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Pietro Archiati

l’apocalisse di giovanni

Presente e futuro dell’umanità

Volume 1

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Gustav Dorè - “San Giovanni a Patmos

Trascrizione da registrazione non rivista dall’autore

Redazione di Stefania Carosi

Traduzione dal tedesco:

Silvia Nerini

Revisione dal testo tedesco:

Mauro Vaccani

Hanno collaborato alla stesura del testo e alla

redazione ed impaginazione:

Fabio Delizia

Letizia Omodeo

Salvatore Nicastro

Prefazione

La presente pubblicazione del primo seminario sull’Apocalisse di Giovanni tenuto da Pietro Archiati (Germania 2002), è stata resa possibile grazie alla volontà e all’impegno di alcune persone, che si sono attivate raccogliendo i fondi per le spese di traduzione e i lavori necessari alla stesura del testo.

Le considerazioni sull’importanza di aver tradotto in lingua italiana un testo come questo (dove, tra l’altro, sullo stesso argomento esiste solo il ciclo di conferenze di Rudolf Steiner tenuto a Norimberga nel 1909) le lasciamo al lettore, appena avrà letto queste pagine.

Purtroppo il testo non è stato rivisto dall’autore; la metodologia di lavoro di chi l’ha trascritto ha comportato alcune naturali variazioni rispetto alla forma parlata, ed è dunque possibile che la trascrizione possa contenere lacune ed errori.

Questo ha messo in non poca difficoltà i redattori italiani che alla fine hanno deciso, vista la profondità dei temi trattati, ed anche in considerazione del fatto che nessuno di essi era presente al seminario, di intervenire il meno possibile e solo in maniera molto leggera, per evitare ulteriori rimaneggiamenti del testo. Il lettore potrà trovare quindi diverse imperfezioni ed uno scritto a volte non troppo scorrevole, a volte riportato tale e quale dalla “forma tedesca”.

Riteniamo valga la pena che questi contenuti siano pubblicati anche così, ed è quindi con una grande gioia che ringraziamo tutti coloro che da semplici fruitori delle opere di Archiati hanno mosso dei passi concreti e si sono adoperati affinché questo testo fosse disponibile anche per i lettori italiani.

Infine ringraziamo lo stesso Pietro Archiati che incessantemente dona questi tesori all’umanità ed offre chiavi interpretative assolutamente nuove e feconde, dis-sigillando, per l’uomo moderno un testo “sigillato” ma ricco di vita come l’Apocalisse.

Buona lettura

Fabio Delizia

Indice

Prefazione

1a Conferenza
lunedì, 11 novembre 2002, sera

2a Conferenza
martedì, 12 novembre 2002, mattina

3 a Conferenza
martedì, 12 novembre 2002, pomeriggio

4a Conferenza
martedì, 12 novembre 2002, sera

5a Conferenza
mercoledì, 13 novembre 2002, mattina

6a Conferenza
mercoledì, 13 novmbre 2002, pomeriggio

7a Conferenza
mercoledì, 13 nocembre 2002, sera

8a Conferenza
giovedì, 14 novembre 2002, mattina

9a Conferenza
giovedì, 14 novembre 2002, pomeriggio

10a Conferenza
giovedì, 14 novembre 2002, sera

11a Conferenza
venerdì, 15 novembre 2002, mattina

1a Conferenza
lunedì, 11 novembre 2002, sera

Gentile pubblico, cari amici, vi saluto di cuore in questi giorni in cui abbiamo intenzione di misurarci con questo testo incommensurabile: l’Apocalisse di Giovanni. Potete ben immaginare che chi osa trovarsi qui a parlarne ci abbia pensato su bene. Credo che l’elemento decisivo sul piatto della bilancia che mi ha fatto prendere questa decisione siano proprio gli avvenimenti di questi tempi, i fatti che l’umanità odierna si trova a vivere; la percezione del fatto che il genere umano, e anche la cristianità, si trova a un punto cruciale dell’evoluzione, ora che la prima venuta del Cristo, quella storica, oggettiva, valida per tutti, è avvenuta ormai da quasi duemila anni. Ora l’umanità si trova a un punto in cui i frutti di questa prima venuta devono manifestarsi nel cosiddetto secondo avvento, chiamato anche la seconda venuta del Cristo.

Da cosa ci accorgiamo che l’umanità odierna non può andare avanti senza aver almeno creato le premesse dell’esperienza del secondo avvento? Ce ne accorgiamo dal fatto che ciò che a livello esteriore e tradizionale ha portato nel cristianesimo della fede la prima venuta non può più rimanere esteriore, che non funziona più, che il compito è interiorizzarlo al punto che nell’individuo sorga la possibilità di fare l’esperienza spirituale del Cristo e di viverne i misteri.

E che forse nell’umanità sia presente un certo ritardo nell’esperienza del secondo avvento lo deduciamo dal fatto che l’umanità odierna soffre molto. Desidero spiegare questa sofferenza dell’umanità odierna sulla base del materialismo, della disumanità del picchiare una testa contro l’altra, dato che esiste solo una gara per il possesso dei beni materiali e del potere terreno; desidero spiegarla in modo che ci mostri che forse siamo già in ritardo in questo sforzo di fare l’esperienza reale del sovrasensibile, di sperimentare individualmente lo spirituale grazie alle forze del pensiero e dello spirito.

L’Apocalisse di Giovanni non è altro che il secondo avvento del Cristo. La parola apocalisse significa infatti “rivelazione”. Il velo della percezione terrena sensoriale viene tolto, o meglio, l’uomo ha la possibilità di guardare al di là di questo velo. E che cosa gli appare? Lo spirituale. E per l’uomo moderno l’elemento spirituale si riassume nelle forze dell’Io, come vocazione globalmente spirituale dell’uomo nella sua evoluzione. L’insieme delle forze dell’Io è stato portato all’umanità, alla Terra, in maniera sostanzialmente spirituale e amorevole da un’entità spirituale che racchiude nel proprio amore tutte le forze spirituali e le entità del sistema solare, da un’entità che da sempre i cristiani chiamano Cristo. Naturalmente gli si possono attribuire anche altri nomi. Si tratta della stessa entità che la Thora e i profeti dell’ebraismo per secoli hanno chiamato Messia e di cui ci si aspettava che visitasse l’umanità per procurarle una grande svolta, addirittura il compimento dell’evoluzione.

Le prime tre parole dell’Apocalisse, la rivelazione di Giovanni, dicono in greco: ‘Apok£luyij ‘Ihsoà Cristoà (Apokalýpsis Jesu Christu). Apo è una preposizione che significa “via da”, cioè “togliere”, mentre kalýpto vuol dire nascondere, velare. Ecco allora che il velo viene rimosso ed appare Gesù Cristo, la rivelazione, la manifestazione a livello spirituale di Gesù Cristo. Questa è l’Apocalisse, l’esperienza del ritorno spirituale del Cristo.

Possiamo pensare a uno che si firma col nome Giovanni come autore dell’Apocalisse, ma vedremo che “Giovanni” non è un nome di persona, bensì un nome che esprime un grado, una carica, un nome che rappresenta un certo grado evolutivo. Potremmo anche dire che ogni essere umano diventa un “Giovanni” grazie al fatto di essere in grado di vedere e sperimentare l’entità cristica a livello spirituale. E in questo senso ognuno è chiamato, nel corso della propria evoluzione, a diventare sempre più un Giovanni, un osservatore del Cristo, uno scopritore del Cristo, un rivelatore del Cristo, anche per le altre creature della Terra, anche per gli altri uomini.

Questo Giovanni, questo primo “Giovanni”, lo possiamo forse considerare un precursore dell’evoluzione e vedrete che parto dal presupposto che questo Giovanni sia la stessa persona che ha scritto il Vangelo di Giovanni. La persona che ha scritto entrambi i testi, il Vangelo di Giovanni e l’Apocalisse, e anche le Lettere di Giovanni, è colui il quale è stato iniziato dal Cristo stesso alla visione spirituale, colui che nel Vangelo di Giovanni viene chiamato Lazzaro.

Si potrebbe quindi anche dire che al termine della sua lunga vita ha lasciato all’umanità, in piena maturità, ciò che forse ha potuto scorgere e cominciare a capire di persona allo stato embrionale durante i tre giorni e mezzo in cui il suo corpo – il suo corpo fisico – è rimasto nel sepolcro di Betania, mentre lui è stato condotto dal Cristo stesso nel mondo spirituale alla visione del sovrasensibile, finché poi non è stato richiamato indietro al grido di “Lazzaro, vieni fuori!”. Questa uscita dalla tomba non è dunque da intendersi a livello materiale, dato che recuperando la propria fisicità è ovvio che prima o poi Lazzaro-Giovanni sarebbe uscito dal sepolcro, poiché vi era stato dentro abbastanza. Adesso deve mangiare e bere qualcosa ecc. Il messaggio non è tanto “Esci dal sepolcro”, quanto “Vieni fuori dal mondo spirituale! Abbandona il mondo spirituale, per quanto sia bello restarci, poiché qui sulla Terra hai un compito di estrema importanza per l’umanità. Vieni fuori dal mondo spirituale, riprendi la tua fisicità e compi la tua missione per la Terra, per l’umanità”. E la grande missione di Lazzaro-Giovanni era ed è di donare all’umanità questi due testi come i testi più ricchi e profondi, far sì che l’umanità ne entri in possesso.

Ed essi sono così potenti che ci accorgiamo di essere ancora agli inizi della loro comprensione anche dopo duemila anni, che potrebbe sembrare addirittura presuntuoso accostarsi a un testo come l’Apocalisse, soprattutto sapendo quanti tentativi sono stati fatti per interpretare le immagini enigmatiche che vi compaiono.

Nell’invito ho accennato a come il motivo essenziale per cui mi sento di fornire un commento, seppure iniziale, è che l’occuparsi della scienza dello spirito di Rudolf Steiner dà non solo dei punti di vista completamente diversi, ma anche altri strumenti di orientamento che non sono minimamente paragonabili a quelli normalmente disponibili. Perché in Rudolf Steiner forse vengono forniti strumenti per introdurre l’esperienza del secondo avvento del Cristo, strumenti per potersi orientare in questo testo almeno a livello di base. Il resto – ciò che ne pensate e ciò che intendete farne – verrà lasciato a ciascuno a di voi.

Ovviamente spero di poter suscitare l’interesse che questo testo merita, proprio perché contiene così tanti elementi enigmatici e induce a meditarci sopra sempre più profondamente e ad occuparcene a livello individuale.

È davvero così, che dove il nostro intelletto moderno, la nostra ragione si blocca – ed è costretta a fermarsi perché, pur con tutta la buona volontà, non riesce a capire certe immagini –, quello è il punto in cui tu, caro uomo moderno (questo pensiero l’ho letto di nuovo proprio oggi in Rudolf Steiner), non riesci più ad andare avanti con la tua ragione scientifica, perché ti accorgi che si tratta di qualcosa che non puoi capire con la tua intelligenza normale. Sei infatti arrivato al punto in cui devi avere il coraggio di lasciar perdere il tentativo di risolvere enigmi usando l’intelletto e iniziare, invece, a meditare. Significa forse far agire le forze della venerazione e del raccoglimento, aprirsi forse ad una voce superiore che nel corso del tempo, quando si è arrivati a un certo punto, ci dice che cosa vuol dire l’una o l’altra cosa nell’Apocalisse di Giovanni.

Allora, vediamo il primo verso, comincio subito con il testo, dato che tutto il resto verrà fuori nel corso della spiegazione.

1,1 «Rivelazione di Gesù Cristo»

oppure “Vedi la rivelazione di Gesù Cristo”, ti mostro, ti do in regalo la rivelazione di Gesù Cristo. Questo inizio così vivido vuol dire: caro uomo, il senso dell’evoluzione è che tu arrivi al punto di poter vedere da solo.

C’è una vista che ci è data dalla natura, la percezione sensibile, la capacità di vedere tramite il corpo, ma esiste un’altra vista che la natura non ci può dare perché è una conquista della libertà. L’autore dell’Apocalisse, l’apocalista, inizia con un desiderio, con un augurio: uomo, possa tu arrivare il più presto possibile a vedere la rivelazione; possa rivelarsi a te l’apparizione del Cristo, possa essa diventare visibile per te. Ciò però non può avvenire finché tu non avrai i presupposti, non solo intellettuali ma anche morali, per fare buon uso di questa vista: un buon uso per te – non egoistico, ma amorevole –, e buon uso anche per gli altri.

Naturalmente l’Apocalisse, questa rivelazione del Cristo, è stata data a questo autore proprio perché era a un punto tale della sua evoluzione che gli consentiva di fare l’uso migliore di questi contenuti sia per sé sia per tutti gli uomini che se ne vogliono occupare.

‘Apok£luyij ‘Ihsoà Cristoà (Apokalýpsis Jesu Christu), quindi subito una sorta di iniziazione ai misteri del Cristo. Possiamo senz’altro accettarla come ovvia, poiché all’epoca in cui ha scritto questo testo Giovanni si confrontava con le scuole iniziatiche, con i processi di iniziazione dell’umanità, tramandati nel mondo greco, nel mondo egiziano, e anche in Mesopotamia presso gli Assiri, i Caldei ecc. C’erano iniziazioni di tutti i tipi, non solo incentrate su Gesù Cristo. In effetti in tutte le scuole iniziatiche si parlava dell’Essere solare, dell’Essere solare superiore, come della Entità di cui si era in attesa, e si affermava che questo Essere solare fosse in procinto di venire passo dopo passo sulla Terra. Solo che dappertutto, per fare l’esperienza spirituale di questo Essere, si doveva lasciare la Terra per innalzarsi all’altezza del Sole.

L’elemento nuovo e rivoluzionario, quello che annuncia fin dall’inizio una svolta nell’evoluzione, è che questo Cristo, questo Messia, si è incarnato in Gesù di Nazareth e in quanto uomo ha assunto su di sé l’esperienza umana e – cosa molto particolare – ha fatto l’esperienza della morte. In questa Apocalisse Giovanni vuole dire: guarda il modo in cui diventa visibile a livello spirituale colui che, come Cristo incarnatosi in Gesù, ha sperimentato tutto ciò che è umano in modo divino e ha attraversato la morte.

Questa esperienza umana, questo universalmente umano ci lega tutti, ci rende divini e ci trasfigura attraverso il Cristo, quindi Gesù rappresenta noi tutti, poiché riassume davvero in sé la nostra umanità. Non dimentichiamo che la prima cosa offerta da Gesù al Cristo sono state le tre tentazioni: l’esperienza globale della pesantezza, del modo in cui l’essere umano vive la pesantezza della natura, ciò che lo tira verso il basso. In questo Gesù che ci rappresenta tutti, il Cristo ha fatto l’esperienza di ciò che vivono gli uomini in modo da renderlo nello stesso tempo divino.

‘Apok£luyij ‘Ihsoà Cristoà (Apokalýpsis Jesu Christu) significa: possa tu vedere l’apparizione del modo in cui il Cristo in Gesù divinizza, trasfigura, spiritualizza e rende infinito tutto ciò che è umano nella sua prospettiva evolutiva. E questa apparizione, questa manifestazione di Gesù Cristo è un dono:

1,1 «data a lui da Dio per mostrare ai suoi servi le cose che devono ben presto accadere»

¿n œdwken aÙtù Ð qeÒj (en èdoken autò o theòs): la rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli ha dato. Dio è il Padre, Dio Padre, e a chi ha dato la rivelazione? A suo Figlio. Cioè: Dio Padre ha dato a suo Figlio il dono di manifestarsi come divinizzazione dell’uomo, come prospettiva evolutiva divina dell’uomo.

Allora possiamo tradurre letteralmente così: “Guarda l’apparizione di Gesù Cristo, del Cristo Gesù, data da Dio da mostrare ai suoi servi”, ai servi di entrambi. Dio Padre ha dato quindi al Cristo il dono di manifestarsi a tutti i suoi servi, a tutti gli uomini. Vuol dire che la manifestazione del Cristo è il grande dono del Padre al genere umano.

Chiediamoci qual è la natura del dono che ha da farci il Padre divino. Chiediamoci: se Lui è nostro padre e noi i suoi figli, che regalo ci fa? Il grande dono del Padre divino ai suoi figli umani è la rivelazione di suo Figlio, l’esperienza, la visione di suo Figlio, per entrare sempre di più nell’amore e nella gratitudine per il significato che questa rivelazione può assumere per tutti noi, a livello di evoluzione individuale.

«Vedi la rivelazione di Gesù Cristo, data da Dio per mostrare ai suoi servi le cose che devono ben presto accadere», § de‹ genšsqai ™n t£cei (a dei ghenèsthai en tàchei), le cose che devono accadere, che devono verificarsi, § de‹ genšsqai ™n t£cei, “ciò che deve avvenire nel giro di poco tempo”. Oppure si potrebbe anche tradurre che Egli ha dato un breve abbozzo di questa rivelazione – t£cei viene da tacÚj (tachýs), velocità, da cui la parola tachimetro, che è appunto lo strumento che misura la velocità – «cose che devono ben presto accadere».

Perché già all’inizio troviamo scritto: “nel giro di poco tempo”? Credo che qui ci si riferisca all’evoluzione, poiché il tempo è la dimensione dell’evoluzione mentre Dio Padre vive nella durata – e lo vediamo di continuo, sono due dimensioni dell’Apocalisse. Dio Padre vive nella durata, nell’eternità, al di là del tempo e dello spazio; il Figlio, il Cristo, è presente in tutto ciò che vive nel tempo ed è in evoluzione, quindi nel mondo dell’evoluzione nel tempo.

Padre = durata

Cristo = tempo / evoluzione

Nella durata abbiamo tutte le cose l’una accanto all’altra, perché non c’è niente che si sussegue; nel tempo, invece, abbiamo un gradino del divenire dopo l’altro. Supponiamo che qui ci sia l’evoluzione nel tempo (Fig.): vedremo che l’evoluzione nel tempo si svolge sempre in settuplicità, in settenari. L’Apocalisse è strutturata in settuplicità, con la caratteristica che al gradino “5” si ripete il “3” su un piano superiore, al “6” si ripete il “2” su un piano superiore e al “7” si ripete l’”1” a un piano superiore.

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Figura 1, I

Quando l’umanità è a “1”, il “2” non c’è ancora, e allora si tratta di conquistarsi il “2”. Il compimento dell’ “1” e del “2” costituisce il presupposto per procurarsi il “3”, e così via. Una volta compiuta, una settuplicità viene assorbita nell’eternità, e un nuovo ciclo ha inizio. E ciò che viene vissuto in successione nel tempo, ciò che l’uomo acquisisce, viene riunito in un possesso permanente.

Possiamo rendercene subito conto se osserviamo cosa siamo diventati in questa vita. Un anno dopo l’altro abbiamo acquisito un’abilità dopo l’altra. C’era un tempo in cui non sapevamo ancora scrivere, poi abbiamo imparato. Non sapevamo ancora leggere, poi abbiamo imparato, e via di seguito. E adesso che cos’è ognuno di noi? La somma, la giustapposizione, l’insieme di tutto ciò che è avvenuto in successione.

È ovvio che non tutto rimane esattamente com’era nella successione; nella successione lo si viveva più intensamente, una cosa alla volta, con più intensità. Quando le cose stanno insieme perché armonizzate non c’è più niente in primo piano, ma tutto è in armonia.

Il senso dell’evoluzione nel tempo è l’acquisizione per l’eternità. Il senso della successione è lo stare insieme, la coesistenza delle forze, delle capacità, dei talenti. Non è possibile conquistarli tutti in un colpo solo, vanno conseguiti l’uno dopo l’altro. Ma una volta ottenuti non scompaiono quando arriva il successivo, restano per sempre in nostro possesso. Questo è il senso globale dell’ evoluzione.

Qui, “mostrare le cose che devono accadere ben presto” o “nel giro di poco tempo”, significa che il piano divino e anche la cristificazione dell’uomo non prevedono rinvii. A questo volevo arrivare. La grazia divina e la natura fanno sì che quando l’uomo deve compiere questi passi uno dopo l’altro gli vengano messe a disposizione le condizioni per farlo – può anche trattarsi di civiltà, come quella indiana, poi quella persiana, quella egizio-caldea, quella greca, quella del nostro tempo ecc. Se deve sorgere una civiltà greca, per esempio, devono esserci le condizioni perché possa nascere, dato che non è opera solo dell’uomo. La civiltà greca non è solo un prodotto della libertà dell’uomo. La lingua greca – sto parlando in modo assolutamente concreto – è stata creata da un arcangelo, quindi da uno spirito del popolo e non dagli uomini. Questo spirito del popolo, questo arcangelo, ha dovuto entrare in azione per far nascere la lingua greca, che se vogliamo è una lingua altamente filosofica, dato che l’evoluzione richiedeva che a quel punto comparissero i primi filosofi.

Quando è presente questa condizione della lingua greca, gli uomini hanno la possibilità di compiere, ma anche di omettere di compiere, i passi evolutivi che sono stati resi possibili. Gli uomini devono sempre avere la libertà di omettere, altrimenti non sarebbero liberi veramente.

Stiamo parlando della struttura fondamentale dell’evoluzione. Essa consiste da un lato nel fatto che la guida divina prevede degli stadi, degli stadi molto netti dove non ci possono essere ritardi. Ecco perché “ben presto”. Vuol dire: per ogni stadio solo il tempo necessario, non di più.

Allora, la grazia divina, o se preferite la natura, deve creare i presupposti perché questo non spetta all’uomo, non è lui che può creare tutte le condizioni naturali. I Greci infatti avevano bisogno di una determinata terra, di una certa geografia, di una certa costellazione degli elementi acqua, aria, calore e terra ecc. per poter dare origine a quella civiltà. Le condizioni naturali vengono create dalla divinità e l’uomo ha la libertà di trarne il meglio o anche di tralasciare di compiere i passi evolutivi resi possibili da questi stadi.

Supponiamo di vivere in un quinto stadio culturale, il quinto sigillo se volete, o la quinta delle sette lettere – vi mostrerò come mai la nostra civiltà ha il carattere del “5”. Ciò comporta che nella nostra epoca debbano esserci delle condizioni culturali ben precise, per esempio le macchine di cui disponiamo, e poi le condizioni climatico-geografiche, l’alimentazione (le forze presenti negli alimenti sono diverse da quelle di quattro, cinque o seimila anni fa), ecc.

L’uomo, il singolo individuo, ha sempre la possibilità di ricavarne il meglio o anche di non sfruttare le opportunità del pensiero, o di essere troppo pigro e troppo vigliacco per compiere i passi evolutivi. Questa è un’informazione molto importante, poiché tutta l’Apocalisse gioca su questi due registri. Da un lato ciò che la grazia della divinità e degli esseri spirituali rende possibile nel divenire graduale dell’uomo mediante le forze della natura – e nell’Apocalisse si parla molto dei misteri della natura – e dall’altro ciò che viene lasciato alla libertà dell’uomo, che può fare o omettere.

L’Apocalisse descrive inoltre quali sono le conseguenze per l’uomo se realizza le potenzialità dell’evoluzione, se le prende in mano, e cosa succede se invece trascura di diventare ciò che gli viene offerto di diventare. La libertà infatti è possibile solo se la possibilità di recupero è limitata. Se l’uomo potesse recuperare tutto in qualsiasi momento non ci sarebbe evoluzione. Se non faccio qualcosa al momento giusto e cerco di farla in seguito, le condizioni non saranno più quelle adeguate. Magari mi sarà data la possibilità di recuperarne una parte, ma mai in modo così perfetto, umano, completo e propizio come avrebbe potuto essere nel momento in cui la grazia divina mi aveva messo a disposizione le condizioni adatte per questo passo.

Per esempio, le cose che una persona deve acquisire con l’istruzione, diciamo a scuola, alla scuola elementare, se non vengono apprese, se non gli viene data o non coglie la possibilità di acquisire certe forze necessarie, non possiamo pensare che a 50 anni possa compiere gli stessi passi evolutivi che si possono fare solo fra i sette e i quattordici anni. È evidente.

Nell’espressione ™n t£cei (en tàchei), “ben presto”, è rappresentato il mistero del tempo, per cui occorre essere svegli per cogliere questa possibilità evolutiva unica, offerta una sola volta, perché dopo sarà troppo tardi. L’evoluzione non dura in eterno, ha un inizio e una fine. E fra l’inizio e la fine vi sono dei gradi, dove per ogni grado evolutivo, per ogni forza che dev’essere conquistata, le condizioni sono le migliori e non ci sarà una seconda volta in cui la costellazione sarà così favorevole. Una uguale ripetizione delle stesse cose sarebbe infatti la distruzione del tempo.

Alcuni di voi ricorderanno che verso la fine della sua vita Nietzsche ha insistito a lungo sul pensiero “dell’eterno ritorno di tutte le cose”. Qualche mese dopo smise di parlarne definitivamente, perché lui stesso si era reso conto di aver nutrito questo pensiero solo come contropensiero della lettura di Eugen Dühring. La lettura l’aveva talmente irritato da spingerlo a scrivere a margine: “asino, asino, asino”, perché trovava i pensieri così stupidi da continuare a produrne di contrari. Eugen Dühring, un matematico, sostiene l’impossibilità che una costellazione mondiale si ripeta anche solo due volte nello stesso modo, dato che i fattori che entrano in gioco ogni volta sono infiniti. Allora Nietzsche sviluppa il contropensiero, per puro spirito di contraddizione, e dice: “Eh no, se dev’essere eterna, l’evoluzione è costituita da un eterno ritorno di tutte le cose”.

E allora come mai dopo ha abbandonato questo pensiero? Perché si è accorto che se l’evoluzione consistesse in un eterno ritorno di tutte le cose, lui stesso avrebbe potuto scordarsi che dall’uomo potesse nascere il superuomo. Se tutte le cose ritornano in eterno, allora c’è sempre il solito uomo e non il superuomo. Quest’ultimo può nascere, infatti, solo se nell’evoluzione c’è una progressione, un avanzamento per cui si forma qualcosa che prima non c’era mai stato. La legge fondamentale dell’evoluzione allora è: nasce sempre qualcosa di nuovo. E ciò che ci si è lasciati sfuggire al momento giusto non lo si recupererà mai più.

Quindi è ovvio che nell’Apocalisse ci sia una certa severità, perché si tratta di far notare all’uomo che se si lascia scappare le possibilità di evolversi ci saranno delle conseguenze. Ma anche nella vita avviene così.

Adesso arriva la seconda parte del primo versetto: Vedi la rivelazione di Gesù Cristo, data da Dio per mostrare ai suoi servi le cose che devono ben presto accadere

1,1 «ed egli l’ha fatta conoscere e l’ha mandata tramite il suo angelo al suo servo Giovanni»

™s»manen (esèmanen), da shma…nw (semàino), vuol dire mettere in segni e in parole. Tutt’e due le cose, perché l’ha comunicata ed espressa con dei segni (è il carattere immaginifico dell’Apocalisse), e le parole sono il modo in cui interpretare le immagini. Vedremo che nell’Apocalisse i sette sigilli sono il piano di ciò che viene visto – dei segni –, mentre le sette trombe sono l’interpretazione di ciò che è stato visto, che viene articolato nella parola.

La grande differenza fra sigilli e trombe consiste nel fatto che i sigilli vengono visti e le trombe sentite. Vedremo che questi sono due livelli anche nell’esperienza sovrasensibile.

Nell’esperienza sensibile il vedere è la percezione e il sentire è la formazione del concetto. Infatti la formazione del concetto (quando chiedo: “chi è quello che vedo laggiù?”, e poi mi dico: “ah sì, è quel mio amico, è quella persona….”), la formazione del concetto è un dialogo con se stessi oppure un dialogo fra l’uomo e ciò che vede: “che cosa sei?”, e poi si dice che cos’è. La formazione del concetto sta a ciò che viene visto come la parola sta all’immagine.

Bene, come nella conoscenza normale abbiamo la percezione e la formazione del concetto, nella conoscenza sovrasensibile ci sono questi due stadi: la visione di immagini (i sigilli), e l’apertura di questi sigilli (le trombe) attraverso la formazione dei concetti, che sono qualcosa di sentito, (si sentono le parole e i concetti sono parole). Le trombe rappresentano allora ciò che risuona e deve essere udito.

Vedremo poi che le coppe dell’ira che verranno rovesciate rappresentano una grande interiorità che viene comunicata all’esterno. Le coppe dell’ira sono infatti coppe che in primo luogo – come recipienti – hanno qualcosa dentro, qualcosa che viene riconosciuto per il fatto di essere versato. E vedrete, dappertutto ci sono delle invenzioni geniali, per dirla in termini umani, invenzioni geniali dell’apocalista, che ha avuto l’idea che l’interiorità degli esseri divini sia amore allo stato puro ma che, quando questo amore allo stato puro viene riversato sull’umanità, quest’ultima lo vive come collera. Sono le illusioni degli uomini a vivere l’amore di Dio come ira, perché vorrebbero che l’evoluzione fosse solo qualcosa di comodo.

In altre parole, l’ira di Dio è la scomodità dell’evoluzione. La collera di Dio è la fatica della libertà. Ma una libertà senza fatica non è libertà. Una libertà senza fatica sarebbe come un uomo a cui vengono sottratti tutti gli sforzi, a cui resta solo la natura. E l’uomo soggiace sempre alla tentazione di interpretare come ira di Dio lo sforzo necessario per vivere questa meraviglia della libertà, lo sforzo di superare gli ostacoli. Ecco allora che pensa che sarebbe meglio se il buon Dio la smettesse di essere così adirato e offrisse invece all’uomo un’evoluzione priva di ostacoli e di complicazioni. È solo una sua idea, perché quella non sarebbe un’evoluzione. Evolvere in libertà significa superare gli ostacoli, e l’uomo che è ancora agli inizi della propria evoluzione vive questi ostacoli come collera di Dio. L’uomo che prova gratitudine e che li affronta per diventare sempre più libero e creativo ravvisa, in questa cosiddetta “collera”, l’amore: è l’amore più profondo della divinità, che fa di tutto per permettere all’uomo la creazione in libertà.

Dio Padre ha messo in parole e in segni questa rivelazione del Cristo, l’ha resa nota, e l’ha mandata tramite il suo angelo al suo servo Giovanni. Cosa fa dunque Dio Padre? Mette in segni e in parole la rivelazione, la manifestazione del Cristo, e invia questa rivelazione al suo servo Giovanni, come una missiva sovrasensibile.

Che rappresentazione reale abbiamo del fatto che questo Giovanni vive questa esperienza dell’Apocalisse, questa apparizione del Cristo, come dono del Padre divino? Dice che il Padre divino stesso ha messo in segni e in parole questa rivelazione. Con ciò intende dire che non è stato lui a inventare i segni, i sigilli o le immagini, e neppure l’interpretazione letterale. In altre parole, nell’Apocalisse non c’è niente di inventato. Si tratta di un’affermazione molto potente.

1,2 «e questo ha confermato la parola di Dio e anche l’apparizione di Gesù Cristo, che lui ha visto».

Öj ™martÚrhsen tÕn lÒgon toà qeoà kaˆ t¾n martur…an ‘Ihsoà Cristoà, Ósa e den (os emartýresen ton lògon tu theù kai ten martýrian Jesù Christù osa èiden); Öj (os), questo, si riferisce a Giovanni. Allora, questo Giovanni ha confermato la parola di Dio, ne ha dato testimonianza. L’Apocalisse, il libro che abbiamo qui davanti, è il modo in cui Giovanni, questo Giovanni, conferma e testimonia ciò che ha visto e sentito. Ne dà testimonianza: «Questo Giovanni ha confermato la parola di Dio e anche l’apparizione di Gesù Cristo, che lui ha visto». Testimonia quindi di aver sentito qualcosa: la parola di Dio, tÕn lÒgon toà qeoà (ton lògon tu theù) e di aver visto l’apparizione di Gesù Cristo.

Ora il terzo versetto, che si rivolge a noi, ad ogni uomo.

1,3 «Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia»

Mak£rioj Ð ¢naginèskwn kaˆ oƒ ¢koÚontej toÝj lÒgouj tÁj profhte…aj, (Makàrios o anaghinòskon kai oi akouòntes tus lògus tes profetèias). Come nei Vangeli, anche qui vi sono contenute le beatitudini, indicazioni o istruzioni su come l’uomo può giungere alla realizzazione delle sue forze animiche. “Beato” si riferisce all’anima, e la beatitudine, la pienezza dell’anima è lo spirito. Qui viene detto che quando l’uomo riempie la propria anima con l’esperienza dello spirito diventa beato, cioè ricolma la sua anima, la porta a compimento attraverso l’esperienza dell’Apocalisse.

L’Apocalisse quindi come via per la beatitudine dell’uomo, come indicazione del modo in cui l’anima può diventare felice grazie all’esperienza spirituale. E l’Apocalisse è proprio questo, nonostante, come già detto, oggi gli uomini siano solo agli inizi della possibilità di provare questa felicità.

«Beato chi legge» – allora si tratta innanzitutto di leggere e la lettura è una percezione, un guardare, un vedere – «e coloro che ascoltano le parole di questa profezia». Leggere le parole, possiamo capirlo, ma come si fa ad ascoltare le parole dell’Apocalisse? L’esortazione è che attraverso la lettura dell’Apocalisse ognuno diventi capace di sentire – a livello soprasensibile – le parole che nel libro appaiono come morte. Che ognuno venga portato a fare la stessa esperienza vissuta dall’apocalista. Grazie alla lettura, alla meditazione su questo testo, l’uomo viene reso in grado di ascoltare le parole. Quando leggo infatti non posso sentire le parole. Quando leggo vedo le lettere dell’alfabeto, ma mediante la lettura e la meditazione l’uomo viene portato a udire a livello sovrasensibile le parole contenute nell’Apocalisse. Tutti devono sentirle a livello sovrasensibile, perché mi serve a ben poco avere davanti queste parole come lettere morte e non riuscire a “sentirle” abbastanza, cioè a seguirne il contenuto spirituale a livello intellettuale.

Sentire a livello sovrasensibile vuol dire capire o creare i concetti da sé, in virtù del pensare. Beato dunque chi legge e coloro che ascoltano.

Sapete, per via dei diversi manoscritti, anche l’Apocalisse può essere letta in vari modi. Ho qui l’edizione di Nestle-Aland: mak£rioj Ð ¢naginèskwn (macàrios o anaghinòskon), qui il beato è uno, “beato chi legge”; e poi kaˆ oƒ ¢koÚontej (oi akuòntes) “coloro che ascoltano le parole di questa profezia” sono molti. E adesso arriva una parola importantissima

1,3 «e conservano le cose scritte nell’Apocalisse».

kaˆ throàntej t¦ ™n aÙtÍ gegrammšna (kai terùntes en autè ghegrammèna), τηρειν (terèin) vuol dire conservare, serbare dentro di sé ciò che è scritto nell’Apocalisse.

L’autore vuol dire che per giungere a sentire a livello sovrasensibile e farne l’esperienza diretta ci dev’essere un periodo in cui le cose vengono conservate nella mente e nel cuore. Per essere concreti, vorrebbe dire che uno legge per conto suo un passaggio dell’Apocalisse per cinque, dieci o quindici minuti, e poi torna nella vita quotidiana e fa quel che deve fare. Ma questa lettura del testo viene serbata nel suo cuore, vive in lui. Non è necessario che ci pensi direttamente.

Il frutto della meditazione accompagna l’uomo tutta la giornata, egli quindi non ha bisogno di pensare costantemente a ciò su cui ha meditato. Ma la disposizione, la lotta per le profondità provate nella meditazione conferiscono all’intera giornata una qualità del tutto diversa. Questo è il serbare le parole nel cuore e nella mente. Fornisce una sorta di aura, di atmosfera, che imprime ad ogni incontro un’impronta diversa.

Le parole dell’Apocalisse sono parole che ognuno può serbare: throàntej (terùntes), coloro che portano con sé le cose scritte nell’Apocalisse.

1,3 «perché il tempo è vicino».

Perché il momento è vicino: Ð g¦r kairÕj ™ggÚj, (o gar kairòs engǜs). Oppure si potrebbe anche dire: “è giunta l’ora, è il momento”. Nelle traduzioni correnti trovate: “il tempo è vicino”.

In greco ci sono due bei termini per definire il tempo: kairÕj (kairòs), è l’attimo irripetibile, differente da krÒnoj (krònos) che è la totalità del tempo. Kairòs è l’istante, l’occasione unica. I Greci usavano queste due parole per il tempo, che la nostra lingua non esprime così chiaramente. Distinguevano fra il tempo come totalità e l’attimo da cogliere al volo, altrimenti è troppo tardi.

E questo kairòs non è dilatato per natura, altrimenti sarebbe krònos: è ™ggÚj (engǜs), angusto. Quando in greco troviamo due gamma (gg, gg), la prima viene pronunciata “n”, quindi engǜs, angusto. È angusto, è stretto, non ho a disposizione un tempo infinito. Se c’è uno che sta annegando il tempo a mia disposizione per salvarlo non è di dieci ore, devo cogliere l’attimo con presenza di spirito; ecco allora che il rapporto con questo kairòs, richiede presenza di spirito. Qui si accenna al mistero della presenza di spirito, dove l’uomo afferra e compie con prontezza quanto gli offre il presente. Deve aver presenza di spirito per afferrare ciò che il presente gli offre in quell’attimo irripetibile, altrimenti sarà troppo tardi.

Questa situazione in cui il tempo stringe è un tratto fondamentale della libertà, perché, come ho già detto, se fosse sempre possibile recuperare tutto non ci sarebbe libertà. Libertà significa anche libertà di omissione. E per poter omettere di fare qualcosa le possibilità di farla non devono essere sempre presenti. Sono lì in un certo momento e poi non ci sono più.

Questa limitatezza di tempo, in cui devo stare attento a cogliere al volo l’opportunità, è l’origine della paura, dell’angoscia. L’etimologia è la stessa: ™ggÚj (engǜs), angusto, angoscia. L’esperienza dell’angoscia è la coscienza data da Dio che non si riesce a fare sempre tutto, che bisogna stare attenti e che si può anche lasciarsi sfuggire questo e quello. L’angoscia è sempre la paura di farsi scappare qualcosa. Altrimenti l’uomo non avrebbe alcun motivo di provarla. La paura ha sempre a che fare con l’angoscia di lasciarsi sfuggire qualcosa e naturalmente di pagarne le conseguenze. Le conseguenze però sono sempre conseguenze dell’essersi lasciati sfuggire. Da qui ha origine l’angoscia.

Dal punto di vista terapeutico l’angoscia è molto importante perché suscita la nostra attenzione, ci dice di stare attenti, vigili, perché le opportunità che ci vengono offerte oggi domani non ci saranno più. Il domani ci offrirà occasioni evolutive diverse da quelle offerteci dall’oggi.

Le opportunità sono molte: nel pensare, nella costellazione delle forze in cui l’uomo agisce durante il giorno… Ciò che mi si presenta, il modo in cui oggi il mondo mi viene incontro e il modo in cui io mi rapporto ad esso, domani saranno completamente diversi. O afferro al volo l’oggi e ne ricavo il meglio, restando vigile e attento a tutto ciò che mi si presenta, o domani sarà troppo tardi, domani sarà il turno dei compiti di domani.

Tutto ciò è contenuto in questo kairòs engǜs. Sarete d’accordo con me che la traduzione “il tempo è vicino” non dice gran che. Non voglio dire che sia del tutto assurda, ma non dice molto. In questo caso forse è davvero necessario capire la pregnanza, la profondità e il peso di queste parole in greco. La legge dell’evoluzione è la prontezza a cogliere ciò che l’attimo irripetibile ci offre. L’istante successivo ci porterà sfide completamente diverse. Ed è realmente così.

Allora, abbiamo visto i versetti 1, 2 e 3. È ovvio che andremo avanti con una certa rapidità, ma questa è un’ouverture che, se volete, ricorda il Prologo del Vangelo di Giovanni. Come l’altro testo di questo personaggio comincia con quel Prologo sacro e profondo, così l’Apocalisse comincia con questi tre versetti che sono così solenni anche dal punto di vista linguistico. Immagino che anche in italiano possano sorgere sempre ulteriori possibilità di interpretare questi tre versi a mano a mano che ci si immerge nella loro ricchezza. Di sicuro non c’è una sola interpretazione.

In greco c’è una sola impronta, nonostante i diversi tipi di lettura, ma in italiano ci sono molte possibilità di privilegiare questo o quell’aspetto a seconda del grado di evoluzione.

Desidero rileggere questi tre versetti senza commenti, perché volevo dirvi dove potete trovare i versetti uno e due quasi letteralmente in Rudolf Steiner, e precisamente nel volume 346 dell’Opera Omnia Vorträge und Kurse über christlich-religiöses Wirken, V (Conferenze e corsi sull’attività cristiano-religiosa V), pag. 292[1]. È scritto a mano da Rudolf Steiner. Può darsi che ad alcuni di voi faccia piacere usarlo nella meditazione.

1,1 «Vedi l’apparizione di Gesù Cristo, data da Dio, per mostrare ai suoi servi ciò che dovrà accadere nel giro di poco tempo; egli l’ha messa in parole e inviata per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni».

1,2 «Costui (il servo Giovanni) ha confermato la parola di Dio e l’apparizione (la testimonianza) di Gesù Cristo a cui ha assistito».

1,3 «Beato chi legge e ascolta le parole della profezia» – una volta Steiner traduce: “le parole nel macrocosmo, nel sovrasensibile” – «e chi accoglie e serba dentro di sé ciò che è scritto in essa (nella profezia) o in questo libro, poiché è il momento, il momento è giunto».

È come un piccolo prologo all’Apocalisse, che adesso comincia direttamente al versetto 4 scrivendo alle sette chiese, alle sette comunità dell’Asia. Ve lo leggo nella traduzione di Lutero:

1,4 «Giovanni alle sette chiese che sono nell’Asia: grazia a voi e pace da parte di Dio che è, che era, che viene, e da parte dei sette spiriti che stanno dinanzi al suo trono,»

1,5 «e da parte di Gesù Cristo, il fedele testimone, il primogenito fra i morti, il capo dei re della terra. A colui che ci ama e che ci ha liberati dai nostri peccati mediante il suo sangue,»

1,6 «che ha fatto di noi un regno di sacerdoti di Dio, suo Padre: a lui sia gloria e impero nei secoli dei secoli. Amen».

‘Iw£nnhj ta‹j ˜pt¦ ™kklhs…aij ta‹j ™n tÍ ‘As…v: (Joànnes tàis eptà ekklesìais en te Asia): Giovanni alle sette chiese che sono nell’Asia. Ecco un’altra piccola introduzione, un breve accenno alle sette lettere. Dice apertamente che ora scriverà sette lettere a sette comunità dell’Asia. Domani prenderemo in esame i contenuti di ciascuna di queste lettere.

Ieri a Monaco ho accennato alla notte classica di Valpurga nel Faust[2] e verso la fine siamo giunti al luogo in cui si celebrava la festa dei Cabiri. Ho fatto uno schizzo con la Grecia, il mare Egeo in mezzo e l’Asia. La Grecia è quindi l’inizio dell’Europa, poi si prosegue. Faust è venuto con Mefistofele da nord, dalla Germania fino in Grecia e qui c’è l’incontro con i misteri di Samotracia – di nuovo solo a grandi linee – e la festa dei Cabiri. Questi Cabiri, si tratta di un termine semitico, sono i “forti”(gibor o gabar in ebraico significa “forte”). “Gabriele” significa: Dio è la mia forza, Dio è il mio gabar; gibor. Questa festa dei Cabri, dei forti, è un’eredità passata dall’Asia all’Europa tramite la Grecia. I Cabiri sono le forze basilari dell’esistenza. Il primo Cabiro rappresenta le forze fisiche, il secondo le forze vitali eteriche, il terzo le forze animiche (non sto a farvi i nomi). Goethe è andato molto vicino a questi misteri profondi.

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Fig. 2, I

Qui nell’Apocalisse abbiamo qualcosa di simile, perché è storicamente vero che l’evoluzione è passata dall’Asia alla Grecia. In Goethe è così interessante perché per mezzo dello studio dei misteri dei Cabiri abbiamo il compito dato dall’Asia alla Grecia: “uomo, conosci te stesso” (in greco gnîqi sautÒn, ghnòthi sautòn).

Ci sono tre Cabiri, e ce n’era anche un quarto che non è venuto, l’Io. L’Io è ancora in divenire. “Ma devono essere sette! E gli altri tre dove sono rimasti?..Chiedetelo in Olimpo, anche l’ottavo dovrebbe essere là, cui nessuno ha pensato” ecc.(Goethe si avvicina davvero molto a queste cose!). Dunque, tre Cabri già ci sono, i misteri dell’Io in cui l’uomo è immerso nell’evoluzione è il quarto, ancora in divenire, e i tre divini che sono ancora in cielo. Tutto nella massima: “conosci te stesso”.

Nell’Apocalisse abbiamo qualcosa di simile: in Asia abbiamo un settenario, sette comunità o sette chiese che riassumono tutta l’evoluzione compiuta dall’umanità in Asia e quella ancora da compiersi. Ognuno di noi – se ogni essere umano compie tutta l’evoluzione, e io parto da questo presupposto, magari in questi giorni avremo la possibilità di parlarne – ha compiuto la propria evoluzione indiano-induista-buddista qui in Asia, la sua evoluzione persiana, la sua evoluzione egizio-caldea, e adesso arriva la Grecia, il quarto periodo culturale. E l’apocalista scrive il suo testo dove l’evoluzione va dall’Asia all’Europa passando per la Grecia attraverso l’incarnazione del Cristo.

Queste sette comunità dell’Asia a cui vengono scritte le lettere sono sette archetipi dell’evoluzione, rappresentano i sette gradi dell’evoluzione su tutti i piani.

Rudolf Steiner sottolinea, per esempio, che all’epoca sarebbe stato insolito anche per l’autore dell’Apocalisse enunciare una settuplicità teorica. A quei tempi non si faceva, gli uomini non erano così astratti, così teorici. Erano soprattutto gli iniziati a conoscere il carattere fondamentale di queste comunità: Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea. Ne conoscevano il carattere fondamentale e sapevano che se l’autore dell’Apocalisse scrive una lettera ad ognuna di esse vuol dire che questa è l’evoluzione che deve compiere ogni uomo attraverso questa settuplicità. Sono gli archetipi delle settuplicità contenute in ogni evoluzione.

Detto in altre parole, per quelli di voi che conoscono meglio la scienza dello spirito di Rudolf Steiner – e in questa sede cercherò di non dare troppe cose per scontate, così che anche gli altri possano avervi accesso –, queste sette chiese presuppongono che sia avvenuta o sia in corso una settuplicità evolutiva.

Non comincio da sinistra con “1”, “2”, “3”, perché qui, a livello di spazio geografico, avete l’occidente e a destra l’oriente (Fig. 3,I).

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Fig. 3, I

Comincio qui a destra: “1”, primo periodo culturale dopo il diluvio universale di cui parla anche la Bibbia: è la civiltà indiana. Un secondo periodo culturale, “2”, lo vediamo nella seconda lettera dell’Apocalisse, è stata la civiltà persiana. L’umanità ha compiuto un terzo passo culturale, “3”, durante la civiltà degli Egizi e dei Caldei. Al tempo dell’apocalista è in corso la quarta civiltà, “4”, e vengono anticipate la quinta, “5”, cioè la nostra, la sesta, “6”, e la settima, “7”. La quinta è Sardi, la sesta Filadelfia e la settima Laodicea.

Sono i sette gradi dell’evoluzione e se contate gli anni vedrete che sono 2.160 per ogni grado. Vedremo come questo numero sia contenuto due volte anche nell’Apocalisse e come entrambe le volte sia stato un po’ deformato, così che non si è più capito cosa volesse dire. Invece di 2.160 si è scritto 1.260, anche perché nel mondo sovrasensibile i numeri devono sempre essere letti in maniera speculare. Nell’Apocalisse trovate quindi due volte il numero 1.260 e dovete davvero cambiarlo in 2.160. Sono gli anni che occorrono al Sole per passare da un segno zodiacale all’altro.

E il messaggio fondamentale è che, ogni volta che il Sole è in un segno zodiacale, i fattori evolutivi rimangono pressappoco uguali, nel senso che non c’è paragone con i cambiamenti delle condizioni evolutive globali che si verificano quando il Sole passa da un segno zodiacale all’altro. E chiunque conosca un po’ di astronomia sa che il Sole impiega 25.920 anni, l’anno cosmico platonico, per attraversare tutti e dodici i segni zodiacali, e 25.920 diviso 12 fa 2.160 ani per ogni segno.

Possiamo davvero presumere che un ritmo fondamentale, uno dei ritmi più importanti dell’evoluzione, consista nel fatto che ogni 2.160 anni, con il passaggio del Sole a un nuovo segno zodiacale, le condizioni culturali, le sfide, le offerte evolutive per gli uomini sulla Terra cambiano completamente.

Possiamo osservarlo storicamente, perché ci sono ovviamente dei passaggi; non è che al rintocco della mezzanotte del duemilacento sessantesimo anno gli Indiani scompaiono e arrivano i Persiani. Le cose non stanno così. Ma complessivamente bisogna mettere alla base questo numero. Se oggi andiamo indietro di 2.160 anni ci ritroviamo in pieno nella civiltà greco-romana. 2.160 anni prima dominavano gli Egizi e i Caldei, lo si può davvero verificare a livello storico. E ancora 2.160 anni prima la civiltà dominante era quella persiana, Zarathustra con la sua cultura dei Gemelli. E 2.160 anni prima dominavano gli Indiani, e il Sole era nel segno del Cancro. Al tempo di Zarathustra il Sole era nel segno dei Gemelli ed è per questo che allora sono sorti tutti i dualismi, luce e tenebre, bene e male. La civiltà di Zarathustra è nel segno duplice dei Gemelli, una cultura della separazione. Poi il Sole è giunto nel segno del Toro, pensate al toro Apis degli Egizi. Pensate agli Ebrei che volevano tornare alla spiritualità degli Egizi e hanno venerato il vitello d’oro, cioè il toro. I Greci prendono il vello d’oro dall’Asia e il Sole entra nel segno dell’Ariete. Per questo vedremo che nell’Apocalisse l’Agnello di Dio, l’Agnello, riveste un ruolo importante. Ed ora nel nostro periodo, il Sole entra nel segno dei Pesci alle sei del mattino del 21 marzo. E poi verrà l’Acquario e così via.

Ciò che l’umanità ha attraversato in successione come stadi evolutivi e sta ancora attraversando, ha avuto una ripercussione qui in Asia, in Asia Minore: una settuplicità di comunità, ognuna con un’impronta diversa. Un’impronta indiana, una persiana, un’altra comunità un’impronta egizio-caldea, un’altra un’impronta greco-romana, un’altra comunità, Sardi, l’impronta che anticipa ciò che accade soprattutto ai nostri giorni. Poi la comunità di Filadelfia aveva ciò che ancora deve arrivare per tutta l’umanità, e infine Laodicea, la settima comunità.

In queste sette lettere abbiamo i sette gradi culturali dell’evoluzione relativi all’epoca postdiluviana che Steiner chiama epoca postatlantidea. Possiamo leggerlo in Platone e anche in altri autori: Platone nomina l’isola Poseidonia, cioè l’isola del dio del mare Poseidone. L’isola di Poseidone è Atlantide.

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Fig. 4, I

Atlantide stava dove adesso c’è l’Oceano Atlantico, si è sempre chiamata così e i Greci lo sapevano ancora. In Rudolf Steiner emerge in maniera molto chiara e scientifica che prima di attraversare la nostra epoca, cioè questa settuplice successione di gradi culturali – periodo indiano, persiano, egizio-caldeo, greco-romano, l’attuale quinto periodo e poi i due ancora a venire – l’umanità viveva nel continente atlantico. Questo continente si è inabissato, ora è l’Oceano Atlantico, e gli uomini sono andati verso oriente, in Europa o in Asia, oppure verso occidente, e questi ultimi sono gli indiani che sono stati trovati in America, oppure verso sud, in Africa.

Prima dell’inizio delle civiltà postatlantidee (l’indiana, la persiana, ecc.) tutta l’evoluzione dell’umanità aveva luogo nel continente Atlantide. Anche l’epoca atlantidea è suddivisa in sette periodi, sette periodi atlantidei, proprio come adesso abbiamo sette periodi culturali postatlantidei, uno dopo l’altro. Attualmente, lo ripeto, ci troviamo nel quinto di questi periodi. Il quarto era quello greco-romano, il terzo l’egizio-caldeo, il secondo il persiano e il primo era la civiltà dei sette Rishi sacri nella regione dell’India attuale (la civiltà di Brahman e Atma, in cui molto più tardi sono sorti i Veda, la filosofia Vedanta, la filosofia Sankya ecc.).

Domani analizzeremo le singole lettere. Forse qualcuno ha delle domande da fare, soprattutto quelli per cui alcune delle cose che ho raccontato sono nuove.

Intervento: Abbiamo visto che Giovanni è l’unico essere umano iniziato direttamente da Gesù Cristo e che ci ha lasciato questi due testi di incredibile profondità. Giovanni doveva essere un iniziato ad altissimo livello. Ed io faccio fatica ad accettare che quest’uomo abbia fatto questo errore da somaro confondendo mentalmente il 2.160 con il 1.260, e per giunta due volte.

Archiati: No, no, non volevo dire questo. Prima di tutto possiamo partire dal presupposto che Giovanni non abbia mai avuto occasione di fissare il suo testo su carta, presumo che non l’abbia mai fatto. Ai suoi tempi, infatti, c’erano persone in grado di ripetere testualmente il tutto, a memoria, pur avendolo ascoltato una sola volta. Suppongo quindi che il testo sia stato fissato per iscritto molto più tardi. È nella trasmissione che si è fatta confusione.

Intervento: Ma lei ha detto che l’errore si è verificato perché a livello spirituale le cose si leggono al contrario, quindi l’errore deve aver avuto luogo nella lettura a livello spirituale.

Archiati: Naturalmente. Ci sono state delle persone, non ho mai detto che sia successo a lui, a Giovanni-Lazzaro.

Intervento: Ma lui ha scritto il testo.

Archiati: No. Per questo non dico mai “lo scrittore” di questi testi, ma l’autore. Perché i testi sono diventati, come dire, del tutto reali molto dopo. Lei adesso mi fa una domanda sulle prime parole dove viene detto che questa Apocalisse è stata mostrata al servo Giovanni. Cosa vuol dire “è stata mostrata”? Che cosa è successo? Lui ha visto cose e sentito parole. E 2.160 è, naturalmente, anche una parola, per quanto mi riguarda. Nella visione c’è l’estensione dell’evoluzione, l’estensione è anche qualcosa di visto: certi eventi, per esempio le cavallette, appartengono a questo segmento, e poi a quest’altro segmento viene l’animale con due corna ecc. Lì c’è anche una certa temporalità, diciamo.

Ma poi si sente un numero, lo si deve sentire, ma a livello sovrasensibile. E l’apocalista non potrebbe aver redatto un testo così vero, complicato, profondo, non avrebbe potuto percepire spiritualmente, a livello immaginativo, ispirativo e intuitivo, se avesse fatto questi errori. E ora, di fronte al testo così come ci è stato tramandato, appuriamo che un iniziato come Steiner – ma bisognerebbe avere almeno una minima idea di che iniziato sia Steiner – scopre che dove troviamo scritto 1.260 c’è stato uno scambio, inserito da qualcuno e poi rimasto nella tradizione. Steiner afferma che ciò che ancor oggi si vede spiritualmente in questa rivelazione è il numero 2.160. Nei confronti di questa affermazione ognuno deve prendere posizione come vuole, come può, ma l’affermazione è che il Cristo stesso – lo sto dicendo con le mie parole – oggi ci ha fatto dono di un iniziato, Steiner, del calibro dell’apocalista, in grado di correggere i contenuti errati sorti nella trasmissione e riconsegnarci sotto questo aspetto il testo originario dell’apocalista.

L’affermazione è quindi potente. Certo, se non si sa nient’altro di Steiner e si sente una simile affermazione è chiaro che l’accesso non sarà assolutamente facile. E l’unica cosa che può aiutare è se chi ascolta è dotato di una certa apertura, non si arrabbia subito o non si ribella bloccandosi. Pur con tutta la buona volontà non è sempre possibile spiegare tutto in una volta. Neppure io posso insegnare a qualcuno tutto Steiner, o il suo peso morale nell’umanità odierna, al primo colpo. Al massimo gli posso trasmettere qualcosa, sempre che costui si prenda del tempo e sia disponibile ad ascoltare quali possibilità di utilizzo sorgono sulla base di quanto Steiner ha da offrire. Allora si può cominciare a farsene un’idea.

Allora, dopo l’apocalista ci sono stati individui che ovviamente non avevano più la stessa profondità, la stessa visione dello spirituale. Vi spiego umanamente che cosa è successo in questi duemila anni. Nel medioevo c’erano i cosiddetti scriptoria. Scribo significa “scrivo”, e uno scriptorium era un locale in cui sedevano da cinque a dieci persone. Gutenberg non c’era ancora, non c’era la stampa che sforna mille copie alla volta: 20 copie, allora, erano un bestseller. Ogni esemplare doveva essere copiato – un lavoro molto faticoso.

Ma, caspita, se bisognava sempre avere davanti un esemplare per copiarlo, ogni volta se ne faceva solo una copia! Mettiamo invece che qualcuno abbia una copia, per esempio dell’Apocalisse: si mette davanti a dieci persone che possono scrivere e detta. Così abbiamo dieci o venti copie alla volta. Supponiamo che chi detta legga l’edizione che ha in mano così com’è: può darsi, tuttavia, che abbia passato una notte insonne e gli capiti di saltare una riga, o magari gli è successo qualcos’altro. Ma supponiamo anche che detti con estrema precisione. Resta il fatto che di queste dieci persone una capisce qualcosa, un’altra non ci capisce quasi niente, un’altra ancora ritiene di capire meglio dell’autore e vuole correggere qua e là, un’altra ha mangiato così male, la sera prima, che la notte non ha dormito affatto e non riesce a tenere gli occhi aperti... Pensate a quante differenze ci saranno nelle varie copie. E in questo modo possiamo capire come, da un testo che a livello sovrasensibile aveva nettamente 2.160, nel corso del tempo ne sia venuto fuori uno con 1.260, a causa di uomini che non hanno più capito o che pensavano di vedere qualcos’altro nel mondo spirituale. Sono cose che succedono.

Se adesso in Steiner leggo: caro uomo, devi correggere quello che c’è nei documenti attuali perché nel testo originale dell’apocalista c’è 2.160, gli devo credere? Questa è la presa di posizione individuale nei confronti di Steiner. Nel libretto sulla mia vita, in cui si trova l’unica conferenza che ho tenuto sulla mia vita, ho detto di non aver mai creduto ciecamente a niente di ciò che diceva Steiner. Le cose che dice mi convincono in modo assoluto solo in relazione alla mia esperienza di vita, alla mia esperienza della natura umana, del cosmo ecc. e in relazione all’esperienza che ho fatto con lui. E mi convince che l’altro numero è sbagliato perché è un numero con cui non si fa niente, mentre con quest’altro tutto torna. E il grado di convincimento di un’affermazione di Steiner dipende dalle premesse con cui ci si accosta al testo e anche alla lettura di Steiner.

Se fosse stata questa la prima cosa che ho letto di Steiner probabilmente mi sarei detto: questo è pazzo. Può darsi, ma solo perché non avevo letto nient’altro prima di allora.

Intervento: Non si sente.

Archiati: Certo una possibilità molto semplice è che uno abbia copiato e nel copiare abbia trasformato il 2.160 in 1.260.

Voglio dire soltanto che l’unica alternativa accettabile sarebbe giungere al risultato che 1.260 abbia un senso più giusto, profondo e migliore di 2.160, e si dovrebbe restare aperti, sulla base di spiegazioni fondate e ponderate e sulla base di una conoscenza davvero profonda dell’Apocalisse. Ma dovreste dimostrare il perché” e il “percome di 1.260, e allora vi convincerebbe l’altra ipotesi. Posso solo dirvi che penso che non ce la farete mai, ma vedete, ognuno ha la propria lotta da combattere. Ed è giusto così. Per questo non posso davvero vendere convinzioni; quelle che passo sono solo informazioni. E naturalmente di fronte a questo numero sorge la necessità di farvi notare alcune cose; anche Steiner me le ha fatte notare. Dopo di che ognuno può prendere posizione come vuole e come può.

Potete andare a leggere se in qualche tempo sono state date spiegazioni rispetto a questo numero, farete delle belle esperienze.

Intervento: Ci sono delle spiegazioni?

Archiati.: Naturalmente, ci sono spiegazioni di tutto. Che vi convincano è un altro conto. Solo un piccolo esempio: ancora l’altro ieri ho letto che per alcuni esegeti è assolutamente certo che la prostituta Babilonia con le sette teste ecc. debba essere Roma. Mi sono sempre chiesto come facciano a saperlo con assoluta certezza, perché per quanto mi riguarda, e domani cercherò di dimostrarlo, in sé e per sé non ha niente a che vedere con Roma.

Domani cominceremo con le sette lettere alle sette comunità.

2a Conferenza
martedì, 12 novembre 2002, mattina

Vi auguro il buongiorno e spero che trascorreremo una bella giornata con l’Apocalisse. Ieri non ho voluto andare oltre i primi versetti per darvi un quadro, una sorta di prologo dell’Apocalisse, perché sapevo che dopo viene la parte più consistente, dove bisogna procedere anche un po’ più speditamente.

Per quanto riguarda il metodo, è chiaro che non potremo affrontare ogni dettaglio. Mi permetterete di spiegare alcune cose di più e altre di meno. Quando spiego di meno potete supporre che non abbia molto da dire in proposito, nel senso che probabilmente non solo io, ma tutta l’umanità, dovrà lottare ancora alcuni millenni con questo testo per spiegare e scandagliare tutto il resto. E d’altro canto ho riflettuto ancora durante la notte su come fare. Il testo è estremamente complesso. Il modo in cui cerco di affrontarlo, per quanto a livello iniziale, presuppone da parte mia un confronto pluriennale – sono 25 anni – con la scienza dello spirito di Rudolf Steiner che, come vi ho detto, fornisce una base completamente diversa per capire certe cose per la prima volta. Per questo adesso sono in difficoltà su come fare con un gruppo di persone fra cui alcune hanno sicuramente più conoscenze delle altre. Tengo particolarmente a quelli che non conoscono affatto Rudolf Steiner, perché gli altri hanno comunque una conoscenza, perlomeno parziale, delle cose. E in questo senso prego quelli che non capiscono qualcosa di dirmelo. Vedremo quanto tempo dedicare alla risposta alle domande. Coloro i quali sentono le varie cose per la prima volta devono essere consapevoli che è necessaria una certa pazienza, una certa apertura, che bisogna avere il coraggio di sentire certe cose per la prima volta. E anche di non capire subito, perché forse alla fine del tutto, o grazie al tutto, sarà entrato qualcosa.

Voglio dire che adesso presumo che non si possa spiegare tutto, che le sette lettere alle sette comunità – con cui comincia l’Apocalisse – presuppongono una conoscenza di sette impronte culturali, poiché una comunità non è un singolo individuo, bensì una civiltà, una comunione di caratteristiche umane, di conquiste. In altre parole, le sette comunità sono sette archetipi, sette fenomeni originari dell’evoluzione culturale.

Vuol dire che ogni evoluzione culturale, ogni evoluzione collettiva, ogni evoluzione di popolo, di gruppo, presuppone una settuplicità di passi da compiere. E concretamente l’autore dell’Apocalisse ha di sicuro saputo che ai suoi tempi in Asia c’era una concentrazione di sette comunità; (Fig. 1,II), quindi… “1”, “2” “3”…“4” è sempre in mezzo, “5”, “6” e “6”.

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Fig. 1, II

Questa seconda triade corrisponde a questa prima triade e al “4” c’è sempre una svolta, per così dire, un cambiamento di direzione. Sono passi, passi evolutivi culturali compiuti in successione dall’umanità. Nel momento in cui l’apocalista scrive ci sono sette comunità nell’umanità, in modo particolarmente tipico in Asia, in Asia Minore, e lui le chiama per nome. La prima comunità, Efeso, privilegia l’impronta culturale della prima civiltà. La prima civiltà era quella indiana: qui erano i sette Rishi sacri ad avere un ruolo decisivo, il culto di Brahman e Atman. Nella civiltà persiana, a seconda, è fondamentale la separazione di luce e tenebre, morte e vita ecc. Poi arriva la civiltà egizio-caldea, poi quella greco-romana, che era quella contemporanea all’autore dell’Apocalisse. E il “5” siamo noi: Sardi. La quinta comunità è Sardi, la sesta Filadelfia e la settima Laodicea. Erano comunità che hanno anticipato il futuro, poiché tutta l’evoluzione si svolge in settuplicità.

Vedremo che il presupposto per capire il testo è la conoscenza di questi passi evolutivi decisivi per l’umanità. Si tratta ogni volta di 2.160 anni, come vi ho detto ieri, il tempo necessario perché il Sole passi da un segno zodiacale all’altro (magari uso un colore diverso per ogni passo).

Adesso solo due parole sulla caratteristica centrale dei periodi culturali. La cultura indiana aveva come caratteristica fondamentale l’amore per il mondo spirituale; gli uomini non avevano ancora la capacità di prendere per reale il mondo terreno. Lo consideravano Maya, la grande illusione, mahat aja, e sentivano la perdita, provavano nostalgia per la patria originaria dello spirito.

La cultura persiana è stata la prima in cui l’uomo ha cominciato a prendere sul serio il mondo terreno. Nella civiltà persiana, grazie a Zarathustra, il mondo è stato considerato un campo di attività. È vero che le forze della materia sono controforze per l’uomo, ma egli può progredire solo confrontandosi con queste forze.

