri della mela, cosa salta fuori? Qualcosa che non è né l’una né l’altra!

L’evoluzione dell’uomo è riconquistare, in chiave di pensiero, i pensieri formanti l’umano, formanti ciò che è animale, ciò che è pianta e ciò che è minerale. Nella misura in cui noi riconquistiamo questi pensieri nella loro purezza originaria, essi diventano forti, diventano luce che illumina e ci fa capire cosa combiniamo contro le leggi di natura, contro i pensieri divini. Diventano una forza morale. Il dito è quello che indica l’evoluzione del pensiero, e la mano è quella che opera in modo da rendere lo spirito umano sempre più forte.

A questo punto volevo fare anche un altro aggancio, che non è meno importante perché bisogna avere il coraggio di indicare certe cose. Prendetelo come gesto del dito, accettando che la mano, la nostra operatività morale, ci arriverà soltanto nel corso dei secoli – anche perché ci rendiamo conto che siamo talmente all’inizio di questo compito della scienza dello spirito che facciamo fatica già soltanto a indicare, a portare a coscienza queste cose.

La grande ferita dell’evoluzione è il fatto che spirito e materia si sono scissi. Quando sei in chiesa, nella sacrestia, tutto è spirito, e il mondo della materia va a ramengo, non ci si pensa neanche, e se uno ne parla è politica, non lo deve fare; poi esci fuori dalla chiesa, entri nel bel mondo materiale e mandi a ramengo lo spirito, non esiste più. Così l’essere umano si indebolisce sempre di più, perché lo spirito rinuncia già in partenza ad avere qualsiasi pretesa di trasformare il mondo reale, e il mondo reale diventa sempre più brutale, sempre più privo di spirito.

Questo è un altro modo di esprimere la caduta umana.

Ci sono dieci conferenze di Steiner tenute a Kalrsruhe nel 1911 sulla cristologia – qualcuno di voi le avrà lette nel ciclo O.O. 131 che si chiama Da Gesù a Cristo[7] – dove il fantòma del corpo fisico è proprio al centro.

Nell’azione l’essere umano è completo, perché finché specula è mezzo uomo. Quando agisce, se diamo per scontato che non agisca da sonnambulo, la sfera del pensiero, la sfera del cuore e la sfera morale vanno insieme.

Ogni azione ha due serie di conseguenze, ogni azione è una causa che ha una duplice serie di effetti, e tutto questo ha a che fare direttissimamente con l’incontro coi Dieci – a cui mostra soltanto, in chiave intellettuale (dicevo di “televisione”) di vedere il costato e le altre piaghe – e poi con Tommaso che dice: non mi basta vedere, voglio toccare, non mi basta contemplare intellettualmente voglio tradurre tutto in vita concreta, in realtà evolutiva dello spirito umano nella sua totalità!

Allora, due serie di effetti, di conseguenze: un’azione crea effetti dentro l’agente, dentro chi la fa, nel senso che ogni azione cambia, sia pur minimamente, colui che agisce. E poi c’è un’altra serie di effetti sul mondo esterno.

Steiner porta l’esempio di una persona che cava gli occhi a un’altra. Questa persona, dopo un’azione del genere, ha un altro valore morale rispetto a prima, e perciò deve smaltire le conseguenze, gli effetti dentro di sé, deve cioè compiere azioni morali, di amore, che siano il pareggio karmico di questo suo egoismo, in modo da ritornare al livello morale che aveva prima. Questi effetti che ricadono, che sorgono in colui che agisce, Steiner li chiama effetti karmici.

Poi ci sono gli effetti fuori di colui che agisce, gli effetti nel mondo oggettivo, nel mondo esterno, per esempio gli effetti in chi adesso è cieco. Il fatto che non ci veda, con tutte le situazioni che ne derivano, non è un effetto che sorge in colui che gli ha tolto gli occhi: per chi ha compiuto l’azione è un effetto nel mondo oggettivo. Questo secondo tipo di effetti nel mondo, Steiner li chiama effetti cosmicikÒsmoj (kòsmos) in greco significa mondo. Quindi:

1 Effetti Karmici Soggettivi

effetti sull’agente

2 Effetti Cosmici Oggettivi

effetti sul mondo esterno

Gli effetti karmici sono soggettivi, ricadono sul soggetto che agisce, gli effetti cosmici sono oggettivi, ricadono sul mondo esterno.

Agli apostoli il Cristo dice (20,23): in un primo tempo gli esseri umani non saranno capaci neanche di prendere su di sé gli effetti karmici, neanche di lavorare alle conseguenze che sono sorte in loro stessi in base alle loro azioni. Perciò dovrete perdonare loro i peccati e vedere voi cosa si può fare, come col bambino, in modo che continui a crescere.

L’uomo deve capire che non può migliorare soltanto per assoluzione del confessore, ma che lo può soltanto lavorando lui su se stesso! Questo è prendere su di sé le conseguenze karmiche! Sono io stesso che peggioro, in base alle mie azioni, e posso migliorare soltanto lavorando io stesso, in base alle mie azioni. Non è che l’assoluzione mi rende un altro essere da quello che sono! Sarebbe un pensare del tutto illusorio, irreale!

Nella misura in cui gli esseri umani (ogni singolo, però) trovano la forza di attribuire a sé tutto ciò che sono divenuti, tutto ciò che si ritrovano dentro, capiscono che se vogliono migliorare, se vogliono cambiare il loro karma, devono creare altre forze, devono rafforzare il fantòma, per esempio, ripristinarlo, renderlo giorno per giorno più forte attraverso la meditazione, attraverso l’esercizio che rafforza lo spirito nei confronti della pesantezza della materia.

Se io non lavoro sistematicamente, quotidianamente, a rendere passo per passo il mio spirito sempre più forte nei confronti della materia (tutto in una volta non è possibile), divento sempre più debole perché la materia non perde colpi: l’essenza di una legge di natura è proprio quella di non perdere mai un colpo, e se ne perdesse anche solo uno, non sarebbe una legge di natura.

Ciò significa che il fattore inesorabile della necessità, del determinismo, quello c’è di sicuro! Invece il fattore di libertà non viene per natura, ma c’è solo quando, attraverso le forze dell’a-more e del pensare autonomo, il mio spirito diventa sempre più forte nei confronti della materia. In altre parole, viene solo nella misura in cui io, giorno dopo giorno e ogni giorno, decido di lavorare a questa forza dello spirito.

Nella misura in cui l’individuo impara a rafforzare il suo spirito, diventa capace addirittura di partecipare all’amore del Cristo, e comincia a prendere su di sé anche il karma dell’umanità, il karma di altri, il karma della Terra, ecc….

Se prendiamo tutte e due le linee evolutive il da farsi è all’infinito, però è molto bello perché è il da farsi dell’amore, dell’illuminazione dello spirito, è un duplice cammino di pensiero e di amore. All’infinito.

Adesso un ultimo aggancio e poi ritorno al testo, un aggancio che fa parte della riflessione sul dies Dominicalis, su questo cammino che ci fa diventare, ognuno, sorgente di luce nel suo pensare, e di calore nel suo cordiale amore verso tutte le creature e verso se stesso, quale membro di questo organismo vivente che è l’umanità, che è la Terra, che è il corpo mistico, spirituale, fantòmico del Cristo.

L’aggancio è diretto con questo libro di Steiner Cultura, politica economia, soprattutto in relazione alla quarta, alla quinta e alla sesta conferenza che andrebbero studiate e anche discusse in piccoli gruppi, soprattutto perché finora si è fatto poco. Qui i misteri del fantòma vengono affrontati in un modo diretto, qui la cristologia diventa vita proprio applicata.

Nelle ultime conferenze Steiner parla di tre tipi di società – che poi sono tre tipi di economia tre tipi di cultura e tre tipi di assetto giuridico dell’umanità –: il primo appartiene al passato, noi siamo pienamente nel secondo, e il terzo è il futuro. Sulla falsariga di questi tre tipi, il trapasso dal secondo al terzo viene espresso nel passaggio da questo perdonare i peccati a chi non li sa gestire in chiave di autotrasformazione responsabile e libera, alla forza dello spirito umano che diventa autore responsabile del suo destino.

C’è un tipo di società che appartiene al passato ed è la società di potere: erano i tempi in cui c’era il re e gli uomini non avevano ancora una volontà singola. C’era soltanto uno che comandava e gli altri, come in un asilo, eseguivano.

La matrice di queste società era teocratica, perché il potere si rifaceva poi alla divinità: i re erano iniziati che tiravano giù dai mondi celesti tutti i comandamenti, le ingiunzioni e le regole, sia per la vita spirituale, sia per la vita giuridica, sia per la vita economica. I re, in quanto iniziati, guardavano il movimento delle stelle e dicevano perfino ai contadini quando bisognava seminare, quando bisognava accoppiare la vacca col toro ecc…

Tutta la conduzione della vita culturale, della vita giuridica e della vita economica – e anche dell’agricoltura, che a quei tempi era quasi il tutto della vita economica – era in mano a un potente che però desumeva il suo potere non dall’arbitrio umano, ma dai comandamenti divini (vedi la Legge Mosaica nel Vecchio Testamento).

Ci sono nell’umanità di oggi dei residui di questo tipo arcaico di potere, e la Chiesa cattolica è uno dei più forti, perché dice che l’autorità del papa, l’autorità dei preti, non è un potere umano, ma viene dal mondo spirituale. C’è un’investitura dal mondo spirituale che ti dà l’ordinazione sacerdotale e tu non sei più un essere umano, ma sei il rappresentante di Dio nell’umanità e tutti gli altri devono, come pecorelle, seguire quello che tu hai da dire.

Il desiderio di poter avere ancora un pochino di questo potere c’è, però l’umanità gli scappa via sempre di più. Possiamo considerare questo tipo di società, ormai, come appartenente nel suo insieme al passato, con residui nostalgici qua e là. Per esempio, il fenomeno dello zarismo è un relitto, è finito, però Putin non è che sia una cosa molto diversa dallo zar. È un’altra versione dello zar.

Del resto, in Russia, o uno si presenta in chiave messianica di colui che rappresenta la volontà divina sulla Terra, oppure di fronte all’anima russa non ha nessuna possibilità di aver presa. Quindi, questi tentativi di esercitare il potere sull’umanità, in nome di Dio, per grazia ricevuta, ci sono ancora, ma diventano sempre più anacronistici.

Il secondo gradino è quello dove il politico classico dice: io non ho un’autorità dall’alto, ma una carica che mi viene data con una deliberazione democratica, in base a maggioranza. Se io rappresento questa maggioranza, ho una fetta di potere, che dunque non mi viene da Dio, ma dagli uomini.

Questo secondo tipo di società Steiner lo chiama società di scambio. È una società dove il principio conducente l’evoluzione è la democrazia, cioè la conquista, per lo meno in termini teorici, dell’uguaglianza di tutti.

E perché siamo tutti uguali? Perché siamo tutti uomini! Non esiste uno che sia più uomo di un altro, per lo meno in chiave ideale. Non siamo tutti uguali a livello reale, eh?, ci mancherebbe altro! Però come convinzione ideale, teorica sull’umano, siamo tutti d’accordo: oggi nell’umanità c’è un livello fondamentale dove gli esseri umani sono tutti uguali, il papa non è più divino di un altro essere umano. Il papa o è un essere umano, oppure se non lo è, vada nel mondo degli angeli e non stia qui!

Che poi il cuore, o l’elemento morale, faccia più fatica ad arrivare a questo concetto pulito dell’uguaglianza assoluta di tutti gli esseri umani in quanto esseri umani, questo senz’altro! Però, per lo meno in chiave di convinzione teorica, questo pensiero lo potete esprimere in tutta l’umanità e viene recepito subito. Gli uomini son tutti uguali! Altrimenti non sono uomini.

Intervento: Ci sono ancora problemi razziali.

Archiati: Perciò dicevo che ci son sempre relitti, però non a livello teorico. Il bianco, in Sudafrica (io ci ho vissuto cinque anni), vive come se il nero fosse meno uomo di lui, ma nel momento in cui lo prendi in castagna sulla teoria lo metti a disagio, perché non può sostenere: io sono uomo al 100% e il nero lo è al 90%. Lo metti a disagio, perché si rende conto che vive anacronisticamente, ma gli fa comodo in chiave di potere.

E allora, quando usa la sua mente di inglese illuminato e lo costringi a rispondere alla domanda: siamo tutti uguali come uomini, o no?, lui si rende conto che è assurdo, a livello di teoria, dire che ci sono uomini di prima classe e uomini di seconda classe. Perché allora si ritorna al papa: quello è infallibile perché è uomo di prima classe, gli altri son tutti fallibili perché sono uomini di seconda classe! Che è un’assurdità assoluta, un relitto di teocrazia, che non ha più nulla a che fare con l’umanità moderna. Però, seppure non a livello di teoria, a livello di vita ancora oggi tante persone hanno bisogno di questi superuomini. Questo intendo dire.

Quindi nell’umanità è accettato oggi il principio democratico, e la società di scambio, anche in economia, presuppone che siamo tutti uguali: ognuno vuol far valere i suoi prodotti e li vuol smerciare. E si vede cosa salta fuori!

In una società di scambio, dove gli esseri umani sono tutti uguali, ognuno ha uguale diritto di soddisfare i suoi bisogni. Infatti, perché uno dovrebbe avere più diritto di un altro a soddisfare i propri bisogni? È forse più uomo di un altro? Quindi, almeno in teoria, siamo d’accordo: ognuno ha pari diritto di soddisfare i suoi bisogni.

In una società di scambio qual è il principio conduttore? L’aleatorietà del mercato! Ognuno porta sul mercato quello che produce, quello che vuole smerciare, e questa caoticità che noi chiamiamo domanda e offerta (che non c’entra nulla), è un cozzare assoluto di volontà atomizzate all’infinito. Ognuno viene con la sua volontà senza nessun modo di intendersi con l’altro, senza nessun inizio di volontà organica, dove invece si lavora a creare una volontà di tutto l’organismo dell’umanità. E allora salta fuori il potere dei soldi.

Steiner descrive questa situazione sociale in tantissime conferenze, che non sono neanche tradotte in italiano (non vengono lette neanche in tedesco), ne ha tenute centinaia di conferenze pubbliche su questo tema, ha impiegato forze della sua vita, come iniziato, finché hanno minacciato la sua vita e non ha più potuto continuare. A Monaco, una volta, qualcuno ha spento tutte le luci di un teatro dove Steiner teneva una conferenza e sono saltati sul palcoscenico uomini armati di coltelli: per fortuna c’era una porticina dietro e Steiner è scappato via, altrimenti lo facevano fuori. A quel punto lì ha dovuto smettere di tenere conferenze pubbliche sul cosiddetto sociale, che per lui erano le più importanti.

Ha tenuto conferenze agli operai di Dornach, dieci, venti operai, eh?, conferenze quasi ogni settimana, e le riteneva importantissime: c’erano meccanici, idraulici, falegnami ecc… Una volta, c’era tanto da fare, e quei non lavoratori, non operai, non proletari che erano gli antroposofi gli dissero: Dottore, lasci perdere la conferenza agli operai, tanto è la cosa meno importante che ha, e faccia la conferenza agli antroposofi, che è molto più importante!

Steiner si è arrabbiato, ha inveito: Ma come? Mi chiedete di rinunciare alla conferenza degli operai, come se fosse la cosa meno importante? Ma vi sbatto tutti all’altro mondo! Voi siete la cosa meno importante, perché non combinate mai nulla nella vita reale, e andate in brodo di giuggiole con la vostra antroposofia, nella nuova sacrestia che sono gli Zweige (le sezioni) della Società antroposofica! Ha inveito proprio in un modo incredibile! Questo per dirvi che cosa Steiner riteneva centrale, proprio il nerbo dell’antroposofia, della scienza dello spirito. Era il suo modo di incidere sulla vita, non di creare godurie su teorie scientifico-spirituali – io sono bello perché so più cose di te e tu non le sai!

Proprio tutta questa realtà di fantòma, cioè di incidenza nel mondo reale fisico, nel mondo della materia, nel mondo dell’eco-nomia, del diritto ecc…, in tutti questi decenni non è stata neanche letta, neanche vista! E adesso che l’Archiati Verlag comincia a pubblicare di queste cose, scrivono sul bollettino: l’Archiati Verlag ha perso la causa![8] In modo che le pecorelle non leggano l’Archiati, perché è uno che trasgredisce la legge. Dovete leggere i volumi dell’Opera Omnia! Così si andrà avanti lasciando fuori la realtà sociale, l’incidenza sociale nella vita reale della cosiddetta scienza dello spirito, mentre si continuano a fare disquisizioni di lana caprina nelle sacrestie degli antroposofi. E le sacrestie degli antroposofi, in Italia, sono i salotti, tra l’altro, ancora di più di dove si riuniscono i gruppi!

Le cose sono troppo serie perché qualcuno di voi mi proibisca di dire ciò che ben conosco: io sono venuto ben a contatto con la realtà, ho fatto di tutto per stabilirmi in Italia vent’anni fa, sono stato sbattuto fuori, perché questi antroposofi hanno visto in me soltanto l’ex prete, e gli faceva comodo, per tirar fuori tutta la loro bile, tutto il loro veleno contro la Chiesa cattolica. E sono stato costretto a stabilirmi in Germania. Perciò non venite a dirmi che io dovrei far di più per l’Italia: ho fatto di tutto per stabilirmi e lavorare qui, ma sono stato sbattuto fuori!

Perché il motto degli antroposofi italiani, con eccezioni s’in-tende!, stando alla mia esperienza, alle mie percezioni è: noi siamo pochi ma belli, e più siamo pochi e più siamo belli! Questo tipo di spirito è l’opposto dello spirito del Cristo, è il tipo di spirito che distrugge lo spirito del Cristo.

Sul terzo tipo di società Steiner, presentandola, diceva: bisogna inventare delle parole perché non c’è ancora! E allora inventa dei termini in tedesco, e io mi sono scervellato per anni chiedendomi quali potevano essere i termini italiani migliori per tradurli. Quindi leggete queste ultime conferenze di Cultura politica economia, soprattutto la quinta e la sesta, sapendo, perché l’informazione ve la sto dando, che dietro c’è veramente lo sforzo di rendere il senso, perché in questo terzo tipo di società c’è il nostro futuro, tutto il futuro di evoluzione della coscienza e di evoluzione morale.

Cominciare a dargli un nome significa cominciare pensieri di fantòma, pensieri che cominciano a dare una forma a questo nuovo tipo di società. Siamo all’inizio, e dobbiamo avere coraggio altrimenti non andremo avanti, altrimenti continueremo a scannarci a vicenda in questa società di scambio, col mercato aleatorio, caotico, dove si impone coi suoi prodotti soltanto chi è economicamente più forte, e non chi veramente vuol corrispondere ai bisogni reali degli esseri umani.

Steiner in tedesco conia due vocaboli Gemein Gesellschaft: io in italiano l’ho chiamata società organica (e mantengo questa terminologia come termine tecnico). La società organica sorge nella misura in cui ogni individuo, e sempre più individui, vivono se stessi come membri, come cellule viventi di un organismo unico, che è tutta l’umanità.

Nella società di scambio il mio vantaggio è il tuo svantaggio, e il tuo vantaggio è svantaggio mio.

In una società organica il tuo svantaggio è svantaggio mio, perché siamo cellule e membri in uno stesso corpo; e il tuo vantaggio è vantaggio mio!

A questo punto ci rendiamo conto che siamo agli inizi, che non abbiamo neanche cominciato a pensare queste cose! Non parliamo poi di viverle! Però questo è il grande futuro.

La società organica crea un nuovo tipo di volontà sia nel campo culturale, sia nel campo giuridico – il tuo diritto è un mio diritto, il mio dovere è tuo dovere, non esiste che il cuore abbia più diritti che non il cervello, in un organismo son tutti diritti e tutti doveri – e sia a livello economico. Quindi la società organica va pensata a livello di pensiero e a livello operativo sorge un altro tipo di volontà.

Il tipo di volontà nella società di scambio è la volontà del singolo che vuole imporsi.

Intervento: L’egoismo.

Archiati: L’egoismo, sì. Però dobbiamo stare attenti ad usare le parole trite perché poi diventano astratte. Io sto cercando di diventare un pochino più concreto. Nella società organica sorge una volontà che non è più individuale, come nell’organismo non c’è la volontà individuale dei singoli membri.

Io la chiamo, in italiano, volontà concertata, che è il principio di associazione in campo economico.

In altre parole, per sapere che cosa favorisce la salute del nostro organismo unico, che è l’umanità, e per sapere invece che cosa lo ammala, dobbiamo metterci insieme, ascoltarci a vicenda, ogni individuo con l’intento di far sua la volontà di tutti i membri del suo organismo. Una volontà concertata.

I fabbricanti di automobili in Giappone, in Europa, in America si mettono insieme e dicono: per l’umanità nel suo insieme, per la salute della Terra nel suo insieme, il numero di automobili che abbiamo è giusto, o ne abbiamo già tre volte di più (più o meno, eh?, poi le cose vanno verificate, vanno modificate) di quanto la Terra, con tutte le emissioni che scarichiamo, può sopportare?

In altre parole, la decisione di quante automobili vanno prodotte nell’umanità è umana soltanto se è il risultato di una volontà concertata, organica, che esprime il volere di tutto l’organismo dell’umanità. I rappresentanti portano da vari lati la voce di tutta l’umanità, perché hanno percepito, in tutta l’umanità, i vari bisogni. Così, a livello di associazione sempre più alta, arrivano le percezioni reali di ciò che vive nell’umanità, di ciò che vive nella Terra.

Nella società di scambio, ognuno prende su di sé il proprio karma.

Nella società organica, ognuno comincia a prendere su di sé anche le conseguenze cosmiche, oggettive, dell’umanità e della Terra.

TRE TIPI DI SOCIETÀ

1. Società di Potere

Teocrazia

Passato

2. Società di Scambio

Democrazia

Presente

3. Società Organica

Intesa fra Individui Volontà Concertata

Futuro

Io dico queste cose balbettando, perché mi rendo conto delle giornate, delle settimane, giorno e notte, che ho passato su queste conferenze per presentarle nel modo più accessibile possibile, anche come prezzo, sia in Germania che in Italia.

Naturalmente sono felicissimo, sono pieno di gratitudine per il mio karma che mi ha dato questo compito, però nella mia cameretta mi chiedo: come farò io a comunicare, ad articolare il peso conoscitivo e il peso morale di queste cose, quando mi troverò là, a Roma, di fronte alle persone? Dovrò riassumere cose con le quali ho lottato, anche nel modo di tradurre, e probabilmente farò l’esperienza di dirmi: mentre tu le pronunci, queste parole saltano fuori astratte, a meno che non ci metti un pochino del tuo cuore!

Però voglio dirvi: non è teoria quello che io vi sto dicendo! Stiamo parlando delle sorti dell’umanità e intanto perdiamo colpi su tutta la linea. Perché neanche questa scienza dello spirito, che in Cultura politica economia, per la prima volta, ci dà questi strumenti conoscitivi e morali dell’evoluzione, riesce a far sì che le persone facciano questo lavoro, conoscitivo e morale. Se noi restiamo equanimi di fronte a queste realtà e diciamo: ma l’Archiati si scalda troppo! io vi dico che i conti non tornano da parte vostra! Perché finché non troveremo persone che si scaldano un po’ per queste cose, l’umanità andrà nell’abisso!

Allora:

20,24 Tommaso uno dei Dodici chiamato Didymos non era con loro quando venne Gesù.

Didimo è l’uomo spaccato, è gemello (i gemelli sono uno solo spaccato in due), e la parola greca significa: spaccato in due, D…dumoj (dìdymos), dimezzato.

Mentre il Faust è la fenomenologia più bella, anche letterariamente, anche artisticamente espressa, dell’uomo in quanto tale, per chi fosse interessato c’è una fenomenologia dell’uomo spaccato nei drammi misteriosofici di Rudolf Steiner I quattro drammi mistero. Il protagonista si chiama Giovanni Tommaso, due nomi che sono le due parti: Giovanni è l’uomo spirituale, Tommaso è l’uomo materiale. Però sono spaccati, divisi.

Quando il banchiere ha a che fare con i numeri, dimentica la stanza accanto, dove poco prima magari ha fatto meditazione; poi ritorna a fare meditazione yoga e dimentica quello che ha fatto mentre maneggiava i conti del denaro. Non sia mai che la sua meditazione gli suggerisca un altro modo di trattare i numeri che la smetta di sfruttare l’umanità! Se così fosse, gli toccherebbe cambiare mestiere, non sia mai!

Quindi il mistero di Tommaso viene subito detto: è l’uomo d…dumoj (dìdymos), è l’uomo spaccato, e questa fenditura è proprio la ferita di Anfortas. La ferita di Anfortas, che è poi l’essenza della caduta, è la spaccatura che c’è tra spirito e materia[9].

Che cosa significa che nell’uomo lo spirito e la materia si sono spaccati? Significa che lo spirito è diventato sempre più esangue, sempre più esile, sempre più debole (lo dicevamo a proposito del fantòma), sempre più incapace di incidere sul mondo della materia, e la materia è diventata a sua volta sempre più priva di spirito, sempre più brutale, sempre più marziale, sempre più deterministica.

Che senso ha questa spaccatura, che è la caduta dell’uomo? Ha il senso di dare all’individuo il bellissimo compito, e uno migliore non esiste, di riportare lui stesso insieme, nel suo cammino di pensiero e di amore, lo spirito e la materia. L’individuo ha il compito di ricongiungerli, di riarticolarli l’uno nell’altra, organicamente.

Uno spirito che non incide nel mondo della materia, è disumano e disumanizzante! E un modo di trattare la materia come fosse priva di spirito, addirittura negando lo spirito, deridendo chi parla dello spirito, è altrettanto disumano.

Umano è l’abbraccio organico di spirito e materia, e la forza del Cristo, l’essenza del Cristo, è, sempre, la mediazione tra polarità.

Questo Tommaso – che è l’epitome dell’uomo caduto, in cui spirito e materia si sono spaccati, come due sponde dell’essere, con la fiumana dell’anima che ci passa in mezzo per non farle riunire – è l’uomo che aspira a rimarginare la ferita dell’evo-luzione.

Tommaso Didimo. E quindi dice: non mi basta che abbiate visto “in televisione” lo spirito, voglio toccarlo con le mie mani di materia, lo voglio vedere all’opera nel mondo della materia. Allora sì che è lo spirito del Cristo, perché per come io l’ho conosciuto in questi tre anni, il suo non era lo spirito del Buddha, che disdegna la materia come non realtà. Il Logos è diventato carne nella materia non per disprezzarla, non per abbandonarla, ma per redimerla, spiritualizzandola.

Per far questo bisogna intriderla di spirito, giorno per giorno. Finché la scienza dello spirito, cosiddetta, non diventa un fattore portante dell’economia, rimane un’evasione disumana, un trastullo che favorisce il potere, lo rende ancora più micidiale, ancora più disumano! Perché chi dice: meno male che io ho la scienza dello spirito!, trova anche ragionevole dire: sì, però nella vita reale non ci si può far nulla! Quindi il fatto che nella sacrestia della vita qualcuno coltivi la scienza dello spirito, gli avalla ancora di più il non far niente, gli porta via anche gli ultimi rimorsi di coscienza.

Perché chi non ha la possibilità di coltivare la scienza dello spirito nella sacrestia della vita, per lo meno ha ancora l’elemento sano di un minimo rimorso di coscienza; ma chi ha la scienza dello spirito non ha più rimorsi di coscienza, neanche di fronte a stampare menzogne, a stampare calunnie! Lo fa, perché tanto lui ha la scienza dello spirito – e io ho voluto sottolinearvi tutta la vicenda che mi riguarda perché l’ho presa come un sintomo[10].

Steiner dice che se questa scienza dello spirito non diventa vita, è meglio lasciarla da parte!

Tommaso, chiamato Didimo, non era presente quando i Dieci hanno avuto quell’esperienza immaginativa. Tommaso non c’era perché lui aveva un’esigenza maggiore: non mi basta soltanto vedere, non mi basta l’elemento di immaginazione, io voglio in più l’elemento di ispirazione e soprattutto l’elemento di intuizione! E Steiner descrive l’intuizione spirituale appunto come un toccare esseri spirituali, venire a con-tatto con esseri spirituali.

Al livello dell’immaginazione si vede qualcosa, al livello dell’ispirazione c’è qualche essere che mi parla, però io non so ancora se questa voce viene da lui, o viene da quell’altro, o da quell’altro ancora, e cosa mi sta dicendo. Il gradino supremo della conoscenza spirituale, come del resto nella conoscenza fisica, è quello di individuare gli esseri, perché gli esseri sono l’origine ultima di tutte le parole e di tutte le azioni, e oltre non si può andare. Questo venire a contatto con gli esseri spirituali è il livello dell’intuizione, e viene sempre espresso con la fenomenologia del contatto fisico, con la terminologia del tatto.

Se io non lo tocco, io non vi credo che è Lui. Lo voglio toccare con mano! In italiano diciamo: toccare con mano. Che differenza c’è tra toccare con mano e vedere?

Finché vedo è una fata Morgana, è un fantasma, è il Logos non ancora entrato nella carne; per essere sicuro che è il Logos nella carne, devo toccarlo!

Ecco i misteri del fantòma, dove ciò che è spirituale entra nel cosiddetto mondo della materia. Il motto della spiritualità avulsa della vita è: non mi toccare! Soprattutto non mi toccare la vita! Questa struttura mentale è altrettanto disumana quanto una cellula, un organo dell’organismo, che dicesse agli altri organi: non mi toccate!

Intervento: Ma l’ha detto il Cristo “non mi toccare”.

Archiati: No, ha detto “non mi trattenere”, e perciò adesso a Tommaso dice: toccami! Come ho già detto, è stato tradotto erroneamente da un cristianesimo che ancora non capiva le cose. Ve l’ho sottolineato, alla Maddalena non dice: non mi toccare! dice: non mi trattenere, non mi avvinghiare!

Invece a Tommaso dice: Tocca, tocca col dito e con tutta la mano!

20,25 Gli altri discepoli gli dissero: «Abbiamo visto il Signore!»

`Ewrakamen (eoràkamen) “abbiamo visto”, e non l’hanno toccato. Cos’è il vedere senza toccare? Goduria! Autogodimento. Basta che non mi tocchi! Soprattutto che non mi tocchi il portafoglio, per esempio! Io ve l’ho detto che son venuto per toccarvi il portafoglio, e se non vi tocco il portafoglio non venite a dirmi che le mie parole vi hanno toccato!

Che poi, o vi dimostriamo che i soldi che ci date vanno veramente agli esseri umani, se no teneteli voi. Io vi tocco il portafoglio per dirvi che se non ci date una mano, questi tesori non toccheranno l’umanità perché non li potremo stampare. D’altra parte, se imponessimo ai libri dei prezzi tre volte più alti continueremmo in eterno a fare elitarismi, perché potrebbero comprarli soltanto quelli che hanno i soldi – che significa: chi ha sfruttato l’umanità più di altri – mentre chi ha sfruttato l’umanità di meno ha meno soldi e dunque non li può comprare.

Spiritualismi da me proprio… Restate a casa, eh?, se cercate spiritualismi! Tra l’altro, mi sto rivolgendo in particolare alle persone che hanno un pochino di soldi, perché agli squattrinati lascio la libertà, e se la prendono, di dare quello che vogliono o quello che non vogliono. Quindi chi è squattrinato va benissimo che dia poco o nulla, però le persone che sanno di avere un po’ di soldi non hanno il diritto di andar via senza dar nulla. È una disonestà, scusate, queste persone ci sono, e questo è un modo di fare spiritualismi. Vado a un seminario che mi dà impulsi per la vita, i soldi li ho e non do nulla perché sono libero di non dar nulla, beh, è disonestà questa!

E non crediate che io stia parlando pro domo sua perché vi ho già dimostrato che i soldi che date vanno a finire alla povera gente. In Germania tante persone ci dicono: i volumi dell’Opera Omnia costano al minimo 35-40 euro. E dove li trovo io 35-40 euro, con tutta la disoccupazione che c’è ? Abbiamo librai che dicono peste e corna dei libri dell’Archiati Verlag perché ci guadagnano di meno, perché il prezzo è troppo basso. Non gli importa se questo pane spirituale arriva veramente alle persone, gli importa soltanto il loro guadagno di venditori. E ve ne potrei citare a dozzine. Quindi non crediate che sia facile raggiungere l’umanità, però, secondo me, questo è lo spirito della scienza dello spirito di Steiner, dell’antroposofia, questo è lo spirito del Cristo.

Chi andava dietro al Cristo? Chi aveva soldi? Gli scalcagnati andavano dietro al Cristo, c’è su ogni pagina del vangelo! I poveri, gli ammalati, i manigoldi… Gli altri dicevano: no, è troppo scomodo questo qui, e difatti l’hanno fatto fuori!

Tra l’altro, ci sono “cristiani” (tra virgolette, quattro volte tra virgolette) che ritengono non cristiano ogni minimo screzio, ogni polemica, … cristiano secondo loro è soltanto volerci così bene che non c’è bisogno di screzi. E io gli dico: ma quello di 2.000 anni fa è stato così buono, non ha creato nessuno screzio… l’hanno soltanto fatto fuori, sì, ma altrimenti non ha creato nessuno screzio! Vorrebbero avere un cristianesimo senza screzi, perché nel momento in cui uno dice qualcosa, critica, è cattivo. Non ci deve essere critica! Mia sorella suora mi dice: perché tu critichi il papa? Chi ti credi! E tu chi ti credi, che non lo critichi?

Un individuo 2.000 anni fa ha creato un putiferio tale, ma contrasti talmente insopportabili che l’hanno ucciso, e adesso vogliono avere un cristianesimo tutto bello, conciliabile, da pappe molli… Allora chiamatelo come volete, ma non cristianesimo!

“Gli altri discepoli gli dissero: Abbiamo visto il Signore!”. È come quando uno va a messa e dice: ho visto il Signore!, bello, ho visto qualcosa di bello! E proprio perché si sono beati, Tommaso non c’era! È il tipo cui non basta bearsi a vedere qualcosa! E adesso arriva. Io mi sono proposto di rivalutare il Tommaso, perché è sempre stato condannato, nella Chiesa, come quello che non crede e allora bisogna fargli un’apparizione del Risorto tutta per lui… di Medjugorie, in modo da portarlo a credere. È come il Giuda, che è stato messo all’Inferno per tutta l’eternità, e adesso arriva la scienza dello spirito a rivalutarlo un pochino, ma ce ne vorrà di tempo! Perché se non condanniamo il Giuda, alla fine, dobbiamo condannare un po’ tutti, e allora le cose diventano pericolose! Giuda, lui sì che è cattivo, io invece sono a posto!

20,25 Ma egli disse loro: «Se io non vedo nelle sue mani la ferita dei chiodi, e se non inserisco il mio dito nella foratura dei chiodi, e non inserisco la mia mano nella foratura del costato, non crederò».

Non mi importa nulla di quello che voi avete da dire! Mi convince soltanto l’esperienza mia diretta! Tommaso è l’uomo che si fonda sulla sua esperienza, non sulle imbambolature dei veggenti, o addirittura su quella degli infallibili che hanno il telefono diretto col Padreterno!

Intervento: Infatti adopera e‹den (èiden) – e¦n Šdw (eàn me ìdo), “se non vedo”.

Archiati: Certo, è l’intuito del pensiero! A me serve soltanto ciò che mi convince in chiave di pensiero mio. Tu, da fuori, puoi darmi un aiuto, puoi incitarmi, ma non ti permetto di sostituirti al mio processo di pensiero, o addirittura di sostituirti alla mia esperienza! No, i pensieri me li voglio fare io, casomai tu mi metti in mano delle informazioni, cose che io posso leggere, per esempio, però i pensieri li faccio io…

Intervento: Mi puoi mettere a disposizione delle percezioni.

Archiati: Ecco, mi puoi mettere a disposizione percezioni che io altrimenti non avrei, però i pensieri me li voglio fare da solo, e così le esperienze e le azioni.

E vi dicevo del mistero del dito, d£ktuloj (dàktylos). Tra l’altro, una cosa molto bella è che in tedesco tutta la terminologia del pensare è la stessa, proprio etimologicamente la stessa: denken, c’è il dk, proprio il suono di questo penetrare col pensiero nella realtà, però senza entrarci ancora moralmente. È il pensiero che, con l’intuito conoscitivo, precorre il cammino che poi moralmente si deve fare passo per passo.

È la fenomenologia del dito che indica la direzione dell’evo-luzione, quindi è un processo di pensiero, è l’indicare: il dito indice, indicare, dc, anche in italiano e in latino, dk, d£ktuloj (dàktylos) in greco.

Quindi questo dito di Tommaso che indica la direzione e soprattutto la meta dell’evoluzione, è il processo di pensiero: prima dobbiamo capire, in chiave di pensiero, qual è la direzione, qual è l’inversione di marcia dell’evoluzione e soprattutto quali sono le mete. Nella misura in cui il pensiero addita, col dito, queste quattro ferite dei chiodi, indica che la direzione dell’evoluzione è di trafiggere tutta la materia in modo da farla risorgere nello spirito, non di disdegnarla e lasciarla indietro.

Questa è la direzione dell’evoluzione, indicata dal dito di Tom-maso che entra dentro nel foro dei chiodi che trafiggono le mani e i piedi dell’Essere di Luce e dell’Essere di Amore. Se il dito indica conoscitivamente la direzione, le mani, i piedi, le azioni, le opere, i passi, quindi l’evoluzione morale, si mettono in cammino in questa direzione, per farla propria con le azioni che vanno compiute con le mani, giorno dopo giorno.

Il pensiero indica e anticipa il tutto dell’evoluzione, in una intuizione organica, e la volontà la attua giorno dopo giorno, trasformando il cuore e non soltanto la mente, trasformando tutte le forze di egoismo in forze di amore, trasformando tutte le forze del fantòma.

Le forze del fantòma sono forze di amore per la materia, sono forze formative a misura di minerale, a misura di pianta, a misura di animale, a misura di uomo. Se queste forze del fantòma, queste forze d’amore dello spirito che forma, trasforma, anima e spiritualizza la materia, sono state deformate e indebolite, allora l’evo-luzione morale consiste nell’amare appassionatamente il fantòma dell’Essere del Sole a un punto tale che diventa non soltanto la sostanza di luce nel nostro pensiero, ma una forza di volontà che intride le nostre mani, diventa sostanza delle nostre azioni.

Azioni che trasformano la materia, smettendo di disdegnarla separandola dallo spirito, come è già avvenuto nella cultura dove da una parte ci sono gli spiritualismi, che non fanno nulla nella vita reale, e dall’altra i materialismi sempre più deterministici.

L’essenza del buddhismo è la paura dello spirito umano di fronte alla materia.

L’essenza del cristianesimo è l’amore dello spirito per la materia, come luogo nel quale lo spirito manifesta il massimo della sua forza, perché uno spirito che vuole scappar via dalla materia dimostra solo la sua debolezza. Uno spirito che trasforma quotidianamente la materia, dimostra la forza del suo amore.

Un quarto d’ora di pausa e poi continuiamo.

*******

Eravamo arrivati al v.25, dove Tommaso Didimo, l’uomo spaccato, dice: io voglio rimarginare la ferita dell’evoluzione, la spaccatura che è sorta tra lo spirito, che si è sempre più separato dalla materia perché ha avuto sempre meno forza di incidere sul mondo fisico, e la materia. Lo spirito umano, nel suo elemento di libertà, è stato ridotto a meccanismi, a determinismi di natura, fino al punto che oggi è convincimento abbastanza generale che tutti i processi di pensiero e di coscienza siano il risultato di processi neuronali.

Ciò significa che è la materia a decidere quali cosiddetti pensieri saltino fuori nella tua testa. I pensieri che tu pensi non sono pensati da te liberamente ma sono deterministicamente prodotti da un sostrato biologico complessissimo. È l’elemento deterministico della materia, con le sue leggi composite e necessitanti, a far sorgere in te ciò che tu chiami anima e spirito, che quindi non sono istanze a parte ma espressioni dell’elemento biologico. E se tu ritieni che l’anima o lo spirito siano realtà a sé stanti, ti illudi!

L’evoluzione del pensiero è il dito di Tommaso che indica la direzione e la meta finale: è importantissimo questo precorrere del pensiero, altrimenti le azioni non saprebbero in che direzione muoversi, non potrebbero mettersi neanche per strada, o magari andrebbero in direzione opposta.

A questo punto è importante fare un esercizio di onestà intellettuale e chiederci spassionatamente: sbaglia chi dice che i pensieri, la coscienza – oppure l’anima, lo spirito, a seconda della terminologia che usa – sono determinati dal fattore biologico, dai geni, ecc., oppure sbaglia chi dice che lo spirito e l’anima sono una realtà diversa dalla materia?

Posta in questo modo la domanda è formulata in un modo sbagliato e perciò porta a risposte sbagliate!

L’umanità è andata avanti in modo tale che, a questo punto dell’evoluzione, ha ragione il cosiddetto materialista! E chi dice che lo spirito e l’anima dell’uomo sono realtà indipendenti dal fatto biologico oggi dice una non verità, perché adesso l’umanità si trova al punto massimo di dipendenza.