La civiltà egizio-caldea fa un passo avanti: il mondo visibile diventa la scrittura che va interpretata, capita. Scrittura delle stelle presso i Caldei e scrittura terrena, quindi geometria, misurazione delle proporzioni terrestri, presso gli Egizi. Ghe () è la Terra, e metrìa viene da metršo (metrèo), misuro. La misurazione delle proporzioni terrestri, delle forze terrestri ecc. è nata presso gli Egizi. Gli Egizi sono allora i primi grandi geometri. La civiltà egizio-caldea è la civiltà della misura, del numero e del peso, in cui misure e numeri rivestono un ruolo importante. Per esempio i numeri nelle rivoluzioni degli astri: i Caldei hanno calcolato le orbite e i cicli in maniera sorprendente per l’astronomia odierna, che si chiede come abbiano potuto misurare senza strumenti, senza cannocchiale, in modo così preciso, e si chiede anche come gli Egizi abbiano potuto misurare ciò che è terreno.

Coi Greci ed i Romani l’umanità è talmente entrata nell’esperienza dell’elemento terreno che l’uomo si sente perfettamente a casa sulla Terra, al contrario degli Indiani, al punto che vive la morte come una minaccia, sente che lui stesso potrebbe scomparire del tutto. Si sente vivo solo con il corpo, grazie al corpo, ed il Greco – è una caratteristica fondamentale della civiltà greco-romana – è convinto che dopo la morte l’uomo conduca solo un’esistenza d’ombra poiché gli manca il corpo, gli manca la materia, l’elemento terreno e l’esperienza terrena. Allora qui l’esperienza della morte acquista un ruolo centrale. Lo vedremo nell’Apocalisse.

E per il “5” non ho bisogno di dire altro, dato che la caratteristica fondamentale del “5” dovrebbe essere nota ad ognuno in base alla propria esperienza. Perché la quinta civiltà è Sardi, quella che stiamo vivendo ora. Una caratteristica di Sardi, lo vedremo, è che gli astri cadono sulla Terra. Ovviamente non in senso fisico. Significa che i misteri, i contenuti spirituali del mondo celeste, vengono portati sulla Terra a livello cosciente, così che l’uomo porti sempre più nella sua coscienza, nel suo spirito, i misteri degli astri mutuati dalla lotta spirituale del suo pensiero. Questa è la caduta degli astri, ed è ora che essi ridiscendano, perché l’uomo ha completamente dimenticato che tutta la Terra è permeata dalle più svariate forze che agiscono su di essa dal cielo.

Filadelfia, il nome è già una grande prospettiva dell’evoluzione, è il superamento dell’egoismo, della fissazione sui contrasti nella materia. Filadelfia è l’amore fraterno: Philòs, philìa, adelphòs. La grande prospettiva per la prossima epoca culturale è che gli uomini imparino a vivere gli uni per gli altri invece di vivere gli uni contro gli altri.

E Laodicea sarebbe l’ultima comunità. Al “6” c’è sempre una divisione definitiva degli spiriti e a “7” sempre una riunificazione del tutto. Il “5” è il mistero del male e dell’uomo, perché qui comincia e diventa sempre più intensa la separazione degli spiriti. Quindi al “5” comincia la divisione degli spiriti, che si conclude con il periodo di civiltà “6”.

Queste che vi do sono semplificazioni, tanto per orientarvi a grandi linee. Voglio aggiungere anche una seconda prospettiva, meno storica e più generalmente umana: questa settuplicità delle civiltà in successione, ogni settuplicità, serve alla creazione dei sette Cabiri, delle sette forze primordiali dell’uomo. E precisamente, quali sono le sette dimensioni o forze o realtà dell’uomo? Non si tratta di nomi (io uso dei nomi adesso): prima di tutto c’è il corpo fisico (“1”); poi c’è il corpo vitale (“2”); “3” è l’anima o, nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner, il corpo astrale; la quarta forza fondamentale, la quarta realtà dell’uomo è l’Io, che ha avuto un ruolo centrale nel periodo greco-romano, nella divisione fra Io superiore e io inferiore.

L’evento del Golgota è il fenomeno originario del contrasto dell’Io con se stesso. L’io inferiore si confronta con l’Io superiore. L’Io superiore è racchiuso nel Cristo e l’io inferiore nell’umanità, che dà la morte all’Io superiore. Quindi in ogni uomo c’è il conflitto fra l’io inferiore e l’Io superiore. Questo io inferiore è l’Io dell’egoismo, della mancanza di libertà ecc., è tutto ciò che deve essere superato. L’Io superiore è ciò che di buono l’uomo potrebbe diventare.

Cristo, la quintessenza, la totalità delle forze dell’Io superiore, è stato messo a morte dall’insieme delle forze dell’io inferiore, perché l’umanità che l’ha ucciso racchiude tutti gli uomini. Ogni uomo prendeva parte alle forze che hanno messo a morte il Cristo.

Per questo al “4”, lo vedremo nell’Apocalisse, arriva il mistero della morte. Bisogna infatti rovesciare questa morte, che l’Io superiore metta a morte l’io inferiore, cioè lo faccia morire, così che attraverso la morte dell’io inferiore quello superiore giunga alla risurrezione. Questa è infatti la sorpresa: gli uomini credevano di aver ucciso il Cristo, ma in realtà è tramite la morte che egli è giunto alla risurrezione.

L’archetipo consiste allora nel fatto che con l’uccisione, con il superamento delle forze dell’egoismo (io inferiore), si ottiene la risurrezione dell’Io superiore di ogni essere umano. E continuando, al “5” abbiamo le forze, le parti costitutive superiori dell’uomo. Rudolf Steiner chiama il “5” Sé spirituale, il “6” Spirito vitale ed il “7” Uomo spirituale. È chiaro che le parole, l’elencazione di parole, non dà niente; che cosa ci danno le parole? Niente. Ma se ci si è occupati per tutta la vita di riempire di contenuto queste sette parole, allora si ha qualcosa. Non è un problema se qualcuno le sente per la prima volta, perché prima o poi ognuno deve cominciare, anche quelli che studiano Steiner già da 50 anni hanno cominciato un bel giorno. Basta sapere, essere coscienti, che quando si ascolta una cosa simile per la prima volta bisogna prima di tutto capire che non si tratta di culto di una terminologia, che la terminologia potrebbe essere cambiata, ma che si tratta di penetrare in maniera sempre più profonda e complessa a livello di contenuto nelle realtà espresse da queste parole, e diventare sempre più coscienti del loro significato.

Vedremo che a Efeso è determinante la prospettiva del corpo fisico, nella seconda comunità la prospettiva del corpo vitale, nella terza quella dell’anima, del corpo astrale. Anche questa prospettiva è importante. Poi a Tiatira abbiamo l’Io, i misteri dell’Io. A Sardi il Sé spirituale, quindi veramente l’Io superiore, perché il Sé spirituale è la vocazione a mettere in azione l’Io superiore. E poi lo Spirito vitale è il modo in cui tutti gli esseri umani formano sempre più un organismo, si inseriscono in un organismo spirituale. È l’amore fraterno, l’esperienza di essere membra di un tutto: questo è lo Spirito vitale, dove la spiritualità di ogni singolo uomo diventa vita e dà la vita ad ogni altro individuo. E l’Uomo spirituale, Laodicea, è il modo in cui l’umanità intera sperimenta una risurrezione della carne, cioè una redenzione, insieme alla Terra e alla natura.

Allora, se volete, il “5” sarebbe il singolo uomo spirituale. Il “6” l’umanità intera come organismo spirituale, dove gli esseri umani si vivono come membra viventi interrelate. E col “7” tutta la Terra e tutta la natura vengono portate alla risurrezione dall’umanità e spiritualizzate nello spirito dell’umanità. E lo spirito dell’umanità, lo spirito unitario dell’umanità, è il Cristo.

Bene, volevo dirvi questo, di modo che qui accettiamo la differenza degli uomini e dei presupposti semplicemente così come sono. Con un po’ di pazienza reciproca, perché ci possono essere persone che ritengono un po’ noiose le cose che sta dicendo Archiati, perché già le conoscono tutte, le sanno già o addirittura meglio. E altri naturalmente troveranno tutto un po’ difficile, un po’ complicato. Cercherò quindi di trovare una via di mezzo non troppo noiosa fra queste due.

Riprendiamo ancora con il versetto 4:

1,4 «Giovanni, alle sette comunità, alle sette chiese che sono nell’Asia»

Molto semplice. Che cos’ha da dire Giovanni, cioè questo iniziato al grado di “Giovanni”, a queste comunità? Se adesso volete sapere assolutamente il significato di “Giovanni”, ecco un esempio. Prendete tutto ciò che faremo in questi tre giorni come esercizi, esercizi di interpretazione. Non mi interessa, però, fornire un’interpretazione nel senso di dirvi: questo è il significato, devi impararlo così com’è. Questo non servirebbe a niente. Perciò desidero dare un’interpretazione sotto forma di esercizi del pensare.

Che cosa c’è in questo nome? “IOA”, “H”, poi “N”: “IOAHNN”. È un nome vocalico, non consonantico, le vocali sono nettamente in primo piano. Le vocali rappresentano sempre l’interiorità, le esperienze spirituali. Nella lingua originaria, il sanscrito, è ancora così: le vocali sono sette, poiché sono la precipitazione della mobilità animica dei sette pianeti. Quindi nella lingua originaria le vocali sono sette e le consonanti sono dodici; ancor oggi in sanscrito è così.

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Fig. 2, II

Poiché ogni consonante è un’imitazione della spiritualità di un segno zodiacale, le dodici consonanti sono allora la concentrazione linguistica, l’imitazione linguistica di ciò che sono i dodici segni zodiacali. Il dodici è l’oggettività del cosmo, lo spirito del cosmo, e la settuplicità è la soggettività del cosmo, l’anima del cosmo, l’esperienza interiore.

“I” è l’esperienza delle forze di volontà, della forza della franchezza, “I” è come uno strale. “O” è l’esperienza totale dell’amore che abbraccia, che cerca di avvolgere, e “A” è la forza del guardare con stupore. “AAAAA”, già solo il gesto compiuto dall’uomo quando allarga le braccia, lo dice. Il bambino, quando è stupito, dice: “AAA”. In altre parole, “A” è l’insieme delle forze del pensiero come capacità di stupirsi, di meravigliarsi, di sorprendersi. Pensate che i Greci dicevano che lo stupore, (qaum£zein, thaumàzein, stupirsi), è il principio della filosofia. Nessuno può pensare, né filosofare veramente senza stupirsi di come sono le cose. Stupirsi significa avere delle domande.

Allora, “A” è il pensare, “O” è l’amore – il sentimento – e “I” è la volontà. È da questa colonna che proviene l’esperienza dell’Io in tedesco. E questa triplice interiorità – di pensiero-stupore (A), del sentimento-amore (O) e della volontà (I), delle forze di volontà che poi entrano in azione –, questa interiorità deve delimitarsi. Ve l’ho mostrato sulla base del Vangelo di Giovanni: “A” pensare, “O” sentire e “I” volere, (IOA), deve delimitarsi dal mondo esterno: ecco la “N”… n, n, n, no, no, no… il segno zodiacale in cui ha origine la “N” è la forza della delimitazione, in cui qualcosa di interno si delimita da qualcosa di esterno.

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Fig. 3, II

Vuol dire che “Giovanni” è l’evoluzione globale attraverso cui l’uomo diventa un mondo a sé stante di pensiero, sentimento e volontà, nella delimitazione, nella distinzione da un mondo esterno, con una soglia fra interiorità ed esteriorità. E la “N” è la soglia in cui ci si accorge di toccare il mondo esterno.

E questo Giovanni – vedete che Giovanni non è un nome di persona, ma un nome evolutivo – scrive appunto perché è un “Giovanni”, che conosce i misteri di tutte le forze interiori dell’uomo, della forza del chiudersi in sé. È proprio così: se raduniamo il tutto abbiamo l’Io, l’esperienza dell’Io. Viversi come esseri in grado di pensare, sentire e volere, nella delimitazione, nell’autonomia dal mondo esterno, si chiama “esperienza dell’Io”. E l’esperienza dell’Io è stata e continua ad essere resa possibile dall’Essere dell’Io. Il nome del Cristo, o meglio la sua caratteristica fondamentale, consiste infatti nel mettere a disposizione di ogni uomo tutte le forze che gli consentono di diventare sempre più un Io.

“Giovanni” scrive a sette comunità che si trovano in Asia. Abbiamo già detto come mai sette e non nove o quindici. Devono essere sette e in Asia, perché proprio lì è presente la concentrazione di tutta la cultura passata.

Se prendete una cartina dell’Asia Minore – a grandi linee – vedete che tutta la costa è frastagliata (Fig. 4,II). Ingrandendo un particolare (Fig. 4a,II) vediamo che qui abbiamo Efeso; qui, più o meno, Smirne, la seconda comunità; qui abbiamo Pergamo, la terza. Qui faccio un po’ di spazio per le altre, vedrete infatti che viene tracciato come un arco, un meraviglioso arco. L’arco lo faccio in rosso; allora: “1”,“2”, poi lì c’è Pergamo”“3”, qui Tiatira “4”, poi viene Sardi, “5”… più o meno qui; poi c’è Filadelfia, “6”, e Laodicea è più sotto, “7”.

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Fig. 4, II

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Fig. 4a, II

Può servire anche a ricordare perché sono davvero così, una dopo l’altra, un arco che prima sale e poi scende di nuovo. Qui c’è il luogo in cui si è verificato il contrasto con Troia, dove si svolge tutta l’Iliade. E qui abbiamo queste sette comunità, era davvero così. Smirne ad esempio era una comunità in cui si prediligeva l’elemento zarathustriano, la tradizione della civiltà persiana. Gli iniziati quindi conoscevano queste impronte, non hanno fatto confusione. Pergamo era una città in cui i ricordi e le tradizioni degli Egizi e dei Caldei occupavano una posizione di primo piano. Tiatira era la comunità più in sintonia con i tempi, e qui (5,6,7 nella Fig.4aII) c’era di più l’anticipazione del futuro. Efeso invece era la comunità in cui si coltivava in maniera decisa la spiritualità dell’induismo.

1,4 «Grazia a voi e pace da parte di colui che è, che era, che viene, e da parte dei sette spiriti che stanno dinanzi al suo trono».

C£rij Øm‹n kaˆ e„r»nh ¢pÕ Ð ín kaˆ Ð Ãn kaˆ Ð ™rcÒmenoj… (chàris ymìn kai eirène apò o on kai o en kai o erchòmenos).Vedete che qui si presuppongono precise conoscenze, che si parla di qualcuno che era, che è e che verrà, e di sette spiriti che stanno intorno al suo trono. È del Cristo che è morto che l’apocalista ha questa potente visione. C£rij (chàris), che viene tradotto con “grazia”, è la forza; nelle conferenze sul Vangelo di Giovanni Steiner traduce chàris con: la forza di fare il bene dall’interno. È la dedizione, la forza dell’amore. Chàris è anche amore: chàris (in greco), càritas (in latino).

Ma cosa significa amore? Amore significa volere e fare il bene spontaneamente. È una sovrabbondanza di forze, non solo quindi per l’autoconservazione (quelle sarebbero forze riproduttive). Le forze di fecondazione spirituale sono amore. L’amore è la forza in sovrappiù per mettere le ali agli altri, da trasmettere agli altri per farli progredire. Questa parola è infatti l’essenza dell’impulso cristico: le forze dell’amore.

E la pace consiste nel fatto che, in virtù delle forze dell’amore, gli uomini smettono di viversi gli uni in opposizione agli altri e iniziano a vivere gli uni per gli altri. La pace è il risultato dell’amore, dell’amore reciproco. E la discordia è il risultato degli egoismi che si scontrano fra loro. È in questo senso che va capito il legame fra chàris e eirène, grazia (o amore) e pace.

“Da parte di colui che era, che è e che viene”: con queste parole si intende dire che il Cristo comprende la totalità dell’evoluzione. Egli non può mai diventare anacronistico, perché nell’Essere cristico, nell’Essere solare, sono presenti tutte le forze di cui l’uomo si appropria, una dopo l’altra, nel corso dell’evoluzione.

Il Cristo era in sintonia con i tempi al principio, lo è a metà dell’evoluzione e lo sarà in futuro. Colui che è, che ora ha un ruolo di primo piano; colui che era, che ha avuto un ruolo di primo piano in tutto il passato; e che verrà. Ciò vuol dire che tutta l’evoluzione ha lo scopo di acquisire il Cristo, la globalità del Cristo, delle forze cristiche, in libertà, in gratitudine e a livello del tutto individuale.

Questa designazione – colui che è, che era e che verrà, che sta arrivando – viene ripetuta, e ciò va capito in modo reale. Il saluto di Giovanni –“pace e grazia” –, viene detto anche a nome dei sette spiriti che sono davanti al suo trono, il trono del Figlio dell’uomo, il trono del Cristo, e intorno a questo trono (o, come vedremo più tardi, nella sua mano) ci sono i sette spiriti.

Chi sono i sette spiriti? Sono i sette tipi di esperienza di sé che l’uomo fa nel corso della evoluzione. I sette gradini dell’umanizzazione. Questo sono i sette spiriti: i sette gradini della umanizzazione. Tutto ciò che l’uomo può diventare, ovviamente a livello spirituale, poiché alla fine l’uomo continua ad esistere come spirito e l’elemento della materia, della Terra, esiste proprio per permettere la contrapposizione e l’evoluzione in genere.

Vedremo che nell’Apocalisse c’è molto di questo elemento che deve cader di mano, che dev’essere lasciato indietro dopo che tutta la lotta sarà giunta al termine. E vedremo anche come mai l’uomo lo trova apocalittico o terribile. E come mai prova avversione nell’affrontare questo scontro e nel diventare, mediante il rapporto con gli ostacoli e le contrarietà, ciò che può diventare solo grazie ad essi.

Più precisamente: l’Apocalisse descrive con grande vivacità quali ostacoli vengono offerti all’uomo, poiché solo lottando con questi ostacoli può diventare sempre più uomo. E il materialismo consiste nello spaventarsi di questi ostacoli e nel non avere la più pallida idea del motivo della loro esistenza.

Si può leggere tutta l’Apocalisse vedendo in continuazione ostacoli, piaghe, locuste, cavallette, tutti i dolori e i lamenti possibili. Ed è possibile non accorgersi affatto che sono tutte offerte di lotta, quella lotta che consente all’uomo di diventare questo o quello nel senso del bene.

Allora, questi sette spiriti stanno davanti al trono. Nell’Apocalisse troveremo la differenza, la polarità, fra “trono” e “cavallo”. Quando uno cavalca un cavallo siamo in presenza di un movimento, è un’immagine dell’evoluzione nel tempo. Dove c’è un trono, invece, abbiamo un’immagine di qualcosa di costante, di statico.

E come mai qui si dice che il Cristo che era, è, e verrà, è seduto sul trono? Perché il Cristo può essere visto sia dal punto di vista dei gradini, dei passi che possono essere compiuti in successione, sia come totalità. In altre parole, una volta che l’uomo avrà compiuto l’insieme dei passi evolutivi troneggerà su questa totalità, poiché essa vive in lui. Nulla è passato, niente se n’è andato, tutto è riunito, la totalità del tempo viene eternata e l’uomo è sul trono.

Vuol dire che il senso dell’evoluzione non è la caducità, bensì che tutto ciò che l’uomo ha conquistato successivamente nel corso del tempo resta eternamente in lui. È così che dobbiamo capire l’immagine del trono, su cui ci si siede e si poggia, per così dire, come su una proprietà, perché esso è appunto diventato proprietà eterna dell’uomo.

E adesso il testo diventa ancor più concreto: porge alle sette comunità un saluto di pace e grazia, e questo saluto viene anche

1,5 «e da parte di Gesù Cristo»

Kaˆ ¢pÕ ‘Ihsoà Cristoà (kài apò Ièsu Chrìstu). Vi ho già detto ieri che non dobbiamo sottovalutare il fatto che qui nell’Apocalisse la parola Gesù compaia già per la seconda volta. Perché per gli uomini di allora la sfida più grande era accettare che l’Essere più sublime e completo che esiste, l’Essere solare, si sia incarnato nel nostro mondo, che abbia parlato come un uomo, che abbia fatto propria l’esperienza terrena e che abbia fatto anche lui l’esperienza della morte attraverso quel Gesù, ucciso in maniera infame, come un criminale.

Noi siamo abituati a dire Gesù Cristo, ma a quei tempi era una mostruosità senza pari. CristÒj, Christòs, è la traduzione del termine ebraico Möschjach, l’unto. Massà vuol dire ungere; Möschjach, participio, l’unto. Crizw (chrìzo) significa ungo, CristÒj, Christòs, l’unto. Christòs è quindi la traduzione greca di Messia. Per l’Ebreo di quei tempi, per il Giudeo, Christòs è il suo Messia. È la stessa parola. La mostruosità è sentire il suo Messia collegato con Gesù – Gesù Cristo..

CristÒj, Christos

Messia

Gesù

Tra parentesi, per Paolo era una pietra dello scandalo senza pari sistemare le cose in modo da capire davvero che proprio nell’uomo messo a morte dagli uomini, rifiutato dagli uomini come segno del peccato originale, si era manifestato nell’umanità l’Essere sommo per penetrare nella fisicità della Terra attraverso la porta, la cruna dell’ago della fisicità di Gesù, così da creare dalla Terra le condizioni globali per l’evoluzione di ogni uomo. 1,5 «e da parte di Gesù Cristo»

1,5 «il fedele testimone, il primogenito fra i morti, il principe dei re della Terra»

Ð m£rtuj Ð pistÒj, Ð prwtÒtokoj (o martýs, o pistòs, o protòtokos)» – tre definizioni meravigliose. Il testimone, il fedele e il primogenito fra i morti – il primo ad essere rinato a nuova vita dalla morte. Le parole sono o martýs, o pistòs, o protòtokos il testimone, il fedele, il primogenito, il primo nato. Cristo è il grande testimone che il senso della morte, il senso dell’elemento materiale in cui lo spirito muore, è che dalla morte si può produrre una risurrezione, dalla libertà si può produrre una risurrezione dello spirito. Questa è la grande testimonianza dello spirito cristico: che il senso della morte, del peccato originale, della materia priva di spirito, è produrre una risurrezione a partire dalla libertà, dalla libertà individuale. Pistòs significa fedele: Egli non pianta in asso l’uomo, ma rimane: io resto con voi, io sono con voi fino alla fine dei tempi. Ciò Significa che il Cristo non abbandona mai gli uomini, non li pianta mai in asso, ma è fedele. È fedele al suo amore per la libertà dell’uomo, questa è la grande fedeltà del Cristo, che non tradisce mai questo amore. È questo il senso.

O protòtokos: Cristo è il primo che, attraverso Gesù, ha vissuto una rinascita nell’elemento terreno. `O prwtÒtokoj tîn nekrîn (o protòtokos ton nekròn), il primogenito, il primo ad essere generato dai morti. Cioè il primo a creare una nuova vita dallo stato di morte, dallo stato successivo alla morte. Non più un’esistenza umbratile, ma una nuova vita. Vuol dire che è il primo ad aver portato nelle forze della morte le forze per poter risorgere.

Ed Egli è il principe dei re della Terra. Sono definizioni meravigliose, ma feconde solo se ci si medita sopra, possibilmente per mesi o per anni: allora si rivelano aspetti sempre nuovi. Quella che sto facendo qui è solo una prima traduzione, se volete, delle valenze delle parole greche.

Il principe, ¥rcwn (àrchon) è quello che crea l’inizio (¢rc», archè, è l’inizio), quello che riversa nell’umanità le forze iniziali, tîn basilšwn tÁj gÁj (ton basilèon tes ghes), il principe di tutti gli uomini destinati a diventare re sulla Terra e attraverso l’esperienza terrena. E subito dopo viene anche detto che tutti gli uomini sono chiamati a diventare sacerdoti e re. Questa è la vocazione di ogni uomo.

Qui Cristo è il primo, ¥rcwn, a dare inizio al regno sulla Terra. Essere re sulla Terra significa rapportarsi da sovrano, da re, a tutte le forze della Terra, a tutta l’esperienza terrena, così che l’individualità, l’autonomia dell’uomo, continui a progredire, così che l’uomo diventi sempre più un re. Tutta l’esperienza terrena ha lo scopo di permettere all’uomo di diventare sempre più un re nel mondo terreno, in quello spirituale e in quello animico, cioè sempre più autonomo, responsabile, sempre meno disposto a scantonare e sempre più disposto ad assumersi la responsabilità dei suoi pensieri e delle sue azioni.

Il re infatti non è uno che segue la volontà di un altro. Essere re significa avere pensieri propri, impulsi volitivi propri, essere indipendente. Allora qui si fa cenno subito al mistero della libertà, a quella che io chiamo libertà, solo che bisogna anche continuamente spiegare cosa si intende per libertà. E adesso arriva la seconda parte del versetto 5:

1,5 «A colui che ci ha amati e ci ha liberati dai nostri peccati nel suo sangue»

1,6 «e ha fatto di noi re e sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui sia la gloria e la potenza negli eoni degli eoni. Amen.»

Tù ¢gapînti ¹m©j (to agapònti emàs), «a colui che ci ha amati». Come diventa cristianamente bella la lingua a questo punto: «colui che ci ha amati e ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati nel suo sangue e ha fatto di noi re e sacerdoti di fronte a Dio», tù qeù kaˆ patrˆ aÙtoà (to theò kai patrì autù), di fronte a Dio e a suo Padre. Questo “ha fatto di noi re e sacerdoti”, cioè che il Cristo renda ogni uomo re e sacerdote, viene addirittura messo al passato. Ciò vuol dire che le premesse affinché ogni uomo possa diventare re e sacerdote sono già state create grazie al mistero del Golgota. Questo era già avvenuto all’epoca in cui è stato scritto questo testo, diciamo cent’anni dopo.

A Lui – a colui che ci ha amati – sia dÒxa (dòxa) e kr£toj (kràtos), a Lui spetta tutta la forza dell’emanazione e tutta la forza di volontà. La forza di emanazione (dòxa) sono le forze del Logos e la forza di volontà (kràtos) sono le forze dell’amore, quindi pensare e volere. Quando l’Apocalisse presenta un dualismo, questo nell’uomo è sempre costituito dal pensare e dal volere; quando c’è una triade, è fatta di pensiero, sentimento e volontà; quando c’è una quadruplicità, allora si tratta del corpo fisico, del corpo eterico, del corpo astrale e dell’Io. Quando c’è una settuplicità, allora si tratta di tutte e sette le forze, di tutti e sette i pianeti, e non occorre elencare ogni volta tutta la settuplicità. L’uomo è un’unità, l’uomo è una dualità, l’uomo è una triade, l’uomo è una quadruplicità ecc. E a seconda del contesto ci si riferisce ora a una dualità, ora a una triade, a una quadruplicità, a una settuplicità, a una dodecuplicità. Bisogna sapersi orientare.

E proprio per orientarsi in un testo come questo mi sembra che la scienza dello spirito sia la più utile, senza paragone, per quel che io conosco dell’umanità odierna.

Facciamo magari solo un accenno alle molte cose che si potrebbero dire: che cos’è l’essere il sacerdote e re? Cos’è che ci rende sacerdoti e re? Il sacerdote è colui che s’intende di cose spirituali e il re è colui che s’intende di quelle terrene. In altre parole, l’evoluzione non avviene nel mondo delle nuvole, non siamo angeli, siamo esseri umani, e nel medioevo c’è stata una lotta interminabile fra papato e impero, poiché nell’umanità non c’erano ancora le premesse per cui nell’individuo, in ogni uomo, potessero conciliarsi questi due mondi, il mondo dello spirituale e quello del sociale. Si sono combattuti perché il papa riteneva che chi s’intende di cose spirituali dovesse avere anche il dominio sulla Terra, e l’imperatore rispondeva: adesso basta con questa teocrazia, basta appellarsi alla divinità per guidare gli uomini a livello sociale. Il principio dell’impero era che la comunità sociale sorge per il fatto che gli uomini stipulano un accordo fra loro. Si potrebbe dire che secondo il papato il diritto viene ricevuto dall’alto e il sacerdote, la guida spirituale, ha il compito di portar giù i comandamenti della divinità. L’impero invece dice: d’ora in poi non è giusto ciò che qualcuno ritiene di aver portato giù dall’alto, bensì ciò che gli uomini stabiliscono di comune accordo.

E ora chiediamoci: che cosa è giusto nell’umanità? I decreti divini? Sì, ma chi riuscirà a interpretarli? Cosa è giusto, allora, gli accordi umani? Quelli si possono fare. E pertanto l’umanità moderna ha eliminato i decreti divini, la religione è stata relegata in sacrestia e quel che è rimasto sono solo i re, cioè uomini che con la loro intelligenza hanno il diritto di stabilire il nostro modo di relazionarci fra noi in ambito sociale.

L’Apocalisse è un testo che ci ricorda che l’evoluzione consiste nel fatto che questi due piani, il divino-spirituale e il terreno-sociale, non potranno mai essere vissuti armoniosamente se l’uomo li mette l’uno contro l’altro. Vale a dire, solo l’uomo che è sacerdote, nel senso che si adopera per scandagliare i decreti divini, può diventare re, poiché sa che cosa va fatto sulla Terra. E solo l’uomo che può annoverare esperienze riguardo alle richieste sociali dell’umanità, saprà cosa vuole dagli uomini la divinità.

Vuol dire che le reali richieste sociali sono le chiamate della divinità, e le chiamate della divinità, ciò che la divinità vuole da noi, possono essere esaminate a fondo solo osservando le aspirazioni degli uomini, le loro aspirazioni più profonde. E si prova un’immensa felicità, come una botta liberatoria, nello scoprire che questa chiamata per cui ogni uomo non è solo chiamato ad essere sacerdote, ma anche re, si trova già all’inizio dell’Apocalisse e ne è il leitmotiv.

Come abbiamo detto, Cristo ci ha resi re e sacerdoti. Alcuni manoscritti hanno eliminato la parola “re” trasformandola in “regno”. Si nota come nei secoli successivi siano cominciati i problemi a questo proposito. Abbiamo detto infatti che è una chiamata, una chiamata che viene vissuta per tutta la seconda metà dell’evoluzione. E dopo 2.160 anni ci accorgiamo di non essere che all’inizio, che ora l’individuo deve trovare le forze per essere autonomo in ambito spirituale – e questo è il sacerdote –, e autonomo in ambito terreno – e questo è il re. Per armonizzare questi due ambiti, così che l’uno sia lì per l’altro, così che il regno sia sulla Terra affinché l’uomo diventi sempre più un sacerdote, e che il sacerdozio, l’essere in comunicazione con tutti gli esseri divino-spirituali, serva a rendere ogni uomo sempre più un re sulla Terra, sempre più esperto nelle richieste sociali dell’umanità.

A Lui sia dÒxa kaˆ kr£toj (dòxa kai kràtos), doxa è la pienezza della saggezza, della forza di emanazione, dei pensieri di saggezza del Logos, e kràtos è la forza, la facoltà, le forze e le qualità dinamiche che permettono a questa saggezza, a questo pensiero, a questo Logos di realizzarsi sulla Terra, nelle azioni terrene. Per farlo l’uomo ha bisogno di forza.

E„j toÝj a„înaj tîn a„ènwn: ¢m»n (eis tus aiònas to aiònon. Amèn): negli eoni degli eoni. L’ho spiegato spesso sulla base del Vangelo di Giovanni. L’a„èn (aiòn), eone, è un periodo di tempo, un ciclo. Per esempio, 2.160 anni sono un eone, una specie di eone. E l’eone ha un inizio e una fine. Per questo si parla di eoni al plurale: negli eoni degli eoni, di eone in eone. Potremmo tradurre con “di eone in eone”, da un eone all’altro.

In origine in questa parola a„èn (aiòn), c’era un digamma eolico, ai f wn poi questo digamma eolico è caduto, eifon, eivus, evus, latino evus, evi-ternus, e da lì è venuto fuori “eterno”, e da lì eternità. In pratica è diventato il contrario. Da un periodo di tempo determinato, con un inizio e una fine, si è arrivati all’infinito. Che cosa è successo a livello psicologico? Bisogna infatti capirlo a questo livello.

Allora, “eterno” è l’eternità, e aifon, evon è un periodo di tempo. Va inteso così che nel corso del tempo questi eoni divini, questi cicli di tempo, sono diventati così lunghi, così interminabili e noiosi per gli uomini dal fiato sempre più corto, che questi hanno pensato: ma tutto questo è eterno, non finisce mai! È solo perché il legame con la materia ha reso sempre più corto il fiato degli uomini che il ritmo lungo della divinità è diventato per noi un’eternità. Ma la parola è la stessa che c’è qui. Possiamo spiegarla una volta per tutte, perché ricorre di continuo. Negli eoni degli eoni.

Infine c’è l’“amen”. Saprete che è una parola ebraica: amàn, ehemìn che vuol dire “costruire sulla roccia”. È qualcosa di fondato, non qualcosa che oggi è così e domani in un altro modo. “Amen” vuol dire: così è, così era e così sarà. È una realtà. Quindi quando c’è “amen” davanti a una frase, vuol dire che la frase che arriva è un principio che fa parte delle fondamenta dell’evoluzione terrena, qualcosa di valido dall’inizio alla fine dell’evoluzione. “Amen” è qualcosa che appartiene alle fondamenta della creazione. È un tratto fondamentale; fa parte delle caratteristiche fondamentali di tutta l’evoluzione, cioè perdura, è vero dall’inizio alla fine. Il suo restare vero fa parte del concetto di fedeltà. Ciò che è vero è fedele e ciò che è fedele è vero, perché perdura.

Ed è questo che dice l’Ebreo con la parola “amen”: perdura perché è vero, esiste ed è costante. La persistenza del vero, l’affidabilità delle leggi dell’evoluzione, perché una legge è una legge, dev’essere stabilita, dev’essersi dimostrata vera. Ciò che può essere messo in discussione non è una legge. Cosa non ha escogitato il genio della lingua! Ma questi misteri della lingua sono molto più presenti in ebraico e in greco.

1,7 «Guarda, viene con le nubi, e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che l’hanno trafitto, e su di lui si batteranno tutte le stirpi, tutti i popoli della Terra».

È una citazione dal Vecchio Testamento, come compimento di tutte le profezie. “Guarda”[3] è un invito a guardare a livello spirituale. È una percezione spirituale. Cristo non viene più fisicamente, ma sulle nubi del cielo – Rudolf Steiner tradurrebbe “nel mondo eterico”, perché questa è l’apparizione del Cristo eterico. Come prima esperienza del Cristo sovrasensibile, infatti, l’uomo vede il Cristo quale totalità delle forze vitali del nostro cosmo. In futuro vedrà il Cristo a livello astrale, come totalità delle forze animiche del cosmo – quella sarà l’apparizione in astrale del Cristo. E poi ci sarà una terza apparizione del Cristo a livello spirituale, dove Egli sarà accessibile alla coscienza dell’uomo come totalità delle forze spirituali del nostro cosmo.

Ma per il momento la prima apparizione del “ritorno”, la prima apocalisse, la prima rivelazione, la prima manifestazione del Cristo è sulle nubi, cioè nelle forze cosmiche in cui ha origine tutta la vita. Le nubi sono infatti il cielo, nella misura in cui il cielo si impregna di forze dell’acqua che portano la vita sulla Terra. Questo sono le nubi: il cielo, il cosmo spirituale, nella misura in cui questo cosmo spirituale è saturo di tutte le forze vitali che scendono dalle nuvole sotto forma di pioggia.

Poi c’è da rilevare un meraviglioso gioco di parole. Lo farò solo come esempio, non possiamo farlo per tutto, ma qualche esempio dev’essere fatto, altrimenti sarebbe come studiare il Faust senza mai fare cenno ai segreti linguistici. Allora, ecco due verbi: Ôyetai (òpsetai), vedrà (al singolare, perché il soggetto è “ogni occhio”, ma per meglio svolgere l’esempio, possiamo usare anche qui il plurale: tutti gli occhi vedranno, Ôyontai, òpsontai) e kÒyontai (kòpsontai), batteranno. Quelli “vedranno”, quelli “batteranno”, kÒptw (kòpto) vuol dire “colpire”… è difficile spiegare o descrivere in italiano questi grandi misteri, ma l’uomo di quei tempi li viveva immediatamente nella lingua.

Ôyontai, òpsontai = vedranno

kÒyontai, kòpsontai = colpiranno

L’evoluzione dell’uomo consiste nel vedere il Cristo a livello spirituale: òpsontai, lo vedranno. “Vedere” e “colpire”, sono i due misteri a cui si fa cenno qui. Entrambi al futuro, differiscono solo per una “k”: òpsontai, kòpsontai. Vuol dire che il presupposto per la visione spirituale del Cristo è che l’uomo si confronti con le controforze, con gli ostacoli sulla Terra. Che sperimenti e lavori a fondo l’elemento terreno, e attraverso il contraccolpo dell’esperienza terrena diventi un Io spirituale, in grado di vedere, appunto a livello spirituale, l’essenza spirituale dell’Io.

Coloro i quali hanno lavorato a fondo il suo corpo (la Terra è il corpo del Cristo) nei millenni lo vedranno. Solo l’esperienza terrena porta l’uomo a diventare veggente spirituale. E la lingua greca lo dice in questo modo splendido: òpto-kòpto, òpsontai-kòpsontai. E in questa “k” di Kain, Caino, dell’uomo Caino, c’è il conflitto con le controforze della Terra. In ebraico Caino, a differenza di Abele che è l’uomo in cui la divinità opera in tutto e per tutto, è l’uomo che si rende autonomo per fare delle esperienze terrene sulla base delle controforze. Le controforze non sono negative, non sono cattive. Le controforze sono il presupposto per diventare un Io, un Io autonomo.

Nei misteri greci c’era un’altra espressione di questa dualità: Øe (ýe) e kØe (kýe). Ýe lo si diceva al cielo: “per favore, fa’ piovere” – ýetòs è la pioggia, che nell’Apocalisse compare con grande frequenza (vi do degli elementi per capire l’Apocalisse); ýe “per favore, cielo, manda giù gli impulsi celesti, i pensieri, le ispirazioni”. E all’uomo terreno si diceva kýe, ricevi. Qui la pioggia celeste e qui la ricezione sulla Terra, nel grembo della Terra.

Alla Terra viene detto: kýe, accogli ciò che è celeste nel tuo grembo, la pioggia (ØetÒj, ýetòs), gli impulsi spirituali, ed essi vengono accolti nel grembo dell’uomo terreno e innalzati al cielo. Ǜekýe, una semplice formula dei misteri che in seguito non è più stata capita. E da questo kýe deriva anche la Kuh (mucca) tedesca, in cui gli impulsi divini vengono masticati (kauen) sulla Terra. La mucca infatti è la quintessenza del ruminare. Sono quindi sicuramente esistiti uomini che hanno provato un fremito davanti alle parole: òpsontai, kòpsontai.Nel testo kòpsontai viene tradotto con “gemeranno”. Cosa vuol dire gemere?

Intervento: Lamentarsi delle difficoltà.

Archiati.: Lamentarsi delle difficoltà. Ma le difficoltà sono lì perché gli si imprechi contro?

Intervento: No.

Archiati: Appunto.

Intervento: Piagnucolare.

Archiati: Ma non è possibile che si voglia dir questo: piagnucoleranno per lui! Per lui gli uomini si confronteranno con i colpi, con le botte delle controforze!

Intervento: Allontanare gemendo.

Archiati: No, gemere per via dei dolori. Allora i dolori sono le controforze. E la traduzione gemere vuol dire lamentarsi per i dolori. Vuol dire che è stato completamente frainteso. I dolori, cioè le controforze, i flagelli, i colpi, i contraccolpi, gli ostacoli, non sono lì per essere scacciati gemendo, perché ci si lamenti, bensì per essere affrontati. Affinché grazie alla lotta contro gli ostacoli l’uomo scruti sempre più a fondo la realtà spirituale, e ciò che da essa può derivare.

Vedete come questa traduzione esprime una totale impotenza: «Gemeranno su di lui tutte le stirpi della Terra». Gemeranno infatti significa che sarebbe stato meglio se non fosse morto, per esempio, e questa sarebbe un’assurdità. Il termine greco contiene il coraggio del confronto con le controforze, con le complicazioni, con gli ostacoli. Sperimenteranno botte, colpi, flagelli su di lui – ™p’ aÙtÕn (ep’autòn), cioè sul suo corpo, la Terra. Tutti quelli che camminano sul suo corpo vivranno tutte le controforze, tutti gli amorevoli ostacoli necessari per diventare sempre più un Io.

Vedete come si fa in fretta a fraintendere completamente cose essenziali e decisive, proprio per via delle traduzioni moderne.

1,8 «Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio che è, che era e che verrà, il Pantocratore»

Pantokr£twr (pantokràtor), colui che riunisce in sé tutte le forze cosmiche (kràtor), è il signore di tutto. L’Onnipotente non è una buona traduzione, perché onnipotente si riferisce a Dio Padre. Dio Padre è onnipotente. Cristo è il Pantocratore, una forza completamente diversa. In senso divino onnipotente significa che agisce senza lasciare spazio alla libertà dell’uomo. Il Pantocratore, Cristo come Pantocratore, è la forza dell’Io a cui l’uomo è chiamato, la forza in grado di dominare tutte le forze presenti nell’uomo. Il Pantocratore è il dominio di tutte le forze umane. L’Onnipotente è Dio Padre, che è onnipotente in tutta la natura.

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Al versetto 1,8 avevamo letto: «Il Kýrios, il Signore Dio, dice: io sono l’Alfa e l’Omega». Naturalmente all’uomo d’oggi l’espressione “l’Alfa e l’Omega” non dice molto. Sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto. In italiano diremmo la“A” e la “Z”. Se qualcuno dicesse: io sono l’A e la Z non risulterebbe particolarmente edificante, ma in greco è diverso. Allora, io sono l’Alfa e l’Omega, scritto così: in maiuscolo “A, W”. In minuscolo “a,w”. O-mega vuol dire O-grande.

A quei tempi le lettere avevano un nome. Non si diceva “A”, “B”, bensì alfa in greco – in ebraico aleph –, poi beta in greco – in ebraico beth… Perché si davano dei nomi alle lettere? Perché venivano viste come entità divine e non come caratteri morti che vengono creati sulla carta, come per magia, semplicemente con una macchia di inchiostro.

Che cos’è l’alfa? È l’uomo all’inizio della sua creazione. E l’uomo – potete per esempio andarlo a rileggere in quella meravigliosa descrizione dell’intera evoluzione che fa Rudolf Steiner in La scienza occulta nelle sue linee generali, la miglior descrizione della creazione che io conosca –, quest’uomo saturnio nella prima impronta data alla Terra, la Terra di Saturno o Terra uno, era un uomo puramente di calore. Aleph, è l’uomo come essere di calore nella prima evoluzione della Terra. L’evoluzione complessiva, infatti, non ha solo queste sette civiltà dell’era postatlantidea di cui si parlava, essa contiene molte settuplicità.

La più grande settuplicità che si può considerare è costituita dalle sette incarnazioni planetarie della Terra. Adesso siamo arrivati alla Terra quattro – queste sono cose che alcuni di voi conoscono bene. Terra quattro è l’attuale, una Terra tre è venuta prima. Rudolf Steiner chiama Terra tre la Terra lunare. Prima ancora c’è stata una Terra due, una Terra solare. E Steiner chiama Terra uno la Terra saturnia.

La Terra quindi ha attraversato una prima evoluzione planetaria, la Terra saturnia, in cui l’uomo era solo calore. Poi si è aggiunta l’aria, Terra solare; dopo di che si è aggiunta l’acqua (Terra lunare) e adesso sulla Terra ci sono tutti e quattro gli elementi: calore, aria, acqua e terra.

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Fig. 5, II

Aleph è l’uomo all’inizio della creazione, e l’alfabeto sono i gradi dell’evoluzione attraverso cui l’uomo diventa mondo. In altre parole, l’alfabeto esprime il senso dell’evoluzione complessiva dell’uomo, che è quello di assumere nel proprio essere tutto il mondo. E come comincia l’uomo ad assumere in sé tutto il mondo, tutta la creazione, ciò che è stato divinamente diffuso dalle divinità? Deve cominciare a creare un involucro intorno a sé, così da essere chiuso in se stesso. E beta è la casa, beth è la casa.

Allora l’ebraico beth è la casa dell’uomo. Aleph, beth è l’uomo nella sua casa. E la prima casa dell’uomo è la pelle, l’involucro cutaneo. Allora la prima casa dell’uomo è il suo corpo. L’uomo nel proprio corpo, nel proprio corpo di calore.

Aleph, beth, gimäl ecc. Con l’arrivo delle consonanti giunge la casa dell’uomo ampliata, la città, Gerusalemme, con il tempio come centro. E alpha, beta, gamma, delta, epsilon, zeta, eta, theta, iota, kappa, lambda, mi, ni, xi, omikron, pi, rho, sigma, tau, ypsilon, phi (fi), chi, psi, omega è l’uomo che ha assunto dentro di sé il mondo intero. L’uomo è diventato mondo e il mondo uomo. Conoscenza di sé attraverso la conoscenza del mondo e conoscenza del mondo attraverso la conoscenza di sé.

Se oggi traduciamo: “Io-sono, questo è l’A e l’ W dell’evoluzione”, intendendo per “’Io-sono” la vocazione a diventare un Io, la vocazione a diventare divini, creatori, autonomi, liberi (cioè il senso totale dell’evoluzione), significa che tutta l’evoluzione, dall’inizio alla fine, ha lo scopo di diventare un Io per mezzo della realizzazione di tutti i contenuti del mondo, come contenuti dello spirito e dell’amore umani. Capire e amare il mondo intero, ricrearlo di nuovo, questo è l’alfa e l’omega.

E l’omega (sono cose che i Greci di un tempo vivevano), vedete, l’omega w è una “o” doppia: l’uomo come “o”, la forza dell’amore che racchiude in sé tutto il mondo. L’uomo diventa mondo attraverso la forza dell’amore. W, omega, è una “O” grande, al maiuscolo; w, omega, è una “o” doppia al minuscolo. Sicuramente qualcuno un bel giorno ha fatto questi pensieri. L’Io-sono, l’essenza dell’Io, è l’alfa e l’omega, perciò non è qualcosa di parziale, non è un impulso particolare, non diventa mai anacronistico, ma è il tutto. Tutto ciò che viene compiuto nell’evoluzione appartiene al processo di formazione dell’Io, dall’inizio alla fine.

1,8 «Così dice il Signore» lšgei kÚrioj Ð qeÒj (lèghei kýrios o theòs). Kýrios è la vocazione di ogni uomo, che dà ad ognuno la possibilità di cristificarsi sempre più attraverso il diventare padrone di tutte le forze terrene, appropriandosi di esse e trasformandole in forze dell’Io. `O qeÒj (o theòs), la vocazione a diventare divinità. Kýrios è infatti il signore delle forze animiche, e nella misura in cui l’uomo diventa sempre più padrone delle forze animiche diventa sempre più divino. Il divino è infatti la forza dello spirito che plasma l’anima rendendola sempre più adeguata allo spirito.

E poi, ancora una volta, troviamo l’espressione: «che è, che era e che verrà». È l’Io-sono che abbraccia la totalità dall’inizio alla fine, ma che, nello stesso tempo, non si consegue in un attimo o al primo colpo, bensì attraverso i gradi dell’evoluzione. L’evoluzione complessiva presenta vari gradi, non può essere divisa solo in due: peccato originale e redenzione e neppure solo in tre. Naturalmente l’evoluzione può essere osservata in maniera molteplice e qui c’è l’ottica trinitaria: via verso il basso, parte centrale (cioè la svolta, l’evento cristico) e poi la via verso l’alto: Padre, Figlio e Spirito Santo. Egli (il Cristo) è nella svolta dell’evoluzione, era presente durante la preparazione e lo sarà nel compimento. Preparazione, svolta e compimento (realizzazione): è questa la triade dell’evoluzione.

Il Pantocratore. Conoscete senz’altro quelle meravigliose rappresentazioni del Cristo Pantrocratore, quelle di Ravenna per esempio, soprattutto nel cristianesimo bizantino. Ho sottolineato che il Pantocratore non è il Padre onnipotente, si tratta di due cose completamente diverse. Nel Pantocratore ci sono le forze complessive dell’Io, non l’onnipotenza della natura, l’onnipotenza inizialmente extraumana nella natura di Dio Padre. L’irruzione nella totalità della natura delle forze dell’Io mediante il Cristo: questo è il concetto di Pantocratore.

1,9 «Io, Giovanni, vostro fratello e partecipe»

sugkoinwnÕj (synkoinonòs), colui che partecipa con voi, che condivide con voi. Cosa condivide? Questa comunione viene a sua volta rappresentata in modo triplice, poiché l’apocalista si definisce Giovanni, si definisce fratello e compagno (colui che condivide). “Fratello” elimina due cose: “servo” e “figlio”, poiché l’uomo può rapportarsi veramente all’uomo solo in qualità di fratello o sorella, cioè da pari a pari. Quando l’uomo è servo la differenza è che c’è uno che è sottomesso e un altro che domina. Ogni uomo deve invece comparire di fronte all’uomo solo come fratello. Ed ogni paternità, in cui qualcuno ha un ruolo di comando, è e dev’essere solo provvisoria, può avere un ruolo solo preparatorio.

Poiché per mezzo del Cristo l’infanzia dell’umanità ha avuto fine, poiché ogni uomo è stato reso maggiorenne dal Cristo, tutti gli uomini diventano fratelli e sorelle. Significa che attraverso il Cristo tutti gli esseri umani vengono resi uguali, ricevono la stessa dignità e la stessa potenzialità, la stessa facoltà di diventare sempre più creativi, tutti nello stesso modo. Per questo l’autore dell’Apocalisse si definisce inequivocabilmente fratello.

Chi di voi ha seguito il seminario sul Vangelo di Giovanni ricorderà che nei discorsi d’addio del 15° capitolo Cristo dice: “Non vi chiamo più servi, ma fratelli, poiché vi ho detto tutto ciò che mio Padre ha in programma per l’umanità”. Cosa vuol dire “fratello”? Sono fratelli coloro i quali sono messi sullo stesso piano dalla facoltà del pensare. Questa è la grande equiparazione degli uomini: il fatto che tutti abbiano la facoltà di pensare. E non è vero che uno ne ha di più e un altro di meno, perché la facoltà di pensare è amore e grazia del Cristo allo stato puro. Cristo ha agito e agisce in ogni uomo per renderlo capace di pensare. Le differenze non risiedono nella facoltà del pensare, ma nell’attività di questa facoltà, dato che essa appartiene alla libertà del singolo. Non è compito della grazia, altrimenti l’uomo non avrebbe niente da fare, fungerebbe da ruota di scorta negli avvenimenti del mondo.

«Partecipe» – synkoinonìa è la comunità, il destino comune dell’uomo, o meglio il karma comune. SugkoinwnÕj (sygkoinonòs) vuol dire: che prende parte al karma comune con voi, che condivide con voi il karma, il destino comune dell’umanità.

Questo karma umano comune viene ora triarticolato. L’Apocalisse è quindi un testo ricchissimo da cui emergono infinite prospettive.

1,9 «nella prova, nel regno e nella perseveranza a Gesù»

Allora: ql‹yij (thlìpsis), basile…v (basilèia), ØpomonÍ (ypomòne). Thlìpsis è la prova. Come viene tradotta qui? Tribolazione, afflizione. Ma questa è la prova, il confronto con le controforze, con gli ostacoli. E le controforze devono esserci, altrimenti la libertà non sarebbe possibile. Oppure thlìpsis è il peccato originale, il conflitto con le forze del peccato originale. Questa prima parola quindi racchiude in sé il peccato originale. La seconda parola, basile…v (basilèia), il regno, contiene la prospettiva del compimento per cui ogni uomo è chiamato a diventare re di tutte le forze terrene e celesti. E qual è la forza intermedia necessaria per passare dal pasticcio del peccato originale – che è la thlìpsis, il pasticcio – dalla pesantezza del peccato originale al regno? È la perseveranza, la costanza. Questo è il terzo elemento, ØpomonÍ (ypomòne). E come viene tradotto? Pazienza. È un po’ annacquata questa pazienza, perché si può essere pazienti anche senza far niente.

Intervento: Resistenza.

Archiati: Meglio costanza, perseveranza nell’affrontare le sfide. È la forza di affrontare le sfide, di andargli incontro e di trarne il meglio. Ypomòne è il restare indietro nella traduzione letterale: non sopportare, ma sottostare. Cioè, non scappare via da sotto, ma reggere la pressione. Ypomòne vuol dire restare sotto, rimanere, reggere la pressione. Lo si potrebbe tradurre così in italiano perché tutte queste parole greche sono delle vere e proprie immagini.

Tra l’altro tutte le parole della lingua sono immagini. Solo nell’epoca moderna, per via dell’intellettualismo, abbiamo quasi perso ogni capacità di riportare con la fantasia le parole della lingua al loro carattere immaginifico. Steiner ha fatto spesso questo esempio, chiedendo quale immagine ha il tedesco di secchio e mastello, in tedesco rispettivamente Eimer e Zuber. Sapete che cosa sono un secchio e un mastello, ma probabilmente non conoscete l’origine di queste parole. Il secchio viene portato da una persona, mentre il mastello da due (io lo so fin da quando ero bambino). Allora, dove ci sono due che devono portare (zwei bären) abbiamo un mastello (Zuber), mentre secchio (Eimer) deriva da ein baren, lo porta uno. È da queste immagini che vengono le parole: se lo porta uno è un Eimer (secchio), se lo portano in due un Zuber (mastello).

Purtroppo l’Apocalisse non è scritta in tedesco o in italiano, per cui va bene che ogni tanto vi faccia degli esempi; non lo posso fare con ogni parola, altrimenti dovremmo trascorrere qualche annetto a Bad Liebezell. Ma anche questo fa parte del seminario.

Ypomòne: non scappar via da sotto, dalla pressione dell’evoluzione terrena, dell’esperienza terrena. L’esperienza terrena ha infatti lo scopo di metterti sotto pressione, così che tu possa esprimere tutte le tue potenzialità evolutive. Anche l’espressione è una pressione. L’espressione (dal latino ex premo, spingo fuori) dev’essere provocata da una pressione.

E a quei tempi, come vi ho detto, l’uomo non era ancora così intellettualizzato. Questo intellettualismo, questa astrazione del materialismo odierno fanno parte dell’evoluzione umana per diventare più liberi, anche nei confronti della lingua, di modo che possiamo scoprire di nuovo e liberamente tutte queste cose. In quell’epoca l’uomo era notevolmente più in armonia con la lingua e ne ha vissuto la simbologia in modo naturale, spontaneo.

Dunque, «Io Giovanni»

1,9 «mi trovai relegato nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e per essere stato testimone di Gesù»

‘EgenÒmhn ™n tÍ n»sJ tÍ kaloumšnV P£tmJ (egenòmen en te nèso te kalumène Pàtmo). Patmos è un’isola del Mar Egeo, per questo ieri ho accennato a quei misteri di Samotracia e anche a un’isola del Mar Egeo, l’isola dei Cabiri in Goethe. È stato bandito, questo Lazzaro-Giovanni vissuto oltre cento anni. E come mai è stato bandito? A causa della parola di Dio, quindi a causa della sua testimonianza a proposito del Logos. E in che cosa consisteva la sua testimonianza fondamentale a proposito del Logos? Nell’aver dato all’umanità il Vangelo di Giovanni, che di colpo è stato ritenuto da determinate potenze una minaccia. A ragione, poiché questo Vangelo è stato scritto per farla finita con determinate potenze e ad un tratto è stato sentito come una minaccia dai poteri terreni. E il buon Giovanni ha dovuto andarsene in esilio su quest’isola a causa della parola di Dio, a causa del Cristo, qui tradotto “e per essere stato testimone di Gesù”.

Giovanni ha testimoniato che il Logos di Dio, che la Parola – tutte le forze espressive del Padre divino sono il Logos –, tutto ciò che il Padre divino ha espresso in suo Figlio, nel Cristo, tutta l’espressione, tutta la rivelazione del Padre divino si è fatta uomo in Gesù. Giovanni ne ha dato testimonianza. Questa, come vi ho già detto, era la mostruosità, la cosa inaudita. Per questo ora si trova qui, a Patmos, per la sua testimonianza relativa a Gesù.

Gli Ebrei dell’epoca erano rappresentanti dell’umanità intera. Ma non era così facile che gli Ebrei, o gli altri uomini, vedessero i cosiddetti Ebrei come rappresentanti dell’umanità intera. Per gli Ebrei di quei tempi non era facile digerire il fatto che ci fosse qualcuno che testimoniava che colui che era stato ucciso dagli Ebrei era il compimento di tutte le profezie dei loro profeti e che in quel Gesù, che aveva subito una morte infame sulla croce, fosse sceso sulla Terra, nell’umanità, il Messia, il Cristo.

Adesso, all’1,10, viene detto con estrema chiarezza che l’Apocalisse è stata una visione spirituale, una specie di iniziazione all’esperienza dello spirituale.

1,10 «fui trasportato nel mondo spirituale»

™genÒmhn ™n pneÚmati (egenòmen en pnèumati): fui trasportato sostanzialmente nel regno spirituale, sono stato afferrato dallo spirito. Letteralmente ™genÒmhn ™n pneÚmati (egenòmen en pnèumati): sono nato nel mondo spirituale. Egenòmen: in questa parola c’è il termine genesis. Ho fatto l’esperienza di nascere nel mondo spirituale.

Come si nasce e si vive nel mondo terreno, così io sono nato nel mondo spirituale, vi ho vissuto per un periodo, mi sono guardato intorno, ho ascoltato, e vi riferisco cosa si sperimenta in questo mondo spirituale. L’Apocalisse quindi come libro iniziatico, oltre che come libro da meditazione.

1,10 «nel giorno del Signore»

‘En tÍ kuriakÍ ¹mšrv (en te kyriakè emèra). Cosa vuol dire nel giorno del Signore? C’era il sabbat; il sabbat era il giorno di Dio Padre che ha dato origine a tutta la creazione, alla natura. Ora, l’Apocalisse non è un’iniziazione al mondo spirituale dal punto di vista del Padre divino sabbatico (del giorno di Saturno), bensì un’iniziazione dal punto di vista della domenica, il giorno del Sole, dell’Essere solare. Quindi non dal punto di vista della Terra uno (Terra saturnia) come inizio paterno della creazione, ma dalla Terra quattro, dove il Figlio, l’Essere solare, è determinante per l’evoluzione futura e viene sulla Terra per produrre questa svolta dal Padre al Figlio, come premessa affinché l’uomo – attraverso l’interiorizzazione del Cristo –, viva sempre di più nel proprio essere lo Spirito Santo.

Questo “giorno del Signore” è un concetto cristiano ed è naturalmente qualcosa di completamente nuovo rispetto all’ebraismo. Il sabbat ebraico viene sostituito dalla domenica cristiana.

Tra parentesi, se vi sembrano strane le parole usate da Steiner per indicare l’evoluzione della Terra - Terra saturnia, Terra solare, Terra lunare ecc. – va detto che non le ha inventate lui, ma sono state iscritte nei giorni della settimana, che sono appunto sette. Cominciamo con il sabbat, sabato, che è il giorno di Saturno, Saturday. Poi viene la domenica, Sonntag, Sunday, il giorno del Sole. Poi il lunedì, Montag, Monday, Lundi, il giorno della Luna. Allora, sabato, domenica, lunedì. Terra uno, Terra due, Terra tre.

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Fig. 6, II

Cosa viene dopo? Martedì e mercoledì: siamo nella Terra quattro, la nostra attuale, che si divide in due, e precisamente la prima metà della Terra è Marte (dal peccato originale fino alla svolta) e dalla svolta alla fine di Terra quattro è Mercurio. Vuol dire che la prima metà dell’evoluzione terrena ha lo scopo di conseguire la libertà negativa, di disperdere l’umanità, di produrre l’io egoistico. Prima infatti ci dev’essere la libertà dell’egoismo, quella negativa. E Marte è il dio della guerra, in cui gli uomini si vivono gli uni contro gli altri.

La seconda metà dell’evoluzione terrena, dopo Cristo, deve avere lo scopo di curare attraverso Mercurio le ferite inferte da Marte, dalla concorrenza, dal materialismo, dalla separazione. Questa è l’evoluzione globale della Terra: martedì-mercoledì, mardimercredi. Dienstag (dìnstag) è martedì in tedesco, dove c’è il suono della parola Ziu, il dio della guerra per i popoli nordici, che impone la discordia – Dienstag, il giorno di Ziu. In tedesco mercoledì si dice Mittwoch, un nome che non ha niente a che fare con gli dei, e significa semplicemente metà della settimana: che noia! Ma nelle altre lingue c’è Mercurio, Mercoledì, Mercredi, giorno di Mercurio. Quindi, giorno del dio della guerra – prima metà dell’evoluzione terrena – e giorno di Mercurio, il dio guaritore e terapeuta – seconda metà.

Bene, adesso abbiamo la Terra quattro in due parti, come continua la settimana? Giovedì, giorno di Giove, Donnerstag in tedesco (Donar è il Giove dei Germani), jeudi, giorno della saggezza. E Steiner allora chiama Terra cinque Terra di Giove. Come nel giorno della settimana.

Cosa viene dopo? Il giorno di Venere, venerdì, vendredi. Freitag, in tedesco; giorno di Freya, la Freya della mitologia nordica. In Steiner Terra sei è la Terra di Venere, come venerdì. Se ci fosse stato ancora un giorno sarebbe stato Vulcano. Ma adesso si ricomincia con il sabbat, Saturno.

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Fig. 7, II

Allora: Sabbat, Saturno; domenica, Sole; lunedì, Luna; poi viene la nostra Terra duplice: Marte, (martedì) e Mercurio (mercoledì); poi Giove, la Terra di Giove è la Nuova Terra, la terra del dio del tuono Donar o Giove, jeudi, giovedì. Poi Venere, vendredi, venerdì, Freyjatag-Freitag, e poi tutto ricomincia con Saturno. Vedete che Rudolf Steiner non ha usato arbitrariamente questi termini.

Tutto questo come piccolo aiuto per capire il giorno del Signore, la domenica (dominus, in latino, è il Signore). Il Signore è l’Essere divino del Sole, Signore di tutte le forze del sistema solare. Sarebbe impossibile prendere Venere o Mercurio come signori delle forze planetarie, in quanto sono tutti servitori. Il Sole è il signore delle forze planetarie, quindi il “giorno del Signore” è il giorno del Sole, dell’Essere solare. E Cristo, in quanto Essere solare, governa, regge tutte le entità e le forze spirituali del sistema solare.

A questo punto ci si potrebbe naturalmente chiedere: che senso ha che in questi duemila anni il cristianesimo abbia perso la dimensione cosmica contenuta in un testo come questo? E lo vedremo – in ogni pagina è così chiaro! –, poiché la dimensione cosmica, per esempio quella del Cristo, può essere capita solo se si sa che Egli, in qualità di Essere spirituale del Sole, regge tutte le entità e le forze spirituali del sistema solare. Tutte queste realtà (non solo conoscenze, ma realtà) hanno potuto e dovuto andare perdute affinché ora l’individuo abbia la possibilità di cercare nuovamente queste cose, questi tesori, a livello individuale e autonomo. E l’uomo le troverà nella misura in cui le cercherà.

Se non fossero andate perdute, l’individuo non avrebbe questo compito della libertà e ciò non sarebbe un bene per la sua evoluzione. Per questo non ha senso aspettarsi dalla tradizione – per esempio dalla chiesa protestante o cattolica –, che abbia ancora questi tesori o provare indignazione nei suoi confronti. No, fa parte delle necessità evolutive, dei presupposti necessari per il compito, il meraviglioso, libero e individuale compito evolutivo dell’individuo.

Ma in un testo come quello dell’Apocalisse notiamo quante conoscenze siano andate perdute. Non è per retorica che dice: “è accaduto nel giorno del Signore”. E per gli Ebrei, che conoscevano solo il sabbat come giorno sacro, è indubbiamente una botta inaudita; lo è per chi non capisce ancora, o non vuol capire, perché forse tutta la sua religione – affermatasi per secoli –, viene messa in dubbio, poiché egli non è ancora in grado di capire che adesso l’attesa si è compiuta. Ciò richiede all’individuo un’enorme trasformazione, ma questa è una cosa che l’individuo può fare solo per sé e per questo ha a disposizione tutti i millenni dell’evoluzione. Se infatti non partiamo dal presupposto che ogni uomo abbia a disposizione l’intera evoluzione per la sua evoluzione individuale, molte cose non quadreranno e molte non saranno spiegabili.

Quindi: 1,10 «Sono nato, ho fatto l’esperienza di rivivere nello spirituale e nel giorno del Signore», cioè quando l’umanità intera e tutte le forze cosmiche adorano devotamente il Signore, l’Essere solare, a differenza di altri giorni in cui sono dominanti altri pianeti.

1,10 «e udii dietro a me una voce possente come di tromba che diceva:»

E udii dietro a me: cioè spiritualmente dietro di me, nel senso che si deve voltare spiritualmente, perché in pratica può capire questa voce solo se è in grado di interpretare il senso dell’evoluzione già compiuta dietro di sé. È questa la voce che viene da dietro. L’uomo infatti può esprimersi profeticamente sul futuro solo nella misura in cui comprende il passato e la dinamica, l’ulteriore dinamica iscritta in tutto il passato.

Vuol dire che l’elemento profetico che si rivolge in avanti presuppone la forza di voltarsi indietro per capire la meta di tutto ciò che è avvenuto prima. Il futuro non viene creato dal nulla senza essere già predisposto come dinamica evolutiva nel passato. Allora profetizzare significa comprendere la totalità dell’evoluzione nella sua unità e, da quanto è già stato, poter esprimere ciò che può e deve ancora venire.

Udii dietro a me una voce potente, grande, possente: non una voce singola, un bisbiglio, ma l’espressione della totalità degli impulsi evolutivi. La singolarità (una voce) ha senso e può essere espressa solo nel contesto. Già ieri abbiamo visto che la lettera va vista in un contesto, perché se non vedo la lettera nel contesto della parola non potrò mai vedere le parole, ma solo lettere. Vedere una parola significa leggere le lettere insieme. Capire una frase significa vedere le varie parole in un contesto. Pensare vuol sempre dire portare in un contesto cose che dapprima sono sparpagliate. Il pensiero è la forza dei contesti, della loro connessione. E il nesso originario del pensiero è capire la relazione fra il passato e il suo futuro. Questo è il nesso più importante: partire da ciò che è già avvenuto, da ciò che si è già conseguito, per capire che cosa ancora manca, nel senso che può ancora accadere, che dev’essere cominciato.