Questa è la mano di Tommaso: riportare l’anima e lo spirito a riconquistarsi, di azione in azione. Sempre più forza nella libertà dell’individuo, sempre più autonomia nei confronti della materia.

A che ci serve dire che l’anima e lo spirito sono realtà indipendenti quando di fatto tutti gli esseri umani, o quasi tutti, vivono dimostrando nel reale quotidiano una dipendenza quasi assoluta dell’anima e dello spirito dal fattore biologico?

Steiner dice: l’essenza de La filosofia della libertà (il libro di Steiner che vogliamo iniziare dopo il vangelo di Giovanni) è che io non ho posto la domanda: l’essere umano è libero o no?, perché così è posta in un modo sbagliato!

La domanda posta in un modo giusto è questa: l’essere umano ha la possibilità di diventare sempre più libero o no? Perché se è già libero non ha nulla da fare, se è già libero è libero di necessità, è libero per natura, e quindi non è libero! Ugualmente, se non è libero, non lo è per natura!

In altre parole, o consideriamo i fenomeni nella prospettiva evolutiva del divenire, oppure sbagliamo in tutto e per tutto! Ecco il dito di Tommaso che indica una strada da percorrere, una meta da raggiungere, passo per passo.

Quindi lo scienziato che dice: l’essere umano, nel suo spirito, nella sua anima, è dipendente quasi in tutto e per tutto dal fattore biologico-materiale, dice la verità molto di più che non il teologo o il filosofo che dicono: no, ma lo spirito è una realtà indipendente! Dove? Sono pii desideri! La realtà ti dice altro, e guardiamo la realtà! L’essenza della cosiddetta caduta è proprio che lo spirito umano, l’anima umana, son diventati sempre più assoggettati alla materia.

In altre parole, l’astrazione, l’intellettualismo, è uno spirito che non è spirito, perché fa belle teorie senza incidere sulla materia, perché è diventato sempre più impotente, sempre più debole. Ma questa caduta ha un senso positivo perché è il presupposto, la conditio sine qua non, per poter risalire individualmente.

Dire che l’essere umano è libero è un’astrazione, dire che l’essere umano non è libero è un’altra astrazione. L’affermazione vera è quella che dice: lo spirito umano è diventato sempre meno libero nei confronti della materia, però ogni essere umano ha la possibilità, e può farne l’esperienza giorno per giorno perché non si fa tutto in una volta, di invertire la direzione col dito di Tommaso, e ridare sempre più forza al suo spirito intridendosi delle forze del fantòma del Cristo Risorto.

Questa è una possibilità reale, però individuale, lasciata alla libertà del singolo, per cui deve esserci anche la possibilità di omettere questo cammino, altrimenti non sarebbe libero. La filosofia della libertà di Rudolf Steiner è stata scritta per dire: ogni essere umano può diventare di giorno in giorno sempre più libero.

L’uomo può trasformare la materia, il corpo, tutto il biologico che lo determina, intridendolo di forze di pensiero e di amore, così da farlo diventare uno strumento che segue le leggi del suo spirito. Da servo della natura può diventare un trasformatore della natura, uno che la porta a resurrezione, che la fa risorgere nei regni della libertà dello spirito, giorno dopo giorno, non tutto in una volta.

La visione dei Dieci avviene in una volta e Tommaso aggiunge la prospettiva del dito che, in una volta, in un lampo di conoscenza, indica la direzione e la meta. Però la mano, cioè i misteri dell’amore e della trasformazione morale, avvengono soltanto lentamente, perché una libertà che ci venisse data di botto, non sarebbe libertà! Solo una libertà conquistata di ora in ora, di giorno in giorno, è una vera libertà.

Il senso della prima metà dell’evoluzione è che lo spirito diventa sempre più schiavo delle leggi della materia.

Il senso della seconda metà dell’evoluzione è la possibile liberazione dello spirito offerta alla libertà dell’uomo, come processo evolutivo che abbraccia millenni e diverse vite.

È da bambini, infatti, pensare che tutto ciò che viene reso possibile a questo spirito che troviamo dentro di noi – uno spirito che sa pensare, che sa abbracciare il tutto in un intuito onnicomprensivo e che sa amare moralmente tutti i passi che ci sono da fare verso la pienezza dell’umano – possa venir realizzato in una vita sola.

Beato l’uomo che almeno comincia a far qualcosa in una vita, perché ce ne sono tanti che perdono una vita intera senza neanche cominciare, o addirittura andando in direzione opposta!

È assurdo pensare che il Logos, che propone tutti i suoi pensieri e tutto il calore del suo amore come prospettiva di evoluzione per lo spirito umano, gli metta poi a disposizione soltanto qualche decennio di vita da spirito incarnato per rafforzarsi nell’inte-razione con la controforza che è la materia.

Il pensiero che l’uomo viva una volta sola è una bestemmia contro l’amore infinito del creatore. Oggettivamente è una bestemmia. Però per l’anima bambina è semplicemente mancanza di coscienza, e vi dicevo che abbiamo un cristianesimo che neanche permette che si ponga questa domanda. Finché uno vive dicendo: vabbè, se mi comporto bene, se osservo i comandamenti, andrò poi in Paradiso! vuol dire che gli manca, in tutto e per tutto, la coscienza pensante dei destini evolutivi dell’uomo. E non parliamo dell’impegno morale di tradurli in vita!

“Se non vedo nelle sue mani la foratura dei chiodi e se non inserisco il mio dito nella foratura del chiodo…” quindi il dito è proprio la stessa immaginazione del chiodo che penetra, però penetra conoscitivamente, indica il cammino, nella visione intellettiva “e se non faccio penetrare la mia mano nella ferita del suo costato, non crederò!”: pisteÚsw (me pistèuso), tradotto “non crederò” non rende! Il sostantivo p…stij (pìstis) significa trovare dentro di sé la forza di compiere passi evolutivi, e non perché c’è un comandamento, c’è una legge, c’è la paura di andare all’in-ferno, o in prigione.

Quindi il concetto di p…stij (pìstis) non va tradotto con fede, ma con “fiducia”, fiducia nell’umano, come progetto evolutivo all’infinito nel pensiero e nell’amore. Io posso sentire fiducia nell’umano solo nella misura in cui non mi si fanno teorie ma lo tocco con mano. In altre parole, voglio fare l’esperienza, tutta mia, che posso pensare sempre di più e posso volere sempre di più.

Tommaso è l’essere umano che dice: finché ci sono solo teorie non ho ragione di acquistare fiducia nell’umano, perché non salta fuori nulla!

Il vangelo di Giovanni termina col mistero di Tommaso – vi ho detto che il ventunesimo capitolo è a parte, è stato aggiunto dai discepoli di Giovanni-Lazzaro –, con questa polarità tra gli altri discepoli che si fermano al livello immaginativo, e Tommaso che dice: no, no, no, questa percezione, questa bella teoria, o si trasforma in realtà oppure tenetevela!

Quindi questo “io non crederò” – e lo so che voi adesso state pensando a cosa significa il fatto che il Cristo gli dice: “Beati coloro che crederanno senza aver veduto!”, ma ci arriviamo eh! – non è una frase semplice, soprattutto pensando che è il suggello di tutto il vangelo di Giovanni.

Questo “io non crederò a meno di mettere il mio dito nella foratura dei chiodi e la mia mano nella ferita del costato”, è un acquistare fiducia nell’umano per esperienza propria, non per sentito dire, non credendo a un altro. Perché se io credo a un altro, credo nella sua forza non nella mia! E a cosa mi serve credere nella forza di un altro se io sono debole? A cosa mi serve credere all’in-fallibilità di un altro se io sono fallibile?

Al comodo, mi serve! Perché nel momento in cui mi si dice: puoi diventare anche tu sempre più infallibile se fai un cammino di conoscenza e un cammino morale, è finito il comodo! Seguire delle autorità è comodo, perché mi esonera dal cammino che posso fare io stesso. Lo scopo di un maestro, di un pedagogo non è quello di sostituirsi ai pensieri del bambino, ma di tirar fuori, di educare e-ducere, le forze di pensiero, le forze intellettive e morali che sono in lui, potenzialmente, in modo che impari sempre di più a pensare con la sua testa e a volere con il suo amore, con le sue forze di volontà. A quel punto lì diventa lui adulto tanto quanto il maestro, e del maestro non c’è più bisogno.

Esiste un essere umano che sa pensare meglio di un altro? No! La potenzialità di pensiero ce l’ha ogni spirito umano, in assoluto. Ogni spirito umano è una potenzialità a pensare tutto il pensabile, in assoluto, uguale a tutti gli altri. Che poi da questa potenzialità uno abbia tirato fuori un pochino di più che un altro, non è un’af-fermazione che riguarda la potenzialità in quanto tale, e il fatto di saper pensare si riferisce alla potenzialità, alla capacità. Quindi nessuno ha la scusa di dire: io non so pensare così bene come quello!, no, è soltanto che hai esercitato di meno di un altro la tua facoltà. Esercitala! E se la eserciti…

Sarebbe un’ingiustizia che fa a pugni con l’amore divino se potenzialmente ci fosse uno spirito umano più capace, con una maggiore potenzialità di pensiero e di amore che non un altro. E se uno ci pensa, a questa affermazione, la vede subito assurda.

L’inizio della libertà è questa uguaglianza, questo guardarci in faccia. Siamo tutti uguali, tu non hai più potenzialità di pensiero di me e io non ne ho più di te, siamo tutti uguali! Di fronte all’a-more divino siamo tutti uguali, ognuno di noi come spirito pensante ha una potenzialità all’infinito, e uguale potenzialità all’a-more, senza limiti.

Questo inizio di libertà – e lo vedete che le parole che sto dicendo, pur balbettando, sono convincenti – è l’inizio della non manipolabilità. Spariscono tutte le autorità, siamo tutti uguali. Che bello! Non c’è più il capo, non c’è più il papa, non c’è più il prete! Tutti uguali! Subito qualcuno si allarma: eh, però così andiamo nel caos, nell’anarchia… Il caos è la cosa più bella che ci sia, perché è la condizione necessaria di ogni creazione! I greci ci dicono che il cosmo è un ordinamento del caos (è la cosmesi del caos). Però prima c’era il caos!

Quindi le disuguaglianze che noi abbiamo, con le autorità che ci sono, son lì a impedire che ritorniamo all’inizio della creazione con questo bel caos, che si presenta a ognuno con la possibilità di dargli forma. La paura di fronte al caos è la paura della creazione! E allora si preferisce un mondo bello ordinato, preordinato, fabbricato dall’autorità, al caos! E questo mondo perfettamente stabile, preciso, dove lo si trova, in modo archetipico? Al cimitero! Tutto bello ordinato!

Non c’è libertà senza il coraggio di mandare all’aria l’ordine costituito! Prendete una pianta qualsiasi, un caco, per esempio: cresce bello grosso, adesso arriva il frutto e poi non può succedere più nulla, che facciamo? Come ricomincia la creazione? Devo caotizzare questa realtà formata, la devo caotizzare, la devo far sparire! Lo metto nella Terra e così tutte le forze formanti della vecchia pianta spariscono e ricomincio da capo.

Essere liberi significa avere il coraggio di cominciare da capo ogni giorno, altrimenti ci tocca essere guardiani di cimiteri o di carceri! Per ricominciare da capo in libertà dobbiamo far sparire i cimiteri e far sparire le carceri… e allora è pericoloso questo caos!

Le autorità costituite sono fatte per tenere a bada le nostre passioni, questo è il carcere: dobbiamo tenerle a bada, e se il guardiano del carcere sparisce c’è la paura del caos!

In altre parole, noi viviamo da secoli e millenni in una morale repressiva, che vuol cacciare indietro le passioni disordinate, reprimerle perché son pericolose. Se le lasci uscire fuori è pericoloso, non farlo, non farlo, tienile imprigionate! È l’opposto della fiducia nell’umano che Tommaso cerca.

Invece lasciale venire fuori liberamente, queste passioni, così salterà fuori un putiferio tale che tu stesso troverai le forze per creare il cosmos. E non perché hai compresso o represso quelle passioni ma perché tu stesso le hai prese in mano nella tua libertà, con movimenti artistici, hai imparato sempre di più a manovrarle, non ad averne paura! La nostra cultura è fondata sulla paura dell’umano.

Intervento: Però c’è uno, in Liguria, che si chiama Bilancia e ha ammazzato circa cinquanta persone!

Archiati: Guarda che io non ho detto di aprire tutte le carceri che ci sono, subito, oggi. Non ho detto questo, perché se tu adesso insisti a fraintendere il mio discorso, può essere un discorso di comodo da parte tua. Quello che ho detto, certo che si può fraintendere, però io spero che ci sia anche qualcuno che lo intenda. Altrimenti si può trovare la scusa per raddoppiare, triplicare le carceri che ci sono – vedi l’America che ha la percentuale più alta di tutte le nazioni di gente in quarantena.

20,26 Otto giorni più tardi

Quindi ritorniamo di nuovo alla domenica: visto che Tommaso ha perso il colpo della domenica precedente, bisogna far passare tutti i vari pianeti – lunedì che è il giorno della Luna, martedì il giorno di Marte, mercoledì il giorno di Mercurio, giovedì il giorno di Giove, venerdì il giorno di Venere, sabato il giorno di Saturno – per ritornare alla domenica che è il giorno del Sole.

Quindi una settimana dopo significa che a quei tempi c’era ancora la consapevolezza che la settimana (sette mattine = settimana) rappresenta realmente un ritmo cosmico – tutte cose che noi possiamo riconquistarci nella libertà individuale.

Che oggi l’astronomia ci parli di otto, nove o dieci pianeti è una considerazione puramente materialistica. Se l’astronomia avesse la possibilità, in chiave di scienza dello spirito, di entrare anche nel merito non soltanto delle orbite materiali, ma delle forze eteriche, animiche e spirituali, ritornerebbe ai sette classici pianeti, perché gli altri, Nettuno, Plutone, Urano hanno tutt’altre leggi astrali, eteriche.

Quindi, classicamente e anche realmente, come impulsi spirituali animici, i pianeti che appartengono al sistema solare, gli impulsi di aiuto all’impulso centrale del Sole, sono sette.

Passata una settimana ritorniamo al giorno del Sole che è la domenica, di nuovo alla sera.

20,26 i suoi discepoli erano di nuovo insieme, chiusi dentro, e Tommaso era con loro.

Questo essere chiusi dentro dei discepoli di colui che è stato ucciso, mentre fuori c’è il mondo giudaico, è una piccola immagine della spaccatura, risultato della caduta dell’umanità, tra lo spirito, che viene ostracizzato dalla vita e perciò deve chiudersi dentro per paura d’essere fatto fuori, e la vita reale.

A Tommaso il Didimo, il gemello, che vive come spaccatura sua la dicotomia della caduta, come karma suo individuale la chiamata a sentire dentro di sé e a far suo questo karma dell’umanità, si presenta di nuovo il Cristo come proposta di rimarginazione di questa ferita. Ora che di nuovo si presenta questa costellazione della domenica sera, e di nuovo la spaccatura tra lo spirito del Cristo – coi suoi seguaci chiusi in sacrestia pieni di paura – e i poteri di questo mondo che vogliono uccidere anche loro, il Cristo arriva con la proposta evolutiva di riportare insieme questi due mondi.

20,26 Gesù viene a porte chiuse, stette in piedi nel mezzo e disse: «Pace a voi».

Quindi questa porta chiusa è la soglia, una soglia non aperta, dove si vive il passaggio tra i due mondi e quindi una osmosi di forze tra il mondo dello spirito e il mondo della materia. È una porta chiusa che separa i due mondi, invece di congiungerli, ed è proprio il medium, il veicolo che dà al Cristo la legittimità, o proprio la necessità del suo intervento nell’umanità. Lui viene a trasformare questo muro che divide in una soglia che permetta continuamente di passare da un mondo all’altro.

Quindi l’interpretazione dell’esegesi tradizionale che dice: il Cristo è entrato a porte chiuse per dimostrare che è uno spirito e che quindi non si tratta di un corpo fisico!, sarebbe di nuovo un tentativo per mandare a ramengo tutto il discorso sul fantòma. È un tipo di riflessione materialistica quello di dire: ah, se è entrato a porte chiuse l’ha fatto apposta per dimostrare che è un puro spirito. Ma il Cristo vuol proprio dimostrare che non è soltanto un puro spirito!

–Esth (èste) “stette in piedi”, si pose in piedi eretto. La posizione eretta del Cristo è quindi la chiamata dello spirito umano ad assurgere all’esperienza dell’Io singolo, che è sovrano, eretto, che non ha bisogno di ammennicoli, di appoggi a destra o a sinistra, che non ha bisogno di leggi e comandamenti che lo spingono, che lo tirano ecc… ma si regge su se stesso.

I presupposti per reggersi su se stessi, i presupposti dell’au-tonomia, sono due: saper pensare con la propria testa, quindi non dipendere dai pensieri di un altro e, in campo morale, agire non perché si viene spinti dalla necessità o “dalle caramelle” dell’autorità, come la promessa del Paradiso, o dall’urgenza di guadagnare sempre più denaro, ma agire perché il volere sorge dal cuore che ama.

L’Io autonomo da fuori riceve soltanto stimoli, che però non decidono nulla: sono informazioni, aiuti esterni, strumenti. Però il modo in cui servirsi di questi strumenti, lo decide l’Io. L’autonomia nel pensiero è diventare sempre più capaci di giudizio proprio in tutti i campi della vita, avere convinzioni proprie che vincono l’inerzia della natura: sorge così una forza di volontà dal di dentro, che non è una manipolazione dall’esterno, ma è fare ciò che le proprie forze d’amore vogliono liberamente.

C’è una frase di Agostino, ve la ricorderete forse, molto bella: Ama et fac quod vis, ama e fa’ quello che vuoi. Se tu ami puoi fare quello che vuoi perché l’amore vuole soltanto le cose giuste.

Quindi questa posizione eretta del Cristo è l’autonomia dell’es-sere umano, è l’evoluzione intellettuale di coscienza e l’evoluzio-ne morale dell’agire.

Si pose in posizione eretta in mezzo a loro: questo “in mezzo” ve l’ho diverse volte commentato nel senso che, bellissimo!, lo specifico della forza cristica è sempre di porsi nel mezzo, di fare da mediazione fra polarità, fra opposti. Steiner lo spiega in tante conferenze. La porta chiusa diventa una soglia e lui si pone in mezzo.

Essere unilaterali da una parte è una debolezza nei confronti dell’altro lato: essere unilaterali spiritualisti è una debolezza perché mi manca ogni capacità di incidere sulla materia, mentre essere unilaterali materialisti è anche questa una forma di debolezza perché non ho nessuna forza nei confronti dello spirito.

Il massimo di forza si genera nel mezzo, cioè quando si pongono mondi opposti in interazione fra loro. Quindi il motto della vita buona è l’alta tensione che è nel mezzo tra opposti, tra polarità. Tutte le polarità si riassumono in quella che c’è tra questa grossa parola spirito e questa grossa parola materia, due poli che però restano astratti se non ci adoperiamo sempre di nuovo a renderli concreti, articolando minutamente che cosa significa il mondo dello spirito, e che cosa significa il mondo della materia e soprattutto vivendoli nell’esperienza che ci dà fiducia nell’umano, cioè la tensione, il movimento libero tra i due mondi. Così facciamo l’esperienza della libertà e l’esperienza di diventare sempre più forti nel portare al dialogo queste due polarità.

Stette in piedi “nel mezzo”: non dice neanche “in mezzo a loro” ma “nel mezzo”. Il Cristo ha due caratterizzazioni: posizione eretta e centralità, mediazione tra forze opposte.

Intervento: Nel mio testo c’è “in mezzo a loro”.

Archiati: “A loro” è stato aggiunto, e non c’entra nulla, perché materializza la cosa: se è spirituale come fa a essere in mezzo “a loro”? È una visione che c’è dappertutto, no? In mezzo a loro può essere soltanto un corpo materiale ma tutto il testo esclude la presenza materiale, perché è morto! Una visione spirituale può essere in mezzo a loro? No, perché non è localizzabile! È dappertutto per chi la vede, e per chi non la vede non è in nessun luogo!

Come piccolo commento a latere, una traduzione del genere ci dimostra il materialismo anche nella teologia. Ci rendiamo conto che mancano addirittura i presupposti per leggere questi testi!

“E disse: Pace a voi!” Come prima. Però adesso spiega il contenuto della pace in altro modo: prima l’ha spiegato in termini di Spirito Santo ai Dieci, e adesso aggiunge altri elementi che non sono in contraddizione con quelli di prima, vanno conciliati. In altre parole, il pensiero deve fare una mediazione tra quello che ha detto ai Dieci e quello che adesso dice specialmente a Tommaso.

20,27 E dice a Tommaso: «Porta il tuo dito qui e vedi le mie mani»

Fšre tÕn d£ktulÒn sou ïde kaˆ ‡de t¦j ce‹r£j mou (fère ton daktylòn su odè kài ìde tas cheiràs mu) “porta il tuo dito qui e contempla spiritualmente le mie mani”, la realtà spirituale delle mie mani con la foratura dei chiodi

20,27 «e porta la tua mano e immettila nel mio costato e diventa non sfiduciato, ma fiducioso».

Questo “porta” è un’evoluzione graduale: la mano parte da lontano e viene portata dentro al costato del Cristo. Tutta la seconda metà dell’evoluzione è un portare il dito nella foratura dei chiodi delle mani del Cristo, e un portare la mano, cioè le azioni, i gesti, tutto ciò che si compie, dentro al suo cuore. Porta, fšre (fère). Se noi traduciamo “metti”, non va, perché “metti” è un fare di colpo.

“Porta la tua mano e immettila nel mio costato”, b£le (bàle) “gettala” nella ferita del mio cuore, nella ferita del cuore dell’Es-sere dell’Amore, “e diventa fiducioso e non sfiduciato”. Smetti sempre più di essere sfiduciato. Qual è la posizione dello sfiduciato? È quella dell’essere umano che dice: Ma sì, figurati!, questa anima, questo spirito che cosa possono fare contro le leggi della materia?!

Questo è il Tommaso sfiduciato, ha perso la fiducia! E il Cristo dice, proprio letteralmente: “finiscila di essere sfiduciato e diventa fiducioso”, riacquista di giorno in giorno la fiducia nella forza conoscitiva del pensiero umano, e nella forza amante del cuore umano.

E come si acquisisce questa fiducia? Esercitando il pensiero, esercitando l’amore.

20,28 Tommaso gli rispose e disse: «Signore mio, Dio mio!»

Signore, KÚrioj (Kýrios) perché precede nel cammino, e Dio, QeÒj (Theòs) nel senso che indica la meta della divinizzazione dell’uomo. Quindi il Cristo è l’archetipo dell’umano: è il Signore che signoreggia tutto il cammino e rappresenta, ci presenta, la divinizzazione dell’essere umano. QeÒj (Theòs) è il diventare divini e KÚrioj (Kýrios) è la sovranità, è il padrone, è il padroneggiare dell’Io che si cristifica e diventa sovrano nel suo cammino di pensiero, e di trasformazione morale.

L’essere umano si divinizza – il Dio dell’Io, QeÒj mou (Theòs mu) – diventando KÚrioj (Kýrios) autonomo e sovrano. Tu sei il Dio dell’Io, il mio Dio come meta evolutiva di ogni Io umano. E tu sei il Signore dell’Io, l’esperienza di essere un Io come forza che signoreggia tutte le forze di natura, le padroneggia.

20,29 Gesù gli dice: «Poiché tu hai visto me, hai acquistato fiducia»

E qui la parola più importante è “me”. Tu hai creduto perché hai visto me, se cammini oltre crederai non per aver visto me, ma per aver visto te. E io allora sarò dentro di te, non più una cosa a te esterna. Il bambino crede perché vede il maestro, ma l’evoluzione non deve fermarsi a questo punto.

20,29 «Beati coloro che terminano di vedere e acquistano fiducia».

Beati coloro che terminano di credere per aver visto di fuori e cominciano ad acquistare fiducia nell’umano guardando dentro.

Intervento: Senza vedere fuori, sarebbe.

Archiati: Certo! Hai visto me. Quindi adesso dice: poiché tu hai visto me, hai creduto, hai acquistato fiducia, quindi ancora grazie a un’istanza esteriore. Ma questo è il punto di partenza del maestro che è fuori finché uno è bambino.

“Beati coloro”: la beatitudine, la direzione dell’evoluzione è di acquistare fiducia nell’umano senza aver bisogno di vederlo fuori in un altro. Perché se io acquisto fiducia nell’umano vedendolo fuori in un altro, acquisto fiducia in lui non in me.

Tommaso, dice il Cristo, finiscila di vedermi fuori: tu troverai la forza dell’umano, troverai la fiducia nell’umano solo quando mi vedrai dentro di te. Ma allora sarai tu.

Intervento: Forse quel “nel mezzo” vuol dire anche in mezzo, dentro l’uomo.

Archiati: È il cuore! Perciò Tommaso vuole mettere la mano nel cuore, vuole trarre gli impulsi morali, gli impulsi alle azioni dal calore del cuore, non per comandamenti, non per leggi, perché vede un’autorità fuori, ma da dentro, dal cuore.

Il cuore è la soglia che traduce i pensieri in azioni, e illumina le azioni di pensieri. Il cuore.

Tommaso, metti la mano nel cuore squarciato, trafitto dall’amore.

Così termina il vangelo di Giovanni. Poi dice soltanto: tante altre cose, tanti altri segni ha fatto Gesù davanti ai suoi discepoli ma non sono scritti in questo libro, perché se si dovessero scrivere tutti, bisognerebbe mettere insieme tutte le biblioteche di questo mondo e non basterebbero.

Al che ci diciamo buon appetito!, e basta.

Domenica 27 agosto 2006, pomeriggio
vv. 20,30 – 21,11

Abbiamo visto questa mattina la conclusione del 20° capitolo, che poi è la conclusione del vangelo scritto da Giovanni-Lazzaro, l’essere umano che ci rappresenta più da vicino perché è l’unico ad essere stato iniziato proprio dal Cristo, come è descritto nel “risveglio di Lazzaro”, per tutto l’11° capitolo. Ora, al v.30, viene detto:

20,30 Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli.

I segni sono qualcosa che si vede. In altre parole, intende dire: dopo che Gesù di Nazareth, il corpo in cui il Cristo inabitava, è morto ed è stato sepolto, ci siamo anche posti la domanda di che fine avesse fatto la materia, proprio la materia minerale di questo corpo fisico – che è poi la destinazione di tutto l’elemento materiale. E ci siamo detti: il ripieno di materia non è il corpo fisico, è soltanto ciò che la materia evidenzia: le correnti, le forze formanti sono la vera realtà spirituale del corpo fisico, che con un termine tecnico dell’esoterismo si chiama il fantòma.

Il fantòma è una realtà sovrasensibile che a certi livelli di visione spirituale si vede: a livello fisico ci sono i fantòmi, a livello eterico gli spettri, a livello astrale i demoni e a livello spirituale gli spiriti.

Quindi: gli spiriti sono realtà spirituali, i demoni sono realtà animiche, gli spettri sono realtà eteriche e i fantòmi sono realtà fisiche.

La scienza dello spirito ha tutta questa terminologia tecnica, altrimenti non sarebbe una scienza, no?!.

Ora vi anticipo che nel 21° capitolo, con la visione immaginativa del Cristo sul lago di Galilea, tutto diventa ancora molto più complesso, perché è stato scritto dai discepoli di Giovanni-Laz-zaro, che “picchiano” un pochino di più – mentre si vede proprio che Giovanni-Lazzaro ci dà un vangelo che prende gli esseri umani proprio nel punto dove sono e li accompagna gradualmente.

Il fatto che Giovanni-Lazzaro dica: dopo che il corpo fisico di Gesù Cristo è sparito nella Terra e che il fantòma è risorto, i discepoli hanno avuto a che fare con il Cristo che «ha fatto molti altri segni…», significa che le loro esperienze del Risorto sono state molteplici, e che non basterebbero tutti i libri a scriverle. Se è vero che sono state molteplici – “ha fatto molti altri segni” – significa che quelle che lui ha scelto sono scene tipiche, le più significative.

In sostanza ce ne ha date tre, e le abbiamo viste: una è quella di Maria Maddalena, l’altra quella dei discepoli senza Tommaso e poi la terza, quella particolarmente per Tommaso.

Se ora dice: ce ne sono state tante altre, di scene, ma io ho preso soltanto queste tre, significa che devono avere proprio un carattere di rappresentanza tipica. Questo è importante. Quindi c’è una tipologia che va interpretata in chiave rappresentativa di tante altre cose.

Vedremo, per esempio, che il capitolo 21 ha anche una sua struttura e, se non ci fosse modo di trovarla, tutto l’insieme dei particolari diventerebbe talmente complesso che alla fine si rischierebbe una lettura un po’ arbitraria.

Se volete una filigrana per il capitolo 21, che adesso affrontiamo, vedrete che spenderci un giorno fino a domani a mezzogiorno, o spenderci un mese, non è che cambi tantissimo, perché si indicano cammini di pensiero, cammini di crescita interiore che poi ognuno deve fare.

E perciò, in effetti, Giovanni-Lazzaro ha già finito di parlare. Al 21° lascia parlare gli altri, è un po’ una specie di aggiunta, no?! Quando il concerto è stato bello… bis!, bis!, bis!, e allora si dà una piccola aggiunta che non era prevista nel programma. Ma Giovanni-Lazzaro chiude qui, al 20,30. Il capitolo 21 è scritto dai discepoli, e visto che andremo un pochino per sommi capi in tutta questa complessità, a maggior ragione vi anticipo un orientamento generale.

Allora, possiamo suddividere così il capitolo 21:

vv. 1-14: in primo piano c’è il livello immaginativo. È una visione, un’esperienza di visione immaginativa sul lago di Galilea, dove Pietro è il protagonista.

vv. 15-19: abbiamo tutto il discorso a Pietro: Mi ami tu spiritualmente più degli altri? No, tu lo sai che io ti amo con inclinazione animica… Poi la seconda domanda: Mi ami tu?, dove il Cristo non ripete “più degli altri”, e Pietro risponde: Tu lo sai che io ti amo di un amore animico. Poi, dopo la terza domanda: E allora vabbè, se hai soltanto amore animico, il tuo compito sarà quello di condurre le pecorelle (ecco il cristianesimo petrino) in attesa del compito dell’altro discepolo Giovanni (ecco il cristianesimo giovanneo). In questi versetti l’elemento ispirativo della parola, del colloquio, del discorso, sta in primo piano, ed è chiarissimo, allora, che la chiave di lettura è l’ispirazione, il livello ispirativo.

vv. 20-23: c’è proprio l’intento di individuare l’essere, l’essenza dell’essere sia del Cristo, sia del discepolo che Gesù amava, sia di Pietro. Quindi è proprio un passaggio dal livello ispirativo al livello intuitivo.

Per esempio, a quest’ultimo livello intuitivo, Pietro si trova nell’intento conoscitivo di capire l’identità di Giovanni-Lazzaro, e dice: E costui? Perché Cristo gli ha detto: Tu segui me, tu seguimi. Pietro si volta, vede Giovanni e dice: E quest’altro? Il Cristo gli risponde: Lui deve aspettare finché io ritorni.

Pietro non può capire fino in fondo l’identità di questo cristianesimo giovanneo che sarebbe cominciato 2.160 anni dopo, quando gli esseri umani sarebbero stati chiamati a vivere un cristianesimo in chiave di spirito e non più di anima. Il compito del cristianesimo petrino è quello di venire subito dopo Cristo (quindi per tutti i 2.160 anni che seguono il Golgota), invece la chiamata, il compito di Giovanni-Lazzaro, è di cominciare ad operare nell’umanità al ritorno del Cristo in forma di Spirito Santo, nel mondo eterico.

Allora, torniamo a Pietro che dice: E quest’altro? Il Cristo gli dà una risposta enigmatica: Se io voglio che lui rimanga finché io ritorno, (e adesso trovate voi una traduzione alla frase che segue) a te che t’importa? Possibile che sia: che te ne importa? No, intende invece: non riguarda te, riguarda lui. Quindi, se tu capissi in tutto e per tutto lui, la sua identità, la sua missione, saresti tu lui!

In altre parole, in quest’ultimo capitolo abbiamo l’indicazione, attraverso i discepoli di Giovanni-Lazzaro, che è l’autore del vangelo, che ci sono fasi evolutive del cristianesimo stesso con “conduttori” diversi.

C’è un cristianesimo di Pietro, condotto da Pietro, con la missione, il compito, di venire subito dopo di Lui; e poi viene detto chiarissimamente che c’è un altro compito, che però deve aspettare, che sarà di tutt’altra natura, e che sarà condotto da un altro, da un’altra figura spirituale. Viene detto chiaramente a Pietro: Tu hai un compito specifico, ma non è il solo; dopo di te verrà un altro tipo di cristianesimo, che tu devi preparare. Il tuo compito è quello che viene subito dopo il Cristo. Tu seguimi, tu vieni subito dopo di me, e lui, Giovanni, deve aspettare.

Vuol dire che 2.000 anni fa non erano ancora i tempi giusti, che l’evoluzione della coscienza non era ancora così matura da capire, neanche minimamente, il tipo di autoesperienza dell’uma-no, in chiave conoscitiva e morale, che è consona all’ispirazione di Giovanni-Lazzaro.

Intervento: Pietro, prima che cominci la lettura del capitolo 21, posso farti una domanda?

Archiati: Luciana, da quando in qua chiedi i permessi?

Intervento: Da sempre! Ti voglio chiedere: abbiamo riparlato del fantòma ma Tommaso, il dito e la mano, dove li mette? Nel fantòma compenetrato anche dell’eterico? Volevo questa precisazione perché, col nostro materialismo, ci troviamo in difficoltà a pensare che lui tocca le ferite in qualche cosa dove la ferita non c’è!

Archiati: Sì, certo, tu presupponi un toccare fisico, ma la materia non c’è…

Intervento: Appunto, sappiamo bene che la materia non c’è, però mi sono fatta questa domanda: il fisico non c’è, cioè il minerale sicuramente non c’è, però le forze fisiche del fantòma e le forze eteriche ci sono in questa visione?

Archiati: Poni una domanda non facile, eh! Certo, possiamo ritornare indietro, al rallentatore, e affrontare un pochino questa domanda. Diciamo che Tommaso, in fondo, intende dire: se mi parlate di una realtà eterica, vitale, che avete visto a livello immaginativo; se mi parlate di una realtà animica, astrale, che si coglie a livello ispirativo, e se mi parlate di un essere spirituale, mi va benissimo, perché questi livelli ci sono sempre stati, no?!

Invece, se dite che avete visto Lui anche con la sua componente fisica – non necessariamente materiale minerale, ma pur sempre una componente fisica – allora voglio io stesso palpare questo elemento fisico che è diverso da quello eterico, da quello astrale e da quello spirituale.

Ora, aiutiamoci di nuovo in questa domanda, che è molto complessa. Io, adesso, non sto dando una risposta, sto solo balbettando, sto cercando di usare tutto quello che la scienza dello spirito, almeno al punto dove siamo adesso, ci dà, per vedere un pochino di dare un avvio di risposta alla tua domanda.

Tommaso è il discepolo che dice: ma amici miei, realtà eteriche, realtà astrali, realtà spirituali ci sono sempre state. Ogni morto è una realtà eterica, una realtà animica e una realtà spirituale, nulla di nuovo! Ma la resurrezione, il nuovo della resurrezione del Cristo, sono i misteri del corpo fisico, questa è la cosa nuova! Perciò mi convincerete che avete visto proprio Lui soltanto se io riuscirò – io stesso, però! – a fare l’esperienza, a venire in contatto con la realtà del suo corpo fisico. Ma non intende dire la materia, intende dire il fantòma.

Adesso tu mi chiedi: ma come fa il fantòma a portare le ferite?

Intervento: Anche perché è rigenerato, quello che risorge, è il fantòma ripristinato!

Archiati: Sì, certo, sta’ attenta che anche il vedere il fantòma, non è un toccare fisico, eh?! Allora, una specie di aggancio, è: vedo una pianta in crescita, le correnti vitali ci sono, e se una persona avesse la capacità di assurgere al livello immaginativo le vedrebbe, ma non ci sarebbe nessuna esperienza di urto.

Quando tu invece entri in un campo elettromagnetico, non vedi nulla se non c’è la materia che evidenzia il campo magnetico, però c’è un’esprienza di urto! Questo è l’elemento diverso a cui Tommaso vuol arrivare, dove si parla delle forze formanti, non delle forze eteriche di metamorfosi. Le metamorfosi eteriche, quelle sono più leggerine, non ti danno nessuna esperienza di urto; però ci sono forze elettromagnetiche, le conosciamo, anche forze elettriche ecc., e se tu una scossa elettrica te la pigli, fai proprio un’esperienza di urto enorme contro qualcosa che però non si vede!

Intervento: Sono leggi fisiche.

Archiati: È proprio questo il mistero di ciò che è fisico. In altre parole: le forze vitali, di trasformazione, non urtano, e perciò ci vuole un’evoluzione molto maggiore per coglierle al livello immaginativo. Invece l’evidenza che si tratta di forze formanti, che formano forme fisse, sta nel fatto che tu entri nell’elemento di urto: ecco il palpare! L’elemento è di urto, proprio ti dà una scossa nel tuo corpo fisico. La scossa nel corpo eterico la devi vedere al livello immaginativo, ma non è una vera scossa, non è paragonabile a una scossa, perché è una visione! Sono immagini, come le immagini di uno specchio, che non ti urtano.

Intervento: E Tommaso come faceva a sapere queste cose? Non se n’è mai parlato!

Archiati: Torniamo indietro, certo che se n’è parlato, e tu o non c’eri, o te lo sei dimenticato. Torniamo indietro, a metà del vangelo, proprio dove nell’11° capitolo si parla di Lazzaro, del risveglio di Lazzaro, l’autore di questo vangelo.

Le due sorelle arrivano: È malato da due giorni… e il Cristo dice: Aspettate altri due giorni perché bisogna risvegliarlo al quarto giorno. E prima dice, ve lo ricorderete: Lazzaro dorme. E i discepoli dicono: ma se dorme è tutto a posto, e che stanno a fare tutto ‘sto putiferio le due sorelle?! Non hanno capito che i tre giorni e mezzo di iniziazione erano proprio una soglia, dove il corpo eterico fuoriusciva dal fantòma – vedi?! – in buona parte e l’iniziatore sapeva benissimo quando era il momento giusto per richiamare tutte le forze eteriche dentro il corpo fisico, altrimenti il fantòma, come dire, non avrebbe avuto più la possibilità di tenere insieme la materia, avrebbe mollato la materia, e l’iniziando sarebbe morto veramente!

A quel punto lì, sempre all’inizio dell’11° capitolo, il Cristo dice: Lazzaro è morto. E allora i discepoli dicono: vabbè, se è morto non c’è più nulla da fare. Se dorme va tutto bene, e se è morto non c’è più nulla da fare! Però il Cristo, con queste due affermazioni che sembrano contraddittorie, vuol far capire che se loro conoscessero già esattamente i misteri dell’iniziazione, capirebbero che bisogna stare attenti a non tirare fuori dal fantòma tutte le forze dell’eterico, altrimenti veramente si muore! L’unico che ha avuto un intuito che si tratta di un tipo di morte particolare, è stato Tommaso che infatti dice: “Andiamo a morire con lui” (11,16)!

Questo accenno a Tommaso ci fa capire che fra i Dodici – a parte Giovanni-Lazzaro che ha fatto direttamente l’esperienza – proprio Tommaso è il più vicino ai misteri della soglia tra l’iniziazione e la morte: quando ancora non è morto perché le forze eteriche, le forze vitali, sono ancora congiunte con le forze del fantòma, e quando ormai queste si tirano fuori ad un punto tale che muore veramente.

“Andiamo a morire con lui!”. E lì Tommaso dimostra di essere quello, tra i 12, che è più avanti. Perciò viene chiamato Didimo, a indicare questa interazione, questa polarità tra spirito e materia. Il fantòma in quanto forze formanti, è lo stadio ultimo della creazione dal nulla. Lo spirito crea dal nulla, ciò che è spirituale diventa animico, poi diventa eterico e poi diventa fisico. Quindi c’è una specie di polarità proprio tra l’uomo-Lazzaro e l’uomo-Tommaso.

Tommaso dimostra, adesso, proprio negli incontri con il Risorto, di essere quello che capisce di più i misteri del fantòma, e dice: non mi basta che l’abbiate visto, voglio toccare! Lo dice proprio, il vangelo te lo dice che Tommaso, il Didimo, è quello che ha questi pensieri mentre gli altri non li hanno.

Intervento: Ma allora c’è un fantòma prima di quello di Gesù. Lazzaro è già un fantòma…

Archiati: Il fantòma ce l’ha ogni essere umano, il fantòma c’è in ogni essere umano, ed è l’organismo di forze formanti fisiche, con leggi di fisica. Questo è il fantòma!

Intervento: Sì, però il fantòma di Cristo…

Archiati: È il fantòma perfetto!

Intervento: È un’altra cosa…

Archiati: No, non è un’altra cosa!

Intervento: È una prima cosa, voglio dire…

Archiati: No!

Intervento: Voglio dire: non è un fatto che inaugura delle cose nuove? È una cosa che già c’è…

Archiati: No, no… piano, piano... La struttura del corpo fisico, per esempio la proporzione che c’è fra la testa, il tronco e le gambe, sono tutti pensieri. Le forze formanti sono tutti pensieri. L’architetto, la casa te la fa dopo aver pensato i pensieri della struttura. Quindi la struttura del corpo fisico sono pensieri del Logos! Se no, da dove salta fuori il corpo umano?! È Lui, in quanto Logos… questi pensieri sono Lui! È Lui con questi pensieri.

L’operare del Logos in ogni essere umano fa sorgere questo che chiamiamo fantòma. Il contributo degli esseri umani è stato di inquinare sempre di più queste forze, questi pensieri cristallini del Logos attraverso quello che chiamiamo il peccato originale, la caduta, cioè attraverso il subentrare del riempimento di materia, del ripieno di materia, in queste correnti formanti che così si sono indebolite, si sono deformate… però negli esseri umani.

Allora il Cristo è venuto in Terra a far intridere il suo fantòma – che è il fantòma originario di tutti i fantomi umani – di forze di materia, per precedere tutto il cammino che ognuno di noi può compiere, cioè di riconquistare la forza del fantòma sul ripieno di materia.

In altre parole, il fantòma del Cristo è quel fantòma contro il quale la materia non può nulla! Come l’uomo decaduto dice: io sono impotente, in quanto spirito, di fronte alla pesantezza della materia, così il Cristo dice l’opposto.

Intervento: La materia è impotente.

Archiati: La materia è assolutamente impotente nei confronti dello spirito. Nelle conferenze Da Gesù a Cristo, Steiner, riferendosi a san Paolo, commenta lungamente questo concetto, e anche in modo molto articolato. Nelle sue lettere Paolo dice: come noi abbiamo ricevuto da Adamo un corpo pesante, pieno di materia, che appesantisce sempre di più lo spirito, così, nella misura in cui amiamo e cerchiamo il Cristo, possiamo rivestirci di questo corpo di luce e quindi acquistiamo sempre più forza dello spirito sulla pesantezza della materia… che è poi la resurrezione della carne!

A questo punto si vede proprio che sono cose che non si possono dire in una frase, e tutto si capisce subito. È una scienza dello spirito che va masticata, centellinata; a forza di leggere, col passare degli anni, uno capisce sempre un pochino di più.

Io, se ripenso a trent’anni fa, quando ho scoperto Steiner mentre vivevo sul lago di Como – ve l’ho detto diverse volte – i primi anni mi dicevo: fortuna per te che c’è la reincarnazione, così quando verrai la prossima volta comincerai a capirne un pochino di più! C’era veramente da scoraggiarsi perché dicevo: qui adesso tu tocchi dei misteri, le cose ti diventano così complesse… e dire che già, come struttura mentale, lo sapevo che la realtà è complessa, perché Aristotele e Tommaso d’Aquino non vengono a dirti che tutto è facilino, ma ti presentano una interpretazione del cosmo complessa… ma poi arriva Steiner e te la complica! Però, col passare degli anni, non mollando, coltivando, insomma… non è che dopo trent’anni uno capisce tutto, però dice: vale la pena coltivarla questa scienza dello spirito!

Le cose si capiscono un po’ alla volta, mai di botto, mai! Di botto si fanno le astrazioni e non la comprensione. E perciò ci diciamo: per quanto noi balbettiamo su questo vangelo per farci venir voglia di affrontarlo, il lavoro reale resta la meditazione, è il meditarlo. E qui il massimo che possiamo raggiungere è di far sorgere la voglia di meditarci e di viverci insieme.

Capire il fantòma è una delle cose più complesse che ci siano. Steiner in queste conferenze di Karlsrhue, Da Gesù a Cristo, dice: ho dovuto aspettare parecchi anni, ho dovuto tenere parecchi cicli di conferenze per creare le basi e poter poi fare i primi accenni sul mistero del fantòma. E non dice: adesso siete in grado, siamo tutti in grado di capire il fantòma, no!, dice: adesso siamo al punto da poter cominciare a parlarne, a fare i primi accenni.

Intervento: Il fantòma quindi non aveva la consistenza e la pesantezza del materiale, della forma materiale.

Archiati: Il ripieno minerale è fuoriuscito.

Intervento: E non ne aveva la consistenza. Quando Tommaso dice di voler toccare, lui si aspettava di toccare una forma materiale?

Archiati: Ma perciò ti ho portato l’esempio di una scossa elettrica! Cos’è una scossa elettrica?

Intervento: Ma a questo punto lui dovrebbe essere rimasto interdetto…

Archiati: No, qual è la parola che avete usato? L’impatto? Tu hai parlato di impatto?

Intervento: Di impatto, sì.

Archiati: Una scossa elettrica è un impatto? Certo che lo è, ma senza materia.

Intervento: Ma se io vengo lì a toccare te, mi aspetto di toccare una forma materiale, non una scossa elettrica.

Archiati: Sì, ma la materia è sparita, quindi non mi portare questo esempio. Io ti porto l’esempio di una scossa elettrica: è un impatto o no?

Intervento: Sì.

Archiati: Però senza materia! Vedi! Quindi usa quello. Però io ti ho detto: guarda che adesso hai in mano un avvio di pensiero che però ti mette su una strada molto complessa, capito?! Perché se tu vieni a toccare me, tocchi materia, quindi non ci siamo. La materia nel caso del fantòma non c’è. Tommaso parla di un’esperienza di urto, non del toccare materia. L’esperienza dell’urto ce l’abbiamo anche dove non c’è materia.

Intervento: Ma era questo che voleva Tommaso? Il discorso: voglio toccare, significa che non crede, no?! Quindi per credere ha bisogno di toccare.

Archiati: La scossa elettrica è un toccare o no? Tu vuoi semplificare cose che sono complesse. La scossa elettrica è un toccare o no?

Intervento: È una sensazione che uno riceve.

Archiati: Ma è un toccare o no? Vieni toccato, eccome!

Intervento: Sì, sì.

Archiati: E allora! Però non c’è la materia! Non si può semplificare ciò che è complesso… è complesso. In altre parole, ci sono cose per le quali non esiste la rispostina: adesso ho capito, ho capito tutto.

Intervento: Scusa, voglio solo finire la mia domanda sulle ferite, le ferite rapportate al fantòma e se c’è una traccia anche nell’ete-rico. Io sono partita da qui: c’è il fantòma, ma c’è anche la presenza dell’eterico, su questo fantòma che è stato riportato alla condizione primigenia purissima. Però le ferite? Lui mette il dito nella ferita.

Archiati: Ma noi continuiamo ad immaginarci cose fisiche!

Intervento: No, no, no!

Archiati: Allora vacci piano. Tu dici: mette il dito nella ferita, lo vedi che è materialistica la cosa!

Intervento: Vabbè, era l’indicazione, il gesto… lascia perdere, su, quello è chiaro…

Archiati: Sì, ma psicologicamente è quello il problema. I problemi sono psicologici, non sono altri, capito?! Allora, affronto la cosa da un altra parte, ma adesso non è che vi do la rispostina e tutto diventa chiaro. No!

Platone dice: l’anima del mondo, l’anima del Logos, si è incorporata, si è unita al corpo del mondo in forma di croce (lui dice in forma di X). Nel secondo volume de Le sorgenti della cultura occidentale di Steiner ci sono conferenze intere su come l’ini-ziazione egiziana avveniva mettendo l’iniziando a braccia distese, su una specie di croce, per indicare che il Logos divino, crocifisso nel mondo della materia, risorge, perché l’evoluzione consiste nel trasformare in resurrezione tutta questa morte.

Il Logos divino ha preso su di sé la morte, s’è lasciato crocifiggere nel mondo della materia per amore verso l’essere umano. L’amore divino per l’uomo consiste nel fatto che il Padre è rimasto a casa sua, però il Figlio l’ha mandato nel mondo, il Logos l’ha fatto crocifiggere, identificare col mondo della materia, in modo da dare all’uomo il bellissimo compito evolutivo di far risorgere, dalla tomba del mondo materiale, lo spirito, umanizzandolo.

E questo era anche per Platone, detto in brevissime parole un po’ balbettanti, il senso di tutta l’evoluzione. C’è l’incarnazione nel mondo materiale, lo spirito si incarna nella materia per dare all’essere umano la possibilità di far risorgere lo spirito di nuovo dalla materia, e in questo modo diventare sempre più, lui stesso, uno spirito capace di pensare, di amare, ecc.

Allora, come si è unito lo spirito divino al mondo materiale? In forma di croce!

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Fig. 10

Le piante vanno dal basso in alto, quindi questo braccio della croce sono le piante; gli animali vanno da destra a sinistra, le correnti fondamentali di ogni animale sono quelle che attraversano il suo dorso, e il dorso dell’animale non è eretto, ma è orizzontale, destra-sinistra. Quindi questo braccio orizzontale è, diciamo, l’animale. Tutte le correnti, tutti i pensieri divini – i pensieri, eh!, non i sentimenti divini, non l’amore divino – si esprimono nelle forme delle piante che nascono dalla terra dal basso all’alto.

Tutti gli animali, quindi tutto l’astrale – l’animale è il mondo astrale, delle passioni – si è incarnato sul braccio orizzontale. Le piante, tutte le correnti di vita, sull’asse che va da giù a su. L’uomo è come una pianta rovesciata, per cui tutte le forze che ci sono nelle radici delle piante, sia in chiave di terapia, sia in chiave di nutrimento ecc., ecc., hanno tutte a che fare con la testa dell’uomo, e invece le forze delle piante che sono nelle foglie, nei frutti ecc., hanno a che fare con il metabolismo umano, hanno a che fare con gli impulsi della volontà. Quindi per l’uomo la direzione dell’asse è alto-basso.

Quindi il mistero della croce è il modo in cui, nello spazio e nel tempo, tutte le forze del fisico, dell’eterico, dell’astrale e dello spirituale sono in interazione con il mondo della materia. I pensieri dello spirito divino, pensieri di forma, pensieri di vita, pensieri di anima e pensieri di spirito, si sono iscritti nel mondo della materia in forma di croce.

Il Logos divino è stato crocifisso sulla Terra, questo dice Platone. Il senso di questa crocifissione e di questa morte nel corpo della Terra è la resurrezione operata col partecipare dell’uomo, proprio per far evolvere l’uomo sempre di più fino a diventare lui stesso un co-creatore. Da creatura a creatore. Passare sempre di più da creatura a creatore: questo è il compito dell’uomo.

Dove sono le piaghe del Logos divino crocifisso sulla Terra? Ai quattro estremi della croce: le due mani sull’orizzontale, i piedi in basso e le spine nel capo, in alto! E un’altra piaga nel costato, all’incrocio dell’asse orizzontale con l’asse verticale.

In altre parole, le due profezie che abbiamo visto sulla croce, nel vangelo di Giovanni.

La prima (19,36): « Non gli verranno spezzate le ossa», ‘Ostoàn suntrib»setai (ostùn un syntribèsetai). In altre parole: le forme non verranno deformate minimamente, perché la caduta sta proprio nel deformare le forme. Le ossa sono per eccellenza il sostrato della forma, quello che dà la forma al corpo fisico: lo scheletro. Se noi deformiamo lo scheletro, deformiamo proprio le forze formanti.

Quindi la prima profezia è: quando il Logos stesso si incarnerà, non in quanto Logos che è decaduto nella croce della Terra, ma per avviare la resurrezione, la cui legge è il ripristino delle forze formanti, a Lui non possono venir rotte le ossa.

E la seconda profezia: «Contempleranno la realtà spirituale di colui che hanno trafitto», di colui che hanno crocifisso (19,37). Se io non vedo, spiritualmente, animicamente, i fori dei chiodi, mi tocca dire: è lo spirito cosmico, è il Logos prima della crocifissione. Non è stato ancora crocifisso, quindi è prima della resurrezione, è ancora nell’ “andata”. E Tommaso vuol dire: il segno che mi dice che adesso siamo all’inizio della riascesa è che devo vedere la crocifissione.

Quando noi abbiamo una percezione, il concetto è un perforare la percezione: mandiamo a morte ciò che è materiale, perché è un frammento di non realtà, per far risorgere il concetto! Però devo toccare io il chiodo, devo trafiggere la percezione, perché se non trafiggo la percezione, non la porto a morte.

Quindi il mistero del dito e dei chiodi è: trafiggere in chiave conoscitiva il mondo della percezione per far risorgere il concetto. La mano che entra nel costato è l’evoluzione morale che io vi ho detto: non trafigge, apre le forze dell’amore – “Vedranno colui che hanno trafitto».

La realtà della materia è lo spirito. Però adesso non si tratta soltanto di un intuito conoscitivo che sa perforare la percezione per creare il concetto, adesso si tratta di far sparire, veramente, tutto il mondo materiale, col calore dell’amore. E lì ci vogliono i millenni!

La resurrezione della carne come avviene? Metti la tua mano nelle forze dell’amore, che vuol dire: nella misura in cui le azioni umane, le mani, si intridono dell’amore del Cristo, viene consumata la materia e risorge la realtà dello spirito. Ma non soltanto a livello conoscitivo, a livello reale, totale!

Intervento: Al livello dell’essere.

Archiati: Sì. La terra materiale sparirà un po’ alla volta. E l’umanità celebrerà la resurrezione della carne. Della carne! Quindi la domanda della mano che entra nel cuore, nelle forze d’amore del Cristo, è la domanda che chiede: come sparirà, concretamente, la Terra di materia? Perché non è eterna, è destinata a consumarsi nel crogiuolo, nel fuoco dell’amore.

Lo dico da un altro lato: nella misura in cui gli esseri umani, vivendo nel mondo della materia, in questo elemento così refrattario, esprimono forze di amore sempre più grandi, nella misura in cui avranno espresso tutto l’amore che son capaci di esprimere, terminerà il compito della materia, che è proprio quello di dare agli uomini la controforza per rendere sempre più forte il loro amore.

La materia viene consumata. Dove lo vediamo questo? Nella vita, nella vita! Cos’è la vecchiaia? La vecchiaia, se tutto va bene, è mettere sempre di più le nostre azioni – quindi la mano – nel cuore del Cristo, riscaldarle sempre di più nell’impulso di amore del Cristo. E in questo esplicare sempre di più la fiamma dell’a-more, cosa fa al corpo? Lo consuma, lo brucia!

Tu resti alla domanda: ma che cosa tocca Tommaso?

Intervento: Ma a questa domanda hai già risposto abbondantemente con l’esempio dell’elettricità, dell’impatto ecc., non intendevo quello… Però adesso mi hai dato un altro accenno: il fatto che su questo fantòma ripristinato, rigenerato, possono apparire delle ferite.

Archiati: Non sono ferite.

Intervento: Tu mi hai detto adesso: è l’immagine del Cristo dopo la crocifissione nella Terra, e allora questo mi ha aperto la strada ad una maggiore comprensione.

Archiati: Certo, certo. È il Logos crocifisso, non il Logos che è rimasto nella sfera divina.

Intervento: Questo mi ha facilitato; poi, insomma, ce n’è da pensarci sopra!

Archiati: In altre parole, Tommaso vuol dire: il Logos che è rimasto nella sfera divina, lo conosciamo da sempre, ma qui, il fenomeno nuovo, è il Logos che si crocifigge nella materia! E allora dovete presentarmi l’evidenza della crocifissione.

Intervento: Oltretutto, il fatto che questa evidenza appaia, non diminuisce per nulla la perfezione del fantòma originario. Appare questa crocifissione nella Terra, ma comunque anche con questa visione il fantòma rimane rigenerato, rimane riportato…

Archiati: No, no: è l’opposto di quello che tu dici! Queste piaghe sono l’evidenza della sua forza!

Intervento: Sì, ma voglio dire, il fantòma rimane comunque perfetto. Questo fantòma che il Cristo ha riportato alla perfezione, anche con le ferite che si vedono, è comunque perfetto.

Archiati: No, questo dire: “anche con le ferite” è sbagliato! Dimostra la sua forza, proprio!

Intervento: Sì, sì, va bene: grazie alle ferite.

Archiati: Tu dicevi: “nonostante”.

Intervento: No, io ti dicevo che comunque il fantòma rimane perfetto: Ecco, questo dicevo.

Archiati: No, il fantòma ti dimostra la sua forza soltanto nella crocifissione.

Intervento: Certo, perché nella crocifissione ha superato ed è ritornato perfetto.

Archiati: No, no!

Intervento: Sono le forze che ha messo in atto! Come no?

Archiati: No, ti dimostra la forza contro la resistenza della materia.

Intervento: Questo volevo dire.

Archiati: Quindi non: “nonostante le ferite”. Le cosiddette ferite sono l’evidenza della forza del fantòma. Tu dicevi: “anche se”. Eh!, non tornano i conti dicendo: “anche se”.

Intervento: Tommaso è colui che aveva la visione nell’eterico come quella dei suoi compagni, solo che, a differenza dei suoi compagni, lui ha avuto la capacità di vedere anche le ferite. È questa la differenza! In fondo, alla prima apparizione lui non c’era, e non poteva averlo visto. Però, alla seconda venuta, Tommaso va oltre l’interesse dei suoi compagni, ai quali era stato sufficiente vederlo; la sua specificità è quella di voler vedere i segni della crocifissione. Quello è il merito suo… praticamente fa da ponte tra la materia e lo spirito.

Archiati: Coglie il peso morale dell’evoluzione che avviene nel corpo fisico-materiale. Perché l’evoluzione spirituale-fisica c’era già su Saturno, l’evoluzione eterica c’era già sul Sole, l’evoluzio-ne a livello anche astrale c’era già sulla Luna. Il nuovo dell’evo-luzione di Terra4, che è la nostra Terra, è il corpo fisico-materiale nel quale discende l’Io, lo spirito umano! E dei Dodici, a parte Lazzaro, Tommaso è quello che maggiormente coglie il peso morale dell’interazione tra lo spirito e la cosiddetta materia, cioè l’elemento fisico delle forme fisse.

Il fenomeno originario dell’interazione tra lo spirito e l’elemento fisico-materiale è: morte e resurrezione. La materia, in quanto elemento di pesantezza, porta la morte, ma lo spirito trasforma questa morte, che è possibile soltanto nell’elemento fisico-materiale, in una resurrezione, in una vittoria sulla materia, che è possibile soltanto con le forze dello spirito, che devono essere molto più forti per vincere.

Intervento: Pietro, ma quindi il fantòma è quello che fu dato per primo su Saturno, su Terra1?

Archiati: Certo, certo. È una delle cose più importanti che Steiner spiega in queste conferenze Da Gesù a Cristo. Quando noi pensiamo che quando uno muore il corpo fisico sparisce, non abbiamo capito nulla! Sparisce la materia! Altrimenti dovremmo dire: per milioni e milioni di anni di evoluzione hanno creato questo corpo fisico, poi l’hanno messo a base del corpo eterico, poi l’hanno messo a base del corpo eterico e del corpo astrale, adesso (a Terra4) l’hanno messo alla base dell’evoluzione del corpo eterico, del corpo astrale e dell’io … per farlo sparire ogni volta che si muore?!

A quel punto lì uno si rende conto che la teologia tradizionale che abbiamo, quella di Pietro, quella dei primi 2.000 anni, con tutta la buona volontà – non è una critica – non ha neanche i presupposti per capire di che cosa si tratta nella resurrezione. Perché identifica il corpo fisico con la materia, invece la materia è soltanto il riempitivo. È come identificare le forze magnetiche con la limatura di ferro: vuol dire che non hai capito nulla di cosa sono le forze magnetiche, perché quelle ci sono tali e quali anche quando non c’è la limatura di ferro.

Intervento: Il fantòma mi fa capire tutte le volte che Steiner ha detto che il vero corpo fisico è invisibile.

Archiati: Certo, è quello, il fantòma è quello! Il corpo fisico è invisibile. Di nuovo: un campo magnetico è una realtà, opera, fa qualcosa, però è invisibile: invisibile non significa che non è reale.

Intervento: Ma infatti, se noi dicessimo “corpo minerale”, si eviterebbero tanti equivoci perché, in effetti, nel linguaggio corrente continuiamo a dire “corpo fisico”, e tutti pensano invece al ripieno di materia, mentre il corpo fisico è una realtà sovrasensibile.

Archiati: Sì, ma “minerale” si riferisce di nuovo alla materia, invece…

Intervento: Esatto, quando vogliamo parlare della ciccia, invece di parlare di corpo fisico dovremmo dire “corpo minerale”.

Archiati: Ma, scusate, qui c’è il naso, qui c’è la bocca, qui c’è il mento. Prendiamo il naso: noi mangiamo, e cos’è che configura tutta questa materia in forma di naso e fa sì che venga mantenuta questa sporgenza? Cos’è che lo fa? Cos’è che fa venire in fuori la materia e poi di nuovo dentro, nella forma del naso?

Intervento: Sono le forze formanti del naso.

Archiati: Sì, e che cosa sono?

Intervento: Sono forze invisibili.

Archiati: Sì, ma cosa sono?

Intervento: Non capisco cosa vuoi dire!

Archiati: Sono paragonabili ai pensieri di forma di uno scultore. Cosa c’ha uno scultore in testa quando sta scolpendo una statua?

Interventi: Idee… Pensieri… Una forma… Un’immagine… L’idea di una forma…

Intervento: Ha in mente la forma di un uomo, ha in mente il naso fatto così.

Archiati: Sì, ma cosa vuol dire?

Intervento: Vuol dire che sa come lo vuol fare, sa quanto e come deve tirar fuori da questa materia per ottenere quello che vuole. Sa come organizzare, cioè sa togliere dal marmo…

Archiati: Questa struttura, che è una struttura di forma a livello di pensiero, è talmente una realtà operante che fa saltar fuori il naso reale! Il problema è il materialismo dove noi pensiamo che i pensieri siano solo… pensieri, e nessuna realtà!

I pensieri del Logos sono forze formanti! Quello è il fantòma! Invece nelle piante sono all’opera i pensieri trasformanti del Logos, e i pensieri formanti fanno da base. Nei cristalli, nella terra, nel minerale, sono all’opera i pensieri formanti del Logos. E soltanto nella misura in cui il Logos continua a pensare questi pensieri, la materia resta lì!

Intervento: È questo il significato del fantòma definito come corpo eterico spirituale, non solo eterico, ma eterico-spirituale?

Archiati: Sì, ma anche fisico, manca la parola “fisico”.

Intervento: È il corpo fisico in forma eterico-spirituale.

Archiati: No, il corpo eterico è tutta un’altra cosa.

Intervento: È il corpo delle forze formanti.

Archiati: Fisico, non eterico. Le forze eteriche sono forze trans-formanti, che cambiano continuamente la forma.

Intervento: Ma quelle formative sono le eteriche.

Archiati: No, no. Quelle formative ti creano una forma che resta fissa: vedi il cristallo.

Intervento: Quelle che formano lo scheletro sono eteriche formative.

Archiati: No, non eteriche, sono fisiche! Tu adesso stai confondendo il fisico con l’eterico. Tu vedi una pianticella in crescita, quali forze sono all’opera? Sono all’opera delle forze che fanno passare una forma in un’altra, in un’altra, in un’altra: Quindi sono tutt’altre forze rispetto a quelle che ti creano una forma che resta fissa. Sono forze di trasformazione, non forze formanti. Se è un cristallo, nel cristallo sono all’opera forze formanti, perché non si trasforma, resta fissa la forma.

Intervento: Però, Pietro, nessuna forma animale resta fissa comunque.

Archiati: Perché l’animale ha il fisico, l’eterico e ancora l’astrale.

Intervento: La forma iniziale viene trasformata dall’eterico, che continua a trasformarla, perché anche un bambino diventa uomo, no?, e ha la sua forma.

Archiati: Sì, ma i misteri del fantòma non hanno a che fare con la pianta, né con l’animale, né con l’umano: hanno a che fare col minerale. Le forme! Perché se noi non mettiamo alla base del corpo umano le forme, hai voglia tu a vivere con l’anima, eccetera! Stiamo parlando dei misteri della forma: lasciatemi stare la trasformazione eterica, animica, eccetera. Stiamo parlando dei misteri della forma: il fantòma è una struttura di forze non eteriche, non astrali, ma di forze formanti fisiche.

Intervento: È la geometria?

Archiati: Sì, la geometria. Cos’è la geometria?

Intervento: La geometria è la forma.

Archiati: Pensieri di forma.

Intervento: Sì, pensieri di forma. E quindi sono la geometria sacra, l’architettura che noi studiamo di certe strutture sacre.

Archiati: Sì, ma in ogni edificio!

Intervento: Mi scusi, quindi il maschile e il femminile non appartengono a questa struttura…

Archiati: Quello del maschile e del femminile è un fenomeno specificatamente dell’animico.

Intervento: Ma a livello di fantòma non esiste più.

Archiati: A livello di fantòma… Se vogliamo, uno degli elementi della caduta è la separazione dei sessi, proprio perché, entrando la materia dentro il fantòma sempre di più, son saltati fuori, grazie al contributo della materia, due tipi di corpo fisico.

La resurrezione della carne consisterà nel fatto che la materia verrà sempre più estromessa, e la differenza fisica tra uomo e donna scomparirà di nuovo, così come è sorta. Non c’era all’ini-zio, scomparirà di nuovo. Quindi cos’è che ha portato la differenza tra uomo e donna dentro il fantòma? Il ripieno di materia!

Il fatto di essere non puramente uomo, ma o maschio o femmina, fa parte di questo appesantimento, di questo indebolimento delle forze del fantòma. Perché se sei maschio ti manca quello che ha la femmina, se sei femmina ti manca quello che ha il maschio; e quindi l’evoluzione che va avanti ti dice: togliamo sempre di più questo elemento di pesantezza che ha compromesso le forze del fantòma, e le forze del fantòma si rigenereranno sempre più pure. Questo comporta una spiritualizzazione della materia: le forme diventano sempre più perfette.

Vogliamo cominciare col capitolo 21? Intanto leggiamo per intero la fine del capitolo 20,30: “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli,”

20,30 ma non sono stati scritti in questo libro.

20,31 Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, è il Figlio di Dio, perché credendo abbiate la vita nel suo nome.

Di segni, nel corso dei secoli e dei millenni, il Cristo ne fa all’infinito. Quelli che sono in questo vangelo sono esemplari per aiutare gli esseri umani ad acquisire fiducia nella rigenerazione dell’umano, a partire dal fantòma, a partire dalle forze di amore, affinché creda che Gesù è il Cristo, il Logos che non è rimasto nel seno del Padre, ma il Logos che si è incarnato, che è venuto a morire sulla croce del corpo della Terra, per creare i presupposti per la resurrezione della carne.

Credo che si può immaginare, insomma, come si potrebbero riprendere, vivificare, in chiave di scienza dello spirito, queste parole.

21,1 Dopo queste cose

Met¦ taàta, (mèta tàuta), dopo queste cose. Supponiamo che tra il capitolo 20 e il 21 ci sia una cesura: Giovanni-Lazzaro ha chiuso il suo vangelo, l’iniziazione è servita proprio a fargli capire le cose che esprime nel vangelo. Quindi se uno chiede: cosa ha imparato, cosa ha visto in quei tre giorni e mezzo Giovanni-Laz-zaro?, la risposta è: tutto quello che mette nel suo vangelo. Quindi il senso del risveglio di Lazzaro era proprio quello di fargli fare quelle esperienze che l’hanno reso capace di darci il vangelo di Giovanni, con l’Apocalisse ecc.

Il vangelo di Giovanni è la fenomenologia della svolta, la fenomenologia della morte e della resurrezione dello spirito umano e dello spirito cosmico, e l’Apocalisse è la fenomenologia del compimento dell’evoluzione.

Questi due libri fondamentali ha scritto Giovanni-Lazzaro: e se uno lavora meditativamente con tutte e due queste fenomenologie, con i contributi di una scienza dello spirito, per quanto incipiente, si orienta sempre di più nei fenomeni dell’evoluzione.

Dopo che son successi tutti questi fatti e dopo che ormai i discepoli si sono sparsi un po’ nel mondo, viene scritto dai discepoli di Giovanni-Lazzaro il 21° capitolo. Nel II volume delle conferenze Le sorgenti della cultura occidentale c’è una conferenza sul cristianesimo paolino e sul cristianesimo giovanneo. Lì si parla di questo Giovanni-Lazzaro, che aveva una scuola esoterica e preannunciava questo cristianesimo giovanneo che adesso, con la scienza dello spirito, invale sempre più nell’umanità. A quei tempi, però, bisognava dare la precedenza al cristianesimo petrino e paolino, che era quello più accessibile all’umanità di allora, e quindi la corrente giovannea, la corrente di Lazzaro, era piuttosto esoterica, era un filone esile di alcune persone che precorrevano i tempi dell’evoluzione.

Oggi siamo al punto che questa corrente esoterica giovannea ha la possibilità di diventare sempre di più portante, perché l’elemento petrino perde sempre di più la sua forza. Constatiamo come fatto reale che è sempre meno viva la fede dell’anima candida, bambina, che crede volentieri, anche perché non ha ancora le forze per capire in chiave di scienza dello spirito. Ci sono sempre meno persone che trovano in questa fede tradizionale – che fino a 50-100 anni fa era un elemento genuino, sincero, sostanziale per la vita – una base valida in cui ci si può identificare, in cui ci si sente a casa.

Quindi abbiamo sempre più persone che fanno questa esperienza e hanno tutto il diritto di dire: quello che la Chiesa tradizionale vuole continuare a dare agli esseri umani in chiave di fede non mi basta più, cerco qualcosa di nuovo, cerco qualcosa d’altro. Queste persone hanno il diritto di cercare qualcosa di nuovo, hanno il diritto di dire che il vecchio non gli basta più – perché se non gli basta, non gli basta.

È come quando il figlio, o la figlia, arriva ai 15, 16, 17 anni e dice: adesso sento in me l’impulso di gestirmi sempre di più in base a pensieri miei, in base ad impulsi volitivi miei. E non c’è nulla da ridire. È giusto, perché la vita è così, di fatto.

La cosiddetta scienza dello spirito viene incontro a questa soglia dell’umanità dove sempre più persone hanno proprio l’anelito ad integrare l’elemento del cuore, l’elemento della fede, con l’elemento conoscitivo, senza bisogno di disdegnare o di sminuire il compito della fede e del cuore.

In altre parole, significa anche affrontare i vangeli non soltanto in chiave di credi, credi, credi, ma di: vorrei capire cosa dice il testo. E la scienza dello spirito, cosiddetta, viene incontro proprio a questa nuova esigenza, nel rispetto reciproco verso chi si rivolge alla tradizione, naturalmente. Il rispetto reciproco è proprio la base di comunanza dell’umano, ma deve essere davvero reciproco, però, da tutt’e due le parti, in modo che ognuno abbia la possibilità di cercare, di trovare quello che è consono al suo spirito.

In questo ultimo capitolo vengono, in chiave profetica, tracciati due tipi di cristianesimo: un cristianesimo che è quello di Pietro, dove il Cristo dice a Pietro: tu devi venire subito dopo di me – e vedremo cosa viene detto, come accenni conoscitivi su questo cristianesimo, chiamiamolo così, di Pietro – e poi c’è un accenno al mistero del cristianesimo di un altro discepolo, che noi sappiamo essere Giovanni-Lazzaro. L’autore del vangelo è reticente nei confronti di questa persona perché parla di se stesso, però i discepoli, adesso, nell’ultimo capitolo, possono parlare in modo un po’ più aperto di quanto non potesse fare lui, nel 20° capitolo, dove narrava di quel correre insieme al sepolcro e accennava a ciò che il discepolo amato dal Cristo aveva capito, e a ciò che Pietro, invece, non poteva capire ecc..

Tra il cristianesimo di Pietro e quello di Giovanni intercorrono 2.160 anni. Vediamo ancora una volta il perché, aggiungendo qualche altro dato.

Come il modo di crocifiggersi del Logos divino sulla Terra è uno degli elementi più fondamentali dell’evoluzione, così l’inte-razione tra il sistema solare, col settenario dei pianeti, e lo Zodiaco, il 12 delle stelle fisse, è una runa, una scrittura cosmica importantissima.

Lo Zodiaco è l’archetipo della forma fissa perché queste stelle restano immobili nello stesso punto per millenni; lo Zodiaco è un’immagine dell’eternità, della fissità, della durata, della permanenza, quindi dei fondamenti duraturi dell’evoluzione. Il sistema solare con i 7 pianeti – plane‹n (planèin) significa muoversi, essere in continuo movimento – è invece l’archetipo del movimento, dell’evoluzione nel tempo, sempre cangiante, sempre nuova. Un pianeta non rimane mai nello stesso punto: plane‹n (planèin) significa muoversi, navigare, planare.

Allora, l’interazione tra tempo ed eternità, tra l’evoluzione settenaria nel tempo e l’eternità dodecuplice, ha un ritmo, una cadenza, di 2.160 anni durante i quali il Sole sorge sempre nello stesso segno zodiacale. Questa è una delle unità più fondamentali e determinanti dell’evoluzione nel tempo in quanto è scritta nell’eternità.

Il che significa che, a livelli di somma importanza, ogni 2.160 anni cambiano profondamente tutte le condizioni evolutive sulla Terra. A livelli più piccoli, naturalmente, ci sono continui cambiamenti nell’evoluzione, però ogni 2.160 anni c’è un vero e proprio nuovo registro di evoluzione, perché il Sole entra in un altro segno zodiacale. E questo comporta un’altra legge evolutiva per gli esseri umani: nessuno di noi può saltare uno di questi periodi cosiddetti “di cultura” perché per 2.160 ci viene offerta una serie di condizioni evolutive che poi non si ripeteranno più.

Prendiamo il periodo di cultura greco-romano: una volta finito non ritorna più. Il periodo di cultura in cui viviamo oggi si trova in tutt’altre condizioni, geologicamente e a tutti i livelli, per cui le possibilità evolutive offerte a noi oggi sono del tutto diverse dalle possibilità evolutive che c’erano nel periodo greco-romano.

In altre parole, ogni essere umano deve potersi incarnare almeno una volta nell’arco di questi 2.160 anni, altrimenti gli si farebbe il torto enorme di non dargli la possibilità di far suoi gli impulsi specifici di quel periodo di cultura.

E siccome, attraverso la scissione dei sessi, il vivere da maschio e il vivere da femmina son diventati profondamente diversi, allora, un’altra delle leggi evolutive più fondamentali è che in linea di regola (seppure con tante eccezioni) nell’arco di 2.160 anni ciascun essere umano si incarna una volta come uomo e una volta come donna. Con tutte le eccezioni che volete, però questa è la regola.

Allora, sono 2.160 anni: facciamo ogni volta circa 80 anni di vita sulla Terra come maschio e circa altri 80 come femmina: 80+80 fa 160. Quindi, dopo ogni morte, l’essere umano passa circa 1000 anni nel mondo spirituale e poi ritorna.

Il periodo di una incarnazione di circa 72-73 anni, 80 anni arrotondando, e poi i 1000 anni nel mondo spirituale, li trovate enunciati tali e quali già in Platone, tra l’altro un paio di volte, non soltanto una volta.

E Steiner conferma questa regola. Però negli ultimi tempi, negli ultimi secoli, il disordine del materialismo ha portato tanti individui umani a precorrere i tempi, a doversi incarnare più presto di quanto è la regola, perché nel mondo spirituale non si raccapezzano e quindi c’è una brama molto più forte di ritornare nel mondo materiale, altrimenti non si riesce a vivere più nulla.

Però nei tempi prima di Cristo, che sono precedenti alla libertà che combina tutti i guai, questa regolarità delle incarnazioni era molto più evidente che non oggi.

Allora 21,1 “Dopo queste cose…

21,1 Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli, sul mare di Tiberiade. E si manifestò in questo modo.

Abbiamo a che fare con un’immaginazione di Pietro. Perché Pietro dice, lo vedremo adesso: vado a pescare. E va a pescare con 7 persone. Non con 12, con 7.

Il Cristo regala a Pietro una visione immaginativa, a che servirà? Ovviamente deve servire ad aiutare Pietro a comprendere sempre meglio quale compito gli è stato affidato dopo che il Cristo è morto, è risorto ed è sparito. Se non si trattasse di questo non sarebbe interessante raccontarci per filo e per segno questa visione immaginativa di Pietro.

21,2 Erano insieme Simon Pietro, Tommaso detto il Didimo, Natanaele di Cana di Galilea e i figli di Zebedeo e altri due dei discepoli.

Pietro è in prima linea perché si tratta della sua visione, però lui va a pescare, e si vede nella sua visione immaginativa insieme con questi sei, lui è il settimo. Allora, sono sette: Pietro, Giacomo e Giovanni sono i tre della trasfigurazione (Giacomo e Giovanni sono i figli di Zebedeo); poi due vengono chiamati per nome, Natanaele, “il vero israelita” di cui si è parlato nel primo capitolo, all’inizio del vangelo, e Tommaso che si presenta alla fine del vangelo, perché proprio il 20° capitolo è stato chiuso con i misteri del fantòma, con l’apparizione a Tommaso. E siamo a 5. E gli altri due? Chi sono questi altri due? Uno è Giovanni-Lazzaro, e il settimo?

Nel vangelo di Giovanni ci sono soltanto due grossi miracolati. Riflettiamoci bene, i sette segni sono: Cana di Galilea, e lì c’era un sacco di gente, non c’è un individuo miracolato. Poi il cieco nato e il paralitico. E allora, chi ci mettiamo qui?

Intervento: Il cieco nato!

Archiati: Il cieco nato ci sta meglio, e i compiti di pensiero sono poi lasciati a voi. Io propongo decisamente il cieco nato, perché prima di tutto il paralitico è al capitolo 5, mentre il cieco nato è al capitolo 9, in vicinanza assoluta al capitolo 11, quello di Lazzaro. Viene raccontato tutto questo evento poderoso del cieco nato che riacquista la vista… poi sparisce e non esiste più. Così come anche Lazzaro nella teologia tradizionale: tutto questo putiferio di farlo uscire dalla tomba ecc., ecc…. poi sparisce, non se ne parla più!

Quindi questi due, lasciati così misteriosamente… di sicuro si tratta di Lazzaro e del cieco nato.

Nel cieco nato viene espressa l’evoluzione umana in chiave di pensiero: la cecità che riacquista la capacità di percezione, come base per la creazione di concetti a partire dal pensiero. In Lazzaro viene espressa l’iniziazione di tutto l’essere umano nella realtà del Cristo, come presupposto della cristificazione totale dell’uomo, non soltanto a livello di pensiero, come il cieco nato, ma a livello anche morale, a livello dell’evoluzione, della vita.

21,3 Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare».

Il Cristo gli aveva detto: terminerai di essere pescatore di pesciolini e diventerai pescatore di uomini. Adesso il Cristo è sparito, tutto finito, e Pietro, che naturalmente è chiamato a diventare il primo papa, sta lottando con la propria identità. Io sono pescatore… che vuol dire essere pescatore?

Questa visione di Pietro è una specie di autoconoscenza. Vado a pescare, voglio vedere cos’ha inteso dire il Cristo quando m’ha detto: tu diventerai pescatore di uomini… Che vuol dire?

Pietro che lotta per capire: qual è il mio compito, cosa vuol dire che sono chiamato a diventare pescatore di uomini? Lui dice: se il Cristo ha usato questa metafora del pescatore e del pescare vuol dire che serve. Allora fammi approfondire l’esperienza del pescare, cosa avviene nel pescare: approfondendo l’esperienza del pescare capirò anche meglio cosa vuol dire pescare gli uomini.

Cosa avviene nel pescare? Che tiri fuori dall’acqua un essere fisico che vive nell’acqua, lo porti a riva… e facendo questo lo fai morire.

Intervento: Oltretutto non vedi cosa fai, perché lo peschi senza vederlo.

Archiati: Sì, però quando tira la rete poi vede i pesci, e sono tanti, addirittura li contano: sono 153, lo vedremo.

Quindi l’evoluzione della Terra è che, dal mare eterico che era Terra3, sorge l’elemento fisico e la spiaggia, dove avviene questo incontro con il Risorto, è la soglia tra l’eterico e il fisico. Adesso ciò che prima era vivente, nell’eterico, viene portato sul fisico per dargli la possibilità di morire e risorgere sulla Terra. Questo è pescare.

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Fig. 11

Pescare è l’amore del Cristo che tira fuori dal mare eterico cosmico i pesciolini umani, queste belle animelle che non hanno mai toccato la durezza del mondo fisico, e li porta sulla Terra per fargli fare l’esperienza della morte nell’elemento fisico, come presupposto per la resurrezione.

Pietro, tu elemento della pietra, elemento minerale del fisico, il tuo compito è di dare allo spirito umano la possibilità di morire, come presupposto necessario per la resurrezione. E allora tiri fuori questi pesciolini che si beano nell’acqua e li porti sulla spiaggia, nella Terra: dall’eterico al fisico.

Ogni volta che ci svegliamo, questo avviene. E questa visione di Pietro avviene la mattina, è una specie di sogno, di immagine di sogno, al risveglio.