È in questo senso che va intesa la voce, questo esprimere totale; la gran voce del contesto globale, non una vocina che esprime un unico aspetto, dove devo ancora chiedermi: sì, ma che cos’ha a che fare con questo e in che rapporto sta con tutto ciò che è già avvenuto?

Una voce universale. Una forza interpretativa, una forza linguistica che esprime la globalità, il senso globale dell’evoluzione. Come una tromba. E la tromba rappresenta sempre l’annunciazione, la manifestazione del compimento. Il suono della tromba è il suono del giudizio, è la facoltà di portare a compimento l’intera evoluzione, prima nel pensiero e poi nell’esecuzione, e il suono delle trombe è sempre l’annunciazione del compimento.

Il primo suono delle trombe è l’anticipazione del compimento nel pensiero, nella conoscenza. Nessun uomo infatti può realizzare il compimento dell’intera evoluzione nel proprio essere se prima non l’ha anticipata nel pensiero, nella conoscenza. Sono gli obiettivi dell’evoluzione che devono essere presi in considerazione nel pensiero, e gli obiettivi diventano forze nella misura in cui l’uomo capisce la direzione del tutto. Le idee degli obiettivi diventano ideali che poi possono davvero agire fortemente nell’uomo. Tutto ciò è rappresentato in queste immagini. «Udii dietro a me una voce potente, come di tromba, che diceva:»

1,11 «Quello che vedi scrivilo in un libro»

Quello che vedi, lo vedi spiritualmente, con il compito di trascriverlo, di inciderlo nell’evoluzione terrena per mezzo di azioni terrene. In questo “mettere per iscritto” ci sono le forze di volontà che imprimono alla Terra ciò che in un primo momento lo spirito vede nel pensiero e nella conoscenza a livello puramente spirituale.

•O blšpeij gr£yon e„j bibl…on (o blèpeis gràpson èis biblìon), quello che vedi scrivilo in un libro. La Terra come un libro in cui l’uomo scrive le proprie azioni. Questo ci ricorda che l’autore è lo stesso del Vangelo di Giovanni, in cui Cristo – pensate all’ottavo capitolo, quello dell’adultera – scrive le azioni dell’uomo nel suo corpo di Terra: si china e scrive nel corpo della Terra. Le azioni dell’uomo vengono scritte in un libro e questo libro è il corpo della Terra. Naturalmente anche l’Apocalisse è intesa come libro. Solo che senso ha avere l’Apocalisse come libro in cui è stata scritta questa profezia se non capiamo le lettere stampate in questo libro come immagini dell’altro libro, della Terra, e di ciò che noi, l’umanità intera, scriviamo in questo libro?

In altre parole, il libro dell’Apocalisse è stato scritto per dire agli uomini che cosa possono scrivere nel libro della Terra con le loro azioni per l’intera evoluzione. Vuol dire che il libro dell’Apocalisse contiene tutto ciò che gli uomini possono scrivere con le loro azioni per tutta l’evoluzione futura in questo libro vivente che è la Terra.

1,11 «e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea».

Si tratta di un libro che comprende l’intera settuplicità: tutte le settuplicità di tutti i cicli evolutivi che esistono, dai più piccoli ai più grandi. Questo rappresentano le sette chiese, le sette comunità. Sette comunità vuol dire la completezza dell’elemento di gruppo, culturale, popolare. Le comunità non sono ancora singoli individui, sono inizialmente comunanze culturali, impronte culturali, come fondamento per tutto ciò che diventerà sempre più individuale per mezzo dei sette sigilli, delle sette trombe e delle sette coppe dell’ira.

In questa quadruplicità – chiese, sigilli, trombe, coppe – possiamo vedere anche l’individualizzazione graduale dell’uomo. Comincia dalla base di ciò che è comune a livello culturale, c’è quindi un raggruppamento culturale, cioè le sette lettere alle sette comunità nel mondo fisico. Nei sette sigilli la cosa si fa più individuale, perché i sette sigilli sono ciò che ogni uomo sigilla nella propria anima, nella propria interiorità, attraverso la propria evoluzione. E l’asportazione del sigillo è il fatto che tutto ciò che l’uomo diventa a livello interiore plasma poi all’esterno la natura. Le sette trombe risuonano ancor più individualmente, per cui diventa ancor più difficile dire quando esattamente suonerà la prima, la quarta o la quinta. E infine le coppe dell’ira, e lì si tratta dell’Io, dell’elemento esclusivamente individuale.

Allora, dalle sette lettere alle sette chiese fino alle sette coppe dell’ira possiamo tra l’altro vedere anche la via verso l’individualizzazione. Le comunità sono quanto di più comune ci sia e le coppe dell’ira sono ciò che massimamente contiene i misteri dell’individuo, dell’elemento del tutto individuale.

Le sette comunità vengono nominate una dopo l’altra. Si noti bene che l’apocalista dice di aver sentito a livello spirituale quali sono le comunità interessate. Non ha scoperto lui, come uomo terreno, che Efeso ha più il carattere del primo passo – corpo fisico o civiltà indiana –, che Smirne rappresenta una civiltà, una comunità, con ricordi o tradizioni della persianità – misteri del corpo eterico –, ecc. No, dice: la successione delle comunità dell’Asia a cui deve scrivere le sette lettere, quali comunità archetipiche per i sette passi dell’evoluzione postatlantica, sono cose che ha sentito a livello spirituale.

Appartiene alla sua visione spirituale, alla sua esperienza spirituale, che queste sette comunità siano assolutamente concrete, che rappresentino le sette fasi culturali, i sette periodi, le sette civiltà dell’epoca postatlantica – e per giunta, come prospettiva diversa, esse rappresentano le sette forze originarie dell’uomo: dal corpo fisico a quello eterico, al corpo animico (o astrale), all’Io, al Sé spirituale, allo Spirito vitale, fino all’Uomo spirituale.

Adesso arriva una visione meravigliosa.

1,12 «Ed io mi voltai per vedere la voce che parlava con me»

È un voltarsi spirituale. Rudolf Steiner descrive più volte come questo voltarsi sia qualcosa di complesso. Pensate a Maria Maddalena, che si gira due volte per riconoscere il Risorto alla fine del Vangelo di Giovanni. Per vedere la voce, blšpein t¾n fwn¾n (blèpein ten fonèn). Egli si volta a livello astrale-spirituale per vedere la voce. Che bello! Per guardare la voce!

Diremmo che una voce si può solo sentire, ma lui si volta perché una voce la si può sentire anche senza vederla. Si volta per guardare la voce. Vuol dire che la voce è un’entità parlante, non una voce anonima. E quello che dice un’entità può essere capito solo se la si vede. Vuol dire che l’espressione di un’entità è duplice, non semplice: la prima manifestazione è la sua fisionomia, cioè l’espressione cristallizzata di tutto il suo passato, che deve essere vista. Io vedo la fisionomia di una persona, e nella fisionomia si manifesta tutto il suo passato. Ma poi sento la voce e la voce è la manifestazione del suo presente animico. Questa è la differenza.

Allora, quando guardo un essere vedo la sua manifestazione nella fisionomia, in cui rende esteriormente visibile il suo passato. La fisionomia di un essere, anche di un essere umano, è il deposito del suo passato. La voce invece esprime ciò che vive attualmente nella sua interiorità: nella voce, con la lingua, l’uomo esprime il proprio presente animico.

Ripetiamo: la fisionomia è la concentrazione di tutto il passato di un uomo, è ciò che si vede; la lingua è la manifestazione del presente animico di un uomo, e la si sente. E l’apocalista dice: mi sono voltato per vedere la voce. Vuol dire che la voce parla nel presente, esprime un’interiorità presente, ma io capirò questa interiorità presente solo guardando la fisionomia complessiva, ciò che nella fisionomia si manifesta come risultato visibile di tutto il passato.

Ed ecco che di colpo abbiamo i due gradi basilari dell’esperienza spirituale che Rudolf Steiner chiama immaginazione – cioè un vedere, un percepire nello spirituale –, e ispirazione – cioè un sentire nello spirituale. Non credo davvero che solo attraverso lo studio più approfondito della teologia si possa giungere a queste cose che qui vengono descritte così semplicemente, e che in fin dei conti presuppongono una scienza, per quanto a livello iniziale, del sovrasensibile, una scienza dello spirito. Ma ci si stupisce, io stesso mi stupisco, di quanto si ritrova in un testo del genere anche con una conoscenza ridotta dell’Opera Omnia di Rudolf Steiner. E mi piacerebbe chiedere a un normale esegeta com’è che ci si volta per vedere una voce. Innanzitutto come ci si volta a livello spirituale e secondariamente che cosa vuol dire vedere una voce.

3 a Conferenza
martedì, 12 novembre 2002, pomeriggio

Cari ascoltatori, eravamo arrivati al versetto 12 del 1° capitolo, quando Giovanni si volta nel mondo spirituale per vedere la voce, come è scritto letteralmente in greco.

Il verbo usato per parlava è ™l£lei (elàlei): mi parlava in modo umanamente comprensibile. Invece del verbo lšgein (lèghein) che è un perfetto parlare del Logos, troviamo qui lale‹n (lalèin), cioè un parlare umano, comprensibile per ogni uomo. Si presupporrebbe che l’Apocalisse debba essere una rivelazione comprensibile per tutti. Forse con l’andar del tempo, nel corso di alcuni secoli, millenni forse, e comunque prima o poi dovrebbe essere comprensibile per chiunque.

1,12 «e mentre ero voltato vidi sette candelabri d’oro»

1,13 «e in mezzo ai candelabri Uno che rassomigliava al Figlio dell’uomo, vestito di una lunga veste e cinto d’una fascia d’oro sul petto.»

1,14 «Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana del candor della neve e i suoi occhi erano come una fiamma di fuoco».

1,15 «E i suoi piedi erano simili a minerale aurifero che arde nella fornace e la sua voce come la voce di molte acque.»

1,16 «E teneva nella destra sette stelle e dalla sua bocca usciva una spada a doppio taglio affilata e il suo viso era come il sole che splende in tutta la sua potenza.»

Una meravigliosa apparizione con tanti dettagli. Vediamo che cosa si dice qui. Partiamo dai dettagli del versetto 12, così che cerchiamo di tradurli nei nostri moderni, tanto per cominciare perlomeno a capire cosa vogliono dire.

Vede sette candelabri. Qui, dove si tratta delle sette comunità, si parla sempre di sette candelabri e sette stelle. I sette candelabri sono recipienti, sono come, diciamo, portatori di luce e rappresentano le sette comunità. Verrà detto in seguito, al versetto 20, che i candelabri rappresentano le comunità e che le sette stelle rappresentano gli spiriti, cioè la spiritualità, ciò che l’uomo acquisisce a livello sovrasensibile attraverso l’esperienza di queste sette civiltà.

Allora, i sette candelabri, portatori di luce, sono le sette comunità e i sette spiriti sono gli angeli delle comunità. E gli angeli sono la totalità delle ispirazioni, o meglio gli arcangeli (tutte le gerarchie qui vengono chiamate angeli). Ma vedremo che ci sono diverse gerarchie, per esempio Michele, che viene nominato qui, è un arcangelo.

Abbiamo dunque le comunità, esseri umani che, come candelabri, sono portatori di luce. E la luce, le sette stelle, sono gli angeli delle comunità. Come mai gli angeli vengono chiamati stelle? Perché gli angeli – quindi gli angeli custodi, gli arcangeli quali angeli delle comunità – portano in sé una concatenazione di ispirazioni, pensieri e azioni che trasmettono agli uomini affinché questi ci riflettano sopra e agiscano, li realizzino, così che nel corso della loro evoluzione si approprino della spiritualità insita nell’angelo della comunità, che è come una stella, un’unità spirituale.

La prima cosa che l’apocalista vede non è il Figlio dell’uomo, la sintesi, ma la settuplicità. Lo trovo magnifico, nel senso che l’Essere solare non si pone in primo piano, ma in primo piano vengono messi i sette gradi dell’evoluzione umana. I sette gradi naturalmente significano tutto il possibile: nel senso più ampio sono le sette incarnazioni planetarie della Terra e, in senso più ristretto, come in questo caso, sono le sette civiltà che si sono succedute sulla Terra, in settemplice spiritualità, dopo il diluvio universale, dopo l’era di Noè.

L’idea è che ad ogni uomo, per il fatto di prender parte a tutta l’evoluzione, sia data la possibilità di acquisire questa settuplicità, un passo dopo l’altro. Allora viene messa in primo piano l’articolazione dell’evoluzione e, il risultato unitario finale – il Figlio dell’uomo –, sta per così dire in secondo piano. Questi sette candelabri sono d’oro perché sono tutti aspetti della forza dell’amore, della forza solare dell’amore. Tutto ciò che è d’oro rappresenta il calore, non la sapienza, bensì il calore dell’amore. Ed il senso globale dell’evoluzione terrena è appunto trasformare un mondo di sapienza, creato con sapienza divina, in un cosmo d’amore. Questo è il senso globale dell’evoluzione terrena.

“E in mezzo a questi candelabri qualcuno simile al Figlio dell’uomo”. Questo simile, Ómoion (omòios), ha generato il grande conflitto fra Ario e Atanasio a causa della “ι”. Infatti ÐmÒj senza “i”, omòs, vuol dire “uguale” e Ómoioj con la “i”, omòios, vuol dire “simile”. E la grande domanda era: il Figlio, il Cristo, è uguale o simile a Dio Padre? La grande problematica era: in che misura l’uomo è chiamato a diventare egli stesso simile alla divinità o in che misura questa è presunzione?

All’inverso si pone anche la domanda se Cristo sia diventato uomo o simile all’uomo. Cristo, come essere divino, è diventato proprio uguale all’uomo o ha potuto solo diventare simile a lui? Forse si nota che questi grandi interrogativi non possono essere risolti a livello intellettuale e astratto.

Qui possiamo capire che questa figura, uguale o simile a un Figlio dell’uomo, da un lato è la reale immaginazione del Cristo, e dall’altro è tutto ciò che l’uomo, ogni uomo, è chiamato a diventare nel corso della sua evoluzione. Non lo è ancora all’inizio, e nemmeno a metà, ma se non si lascia scappare niente (e allora la domanda è: chi potrà sostenere di non essersi lasciato scappare niente o di non omettere niente quotidianamente?), se, da un punto di vista ideale, ci fosse un uomo che non tralascia niente della possibile evoluzione dell’uomo, allora ne risulterebbe una piena divinizzazione dell’uomo. Ciò presuppone, naturalmente, che anche in ambito divino affrontiamo i più svariati gradi e intensità dell’essere divino. Per questo è anche decisivo che l’Apocalisse contenga una completa angelologia, un insegnamento delle gerarchie, dove non troviamo solo la divinità, la trinità, ma fra la somma trinità (il massimo livello di divinità) e l’uomo esistono i più svariati gradi dell’essere divino – e l’uomo sarebbe chiamato a diventare parte della decima gerarchia del divino. E fra l’uomo e la Trinità ci sono nove gerarchie, nove gradi di partecipazione al divino.

Vediamo come viene descritto questo Figlio dell’uomo. Rudolf Steiner, per esempio, ha parlato innumerevoli volte di cosa significhi “Figlio dell’uomo”. Cristo – l’abbiamo già visto nel Vangelo di Giovanni – preferisce definirsi “Figlio dell’uomo”, nel senso che “Figlio di Dio” è tutto ciò che crea la divinità, mentre “Figlio dell’uomo” è il prodotto della creazione dell’uomo, ciò che l’uomo è chiamato a produrre mediante l’evoluzione nella libertà. Il Figlio dell’uomo è la creazione dell’uomo.

Rudolf Steiner spiega come nella scienza occulta ebraica si sia parlato per la prima volta di come l’uomo non sperimenti e non ottenga l’elevazione del proprio essere solo lasciando il corpo fisico. Questo era il primo pensiero della cultura indiana, secondo la quale l’uomo può entrare nella dimensione divina solo abbandonando il corpo fisico, dato che la materia è il luogo del non-divino.

Nell’ebraismo, nella scienza occulta ebraica, sorge per la prima volta – grazie naturalmente all’essere dell’Io, al Cristo, che si è voluto incarnare nell’ebraismo – il concetto di “Figlio dell’uomo”. Figlio dell’uomo significa che l’uomo si vive come Io dentro al corpo. È l’esperienza dell’Io-sono; la comprensione del divino nello stato incarnato. Non nello stato estatico, ma in quello incarnato. E alla base di questo concetto del Figlio dell’uomo sta l’impronta di Jahvè: “Io sono un Io” (questo significa il nome Jahvé) che può pensare lo spirito anche in un corpo fisico, che può capire lo spirito e può diventare sempre più spirituale, sempre più creativo e divino.

Questo Figlio dell’uomo è avvolto da una veste: si tratta dell’anima in cui l’uomo deve lavorare, dato che l’anima diventa il luogo di lavoro dell’uomo. L’anima, il corpo astrale, è come una veste di stelle per l’uomo. E intorno al petto, intorno alla zona del cuore, c’è una cintura d’oro. Le forze del cuore vengono custodite, circondate dalle forze dell’amore: la cintura d’oro sono le forze d’amore che circondano il cuore o che danno origine alle forze del cuore. Allora la prima cosa che viene citata sono le forze del petto, le forze del centro come forze del cuore, dell’amore.

Dopo aver fornito questa direttiva del sorgere delle forze dell’amore, delle forze d’amore del cuore, nel versetto 14 si indica in che modo deve svilupparsi la testa, cioè le forze del pensiero: «il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana». La testa è come una ripercussione del macrocosmo, dello zodiaco nell’uomo, e i capelli sono come correnti astrali che collegano l’uomo con il cosmo. Sapete che nel Nuovo Testamento c’è un’importante disputa su come l’uomo debba gestire i propri capelli. L’elemento femminile, le donne, – che di solito hanno chiome più folte degli uomini –, portano forze che sono come un’eco dell’antica chiaroveggenza che ha dovuto farsi da parte per far posto al pensiero cosciente. Per questo qui vengono date così tante definizioni dei capelli.

I capelli bianchi come lana indicano la saggezza dei pensieri illuminati tramite cui l’uomo comprende sempre meglio la Terra e la sua evoluzione, l’umanità e la sua evoluzione. La lana rimanda alle forze dell’Ariete, alle forze dell’agnello: una saggezza che serve a coltivare sempre più l’amore nell’umanità. Bianchi come la neve: l’immagine della neve torna anche più avanti, magari ci arriveremo. Si parla della saggezza nel pensiero, una saggezza che viene inserita nella testa, perché il Figlio dell’uomo non è un Figlio di Dio, ma un Figlio dell’uomo. La saggezza viene fatta scendere nella testa dell’uomo, se volete lungo la strada dei capelli, ma poi deve atterrare nella testa. E per il fatto di venir inserita nella testa dell’uomo, questa saggezza divina si collega con le forze del cuore e diventa per così dire una saggezza d’amore grazie al calore della lana, dell’agnello che si sacrifica.

“Gli occhi come fiamme di fuoco”. Anche nel Timeo di Platone viene detto per esempio – l’uomo moderno non lo sa più, ma è esattamente così – che l’estinzione dell’occhio ciclopico nell’Odissea si riferisce a quell’occhio che le donne indiane portano ancora disegnato in mezzo ala fronte, come lieve allusione al fatto che l’antica umanità non aveva due occhi, ma uno. Ne abbiamo appena parlato a Monaco a proposito di Forciade, nel Faust di Goethe. Mefistofele diventa Forciade, e i Forciadi in tre hanno solo un occhio e un solo dente – l’archetipo della bruttezza. Arriva Mefistofele e dice: vediamo che aspetto ho se divento simile a voi, e li prega di prestargli per un po’ il dente e l’occhio. E i tre gli rispondono: sarebbe bello, ma così perderemmo la cosa migliore. E gli fanno questa proposta: non hai bisogno del nostro occhio e del nostro dente, basta che ti metti di profilo, così che si veda un occhio solo, o che chiudi un occhio, e mettendoti di profilo si vedrà solo un dente. Ed ecco che abbiamo Mefistofele con un occhio, cioè un limitare l’evoluzione all’epoca del ciclope, quando c’era un solo occhio e un solo dente, così che il motto del Vecchio Testamento “Occhio per occhio, dente per dente” non può essere realizzato.

E cosa significa aver dovuto estinguere l’occhio ciclopico e far sorgere i due occhi da cui fino ad oggi fuoriesce la fiamma di fuoco? Per il fatto che una corrente astrale, una corrente animica, fuoriesce dagli occhi e incontra le cose, l’uomo fa l’esperienza dell’Io, poiché l’esperienza dell’Io è possibile solo se l’uomo esplora e sperimenta il risultato. Ogni uomo si vive tra l’altro come Io non solo perché si tocca con le sue parti simmetriche, mani, piedi ecc., soprattutto mani e braccia, ma anche perché i due assi ottici si incrociano, permettendo all’uomo di esplorare. Ed esplorando in questo modo lo sguardo viene indirizzato, l’uomo dirige lo sguardo su qualcosa.

In altre parole, la visione, l’antica chiaroveggenza del ciclope era passiva; il ciclope è colui che ha un occhio che guarda tutt’intorno kÚkloj (kýklos, cerchio) wy (ops, sguardo); cioè lo sguardo non viene diretto su niente, tutto viene visto. Si trattava quindi di una visione del tutto passiva, il mondo agiva su questo occhio e l’uomo non aveva niente da fare.

Le due fiamme di fuoco, invece, consistono nel fatto che mediante le forze del suo Io, del suo karma, l’uomo osserva di volta in volta le cose. Il suo Io superiore dirige veramente lo sguardo, con due fiamme di fuoco che si incrociano, su ciò che ogni volta l’Io superiore desidera vedere e percepire. Per mezzo della vista e della percezione l’uomo deve prendere posizione e da questa presa di posizione risultano i passi della sua evoluzione per lui stabiliti. È a questo che si fa accenno meravigliosamente con queste fiamme di fuoco che, come abbiamo detto, erano ancora state descritte in maniera splendida da Platone nel suo Timeo.

Le moderne scienze naturali lo ignorano completamente, non sanno un bel niente di questo raggio astrale sovrasensibile che deve andare incontro alle cose perché l’uomo possa davvero notare qualcosa. Altrimenti non potremmo capire come mai nella lingua c’è una differenza tra vedere e osservare. Sapete qual è la differenza? Risiede nell’intensità dell’attenzione: io posso vedere qualcosa, ma se vedo senza osservare, senza osservare attentamente, posso facilmente non vedere. Ma lo stesso non può accadere con l’osservare.

Ricapitolando, questi occhi del Figlio dell’uomo sono tali per cui fanno l’effetto di due fiamme karmiche d’amore, che dirigono amorevolmente lo sguardo su ciò che l’uomo deve percepire per potersi con esso confrontare e progredire. Cosa significa, infatti, che un uomo osservi quest’uomo qui e non un altro? Non accade qualcosa di neutro, ma sono due fiamme dell’amore tramite le quali le forze del karma dirigono gli occhi su quest’uomo, poiché costui deve fare l’esperienza di quest’uomo per quanto è ancora fissato sul conto karmico aperto per tutto ciò che deve nascere grazie a questo incontro. E un altro uomo, che non fa parte del mio karma attuale, non lo vedo, nel senso che non dirigo i miei occhi su di lui, non lo osservo. Significa che ogni sguardo è una scelta d’amore, una scelta d’amore compiuta dall’Io superiore. È qui in queste fiamme di fuoco.

“I piedi”: adesso arriviamo agli impulsi volitivi, perché i piedi rappresentano gli impulsi volitivi, le azioni. Il rapporto fra lo sguardo, il mio osservare qualcosa, e il mio muovere i piedi consiste nel fatto che ciò che osservo mi dice qualcosa, che percepisco qualcosa che ha a che fare con me e io ho a che fare con esso. E ciò che ho a che fare con esso risulta per il fatto che muovo i piedi e divento attivo, mi avvicino con tutto il mio essere. Lo sguardo è il primo avvicinamento, ma poi i piedi fanno avvicinare ulteriormente tutto l’essere all’altro.

E le forze di volontà del Figlio dell’uomo vengono descritte così perché vagano sulla Terra, trasformano tutte le forze della Terra, tutte le forze di natura, in minerale aurifero (calkolib£nJ (chalkolibàno). Vedete quante caratterizzazioni! L’oro come precipitazione nella Terra della forza solare, dell’Essere solare. Sarebbe come se ogni passo dell’uomo sulla Terra fosse un colpo, la martellata di un fabbro; e perché il fabbro colpisce il ferro, il metallo? Per ammorbidirlo e infine per trasformarlo tutto in oro. Grazie ai passi del destino dell’uomo tutta la Terra viene trasformata nel corpo dell’amore, in metallo aurifero.

Per questo si dice “arroventato, affinato in una fornace”. Non c’è un modo più bello per descrivere le forze dell’amore, l’amore attivo, caritatevole. L’amore caritatevole si manifesta nel modo in cui l’uomo mette in azione gli arti. I piedi rappresentano gli arti, le azioni, gli impulsi volitivi che emergono dalla purificazione dell’uomo nel crogiolo dell’amore – k£minoj (kàminos, fornace), da cui la parola camino.

E adesso descrive la voce: torniamo solo apparentemente alla testa, perché la voce è l’espressione non solo dei pensieri ma anche dell’amore. È l’espressione di tutto l’essere. Nella voce si esprime la pienezza delle forze vitali, la pienezza delle acque. Le acque sono le forze vitali. L’amore quindi come elemento vitale dell’uomo.

Si potrebbe dire che nell’uomo il Cristo (o l’Io, o il Figlio dell’uomo) è luce per il pensare, amore per il cuore e vita per le azioni. E qui le acque rappresentano la vita, le forze vitali di cui l’uomo fa l’esperienza colmando il suo cuore d’amore e la sua mente di luce, di saggezza.

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Fig. 1, III

1,16 «Nella sua mano destra teneva sette stelle». Tiene nella destra ¢stšraj ˜pt£ (astèras eptà), sette stelle, sette astri, e dalla sua bocca ™k toà stÒmatoj aÙtoà (ek tu stòmatos autù) una spada a doppio taglio ·omfa…a d…stomoj (romfàia dìstomos, affilata Ñxe‹a (oxèia) ™kporeuomšnh (ekporeuomène), che usciva fuori (notate questa mobilità) e la sua faccia kaˆ ¹ Ôyij aÙtoà (kai e òpsis autù) come il Sole che splende in tutta la sua potenza æj Ð ¼lioj fa…nei ™n tÍ dun£mei aÙtoà (os o èlios fàinei en te dynàmei autù).

Come Cristo, il Figlio dell’uomo, è il braccio destro del Padre, così nel braccio destro del Cristo si trova la settuplicità degli stadi evolutivi dell’uomo. Come il Padre manda il Figlio, così il Figlio manda lo Spirito Santo. E lo Spirito Santo non si forma di colpo, ma attraverso sette stadi evolutivi dell’uomo. E questi sette stadi evolutivi sono l’azione globale del Cristo, poiché Egli li ha resi possibili. Queste comunità, le sette comunità, sono le condizioni culturali complessive per l’evoluzione dell’uomo. E dato che sono le sue azioni, si trovano nel suo braccio destro. La destra è infatti la parte attiva, il braccio destro è quello attivo, il sinistro è sempre preposto a ricevere.

Quindi il Cristo è attivo relativamente a queste sette condizioni culturali per l’evoluzione dell’uomo; è il Figlio dell’uomo che produce questa settuplicità con il suo braccio destro, con la sua mano destra. Vuol dire che le correnti culturali sono creazioni del Figlio, non qualcosa che il Figlio si limita a ricevere passivamente dal Padre. Quest’ultimo infatti ha posto le basi della creazione naturale, ma la creazione culturale settuplice è opera del Figlio, si trova nella sua mano destra. Le sette stelle sono, come verrà detto più tardi, i sette angeli delle comunità.

E dalla sua bocca – la bocca è l’organo del Logos, della lingua – esce una spada a doppio taglio. Conosciamo questa immagine. Una spada affilata a doppio taglio che esce dalla sua bocca. La spada a doppio taglio dell’evoluzione significa, o è, molte cose. Allora molte cose fanno parte di questa spada a doppio taglio. Il significato più ampio è che si tratti della spada più grande, più potente e più affilata: Cristo stesso. Perché sul Cristo gli spiriti si dividono. Cristo è la separazione degli spiriti, che si dividono fra quelli che prendono in mano la libertà e la responsabilità e quelli che si danno al male, nel senso che si lasciano sfuggire l’evoluzione.

In altre parole, finché il Padre è all’opera non c’è ancora la divisione degli spiriti, perché non c’è ancora libertà. L’ingresso del Figlio fa sì che ogni uomo venga messo a confronto con un bivio dell’evoluzione. Per mezzo del Cristo l’evoluzione si biforca e ognuno deve scegliere se andare a destra o a sinistra. Non si possono avere entrambe le cose, rimanere esseri naturali e avere la libertà oppure scegliere la libertà e avere tutti i vantaggi che darebbe l’altra strada. Chi imbrocca una via deve lasciare l’altra, chi prende la seconda abbandona la prima. E l’immagine della spada a doppio taglio rappresenta questa qualità fondamentale della libertà, in cui si devono operare delle scelte.

Se l’esperienza dell’Io è la spada a doppio taglio, allora possiamo esporre in maniera triplice che la spada a doppio taglio è la spada della verità, che deve separare sempre più nettamente l’errore dalla verità. Negli ultimi tempi questa spada ha perso il filo, è stata smussata dall’arma senza filo del relativismo, della political correctness ecc., e perciò tante persone si lasciano incantare dal discorso secondo cui non esiste una verità oggettiva e che sostenere il contrario è da intolleranti. Questo è uno smussamento senza pari di questa spada, che nell’uomo dev’essere ben affilata: il confine fra verità ed errore infatti non è confuso, ma nitido.

A volte ho anche cercato di fare degli esercizi su come distinguere, poiché il distinguere è un separare e la lingua è l’espressione del pensiero, e ha lo scopo di distinguere sempre più nettamente. Cosa significa pensare? Pensare significa saper distinguere sempre più nettamente, saper comprendere le cose in modo sempre più nitido.

L’esempio che voglio fare è sulla la differenza fra giudizio morale e giudizio conoscitivo, dove occorre fare una distinzione sempre più netta. Sarebbe un esempio di come questa affilata spada a doppio taglio debba separare l’uno dall’altro. Un giudizio conoscitivo non ha niente di morale, e un giudizio morale non ha niente di conoscitivo. Un giudizio conoscitivo è un parere sull’oggettività di ciò che è, mentre un giudizio morale è un voler esprimere un parere su ciò che dovrebbe essere. E la differenza è estremamente netta, solo che l’uomo deve ripristinarla.

Il secondo modo in cui l’uomo deve rendere sempre più netta la potenza, l’azione di questa spada, è la distinzione fra bello e brutto, e poi il terzo livello, lo stadio più possente a livello morale della spada a doppio taglio, è la facoltà non solo di distinguere, ma anche di separare il bene dal male.

La distinzione fra vero ed errato e la separazione fra bene e male. E questa separazione è reale. L’evoluzione è la reale separazione degli spiriti, i buoni finiscono bene e i cattivi male. Proprio l’Apocalisse è il testo che descrive fino alle estreme conseguenze questa separazione degli spiriti, anche là dove per alcuni diventa terribile, assolutamente spietata. E l’inflessibilità dell’Apocalisse è proprio la qualità della spada affilata.

1,16 «E la sua faccia era come il Sole quando risplende». Avevo già accennato a questa dimensione cosmica presente in ogni riga dell’Apocalisse e che il cristianesimo tradizionale ha perduto e deve recuperare. Il volto del Figlio dell’uomo viene descritto come un sole che risplende. C’è un Sole fisico nella misura in cui sappiamo che esistono fenomeni gassosi, e non è affatto facile sapere esattamente che cosa avviene nel Sole a livello fisico. Poi c’è un Sole animico, le forze complessive dell’amore, e poi c’è un Sole spirituale, le forze complessive del Logos, della saggezza e del pensiero. Il tutto assolutamente reale, non che il Cristo non abbia niente a che fare con il Sole come corpo celeste.

E per il fatto che Cristo, incarnandosi, ha trasferito la sua residenza sulla Terra, questa sta diventando un sole. Perché la Terra sta diventando un sole? Perché duemila anni fa, da un punto di vista spirituale-astronomico reale, e come evento naturale nel contempo, l’Essere solare, lo Spirito del Sole ha lasciato il Sole come sua fisicità e ha cominciato a trasformare la Terra nel proprio corpo. Vuol dire che nel corso del tempo il Sole attuale diverrà superfluo come corpo dell’Essere solare, e Sole e Terra torneranno ad essere una cosa sola, poiché la Terra sta diventando sempre più il corpo stellare del Cristo, dell’Essere solare, grazie all’evoluzione nell’amore dell’umanità e di tutte le creature.

Se il suo volto risplende spiritualmente come il Sole e il Figlio dell’uomo viene sulla Terra a incarnarsi, allora l’Essere solare (il Cristo, il Figlio) viene realmente sulla Terra. Non sono metafore. Il farsi uomo del Cristo è il farsi Terra dello Spirito del Sole. Duemila anni fa lo Spirito del Sole è diventato spirito della Terra e dell’umanità.

Di nuovo una dualità: il Sole fa…nei, (fàinei) risplende in tutto il cosmo, dona al cosmo intero i raggi del Logos, del pensiero, delle intuizioni, – intuizioni conoscitive e morali –, e in questo risplendere c’è anche la sua forza (dun£mei aÙtoà, dynàmei autù), la forza dell’amore pieno di saggezza.

Cosa fa l’autore dell’Apocalisse di fronte a questa possente immaginazione? Cade a terra, come morto.

1,17 «E al vederlo io caddi ai suoi piedi come morto».

Qui possiamo pensare a Lazzaro che ha attraversato la morte. Che cos’è l’iniziazione, in parole povere? L’iniziazione è l’anticipazione durante la vita di ciò che ogni uomo sperimenta quando muore. Allora l’apocalista dice: questa visione, questa fantasia è stata per me come un’esperienza di morte. Si può risorgere e fare queste esperienze nel regno spirituale solo morendo alla realtà apparente del mondo fisico. Il mondo fisico come materia pesante e peritura non c’è più e all’interno del mondo si osserva l’eterno, lo spirituale. E questa è l’esperienza della morte: morire significa che tutto ciò che è solo apparentemente reale, ma che è fugace, svanisce, poiché il corpo svanisce e con esso le percezioni, e si risorge nel mondo spirituale.

Da queste descrizioni vediamo come l’autore sia esperto dei processi iniziatici e come descriva l’Apocalisse come iniziazione.

1,17 «ed Egli posò la sua mano destra su di me dicendo:»

Allora, possiamo partire dal presupposto che fino a questo punto l’autore abbia descritto la sua immaginazione, ciò che ha visto: il Figlio dell’uomo, l’archetipo dell’uomo, per questo “simile”[4]. Diciamo che noi siamo abituati a percepire uomini, figli dell’uomo, figlie dell’uomo, esseri umani. Ma se vedessimo l’archetipo, l’archetipo perfetto, l’archetipo dell’uomo pensato da Dio, diremmo che è uguale o simile a quello che abbiamo sempre visto sulla Terra? Diremmo che è simile, nel senso che gli uomini devono fare ancora tutto il possibile per diventare sempre più simili a lui. E dal momento che all’inizio gli uomini hanno solo una somiglianza con questo archetipo, devono evolversi parecchio per diventare uguali a lui. Cioè, nella condizione del peccato originale l’uomo è solo simile, e deve aumentare questa somiglianza fino a diventare uguale. Allora questa parola “simile” contiene molto. Uguale o simile? Dapprima simile, con il compito di adeguarsi in maniera sempre più perfetta.

Finora, dunque, l’autore ha visto tutto questo: la veste, la cintura d’oro, la testa con i capelli bianchi, e poi i piedi simili a metallo ardente, le forze di volontà, e poi la voce, come di molte acque. Ma non ci viene detto che Egli dica qualcosa. E poi c’è l’immagine della spada a doppio taglio che gli esce dalla bocca, il viso come il Sole, con la forza del lampo e le forze di volontà (dun£mei, dynàmei, la potenza, è anche il dinamismo). Cade a terra come morto e adesso il Figlio dell’uomo comincia a parlare lšgwn (lègon) dicendo... Adesso diventa assolutamente centrale il grado ispirativo dell’esperienza della chiamata dell’uomo nella sua evoluzione.

1,17 «Non temere! Io sono».

M¾ foboà: ™gè e„mi (me fòbu, egò eimì). Caro uomo, la prima cosa che devi fare è superare la paura, perché ciò che vedi qui, ciò che ti chiama ad evolverti sempre più, è dentro di te fin dall’inizio, come capacità di diventare sempre più un Io. Non temere, questo Io-sono non ti è estraneo, sono le forze che ti sono state date fin dall’inizio. Sono al tempo stesso una grazia e una chiamata. La grazia come facoltà e la chiamata a trarre liberamente il meglio da questa facoltà. Questa facoltà, che risulta abbastanza simile in tutti gli uomini come capacità di libertà, devi realizzarla plasmando la tua libertà in modo diverso da ogni altro uomo.

Ma non devi aver paura, è tutto dentro di te. Hai a disposizione tutto ciò che è necessario per diventare sempre più un Io. Non temere, il senso dell’evoluzione è il diventare un Io! E tu hai dentro di te tutte le forze necessarie. Non temere, questo Io sono è

1,17 «il primo e l’ultimo»

Il diventare un Io è l’inizio, la parte centrale, la fine e la meta dell’evoluzione. Si tratta sempre e comunque di diventare un Io, del permearsi da parte dell’uomo in maniera individuale delle forze del pensiero e dell’amore. L’individualità è infatti duplice: individualità nel pensiero, che è il presupposto per l’agire autonomo, cioè per l’individualità nella volontà, nell’azione, nella fantasia morale tramite cui ogni uomo, a partire dalla sostanza spirituale del suo Io superiore, comprende quale debba essere il suo contributo unico e irripetibile nell’organismo dell’umanità.

Non temere! Dall’inizio, prîtoj (pròtos), alla fine, œscatoj (èschatos) dell’evoluzione si tratta di sviluppare le forze dell’Io. La traduzione tradizionale dice: «Non temere: io sono il Primo e l’Ultimo». Dipende tutto dalle traduzioni… Naturalmente (solo come osservazione incidentale) se non metto una virgola dopo ™gè e„mi™gè e„mi, Ð prîtoj kaˆ Ð œscatoj, ego eimi, o protos kai o èschatos – non posso capire quel che qui si dice dell’Io-sono. La virgola non è solo questione di scrittura ma anche di pensiero: se non penso al senso di una virgola dopo e„mi (eimì), tradurrò: io sono il Primo e l’Ultimo.

Ma posso leggere pensando che ci sia una virgola: Io-sono, il primo e l’ultimo. Allora traduco: L’Io-sono è il primo e l’ultimo. Qui, se volete, potete mettere anche i due punti al posto della virgola – Io sono: il primo e l’ultimo. Dipende dal modo in cui si legge il testo. Voglio solo dire che se in italiano traduciamo: io sono il primo e l’ultimo, il fatto che questo Io-sono non venga reso un essere depotenzia tutto il significato, gli sottrae parecchio. L’essere dell’Io è il primo e l’ultimo. Così è molto più forte. Il primo e l’ultimo

1,18 «e il vivente. Ho subito la morte, ma ecco ora sono vivo negli eoni degli eoni»

È meraviglioso che l’autore dell’Apocalisse abbia appena detto di essere caduto come morto ai suoi piedi. E Cristo gli dice, il Figlio dell’uomo gli dice: anch’io ero morto, ma il senso di questa morte era la risurrezione. E qui naturalmente si accenna in modo molto chiaro alla morte e alla risurrezione del Cristo. Ero morto, ed ecco, sono vivo, vivo nel mondo spirituale, di eone in eone.

La grande domanda di quei tempi, lo vedremo nella quarta comunità, era se l’uomo, che in quel periodo storico si sentiva così a casa nel mondo fisico e nel corpo, smettesse di vivere dopo la morte al punto che di lui non rimanesse quasi più nulla. Forse rimanevano ancora un po’ di forze vitali che sarebbero passate nella natura, o un po’ di forze psichiche che magari passavano agli animali, ma altrimenti che altro rimaneva dell’uomo?

La morte del Cristo è avvenuta per mostrare che il senso della morte del mondo fisico è la risurrezione nel mondo spirituale. Ma qual è il presupposto per cui l’uomo dopo la morte si trovi senza corpo, come essere assolutamente spirituale, in un mondo puramente spirituale? Il presupposto è che abbia usato la vita per diventare sempre più uno spirito. È una questione di libertà. Ed ogni uomo sperimenta dopo la morte una risurrezione dello spirito pari allo spirito che ha creato in libertà durante la vita.

1,18 «e ho le chiavi della morte e del regno dei morti»

Le chiavi per entrare e uscire di nuovo nella morte. Senza chiave si entra nella morte, ma non si ha la possibilità di riaprire il portone e uscirne di nuovo. Questa immagine della chiave è quindi molto importante, perché il potere della chiave è il potere della soglia. Ci sono porte che possono essere aperte solo dall’esterno, si entra e non si può più uscire, a meno che si abbia la chiave. Al contrario, esistono porte da cui si può solo uscire e non più entrare. Il potere delle chiavi è il potere della soglia in entrambe le direzioni, è il poter entrare nella morte e uscirne di nuovo grazie alla risurrezione. Dal mondo spirituale si può scendere nella morte di quello terreno e di nuovo ritornare al mondo spirituale. Il potere delle chiavi è allora il libero movimento, la possibilità di andare avanti e indietro fra il mondo dello spirito e quello della materia.

Qui abbiamo la chiave della morte e dell’Ade. È una bella immagine della mitologia greca il regno di Plutone, l’Ade. Tanto per renderci conto che l’Apocalisse non rifugge dai concetti greci, e neanche da quelli mitologici. Non c’era nessuna separazione fra cristiano e pagano.

Allora, vediamo in greco la parola Ade, ‘AŽd»j (àides) e vuol dire invisibile. Il regno dei morti è il regno dell’invisibile, dove prima di Cristo gli uomini avevano così poco spirito che vi conducevano un’esistenza umbratile, da larve. Questo è l’invisibile. L’Ade in ebraico si chiama Sheòm ed è il regno dei morti, nel senso che lì non c’è niente da vedere. E come mai non c’era niente da vedere nel regno dei morti? Perché prima di Cristo l’uomo non era ancora dotato di Io.

Pensiamo all’affermazione del Buddha – ma non a quella degli odierni buddisti o del Dalai Lama: oggi ogni buddista ha preso parte a tutta l’evoluzione dell’umanità – pensiamo all’affermazione fondamentale del Buddha di 600-550 anni prima di Cristo: l’Io è un’illusione, non c’è nessun Io. E a quell’epoca era vero, nel senso che le condizioni evolutive non erano ancora giunte al punto per cui chiunque potesse fare l’esperienza dell’Io. Il fatto che l’Io diventi visibile dopo la morte è stato reso possibile solo grazie al Cristo. Prima di Cristo, morire significava svanire nell’invisibilità, diventare invisibili, cioè dissolversi nel nulla. Queste immagini sono così eloquenti e così utili per capire l’evoluzione! Coloro i quali hanno coniato queste parole, infatti, le hanno rese molto vere, molto in sintonia con la realtà. C’è sempre qualcuno che dice che l’Ade, l’inferno, gli inferi, è un concetto pagano. E qui nell’Apocalisse lo troviamo senza problemi.

La voce del Figlio dell’uomo continua a parlare, siamo immersi in questa ispirazione.

1,19 «Scrivi quello che hai visto e quello che c’è e ciò che dovrà succedere dopo queste cose.»

Scrivi le cose che hai visto, gr£yon oân § e dej (gràpson un a èides). Le cose che hai visto, le cose che sono e quelle che sorgeranno met¦ taàta (metà tàuta), dopo queste. Mentre si dice “scrivi”, s’intende dire che ciò che si vede nello spirituale apparirà in seguito nel corso dell’evoluzione. Cioè, quello che vedi adesso è il contenuto della profezia, poiché sono le forze che poi agiranno sulla Terra.

Scrivi dunque ciò che hai visto nella visione e ciò che dopo queste cose, quindi più tardi nel corso del tempo, diverrà visibile sulla Terra. Queste sono le cose che accadranno dopo queste. “Accadranno” è genšsqai (ghenèsthai), è la genesi, il formarsi a livello visibile nel mondo terreno.

Cos’è che ha visto e che dovrà accadere?

1,20 «Il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia destra e i sette candelabri d’oro: le sette stelle sono gli angeli delle sette comunità, e i sette candelabri sono le sette comunità.»

Ora viene detto con estrema chiarezza che cosa si intende con essi.

Domande dei partecipanti

Intervento: Ho trovato semplicemente interessante questo punto: io sono la chiave della morte, o io ho la chiave della morte e dell’inferno. Anche Davide nel Vecchio Testamento dice di avere la chiave. Suppongo per aprire e chiudere il mondo spirituale. Credo che in Davide sia la facoltà della penitenza: di Davide si parla sempre in rapporto con la sua penitenza, con la sua capacità di penitenza. E adesso mi interesserebbe sapere se si può stabilire una relazione mentre si osserva questo processo evolutivo.

Archiati: Suppongo che potrei dire di tutto, a condizione che lei mi dica il significato di “penitenza”. Immagini che io non abbia idea di cosa significhi far penitenza. È qualcosa che mi ha sempre affascinato, soprattutto in ambito protestante, dove viene dato tanto risalto alla penitenza.

Intervento: Potrei forse tradurlo con prendo coscienza delle mie omissioni.

Archiati: Allora adesso lei pone l’accento su un processo di coscienza, su una presa di coscienza. Quello che nei Vangeli, per esempio nel grande e forte messaggio di Giovanni il Battista viene tradotto con “far penitenza” in greco è metanoe‹te (metanoèite). E metanoèite significa “cambiate il vostro modo di pensare”; noèin è il modo di pensare. Cosa vuol dire “cambiate il vostro modo di pensare”? Dato che ora, attraverso l’incarnazione del Cristo, l’evoluzione subisce una svolta – finora l’evoluzione era ciò che scendeva verso il basso, venendo dalla grazia, da Dio, mentre ora diventa decisivo ciò che va dal basso, dagli uomini, verso l’alto –, basta col farsi colmare dalla grazia, ora deve subentrare la responsabilità individuale. Ciò non significa che di colpo la grazia non abbia più niente da fare; dove gli uomini cominciano a prendere in mano la propria libertà, la grazia ha il doppio da fare. Prima deve continuare a fare ciò che già faceva e in secondo luogo deve rimettere a posto tutte le cose fatte male e in modo sbagliato dagli uomini agli albori della libertà.

L’idea che la grazia non abbia più niente da fare quando cominciamo a prendere sul serio la libertà dell’uomo è davvero un’idea molto misera. Ho sempre fatto l’esempio dei genitori che quando i loro figli entrano nell’adolescenza si accorgono che vogliono avere la loro libertà, le loro idee, i loro scopi, obiettivi, impulsi volitivi ecc. Vuol dire che da un momento all’altro i genitori non hanno più niente da fare? Al contrario, il loro carico è raddoppiato. Quando i figli erano piccoli tutto andava bene, ma quando diventano adolescenti tutto è in disordine, se le cose vanno bene.

“Fare penitenza” è stato un po’ un moraleggiare, nel senso che un’esortazione all’evoluzione della coscienza (metanoèite!) è stata trasformata nell’esortazione a fare qualcosa (fate penitenza!)[5]. Al bambino va detto ciò che deve fare, perché non è ancora in grado di saperlo, non all’adulto. Con l’adulto bisogna coltivare la conoscenza, e allora saprà da solo cosa deve fare.

In greco c’è scritto: “cambiate il vostro modo di pensare!”. La chiave della morte è la chiave con cui l’uomo diventa così forte nel proprio pensiero da essere in grado non solo di pensare le cose percepibili con i sensi, ma anche di cominciare ad accedere alle cose spirituali. La chiave serve appunto ad aprire. Si tratta sempre di capire, di pensare. Il pensiero deve andare avanti.

Un adulto non vuole che gli si dica cosa deve fare, vuole saperlo da solo, ma è grato per ogni aiuto che gli consenta di comprendere in modo sempre più completo gli eventi del mondo. Lo scopo del pensiero è infatti quello di stimolarci e influenzarci positivamente a vicenda. L’archetipo di questo reciproco stimolo e arricchimento sono i dialoghi di Platone, in cui il fatto che diversi uomini pensanti parlino fra loro, li rende sempre migliori nel pensiero grazie a questo reciproco aiuto.

E che cos’è l’Apocalisse?

Che cos’è questa manifestazione del Cristo? questa rivelazione del Cristo? Un enorme ampliamento e approfondimento del pensiero, cos’altro se no? Solo per mezzo di un enorme ampliamento e approfondimento del pensiero – grazie a cui questo autore dell’Apocalisse è diventato cosciente di tutto ciò che prima non sapeva a questo livello di profondità e di estensione –, sorgono naturalmente impulsi del tutto diversi per il pensiero e l’azione. Ma gli impulsi per il pensiero e l’azione nascono dalla coscienza. L’Apocalisse come esperienza di coscienza, come esperienza di pensiero. Con che cosa, infatti, l’autore ha capito ciò che vedeva, ciò che il Figlio dell’uomo gli ha detto? Qual è il punto di riferimento? Il pensiero. Che cosa gli ha comunicato il Figlio dell’uomo? Nel mondo spirituale non ha parlato né in greco né in ebraico, gli ha comunicato dei pensieri, e i pensieri vanno capiti.

Intervento: Se non mi sbaglio, lei ha detto che è solo grazie al Cristo che l’individualità dell’uomo è diventata visibile. È giusto?

Archiati: Sono io che ho usato l’espressione “diventare visibile” o è una sua formulazione?

Intervento: Sì, l’ho intesa pressappoco così.

Archiati: Bene, perché adesso ci dobbiamo chiedere: cosa vuol dire, in modo più concreto o un po’ più preciso, “diventare visibile”? Vuol dire prendere coscienza.

Intervento: Il mio problema consiste nel fatto che, conoscendo la cultura, la civiltà latina e greca, si constata facilmente che c’erano delle grandi individualità che hanno creato a partire da un Io. E la domanda a questo punto sarebbe: è l’essere toccato dal Cristo, è l’ingresso del Cristo sulla Terra a darmi i criteri per formare l’Io? Su questo punto sono un po’ confuso.

Archiati: Sì, la domanda che mi fa mi è abbastanza chiara, perché so quanto è complicata. È come quando col pensiero si finisce in un vicolo cieco – lo dico come metodologia –, ed è una cosa che capita sempre, perché se la indovinassimo sempre non sarebbe una gran conquista per la libertà. E di regola finisco col pensiero in un vicolo cieco perché ho semplificato eccessivamente ciò che è molto più complesso. Per questo devo darvi una risposta che rappresenti in modo notevolmente più complesso tutto il fenomeno del diventare un Io. È come se diceste: qualcuno ha detto che è solo a 20 anni che si è un Io. Vuol dire che a 19 e mezzo non si è affatto un Io? È complicato per il fatto che il diventare un Io è un processo enorme.

Per prima cosa dobbiamo distinguere fra l’Io essenzialmente spirituale e la coscienza dell’Io, la presa di coscienza di essere un Io in quanto spirito. Quando è stato creato l’Io come essere spirituale? L’Io di ogni uomo è un’intuizione morale, un’intuizione morale a sé, unica e diversa, della fantasia del Creatore, del Cristo. Tutti gli Io degli uomini, in quanto spiriti, esistono già da sempre nell’amore del Logos. L’evoluzione della Terra non ha lo scopo di creare questi Io, ma esiste affinché questi Io, che all’inizio sono presenti solo divinamente, prendano coscienza della loro individualità e la facciano diventare il compito dell’evoluzione a partire dalla coscienza umana. Cioè, bisogna creare un peccato originale della coscienza in cui quest’ultima si separi dall’essenza del proprio Io per avere il compito della libertà, il compito di entrare sempre più in sintonia e diventare sempre più un tutt’uno con il proprio Io superiore.

La domanda non è “dove e quando gli Io degli uomini sono nati come esseri spirituali”, ma: dov’è cominciata la presa di coscienza del fatto che ogni uomo è un Io spirituale con cui deve unirsi in modo sempre più cosciente e libero e con cui deve diventare sempre più una cosa sola?

La premessa essenziale per notare, per accorgermi che sono un Io in divenire, che sono in procinto di diventare una cosa sola con me stesso, è il pensiero. Il pensare, nella misura in cui viene esercitato dall’individuo.

Se Buddha fosse vissuto cinquecento anni prima di Cristo in Grecia anziché in India, non avrebbe potuto formulare le sue affermazioni nello stesso modo, perché in Grecia,(duecento anni dopo, però) l’uomo aveva già iniziato a sperimentare di essere colui che pensa.

Un buon esempio, senza voler tirare per le lunghe questa questione, sarebbe studiare il dialogo di Platone Teeteto in cui l’uomo più anziano sostiene la tesi secondo cui i pensieri sono percezioni: sarebbe l’antica sapienza, dove la divinità pensa nell’uomo, dove i contenuti della sapienza vengono semplicemente rivelati. L’altro uomo, il più giovane – ed entrambi hanno ragione, perché il primo si vive veramente come uno che percepisce i pensieri – dice: no, i pensieri non sono percezioni, sono prese di posizione dell’uomo nei confronti delle percezioni. E distingue vigorosamente fra percezione, pensiero e formazione di concetti. Questo è il punto in cui si nota che gli uomini cominciano ad avere la capacità di diventare coscienti del loro Io.

La coscienza dell’Io presuppone infatti l’io penso, l’esperienza che sono io a pensare, non la divinità in me. Quella era l’antica rivelazione. Le è stato d’aiuto?

Intervento: Continuerò ad occuparmene.

Intervento: L’arco con i sette punti dopo continua? Ieri lei ha disegnato alla lavagna un arco con sette punti, dove dopo il “4” le corrispondenze continuano fino a “7”. Esiste la possibilità che questo ritmo si smorzi già al punto quattro? E se sì, che cosa succederebbe?

Archiati: Vedete che il pensiero umano non sopporta di poter capire nemmeno il più piccolo dettaglio senza porlo in relazione col tutto. E lei adesso mi pone la domanda del tutto. Mi chiede – sto interpretando le sue parole, mi corregga se sbaglio – dell’intero. Adesso prendo l’intero più grande che c’è, anche per gli iniziati, così che la domanda del prima e del dopo viene ad essere totalmente priva di senso. Adesso deve stare attento se questo la convince: che la questione del prima e del dopo diventa priva di senso.

Il primo inizio è la Terra uno (Fig. 2,III), la prima incarnazione della Terra. Lì vengono poste le basi dell’elemento minerale (adesso ne dico solo una caratteristica). Sulla Terra due si aggiunge l’elemento vegetale, vitale. Sulla Terra tre l’elemento animale. Adesso siamo alla Terra quattro, si aggiunge l’elemento umano. Con la Terra cinque, Terra sei e Terra sette si umanizzerà tutto ciò che è animale (cinque), tutto ciò che è vegetale (sei) e tutto ciò che è minerale (sette).

La mia domanda è: che cosa vuole di più?

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Fig. 2, III

Intervento: Sì, mi interessava il fatto che dopo l’impulso prosegue, cioè si verifica un cambiamento, un’inversione. E se questo cambiamento, o questa inversione, possa smorzarsi in sé e per sé già alla Terra quattro.

Archiati: La risposta a questa domanda è che il pensiero umano passa ad uno stadio successivo quando conquista la forza di distinguere quando ha ancora una percezione su cui poggiare, così che non specula, non fantastica e non astrae del tutto, e quando invece manca ogni percezione, così che specula soltanto. Cioè, un Rudolf Steiner direbbe che anche per l’iniziato più sommo qui (a T1) e qui (a T7) c’è il limite del percepibile. Su ciò che precede e su ciò che viene dopo non si dice che non c’è niente, semplicemente non si dice niente perché sarebbe una speculazione puramente astratta, cioè non porterebbe a niente.

Ooh, detto in altre parole, una volta hanno chiesto a Steiner: che cosa faceva il buon Dio prima di creare la Terra uno? E lui ha risposto: tagliava bacchette per le persone che fanno domande stupide.

Intervento: Credo che nell’intervento si chiedesse che cosa succede se il “4” non diventa “5”.

Archiati: Ah, se il “4” non diventa “5”! Era questa la domanda? Bene, la riflessione è completamente diversa. Fino alla metà tutte le premesse – naturalmente sto semplificando, faccio delle affermazioni fondamentali sul tutto, sono grandi semplificazioni, non astrazioni, che poi occorre concretizzare – fino alla metà dell’evoluzione vengono create tutte le condizioni della libertà. E la parte centrale, la pienezza dei tempi, consiste nel fatto che ora non manca nessuna condizione per la presa in carico della libertà. Adesso c’è tutto quello che è necessario all’esercizio della libertà. Cioè, ora l’evoluzione deve cominciare a biforcarsi: questo è il buon uso della libertà e quello è l’uso cattivo. È questo che lei intendeva dire, e l’Apocalisse, siamo solo all’inizio, è stata scritta in modo diverso da ogni altro testo, proprio per esplorare da ogni lato il mistero di questa domanda.

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Fig. 3, III

Questo ci servirà da orientamento, perché non possiamo occuparci di tutto il testo e questi orientamenti diventeranno tanto più importanti. In primo luogo il male non è il commettere qualcosa di male, perché il commettere il male non compete all’uomo. L’uomo diventa capace di compiere il male solo per il fatto di essere diventato un gradino più divino alla fine della sua evoluzione. Vuol dire che la facoltà di comprendere e compiere il male intuitivamente è in un primo tempo una qualità sovrumana. Quello che l’uomo può fare è omettere di compiere il bene. E dove l’uomo omette il bene intervengono, viene posseduto da potenze che bramano di servirsi della fisicità dell’uomo per poter agire sulla Terra, poiché la fisicità dell’uomo è la migliore che ci sia sulla Terra.

La fenomenologia del male va distinta fra ciò che è umano, cioè l’omissione del bene, e le potenze avverse il cui compito è creare gli ostacoli per ridurre gli uomini in loro possesso. Ne troviamo l’archetipo nel Giuda del Vangelo, un uomo che ha semplicemente vissuto fino in fondo l’omissione. A causa della sua predilezione per il denaro, il potere materiale ecc. ha omesso di dedicarsi all’amore per lo spirituale o per l’evoluzione animica, ed è stato posseduto da Satana. Durante l’Ultima Cena si dice che, dopo l’ultimo boccone datogli da Cristo, Satana è letteralmente entrato in lui. Chi è che agisce adesso? Non Giuda, ma Satana. E l’Apocalisse è una fenomenologia dell’omissione del bene da parte degli uomini e una fenomenologia della possessione, che si verifica nella misura in cui gli esseri umani vengono posseduti da potenze avverse sovrumane.

Per quanto riguarda l’uomo, desidero aggiungere alla sua domanda, perché fa parte dell’essenza dell’Apocalisse, che nessuno viene escluso dall’evoluzione. Una cosa simile sarebbe infatti contro il principio fondamentale dell’amore divino. Quelli che alla fine non faranno parte dell’umanità lo dovranno al fatto di aver smesso di essere uomini. Con l’omissione hanno annullato la loro umanità. Questo è l’inabissarsi nel nulla o, per dirla con l’Apocalisse (Fig. 3,III), qui abbiamo lo stadio successivo che va verso il basso: l’animale. L’uomo, nella sua libertà, può scegliere fra l’angelo e la bestia. Quindi gli uomini che intraprendono positivamente la loro evoluzione salgono al grado di angeli, poiché questo è il grado successivo, e gli uomini che omettono di coltivare l’elemento libero e creativo ricadono al grado inferiore, dove c’è solo la natura e niente di libero, poiché la libertà è stata omessa. Questo è l’abisso della bestia nell’Apocalisse. Questo fa parte dei tratti essenziali dell’Apocalisse.

L’Apocalisse è quindi il libro che descrive con assoluta coerenza i misteri di tutta l’evoluzione, soprattutto della seconda metà. Di cosa si è parlato con tanta potenza? Della spada a doppio taglio. La spada dell’evoluzione a doppio taglio è la libertà. In libertà l’uomo può compiere ciò che è libero di fare oppure può ometterlo. I peccati di omissione sono l’abisso dell’uomo.

Ho sempre sottolineato una cosa: nei Vangeli, dove si parla un po’ apocalitticamente del giudizio universale, che è l’ultimo bilancio, che cosa dice il Cristo a quelli che sono scesi in basso? Dice loro che hanno fatto qualcosa di male, di cattivo? Niente affatto, nessun peccato di commissione, solo peccati di omissione. “Avevo fame e non mi avete dato niente da mangiare, avevo sete e non mi avete dato niente da bere…”.

L’uomo avrebbe dovuto viversi come affamato di individualità, cioè di forza creativa, di esperienza di libertà, e a questa fame di individualità non avete dato niente da mangiare. L’uomo aveva sete di individualità: “Io ero assetato”; l’essere dell’Io ha sete in ogni uomo, perché se l’uomo non dà niente da bere a questo Io, non può diventare un Io. Proprio come una pianta non può crescere se non le do acqua. E voi non vi siete mai accorti o nessuno vi ha fatto notare che il compito dell’uomo era dar da mangiare all’Io, dargli da bere, vestire l’Io nudo ecc. E non l’avete fatto! Non l’avete fatto! Non l’avete fatto. E vi stupirete e chiederete: ma cosa? quando è successo? Ogni volta che incontrando un altro uomo, anche l’ultimo degli uomini, non avete dato da mangiare e da bere all’individualità, avete fatto questo al vostro Io.

Questa sarà la grande sorpresa del cosiddetto giudizio universale. Vi può essere di aiuto?

Intervento: Io ho una domanda sulla trasformazione da Terra 3 a Terra 5. Lei diceva che a Terra cinque si tratta di un’umanizzazione della Terra 3 e che ciò avviene attraverso l’azione dell’Io. Lo si potrebbe vedere così: Terra 3 è il mondo animale e questo elemento animale, che è presente anche nell’uomo, non mi tiene più in sua balia, ma l’Io, la forza dentro di me, lo trasforma in condizione per la mia evoluzione ulteriore. Allora l’Io può creare una compensazione per l’elemento animale, diciamo istintivo, a cui il proprio essere è legato.

Archiati: Vuol dire che tutto ciò che è istintivo diventa istinto spirituale dell’Io. Tutto ciò che è vivo diventa vita spirituale dell’Io, e tutte le forze della forma diventano fisicità della risurrezione dell’Io.

Intervento: Quindi questo essere proprio, dotato di propria volontà in T5 richiederebbe anche che l’Io si metta al servizio del tutto. E con la trasformazione di T2 in T6 l’elemento vegetale che è in grado di proliferare otterrebbe una padronanza, finirebbe per…

Archiati: …per risorgere nell’uomo come Io. Cosa significa infatti risurrezione della carne? C’è un senso triplice della carne, intendendo per “carne” la materia, tutto ciò che è materiale e deve risorgere, cioè deve essere spiritualizzato. La carne si spiritualizza nello spirito dell’uomo.

Allora, in Terra cinque tutto diventa amore, in Terra sei tutto diventa vita, ma vita spirituale, e in Terra sette tutti i cristalli diventano luce (Fig. 3,III). Amore nell’uomo, vita nell’uomo e luce nell’uomo. Ciò significa che il mondo animale si trasforma nelle forze complessive dell’amore, il mondo vegetale nelle forze complessive della vita e il mondo della forma, dei cristalli, il mondo minerale, nelle forze complessive della luce. I pensieri del Cristo sono il mondo minerale; la vita del Cristo è il mondo vegetale, e l’amore del Cristo è il mondo animale. Solo che queste sono affermazioni molto grosse, che arrivano davvero al limite dell’astrazione se non le si colma sempre più di pensieri.

Ho sempre proposto di leggere La scienza occulta nelle sue linee generali di Rudolf Steiner per poter riempire con un po’ di contenuto queste grandi affermazioni. Ma confrontarsi con questo testo è uno studio, una sfida, perché il testo va studiato a fondo diverse volte per poter cominciare ad orientarsi. Allora queste affermazioni che vi ho presentato in generale iniziano ad avere capo e coda, ad avere un contenuto. Dette così in generale all’inizio non sono altro che parole.

Per questo ho fatto fatica a capire come mai lei adesso si occupa di “1” e “2” e “3”, a capire cosa intendeva dire esattamente, perché da T1 a T7 tutto è dentro. E mentre ascoltavo la sua domanda mi chiedevo che cosa volesse dire concretamente, perché lì è contenuto tutto.

Intervento: Chiedo come viene trasformato il corpo astrale. Da una parte mediante lo sforzo conoscitivo, quindi cambiando il modo di pensare, ma viene sempre messo in primo piano quanto sia importante anche l’evoluzione sul piano morale. Quindi la profondità morale non può essere per così dire separata. La capacità di responsabilità aumenta quando la mia conoscenza si approfondisce o si amplia.

Archiati: Naturalmente è così come dice lei. Lei ha fatto la supposizione giusta. Guardi come appare oggi la nostra civiltà: abbiamo da una parte la ragione, scienza e tecnica e vita quotidiana, e dall’altra l’elemento morale. Non che la morale venga introdotta nell’ingegneria genetica, nella ricerca, perché confonderebbe le cose! Allora la morale è confinata nella sagrestia della vita, dove la religione viene praticata per tre quarti d’ora alla settimana. È proprio questa schizofrenia che dev’essere superata. Ed è questo che lei intende dire con la sua affermazione. Il superamento di questa frattura fra intelletto e morale avviene se capiamo il peso morale della coscienza.

E adesso pongo una domanda assolutamente concreta: che cosa vuol dire amare un’altra persona? L’amore infatti è morale, l’amore è l’essenza del morale. Se voglio amare l’altro così come mi pare e non mi occupo per niente di comprendere l’oggettività del suo essere, chi ho amato e chi amo? Me stesso. Amo infatti ciò che mi piace fare.

Non ho niente contro l’amore di sé, è così perfetto che viene dato come modello per l’amore per il prossimo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Ma sono assolutamente contrario allo scambiare l’amore di sé con l’amore per il prossimo. L’amore per il prossimo presuppone – e qui l’elemento intellettuale, cioè la coscienza, il pensiero, si incontra con l’elemento morale – che posso amare l’altro solo se mi sforzo di conoscere la sua essenza oggettiva. Non c’è amore senza conoscenza. Allora per poter amare comincio ad assumermi la responsabilità del mio pensare, poiché devo dirmi: non potrai mai amare il mondo o gli esseri umani se non cerchi di conoscerli.

Vi siete mai sentiti amati da qualcuno che non ha affatto tentato di conoscervi? Appunto. Lì c’è l’incontro dell’elemento cosciente, conoscitivo, pensante o intellettuale con quello morale: sono una cosa sola. Un amore senza conoscenza oggettiva è un amore di tipo naturale, che anche gli animali hanno. È tanto bello quanto infantile. Ma le cose si evolvono in modo che questo amore infantile e naturale, indipendente dalla conoscenza, si approfondisce notevolmente per il fatto che io amo per comprensione dell’essenza dell’altro.

E da cosa ci accorgiamo che l’umanità si trova sul punto di dover unire l’elemento intellettuale con quello morale? Dal fatto che l’amore naturale comincia a non funzionare più. Al giorno d’oggi ci sono madri, ed è la prima volta nel corso di tutta l’evoluzione, che non possono contare sulle forze dell’amore naturale. E per me questo è il segno che questo compito è imminente, che il grande compito del momento è la coscienza, la cura della coscienza.

Come fate a sapere che una cosa è moralmente buona e un’altra moralmente cattiva? Com’è che lo sapete?

Intervento: Ho una sensibilità per questo.

Archiati: Ho detto che ciò accade sempre meno.

Intervento: Ma questa sensibilità viene continuamente ampliata.

Archiati: Come?

Intervento: Con la conoscenza.

Archiati: Precisamente, questa è l’affermazione fondamentale. Significa che ai nostri giorni ogni uomo ha la massima responsabilità morale nei confronti del proprio pensiero. Se infatti non è responsabile in questo ambito, moralmente responsabile, l’evoluzione va davvero verso il basso. Per esprimerlo in una frase: qual è la differenza fra uomo e animale? La coscienza. E l’amore dell’uomo può essere diverso da quello dell’animale soltanto perché non è solo istintivo ma anche cosciente e libero. Solo ciò che è cosciente è libero. La libertà può essere conseguita solo col pensiero. Posso decidere liberamente solo a proposito delle cose che capisco, perché ho dei motivi per decidere in un modo piuttosto che nell’altro. Oggi le più grandi e più fatali omissioni morali avvengono rispetto al pensiero.

Se infatti gli uomini omettono di pensare – uso un’immagine, non prendetela alla lettera –, se 280 milioni di americani trascurano di pensare individualmente, subito hanno la meglio i pensieri di Bush e loro vengono posseduti dai pensieri di un altro. Ed ecco che c’è un consenso superiore al 90%. Sono teste autonome? No, sono bambini.

È solo un esempio, non è che l’America sia peggiore di altri paesi. Ma il grande compito morale è la cura del pensiero. Cosa significa manipolare, cosa significa sfruttare?

Intervento: Avere in mano l’altro.

Archiati: E perché l’altro lo permette?

Intervento: Perché non pensa.

Archiati: Proprio così. Vuol dire che se io ometto di pensare autonomamente e di essere indipendente nel pensiero, sviluppo una predisposizione ad ogni genere di manipolazione. E questo è un male. Chi non si lascia manipolare non può essere manipolato. Non è possibile manipolarlo.

E l’archetipo di colui che non affida mai agli altri le proprie decisioni è comparso duemila anni fa. Persino prima che morisse gli altri ritenevano di imporgli la morte. Ma lui ha detto: no, la mia morte sono io a scegliermela.

2,1 «Scrivi all’angelo della chiesa di Efeso: ecco quello che dice colui che tiene nella destra le sette stelle e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro».

Eccovi un piccolo esempio di come vengono fatte le traduzioni. La traduzione dice: “quello che dice”, in greco invece abbiamo t£de, “queste cose”, un plurale. Un plurale viene trasformato in singolare, semplicemente così. E si possono usare le cose in maniera così inconsapevole, non per leggerezza, ma quando non si ha coscienza del fatto che l’apocalista descrive cose assolutamente concrete di cui ha fatto l’esperienza nel mondo spirituale. E se nel suo testo greco c’è un plurale è fuori discussione trasformarlo in un singolare. Indipendentemente dal fatto di capire tutto all’inizio. Ma se si conosce il greco si sa che si tratta di un plurale e non si dovrebbe trarre in inganno il lettore sapendo che in greco è un plurale e dandogli invece un singolare. In fondo si tratta di un piccolo raggiro. E naturalmente non presumo che chi ha tradotto l’Apocalisse l’abbia fatto di proposito. Significa che manca la coscienza di queste piccole cose. È solo un inciso, tanto per darvi un’idea di cosa può essere detto.

T£de, queste cose le dice colui che kratîn toÝj ˜pt¦ ¢stšraj (kratòn tus eptà astèras) comanda con forza, con forza spirituale, le sette stelle» – sono i sette spiriti, le sette spiritualità delle comunità – nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri.

È davvero qualcosa di meraviglioso. A proposito delle sette stelle: si dice che il Figlio dell’uomo – il Cristo – “tiene”, ma “tiene” non è abbastanza: kratîn (kratòn), è la potenza della sua mano destra. Come si potrebbe tradurre questo kratòn invece che semplicemente con “tiene”? “Governare con forza”; “il forte amministratore di queste stelle”.

Allora, nella misura in cui queste sette stelle sono sette dimensioni spirituali dell’uomo, si tratta della sua creazione, della forza della sua mano destra. I candelabri invece sono portatori di uomini, sono le comunità; lì non è uno che se ne sta con una settuplicità in mano, ma si muove, cammina fra i candelabri. Vuol dire che i candelabri, le comunità sono passi successivi dell’evoluzione. Ciò che è una sintesi settuplice a livello spirituale è un cammino a livello evolutivo, cioè un andare, un passo dopo l’altro, peripatîn (peripatòn).

Kràton: a livello spirituale è una sintesi, un organismo, un organismo settuplice, ma nell’evoluzione si svolge attraverso le comunità, attraverso i periodi culturali, e deve venire prima quello indiano, poi quello persiano, poi quello egizio-caldeo, quello greco-romano…passo dopo passo. E nell’Apocalisse lo troviamo descritto così meravigliosamente.

Kràton: tiene con forza nella destra i sette spiriti come organismo spirituale, come progetto dell’evoluzione dell’uomo, ma rispetto alle sette comunità, alla condensazione sulla Terra, cioè come conquista dell’evoluzione si deve passare dall’una all’altra. Come viene tradotto tutto questo? Con l’immagine del Cristo che cammina, che va tra i sette candelabri d’oro.

E che cosa dice?

2,2 «Conosco le tue opere e la tua fatica e la tua perseveranza»

La tua costanza. Conosco le tue opere e il modo in cui cominci a confrontarti con le controforze. Questo è il kÒpon (kòpon), la fatica, lo sforzo. Di ogni comunità vengono descritte le cose positive e anche ciò che ogni volta dev’essere conquistato. Quindi da un lato si conferma il bene e si incoraggia ad andare avanti così, dall’altro si fanno notare le omissioni. Si fanno notare le omissioni o il pericolo di omissione.

2,2 «e che non sei disposto a sopportare i cattivi e che metti alla prova quelli che dicono di essere apostoli e non lo sono, e li trovi bugiardi»

Qui sorge un primo criterio di coscienza per verificare – e lo si può fare solo con la coscienza –, che cosa vuol dire essere apostoli, essere “inviati”. L’uomo è il grande apostolo; ¢pÒstoloj (apòstolos) significa “inviato”, colui che viene mandato. L’uomo è il grande inviato dal mondo spirituale a quello terreno. Adesso si deve trovare un criterio per stabilire in che modo l’uomo si comporta da buon inviato del mondo spirituale sulla Terra e quando invece è un falso inviato. Qual è il criterio? L’uomo è un buon inviato, un buon messaggero del mondo spirituale se viene sulla Terra senza dimenticare il mondo spirituale, ma portandovi il messaggio dello spirito. È invece un falso messaggero chi si dimentica del messaggio, si dimentica persino del mondo che gli ha affidato il messaggio, che gli ha dato questo compito, e giunto sulla Terra la usa come pretesto per dimenticare lo spirito, per negare lo spirito. Questo è un falso inviato del mondo spirituale.

Il periodo culturale indiano era quello di Efeso. Questo è stato rivelato all’apocalista nel mondo spirituale: egli non avrebbe assolutamente potuto sapere che in ognuna di quelle sette città c’era una diversa impronta culturale, una indiana, una persiana ecc. Qual era il compito, qual era la missione – un inviato è un missionario, viene mandato in missione – dell’uomo indiano? L’uomo della civiltà indiana ha cominciato a sperimentare per la prima volta il mondo terreno. Viene mandato per la prima volta nel mondo terreno da un mondo spirituale per essere un apostolo, un messaggero del mondo spirituale.

Chi è lo pseudoapostolo e chi è il vero apostolo? Ci sono diverse possibilità: l’uomo può provare avversione per il luogo in cui è stato mandato, desidera far ritorno al mondo spirituale e disprezza il mondo terreno come pura maya (vuol dire che non ha ancora capito il senso di questo essere apostolo per cui è stato inviato sulla Terra); oppure può cominciare ad amare la Terra così tanto, a dipendere talmente da essa, da lasciarsi sedurre da ciò che è terreno fino a dimenticarsi dello spirito. Oppure, con buone intenzioni, può portare sulla Terra lo spirito divino e renderlo attivo nell’elemento terreno.

Questa caratteristica dell’invio degli apostoli si adatta naturalmente al meglio al primo periodo culturale, poiché è allora che arriva l’uomo, che inizia il suo apostolato sulla Terra.

Devo veramente dire che quando si leggono per la prima volta queste sette lettere alle sette comunità si ha ovviamente l’impressione di molti tratti arbitrari ecc. E devo confessare in tutta onestà che più profondamente e intensamente mi occupo della scienza dello spirito di Rudolf Steiner, pur essendo ancora agli inizi, e più ho l’impressione, in primo luogo, di trovare corretti anche i dettagli ed infine, a mano a mano che capisco sempre meglio la differenza di questa settuplicità, capisci anche come tutto quello che ha scritto l’apocalista quadri perfettamente. Che non c’è nulla che sia secondario o retorico, ma tutto è essenziale.

Ma cominciamo a muoverci in questa direzione. 2,2 «Conosco le tue opere e le tue fatiche e la tua costanza, la tua perseveranza, e so che non sopporti i cattivi; tu metti alla prova quelli che dicono di essere apostoli e non lo sono, nel senso che li trovi ingannevoli o mendaci, bugiardi».

2,3 «E tu sei perseverante, in nome mio hai sopportato il peso e non ti sei stancato, non sei venuto meno.»

In nome dell’Io non ti sei stancato. Adesso, al versetto 4, arrivano le cose contro Efeso. Conoscete questa famosa espressione dell’Apocalisse relativa al “primo amore” – perché “il primo amore” è un’espressione dell’Apocalisse.

2,4 «Ma ho contro di te che hai abbandonato il tuo primo amore»

‘All¦ œcw kat¦ soà (allà ècho katà su), ma ho contro di te. Questo è l’inizio dei peccati di omissione: hai abbandonato il primo amore.

Cosa pensiamo che sia questo “primo amore”, t¾n ¢g£phn t¾n prèthn (ten agàpen ten pròten)? Efeso rappresenta la prima civiltà dopo il diluvio universale, la civiltà indiana. Ho accennato al fatto che la civiltà indiana faceva fatica a vedere una realtà nell’elemento terreno e ha vissuto di ricordi, di nostalgia, di lutto, di malinconia, di desiderio di tornare al mondo spirituale.

Che cosa sarebbe il primo amore? Il primo amore dev’essere anche l’ultimo, poiché il primo amore è il compito di tutte le forze dell’amore. Il primo amore è la chiamata a compiere tutta l’evoluzione nell’amore.

Se diciamo che il primo amore, dato all’uomo come compito evolutivo, è lo spirito, ci troviamo in difficoltà. Perché allora dovremmo dire che la civiltà indiana non è stata infedele a questo amore, poiché è rimasta fedele allo spirito considerando la Terra come maya. Se il primo amore non fosse lo spirito, ma la Terra, allora Efeso non gli sarebbe mai stata infedele, poiché non ha mai avuto questo amore.

Il primo, ultimo e unico amore degno dell’uomo e dato all’uomo come compito divino non è né l’amore per lo spirito né quello per la Terra, ma l’amore reciproco fra spirito e materia. Questo è il primo amore, poiché solo questo è umano. E si diventa infedeli a questo amore quando si vuole avere solo lo spirito disprezzando la Terra, il mondo della materia, poiché non si può diventare un Io solo nello spirito. In altre parole, il primo amore è l’amore per l’Io, per il diventare un Io, e l’uomo può diventare un Io solo nell’incontro, nell’abbraccio quotidiano, nell’amore reciproco quotidiano fra spirito e materia.

E se l’uomo si dedica solo alla materia e dimentica lo spirito, tradisce il suo amore originario. Il primo amore è l’amore per l’uomo, e questo è anche l’amore centrale e l’ultimo. Ma l’amore per l’uomo è l’amore per il molteplice incontro e l’interazione fra spirito e materia.

In concreto, dato che l’apocalista dev’essere inteso in maniera del tutto concreta nella misura in cui ci è possibile: Efeso è esistita sette o ottomila anni prima di Cristo, ai tempi della civiltà indiana? No, Efeso è contemporanea all’apocalista. Ora, se svariati millenni dopo la civiltà indiana Efeso cerca di costituire un ricordo di tale civiltà e le viene detto: attenzione, hai abbandonato il tuo primo amore, cosa si intende dire? Che anche tu, Efeso, nonostante tu sostenga di praticare la cultura indiana, sei diventata così materialista che l’amore per lo spirito è andato perduto. A meno che naturalmente non ci sia l’amore per entrambi.

O viceversa, per il fatto che adesso siamo al quarto stadio dell’evoluzione, Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira (è la quarta delle sette comunità) ecc., le sette comunità sono tutte vicine geograficamente, e per il fatto di essere contemporanee all’autore dell’Apocalisse prendono tutte parte al peccato originale. Il peccato originale dev’essere in qualche modo presente in tutte. A Efeso il peccato originale è di tipo indiano, a Smirne di tipo persiano ecc. Ma in tutte dev’esserci in qualche modo il peccato originale. E il peccato originale è sempre un modo di tradire il primo amore, l’amore per l’uomo, per l’Io. Che non è un amore per esseri angelici, non un amore per l’elemento animale, puramente naturale, bensì un amore per lo spirito che crea nel mondo. Questo è il primo amore.

Solo l’uomo può essere uno spirito creatore nel mondo, agli angeli non è concesso, non è il loro compito essere creativamente attivi nel mondo materiale terreno. Ciò significa che il primo amore dell’uomo è lo spirito incarnato. È questo il suo compito, la sua evoluzione totale, ciò di cui è alla ricerca, anche inconsapevole. Per questo è il suo primo amore.

Ogni uomo desidera diventare in modo sempre più forte, sempre più grande, sempre più creativo uno spirito incarnato, poiché il suo compito, la sua missione, il suo apostolato consiste nell’umanizzare, in qualità di spirito incarnato, tutta la creazione fisica. Cosa desiderano infatti gli animali? Parlare e pensare come l’uomo. Cosa desiderano le piante? Potersi finalmente muovere liberamente come gli animali e non essere saldamente ancorate al terreno. E cosa vogliono le pietre? Diventare vive, poter parlare, sentire. E solo l’amore per lo spirito incarnato dell’uomo è l’amore per l’umanizzazione dell’intera creazione. Questo è il primo e ultimo amore, l’amore globale. E la fedeltà a questo amore è la somma della moralità dell’uomo. 2,4 «Ho contro di te che hai abbandonato il primo amore».

2,5 «Pensa dunque a dove sei caduto, a che cosa hai abbandonato, e cambia e torna ad operare come prima.»

mnhmÒneue oân pÒqen pšptwkaj (mnemòneue un pòthen pèptokas): mnèmoneue è “renditi conto”, non ricordarsi ma rendersi conto. “Ricordo” vuol dire rendersi conto. Cioè, prendi coscienza di dove sei caduto, di cosa hai dimenticato, di cosa hai cominciato a trascurare. kaˆ metanÒhson (kài metanoèson): vedete, viene tradotto con “fa’ penitenza”, e in greco c’è: voltati, cambia, modifica il tuo modo di pensare, metanÒhson (metanoèson) È qui, assolutamente preciso, come ho scritto prima alla lavagna. “E torna ad operare come prima”. Modifica il tuo modo di pensare e ritorna, o meglio torna in te; “pentiti” vuol dire: torna in te. Fa’ qualcosa nel tuo pensiero e smetti di omettere le prime opere.

Allora il primo amore è l’amore per le prime opere. Il primo amore è l’amore per l’uomo, per la pienezza della natura umana, e le prime opere sono le opere centrali e le ultime, il collaborare affinché si realizzi l’amore. La prima opera è l’uomo e l’ultima è l’uomo. Cioè, hai abbandonato il concetto della pienezza umana. Cambia la tua astrazione e riprendi nuovamente il concetto della pienezza dell’uomo, così da poterla realizzare nelle tue opere. La pienezza della natura umana come compito del pensiero e dell’azione dell’uomo.

4a Conferenza
martedì, 12 novembre 2002, sera

Cari ascoltatori, non siamo andati avanti molto e alcuni di voi si chiederanno naturalmente come continua, come vogliamo procedere, con questo testo possente. Era infatti prevedibile fin dallo inizio che non sarà possibile affrontare il testo nei singoli dettagli. D’altra parte volevo assolutamente evitare di parlare solo dell’Apocalisse, ma volevo che osservassimo in concreto – almeno sulla base di quanto viene detto all’inizio – tutto ciò che questo testo contiene. E adesso alcuni hanno fatto la proposta, o hanno espresso il desiderio, e io ho detto che lo decidiamo insieme, di fare stavolta circa la metà. Potremmo esaminare la metà anche dettagliatamente, ed eventualmente potremmo riassumere brevemente la seconda metà e riprenderla poi l’anno prossimo.

Pensate se vi piace questa idea. In nessun caso possiamo evitare di vedere concretamente in base al testo quali frasi, immagini e parole ci sono. Sull’Apocalisse in generale infatti è stato detto molto, proprio perché non c’era la possibilità di attenersi concretamente alle immagini e fornire un’interpretazione oggettiva. C’è ancora tempo e decideremo insieme.

Nel frattempo so come procedere. Per stasera avevo pensato di occuparci in particolare di questa comunità di Efeso. Le altre, poi, magari meno dettagliatamente; ma in ogni caso vedremo la quinta, Sardi – che è la nostra –, e forse anche la quarta, Tiatira, che rappresenta la spiritualità in cui si è incarnato il Cristo, quindi la svolta, per vedere che immagini ci sono per questo quarto periodo culturale. Domani cominciamo con i sigilli del quarto capitolo. E poi vediamo come proseguire.

Abbiamo visto quando nell’Apocalisse si parla del primo amore, dell’amore più perfetto e completo, dove non ce ne può essere un altro. Questo è il protoamore, prèth ¢g£ph (pròte agàpe) in greco, il prototipo dell’amore. E l’amore, la forza dell’amore è tutto o niente. Cioè, o in ogni uomo si ama l’uomo intero, la pienezza della natura umana, o non si ama l’uomo. Per questo ho proposto che questo amore di principio, questo amore di base, il prototipo, l’archetipo dell’amore, prèth ¢g£ph (pròte agàpe), sia l’amore per tutto ciò che l’uomo può diventare.

Un amore che esclude qualcosa non sarebbe in definitiva tale. Ci si può immaginare una madre che nel suo bambino ami solo un terzo delle sue potenzialità di crescita? Impossibile, o tutto o niente. E che l’umanizzazione venga descritta come prototipo dell’amore, come archetipo dell’amore, come primo amore, è una cosa davvero molto bella.

E poi viene dalla fonte dell’amore, da questa fonte di ispirazione dell’amore, da questa fantasia dell’amore che ha creato la natura umana, poiché solo la fantasia dell’amore divino può aver creato l’uomo, la natura umana. Solo qualcuno che ha amato molto l’uomo può aver amato una tale pienezza, poiché la natura umana è pura positività. La capacità complessiva di comprendere attraverso il pensiero tutto ciò che la divinità ha creato e di favorire nell’amore lo sviluppo di tutto, servire tutte le creature e far evolvere tutto ulteriormente.

L’amore divino per l’uomo consiste nel fatto che alla natura umana non è stato posto alcun limite. E questo è l’amore supremo: rendere possibile all’uomo nella propria evoluzione tutto ciò che la divinità ha divinamente creato. Che diventi patrimonio permanente del pensiero, dell’amore e delle azioni dell’uomo. Per questo si parla delle prime opere. Il primo amore e le prime opere.

La natura umana vuol essere amata e viene realizzata nelle opere grazie alla forza dell’amore. Le opere, le prime opere, sono la realizzazione di ciò che nella prima creazione, nella fantasia della divinità, è stato considerato come pienezza della natura umana.

Renditi conto, ricordati da dove sei caduto, che hai dimenticato il primo amore, che l’hai perso di vista; metanÒhson (metanoèson), cambia il tuo modo di pensare. E il cambiamento nel pensiero consiste sempre nel fatto che l’uomo ha più considerazione dei concetti da lui prodotti che delle percezioni. Il pensiero umano si trova prima del cambiamento, prima dell’amore per l’uomo, quando l’uomo ha più considerazione delle percezioni che delle proprie riflessioni.

Il cambiamento, la trasformazione interiore del pensiero, consiste nel fatto che l’uomo comincia ad avere una maggior considerazione di ciò che produce nel pensiero, nell’amore per il pensiero umano, poiché esso è più umano, è davvero l’aggiunta dell’uomo; per questo i concetti, ciò che produce nel pensiero, diventano per lui più importanti, anche moralmente, della percezione.

Il senso della percezione è infatti il concetto. E se la percezione rimane tale perché l’uomo ritiene di avere in essa la realtà, allora smette di amare l’uomo e cade dall’amore per l’uomo. Cosa significa amore per l’uomo? L’amore per l’uomo è l’amore per il pensiero; che altro? Se nell’uomo non amiamo il pensiero, non amiamo un bel niente. Pensate un po’: se all’uomo tolgo il pensiero, cosa rimane? Un essere di natura. Cioè, la caratteristica peculiare dell’uomo non c’è più. Questo intende dire il testo, non “fa’ penitenza”, ma “cambia il modo di pensare”, metanoèin, la capacità di riflettere sulle cose in maniera opposta.

Prima, senza amore per l’uomo, senza amore per la creazione spirituale dell’uomo, ho pensato che la realtà fosse ciò che vedo là fuori; adesso lo capovolgo e penso in modo del tutto diverso, al contrario. Metanoèin vuol dire pensare al contrario. Tramite l’amore per l’uomo, tramite il primo amore, mi ricordo che l’effettiva responsabilità morale è nei confronti del pensiero. Ciò che l’uomo produce nel suo pensiero, stimolato dalla percezione, ciò che produce spiritualmente, ha un peso morale molto maggiore del mondo della percezione, che è la creazione della divinità. L’uomo non è moralmente responsabile della creazione, che è stata creata da Dio. L’uomo è moralmente responsabile di ciò che lui stesso deve creare. E dove si verifica la prima creazione dell’uomo? Nel pensiero; ed egli non può amare ciò che non ha pensato. Risulta evidente che nessun uomo può amare qualcosa che non ha pensato, che non ha realizzato consapevolmente.

E pertanto bisognerebbe davvero imparare a distinguere il cosiddetto amore spontaneo, naturale, dall’amore consapevole, quello che si consegue in base alla conoscenza. La lingua dovrebbe evolversi ed esprimere queste differenze con parole diverse. Noi infatti chiamiamo amore sia quello naturale che quello conseguito tramite la conoscenza, lo sforzo intellettuale, in libertà. È a questo che ci si riferisce con il primo amore e le prime opere.

La prima opera dell’uomo è il pensare, come premessa per l’amore. L’uomo deve riflettere sulla natura umana, deve prendere coscienza di cosa significhi essere uomo. Nella misura in cui prende coscienza nel pensiero di cosa significhi essere uomo non può far altro che amare. La natura umana è infatti ciò che più è degno di essere amato nel nostro mondo visibile. E un altro non l’abbiamo.

2,5 «Se non lo farai, verrò sopra di te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto.»

Se non compirai questo capovolgimento del pensiero, se non diventerai cosciente del tuo compito evolutivo. Naturalmente questa accentuazione su metanoèin potrebbe essere chiamata “un capovolgimento nel pensiero”; sono tutti aspetti in cui l’uomo dovrebbe ricordarsi che il cosiddetto peccato originale morale è in fondo una moralizzazione. Non c’è in effetti un peccato originale morale, bensì un peccato originale di coscienza, un peccato intellettuale, e questo peccato originale intellettuale, questa coscienza caduta è una necessità evolutiva.

In altre parole, come ai primordi la coscienza dell’uomo era collegata allo spirituale, alla saggezza divina mediante l’antica chiaroveggenza ecc., così questa coscienza è poi caduta, si è collegata alla materia, alla fisicità, ha cominciato a prendere coscienza di sé e a vivere coscientemente ciò che sale gorgogliando dal basso. Ha cominciato ad avere nella coscienza solo ciò che le viene fornito dalle percezioni sensoriali: un pezzo di mondo della materia che influenza la coscienza. Quindi ora abbiamo uno stato di caduta della coscienza, della conoscenza, un peccato originale intellettuale nel senso che tutto ciò di cui prendiamo coscienza proviene dal mondo materiale terreno inferiore.

È moralmente un male? Per capire questo ripetuto metanoèin dell’Apocalisse e dei Vangeli bisognerebbe avere il coraggio di comprendere che la caduta della coscienza dall’esperienza dello spirituale a quella di ciò che c’è nella materia non è né buona né cattiva. È necessaria per l’evoluzione, per il conseguimento dell’individualità. Solo sperimentando la materia possiamo separarci gli uni dagli altri. E questa separazione è necessaria affinché ognuno sia autonomo.

Allora la caduta della coscienza nella materia è la necessità evolutiva per produrre una separazione di ogni uomo dall’altro, come premessa per la personalità autonoma. Quando questa caduta comincia ad essere moralmente antiumana? Quando comincia a diventare una responsabilità morale dell’uomo?

Poiché morale è solo ciò per o contro cui l’uomo può fare qualcosa, questa caduta della coscienza come necessità evolutiva era qualcosa per o contro cui l’uomo non poteva far nulla: è stato così per decisione della divinità. Adesso il compito dell’uomo è prendere coscienza della propria situazione, venirne a capo e risvegliarsi una buona volta, rendendosi conto che in questa coscienza caduta sperimenta in effetti solo il materiale e pensa – in maniera illusoria – che la materia sia una realtà.

Adesso nella sua libertà può effettuare un capovolgimento del suo pensare, della sua coscienza, una redenzione del peccato originale intellettuale, conquistandosi liberamente la realtà dello spirito, a livello responsabile, libero e individuale, oppure può omettere di riportare la coscienza all’essenzialità dello spirito. Se trascurerà di farlo, allora avremo il male. Ed è male solo l’omissione di un bene possibile all’uomo nella sua libertà.

Ma come vi ho detto, fino alla metà dell’evoluzione, periodo in cui deve aver luogo questo peccato originale della coscienza, si tratta di necessità evolutiva. Se infatti una religione moralizzante, che magari non ha fatto ancora abbastanza chiarezza, fa passare per il male assoluto questa caduta nella materia, si tratta di una manovra di occultamento da parte delle controforze, allo scopo di far sì che l’uomo non scopra mai il vero male. In fin dei conti l’interpretazione tradizionale del peccato originale è una bestemmia. È stata infatti una decisione divina che l’uomo abbandonasse il paradiso, altrimenti non sarebbe mai diventato un Io. E, per separarsi da tutti gli altri uomini, ogni Io ha dovuto unirsi alla materia, ma unirsi alla materia significa oscurare la coscienza.

Per questo dico che è molto importante prendere coscienza del fatto che il peccato originale intellettuale non è né buono né cattivo; non c’è un peccato originale morale, c’è solo un’omissione – moralmente grave – del riscatto della coscienza. È un male morale che l’uomo trascuri questo compito, poiché il senso della coscienza caduta è che l’uomo la riscatti nuovamente.

Come mai è caduta la coscienza? Per dare all’individuo, al singolo uomo, il compito della libertà e la responsabilità morale della libertà. Altrimenti come può l’uomo ottenere la libertà, se non ha il compito – che può assolvere solo come propria competenza morale – di redimere la coscienza caduta?

Prendiamo per esempio la coscienza del Cristo nel cristianesimo: una gran parte del peccato originale della coscienza è che anche le Chiese – entrambe le Chiese, la cattolica e la protestante –, hanno perso completamente di vista il Cristo come essere divino, spirituale, reale, persino cosmico, e l’unica cosa che è rimasta (che oggi perfino il miglior teologo è in grado di capire), è Gesù, poiché Gesù è una realtà percepibile attraverso i sensi.

Vuol dire che dobbiamo partire dal presupposto che il cristianesimo stesso ha dovuto attraversare questo karma del peccato originale. Ma il cristianesimo come questione comune, come questione umana, è diventato materialistico, ha dovuto diventare materialistico come faccenda di gruppo – tra l’altro questo significa che non è ancora una questione di tutti gli uomini, poiché il vero cristianesimo ha a che fare allo stesso modo con tutti.

Prima un gruppo di uomini ha preso in mano il cristianesimo e non ha potuto ottenere di colpo questo capovolgimento della coscienza, metanoèite. Il cristianesimo “petrino” ha seguito la via del materialismo, poiché l’umanità doveva scendere ancora più profondamente nel peccato originale, nella caduta della coscienza. Perciò dopo duemila anni di cristianesimo abbiamo in più anche il peccato originale del cristianesimo. Intendo dire che nel cristianesimo si parla di ciò che è percepibile sensorialmente, materialmente: si parla di Gesù; mentre del Risorto cosmico, spirituale – realmente spirituale –, sovrasensibile, non c’è quasi più traccia.

Questo è uno dei motivi per cui pongo l’accento su questo imponente risollevarsi dal peccato della coscienza caduta. Considero la scienza dello spirito di Rudolf Steiner come un annullamento anche del peccato originale nel cristianesimo, perché adesso il singolo – non i gruppi, ma il singolo – riceve nelle mani gli strumenti per riconquistare l’essenza, l’assoluta realtà e forza dello spirito.

Ma tutto, in un primo tempo, come karma evolutivo della coscienza. Perché se all’uomo viene detto cosa deve fare per essere buono, ma senza cambiare la coscienza, senza evoluzione intellettuale, senza evoluzione conoscitiva, vi chiedo: siamo andati avanti rispetto ai tempi della legge mosaica? Neanche di un passo, se questo fosse l’importante. Se l’importante non fosse tanto l’evoluzione della coscienza, ma che l’uomo debba fare il bene – che gli venga detto che cosa deve fare –, allora saremmo ancora al punto del Vecchio Testamento. La novità del cristianesimo è il peso morale del Logos: la responsabilità morale nei confronti del pensiero, della coscienza.

Se l’uomo non prende coscienza delle cose dell’evoluzione mediante la propria conoscenza – il pensare –, se gli si deve eternamente dire che cosa deve fare, rimarrà per sempre un bambino. E dopo la morte arriva nel mondo spirituale e crea imbarazzo al buon Dio, che gli dice: bambino mio, dove ti devo mettere? In paradiso non puoi andare, perché non hai mai preso una decisione personale. Hai sempre fatto quello che ti diceva la Chiesa o lo stato. Ma non ti posso mandare neppure all’inferno, perché non hai mai fatto niente di male per tua iniziativa. È una fortuna se il buon Dio può dirgli: ritornatene sulla Terra e impara a farti delle idee sulle cose.

È davvero così, non sto esagerando. Ci tenevo a farvi capire bene questo metanoèite.

Vi devo confessare che mi viene sempre una gran rabbia – non so se italiana o tedesca – quando vedo tradotto: “fate penitenza”. E allora mi vengono in mente persone vestite di sacco e col capo cosparso di cenere…

Metanoèite vuol dire: caro uomo, devi far chiarezza nel tuo pensiero, altrimenti resterai eternamente un bambino a cui va detto quel che deve fare.

2,6 «Ma tu hai questo, che odi le opere dei Nicolaiti, che anch’io odio»

Che anch’io condanno e respingo. Chi sono i Nicolaiti? Nell’Apocalisse si fanno nomi: si parla di Satana, di Gezabele, di Balaam e Balac ecc. L’Apocalisse è concepita in modo da essere molto concreta, non fa astrazioni. I Nicolaiti erano davvero una setta o un raggruppamento di uomini la cui esistenza è storicamente dimostrabile. Questo nome significa: il popolo è vittorioso. “Nico”, da nicào, è vincere, làos è il popolo. In breve, tutte queste settuplicità di comunità sono chiese che, a partire più o meno dal paganesimo o persino dall’indianità, dalla persianità o dai Greci o dall’ebraismo, lottano per far sfociare il loro paganesimo, il loro ebraismo ecc., in questa svolta dell’evoluzione, in questa chiamata a diventare sempre più simili al Logos mediante il Cristo. Allora sono sette comunità reali, alle quali l’apocalista può rivolgersi, poiché tutte e sette si adoperano, si sforzano di diventare, diciamo, sempre più cristiane – per questo c’è del bene, ma anche qualcosa da riparare.

I Nicolaiti erano uomini che hanno dato tanto valore all’elemento naturale; basti pensare al Vangelo di Giovanni, a com’era spontaneo per gli Ebrei di quei tempi dire: tu vieni e parli di tuo padre, ma noi abbiamo Abramo come padre! Questo è il padre, l’antenato che ci ha dato la nostra composizione sanguigna, la nostra costituzione fisica. Ognuno di noi è un ebreo per il fatto che risale ad Abramo attraverso il sangue. E abbiamo una legge, siamo seguaci di Mosè. Chi ha seguito il seminario sul Vangelo di Giovanni se ne ricorderà.

Nei Nicolaiti hanno agito delle forze anticristiche, nel senso che essi hanno reso ciò che la natura dà all’uomo – le forze della natura –, più importanti di ciò che l’uomo conquista in libertà, nell’individualità, nella responsabilità individuale. Questa tentazione è presente in ogni uomo: la tentazione di considerare con sospetto, come presunzione, ciò che l’uomo è chiamato a conquistare in libertà, per lasciarsi impressionare dalle opere della natura.

Una volta Steiner parla dell’irretimento nella materia; lo fa nel volume 104a dell’Opera Omnia, Aus der Bilderschrift der Apokalypse des Johannes, a pag. 82 (non tradotto in italiano). Uomini che esprimono la vita solo nella materia sensibile. Cosa vuol dire solo nella materia? Sono uomini che non hanno ancora capito che la svolta dell’evoluzione consiste nel fatto che adesso tutto ciò che è naturale ha un senso solo se diventa fondamento, condizione e anche luogo del contrasto, per permettere l’elemento libero, le cose fatte nell’amore. E le cose fatte nell’amore, in libertà, hanno valore per l’uomo, perché finché l’uomo fa qualcosa solo per dovere, per sottomissione non è ancora in grado di fare qualcosa per amore. E l’uomo può fare qualcosa per amore solo nella misura in cui si rende conto del bene che fa. Allora fare qualcosa per amore significa capire perché è buono. Posso infatti amare solo ciò che è buono e posso solo essere convinto della sua bontà se capisco perché è buono.

Ritorniamo alla centralità della coscienza e delle forze conoscitive.

2,7 «Chi ha orecchie ascolti ciò che lo spirito dice alle comunità:».

Vedete, si pone l’accento sull’individuale. È il concetto di vescovo di quei tempi. Oggi le cose sono completamente diverse, anche per via di questa necessaria materializzazione del cristianesimo, ma allora si riteneva idealmente che uno potesse diventare vescovo solo scomparendo come individuo, con le sue esigenze o con le sue priorità, così che quando parla nella comunità si fa strumento dell’arcangelo della comunità. Quando parla il vescovo, i fedeli sanno che sta parlando l’arcangelo della comunità, ed è assolutamente quello che lo spirito della comunità (l’angelo della comunità o lo spirito della comunità, della chiesa) vuol dire alla chiesa, alla comunità, agli uomini, ai singoli individui.

Qui ci si rivolge al singolo: chi – non più come gruppo – è così progredito nella propria evoluzione da produrre un organo di comprensione per capire queste cose, ascolti…Cosa vuol dire, in concreto, “chi ha orecchie per intendere intenda”? Le orecchie fisiche ce le abbiamo tutti, non è di queste che si parla. Cosa vuol dire avere orecchie per ascoltare e capire qualcosa di spirituale? Vuol dire metter mano individualmente ad un’evoluzione della coscienza, così da cominciare a sentire cose, a capire a livello spirituale cose che prima non avevo mai sentito né capito. È all’evoluzione della coscienza del singolo che sono rivolte queste parole.

«Chi ha orecchie per intendere intenda ciò che lo spirito ha da dire alle comunità…»:

2,7 «a chi vincerà, a lui darò da mangiare dall’albero della vita che è nel paradiso di Dio.»

A chi vincerà, quindi a chi supera le controforze – e le controforze devono esserci se dev’esserci anche la possibilità di omissione o di dissolversi nelle controforze, altrimenti non saremmo liberi. Chi vince le controforze significa: chi si afferma come Io individuale nella lotta con le controforze, a lui darò da mangiare dall’albero della vita che è rimasto in paradiso. In paradiso c’erano due alberi.

In parole povere, il paradiso è il mondo spirituale, e nel mondo spirituale c’erano due alberi: un albero della vita – la vita nello spirituale –, e un albero della conoscenza. E all’uomo è stato detto: non puoi averli entrambi, finché non mangerai dall’albero della conoscenza vivrai nel mondo spirituale e non saprai cos’è la morte. Nel momento in cui comincerai a mangiare dall’albero della conoscenza morirai, cioè perderai la vita. Vi ricorderete che un significato fondamentale dell’albero della conoscenza, che si trova in mezzo al paradiso, è la colonna vertebrale con sopra il cervello: questo è l’albero della conoscenza. Nella misura in cui l’uomo ha abbandonato l’albero della vita, è uscito dal paradiso e si è unito alla fisicità: il trovarsi nella fisicità è il nutrirsi dell’albero della conoscenza.

Vuol dire che fra l’albero della vita e quello della conoscenza l’uomo ha scelto a ragione l’albero della conoscenza, poiché esso è il presupposto per l’elemento intellettuale, per l’autonomia della coscienza dell’uomo: si è unito al corpo, con la colonna vertebrale e il cervello, poiché questo è il presupposto per la conoscenza. È trovandosi nel corpo che l’uomo può percepire e pensare. E identificandosi così con questo albero della conoscenza, con questo corpo fisico, essendogli così dentro da nutrirsene ogni giorno – poiché ogni giorno riceve percezioni e concetti cogliendo i frutti di questo albero –, si è talmente identificato con quest’albero che, quando esso muore, l’uomo ha paura di morire anche lui.

Cioè, nel momento in cui comincerete a cogliere i frutti dall’albero della conoscenza, la mela, morirete. Significa che vivrete l’elemento materiale, il corpo, come così intimamente appartenente a voi, che nel momento in cui il corpo non ci sarà più crederete che anche l’uomo sia scomparso. Ed è ciò che i Greci hanno vissuto particolarmente: che l’uomo senza corpo sia una larva, un’ombra d’uomo, non più un uomo pienamente valido.

Qui si fa sperare che nella misura in cui l’uomo usa l’albero della conoscenza per rendere sempre più vivi, sempre più sostanziali, il proprio pensiero e la propria conoscenza sempre più creativi, comprenda anche l’elemento vitale del mondo sovrasensibile, spirituale, e non solo la morte della materia. Allora l’uomo torna con la conoscenza nel mondo sovrasensibile di ciò che è vivo. E adesso con il suo pensiero, con la sua conoscenza, comincia a nutrirsi dell’albero della vita, della vita eterna del mondo spirituale.

Si potrebbe dire che l’albero della conoscenza dà all’uomo le percezioni, mentre l’albero della vita è il pensiero, che dà all’uomo l’elemento vitale del sovrasensibile, quindi i contenuti sovrasensibili viventi dello spirito in cui l’uomo vive.

Magari adesso diamo un’occhiata a Smirne e a Pergamo: estrapolerò solo qualche elemento. Come vedete, i particolari sono molti.

2,8 «E all’angelo della comunità di Smirne scrivi: questo dice il Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato in vita»

Smirne è la seconda comunità. Pensiamo alla civiltà persiana – a Zarathustra –, dove comincia per la prima volta il conflitto con la materia. Mentre la civiltà indiana ha evitato di confrontarsi col mondo della materia, Zarathustra è stato il primo grande iniziato che ha educato l’uomo a confrontarsi con il mondo della materia, col mondo terreno. È vero che in Angramànyu, in questo Arimane, sono contenute le controforze, ma il confronto con esse è inevitabile per diventare sempre più creativi, sempre più indipendenti come spiriti umani.

E nello stesso tempo non pensiamo solo alla seconda civiltà postatlantidea, la civiltà persiana, ma anche alla seconda forza fondamentale dell’uomo, alla seconda realtà dopo il corpo fisico (che era più la prospettiva della comunità di Efeso): pensiamo adesso al corpo vitale, alle forze vitali dell’uomo. Questo ci fornisce la prospettiva per capire anche i dettagli.

“Il Primo e l’Ultimo” è colui che accompagna tutta l’evoluzione, il senso e il contenuto globale dell’evoluzione; “che era morto ed è tornato in vita”. Questo discorso del morire e ritornare in vita emerge qui (con la ripetizione della civiltà persiana), appunto perché Zarathustra è stato il primo ad aver portato gli uomini a misurarsi con l’elemento della morte. La profezia dell’evoluzione, infatti, va nella direzione in cui solo confrontandosi con la morte l’uomo potrà viversi come spirito.

2,9 «Conosco la tua tribolazione e la tua povertà»

E la tribolazione del secondo stadio, dove l’uomo viene per la prima volta messo a confronto con le controforze della materia. Questa lotta fra luce e tenebre, bene e male, spirito e materia, questo dualismo, è la caratteristica fondamentale della civiltà persiana.

Conosco la tua povertà, poiché l’uomo cominciava a perdere la reale esperienza dello spirito a causa della lotta. Per questo Zarathustra considerava il mondo della materia come un campo in cui l’uomo deve lavorare, come un campo di attività. Gli Indiani definivano maya, illusione, il mondo della materia. Zarathustra, la seconda civiltà, ha definito il mondo della materia un campo di attività.

Vedremo come la terza civiltà abbia definito il mondo della materia come una scrittura che dev’essere decifrata, una scrittura divina. Allora le costellazioni degli astri e i movimenti dei pianeti sono come una scrittura, come una mano invisibile che scrive qualcosa, lettere e movimenti che devono essere decifrati. E tutto ciò che sulla Terra è misura, lunghezza, altezza, profondità, larghezza ecc. va inteso come scrittura per capire la lingua degli dei.

Al quarto stadio, nella civiltà greca, abbiamo la Terra che non è più maya, illusione, né campo di attività, né scrittura degli esseri spirituali divini, ma è il luogo dove vengono celebrate le nozze fra l’uomo e il mondo della materia, un vero e proprio matrimonio. L’uomo si sente perfettamente a casa nel mondo della materia e comincia a dimenticare il mondo dello spirito, la sua patria d’origine.

2,9 «ma tu sei ricco e le bestemmie di coloro i quali dicono di essere Ebrei e non lo sono, ma sono invece la sinagoga di Satana».

Per la tua origine, come potenziale essere divino, sei ricco. Qui, e anche in seguito, si parla di uomini che si reputano Ebrei e non lo sono. Volete essere Ebrei e non lo siete. Se collochiamo questa affermazione ai tempi della disputa fra cristianesimo in nuce ed ebraismo, qual è il concetto di vero e falso ebreo per l’apocalista?

Il vero ebreo sarebbe quello che prende sul serio il nome della divinità ebraica, e la divinità, il dio degli Ebrei, è Jahvè. E adesso andiamo a vedere la svolta dei tempi fra Ebrei che vogliono restare tali nel vecchio modo, sostenendo che il Messia non è venuto – a tutt’oggi gli ebrei credono che il Messia non sia venuto – e altri che dicono: no, il Messia è già arrivato. Come si fa a scoprire qual è il vero ebraismo? Che cos’è il vero ebraismo? Il vero ebraismo può esistere nella preparazione o comincia solo quando si inizia a vivere nel Messia e non solo nella sua attesa?

Questa contrapposizione è universale. Basta mettere fra virgolette la parola “ebraismo”. Allora, ripetiamo: il vero “ebraismo” è là dove il Messia viene ancora atteso perché ancora non c’è, o lo si trova solo laddove si vive con il Messia, Ognuno deve rispondere a questa domanda.

Adesso vi do la risposta dell’Apocalisse, poiché il suo autore dice: ci sono persone che ritengono di essere ebrei, ma non lo sono: sono falsi ebrei. Il dio degli Ebrei si chiama Jahvè, e Jahvè vuol dire, questo tetragramma,[6] vuol dire: “Io-sono”. Se vogliamo, “Io-sono” è il nome esoterico-ebraico-cristiano del Cristo nel Vangelo di Giovanni. Quand’è che l’uomo vive secondo Jahvè? Quando è sottomesso ad una legge ed è ancora privo di individualità, di autonomia come spirito nel pensare e nel volere? O l’uomo diventa un vero uomo di Jahvè proprio quando, grazie alla chiamata all’individualità, comincia ad acquisire l’elemento di Jahvè, ad interiorizzarlo, a farlo suo, al punto da comportarsi come uomo “Io-sono”, cioè come uomo permeato da Jahvè, come pensatore autonomo? Solo in quest’ultimo caso può dire: sono colui che pensa come uomo che agisce in maniera autonoma. Solo così può dire: io sono colui che agisce.

Cioè, detto con precisione: chi agisce secondo una legge, chi ubbidisce a una legge, è ancora nella fase preparatoria per diventare un ebreo. Ma solo chi ha considerato la sottomissione alla legge come una fase preparatoria e ha portato a termine questa preparazione diventerà un ebreo, un uomo di Jahvè. E questa preparazione gli è servita per conseguire l’autonomia individuale, la propria responsabilità per i propri pensieri e le proprie azioni.

Rimanere nel Vecchio Testamento significa essere un falso ebreo. Ecco l’elemento vivace, poiché l’Apocalisse è piena di temperamento. Vuol dire che quelli che ritengono di essere buoni Ebrei per il fatto di agire come nel Vecchio Testamento (nella sottomissione alla legge, secondo un imperativo) sono falsi Ebrei, perché l’ebraismo è la chiamata di Jahvè a diventare sempre più un Io.

Allora il pensiero che il Messia non sia ancora arrivato è la distruzione dell’ebraismo, è un falso ebraismo. E ciò significa che il cristianesimo è ancora in divenire se l’uomo vive così. Ma in quel momento per l’apocalista era importante non presentarla come controversia solo cristiana, ma anche come conflitto con l’ebraismo.

Era quella infatti la grande disputa dell’epoca. In concreto: se prendiamo i dieci comandamenti come quintessenza della legge, il vero ebreo è colui che comprende i dieci comandamenti come dieci offerte per diventare un Io. Questo sono i dieci comandamenti. O sono dieci offerte, dieci leggi evolutive verso l’Io, oppure non sono per l’uomo. Perché se i dieci comandamenti fossero concepiti come qualcosa a cui l’uomo deve sottomettersi in eterno, sarebbero antiumani e disumani. Il senso di ogni legge è la libertà, e la libertà si verifica per il fatto che l’uomo capisce l’elemento promotore dell’umanità di una legge e fa ciò che lo rende più umano, non più perché lo deve, ma perché lo vuole.

Significa che tutto il “dovuto” diventa un “voluto”: solo allora si diventa un vero ebreo. Possiamo immaginarci cosa significhi un secolo dopo la svolta, o circa 70 anni dopo la morte del Cristo, aver in circolazione un testo in cui si dice: «Le bestemmie di coloro che si dicono Ebrei e non lo sono». Vengono fatti passare per bestemmiatori. Erano delle dispute molto forti.

Diverso sarebbe se dicesse: ci sono persone che ritengono di essere cristiani e non lo sono. Ma l’effetto consiste proprio nel dire che si ritengono ebrei e non lo sono. È paradossale – ma reale – come se dicessimo che il vero pedagogo è colui che fa di tutto per smettere di essere un pedagogo. È umana solo la legge che aiuta l’uomo a non aver più bisogno di leggi esterne, poiché egli stesso diventa la legge dell’evoluzione.

Naturalmente potremmo modificare questa frase ad effetto e renderla ancora più efficace: ci sono cristiani che credono di essere cristiani ma non lo sono, sono falsi cristiani. Si può infatti essere cristiani se si stima la libertà interiore di pensiero e volontà dell’uomo. Senza libertà, senza capire e amare ciò che fa l’uomo, l’uomo non è tale.

2,10 «Non temere ciò che soffrirai! Vedi, il diavolo getterà in prigione alcuni di voi per mettervi alla prova e sarete tribolati per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte, così ti darò la corona della vita».

Si tratta della prigione del contrasto con il mondo terreno, la prigione di tutto ciò che giunge all’uomo dall’esterno sotto forma di sfida; ma è per mettervi alla prova, quindi il senso della prigione è la liberazione, una liberazione che non è possibile senza fare in qualche modo l’esperienza della prigione.

Allora, qui la corona della vita come immagine della seconda civiltà, quella del corpo eterico, del corpo vitale, va molto bene, proprio perché in questo modo l’uomo può ritrovare consciamente l’albero della vita.

I dieci giorni li ritroveremo con la bestia dalle dieci corna Vediamo come si arriva a dieci, a dieci unità di tempo. Per esempio potete fare così (Fig. 1,IV): sopra la linea scrivo “1” e poi “2” e “3” e “4”, e dopo “5”, “6” e “7”: questi ultimi tre vengono raddoppiati perché tramite la libertà c’è un raddoppiamento delle vie, la libertà produce una duplice possibilità di scelta. Perciò abbiamo “4”, e sotto“5-6”, “7-8” e poi “9-10”. Sarebbero le dieci unità di tempo, se volete. Si può arrivare a dieci anche in altri modi, ma sono cose che adesso non possono essere spiegate da tutti i punti di vista.

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Fig. 1, IV

2,11 «Chi ha orecchie per intendere intenda ciò che lo spirito dice alle comunità: chi vincerà non sarà colpito dal dolore della seconda morte.».

Qui viene introdotto il concetto della “seconda morte” che ha un ruolo importante nell’Apocalisse. Lo accenno solo brevemente: la prima morte è la morte del corpo fisico e la seconda morte è quando l’uomo muore anche come anima e spirito. Cioè, la seconda morte avviene quando con la morte del corpo fisico l’uomo muore completamente poiché non resta più nulla. E questa morte viene chiamata “seconda” perché può avvenire solo più in là nel tempo. E una domanda importante dell’Apocalisse è se basta una vita per annullare tutta l’individualità, tutta la facoltà della libertà. Se un uomo ha annullato tutta la sua individualità, la sua facoltà di libertà, giunge a un punto in cui alla morte del corpo fisico di lui non rimane niente, poiché non c’era nient’altro. Questa è la seconda morte, che può verificarsi solo molto più tardi che a metà dell’evoluzione; solo molto più tardi, quando l’uomo avrà avuto abbastanza tempo nell’esercizio della sua libertà per portare alla morte tutto ciò che nel suo essere era predisposto all’individualità.

In altre parole, questo della seconda morte è un pensiero molto importante dell’Apocalisse. Affinché questo pensiero ci accompagni e per chi vuole avere una visione più completa, do ora una spiegazione a grandi linee. Questa sarebbe l’evoluzione complessiva (Fig. 2,IV); qui è la parte centrale, diciamo l’evento cristico. Fin lì c’è una caduta nella materia come necessità, una caduta della coscienza, una perdita della coscienza dello spirito ecc. così che l’uomo è cosciente solo di ciò che proviene dal mondo della materia. Adesso, con l’incarnazione del Cristo, vengono introdotte nuove forze che io riassumo nell’espressione:“la facoltà della libertà”: ora l’uomo può andare verso l’alto e verso il basso. E la via verso il basso consiste nel fatto che qui c’è lo stadio dell’animale, e non basta dire che l’animale non è libero, occorre aggiungere che nell’animale non c’è la facoltà della libertà, non ce n’è la capacità, la predisposizione.

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Fig. 2, IV

Qui in mezzo, e anche duemila anni dopo la parte centrale, ma naturalmente soprattutto al centro, il Cristo ha lavorato. Per un intero segno zodiacale, duemila anni. Il senso del cristianesimo passato non è che gli uomini l’abbiano capito: adesso comincia ad essere importante che cosa gli uomini ne capiscono. Ma in questi duemila anni non ci sono quasi stati i presupposti affinché gli uomini ne capissero qualcosa. I dogmi sono più fraintendimenti che comprensioni del cristianesimo, perché a livello di coscienza l’umanità doveva scendere ancor più profondamente nel materialismo.

Allora qual è l’elemento essenziale di questi duemila anni di cristianesimo? L’essenziale di questi duemila anni di cristianesimo è quello che Cristo ha fatto nel profondo di ogni uomo, in tutti gli uomini, per mettere a disposizione di ognuno un patrimonio complessivo mediante l’evoluzione culturale e le condizioni culturali. Se volete in modo più forte presso i popoli civilizzati, ma anche gli altri vi hanno preso parte. Ho sempre parlato del senso di libertà che ho sperimentato presso i neri a Soweto. È una partecipazione agli eventi culturali dell’umanità intera.

Allora, fino ad oggi l’essenza del cristianesimo è stato l’operare del Cristo e, grazie a questo operare, oggi, nel 2002, abbiamo in tutti gli uomini un patrimonio complessivo, una nostalgia globale per la libertà e la responsabilità individuale, per l’individualismo etico. Questo è il risultato dell’azione del Cristo: il desiderio nell’uomo di pensare autonomamente, di assumersi la responsabilità dei propri pensieri, di avere un proprio modo di vedere, senza bisogno di prendere in prestito i pensieri degli altri in una situazione di dipendenza, di schiavitù spirituale.

E per il fatto di avere questo desiderio, poiché l’uomo ha la facoltà, la capacità di pensare sempre meglio autonomamente e anche di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, siamo a un punto in cui deve diventare cosciente delle sue potenzialità. Se oggi tutti gli uomini hanno un patrimonio complessivo di autonomia nel pensiero, nell’amore e nel volere, questa è la libertà, la vocazione, la facoltà di diventare sempre più autonomi nel pensiero e nella volontà, nell’azione.

Coloro i quali esercitano questa facoltà, questo talento, vanno verso l’alto, cioè diventano sempre più liberi, sempre più amorevoli e responsabili. Ma dev’essere altrettanto possibile omettere tutto questo, oziare, essere pigri. E una domanda cruciale posta dall’Apocalisse è appunto: qual è la conseguenza ultima se un uomo omette di evolversi? Sono i tiepidi, né buoni né cattivi, perché non hanno fatto niente. I tiepidi di Laodicea, la settima comunità, fra poco ci arriviamo.

Se un uomo non mette in azione la sua facoltà, la sua capacità, la sua attitudine a diventare sempre più autonomo, questa facoltà rimane intatta? Una facoltà che non viene mai attivata rimane intatta? No. Una facoltà che non viene mai esercitata si riduce sempre di più. Un uomo che, per dirla in modo estremo, non prenda mai in mano e non eserciti la sua creatività, diventerà sempre meno capace di essere libero, autonomo, finché il patrimonio complessivo della libertà verrà annullato, cancellato. E allora l’uomo si ritroverà davvero al livello dell’animale, dove non c’è la facoltà della libertà, e tanto meno l’attivazione o l’esercizio o la realizzazione di questa facoltà.

La domanda importantissima che va posta per la coscienza odierna è: si può realizzare la facoltà della libertà in una vita? Pensate infatti a quanta aggressività e a quanta depressione si manifestano nell’umanità odierna per via della stupida idea – presente in qualche modo da duemila anni ad oggi nelle teste di questi uomini materialisti – che l’uomo viva una volta sola.

Pensate alle esigenze sempre più grandi che l’individuo, soprattutto in occidente, ha nei confronti della vita; l’individuo che desidera raggiungere tutto, fare tutto ecc., e deve constatare di avere a disposizione magari ancora un paio di decenni, se gli va bene, se sarà fortunato e sano. E quando infine morirà, che cosa avrà ottenuto di quello che voleva raggiungere? Neanche un millesimo. E dato che gli uomini si sono messi in mente di avere a disposizione una vita sola, cadono nella depressione totale perché, nonostante tutta la buona volontà, nella vita si raggiunge poco. Oppure diventano aggressivi, perché vogliono ottenere tutto subito, ma in una vita si può raggiungere così poco.

L’Apocalisse pone la domanda senza farne un dogma dicendo: caro uomo, devi credere alla reincarnazione… questo sarebbe a sua volta folle, perché se devo crederci vuol dire che non posso pensarlo. Quello che capisco infatti non lo devo credere, mentre devo credere a ciò che non capisco. Allora, l’Apocalisse può diventare un libro terapeutico impareggiabile per l’umanità odierna, nel momento in cui si tiene presente: pensa bene a quel che succede. Tu sei qui, nel 2002 (Fig. 2,IV), come ogni altro uomo hai una facoltà complessiva per la libertà. E hai la possibilità di realizzare questa facoltà in una vita? Impossibile. Puoi realizzare così poco, non così tanto. E se continui ad omettere, hai la possibilità di annullare in una vita tutte le facoltà date all’uomo, così da non averne più? La risposta, cari ascoltatori, è che in una vita è del tutto impossibile. E la terapia consiste nel fatto che dalla comprensione delle leggi evolutive nasce la convinzione, non la fede ma la convinzione, che ogni uomo ha più vite a disposizione. Non c’è motivo di diventare così depressi o aggressivi.

Come già detto, l’Apocalisse va letta in modo da capire le leggi fondamentali dell’evoluzione. L’Apocalisse non procede in maniera dogmatica, non dice: devi crederci. Sarebbe di nuovo un assoggettamento dell’uomo, sarebbe il falso ebraismo, per usare le sue stesse parole.

Tutto questo è un mio commento alla seconda morte. La completezza della seconda morte è che l’uomo è completamente morto, completamente sparito; resta solo l’elemento naturale, animale, ciò di cui erano avidi i Nicolaiti, poiché non avevano ancora capito il loro ebraismo.

L’Apocalisse parlerà ancora della seconda morte, poiché questo concetto è così fondamentale. Volevo solo aggiungere, sto facendo un riassunto, che la seconda morte è impossibile se l’uomo ha a disposizione una sola vita. Dopo una vita è possibile solo la prima morte, ma la seconda, in cui viene ucciso l’uomo come facoltà di libertà e di creazione divina, cioè viene annientato, questa seconda morte non può essere realizzata in un’unica vita.

Ma adesso ci sono cose così importanti che forse vorrete avere la possibilità di prendere posizione. Soprattutto quelli che non sono ancora “credenti nella reincarnazione”… Devo dire che ho trovato molti “credenti nella reincarnazione” presso quelli che coltivano la scienza dello spirito di Rudolf Steiner.. E mi sono sempre detto: a che cosa mi serve credere che si viva più volte, invece di credere che si viva una sola volta? La fede è sempre fede. Non è il contenuto della fede che conta, ma il fatto che l’uomo non sia ancora in grado di pensare.

In altre parole, la fede era necessaria nello stadio infantile ed è anche meravigliosa, ma per un adulto fermarsi alla fede, credere a qualcosa che gli dice un altro, è indegno, è antiumano. Molte cose fatali avvengono oggi nell’umanità proprio perché non c’è abbastanza responsabilità morale, lo ripeto, nei confronti del pensiero. E come già detto, forse anche fra quelli che coltivano la scienza dello spirito di Rudolf Steiner ci si può chiedere in che misura si crede a ogni cosa detta da Steiner perché lui ne sa di più, e in che misura, invece, le cose vengono davvero pervase dal pensiero così da diventare un convincimento assolutamente peculiare del pensiero.

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Pergamo è la terza comunità. Come già detto, qui si tratta dell’anima, del corpo astrale. È una comunità che vive nella tradizione dell’Egitto e della Caldea, dove il mondo terreno è considerato scrittura celeste; tutto ciò che è visibile è ritenuto scrittura degli dei o degli esseri spirituali che dev’essere decifrata, letta, capita. Leggere la scrittura delle stelle e della Terra per capire i messaggi inviati agli uomini dagli esseri spirituali attraverso gli eventi celesti e terrestri.

2,12 «E all’angelo della comunità di Pergamo scrivi: queste cose dice chi ha una spada affilata a doppio taglio.»

Nella traduzione c’è “questo dice” mentre abbiamo ancora una volta un plurale. Ma veniamo alla spada affilata a doppio taglio che c’è particolarmente nella parola di Ermete nella cultura egizia – una parola tramite cui è stato compiuto lo studio della scrittura degli dei. Ecco cosa sarebbe in questa terza civiltà la “spada affilata a doppio taglio”.

2,13 «So dove abiti: là dove c’è il trono di Satana»

Il concetto di Satana è quello delle controforze che agiscono contro l’uomo nella materia, soprattutto nella materia inerte. Le forze naturali che offrono all’uomo la naturale opposizione. Se l’uomo vive le controforze in modo da rafforzarsi nella sua forza vittoriosa, nella sua libertà, sperimenta nelle controforze la volontà del Padre divino. Se vive o gestisce le controforze in modo da indebolirsi, perché sono le controforze a vincere, questa vittoria delle controforze è la volontà di Satana come controparte del Padre divino.

Il mistero della materia è quindi duplice: se la materia compie la propria volontà, volontà paterna, divina, così che i suoi ostacoli servono a rendere l’uomo sempre più forte, allora l’uomo adempie alla volontà del Padre divino e la materia gioisce poiché viene redenta nella libertà dell’uomo. Ma dev’essere possibile anche il contrario, poiché l’uomo è libero di indebolirsi per via degli ostacoli; pensate a quanti ostacoli ci offre quotidianamente il corpo, a tutto quello che dobbiamo superare per far vincere lo spirito e la coscienza e le forze dell’amore, per non dissolverci nelle forze del corpo. Se ci dev’essere quest’altra possibilità della libertà, vissuta dall’uomo così da sentirsi sempre più debole perché le forze naturali, le leggi della materia sono vittoriose su di lui, allora vivrà la materia come satanica, poiché è vittoriosa la volontà delle controforze.

Avendo a che fare con la libertà dell’uomo, la materia diventa amica dello spirito (poiché questo si rafforza sempre più grazie agli ostacoli), oppure ne diventa nemica per il fatto che lo spirito può anche indebolirsi sempre più. Questa è la definizione specifica di Satana.

Satana è la controforza esteriore, gli ostacoli esteriori, gli impedimenti, le controforze presenti nella natura, mentre il concetto di Diavolo si riferisce agli ostacoli presenti nell’anima, nell’interiorità – l’egoismo, la vanità, l’ambizione ecc. L’impurità dell’anima rappresenta le controforze interiori che vengono superate grazie alla purezza interiore. Questa è l’altra via della libertà. Il superamento delle forze di natura è la prima via della libertà e il superamento delle emozioni e degli stati d’animo impuri è la seconda via della libertà. Il concetto delle controforze interiori è il Diavolo, non più Satana, poiché questi testi distinguono queste cose.

Nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner l’elemento satanico viene chiamato Arimane, tutto ciò che è arimanico è il satanico della Bibbia; l’elemento diabolico, invece, viene chiamato Lucifero nella scienza dello spirito. Come ho già detto, è una questione di terminologia. L’importante è che distinguiamo questi due ambiti, cosa che il testo biblico fa indubbiamente. Anche nei Vangeli questa distinzione è importante, soprattutto nel Vangelo di Marco. L’abbiamo anche visto nel Vangelo di Giovanni.

“So dove abiti: là dove c’è il trono di Satana”. L’uomo adesso deve prendere coscienza che il suo trono è là dove c’è il suo fondamento – il fondamento per l’evoluzione dell’uomo è l’elemento naturale. Là troneggia l’uomo. L’uomo troneggia sulle leggi di natura. E questo trono può essere il trono di Satana o quello del Padre, a seconda del modo in cui l’uomo gestisce queste forze naturali.

Tra l’altro questo Satana è il Mefistofele nel Faust di Goethe, solo che Goethe non disponeva ancora degli strumenti scientifico-spirituali per distinguere l’elemento luciferico da quello arimanico (che sono diametralmente opposti) e Mefistofele è quindi un po’ un miscuglio. Nella prima parte del Faust Mefistofele è più luciferico, più diabolico, presenta una passionalità interiore, già solo nel contrasto sessuale con Gretchen. Nella seconda parte invece diventa più satanico, quindi più arimanico, e comincia con la scoperta del denaro. Questo non ha niente a che fare con il diabolico, ha a che fare con il satanico. Ed è tra l’altro anche estremamente interessante a livello letterario cercare nel Faust le parti in cui Mefistofele presenta delle caratteristiche più luciferico-diaboliche o più satanico-arimaniche.

2,13 «e tu resti fedele al mio nome e non hai rinnegato la fede in me»

Tu resti fedele al nome dell’Io, alla vocazione dell’uomo a diventare sempre più un Io e a non dissolversi nelle controforze offerte dalla natura. Non hai rinnegato la tua fiducia nella forza dell’Io. “Fede in me” significa fiducia, fiducia primigenia, nella forza vittoriosa dell’Io dell’uomo. L’uomo non è stato creato per capitolare di fronte alla violenza delle forze della natura. Per quanto siano violente e necessarie, l’uomo ha la capacità – quella che ho chiamato la facoltà della libertà – di risultare vittorioso nel senso di non darsi del tutto a queste forze.