Quando noi ci svegliamo, cosa avviene? La nostra anima, che era nell’eterico del cosmo, torna dentro il corpo, e il corpo è sempre stato espresso con l’immagine della sponda. Arrivano alla sponda, la sponda è l’elemento fisico.

21,3 Gli dissero: «Veniamo anche noi con te».

Quindi pescano insieme. È un evento universale umano, non ha a che fare soltanto con Pietro. Pietro, tu questo pescare lo fai insieme con tutte le forze del sistema planetario, siamo in sette, Pietro, non sei da solo.

Intervento: È anche il numero del tempo.

Archiati: Sì, e del Sole. Lo spirito solare ha portato lo spirito divino a diventare umano sulla Terra, quindi ha pescato tutti questi pesciolini e li ha portati tutti sulla Terra, li ha tirati fuori dal mare cosmico per individualizzarli, li ha congiunti con l’elemento fisico che è il presupposto per individualizzarsi, per diventare gli uni separati dagli altri.

Intervento: Allora lui è il grande pesce.

Archiati: Il Cristo, certo, certo. E perciò uno dei segni zodiacali è quello dei pesci.

21,3 Allora uscirono e salirono sulla barca, ma in quella notte non presero nulla.

21,4 Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù.

21,5 Gesù disse loro: «Figlioli,»

Bambinetti. Non riescono ad identificarlo. È l’Io bambino. L’anima è già parecchio per strada, però l’evoluzione della Terra fa sorgere l’Io, e l’Io è appena all’inizio della sua evoluzione. Bambinetti… Quindi il Cristo si riferisce, si appella alle forze dell’Io. Bambinetti è paid…a (paidìa)… tradotto “figlioli”, “figlioletti”, non rende.

21,5 «non avete nulla da mangiare?» Gli risposero: «No».

21,6 Allora Gesù disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete».

La parte destra è la parte attiva, la parte sinistra è la parte passiva. La destra ha più forza. L’avevo già accennato, mi pare ieri, che tradizionalmente tutto ciò che è sinistro – l’occhio sinistro, la mano sinistra, il piede sinistro – è maggiormente ricettivo, perché è più debole. Invece con la destra, che uso quando devo fare qualcosa, divento attivo.

Allora, la svolta dell’evoluzione sta nel fatto che nella prima metà l’essere umano viene condotto dalla grazia, gli basta la fede nella grazia divina, gli basta essere ricettivo della grazia divina: quindi pesca a sinistra.

Adesso il Cristo dice: non avete pescato nulla dalla parte sinistra, perché i tempi in cui l’essere umano, da bambino, ha questa bella possibilità di avere tutto per grazia ricevuta, sono finiti. Adesso voi troverete soltanto quello che pescherete a destra diventando attivi, cioè esercitando sempre di più la libertà.

Gettano a destra e adesso le reti quasi si spezzano. Provate voi a interpretare questa pesca miracolosa in senso materialistico: è una stupidaggine, ma proprio allucinante. Come a dire: già il lago mica per forza era tranquillo, poi i pesciolini sono così intelligenti, pesci grossi tra l’altro, che sanno benissimo: adesso arriva la barca, nessuno di noi pesciolini sta a sinistra, ci mettiamo tutti a destra. E quelli lì, che sono bravi pescatori, vanno a pescare a sinistra. Tutta la notte, abbiamo pescato! tutta la notte! e non abbiamo preso nulla!… Ma non avete visto che tutti i pesci si sono messi a destra?

Voglio dire: un’interpretazione materialistica, e la teologia tradizionale non ha altre possibilità, è una cosa assurda! E sarebbe importante che sempre più persone avessero il coraggio di dire: ma no!, è assurdo, non convince, ci deve essere qualcosa d’altro lì sotto.

Non è una pesca fisica! Sono pescatori, insomma, per lo meno Pietro era un vero pescatore, no?! Mica sta a pescare tutta la notte a sinistra e non s’è ancora accorto che a sinistra non c’è nulla e a destra è tutto pieno! E deve venire il Cristo a dirgli: ma non ti sei accorto che i pesciolini sono andati tutti a destra? E allora lui, vedremo, ne pescherà 153. Che significa?

È talmente grottesca un’interpretazione materialistica che uno si chiede come mai la teologia non voglia ammetterlo, ma ci si rende anche conto che, in effetti, non ha altre alternative. E quando Steiner ti viene con vere alternative uno si arrabbia ancora di più perché dice: e perché tutto soltanto lui, perché non l’ho scoperto io? E in questo grosso quesito si trova l’umanità.

21,6 La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci.

21,7 Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udito che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopraveste, era infatti spogliato, e si gettò in mare.

Allora, visto che è nudo, per buttarsi in acqua si veste! Tutto messo lì proprio per assicurarti che un’interpretazione materialistica è quella giusta, eh!

Lascia la barca che è il corpo eterico – noi, nel sogno, abbiamo delle immagini e il sogno è proprio il momento di ritorno dell’ani-ma nel corpo eterico –, lascia il corpo eterico, ritorna pienamente nell’elemento del sonno e la veste è il corpo astrale.

Allora, il corpo fisico non c’è perché non ha ancora tirato tutto a riva (quando tira tutto a riva si arriva al corpo fisico) e lascia il corpo eterico, cioè la barca: quindi adesso è fuori del corpo fisico, fuori del corpo eterico ed è rivestito dell’aura, che è il corpo astrale.

Però se ha soltanto il corpo astrale e lo spirito, ma ha lasciato sia il corpo eterico, sia il corpo fisico, è in uno stato di non coscienza. In altre parole, il cristianesimo di Pietro è il cristianesimo che dice: guarda che tu con l’elemento raziocinante, con l’ele-mento della conoscenza desta nel corpo, non le capisci queste cose. Perciò buttati con la fede. Credi nello spirito. E la fede è proprio questo abito dell’anima che crede. Però la coscienza è via, è sparita.

Allora “si cinse ai fianchi la sopraveste, era infatti spogliato, e si gettò in mare”.

21,8 Gli altri discepoli invece vennero con la barca trascinando la rete piena di pesci e infatti non erano lontani da terra se non duecento cubiti.

21,9 Appena scesi a terra videro un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane.

21,10 Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete appena preso».

21,11 Allora Simon Pietro salì e trasse a terra la rete piena di 153 grossi pesci. E benché fossero tanti la rete non si spezzò.

Allora, Pietro è sparito, s’è buttato in acqua. Ma gli altri, li hanno tirati o non li hanno tirati a riva i pesci? Adesso arriva Pietro e li tira lui a riva, da solo. Da solo! Siccome le reti si stanno spezzando, sono strapiene, gli altri sono spariti e adesso lo deve far lui, da solo! E gli altri 6 dove sono?

Intervento: Stavano facendo la brace…

Archiati: Eh! È chiaro che tutti gli elementi sono messi lì apposta per dirti che se tu interpreti questa faccenda materialisticamente sei stupido. Leggete nel commento di Tommaso d’Aquino al vangelo di Giovanni il significato di questi 153 pesci… è interessantissimo! Oppure quello che ne dice Agostino.

Allora: Terra1, quanti pesci sono? 49! Ci sono 7 grosse epoche ognuna divisa in 7 piccoli periodi: 7x7=49. Terra2: quanti sono i pesci, cioè le unità di presa di coscienza, i passi evolutivi? Sempre 49. Terra3, altri 49. Adesso arriviamo a Terra4, che è la nostra, e qui le cose si complicano un pochino.

Intanto, 3 volte 49 quanto fa? 147. Adesso siamo a Terra 4, all’evento del Cristo, e siamo a metà, no?

Allora: l’epoca polare, l’iperborea, la lemurica, l’atlantica e siamo nella postatlantica: sono 5.

Intervento: E i periodi?

Archiati: Anche con i periodi siamo al 5°. Quinto periodo della quinta epoca postatlantica. Ma bisogna diventare un po’ elestici e saper anche cambiare di registro.

Intervento: Certo, ma io sto cercando l’altro registro!

Archiati: Quanti ce ne mancano?

Interventi: 5… 6…

Archiati: 5 e 6. Se si tratta di Pietro, sono 5, se invece andiamo al compito di Giovanni-Lazzaro sono 6. Quindi siamo tra il 5 e il 6. Proviamo allora con questo registro: corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale – sono 3 – anima senziente, anima razionale: e sono 5; e qui arriviamo a Pietro. Se aggiungiamo l’anima cosciente arriviamo a Giovanni-Lazzaro, e sono 6.

Quindi questo mistero del 153 è il mistero del rapporto tra il cristianesimo petrino e il cristianesimo giovanneo. Prima un cristianesimo in chiave di una specie di fede razionale, e poi una conduzione dell’evoluzione in chiave di anima cosciente.

Facciamo una pausa e poi continuiamo.

*******

Allora vediamo se riusciamo a finire questa visione, questa esperienza immaginativa di Pietro, in una comunità di 7. Abbiamo detto che c’è tutto il mistero del Sole, del sistema solare, dell’evo-luzione. Il 7 è sempre riferito all’evoluzione, a differenza del 12 che si riferisce a ciò che è fisso, che è eterno.

Vorrei evidenziare un altro elemento, però ci siamo già detti che non si tratta di dire: ecco, questa è la soluzione. Lo vediamo quanto è complesso, questo passo del vangelo di Giovanni, proprio questo ultimo capitolo. Se solo dovessimo entrare nel merito della barca, dovremmo rilevare che certi testi riportano sia barca che barchetta: plo…ou (plòiu) al 21,6 e ploiar…J (ploiarìo) al 21,8. C’è una differenza tra le barche più grandi, che indicano il corpo eterico di comunità, per esempio, e la barca più piccola, che è il corpo eterico del singolo, no?

Ci sono tantissimi elementi, ma di una complessità tale che poi alla fine uno dice: fammi masticare un altro paio di decenni la scienza dello spirito e poi… e poi magari sto zitto del tutto! A quel punto lì uno si convince che per fortuna c’è la reincarnazione, che ci dà tempo di capire le cose sempre più a fondo!

Un aspetto dell’evoluzione in chiave di Pietro, che è uno stadio che ogni essere umano deve passare, l’abbiamo caratterizzato come lo stadio in cui l’anima è l’elemento conducente, non ancora lo spirito, lo stadio in cui, dopo l’evento del Golgota, l’umanità è scesa ancora più profondamente nell’elemento petrino del mondo della materia, del mondo minerale.

Quindi la missione di Pietro, una missione importantissima, è stata quella di accompagnare (è ancora in corso, però sta tramontando sempre più) l’umanità nei 2.160 anni – se questo ritmo vi convince –, nei due millenni in cui l’umanità entra nel materialismo, ancor più che non al tempo del Cristo.

In un certo senso, essere il pastore di queste pecorelle che perdono di vista addirittura lo spirito, detto psicologicamente, è una missione molto meno grata che non quella di Giovanni-Lazzaro, che subentra quando si tratta di condurre un’evoluzione dove gli esseri umani diventano sempre di più maggiorenni, sempre di più spiriti pensanti che vogliono capire le cose.

Uno degli elementi fondamentali della differenza fra Pietro e Giovanni-Lazzaro è che Pietro è fondato sulla tradizione. Siccome nella fase ultima del materialismo l’umanità perde di vista lo spirito, gli resta soltanto lo spirito tramandato per tradizione.

E i 153 pesci sono (Fig. 12) Terra1, Terra2 e Terra3, in quanto portato del passato, e al 4 mettiamo la grande svolta verso il futuro. Quindi il cristianesimo di Pietro, in questa chiave materialistica, è fondato sulla tradizione, sul passato, è un’anamnesi.

Che cosa porta di nuovo Giovanni-Lazzaro? La svolta che trasforma ogni elemento del passato verso il futuro; e quindi dal 3 progetta il 5, dal 2 progetta il 6 e dall’1 progetta il 7. Questo è specifico di Giovanni-Lazzaro.

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Fig. 12

Quindi la visione di Pietro è retrospettiva – però non fatene dei dogmi di questo: sono accenni conoscitivi –, è profondamente retrospettiva: la tradizione, i dogmi, la teologia fondata sui dogmi ecc., mentre il cristianesimo di Giovanni-Lazzaro è prospettivo, apre il futuro.

E quindi qui (a sinistra) c’è la fede nello spirito in quanto si fonda sulla rivelazione passata, e qui (a destra) c’è la fiducia nella libertà dell’uomo, perché è la libertà dell’uomo che deve creare questi mondi, deve trasformare, con la svolta, tutto il passato dell’evoluzione nella prospettiva di tutto il futuro.

La struttura dove c’è una svolta nel centro e dove tutto l’elemento di fede, di tradizione, di rivelazione divina, di teosofia diventa antroposofia attraverso la libertà creatrice dello spirito umano, è l’elemento specifico di una scienza dello spirito giovannea che comincia proprio nel nostro tempo, nella nostra vita, a partire da circa un secolo fa. Prima non c’era, è specifica proprio del nostro tempo.

Questi sono tutti sintomi che ci fanno dire – però io non vi sto dimostrando nulla, vi sto mettendo lì degli elementi di fronte ai quali ognuno di voi poi prende posizione col suo pensiero, io non ho dogmi, il mio è soltanto un processo di pensiero – che la teosofia è la sapienza divina e l’antroposofia è l’inizio della trasformazione di una sapienza divina in sapienza dell’uomo, conquistata con il pensiero umano.

Questo è il significato di antropos-sofia (¢nqrwpoj sof…a, ànthropos sofìa): contenuti di pensiero generati dallo spirito umano, non recepiti passivamente in chiave di fede nella tradizione, nella rivelazione divina. Il cardine, l’elemento portante dell’antropos-sofia è il pensare umano.

Se poi uno viene e dice: orgoglio su tutta la linea!, vabbè, se per lui è orgoglio, lo lasci stare. Ha il diritto di imporre che deve essere anche per me orgoglio? Sta dando un giudizio morale su altri esseri umani. Se smettesse di dare giudizi morali dovrebbe dire: l’esperienza reale è che il tuo discorso mi fa paura.

Benissimo, benissimo, se ti fa paura lascialo stare per adesso, ma non venire a dire a me che sono superbo perché comincio a parlare della responsabilità dello spirito umano.

Inoltre ci siamo detti tante volte: non perché gli spiriti umani cominciano ad assumersi un pochino di responsabilità attraverso l’antropos-sofia, attraverso il peso morale del pensare umano autonomo, significa che all’improvviso tutti gli esseri divini che hanno accompagnato l’evoluzione non hanno più nulla da fare!

Ho sempre detto: quando la figlioletta, o il figlioletto, intorno ai 12 anni o 13 anni, comincia a manifestare la sua autonomia, i genitori normalmente hanno molto più da fare che non prima! Perché i primi passi della libertà – e nell’umanità corrispondono a secoli – creano più pasticci di quanto risolvono.

Quindi la grazia divina ha molto più da fare nell’epoca dell’in-cipienza della libertà umana, che non nei tempi in cui gli esseri umani erano bambini: finché ubbidivano, le cose andavano molto meglio che non nei secoli dell’inizio pubertario della libertà.

Il pensiero che la libertà umana escluda la grazia divina, l’operare divino, è un pensiero stupido. L’inizio della libertà umana – e saremo ancora per secoli nell’inizio – costringe la grazia divina a fare molto di più, perché deve rimettere a posto un sacco di cose che gli esseri umani rovinano.

Però la libertà umana è l’elemento più sacro di tutta l’evo-luzione, e gli esseri divini lo sapevano in partenza: siamo disposti a fare tutto quello che c’è da fare, anche a sbuffare quattro volte di più, purché resti salva la libertà umana, perché tutta la Terra è stata fondata sulla libertà dello spirito umano. Se non avessimo voluto la libertà dello spirito umano non avremmo creato la Terra.

Eppure ci sono tutti questi cristiani, che si credono cristiani, che vengono a dire: ah, ma quando la scienza dello spirito parla della responsabilità della libertà umana, del fatto che l’uomo è chiamato a diventare sempre più co-creatore, esclude la grazia divina!

Vi ripeto, è da stupidi questo pensiero, vuol dire non aver capito nulla. E ci sono anche degli antroposofi che dicono: è finita la grazia divina, è finita la fede, adesso c’è soltanto la libertà umana! Non hanno capito nulla neanche loro.

L’evoluzione è fatta di transizioni non di rotture. E siamo in questa transizione di secoli dove la grazia che conduceva anime bambine si ritira sempre più, ma lentamente però, per far posto alla libertà umana, e nel retroscena questa grazia ha molto più da fare; nel retroscena però, perché non s’impone più agli uomini che non sono più bambini.

Pietro è la coscienza dell’anamnesi, Giovanni-Lazzaro è la coscienza del futuro, della libertà. Tant’è vero che questo cristianesimo petrino è fondato sulla rivelazione divina, è fondato sulla fede, è fondato sul passato, sulla tradizione, e la scienza dello spirito si fonda sulla libertà dell’uomo, che non è in nessun contrasto, in nessuna contraddizione con la grazia divina.

Vi ripeto: non perché il tredicenne, il quattordicenne comincia a combinarne di tutti i colori, i genitori non hanno più nulla da fare. Hanno da fare più di prima! E accompagnare i primi passi pubertari della libertà dei propri figli non richiede certo meno forze di amore di quando li si guidava da piccoli. Accompagnare l’inizio della libertà richiede forze di amore molto più grosse, perché questo amore deve diventare forte ad un punto tale da non aver paura degli abissi della libertà. E molti genitori naufragano, nel loro amore, proprio in questo punto. Il loro amore non è forte abbastanza da confermare, da accettare gli abissi della libertà. Ma una libertà a cui vogliamo proibire gli abissi non è più libera.

L’amore divino è sommo perché non è mai retrocesso di fronte agli abissi che devono restare possibili alla libertà umana, altrimenti non saremmo liberi. E in questi abissi è compresa la nostra possibilità addirittura di distruggere tutta la Terra. E la tecnica è già a questo punto.

Pensiamo noi che l’amore divino abbia paura di questa libertà e adesso diminuisca il suo amore alla libertà? No, no. Non interviene. La forza somma dell’amore è di volere la libertà compresi i suoi possibili abissi, perché un amore che non vuole gli abissi della libertà, non vuole la libertà: è un mezzo amore.

Accompagnare un figlio che va per l’abisso non venite a dirmi che non è amore. Se uno lo fa veramente con amore, sa che l’amore si raddoppia, perché l’unica alternativa sarebbe di uccidere la libertà.

Detto in parole semplici, abbiamo un’umanità che sta andando a livelli di autodistruzione allucinanti: forse che la grazia divina, l’amore divino interviene e ci toglie questa libertà? No, no! E questo significa che gli esseri divini ci amano di meno? No, di sicuro no: amano la libertà al di sopra di tutto e questo ci mostra che la libertà è il valore supremo della creazione in cui ci troviamo. La libertà dell’uomo. Non c’è nulla che abbia un peso morale paragonabile al peso morale della libertà.

L’essere umano libero è moralmente buono perché la libertà è il valore morale supremo, e l’essere umano non libero è moralmente cattivo, perché gli manca la libertà. Può osservare tutti i comandamenti che vuole, ma se non è libero è moralmente cattivo perché gli manca l’elemento moralmente più alto che esista, il bene supremo che è la libertà.

A che cosa vale osservare tutto quello che volete per sottomissione, per paura? Non vale nulla di fronte a un grammo di bene fatto per amore, fatto liberamente.

E in quest’uno che è stato ucciso 2.000 anni fa, altro che un grammo di bene! Ha manifestato una tale pienezza dell’umano che in lui, già in anticipo, tutto l’umano è salvato. E la nostra libertà non consiste nel fatto che noi siamo liberi di salvare o di buttare nell’abisso l’umano, no! La nostra libertà consiste nel fatto che io ho la libertà di inserirmi nell’umano salvato, o di escludermi. Ma il fenomeno umano è stato salvato perché Lui ha espresso la libertà dello spirito umano in senso assoluto.

Io ho la libertà di inserirmi in questa pienezza, o di escludermi.

Riprendiamo dal versetto 21,6 “Gettate la rete dalla parte destra…”: vedete qui (Fig. 12) c’è la barca di Pietro, siamo al centro dell’evoluzione, la barca di Pietro è lì, alla svolta. A sinistra c’erano i pesci della rivelazione divina – i pesci sono i contenuti individuabili dentro il mondo eterico. Finchè io vedo soltanto acqua del mare sono nel mondo eterico, ma non individuo, non distinguo nulla. Pescare significa cominciare a individuare qualcosa di concreto, a distinguere qualcosa dentro il mondo eterico.

Allora, il Cristo dice: Pietro, la pesca a sinistra è finita, perché a sinistra è il lato della tradizione e la grazia divina si ritira, altrimenti la libertà umana non ha la possibilità di attuarsi. Prima o poi il pedagogo si deve ritirare, se no l’allievo non ha mai la possibilità di autonomia.

Gettate le reti a destra… Adesso l’evoluzione si svolge per attività umana, la destra indica l’attività umana, il diventare attivi. Costruisci qualcosa, nella misura in cui non ti aspetti tutto dalla grazia divina e dalla rivelazione – la rivelazione era per il pensiero e la grazia era per l’azione morale. Adesso da questa parte sinistra, ricettiva, passiva, dell’accogliere, non viene più nulla, e questa è proprio la sfida a gettare le reti a destra.

Caro essere umano, la svolta dell’evoluzione sta nel fatto che devi terminare sempre di più di essere passivo, di voler soltanto credere, di voler soltanto aspettarti tutto per grazia ricevuta. Sei chiamato a diventare sempre più attivo.

A sinistra: nulla. Tutta la notte hanno pescato a sinistra! Cioè il pescare a sinistra, in riferimento alla grazia divina e alla rivelazione, è diventato buio. Come nel passato il pescare a sinistra era di giorno, perché ci si illuminava, c’era una comunione col divino, così oggi, per l’uomo che sta alla svolta, questo essere nel mondo spirituale diventa notte, cioè non riceve più nulla nel mondo spirituale. È notte e non vede più nulla.

E allora, uomo, entra nel giorno, porta questi pesci sulla riva, entra nel corpo, nell’elemento terrestre e in quel corpo usa la tua coscienza, usa il tuo processo di pensiero, usa la tua libertà nella decisione morale di fare questo o quest’altro, e lì troverai i pesci!

Quindi non soltanto a sinistra ci sono la grazia e la rivelazione, ma c’è la notte: è diventata notte. Dove Mosè vedeva ancora il roveto ardente che era la rivelazione divina, un rilucere di contenuti spirituali, adesso l’uomo alla svolta non vede nulla: è notte! Non pesca più nulla e non vede più nulla, buio. Buio e senza pesci.

Il buio è l’elemento conoscitivo, è la rivelazione divina che non c’è più, e i pesci, che sono l’elemento morale, non arrivano… non concludo più nulla, non realizzo più nulla.

Allora spostati a destra, e lì diventa mattina. Alla mattina poi si trovano lì, sulla sponda.

Intervento: Perché Pietro lascia la barca?

Archiati: Perché altrimenti Pietro sarebbe Giovanni-Lazzaro! Non ha capito, sta…

Intervento: È uscito di scena?

Archiati: No, ritorna indietro.

Intervento: Va a tirar le reti poi…

Archiati: Aspetta, non ci siamo arrivati ancora, col commento. La prima reazione di Pietro è di tornare indietro, di buttarsi nel mondo spirituale. Però buttandosi nel mondo spirituale lascia il corpo fisico e anche quello eterico, che è la barca, e si rende conto che… nulla!

Intervento: I legami col passato.

Archiati: Esatto. Allora ritorna sulla sponda, cioè si sveglia, e Giovanni-Lazzaro lo aiuta a capire: guarda che è il Signore! KÚrioj (Kýrios) è l’Io incarnato, lo spirito desto, conscio. E adesso che Pietro comincia ad avere un primo barlume di questo mistero della libertà umana, dell’attività umana, capisce che tutti questi pesci che erano nel mondo spirituale si tratta di portarli nella coscienza desta, di capirli, col pensiero umano. Tira a sponda, a riva.

Intervento: Significa interiorizzare il passato?

Archiati: Sì, ma in chiave di pensiero, però, di capire, non soltanto di credere. Pensare, capire. La scienza dello spirito non crede nulla, si fonda sul pensiero. Questi 14 versetti sono di una complessità… io sto solo balbettando, eh?!

Riprendiamo a leggere, altrimenti dovrei spiegare tutte le parole e non ce la farei a voler spiegare tutto quanto. “21,6 Disse loro: gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. La gettarono e non poterono più tirarla su per la gran quantità di pesci. 21,7 Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: è il Signore!”

Che c’entra con i pesci? Il discepolo che Gesù amava aiuta Pietro a capire che questo mistero della pesca miracolosa, cosiddetta, è un mistero dell’esperienza del Cristo dentro l’uomo. Ma il Cristo nell’uomo è il Logos pieno di luce di pensiero, che non soltanto riceve i pensieri, ma genera i pensieri – il Sole genera la luce, non riceve la luce come la Luna – e genera impulsi di amore.

È il Signore, è il Logos, è il Cristo, è la forza dell’Io, è la forza del pensiero desto, è la forza dell’amore libero, non dei comandamenti.

Nel momento in cui tu capisci che il senso di questi 153 pesci (che sono il risultato di tutto il contenuto del passato, della tua fede), è che il Cristo trasforma questo contenuto di fede in contenuto di pensiero, allora capisci qual è il cammino futuro: di trasformare tutto ciò che ho creduto in qualcosa che capisco.

I contenuti del mondo sono sempre quelli, però l’evoluzione umana sta nel fatto che prima ci credevo e ora li capisco, sono chiamato a capirli sempre di più. Non è che il mondo cambi di per sé, è l’uomo che cambia: da bambino diventa adulto.

È il Signore! Appena sente che è il Signore, cosa fa Simon Pietro? Simon Pietro dimostra che sta proprio nelle forze del passato, crede di congiungersi col Cristo buttandosi nel mondo del Padre, dell’inconscio, delle forze di natura. Invece di andare sulla sponda, lascia la barca, che è il corpo eterico, si veste dell’astrale, si butta… e perde la coscienza.

Intervento: È più un andar nel conosciuto che non verso…

Archiati: No, nel creduto!

Intervento: …più nel creduto che non verso lo sconosciuto.

Archiati: Certo, certo. 21,7 “Simon Pietro appena udì che era il Signore si cinse ai fianchi la sopraveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare”. Quindi lui è via. Gli altri tirano i pesci alla sponda, e lui è via.

21,8 “Gli altri discepoli invece vennero con la barca…” quindi restano ancorati all’elemento di coscienza che è il corpo eterico e che porta a risvegliarsi alla sponda del corpo fisico “trascinando la rete piena di pesci”. Quindi portano a coscienza i contenuti del mondo spirituale.

Trascinare a riva la rete piena di pesci è portare tutto il contenuto del mondo eterico nella coscienza desta del corpo fisico. Quindi gli altri capiscono più di Pietro qual è il compito successivo dell’evoluzione. 21,8 “…infatti non erano lontani da terra se non duecento cubiti”.

Intervento: Perché deve dire il numero della distanza?

Archiati: L’evoluzione è fatta di misure.

Intervento: Da me è scritto: “un centinaio di metri”.

Archiati: Allora, il testo greco è: 21,8 “Poi gli altri discepoli vennero con la barchetta” tw ploiar…J (to ploiarìo) è la barchetta, non la barca: quindi ognuno nel suo corpo eterico, non in una barca comune, non nella Chiesa. Il testo distingue fra barchetta e barca.

“…non erano infatti lontani dalla terra, ma a circa…” “circa” è æj (os), che non è un fattore di luogo, né di tempo, ma è un fattore di qualità: æj (os) significa “del tipo di”. Quindi: “…erano lontani dalla terra del tipo di duecento cubiti” æj ¢pÒ phcîn diakos…wn (os apò pechòn diakosìon). Cubito vuol dire “gomito”: quindi… olio di gomito. Quanto ce ne vuole di questo olio di gomito? 200. È il remare, certo! Quindi il numero che il vangelo ha è 200. Nel vangelo, nel testo greco c’è il numero 200. Quando i nostri traduttori pensano di rapportare i cubiti, o gli stadi, alle nostre misure attuali e traducono: “circa 100 metri”, fanno un’operazione del tutto fuorviante, perché così il numero che c’è nel testo greco sparisce e viene fuori tutt’un altro numero.

Allora, pÁcuj (pèchys) è il cubito, olio di gomito, fatica, è il diventare attivi. Cos’è il 200? È 2 volte 100. Allora ci sono 100 di un tipo e 100 di un altro tipo. Semplicissimo! 100 e 100. Nel senso che abbiamo due unità, ognuna di queste due unità è tantissime cose (centinaia), però tutte hanno il carattere comune di appartenere all’1 o di appartenere al 2.

L’1 è l’andare dell’evoluzione e il 2 è il tornare. E tutte le centinaia di fattori che sono nel 2 hanno in comune il fatto di essere nel 2, e tutte le centinaia di fattori che sono nell’1, hanno in comune il fatto di essere nella prima parte.

Questo come orientamento, non è che io vi sto dicendo che non esistono altri significati per questo 200. Però resta il fatto che nell’esoterismo il modo di trattare i numeri è qualitativo, non è quantitativo. Perciò 200 sono due numeri: c’è il 2 e poi il 100. Ma il 2 non va scavalcato, non va trascurato, non va ignorato.

Intervento: Non va considerato come un numero solo.

Archiati: Perché la parola dice: due-cento. Quindi 1 e 2, e in ognuno dei due ci sono cento, cento, cento, centinaia, tantissime cose, però a sinistra hanno tutte il carattere dell’1 e a destra il carattere del

2.

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Fig. 13

In altre parole, tutte le centinaia e centinaia di cose che gli esseri umani fanno sono di due specie, non ne esistono tre: o sono passive, o attive. O sono libere, o non libere. Tertium non datur. Devi scegliere, un terzo non c’è.

Quando la libertà, che è la spada a doppio taglio, taglia (e comunque quando faccio un qualunque taglio), quante cose saltano fuori? Tre, cinque, quattro? Due, se no non è un taglio.

E l’evento del Cristo è il grosso taglio!

21-9 “Appena scesi a terra videro un fuoco di brace con del pesce sopra”. Allora, qui c’è il mare del passato, qui c’è la spiaggia. La spiaggia è la soglia fra l’eterico e il fisico, il primo contatto con la Terra, e la Terra è il più grande carboncino di antracite che ci sia mai stato nel cosmo!

Cos’è la Terra? Ciò che viene bruciato dall’amore umano, dall’evoluzione dell’amore umano e diventa carbone. E appare la Terra nell’immaginazione del carbone.

Come sorge il carbone? Col fuoco. L’amore umano, l’evo-luzione dell’amore umano, consuma la Terra e la trasforma in carbone. Un’immaginazione che più bella proprio non esiste, è data a Pietro che non ne capisce nulla!

Intervento: Ma non c’è Tommaso fra di loro? Stava zitto, aveva già dato…

Archiati: Di Tommaso non si dice cosa capisca o non capisca. Di Pietro viene detto che non capisce nulla perché glielo deve dire Giovanni-Lazzaro che è il Signore. Quindi dicendoti che è Giovanni-Lazzaro a dirgli: “È il Signore”, il vangelo ti dice che Pietro non l’ha capito.

Tommaso c’è, però non ti si dice nulla di lui. Vuoi saperne di più? Ti dò il numero di telefono così lo chiami… Voglio dire, restiamo ai dati che ci vengono offerti, ce n’è che ne basta, capito? Tutto è di un’enorme complessità.

Se uno studia per esempio La scienza occulta di Steiner e coglie un pochino il significato della Terra nel cosmo – che è il sostrato per il fuoco della libertà umana fatta di luce e di calore, di fuoco d’amore – capisce che l’immaginazione più calzante, più bella del sacrificio di tutti gli esseri della Terra per l’evoluzione umana, è il loro accettare di venire consumati nel fuoco, nel crogiuolo dell’amore umano. Alla fine della Terra resta il carbone, come evidenza, come dimostrazione del fatto che il fuoco ha riscaldato tutto il cosmo.

La Terra è il grande fuoco acceso dall’amore e dalla libertà degli uomini per riscaldare di amore tutto il cosmo, come risposta all’amore ricevuto dal Cristo. Come un amore ricambiato. Un amore corrisposto.

Siccome tu, essere del Sole, ci hai amato all’infinito come spiriti umani chiamati alla libertà e all’amore, noi trasformiamo l’evoluzione della Terra in un fuoco di amore che la consuma, per ridarti l’amore che tu ci hai dato.

Questo destino della Terra che si consuma nell’amore umano come un carbone, è l’immaginazione di tutta l’evoluzione data a Pietro.

Giovanni-Lazzaro non ne ha bisogno, perché nel suo risveglio ha capito questi misteri, non soltanto a livello immaginativo – dove si trova Pietro – ma anche a livello ispirativo e a livello in-tuitivo. Perciò lui qui accompagna Pietro, gli dà un elemento di intuizione: “È il Signore!”.

Pietro comincia da questo livello immaginativo, e in questa immaginazione vede il significato della Terra come luogo dove si accende il calore dell’amore umano che consuma il corpo della Terra.

Intervento: Ma anche colui che scrive questa parte del vangelo è un bel pezzo più avanti di Pietro.

Archiati: Sono i discepoli di Giovanni-Lazzaro che queste cose le hanno sentite da lui. Lui gliele ha dette, ma non le ha scritte. Lui ha detto loro: queste cose non le posso scrivere a questi livelli, dove dovrei dire a Pietro: guarda Pietro che la tua missione è soltanto il primo inizio. Scrivetele voi. Però è importante che gli uomini le sappiano. Ma i discepoli che hanno scritto queste cose le hanno sapute da Giovanni-Lazzaro, no?! Da dove le potevano sapere? Con i sette c’era Lazzaro, non i discepoli di Lazzaro. Viene ben detto che Lazzaro c’è.

Buon appetito. Questa sera e domani porteremo a termine tutto il vangelo di Giovanni. Chi c’è c’è, chi non c’è, non c’è.

Domenica 27 agosto 2006, sera
21,12 – 21,17

Siamo alle prese con i primi 14 versetti del 21° capitolo, dell’ultimo capitolo. Abbiamo visto i 153 pesci. Il numero 153. Il mare, il lago, l’elemento acqueo è il subconscio, mentre tutto ciò che è a terra è l’elemento della coscienza desta.

Pescare dei pesci nell’acqua significa portare a coscienza contenuti del subconscio, perché poi questi pesci vengono portati alla riva. È detto in parole povere, ma è un aspetto fondamentale.

Che cosa abbraccia il grande subconscio dell’umanità? Tutto il passato: la fase dell’infanzia è subconscia perché precede l’acqui-sizione della coscienza desta, pienamente consapevole di quello che si fa. Quindi abbiamo a che fare con processi di presa di coscienza. L’evoluzione è sempre presa di coscienza. Diventare liberi significa prendere coscienza delle cose, capirle e quindi gestirle in proprio.

L’umanità di oggi è proprio all’inizio del portare a coscienza questi pesci, questi contenuti: per noi il mondo dello spirito è diventato il grande oceano dove non peschiamo più nulla. Cominceremo a trovare dei pesci da pescare soltanto se pescheremo a destra, soltanto se entreremo nell’oceano dello spirito per evoluzione attiva e libera, fino a poter individuare dei contenuti, fino ad avere delle percezioni nel mondo spirituale.

I pesci sono percezioni che si hanno nel mondo spirituale. Prima c’era un mare dove non distinguevi nulla, adesso vedi un pesce: è un’immaginazione, è il gradino dell’immaginazione, è un’inizio di percezione nel mondo spirituale.

Il mondo spirituale viene sempre espresso con l’immagine dell’acqua, del mare – l’eterico – ma finché questo eterico resta un tutto indistinto, dove non colgo nulla, dove non distinguo nulla, è come il sonno dove la coscienza non c’è.

Nel momento in cui comincio a distinguere: questo è un pesce più grosso, questo è più piccolo, questo è di un tipo ecc., è in tutto e per tutto il livello immaginativo della conoscenza spirituale che comincia a vedere, ad avere percezioni nel mondo spirituale, e ogni percezione ha un contenuto ben preciso. Il gradino successivo è interpretare in chiave di pensiero queste percezioni, dire cosa sono, quindi portarle a coscienza, tirarle a riva. E il terzo gradino è individuare proprio la natura degli esseri spirituali da cui origina sia la parola, sia il gesto.

Allora, per farci un’idea di come sia vero che questi testi, soprattutto il vangelo di Giovanni, siano di una grande precisione scientifica per quanto riguarda lo spirituale, e che queste immagini – la pesca, la barca, la rete, i pesci, poi il pane, il carbone ecc. – son tutte immagini che il pensiero vuol tradurre in concetti, in chiave di scienza dello spirito, adesso facciamo un cerchio. Questo cerchio è la giornata di 24 ore, un ciclo fondamentale nel quale viviamo.

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Fig. 14

Questo cerchio si divide in 12, come sapete, e da sempre questi 12 si dividono in 7 segni diurni e 5 notturni, 7 sopra l’orizzonte e 5 sotto, e anche visivamente l’orizzonte cala un pochino a destra e a sinistra.

Quindi il 12 si divide sempre non in 6 e 6, ma in 7 e 5. Il ritmo del 7 è poi il movimento di evoluzione nel tempo e il 5 sono le 5 controforze, il numero del male (cose che abbiamo fatto a varie riprese). Abbiamo 4 nel mezzo, 1, 2, 3 a destra, 5, 6, 7 a sinistra.

Perché le controforze sono 5 e non 7? Perché all’inizio non c’è ancora una vera controforza dato che c’è l’1 soltanto. La controforza comincia col 2 e finisce al 6. Quindi la controforza I corrisponde al 2; la controforza II fronteggia il 3, il massimo di controforza è il III che corrisponde al 4, poi IV è la controforza del 5 e V è la controforza del 6. Perciò il massimo di lotta fra la forza e la controforza è sempre al 6, e il grande numero pericoloso dell’evoluzione è sempre il 666, il numero della bestia. Al 7 c’è una specie di riposo, ormai la lotta è finita, c’è un consolidarsi, nel bene e nel male.

Quindi questa struttura del 12 si trasforma, in chiave di evoluzione nel tempo, in un settenario con 5 controforze – il cosiddetto male – che cominciano alla stazione 2 e terminano alla 6.

Abbiamo visto che il compito di Pietro, quello che Giovanni-Lazzaro lo aiuta ad assolvere, è quello di accompagnare l’umanità verso la coscienza. Qual è il grande subconscio dell’uomo? Qual è la grande cosa da portare a coscienza? È il karma!

Cioè, dapprima le conseguenze karmiche, gli effetti del mio operato, mi restano inconsci perché ci vuole una bella evoluzione di coscienza per rendermi conto di tutti gli effetti, di tutto quello che io provoco e causo col mio operare, in quello che dico e faccio nel mondo.

Tu, Pietro, finché gli esseri umani non saranno capaci di portare a coscienza i pesci di questo inconscio, di questo sovraconscio che sono le conseguenze delle loro azioni, perdonagli i loro peccati, perdonagli le loro azioni, perché se non sanno gestirle in proprio, non sono neanche capaci di farne il compito di libertà del loro karma.

Invece tu, Giovanni-Lazzaro, quando gli uomini cominceranno ad avere la forza di rendersi coscienti di quello che fanno nel mondo e di non scaricare barili buttando sugli altri le conseguenze e la riparazione dei danni, quando cominciano ad avere la forza di prendere su di sé le conseguenze karmiche, di portarle in proprio grazie a questa forza maggiore, tu non glieli togliere, allora, i peccati, ma conferma questa forza in modo che l’essere umano diventi sempre più forte.

L’evoluzione umana consiste nel portare sempre più a coscienza il karma, perché il karma è il grande inconscio individuale e personale. Il karma è tutto ciò che io ho causato nel mondo.

Intervento: Fai differenza fra subconscio, inconscio e grande conscio, o li usi come sinonimi?

Archiati: Come sinonimi, adesso, altrimenti complicherei troppo le cose. Intendo ciò che ancora non ho portato a coscienza. Allora, questo non ancora conscio che viene portato a coscienza è espresso in un numero. Pensate all’importanza dei numeri in tutta la tradizione esoterica della Cabala nell’ebraismo, pensate alla scuola pitagorica. Nel I volume de Le sorgenti della cultura occidentale di Steiner ci sono due o tre conferenze bellissime, tra l’altro un po’ ardue, ma molto belle da studiare, sui pitagorici: tutto il pitagorismo è fondato sui numeri.

Quale vantaggio di pensiero hanno i numeri? Che sono metafisici, sono puliti. Nel momento in cui io riferisco il numero a qualcosa, allora già sto parlando di questa cosa e non di quell’altra, né di quest’altra... Invece il numero preso come tale, una considerazione in base a puri numeri, è una via privilegiata del pensiero perché può riferirsi a tutto ciò che è 1, a tutto ciò che è 2, e così via. Per esempio:

2 significa: tutte le polarità che esistono

3 significa: tutte le polarità che esistono con la loro mediazione

4 significa: siamo a metà di un ciclo evolutivo di 7

Il grosso svantaggio, il pericolo del pitagorismo, di questo riflettere sui numeri, è che si rischia di diventare del tutto astratti, se non si concretizzano le cose. Infatti un numero si può riferire a tantissime cose, perché di 2, di realtà duali, ce ne sono all’infinito; di 1, di realtà unitarie, ce ne sono all’infinito; di 3, di realtà trinitarie, ce ne sono all’infinito.