Una cosa è servirsi di una forza della natura, che l’uomo può usare a proprio modo, e un’altra è abbandonarsi a questa forza della natura. Se mi do ad una forza naturale finisco per dissolvermi in essa. Per esempio, a proposito delle forze sessuali, all’inizio si può davvero osservare che fino ad un certo punto sono in conflitto, dopo di che o mi do a queste forze al punto tale che perdo la mia libertà, oppure mi servo consapevolmente di queste forze e rimango libero.

2,13 «nemmeno nei giorni in cui Antipa, mio testimone fedele, è stato ucciso presso di voi, là dove Satana dimora»

Qui si parla in concreto di un uomo che ha prestato la testimonianza cristica dell’Io, a questo elemento vittorioso dell’uomo individuale e che è stato ucciso nella comunità di Pergamo. Antipa deriva da Antipatros, anti-pater, cioè le forze contrarie a quelle della natura, indica la forza di resistere alle forze della natura. E stato ucciso dove Satana dimora, là dove le forze della natura hanno un libero corso così naturale che l’uomo non può, o non vuole, affermarsi nei loro confronti.

2,14 «Ma ho qualcosa contro di te: tu hai gente che segue la dottrina di Balaam che insegnava a Balac a sedurre e a maledire gli Israeliti, a mangiare le offerte agli idoli e ad esercitare la prostituzione.»

Si tratta ora di ciò che Pergamo deve ancora fare o recuperare. Balaam è il mago nero per antonomasia, è quello che è stato pregato dal re Balac di lanciare una maledizione contro il popolo che prepara l’individualità e le forze dell’Io per l’umanità intera. E ricorderete che, invece di maledire gli Israeliti, Balaam ha emesso una benedizione.

Ma qui gli uomini di Balaam sono uomini che si dedicano alla magia nera. Che cosa vuol dire magia nera? Magia nera, manipolare le forze della magia nera, significa ostacolare ogni individualità, ogni facoltà di libertà e lasciar agire solo le forze della natura. Allora, proprio a causa dell’esclusione della libertà umana, la magia nera è quanto di più antiumano vi sia, è ciò che nel corso dell’evoluzione fa precipitare l’uomo nell’abisso della bestia.

“Mangiare le offerte agli idoli”: cosa sono gli idoli per gli Ebrei? Gli Ebrei hanno solo il dio Jahvè, cioè la chiamata a diventare un Io. Vedete com’è concreto e anche convincente. O l’uomo mette in primo piano le forze ancora in nuce dell’Io, e allora userà tutto ciò che è naturale come strumento per diventare sempre più un Io, oppure si darà alla fornicazione e all’idolatria. Prima di Cristo idolatria significava adorare altre forze, che non sono quelle di Jahvè, quindi altri dei.

Che cosa sono gli dei greci a differenza di Jahvé? Gli dei greci sono gli dei anteriori alla libertà che non raccomandano all’uomo la vocazione alla forza dell’Io. Idolatria significa adorare le forze della natura nell’uomo e dimenticare la sua vocazione a diventare un Io. E cosa significa fornicazione? La fornicazione è la controparte interiore dell’idolatria. Se l’uomo venera le forze della natura come massima espressione del divino e non ha idea del Figlio divino, della chiamata all’individualità, esteriormente adora le forze della natura – l’idolatria – e interiormente è colmo di impurità, poiché il corpo astrale trabocca e dentro l’uomo non sorge nessuna possibilità di ravvedersi, di pensare liberamente e di progredire nella propria libertà.

Quindi distruzione della libertà tramite le forze esteriori – idolatria –, e distruzione della libertà mediante l’impurità interiore – fornicazione. Questa è la definizione specifica, il concetto biblico della fornicazione. La fornicazione va intesa in senso più ampio, non solo come lussuria, nel senso di impurità nelle forze sessuali. È l’incapacità di dominare le forze interiori dell’anima. La fornicazione sono le forze interiori fuori controllo. Vedremo, anche nella fenomenologia della prostituta Babilonia, che tutta questa fenomenologia descritta dettagliatamente nell’Apocalisse è quella della mancanza di controllo interiore, che porta a far sì che vinca il drago, Satana, come forza che proviene dall’esterno.

Come abbiamo detto, qui sia le offerte agli idoli (o l’idolatria) sia la fornicazione vanno intese in senso scientifico-spirituale, non in modo vago e indistinto; sono tutti concetti dal significato ben preciso.

2,15 «Così tu hai anche gente che aderisce nello stesso modo alla dottrina dei Nicolaiti».

2,16 «Fa’ penitenza»

Adesso sapete cosa penso di questa penitenza. MetanÒhson (metanoèson): attua una svolta nella tua coscienza. Finora hai avuto la massima considerazione per la natura, ora devi imparare, nel tuo pensiero, nella tua coscienza, nella tua conoscenza, a prendere l’elemento naturale come strumento, come preparazione per pensare in direzione della libertà. Devi cambiare modo di pensare. La cosa più preziosa per l’uomo non è la natura, ma la libertà.

Finora hai praticato l’idolatria, venerando le forze della natura che hanno fatto un grande effetto su di te, e hai praticato la fornicazione lasciando fluire le forze psichiche senza controllarle. Adesso devi cambiare il tuo modo di pensare e convincerti che ciò è necessario per esperienza nel tuo pensiero, nella tua conoscenza, e devi mettere al primo posto nel tuo pensiero e nella tua conoscenza la libertà dello spirito, dello spirito dell’Io, la creazione nel pensare e nel volere e nell’agire dello spirito dell’Io.

In altre parole, devi cambiare il tuo modo di pensare, e comprendere le cose in modo del tutto diverso. Devi interpretare l’evoluzione in modo completamente diverso, così che tutto ciò che è naturale sia solo una preparazione per rendere possibile la libertà. Vedete quante volte ricorre questo metanoèin, questo capovolgimento del modo di pensare!

Oppure: finora hai pensato che la legge mosaica, o il rispetto della legge, fosse il massimo valore, ma adesso devi cambiare modo di pensare, e sapere e capire che il rispetto di una legge era solo una preparazione, aveva solo un ruolo propedeutico. Si tratta solo di una preparazione per imparare, in base alla legge, in base al dovuto, cosa mi fa bene,; e quando capisco che la legge contiene ciò che mi fa bene farò di mia iniziativa ciò che la legge richiede, e non più per sottomissione ad essa.

Ma per farlo devo capire e interpretare la legge in modo completamente diverso. E lo posso fare rovesciando il mio modo di pensare.

2,16 «Cambia il tuo modo di pensare, ma se non lo farai io verrò presto su di te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca.»

2,17 «Chi ha orecchie per intendere intenda ciò che lo spirito dice alle comunità: a chi vincerà darò la manna nascosta».

Qui abbiamo l’anima, il corpo astrale, le forze interiori che nella loro evoluzione sono chiamate a trasformarsi nelle forze del manas, del Sé spirituale. È questo che s’intende con la manna. L’abbiamo visto anche nel Vangelo di Giovanni: “I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti”.

Qui (Fig. 3,IV) abbiamo “4” in mezzo e poi questi archi da “3” a “5”, da “2” a “6” e da “1” a “7”. E se adesso prendiamo la terminologia orientale, la terminologia sanscrita, abbiamo che “1” sarebbe il corpo fisico, “2” il corpo eterico – adesso uso la terminologia scientifico-spirituale –, “3” il corpo astrale. Il corpo astrale viene trasformato nel manas, questa è la “manna”, manas. Manas sono le forze pensanti purificate, il pensiero divenuto oggettivo.

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Fig. 3, IV

E come si fa ad oggettivare il pensiero? Purificando il corpo astrale da tutto ciò che è soggettivo, da tutte le brame. Finché nel mio corpo astrale, nella mia anima, ci sono dei desideri, finché desidero che la realtà sia in un certo modo, che quella persona si comporti così ecc., proietto i miei desideri, le mie aspirazioni, sulla realtà e non la vedo in modo oggettivo. La purificazione, (l’evoluzione di Pergamo), la purificazione del corpo astrale, consiste nella purificazione delle forze del manas, delle forze pensanti assennate, poiché manas vuol dire pensare,– in latino mens, l’individuo pensante. Manas sono le forze pensanti purificate che diventano organo dell’oggettività. E diventando organo dell’oggettività, l’uomo vive in armonia con la realtà, poiché non le sovrappone più la parte soggettiva della realtà, quella legata ai desideri.

Ed è molto bello che proprio qui nella terza comunità si parli della manna nascosta. La manna nascosta è la manna nell’anima, quindi la purificazione interiore del corpo astrale. Questo implicherebbe che gli Ebrei abbiano sperimentato una manna esteriore come pedagogia, come educazione, poiché si sono svegliati la mattina e hanno visto la manna. Era la manna diffusa come pedagogia, come educazione, per arrivare a capire che cos’è la manna nascosta, interiore, animica, cioè le forze del pensiero purificato, oggettivo. E pensiero oggettivo vuol dire puro amore per la realtà. Ma per amare la realtà così com’è non devo più desiderare che sia in un modo o nell’altro. La realtà deve andarmi bene così com’è, comunque sia. Questo è il pensiero purificato, che vuole solo constatare obiettivamente com’è il mondo, com’è l’uomo, per poi sapere cosa si deve fare realisticamente per favorire e far progredire ogni realtà.

Ma non posso aiutare un altro a progredire se non comprendo la sua realtà oggettiva. Se desidero che sia diverso, migliore o peggiore, sovrappongo i miei desideri alla realtà che devo capire e non sarò in grado di comprenderla oggettivamente.

In molte tradizioni e culture la manna è una runa, un’immagine per le forze mentali purificate. L’anima deve purificarsi per diventare capace di pensare e capace di obiettività.

Intervento: E la pietra bianca?

2,17 «e gli darò una pietra bianca e sulla pietra c’è scritto un nome nuovo, che nessuno conosce se non colui che lo riceve.»

È la pietra filosofale. La pietra bianca, quindi l’ultimo stadio dell’evoluzione. Diciamo, in termini scientifico-spirituali (devo essere sintetico perché il tempo è poco) che un primo stadio è la purificazione del corpo astrale; poi viene la purificazione del corpo eterico e lì nasce “l’albero della vita” o la “corona della vita” (Fig. 3,IV); e la spiritualizzazione di tutto ciò che è fisico è la parte adamantina della pietra filosofale. È il corpo di risurrezione, la fisicità di risurrezione. È la pietra bianca, dove tutta la materia risorge come luce, come cristallo, come il diamante, non più offuscata, senza controforze, senza forze antiumane.

Sono immagini meravigliose che rivestono un ruolo nelle culture più diverse. E qui, dove si tratta del primo stadio, la purificazione del corpo astrale, viene aggiunta l’ultima prospettiva dell’evoluzione dell’uomo: che persino ogni corpo fisico diventerà un corpo di risurrezione, che quindi tutta la creazione diventerà libera fisicità dell’uomo. Vale a dire diventerà l’opera, l’opera completa, l’opera d’arte della sua libertà.

La prima opera d’arte dell’uomo è che la totale astralità del regno animale viene trasformata in forze del manas; la seconda è che tutta la vivacità multicolore del mondo eterico, del regno vegetale, viene trasformata nella corona della vita, nella vivacità dello spirito umano; la terza è che tutte le forze formali del corpo fisico e delle creature minerali vengono trasformate nella fisicità di risurrezione della libertà umana, la pietra filosofale. Sono concetti su cui meditare per trovarvi contenuti sempre nuovi.

Sulla pietra c’è scritto un nome nuovo che nessuno conosce se non chi lo riceve. In ogni lingua c’è una parola che ciascuno può usare solo individualmente, una parola che in ognuno ha un significato diverso. In altre parole: se diciamo “anatra”, credete che adesso ognuno pensi a qualcosa di completamente diverso? No, pensiamo tutti alla stessa cosa, ad un’anatra. Se dico “naso”, tutti pensiamo al naso. Ma c’è una sola parola che ha un significato del tutto diverso a seconda di chi la pronuncia: la parola “Io”. È questo il nome nuovo scritto; nuovo perché l’individualità è la cosa nuova che nasce solo attraverso l’evoluzione terrena.

“Che nessuno conosce se non colui che lo riceve”: questo è il mistero dell’Io. Chi può infatti sapere chi sono se non io stesso? Tutti gli altri non sono me.

5a Conferenza
mercoledì, 13 novembre 2002, mattina

Cari ascoltatori, ieri abbiamo visto che in queste sette comunità, in questi sette gruppi di persone, in queste comunità di uomini, sono racchiusi sette archetipi, sette fenomeni originari del sociale. Efeso sarebbe la comunità in cui la convivenza umana tende a plasmare tutte le forze fisiche a misura d’uomo.

Qualcuno ha chiesto: come mai a Efeso c’era il culto di Diana? Diana è la dea della caccia. Presso i Greci il mistero della Luna è triplice – basta che andiate a vedere nel Faust di Goethe, è meravigliosamente rappresentato in maniera triplice –: qui abbiamo la Luna (Fig. 1,V,) qui abbiamo la Terra e fra la Luna e la Terra abbiamo le forze orbitanti, dove l’uomo va a caccia per appropriarsene.

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Fig. 1, V

Gli esseri divini, spirituali, della Luna agiscono in modo triplice:

• una volta direttamente attraverso la Luna, attraverso la luce del Sole raccolta che viene poi riflessa dalla Luna. Nella notte classica di Valpurga Goethe descrive meravigliosamente come la Luna sia l’archetipo della coscienza dell’Io, della presa di coscienza, poiché l’Io è nel Sole, e questa luce riflessa è la luce del Sole che prende coscienza di sé. Per questo la religione di Jahvè è una religione lunare, una religione della presa di coscienza dell’Io, perché l’Io c’è sempre stato. Gli esseri lunari, o l’entità principale della Luna, qui agiscono direttamente dalla Luna;

• oi agiscono come “Diana” nelle forze dell’orbita, nelle forze lunari che operano fra la Terra e la Luna, – vedete come nell’antichità il mondo è pieno di esseri spirituali, non c’è mai il vuoto! –;

• e poi la Luna agisce in un terzo modo per il fatto che le forze lunari, orbitando, penetrano nella Terra e dalla Terra agiscono sull’uomo. Qui ci sono gli uomini sulla Terra (Fig.1.V) e le forze lunari penetrano nella Terra, impregnano soprattutto le piante di cui l’uomo si nutre, e queste forze terrestri, pervase da quelle lunari, ritornano all’uomo. Qui si potrebbe dire Terra + Luna, e questa terza azione della Luna veniva chiamata “Ecate” dai Greci.

A quei tempi la conoscenza delle realtà spirituali era così precisa scientificamente. Ad Efeso c’era in particolare il collegamento, la venerazione delle forze lunari dal punto di vista di Diana, la dea della caccia. Le forze dirette della Luna, presenti nell’uomo, hanno il loro centro nella testa, quindi dove sorge la coscienza dell’Io. Le forze di Diana sono concentrate nella regione del petto, sono quindi le forze orbitali, e anche le forze dell’amore, del sentimento ecc. Ed Ecate sono le forze di volontà, le energie, il sistema metabolico e il sistema degli arti, influenzati prevalentemente dal basso, dalla Terra, soprattutto tramite la nutrizione.

Sulla base della Luna abbiamo di nuovo la triade dell’uomo come uomo pensante, uomo senziente e uomo volente, Luna, Diana, Ecate. Come già detto, tutte e tre sono presenti nel Faust, nella notte classica di Valpurga.

Eravamo arrivati alla quarta comunità. Adesso ho intenzione di procedere un po’ più speditamente. Vedrete che tutto è giustificato: ieri siamo andati avanti per così dire parola per parola per fornire a ciascuno le basi di come si possa trovare qualcosa in ogni particolare o a volte non ancora; oggi, invece, procederò a metà fra parola per parola e fornirò una visione d’insieme, cioè procederemo un po’ più velocemente, privilegiando la quantità. E poi domani nella seconda parte esamineremo particolarmente i punti chiave che ce la fanno gustare di più. Credo che nel complesso questo sia il modo migliore di procedere. Una visione d’insieme infatti non sarebbe sufficiente, ma esaminando parola per parola arriveremmo al massimo al secondo o al terzo capitolo. Allora facciamo così.

Arriviamo allora alla quarta comunità: Tiatira. Adesso non descrivo tutti i particolari, ma ricordiamoci che Tiatira rappresentava la contemporaneità dell’autore dell’Apocalisse. E il periodo storico della svolta, quello in cui si è verificato il mistero del Golgota. Questa era la civiltà del quarto periodo in cui viveva l’apocalista. E solo con Sardi, la quinta comunità, arriviamo al nostro tempo. Il quarto periodo di civiltà comincia esattamente con la fondazione di Roma nel 747 a.C. e, se aggiungiamo 2.160 anni, questo periodo greco-romano termina nel 1413. E noi viviamo già da circa 600 anni nel quinto periodo postatlantico.

2,18 «E all’angelo della comunità di Tiatira scrivi:»

L’angelo è colui che dà a tutti i membri di una comunità le ispirazioni di ciò che è adatto al momento. Che cosa fa l’arcangelo di una comunità? Fornisce le ispirazioni. Le ispirazioni dell’arcangelo hanno la facoltà di indicare quali occasioni e possibilità evolutive vengono offerte agli uomini dalle condizioni culturali, così che egli le faccia sue e vi metta mano. Anche ai giorni nostri l’arcangelo è la fonte di ispirazione; questi arcangeli sono al contempo anche spiriti del tempo, poiché queste comunità vengono prese anche sotto l’aspetto di diversi periodi culturali. Allora sono arcangeli di una comunità e nel contempo spiriti del tempo.

Le ispirazioni di uno spirito del tempo sono il modo in cui l’uomo può interpretare e capire gli eventi della sua epoca, così da comprendere con un’intuizione morale che cosa il suo tempo offre a lui e a noi tutti come possibilità evolutive, quali sono le sfide. Naturalmente anche tramite le controforze, gli ostacoli che vengono creati. Entrare in unione con lo spirito del proprio tempo significherebbe aprirsi ai pensieri che ci dicono cosa stiamo facendo, cosa sta facendo oggi l’umanità. Non è qualcosa che può accadere in un batter d’occhio o al primo colpo; è una questione di collegamento quotidiano con questa fonte morale dello spirito del tempo per tirar giù le ispirazioni giuste, tutto ciò che vuole e deve essere, verso cui tendono gli avvenimenti del nostro tempo, anche le sfide per il singolo in esso contenute.

La quarta comunità – in cui si verifica la svolta –, la quarta comunità è anche la Terra a metà di sette incarnazioni (se prendiamo il settenario più ampio). Se ci riferiamo all’epoca postatlantica, la quarta comunità è il periodo greco-romano, a metà fra le civiltà indiana, persiana, egizio-caldea e poi la il nostro tempo (quinta civiltà), Filadelfia e Laodicea – “6” e “7”. Il “4” è sempre a metà, quando avviene la svolta.

2,18 «questo dice il Figlio di Dio che ha occhi come fiamme di fuoco»

“Il Figlio di Dio”. Vedete, non si nota l’importanza di questa espressione se non si ha la chiave scientifico-spirituale della posizione “4”. Ora, la posizione “4” significa che si tratta della civiltà greco-romana, ma significa anche che si tratta dell’Io. All’“1” infatti si tratta dei misteri del corpo fisico, al “2” dei misteri del corpo vitale, al “3” dei misteri dell’anima; al “5” manna, manas in sanscrito (per quelli che non lo sanno, avevo dimenticato di aggiungere gli altri due nomi in sanscrito(Fig.2,V): l’altro è buddhi, “6”,ed il “7” è atma.

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Fig. 2, V

Allora al “3” si trattava del corpo astrale, dell’anima. Qui si tratta dell’Io. E dove si tratta dell’Io si tratta del conflitto fra l’io inferiore, l’io dell’egoismo, e l’Io dell’amore; io troppo umano e Io cristico nell’uomo, questa è la grande contrapposizione.

Per questo sottolineo l’importanza decisiva della scienza dello spirito di Rudolf Steiner, perché se non si dispone di questi strumenti la lettura è un po’ sfocata, può significare qualunque cosa. Se si ha un orientamento scientifico-spirituale, invece, anche i più piccoli dettagli diventano subito molto più precisi. E adesso desidero mostrarvi come lo diventano.

“Questo dice il Figlio di Dio, che ha occhi come fiamme di fuoco” è una frase potrebbe andar bene anche a “3”,“2” e “1”? Se non si ha un orientamento scientifico-spirituale più preciso ci si può dire: ma sì. Se invece si ha questo orientamento, e si sa di essere a “4” allora ci si dice: adesso dev’essere sottolineato energicamente che l’opera del Padre è al termine (Fig.2,V). L’operare del Padre, infatti, crea tutte le premesse: è la natura, la natura triplice dell’uomo (corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale), e il senso dell’operare del Padre è che venga mandato il Figlio, che adesso arrivi il Figlio.

Vuol dire che l’azione del Padre, l’azione della natura, si realizza nel Figlio, in ciò che il Figlio dell’uomo, l’uomo, ne può fare. Allora qui a “4” il riferimento al Figlio di Dio non fa più un’impressione indistinta – ma sì, il Figlio –, ma ciò che emerge a questo punto è molto preciso e mi stupirei se l’espressione “Figlio di Dio” comparisse in altri passi del testo. Ma non capita.

Questo come piccolo esempio di come – per dirla in breve – l’Apocalisse sia un testo esoterico scritto nel linguaggio specialistico dell’esoterismo: un linguaggio che non è meno preciso, scientificamente preciso, di quello usato per un libro di fisica, di matematica o di cucina. Quando si ha una ricetta per cucinare qualcosa non si può essere approssimativi con gli ingredienti, come se un chilo o mezzo chilo fossero la stessa cosa. Io non sono un cuoco, ma mi sono permesso di dire che in alcune cose bisogna essere un po’ più precisi se si vuole ottenere la cosa giusta.

Lo stesso con questi testi. Solo che fino ad ora andava bene che queste conoscenze, queste conoscenze scientifiche, andassero perdute nel corso dei secoli “petrini”, del cosiddetto cristianesimo di Pietro, perché solo così oggi il singolo ha la possibilità, nella misura in cui cerca, di sperimentare la privazione Perché il presupposto per una ricerca libera è che nell’anima si sperimenti la privazione.

Gli eventi mondiali – l’Apocalisse ne parla soprattutto nella seconda parte – si preoccupano amorevolmente di far sorgere ancora più sofferenza nell’umanità, per portare un numero sempre maggiore di uomini a sentire la mancanza dello spirito. È infatti solo quando l’individuo, non gli altri, ma quando io sento la mancanza dello spirito che mi metto a cercarlo davvero di mia iniziativa. Ma il nuovo accesso allo spirito, individualizzato, libero e creativo, non potrà più essere una fede nello spirito, perché la fede nello spirito ha portato l’umanità a un punto morto. Andava benissimo per lo stadio infantile, ma adesso l’uomo cerca una solida conoscenza scientifica del sovrasensibile, spinto dalla privazione… sente per così dire la mancanza di ciò che cerca, e talvolta senza saperlo.

Come mai? Perché si è abituato per cinquecento o seicento anni ad aver a che fare con il mondo materiale terreno a livello scientifico e non in modo disordinato. Allo spirito moderno ci si deve accostare con un atteggiamento scientifico, non più in modo raffazzonato. E per lo spirito moderno la fede nelle cose spirituali è trasandatezza, se mi si consente l’espressione. Per questo non ne vuole sapere, perché non lo soddisfa nella sua richiesta, nella sua esigenza di conquistare una conoscenza oggettiva, fondata, solida, saggia.

L’Apocalisse è il libro più adatto ad introdurre l’uomo ad una conoscenza scientifica del sovrasensibile, solo che quando l’uomo si misura con questo testo si accorge di aver bisogno di molti prerequisiti. Il prerequisito di gran lunga migliore nell’umanità moderna è questo “dono del secondo avvento” all’umanità, la scienza dello spirito di Rudolf Steiner. Cristo è libero di farlo, nessun uomo gli può vietare di dare all’umanità una grammatica del secondo avvento per mezzo dell’individualità di Rudolf Steiner. Ed io capisco la scienza dello spirito di Rudolf Steiner come qualcosa che fornisce lo strumento intellettuale scientifico, l’attrezzatura intellettuale, per comprendere i misteri del secondo avvento, della presenza spirituale, dell’azione spirituale del Cristo.

Il Figlio di Dio ha occhi come fiamme di fuoco: gli occhi vengono pervasi dalle forze volitive, così che l’uomo diventi sempre più un Io. Gli occhi dell’uomo animico sono occhi che ricevono solo passivamente, dove gli eventi del mondo vanno in una sola direzione. Ma gli occhi come fiamme di fuoco sono occhi che oppongono le forze del pensiero a ciò che percepiscono. Questo sono le “fiamme di fuoco”: le forze del pensiero quando l’uomo ci riversa la sua volontà, la sua volontà evolutiva, la sua volontà individuale. L’uomo capisce le cose grazie all’incontro fra la luce animica della percezione e la luce spirituale, individuale, del pensiero.

È questo lo sguardo mirato di cui parlavamo ieri: è quando l’uomo non si limita più a vedere qualcosa, ma guarda con precisione. Le “fiamme di fuoco” simboleggiano la forza dell’attenzione. L’amore nel pensiero è infatti l’attenzione ed è grazie alla forza dell’attenzione che l’uomo sa se ciò che percepisce è importante per il suo karma, se si rivolge al suo Io, alla sua volontà, per chiedergli qualcosa. Non c’è niente che io percepisca al di fuori di ciò che il mio Io, il mio Io spirituale vuole vedere. E il vedere viene impregnato della mia volontà karmica, delle fiamme di fuoco, in considerazione di quello che vuole da me. Come mi devo rapportare a questa persona che incontro, a questa situazione, a questa percezione passeggera, apparentemente passeggera?

E la vita nell’attenzione amorevole è il permeare di “fiamme di fuoco” la forza visiva. Così che l’uomo impari ad amare tutto ciò che vede, tutto ciò che percepisce. Perché allora la sostanza pervasa di volontà del suo Io lo chiama a progredire.

2,18 «e i suoi piedi sono come minerale aurifero»

Se già la percezione è infiammata dalla forza dell’attenzione, dell’amore (come fiamme di fuoco), tanto più allora lo saranno i piedi, i passi e le azioni – i piedi rappresentano gli arti, quindi l’elemento volitivo. Negli occhi (l’elemento conoscitivo) già ci dev’essere l’amore, e tanto più nelle azioni. Tutta la Terra, tutta l’attività della Terra viene trasformata in minerale aurifero, cioè tutto diventa amore, azione d’amore.

2,19 «Conosco le tue opere: il tuo amore e la fede e il tuo servizio e la tua pazienza e so che col passar del tempo fai sempre di più».

O d£ sou t¦ œrga kaˆ t¾n ¢g£phn kaˆ t¾n p…stin kaˆ t¾n diakon…an kaˆ t¾n Øpomon»n (òida su ta èrga: kai ten agàpen kai ten pìstin kai ten diakonìan kai ten ypomonèn). Qui, dopo t¦ œrga (ta èrga), “le tue opere”, bisogna mettere i due punti, e dopo questi due punti vengono quattro cose femminili. Vediamo che siamo al “4”, quarto punto evolutivo. Allora, possiamo partire dal presupposto che in tutte queste opere dell’Io, della chiamata all’Io, dove l’Essere dell’Io si è incarnato (l’Essere dell’Io, il Cristo, si è incarnato nella civiltà greco-latina) si parli di una quadruplicità.

Nelle “opere” agiscono anche il corpo fisico, il corpo eterico e quello astrale, e a questi si aggiunge l’Io; ¢g£phn, p…stin, diakon…an, Øpomon»n (agàpen, pìstin, diakonìan, ypomònen). Lascio a voi la distribuzione di questa quadruplicità, poiché si tratta di quattro mondi: 1) l’amore, l’amore spirituale; 2) la fede, ma della parola italiana “fede” dovremmo dimenticarci perché è caduta in discredito. La fede è pìstis nel Nuovo Testamento: in questa parola c’è una quantità di mondi, di passi evolutivi. Solo che, a causa dell’annacquamento petrinico e materialistico dello spirito del cristianesimo, la fede ha perso ogni contenuto e, soprattutto in ambito protestante, è rimasto solo un “ritenere vero”, la fede appunto. Per questo dico sempre: se lasciate “fede” nella traduzione, ricordatevi sempre che a questo termine va aggiunto qualcosa.

Allora, prima c’è l’amore, l’amore spirituale, e poi pìstis che traduco con: “la fiducia originaria nella natura dell’uomo”. La fede è a fiducia originaria nella natura umana, nell’intuizione avuta dalla divinità al momento della creazione dell’uomo. Questa pìstis, la fede, è la visione del fatto che se l’uomo è la suprema creatura del buon Dio presente sulla Terra, allora dev’essere qualcosa di buono. Questa è la fede: l’indistruttibile fiducia originaria nell’assoluta positività della natura umana, positività voluta e creata da Dio. Non si tratta solo di qualcosa di intellettuale, è molto più qualcosa di legato alla volontà, un amore imbevuto di volontà per la pienezza della natura umana, per ciò che Dio si è immaginato quando ha creato l’uomo.

Allora, l’amore spirituale, poi la fiducia originaria, e 3) il servizio – diakonìan –, il servizio reciproco: tutte le forze e tutti gli uomini sono qui per servirsi a vicenda, non è un tendere a separarsi delle forze, ma un tendere ad agire le une per le altre. La salute di un organismo consiste nel fatto che tutte le cellule o tutte le membra si servano a vicenda. La salute è un servizio reciproco. E l’umanità è pensata come un organismo, e il mondo intero come un organismo in cui tutti sono al servizio di tutti, dove ci si sostiene a vicenda.

E poi il concetto della 4) pazienza: Øpomon»n (ypomònen); non solo lasciarsi mettere sotto pressione, ma sopportare la pressione. Ypomònen, questa tenacia è la coscienza che l’evoluzione dovrà durare un certo periodo. La pazienza è la coscienza che l’evoluzione dell’uomo, l’umanizzazione, non può aver luogo da un momento all’altro. E l’uomo più maturo è quello che ha più forza per affrontare periodi più lunghi per preparare qualcosa, per lavorare per qualcosa. Ci sono esseri umani che hanno la forza di lavorare per qualcosa per tutta la vita, lasciando addirittura aperta la possibilità che le cose funzionino o meno. L’importante è sperimentare questa forza primigenia dell’uomo, mantenere la propria idea, non arrendersi subito. E per l’uomo è di estrema importanza non rinunciare a questa forza al primo ostacolo o alla prima prova. Agire così sarebbe infantile.

La pazienza ad esempio è una forza morale che porta l’uomo moderno a chiedersi: è proprio vero che devo aver il fiato così corto da dover vivere tutto in una sola vita, oppure adesso – all’inizio del terzo millennio –, mi si richiede di imparare ad avere tanta pazienza? Ritengo che sia possibile, ma bisogna esercitare la pazienza e non è una cosa che arriva dalla sera alla mattina. Ma oggi o adesso è possibile – davvero – fare cose di cui si sa fin dall’inizio che si potranno cogliere i frutti solo nella vita successiva, o in quella dopo ancora. Questa è la perseveranza. Ma c’è, è possibile.

Se restiamo troppo presto senza fiato, vogliamo davvero ottenere tutto in una sola vita. È il contrario della pazienza. “Pazienza significa: diventare coscienti di avere a disposizione tutta l’evoluzione della Terra. Con il mio infantilismo, il mio fiato corto, la mia impazienza, non devo aspettarmi di raccogliere in una vita sola tutto ciò che ho seminato. Devo coltivare ogni giorno la forza morale di seminare oggi, non solo per me, ma anche per l’umanità intera, tenendo conto che mi sta bene se questi semi germoglieranno fra mille anni. Vivere in questo modo è liberatorio, non si è più così dipendenti dal fatto che i risultati, i successi, debbano emergere subito. È questo che sta distruggendo il mondo intero al giorno d’oggi, questa fissazione su un successo immediato, apparente, esteriore, che successo non è.

Vi avevo promesso che sarei andato avanti un po’ più velocemente. In questo caso è con me che dovete esercitare la vostra pazienza. È molto bello in queste lettere che ora venga detto che cosa c’è ancora da fare, come una madre affettuosa che al bambino dice prima le cose che vanno bene, così da rafforzarne la fiducia in se stesso, e poi quelle che ancora devono essere fatte, così che l’evoluzione non si fermi e il bambino possa andare avanti.

2,20 «Ma ho contro di te che tolleri Gezabele, quella donna che sostiene di essere una profetessa e insegna e seduce i miei servi, inducendoli ad esercitare la fornicazione e a mangiare le offerte agli idoli.»

Ecco che ad un tratto abbiamo Gezabele, e al quarto stadio. Qual è il concetto di Gezabele? In breve, pensate al fenomeno del sibillismo che Michelangelo, nella Cappella Sistina, ha contrapposto così splendidamente ai profeti. Il pensiero di fondo è che i profeti vivono nell’elemento dell’assennatezza, dell’Io, mentre le sibille vivono nell’elemento estatico, dove l’Io non può entrare in azione perché l’uomo confida maggiormente nelle forze extraumane. E le varie sibille vengono rappresentate da Michelangelo una legata all’elemento aria con il velo così vaporoso, un’altra all’elemento terra, un’altra ancora all’elemento acqua e quindi indicano l’uomo ancora senza un centro e in balia degli elementi subumani. È l’uomo che cerca di impedire che entri in azione la forza dell’Io, adesso che l’Essere dell’Io si incarna nella civiltà greco-romana.

La sibilla ritiene di essere una profetessa, ma non lo è, poiché la profezia dirige il proprio sguardo sul compito per il futuro. Gezabele è l’essere umano del passato che in fin dei conti non vuole l’individualità futura. Si spaccia per profetessa, millanta di preparare il futuro, l’individualità, ma in realtà rende l’uomo ancor più schiavo delle forze naturali. Questa è l’affermazione fondamentale. Cioè, fa tornare indietro l’uomo. E nei secoli limitrofi alla svolta dei tempi il conflitto con il sibillismo ha avuto un ruolo centrale. Il superamento del sibillismo non si è ancora concluso poiché anche oggi, per esempio nel cattolicesimo, abbiamo una gran quantità di visionari, o forse piuttosto di visionarie, dove il sibillismo aspetta ancora di essere superato.

Conosco persone che hanno più considerazione per le rivelazioni di certi visionari che del Nuovo Testamento e della scienza dello spirito di Rudolf Steiner, e sostengono di essere cristiani. Questo è l’anticristianesimo che fa regredire l’uomo. Dove l’uomo diventa dipendente da un qualunque visionario, siamo in presenza della distruzione dell’Io. L’azione del Cristo consiste infatti nella sempre maggiore autonomia dell’uomo nel proprio Io. Che uomo è quello che deve ricevere le rivelazioni di qualcun altro per renderle importanti? È un uomo che distrugge le forze dell’Io, le forze cristiche dentro di sé, anche se è dotato di buona volontà. Di Gezabele viene detto anche che ha tutta la buona volontà di essere una profetessa, di far progredire l’uomo, ma in realtà lo fa tornare indietro poiché non capisce il criterio dell’evoluzione. Il criterio dell’evoluzione in avanti è l’Io. Tutto ciò che favorisce l’Io è cristico e tutto ciò che lo riduce è anticristico.

Potremmo allora dire, in modo ancor più scientifico-spirituale, che questa Gezabele è davvero un simbolo importantissimo degli avvenimenti umani. Isebel, Gezabele, ‘Iez£bel (Iezàbel) in greco, il nome cambia a seconda del manoscritto.

Possiamo farci un’idea scientifico-spirituale di questa Gezabele: è l’anima, per questo è femminile, l’anima dell’uomo, così come si è manifestata per la prima volta nel quarto periodo culturale presso i Greci e i Romani, e che Aristotele ha descritto. Magari faccio uno schizzo (Fig. 3,V). Allora, questa linea orizzontale è la vita dell’uomo, nascita e morte. In Platone (quindi prima di Aristotele) è ancora più che evidente che l’uomo come essere spirituale scende in questo corpo terreno dal mondo spirituale. Quindi il cerchio bianco è il corpo terreno, e l’uomo in quanto spirito vi entra e abita il corpo, vive sulla Terra. Poi il corpo muore, qui sotto il corpo ritorna alla Terra e l’uomo in quanto spirito fa ritorno al mondo spirituale (disco in alto a destra).

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Fig. 3, V

Fino a Platone ciò non era mai stato messo in dubbio. La cosa nuova è che Aristotele non parla più della preesistenza – la preesistenza è l’esistenza dello spirito umano prima della nascita –, e il suo trattato, la sua opera Perì psychès (Sull’anima), parla solo dell’elemento animico che viene vissuto nell’interazione con la fisicità. Non che Aristotele neghi la preesistenza: non ne parla, la lascia perdere, non ne parla. Il rosso allora sarebbe lo spirituale, magari per l’anima prendo il verde, anche se il verde non è proprio adatto, ma voi mi capite. Aristotele parla solo dell’elemento animico (il tratteggiato in figura) che viene vissuto nell’interazione con la fisicità: Aristotele parla solo delle esperienze, delle emozioni, dei pensieri, delle rappresentazioni, dei ricordi psichici dovuti alla fisicità.

Questo elemento animico esiste, quest’anima esiste, c’è una gran quantità di esperienze interiori che sono possibili solo grazie alla fisicità, è vero. Solo che questo elemento animico che l’uomo deve alla fisicità deve aver inizio là dove sorge la fisicità e aver fine dove la fisicità svanisce. C’è qualcos’altro nell’uomo che preesiste già, anche senza corpo, e continua ad esistere anche dopo la scomparsa del corpo? Di questo Aristotele non parla più. E da allora si è diventati ancor più materialisti, al punto che persino nel cristianesimo – perché in fin dei conti questo non è cristianesimo, è anticristianesimo che dev’essere superato – si è negata l’esistenza dello spirito, affermando che l’uomo consiste solo di anima e corpo[7]. È l’inizio dell’anticristianesimo, perché allora non c’è più l’Io, l’Io come spirito. Ma queste sono tutte le necessità evolutive per vedere qual è il compito dell’individuo, per conquistare di nuovo tutte queste cose, riconoscerle atonomamente.

Allora si è detto che l’uomo consiste solo di corpo e anima, e che l’anima è per definizione ciò di cui l’uomo fa l’esperienza grazie alla fisicità. Ma se si dice che quest’anima è immortale anche senza corpo, si tratta di un imbroglio assoluto, è solo una soluzione imbarazzante per continuare a dire, come si era sempre detto, che l’uomo dev’essere immortale. Ma se questo elemento animico, sperimentabile solo grazie alla fisicità, non viene più vissuto perché il corpo non c’è più, allora hanno ragione i Greci a dire che dopo la morte l’uomo è solo una larva e conduce solo un’esistenza umbratile. Allora cosa resta di immortale dell’uomo dopo la sua morte? Solo lo spirito. Ma è proprio lo spirito che la teologia odierna conosce a malapena o per niente.

Gezabele è la definizione specifica dell’uomo che di sé conosce soltanto l’elemento animico sovrasensibile, sperimentabile fra la nascita e la morte. Si tratta, se volete, di materialismo, poiché l’uomo fa l’esperienza solo di ciò che è reso possibile dalla materia. Questa è impurità, oscuramento dello spirito, dato che l’uomo fa l’esperienza solo di ciò che la materia non libera, la materia deterministica, produce in lui tramite le leggi della natura. Questa Gezabele è quindi la negazione della libertà dell’uomo, poiché la libertà è solo nello spirito, e solo se nel corso della vita l’uomo fa agire lo spirito da spirito, solo se l’anima si unisce sempre più allo spirito e lo coltiva. Lo spirito è la facoltà di prendere posizione liberamente, di dominare tutto quello che sale gorgogliando dal corpo; in pratica tutto ciò è stato oscurato. Gezabele è l’impurità e l’oscuramento dell’anima che ha perso di vista il proprio spirito.

Come già detto, non si tratta solo di una mancanza di autocontrollo sessuale che dev’essere moralizzata: questo sarebbe un moralismo. Il concetto va inteso in senso molto più ampio, molto più scientifico. Questo è il concetto, e adesso sì che capiamo: Gezabele sosteneva di essere una profetessa, di mostrare all’uomo come vanno avanti le cose, ma è esattamente il contrario; non aumenta le forze dell’Io, ma le riduce, fa regredire l’uomo nella sua evoluzione. Alla faccia della profetessa, perché profetessa vuol dire “che porta avanti” l’uomo.

E poi seduce i servi di Dio o di Cristo inducendoli alla fornicazione e al sacrificio agli idoli. Questi due concetti ve li ho illustrati ieri. I “sacrifici agli idoli” è il darsi alle forze naturali esteriori e la “fornicazione” è l’impurità interiore dell’anima, l’oscuramento dell’anima, l’impulsività dell’anima.

L’idolatria è la necessità di natura e la fornicazione è l’impurità interiore dell’anima, la mancanza di controllo interiore. Da una parte l’onnipotenza del corpo e dall’altra l’impotenza dell’anima. La fornicazione è l’impotenza dell’anima e l’idolatria è l’onnipotenza della fisicità, delle leggi di natura.

Nello studio dell’Apocalisse bisogna sempre pervenire a descrizioni specifiche, mai vaghe; bisogna fare in modo di spiegare le cose in modo scientifico-spirituale oppure dirsi: bene, aspetto ancora. Magari studierò a fondo qualche dozzina di volumi dell’Opera Omnia di Steiner e poi mi accorgerò improvvisamente di capire qualcosa dell’Apocalisse (perché i quattro volumi che trattano esclusivamente dell’Apocalisse non bastano). Naturalmente i volumi che vi ho indicato costituiscono un’ottima base se li si studia a fondo più volte, ma molte più cose si rivelano se si cerca di approfondire la scienza dello spirito da tutti i lati, cercando ispirazioni sul significato delle varie cose.

Ma è anche molto bello, è la cosa più bella della vita. A che scopo siamo sulla Terra? Rompersi la testa a vicenda, come facciamo oggi, non è molto meglio.

2,21 «E le ho dato tempo di fare penitenza»

Ancora la penitenza. Vuol dire che all’anima umana, a Gezabele, viene dato tempo per cambiare modo di pensare. Cosa significa cambiare modo di pensare? Abbiamo di nuovo metanoèin. Cambiare modo di pensare significa non pensare più come l’anima umana, come Gezabele, di essere impotenti nei confronti della fisicità. Questo ha pensato l’anima e così pensano ancor oggi molte anime professoresse, ma anche l’uomo comune. Dicono: nella mia anima io sono il risultato dell’azione dei geni del mio corpo.

Cambiare modo di pensare significa ribaltare il pensiero, pensare che siamo chiamati, non obbligati, altrimenti non saremmo liberi. Ma la libertà consiste nell’aver fiducia e nel sapere che è possibile cambiare modo di pensare: che la causa è lo spirito, che è lo spirito a decidere ciò che avviene nel corpo e nell’anima. Questo è il capovolgimento del pensiero.

Allora il pensiero caduto, il peccato originale della coscienza, è la convinzione che la materia sia la causa e l’anima l’effetto. Questa è la coscienza caduta, la coscienza non cristica, la coscienza in cui l’uomo in quanto tale viene ucciso. La redenzione del peccato originale intellettuale, in cui la coscienza si cristifica, il principio della redenzione della coscienza caduta è: lo spirito è la causa, il corpo l’effetto, l’anima l’effetto. Occorre cambiare completamente il proprio modo di pensare.

Ripetiamo, la coscienza umana caduta, antiumana, abbandonata da tutti gli spiriti, dice: la materia è la causa, l’anima e lo spirito sono l’effetto. Avete sentito questa frase nell’umanità odierna? Ma dappertutto! È un’affermazione categorica senza pari, adatta a intimidire l’uomo al punto tale che quando egli si mette in testa di ribaltare questo principio viene fatto passare per dilettante, per un perfetto idiota. Proprio per questo il cambiamento può avvenire solo grazie al coraggio del singolo, che deve sapere che all’inizio avrà contro il mondo intero. Il capovolgimento del principio è questo: lo spirito, lo spirito umano può (non deve, dato che lo spirito è libero e l’uomo può omettere di farlo) l’uomo può coltivare il proprio spirito in modo da farlo diventare la causa di ciò che si verifica nell’anima e nel corpo.

Se l’uomo coltiva questo cambiamento si meraviglierà di quanto sarà terapeutico. Come vogliamo infatti far terapia agli esseri umani se facciamo passare per scientifico l’assioma della malattia? Il principio per cui la materia è la causa, lo spirito è l’effetto, è l’assioma della malattia dell’uomo su tutta la linea, poiché lo pone in una situazione di totale impotenza nei confronti della fisicità. Ma la terapia su tutta la linea è la cura interiore di questo coraggio, di questa fiducia e di questa perseveranza; è il coltivare quotidianamente lo spirito dentro di sé, così da renderlo talmente forte, efficace, causale, da poter davvero sperimentare come si comincia a cambiare dentro di noi. Così che ci accorgiamo di avere la possibilità di decidere a partire dallo spirito come saranno la nostra anima e il nostro corpo.

Un uomo ha l’anima colma di depressione, vogliamo modificarne i geni per eliminare la depressione? È una cosa del tutto priva di senso. Che cos’è la depressione? Mancanza di pressione, perché lo spirito non ha impressioni. Ci vuole la pressione dello spirito per liberarsi della depressione. Finché si continuerà a cincischiare, le depressioni non potranno essere sconfitte. L’origine della depressione è la mancanza di spirito. L’uomo diventa depresso se non coltiva lo spirito. Se infatti comincerà a coltivarlo proverà così tanta gioia, gratitudine e pienezza da non saper più dove sta di casa la depressione.

All’anima umana viene quindi dato il tempo per cambiare il modo di pensare, di trasformare la convinzione fondamentale, l’affermazione fondamentale a proposito dell’uomo. La convinzione fondamentale, lo ripeto, il dogma della scienza odierna, delle scienze naturali, del potere della coscienza caduta è: la materia è la causa, lo spirito l’effetto. Una perversione umana senza pari. Pensiamo se fosse vero che il buon Dio ha creato l’uomo in modo che in lui la materia sia la causa e tutto ciò che accade nella sua anima e nel suo spirito sia solo un effetto. Un’assurdità assoluta, che contraddice qualsiasi esperienza di sé.

Ciò vuol dire che oggi i nostri scienziati non hanno il coraggio di prendere sul serio l’autocoscienza dell’uomo. Presentano un’affermazione categorica, un dogma contrario all’esperienza di sé che l’uomo fa quotidianamente. Che cosa viviamo infatti nell’autocoscienza? Quello che la nostra mente decide di farci fare. Sono le molecole o gli atomi del mio corpo a decidere dove andrò nella prossima ora, o lo decido io? Quando dico che adesso voglio andare a trovare un amico, ditemi un po’, sono le mie molecole, la mia materia, a decidere di andare a trovare il mio amico? Io come spirito, come essere umano pensante, ho concepito questa idea di andare a trovare un amico, e la mia materia, che pesi 70, 100 o 40 kg, la mia materia si adegua a questa decisione. La mia materia si muove in direzione dei miei pensieri, e non il contrario.

Il materialismo è il punto morto dell’uomo, solo che bisogna rendersene conto. L’autore dell’Apocalisse e del Vangelo di Giovanni è l’unico uomo ad essere stato iniziato direttamente dal Cristo. Ha lasciato solo due testi all’umanità, ma sono sufficienti. Solo che, se siamo fortunati, non siamo che all’inizio del porvi mano.

“Le ho dato il tempo di fare penitenza”. Mi fa sempre una gran tristezza vedere questa “penitenza”, perché mi dico: come può il pover’uomo del giorno d’oggi, che non ha la più pallida idea del greco metanoèin che ha a che fare con il pensiero, la coscienza, la conoscenza, come può arrivare a capire cosa si intende dire con “penitenza”? Perché mi sono informato, e in italiano fare penitenza vuol dire dare un po’ di soldi alla Chiesa o ai poveri.

Intervento: Nella nostra Bibbia c’è “trasformazione della tua coscienza”. È già qualcosa di diverso.

Archiati: Trasformazione della tua coscienza?

Intervento: Sì.

Archiati: È già molto meglio, va nella giusta direzione.

2,21 «ma non vuole convertirsi, non vuole abbandonare la sua fornicazione»

Cioè non vuole cambiare questa direzione in cui l’anima dipende completamente dal corpo – questa è la fornicazione, l’anima che dipende completamente dal corpo –, non vuole che l’anima diventi sovrana sul corpo in virtù dello spirito. Com’è preciso il testo se non vi si vedono solo cose confuse.

2,22 «Vedi, io getto sul letto lei e quelli che con lei hanno commesso adulterio con grande tribolazione se non cambieranno direzione dalle opere di lei»

L’anima viene gettata sul letto del corpo e anche quelli che hanno commesso adulterio, quindi chi ha a che fare, o ha rapporti sessuali, con Gezabele ha commesso adulterio. Si ammette che tutti quelli che vanno a letto con lei hanno commesso adulterio. L’uomo deve quindi avere un altro matrimonio. Cioè, l’anima che si dà al corpo commette adulterio nei confronti del suo sposo, lo spirito. Sono archetipi, davvero molto belli.

L’anima si sposa con il corpo, si abbandona agli automatismi, ai meccanismi, ai determinismi del corpo e diventa Gezabele. E diventando Gezabele tradisce il proprio sposo, lo spirito. Perché perde semplicemente lo spirito, smette di esercitare la forza creativa, la libera creazione dello spirito, e in pratica diventa sempre meno capace di esercitarla.

2,23 «E lascerò morire nella morte i suoi figli.»

T¦ tškna aÙtÁj ¢poktenî ™n qan£tJ (ta tèkna autès apoktenò en thanàto) Nelle traduzioni di solito c’è: e colpirò con la morte i suoi figli, ma greco non si parla affatto di colpire. “Li lascerò morire nella morte”. Significa che gli uomini che sono uomini di Gezabele muoiono anche nell’anima quando muore il loro corpo. Qui presso la quarta comunità emerge il mistero della morte, poiché è qui che si è verificata per la prima volta la limitazione della coscienza fra nascita e morte – e anche noi oggi viviamo in questa limitazione che si è verificata nel quarto periodo culturale. Per questo il Cristo ha dovuto attraversare la morte: per mostrare in che modo l’uomo porta lo spirito alla risurrezione attraverso la morte. Durante la vita deve solo coltivare sempre di più lo spirito. Per questo nel quarto periodo culturale appare il mistero della morte. L’uomo ha paura della morte perché si sente così dipendente da ciò che è perituro da vere i suoi buoni motivi per chiedersi: che cosa resta di me quando il corpo non c’è più?

Ci sono vari gradi di immortalità, l’ho sempre detto, l’immortalità di un uomo non è uguale a quella di un altro. La domanda dell’immortalità è: quanto resta di me quando il corpo viene a mancare? In uno rimane di più, in un altro di meno, a seconda di quanta spiritualità ha creato in libertà e amore nel corso della sua vita.

E se un uomo è un uomo di Gezabele, prendiamo il caso estremo di un uomo che vive solo passivamente, automaticamente nei ricordi, nelle rappresentazioni, nelle percezioni o nel cucinare i cibi che mangia ecc., se nella sua anima vive solo passivamente il risultato di ciò che la natura produce in lui, cosa resta di lui quando la natura, la fisicità, muore? Ha i suoi buoni motivi di pensare che rimanga ben poco, sempre che rimanga qualcosa. Per questo qui si dice: e lascerò morire nella morte i suoi figli. Dev’essere così, altrimenti non si evidenzierebbe il compito della libertà che è stato omesso. Con il corpo muore anche ciò che c’era nell’anima grazie al corpo.

2,23 «E tutte le comunità devono conoscere che io sono la forza di studiare reni e cuori»

Che io sono: qui viene detto che tutte le comunità, tutte quelle passate e quelle future, devono sapere che si tratta del diventare “Io” da parte dell’uomo. E questo accade nella parte centrale, poiché questa è la svolta. Infatti nel momento in cui l’uomo è in mezzo – corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e a “4” l’uomo diventa capace dell’Io – ottiene la forza di far evolvere il “3” in “5”, il “2” in “6” e l’“1” in “7”. Ma il perno è costituito dall’Io.

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Fig. 4, V

Per questo a tutte le comunità viene raccomandato l’Io, come cardine dell’intera evoluzione. Il senso dell’evoluzione sulla Terra è l’acquisizione dell’individualità da parte dell’uomo. Tutte le comunità devono conoscere l’Io-sono – gnèsontai (ghnòsontai), conosceranno, è una conoscenza spirituale, Óti ™gè e„mi (òti egò eimì), che Io sono. La realtà dell’Io, l’esperienza di sé come Io-sono: io sono colui che pensa, io sono colui che ama, io sono colui che agisce. Mi rendo responsabile dei miei pensieri e delle mie azioni.

Tutte le comunità, tutti gli stadi culturali, tutti gli stadi evolutivi devono essere intesi come contributi all’individualità dell’uomo. E l’Io, la forza dell’Io, è la forza di studiare, ™raunîn (eraunon), reni e cuori – i reni stanno per le forze volitive e il cuore per le forze d’amore. I reni corrispondono in basso a quello che sono gli occhi in alto. Si presuppone una fisiologia occulta per capire tutto ciò in modo sempre più profondo. Voglio dire che per capire sempre meglio l’Apocalisse, soprattutto nei settenari, bisognerebbe studiare le conferenze tenute da Steiner a Praga, contenute nel volume 128 dell’Opera Omnia Una fisiologia occulta. Il settenario degli organi, dei pianeti ecc.

2,24 «Ma a voi dico, agli altri di Tiatira che non hanno questi insegnamenti e non hanno conosciuto le profondità di Satana, come dicono loro, io dico: non voglio imporvi un altro carico»

Si rivolge a chi non ha la dottrina di Gezabele e non conosce gli abissi della magia nera di Satana, dove l’uomo si vota alle forze più oscure e ineluttabili della natura Qui abbiamo allora la polarità Gezabele e Satana. Nella misura in cui l’uomo indebolisce la propria anima, poiché essa non coltiva a sufficienza lo spirito, cioè quanto più l’anima si “gezabelizza”, tanto più Satana, l’elemento corporeo, le leggi di natura, la pesantezza della natura, hanno la possibilità di catturare l’anima. L’elemento arimanico, Satana, è quindi sempre una conseguenza dell’azione di Lucifero. Solo quando l’uomo stesso indebolisce interiormente la propria anima, la natura prende il sopravvento in lui. Ma la potenza della natura è sempre una conseguenza del fatto che l’uomo ha omesso di rafforzare la propria anima.

È sempre vero il principio secondo cui nel corpo e nell’anima ci sono solo le conseguenze di ciò che l’uomo compie o omette a livello spirituale. Lo spirito coltivato o trascurato è la causa di ciò che è presente o meno nell’anima, ed è la causa della potenza più o meno grande esercitata dal corpo sull’uomo.

Ci basta prendere concetti come quelli di Gezabele e di Satana come termini tecnici e non abbiamo più bisogno di moralismi, dobbiamo solo capire a livello scientifico-spirituale che cosa si intende con questi concetti.

2,25 «ma quello che avete tenetelo saldo fin quando io verrò.»

Quello che avete è appunto il germe della forza dell’Io, che va tenuto saldo finché l’Io, l’Essere dell’Io, non arriverà sempre più. Se l’Essere dell’Io non fosse sempre in arrivo, dovremmo partire dal presupposto che l’uomo abbia già l’Io, ma questo sarebbe un errore. Se l’uomo infatti avesse già l’individualità, la forza dell’Io, allora questa non sarebbe oggetto della libera conquista creativa dell’evoluzione intera.

Per quanto riguarda l’uomo, l’Io – anche l’Io cristico – va sempre inteso in divenire, come compito della libertà, dell’amore, della responsabilità morale. Non è automatico che venga, non è automatico che il Cristo venga interiorizzato, assimilato dall’individuo.

O al contrario, nella venuta del Cristo dobbiamo distinguere due dimensioni, ne ho parlato spesso. Una venuta è quella esteriore, storica, cosmica, che ha avuto luogo duemila anni fa. Ma questa venuta del Cristo sulla Terra, storicamente nell’aura della Terra e nell’umanità, non avrebbe alcun senso se non fosse la premessa, se non creasse le condizioni per rendere possibile ad ogni uomo l’altra venuta, ben più importante, la venuta nel suo pensiero, nella sua coscienza, nel suo amore e nelle sue azioni. Questa venuta individualizzata, interiorizzata, del Cristo è l’esperienza dello Spirito Santo. E in questo non siamo che agli inizi.

Quindi il Cristo viene per l’umanità, a livello storicamente oggettivo, duemila anni fa. Ma la domanda molto più importante è: come arriva da me? Come entra nel mio essere? È la questione dell’evoluzione in libertà.

In queste ultime settimane ho tenuto conferenze pubbliche su islamismo, ebraismo e cristianesimo in cui ho espresso il pensiero – che qui riferisco brevemente – che ebraismo e cristianesimo avranno un futuro solo se riconosceranno la loro unilateralità. L’unilateralità del cristianesimo consiste nell’aver creduto che il Cristo sia già venuto, escludendo l’altra metà della sua venuta, quella più importante. Cristo è venuto per quanto riguarda la venuta oggettiva, storica, cosmica, ma c’è un’altra venuta, dove il singolo lascia che il Cristo entri nella sua coscienza, nel suo pensiero, nel suo amore, nelle forze del suo cuore, nelle sue azioni. E per questo avvento, per questo secondo avvento dell’appropriazione individuale, dell’interiorizzazione del Cristo, l’individuo ha bisogno della seconda metà dell’evoluzione. E può essere felice di essere già all’inizio di questa venuta.

Per quanto riguarda la venuta individuale e interiorizzata del Cristo, allora, è giusta l’affermazione dell’ebraismo, secondo cui Egli deve ancora venire. Il Messia sta ancora arrivando. E l’ebraismo è altrettanto unilaterale nell’escludere, nel respingere l’affermazione fondamentale del cristianesimo. Perché dicendo che il Messia deve ancora arrivare, l’ebraismo ignora l’altra parte, – altrettanto importante –, che il Messia può arrivare all’individuo solo se lo stesso Messia, come essere spirituale oggettivo, crea nella Terra e nell’umanità i presupposti per rendere possibile questo nuovo avvento. La venuta oggettiva, storica, naturale del Cristo, del Messia, avvenuta duemila anni fa è la condizione necessaria perché l’individuo possa intraprenderne l’interiorizzazione.

La disputa fra ebraismo e cristianesimo consiste nel fatto che ognuno dei due, nella propria tragica unilateralità, ha escluso l’affermazione dell’altro e potrebbe risolversi solo se entrambi dicessero: la mia affermazione diventa vera solo se le aggiungo la tua. Il cristianesimo deve dire: la mia affermazione secondo la quale il Cristo è già venuto è vera solo se le aggiungo l’altra affermazione secondo cui Egli deve arrivare al singolo, solo così la sua venuta sarà completa. E questo arrivare ai singoli individui è solo all’inizio, ci attendono molte più cose di quante ne siano già accadute.

E l’ebraismo deve dire: ho il diritto di sottolineare questa venuta ancora da compiersi e di considerare ‘avvento individuale solo se accetto che questo Messia sia già venuto sulla Terra per creare le condizioni necessarie affinché l’individuo possa far sue tutte le forze del Messia. Per questo in tutta la natura, in tutta la Terra, nell’aura intera della Terra (per esempio nel modo in cui i cibi agiscono sull’uomo), il Messia deve operare in maniera tale per cui le forze di natura non eserciti più un effetto coercitivo sull’uomo, ma consentano la libertà. Il fatto che le forze della natura consentano la libertà lo dobbiamo alla prima venuta del Cristo: a questo sta già lavorando da duemila anni. Ma il fatto che le forze della natura consentano la libertà non significa che l’uomo debba afferrare la libertà, essa gli viene solo resa possibile. La presa in mano della libertà, l’esercizio della libertà da parte dell’individuo è la seconda venuta, e in questo, se siamo fortunati, siamo solo agli inizi. Qui è giusta l’affermazione fondamentale dell’ebraismo, che dice che Egli deve ancora venire. Per questo abbiamo a disposizione la seconda metà dell’evoluzione.

2,26 «E chi vince e mantiene le mie opere fino alla fine darò il potere sui pagani»

Qui si rivolge all’individuo: “chi”. “Le mie opere” sono le opere dell’Io, e chi vince compie le opere dell’Io fino alla fine dell’evoluzione terrena. Vedete, avevo appena parlato della prospettiva della fine. La venuta del Messia nell’individuo fino alla fine dell’evoluzione terrena: le opere dell’Io durano fino alla fine dell’evoluzione. Come possiamo sostenere che sia già venuto, che tutto sia già stato fatto?

È quindi indispensabile per l’ulteriore dialogo, per una comprensione fra cristianesimo ed ebraismo, operare una distinzione fra queste due venute, altrimenti ci si combatterà in eterno. E la tragedia incommensurabile, perdonatemi se lo dico, è che il popolo protocristiano mitteleuropeo come quintessenza del cristianesimo – poiché da nessuna parte c’è tanto cristianesimo come nell’idealismo tedesco, nel goetheanismo tedesco o nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner: è tutta spiritualità mitteleuropea come dono cristiano della Mitteleuropa all’umanità intera – là dove c’era la chiamata, a partire dalla lingua, a partire dalla spiritualità del popolo, a coltivare massimamente il cristianesimo archetipico, questo popolo mitteleuropeo ha condiviso con il popolo ebraico il destino più tragico che ci sia. Questa è la tragedia del cristianesimo e dell’ebraismo, nella misura in cui l’ebraismo nega la venuta storica del Cristo e il cristianesimo diventa unilaterale per via della negazione della seconda venuta del Cristo, che ancora non si è avverata mentre.

A proposito, il cristianesimo ha sempre parlato di un secondo avvento. Ma che cos’è il secondo avvento, se Lui è già venuto? Ma è ovviamente l’altra dimensione della sua venuta, non più quella oggettiva, fisica, storica che si è già verificata, bensì quella interiore, individuale. Allora già nel cristianesimo si parla di queste due dimensioni della sua venuta, che però non sono state affatto capite. Dov’è che troviamo nel cristianesimo odierno una coscienza del secondo avvento del Cristo? Nella scienza dello spirito di Rudolf Steiner.

Quindi là dove la Mitteleuropa era chiamata a coltivare l’elemento più puro della prima venuta del Cristo e del secondo avvento, là c’è il destino più tragico – a causa del dimezzamento del cristianesimo che ha visto solo una venuta – insieme al popolo che ha portato all’umanità l’altra affermazione, tragicamente unilaterale, che dice: no, il Messia non è arrivato, deve ancora arrivare. Osservando questo tragico destino l’umanità, l’individuo deve rendersi conto di dove si va a finire con le unilateralità: che non si capisce che la venuta del Cristo di duemila anni fa ha creato le condizioni per l’altra venuta, molto più importante anche per l’individuo.

Ma questo futuro possibile, quello della riconciliazione, della vera riconciliazione, o dell’imbroglio fra spirito cristiano e spirito ebraico, è possibile solo per il singolo individuo che capisce le cose. Ma è a livello scientifico-spirituale che le deve capire, perché allora sono anche giuste. E questa riconciliazione diventa il compito evolutivo della libertà del singolo. Solo nel mio pensiero, nel mio cuore è possibile riconciliare queste due affermazioni fondamentali del cristianesimo e dell’ebraismo, poiché l’una non può essere vera senza l’altra. Ma allora l’umanità va avanti nell’individuo, prospettiva naturalmente meravigliosa per il futuro.

2,27 «e li dovrà pascolare con una verga di ferro e li dovrà frantumare come i recipienti di un vasaio»

Si tratta della volontà di ferro, della forza di volontà: è il midollo spinale, dove l’uomo sviluppa la volontà di ferro.

2,28 «come anch’io ho ricevuto il potere da mio Padre; e gli darò la stella del mattino».

“Da mio Padre”: vedete dunque che qui è sempre più il Cristo che parla, poiché siamo proprio nel periodo culturale di mezzo, quello in cui Cristo, il Figlio del Padre, è diventato uomo.

2,29 «Chi ha orecchie per intendere intenda ciò che lo spirito dice alle comunità.»

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Qualcuno si è lamentato perché ho saltato la stella del mattino. Vedete che obblighi ha un relatore: da una parte bisogna fare tutto e dall’altra non si può saltare niente.

Quella che vi do adesso è solo un’indicazione, uno stimolo per approfondire poi ulteriormente: la stella del mattino è Mercurio e la stella della sera è Venere. Solo nel corso del tempo questi due nomi sono anche stati scambiati.

Volevo dire che la Terra o Terra quattro, l’attuale evoluzione terrena, è divisa in due: la prima metà è quella del peccato originale (naturalmente sto abbreviando) ed è l’elemento marziano, Marte, martedì, mardi in francese; e la seconda metà Mercurio, mercoledì, mercredi.

La stella del mattino è Mercurio nel senso che è l’inizio del superamento della notte della guerra, in cui gli uomini nutrono sentimenti ostili gli uni nei confronti degli altri. Il peccato originale è la prima individualizzazione, il primo passo verso l’Io, l’impulso dell’egoismo. E così dev’essere, la prima fase della libertà è l’egoismo, e l’egoismo diventa poi il compito dell’amore, e l’amore ha il suo compito solo perché esiste l’egoismo. L’amore può superare a poco a poco l’egoismo.

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Fig. 5, V

La stella del mattino viene promessa, fatta sperare, come prospettiva globale della seconda metà: la redenzione. È l’esperienza della redenzione, quella che ho chiamato “la seconda venuta del Cristo” e che nell’Apocalisse viene rappresentata dalla stella del mattino. Uno dei suoi significati fondamentali è l’essere la seconda metà dell’evoluzione della Terra.

Prima c’è stato Saturno. Qualcuno ha chiesto: che cos’ha a che fare Saturno con il primo giorno della settimana? Come si dice in inglese? Saturday, Saturno. Sunday, Sonntag, domenica; lunedì, evoluzione lunare. Poi abbiamo martedì, mercoledì; poi abbiamo giovedì (Giove, Donar), Donnerstag. Poi abbiamo Freya, Freitag, venerdì. E l’altro che ho qui, Tuesday.