Perciò nell’esoterismo c’è sempre stato questo amore verso il numero, però con l’aggiunta: sta’ attento a precisarlo sempre.

Ora, vorrei fare una piccola riflessione su questi due numeri speciali che ci vengono dati qui: 200 cubiti (non traducete in metri, “circa 100 metri”, come fanno alcuni testi!) e poi 153 grossi pesci.

Ogni uomo vive la giornata mentre il Sole passa per i sette segni diurni dello zodiaco, e durante la notte passa per i cinque, e poi ricomincia da capo: questo è un pesce grosso. I pesci piccoli sono le ore della giornata, i pesci grossi sono i giorni. I pesci ancora più grossi sarebbero i mesi…

Allora, pesci grossi: supponiamo che si tratti di giorni. Quanti sono i giorni in 7 mesi? 30x7=210. Quando il testo evangelico parla del numero 200 – non dice 210, sarebbe pignolo, anche nella moltiplicazione dei pani c’era il numero 200 –, una linea di riflessione è che nel tuo karma, col tuo cubito, col tuo operare attivo del braccio e della mano che ha seminato nel mondo, e che ti è inconscio (tu non sai cosa hai causato negli altri, cosa hai causato nel mondo delle piante, nel mondo degli animali, ecc.), tu hai percorso 200 cubiti in questi 7 segni zodiacali del giorno.

Adesso c’è la notte: se tu mantieni la continuità di coscienza – vedi il libro Iniziazione di Steiner: l’iniziazione consiste nel restare desti anche di notte –, cosa avviene? Di notte l’essere umano ripercorre, attraversando i 5 segni sotto l’orizzonte, tutta la giornata a livelli sovraconsci (ma li può riportare a coscienza), ripercorre tutta la giornata a ritroso. E pesca 153 pesci.

E cosa sono i 153? Sono i giorni di 5 mesi, 30x5 =150. Di questi 5 mesi, fatene 3 con 31 giorni, ed ecco i 153 pesci. (Fig. 15)

Non dico che sia l’unico aspetto di questo mistero, ma certo ne fa parte, è così evidente che anche questa prospettiva c’è. Nella notte si ripercorrono 200 cubiti, cioè ogni essere umano che si addormenta ripercorre tutta la giornata a ritroso. E quando è ritornato al mattino, si sveglia, il giorno dopo.

Intervento: Ma sono mesi o giorni?

Archiati: Il confondersi tra i mesi e i giorni è il confondersi del materialismo. Se tu invece di dire 210 (giorni) dici 7 (mesi) è la stessa cosa, però vai molto di più per sommi capi, non individui i pesci uno per uno. E potresti dire 5 (mesi) invece che 150, o 153 (giorni). Sarebbe la stessa cosa, però se io vedo 5, vedo per sommi capi, se invece vedo 153 entro molto di più nel particolare.

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Fig. 15

Intervento: In un caso vai in sintesi e nell’altro vai in analisi.

Archiati: Esatto. Quindi una riflessione è più astratta, l’altra è più concreta. E qui a Pietro viene detto: Pietro, guarda che nella conoscenza dei mondi spirituali si tratta proprio di diventare sempre più concreti e non di fare grandi astrazioni.

La fede, che non conosce, fa grandi astrazioni. Dice: è la provvidenza di Dio… sì, però la provvidenza di Dio si esprime in quello che tu, coi tuoi cubiti, cioè con le tue azioni, hai di fatto causato, ma molto concretamente, non in senso astratto.

Questo concretizzarsi dei contenuti del mondo spirituale, viene espresso nel fatto che non si parla semplicemente di 7 o 5, ma di 200 (210) e di 153.

Qualcuno mi chiedeva: ma come mai tirano questi pesci due volte alla riva? Perché ognuno ha la sua retata. Prima Pietro si è gettato nel mare, nel lago, e mentre lui si getta gli altri tirano i pesci a riva. E allora uno dice: ma adesso sono già a riva, perché poi Pietro li tira di nuovo lui, a riva? Quindi sono altri pesci, sono i suoi.

È il cammino di portare a coscienza ciò che dapprima è inconscio, un allargamento di coscienza che ognuno deve fare individualmente. Riprendiamo:

21,7 “Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: è il Signore! Simon Pietro appena udì che era il Signore si cinse ai fianchi la sopraveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare. 21,8 Gli altri discepoli invece vennero con la barca trascinando la rete piena di pesce, infatti non erano lontani da terra se non 200 cubiti” qui hanno già tirato i pesci a riva.

21,9 “Appena scesi a terra videro un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane. 21,10 Disse loro Gesù: portate un po’ del pesce che avete preso or ora”. Ma come?! Ce l’hanno lì, il pesce, l’hanno tirato a terra! 21,11 “Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di 153 grossi pesci e benché fossero tanti la rete non si spezzò”.

È chiarissimo che con un’interpretazione esteriore, materiale, il testo proprio non quadra, proprio assolutamente, diventa una cosa assurda. Se sono pesci materiali, gli altri li hanno già portati a riva e adesso Pietro va di nuovo, da solo tra l’altro, gli altri stanno lì a guardare, e da solo tira, tira, tira e quasi si spezzano le reti.

Questo spezzarsi delle reti è il pericolo che la continuità di coscienza si spezzi e allora i contenuti del subconscio, o del sovraconscio, non vengono portati a coscienza, restano nel mare del mondo spirituale, non vengono portati a riva nella coscienza desta così che uno si sveglia e dice: ho visto questo, questo e questo.

Un altro piccolo accenno: vi ho un pochino presentato questo fuoco di brace, il fuoco dell’amore e la brace della Terra che si consuma. Il corpo della Terra e il corpo dell’uomo si consumano man mano che l’uomo fa sprigionare dal corpo le forze dell’amore. Steiner ha tenuto una conferenza bellissima sulla cosiddetta eterizzazione del sangue. L’eterizzazione del sangue è un trasformare in etere calorico tutte le forze di amore; questo processo di eterizzazione consuma però il sostrato fisico del corpo, lo rende sempre più vecchio finché poi muore.

Quindi l’eterizzazione del sangue è la trasformazione di ciò che è fisico in elemento di amore, in elemento spirituale. Spiritualizzazione della materia; resurrezione della carne. Tutte espressioni che si riferiscono allo stesso mistero del diventare uomo, del diventare spirito solare intriso di luce e di calore, di pensiero e di forze di amore.

Dunque, c’era la brace e c’era del pesce: c’è l’elemento del pesce e l’elemento del frumento, del pane: 21,9 “Appena scesi a terra videro un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane”.

Il pesce ha a che fare con l’elemento dell’acqua, quindi col mondo eterico e il pane, il frumento, ha a che fare con la Terra.

Qualcuno di voi che ha studiato l’Apocalisse si ricorderà che una delle visioni più importanti sono le due colonne di Joachim e Boas, una sulla Terra e una sul mare. Sono le due parti dell’evoluzione terrestre: la prima parte che scende dal mondo spirituale per unirsi con la Terra e la seconda parte, maggiormente connessa con la Terra, che poi risale verso il mondo spirituale.

Quindi l’evoluzione della Terra si può dividere in due modi: con una colonna sull’elemento acqueo e una colonna sulla Terra. L’angelo dell’Apocalisse che appare con una gamba nell’acqua e una gamba sulla Terra.

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Fig. 16

E questo 2, questo duale dell’evoluzione terrestre, viene espresso dicendo che c’era del pesce e c’era del pane. Il pesce è il contenuto del mondo eterico, quindi è la conoscenza immaginativa, e il pane, il frumento, che è prodotto dalla Terra, sono il pensare desto dentro il corpo terreno.

Quindi il pesce è il livello immaginativo che c’era nel passato, atavico, istintivo, e che è stato perso e va riconquistato; il frumento è il frutto della Terra, è il nutrimento terrestre dell’essere umano perché il pane è ciò che il Sole produce sulla Terra. E il Sole produce nel corpo fisico della Terra i pensieri solari e l’amore umano.

Qual è il nutrimento, il pane disceso dal cielo? Sono i pensieri desti e il cuore che si accende di amore con la libertà, con la coscienza desta che si ha sulla Terra. Quindi la Terra, come carbone che viene acceso e si consuma durante l’evoluzione umana, ha queste due parti, ha questo 2: il pesce, quindi il mondo eterico, e il pane, il mondo fisico.

Intervento: I discepoli avevano pescato dei pesci, erano 153, Pietro aveva pescato altri pesci, erano altri 153?

Archiati: Il numero 153 viene citato soltanto quando si tratta di Pietro che tira a riva. Prima, quando gli altri tirano le reti a riva, non c’è un numero: trascinano con le reti “dei pesci”. Non c’è un numero. 21,10 “Disse loro Gesù: portate un po’ del pesce che avete preso or ora”.

Quindi l’essere umano è chiamato a nutrirsi del pesce che porta lui a coscienza, non del pesce che gli dava la grazia divina, del pesce della rivelazione divina che non è frutto della coscienza umana. D’ora in poi il pesce, cioè i contenuti del mondo eterico che vi nutriranno, saranno quei contenuti del mondo eterico che pescherete voi stessi, che porterete a coscienza grazie al cammino evolutivo che vi rende capaci del livello immaginativo, del pensiero vivente.

Nella misura in cui il pensiero diventa vivente, diventa capace di cogliere non soltanto le forme fisse – come fa il pensiero normale che noi abbiamo – ma anche le forme in movimento, cioè l’elemento eterico dove le forme sono tutte in movimento, non sono fisse.

Il passaggio tra il pensiero logico che noi conosciamo e il pensiero immaginativo che coglie i contenuti del mondo eterico, è un pensiero che diventa sempre più vivente, sempre più mobile, sempre più attivo, sempre più malleabile, sempre più duttile, sempre più capace di muoversi in tutte le direzioni.

È come un triangolo che non sta più fermo, ma si muove su tutti e tre i lati, accorciando e allungando continuamente ognuno dei tre lati. Che forme saltano fuori? Forme in continuo cambiamento.

Ciò che era fisso diventa in movimento, è il passaggio ad un pensiero che poi coglie, nell’immaginazione reale, i pensieri divini viventi e operanti nel cosmo. Però viventi, non fissi: viventi. Sono all’opera nella crescita del bambino, nella digestione anche dell’adulto ecc., sono all’opera in tutto ciò che non è fisso, ma che è in trasformazione, che è in metamorfosi.

21,11 “Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di 153 grossi pesci” qui arriva il numero, con Pietro, non prima – “e benché fossero tanti la rete non si spezzò”.

Che significa: benché fossero tanti? Significa: benché il loro numero fosse completo. 153 è un numero completo, non può essere più di 153 perché è la totalità di ciò che l’uomo ha operato nei 200 cubiti. Quindi il settenario dell’evoluzione è tutto ciò che ha operato.

153 significa portare a coscienza tutto il karma, non soltanto un frammento. Tutto ciò che il braccio destro col suo cubito, 200 volte, ha operato (senza però sapere cosa combinava), quindi il contenuto di 7 mesi, o di tutti i sette cicli evolutivi, nella notte viene portato a coscienza (i 153 giorni dei 5 mesi, dei 5 segni sotto l’orizzonte).

Adesso che vengo a sapere cosa ho combinato nel mondo, comincio a diventare capace di assumermene la responsabilità: se l’ho fatto io, sono io responsabile. Prima invece, che ero bambino, non avevo ancora la capacità di prendere su di me i peccati, o i risultati, gli effetti del mio operare. Adesso divento sempre più forte, moralmente più forte, e divento sempre più cosciente di quello che io causo nel mondo.

E mi nasce la voglia di ritornare sempre di nuovo nel mondo per creare un pareggio karmico in chiave di amore per tutto ciò che ho seminato in chiave di egoismo.

Ognuno di noi ha fatto tantissime cose in chiave di egoismo perché era necessario per diventare una individualità autonoma, e il pareggio karmico di tutto l’egoismo è tutto l’amore.

Per ogni atto di egoismo che ho dovuto fare – e non potevo farne a meno, era necessario – e di cui adesso mi rendo conto, il pareggio karmico è: per ogni atto di egoismo fare un atto di amore.

Cos’è l’egoismo che tutti abbiamo in misura somma? L’egoismo è una massima somma di debito karmico, perché tutto il mio egoismo è la somma di ciò che io ho sottratto all’umanità per costruire me stesso. Però ora mi rendo conto che non se ne poteva fare a meno.

Intervento: Il sano egoismo.

Archiati: Sano egoismo. Diventa malsano quando mi rifiuto di pareggiare.

Intervento: Di riconoscerlo.

Archiati: No, ma anche di pareggiarlo; non basta riconoscerlo, perché non basta tirare i pesci a riva, li devono mangiare. Tirare i pesci a riva significa rendersi conto, è il livello intellettuale, e quello è più facile; mangiarli, invece, è assimilare il proprio karma e quindi pareggiarlo. Se io sono diventato un tipo che continua a dire: io, io, io, vuol dire che ho dato un sacco di sberle, non soltanto per secoli, ma anche per millenni. Però l’abbiamo fatto tutti, non si può farne a meno.

Tutto sta a vedere se il singolo individuo se ne rende conto e adesso comincia il pareggio karmico. Per ogni sberla, una carezza – detto in senso figurato, e normalmente il testo parla per immagini. Ma non si può diventare autonomi senza dare un sacco di sberle!

La mamma è fatta apposta per non essere contenta che adesso la figlia a 14 anni va per conto suo e manda la mamma al diavolo… Se la mamma non le desse nessuna controforza… Nella pubertà bisogna far qualcosa contro la mamma, bisogna far qualcosa contro il papà, bisogna far qualcosa contro la Chiesa, contro lo Stato ecc.

In altre parole, l’assunzione dell’autonomia non può avvenire senza grosse sgomitate – ecco il cubito! L’immagine del cubito è proprio questa: farsi strada a forza di gomiti. Però, nel momento in cui io mi rendo conto che la prima parte dell’evoluzione comprende la necessità di dare delle belle gomitate, altrimenti non si diventa autonomi, dico: adesso che a forza di gomitate mi sento questa bella forza, il senso della seconda parte dell’evoluzione è di rafforzarmi ancora di più amando gli altri.

Perché ridare in chiave di amore ciò che abbiamo tolto in chiave di egoismo, non rende l’essere umano più debole: l’egoismo è metà forza dell’essere umano, l’amore è doppia forza. Nell’amore non si perde l’autonomia acquisita, si diventa ancora più forti. L’amore del prossimo è la perfezione dell’amore di sé, perché si diventa perfetti soltanto amando il prossimo. Amare se stessi è la prima metà dell’amore, l’egoismo è l’amore di sé imperfetto; l’altruismo è l’amore di sé perfetto perché porta a perfezione colui che ama.

21,12 Gesù disse loro: «Venite a mangiare» e nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?» poiché sapevano bene che era il Signore.

Adesso hanno capito. Nella visione precedente c’è stato un punto dove Giovanni-Lazzaro (il nome l’ho detto io, il testo dice “il discepolo che Gesù amava”) dice a Pietro: guarda che è il Signore! Adesso, a quest’altro punto della visione – è una visione di Pietro, eh?, però Pietro è in compagnia degli altri 6 e in tutto sono in 7 – dove hanno cominciato a mangiare, dove Pietro ha portato a coscienza i 153 pesci, è chiaro a Pietro stesso che nessuno chiede più: chi sei tu? perché tutti sanno che è il Signore.

Da che cosa riconoscono il Cristo? Dal fatto che il Cristo favorisce la presa di coscienza, quindi l’autonomia della coscienza dell’uomo. Questo è per loro il segno: ah sì, se a Lui interessa di più il nostro cammino, la nostra perfezione (è Lui che mi ha detto dove trovare i pesci, quindi gli interessa di più la mia evoluzione che non la sua), allora è l’Essere dell’Amore. È Lui. Dall’amore lo riconoscono.

Intervento: Scusa, per “non osavano” che verbo c’è in greco?

Archiati: “Dice loro Gesù: venite e mangiate”, deàte ¢rist»-sate (dèute aristèsate), venite e mangiate: è la seconda parte dell’evoluzione, dove il cammino è un mietere, un mangiare, proprio un assimilare i contenuti della Terra. “Nessuno dei discepoli osava” oÙde…j ™tÒlma tîn maqhtîn (udèis de etòlma ton mathetòn).

Ecco, ti riferisci a ™tÒlma (etòlma), “non si fidavano”, non avevano il coraggio. È una cosa semplicissima: a partire dall’ul-tima cena, ne abbiamo parlato, poi il venerdì santo ecc., Steiner presenta il tradimento di Pietro non come dovuto alla paura, ma come un fenomeno di oscuramento della coscienza di Pietro.

Ora, questa visione, è il ripristino della coscienza di Pietro, è Pietro che riacquista la coscienza. Fondamentale, importantissimo questo. Il vangelo di Giovanni proprio ci fa capire chiaramente che prima c’è un Pietro che non conosce più la sua identità, quando gli chiedono: sei tu il discepolo di Lui? No, non lo sono. Non ha più neanche coscienza della sua identità. Adesso, dopo che tutto è finito, c’è questa scena dove viene presentato, archetipicamente, il ritornare a coscienza di Pietro – ecco i pesci che vengono portati a riva.

Che cosa porta a coscienza di ciò che era accaduto mentre la sua coscienza si era addormentata, ottenebrata? Che la domanda: chi sei tu? era la domanda centrale dell’interrogatorio. Il sommo sacerdote aveva posto al Cristo la domanda religiosa: sei tu il Messia? Hai sostenuto di esserlo, e se tu ritieni davvero di essere il Messia ti facciamo fuori! E l’autorità politica, Pilato, gli chiede: sei tu il re? Qual era stata la risposta, data mentre Pietro dormiva, e che adesso porta a coscienza? Che coloro che hanno chiesto al Cristo: chi sei tu?, si sono presi una bella sberla conoscitiva!

Infatti, come risponde il Cristo alla domanda che gli dice: chi sei tu? Risponde: è una domanda stupida! Perché se io ti dico chi sono io, sei costretto a credermi e allora non fai nessun passo avanti nella tua conoscenza. La mia identità, chi io sono, “lo devi dire tu” (e non “tu l’hai detto”, come di solito è tradotto). E tu dirai di volta in volta quello che scopri in me.

Quindi non esiste che un essere umano dia all’altro elementi di conoscenza già belli e prefabbricati e l’altro li recepisca, perché questo lo fa il bambino, questa è la fede. Il Cristo non è venuto per darci degli elementi conoscitivi masticati da Lui e che noi dobbiamo solo recepire, perché allora continuerebbe a ripetere ciò che veniva dato per rivelazione, per grazia ricevuta.

Il Cristo dice: no, io sono venuto per fare proprio l’opposto! Sono venuto per rifiutarmi di darvi qualsiasi risposta, e per dire: pensaci tu!, trova tu una risposta, metti in moto il tuo processo di pensiero. E per le cose a cui non sei ancora arrivato, aspetta! A che ti serve che un altro ti dica: è così, è questo o quest’altro?

Adesso Pietro porta a coscienza questo aspetto fondamentale, essenziale del Cristo: che non dà risposta alla domanda: chi sei tu? Perciò nessuno si fida a fargliela, altrimenti si piglia una sberla: “tu devi dirlo”! Nel momento in cui mi chiedi: chi sei tu?, e ti aspetti una risposta da me, sei, in chiave di pensiero, un bel poltrone. E il mio compito non è quello di farti poltrire: svegliati!

Vedete che bello? Adesso Pietro capisce: ah, se questo qui è colui nei confronti del quale nessuno si fida a chiedere: chi sei tu?, allora è Lui!

Intervento: Ma sai da che cosa nasce la mia perplessità? Dal “non osavano perché lo sapevano”. È quel “perché lo sapevano” che fa nascere la mia perplessità.

Archiati: Sì, ma se sanno, non ha senso dire: non osavano.

Intervento: Appunto!

Archiati: Ma te l’ho detto: c’è proprio il mistero del modo in cui Lui risponde quando si fa questo tipo di domanda. Quindi sanno che questo tipo di domanda, indipendentemente dal fatto che io sappia la risposta (non è questo che importa), rimanda al suo specifico modo di rispondere. Sanno che è Colui il quale si rifiuta di rispondere a questa domanda.

Intervento: Lo sanno perché lo conoscono.

Archiati: No, non dice perché lo conoscono, sanno che la sua identità sta proprio nel fatto di rifiutarsi di rispondere a questa domanda.

Intervento: Su questo non ci piove, ma se loro lo sapevano…

Archiati: No, non sanno chi è!

Intervento: Ma come! Dice: “non osavano perché sapevano che era il Cristo”.

Archiati: No!

Intervento: Oh, così c’è scritto!

Archiati: Sì, ma son le traduzioni…

Intervento: È scritto così anche sul mio testo: “poiché sapevano bene che era il Signore”.

Archiati: Non che era Lui. Sono due cose diverse. Sapevano che era il Signore. Che vuol dire che sanno che è il Signore? Cos’è il Signore?

Intervento: L’hanno chiamato Cristo, Gesù, e anche Signore.

Archiati: No, no, no, proprio questo è il problema. Il Signore, KÚrioj (Kýrios), è la forza di gestire la conoscenza in proprio, quindi è l’opposto del chiedere ad un altro. Quindi loro sanno che è il Kýrios, la forza di pensiero proprio. Invece chiedere a un altro che mi dia lui la risposta è proprio l’opposto, è il suo negativo. Noi pensiamo che Kýrios significhi tante cose, e invece no: Kýrios è la forza dell’uomo di gestire il processo di pensiero autonomamente, dal di dentro.

Intervento: Allora però “Signore” è tradotto male.

Archiati: Ma lo sapete bene che son traduzioni. Ce lo diciamo da secoli che le traduzioni hanno perso il rapporto col greco. In greco c’è Kýrios.

Intervento: È come se il testo dicesse: non glielo chiedono perché tanto sanno chi è.

Archiati: Sì, nella traduzione. Invece non è così in greco. Non glielo chiedono perché sanno che Lui è l’opposto di colui a cui si chiede qualcosa.

21,13 Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro e così pure il pesce.

Pane e pesce. Adesso c’è prima il pane e poi il pesce: prima la conoscenza desta nel corpo fisico e poi la conoscenza nel corpo eterico, la conoscenza immaginativa, il pesce. Però adesso è un’immaginazione cosciente, non più per rivelazione divina, ma cosciente. I pesci sono le unità immaginative dentro il mondo eterico che è espresso nell’acqua (il lago). I pesci sono elementi singoli che vengono identificati dentro questo mare eterico.

21,14 Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli dopo essere risuscitato dai morti.

Adesso c’è un po’ la difficoltà che Maria Maddalena praticamente è messa via e ci sono soltanto i discepoli: quelli che ho chiamato i Dieci, prima volta; poi i Dieci con Tommaso, seconda volta; e adesso, i discepoli con al centro Pietro, la terza volta.

E Maria Maddalena? Non fa parte dei discepoli, non era una discepola, è l’anima umana. Quindi, per quanto riguarda l’ele-mento dello spirito, come manifestazione del Risorto c’è questa triade delle apparizioni: la visione immaginativa degli apostoli senza Tommaso, poi degli apostoli con Tommaso, ma soprattutto di Tommaso, perché l’interazione avviene con lui; e poi ora, sul lago di Galilea, quindi non in Gerusalemme, il protagonista è Pietro.

21,15 Quand’ebbero mangiato Gesù disse a Simon Pietro:

Adesso, in chiave ispirativa, viene articolato a livello della parola ciò che è stato portato a coscienza a livello immaginativo. Quindi il mangiare è ancora un’immagine che poi, con la parola, viene spiegata. Perciò vi dicevo che si possono considerare i primi 14 versetti al livello immaginativo: si vedono delle cose; ora ci sono dei discorsi, c’è un’articolazione del pensiero, delle parole.

21,15 «Simone di Giona…»

Jonas, Giona è quello che ha avuto l’iniziazione nel mare, nell’o-ceano: la vecchia iniziazione.

Interventi: Sul mio testo c’è Simone di Giovanni.

Archiati: Sì, lo so. Ma i manoscritti più antichi hanno: Bar Jonà, figlio di Giona. E il passaggio che Pietro sta facendo è proprio di passare da Giona – l’iniziazione antica nella balena, nel ventre della balena – a Giovanni-Lazzaro, che è l’iniziazione nel sepolcro della Terra operato dal Cristo. E quindi i manoscritti oscillano tra Bar Jonà e Bar Joàn.

21,15 «mi ami tu più di costoro?»

Dunque, la parola per “mi ami” è ¢gap´j me (agapàs me) e vi ricorderete che ¢g£ph (agàpe) è l’amore a livello spirituale, quindi un amore illuminato dalla saggezza, che si chiede qual è il bene della persona amata, che cerca oggettivamente il bene della persona amata. Allora, a seconda dell’elemento portante, il greco ha tre denominazioni per l’amore:

¢g£ph (agàpe)

è

l’amore spirituale

oggettivo;

fil…a (filìa)

è

l’amore dell’anima

è sentimento, inclinazione, amicizia, – una persona mi piace, mi trovo bene con lei;

œrwj (èros)

è

l’amore del corpo

l’attrattiva a livello del corpo, soprattutto fra il maschile e il femminile.

Il Cristo non chiede: file‹j me (filèis me)?, chiede: ¢gap´j me (agapàs me)? Il che significa: Pietro, mi ami tu di amore spirituale? Perché se tu mi ami di amore spirituale sei un uomo spirituale; se invece mi ami soltanto di amore animico, sei uomo dell’anima, il tuo principio conduttore è l’elemento dell’anima. Niente di male, però sei ad un gradino evolutivo dove la dimensione dello spirito va ancora conquistata.

C’è poi la dicitura “più di costoro”, che non è di facile lettura perché consente due significati fondamentali. “Più di costoro” può significare: mi ami tu più di quanto costoro amano me? Oppure: mi ami tu più di quanto ami costoro? Tutti e due i significati sono possibili per il greco.

Ma il Cristo non chiede: ami tu me più di quanto costoro amano me?, ma chiede: ami tu me più di quanto ami costoro? Cosa vuol dire amare il Cristo più dei propri amici? Vuol dire amare in ogni uomo il meglio di lui, perché il Cristo è il meglio di ogni uomo.

Ami tu, negli uomini che ami, l’anima, oppure ami in loro lo spirito? Se ami in loro lo spirito, allora ami me in loro. Mi ami più di come ami la loro anima? Se tu ami il loro spirito, ami me, ami lo spirito dell’Io, ami lo spirito del singolo nell’uomo, più che il loro vissuto personale, che è la loro anima.

In altre parole, la domanda del Cristo dice: Pietro, tu sei al livello dello spirito o sei al livello dell’anima?

Allora, in greco: S…mon ‘Iw£nnou, (‘Iwn£) ¢gap´j me plšon toÚtwn (Sìmon Ioànnu (Jonà) agapàs me plèon tùton?).

21,15 Dice a lui Pietro: «Sì, Signore, tu lo sai che io ti amo di amore animico»

Intervento: Gli dice: ti voglio bene.

Archiati: Nai KÚrie, oŒdaj Óti filî se (nài Kýrie, sy òidas òti filò se). Filî se (filò se): Pietro risponde con tutt’altro verbo! Tu lo sai… Il Cristo certo che lo sa, non ha bisogno che Pietro glielo dica, ma il fatto che glielo chieda è per portarlo a conseguire questa conoscenza di sé.

Allora il Cristo gli dice: sì, certo che io lo so, però m’importa che lo sappia tu, che porti tu a coscienza il fatto che sei un essere dell’anima e non ancora un essere dello spirito.

Pietro ha detto: io ti amo di amore animico, per inclinazione, perché proprio mi sento bene stando con te. Un amore di amicizia, tant’è vero che Pietro già una volta aveva esclamato: se andiamo via da te, dove andiamo?! Il Cristo (6,68) aveva chiesto: volete andare anche voi? E Pietro era stato quello che aveva risposto: se andiamo via da te, dove andiamo? Sei l’amico migliore che c’è, mi sento bene vivendo con te.

Allora, Pietro dice: no, il mio elemento è l’anima, l’elemento in cui vivo è l’anima.

21,15 Gli dice: «Pasci i miei agnelli»

21,16 Dice a lui la seconda volta: «Simone di Giona, mi ami di amore spirituale?». Dice a Lui: «Sì, Signore, tu lo sai che ti amo di amore animico». Dice a lui: «Conduci le mie pecorelle».

21,17 La terza volta gli dice: «Simone di Giona, mi ami di amore animico?» Si rattristò Pietro poiché la terza volta gli ha detto: Mi ami tu di amore animico? Egli dice: «Signore tu sai tutto, tu sai che io ti amo di amore animico». Dice a lui il Cristo: «Pasci le mie pecorelle».

Vedremo che tutte e tre le domande sono diverse e tutti e tre i mandati sono diversi. Diversi nel senso che la prima domanda (21,15) dice: mi ami di amore spirituale, ¢gap´j me (agapàs me), più di quanto ami costoro? La seconda domanda (21,16) dice: mi ami di amore spirituale, ¢gap´j me (agapàs me)? e lascia via “più di costoro”. La terza domanda (21,17) chiede: mi ami di amore animico, file‹j me (filèis me)? Quindi nella terza domanda il Cristo scende giù di grado.

Tutte e tre le domande sono diverse. Pietro le prime due volte risponde: no, non sono al livello dell’¢g£ph (agàpe), sono al livello della fil…a (filìa). La terza volta, siccome il Cristo nella sua domanda è sceso alla fil…a (filìa), Pietro è triste.

Quindi Pietro rimane addolorato non per la terza volta, ma alla terza volta, perché il Cristo non dice nulla per la terza volta. Rimane addolorato per il fatto che la terza volta, invece di chiedergli: ¢gap´j me (agapàs me) “mi ami di amore spirituale?”, il Cristo stesso cala di grado e dice: allora mi ami di amore animico.

E siccome il Cristo la terza volta (ripeto: non “per la terza volta”, che non c’entra nulla) scende Lui stesso al livello della fil…a (filìa) – e va bene, non ho il diritto di chiederti ciò che ancora non sei capace di dare, l’amore spirituale – Pietro si addolora.

Intervento: Però ha capito!

Archiati: Però ha capito. Sperava che il Cristo lo facesse passare di grado senza evolversi! E adesso che il Cristo dice: no, no, a quel grado sei, e passare di grado è un lungo cammino… Pietro si addolora, e così dimostra chiaramente che è un essere umano che vive nell’elemento dell’anima e la prospettiva dello spirito è tutta da conquistare. Il Cristo dice: niente di male, Pietro, è proprio il bello dell’evoluzione di potersi conquistare qualcosa… Ma Pietro è addolorato.

Quindi questo sentirsi addolorato, triste, è proprio il dover dar atto che gli mancano anche le forze di attività per godersi il da fare, forze che perciò vanno conquistate. Godersi il da fare è proprio una delle conquiste più importanti del cammino evolutivo. Tanti esseri umani si lamentano per ogni difficoltà che salta fuori; invece, uno dei passi in avanti più significativi è arrivare a una struttura psicologica che proprio in partenza, man mano che le cose diventano più difficili, gode. Perché uno dice: ah, adesso c’è un po’ più da fare! Il fatto di addolorarsi dove c’è la difficoltà, oppure esserne contento e affrontarla volenterosamente, è questione di evoluzione interiore.

Intervento: Forse è anche comprensibile il sentimento di Pietro, ma da un altro lato poteva invece rallegrarsi perché il Cristo, in fondo, gli è andato incontro. C’è anche questo aspetto.

Archiati: E allora perché è addolorato?

Intervento: È comprensibile che lui si senta meno di quello che pensava di essere; ma non vede che non viene lasciato solo dov’è, non vede che c’è questo venirgli incontro dall’altra parte, di essere accettato così com’è.

Archiati: Certo, in questa prospettiva evolutiva il Cristo gli dice: va bene qualsiasi punto di partenza: basta partire!…

Intervento: Sì!

Archiati: Allora perché il dolore? È che non si è ancora conquistato evolutivamente la gioia del partire e del mettersi in movimento, una gioia che non ci viene data per grazia: va conquistata. La natura ti dà la tristezza: mannaggia me devo sforzà! Porca miseria! Questa è la reazione della natura, dell’anima: l’anima reagisce così. Perciò la prima conquista è proprio di partire volentieri.

Si rammaricò, si rattristò. Se la natura ci desse la gioia, la voglia di andare avanti, sarebbe tutto a posto, il mondo andrebbe benissimo, scusate! Se non ci fosse l’inerzia da vincere andrebbe tutto bene. Quindi questo rammarico è l’inerzia della natura.

Intervento: Per questo gli animali son tutti tristi!

Archiati: No, no! L’animale è lo specchio dell’anima umana. Se l’animale, un cagnolino, vive accanto ad un’anima piena di energia, quest’anima piena di energia vede la sua gioia nel cane; se invece l’anima dell’uomo è piena di tristezza, vede la tristezza nel cane. Ma è vero, il cane partecipa. Il cane non ha la possibilità di avere una gioia sua quando il padrone è triste, e non ha la possibilità di avere una tristezza sua quando il padrone è sereno e lieto. Se il padrone è lieto, è lieto il cane; se il padrone è triste, è triste il cane.

Intervento: Scusa Pietro, facciamo un riassunto dei “mi vuoi bene”. La prima domanda del Cristo è al livello dell’¢g£ph (agàpe) e Pietro gli risponde: filî se (filò se). La seconda domanda del Cristo è sempre al livello dell’¢g£ph (agàpe)?

Archiati: Sì. Allora, ripeto:

Domanda 1: Simone di Giona, mi ami tu spiritualmente – ¢gap´j me (agapàs me)? – più di costoro?

Domanda 2: mi ami tu spiritualmente? – ¢gap´j me (agapàs me)? (senza “più di costoro”).

Domanda 3: mi ami tu animicamente? – file‹j me (filèis me)?

Quando le traduzioni dicono “per la terza volta”, ma santa pace! bisogna esser ben… scusate, disonesti!, perché “per la terza volta” significa che ha fatto tre volte la stessa domanda. Ma nel testo greco è così chiaro che ogni volta è diversa la domanda!

Il cambiamento da “mi ami più di costoro” a “mi ami” senza “più di costoro” è già un bel cambiamento; ma poi la terza volta dice: file‹j me (filèis me)?, e lo dice per la prima volta. E vi traducono: per la terza volta.

Intervento: E le risposte di Pietro sono sempre…

Archiati: Allora, le risposte di Pietro. La prima volta risponde: Sì, Signore, tu lo sai che io ti amo a livello animico, filî se (filò se). La seconda è la stessa. La prima e la seconda risposta di Pietro sono del tutto uguali. Quindi Pietro non ha neanche notato che il Cristo nella seconda domanda ha cambiato qualcosa, perché dà esattamente la stessa risposta.

Invece alla terza domanda Pietro si accorge che adesso il Cristo è calato, e alla terza domanda Pietro risponde: “Tu sai tutto, tu sai che io ti amo animicamente”.

Intervento: Ancora! Risponde sempre uguale.

Archiati: Sì, la risposta di Pietro è sempre: io qui sono e qui resto. Allora, adesso vediamo, nelle parole del Cristo, le tre missioni. La prima volta c’è “pasci”, bÒske (bòske), la seconda volta “conduci”, po…maine (pòimaine) e la terza volta bÒske (bòske), “pasci”.

Che differenza c’è fra pascere e condurre ai pascoli? La differenza è fondamentale. Qui non so quanti pecorai ci siano, o quanti contadini che hanno portato mandrie di vacche… La differenza è enorme: Quando dice a Pietro: pasci!, significa che i campi di pastura vengono dati dalla divinità e lui deve soltanto sopravvedere al pascolo. Invece: conduci le mie pecorelle!, significa: tu devi portarle dove c’è da pascolare. E la terza volta, invece, è di nuovo: pasci!

Intervento: Scusi, sono imperativi, perché in italiano è uguale.

Archiati: Tutti imperativi.

Intervento: Noi abbiamo tutt’e tre le volte: pasci! Pasci, pasci e pasci: e cambiano solo gli animali, una volta sono agnelli e una volta sono pecorelle.

Archiati: Eh no!! Però tu hai il greco lì vicino.

Intervento: No, io non ce l’ho il greco, me lo scrivo quando lo dici tu.

Archiati: E allora: la prima volta 21,15 dice: “Pasci i miei agnelli”, bÒske ¢rn…a mou (bòske bta arnìa mu); la seconda volta 21,16 è: “Conduci le mie pecorelle”, po…maine prÒbat£ mou (pòimaine ta pròbata mu): il pastore va avanti, conduce le pecorelle e le pecorelle lo seguono.

Quindi le pecorelle sono in cammino dietro al pastore alla seconda risposta; invece alla prima risposta sono agnelli, con le corna, quindi c’è un progetto di futuro dell’umanità. L’agnello è la pecora maschio, che diventa attiva e le due corna sono le due correnti eteriche del pensiero autonomo.

Allora, come prospettiva evolutiva umana, dove c’è il pensiero autonomo non c’è bisogno del pastore a cui andar dietro, del pastore che mi guida perché soltanto lui mi può indicare dove c’è da pascolare. No! Dove si tratta di agnelli, di arieti – l’ariete nell’Odissea, col ciclope Polifemo[11] – quelli pascolano dappertutto, non hanno bisogno di seguire il pastore, perché ogni frammento di mondo lo penetrano col pensiero e quindi ogni percezione è un pascolo. L’ariete, l’agnello, non ha bisogno di andare ad avere altre percezioni, qualsiasi percezione salta fuori, gli basta: l’importante è penetrarla col pensiero.

Quindi i pascoli, per chi sa pensare attivamente, individualmente, in proprio, son tutte percezioni che saltano fuori. Non ho bisogno del pastore che mi dica: devi andare a vedere questo, devi andare a leggere quest’altro. No! Basta che apro gli occhi e ne ho abbastanza.

Il primo livello, la prima missione, sta proprio a dire a Pietro: no, questa è troppo alta per te, dobbiamo scendere giù. Se tu fossi al punto dell’amore spirituale che ama me, lo spirito di tutti gli uomini, addirittura più dell’anima degli uomini – “mi ami più di loro?” – allora avresti il compito (che però tu, essendo uomo dell’anima, non hai) di pascere gli agnelli, di avere a che fare con esseri umani che diventano sempre più autonomi. Chi pasce gli agnelli non fa nulla, è soltanto lì per poi alla sera portarli a casa; ma mentre pasce gli agnelli non fa nulla, perché ci pensano da soli a sbafare il pascolo che c’è.

Con la seconda missione scende giù, ma se voi avete tre volte “pasci”, allora non ci siamo! La seconda volta dice “conduci”, po…maine (pòimaine). È il pastore che va avanti e le pecorelle gli vanno dietro. Questo è il cristianesimo petrino.

Intervento: Quindi si riferisce alle pecorelle, non più agli agnelli.

Archiati: Alle pecorelle. Il pastore che conduce le pecorelle sa lui dove c’è da brucare, le pecorelle non lo sanno, devono andare dietro a lui; quindi le immagini sono importantissime e se le traduzioni, anche la seconda volta dove si tratta di “conduci da pastore” – poim»n (poimèn) è il pastore –, vi mettono ugualmente: “pasci”, allora chi legge non ha nessuna possibilità di farsi un’idea di quello che c’è in greco.

Intervento: Senti, ma perché vengono date tre risposte quando il livello di Pietro è ben preciso, è stato definito, no?

Archiati: Sì, ma un conto è il livello a cui Pietro si trova e un conto è portarlo a coscienza, metterlo a fuoco in modo da capirlo fino in fondo. Un processo di autocoscienza non avviene di botto, avviene in tre gradi. Ci deve arrivare lui, capito? Il Cristo pone le domande in modo che Pietro arrivi a capire; perché una cosa è ciò che Pietro è, a che gradino è, e un’altra cosa è che se ne renda assolutamente conto. E poi, a seconda delle domande del Cristo, Pietro viene a sapere, di riflesso, che ci sono altri livelli evolutivi.

Intervento: Quindi è una presa di coscienza di Pietro.

Archiati: Sì, che non avviene di botto, è un processo. Perciò una triade di passi, diciamo tre gradini – omne trinum est perfectum.

Allora, rivediamo meglio la terza risposta: 21,17 “La terza volta gli dice: «Simone di Giona, mi ami di amore animico?» Si rattristò Pietro poiché la terza volta gli ha detto: Mi ami tu di amore animico? Egli dice: «Signore tu sai tutto, tu sai che io ti amo di amore animico». Dice a lui il Cristo: «Pasci le mie pecorelle»”.

“Dice a lui la terza volta” lšgei autù tr…ton (lèghei autò to triton), non “per” la terza volta, perché è la prima volta che gli dice: file‹j me (filèis me), mi ami con inclinazione animica? “Signore, tu sai tutto!” KÚrie p£nta oŒdaj (Kýrie pànta su òidas). Eh!, il Cristo vorrebbe dirgli: certo che so tutto! Ma qui non si tratta di quello che so io, si tratta di quello che sai tu, o che devi portare a coscienza tu! Il Cristo vuol dire: a te che importa che io so tutto?, qui non si tratta di quello che so io, si tratta di quello che devi sapere tu.

“Gli dice il Cristo: pasci le mie pecorelle!” bÒske prÒbat£ mou (bòske ta pròbata mu). Quindi neanche pastore sei, che sa a quali pascoli condurle; no, i pascoli glieli dà la grazia divina, loro sono pecorelle, però i pascoli da mangiare glieli dà la grazia divina e tu stai soltanto a guardare.

Intervento: Cioè ripete la prima…

Archiati: No, alla prima c’erano gli agnelli.

Intervento: Il verbo dico, ripete il verbo, cambia l’animale.

Archiati: Sì, il verbo ripete la prima.

Intervento: Gli agnelli nel primo caso sono più indipendenti del terzo.

Archiati: Ma certo! Perciò il primo gradino esprime il futuro a cui Pietro ancora non si trova: la prospettiva del futuro.

Intervento: Gli agnelli sono più grandi delle pecorelle.

Archiati: Ma certo! Sono autonomi. Hanno le due corna del pensiero.

Intervento: Però agnello in italiano vuol dire cucciolo…

Archiati: Sì, sì, perciò sarebbe meglio tradurre “capro” o, di riflesso dell’Apocalisse, “ariete”.

Intervento: L’agnello dà il senso del cucciolo da accudire.

Archiati: No, è lo stesso termine che c’è nell’Apocalisse: l’agnello che rappresenta il Cristo e che liberamente si è offerto, si è immolato per l’umanità, a partire dalla sua libertà.

La pecora è femminile e tutto ciò che è femminile, nei vangeli, non ha nulla a che fare con maschi e femmine fisici: è il femminile in ognuno di noi, come c’è il maschile in ognuno di noi. Il femminile nell’essere umano è l’anima, è l’elemento passivo, ricettivo; il maschile nell’essere umano, uomo o donna che sia, è l’elemento attivo dello spirito.

Quindi tutto ciò che si riferisce a impulsi dello spirito viene sempre espresso con immagini maschili. Tutto ciò che si riferisce alla capacità – che ci vuole – di ricevere, non solo passivamente, ma insomma di ricevere con gratitudine, si esprime sempre con una simbologia femminile.

In italiano c’è anche la parola “animo”, ma non è l’anima.

I versetti 18 e il 19 li facciamo domani. Adesso volevo lasciare un minuto e mezzo a tutte le domande vostre, se no!…

Intervento: L’immagine di Pietro sulla barca, quando si cinge i fianchi, vuol dire che dai fianchi in giù, dalla Bilancia in giù, tutto è coperto, è ancora oscuro all’uomo?

Archiati: Perché no?! Se lo prendi come spunto di partenza per articolare un discorso. Detto così uno ti dice: sì, vabbè, non posso dire nulla pro, né nulla contro.

Intervento: Appena arriva il Cristo, Pietro si cinge dai fianchi in giù – cioè, riferendo le parti costitutive fisiche del corpo umano allo Zodiaco, si copre dalla Bilancia ai Pesci[12] – e si tuffa in mare. Il che significa che davanti al Sole c’è una parte coperta?

Archiati: Se tu chiedi all’assemblea se quello che stai dicendo è comprensibile e chiaro a tutti, molti ti diranno: no. Spiegati un pochino.

Intervento: Ho difficoltà ad articolare tutto il pensiero.

Archiati: Ecco, e probabilmente non sarebbe facile. Non sarebbe facile. Allora, se capisco bene dove vuoi andare a parare, posso dire qualcosa sui misteri antichi – mi riferisco ad un paio di conferenze di Steiner che vi riassumo, e mi pare che al capitolo 14 già ne avevamo fatto un accenno.

Qui (Fig. 17) c’è dunque l’Ariete, e cosa c’è opposto all’Arie-te? La Bilancia. Poi, sotto l’Ariete ci sono i Pesci e opposto ai Pesci c’è la Vergine. Poi sopra l’Ariete c’è il Toro e opposto lo Scorpione.

Allora, negli antichi misteri egiziani, si diceva che questo asse orizzontale, Ariete-Bilancia, è l’asse del sentimento. L’Ariete è la posizione attiva del sentimento, quindi il coraggio, e la Bilancia è piuttosto l’equilibrio, sì, la prudenza. Il Toro e lo Scorpione formano l’asse della volontà, e Pesci-Vergine è l’asse del pensiero.

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Fig. 17

Perché sono duplici tutt’e tre? Sono duplici perché se noi consideriamo sia il processo del pensare, sia quello del sentire, del vissuto, sia quello della volontà, se li consideriamo proprio processualmente tutti e tre, vediamo che c’è un punto di partenza e un punto di arrivo.

Qual è il punto di partenza del processo volitivo? La decisione. Qual è il punto di sfocio, di arrivo del processo volitivo? L’azione. Quindi il Toro, gli esseri spirituali del Toro, immettono nella Terra, nell’umanità le intenzioni, gli atti di volontà, diciamo le decisioni volitive. Non si tratta di quando uno dice “vorrei”, ma di quando dice “voglio”!

Il “voglio” è illuminato, è al di sopra, è nella parte diurna della coscienza, perché se uno vuole senza sapere cosa vuole, non vuole nulla.

Nel momento in cui metto in processo di realizzazione ciò che voglio, entro in interazione col mondo oscuro della natura, delle leggi di natura e quindi mi si oscura la volontà. Agire significa oscurare la volontà, perché si può agire soltanto venendo a compromessi col reale; nessuno può realizzare in modo puro un impulso volitivo, perché vuol dire non fare i conti col mondo reale.

Quindi lo Scorpione è il martellare cieco. L’agire, non più il volere, ma l’agire. E nell’agire c’è un oscuramento massimo di coscienza, rispetto al volere. Questo è il mistero della volontà. Ti dicono: Ma tu non volevi fare questo e quest’altro?... Sì, ma poi nel corso del fare, quello non si può, quell’altro non si può, uno mi spinge di qua, uno di là… e più di tanto non m’è riuscito! È il mistero della volontà.

Vediamo il mistero del pensiero. C’è una partenza e c’è un punto di arrivo del pensiero. Qual è la partenza del pensiero? La percezione. Ecco i pesci di Pietro: sono elementi di percezione. Percezione sensibile nel mondo visibile, percezione immaginativa nel mondo eterico: però sempre pesci sono. Quindi il segno zodia-cale dei Pesci sono gli esseri spirituali – ma è proprio reale, eh?! – che ci mettono a disposizione le percezioni, sia quelle fisiche, sia quelle spirituali nel mondo eterico.

Man mano che io interpreto in chiave di pensiero la percezione, creo il concetto e il concetto è il pane che nutre lo spirito umano che scende dal cielo. La spiga. Io sono il pane disceso dal cielo. L’anima vergine porta una spiga. E la spiga sono i pensieri. Cosa sono i pensieri? Unità di nutrimento del Logos cosmico, che vengono a nutrire la verginità dell’anima. L’anima è vergine in quanto si apre al nutrimento dello spirito. Nel 6° capitolo abbiamo visto che per 12 volte si parla del pane che discende dal cielo. Il pane che discende dal cielo sono i pensieri divini che vengono a fecondare l’anima vergine, che ha la spiga.

Il terzo mistero è quello del sentimento. Il sentimento ha un sorgere, un manifestarsi che è l’inizio del sentimento, e poi c’è il modo di gestirlo.

Prendiamo, ad esempio, un’arrabbiatura. Da una parte me la ritrovo, perché nessun essere umano può gestire il sorgere dei sentimenti: sorgono per karma, e quindi ognuno si piglia i sentimenti che sono previsti nel suo karma.

Dall’altra parte, però, alla libertà appartiene il gestire – vedi l’equanimità nei sei esercizi[13] –, il modo di esprimere un sentimento. E la legge dell’espressione di un sentimento è l’equilibrio, la Bilancia, il giusto equilibrio tra il troppo e il troppo poco. Se esprimo troppo poco reprimo un sentimento, se lo esprimo troppo mi lascio subissare. Quindi nel modo di esprimere un sentimento l’uomo può acquisire sempre più libertà.

Invece l’Ariete trova il pascolo già bello e fatto, e la forma suprema di interazione con l’uomo – pasci i miei agnelli, pasci i miei arieti – è che il pastore sta a vedere quali pasciture si fanno. Così è stare a vedere quali sentimenti sorgono nell’altro, perché sorgono per karma. E l’altro sta a vedere quali sentimenti sorgono in me, perché sorgono per karma. A seconda di come è stato il karma, nel passato, in te, in me, in lui, in lei ecc., sorgono ora questo sentimento, ora quest’altro, ora quest’altro ecc.

Nel momento in cui l’essere umano porta a coscienza quali sentimenti nascono in lui – quindi pasce, porta a coscienza cosa sta pascolando – diventa capace di gestire, nella libertà, l’espres-sione del sentimento.

Prendiamo la tristezza. La tristezza sorge come sentimento: mi sento triste. Questo è un fatto di karma. Però, se sono in società, non posso pensare, adesso, a quello che c’è da fare per via della tristezza. Quando, fra due ore, starò nella mia stanzetta mi farò una bella piagnucolata. Se invece non sono capace di controllare l’espressione della tristezza, mi metto a piangere in pubblico e magari metto a disagio gli altri.

Nessuno di noi pretende dall’altro che sia capace di decidere quali sentimenti debbano nascere o non nascere in lui, perché nessuno di noi lo può fare. Però ognuno di noi vorrebbe pretendere dall’altro che sia capace di padroneggiare il modo di esprimerli.

Avete visto, quando io sono venuto a sapere che hanno stampato una menzogna contro di me[14], m’è venuta una rabbia di quelle! Però il modo di esprimerla è stato così dolce che… mi sono padroneggiato in modo assoluto! Speravo che l’aveste visto, e se non l’avete visto vi compro un paio di occhiali, via!

La scienza dello spirito ci riporta un piccolo frammento di scienza iniziatica che c’era ai tempi degli egiziani ed era andata persa: adesso Rudolf Steiner ti rispolvera questi pesci, li riporta alla coscienza desta e ci fa tutto un ricamo di pensiero per cui uno oggi capisce cose che l’egizio aveva davanti magari intuitivamente, per chiaroveggenza atavica, però non le capiva più di tanto. Il compito della scienza dello spirito è di capirle sempre di più.

Per esempio, a questo punto, l’elemento più importante del segno della Vergine non è la verginella, è la spiga. Se al segno zo-diacale della Vergine portate via la spiga, è via tutto, è finito tutto.

Intervento: È anche la stella più brillante di quella costellazione.

Archiati: Sì, hanno chiamato la stella più brillante Spica, ma non è l’opposto il fenomeno, capito? Hanno voluto dire: l’elemento più significativo, più brillante di questo segno zodiacale è la spiga. Perché non hanno chiamato quella stella più brillante Virgo? Perché la Virgo è meno importante della Spica. La Spica, la spiga, è il pane, il frumento, come frutto dell’operare del Sole nella Terra, come nutrimento dello spirito umano.

Cos’è la spiga? Sono i pensieri del Logos come forze formanti nel corpo della Terra. La spiga è un frammento di fantòma, anzi un fenomeno originario del fantòma.

Buonanotte a tutti. Domani ci troviamo alle dieci meno un quarto e finiamo il vangelo di Giovanni. Chi c’è, c’è e chi non c’è, non c’è!

Lunedì 28 agosto 2006, mattina
21,18 - 21,25

Stiamo affrontando il nostro amico Pietro, e lui sta affrontando il problemino del suo rapporto con Giovanni-Lazzaro.

Io, se volete, ho un mio aggancio personale con questo Pietro. In famiglia noi siamo dieci fratelli: prima son venute due sorelle, e i miei genitori hanno avuto una grande fortuna-sfortuna perché un contadino deve aspettare che venga il maschietto. In terzo luogo è venuto mio fratello Domenico, il primo maschio, due anni più anziano di me, e così era assicurato colui che avrebbe preso in mano l’azienda.

Infatti, i maschietti che vengono dopo non sia mai che prendano in mano l’azienda anche loro, perché allora bisogna dividerla! Una volta arrivato il primogenito, che prende il nome di uno del parentado, i maschietti che vengono dopo vanno… alla Chiesa! E da sempre si faceva così

Visto idealmente, è come un ultimo approdo del cristianesimo petrino, perché i miei genitori – adesso sono tutti e due nel mondo spirituale e ne posso parlare, mio padre è morto l’anno scorso a 93 anni – vivevano un cristianesimo proprio profondo, eh! Da piccolo, quando non c’era nulla, c’era tanta gioia, tanta fede e la mamma diceva: non ci manca nulla, finché abbiamo il Cristo non ci manca nulla! Era più reale Lui che non tutte le capre e le pecore che c’erano… e le vacche.

Allora, dopo il primogenito, il primo che è venuto sono io: Pietro. Dopo un altro maschio: Paolo…e tutt’e due siamo diventati preti.

Intervento: E il terzo Giovanni!

Archiati: No, poi è venuto Arturo, che è morto a 6 anni. In questi contadini, ma proprio cristiani cattolici, viveva il cristianesimo di Pietro, ancora dopo 2.000 anni, così, spontaneamente… I miei genitori non erano in grado di distinguere il Cristo dalla Chiesa. Magari i loro figli, poi, hanno distinto le due cose (io soprattutto, con la trafila che ho fatto!). Ma loro come facevano? Per mettersi in contatto col Cristo c’era la Chiesa, dove si viveva la transustanziazione, l’ostia che si alzava, che era il Cristo, che per loro era veramente reale… E non stavano a vedere, non ne avevano neanche il tempo, se il prete era bravo, più o meno bravo, non gli interessava proprio: gli interessava il Cristo, però il Cristo lo trovavano in Chiesa.

Allora, il primo figlio dopo il primogenito: Pietro, e il secondo: Paolo. Il desiderio dei miei genitori che si unissero con la Chiesa era così forte, che difatti è stato proprio così. Io ho lasciato la terra e sono stato contento che mio fratello Domenico sia rimasto a dedicarsi alla terra, perché se non ci fosse lui a darci il fondamento di ciò che mangiamo, l’umanità non potrebbe campare. Se mio fratello Domenico avesse fatto la stessa strada (ha una struttura uguale alla mia), sarebbe stato tale e quale a me. Paolo è venuto 7 anni dopo, e lui è diverso. Invece io e mio fratello Domenico siamo molto vicini: lui si è dedicato alla terra, come fondamento corporeo di tutto il cammino spirituale che noi possiamo fare. Tant’è vero che lui si digerisce i miei libri, ma adesso, negli ultimi anni, legge sempre di più Steiner. Dice: Pietro, te sei bravo, però Steiner è molto più bravo! E io gli ho detto: non credere mica che ti incoraggi a lasciare Steiner per leggere Pietro Archiati, no, no, continua con Steiner che vai molto meglio!

Questo mistero di Pietro è proprio il mistero del cristianesimo petrino. Le parole che noi adesso stiamo vedendo, alla fine del vangelo di Giovanni, sono nell’ultimo capitolo, il 21°, che è stato scritto dai discepoli che possono parlare un po’ più liberamente, e si incentra sull’identità di Pietro e di Giovanni.

Sappiamo che Giovanni è Giovanni-Lazzaro, colui che il Cristo ha risvegliato, l’iniziato dal Cristo – e non si può pensare che, come post ludium di un vangelo di questo tipo, qui si tratti solo delle due personalità Pietro e Giovanni. Si tratta invece di due tipi di cristianesimo, di due tipi fondamentali della sequela del Cristo che queste due individualità incarnano.

Le due affermazioni fondamentali sono: Pietro, tu sei colui che mi deve seguire a ruota e l’altro deve aspettare. Ora, nell’af-fermazione che dice: l’altro deve aspettare, è implicito che il mandato di Pietro – e che Pietro lo capisca o no, nel corso dei 2.000 anni, questa è un’altra cosa – ha un inizio e una fine perché poi deve venire l’altro. Altrimenti il Cristo avrebbe detto: Pietro, l’altro non c’entra, tu sei colui che mi seguirà per tutta l’eternità.

Eravamo arrivati proprio ai versetti 18 e 19, li dobbiamo ancora leggere, in cui si dice: Caro Pietro, guarda che il tuo operare nell’umanità ha due fasi. Una fase di gioventù, e lì te la godrai, la gioventù, che è una gran bella cosa, e nella gioventù farai quello che vorrai, cioè avrai la possibilità di far valere nell’umanità la tua volontà. Poi, nella seconda fase, diventerai vecchio e il carattere fondamentale di questa tua vecchiaia è che non avrai più la possibilità di imporre il tuo spirito: “verrà un altro a cingerti, un altro a portarti dove tu non vorrai”.

In questo cristianesimo petrino, il millennio dall’anno 0 all’anno 1.000 è stato quello della gioventù e la forza portante è stata veramente la fede. Questa è la giovinezza di Pietro, del cristianesimo di Pietro: era giovane e questa fede era bella. Nel secondo millennio è diventato sempre più vecchio, sempre più vecchio, ed è venuto un altro a cingerlo – la scienza naturale, il materialismo dell’umanità –, a portarlo dove lui non vuole, non può volere. La scienza ha subissato la fede.

Non è che io voglio dire: è l’unico significato di questa affermazione del Cristo, ma è chiaro che vi appartiene in modo assoluto perché lo vediamo bene che il mandato di Pietro ora viene alla fine, sta finendo, ha sempre meno presa. Il papa che rappresenta tutt’oggi nell’umanità? Adesso c’è un papa tedesco, addirittura: per i tedeschi è una gran bella cosa, se la sono meritata, perché se no… dopo Auschwitz… secondo alcuni non dovrebbero più aprire la bocca in eterno. Quindi per fortuna si son pigliati un papa tedesco.

Ma il papa sta portando l’umanità nel senso del Cristo? Lui la sua buona volontà di Pietro ce l’ha, anche se è diventato vecchio ce l’ha, ma non ha più la forza di fare quello che vuole. Dice ai potenti che bisognerebbe, bisognerebbe, bisognerebbe… ma lo sa che i potenti fanno quello che vogliono loro, e portano l’umanità dove vogliono loro, non dove vorrebbe lo spirito del Cristo che il papa vorrebbe ben incarnare.

Quindi il rappresentante di Pietro, il cristianesimo petrino, ci dimostra giorno per giorno la sua vecchiezza e la sua impotenza di fronte a forze nuove e ad uno spirito diverso. Il testo dirà: 21,18 ¥lloj se zèsei (àllos se zòsei) un altro, uno spirito diverso, di natura diversa, estraneo a te, ¥lloj (àllos).

Propedeutica preparatoria a questo secondo millennio, a questa vecchiaia del cristianesimo di Pietro, a questo spirito diverso che in fondo è talmente estraneo al cristianesimo da esserne l’opposto, perché il cristianesimo è l’amore del Logos e il materialismo è l’oscuramento del Logos, è stato l’islamismo. Con l’affermazione centrale del Corano che dice: questo Figlio, questo emergere dello spirito cosmico dentro l’individuo umano, non c’è ! Allah non ha figli. È addirittura un cancellare dalla coscienza dell’umanità la chiamata di ogni spirito umano ad essere figlio di Dio nel Cristo, cristificandosi.

Naturalmente Maometto si rendeva conto non più di tanto di quello che intendeva la rivelazione da lui scritta nel Corano, però le potenze spirituali che hanno ispirato il Corano, che hanno ispirato Maometto a scrivere questa frase, sanno molto bene cosa intendono.

Storicamente si può provare che tutta la corrente delle scienze naturali si rifà all’arabismo. A parte gli scritti di teoria della conoscenza, gli scritti logici di Aristotele che sono arrivati all’oc-cidente direttamente, tutti gli altri scritti, tutti i pensieri aristotelici di scienze naturali – quindi la scienza naturale ha le sue radici in Aristotele – è venuta in occidente attraverso l’arabismo.

Per un Tommaso d’Aquino, e per tutta la scolastica, una delle cose più importanti è proprio la diatriba, il dibattito, la lotta contro l’arabismo nell’interpretazione di Aristotele, contro Avicenna, Averroè ecc. Il grande Averroè aveva espresso l’idea che c’è soltanto un’intelligenza cosmica, un noàj (nus) unico per tutti. Quando un essere umano nasce, una goccetta di questo noàj (nus) viene istillata in lui, ma non è il suo intelletto, non è un pensare che gestisce lui in libertà: è la sapienza cosmica, è il Logos cosmico che pensa in lui.

Quando poi l’uomo muore, questa goccia ritorna nel mare, nel Logos universale e non esiste immortalità individuale. Quindi, detto in terminologia buddista, quando l’uomo muore sparisce nel nirvana, non resta uno spirito individualizzato, distinto, distinguentesi da altri spiriti.

Di fronte a questa affermazione, che l’essere umano non è uno spirito individualizzato, la libertà sarebbe un’assoluta menzogna perché dire “io penso” sarebbe una menzogna: è il Logos che pensa in me, è l’intelligenza cosmica che pensa in me. E sarebbe impossibile rendere l’uomo responsabile delle sue azioni. La moralità sarebbe una cosa assurda perché non ci sarebbe libertà.

La scienza naturale invece di parlare di Dio, del Logos cosmico che ti gestisce come una sua pedina, parla della Natura. Ma ciò che gestisce l’uomo dal di fuori, che noi lo chiamiamo Dio, che lo chiamiamo Logos, o che lo chiamiamo Natura, è la stessa cosa! È la stessa cosa perché l’affermazione fondamentale è che l’uomo è determinato dal di fuori, quindi non è libero, non è responsabile delle sue azioni.

A quel punto lì, nel secondo millennio, il cristianesimo di Pietro è stato preso in castagna, in contropiede, perché in fondo è un cristianesimo che ha sempre detto: no, se tu ti arroghi di essere libero sei superbo, perché in realtà è la grazia che agisce in te, tu devi aprirti alla grazia, è il Cristo che opera in te, devi aprirti, è Lui che agisce in te, tu devi avere la fede, è la grazia che è importante… Adesso la grazia è stata chiamata Natura, ma è la stessa cosa di cui parlava Pietro.

L’umanità negli ultimi cinque secoli ha detto: ciò che conduce l’uomo, ciò che lo determina, sia esso Dio o sia la Natura, è la stessa cosa. L’uomo viene determinato. Però voi teologi, tu Chiesa, continuate a speculare su questo Dio, su questa Provvidenza, su questa Grazia, su questa Rivelazione ecc., senza vedere che lì non si può avere una scienza oggettiva, perché son tutte cose speculate! Lasciamo allora perdere tutte queste teorie, atteniamoci al campo sperimentale, atteniamoci al campo della Natura, perché lì è possibile una scienza oggettiva.

Perciò l’umanità degli ultimi cinque secoli ha lasciato perdere, in fondo, tutte le disquisizioni che non partono dalla percezione sensibile e si è concentrata sulla scienza naturale. Del cristianesimo di Pietro è restata un’esile voce melanconica che dice: sì, però sarebbe bello se lo spirito fosse ancora importante nell’umanità… E il potente, al di là della pozzangherina atlantica, dice: ma che bella, questa voce, è molto bella… però col terrorismo, caro papa… è bello che tu dica queste cose, però col terrorismo ci vogliono le bombe! E allora a che serve questo cristianesimo di Pietro? In fondo a illudere gli uomini che ci sia ancora qualcosa.

E allora il Cristo viene con una grossa novità e dice: guarda, caro essere umano, che c’è di meglio che sperare che ci possa essere qualcosa di meglio. Hai la possibilità di crearlo, questo meglio! Però come individuo. Questa è la scienza dello spirito, questo è il cristianesimo di Giovanni-Lazzaro.

Adesso sto andando un po’ a ruota libera, però sono cose molto fondamentali e son veramente scritte qui nel vangelo! È chiaro che presentando il mandato di Pietro e il mandato di Giovanni-Lazzaro, si deve gettare lo sguardo non soltanto sui secoli, ma addirittura sui millenni dell’evoluzione. E sta a noi, che adesso abbiamo la percezione storica di questi 2.000 anni e possiamo analizzare i tanti fatti che sono successi, sta a noi farci, su queste percezioni, dei concetti.

Io vi ho presentato questa chiave fondamentale che però è molto, molto grossa: il primo millennio è proprio portato, trasportato bene o male da una fede che ancora veramente reggeva, perché gli animi erano così; e poi un secondo millennio (soprattutto a partire dalla scossa data al Nord da Martin Lutero, dal protestantesimo) portato dalla scienza – la scienza naturale però, la scienza riferita al mondo visibile.

E mi pare che se facciamo queste due affermazioni non stiamo teorizzando, ma stiamo cercando di analizzare le cose in chiave di anamnesi. A ragion veduta i nostri ultimi 2.000 anni di evoluzione ci presentano la gioventù e la vecchiaia del cristianesimo di Pietro.

21,18 Amen, amen, dico a te:

Amen, amen significa: sta’ attento, Pietro, che questa affermazione è un’affermazione molto vasta. Amen, amen: questo verbo ebraico significa “costruire sulla roccia”. Amen, amen significa: questa affermazione, questa verità, è una verità che non riguarda un giorno, ma il tutto dell’evoluzione. Ci deve essere, nell’evolu-zione, una fase della caduta, una fase intermedia, una fase di risalita, e tu, Pietro, sei colui che è alla guida dell’umanità nel periodo in cui essa scende il più a fondo che si possa.

Scendere più in basso del materialismo che abbiamo oggi non è possibile, a livello di coscienza. È possibile a livello morale, nel senso che è ancora possibile aumentare lo scannarci a vicenda, questo sì, è possibile, e anzi aumenterà se non facciamo un’inver-sione di marcia a livello di coscienza. Ma come oscuramento di coscienza non è possibile andare più a fondo di oggi, perché peggio di una coscienza che addirittura nega lo spirito e deride chi ne parla, non si può, proprio non esiste.

La conversione interiore avviene nell’individuo quando si rende conto di questo punto infimo dell’evoluzione, che è il punto infimo della coscienza, però. E la coscienza allora risale, ritorna in su, inverte la marcia, certo non per inerzia di solidarietà nella caduta – la caduta è un fatto di solidarietà perché avviene per karma –, ma solo per libertà. In altre parole, la risalita avviene soltanto individualmente.

E quando ci sono 10 individui che risalgono, possono fare una comunità, ma la comunità è la conseguenza del fatto che ognuno individualmente sta lavorando a questa risalita. Non potrà mai la comunità, come primo fattore, aiutare il singolo a risalire perché la comunità, se messa in prima linea, continua a farlo andare in giù. La risalita sta proprio nell’individualizzazione, nell’esplica-zione della libertà.

Quindi anche il fattore di comunità si inverte: prima la comunità era quella che portava l’individuo, era il primo fattore in cui l’individuo si inseriva; adesso il futuro della comunità è che essa sorge solo come conseguenza di un’affinità elettiva di individui. E questa affinità elettiva la deve costruire ogni individuo in sé, altrimenti non c’è comunanza elettiva.

Questo ci evidenzia, naturalmente, che il tipo di comunità del futuro è ben più complessa, ben più difficilina che non la comunità delle pecore. La comunità di Pietro è una comunità di pecore. Ritorniamo all’ultimo pezzettino del v.17, dove abbiamo il terzo mandato di Pietro, la terza espressione, che è quella definitiva: “Pasci le mie pecorelle”. Quindi non più “conduci”, non più gli arieti, o gli agnelli, ma le pecorelle.

Guardiamo a queste tre parole: pasci le pecorelle dell’Io, dell’Io-sono, quindi le pecorelle che sono chiamate a diventare pecorelle dell’Io. Le pecorelle non sono pecorelle di Pietro, eh!? Il Cristo non dice: pasci le tue pecorelle! Dice: pasci le mie pecorelle!, quindi son destinate a diventare sempre più pecorelle dell’Io. E più diventano pecorelle dell’Io, più rafforzano la spina dorsale dell’Io dentro di sé, in chiave di pensiero, in chiave di libertà, in chiave di amore, a partire dalla volontà libera.

Ieri ci dicevamo che in queste pochissime parole “pasci le mie pecorelle” c’è che colui che pasce non è quello che trova i pascoli. I pascoli ci sono già e lui è soltanto lì, a pascere. Cosa fa, pascendo? Custodisce, protegge le pecore dal lupo. Al capitolo 10 c’era il buon pastore, questo qui è il pascitore, non è il pastore, è lì per custodire, per proteggere le pecorelle dal lupo e dal salariato (10,12). Abbiamo incontrato queste due figure: il salariato è quello che non gliene frega nulla delle pecorelle (è Lucifero, per gli antroposofi e per gli scienziati di scienza dello spirito) e il lupo è quello che le sbrana (è tutto ciò che è arimanico, di Arimane: il potere, le bombe che ti rompono la testa, quello è il lupo!). Il mandato di Pietro è di proteggere l’anima bambina. Come il giardiniere: protegge le pianticelle.

Intervento: Come si fa a proteggere in questo senso?

Archiati: Come proteggi un bambino? Il bambino è come una pecorella: non è ancora capace di difendersi, no? E quando le pecorelle non son più pecorelle e sanno difendersi da sole, il Cristo non ha più bisogno di chi le pasce. Come proteggi un bambino? Non lo puoi dire in una parola, però da adulto sai che ci possono essere dei pericoli, ci possono essere delle situazioni che possono fargli del male. Tu lo sai: ah, questo viene con l’intenzione di fargli del male… Il bambino non lo può capire perché è ancora piccolo, ma tu sai cosa vuol dire proteggere. Non lo puoi dire in una parola, ma lo sai. È una cosa complessa.

Questo è il mandato di Pietro: pasci le mie pecorelle, bÒske prÒbat£ mou (bòske ta pròbata mu).

Intervento: Ma è un’autorità o no? Quando parliamo di questo cristianesimo di Pietro, presupponiamo un’autorità o no?

Archiati: Ma scusa, perché vuoi portare categorie estranee al testo, quando il testo te ne dà già abbastanza?

Intervento: Perché dai discorsi che facciamo sembra che questa autorità…

Archiati: No! Il problema è la categoria “autorità”: è estranea al testo, lasciala via! Parlami di “custodire”. Custodisci le mie pecorelle. Ricama su questa categoria! Il custode è un’autorità o no? È un’astrazione questa domanda. Certo che è un’autorità, ma dicendo: il custode è un’autorità, non vado avanti nel pensiero. È importante…

Intervento: Mi rifaccio a tutto quello che poi è successo in funzione del fatto che questo rapporto…

Archiati: No, stai facendo astrazioni, sei via dal rapporto tra il custode e le pecore che pasce! Descrivimi cosa fa!

Intervento: Non sono d’accordo…

Archiati: No, non sei d’accordo perché continui ad allontanarti dal testo.

Intervento: Volevo fare un passo…

Archiati: No, no! Vai via dal testo. E vuoi costringere noi ad andare via dal testo! A quel punto chiudi il becco, scusa! Oppure mi dici cosa vuol dire che il pastore, che questo custode pasce le pecorelle. Cosa vuol dire? Se tu mi dici: ah, allora ha un’autorità, io ti dico: non andiamo avanti. Cosa fa colui che pasce le pecorelle?

Intervento: Le difende dal lupo.

Archiati: E allora! A che ti serve la categoria astratta “autorità”?

Intervento: Nel senso che poi questo, nella storia, è diventato un’autorità, quindi volevo dire…

Archiati: No, no, nella gioventù ha potuto fare quello che voleva, quindi le ha custodite dal lupo, ma poi è diventato vecchio e non è più capace di fare quello che vuole. Allora il lupo – che è il materialismo – è venuto e le ha sbranate tutte queste anime, son tutte sparite come anime… E allora dov’è la sua autorità? Vedi che sono astrazioni.

Intervento: Ma tra Pietro e il materialismo c’è in mezzo tutta una storia.

Archiati: No, il materialismo è avvenuto perché lui è invecchiato. Lo dice il testo! Quando invecchierai non avrai più la forza di imporre la tua volontà e un’istanza estrinseca, un’istanza estranea, verrà e ti costringerà a fare, ad andare dove tu non vuoi.

Intervento: Però prima aveva la forza, prima c’era la forza, e io mi domando se questa forza era una cosa…

Archiati: Nella gioventù c’è, nella vecchiaia sparisce!!! Oh, ma hai una testa di cemento!

Intervento: Ma io intendo dire un’altra cosa… ma vabbè…

Archiati: Oh, guarda, che io vengo dalla Germania mica per venir preso da stupido! Stai dicendo un’altra cosa, quale cosa?

Intervento: Volevo arrivare al papa. Mi chiedo se quello che poi è diventato il papa, e quindi l’autorità del papa, è una conseguenza del mandato di Pietro.

Archiati: Ma te lo sto dicendo che il papato sono i 2.000 anni che abbiamo dietro a noi! Il mandato di Pietro è il papato!

Intervento: Questo volevo dire: il mandato di Pietro è il papato. Siccome noi diciamo che il papato è uno scandalo, per le donazioni di Costantino ecc., adesso, invece, diventa una cosa legittima, legittimata da questa frase del vangelo. Questa era la mia domanda.

Archiati: Tu eri partito in quarta con l’autorità, adesso… Guarda che non ti salvi in calcio d’angolo perché da me non esistono calci d’angolo. A che ti serve dire che il papato è legittimo, quando l’affermazione è: tu, cristianesimo di Pietro, tu, papato, avrai una fase di gioventù dove tutto andrà bene e una fase di vecchiaia dove tutto andrà male. Dire “è legittimo” è un’astrazione che non serve a nulla, e anche la categoria “autorità” non serve a nulla. Perché, stando al testo evangelico, nella prima fase di gioventù è stata un’autorità che aveva una forza, e nella seconda fase di vecchiaia è un’autorità a cui nessuno dà ascolto! Impotente, perché un altro viene e decide lui dove va a finire – “un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vuoi”. Che autorità è? L’umanità sta andando dove il papa non vuole e allora?! A che serve il papa?

Intervento: Roberto vorrebbe levargli la legittimità sin dall’inizio.

Archiati: È nella struttura della maggior parte degli antroposofi DOC, di avere una testa dura. È questo che ti voglio dire. E alle teste dure, nel caso mio, gli va male perché la mia è ancora più dura! Però se le teste dure oltretutto sono vuote… – non ho detto che la mia è anche vuota, dura lo è, ma non ho detto che è anche vuota… Voglio dire che se io sto aprendo un orizzonte di riflessioni, non puoi venire e dirmi: no, lascia perdere questo orizzonte e adesso segui la falsariga mia. In questo modo intervieni!

Intervento: Non si era capito… se Roberto prima l’avesse articolato meglio…

Archiati: Non c’era nulla da articolare… non c’era nulla da capire, questo è il problema.

Allora, questo mandato di Pietro. Tutte le parole che usiamo sono parole e ogni parola si può fraintendere: “mandato di Pietro” è una scorciatoia. Certo che uno può dire: spiegami per mezz’ora cosa intendi per “mandato”, spiegami per mezz’ora cosa intendi per “Pietro”, ma allora non arriveremo mai a nulla!

Nell’insieme del discorso che stiamo facendo su cose molto complesse, un po’ alla volta, se qualcuno non ha capito, capirà sempre di più cosa io intendo per “mandato di Pietro”, il cristianesimo petrino, il cristianesimo degli ultimi 2.000 anni.

Questo non vuol dire che chi sta lì ad ascoltare debba essere d’accordo, non m’interessa nulla, la può pensare del tutto diversamente; mi interessa soltanto che, un po’ alla volta, arrivi a percepire i pensieri che io gli porto incontro. La presa di posizione è la sua. Lui arriva e dice: no, non mi sta bene quello che tu stai dicendo. E allora io gli do un calcio nel sedere e gli dico: vattene via! Questo era l’atteggiamento animico: non mi sta bene quello che stai dicendo. Questi sono i papi e gli arcivescovi antroposofici che in tutta una vita non hanno ancora imparato un minimo delle leggi della comunicazione tra un essere umano e l’altro.

E allora uno si arrabbia e l’altro finalmente sta zitto, se no andiamo avanti per mezz’ora. Ma dopo che uno s’è arrabbiato… non è che io adesso posso cambiare il mio animo in un attimo e fare come se non fosse successo nulla.

La fine del v.21,17 dice: bÒske prÒbat£ mou (bòske ta pròbata mu), pasci le mie pecorelle. Quindi c’è, da un lato, colui che pasce – vogliamo chiamarla un’autorità? Vabbè, io non la userei questa categoria perché non aggiunge nulla.

Intervento: Incaricato.

Archiati: Custodisce. Incaricato è astratto: uno può essere incaricato anche del carcere. Invece se custodisce sta lì a guardare, e guarda intorno che non saltino fuori pericoli per le pecorelle, ecco che diventa concreto. E allora io mi chiedo: quali possono essere i pericoli? Può darsi che c’è un burrone, e allora colui che le pasce va lì, in modo che le pecore non vadano nel burrone, può esserci il lupo (la fenomenologia l’abbiamo vista nel capitolo 10) ecc., ecc.

Quindi a Pietro, che è uno dei Dodici, viene detto: tu seguimi perché il tuo compito, quello che tu hai da fare, viene dopo di me. Allora lui “si volta indietro”, come trovate nelle traduzioni: era una piccola cerchia, e Giovanni-Lazzaro dovrebbe star dietro fisicamente. Ma ve l’ho detto: fisicamente è una cosa assurda, no?!

È invece una specie di riflessione, quella di Pietro, che dice: ma come?, durante l’ultima cena io non sono stato in grado neanche di chiedere chi è che lo avrebbe tradito e ho detto a Giovanni-Lazzaro: chiedi tu chi è che lo tradirà…

Guardate l’ultima cena di Leonardo da Vinci, ci sono dodici persone e Pietro sta lì vicino: perché non glielo chiede lui? Perché Pietro sa che si tratta di misteri sui quali può fare questa domanda e capirla soltanto colui che ha posato il suo capo sul cuore del Cristo, come impulso di amore.

Ma ora Pietro si vede posto in posizione di spicco dal Cristo, che gli sta dicendo che proprio lui deve seguirlo col mandato di pascere le pecorelle. E allora Pietro si chiede: e Giovanni-Lazzaro? E la risposta è: anche lui ha un compito, però non adesso, lui deve aspettare finché Io ritorni. Tu seguimi, ripete di nuovo, tu seguimi.

Quindi, in una sequela del Cristo, è previsto un tempo dopo Cristo, dove c’è chi pasce e, più importante ancora, dove ci sono i pascolati: l e p e c o r e l l e! Questa è la cosa più importante. E “pecorelle” l’abbiamo tradotto: sono esseri umani che vivono nell’elemento dell’anima, un elemento anche comunitario, di Chiesa, e che più di tanto non possono fare. Quando uno è bambino è bambino, e nessuno può pretendere che di botto diventi adulto.

Le pecorelle debbono venir pascolate, debbono venir guidate. Qualcuno (la Provvidenza, non Pietro) deve provvedere a che ci siano dei pascoli (la tradizione, la Scrittura, i dogmi ecc., ecc., ecc.): a quello non ci pensa Pietro, ma ci pensa la rivelazione divina, la grazia divina.

La pecorella è l’uomo di fede, è l’essere umano che vive nell’anima, perché se così non fosse non avrebbe bisogno di chi lo pasce e non sarebbe una pecorella. Due tratti fondamentali della pecorella sono: 1) non è singola, ma è sempre “impecorata” nel gregge, quindi è un essere gregario che deve stare in gruppo; 2) deve essere guidata, non è autonoma.

E i conti tornano se noi esaminiamo i tratti fondamentali dei 2.000 anni passati, tornano nel modo più pulito che esista.

Adesso, però, i versetti 18-19 distinguono in questo mandato di Pietro due fasi – non 3 fasi, o 5, o 7, ma neanche soltanto una fase sempre uguale –, due fasi che sono l’una opposta all’altra: gioventù e vecchiaia. Vedete che mi mantengo al testo, non ho bisogno di inventare. Si tratta soltanto di tradurre le immagini. Allora: In verità, in verità ti dico:

21,18 «quando eri giovane eri in grado di cingerti da solo e andavi dove volevi».

‘Am¾n, ¢m¾n lšgw soi: Óte Ãs neèteroj ™zènnuej seautÕn kaˆ periep£teij Öpou ½qelej (Amèn, amèn lègo sòi: òte es neòteros ezònnyes seautòn kài peripàteis òpu ètheles).

Il senso è: in verità, in verità ti dico, questa è la tua verità, la verità del tuo essere: quando eri giovane eri in grado di cingerti da solo, decidevi tu quali abiti metterti e andavi dove volevi. Il cingersi con la propria volontà significa: avevi la possibilità di lavorare al tuo essere secondo il tuo spirito e avevi la possibilità di andare nel mondo seguendo il tuo impulso.

Quindi, il rapporto con sé: gli abiti; e il rapporto con il mondo: andare dove si vuole.

21,18 «Quando invece diventi vecchio un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi».