Saturday, Sunday, Sonntag, Montag e qui Marte. Dove abbiamo Marte nei giorni della settimana? In inglese Tuesday. Ziu è il dio della guerra nella mitologia germanica. I Germani urlavano dietro gli scudi: Ziu zwing Zwist, e i Romani si sono presi una paura tale che sono scappati via tutti. È così che i Germani hanno battuto i Romani. Ziu o Tiu, Tuesday, è il dio della guerra.

Adesso passiamo a Sardi, la quinta comunità di cui si parla nell’Apocalisse.

3,1 «E all’angelo della comunità di Sardi scrivi:»

A questo punto farei una digressione. Vi invito a leggere e a meditare su questo punto le conferenze di Steiner sull’Apocalisse contenute nel già citato volume 346 dell’Opera Omnia. Tra l’altro già ieri volevo accennarvi che sono conferenze tenute ai sacerdoti cristiani, che poi hanno guidato la comunità cristiana. E per chi conosce l’ambiente sorge la domanda: in che misura abbiamo il diritto di dare in mano all’uomo comune gli argomenti di conferenze tenute circa ottant’anni fa ai sacerdoti (non c’erano solo sacerdoti, c’era anche la presidenza)? In che misura abbiamo il diritto di divulgare cose che ottant’anni fa sono state comunicate solo ai sacerdoti? La mia risposta è che prima di tutto questo studio dell’Apocalisse non viene fatto in uno stadio, dove forse potrebbe anche esserci gente che non c’entra per niente. Viene fatto con le persone qui sedute, alla ricerca individuale di questi tesori e alla ricerca di comprensione; e la cosa molto più importante è il fatto che l’Apocalisse stessa, il testo, sottolinea fin dall’inizio come obiettivo dell’evoluzione che il cristianesimo sorge solo nella misura in cui ogni individuo diventa sempre più sacerdote e re.

È in questo senso che vedo il fatto che ci siano persone che non sono sacerdoti in senso rappresentativo. Questo è solo un momento passeggero; solo nella fase centrale dell’evoluzione, in cui gli uomini sono ancora più anima che spirito, è necessaria la presenza del sacerdote come rappresentante. È come un pedagogo: questa rappresentanza dev’essere superata, perché se dovesse rimanere in eterno così, l’uomo non diventerebbe mai maggiorenne. La rappresentanza allora deve agire in maniera da diventare superflua nel corso del tempo. Solo che questi passaggi durano secoli. E questo è il principio fondamentale della tolleranza reciproca, poiché l’amore comincia con la tolleranza.

E chi sente la chiamata ad assumersi sempre più la propria responsabilità in quanto uomo anche nei confronti dell’umanità intera, comincia a diventare sacerdote. In senso cristiano, nella misura in cui ogni individuo comincia ad assumersi la responsabilità dell’evoluzione di tutta l’umanità, diventa sacerdote. Chi pensa solo alla propria evoluzione non è ancora un sacerdote. Essere sacerdote in senso cristiano vuol dire sentirsi corresponsabile dell’evoluzione dell’umanità intera: è questo che fa dell’individuo un sacerdote. E questo surrogato di cristianesimo (i due millenni trascorsi dopo l’evento del Cristo, n.d.r.) aveva lo scopo di portare sempre più ogni uomo a questa responsabilità. Allora il sacerdote diventa superfluo. Il rappresentante serve a mostrare agli altri, che sono ancora più infantili, in che cosa consiste l’evoluzione.

Ed io ritengo che ora, all’inizio del terzo millennio, l’umanità pecchi piuttosto per il fatto che ci sono ancora troppo pochi individui che prendono sul serio il loro sacerdozio che per quello di averne troppi. Ovviamente esiste anche l’altra possibilità, che una persona presuma di affrontare queste conferenze di Rudolf Steiner già da sacerdote, pur non avendo magari ancora la maturità necessaria. È qualcosa che dobbiamo accettare, ma non deve automaticamente trattarsi di presunzione in ciascuno.

In altre parole, è cristiano incoraggiare ogni uomo dicendogli che il Cristo agisce nell’umanità così che ognuno debba assumersi sempre più la responsabilità non solo della propria evoluzione, ma anche di quella sociale e spirituale, anche in quanto re e sacerdote. Come re si assume la responsabilità a livello sociale, la responsabilità dell’evoluzione sociale di tutta l’umanità, e come sacerdote si assume la responsabilità dell’evoluzione spirituale.

In questo senso vedo non solo il diritto, ma addirittura la responsabilità che questi contenuti, queste conferenze, non rimangano proprietà privilegiata e privata di determinate persone, perché questo sarebbe contro lo spirito con cui sono state tenute, ma che ci siano sempre più individui che possano fruirne, non solo per saperne più di altri – non è di questo che si tratta –, ma per assumere su di sé la responsabilità morale del sacerdozio cristiano.

E alla pagina 64 e nelle seguenti di questo volume 346 c’è per esempio una meravigliosa descrizione di Efeso e Sardi come magnifica polarità. Se ve ne parlassi adesso, sapete come sono fatto, ci aggiungerei tutto il possibile di mio e arriveremmo alla fine della giornata. Potete leggerlo e studiarlo per conto vostro; è un buon esempio di come la scienza dello spirito di Rudolf Steiner fornisce strumenti davvero meravigliosi per decifrare questo testo.

Efeso come scuola misterica del Sole diurno e Sardi come scuola misterica del Sole notturno, del cielo stellato. C’erano davvero delle differenze molto marcate e pregnanti fra di loro. E questa Sardi è un’anticipazione del nostro compito nel nostro tempo, proprio perché il nostro compito è quello di tirar giù gli eventi celesti, cosmici, per mezzo di una scienza dello spirito. Di far cadere sulla Terra le stelle, facendole penetrare nella coscienza dell’uomo. È il primo ingresso sulla Terra, la caduta delle stelle sulla Terra. Per questo qui si parla subito delle sette stelle e dei sette spiriti.

In Steiner potete leggere che ad Efeso nella persona, nella donna, nella sacerdotessa che incorporava Diana, non si vedeva la donna, ma Diana, l’entità divina che si manifestava in lei, e l’essere umano in quanto tale scompariva. Invece a Sardi si guardava quella volta celeste nella notte e il Sole era un pianeta fra gli altri. Per questo sono sette, una settenario di pianeti.

3,1 «Queste cose dice colui che ha i sette spiriti di Dio e le sette stelle:»

I sette spiriti sono gli arti costitutivi dell’uomo, come compito globale dell’evoluzione, e le sette stelle sono da un lato i sette pianeti, ma dall’altro sono le sette incarnazioni concrete della Terra. Terra uno, Terra due, Terra tre, siamo a Terra quattro, poi viene la Nuova Terra (la Terra di Giove come la chiama Steiner, ma nella Bibbia è la Nuova Terra, la Nuova Gerusalemme) che è la Terra cinque, poi Terra sei e Terra sette. Sono le sette stelle.

E queste sette stelle, queste sette incarnazioni planetarie della Terra hanno questo scopo: la prima incarnazione ha lo scopo di fondare tutte le forze fisiche, il mondo minerale viene messo come base. Poi nella Terra due arriva l’elemento vivente; nella Terra tre quello animico; nella Terra quattro quello individuale, e il senso della Terra quattro è lo sviluppo dell’Io dell’uomo. Nella Terra cinque tutto ciò che è animico viene umanizzato, l’elemento animale diventa umano. Nella Terra sei l’elemento vegetale viene umanizzato e nella Terra sette nell’uomo atma, nell’uomo spirituale tutto il mondo minerale diventa un corpo di risurrezione – la pietra bianca, la pietra filosofale. È nello stesso tempo la redenzione congiunta di tutte le creature, pietre, piante e animali, che hanno compiuto il sacrificio cosmico di mettersi al servizio dell’evoluzione umana.

Nello stesso tempo il fatto che a Sardi – il quinto periodo culturale in cui siamo già da alcuni secoli – venga sottolineata questa settuplicità, significa che nella nostra epoca ci sono le premesse per comprendere che l’uomo non vive solo una volta in un periodo culturale. La coscienza umana oggi è progredita al punto che l’uomo ha la possibilità, grazie ad una scienza dello spirito, di comprendere nella sua coscienza la settuplicità, cioè la totalità. È questo il senso della settuplicità, del settenario. Ai tempi dei Greci infatti la coscienza dell’uomo non era ancora così evoluta da permettergli di comprendere il tutto. Per questo l’umanità ha bisogno di una scienza dello spirito, sorta per la prima volta a Sardi, presso la quinta civiltà. Ma prima dev’esserci la quarta, in cui l’Essere d’amore crea i presupposti per rendere l’anima di ogni uomo capace di comprendere lo spirito, una scienza dello spirito.

Il Cristo ha agito per tutto un periodo di tempo, 2.160 anni, perché siamo nella fase di passaggio. Voi direte: ah, allora possiamo aspettare ancora 160 anni. Non preoccupatevi, la maggior parte dell’umanità dovrà aspettare ancora ben più di 160 anni. Ma se non ci sarà almeno qualcuno che va avanti, quando arriverà il momento non potrà succedere quasi niente di ciò che dev’essere intrapreso. E dato che dev’essere così, che alcuni si prendano la responsabilità di andare avanti, e devono esserci, e altri non lo possono fare neanche con tutta la buona volontà, proprio per questo il principio fondamentale dell’evoluzione è la tolleranza reciproca. Una tolleranza che non è presuntuosa, ma è una forza fondamentale dell’amore. “Questo dice colui che ha i sette spiriti di Dio e le sette stelle:”

3,1 «conosco le tue opere: passi per uno che vive e invece sei morto»

È la massima della nostra epoca. Il materialismo, questo tratto di materialismo, è un periodo in cui l’uomo si immagina di essere vivo, mentre in realtà è morto. In quanto spirito è davvero morto come non lo era mai stato nel corso dell’evoluzione. Una morte necessaria nell’evoluzione come premessa per una risurrezione, una libera risurrezione dello spirito. Si tratta proprio della nostra epoca: Conosco le tue opere, passi per uno che vive e invece sei morto.

3,2 «Svegliati e rafforza il resto.»

In questo versetto, invece di dire “torna in vita”, dice: “svegliati”. Vuol dire che la morte effettiva dell’uomo è la morte della coscienza. Dove altro può morire l’uomo se non nella coscienza? Se mi dite che l’uomo è molto più morto moralmente, per via dell’egoismo, per via della mancanza d’amore, vi ricordo che ho già sottolineato come senza coscienza non sia possibile nessun tipo di amore umano. Vuol dire che se vogliamo risorgere nell’amore per l’essenza spirituale in ogni uomo, nell’amore per lo spirito in tutte le creature, dobbiamo prendere coscienza dello spirito. Il primo passo non è allora l’amore, ma lo svegliarsi, il coltivare la coscienza, la conoscenza.

Questo “svegliati” lo intendo nel modo più pregnante se lo traduciamo così: non lasciarti sfuggire nulla, non dormire di fronte alla realtà che ora nell’umanità – nell’umanità del tuo tempo –, ti viene offerto un impulso di risveglio senza pari. Lo devi cogliere, non ti viene imposto, ed è una conoscenza scientifica solida, anche se agli inizi, del sovrasensibile. Questo è lo svegliarsi: il dedicarsi ad una conoscenza scientifica dello spirituale.

Svegliati e rafforza il resto. Il rafforzamento reciproco non consiste in una costrizione qualsiasi, nel dirsi a vicenda che cosa dobbiamo fare. Questo è un indebolimento dell’altro; se viene guidato a piegarsi a degli ordini, a sottomettersi, dove sta il rafforzamento reciproco? Questo rafforzamento può consistere solo nel nostro aiutarci reciprocamente, così che ognuno diventi sempre più autonomo. Questa è la forza dell’uomo, la sua indipendenza. E dov’è che l’uomo diventa autonomo? Ma nel pensiero, ovviamente, nella conoscenza. È solo nel pensiero infatti che l’uomo è indipendente. Con le forze della volontà, quando facciamo qualcosa, dobbiamo tener conto di tutte le possibili forze esterne e di tutti i fattori naturali. Solo nel pensiero l’uomo ha a che fare esclusivamente con se stesso, per questo è libero.

C’è quindi un solo rafforzamento dell’uomo in cui egli diventa più indipendente: si tratta della forza di essere autonomo, cioè il pensiero. E l’amore reciproco può consistere solo nel rapportarci fra di noi in modo che ciascuno diventi più indipendente. Così ci si rafforza a vicenda.

3,2 «che sta per morire, poiché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio.»

Svegliati e rafforza il resto che sta per morire – che come spirito indipendente minaccia di morire sempre più. Il nostro tempo è davvero un tragico, violento e potente tentativo di uccidere l’uomo, l’individuo, nella sua autonomia. Davvero un esercizio di potere inaudito su tutti i fronti, su tutti i piani della cosiddetta cultura. Se osserviamo la vita in una normale azienda, assistiamo ad un’alienazione dell’uomo mai vista prima d’ora. Tu non sei niente, la tua ditta è tutto: è il principio fondamentale. Tu sei lo strumento, la ditta, l’azienda, è il fine. Questa è l’uccisione dell’uomo.

Le opere non perfette sono quelle dell’uomo fissato sulla materia. Che cosa significa infatti “non ho trovato perfette le tue opere”? oÙ g¦r eÛrhk£ sou t¦ œrga peplhrwmšna (u gar èureka su ta èrga pepleromèna), le tue opere non sono perfette, piene – pleròs, pieno. Se vedi e coltivi solo l’elemento corporeo, materiale, sei del tutto imperfetto perché hai a malapena idea dell’anima e ignori pienamente lo spirito. La perfezione dell’uomo, la sua pienezza, è che corpo, anima e spirito si sostengano a vicenda. “Le tue opere sono imperfette” vuol dire che sei diventato così unilaterale da vedere solo un aspetto, quello fisico, materiale, l’esteriorità, senza prestare la minima attenzione all’anima e allo spirito.

3,3 «Pensa dunque a come hai ricevuto e udito, ricordalo e fa’ penitenza[8]»

Ancora questo metanoèin, questo capovolgimento nella coscienza, questo rivolgersi ad un altro stadio del pensiero e della conoscenza, questo diventare creativi nel pensiero. Nella coscienza prima della svolta l’uomo non è ancora creativo nel pensiero, ma solo passivo. La svolta, il metanoèin, la svolta nel pensiero, ha luogo quando l’uomo comincia a diventare creativo e attivo nel pensiero.

3,3 «Ma se non ti sveglierai»

Qui abbiamo il verbo grhgorhin (gregorèin) risvegliarsi. Negli anni in cui è stata data l’Apocalisse (quarto periodo postatlantico) siamo al tempo in cui il “4” crea le premesse perché al “5” il male agisca con la massima intensità. Ma perché a “5” il male è così potente, al punto che non si è mai assistito prima ad un’uccisione dell’uomo spirituale pari a quella che vediamo al giorno d’oggi? Il male può agire al massimo dell’intensità solo dove le forze del bene hanno raggiunto il loro culmine, dato che è il male a doversi allineare al bene e non viceversa.

Oppure, se è vero – ed è vero – che le forze antiumane non sono mai state tanto potenti come oggi, allora dev’essere altrettanto vero che le forze possibili del bene – possibili, non imposteci perché altrimenti non sarebbero buone – a loro volta non sono mai state tanto grandi come ora, anche se possono essere omesse. Le forze antiumane devono esistere (non fanno parte della libertà), ma il bene può essere omesso.

Riflettiamo un po’ su cosa significa l’affermazione per cui le possibilità del bene non sono mai state tanto forti come oggi; pensiamo a cosa viene reso possibile all’uomo d’oggi. Questo bene possibile lo riassumo nella possibilità che l’umanità ha oggi, come risultato di tutta l’evoluzione, di dedicarsi ad una conoscenza solida, non meno solida delle scienze naturali, una conoscenza individuale, creativa, scientifica di tutti i mondi spirituali. Ditemi un po’ se non è una forza del bene incommensurabilmente potente. Solo che è un’offerta; il bene è sempre un’offerta. Il male è un comando, dev’esserci per forza. Il bene non dev’esserci necessariamente, perché può aver luogo solo in libertà. Vuol dire che se l’uomo omette di compiere il bene, il male vince automaticamente, perché il male c’è sempre, il male deve esistere. Il male non ha libertà, altrimenti sarebbe buono. Il bene dell’umanità è la libertà.

Allora qui, se ci si medita sopra, a “5” viene sottolineato il gregorèin, il risvegliarsi e restare svegli. Ma se non ti sveglierai

3,3 «verrò come un ladro e non saprai a che ora giungerò sopra di te»

Se l’uomo omette di compiere il bene, le forze dell’Io vengono come un ladro. Vuol dire che se l’Io non viene coltivato, le forze dell’Io superiore vengono rubate dall’io inferiore; vuol dire che c’è una mancanza di forze di libertà: questo è “il ladro”. Il ladro è colui che ruba tutte le forze della libertà. Allora, se non coltiverai il bene, l’Io superiore, l’Io della libertà, queste forze ti verranno rubate perché non le hai coltivate. Questo è “il ladro”, questi sono gli squarci prodotti dall’omissione. E l’uomo non se ne accorge, non si accorge che non è possibile star fermi.

Ci sono sempre uomini che pensano: ma sì, si può continuare ad andare avanti e ci si può anche fermare. No, la libertà non permette di fermarsi. O si va avanti, intraprendendo ciò che di buono è possibile, oppure l’uomo deve fare dei passi indietro. La stasi non è possibile, o meglio lo sarebbe solo in una situazione di assenza di libertà.

Il ladro arriva di notte, nell’oscuramento della coscienza, là dove non accendi la luce della coscienza, dove non provvedi personalmente a far sorgere la coscienza; nell’oscurità della coscienza che hai lasciato tale, viene il ladro e ti ruba le possibilità evolutive che ti vengono offerte una sola volta, dopo di che non le avrai più. Qui, infatti, si parla anche dell’ora. Non del giorno, non dell’anno, ma dell’ora. L’ora è un periodo di tempo breve, l’offerta unica e irripetibile che va colta al volo, perché se me la faccio scappare non mi si presenterà più.

3,4 «Ma tu hai pochi a Sardi che non hanno macchiato le loro vesti; costoro cammineranno con me in abiti bianchi perché ne sono degni.»

Qui sul testo è tradotto “alcuni”, ma in greco c’è scritto “pochi a Sardi”. Ora, che cosa sono gli abiti bianchi (nel quinto sigillo vedremo gli uomini con gli abiti bianchi)? Sono le parti costitutive dell’uomo che vengono cristificate, se mi si consente l’espressione. Le forze fisiche diventano una veste bianca per il fatto di essere state rese inclini al Cristo. Le forze vitali diventano la seconda veste bianca per il fatto di essere state rese inclini al Cristo; lo stesso avviene con l’anima, il corpo astrale; lo stesso con l’io normale, perché anche l’io inferiore è in primo luogo un involucro. Solo l’Io superiore è l’essenza dell’uomo.

Tutte queste vesti, cristificandosi e aprendosi alla libertà, alla responsabilità, alle forze dell’amore, vengono pervase dalla luce della coscienza. L’uomo capisce chiaramente lo scopo di queste vesti, che cosa devono avvolgere. Un vestito ha senso solo se mi rendo conto di chi lo indossa. Un involucro senza contenuto non ha senso. E che cos’è il contenuto? È l’Io, che si cristifica e assume sempre più la sua responsabilità creativa e divina. Responsabilità amorevole nei confronti di tutto il creato.

3,5 «Chi vincerà sarà vestito con abiti bianchi ed io non cancellerò il suo nome dal libro della vita»

Il libro della vita è l’evoluzione complessiva e chi non fa sorgere l’individualità viene eliminato perché si annienta come Io. “Chi vincerà” vuol dire: chi coglierà tutte le controforze come occasioni per irrobustire le forze del bene renderà il bene sempre più forte: il bene nel pensiero e nell’amore. Costui sarà vestito con abiti bianchi “ed io non cancellerò il suo nome”: qual è il nome dell’uomo? Il nome dell’uomo è l’Io. E “il suo nome” significa che nessuno può cancellare ciò che l’uomo ha prodotto nella sua unicità. Come mai? Perché nessun altro lo può produrre. Lo può cancellare solo l’Io che ha la facoltà di produrlo. Ogni uomo lo può nei confronti del proprio Io. Ogni uomo ha la facoltà di far esistere sempre più il proprio Io coltivando le forze dell’Io, ma ha anche la possibilità di spegnere il proprio Io. Qui “non cancellerò”, oÙ ™xale…yw (u exalèipso), vuol dire semplicemente “non eliminerò”. Costui non viene escluso, estromesso, dal libro della vita.

3,5 «ed io riconoscerò il suo nome davanti al Padre mio e ai suoi angeli.»

Il Cristo è l’Io dell’umanità e questo Io dell’umanità, questo spirito dell’umanità, è costituito dall’organismo di tutti gli Io umani. Il Cristo dice: quando tutti gli Io umani saranno diventati un Io, io starò davanti al Padre con il mio organismo. Cosa sarebbe infatti l’Io cristico alla fine dell’evoluzione se nessun Io umano si cristificasse? Sarebbe un Io cristico senza triplice involucro, senza corpo fisico, senza corpo vitale, senz’anima. L’umanità allora dà al Cristo un corpo fisico, un corpo vitale e un corpo animico. Per questo il Cristo dichiarerà davanti al Padre: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, questa è la mia anima. E la mia anima è composta dagli Io umani, da tutti gli uomini che hanno coltivato la peculiarità, l’unicità, l’eccezionalità del proprio Io come particola nell’Io cristico. Se posso usare questa immagine liturgica, ogni uomo è come un’ostia nell’Io dell’umanità, nell’Io del Cristo. E l’umanità è l’organismo spirituale, animico e fisico del Cristo.

3,6 «Chi ha orecchie per intendere intenda ciò che lo spirito dice alle comunità.»

Domande dei partecipanti

Intervento: Mi sembra che “vesti bianche” non sia una buona traduzione, non si dovrebbe dire “vesti di luce”?

Archiati: Sono vesti bianche.

Intervento: Un greco – perché il testo è greco –, non avrebbe mai avuto questi problemi di dover discutere della differenza fra vesti bianche e vesti di luce. In greco infatti bianco si dice leukÒj (leukòs), lucente.

Archiati: Sì, e perché lo vuole cambiare? Lo vedremo più tardi nel quinto sigillo. Potete andare a controllare anche in Steiner, lì è descritto in modo molto più dettagliato, che nel quinto sigillo – il primo piano sovrasensibile – si tratta, nella nostra epoca, di imparare a vedere la vera essenza di un uomo non nei suoi abiti esteriori borghesi, ma nelle vesti bianche. Vuol dire che dobbiamo sviluppare un occhio e che dobbiamo avere il coraggio di dire: quello può anche essere membro della congregazione concistoriale, quello può anche essere cardinale, o presidente, non ha nessuna importanza per ciò che riguarda la sua essenza. Quelli che ho appena nominato sono solo abiti borghesi, o clericali se volete, qualcosa di completamente esterno all’uomo.

Per conoscere l’uomo bisogna passare attraverso tutti questi involucri esteriori, non luminosi ma oscuri, e poi guardare che cosa c’è dietro. È questo, se volete, il principio dell’uguaglianza fra gli uomini. Che tu, in quanto presidente, sia più importante di un altro è un inganno, un inganno diabolico, perché come uomo non sei più o meno importante di tutti gli altri. Adesso vediamo che cosa c’è nella tua anima, nel tuo spirito. E non si è mai detto che un presidente nel suo spirito, nella sua anima, sia automaticamente più di un altro – a meno che sia così evoluto da avere la capacità di superare ostacoli e controforze molto più grandi, che si presentano quando si occupa un posto di potere. Il posto di potere, infatti, non ha lo scopo di dare la forza dello spirito, bensì quello di offrire le controforze. Allora, o questo posto è occupato da uno spirito potente che ne ricava il meglio (ma allora si alzerebbe molto presto da quella sedia e se ne andrebbe), oppure sarebbe la sedia ad agire. Per questo a Roma si parla dell’azione della “Santa Sede”, e non del santo seduto. Vuol ben dire qualcosa! Non si parla del Santo Seduto a Roma, ma della Santa Sede.

Intevento: Come faccio a riconoscere la differenza fra una situazione in cui non sfrutto la possibilità di fare qualcosa di mia iniziativa, ma me la lascio scappare o sono troppo pigro, e una situazione in cui distruggo. Voglio dire, se lascio le cose semplicemente lì, posso tornare a prenderle, e magari lo faccio anche, ma se le distruggo non le recupero più.

Archiati: Mi sembra che l’immagine della distruzione qui non sia così utile. Gli stadi dell’evoluzione negativa sono tre: il primo è umano, appartiene alla libertà umana, ed è l’omissione. Penso che lo si capisca. Se lei si domanda: che cosa ho omesso di buono che avrei potuto fare nel mio pensiero, nel mio corpo, nelle mie azioni?, è una domanda molto complessa a cui ognuno può rispondere solo per sé e sempre meglio. La vita esiste proprio per scoprire sempre più che cosa si potrebbe fare, che cosa si può realmente fare e che cosa si omette di volta in volta. Il primo stadio dell’evoluzione negativa è quindi l’omissione del bene. Ora, io posso parlare di omissione solo quando non ho fatto una cosa buona che mi era possibile. Solo in tal caso si tratta di omissione. Ci dev’essere un bene possibile per me, altrimenti non ho omesso un bel niente. Vede come le cose diventano concrete di volta in volta. Nella misura in cui l’uomo – come posso dirlo?, adesso mi tocca prendere altre immagini – tralascia di mettere in azione la forza del suo Io, l’attività del suo Io, altri spiriti sono subito pronti a servirsi di lui per agire al posto del suo spirito, dato che lui non l’ha svegliato. E questo è il secondo stadio.

Vi faccio un esempio concreto: leggo un articolo sul giornale e leggo un pensiero. Ho una duplice possibilità (è così concreto!): o mi faccio le mie idee su questo pensiero, e allora sono presente col mio Io, col mio spirito, non c’è omissione (a modo mio, ma comunque sono almeno un po’ presente, mi faccio delle idee su questo pensiero), oppure posso omettere di essere presente col mio spirito, e allora che cosa succede? Che adotto i pensieri dell’articolo. Questo adottare i pensieri è una piccola forma di possessione; davvero è all’opera un demone che mi instilla quei pensieri a me estranei, perché non sono miei. E adesso me ne vado in giro con dei pensieri che ho adottato senza essermene appropriato prendendo posizione, senza valutare se sono d’accordo o meno, se il pensiero è unilaterale o no, se lo si potrebbe esprimere meglio, se è stato dimenticato qualcosa, dove si vuole arrivare con questo pensiero ecc. ecc. Cosa non potrei fare per rafforzare, far sorgere, attuare il mio Io! Se non lo faccio, in questo buco si insinuano subito altre potenze, poiché il mondo non è mai privo di spiriti. Dove faccio agire il mio spirito tutti gli altri se ne vanno, ma là dove non lo faccio agire arrivano subito altri spiriti. È la legge, dato che il mondo è completamente pieno.

E l’Apocalisse – adesso ci arriviamo, non si tratta di sobbarcarsi tutto il testo a livello quantitativo – parla davvero in modo scientifico-spirituale di questi tre stadi di disumanizzazione o annullamento dell’elemento umano. Primo stadio, abbiamo detto, è l’omissione, il tralasciare. Lo vediamo soprattutto nella fenomenologia della prostituta Babilonia: nella misura in cui l’uomo omette arriva la bestia con due corna e poi Satana.

Allora, i tre stadi del male – lo si può andare a leggere nel volume 346 – sono ciò che deve decadere, ciò che dev’essere escluso:

• il primo è quello della prostituta Babilonia, che rappresenta tutto quello che l’uomo porta in sé come mancanza di autocontrollo, come impurità (non come male morale, ma come omissione, in quanto non vi ha inserito la forza del suo Io, il controllo tramite l’Io);

• secondo stadio: la bestia con due corna e il suo profeta (sono le potenze che rendono l’uomo posseduto). È ciò che l’uomo fa non in quanto uomo ma in quanto posseduto.

• terzo stadio: questa duplicità fornisce agli avversari satanici – non sono avversari dell’uomo, ma delle divinità, avversari del Cristo – una forza tale per cui nutrono sempre più speranze e cercano di agire contro il Cristo, contro gli spiriti buoni, contro le divinità buone, in modo da distruggere le orbite planetarie, facendo cadere le forze delle comete. Ma sono potenze che agiscono contro le divinità buone, contro le buone entità spirituali, non contro l’uomo.

Allora, il primo stadio di antiumanità o del male, l’omissione, è qualcosa proprio dell’uomo. Nel secondo stadio l’uomo viene posseduto da spiriti che agiscono attraverso di lui. Nel terzo stadio spiriti sovrumani possono risultare sempre più vittoriosi nei confronti degli spiriti cristici. Questi sono i tre stadi descritti nell’Apocalisse.

Questo è un orientamento di base: non è assolutamente necessario trattare tutti i dettagli a livello quantitativo. Anche con tutta la buona volontà non sarebbe possibile.

6a Conferenza
mercoledì, 13 novmbre 2002, pomeriggio

Cari ascoltatori, abbiamo visto che cosa ha da dire l’apocalista a proposito della comunità di Sardi. Ciò si riferisce particolarmente al nostro tempo. Adesso ci rimangono due comunità, Filadelfia e Laodicea. Per capire queste due occorre sapere come procede l’apocalista: precisamente che con la sesta comunità descrive l’evoluzione positiva (stiamo semplificando), e con la settima l’evoluzione negativa.

In altre parole, nella sesta, mediante il principio dell’amore reciproco, del sostegno reciproco (Filadelfia significa amore fraterno) viene descritto come si evolveranno gli uomini, gli individui, che procedono nel senso del bene. Il bene comune dell’uomo è la libertà e l’amore, sempre come orientamento, nel caso in cui lo si perda.

Quelli che si evolvono nel senso del bene sono gli uomini che plasmano il confronto con le forze del regno minerale, con le forze del regno vegetale, con le forze del regno animale in modo da ricavarne un’ulteriore umanizzazione dell’uomo, così che l’uomo diventi sempre più umano, sempre più individuale, sempre più creativo, sempre più un artista. Anche più religioso, nel senso che ovunque l’uomo comprende sempre più profondamente il divino, l’eterno in tutte le cose, in tutte le pietre, in tutte le piante, in tutti gli animali e li porta nel suo cuore.

È l’uomo, quindi, che diventa sempre più sapiente nello spirito, nella forza di trasformare la creazione fisica nell’immagine della bellezza interiore dell’uomo, poiché la bellezza umana è il futuro dell’arte. Il futuro della religione – il fatto che l’uomo impari a venerare dappertutto gli esseri divini, spirituali, l’eterno, a seguirli devotamente, anche nel proprio essere – si potrebbe dire che il futuro della religione è fare l’esperienza del divino nell’incontro con l’altro uomo, poiché tutto l’altro divino è in fin dei conti un’astrazione. Per l’uomo il divino diventa concreto nell’uomo, nel pensiero dell’uomo, nell’amore dell’uomo e nell’azione dell’uomo.

Tutte le gerarchie divine, persino la Trinità, cessano di essere una vuota astrazione nella misura in cui la Trinità, e anche il Cristo, le gerarchie, vengono realmente vissuti nell’amore dell’uomo, nelle azioni dell’uomo e soprattutto nel pensiero dell’uomo, non solo pensati come realtà extraumane.

Tra parentesi, per quelli in questa sala che parteciperanno al seminario su La filosofia della libertà di Rudolf Steiner, ricordo che il principio della filosofia della libertà è che spirituale è solo ciò che l’uomo rende realmente spirituale nel suo pensiero. Una divinità pensata al di là dell’uomo è solo immaginata, non reale. Lo spirituale viene reso reale quando diventa sostanza dello spirito umano. E il buon Dio non è e non vuole essere una realtà, senza diventare realtà nello spirito del nostro spirito.

Riguardo agli uomini di Filadelfia, si pone sempre la domanda: sono molti o sono pochi quelli che verranno salvati? Posta in questi termini, è una domanda del materialismo, perché l’evoluzione non è questione di quantità, ma di qualità. Il male, l’antiumano, non ha qualità, perché qualità vuol dire bene; quindi il male deve essere risarcito con la quantità. Quando non si ha la qualità bisogna avere molto. Per esempio, Roma è una città in cui c’è molta arte; e perché molta? Perché è meno bella di Firenze. Firenze ne ha di meno, ma è più bella (per quanto mi riguarda, ho vissuto a fondo entrambe le città nella mia storia).

Che cosa voglio dire con questa immagine? Che il punto centrale dell’Apocalisse è questo: chi viene salvato, non quanti vengono salvati e quanti no. Come già detto, chi per omissione non diventa uno spirito individuale spara nel mucchio, nel senso della quantità – perché, non essendo stata coltivata e costruita la qualità, resta solo la quantità. O meglio: se osserviamo la creazione dal punto di vista qualitativo, l’uomo è l’apice della creazione. Pensiamo a quante qualità, prerogative, abilità ci sono nell’anima, nello spirito dell’uomo; pensate solo al linguaggio, al pensiero ecc., di cui gli animali non hanno idea (per non parlare delle piante e delle pietre).

Dunque, da un punto di vista qualitativo gli uomini sono nel complesso invidiabili, pur nella loro semplicità, dato che tutto il resto del creato può invidiare le qualità, le caratteristiche spirituali e animiche presenti nell’uomo. Ma da un punto di vista quantitativo è più numerosa la creazione umana o quella subumana? Dal punto di vista quantitativo non abbiamo nessuna chance come uomini, perché la materia sovrabbonda – dato che la quantità è la materia, il mistero della quantità è la materia o il mistero della materia è la quantità. Per questo già i Greci, i primi pensatori, e gli scolastici, hanno chiamato l’elemento materiale sensibile materia signata quantitate. Quindi la caratteristica fondamentale della materia è la quantità: per essere materiale una cosa deve estendersi in lunghezza, larghezza e altezza.

Capire l’evoluzione spirituale significa che il superamento del materialismo consiste nel dover imparare a non lasciarsi più impressionare dalla quantità, per quanto grande essa sia, dal momento che un piccolo “quanto” di qualità è molto più prezioso e procura all’uomo più gioia e più felicità di dieci decimi di quantità.

Un buon esempio può essere quello della differenza fra potere e forza. Il potere ha a che fare con la quantità, con il mondo terreno. Non si può essere o diventare potenti senza tanto denaro, e questo denaro deve esprimersi in quantità. Ma quando sentite la parola forza, andate a pensare a così tanto denaro, a così tanta potenza terrena ecc.? No. Ed è una vera disgrazia che tante persone non siano più in grado di vedere la differenza fra potere e forza. Non è una gran dimostrazione della qualità dell’evoluzione dell’uomo.

Non si parlerebbe allora mai di potere dello spirito: sarebbe un’assurdità. Si parla di forza dello spirito, ma di potere terreno, non di forza terrena. Meno forza spirituale ha, più un uomo deve essere risarcito in potere. Ma chi gode della forza spirituale non vuole il potere, perché il potere è uno strapazzo che ti costringe a non avere il tempo e le forze per coltivare la qualità della vita. Ogni uomo deve compiere una scelta. È questo che intendo dire quando parlo di quantità e qualità.

E adesso che le cose si fanno serie, perché arrivano sempre persone che dicono: sì, cosa succederebbe se non ci fosse neanche un uomo di Filadelfia? La libertà deve permettere anche questa possibilità. Perché se ce ne fossero alcuni che devono per forza diventare buoni non sarebbero liberi. L’Apocalisse, per esempio, lo vedremo fra poco, ci mostra in che modo uno solo è degno di dissigillare i sigilli, le cose sigillate, e costui è il Cristo – non fermiamoci al nome, dobbiamo riempire ogni volta di contenuto le parole, soprattutto quelle trite e ritrite, e “Cristo” è una di queste parole.

Allora, su questa Entità che si è incarnata nel bel mezzo dell’evoluzione, che ha vissuto tutte le esperienze umane, soprattutto quella della morte, come Essere divino cosmico (come sia stato possibile è una faccenda molto complicata), su questa Entità, su questo Essere spirituale che viene posto al centro dell’Apocalisse – e ci avviciniamo sempre più al suo cospetto –, l’affermazione fondamentale dell’Apocalisse e del cristianesimo è la seguente: Costui si è fatto uomo. E c’è persino l’affermazione fondamentale che in questo essere si è rivelato e si è manifestato sulla Terra l’archetipo, la somma dell’umanamente vero, dell’umanamente bello e dell’umanamente buono. Nessun uomo può superare artisticamente, divinamente, religiosamente o nella conoscenza questo Gesù Cristo, questo archetipo, questo fenomeno originario dell’uomo in cui è stato preannunciato tutto ciò che ogni uomo può diventare nel corso della sua evoluzione.

L’affermazione fondamentale è: se anche alla fine dell’evoluzione ci fosse solo questo Gesù Cristo – se tutti gli altri uomini non individuali fossero finiti nell’abisso – quest’unico, trascurabile a livello quantitativo dato che è uno solo, qualitativamente vale di più. Gli uomini sono diversi miliardi (al momento siamo sei miliardi incarnati sulla Terra e due o tre volte tanti i disincarnati nel mondo spirituale); il numero globale degli uomini è di parecchi miliardi, perché sono contati, e invece questo è uno. Ma l’affermazione fondamentale è che dal punto di vista qualitativo la luce della sua saggezza e delle sue forze pensanti, in quanto Logos, e le sue forze d’amore hanno più valore. Qualitativamente Lui vale di più, il suo peso morale nel cosmo vale molto di più di tutti gli altri uomini messi insieme.

Ciò vuol dire che in Lui l’umanità come organismo è già salva: non c’è da preoccuparsi. Nessuno dovrebbe preoccuparsi che l’umanità non sia stata salvata. Sapete qual è lo scopo di questa preoccupazione? Che ci si dimentichi di preoccuparsi di salvarsi da soli, come singoli. Infatti ci si chiede se “l’umanità” verrà salvata o no solo quando si omette di preoccuparsi di salvare se stessi, da soli, ogni giorno.

Allora l’affermazione fondamentale del cristianesimo – se volete potete chiamarlo l’ottimismo cristiano – è: com’è possibile che il negativo, il male, diventi più forte del bene? Se così fosse, il male sarebbe buono. La domanda si pone quindi solo dalla prospettiva del materialismo, della quantità, dove ci facciamo impressionare dalla quantità.

E in questo caso ci aiutano le fiabe, vi abbiamo già accennato, che dicono: là dove c’è meno materia, presso i nani, c’è più forza spirituale e quelli vincono; nel gigante c’è tanta materia ma poco altro. Come già detto, la quantità è il misero risarcimento per la mancanza di qualità. È sempre stato così. Se non è possibile avere il bello, allora perlomeno avere tanto.

Magari vi do un altro punto di vista, solo un accenno, e domani lo vediamo meglio. Per capire l’Apocalisse bisogna distinguere – Rudolf Steiner l’ha sempre sottolineato in ogni ciclo sull’Apocalisse – fra evoluzione di razza ed evoluzione individuale (Fig. 1,VI). Allora: evoluzione di razza, scrivo “razza” fra virgolette, ed evoluzione individuale. Che cosa si intende con ciò? Con evoluzione di “razza” si intende ciò che dev’essere messo a disposizione degli uomini come condizioni, condizioni naturali fisiche; le condizioni necessarie per compiere tutti i passi evolutivi.

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Fig. 1, VI

Qui disegno una linea di evoluzione, diciamo, con inizio e fine. E adesso prendiamo sette passi: primo passo, secondo passo, terzo passo, quarto passo, quinto passo, sesto passo, settimo passo. Se non ci fosse libertà, tutti gli uomini starebbero allo stesso punto evolutivo. In questo cerchio dovete pensare tutti gli uomini, questa sarebbe l’umanità. Qui all’inizio tutti gli uomini cominciano, partono tutti allo stesso modo. Come nella parabola del vangelo di Luca, dove all’inizio ciascuno riceve un talento, una mina. Matteo, invece, li prende qui al punto “4” (quello dei suoi contemporanei), dove si sono già differenziati: uno ha cinque mine, l’altro due, e l’altro ancora tre… sono già in cammino perché sono diventati diversi. Ma in Luca, nella parabola dei talenti, delle potenzialità evolutive date a tutti, tutti ne ricevono uno. È così all’inizio dell’evoluzione. Qui tutti cominciano, sono ai posti di partenza. Se non ci fosse la libertà, la natura dovrebbe far sì che tutti procedano alla stessa velocità. Così avverrebbe se non ci fosse la libertà. Ma se c’è la libertà ci dev’essere anche la possibilità che uno vada più in fretta e l’altro più lentamente. Più in fretta e più lentamente è un’immagine per molte cose dell’evoluzione.

E adesso diciamo, quelli che vivono attualmente, sono a “5”: siamo a Sardi. Che cosa fa parte delle condizioni che la divinità deve mettere a disposizione per vivere in libertà? Dev’esserci la possibilità di incarnarsi in corpi, quindi in immagini naturali o corpi, che solo una volta erano attuali e oggi lo sono di meno.

Cioè, le impronte fisiche, le razze fisiche sono sorte l’una dopo l’altra: se tutti gli uomini, senza libertà, avessero messo in pratica tutto ciò che l’evoluzione permette, se nessuno avesse mai omesso niente, tutte le razze precedenti sarebbero scomparse, perché nessun uomo oggi avrebbe bisogno di esercitare una fisicità che era adeguata in un’altra epoca precedente.

Cos’è che decide che in un certo periodo – adesso siamo nel 2002 – cos’è che decide che quest’anno si incarnino, che ne so, mille o cento uomini, e dove? Lo decide il singolo individuo, a seconda di quanto è evoluto. Ognuno deve scegliersi una fisicità, una cultura, un popolo, una lingua, adeguati al suo livello di evoluzione.

C’è anche un’altra variante, un’alternativa, per cui qualcuno si incarna non per mettere in primo piano la sua evoluzione, bensì il suo contributo all’evoluzione dell’umanità. Allora può darsi che si incarni in una fisicità passata non perché ha omesso qualcosa, ma come sacrificio per portare con sé altri uomini. Anche questo è possibile. Ma normalmente questi cento che decidono di venir giù devono avere nella natura, nell’elemento corporeo, le varie possibilità di modo che, a seconda di quanto è stato omesso, ognuno si incarni nella realtà che corrisponde al suo grado di evoluzione.

L’evoluzione di razza è quindi l’evoluzione delle condizioni, soprattutto di quelle corporee, e l’evoluzione individuale è del tutto individuale. Ciò vuol dire che non è una necessità che una certa individualità nasca in un certo periodo, in un certo ambiente e in una certa razza, ma è una sua libera decisione. Occorre distinguere. Nel medioevo si manifesta questo mistero della distinzione fra evoluzione di razza ed evoluzione individuale.

Nell’Apocalisse ci sono a volte descrizioni terribili del modo in cui l’evoluzione di razza procede: per esempio, che uomini depravati sono gli uomini cavalletta? I corpi-cavalletta sono le forze della natura in cui si incarnano solo quelli, come posso dire?, che hanno omesso una certa evoluzione che li avrebbe messi in condizione di pretendere corpi che favorivano maggiormente l’essere umano. Ma nessun uomo è costretto ad incarnarsi in questi corpi di cavalletta.

Come già detto, l’individuo, l’individualità, non decide in base al modo in cui le forme fisiche sono presenti nell’umanità, ma ciascuno decide in base al suo grado di evoluzione. Quindi a nessuno viene fatto torto. E se si dice che a Laodicea nasceranno sulla Terra, nella natura, creature orribili, non vuol dire che qualche uomo deve incarnarsi lì, perché ogni uomo è libero di incarnarsi fra gli uomini di Filadelfia. Ma l’orribile dev’essere possibile come involucro, altrimenti l’uomo non avrebbe la possibilità, se omette molte cose, di costruirsi un corpo adeguato alla sua evoluzione.

Le affermazioni che facciamo sull’evoluzione dell’elemento “gruppale” – e l’evoluzione di razza ha a che fare con tutto ciò che è di gruppo – ci mostrano che l’individuo rimane “gruppale” quando non aggiunge quasi niente o, nel caso estremo, assolutamente niente di individuale a ciò che gli viene dal gruppo. Chi deve accusare? Può darne la colpa solo a se stesso. Se rimane “gruppale”, deve assumere un corpo che lo collochi in un gruppo. Nella misura in cui si individualizza è libero, ognuno è libero di scegliersi le condizioni in cui l’elemento individuale può entrare maggiormente in azione.

Guardiamo come nell’Islam la cultura globale sia influenzata dal Corano. Il Corano, infatti, ha poca comprensione per l’individuo, per la sacralità dell’individuo. Un’affermazione fondamentale del Corano è: Allah è l’onnipotente, agisce direttamente ovunque e non ha nessun Figlio. Nel Corano c’è una negazione dell’Essere d’amore per l’uomo.

E adesso supponiamo che sia vero – lo dico come ipotesi, perché questo contrasto imperversa nell’umanità odierna, noi viviamo in questo conflitto – che una cultura, influenzata dall’islam, dal Corano, renda difficile all’individuo l’agire come individuo. Allora avremmo individui, uomini, che si incarnano fra i popoli islamici e che potrebbero avere due motivi per farlo: il primo motivo sarebbe che un uomo – ma sarebbe un uomo eccezionale – sia particolarmente individualizzato e disponga di forze straordinarie per incarnarsi laddove le contropotenze, le controforze sono molto più forti. Egli dispone di grandi forze per aiutare questi uomini, per portarli con sé fuori da questa situazione contraria all’individualità. Il secondo motivo sarebbe che l’essere inserito in una situazione di gruppo, in cui l’elemento individuale viene ancora abbondantemente proibito, corrisponde al suo grado di evoluzione.

Prendiamo un uomo che si incarna in occidente, nel cosiddetto occidente cristiano: supponiamo che sia vero che questa cultura occidentale permetta complessivamente l’anelito individualizzato del singolo, perché nessun imam entra nella stanza a controllare se studiamo il Corano o l’Opera Omnia di Rudolf Steiner, o se da cattolici studiamo l’enciclica del Papa (queste sono già delle differenze all’interno dell’umanità). Se un uomo si incarna in occidente, dove è maggiormente permessa l’evoluzione individuale, e omette di perseguirla, allora questa omissione è tanto più grave moralmente perché il suo Io superiore ha voluto a tutti i costi incarnarsi là, per andare avanti nella sua evoluzione.

Allora nell’Apocalisse dobbiamo sempre stare attenti a distinguere fra l’elemento di gruppo (cioè le condizioni materiali terrene) e il modo in cui il singolo prende posizione (deve decidere ogni volta dove incarnarsi, a seconda dei passi evolutivi che si prefigge, e confrontarsi con la situazione).

Ovviamente l’Apocalisse non può mettere in primo piano l’evoluzione del singolo, perché lì bisogna aspettare di vedere come ognuno si evolve. E questa è una questione di libertà. L’Apocalisse descrive le necessità dell’evoluzione, ciò che è necessario all’evoluzione per rendere possibile la libera evoluzione del singolo. E fa parte di queste necessità il fatto che ad un certo punto debbano esserci anche le condizioni passate per quelli che non le hanno ancora affrontate, per quelli che sono rimasti indietro nell’evoluzione e che forse possono fare ben poco con gli elementi nuovi.

Ma mentre diciamo queste parole ci accorgiamo della serietà della libertà, di cosa significa “omettere”. Mettiamo che un uomo a Sardi non capisca per niente il compito del suo tempo, non capisca che la missione del suo tempo è risvegliarsi – prendere in mano una coscienza e conoscenza non solo del mondo sensibile (quella ce l’abbiamo già), ma del mondo soprasensibile. Se così fosse, ometterebbe tutto; è possibile. Poi arriva Filadelfia, 2000 anni dopo, e quello stesso uomo sta per incarnarsi e si dice: caspita, però del quinto periodo non c’è più quasi niente! In altre parole, non sarebbe un uomo adeguato a quest’epoca. Allora deve incarnarsi in situazioni retrograde, e questo sarebbe il tipo d’uomo di Laodicea, del settimo periodo. Allora, qui c’è Laodicea, magari adesso uso un po’ di blu (disegno).

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Fig. 2, VI

A “7” (Laodicea) viene descritto cosa c’è da vedere negli uomini che hanno omesso l’evoluzione, l’evoluzione individuale, e in Filadelfia viene descritta più l’evoluzione nel senso del bene. A “7” il contrasto col mondo della materia è finito. A “7” ci sono qui in alto i buoni (e l’apocalista non ne parla, perché sono già stati descritti a “6”) e qui in basso i cattivi, che vengono descritti come uomini che hanno omesso la loro umanità, la loro individualizzazione e che si dissolvono nelle forze della natura: è questo che viene descritto qui.

E il concetto è: “tiepido”; costoro sono i “tiepidi”. Che cosa vuol dire “tiepido”? Né caldo né freddo. In greco cliarÕj (chliaròs). Questa parola compare anche nel quarto cavallo (6,8), e viene tradotta con pallido. Ma cliw chlìo in greco vuol dire sciolgo. Si scioglie l’umano e ciò che resta è il sostrato materiale.

Forse con questo vantaggio possiamo leggere il “6” e il “7” senza tanti commenti, perché vogliamo anche arrivare al resto.

3,7 «All’angelo della comunità di Filadelfia scrivi: questo dice il santo, il veritiero, colui che ha la chiave di David, che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre.»

La chiave di David è la forza dell’Io, dove l’uomo si dice: sono io a decidere i miei pensieri, quali sentimenti d’amore provo dentro di me e quali azioni compio. In breve, la chiave di David è l’Io. La potenza della chiave è il potere della soglia, dove l’uomo diventa così autonomo nel suo spirito che erige una soglia fra l’interno e l’esterno. Lui ha la chiave e decide cosa far entrare nel suo essere e quali elementi della sua interiorità portare all’esterno.

Nessuno può imporgli qualcosa, nessuno può aprire senza il suo permesso, e nessuno può costringerlo a dire o a fare qualcosa che lui non vuole. È un’immagine splendida, quest’immagine della chiave e della porta. È la soglia che separa l’interno dall’esterno. E l’uomo decide cosa va dall’interno all’esterno – è lui stesso che lo deve decidere, perché ha in mano la chiave –, e decide anche che cosa dall’esterno dovrà andare all’interno. E quando chiude, quello che è fuori resta fuori e quello che è dentro resta dentro. È un’immagine meravigliosa dell’indipendenza, dell’autonomia interiore dell’uomo.

3,8 «Conosco le tue opere. Vedi, ti ho messo davanti una porta e nessuno può chiuderla, perché tu hai una piccola forza e hai preservato la mia parola e non hai negato il mio nome.»

3,9 «Vedi, manderò alcuni della sinagoga di Satana, quelli che dicono di essere ebrei e non lo sono ma mentono.»

Prima l’immagine della chiave, adesso quella della porta. La sinagoga di Satana sono gli uomini che vivono nelle forze della natura, nell’istintualità, o che si votano alle forze dell’istinto: dicono di essere Ebrei e non lo sono. Ne abbiamo già parlato: il falso ebreo è quello che osserva una legge impostagli dall’esterno, invece di assumersi il compito di interiorizzare la legge – così che ogni uomo metta in atto i dieci comandamenti per convinzione interiore.

Prendiamo ad esempio la fisicità di Abramo: significa avere un cervello che permette di diventare sempre più capaci di pensare in modo individuale. Il falso ebreo non riesce a vedere che questa fisicità in un primo tempo è presente in un popolo (l’ebreo), ma è stata pensata per l’umanità intera. I falsi ebrei sono quelli che fanno di questa duplice chiamata dell’evoluzione di ogni uomo un privilegio di natura di un unico popolo, lasciando fuori gli altri.

E la duplice chiamata, il duplice dono diretto ad ogni uomo, è in primo luogo il dare origine ad una fisicità sempre più individualizzata: questa è la fisicità di Abramo. Abramo infatti è stato il primo uomo con un cervello in grado di pensare. È questo il senso della corrente abramitica. E il secondo dono è che la legge mosaica non è il privilegio di un popolo, ma è sorta per la prima volta in quel determinato popolo. Ogni uomo, perciò, è chiamato a capire l’elemento filantropico di questa legge, così da farla sua.

In altre parole, la fisicità di Abramo è pensata per tutti gli uomini che vogliono diventare sempre più un Io, e la legge di Mosè (i dieci comandamenti, le dieci offerte, le dieci leggi del diventare un Io), è concepita per tutti gli uomini. Deve sorgere dapprima in una serra, da qualche parte, perché non può nascere di colpo dappertutto, ma ciò non va inteso come un privilegio di popolo, come una preferenza, come se questa fisicità e questo elemento animico rendano questi uomini automaticamente, senza crescita individuale, migliori degli altri. Questa è una falsificazione dell’ebraismo, poiché l’ebraismo è il dono per tutta l’umanità. Jahvè, l’Io sono, è la vocazione di tutti gli esseri umani.

È stato necessario iniziare in un popolo fra i popoli pagani che lo circondavano, ma la promessa era che quando queste forze dell’Io fossero diventate possibili in ogni uomo, quando fosse giunto il Messia, la preferenza nei confronti di questo popolo sarebbe cessata. A quel punto il popolo eletto diventa l’umanità intera, tutti gli uomini. Ogni uomo può diventare un eletto.

Vi ho detto che qui possiamo parlare dell’acceso conflitto dell’Apocalisse, perché erano Ebrei in carne e ossa – soprattutto allora – quelli che si trovavano nel mezzo di questo contrasto fra cristianesimo ed ebraismo alla fine del I secolo. Pensate a Pietro, che come ebreo aveva la convinzione interiore: come possono gli uomini arrivare al Messia, arrivare a questo Cristo che è morto in Gesù di Nazareth, in un ebreo, ed è risorto? Come fanno i pagani a trovare questa spiritualità senza avere la più pallida idea della legge mosaica, di tutta la preparazione? E ci è voluto l’intervento di Paolo per convincere Pietro, e tutti gli Ebrei d’allora che erano aperti, che l’accesso al Cristo, all’Io, è per tutti gli uomini, è uguale per tutti. L’ingresso del Cristo infatti significa che d’ora in poi ad ogni uomo vengono messe a disposizione una fisicità e un’anima conformi all’Io, ad ogni uomo che nel proprio Io si evolve in modo da fare buon uso di questi due elementi. Allora: “che si dicono ebrei e non lo sono, ma mentono”

3,9 «Guarda, voglio indurli a venire e a prostrarsi ai tuoi piedi e a riconoscere che io ti ho amato»

Questi sono gli uomini di Filadelfia, questo adesso è il nostro futuro, il nostro futuro aperto ad ogni uomo, non all’ebreo che nell’uomo ritiene essenziale una certa fisicità o un certo elemento animico-gruppale. La legge mosaica è un elemento “gruppale” e il senso di ciò che è di gruppo è l’individualizzazione, così che l’uomo vi aggiunga ciò che è individuale. Nel frattempo, infatti, l’elemento fisico e quello animico sono diventati noiosi, quelli ce li hanno tutti. Ogni uomo è una pienezza di forze fisiche e animiche. Invece, proprio per il fatto di essere libero, l’elemento spirituale non è lì automaticamente. Dal punto di vista morale, nell’uomo non è decisiva la pienezza quantitativa dell’elemento fisico o quella dell’elemento animico, bensì la qualità, ciò che è libero e può essere definito spirituale.

Io ti ho amato: alcuni di voi sapranno che si tratta di un’espressione tecnica. Quando il maestro, anche il guru dell’antico oriente, voleva dire che aveva portato un discepolo così avanti nell’addestramento da poter diventare un iniziato, allora si diceva: questo è il discepolo che il maestro ama. E nel Vangelo questo si dice di Lazzaro – era stato iniziato dal Cristo. Lazzaro viene sempre definito colui che il Cristo amava. Abbiamo visto nel Vangelo che questa non è una predilezione borghese umana troppo umana, nel linguaggio dell’esoterismo significa che quell’uomo (e non uno dei dodici, Lazzaro non faceva parte dei dodici), è il rappresentante della settuplicità, del settenario delle forze solari. I dodici rappresentano le forze zodiacali, ma in Lazzaro abbiamo i misteri più profondi del sistema solare.

Nei Vangeli c’è allora un apporto degli apostoli, un po’ più noto perché è in primo piano, perché rappresenta tutta l’umanità. Ma c’è un settenario un po’ più nascosto, una settuplicità delle vie all’iniziazione, per questo un po’ più nascosta. E quello che Cristo ama è colui che è giunto al punto di poter essere iniziato. E qui si dice: a quei falsi Ebrei dirò che io ti ho amato. Gli uomini di Filadelfia sono uomini che usano la loro evoluzione per essere iniziati alla realtà, all’essenzialità dello spirito. Questo è l’amore.

3,10 «Perché hai mantenuto la parola della mia pazienza, e anch’io voglio preservarti dall’ora della tentazione che verrà su tutto il mondo, per tentare quelli che vivono sulla Terra»

Ancora una volta si sottolinea la pazienza, la tenacia, la perseveranza. L’evoluzione è una questione di pazienza. Nessuna evoluzione ha luogo semplicemente perché la si comincia con entusiasmo. Tutti sono capaci di cominciare con entusiasmo, ma il continuare richiede una forza diversa. L’ora della tentazione è in fondo ciò che viene descritto a “7”, a proposito di Laodicea. Questa sarebbe allora la fenomenologia di Laodicea.

3,11 «Vengo presto; conserva quello che hai, così che nessuno si prenda la tua corona.»

È la corona del diventare re nel mondo spirituale; per non stare da servitore, da essere disorientato, nel mondo spirituale, ma che ci si possa orientare sia nel pensiero che nell’amore e nelle azioni che si cominciano a compiere nello spirito.

3,12 «Chi vincerà lo farò colonna nel tempio del mio Dio e non dovrà più uscire, e su di lui scriverò il nome del mio Dio e il nome della città di Dio, della nuova Gerusalemme che scende dal cielo, dal mio Dio, e il mio nome, quello nuovo.»

3,13 «Chi ha orecchie per intendere intenda ciò che lo spirito dice alle comunità.»

Qui l’individuo è una colonna. In base a questa umanità di Filadelfia, dove gli uomini si integrano fra loro e tutti insieme diventano il tempio della divinità, ognuno è come una colonna che sorregge questo tempio. Il nome del mio Dio è il nome del Dio dell’Io. Allora, il conflitto fra bene e male non comincia a “1” (altrimenti sarebbe già “2”), comincia a “2” (Fig. 2,VI) e finisce a “6”. A “7” la separazione è per così dire definitiva, e i due gruppi sono l’uno di fronte all’altro. Così viene rappresentato sotto forma di immagine. E mettiamo “buoni” e “cattivi” fra virgolette, perché sono tutti concetti molto primitivi.

Dato che i “buoni” osservano i “cattivi”, che cosa proveranno davanti al fatto che sono finiti in basso molti più uomini, perfino dal punto di vista della quantità? Nell’Apocalisse, dove la prostituta Babilonia viene mandata nell’abisso (sono tutte forze che non sono in discussione e che vengono separate), c’è un’enorme esultanza; e Rudolf Steiner mette in guardia: questi angeli esultanti, questi esseri esultanti non sono né cristiani né buoni. Nessun essere che la pensi come il Cristo può gioire della rovina degli altri che hanno omesso di sviluppare la loro umanità.

Tra l’altro, anche nel Faust ci sono angeli luciferici che sono contenti che l’anima di Faust vada in rovina. Anche quelli sono angeli luciferici. Goethe parla di angeli superiori, già in lui troviamo queste differenziazioni. La trovo una cosa molto potente.

Il fatto che questi “buoni” guardino i “cattivi” e viceversa, fa sì che l’evoluzione non possa essere finita, che debba andare ancora avanti, cioè che ci debba essere ancora un altro settenario e magari un altro ancora. E come mai i “buoni” non si accontenteranno di questo bene? Prima di tutto perché sentiranno la mancanza dei cosiddetti “cattivi”, se davvero sono pieni d’amore, e questa mancanza conferirà ai cattivi ancora una certa esistenza nel cuore dei “buoni”. In secondo luogo i “buoni”, se lo sono abbastanza, si diranno: non siamo stati abbastanza buoni da prenderli con noi, e la nostra evoluzione positiva è stata ottenuta a prezzo del loro sacrificio. Allora l’evoluzione deve andare avanti, deve cominciare un nuovo ciclo in cui sia possibile una nuova lotta in cui forse tutti vengano inseriti. Solo questa disposizione d’animo è davvero cristiana. E in effetti le cose continuano davvero.

E infatti nei sette stadi evolutivi della Terra (Fig. 3,VI), a Terra uno, Terra due, Terra tre e Terra quattro (adesso siamo a Terra quattro) segue la Nuova Terra, la Nuova Gerusalemme. La Nuova Gerusalemme è la Terra cinque o Nuova Terra. E poi arrivano perfino Terra sei e Terra sette. Leggete le conferenze che Steiner ha tenuto a Norimberga, nell’OO 104 dal titolo Apocalisse: lì espone chiaramente che l’ultimo conflitto fra bene e male è a Terra sei, la Terra di Venere. Ci vorrà ancora un bel po’, e qui naturalmente ci fa sperare.

È nell’Apocalisse che si parla per la prima volta della Nuova Gerusalemme – lo si svilupperà particolarmente negli ultimi due capitoli – e viene anche chiamata la Nuova Terra. Quindi Terra cinque.

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Fig. 3, VI

E adesso vediamo Laodicea: come orientamento, perché naturalmente ci sono molti singoli tratti che vengono lasciati alla meditazione individuale di ciascuno di voi.

3,14 «E all’angelo della comunità di Laodicea scrivi: questo dice quello che si chiama Amen, il testimone fedele e verace, il principio della creazione di Dio:».

3,15 «conosco le tue opere, so che non sei né freddo né caldo. Oh, se tu fossi freddo o caldo!»

L’Amen è colui che è sempre presente, eterno, nell’evoluzione, e questo Amen, in chiaro riferimento al mistero dell’omissione, dice: tu non hai fatto né il bene né il male. Per farla breve, come mai sarebbe addirittura meglio che uno avesse fatto il male invece di non aver fatto niente? È possibile rappresentare l’idea in forma netta anche con questo modo estremo di pensare? Credo di sì, perché un uomo che fa fesserie si trova in una posizione migliore rispetto a uno che non fa niente, perché nel primo caso il mondo si rifarà vivo costringendolo a intraprendere qualcosa per riparare i danni.

In questo senso si può dire che fare qualche pasticcio, o magari qualcosa di molto egoistico, è meglio che non far niente del tutto. Cioè, la cosa più antiumana dal punto di vista morale è l’omettere, il poltrire. Che cosa si può fare per o contro un uomo che non combina niente? Si è completamente impotenti. E in fin dei conti è l’esperienza che fa chi per karma deve accompagnare un depresso: Accidenti, non potresti per una volta diventare così cattivo e spaccare la prima cosa che ti capita, almeno succederebbe qualcosa!. Ma con un depresso non succede niente, e chi gli è vicino è del tutto impotente.

Questo è il mistero di quello che con le mie parole, voi magari potete trovarne di migliori, chiamo omissione. La scelta della libertà infatti non è fra il bene e il male. Il contrario dell’amore non è l’odio: gli uomini continuano a fare questo errore di pensiero. Il contrario dell’amore è l’indifferenza, perché l’odio è una forma di amore. E l’uomo deve fare di tutto per diventare cosciente, io devo fare di tutto per non cadere nell’indifferenza, che non è né calda né fredda. Se una persona è indifferente, potete fare le valigie, non otterrete nulla. Faccio un esempio estremo, perché nessun uomo è così avanti nella sua evoluzione da essere indifferente su tutta la linea. Non sarebbe più un uomo se non gli importasse più di niente.

3,16 «Ma poiché sei tiepido e né caldo né freddo io ti vomiterò dalla mia bocca»

Come ho già detto questo “tiepido” in greco è chliaròs e chlìo vuol dire “fondo, sciolgo”. Niente sostanza, niente, non c’è nulla. Viene detto: saresti potuto diventare uomo, avresti potuto costruire l’umano nell’evoluzione del pensiero, nella conoscenza, nell’amore e nelle azioni ecc., ecc., e invece non c’è un bel niente. Quando il Sole si avvicina per vedere che cosa c’è, tutto fonde e non c’è niente, assenza di sostanzialità. Chliaròs è la mancanza di sostanzialità, un sacco vuoto. C’è solo il sacco, sempre che si sollevi, naturalmente.

Segue poi un’immagine possente: dalla bocca del Logos viene vomitata, sputata via, questa mancanza di sostanza, insopportabile, incompatibile con il Logos. Non viene presa in considerazione per l’evoluzione ulteriore.

3,17 «Tu dici: io sono ricco, ho abbastanza e non ho bisogno di niente e non sai di essere meschino e miserabile, povero, cieco e nudo.»

Sei ricco a livello quantitativo, forse, ricco di denaro, di vestiti ecc. Altrimenti come potrebbe questo tipo di uomo dire: sono ricco, ho abbastanza e non ho bisogno di niente? Dunque, esteriormente sulla scena di questo mondo assistiamo proprio al conflitto verso il basso o verso l’alto. Per dirla in parole povere, è il conflitto che sorge col materialismo, dove ogni uomo ha la possibilità di fissarsi sempre più su ciò che è materiale oppure di servirsi sempre più della materia come base certamente necessaria, usandola come strumento per un’evoluzione spirituale, animica, nella scienza, nell’arte, nella religione. È questa la grande scelta.

Allora quelli diranno: Ma noi abbiamo tutto! A livello esteriore, materiale; ma interiormente? Niente di niente, chliaròs, tutto fonde, non c’è nulla di sostanziale.

3,18 «Ti consiglio di comprare da me oro che sia stato raffinato nel fuoco per diventare ricco»

Oro spirituale, non materiale: è l’oro dell’amore, che è stato raffinato nel fuoco. Nel fuoco del contrasto e delle difficoltà. Un uomo che intraprende un cammino di evoluzione spirituale non può mai avere la vita troppo facile, altrimenti non sarebbe un’evoluzione. Questa è l’affinazione, l’essere raffinato nel fuoco, nel crogiolo della lotta col mondo e in quello della lotta con le proprie forze da purificare, poiché qui si riferisce alla purificazione interiore, che è arricchimento interiore.

3,18 «e vesti bianche affinché tu le indossi e non si manifesti la vergogna della tua nudità e un unguento per ungere i tuoi occhi, così che tu possa vedere.»

Vedete, ancora una volta le vesti bianche. Si torna anche alla nudità animica (non si tratta di nudità fisica) e alla nudità spirituale. Alla fine del v.17, aveva detto: “povero, cieco e nudo”. “Povero” si riferisce al corpo fisico, se volete, perché un testo come questo lo si può prendere come partitura e ritrovarci tutta la scienza dello spirito di Rudolf Steiner: lo si può fare. Solo che dovrei presupporre molto di più e anche avere molto più tempo a disposizione, per questo a volte lo faccio solo a mo’ di esempio.

“Povero” è dunque per il corpo fisico; “cieco” per quello eterico (perché l’elemento eterico è luminoso, dove il pensiero viene vissuto come mondo della luce), e “nudo” è per il corpo astrale. L’astralità infatti, l’anima, le forze dell’anima sono come un involucro che l’uomo deve creare. Sono le virtù, e quando mancano il corpo astrale è nudo. Se l’uomo coltiva le virtù il suo corpo astrale non è nudo, ma avvolto da queste meravigliose vesti. “Povero, cieco e nudo”: hai omesso l’evoluzione del corpo fisico (povero); hai omesso l’evoluzione del corpo eterico, del pensiero (cieco), e hai omesso l’evoluzione dell’anima, dell’amore (e sei nudo).

3,19 «Quelli che amo li rimprovero e li castigo»

Di nuovo l’iniziazione – “quelli che amo”. Quelli che davvero progrediscono e desiderano sempre più intraprendere un’evoluzione nello spirito sono quelli che sperimentano di più il castigo e il rimprovero. Cioè, un’evoluzione nello spirito è possibile solo mediante uno scontro con il mondo fisico, nell’affrontare i compiti del mondo fisico. Nessuno che rifugga lo spirito nel mondo della materia arriva al mondo spirituale, perché troverà solo una parvenza di spiritualità, ma non il vero spirito. L’uomo può trovare l’elemento realmente spirituale solo nel mondo della materia, dentro questo mondo. È infatti possibile che sperimenti solo l’elemento evidente, quantitativo della materia e tralasci semplicemente lo spirito, o lo dimentichi, o non lo veda perché non lo coltiva e non lo rende sostanziale.

3,19 «Quelli che amo li rimprovero e li castigo. Sii quindi zelante e fa’ penitenza»

Ancora la penitenza! Si tratta di una svolta nella coscienza, metanoèson; l’ho già detto molte volte.

3,20 «Ecco, io sono alla porta e busso. Se qualcuno sentirà la mia voce e aprirà la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me.»

Neppure il Cristo può semplicemente entrare, perché qui si tratta della libertà dell’uomo. La sua voce è la voce del Pastore che aiuta ogni uomo a diventare sempre più libero, sempre più autonomo, sempre più capace di amare, sempre più responsabile. “Entrerò e cenerò con lui e lui con me”: la cena dell’amore. Lui farà l’esperienza del mio amore ed io sentirò il suo amore per me, dice il Cristo, solo se lui avrà aperto spontaneamente la porta. Se non l’aprirà, io non la butterò giù, dice il Cristo, altrimenti violerei la sua libertà.

3,21 «Chi vincerà lo farò sedere con me sul mio trono come anch’io ho vinto e mi sono seduto con mio Padre sul suo trono.»

3,22 «Chi ha orecchie per intendere intenda ciò che lo spirito dice alle comunità.»

4,1 «Dopo queste cose vidi, ed ecco, nel cielo si era aperta una porta»

Così inizia il quarto capitolo, con il trono su cui siede l’Agnello Adesso si apre una porta e l’autore dell’Apocalisse vede le forze che stanno alla base dell’elemento fisico e di quello eterico, come fondamento per l’evoluzione dell’anima e per quella dello spirito. Vede, come posso dire?, le forze della natura, le forze del Padre e del Figlio che sono state messe alla base, e l’uomo deve capire il senso di queste forze.

Questa porta che si apre è come il velo del tempio che si squarcia. È un’immagine per dire: ho visto nel mondo spirituale, ma nel mondo spirituale vi sono varie regioni. Prima abbiamo avuto la visione del Figlio dell’uomo, visione puramente animico-spirituale. Adesso il Figlio dell’uomo ritorna, ma vengono anche molte altre figure (pensate ai quattro animali apocalittici che appaiono adesso), adesso il Figlio dell’uomo non è solo nell’ambiente animico-spirituale, ma si presenta come totalità delle forze fisiche e di quelle eteriche del cosmo. Nessun uomo può infatti entrare nel mondo astrale o in quello animico o in quello spirituale se non è passato attraverso il mondo degli elementi. Ed è ciò che avviene ora.

4,1 «e la prima voce che avevo sentito parlare come una tromba diceva: sali»

Adesso si parla di questa possente immagine del trono, con Uno che vi è seduto sopra, e intorno 24 anziani. Poi arrivano i quattro animali, quattro esseri assegnati ai Vangeli: un toro, un leone, un’aquila e un uomo con le ali (un angelo umano). Sono i cosiddetti quattro animali apocalittici. Vedremo in seguito qual è il significato di tutto ciò perché rimanda al quinto capitolo, dove compare un libro. E vedremo l’apocalista molto triste perché questo libro è sigillato con sette sigilli e non si trova nessuno che abbia la forza di dissigillare, in modo da guardare, vedere, venire a sapere che cosa c’è dentro. E gli viene detto: non ti preoccupare, c’è uno solo che può dissigillare questo libro, e costui è l’Agnello. È il Cristo che siede sul trono. Lo vedremo dopo la pausa.

Guardiamo invece questo quarto capitolo, dove una porta viene aperta nel cielo, nello spirituale; una “porta viene aperta” vuol dire che un uomo diventa capace di vedere cose nuove, che fino a quel momento non aveva visto. Si potrebbe dire che è un grado dell’iniziazione.

Ogni piano del mondo spirituale ha una porta che dev’essere aperta per poter entrare. Ovunque c’è una soglia vuol dire che non si entra senza prerequisiti, non si entra senza accorgersi che si sta passando da una zona all’altra. L’immagine della porta è la forza spirituale di percepire la differenza fa due mondi diversi: adesso passo da un mondo a un altro, per questo in mezzo c’è una porta. Se non ci fossero porte non ci si accorgerebbe del passaggio. Ma allora non ci sarebbe nessun passaggio, ed io resterei nello stesso elemento. La porta è quindi un’immagine che separa due ambiti diversi.

“Nel cielo si era aperta una porta e la prima voce che avevo sentito parlare come una tromba” adesso si parla di più dell’ispirazione – “diceva: Sali”; allora, la porta che si apre è nello stesso tempo un salire a sfere superiori. Le sfere superiori sono forze ancor più potenti, più divine e nel mondo spirituale avviene il contrario del mondo fisico, in un certo senso: posso fare uno schizzo molto semplice (Fig.4,VI). Se questa linea è una linea di separazione fra mondo fisico e mondo spirituale, la relazione è che l’elemento più modesto nello spirito governa quello più alto nel fisico, e l’elemento più forte nello spirito governa quello più basso nel fisico. La massima spiritualità è Dio Padre, che governa quanto vi è di più basso nel fisico (la pietra).

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Fig. 4, VI

È quindi il grado più alto dello spirituale che ha la forza, il potere, di governare, di plasmare, di gestire le fondamenta, cioè la parte più bassa della materia. Per questo, vi ho già accennato più volte, le lingue più antiche hanno la stessa parola per padre, pater, in greco pat»r (patèr) e petra (pietra). E in ebraico av è Dio Padre, av, padre, abar, avar, e even è la pietra: è la stessa parola.

Nel momento in cui viene aperta una porta e viene detto: “sali”, l’apocalista entra nelle forze spirituali; si accorge, prende coscienza di esseri spirituali che, essendo superiori nel mondo spirituale, hanno una potenza superiore e per questo governano una parte inferiore, più rigida, nella realtà fisica.

Questo ancora una volta come orientamento, perché, come vi ho detto, l’Apocalisse è davvero molto complicata se se ne vogliono osservare tutti i dettagli in modo scientifico-spirituale.

4,1 «e ti mostrerò che cosa accadrà dopo.»

L’evoluzione dell’uomo, dell’umanità, è come un’iniziazione: ad ogni nuovo stadio dell’evoluzione l’uomo sale nello spirituale e scende nel materiale. Finora ho descritto l’evoluzione in un certo modo, ma potrei anche dire che più un uomo va in alto nella sua forza spirituale, più va in alto nella forza di agire insieme agli angeli, agli arcangeli ecc., ecc., più le sue forze vanno in profondità per prendere parte alla formazione degli eventi terreni, degli eventi nelle triplici forze della natura.

L’Apocalisse è quindi un libro in cui viene descritta l’evoluzione complessiva e in cui, nello stesso tempo, viene descritto il modo in cui l’uomo viene introdotto, gradino per gradino, all’iniziazione. Da un lato si va sempre più in alto nella sfera spirituale, e dall’altro sempre più in basso in quella terrena, nella natura – spirito sopra e natura sotto (Fig. 4,VI).

4,2 «Subito fui preso dallo spirito ed ecco, nel cielo c’era un trono e uno era seduto sul trono»

4,3 «e colui che era seduto là aveva l’aspetto della pietra di diaspro e sardio, e intorno al trono c’era un arcobaleno, simile allo smeraldo.»

Adesso è nel mondo spirituale. Pensavo che dove c’è un trono ci sia una certa calma: un trono è fatto perché qualcuno vi si sieda sopra. Tutto quello che è in forma di trono è un’immagine della durata. E se adesso si parla delle forze che agiscono in ambito fisico ed eterico, non si intendono le forze singole, che si susseguono o si separano le une dalle altre, ma le forze durature in ambito fisico ed eterico, quelle che devono essere presenti per l’intera evoluzione come fondamento, come un trono su cui ogni uomo possa, per così, dire sedersi. Il trono come immagine dei fondamenti dell’evoluzione.

Prendete il terreno su cui camminiamo. I nostri passi sono uno dopo l’altro: noi facciamo dei passi ma il terreno dev’essere stabile, dev’essere come un trono. Anche se non siamo seduti, ma ci camminiamo sopra, il terreno è qualcosa di durevole, di costante. Il trono è dunque il concetto della costanza, della prevedibilità, dell’affidabilità. È il mondo delle forze della natura, dove le leggi naturali sono così sicure che l’uomo vi può troneggiare sopra, nel senso che se ne può fidare.

Abbiamo poi queste tre pietre: diaspro, sardio e smeraldo, che hanno sicuramente a che fare con la triade di pensare, sentire e volere. Lo smeraldo viene messo in relazione con l’arcobaleno, con l’iride: questi sette colori hanno sempre a che fare con la sfera centrale, quella dell’amore. E poi, sopra, il diaspro rappresenta di più le forze della testa, quindi le forze della conoscenza – lo dico come proposta – e il sardio sotto, che rappresenta di più le forze della volontà, degli arti e del metabolismo.

Ancor più importante è quello che desidero dire adesso a proposito di queste pietre, perché qui vengono citate solo queste tre, ma alla fine arriva una dodecuplicità di pietre come base della Gerusalemme celeste. Forse ricordate Friedrich Benesch che ha scritto un libro sull’Apocalisse in cui fa riferimento soprattutto alle pietre, all’elemento minerale. La mia impressione è che l’attribuzione delle dodici pietre ai dodici segni dello Zodiaco sia difficile quanto quella dei dodici apostoli ai dodici segni zodiacali. Abbiamo una dodecuplicità di segni zodiacali, e i nomi li sappiamo: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro ecc. Ma il fatto che ne conosciamo i nomi non vuol dire molto, abbiamo solo elencato delle parole. E per me la scienza dello spirito nel suo insieme – per quanto dettagliata e vasta sia quella di Rudolf Steiner – è tale per cui l’umanità stessa, con questo strumento, è solo all’inizio della comprensione dei miseri della dodecuplicità. E poi anche i misteri della settuplicità dei pianeti… (Fig.5,VI). Siamo ancora agli inizi, e perciò le attribuzioni dei dodici apostoli ai dodici segni zodiacali, alle dodici concezioni del mondo ecc. dapprima non vanno oltre la pura terminologia.

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Fig. 5, VI

Supponiamo infatti di aver attribuito i dodici apostoli ai dodici segni zodiacali, che cosa abbiamo ottenuto? Nient’altro che due nomi di volta in volta: qui Cancro e Bartolomeo, lì Scorpione e Giuda... Un’astrologia scientifico-spirituale arriverà, ma è ancora una questione del futuro, perché se non si hanno basi a sufficienza non si fa che speculare. Per arrivare alle dodici pietre vi direi che, per quanto mi riguarda, ho bisogno ancora di qualche secolo, di qualche millennio, per capire davvero che queste dodici pietre, dal punto di vista naturale, rappresentano tutte le forme possibili del regno minerale e poi, in base alla spiritualità evolutiva delle loro forme, poter dire a quale apostolo o a quale tipo umano corrisponda, e viceversa. Quando l’umanità sarà così avanti, sempre più avanti, allora potremo ricavare effetti terapeutici dalle pietre, non provocati a casaccio o per tentativi ed errori.

Nell’Apocalisse vengono messi i semi, gli orientamenti fondamentali per questa dodecuplicità perfino nel regno minerale: per le pietre. Qui viene accennata brevemente con una triade che le rappresenta tutte e dodici. Ma come queste tre rappresentino le dodici, francamente non sono in grado di dirvelo. E la speculazione non porta a niente, perché ho fatto sufficiente esperienza nella mia vita di cosa succede se ci si limita a speculare in questo modo. Si perdono le basi della percezione e non si arriva a nulla.

Bene, questa triade di diaspro, sardio e smeraldo racchiude senz’altro dei grandi misteri, ma misteri scientifici, che presuppongono una solida conoscenza spirituale del regno minerale, dove mi dico che perfino la scienza dello spirito di Rudolf Steiner fornisce solo i primi strumenti rudimentali per accostarsi ad essa. Ma il primo passo non è ancora stato fatto.

Anche nella bibliografia critica, per quanto riesca a percepire – e devo dirvi che quando avevo più tempo, 20 o 15 anni fa, ho letto anche molta bibliografia critica, perché ci sono state persone, anche scienziati, che hanno cercato di portare avanti queste cose col loro pensiero – ho solo trovato la conferma che l’umanità è davvero agli inizi.

4,4 «E intorno al trono c’erano ventiquattro troni e sui troni sedevano ventiquattro anziani, con indosso vesti bianche e corone d’oro in testa»

“Ventiquattro anziani” ci dice qualcosa, ma vedrete che non è molto, perché ventiquattro è naturalmente dodici per due. Questo lo vede subito chiunque, che ventiquattro è dodici per due, ma che vuol dire? In Rudolf Steiner trovate per esempio diversi aspetti che possono essere armonizzati. Allora la prima domanda sarebbe: se già lo zodiaco, l’orologio cosmico, era stato diviso in dodici, come mai i Babilonesi hanno diviso il giorno in ventiquattro ore anziché in dodici? Perché l’hanno fatto? Come mai ventiquattro ore e non dodici? Sarebbe bastato da uno a sei per il giorno e da sei a dodici per la notte. E invece no, l’hanno diviso in ventiquattro, così che ad ogni segno dello zodiaco corrispondano due ore, due ore per segno.

Uno può dire (Fig.6,VI): forse nella tradizione esoterica dell’umanità si sono prese insieme Terra uno e Terra due, quindi due volte l’orologio cosmico zodiacale, 12 + 12 = 24; e poi ancora Terra tre e Terra quattro, di nuovo 12 + 12 = 24. Ma ho poco contenuto.

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Fig. 6, VI

Oppure (Fig.7,VI) si può dire: Terra uno aveva sette unità di tempo, Terra due ne aveva altre sette, Terra tre ancora aveva sette, e adesso siamo a Terra quattro: sette, quattordici, ventuno più tre (che è la metà delle 7 grandi epoche evolutive di Terra quattro) abbiamo ventiquattro. È la metà dell’evoluzione.

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Fig. 7, VI

Allora direi: ah, ecco, adesso c’è un po’ più di contenuto. Allora ventiquattro sono i passi dell’evoluzione fino alla metà, dove appare l’Agnello che produce la svolta evolutiva a ventiquattro e mezzo, a metà fra ventiquattro e venticinque: cioè ne sono trascorse ventiquattro unità di tempo. Gli anziani sono quelli che danno l’impulso a tutta l’evoluzione, a tutta l’evoluzione passata, sono la concentrazione dei passi fatti da ogni uomo nel corso della sua evoluzione.

Questo è di nuovo un punto in cui ciascuno dev’essere onesto con se stesso: nella misura in cui il singolo – perché parliamo costantemente del singolo, della sua evoluzione nella libertà – riesce a riempire sempre più di contenuto questo numero ventiquattro nel suo progredire spirituale, come raddoppiamento del dodici, ciò ha a che fare con la sua evoluzione, è lui che deve farlo, nessun altro lo può fare al posto suo. Ma se sa solamente che ventiquattro è il doppio di dodici, l’altro può dirgli: bella scoperta! lo sapevo anch’io. E un altro ancora dice: lo sapevo anch’io che i segni zodiacali sono dodici.

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Fig. 8, VI

Vedete quindi che a questo punto ci accorgiamo di cosa significhi procedere in modo esclusivamente formale – perché ci sono anche commenti all’Apocalisse che sono esclusivamente formali, forniscono una spiegazione che in definitiva non porta avanti perché si tratta di ovvietà –, oppure in un modo che stimola ad andare sempre più in profondità a livello di contenuto. Ma questo è un compito, un’evoluzione anche nel pensiero, che ciascuno deve compiere individualmente. Se infatti diciamo che ventiquattro è il doppio di dodici…torniamo a dodici, e che cos’è dodici?

Rudolf Steiner ha tenuto delle intere conferenze in cui parla del dodici come del numero fondamentale di tutto ciò che è eterno e si trova nello spazio, e del sette come del numero fondamentale di tutto ciò che si svolge nel tempo (Fig. 8,VI). Allora uno legge una o due conferenze e dice: “Caspita, adesso lo so, adesso ho dei contenuti riguardo a ciò che si può dire sul dodici e sul sette. Non appena terrò il corso sull’Apocalisse avrò da dire tutto il possibile! Poi passano due settimane e uno ha dimenticato tutto. Ha dimenticato tutto, se lo deve riconquistare da capo. Ma il progresso spirituale è così, non si vive di rendita, bisogna immergersi ogni giorno di nuovo nelle cose.

Perciò se pensate di invidiarmi per tutto quello che ho già pronto… non è affatto vero, dopo una settimana non c’è più niente e devo rielaborare tutto. L’anno scorso col Parsifal è stato anche peggio, ho dovuto darmi da fare per un mese intero per avere a disposizione tutte le conoscenze e i nomi: Peirapeil ecc. E tre settimane dopo tutta quella sfacchinata era tutto sparito. Ma va bene così, perché rimane solo quello che non è immagazzinato nella memoria o nella conoscenza, ma ciò che è si è elaborato spiritualmente. E lo sforzo, questo sforzo spirituale di capire le cose, rimane come pensiero, nell’essere andati avanti di un gradino nella forza del pensiero. Allora l’elemento mnemonico può anche non esserci o essere dimenticato.

Tra l’altro, per quanto riguarda la conoscenza, nel frattempo abbiamo i computer, Internet ecc. che possono immagazzinare molto meglio di quanto non facciamo noi nella nostra zucca, e lì è meglio avere dello spazio per penetrare col pensiero nelle cose. In fin dei conti, è un bene che i computer e Internet ci alleggeriscano di questa grande fatica dell’immagazzinare, perché conosco persone che a furia di memorizzare non hanno più spazio e forza per pensare. Che un uomo sappia molte cose non significa che ne capisca molte. E uno che capisce le cose in modo più profondo non deve necessariamente sapere tutto il possibile. Di solito le due cose si escludono a vicenda in una certa misura, non si possono fare tutte e due con la stessa intensità.

Allora, prendiamo come karma dell’umanità di Sardi, la nostra, il fatto di avere macchine che possono memorizzare così tanto e che noi abbiamo anche la capacità di usarle (i giovani non devono averne timore, perché si incarnano per avere a che fare con queste cose); perfino la velocità con cui è possibile richiamare i dati diventa sempre più rapida… Che bisogno ha allora il cervello di darsi da fare con le informazioni, se si possono recuperare così in fretta? Ed è noioso che uno voglia saperne più di un altro, se il computer sa tutto. E le forze si liberano – pensate quante forze abbiamo investito da giovani (e qui non siamo più giovanissimi, me compreso), quante forze abbiamo investito per imparare le cose a memoria. Ancor oggi penso con terrore all’esame di maturità. Bisognava sapere a memoria almeno diecimila versi in italiano, bisognava saperli ripetere, e più di diecimila in latino e tremila in greco. Solo per la maturità avevo dovuto preparare centoquattro testi. Se non mi sono venuti l’esaurimento nervoso e un infarto allora, non mi verranno più. E che cosa è rimasto di tutto quel ciarpame? Quasi niente. Perché la cultura è ciò che resta quando si è dimenticato tutto. Questa è la cultura.

Volevo dirvi che se pensiamo – anche nell’Apocalisse – di sapere tutto il possibile che c’è, per esempio il significato delle dodici pietre, finisce che uno ne impara a memoria i nomi e li inserisce in uno schema. Ma può darsi che risulti che niente di quel che ha pensato sia vero. Dove sono i criteri? Ho appena detto che le pietre sono le cose più misteriose che ci siano, e allora bisogna scavare parecchio.

Si riescono a capire meglio le cose intellettuali. Già quando si va nel mondo dell’anima – animali, sensazioni ecc. – le cose si fanno più difficili. Poi un gradino ancora più giù, i misteri delle piante, dove si tratta di salute e malattia, chi è in grado di sondare questi misteri? Per non parlare delle pietre! E se un uomo deve prendere coscienza già solo di questo, può risparmiarsi qualcosa, come dire?, delle sistemazioni, delle classificazioni belle e ordinate dove tutto è già stato scoperto. Desidero mettervi in guardia, avvisarvi che non porta a niente, se non c’è dietro una base contenutistica oggettiva.

Abbiamo visto i ventiquattro anziani vestiti di bianco. Queste vesti bianche sono ciò che sorge come forze animiche, forze spirituali – le vesti bianche sono vesti sovrasensibili – mediante la reggenza di ciascuno di questi ventiquattro anziani. Ogni epoca, infatti, ha lo scopo di produrre un nuovo involucro, un nuovo arricchimento nell’anima e nello spirito.

“Con indosso vesti bianche e corone d’oro in testa”: le vesti bianche sono per la sfera del cuore, i passi evolutivi nell’amore, e le corone d’oro sono i passi evolutivi nel pensiero, nella saggezza, nella conoscenza. Ancora queste polarità, triadi, quadruplicità – ci arriviamo adesso con i quattro animali –, poi ritornano sempre le settuplicità, lo vedremo prossimamente. I sette spiriti: Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna, adesso arriva tutto.

Allora, come orientamento, dove si tratta di dualità, è bene prendere sempre la dualità originaria presente nell’uomo, la polarità fra pensare e volere. Ma poi arriva sempre qualcuno che dice: sì, ma dov’è l’amore? Bene, dalla dualità fate una triade. Come si fa? (Fig. 9,VI). Senza fare funambolismi astratti, ma in concreto, di modo che si possa capire che lo si può fare, che è davvero qualcosa che si può fare.

Allora qui abbiamo la dualità, A e B è una dualità. “A” è il pensare…tutti capiscono che cos’è il pensare? È qualcosa o è solo un’astrazione? Non è un’astrazione, è un mondo intero, è un’eterna occupazione dell’uomo. E qui, in “B”, il volere e l’agire.

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Fig. 9, VI

Questa è una polarità dell’uomo, perché l’uomo è un essere pensante, volente e agente: pensare e agire.

Adesso faccio un piccolo esercizio, naturalmente sono esercizi molto importanti, sono strumenti per capire l’Apocalisse, ma anche ogni testo scritto in modo intelligente. La domanda è: è solo una dualità? L’uomo ha solo il pensare e il volere o ha anche qualcos’altro? Posso capire il terzo elemento solo nella misura in cui capisco che dev’essere già presente. Si tratta di evidenziare qualcosa: in altre parole, adesso sottolineo quello che è contenuto nella polarità in modo da evidenziare qualcosa che altrimenti non vedo, della cui presenza non mi accorgo. Che cosa vuol dire infatti che l’uomo è una polarità? Che deve prendere le mosse dal pensare (punta il gesso in “A”), che ha un pensiero e che poi vuole fare qualcosa (va fino a “B”), poi torna a pensare e guarda che cosa ha fatto e si fa venire dei pensieri su questo (torna in “A”) per poi muoversi di nuovo. E che cos’è il movimento? È che non sta mai fermo.

Questa è una terza cosa o sono sempre solo due? Non ha importanza che io dica che sono tre o due, l’importante è che capisca che l’uomo può diventare rigido, cioè può diventare unilaterale dalla parte del pensiero, se dal pensare non entra abbastanza nel volere, nel fare, nell’agire, oppure diventa unilaterale dalla parte del volere per il fatto che non riflette mai su ciò che fa. Vive pienamente come uomo quando vive nel movimento che sta in mezzo. E che cos’è il movimento? Il movimento è l’amore del pensare per il fare, e il movimento è l’amore del fare per il pensare. Quando faccio qualcosa sperimento la mia umanità se nel contempo, mediante il fare, sperimento la privazione del pensare, poiché tramite il fare sono costretto a mettere il pensare in secondo piano. Allora, fare qualcosa in quanto uomo vuol dire fare a meno del pensare, perché il pensare dev’essere messo in secondo piano. E pensare significa mettere in secondo piano il fare, se non penso in maniera completamente folle, disumana. Pensare da essere umano significa fare a meno del fare, perché così mi posso concentrare solo sul pensare, proprio perché non meno colpi intorno a me.

Allora ogni aspetto vissuto umanamente è la nostalgia per l’altro aspetto: penso (e allora mi manca il fare); faccio, agisco (e allora mi manca il pensare). E che cos’è la nostalgia per l’altro aspetto? L’amore. E se si pone una polarità senza pensare contemporaneamente alla trinità, si fa qualcosa di assolutamente astratto, perché non ha niente a che fare con la realtà. Nella realtà, infatti, posso pensare solo a una polarità di tipo trinitario, mettendoci anche il movimento fra i poli, altrimenti non è una polarità, ma due cose che non hanno niente a che vedere l’una con l’altra.

Voglio solo dire che se si capiscono le cose in modo realistico, conforme alla realtà, allora si è completamente liberi, sovrani, nella formazione dei concetti. Se serve per evidenziarlo meglio, posso rappresentare un fenomeno più dualisticamente, perché so che magari viene capito meglio se lo descrivo polarmente; oppure qualche volta posso mettere in primo piano l’elemento trinitario, cioè descrivo una triade.

L’Apocalisse fa parte dei testi migliori, perché dove è meglio che ci sia una polarità per effettuare certi pensieri, per compiere certi passi evolutivi che devono essere compiuti, allora presenta una polarità, allora tratta di due cose. Dove invece è meglio una triade per descrivere quello che l’uomo deve immaginarsi e pensare, abbiamo una triade. Ma mai per caso, neanche per sogno, e neanche disordinatamente. Non si verifica mai che una polarità, una dualità, venga usata in un punto in cui è più adatta una trinità, o che una triade venga messa al posto di una dualità.

Un’arte sublime. Ma non è diverso da un direttore d’orchestra di fronte a una partitura. Uno che non se ne intende dice: tutte queste macchie qui sul foglio sono molto complicate, mentre al direttore d’orchestra basta un’occhiata per avere le idee chiare. L’Apocalisse allora è una partitura e l’uomo dev’essere, se non subito un direttore, almeno un musicista dell’orchestra.

Nelle pietre c’era una trinità proprio adesso: sardio, diaspro e smeraldo.

Intervento: Noi sul testo abbiamo corniola.

Archiati: Sì, corniola – questo evidenzia che c’è ancora qualcosa da fare. In greco è „£spidi (iàspidi), quindi diaspro, sard…J (sardìo) sardio, e smaragd…nJ (smaragdìno), smeraldo. Ah, adesso capisco e posso spiegarvelo. Qui in greco c’è kaˆ Ð kaq»menoj Ómoioj Ðr£sei l…qJ „£spidi (kàai o kathèmenos òmoios oràsei lìtho iàspidi): in certi manoscritti dopo il diaspro viene la corniola, mentre in altri no. Allora, alcuni manoscritti hanno tre pietre: diaspro, sardio e smeraldo, e altri hanno una quadruplicità. Quando scriverete un libro su questa triade e su questa quadruplicità, ditemelo, e io lo studierò.

Intervento: Che pietra è il sardio?

Archiati: Il sardio? Chi ci sa dire che cos’è il sardio? Se partite dai colori vi trovate subito in difficoltà, perché vi accorgerete subito che la maggior parte dei tipi di pietre ha diversi colori. Quindi non potete stabilirlo in base al colore. Allora dovete prendere la composizione fisica e anche così avete esemplari diversi nei vari continenti. Prendete per esempio il grande libro di Benesch sulla tormalina.

Intervento: Non è nominata come pietra per la Nuova Gerusalemme.

Archiati: Forse perché è così complicata, perché la tormalina non fa parte delle dodici pietre che vengono nominate alla fine nella Gerusalemme.

Intervento: Non si sente!

Archiati: Mi sono portato questo libro per avere tutte le conoscenze pronte per questo corso. E poi mi sono reso conto che molte cose non ti portano avanti. Perché se adesso si legge Hildegard di Bingen – e l’ho fatto, non in tutti i particolari – e la si paragona a quanto dice Benesch, la maggior parte delle volte le due cose non coincidono. E mi si chiede troppo pretendendo che dica quale dei due ha ragione. Perché sicuramente Hildegard di Bingen, grazie alla sua visione spirituale che suppongo fosse in gran parte giusta, ha messo in primo piano delle qualità delle pietre completamente diverse da quelle che Benesch mette in primo piano, e a ragione, come scienziato naturalista.

E allora sorge la domanda se questa pietra ha a che fare con la Gerusalemme celeste per questa qualità, magari più animico-spirituale, o per quest’altra qualità più scientifica. A questo punto dico che bisogna avere il coraggio di non speculare eccessivamente e avere semplicemente l’umiltà di ammettere che l’Apocalisse contiene un mucchio di misteri per cui dobbiamo ancora aspettare.

Mi sta bene se questa affermazione è valida solo per me. Ci sono ancora molte cose per cui devo aspettare. Vedete, se adesso ci rompiamo la testa per stabilire se sono tre pietre o quattro non andiamo avanti, perché restiamo privi di contenuto. Si capisce quello che ho cercato di dire? Le cose ci aiutano solo se acquisiamo contenuto, avere una nomenclatura non ci porta molto.

4,5 «E dal trono partivano lampi, voci e tuoni»

Ecco per esempio una triade che in Rudolf Steiner appare spesso in alcune conferenze difficili, in cui vengono descritti diversi mondi. Prima c’è l’elemento immaginativo, l’immaginazione, poi vengono l’elemento sonoro e quello linguistico (sono due stadi molto diversi), quando il suono non è ancora diventato parola. La parola infatti articola i suoni attraverso il linguaggio umano, e allora a questo punto arriviamo al livello del linguaggio umano. Poi arrivano i quattro esseri.

Esseri

Parola

Suono

Immagine

Questo viene descritto in modo specialistico nell’Apocalisse per il fatto che ¢strapaˆ, (astrapài), il lampo, è il primo stadio dell’elemento immaginativo, perché un lampo dev’essere visto; poi fwnaˆ (fonài) è l’elemento sonoro; bronta… (brontài) sono i tuoni, quindi la parola, e solo dopo aver compiuto questi tre passi si arriva a capire l’essenza degli esseri spirituali. Allora questi quattro stadi sono davvero quattro stadi diversi della penetrazione nel mondo spirituale.

Osservate in greco il versetto 4,5: Kaˆ ™k toà qrÒnou (kai ek tu thrònu) e dal trono ™kporeÚontai (ekporèuontai) vengono fuori, spiritualmente fuoriescono dal trono – il trono è l’insieme degli stadi evolutivi – ¢strapaˆ (astrapài), lampi; fwnaˆ, (fonài), suoni; bronta… (brontài), l’elemento della parola, del Logos; ed ecco l’essenza, gli esseri:

4,5 «e sette fiaccole di fuoco ardevano davanti al trono, che sono i sette spiriti di Dio»

kaˆ ˜pt¦ lamp£dej purÕj (kài eptà lampade pyròs) e sette fiaccole di fuoco: sono gli esseri, le sette intelligenze del sistema solare, se è una settuplicità. Sono esseri spirituali.

Abbiamo quindi questa quadruplicità: dell’elemento immaginativo (il lampo), dell’elemento sonoro, fonài, voci (quindi le voci della natura, non ancora la voce dell’uomo, che è articolata linguisticamente), poi brontài, che viene tradotto con “tuoni” ed infine “i sette spiriti di Dio” (l’essenza).

Ma anche se scrivo alla lavagna questa quadruplicità sono di nuovo solo quattro parole. Vi posso garantire che ho provato un immenso piacere nella lettura di certe conferenze di Steiner in cui ha da dire delle cose a proposito del contenuto dell’elemento immaginativo, sonoro, linguistico ecc., al punto che mi sono detto: però, sarebbe bello se non te lo dimenticassi subito ma riuscissi a ricordarti i contenuti che vengono illustrati. Per questo la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è qualcosa in cui bisogna calarsi sempre nuovamente. Le cose vanno sempre dimenticate, perché il loro valore consiste nella possibilità di riconquistarle di volta in volta, e nel processo della conquista il pensiero fa progressi.

È paragonabile all’esperienza di uno che impara a suonare il pianoforte e ha un metodo – perlomeno, in seminario abbiamo imparato a suonare l’armonium e c’era un metodo. Il senso è che io impari il metodo a memoria? No, il senso è che, mentre eseguo gli esercizi che si basano sul metodo, io impari a suonare. Adesso ho dimenticato tutti gli esercizi: ed è un bene, l’importante è che adesso sappia suonare. A che mi serve sapere a memoria tutti gli esercizi, tutte le note che ci sono nel metodo, se poi non so suonare?

Oh, detto in un altro modo: quando abbiamo imparato a scrivere, quanti esercizi abbiamo fatto con la “A” e con la “O”? Mi ricordo che non riuscivo mai a fare la “O” del tutto rotonda. Una volta ho dato a un mio amico quello che mi ero portato dalla fattoria, affinché mi facesse delle belle “O” rotonde, gli ho dato le mie cose da mangiare perché volevo far bella figura con la maestra, volevo farle vedere che avevo fatto le “O” così bene. Ma non erano mie, erano del mio amico!

Ci ricordiamo di tutti gli esercizi che abbiamo fatto? No, abbiamo imparato a scrivere. Allora la scienza dello spirito di Rudolf Steiner non ha lo scopo di farci ricordare tutto il possibile, di essere un computer, una memoria, una biblioteca di conoscenza. Niente affatto. Il senso è come imparo a pensare mentre leggo. Poi posso dimenticare tutto. Lo rileggo, ma non con lo scopo di avere tutto pronto per fare effetto sugli altri con tutto quello che so. A che serve? E oggi nessuno vuol dare ascolto agli altri.

La gioia consiste nel fatto che, in qualsiasi processo (adesso abbiamo a che fare con il testo dell’Apocalisse), la cosa principale è: come posso esercitare il mio pensiero? Questa è la gioia, il mio progredire come spirito. E poi posso di nuovo dimenticare tutto, dopo di che lo conquisterò nuovamente.

Stasera devo tornare e dire: accidenti, l’ho preparato per settimane e ho dimenticato tutto di nuovo. Devo dargli un’occhiata veloce e sperare che, una volta davanti al testo, mi riesca di pensare un po’ e che le idee ritornino. Ed è proprio così. Ma nello stesso tempo è liberatorio, perché ad ognuno viene detto: attento, non si tratta di far colpo sugli altri perché ne sai di più, ma si tratta di provare gioia per il fatto di essere davvero in grado di pensare. E un piccolo, modesto pensiero che hai fatto vale molto di più di tutti i pensieri di tutti i professori che non sono stati pensati da te. Perché, a che cosa ti servono? (E così ho ammesso che i professori producono molti pensieri… forse è un po’ esagerato, forse dovrei ridurre della metà!).

Le sette intelligenze planetarie sono come ispiratrici originarie della settuplice evoluzione sulla Terra; settuplice evoluzione dell’uomo in modo molteplice, poiché i settenari si ripetono sui piani più diversi – le sette incarnazioni planetarie della Terra divise ognuna in sette epoche, e la nostra epoca divisa in sette periodi fra il diluvio di Atlantide e la “guerra di tutti contro tutti”…è così che finirà Laodicea. Nella corrente dell’esoterismo si è sempre detto come dogma fisso: la fine di Laodicea (e abbiamo visto che qui ci sono degli accenni) sarà la “guerra di tutti contro tutti”. Ed è una fortuna che gli uomini di Filadelfia si siano già un po’ ritirati da questo imperversare della guerra di tutti contro tutti.

Anche del diluvio universale parlano tutte le culture… perfino i popoli dell’Africa che non hanno nessun contatto con il mare, con l’oceano, e non dovrebbero avere la più pallida idea del diluvio universale, hanno sempre un diluvio nella loro mitologia, nella loro storia della creazione. Vuol dire che il diluvio universale è davvero un ricordo primigenio, perché è stato veramente l’inizio della nostra quinta epoca postatlantica, dopo che il continente atlantico si è inabissato sempre più nel corso di svariati decenni.

O meglio, il diluvio universale dal punto di vista naturale consisteva nel fatto che – viene descritto anche dai Greci – prima di Noè l’aria era piena d’acqua, così che il Sole veniva visto in modo diverso. Il diluvio universale ha rappresentato la separazione di acqua e aria. Prima non era così. Naturalmente c’è ancora acqua nell’aria, ma in confronto al contenuto d’acqua presente nell’aria a quei tempi ce n’è una percentuale minima.

E nella Bibbia viene descritto – tutte cose che voi naturalmente conoscete bene – che per la prima volta fu possibile l’arcobaleno. E come mai l’arcobaleno simboleggia il patto di pace stipulato da Jahvè, dalla divinità, sulla Terra? Perché l’arcobaleno è possibile solo dove l’aria non contiene più tanta acqua: è un segno che dall’aria non può più precipitare così tanta acqua da dare origine a un altro diluvio universale.

Allora, dopo questo diluvio universale, fra il diluvio universale e la guerra di tutti contro tutti, abbiamo i sette stadi, i sette periodi di civiltà: Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea. Di nuovo un settenario. Che cos’è questo settenario? Una settuplicità degli spiriti di Dio, come dice qui l’Apocalisse, cioè sette stadi dell’umanizzazione poiché in ogni periodo culturale all’uomo viene data la possibilità di acquisire forze del tutto diverse, forze nuove. Per renderlo possibile, le condizioni culturali, geografiche, climatiche, devono cambiare di volta in volta. La Terra, l’aria, l’acqua hanno agito sull’uomo in modo completamente diverso ai tempi dei Greci (e lo possiamo vedere se leggiamo i loro documenti), e oggi la Terra e tutto ciò che ad essa appartiene agisce in modo del tutto diverso sull’uomo, poiché sono in vista altri stadi evolutivi.

Volevo arrivare alla fine del capitolo quattro.

4,6 «E davanti al trono come un mare di vetro simile a cristallo.»

Il mare di vetro verrà ancora dopo. Qui è come l’elemento cristallino del mondo astrale. Mare di vetro significa che questo è un mondo in cui gli esseri non sono materiali, in questo mondo astrale è tutto trasparente. Questo è uno dei significati fondamentali del mare di vetro

4,6 «E in mezzo al trono e intorno al trono quattro figure celesti, piene di occhi davanti e dietro»

4,7 «e la prima figura era simile a un leone, e la seconda figura era simile a un toro, e la terza figura aveva il volto simile a un uomo e la quarta figura era simile a un’aquila che vola»

Sono i quattro famosi animali apocalittici attribuiti ai quattro vangeli. Se volete, anche nello zodiaco c’è una croce (Fig. 10,VI), c’è una quadruplicità anche nello zodiaco. Se qui ho l’Ariete e qui la Bilancia, qui ho il Toro e qui lo Scorpione. Lo Scorpione ha preso il posto dell’Aquila, ma all’inizio era l’Aquila. Cioè, lo Scorpione è l’Aquila caduta, le forze del pensiero caduto.

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Fig. 10, VI

L’Aquila sono le forze del pensiero; le forze del pensiero dovevano cadere, l’uomo doveva disimparare a muoversi nel mondo spirituale mediante il pensiero. Allora queste forze di persuasione, dove l’uomo pensando raggiunge il convincimento, sono diventate forze di riproduzione. L’uomo è caduto nell’elemento terreno e adesso può pensare solo a livello terreno. Il pensiero è passato dal muoversi come un’Aquila nel mondo spirituale al muoversi come uno Scorpione, potendosi riprodurre solo nel mondo terreno.

Allora questo sarebbe il primo asse Toro-Scorpione(Fig. 10,VI), e quale sarebbe il secondo per ricavarne una croce? Leone, e Uomo angelo. Questo è l’uomo angelo: l’Acquario; allora Aquila e Scorpione sono animali, il Toro è un animale, il Leone è un animale, ma questo è un Uomo, nello zodiaco c’è un uomo. Vedete allora che i quattro animali apocalittici sono nello stesso tempo iscritti nello zodiaco come croce.

Che cosa sono questi quattro animali dal punto di vista spirituale o eterico? Sono i quattro stadi fondamentali del diventare uomo. Pensiamo a Charles Darwin, a Ernst Haeckel, che cosa hanno fatto questi sostenitori dell’evoluzione? Li hanno presi sul serio; e da quel lato è vero che l’uomo, lo spirito dell’uomo, ha potuto incarnarsi solo perché si è verificata un’evoluzione globale dell’elemento corporeo. Cioè, l’uomo ha vissuto tutti gli stadi evolutivi degli animali fino all’essere umano. La questione è solo: quando si è incarnato? Quando è entrato nel corpo? E l’affermazione fondamentale è: lo spirito umano è al di fuori, è intervenuto sugli stadi evolutivi dall’esterno finché l’evoluzione del corpo non è stata così perfetta per cui, come posso dire?, gli era compatibile – questo adesso è un corpo con cui mi posso alzare in piedi, con cui posso parlare, con cui posso pensare, e allora lo compenetro.

Solo l’evoluzione del corpo, l’evoluzione del corpo animale dell’uomo (perché l’uomo appartiene anche agli animali, come spirito vi aggiunge qualcosa), è nella successione degli animali. Se procediamo dalle scimmie – parlo del corpo –, allora l’uomo nasce con i livelli intermedi. Gli scienziati sono tuttora alla ricerca di tutti gli anelli che si trovano fra scimmia e uomo.

La fisicità procede dallo stadio degli insetti, dei primi animali, delle amebe, che sono quasi ancora piante, fino a una fisicità davanti alla quale l’uomo, lo spirito dell’uomo, dice: questa fisicità adesso ha raggiunto un punto tale per cui la posso usare per mettermi in posizione eretta (e completamente, non a metà come le scimmie), per parlare (e gli animali non possono parlare) e posso usare questo corpo per pensare. Ora vi entro. Ma prima di quel momento lo spirito umano era fuori, quindi non possiamo parlare di evoluzione dell’uomo: l’evoluzione dal basso è l’evoluzione delle forme corporee.

Allora, qui in basso c’è un inizio (Fig. 11, VI) e poi si solleva sempre più, qui c’è una scimmia, se volete, e poi il pitecantropo e l’australopiteco ecc. e qui finalmente ci siamo noi, in posizione perfettamente eretta.

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Fig. 11, VI

Qui in alto (sopra le frecce) c’è lo spirito dell’uomo che esercita la sua influenza per andare sempre più avanti, ma la esercita dall’esterno: Deve migliorare ancora, questa corporeità, lì non ci entro, altrimenti sono un toro ma non ancora un uomo. Allora avanti, e avanti ancora, e qui, alla fine, è entrato, questa è la prima incarnazione dello spirito dell’uomo, prima lo spirito umano era fuori. Solo qui (ultima figura a destra) c’è lo spirito dell’uomo.

Quindi l’evoluzione descritta da Darwin nella sua opera L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale è l’evoluzione delle forme corporee. Se si dice che è l’evoluzione dell’uomo non si ha la più pallida idea dell’uomo, poiché l’uomo è lo spirito dell’uomo, non il corpo. Il corpo è la casa dell’uomo.

Ci sono quindi quattro stadi fondamentali in questa evoluzione del corpo, o meglio, il regno animale va suddiviso in tre gruppi fondamentali. Questi tre animali di cui si parla sono presenti nell’uomo (nella misura in cui questi fa parte del regno animale) sotto forma di sistemi: uno è il sistema degli arti e del metabolismo (Toro), l’altro il sistema ritmico respiratorio e circolatorio (Leone), e il terzo è il sistema neurosensoriale (Aquila). Questi tre sistemi devono essere nettamente distinti fra loro. Si intrecciano nell’organismo, ma ogni sistema ha regole completamente diverse. Un medico sa immediatamente che una malattia localizzata nel sistema neurosensoriale va trattata in modo del tutto diverso da una che ha a che fare con il sistema metabolico. Vanno affrontate in modo diametralmente opposto.

Allora, il Toro rappresenta tutti gli animali che di questi tre sistemi prediligono quello del metabolismo e degli arti – quindi i bovini, i ruminanti. Già il solo fatto che ruminino lo mostra. E viene da lì la venerazione della mucca (della vacca) in India, perché quelle sono le forze più profonde, le forze del metabolismo, del ricambio, dove lo spirito trasforma la materialità. È il grado più basso di trasformazione, la trasformazione del Padre, che si verifica dove la materia terrena viene trasformata in materia organico-animale. È una trasformazione potente il fatto che dall’erba esca una mucca, per dirla in parole povere. Allora c’è un primo gruppo di animali in cui il sistema ritmico è meno sviluppato, ma è solo di accompagnamento, perché le cose importanti avvengono nel metabolismo.

Poi ci sono animali in cui il sistema ritmico è perfetto e occupa una posizione di primo piano. Nel Leone è determinante che il ritmo fra respirazione e pulsazione del sangue sia perfetto (nell’uomo è 4 a 1, quattro pulsazioni ogni respiro). In fin dei conti il leone non mangia perché ha fame, dato che non sa che cosa sia la fame; il leone ha l’istinto, l’impulso di mangiare nel momento in cui l’armonia fra pulsazione sanguigna e respirazione si è un po’ modificata. Il ritmo o il rapporto dev’essere perfetto. E nel momento in cui il rapporto è sfasato il leone deve mangiare. Poi, non appena il ritmo si è ristabilito, il leone smette di mangiare. Il mangiare non ha tanto a che fare con la fame, quanto con il bisogno di ritmo, di assoluta armonia, di equilibrio fra aria, respirazione e sangue. La scienza ha ancora qualcosa da scoprire. Sono tutte cose che ho scoperto in Steiner, ed è possibile convincersene.

Poi c’è un terzo tipo di animali (occuparci dei pesci ci porterebbe troppo lontano), quelli che vivono nell’aria, che volano, gli uccelli. Dei tre sistemi organici presenti in tutti gli organismi – sistema metabolico, sistema ritmico e sistema neurosensoriale –, nei volatili quello più sviluppato è nettamente il sistema neurosensoriale. L’animale che rappresenta tutti i volatili è l’Aquila.

Nell’uomo il sistema neurosensoriale, l’elemento Aquila, è il fondamento per il pensiero; il sistema ritmico è il fondamento di tutte le emozioni – e non è vero che le emozioni, le sensazioni avvengano per mezzo del sistema neurosensoriale, no! L’elemento emozionale interviene direttamente nel pulsare del sangue e nel ritmo della respirazione. E infine il fondamento della volontà nell’uomo è il sistema metabolico. Infatti fare qualcosa, mettersi in movimento dinamico, significa bruciare materia, materia corporea. È nel sistema metabolico che la materia viene bruciata per poter poi essere in un secondo tempo fornita mediante l’alimentazione per bruciare ancora.

L’uomo è l’armonizzazione, l’Uomo angelo – in figura è l’Acquario. L’Acquario prima di cadere sulla Terra è come San Giorgio, come un Michele con le ali. L’Uomo angelo – il quarto essere vivente dell’Apocalisse – era l’uomo non ancora sulla Terra. La Terra non era ancora diventata così minerale fisicamente – l’uomo fluttuava ancora in alto. Diventa uomo incarnato per il fatto che la triade, che negli animali è unilaterale, in lui si armonizza. Per esempio nel Toro prevale il metabolismo, gli altri due sistemi sono atrofizzati; nell’Aquila prevale il sistema neurosensoriale, gli altri due sono atrofizzati; nel Leone prevale il sistema ritmico, gli altri due sono atrofizzati.

L’uomo è l’unico essere nella creazione che deve conquistare un’armonizzazione, un equilibrio. E si diventa uomini solo permettendo il giusto equilibrio e la giusta armonizzazione fra sistema neurosensoriale, sistema ritmico e sistema metabolico, come fondamento per l’armonia fra pensieri, sentimenti e impulsi volitivi. Perché l’uomo è questo, la giusta armonia, il giusto equilibrio fra pensieri, sentimenti e impulsi volitivi. Se pensa solamente e non fa mai nulla non è un uomo. Se fa e basta, è una macchina che non pensa mai. E se fantastica tutto il tempo ma non pensa mai e non fa mai niente, non è un uomo. L’uomo è l’armonizzazione fra il filosofo e il sognatore e l’uomo d’azione allo stato puro, l’uomo è colui che conquista il giusto equilibrio fra pensare, sentire e volere.

L’apocalista ha dato un’occhiata al mistero del processo per cui l’uomo diventa intero, completo, quando l’evoluzione arriva al punto da potergli offrire un corpo fisico adatto in cui incarnarsi sulla Terra, lasciando agli animali le sue unilateralità passate. Ciò significa che il grande sacrificio degli animali consiste nell’aver preso su di sé il rimanere unilaterali per dare all’uomo la possibilità di diventare universale e di vivere nel proprio essere una sintesi armoniosa di queste forze animali. E l’Io è la forza, la giusta armonia, la giusta miscela da ristabilire continuamente fra l’elemento del Toro, quello del Leone e quello dell’Aquila.

7a Conferenza
mercoledì, 13 nocembre 2002, sera

Cari ascoltatori, abbiamo visto che visione possente e incoraggiante ha avuto l’apocalista quando ha visto le forze spirituali, gli esseri spirituali che amministrano e plasmano le forze dell’esistenza, dell’esistenza naturale, fisica. Abbiamo visto quale evoluzione delle forze animali è stata necessaria per permettere la nascita dell’uomo. È stato necessario combinare insieme le forze cosmiche che plasmano organicamente tutte le forze che servono per il sistema degli arti e del metabolismo, di cui abbiamo l’archetipo nella mucca, nel Toro. Poi le forze necessarie per avere un sistema ritmico (Leone) e un sistema neurosensoriale (Aquila). Certi scienziati si facilitano senz’altro il compito pensando di sapere già tutto sul sistema neurosensoriale, catalogando, sistematizzando e mettendo insieme quel che c’è di sensorialmente percepibile. È per questo che nell’epoca del materialismo, in fondo, non hanno la più pallida idea che a livello delle forze eteriche, cioè nel mondo sovrasensibile qui accanto, succeda ancora di tutto. In Goethe si parla ancora di questo etere, di questo elemento eterico. Poi nell’umanità è andato perduto. E adesso arriviamo agli esseri spirituali che vi stanno dietro.

4,8 «E ognuna delle quattro figure aveva sei ali, e dentro e fuori erano piene di occhi»

Allora Aquila, Toro, Leone e Uomo, ciascuno con sei ali. Le ali sono organi dell’evoluzione finché questa non è ancora diventata terrena. Quando l’evoluzione diventa terrena si perdono le ali e si ricevono le gambe per camminare, e i battiti d’ali diventano passi. Allora, quando si parla di passi siamo sulla Terra e quando si parla di ali siamo nell’aria. Anche gli aerei infatti hanno le ali. E vi ho già detto che finché l’aria era piena d’acqua non c’era separazione fra aria e acqua e l’uomo era un essere d’aria e d’acqua. Fluttuava in alto, ed è solo a poco a poco, specialmente nell’epoca atlantidea, che la Terra è diventata più densa e l’uomo si è unito sempre più con questa densità – in un primo tempo con un corpo cartilaginoso e poi sempre più osseo e denso; all’inizio più simile ad uno spinacio, per poi diventare, e con lui la crosta terrestre, sempre più denso. L’evoluzione dell’umanità consiste nel fatto che le ali sono diventate sempre più superflue, l’uomo è sceso – sono processi lunghissimi – e le gambe hanno dovuto rafforzarsi sempre più affinché l’uomo potesse stare eretto e camminare sulla Terra.

Quest’Uomo angelo è quindi ancora l’uomo di Atlantide, se volete, che non è ancora ben saldo sulla Terra, ma che in un primo tempo vola, fluttua in questa atmosfera di aria e acqua e che a poco a poco scende sulla Terra. E che cosa sarebbero le sei ali, i sei organi evolutivi? Intanto “piene di occhi” significa che queste forze diventano organi di percezione; “piene di occhi” vuol dire che sono l’assortimento di tutte le forze terrene e cosmiche necessarie per creare l’uomo. Le sei ali, quindi, sono le sei forze evolutive: l’ala è un organo evolutivo finché si vola e i piedi sono organi dell’evoluzione quando bisogna compiere dei passi.

Adesso faccio solo una proposta di come si può arrivare alle sei ali. Abbiamo il vero, abbiamo il bello e abbiamo il buono: esistono, non potete avere niente in contrario (Fig. 1,VII). L’uomo per svilupparsi, per appropriarsi di tutto il vero – è di questo che si tratta nell’evoluzione, cosa potreste avere in contrario? –, per appropriarsi di tutto il bello e di tutto il buono ha bisogno ogni volta di due ali, di due forze evolutive.

Deve accogliere il vero, poiché se non riceve il vero dalla divinità non sarà mai in grado di sviluppare la seconda ala del vero, cioè produrre o creare il vero col pensiero. Quindi per l’evoluzione nel vero l’uomo ha bisogno di due ali: una forza gli serve per ricevere, l’altra per creare. L’ala è una forza evolutiva; dove l’evoluzione vola la forza evolutiva è l’ala, e dove l’evoluzione cammina la forza evolutiva è costituita dal piede e dal passo. L’uomo ha bisogno di due forze evolutive, di due ali: la forza attraverso cui riceve il vero e la forza attraverso cui crea il vero.

A destra e a sinistra abbiamo i resti atrofizzati delle ali: le due braccia. In tutte le culture, non esoteriche, ma essoteriche, si dice sempre che il braccio sinistro riceve la forza, e per questo in genere l’uomo è meno forte nella sinistra. E a tutti i pedagoghi bisognerebbe insegnare che devono fare di tutto per indurre il bambino a scrivere con la destra, perché la destra è la mano attiva e la costituzione globale è fatta in modo che il lato destro sia quello attivo e il sinistro quello ricettivo. Allora, l’ala sinistra è fatta per ricevere e quella destra per creare. Non ho scoperto niente. Quindi non potete aver niente in contrario.

Nel “bello” è ancora più chiaro perché nella lingua, nella nostra cultura, fin dai tempi dei Greci abbiamo sempre distinto fra uomini che sanno godere della bellezza (quasi tutti lo sanno fare, oggi non più tutti, ma diciamo quasi tutti) e uomini che la sanno creare. Godere del bello, godere dell’arte è come ricevere. Nella misura in cui l’uomo ammira il bello creato dagli esseri divini, o dagli altri uomini, se non è proprio la quintessenza della grettezza, avverte che il senso del godere dell’arte sarebbe cominciare un pochino a creare l’arte, a creare il bello. Ecco che abbiamo già quattro ali: una, due, tre, quattro.

Le altre due ali vengono attraverso la ricezione del bene, dato che ogni uomo è un collettore, un ricettore di grazia divina. Se solo si rendesse conto di quante forze del bene, dell’amore per l’umanità ha ricevuto nel corso dei millenni! Se lo richiamasse alla mente e lo capisse, sarebbe sufficiente per portarlo sempre più a fare il bene.

Allora, ricevere e produrre il vero, godere e creare il bello, accogliere e fare il bene, queste sono le sei ali. Avete qualcosa in contrario? Non potete aver nulla in contrario. Se trovate qualcosa di meglio, io non avrò niente in contrario.

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Fig. 1, VII

Vedete, l’Apocalisse non è fatta in modo che si possa dire: questo è il solo significato, non ce ne sono altri. Sarebbe assurdo. I testi sono scritti in modo da rappresentare ogni volta i fenomeni nella loro essenza, ma indicando che ogni fenomeno è inesauribile. E questa sestuplicità dev’essere un intero cosmo, perché cosa manca se ho il vero, il bello e il buono, addirittura ogni volta in maniera duplice, che cosa manca? Un bel niente. In questo senso non potete aver niente in contrario al fatto che non manca niente. Ci si muove come uomo nel cosmo, con queste sei ali, così che si noti quanta verità si ha – dato che ogni percezione è un’assunzione del vero[9].

“Aveva sei ali, ed erano fuori e dentro piene di occhi» – vedete, adesso si potrebbe riferire questa sestuplicità all’esterno e all’interno. La verità all’esterno viene presa, la verità all’interno viene creata interiormente. Anche “fuori e dentro” è giusto. Questo vale tra l’altro anche riferito agli occhi, ma lo si può prendere anche per le sei ali.

4,8 «e non avevano pace giorno e notte e dicevano:»

Niente pace giorno e notte perché l’evoluzione non si ferma mai, non si riposa mai. Anche quando dormiamo la nostra coscienza, la nostra coscienza limitata, viene messa momentaneamente fuori uso per far agire una coscienza più ampia. E dato che è troppo ampia non ne prendiamo coscienza. L’evoluzione quindi è incessante. Qui si dice: niente pace giorno e notte. L’evoluzione c’è sempre, la creatività non ha bisogno di pause, perché il creare è nello stesso tempo un rinnovare le forze.

Ci si può immaginare una divinità che ha bisogno di una pausa? Il sabbat di Jahvè, del Creatore, per la Bibbia non vuol dire che il buon Dio è rimasto così senza fiato da doversi realmente riposare il settimo giorno. Sarebbe un’interpretazione sbagliata del sabbat. Il senso del sabbat è un altro: che la divinità il sesto giorno ha creato l’uomo e l’ha creato in modo tale che deve appropriarsi di se stesso, perché ha la stoffa di essere divino, è un dio in divenire. Essere dio significa essere già quello che l’uomo deve diventare; essere uomo vuol dire essere un dio in divenire. Allora la divinità deve farsi un po’ in disparte per far posto all’uomo, non perché si deve riposare. La creazione spirituale è il riposo dello spirito, mentre diventare non creativo sarebbe un insopportabile strapazzo per lo spirito.

Allora qui non possiamo proprio usare i concetti di stanchezza fisica, per cui: “nessuna pace giorno e notte e dicevano:” adesso si parla. Tutti abbiamo visto che cosa si è messo insieme qui: una porta si apre e poi un trono e Uno che vi è seduto sopra, e queste pietre con i loro colori e i tuoni e i sette candelabri di fuoco ecc. e poi il mare di vetro, le quattro figure celesti, figure di animali con sei ali e piene di occhi. E adesso giorno e notte dicevano

4,8 «santo, santo, santo è il Signore Dio onnipotente»

“Agioj ¤gioj ¤gioj kÚrioj Ð qeÕj Ð pantokr£twr (àghios àghios àghios kýrios o theòs). Questo inno di lode, questa gratitudine, questa eucaristia, questo omaggio non si riferisce tanto al Padre quanto al Figlio, come fulcro di tutta l’evoluzione umana. E che cosa significa agioV (àghios), santo? “Santo” vuol dire che in Cristo c’è la salvezza dell’uomo, e il concetto di salvezza è quello di salute; un uomo è integro quando è sano. Per essere sani dev’essere tutto in ordine, basta che una sola cosa rovini per essere malati.

Un motto degli scolastici del medioevo era Bonum ex integra causa, il bene c’è solo quando c’è tutto. Malum ex quocumque defectu, il male sorge anche attraverso la mancanza di una sola cosa, basta che manchi una cosa ed è un male. Per avere il bene dev’esserci tutto. Questo è il concetto della salvezza, la completezza di tutte le forze nella loro armonia. Allora l’uomo è sano, integro. Ed ogni uomo aspira a questa salute, poiché tende a vivere sempre più nella pienezza, così che non gli manchi niente. Il concetto di malattia è che manca qualcosa, che qualcosa è fuori posto, basta che manchi una sola cosa. Per essere sani tutto dev’essere in ordine.

Poi arriva qualcuno che dice: ma non è giusto che per essere sani tutto debba essere in ordine e invece per ammalarsi basta che si rovini l’appendice o un dito del piede! Non è un’ingiustizia, nel senso che è normale che l’uomo sia sano e non è normale che anche una sola cosa non funzioni. E pensiamo a che arte ci vuole per creare un mondo in cui, in condizioni normali, tutto va bene. Noi la riteniamo una cosa ovvia perché siamo abituati così. È una fortuna che ci ammaliamo di tanto in tanto, che impariamo a non dare per scontato lo stato di salute. Perché è una sfacciataggine dare per scontata questa possente arte divina, dove infinite forze e infiniti esseri devono contribuire a mantenere tutto in ordine. Quando ci ammaliamo infatti ci rendiamo conto di come tutto debba essere in ordine per stare bene.

Se chiedessimo a un medico: che cosa dev’essere in ordine per essere sani?, ci risponderebbe che le cose che devono essere in ordine sono infinite, innumerevoli. Ciononostante, normalmente è tutto in ordine. E se qualcosa non lo è, non è perché qualcosa fallisce nella natura, nel cosmo, ma è perché l’uomo fallisce o ha fallito in passato. L’uomo ha messo in disordine qualcosa, perché solo l’uomo, che è libero, può mettere in disordine. E la libertà nell’azione, in ambito fisico, è presente solo nell’uomo.

Gli angeli hanno la libertà in ambito spirituale, ma l’esercizio della libertà in interazione con la fisicità è proprio dell’uomo. E l’uomo deve combinare qualcosa, deve fare qualcosa di sbagliato perché anche una sola cosa si guasti nel suo organismo, così da ammalarsi. Altrimenti tutto è fatto in modo di essere in ordine. Provate a realizzare una cosa del genere. Voglio proprio vedere.

L’epoca della grettezza, del materialismo, sta proprio a dire che non richiamiamo più alla mente queste cose fondamentali della natura umana, che non abbiamo più idea di che cosa contribuisce ogni giorno, ogni minuto, a far sì che ogni uomo sia sano. Nessuno di noi sarebbe potuto venire in questa sala, stasera, se non fosse relativamente sano. Ma crediamo davvero che non sia necessario niente per esserlo?

Allora si sprofonda nella gratitudine, nell’umiltà se volete – ma senza sentimentalismi –, e nella venerazione, e si dice: ¤gioj ¤gioj ¤gioj (àghios, àghios, àghios), ti ringrazio come Essere cristico, come Essere centrale, ma ringrazio anche tutti gli Esseri che lavorano con te a questa triplice salute da Toro, salute da Leone, salute da Aquila, e poi lavorano all’armonia della salute umana, per cui l’uomo da essere volante è diventato un essere che cammina.

E adesso ti arriva lo scienziato moderno e dice: Ah, è un caso. Questo è l’ultimo stadio della povertà interiore: aver perso ogni visione di quello che ci vuole affinché l’uomo possa prolungare la sua vita al mondo come essere sano. Ma il senso di questa povertà è che dev’essere superata dall’individuo, per questo ha dovuto sorgere. Ma è davvero l’ultimo abisso, perché più in basso di così non si può andare. Che cosa può succedere di peggio di aver perso di vista tutta la spiritualità? Se si è perduto tutto, non può succedere più niente. Adesso si può solo recuperare, ma del recuperare qualcosa quando si è perduto tutto fa parte quel famoso metanoèin, il cambiare modo di pensare. Bisogna decidere, prendere coscienza, prendere una decisione: voglio cominciare a prendere sul serio lo spirito, essere grato per lo spirito.

E lo spirito è una prima formulazione, non è solo lo spirito; la religione ha perso lo spirito perché ha solo una parola sfuocata: Dio, Dio, Dio, spirito, spirito, spirito, ma non è più in grado di distinguere. La grande astrazione nella teologia è appunto il segno che si è persa di vista la pienezza di significato, la nitidezza, l’articolazione, la ricchezza incommensurabile del mondo spirituale.

Degno di gratitudine, di venerazione e di rispetto sei tu, Signore Dio, kÚrioj Ð qeÕj (kýrios o theòs) è il divino, nella misura in cui viene alla luce come forza dell’Io per l’evoluzione dell’uomo. In greco il concetto di kýrios (l’ho spiegato spesso anche in base al Vangelo di Giovanni) è quello di signore delle forze animiche. Kýrios significa “signore”, dominus. Ma che cosa vuol dire signoreggiare, dominare? Che cosa dev’essere dominato nel senso di armonizzato, di modo che non diventi unilaterale, che non trabocchi? Bisogna dominare il pensare, le forze dell’Aquila; dominare il sentire, le forze del Leone; e bisogna dominare il volere, le forze del Toro.

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Fig. 2, VII

Quando un toro vede un panno rosso – in realtà lo vive, non lo percepisce, non ha l’organizzazione per percepirlo – come si muove? È un portento di forze volitive, di forze volitive cieche. Non c’è più nulla di sensibile, per non parlare di saggezza. Una furia cieca potremmo dire, forze di movimento irresistibile che il toro non può far altro che scaricare.