“Quando invece diventi vecchio” Ótan de ghr£shj (òtan de gheràses) è una specie di praesens aeternum perché ogni essere umano diventa vecchio, la vita sulla Terra non è eterna “dovrai distendere le tue braccia” ™ktene‹j t¦j ce‹r£j sou (ektenèis tas cheiràs su) e la croce della natura, delle forze di natura, ti porterà. Cosa vuol dire “distendere le braccia”? Che un altro mi veste: dammi il braccino... come si dice al bambino piccolo, perché adesso non è più neanche in grado di decidere quali vesti mettersi. “…e un altro” ka… ¥lloj (kài àllos): questo “altro” non è soltanto quantitativo, ma qualitativo: un altro, un altro spirito, un estraneo “ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi” se zèsei kaˆ o‡sei Ópou oÙ qšleij (se zòsei kài òisei òpu u thèleis).

L’umanità, negli ultimi secoli, è andata decisamente dove il Cristo non vuole, contro la volontà del Cristo: nel materialismo, sempre più decisamente nel materialismo. Beh, allora Pietro dice: mamma, è tragica la cosa, è proprio senza sbocco! No, no! proprio perché la seconda fase è così: che sei vecchio, che devi tendere le braccia e un altro ti cinge e ti porta dove tu non vuoi, proprio per questo qual è la soluzione? Muori! Perciò viene la morte: per risolvere questo problemino.

E dopo la morte? Eh, c’è l’altro, vedi? Vedi Giovanni-Laz-zaro?!

21,19 Questo disse indicando con quale morte lui avrebbe glorificato Dio.

Toàto de eŒpen shma…nwn po…w qan£tw dox£sei tÕn qeÒn (tùto de èipen semàinon pòio thanàto doxàsei ton theòn). Il senso di questa frase è che glorifica Dio perché morendo finalmente fa posto a Giovanni-Lazzaro. E di quale morte muore Pietro?

Intervento: Di impotenza.

Archiati: No, resta al testo! Di vecchiaia! Oooooh, c’è scritto lì! Dopo la vecchiaia cosa viene?

Interventi: La morte!

Archiati: Siamo tutti rimbambolati, proprio, santa pace! Ma la nostra formazione cosiddetta scientifica proprio ci ha rimbottiti di astrazioni che non siamo più capaci neanche di pensare i pensieri più semplici. Avete lì il testo, ve lo sto traducendo parola per parola dal greco, e continuate ad andar via dal testo, ad alzare il naso antroposoficamente fino al cielo e a fare astrazioni. Ma lo dice, no?! Muore perché è diventato vecchio. Roma sarà magari eterna, ma non il papa. E perché è eterna Roma? Perché è già morta da un bel po’ di tempo. Le pietre, quelle possono durare molto a lungo perché son già morte!

Intervento: Scusa, puoi ripetere la traduzione? “Ma quando sarai vecchio” e poi…

Archiati: “Quando diverrai vecchio”, Ótan de ghr£shj (òtan de gheràses) è un processo invecchiare, “distenderai le tue mani” ™ktene‹j t¦j ce‹r£j sou (ektenèis tas cheiràs su): per distendere le mani distende anche le braccia, però è la mano che diventa impotente nell’operare. Finché la mano non la devo stendere ce l’ho, posso maneggiare le cose, posso vestirmi ecc.; ma quando la devo stendere perché qualcuno mi vesta, la mano diventa impotente, e l’altro mi veste, mi cinge. Ci siamo fino a quel punto? “…e un altro ti cingerà, e ti condurrà dove tu non vuoi” ka… ¥lloj se zèsei kaˆ o‡sei Ópou oÙ qšleij (kài àllos se zòsei kài òisei òpu u thèleis).

È di una precisione scientifico-spirituale questo testo! Non va a spanne! “Questo disse, indicando di quale morte sarebbe morto per glorificare Dio”. Intende dire soltanto la morte di Pietro, in quella vita? No, perché parla di un mandato che non si riferisce soltanto alla sua persona. Che poi la morte di Pietro sia sussunta in questa tipologia di una morte che fa parte della croce, quindi di una morte che precede la resurrezione così che il cristianesimo petrino muore volentieri per far risorgere il cristianesimo in chiave giovannea, tutto questo va bene. E va benissimo anche che la morte fisica, il modo di morire di Pietro, sia stato dentro questa tipologia.

Ma il significato primo si riferisce al mandato: pasci le mie pecore. Altrimenti ci toccherebbe dire che l’ultimo capitolo del vangelo di Giovanni finisce di avere un significato alla morte di Pietro, 2.000 anni fa. Oggi non avrebbe più significato: una cosa assurda!!

Quindi è chiaro che dobbiamo ampliare la prospettiva sul fatto che il vangelo sta parlando del cristianesimo di Pietro, non soltanto della morte fisica di Pietro (avvenuta 2.000 anni fa, 2.000 meno 50, 60 anni). Parla della morte culturale del cristianesimo che Pietro rappresenta.

Allora dobbiamo individuare quello che viene detto su Giovanni-Lazzaro: quando tu morirai verrà lui, lui deve aspettare finché Io ritorni. E allora dobbiamo interpretare oggettivamente, dobbiamo capire oggettivamente, senza sgarrare: si parla di un ritorno del Cristo, e cosa vuol dire? Quando avviene questo ritorno e quali ne sono i segni? Perché se c’è un ritorno del Cristo e noi non abbiamo nessuna categoria, nessun parametro per coglierne i segni, se non abbiamo nessuna possibilità di conoscere la sua venuta, il suo ritorno, allora è inutile che venga.

Quindi: 21,19 “Questo disse indicando”, shma…non (semàinon), ponendo dei segni, facendo una semantica, disse semanticamente “con quale morte avrebbe glorificato Dio”, il divino nell’umanità. Con quale morte il genitore glorifica il divino nel figlio? Tirandosi indietro e facendogli posto! Molto semplice la cosa!

E il cristianesimo di Pietro come glorifica il divino nell’uomo, di fronte a un cristianesimo di scienza dello spirito, giovanneo, lazzareo? Come contribuisce il cristianesimo di Pietro a questa glorificazione del divino che c’è in ogni essere umano? Morendo e tirandosi indietro: facendogli posto! Se no continua a glorificare la sua morte, la morte del divino nell’uomo e non l’assurgere al divino dell’essere umano.

Non è detto che queste riflessioni debbano far piacere a tutti i papi di questo mondo e a tutti i preti di questo mondo, eh?! Neanche sono qui in sala, ed è inutile che ci preoccupiamo di loro; importante sarebbe preoccuparci di noi stessi, perché se nessuno lo fa, questo cristianesimo giovanneo non l’avremo mai.

21,19 Detto ciò, dice a lui: «Seguimi!»

“Seguimi” ¤koloÚqei moi (akolùthei mòi)! Adesso Pietro tira le somme e dice: oh, m’ha detto: seguimi! Prima m’ha fatto una lavata di capo: mi ami spiritualmente? No, ti amo con l’anima, altro non ho. Poi la terza volta è sceso lui di livello: ah, allora mi ami con l’anima, altro non hai a disposizione. Poi: pasci i miei agnelli! No, è troppo alto, cala giù. Conduci le mie pecore! No, troppo alto: non sono un conduttore. Allora giù, un altro po’: pasci le mie pecorelle! Lì ci siamo, lì s’è fermato. Allora io ho il compito di pascere, manco quello di trovare i pascoli, no! i pascoli me li dà Lui, me li dà la grazia, la rivelazione, devo soltanto stare attento al lupo…

E poi il Cristo gli ha detto: guarda che nella prima fase ce la farai a tener lontano il lupo, perché non verrà – la scienza naturale non c’era nel primo millennio! Poi, quando verrà il lupo… eh! sarà la prova per te! perché in quella seconda fase sarai vecchio e la forza di imporre il tuo spirito non ce l’avrai più e un altro ti porterà dove tu non vuoi – nel materialismo.

Ha detto questo indicando di che morte sarebbe morto… e adesso dice: tu seguimi! E il povero Pietro dice: oh, insomma…

21,20 Pietro, giratosi,

Si gira indietro e vede l’altro… Si gira da tutte le parti! Anche noi ci stiamo girando e rigirando, eh?!, perché l’esegesi tradizionale non vi fa questo tipo di spiegazione. Io, i miei capelli li ho persi proprio perché ci facevano le lezioni di teologia con tutt’altre spiegazioni, altro che queste!

Si gira indietro, ma non fisicamente: è assurdo pensare che Giovanni-Lazzaro gli stia dietro al sedere! È una riflessione, quella di Pietro. L’autoconoscenza, la conoscenza di sé, la si può avere soltanto nel paragone con l’altro; io non posso sapere chi sono io, se non conoscendo la mia alterità nei confronti dell’altro nella sua alterità. Cos’è il polmone? Lo possiamo sapere se lo distinguiamo dalla milza, dal cuore ecc., ecc., ecc. Quindi è chiaro che questo cammino di autoconoscenza è incompleto finché non c’è una distinzione dall’alterità.

E lui? Ma come?! Era il tuo discepolo prediletto, hai fatto sempre preferenze, adesso invece sono io che devo seguirti… e lui?

E il Cristo gli dice: beh, nella vita prima si è bambini e poi si diventa adulti – adulti, però, e non subito vecchi. L’umanità in fatto di fenomeno-Cristo, di cristianesimo, è bambina, è appena nata, e tu sei il custode dei bambini. Lui deve aspettare finché gli esseri umani diventino un po’ più adulti.

Intervento: È il nonno.

Archiati: No. C’è il genitore col bambino, e la fase successiva è subito il nonno? No.Vedi le astrazioni? Pietro è il papà. E Lazzaro-Giovanni? È l’amico! Nell’amicizia si è pari a pari. Lei vede solo il nonno come alternativa al papà. Questa è la struttura mentale che ci siamo portati dietro! La dimensione di fratelli e sorelle, dove siamo alla pari, dell’amico, del marito e della moglie dove c’è la parità, neanche ci viene in mente! Dal papà al nonno… Roberto ieri mi ha detto: sono diventato nonno. E io volevo dirgli: e quando diventi amico? Questo va insieme col discorso dell’autorità.

Roberto: Amico lo sono diventato prima, poi nonno.

Archiati: No, nell’amico non c’è il prima e il dopo: o lo si è sempre, o non lo si è. La dimensione dell’uguaglianza o c’è o non c’è; ma se c’è, se uno ha questa struttura del saper vivere quella dimensione nella vita dove siamo tutti uguali, non la perde mai, per-ché siamo sempre tutti uguali. E il modo di Giovanni-Lazzaro di trattare gli esseri umani è il modo dove siamo – in quanto esseri umani – sempre uguali. Senza privilegi, senza autorità, senza nonni, senza papà, senza bambini: tutti uguali.

Quindi la scienza dello spirito di Steiner è il primo modo, nell’umanità, di trattare tutti gli esseri umani come uguali. E questo molti antroposofi non l’hanno capito, ne hanno fatto di nuovo un fattore elitario, di privilegio, che è contro la sua natura.

“Pietro, giratosi”: questo “giratosi” è una cosa misteriosa, d’accordo? ‘Epistrafe…j o Pštroj (epistrafèis o Pètros). È come la Maria Maddalena che si gira due volte – strafe‹sa (strafèisa).

21,20 vede il discepolo che Gesù amava,

“Vede il discepolo che Gesù amava spiritualmente” blšpei tÕn maqht¾n Ön ºg£ta Ð ‘Ihsoàj (blèpei ton mathetèn on egàpa o Iesùs): ºg£pa (egàpa) è il verbo ¢gap£w (agapào), “amo spiritualmente”.

Pietro può attraversare il processo di autoconoscenza che lo porta a conoscere se stesso, cioè la natura di quello che io chiamo il cristianesimo petrino (e ci intendiamo, no?!) soltanto se ci aggiunge la differenza rispetto all’altro.

Adesso faccio un giochetto, però non vi confondete le idee, perché è un giochetto serio. Sono due prospettive che sembrano contraddirsi, ma non si contraddicono, perché se le mettiamo insieme la cosa diventa ancora più ricca.

Questo “altro” – “poi quando sarai vecchio verrà un altro, con un altro spirito e ti condurrà dove tu non vuoi” – non è soltanto una cosa, non è soltanto la scienza materialistica, ma in un’altra prospettiva questo “altro” è Giovanni-Lazzaro.

In questa prospettiva il cristianesimo petrino si oppone alla scienza dello spirito che ci fa tutti uguali e che spazza via ogni papa, ogni prete ecc., ecc., si oppone, e questa lo porterà dove lui non vuole. Ecco il cristianesimo di Giovanni.

Mettete insieme tutt’e due le prospettive, quella della giovinezza di Pietro, un millennio, poi la sua vecchiaia, il secondo millennio, 2.000 anni dove ha fatto quello che voleva; adesso, siccome è diventato vecchio e sta per morire, viene l’altra prospettiva, viene “un altro”, Giovanni-Lazzaro, e lo porta dove lui non vuole. Lo si vede che non vuole… ma guardate quanto fa Roma per dire peste e corna della scienza dello spirito! Non vuole questo cristianesimo di Giovanni! Perché? Perché è la sua morte! E nessuno può voler volentieri la propria morte: lo dobbiamo capire.

Però vecchio sei, e stai per morire: che tu accetti o non accetti, verrai portato dove tu non vuoi. Infatti gli spiriti umani adesso vogliono sempre di più capire, in chiave di scienza dello spirito, anche questi testi, ma il cristianesimo tradizionale si oppone: no, devi credere perché non si può capire! Non vuole il capire. E allora gli esseri umani cosa dicono? Vabbè, ti lascio in pace: resta nella tua chiesa, nella tua sacrestia, io vado… vado a un seminario di Pietro Archiati, magari, visto che ancora non c’è di meglio. E se c’è di meglio, vai al meglio, eh?!, non star qui!

Intervento: Ma il cristianesimo tradizionale capisce e non vuole dirlo, o non capisce proprio?

Archiati: Nessun essere umano può voler volentieri la sua morte.

Intervento: Sì, ma capisce il cristianesimo giovanneo e non lo vuole comunicare?

Archiati: No, non lo capisce, ma sa che è la sua morte. Ma scusate, prendiamo un sacerdote – un sacerdote non è uno stupido, insomma, è un sacerdote – che si rende conto: se milioni e milioni studiano questo Steiner la nostra cassetta diventa vuota. Non è soltanto questione di chi ha ragione, di dov’è la verità e dove l’errore… non importa nulla! Ma se la gente non viene più in chiesa, come campo, io?

Intervento: Possono passare a Steiner.

Archiati: Se la struttura mentale non c’è? Tu dici: passano a Steiner, così! Deve accettare che in questa vita deve morire da prete cattolico e, se tutto va bene, nella vita successiva afferrerà il cristianesimo in chiave di scienza dello spirito. Così sono le cose pensate realmente, non per aria.

E io devo confessarvi che m’è andata bene, perché quando ho lasciato la Chiesa mi credevo coraggioso, ma non avevo la minima idea di quante notti insonni avrei passato perché non avevo soldi. Mi hanno sbattuto fuori dall’Italia e non riuscivo a trovare neanche una cameretta, e quando l’ho trovata non avevo i soldi per pagare l’affitto. Io mi credevo coraggioso – non avrò mai paura… –, e se avessi saputo prima le paure che mi sarebbero sorte (e le ho vissute!) sarei forse rimasto nella Chiesa.

Quindi, andateci piano a pretendere di dire a un prete: dovresti cominciare a studiare Steiner. Ma ci rendiamo conto che sono problemi esistenziali, non soltanto teorici? Quello lì tutta una vita si è studiato soltanto la teologia, non ci capisce nulla di Steiner; e mangiare deve, eh?, dormire deve. È un uomo, è tuo fratello, è tuo amico, se decidi di essere amico di ogni uomo.

21,20 “Pietro, voltatosi, vede il discepolo che Gesù amava…”: quindi il discepolo che Gesù amava è il cristiano pronto per la scienza dello spirito, il cristiano pronto per l’iniziazione. È il cristiano il cui stadio di coscienza è al punto di vivere tutta l’evoluzione come iniziazione: è il morire dello spirito cosmico nel mondo della materia per risorgere, dal mondo della materia, in chiave di spirito umano individualizzato e libero.

Il discepolo che il Cristo ama è quello che ha dietro a sé l’infanzia e l’adolescenza e adesso comincia ad essere autonomo. In altre parole, i discepoli che il Cristo conduce sono i discepoli bambini; i discepoli che il Cristo ama, da pari a pari, sono i discepoli adulti, che diventano spiriti autonomi. Quindi il Cristo “ama” gli spiriti autonomi. E gli spiriti non ancora autonomi? Padronissimi di esserlo, perché sono ancora bambini, e quelli non li può amare da pari a pari: li deve condurre. “Vede il discepolo che Gesù amava”

21,20 che seguiva

¢kolouqoànta (akoluthùnta): il verbo “seguire” è appena stato detto: “tu seguimi”, ¢koloÚqei moi (akolùthei mòi)! Adesso dice: ¢kolouqoànta (akoluthùnta), “che seguiva” – seguiva Pietro, però, non il Cristo. Il Cristo ha detto: tu segui me! E lui vede che un altro segue lui, lo segue, ¢kolouqoànta. Si gira indietro e vede che Giovanni lo segue; segue Pietro, però, non il Cristo.

Molti manoscritti questa parola importantissima – ¢kolou-qoànta (akoluthùnta) – l’hanno sbattuta fuori! Pietro viene dopo il Cristo e Giovanni-Lazzaro viene dopo Pietro. Il Cristo dice a Pietro: tu seguimi! E l’altro? L’altro segue te. E nel testo c’era “l’altro segue te”. Molti manoscritti (magari qualcuno ha avuto sentore che poi sarebbe venuto il tempo in cui quell’altro avrebbe preso il posto…) l’hanno sbattuto fuori questo verbo, che poi è bello lungo: ¢kolouqoànta (akoluthùnta).

Intervento: Senti, penso che questo sia un compromesso di traduzione perché nel mio testo non c’è “che seguiva”, ma “li seguiva”…

Archiati: No, ¢kolouqoànta (akoluthùnta) vuol dire “seguente”.

Intervento: Perché “li seguiva” vuol dire che seguiva tutt’e due, non solo Pietro!

Archiati: Certo! C’è qualche traduzione che non ha “segue”, o “seguire”?

Interventi: Tutti hanno il verbo “seguire” (ndr)

Archiati: E questo discepolo che segue viene caratterizzato con le parole:

21,20 colui che durante la cena si era sollevato al suo petto e aveva detto: «Signore, chi è che ti tradisce?»

È colui che era asceso dalla sfera viscerale e si era congiunto con le forze del cuore (ve lo ricorderete, avevo cercato di spiegarlo per lungo e per largo). Durante l’ultima cena c’è questa polarità fra Giuda e Lazzaro: Giuda è ancorato nell’elemento della materia che si esprime nel denaro, nel soldo, nella sacchetta. Era l’economo della compagnia e il testo dice: portava via, tirava fuori dalla sacchetta.

Poi Pietro – pensate al Cenacolo di Leonardo da Vinci – è una specie di tramite tra Giuda e Giovanni-Lazzaro. Tant’è vero che il tradimento di Giuda è avvenuto 2.000 anni fa, poi tra Giuda e Giovanni-Lazzaro c’è stato Pietro, per 2.000 anni, e adesso viene Giovanni-Lazzaro, quello che fa ascendere l’uomo dall’essere ancorato alla sfera viscerale (delle brame, del mangiare, del procreare ecc., ecc., ecc.) al cuore. Quindi è l’essere umano che si avvale di tutte le forze di natura, del vitale e anche della rigenerazione, però come strumento, non come fine di godimento, ma come strumento dell’evoluzione dell’amore, delle forze dell’a-more.

Ed è questa l’immaginazione che Pietro ha. Ha l’immagina-zione di questo discepolo: ma come?!, era lui, lui che si è congiunto con le forze del cuore tanto è vero, dice Pietro, che è stato lui a chiedere: chi è che ti tradisce? perché soltanto lui lo poteva capire. Cos’è che tradisce il Cristo? Il venire subissati dal vitale, l’identificarsi con le forze di natura, con le forze del mangiare, del ventre, della procreazione, le forze sessuali ecc. Quindi la domanda sul tradimento la può chiedere e capire soltanto chi si solleva e si congiunge con le forze dell’amore, con le forze del cuore del Cristo.

Allora Pietro, in questa anamnesi immaginativa, ha proprio questa visione: non è che Giovanni-Lazzaro sia fisicamente dietro di lui. Stiamo parlando di un’immaginazione di Pietro. Pietro ha l’immaginazione di questo discepolo e i tratti che vengono messi in risalto sono: che segue e che è “colui che assurse” ¢nšpesen (anèpesen) al cuore “nella cena” ™n de…pnw (en to dèipno), nel modo di mangiare la materia della Terra: cioè per lui tutta la nutrizione non è fine a se stessa, ma diventa strumento per le forze del cuore.

In altre parole, Pietro lo vede nell’immaginazione della cena quando assurge ponendo le forze vitali come base, come strumento, come fondamento per l’evoluzione dell’amore. Cioè vede Giovanni che si unisce al petto di Gesù, stÁqoj (stèthos), lì dove c’è il cuore, dove ci sono le forze del cuore, e dice: “Signore, chi ti tradirà?” KÚrie t…j ™stin Ð paradidoÚj se (Kýrie tis estìn o paradidùs se).

Pietro si ricorda, ora! Abbiamo già detto che dopo la resurrezione c’è una ripresa della coscienza di Pietro che si era oscurata – ah!, è lui, lui è quello che ha chiesto: Signore, chi è che ti tradisce? Ed era l’unico che poteva porre questa domanda, perché era l’unico che la poteva capire. Tant’è vero che il Cristo dà la risposta: colui che mi tradisce (le forze nell’essere umano che tradiscono il Figlio dell’uomo) è colui, è l’essere umano, al quale io do il boccone e lui si esaurisce nell’elemento del mangiare.

Esaurirsi nell’elemento del vitale, esaurirsi nell’elemento del proprio mantenersi in vita, nell’autosostentamento, significa tradire ciò per cui l’autosostentamento dovrebbe essere base: e cioè l’evoluzione dell’amore, l’evoluzione del pensiero.

Allora, di nuovo, Giovanni-Lazzaro è colui che chiede, che fa questo cammino di coscienza e pone la domanda: cos’è che tradisce la forza cristica del Logos, del pensiero, dell’amore nell’es-sere umano? E riceve una risposta che gli altri non capiscono, tant’è vero che pensano: ah, ah, sta dicendo a Giuda di andare a comprare le cose di cui c’è bisogno per la pasqua – vi ricordate?

Quindi Pietro sa di non essere stato in grado di porre la domanda né di capire la risposta che il Cristo dà. Anche gli altri capiscono fischi per fiaschi, e l’unico che capisce è Giovanni-Lazzaro.

E la domanda era: cos’è che tradisce e quindi mette a morte le forze del Cristo nell’uomo? Il ridursi al vitale, il vegetare. Il vegetare nell’uomo dovrebbe essere solo la base, le forze vitali vanno ricostituite sempre di nuovo, sempre di nuovo, mangiando, dormendo, ecc., ecc., ecc., per quale scopo? Per poterle consumare! Quindi il fattore di coscienza è consumazione di forze vitali. Le forze vitali non sono fine a se stesse nell’essere umano; nella pianta sono fine a se stesse perché non c’è un principio superiore.

Proprio perché l’essere umano più esplica coscienza – quindi è in un cammino di presa di coscienza – più consuma forze vitali e deve mangiare, sempre di nuovo, e dormire. Tanto a farci invecchiare e morire ci pensa la natura, non abbiamo bisogno di pensarci noi. La nostra preoccupazione è quella di essere più sani possibile in modo da mettere a disposizione della fiamma della coscienza sempre più cera. Però è una cera che deve venir consumata nello stesso tempo, è un ritmo continuo.

Tradire il Figlio dell’uomo è godersi il vitale e mandare a ramengo l’evoluzione della coscienza e dell’amore.

21,21 Vedendo dunque costui,

Prima: blšpei (blèpei) “vide”, adesso „dën (idòn), “avendo visto”: perché due verbi diversi? Perché adesso ha descritto l’identità spirituale di colui che fa questa domanda ed è colui che porta a coscienza che cos’è che tradisce l’essere libero, che tradisce l’elemento di libertà. Cos’è? Il ridursi a natura.

In fondo è molto semplice, se uno lo capisce nel nocciolo: poi il pensiero lo può svolgere in tutte le direzioni possibili e immaginabili. Il fattore, l’esperienza di libertà vengono traditi e uccisi dal determinismo di natura. E questo tradimento, questa morte del Figlio dell’uomo, oggi è al punto sommo, perché il dogma fondamentale, terroristico, della scienza naturale è: questa libertà dello spirito pensante, dello spirito amante, nei confronti del determinismo di natura, non c’è, non esiste! Sei stupido se pensi che ci sia!

Più tradimento di così! Se ne è fatto un dogma terroristico perché chi non vi si allinea viene proprio radiato. Ed è così. In Germania io continuo a tener conferenze anche in pubblico, ma il più delle volte sono contento se arrivano 20 o 30 persone. È grama la situazione! Però qui c’è la prospettiva del futuro. “Vedendo – immaginativamente, „dën (idòn), a livello spirituale – costui…”

21,21 Pietro dice a Gesù: «Signore, e costui?»

Pietro dice a Gesù: KÚrie, oÞtoj de t… (Kýrie, ùtos de ti), “Signore, e questo tizio? Chi è, cos’è? OÞtoj (ùtos): costui; t… (ti): cos’è, chi è ? Oh, io vengo dietro a te, ma qua c’è uno che viene dietro a me! E chi è ?

Pietro, lascia perdere, se tu capissi chi è, saresti tu lui. Lascia perdere, no?! Tanto quello viene dietro a te, tu vai avanti! Te l’ho detto che non devi preoccuparti: ci sarà un periodo in cui sarai bello giovane e poi diventerai vecchio e… In altre parole, quello lì è quello che ti porterà dove tu non vuoi.

Intervento: Un po’ d’invidia?

Archiati: Concediamo a Pietro di essere un uomo, no?! Comunque ha detto: e questo? Adesso siamo nuovamente interessati a sapere che risposta dà il Cristo. Eh! interessantissima la cosa, no?

21,22 Dice a lui Gesù: «Se io voglio che lui rimanga finché vengo, che cosa ha a che fare questo con te?»

Il Cristo non risponde alla domanda: chi è costui? Infatti “Gesù gli dice: Se io voglio che lui resti finché vengo che cosa ha a che fare questo con te?” t… prÕj (ti pros se)? E le traduzioni sono: che te ne frega?, che te ne importa? Invece è: non ti riguarda.

L’affermazione: io voglio che lui rimanga, che aspetti in area di parcheggio finché io ritorni, di cosa è immagine? Del cristianesimo esoterico, che è rimasto nelle catacombe perché la cultura ufficiale doveva essere condotta intanto da Pietro.

E la scienza dello spirito, il ritorno del Cristo, è questo cristianesimo esoterico per il quale non c’erano i presupposti per poter diventare ufficiale nella cultura. Sarebbe stato anche un torto fatto agli uomini, che non ne avrebbero capito nulla.

Adesso, 2.000 anni dopo, è chiamato a diventare proprio portatore della cultura, perché il cristianesimo si salva soltanto se da essoterico, un cristianesimo di pecorelle, diventa esoterico, un cristianesimo di scienza dello spirito. Questo è il ritorno del Cristo!

La prima venuta è il Cristo che viene nell’anima; la seconda venuta, il ritorno del Cristo, è il Cristo che viene nello spirito. Il Cristo che viene nell’anima viene con Pietro; il Cristo che viene nello spirito viene senza pastore, ognuno è il suo pastore, è pastore di sé. Ognuno è papa, e re, e imperatore, e profeta, e sacerdote.

Detta così la cosa, comprendiamo che siamo in un grande trapasso da un tipo di cristianesimo ad un altro tipo di cristianesimo. Facciamo dei riassunti proprio grossi: dal cristianesimo della fede al cristianesimo di scienza dello spirito, da un cristianesimo essoterico a un cristianesimo esoterico. Però è un trapasso complesso, è un trapasso che abbraccia non soltanto decenni ma secoli; e soprattutto è un trapasso dove comincia ad emergere il fattore individuale e quindi, proprio perché abbiamo a che fare con un trapasso di secoli, ci devono essere degli uomini che si sentono ancora a casa loro nell’ovile, come pecorelle – e ne hanno tutto il diritto, perché ognuno ha il diritto di essere com’è. E ci sono degli spiriti umani che in questo trapasso sono un pochino più avanti; e se è vero, se è così, ne hanno il diritto anche loro.

Intervento: Allora ci sono 12 cristianesimi?

Archiati: Beh, se tu la poni sul fatto numerico, allora, prendi il mio pensiero e fecondalo tu, usandolo nel modo giusto. Se lo metti in termine numerico il cristianesimo di Pietro è uno solo; e di cristianesimo di Giovanni ce n’è tanti quanti sono gli individui umani. È questo il pensiero che sto dicendo.

Intervento: Per cui tutti i 12 gli apostoli insieme. Tutta la sfaccettatura dei 12 apostoli.

Archiati: Dell’umano! Perché poi ognuno ne rappresenta milioni e miliardi. Ognuno dei 12 è passibile di infinite sfaccettature dentro a questo modello fondamentale. Ciò vuol dire che la legge dell’evoluzione è di crescente individualizzazione.

Ma è questa la libertà: che ognuno è chiamato, sempre di più, ad immettere nell’umanità un frammento che la arricchisce proprio perché non può venir dato da nessun altro.Voglio dire: adesso, in chiave animica, in chiave di convivenza sociale, qual è una delle leggi fondamentali dell’amore in tempi di transizione? La tolleranza, la tolleranza! Tolleranza non soltanto da parte di chi è a casa sua nel cristianesimo di Pietro nei confronti di chi comincia a godere del cristianesimo di Giovanni; ma altrettanta tolleranza da parte di chi comincia a godere del cristianesimo di Giovanni nei confronti dell’altro. Lo scienziato dello spirito non ha il diritto di chiedere la tolleranza all’altro se non è, lui stesso, ugualmente tollerante.

Questo cosa vuol dire? Che ognuno deve sapere dov’è la sua casa, dove si trova casa sua. È molto semplice, il discorso. Quando qualcuno mi dice: ma dici di quelle cose così strampalate! Io gli dico: e che stai a fare qui? Vai dove senti delle cose un po’ più pensate! Invece, dicendomi che dico delle cose strampalate, vorrebbe dire: no! cambia tu, Pietro, tu devi dire altre cose! No! Io dico quello che ho da dire, se ti va resti, e se non ti va te ne vai.

Però questo tipo di tolleranza presuppone l’aver interiorizzato il concetto fondamentale che gli esseri umani diventano sempre più diversi. Non esiste più un discorso che vada bene per tutti. Non esiste. Non si può scrivere un libro che vada bene per tutti, perché se va bene per tutti non va bene per nessuno.

Ognuno sempre più chiaramente deve sapere che cosa cerca, che cosa vuole, che cosa lo favorisce e che cosa non lo favorisce. Vi ho accennato che io ho risolto anche i problemini di mia sorella suora, che voleva ricattarmi a restare con la Chiesa dicendo: se poi vai all’inferno? Ve l’ho detto, no?, come ho risposto. Le ho detto: se in paradiso va gente come te, preferisco andare all’in-ferno. Non m’ha più parlato di inferno! M’ha lasciato in pace.

Intervento: Dov’è sua sorella?

Archiati: A Brescia, dalle Orsoline. Prega giorno e notte per la salvezza della mia anima. Si piglia di quei mal di testa, ancora oggi, eh?! Ma è soltanto perché non sa quanto le sue preghiere vengano esaudite. Non lo sa. Se lo sapesse sarebbe felice!

Allora: 21,22 “Dice a lui Gesù : se io voglio”: voglio! È la volontà del Cristo. Qual è la volontà del Cristo? Sono le leggi evolutive. Il Cristo vuole le leggi evolutive, e una delle leggi fondamentali dell’evoluzione è che la maturità viene dopo dell’infanzia. Quindi nessun Logos intelligente può volere che la maturità venga prima dell’infanzia.

Allora: “se io voglio che lui aspetti finché io ritorno”, perché prima ci deve essere l’infanzia, questo non riguarda te! Quindi fa parte di questo cammino di autoconoscenza anche la difficoltà di accettare i propri limiti. In fondo, Pietro vorrebbe gestire anche quell’altro cristianesimo; e il Cristo gli dice: no, quella è una cosa che non ti riguarda!

Steiner ha un paio di conferenze dove dice: le uniche cose che hanno il diritto di sorgere nell’umanità – istituzioni, associazioni, ditte ecc. – sono quelle dove è già previsto, nella volontà di chi le crea, che devono morire.

Intervento: È un limite, insomma.

Archiati: No, perché nel regno di questo mondo dove c’è il nascere e il morire, non ci può essere solo il nascere; e qui stiamo parlando di un cristianesimo petrino, non di qualcosa che vive nell’eternità, ma di qualcosa che si esprime sulla Terra.

Ora, Pietro, il cristianesimo petrino – chiamiamolo fattore culturale, chiamiamolo religione, quello che volete – dovrebbe dire: ma allora, come mi permetto, io, di far morire il giudaismo tradizionale che c’era prima di Cristo? Se io mi permetto di far morire il giudaismo tradizionale instaurando il cristianesimo petrino, devo sapere che tutto ciò che sorge è destinato a morire.

Perciò il Cristo mi sta dicendo: quando tu muori, ecco, c’è lui! Qualcosa ha il diritto di nascere e nasce nel modo giusto se è già previsto, in questo nascere, il suo morire. Se si fa qualcosa senza calcolare, nel pensiero, tutto l’arco finché muore, questo qualcosa eserciterà potere e distruggerà la libertà negli esseri umani, perché lo strumento diventa fine.

La grande tragedia, se posso parlare di tragedia, del cristianesimo petrino, non è quella di essere vecchio, è quella di non voler morire! E questo diventerà sempre più tragico perché si oppone alle leggi fondamentali dell’evoluzione: che tutto ciò che sorge deve tramontare, per far posto al successivo, che poi dovrà tramontare a sua volta per far posto al successivo ancora.

In altre parole, questa lezione che il Cristo dà a Pietro, in quest’ultimo capitolo – a partire da: “mi ami?” ecc., ecc. – questa lezione di autocoscienza, presenta un elemento fondamentale che dice: la legge fondamentale del creato è l’ e v o l u z i o n e. Non esiste qualcosa che resta sempre uguale: quello è nell’eternità. Qui sulla Terra ci sono solo cose che sorgono, hanno una gioventù, una maturità, invecchiano, tramontano e muoiono. È questo che il Cristo sta dicendo. Ora pensate un pochino a qualcosa che è sub specie aeternitatis: Roma eterna, una cosa che non tramonta mai! Il cristianesimo petrino dimostra proprio che questa lezione del Cristo, in fondo, è stata capita poco, perché c’è stata sempre questa struttura mentale.

Lo spirito non tramonta mai, ma tutte le espressioni dello spirito sulla Terra – e la Chiesa non è lo spirito, ma è un’espressione dello spirito sulla Terra – è limitata nel tempo, perché la legge è l’evoluzione. Ciò che va bene per un tempo, va malissimo per il tempo successivo.

Chi studia la scienza dello spirito sa che il tratto fondamentale di tutte le conferenze di Steiner è di considerare tutti i fenomeni dal punto di vista dell’evoluzione, poiché la prospettiva sub specie aeternitatis è quella della mente divina. Lasciamola al Padreterno, noi viviamo sulla Terra, viviamo nel tempo, e nella Terra e nel tempo non c’è nulla di eterno.

Intervento: Ma l’arte, la musica…

Archiati: Esiste la musica senza la sua espressione? Le espressioni sono sempre cambiate!

Intervento: La musica classica di Beethoven, di Mozart, di un grande, va bene nei secoli scorsi come va bene in questo…

Archiati: Per te forse, un sacco di gente dice: no grazie! E tu vuoi imporre che gli debba andar bene per forza? Questa nostalgia dell’eterno è molto cattolica. Fa svolazzare sulla Terra, ed è la scusa per non toccare la realtà, dove veramente qualcosa sorge e poi muore. Non la prendere personalmente, è soltanto una riflessione che vale per tutti noi.

Facciamo una pausa di 10 minuti tedeschi. Poi, finalmente, state un po’ zitti e io porto il vangelo alla fine!

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Adesso che avete comprato tutti i libri che c’erano da comprare e che avete – spero – riempito la sacchetta dell’oratore… a proposito, ho sempre dimenticato di dire, siccome questa volta ci sono parecchie persone nuove mentre gli altri lo sanno già, che il relatore (che sarei io) viene remunerato, insomma apprezzato liberamente da ognuno. Così ciascuno ha la possibilità di tener conto anche del proprio portafoglio, e questo è un tipo di equilibramento sociale per venire incontro un po’ alle tante ingiustizie che in fondo ci sono.

Quindi ognuno si prende una busta vuota e ci mette dentro quello che può, da un lato; e poi quello che corrisponde all’apprezzamento di ciò che pensa di aver ricevuto. L’apprezzamento del relatore non è una cosa facoltativa. La quantità di soldi è lasciata alla libertà di ognuno, nel senso che ci sarà chi si sente libero di tener conto di un portafoglio esile, mentre altri ci metteranno un po’ di più. Ciò significa che coloro che hanno un portafoglio un po’ più nutrito hanno la responsabilità di metterci qualcosa in più, perché devono sostenere coloro che sono economicamente più deboli.

Soltanto così funziona la cosa, altrimenti il rischio reale è che – adesso dico le cose un po’ per sommi capi – metà delle persone dicono: eh, io di soldi ne ho pochi e allora ci metto quasi nulla; l’altra metà dice: sì, insomma, via, non vogliamo esagerare. E alla fine, vi faccio un esempio, a me è successo in Italia di aver fatto qualcosa per 300 persone, e di aver preso meno di quando ho fatto qualcosa per 30 persone! Questo come presa di coscienza.

La cosa funziona soltanto se la libertà di colui che non ha soldi e dice: posso venire lo stesso e sono il benvenuto anche se non posso dar nulla, è supportata e bilanciata da chi ha soldi e sente la responsabilità di dare qualcosa anche per colui che non li ha. Perché colui che ha più soldi, da dove li ha? Dalla tasca di chi non li ha, scusate!

Una volta, quando sono andato in America, a New York – avevo ancora i capelli in testa, ne ho persi anche lì parecchi! – prima di tutto c’era la bandiera americana in chiesa. Era una comunità di emigrati italiani, di quarta generazione – venivano dalla Sicilia e dalla Calabria e io non ci capivo nulla, mi salvavo soltanto con l’inglese. Comunque, arrivo e c’è la bandiera americana in chiesa e io dico: no, me non mi vedete se lasciate lì la bandiera. Se volete la bandiera non vedete me, se volete me sparisce la bandiera. Hanno fatto un putiferio! La FBI mi ha fatto prigioniero degli Stati Uniti per tutto il tempo che sono stato lì: non avevo il diritto di lasciare gli Stati Uniti. Una volta ci ho provato nel Canada, mi hanno fermato brutalmente alla frontiera e mi hanno sbattuto indietro; e sono potuto restare negli Stati Uniti, senza licenza di uscire fuori, soltanto perché il potere del Vaticano è intervenuto e ha detto: non abbiamo nessun altro oltre a questo qui che sa bene l’inglese e quindi tenetevelo un po’ così com’è.

Comunque io, avendo criticato minimamente gli Stati Uniti, ero un comunista assoluto! In America, a quei tempi – e oggi non è molto cambiata la situazione –, o eri d’accordo con tutto ciò che lo Stato faceva, o eri un comunista.

Allora hanno accettato, e siccome il Vaticano ha ottenuto che restassi negli Stati Uniti, quando uscivo dalla sacrestia, in quel secondo (non due secondi prima!) spariva la bandiera, c’erano due o tre persone che la portavano fuori; nel momento, un decimo di secondo!, in cui mettevo il piede sulla soglia per rientrare in sacrestia, tornava la bandiera.

Il filo del discorso, che non sto perdendo, è quello della tasca piena e della tasca vuota. Lì avevano degli inni sacri, canti sacri, dove osannavano l’America from sea to sea, da un mare all’altro, chiedevano al Padreterno più prosperità (non prosperità spirituale, eh!, che magari non sanno che esiste, ma prosperità economica) e lì arriva ‘sto comunista italiano che nella predica dice: cari amici, io ho tremato inorridito di fronte a questo vostro bel canto spiri-tuale, cristiano, che chiede ancora più prosperità materiale per gli Stati Uniti, mica per l’umanità, per gli Stati Uniti. E io, cari fedeli cristiani, vorrei chiedervi: questa maggiore prosperità materiale da dove dovrebbe provenire? Piove giù dal cielo? Non l’ho mai vista piovere giù dal cielo. L’unico modo per avere più prosperità materiale per gli Stati Uniti è di rubare ancora un po’ di più a quelli che stanno già morendo di fame.

La gente stava zitta, uscendo di chiesa diceva: questo è matto del tutto, come fa a star qui? Eh, ci stavo perché il Vaticano è un potere di questo mondo! In altre parole, proprio questa mentalità, questo stato di coscienza così bambino, non si rende conto che puoi aumentare il benessere materiale degli Stati Uniti soltanto portando via un po’ di più all’umanità che è già depauperata all’infinito.

Quindi è vero, non è un’ingiuria dire che quando uno ha un portafoglio ben nutrito e un altro un portafoglio esile esile, ha sfruttato l’umanità, non lui personalmente ma oggettivamente: uno ha di più perché l’altro ha di meno. Come fa uno ad avere di più dell’altro? Facendo andare il denaro di meno in una direzione e facendolo andare di più nell’altra.

Voi direte: però molti hanno poco perché poltriscono. Ma c’è un sacco di gente che ha tantissimo poltrendo, e forse ancora di più. Quindi non è un argomento, quello. Prendiamo moralmente sul serio il fatto di avere l’occasione (e io sono veramente orgoglioso di potervela dare, visto che col numero di persone che c’è io comunque me la cavo sempre) di capire che quello che uno ha – e va bene che lo abbia – lo deve, in gratitudine, a coloro che hanno molto meno.

E non mi venite a dire che è un discorso comunista, perché allora il primo comunista è quello di duemila anni fa, e perciò l’hanno fatto fuori. Insomma, voglio dire, io sono felice che vengano senza dar niente coloro che fanno fatica con i soldi, ma se anche gli altri fanno così, ci proibite di stampare i libri che stiamo stampando con prezzi accessibili e di portarli nell’umanità. Siete voi che lo rendete possibile e voi avete la chiave per renderlo possibile o per non renderlo possibile. Perché, io, i soldi non li fabbrico e nemmeno li faccio scendere dal cielo: li ricevo da voi e con piena gratitudine.

Però uno che ha soldi e che dice che qui ha ricevuto cose che apprezza ecc., ecc., e se ne va via dando poco o nulla, è una coscienza bambina. E io ho la responsabilità di far presente questo fatto che contribuisce a che le cose più belle, più importanti, più impellenti nell’umanità, non si possano fare.

Io non vado a chiedere i soldi a Berlusconi, e se vuol darmeli dico: tienteli, non li voglio da te. E non li ho presi da questo tipo di persone, anche se qualcuno lo ha tentato nel corso della mia vita.

Io sono senza soldi perché non li ho mai voluti. Io i soldi li ricevo volentieri dalla cosiddetta piccola gente, e voi vi considero tutti della piccola gente, dove siamo tutti uguali. Se uno viene con la potenza del denaro e vuole ricattarmi col denaro, io dico: tientelo, non lo voglio! E quando uno dà 100 o 150 euro, io non so chi è, quindi non mi può ricattare: e se ci vuol scrivere il nome, ci metta dentro 5 euro, non 100.

Luciana, vogliamo arrivare o no alla fine di questo vangelo? Non era questo che volevi dire? Bene, adesso resta di portar via e distribuire queste montagne di cataloghi e di dépliant per il prossimo Convegno che terremo a Bologna sul tema: Società multiculturale ad un bivio – bisogna portarli via con la fede, quella vera, non quella di Pietro ma quella giovannea, che è la fede che finalmente fa sparire le montagne!

Mi restano 6 minuti per terminare in gloria il vangelo di Giovanni. Ormai le cose importanti da parte mia le ho dette anche stamattina e nel corso di questi giorni. Però questa mattina mi pare di aver espresso un paio di pensierini che servono a indagare anche parole che non ho detto esplicitamente.

L’intento non è quello di fare un discorso esauriente, che non esiste, o sistematico. Vediamo che il testo non procede per sistematica metafisico-filosofica, né sulla falsariga di qualcosa di esauriente, ma ci presenta immagini, immagini, quadri che fanno camminare lo spirito umano nella misura in cui li medita e riferisce questi quadri alla sua vita, alla sua esistenza, alla storia, alla fenomenologia dell’anima e dello spirito, alla fase dell’infanzia nella vita singola, alla fase dell’infanzia nel cammino di tutta l’umanità, e poi alla fase della vecchiaia – proprio perché ci sono queste immagini: quando sei giovane ti vesti da solo e vai dove vuoi, poi, se non lo sai, Pietro, te lo dico io, la gioventù non è eterna, viene la vecchiaia.

Qualcuno ha chiesto: cos’è che porta Pietro a stendere la mano, cos’è che gli fa stendere la mano? Il fatto che non gli piace andare in giro nudo: ci prova ancora, lui, a vestirsi, ma non è capace, e se ne fosse capace continuerebbe a vestirsi da solo! Allora si lascia vestire, e tende il braccio perché qualcun altro gli infili la manica della veste.

21,22 “Dice a lui Gesù: se io voglio che lui permanga finché vengo…” ma come “finché vengo”? Sei qui, sei già venuto! Quindi c’è un venire e un rivenire. Il cristianesimo da sempre parla di una prima venuta del Cristo, nel mondo fisico, dove è morto in croce ed è risorto 2.000 anni fa; e poi c’è il discorso di una seconda venuta che deve essere diversa dalla prima, perché se si ripetesse lo stesso evento di 2.000 anni fa vorrebbe dire che la prima volta non ha fatto tutte le cose come andavano fatte.

Ma la conduzione divina non perde colpi! Non deve ripetere! I ripetenti sono quelli che perdono colpi – ma non in pedagogia, perché nessun bambino è ripetente, sono soltanto i nostri moralismi che fanno ripetere a un bambino lo stesso anno. È un’umanità bacata quella che pensa che un bambino possa perdere colpi: i maestri perdono colpi!

21,22 “… cosa ha a che fare questo con te?” Questo “a che fare con te” è nel senso di: cosa ha a che fare con il tuo tramonto, col tuo terminare, col tuo diventare vecchio e morire, col tuo esser destinato a fargli posto? Non ti riguarda direttamente, ti riguarda indirettamente, nel senso che tu sei destinato, il tuo mandato ha un inizio e una fine ed è limitato nel tempo.

Quindi Gesù continua a dire a Pietro: guarda, Pietro, tu hai un mandato, hai un compito, perciò vieni subito dopo di me, mi segui. Però è importante che tu capisca, Pietro, che anche il tuo mandato è delimitato nel tempo, perché siamo in evoluzione e nessun impulso è eterno. Se un impulso fosse valido per sempre non ci sarebbe evoluzione, ci sarebbe sempre la stessa cosa.

E una delle cose che il cristianesimo petrino fa più fatica a capire è la sua limitatezza nel tempo, perché si ritiene eterno. Ma si può essere eterni soltanto se si diventa avulsi dalla Terra, dal luogo dove tutto nasce, cresce, tramonta e muore.

21,22 «Tu seguimi».

21,23 Presso i fratelli si sparse la voce che quel discepolo non muore. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma «Se voglio che lui rimanga finché io vengo, cosa ha a che fare con te?»

“Tu seguimi”, moi ¢koloÚqei (su mòi akolùthei). “Si sparse la voce” ™xÁlqen oân oátoj Ð lÒgoj (exèlthen un ùtos o lògos): uscì la voce, la diceria, l’affermazione, che quel discepolo non muore. Ma il Cristo non ha detto che non muore, ha detto che permane finché Lui ritorna. Però loro hanno capito: se deve permanere finché ritorna, visto che il Cristo ritorna alla fine dei tempi… allora questo qui non muore fino alla fine dei tempi! È l’inizio del materialismo!

Questo inizio del materialismo dimostra che siamo in chiave di Pietro e non in chiave di Giovanni, perché questa frase, compresa nella chiave del cristianesimo di Giovanni, significa: questo qui è colui che resta fino all’iniziazione, cioè è colui che, in vita, farà l’esperienza del mio ritorno – e l’ha già fatta, sei giorni, una settimana prima che il Cristo morisse.

Nelle conferenze raccolte in Le sorgenti della cultura occidentale II volume, c’è una conferenza sul risveglio di Lazzaro – leggetela, è proprio una cosa bellissima! – dove Steiner parla di questo grosso fraintendimento su ciò che il Cristo dice a Pietro e il cui senso è: questo è il discepolo che, mentre è in vita, prima di morire, facendo l’esperienza dell’iniziazione vive il venire spirituale del Cristo (cioè il suo ritorno). Mentre è in vita, prima di morire.

Coloro che non capiscono nulla di questi misteri dell’iniziazione, pensano alla venuta del Cristo alla fine dei tempi, alla fine del mondo: e se questo discepolo permane finché il Cristo ritorna, vuol dire che non muore mai fino alla fine dei tempi.

Chi capisce, invece, queste parole? Lui, Lazzaro, perché è già rimasto, è stato “permanente” finché Lui è tornato, ma ad un altro livello, a tutt’altro livello, un livello che Pietro non può capire. E perciò si è sparsa la voce: oh, questo tizio qua non morirà mai!

Domanda: e quando è morto cos’hanno fatto? Perché è morto, prima o poi è morto, Giovanni-Lazzaro. Hanno cominciato a dire: qui i conti non tornano. Il cristianesimo petrino, tra le altre cose, è un cristianesimo nel quale i conti non tornano, perché non tiene conto, non include nel conto, l’iniziazione, perché non la conosce.

Non muore! Però il vangelo lo afferma non dicendo “costui non muore”, ma dicendo “se io voglio che lui permanga finché vengo, questo non riguarda te”. Quindi il Cristo non ha detto “non muore”. Ma loro hanno interpretato: non muore. Hanno avuto fortuna, perché è morto molto anziano, oltre i 100 anni, però prima o poi è morto.

Da lì salta fuori, soprattutto nella teologia successiva, un’interpretazione del Nuovo Testamento che voi forse non conoscete, ma noi, in teologia, l’abbiamo studiata per lungo e per largo. Hanno detto: ah!, allora i primi cristiani hanno pensato che la fine del mondo fosse così imminente da venir prima della morte del discepolo! La teologia dice: loro si aspettavano che la fine del mondo venisse prima della morte di questo discepolo, perché avevano interpretato le parole in questo modo.

Poi invece è morto e la fine del mondo ancora non era venuta: allora i primi cristiani hanno fatto come i testimoni di Geova, hanno spostato la fine del mondo. No, hanno detto, allora la fine del mondo verrà un po’ più tardi. Ci sono problemini non da poco nel cristianesimo di Pietro, eh?! Immaginatevi noi, giovani studenti, io per lo meno, con la mente un po’ sbarazzina, a sentir dire queste cose… perché in fondo quest’affermazione qui dice: tutti i primi cristiani erano stupidi, che più non si può!

Che cos’è la fine del mondo? L’esperienza dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione. Il mondo fisico sparisce, quella è la fine del mondo!, però sparisce nella coscienza di colui che assurge all’immaginazione, perché per gli altri c’è ancora, il mondo.

Quindi, noi che cominciamo a balbettare questi discorsi in base alla scienza dello spirito, che è la scienza di Giovanni-Lazzaro, comprendiamo che Pietro non può capire queste cose. E quindi diciamo: la prima fase del cristianesimo non ha capito le frasi fondamentali del vangelo, le ha interpretate materialmente.

Tra i fratelli si sparse la voce: quello non muore, prima viene la fine del mondo, dopo muore… perché Lui ha detto: resta finché io ritorno... Lui ritorna alla fine del mondo, perché quando ritorna è la fine del mondo, è un finimondo, il suo ritorno è un finimondo!! Certo che è un finimondo, ma non fisico!!

Per colui che assurga, nel cammino di purificazione interiore, di iniziazione, all’immaginazione, all’ispirazione, all’intuizione, il mondo è finito, ma non esteriormente: è finito nella sua coscienza. Perché il mondo materiale è una parvenza di esistenza, non una realtà. Quindi l’iniziazione è l’esperienza della non realtà del mondo fisico: fine del mondo, finalmente! Ma è stato interpretato tutto materialmente. Poi hanno visto che il mondo non era finito, che Giovanni-Lazzaro è morto, e hanno spostato la fine del mondo.

Allora, i discepoli che scrivono quest’ultimo capitolo dicono del loro maestro:

21,24 Costui è il discepolo che ha dato testimonianza di queste cose e le ha scritte e sappiamo che la sua testimonianza è vera.

Loro da chi hanno ricevuto questi contenuti dell’ultimo capitolo? Da Giovanni-Lazzaro, mica se li sono inventati. Però Giovanni-Lazzaro gli ha detto: se qualcuno li deve scrivere, scriveteli voi, io non li posso scrivere perché riguardano troppo direttamente me.

Quindi Giovanni-Lazzaro è il discepolo che rende testimonianza di tutte queste cose, che le ha scritte tutte e ha incaricato noi di scrivere l’ultimo capitolo. E noi sappiamo che la sua testimonianza è verace. Perché se uno capisce veracemente la veracità di questa fine del mondo, è verace. Se invece uno la fraintende, eh, allora non è verace.

Dice colui che ha scritto quest’ultimo capitolo:

21,25 Ci sono tante altre cose che Gesù ha fatto che se venissero scritte una per una penso che neanche il mondo intero potrebbe contenere i libri scritti.

Neanche il mondo intero le potrebbe capire (capienza è contenere). Se noi volessimo dire sul vangelo di Giovanni tutto quello che si potrebbe dire, staremmo qui fino alla fine del mondo.

Ma non ne vale la pena: è meglio andare a pranzo!

E la prossima volta cominciamo con La filosofia della libertà.

Grazie a tutti voi!

APPENDICE
(Dall’incontro del sabato pomeriggio, come segnalato nella nota 6)

Mi concedete due minuti per una cosa per me molto importante? Ma spero che sia importante anche per voi. Una cosa che ho scoperto adesso, durante la pausa, e mi sembra di un’importanza tale che, insomma, ho il dovere di farvela presente.

La Società Antroposofica in Italia ha un bollettino che esce forse due volte all’anno, qui ho quello della primavera del 2006, e dalla pagina 2, colonna di destra, vi leggo quattro righette: «Una casa editrice tedesca, di cui Pietro Archiati è fondatore, ha perso recentemente una causa giuridica intentata dall’Archivio di Rudolf Steiner a causa di testi pubblicati in rete senza consenso».

Il diavolo è molto bravo a non far vedere le sue corna: infatti non si può dire che questa notizia sia una menzogna al 100%, è una menzogna al 95% per cui quel 5% che resta dà a chi l’ha scritta la possibilità di dire: sì, però... Con quel “sì, però” si rendono forti del 5% di fronte a un 95% di menzogna cui non viene dato valore. Questa è una calunnia nei miei confronti basata su una menzogna.

In che cosa consiste il 95% di menzogna? I soci della Società Antroposofica in Italia vengono trattati come pecorelle dagli “arcivescovi” di Milano, e credono a quello che scrivono i loro pastori antroposofici altrimenti, se non fossero pecorelle, si sarebbero impegnati ad andare a vedere se è vero quello che leggono. Allora avrebbero appurato che per il 95% è una menzogna e una calunnia e avrebbero sentito, se fossero veramente antroposofi, il dovere morale di farsi sentire.

Il fatto che questo non avvenga, che sia costretto io a mostrarvi che è una calunnia e una menzogna, vi sta a dire che sono veramente delle pecorelle che dormono, e credono in buona fede ai loro pastori che mentono.

Il Lascito[15] di Rudolf Steiner ha fatto causa alla Archiati Verlag, che non è stata fondata da me: la proprietà della Archiati Verlag è di Monika Grimm, che voi conoscete e che vende i libri. Neanche suo marito Michael, che pure conoscete, è il proprietario: lei è la proprietaria. Quindi il fatto che io abbia fondato questa casa editrice è una menzogna, loro lo scrivono e tanto sanno che non c’è nessuno che gli guarda le carte, capito? Io non ho fondato nulla perché proprietaria della Archiati Verlag, che pubblica anche testi in Italia con un impegno enorme di forze mettendovi a disposizione pane spirituale che altrimenti non avreste, è Monica Grimm. Questa casa editrice porta il mio nome, ma che io l’ho fondata da dove lo deducono? Non mi hanno mai interpellato! Quindi partono dal presupposto che le loro pecorelle credono a tutto quello che gli dicono.

Poi: il Lascito (l’Archivio) ha fatto causa alla Archiati Verlag perché questa ha messo in Internet “le lezioni di Classe” di Steiner – forse qualcuno qui sa di cosa si tratta –: sono spiegazioni di mantram, degli ultimi mantram che Steiner ha dato prima di morire. I soli mantram, cioè i bellissimi testi di meditazione senza le spiegazioni, li abbiamo invece pubblicati in un libricino, in tedesco, che costa 2€. E siccome, come adesso cercherò di spiegare meglio, il Lascito ha perso la causa, i giudici ci hanno autorizzato a rimetterlo in commercio. Questa è già una dimostrazione che l’hanno persa loro, la causa.

Scusate, per avere un’idea, alzino la mano quelli di voi che sanno cos’è la Classe, la lezione di Classe. Quanti sono?

Intervento: Sappiamo che esiste, ma…

Archiati: Sì, non cos’è ma che esiste, almeno. Beh, insomma, molte poche persone. Allora devo spiegare un pochino le cose. Steiner ha dato questi mantram e si tratta di meditarli. Sul fatto che abbia dato delle spiegazioni, ha sempre detto: non esistono! e non voleva che ci fosse uno stenografo. Però gli antroposofi che erano a Praga, che erano a Vienna, che erano anche a Stoccarda dicevano: ma noi non possiamo andare a Dornach a sentire le spiegazione sui mantram che fa il dottore!

Allora Steiner ha ceduto e ha dato a qualcuno l’incarico, però sempre limitato nel tempo in cui lui era vivente, di leggere questi testi anche a Praga, anche a Vienna, e quindi ha dovuto dare a Hélene Finck l’incarico di stenografare.

Marie Steiner, dopo morto Rudolf Steiner – e Marie Steiner era sua moglie, la persona che gli era più vicina –, nei suoi diari dice: da tutti i colloqui che ho avuto con Steiner su questa questione io posso affermare che non era sua volontà che queste spiegazioni venissero lette. La sua volontà era che sparissero e che restassero solo i mantram. Invece nel 1992 ci fu una prima pubblicazione.

Ora, il processo è una cosa molto complessa, i giudici hanno emesso un verdetto di 12 pagine e la menzogna è che l’Archiati Verlag ha perso: l’Archiati Verlag ha vinto la prima istanza e la prova è che il Lascito ha fatto ricorso. Il ricorso non lo fa chi ha vinto, scusate, eh? Nel giro di due settimane il ricorso che avevano presentato l’hanno ritirato. Il nostro avvocato ha detto: una cosa così stupida non l’avevo mai vista, perché potevano ben capire prima di presentarlo che avrebbero perso anche in seconda istanza, e quindi, normalmente, non si presenta un ricorso per poi ritirarlo dopo 10 giorni. Però il fatto che abbiano presentato ricorso vi dice che, nella sostanza, hanno perso loro la causa, non l’Archiati Verlag.

Di che cosa si tratta? Prima di arrivare al nocciolo della questione, devo dire che su questa pubblicazione ci sono state beghe all’infinito (dove io non c’entravo) tra la Società Antroposofica e il Lascito: un processo proprio feroce dove la Società Antroposofica perse il processo contro il Lascito (il Lascito era la fazione di Marie Steiner che, tra l’altro, era anche nella direzione della Società Antroposofica, nel Vorstand… lascio a voi tutta questa storia bella ingarbugliata). Poi sono arrivati all’accordo di pubblicare.

La Classe di Dornach si fonda sul fatto che questi mantram sono soltanto per uomini superiori agli altri esseri umani, soltanto loro sono abbastanza evoluti da poterli avere in mano; ci sono “Lettori di Classe” che leggono ai membri della Classe, a questi antroposofi di prima categoria (i semplici soci della Società Antroposofica sono antroposofi di seconda categoria), Lettori che vengono nominati santissimamente, sanciti da Dornach con una specie di ordinazione sacerdotale della Chiesa cattolica, per leggere solo ai soci della Classe (non basta, vi dicevo, essere soci della Società Antroposofica!) queste spiegazioni dei mantram.

Per sancire la santità, la sacralità di questa Classe (che, nella “successione apostolica dei Lettori”, dopo la morte di Steiner, ha continuato la scuola di Michele con la Santa Sede di Dornach) hanno stampato una citazione da quel testo di Marie Steiner – quello dove Marie Steiner diceva: non era nell’intenzione di Rudolf Steiner che questi testi si leggessero – togliendo la parola non: “era nell’intenzione di Rudolf Steiner che questi testi si leggessero”. Quindi, falsando all’opposto un’affermazione fondamentale di Marie Steiner sulla volontà di Steiner, sanciscono l’autorità morale della Classe e dei Lettori di Classe.

Un anno fa, circa, Kirsch ha scritto un libro (perché poi si rendono conto dei problemi) sulla storia della Classe, dove dice: nel 1992 sono stati pubblicati questi testi e nella citazione delle parole di Marie Steiner manca la parola “non”. Manca la parola “non”. Invece di dire: il potere di Dornach, la Santa Sede di Dornach, ha sancito il suo potere falsando un’affermazione fondamentale di Marie Steiner sulla volontà di Steiner stravolgendola nel suo opposto (facendo dire a Steiner che era sua volontà che venissero letti anche i commenti), il piccolo borghese, di fronte a questa menzogna assoluta che è proprio un discreditare l’antroposofia, dice: in questa citazione, nella pubblicazione dei testi di Classe manca la parola non”. Das Wort “nicht” ist nichten alten.

Cosa ha fatto la Archiati Verlag? Io ho detto a Monica Grimm e a Michael Schmidt: queste spiegazioni, questi testi della Classe, sono stati usurpati in base a una “successione apostolica della Santa Sede di Dornach” per creare una casta privilegiata che altrimenti, se qualcuno le porta via questo privilegio, non ha più nessuna identità. Perché la sua identità è di essere membro della Classe, non soltanto membro della Società Antroposofica, e fonda la sua autorità addirittura stampando dei testi dove c’è una falsificazione di Steiner, a cui nessuno ha badato, su cui nessuno ha mai detto nulla.

Al che abbiamo detto: questi testi, stando alla volontà di Rudolf Steiner, appartengono a tutti gli esseri umani perché, per quanto riguarda Steiner, non esistono, e se c’era una Scuola di Michele incarnata nell’individualità di Rudolf Steiner questa diventa spirituale nel momento in cui lui muore. La “successione apostolica” di questi Lettori che continuano a fare come se ci fosse una scuola di Michele incarnata, non è in nulla diversa dalla successione apostolica della Santa Sede di Roma: è una ripetizione, in assoluto, del fenomeno cattolico.

Però, persone che si svegliano nel mondo antroposofico proprio non ci sono! Allora io ho detto: stampare questi testi sarebbe un torto che facciamo ai lettori, perché interesserebbero poche persone mentre noi andiamo in cerca di lettori nuovi e vogliamo pubblicare cose per tutti. Mettiamoli in Internet: se ci fanno causa e se i giudici dovessero costringerci a ritirare dalla circolazione questi testi, basta un mouse e clic, spariscono. E difatti così fu. Loro hanno fatto valere le tante perdite subite perché noi abbiamo messo in Internet tutto gratis, visto che quello che appartiene a tutti appartiene a tutti.

C’è qualcuno, qui, che sa quanto bisogna pagare per comprare i testi della Classe? Prima di tutto molti non sanno neanche che sono stati stampati e che si possono comprare, però sottobanco si possono comprare.

Intervento: So che costavano £ 500.000?

Archiati: Questi antroposofi, che dello spirito del Cristo non hanno capito nulla, fanno pagare a tutt’oggi 260€ questi testi che noi abbiamo offerto, e che siamo stati costretti a togliere da Internet. La bellezza di 260€!! Ho parlato con una dottoressa di Friburgo che mi ha detto: ma signor Archiati, 260€ ce li hanno tutti, non c’è nessun problema a comprare! E io le ho detto: ma dottoressa, lei mi pare che viva sulla Luna, non sulla Terra! Il fatto di rendere accessibili questi testi pagando 260€ è un elitarismo pauroso del potere del denaro, che non ha nulla a che fare con lo spirito di universalità del Cristo.

Intervento: Ma non è stato lo Steiner che ha detto che se fosse ritornato non l’avrebbero fatto entrare?

Archiati: Lascia perdere, adesso, questo. Steiner in privato ne deve aver dette di cose! Non è di questo adesso che si parla…

Dunque, tenete presente che questi testi sono stati pubblicati nel 1992. Noi li abbiamo messi in Internet gratis nel 2005. Quindi chi li voleva comprare e avesse avuto i soldi aveva avuto a disposizione 13 anni, d’accordo? Se qualcuno li ha scaricati da Internet vuol dire che era interessato, che voleva averli e che l’unico motivo per cui non li aveva erano i soldi, altrimenti li avrebbe già comprati. L’interesse lo dimostra il fatto che l’hanno scaricato da noi: per scaricare, l’inchiostro e la carta ce li deve mettere chi scarica! Noi nel giro di tre settimane siamo stati costretti a toglierli, per ordinanza preliminare. Considerando che ci vuole almeno una settimana prima che si sparga la voce che c’è qualcosa in Internet, il tempo reale per scaricare sarà stato di due settimane. Nel giro di due settimane li hanno scaricati quasi 500 persone! Un numero enorme! Persone che sono interessate a queste cose e che non le avevano in mano per via dei soldi, perché non erano disposti a spendere 260€.

Abbiamo ritirato dal commercio anche il libricino da 2€ con tutti i mantram. Adesso viene la causa e vi spiego il 95% di menzogne e di calunnia. E spero che anche qui ci sia chi senta il dovere morale di far presente all’umanità che qualcuno viene calunniato in base alla menzogna, perché chi viene a sapere queste cose ha il dovere di prendere posizione. Il tacere è proprio quello che uccide l’umanità in modo assoluto.

L’Archiati Verlag non ha il diritto di prendere la versione dell’Opera Omnia perché, essendo state pubblicate queste Lezioni di Classe nel 1992, il Lascito può farle valere come prima pubblicazione e una prima pubblicazione ha, almeno in Germania, 25 anni di protezione: per rientrare delle spese nessuno gli può fare concorrenza, e i 25 anni non sono ancora passati dal ‘92, chiaramente.

Il problema è che se noi avessimo messo nella versione in Internet uno stenogramma anche minimamente diverso, avrebbero perso la causa anche su questo 5%, perché i giudici avrebbero detto: non hanno preso il vostro testo, hanno usato un altro testo, anche se le differenze sono poche non è il vostro testo e voi avete dei diritti soltanto sul vostro testo.

Devo aggiungere (la cosa è complessa) che, prima di fare questa edizione, c’era stata una stampa nel 1977 che il Lascito, però, ha fatto di tutto perché non fosse presentata come prima edizione e noi abbiamo dovuto perdere un sacco di tempo per dimostrare che invece c’era stata e che quindi quella del 1992 non era una prima edizione.

I Lettori di Classe, prima del 1992, avevano in mano dei quaderni stampati in A4, grossi, e quando c’è stata la stampa del 1992 il presidente della Società Antroposofica Manfred Schmidt-Brabant ha richiesto a tutti i Lettori che mandassero la copia vecchia a Dornach. L’editore della casa editrice del Goetheanum, Joseph Morel, mi ha detto che lui stesso li ha visti bruciare, per cui nell’umanità c’è soltanto l’edizione del 1992 che hanno loro, o è comunque difficilissimo reperire un vecchio testo.

Comunque i giudici hanno detto che quella del 1997 non poteva essere considerata una prima edizione.

Noi avevamo scannerizzato l’edizione del Lascito del 1992. Abbiamo fatto parecchio lavoro, dopo, e scannerizzare è una cosa privata, no? Se uno scannerizza qualcosa e dopo ci fa un sacco di lavoro, diventa un’altra cosa. Però il lavoro che abbiamo fatto sul testo scannerizzato era piuttosto di tipo informatico-meccanico per cui i giudici, giustamente, non l’hanno fatto valere. Hanno detto: no, avete comunque scannerizzato, avete preso il loro testo. Noi non abbiamo avuto la possibilità di dire ai giudici, che non sapevano nulla di tante cose: sì, l’abbiamo fatto perché siamo stati costretti, visto che hanno fatto sparire tutti gli altri testi. Allora abbiamo detto: è vero. Facciamo una dichiarazione che non useremo più il loro testo.

Al che i giudici hanno detto: se fate questa dichiarazione allora va tutto a posto. La Archiati Verlag ha presentato un documento dove dichiara di non pubblicare più quel testo dell’Opera Omnia, il loro testo, ma il Lascito si è dimostrato non soddisfatto: non ha accettato la dichiarazione perché voleva aggiungere che noi non avessimo il diritto di presentare nessun testo di queste Classi, voleva proibirci qualsiasi versione.

A quel punto lì i giudici hanno dato torto in assoluto al Lascito dicendo: no, signori, bisogna distinguere. E questo verdetto del tribunale di Monaco, 12 pagine, distingue tra i testi in quanto tali, che sono proprietà di Rudolf Steiner, lui li ha coniati, e settant’anni dopo la sua morte nessuno più ha diritto su questi testi che perciò sono patrimonio dell’umanità, e la versione di questi testi fatta dal Lascito. I giudici hanno detto: la vostra versione di questi testi è proprietà vostra, ma soltanto la vostra versione. Voi, invece, volete proibire alla Archiati Verlag di pubblicare qualsiasi versione di questi testi, ma questo diritto non lo avete. La Archiati Verlag ha il diritto di pubblicare tutte le versioni di queste Lezioni di Classe che non siano la vostra.

A quel punto lì, avendo perso la causa in prima istanza, hanno fatto ricorso e nel bollettino Das Goetheanum c’è scritto – è questo che dovreste sentire la responsabilità morale di presentare agli arcivescovi antroposofi di Milano – che hanno perso la prima causa sul fatto di essersi arrogati il diritto su tutti i testi.

Quindi ogni essere umano, stando al verdetto dei giudici, ha il diritto non soltanto di leggere ma anche di pubblicare questi testi se non usa la versione proprio letterale del Lascito. Loro hanno fatto di tutto per proibirci l’accesso, il diritto a ogni tipo di versione, e hanno perso. Ora vi ripeto di nuovo: nel Das Goetheanum è stato pubblicato che il Lascito, la Nachlaßverwaltung, ha fatto ricorso. Ma scusate: chi fa ricorso è colui che ha perso!

Intervento: Questo è stato scritto nel bollettino tedesco Das Goetheanum?

Archiati: Sì, sì, sì. E qui, sul bollettino italiano, dicono: “Una casa editrice tedesca di cui Pietro Archiati è fondatore ha perso recentemente una causa giuridica intentata dall’Archivio a causa di testi pubblicati in rete senza consenso”. “Senza consenso”, poi, è un’altra menzogna perché a noi non interessa affatto il consenso di quelli di Dornach: o abbiamo diritto o non abbiamo diritto, il consenso non c’interessa nulla.

Dove sono gli antroposofi così illuminati, persone di prima classe, che dicono: io non voglio essere una pecorella che crede a tutto quello che scrive il mio arcivescovo? Dove sono quelli che sono andati ad appurare se è vero? Dove sono? Questo pecorume è molto peggio del pecorume della Chiesa cattolica, ed è l’opposto dello spirito dell’antroposofia, è proprio quello che distrugge l’antroposofia! E non dicono neanche che il Lascito ha fatto ricorso e poi lo ha ritirato: perché non danno queste informazioni? Perché la gente allora direbbe: ma allora sono stupidi a dire che hanno vinto la causa, se poi fanno ricorso e ritirano il ricorso!

Nel 2006 siamo a questi livelli allucinanti di trattare gli esseri umani come bambini e la cosa funziona. Perché sono bambini. È incredibile scusate, è incredibile!

Intervento: Comunque non tutti hanno ricevuto quel bollettino: io non l’ho ricevuto.

Archiati: Io sto parlando di quelli che l’hanno ricevuto, quelle sono le pecorelle, io non sto parlando di te. Sto parlando delle pecorelle che devotamente lo leggono, perché se non ci fossero pecorelle che lo leggono, non lo stamperebbero.

Tra l’altro, io so che la presidenza di Milano, almeno una volta, ha mandato in giro un bollettino dove non c’era nulla, due fogli bianchi, per dire: gente, se non ci mandate nessuna notizia noi non abbiamo nulla da stampare! Questo come piccola informazione, qualcuno me l’ha raccontata.

Intervento: I mantram sono rimasti in rete?

Archiati: I mantram li abbiamo pubblicati nel libricino. Tu intendi la spiegazione, i commenti? Dopo che il Lascito ha ritirato il ricorso, la causa è finita. Loro erano sicuri che noi, il giorno dopo, o il giorno stesso, avremmo ripresentato in rete mantram e commenti. Prima di tutto vi dico sinceramente che io ho perso un po’ di tempo per trovare qualcuno che avesse l’antica versione per averne una alternativa, visto che ora c’è soltanto quella del 1992! E non sono riuscito a trovarla. Però, dopo un po’, ci siamo detti: quelli che veramente cercavano queste cose, e nel cui karma era di ottenerle, sono quei 500 che le hanno scaricate. Quindi io, Pietro Archiati, questo fatto l’ho compiuto nell’umanità, non ho bisogno di ripeterlo perché se qualcuno si è accorto troppo tardi che c’erano e dice: peccato che li hanno tolti! va da un altro che li ha scaricati e se li fa dare. Non mi interessava più dare una botta e dimostrare all’umanità: toh, te li rimetto in Internet. Non mi interessano questi giochi di potere.

Poi, tra l’altro, siamo venuti a sapere che una certa signora – un’anima femminile, perché i maschietti non ci arrivano –, vattelappesca se sta in Canada o negli Stati Uniti, comunque in America, e questo è importante perché nessuno in Europa fa un processo a chi sta in America, questa signora ha rimesso in Internet quello che aveva scaricato da noi. Perché dobbiamo ripeterlo noi? Se voi aprite Google... Luciana, cosa significa Google?

Luciana: Non lo so.

Archiati: In inglese è la somma di blšpei, qewre‹ e eŒden !!! Google significa vedere, spiare, guardare. Se aprite Google, e dalle vostre risa mi pare di capire che lo conoscete, gli date l’imboccata “Rudolf Steiner”, perché di Rudolf Steiner si tratta, e poi ci mettete le due parole magiche che sono “esoterische Unterweisungen” aspettate un paio di secondi di ricerca, vi compaiono i testi di Classe e ve li scaricate.

Un’altra postilla: sul bollettino degli “arcivescovi” antroposofi di Milano – questo però io non l’ho letto, mi è stato detto e quindi appurate se è vero – è stato scritto: leggete, cari soci della Società Antroposofica, l’Opera Omnia, non lo Steiner pubblicato dall’Archiati Edizioni. Perché? Il motivo è che l’Opera Omnia è fatta bene, scientificamente, coscientemente, eccetera, mentre Pietro Archiati vattelappesca è tutto all’acqua di rose! “L’arcivescovo antroposofico” che scrive queste cose dove ha avuto la possibilità di appurare se i volumi dell’Opera Omnia sono scientifici, come sono redatti, eccetera eccetera? Da pecorella qual è lui stesso, deve crederci che quelli hanno fatto un buon lavoro perché le loro carte non le hanno mai mostrate, cioè i documenti da cui fanno le redazioni.

Intervento: Gli stenogrammi.

Archiati: Gli stenogrammi e la trascrizione degli stenogrammi, soprattutto. Capito? Quindi “l’arcivescovo” dice: io ci credo che loro hanno fatto un buon lavoro e dovete crederci anche voi: ergo non comprate Archiati, comprate l’Opera Omnia. E le pecorelle? Seguono.

Intervento: Chi è che ha scritto questo?

Archiati: Si chiama Stefano Pederiva.

Intervento: “Loro” chi sarebbero?

Archiati: Quelli sono “i cardinali” di Dornach. A Milano ci sono “i vescovi e gli arcivescovi”, a Dornach “i cardinali” e il “papa”.

Tra l’altro, scusate, io dico le cose ma non sia mai che mi crediate così... Se date una sbirciata alla quarta di copertina di Cultura politica economia (e poi anche all’interno del libro, pagg. 304-305, il testo integrale) potete leggere una pagina intera che non compare in tutte le edizioni precedenti – ce ne sono state una nel 1948, una nel 1950, poi nel 1977 Opera Omnia volume 332A – e che l’Archiati Verlag ha pubblicato per la prima volta anche in tedesco, una pagina intera che è la conclusione dell’ultima conferenza. Parlo di una pagina intera dove Steiner dice:

«Per questo, cari ascoltatori, desidero concludere tutte queste conferenze con parole intese davvero sinceramente. Posso immaginarmi che (...) ci siano ancora persone che dicono: “Sì, queste idee sono davvero nobili (…) c’è però un abisso fra ciò che gli uomini possono oggi capire e queste idee”. Cari ascoltatori (…) non c’è bisogno di stare a sindacare quanto maturi o immaturi siano gli uomini, ma occorre dire sempre di nuovo ad alta voce ciò che si ritiene vero e fruttuoso (...). Se si fa così, se non ci si stanca di continuare a ripeterlo, gli uomini matureranno prima di quanto farebbero se si continua a rinfacciargli la loro immaturità (...). Per questo non mi stancherò mai di ripetere sempre di nuovo quelle cose che a mio parere fanno parte del cammino di maturazione degli uomini».

Sono le parole che suggellano, alla fine dell’ultima conferenza, lo spirito con cui Steiner ha presentato la sua triarticolazione sociale, che è in fondo la somma di tutto il suo impulso, il suggello dello spirito con cui lui sempre di nuovo parlava. Tutta questa pagina è stata espulsa, espulsa in tutte le edizioni! E se io non avessi avuto la possibilità di pescare, diciamo, le trascrizioni dei manoscritti originali non avrei avuto la possibilità di dimostrare all’umanità che qui, in tutte le edizioni, al lettore per decenni e decenni è stata sottratta la percezione delle cose più importanti, perché qui Steiner dice con quale spirito ha tenuto queste conferenze. Semplicemente sbattute fuori.

Intervento: Invece di essere contenti…

Archiati: Sta’ attenta: perché hanno lasciato via queste parole? Perché hanno fatto sempre il contrario. La cosiddetta questione sociale non l’ha coltivata nessuno perché comporta di cambiare qualcosa nella vita: finché io vado in brodo di giuggiole su belle conferenze cristologiche, non ho bisogno di cambiare la vita; ma se io mastico queste conferenze, o sono disonesto oppure cambia qualcosa nella vita. Siccome questo non è stato fatto, mentre Steiner dice che è essenziale farlo, l’hanno sbattuto fuori. Però, cari amici, sbattere fuori questo suggello dello spirito con cui tiene queste conferenze è un falsificare enorme, no? E chi si presenta a dire queste cose?

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[1] Rudolf Steiner Le sorgenti della cultura occidentale voll. I e II - Archiati Edizioni

[2] Luciana Martucci, l’organizzatrice del seminario, ha relazionato in apertura sulle questioni economiche generali, e anche riguardo al libero apprezzamento per il relatore.

[3] Rudolf Steiner Le sorgenti della cultura occidentale voll. I e II op. cit.

[4] Rudolf Steiner Cultura politica economia Archiati Edizioni 2006

[5] 1) Periodo paleo-indiano 7.227-5.067 a.C. – 2) Periodo paleo-persiano 5.067-2.907 a.C. – 3) Periodo Egizio-Caldaico-Assiro-Babilonese 2.907-747 a.C. – 4) Periodo Greco-Romano 747 a.C.-1.413 d.C. – 5) Periodo attuale 1.413-3.573 – 6) Periodo Sesto 3.573-5.733; – 7) Periodo Settimo 5.733-7.893.

[6]A questo punto Pietro Archiati parla lungamente di una menzogna che è stata scritta sul bollettino della Società Antroposofica italiana (Primavera 2006) in merito alla causa intentata e persa dalla Rudolf Steiner-Nachlaßverwaltung di Dornach contro l’Archiati Verlag. Poiché l’argo-mento esula dal commento al vangelo di Giovanni, le pagine relative sono state inserite per gli interessati in Appendice.

[7] Oggi edito anche con il titolo Il fenomeno Uomo – Da Gesù a Cristo Archiati Edizioni 2008

[8] Vedi Appendice.

[9] Pietro Archiati Equilibrio interiore Archiati Edizioni

[10] Vedi Appendice

[11] Sul significato evolutivo dell’ariete: Pietro Archiati L’Odissea: il cammino di ogni uomo Archiati Edizioni

[12] Da sempre il corpo umano è stato visto come la somma delle dodici forze zodiacali: Ariete – testa; Toro – gola, laringe; Gemelli – braccia; Cancro – torace; Leone – cuore; Vergine – addome; Bilancia – anche; Scorpione – organi riproduttivi; Sagittario – cosce; Capricorno – ginocchia; Acquario – gambe; Pesci – piedi.

[13] Rudolf Steiner I sei esercizi Editrice Antroposofica Pietro Archiati Cammini dell’anima Archiati Edizioni

[14] Si riferisce a quanto è riportato in Appendice.

[15] Per “Lascito”, o Archivio, s’intende la Rudolf Steiner-Nachlaßverwaltung di Dornach che, dopo la morte di Rudolf Steiner, sotto la direzione di Marie Steiner gestiva le pubblicazioni dell’archivio di tutte le conferenze stenografate.

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