Al polo opposto c’è l’avvedutezza posata, contemplativa. L’uomo contemplativo e l’uomo volitivo, è una polarità. Il Kýrios, l’Io, le forze dell’Io, esistono allo scopo di creare la giusta armonia fra pensare, sentire e volere.

I Greci non erano così rigidi come noi e hanno parlato della lira di Apollo che aveva tre corde: sono il pensare, il sentire e il volere (le tre forze animiche). Apollo è la forza cristica in nuce, la forza dell’Io in nuce, come preparazione per l’evento cristico; l’uomo impara ad emettere delle belle melodie con questo triplice suono della lira di Apollo.

4,9 «E quando le figure rendono gloria e onore»

Vi confesso che questa traduzione “gloria e onore” mi dice ben poco rispetto alle parole greche che non solo sono sostanziose, ma anche ricche di spirito. Ma qui abbiamo solo le parole in italiano. Mi dispiace. Quando leggo “gloria e onore” è come se mi fossero state inchiodate delle assi al cervello e non penso a niente.“gloria e onore”.

4,9 «e gratitudine a colui che è seduto sul trono e vive di eternità in eternità.»

“Gratitudine” mi dice già qualcosa: che uno si rende conto di aver ricevuto qualcosa; che l’altro gli ha dato con amore qualcosa, un regalo o quant’altro, gli ha dedicato del tempo ecc., e lui ringrazia, è riconoscente.

Intervento: Com’è in greco?

Intervento: Non è possibile tradurle?

Archiati: Avrei bisogno di avere mezz’ora a disposizione per ogni parola. Allora avreste un’idea di che cosa c’è scritto in greco. E poi gli altri si lamentano che non faccio tutta l’Apocalisse.

Intervento: Ma dÒxa (dòxa) l’abbiamo già incontrata nei Vangeli.

Archiati: Sì, ne abbiamo parlato spesso.

Intervento: Vuol dire “magnificenza”.

Archiati: No, magnificenza… d’accordo, è meglio di onore; magnificenza è meglio di onore, ma dòxa è qualcosa che un essere emana come forza luminosa. Allora il termine in italiano è la forza di “irradiazione” e dòxa è l’irradiazione. Allora sarebbe il termine più adatto. Nel ringraziare – eÙcarist…an, eucaristìan – c’è comunque il prendere coscienza di tutto ciò che si deve all’Essere dell’amore. Anche l’uomo deve imparare a farlo e questo è il senso dell’aver portato l’apocalista in questa visione: mentre vede quanti esseri si inchinano e sono grati e colmi di gloria e lode e riconoscenza nei confronti dell’Essere dell’amore, l’uomo impara anche lui a ringraziare il Cristo per tutto il possibile, dato che le cose non vengono per caso ma dall’amore del Cristo.

Quindi “il ringraziamento” va bene, ma le altre parole sono diventate degli involucri vuoti, dobbiamo riconoscerlo. Ma andiamo avanti, perché poi arriverà una settuplicità di parole greche che vanno attribuite alla settuplicità dei pianeti. Allora forse, grazie a Rudolf Steiner, ci addentriamo un po’ di più nel contenuto. Allora “

4,10 «I ventiquattro anziani caddero a terra davanti a colui che sedeva sul trono e lo adoravano, lui che vive di eternità in eternità, e appoggiarono le loro corone davanti al trono e dissero:»

Le nostre corone, il fatto che noi stessi come re (la corona è il simbolo del re) abbiamo potuto diventare attivi rispetto a certe forze, lo dobbiamo a te, poiché tu sei il re dei re, il signore dei signori.

4,11 «Nostro Dio e Signore, tu sei degno di gloria e onore e forza»

Adesso c’è la triade: gloria e onore e forza. La forza ha a che fare con la volontà. La gloria ha a che fare con la gratitudine del sentimento e l’onore è il riconoscimento obiettivo di ciò che si deve agli altri. Diventa una triade per il fatto che si riferisce in qualche modo al mondo del pensare, del sentire e del volere, e allora le parole acquistano contenuto. Altrimenti avremmo solo parole. Questo lavoro, questo immergersi e ricavare sempre più ricchezza dal testo, è compito della meditazione. Ognuno lo deve fare. Ma il testo si presta a infinite realizzazioni spirituali.

4,11 «perché tu hai creato tutte le cose, e tramite la tua volontà sono venute all’esistenza e sono state create.»

Qui c’è la presa di coscienza del fatto che come Dio Padre regna nel mondo dell’eternità, così l’Entità centrale per il mondo dell’evoluzione nel tempo è l’Essere cristico, l’Essere solare.

Dio Padre è in unione con le stelle fisse e Dio Figlio è il signore dei pianeti, dell’evoluzione nel tempo. Queste sono le due dimensioni originarie del cosmo, l’ho detto diverse volte (Fig. 3,VII). L’elemento della saggezza, della dodecuplicità delle stelle fisse, dei dodici segni zodiacali, è il mondo dell’eternità, della contemporaneità, della simultaneità, dove c’è completezza. È il mondo del Padreterno. Poi c’è un mondo della mobilità, dove i pianeti sono sempre in movimento, una settuplicità. Qui c’è il Sole e tutti i pianeti in mezzo sempre in movimento. È un’immagine dell’evoluzione nel tempo, dove non c’è mai tranquillità e mai la stessa costellazione.

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Fig. 3, VII

E per questo mondo dell’evoluzione nel tempo, dove il numero che sta alla base è il sette e non il dodici, per questo mondo dell’evoluzione l’entità che porta tutti gli impulsi evolutivi nella propria saggezza e nel proprio cuore, è il Figlio, il Cristo.

L’uomo, la Terra, sono qui al centro nel disegno, perché la Terra è al centro, dove siamo noi. Alla faccia di Copernico, che ha messo il centro dove non c’è l’uomo (come se lui fosse là): è una totale astrazione, che però è anche una necessità evolutiva. La Terra è nata con l’uomo, con l’essere umano, per vivere un’armonia fra mondo dell’eternità e mondo dell’evoluzione nel tempo. Essere uomo significa portare dentro di sé ciò che è eterno e ciò che è in evoluzione. Evoluzione ed eternità. Evoluzione (i misteri del sistema solare) ed eternità (i misteri dello zodiaco). L’uomo nel suo corpo fisico è una condensazione del dodici, come base permanente dell’evoluzione: dodici parti del corpo e dodici organi di senso. E nel suo organismo vivente l’uomo è un settenario, anzi un duplice settenario: una settuplicità di organi (fegato, cistifellea, milza, cuore, reni, polmoni, cuore, cervello) e una settuplicità di processi vitali (respirazione, nutrizione, circolazione sanguigna, secrezione, conservazione, crescita, riproduzione).

Quindi l’uomo come essere fisico è la condensazione dell’eterno dei segni zodiacali e l’uomo come essere vivente – dove tutto è in movimento, in corso di metamorfosi – è una duplice condensazione della settuplicità, del movimento, della vivacità del sistema solare: nei suoi sette organi vitali e nei suoi sette processi vitali.

Naturalmente nel Vangelo abbiamo un’esposizione più ampia, nelle due cosiddette moltiplicazioni dei pani – ce ne sono diverse nei Vangeli, se mettiamo insieme anche i sinottici. In una moltiplicazione dei pani si raccolgono dodici cesti: l’uomo come raccolta, come sintesi, come combinazione di dodici cesti (e non dodici resti). L’uomo è diventato consapevole di essere il luogo di raccolta di queste dodici forze primigenie che formano i suoi sensi e le parti del suo corpo – un luogo di raccolta articolato in 12 forze permanenti (non “avanzi”), che restano. E nell’altra moltiplicazione dei pani l’uomo si vive come quello che raccoglie i sette cesti.

Ho sempre fatto notare che dove si tratta del dodici la parola greca che indica il recipiente è sempre kÒfinoi (kòfinoi), i cofani, i vasi, che sono recipienti impermeabili. Si può studiare l’insegnamento di Steiner sugli organi di senso che sono ambiti separati l’uno dall’altro, come i segni zodiacali. Sono delimitati. I processi vitali invece si intersecano fra loro e per questo i sette vengono chiamati ceste, spur…dej (spýrides), lo sprizzare delle forze vitali che non sono delimitate fra loro (Fig. 3,VII). Questi testi sono redatti fino ad avere questa precisione.

In questa possente visione abbiamo a che fare soprattutto con la settuplicità. Adesso vengono i sette spiriti del genio solare. E nell’Apocalisse si parla anche del demone solare. Nel medioevo le entità spirituali dei pianeti o anche delle stelle venivano ancora chiamate Intelligenze, Esseri pensanti, Esseri colmi di saggezza. Intelligenze. Nel Sole c’è un’Intelligenza buona che è il genio del Sole. Per ogni Intelligenza, per ogni Essere del bene ci dev’essere la controforza corrispondente. L’essere buono è stato chiamato genio – si potrebbero usare anche altre parole – e il contro-essere è stato chiamato demone. Comunque Socrate non ne sarebbe particolarmente entusiasta, perché per lui il dàimon era un essere buono. Socrate chiama dàimon, demone, il suo Io superiore. Ma, come posso dire?, il materialismo ha reso lo spirito così sospetto – e le chiese hanno avuto una tale paura dell’uomo spiritualmente autonomo – che questo δaιμον (dàimon), l’Io superiore, è stato demonizzato al punto che da genio buono si è trasformato in diavolo malvagio.

Allora, in base all’evoluzione di queste parole, si può capire tutta l’evoluzione umana, l’evoluzione della coscienza dell’umanità. Altrimenti come si spiega che il dàimon di Socrate è l’Io superiore, il genio dell’uomo, e che nel corso del medioevo fino ad oggi il demone è diventato un diavolo? La parola è la stessa: demone. Per la gran paura di non poter più esercitare il controllo sugli uomini si è resa sospetta l’autonomia individuale e creativa dell’uomo e la si è fatta passare per malvagia.

E adesso dobbiamo prendere la terminologia per quello che è, e quindi uno è un genio solare e l’altro un demone solare. Mi dispiace. Dobbiamo pregare il povero Socrate di essere indulgente e permetterci di demonizzare il suo dàimon e trasformarlo in un diavolo malvagio.

Abbiamo visto che i ventiquattro anziani dicono: Signore, Dio nostro, tu sei degno di ricevere gloria, onore e forza – è una triade, dÒxan (dòxan), tim¾n (timèn), dÚnamin (dýnamin) – perché tu hai creato tutte le cose e per tua volontà sono venute all’esistenza e sono state create. Ecco questo genio solare come Entità unitaria e unificante, in Lui l’intero sistema solare diventa un’unità. Il sistema solare infatti non è un guazzabuglio, non è una somma di forze o di Esseri separati: il sistema solare è un organismo. E tutti questi esseri – di Saturno, di Marte, del Sole, di Mercurio ecc. – sono articolati organicamente fra loro. E l’Essere che ne ricava un Io – un Io unitario –, è l’Essere solare, il genio del Sole, quello che i cristiani chiamano Cristo, quello che gli ebrei chiamano Messia ecc.

Dobbiamo farci venire in mente anche altre parole per definire il Cristo, l’Essere cristico, dato che per non poche persone questa parola oggi è diventata più problematica, più di ostacolo che favorevole. Ho accennato spesso al fatto che per me non è facile capire come fare, visto che è così necessario potersi riferire a questa Entità spirituale anche pubblicamente, ma d’altro canto l’evoluzione del cristianesimo ha fatto sì che molte persone, proprio tante, suppongo per esperienza diretta, reagiscano con un rifiuto quando sentono la parola Cristo. E se mi poteste aiutare ve ne sarei molto grato; come si può fare? Tra l’altro la stessa cosa mi è successa con il nome di Rudolf Steiner, gigante spirituale che ho sempre il piacere di citare con immensa gratitudine. Ma ho dovuto constatare che in Germania per almeno l’80% di quelli che conoscono questo nome, non appena lo sentono pronunciare (non c’è bisogno di aggiungere altro) è come se calasse una tenda, e la reazione è: no, grazie. E la domanda che mi pongo è: e allora? Che cosa si può fare?

Ora il testo dell’Apocalisse ci introduce al quinto capitolo, così che ciascuno deve porre la domanda: chi ha bisogno di questo Cristo? Sia che si tratti di uno scienziato, che di un dirigente d’azienda o di un professore universitario, ognuno si trova a doversi confrontare con la domanda: chi ha bisogno di questo Cristo? Molti rispondono: finora ho vissuto benone senza questo Cristo, serve solo per le persone pie. Allora è solo per un interesse letterario o religioso che bisogna conoscere l’Apocalisse o forse – dato che si parla di Cristo – imparo qualcosa su di Lui?

Adesso arriva la botta, perché l’apocalista nel suo procedere è pieno di temperamento. L’Apocalisse è piena di temperamento e lo diventa sempre più a mano a mano che si va avanti, quando arrivano le piaghe, le coppe dell’ira… La questione qui è che compare un libro e questo libro è sigillato. E l’apocalista piange perché viene a sapere che nessuno è in grado di aprire questo libro. E proprio per il fatto che nessuno è in grado di aprire questo libro – sigillato con sette sigilli – gli viene il sospetto che dentro debba esserci qualcosa di estremamente importante.

5,1 «E nella mano destra di colui che sedeva sul trono vidi un libro, scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli.»

5,2 «E vidi un angelo potente che esclamava a gran voce: Chi è degno di aprire il libro e di rompere i suoi sigilli?»

5,3 «E nessuno, né in cielo né sulla Terra né sotto la Terra, poteva aprire il libro e leggerlo.»

5,4 «Ed io piansi molto perché nessuno fu trovato degno di aprire e leggere il libro.»

5,5 «E uno degli anziani mi disse: Non piangere! Ecco, ha vinto il leone della tribù di Giuda, la radice di Davide, per aprire il libro e i suoi sette sigilli.»

5,6 «Ed io vidi fra il trono e le quattro figure e in mezzo agli anziani un agnello come scannato; aveva sette corna e sette occhi, che sono i sette spiriti di Dio, mandati in tutti i paesi.»

5,7 «E venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono.»

5,8 «E quando prese il libro le quattro figure e i ventiquattro anziani si prostrarono dinanzi all’Agnello, e ciascuno aveva un’arpa e coppe d’oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi»

5,9 «e cantarono un nuovo canto: Tu sei degno, tu hai la forza di prendere il libro e di aprirne i sigilli, poiché tu sei stato sgozzato e col tuo sangue hai riacquistato a Dio uomini di tutte le tribù e di tutte le lingue, di tutti i popoli e di tutte le nazioni»

5,10 «e ne hai fatto re e sacerdoti per il nostro Dio, ed essi regneranno sulla Terra.»

5,11 «E vidi e udii la voce di molti angeli intorno al trono e alle quattro figure e intorno agli anziani, e il loro numero era diecimila volte diecimila e mille volte mille»

5,12 «che dicevano a gran voce: L’Agnello che è stato sgozzato è degno di ricevere la potenza, la ricchezza, la saggezza, la forza, l’onore, la gloria e la lode.»

Ecco la settuplicità: potenza, ricchezza, saggezza, forza, onore, gloria, lode.

5,13 «E ogni creatura in cielo e sulla Terra e sottoterra e sul mare e tutto ciò che c’è ho sentito dire: sia lode e onore e gloria e potenza a colui che siede sul trono e all’Agnello, di eternità in eternità!»

Stavolta sono quattro: lode, onore, gloria, potenza.

5,14 «E le quattro figure dissero: Amen! E i ventiquattro anziani si prostrarono e adorarono.»

6,1 «Ed io vidi l’Agnello aprire il primo sigillo»

Vedete che drammaticità. In questi testi c’è anche una certa verve di composizione letteraria. È un peccato non poter leggere direttamente il testo originale. Non dimenticatevi che è come leggere il Faust in italiano, o Dante in tedesco: molte cose si perdono.

Che cos’è il libro coi sette sigilli? Qui naturalmente ci addentriamo sempre più in un linguaggio esoterico. E il linguaggio esoterico è come ogni lingua: se non si capisce la lingua non si capisce niente, ma se si capisce la lingua si capisce tutto. Molto semplice. E adesso per l’umanità si tratta di imparare il linguaggio dell’esoterismo, e la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è davvero perlomeno la grammatica di questa lingua – come ho già detto ha a che fare anche con la sintassi, ma perlomeno ne è la grammatica. Cioè, la scienza dello spirito di Rudolf Steiner fornisce gli strumenti per capire il linguaggio esoterico e allora si può capire sempre meglio questa lingua.

Se un italiano si trova in Francia o in Germania e ha imparato la lingua al punto da cominciare a capire, le cose migliorano sempre più. Ma lui sa se comincia a capire o se non capisce niente. La teologia odierna, pur con tutta la buona volontà, non capisce nulla di questa lingua perché non conosce il significato delle parole.

Ecco allora un paio di parole o concetti fondamentali del linguaggio esoterico. È come se cominciassimo ad imparare insieme il cinese, nessuno di noi lo sa, e adesso cominciamo ad apprendere le prime parole fondamentali.

Un libro è qualcosa in cui si scrive qualcosa. Un libro è qualcosa in cui c’è scritto qualcosa. A quei tempi erano rotoli e possiamo lasciare aperta la questione se la forma è pensata come rotolo, un rotolo scritto su entrambi i lati, o come un libro, adesso non è determinante.

Perché “libro”, se posso sintetizzare, vuol dire anima dell’uomo. E l’evoluzione esiste per scrivere tutto il possibile nell’anima umana, ed è proprio così. Vivere sulla Terra, evolvere, significa assorbire tutto il possibile; e tutto lascia le sue tracce nell’anima. Nulla di quanto l’uomo percepisce, seppur di sfuggita, omette di lasciare una lettera, una traccia, un segno nella sua anima. E questo libro sono le anime degli uomini, l’umanità, l’interiorità dell’umanità intera.

L’evoluzione ha due pilastri fondamentali: pensate all’Essere che compare anche nell’Apocalisse, con una gamba nell’acqua (e quella era l’evoluzione atlantidea dove l’elemento era l’acqua) e una gamba sulla terra (ed è l’evoluzione postatlantidea, che avviene sulla Terra, con l’aria priva d’acqua).

La duplice evoluzione, le due fasi fondamentali di ogni evoluzione, consistono nel fatto che dapprima l’uomo diventa un po’ interiore, e ciò che è sigillato invisibilmente nell’interiorità – sigillato vuol dire invisibile – è solo nell’anima, nessuno lo può vedere. Dissigillare significa che ciò che era nascosto, sigillato, puramente animico, puramente interiore, viene portato all’esterno, diventa leggibile, percepibile. Vuol dire che l’evoluzione consiste nel fatto che nella prima fase è una questione morale, ciò che l’uomo diventa interiormente, e nel corso del tempo ciò che era puramente morale dà la sua impronta alla natura. Questa è l’apertura del sigillo, che diventa visibile all’esterno, nella natura.

Con le mie parole zoppicanti e goffe, se volete, spero di essere riuscito a trasmettervi il succo del concetto di sigillo. Questo avviene nell’evoluzione interiore. Dissigillare vuol dire che ciò che l’uomo è diventato moralmente a livello interiore determina che aspetto assumeranno le pietre, le piante e gli animali nel corso dell’evoluzione. La differenza, la più grande differenza fra gli uomini e Dio, gli Esseri divini – uomo come dio in divenire – consiste nel fatto che l’interiorità degli dei, degli esseri divini, cioè i pensieri, i sentimenti, gli impulsi volitivi degli Esseri divini, vengono direttamente dissigillati e agiscono direttamente sulla natura.

I terremoti, i lampi o un’alba, un tramonto, sono azioni, pensieri, impulsi volitivi, dimostrazioni d’amore diretti degli Esseri divini. Se all’uomo accadesse che tutto ciò che pensa andasse immediatamente e direttamente a plasmare la natura, non potrebbe essere libero. La libertà umana è possibile solo attraverso una separazione fra cause morali e effetti naturali. Ed è solo per il fatto che trascorre del tempo fra le cause in ambito morale e gli effetti nella natura, che l’uomo si immagina o pensa che i suoi pensieri non abbiano conseguenze. Ma solo così può essere libero – sentirsi libero –, visto che la sua è una libertà dell’arbitrio. La completezza della libertà infatti consiste nel fare ciò che è storicamente necessario per il mondo – come dice Steiner – e nel farlo liberamente, per libera volontà, non arbitrariamente.

L’elemento morale diventa naturale, dato di natura: ciò che è interiore, nascosto, viene dissigillato. Sigillato vuol dire scritto nell’interiorità, nell’interiorità nascosta dell’anima. Se paragonato a quanto avviene nei sette periodi culturali postatlantidei in cui viviamo, possiamo dire che in essi si ha l’apertura di ciò che è stato sigillato in epoca atlantidea. E per questo ora esce dal mare la bestia a sette teste e dieci corna. Ve lo anticipo. Vedrete che abbiamo già anticipato molte cose, che ho già creato i presupposti per molte cose che affronteremo domani un po’ più rapidamente, per quanto riguarda la quantità.

Allora, l’evoluzione atlantidea: da questo mare emerge il sigillo – un animale perché le forze sono state sigillate nell’anima – con sette teste e dieci corna (Fig. 4VII). “1”,”2”,”3”,”4” è il centro,”5”,”6” e “7”: le sette teste sono i sette periodi culturali. Lo si può andare a leggere per esempio in Dalla cronaca dell’akasha O.O.11 di Rudolf Steiner o anche in La scienza occulta dove è meravigliosamente descritto.

E le dieci corna? Adesso vedremo un po’ meglio che cosa sono le teste e le corna. La separazione dei sessi avvenne molto nettamente durante i periodi “5”, “6” e “7” dell’epoca atlantidea[10]. Da allora ogni essere umano ha ricevuto un duplice sigillo: una volta come uomo e una volta come donna, una volta come uomo e una volta come donna, una volta come uomo e una volta come donna.

Allora, fino a “4” l’abbiamo una volta; a “5” due volte, e sono sei; a “6” due volte, e sono otto e a “7” due volte, e sono dieci. Qui abbiamo il dieci e il sette.

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Fig. 4, VII

Nel nostro tempo, in generale, siamo già in un certo senso nel periodo dell’apertura dei sigilli. E non possiamo più dire che si tratta solo di un evento naturale quello che viviamo con la mucca pazza, o con l’afta epizootica, o con l’AIDS, o con quello che si perde in qualità nei generi alimentari: dobbiamo dire che con tutto quello che accade viviamo già in mezzo ai risultati naturali dell’evoluzione morale dell’umanità. E questa è la serietà dell’Apocalisse, proprio il far notare questo fenomeno fondamentale.

Per quelli che per esempio leggono volentieri Rudolf Steiner, prendete il volume O.O. 155 Cristo e l’anima umana in cui si legge… ve lo racconto come l’ho vissuto. In una di queste quattro conferenze Steiner parla degli ideali degli uomini – gli uomini hanno degli ideali, ideali di pace, di giustizia, d’amore ecc. – e pone la domanda: che cosa ne è di questi ideali? Sono sigillati nell’anima, ci entusiasmiamo con loro con tanta gioia, ma che cosa viene realizzato? Dov’è che gli ideali diventano realtà? Dov’è che ciò che portiamo idealmente dentro di noi diventa realtà? E allora Rudolf Steiner afferma che in effetti nessun uomo può impregnare di forza morale i suoi ideali al punto da farli diventare realtà nella natura, nel modo in cui crescono le piante, a meno che non li affidi all’Essere dell’amore.

Adesso immaginatevi uno scienziato, uno scienziato materialista, un professore universitario, un dirigente d’azienda che legge una cosa del genere. Ha sempre pensato di poter vivere benissimo senza Cristo, a che cosa serve questo Cristo? L’uomo ha bisogno di questo cosiddetto Cristo? L’affermazione fondamentale dell’apocalista è (che l’uomo ne prenda coscienza o no), che c’è un solo essere in grado di aprire il sigillo, e che questo unico essere è l’Essere solare, il genio del Sole. Ma in precedenza l’apocalista aveva pianto, aveva davvero pianto amare lacrime per aver preso coscienza che non c’era nessun essere che avesse la forza di trasformare ciò che era sigillato nell’interiorità morale dell’uomo in qualcosa che conferisse la sua impronta alla natura, nessuno che potesse togliere il sigillo, così da rendere tutto apertamente percepibile. Un uomo che immagini di portare avanti la sua evoluzione, che sia professore, papa o presidente, ignorando questo Essere, dovrà piangere amaramente nel corso della sua evoluzione.

Che cosa si può dire ancora, cari ascoltatori? A questo punto, perlomeno a questo punto, bisogna dirsi che l’Apocalisse non è un testo dotto, che non è stata scritta per saperne più di prima; questa è l’assoluta serietà dell’evoluzione. Allora nasce la domanda: che cos’ha a che fare la natura con il bene e il male all’interno dell’uomo? Tutte le omissioni in ambito morale che avvengono oggi che cos’hanno a che fare con le sciagure naturali? Vi chiedo: dove sono nell’umanità odierna le premesse intrise di spregiudicatezza, dove sono i presupposti conoscitivi per capire queste cose?

L’umanità è davvero povera perché non ha la più pallida idea di quel che fa.

“Ed io vidi fra il trono e le quattro figure e in mezzo agli anziani un Agnello”: è l’essere del sacrificio, del sacrificio di sé, poiché l’agnello si sacrifica senza lamentarsi, viene scannato. Pure forze d’amore per la redenzione dell’umanità. “Aveva sette corna e sette occhi, che sono i sette spiriti di Dio”, i sette pianeti. Vedete che l’apocalista conosce bene il linguaggio dell’esoterismo? Per tutti gli Esseri planetari c’era un nome, una parola e un segno. Il nome è genio solare e qual è il segno, il segno occulto se volete, dell’Essere solare? È un simbolo con sette corna (Fig. 5,VII).

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Fig. 5, VII

Qui in mezzo viene l’Agnello. Allora, sette corna (sette punte): uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette. E adesso bisogna sistemare i giorni della settimana. Qui c’è un occhio – lo trovate anche in O.O. 104a, questo segno –, c’è un occhio ogni volta perché sono Esseri intelligenti che vedono e percepiscono tutto. Quindi ogni volta un occhio, anche qui un occhio, e anche qui. Potete anche dipingerli, perché queste cose venivano dipinte, in modo da immergersi in esse. Cominciamo con la Luna, lunedì, poi viene martedì, Marte dio della guerra, poi Mercurio, giovedì (Giove), venerdì (Venere), sabato (Saturno), e lassù il Sole, naturalmente, il Dominus, la domenica..

Quindi l’apocalista scrive per uomini che conoscono questa lingua. E quelli che erano stati iniziati (devo usare questa parola) o che avevano una conoscenza iniziatica sapevano esattamente che cosa si intende dire. Domani vedremo il simbolo occulto del demone solare, la bestia con due corna.

Un agnello, aveva sette corna: sono le sette forze del settenario dei pianeti, perché un corno è una forza, “e i sette occhi sono i sette spiriti di Dio mandati in tutti i paesi”. Vuol dire che amministrano tutte le forze dell’evoluzione, è la settuplicità delle forze dell’evoluzione. Tutte le settuplicità, in ogni evoluzione, vengono gestite da queste sette forze planetarie, e qui il genio solare, se si vuole, è uno di sette, ma per mezzo dell’agnello il genio solare diventa un organismo unitario.

Come descrive Rudolf Steiner nelle sue conferenze sulla Genesi, all’inizio dell’evoluzione dell’umanità c’era una settuplicità, quella dei sette Elohim che operavano. Essi si mettono d’accordo fra loro per produrre l’opera unitaria, e cioè l’opera dell’evoluzione dell’umanità, che li unisce in un organismo. La loro interazione – per realizzare l’intera evoluzione dell’uomo in maniera settuplice su ogni gradino – fa di loro, che sono una settuplicità, un’unità, un organismo spirituale. Non è bello? È qualcosa di meraviglioso!

Dunque, dato che anche nel sistema solare c’è evoluzione, c’è movimento, e non l’eternità contemplativa dei segni zodiacali, se ci si chiede: in che cosa consiste l’evoluzione negli Esseri del sistema solare? La risposta è che consiste nel loro divenire sempre più un organismo grazie all’opera unitaria della realizzazione dell’evoluzione dell’umanità intera. Questo pensiero mi sembra così bello, così liberatorio, così degno di riconoscenza! Che le Intelligenze del sistema solare debbano a noi il loro divenire organiche, perché imparano a diventare una cosa sola grazie al divenire una cosa sola dell’uomo, grazie all’evoluzione unitaria dell’umanità, grazie al fatto che capiscono sempre meglio come tutte le settuplicità si combinano in un’unità. E l’uomo è l’unità sulla Terra. L’unità nel Sole è il Cristo, l’Agnello. E per questo l’Agnello è stato messo al centro.

Domande dei partecipanti

Intervento: Le quattro figure dell’Apocalisse – Toro, Leone, Aquila e Uomo alato – sono anche i simboli dei quattro evangelisti. Può dirci qualcosa in merito?

Archiati: Prima di tutto devo dire che l’apocalista ha scritto il Vangelo di Giovanni, e non i sinottici. Questo va anticipato perché si è verificato uno scambio fra toro e Leone che va capito. Gli euritmisti per esempio, a causa di questo scambio, si trovano sempre in imbarazzo perché nella scienza dello spirito l’Aquila simboleggia le forze del pensiero, quindi il sistema neurosensoriale. Questo è chiaro, non c’è niente da ridire. Poi per la scienza dello spirito il Leone rappresenta il sistema ritmico; il Toro tutto ciò che ha a che fare con il metabolismo e gli arti, e il quarto è la sintesi, l’Uomo angelo è la sintesi.

Adesso passiamo agli evangelisti: il Vangelo di Giovanni è il vangelo del pensiero, del Logos, e va bene che ad esso appartenga l’Aquila, non è neanche mai stato messo in dubbio. Dei quattro Vangeli quello di Matteo va preso separatamente. È infatti il Vangelo che non mette in primo piano la prospettiva divina di Gesù, cioè il Cristo, bensì quella umana. Doveva esserci anche un vangelo come questo. E dove il Cristo è in primo piano nessun uomo poteva descrivere in un libro i pensieri divini del Cristo e l’amore divino del Cristo e la forza divina, la forza magica del Cristo: bisognava specializzarsi, poiché qui si tratta dell’aspetto possente del Cristo.

Allora ci dev’essere un libro sui pensieri divini del Cristo (il Vangelo di Giovanni); un libro sull’amore divino del Cristo (il Vangelo di Luca); un libro sulla forza divina, magica, del Cristo (il Vangelo di Marco). Abbiamo: “Aquila”, “Leone” e “Toro”, pensare, sentire e volere. E il tutto umanizzato, la prospettiva di Gesù, è l’Uomo angelo – il quarto –, la prospettiva più umana, storica, dove c’è il maggior numero di citazioni dal Vecchio Testamento ecc. Il Vangelo di Matteo ha lo scopo di rendere comprensibile questa evoluzione storica, e quindi il Vangelo di Matteo è l’Uomo angelo.

Il problema nasce per il fatto che ci si potrebbe dire: ma allora Luca, che rappresenta l’elemento ritmico, il cuore, l’amore, dovrebbe aver il Leone come simbolo, e Marco il Toro. E invece è il contrario. La scienza dello spirito non ha lo scopo di fornire comodi schemi, perché se gli schemi fossero comodi il pensiero si impigrirebbe. Per questo va bene che le cose vengano sempre messe un po’ sottosopra. E quando vengono messe sottosopra? Quando è possibile che venga preferita un’altra prospettiva. Se prendessi un’altra prospettiva dei tre sistemi, l’attribuzione sarebbe tale per cui Marco avrebbe il Leone e Luca il Toro.

Allora, per gli impulsi dell’amore è stato preso il toro sacrificale mitraico, si è preso il toro come essere del sacrificio perché ci si è riferiti alla corrente dei misteri di Mitra. E allora si è attribuito il Toro a Luca e il Leone a Marco, nonostante in Marco prevalgano le forze della volontà, degli arti. In questo caso il Leone è stato preso nella prospettiva della forza. Perché la forza ce l’ha anche il Leone, è il più forte degli animali.

Che cosa vuol dire? Che tutte le cose hanno infiniti aspetti e ogni volta bisogna sapere sotto quali aspetti vengono prese. Non vuol dire che è ammesso diventare arbitrari. Ogni volta bisogna fornire un contenuto convincente, preciso e oggettivo, allora si capisce.

Quindi non è stato per una svista che a Luca è stato attribuito il Toro e a Marco il Leone. È solo un punto di vista diverso rispetto a quello dei tre sistemi fisiologici secondo i quali per il Vangelo della potenza della volontà dovrebbe esserci il Toro e per il vangelo del cuore, del ritmo, quello di Luca, dovrebbe esserci il Leone. Sotto l’altra prospettiva a Luca va il Toro e a Marco il Leone.

C’è qualcosa in contrario al fatto che le cose non siano un po’ più semplici? Perché dovrebbero essere solo semplici? Perché, se il mondo è così complesso?

Intervento: A proposito di Sardi, mi ricollego alle affermazioni sulla nostra vocazione, sulla chiamata dell’uomo del presente ad essere artisticamente attivo nella sua realizzazione dell’Io, nella sua individualizzazione. E mi ricollego anche a una sua affermazione fatta altrove, secondo cui nell’arte odierna da un lato c’è una molteplicità, un’invasione di opere (mi riferisco in particolare alle opere figurative, statue, sculture), e che fra queste opere molte non realizzano i criteri del vero, del bello e del buono, e che si fa largo la bruttezza. Quali sono i criteri perché io possa esprimere una valutazione, un giudizio? Sono consapevole del rischio che la repulsione o la forte attrazione per un’opera d’arte mi può indurre in errore.

Archiati: Sotto un certo aspetto, come posso dire? sono favorevole a questo farsi indurre in errore. Non c’è una risposta leggera o simile a una ricetta per la sua domanda. Ma c’è una risposta che può servire da orientamento, dipende solo da come il singolo prende in mano questo orientamento e ci lavora sopra individualmente. C’era un tempo – e Goethe tra l’altro ha descritto queste cose con una certa profondità – in cui queste tre Grazie, scienza, arte e religione, non erano separate le une dalle altre. Era il tempo del paradiso. Il peccato originale, una gran parte del peccato originale, consiste nell’aver separato queste tre sorelle. Gli uomini hanno cominciato a cercare il vero senza preoccuparsi del bello e del buono. Gli uomini vogliono avere il bello senza preoccuparsi di sapere se è anche vero e buono. E la religione già da un certo periodo desidera avere il bene, vuole un bene morale anche se non è vero e non è bello: l’importante è che sia buono, l’importante è che tu faccia ciò che devi fare.

Il futuro che comincia con Sardi è che sia l’arte che la scienza e la religione – perché l’arte è l’evoluzione nel bello, la scienza l’evoluzione nel vero e la religione è l’evoluzione nel bene – che avranno un futuro solo se verranno riunite dall’uomo. Non da un gruppo, ma dall’individuo nel suo pensiero, nel suo cuore e nelle sue azioni, senza farne un pasticcio. Perché riunire aquila-scienza, leone-arte, e toro-religione, non è un’accozzaglia, ma è armonia. Devono essere riarmonizzate.

Che cosa significa in concreto? Questa era la sua domanda. Adesso devo scendere dalle nuvole, come si fa in concreto? In concreto significa – e non è una ricetta, ma un orientamento che adesso diventa più concreto – che se voglio accogliere dentro di me lo spirito del Cristo è impossibile che io trovi bello qualcosa che non è nel contempo vero e buono per l’uomo. E che è impossibile che io trovi buono, che mi senta autorizzato a trovare buono qualcosa che non è nel contempo bello e vero. Ma questo è un compito immenso.

Guardate l’arte moderna, è diventata un estetismo formale e privo di contenuto perché non ha più nessun contenuto di verità e nessuna bontà morale. È del tutto neutrale nei confronti della morale, è del tutto neutrale nei confronti della verità – e dev’essere bella? Qualcosa in cui non progredisco nel mio pensiero, nel mio spirito, nelle forze dell’amore, della moralità, come può essere bello per me? No, grazie, ma proprio no, grazie! Ogni uomo che capisce se stesso dovrebbe dire: no, grazie. Sarebbe veramente ora che quest’arte, che tale non è, questo tipo d’arte che viene praticata lontano dalla vita, da quelli che forse hanno troppi soldi e non sanno come ammazzare il tempo, smettesse di esistere nell’umanità. Perché quelli che non hanno tempo per quest’arte e che hanno sempre dovuto sgobbare, hanno sempre sostenuto che questa non è arte. Qui le cose diventano concrete.

E questa religione, che vuole avere il bene nella sacrestia della vita, senza che la vita diventi buona, a che serve questa religione? A niente, perché non rende buona la vita. È buona solo una religione che rende buona la vita. Ma può render buona la vita solo se la vita diventa bella e se l’uomo diventa sempre più vero nella sua essenza.

O le cose che vi ho detto sono ancora troppo campate per aria? E la scienza, com’è che fa a diventare bella la scienza? La scienza diventa bella, per esempio, quando non è solo una scienza del materiale – perché così non è bella, dato che è disumana. Diventa bella e buona diventando una scienza dello spirito: allora è bella per l’uomo; perché riempie di gioia il cuore umano, perché fa progredire moralmente l’uomo, perché l’uomo come essere spirituale si sente responsabile dell’evoluzione di tutti i suoi simili e dell’evoluzione di tutta la Terra. Allora è una scienza che è nel contempo bella e buona, e allora sì che è valida e vera.

E la religione, come fa a diventare bella e vera? Una religione che ha proibito Rudolf Steiner, che l’ha diffamato, che l’ha messo a tacere, non è affatto buona per l’umanità, per quanto possa ritenersi buona. Una religione che proibisce questa enorme eredità, queste vie del bello, del vero e del buono, e le fa passare per prodotti del diavolo, questa religione è del diavolo, ma sul serio! Questi sono gli abissi dell’umanità. E ve lo posso dire per esperienza personale, perché l’ho vissuto direttamente. Questo tipo di religione non ha futuro, ma proprio nessuno, perché il futuro è nell’uomo che come spirito umano vuole avere il vero, il bello e il buono. Sono 25 anni che mi occupo della scienza dello spirito di Rudolf Steiner, perché essa è per me la quintessenza di quanto di meglio vi sia oggi di vero, di bello e di buono! E auguro ad ogni uomo di potervisi accostare.

Buona serata.

8a Conferenza
giovedì, 14 novembre 2002, mattina

Cari ascoltatori, ci stavamo godendo i sigilli. L’immagine del sigillo consiste nel fatto che nell’evoluzione è importante che le cose avvengano in due fasi. Nella prima fase viene sigillato qualcosa, poi viene una seconda fase in cui ciò che era stato sigillato viene dissigillato. E nel sigillare è contenuto l’occultare. Per questo come archetipo del sigillare ho rappresentato ciò che avviene in modo invisibile nell’interiorità, nell’anima dell’uomo. Nei suoi pensieri c’è un mondo intero, ogni giorno nuovo; nel mondo del suo animo, delle sue emozioni, in un primo momento nessuno può vedere che cosa accade È sigillato il mondo dei suoi impulsi volitivi, dei suoi ideali. Se fotografo una persona, non è che sulla sua fronte sono impressi gli ideali che questa persona porta dentro di sé; non vediamo se sta imbrogliando qualcuno o se sta raccontando bugie ecc. E per fortuna, potremmo dire, c’è qualcosa che è sigillato ancora profondamente, perché non tutti sarebbero contenti se tutto venisse spiattellato, perché il dissigillare è uno spiattellare, un venir fuori.

L’idea è che tutto quello che un uomo sigilla e nasconde nel suo essere (nella sua interiorità, nella sua anima) ad un certo punto dell’evoluzione si manifesta nella sua fisionomia perché tutto imprime la sua impronta alla fisionomia. E la fisionomia ampliata dell’uomo è la natura, dato che gli animali, le piante e i minerali sono la fisicità e la fisionomia dell’uomo triplicate. In altre parole, tutto ciò che in un primo tempo è animico, sigillato nell’anima, prima o poi diventa fisico, dissigillato, visibile, percepibile, cioè evento naturale.

Questa è l’idea fondamentale; un pensiero molto semplice che ci illumina subito quando guardiamo la vita come appare. Quando voglio fare qualcosa, come ha inizio questo fare qualcosa? Devo concentrarmi sul pensiero; e quando mi ci sono concentrato questo è un primo sigillare, un sigillare l’azione che intendo compiere. Quando poi dal pensiero passo all’azione, allora faccio questo e quello, e ciò che faccio è visibile. Allora viene dissigillato quello che in un primo momento avevo sigillato nel mio pensiero.

Adesso mi direte: ma non tutto viene dissigillato, l’uomo non fa tutto quello che pensa. Se un uomo non fa quello che pensa, allora il pensare non era una sigillo ma solo una fantasia, che non è stata registrata nell’anima. Oppure vedremo anche, e questo complica la faccenda, che l’uomo può sigillare sia il positivo che il negativo. Anche le omissioni vengono sigillate e allora l’anima è meno ricca di quanto avrebbe potuto essere. Anche questo è un sigillare, una sigillo della povertà, del trascurare, dell’omettere.

Ciò che l’uomo sigilla nella sua anima come buchi, appare sotto forma di buchi nella fisicità, nella sua fisicità e nella natura: esiste anche questo. Tutto ciò che è interiore, in senso sia positivo che negativo, viene reso esteriore nel corso del tempo.

Leggiamo i primi quattro sigilli. Perché nell’Apocalisse è così: nelle lettere, ma soprattutto nei sigilli (e anche nelle trombe e nelle coppe dell’ira), coi sigilli da “1” a “4”, con le trombe da “1” a “4” si va veloci, ma a “5”, “6” e “7” le cose si fanno più complesse e difficili.

Per questo desidero leggere rapidamente con voi i primi quattro sigilli, così che abbiate l’impressione di essere andati avanti, di essere già al quinto sigillo. È un espediente psicologico. Guardate un po’ cosa deve escogitare un relatore per tenere di buon umore i partecipanti…

“1”, “2”, “3”, “4”, “5”, “6”, “7”. Dove c’è una settuplicità viene compiuto un passo dopo l’altro. Allora, il “2” viene solo dopo che è stato compiuto l’ “1”; il “3” viene solo dopo che è stato compiuto il “2”, ecc. Non è così quando abbiamo una quadruplicità. Una quadruplicità, per esempio, ce l’abbiamo tutti: noi tutti abbiamo un corpo fisico, che è “1”; tutti abbiamo un corpo eterico o corpo vitale “2”; abbiamo tutti un corpo astrale o anima “3”, e abbiamo tutti un Io, “4”. Questa quadruplicità non è in successione, ma tutti e quattro gli elementi agiscono in parallelo, interagiscono in modo molto complesso (Fig. 1,VIII).

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Fig. 1, VIII

E adesso nell’Apocalisse viene descritto un meraviglioso equilibrio fra il sette e il quattro. Le settuplicità sono dappertutto – sette lettere, sette sigilli, sette trombe, sette coppe dell’ira –, ma dove è la quadruplicità? La quadruplicità è nelle lettere (uno); nei sigilli, (due); nelle trombe, (tre); nelle coppe dell’ira (quattro). Le lettere si concentrano sui misteri del corpo fisico: questo sono le lettere. I sigilli sviluppano i misteri del mondo eterico, quindi nell’uomo corpo eterico o mondo eterico. Vedete che per orientarsi ci vuole davvero una scienza dello spirito, perlomeno i fondamenti di una scienza dello spirito. Le sette trombe esprimono i misteri del corpo astrale o del mondo astrale.

Allora, qui scrivo le sette lettere; per il mondo eterico i sette sigilli; per il mondo astrale le sette trombe e per il mondo spirituale le sette coppe dell’ira.

Le sette lettere, i sette sigilli, le sette trombe, le sette coppe dell’ira non vengono uno dopo l’altro in senso stretto, se vogliamo complicare un po’ di più le cose. Non è che tutto deve accadere come viene rappresentato nelle sette lettere e solo dopo cominciano i sette sigilli, e solo dopo che i sette sigilli sono stati conclusi cominciano le trombe. In un certo senso è giusto, ma in un certo senso non lo è.

Se studiate il volume 104 dell’Opera Omnia di Rudolf Steiner, L’Apocalisse (l’avrete senz’altro fatto), vedete che si tratta di conferenze del 1908. Quando Steiner ha tenuto queste conferenze sull’Apocalisse a Norimberga era agli inizi, e ai teosofi bisognava ancora dare il latte materno. Per questo lì Steiner prende una prospettiva più facile e fa come se, una volta concluse le lettere, vengano i sette sigilli, poi le sette trombe e poi le sette coppe dell’ira. In un certo senso è anche giusto perché possiamo confrontarlo con lo sviluppo del bambino, con l’evoluzione nella vita dell’uomo: nonostante corpo fisico, corpo astrale, corpo eterico e Io siano sempre tutti e quattro in azione, è pur vero che all’inizio (diciamo nei primi sette anni), il corpo fisico ha il ruolo principale e gli altri siano sullo sfondo. Poi è il corpo eterico ad assumere un ruolo trainante; poi il corpo astrale e infine l’Io. Ciò non significa che vengano l’uno dopo l’altro; che solo quando l’uno (il corpo fisico) è alla fine, sopraggiunga il corpo eterico, e che corpo astrale e Io non ci siano ancora; e che solo dopo arrivi il corpo astrale e poi l’Io. Non è così.

Allora bisogna avere la forza intellettuale – all’inizio ce l’hanno tutti – di intessere insieme queste due prospettive, di modo che ci sia tanto un distacco quanto una compresenza: che prima siano le lettere ad avere il ruolo principale, ma che i sigilli, le trombe e le coppe dell’ira siano sullo sfondo. Poi sono i sigilli, o l’eterico, ad assumere il ruolo trainante e gli altri sono sullo sfondo. Ma ci sono tutti contemporaneamente. Poi il ruolo principale passa alle trombe e gli altri sono sullo sfondo. Si capisce così? Entrambe le prospettive quindi.

Se poi studiate l’O.O. 346 Vorträge und Kurse über christlich-religiöses Wirken, V lo stesso Steiner parla alla fine della sua vita, si è digerito tutta la sua teosofia e parla a dei sacerdoti: la cosa si fa più complessa. Allora si entra davvero in confusione e si dice: un momento, nell’O.O. 104 ha detto che vengono l’uno dopo l’altro. Per esempio lì leggete che l’epoca atlantidea è l’epoca delle lettere: lettera uno, lettera due, lettera tre, lettera quattro ecc., e che l’epoca postatlantidea, la nostra epoca, è l’epoca dell’asportazione del sigillo (Fig. 2,VIII).

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Fig. 2, VIII

Allora il primo periodo culturale, quello indiano, è la prima apertura del primo sigillo. Il secondo è l’apertura del secondo ecc. ecc. Qui a sinistra abbiamo l’applicazione del sigillo e qui a destra la sua apertura. E poi leggo quest’altro volume e la cosa diventa molto più complicata: perché dice che siamo nel periodo delle lettere, siamo nel periodo dei sigilli, nel periodo delle trombe, nel periodo delle coppe dell’ira, perché tutti rivestono sempre un ruolo.

È decisivo il fatto che siamo a “5”. Quello è decisivo. Cioè, quando siamo a “5” abbiamo alle spalle il “4”, abbiamo alle spalle il “3”, perché vengono davvero uno dopo l’altro. Cioè, siamo nell’epoca in cui ci dobbiamo concentrare sulla quinta lettera, sul quinto sigillo, sulla quinta tromba e sulla quinta coppa dell’ira, che sono specialmente per noi, perché rappresentano il “5”.

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Fig. 3, VIII

E capiamo come mai l’autore dell’Apocalisse ha liquidato con una certa rapidità la parte dall’ “1” al “4”: dato che sapeva che fino a “4” non ci sono i presupposti di coscienza per poter affrontare coscientemente queste cose. È a “5” che cominciano ad esserci le forze per gestire coscientemente questi misteri dell’evoluzione. Per questo comincia ogni volta ad inaugurare un nuovo registro, diventa più dettagliato, più complesso.

Qui (Fig.3,VIII) a “1”, “2”, “3” e “4” ci sono quattro cavalli per lo sviluppo dei sigilli e qui, a “5”, le vesti bianche: l’immagine viene modificata. Ma da “1” a “4” sempre cavalli: un cavallo bianco, un cavallo rosso, un cavallo nero, un cavallo pallido. Ma poi arrivano le vesti bianche che sono l’intelligenza che si spiritualizza, che si deve spiritualizzare: detto in una parola – per chi conosce Rudolf Steiner questa parola può significare molto – l’intelligenza è la forza fondamentale del “5”, con il compito è spiritualizzare l’intelligenza. Questo sono le vesti bianche. E se l’uomo omette di spiritualizzare l’intelligenza cade in basso.

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Fig. 4, VIII

E che cosa vuol dire che a “4” c’è una svolta? Faccio di nuovo una semplificazione (Fig. 4,VIII). Da “1” a “3” è il Padre, è il Padre ad avere il ruolo principale; naturalmente ci sono anche il Figlio e lo Spirito Santo. Quindi qui è dove il Padre pone le basi del fondamento naturale: corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale. Dove agisce il Figlio (il Figlio lo facciamo arancione) si intersecano, il che complica le cose; da “3” a “5” il Figlio. Il Figlio diventa autonomo a “4”, ma a “3” c’è un’interazione fra Padre e Figlio. A “1” e “2” c’è di più l’operare del Padre.

E adesso rosso, rosso fuoco: lo Spirito Santo. Di nuovo si intersecano. (sono dei tentativi di rappresentazione grafica). Vedete, se adesso usiamo questo schema, questa figura per interpretare l’evoluzione, per capirla, a “5” c’è la prima interazione di Figlio e Spirito Santo. E poi abbiamo sempre di più lo Spirito Santo come risultato dell’azione del Padre e del Figlio.

Vuol dire che quando l’uomo fa sempre più l’esperienza dello Spirito Santo, cioè dell’Io individualizzato, spiritualizzato, cristificato, il Padre e il Figlio non ci sono più? No, vuol dire che il Figlio viene completamente interiorizzato dall’uomo – questo è lo Spirito Santo: il Figlio interiorizzato –, e ciò significa che le forze paterne della natura vengono portate a risurrezione. Di questo l’apocalista parla abbondantemente: delle sciagure che si verificano in natura se l’uomo non spiritualizza la natura nel proprio Io, nella propria essenza, se non cristifica la natura con il proprio spirito.

Questo l’ho voluto dire come indicazione, perché anche nello studio della scienza dello spirito di Rudolf Steiner ci si trova in difficoltà, forse ancor più che nella lettura dell’Apocalisse, perché ci si rende conto che le prospettive sono davvero differenti e bisogna armonizzare parecchie cose fra loro.

Ancora come indicazione generale: quando ho un settenario lo posso capire solo se lo intendo come sette passi uno dietro l’altro. Cioè, posso capire il “4” solo se presuppongo che l’ “1”, il “2” e il “3” siano stati compiuti e portati a termine; solo dopo viene il “4”. Quando però ho una quadruplicità, e non un settenario – dato che prima ho parlato di quattro nel settenario – quando ho una quadruplicità i quattro non sono in successione, ma in contemporanea. La prospettiva della successione risulta comunque dal fatto che il ruolo trainante è assunto una volta dall’uno e una volta dall’altro.

Se adesso qualcuno dicesse: diamine, adesso il tutto mi diventa un po’ troppo complicato, io potrei rispondere solo che non posso farci niente se il buon Dio non è in grado di creare niente di noioso. Il mondo è complesso, ma noi abbiamo a disposizione millenni per scandagliarlo in modo sempre più ampio, con gioia sempre più grande. Se per esempio uno sa suonare il violino, con che cosa si divertirà di più? Con un pezzo noioso, con sempre le stesse tre o quattro note, o con un brano un po’ più complesso? Il bello dell’evoluzione è il piacere della complessità, perché ci si può misurare. E il piacere del pensare non è la noia, ma il misurarsi con la complessità.

Che cosa fa uno scienziato? Ha la capacità di affrontare in maniera molto più complessa certe cose dove il dilettante, o il profano, fa solo delle generalizzazioni. Ecco che cosa fa lo scienziato. E per questo il mondo è complesso, per fare dell’uomo uno scienziato in tutti i campi della vita. Ma scientificità vuol dire complicare le cose, osservarle non più solo genericamente, ma in modo sempre più nitido, articolato, approfondito.

Un pedagogo è una persona che non dice l’infanzia è l’infanzia, perché questo lo dice il profano. Un pedagogo è colui che rileva un’enorme complessità nel bambino; che si accorge di grandi differenze non di anno in anno, ma di mese in mese, di settimana in settimana. Cioè, ha una particolare attenzione per la complessità di ciò che avviene nel bambino: questo è un pedagogo.

E l’Apocalisse è il libro della complessità dell’evoluzione, della scientificità sull’evoluzione. Quest’uomo, questo Giovanni-Lazzaro, quest’uomo che è stato iniziato da Cristo, ha lasciato due testi in eredità all’umanità, e questo è meraviglioso. Un testo esprime il fenomeno primigenio della svolta, della redenzione dell’umanità – e questo è il Vangelo di Giovanni, il fenomeno originario della svolta, dell’incarnazione; dell’incarnazione del divino, di come il divino si fa uomo. Il Vangelo di Giovanni è l’anticipazione a metà dell’evoluzione di tutto ciò che un uomo può divenire, mentre l’Apocalisse è la fenomenologia del compimento. Il Vangelo di Giovanni è la fenomenologia della svolta e l’Apocalisse è la fenomenologia del compimento. L’Apocalisse è allora tutto quello che può ancora accadere in libertà fino alla fine dell’evoluzione.

E se mettiamo insieme questi due testi abbiamo già più o meno tutto quello che ci serve per orientarci, beninteso come fondamento. Il Vangelo di Giovanni e l’Apocalisse sono soprattutto una metodologia per osservare in maniera sempre più ampia, complessa e approfondita gli avvenimenti del mondo – i contenuti sono meno determinanti del metodo. Quando pensiamo di aver capito qualcosa perché abbiamo capito il contenuto, allora si tratta di una semplificazione. Nell’Apocalisse abbiamo gli strumenti intellettuali per capire sempre meglio tutti i fenomeni dell’evoluzione. Ma dev’essere fatto il lavoro di capire sempre meglio l’evoluzione.

Siamo al sesto capitolo.

6,1 «E vidi che l’agnello apriva il primo dei sette sigilli, e udii una delle quattro figure dire con voce di tuono: vieni!»

È l’invito a far sì che l’evoluzione abbia luogo: vieni!. Adesso il tutto si mette in moto, adesso l’evoluzione entra nel registro dei sette sigilli. Che l’uomo impari questa legge fondamentale dell’evoluzione: prima si sigilla, perché se l’uomo potesse fare qualcosa per rimuovere subito il sigillo non sarebbe libero, non potrebbe essere libero. In un primo tempo le conseguenze delle sue azioni devono restare nascoste nella sua interiorità. Altrimenti non potrebbe sopportare alcune cose che si manifestano come conseguenze delle sue azioni nella natura, nel corpo.

Quindi il mistero della separazione fra cause nell’anima – il sigillare –, ed effetti nella natura, nel corpo e nella natura come asportazione del sigillo, questa dilazione nel tempo, è il mistero della libertà, perché l’uomo può essere libero solo non conoscendo le connessioni. Se infatti sapesse che per esempio certi effetti nella natura odierna provengono esattamente da certe cause che lui stesso ha determinato, la seconda volta forse ci penserebbe su bene. Ma finché gli effetti si manifestano molto più tardi, l’uomo ha per così dire sempre la scusa di dire: be’, saranno le generazioni future a pagarne le conseguenze. L’uomo non ha ancora la forza, la forza morale, di assumersi la responsabilità di ciò che si manifesterà in natura fra migliaia di anni come effetto di ciò che lui fa.

6,2 «Ed io vidi, e vedo, un cavallo bianco e colui che gli stava sopra aveva un arco, e gli venne data una corona e partì vincitore per riportare altre vittorie.»

6,3 «E quando aprì il secondo sigillo, udii la seconda figura dire: vieni!»

Secondo passo dell’evoluzione.

6,4 «E uscì un secondo cavallo, rosso fuoco. E a quello che lo montava fu dato il potere di togliere la pace dalla Terra, così che si uccidessero fra loro, e gli fu data una grande spada.»

6,5 «E quando aprì il terzo sigillo, udii la terza figura dire: vieni! Ed io vidi, e vedo, un cavallo nero. E colui che gli stava sopra aveva in mano una bilancia.»

6,6 «E io udii una voce in mezzo alle quattro figure che diceva: una misura di frumento per un denaro e tre misure d’orzo per un denaro, ma non recar danno all’olio e al vino.»

Nella traduzione c’è “un soldo d’argento”, ma l’argento qui non c’entra niente. Il denaro è il denario, la paga giornaliera.

6,7 «E quando aprì il quarto sigillo udii la voce della quarta figura dire: vieni!».

6,8 «E vidi, e vedo, un cavallo pallido e colui che gli stava sopra aveva nome Morte e l’Inferno lo seguiva. E a loro venne data l’autorità su un quarto della Terra per uccidere con la spada, con la fame e con la peste e mediante le fiere della Terra.»

Segue ora l’apertura del quinto sigillo e aspettiamo un po’, perché si tratta di noi. Infatti i cavalli sono finiti. Fin qui siamo andati al trotto con i cavalli, ma poi vengono le vesti bianche, le cose si fanno un po’ più lunghe e un po’ più complesse. Con i cavalli è molto facile, nel senso che, tutti ovviamente lo sapete come me o meglio di me, il cavallo rappresenta le forze del pensiero.

Fra tante cose voi forse ascoltate alcune cose nuove, e non è che adesso le mie indicazioni debbano sostituirsi al vostro lavoro. Il senso di un seminario come questo è di stimolare l’appetito, di modo che poi ognuno vada avanti da solo. E, lo dico ancora una volta, l’andare avanti avviene attraverso l’occuparsi ampiamente di una scienza del soprasensibile.

Con questi primi quattro sigilli in pratica ci viene detto – quelle che sto facendo sono abbreviazioni, sintesi, altrimenti ci vorrebbero davvero degli anni per occuparci dell’Apocalisse – ci viene detto chiaramente: caro uomo, puoi progredire nella tua evoluzione, puoi arrivare al quinto stadio solo se capisci una buona volta che il peccato originale, il cosiddetto peccato originale, non è stato una questione morale, ma una questione di coscienza. E l’evoluzione dei cavalli è l’evoluzione della coscienza.

Da “1” a “3” le civiltà erano orientali, erano in Oriente, erano in Asia; come hanno fatto i Greci a produrre il quarto elemento, la quarta civiltà? Con che cosa hanno sconfitto la Troia asiatica? Con il cavallo di Troia. Ovviamente il cavallo non è stato costruito dai Troiani, ma da Ulisse il greco, l’uomo pensante, l’astuto, lo scaltro. I Greci hanno sconfitto i Troiani con le forze del pensiero, poiché i Greci sono stati i primi pensatori.

E se andiamo a vedere nell’evoluzione, gli animali sono nati per il fatto che l’uomo li ha separati da sé. All’inizio c’era solo l’uomo e tutti gli animali, le piante, i minerali sono forze che in origine erano dentro l’uomo e che sono state separate dall’uomo, che ha il compito di reintegrarle.

Allora, a “1” l’uomo ha separato il regno minerale dal suo essere, a “2” il regno vegetale, a “3” il regno animale, per diventare a “4” talmente individuale come uomo allo stato puro, da poter di nuovo umanizzare il regno animale a “5”, il regno vegetale a “6” e il regno minerale a “7”. E tutti gli animali sono forze specifiche dell’uomo, che sono state separate dall’uomo affinché questi potesse diventare uomo.

Che cosa vuol dire? Vuol dire che la grande differenza fra uomo e animale consiste nel fatto che l’uomo è sintetico, che l’uomo è chiamato ad armonizzare in sé tutte le forze animali. E gli animali sono tutti specializzati; cioè ogni animale è una forza umana che esclude le altre. Ciò che negli animali è unilaterale deve diventare onnilaterale nell’uomo.

E dove si tratta di sviluppare la forza del pensiero, l’uomo ha separato da sé le forze che hanno prodotto il cavallo. Cioè, i cavalli hanno avuto origine nel corso dell’evoluzione per il fatto che l’uomo ha fatto uscire da sé questo elemento unilaterale delle forze del pensiero per armonizzarle dentro di sé con tutte le altre forze.

Per esempio Rudolf Steiner (che alcuni di voi conoscono!) conferma che se si osserva il corpo eterico del cavallo si vede una testa enorme, e quelle sono le forze del pensiero. Questo vale anche per l’elefante, anche se l’elefante è stato emesso molto prima. Pensate a Pallade Atena che come dea delle forze del pensiero ha appunto un elmo enorme. Il cavallo rappresenta le forze del pensiero.

E il peccato originale delle forze del pensiero, il peccato originale della coscienza, consiste nel fatto che l’evoluzione verso la libertà è possibile solo così: l’uomo ha potuto diventare un individuo autonomo, separato dagli altri, solo unendosi sempre più con la materia. Ciò significa che la sua coscienza deve perdere di vista il suo legame originario con lo spirito deve unirsi sempre più con la materia e fare sempre più l’esperienza di ciò che si deve sperimentare in basso, nella materia. Quindi dalla coscienza umana sono stati a poco a poco cancellati i contenuti divini e l’uomo ha ricevuto nel proprio pensiero, nella propria coscienza, contenuti umani in misura sempre maggiore. Al punto che dobbiamo constatare che oggi nella coscienza, nel pensiero dell’uomo, ci sono quasi esclusivamente contenuti materiali, terreni, percepibili mediante i sensi.

Il primo cavallo, il primo stadio di coscienza, di pensiero, era completamente bianco: cioè i contenuti della coscienza erano l’elemento spirituale del cosmo, il mondo spirituale, gli Esseri divini. Poi ha avuto inizio l’uomo – secondo stadio, secondo sigillo – una mescolanza da vivere fra il bianco dello spirituale puro e la materia; l’uomo ha cominciato a mescolare questo elemento spirituale con le percezioni sulla Terra. E questa mescolanza fra il bianco del divino e il torbido della materia dà origine al rosso. Poi la coscienza è stata ulteriormente oscurata, il bianco, lo spirituale, è scomparso ed è rimasto solo l’elemento terreno – è il terzo cavallo: nero.

Quelli di voi che amano la saggezza orientale – non ho niente in contrario – pensino ai tre guna dell’induismo, del buddismo, in greco gšnoj (ghenòs, tipi), i tre tipi di spiritualità. E quali sono i tre tipi di spiritualità? Il primo è sattva, completamente divino, completamente spirituale. Il secondo è rajas, una mescolanza fra spirito e materia. E il terzo è completamente oscuro, le forze materiali, tamas. Sattva, rajas, tamas, sono i passi da “1” a “3”, sono la stessa cosa.

I tre guna

1. sattva

2. rajas

3. tamas

Domanda: è possibile un peggioramento oltre al nero? Nero significa: ho solo il mondo della materia. Può peggiorare, poiché al quarto stadio l’uomo non ha più niente, nemmeno i contenuti della materia fisica. È il cavallo pallido, trasparente, senza colore, dove l’uomo perde ogni contenuto nel suo pensiero, perde ogni realtà. Come arriva questo cavallo pallido?

Arriva per il fatto che nella quarta epoca culturale, per via dell’amore nato nella civiltà greca per il mondo della materia, l’uomo è stato così ammaliato dalla bella apparenza che alla fine ha scelto solo l’apparenza e non ha più realtà. Questo è il quarto cavallo pallido, dove l’uomo ha solo l’immagine.

Ma che cos’è un’immagine in cui c’è solo l’apparenza? È una realtà o no? È come un’immagine riflessa. Un’immagine riflessa è una forma apparente di ciò che vi si specchia. Che cos’ho nell’immagine allo specchio? Tutto e niente, solo la bella apparenza; come se fosse una bella donna che vi si specchia. I Greci infatti hanno visto il mondo come se fosse tutto bello, il brutto non l’hanno visto per niente.

Al quarto stadio (Fig. 5,VIII) – per questo è il punto più basso del peccato originale – il pensiero umano perde ogni contenuto per potersi conquistare da solo, mediante la propria evoluzione, tutti i contenuti del mondo a partire dalla libertà; conquistarseli individualmente e liberamente con le proprie forze creative.

E per questo a “5” o l’uomo riempie di realtà spirituale il suo pensare vuoto, o finisce davvero nell’abisso. Quindi fino a “4” la discesa è necessaria e da “4” l’andare avanti è una fatalità della libertà; cioè da “4” l’uomo va verso il basso solo se omette di fare il bene, e per questo è una cosa cattiva. Solo l’omissione della libertà è cattiva, non il peccato originale. Il peccato originale della coscienza è stato necessario per creare le premesse per la libertà. Ma noi viviamo già nell’epoca in cui il bene e il male sono possibili.

Più precisamente: a “4” bene e male non sono ancora possibili, ma solo in nuce. Qui a “5” però le cose cominciano a distinguersi e per questo a “5” il registro dell’Apocalisse cambia: quinta lettera, particolarmente il quinto sigillo, particolarmente la quinta tromba; la quinta, la sesta e la settima tromba sono le tre piaghe, vengono trattate in modo particolare. E poi alla quinta coppa dell’ira diventa più potente di un grado.

Qui a “5” gli spiriti si dividono e per questo si è sempre detto che “5” è il numero del male; a “5”, se i passi sono sette, ci sono davvero le premesse reali per la separazione degli spiriti. Questa separazione si radicalizza ulteriormente a “6” e si compie a “7”. Ma l’inizio della separazione degli spiriti è sempre a “5”, poiché è lì che ci sono le premesse per cui l’uomo possa prendere posizione a partire dalle forze della libertà che si è conquistato e abbia la possibilità di omettere un’infinità di cose. Oggi viviamo in un’epoca in cui ogni uomo ha la possibilità di omettere un’infinità di cose, e la mette anche in pratica. Ma questo significa nel contempo che ognuno di noi può compiere un’infinità di cose buone a livello individuale, in libertà, autonomamente. L’uomo infatti può omettere solo ciò che può compiere realmente. Quello che un uomo non può fare non lo può omettere, non si può parlare di omissione.

Facciamo magari un passo indietro, perché ieri non potevo spiegare tutto, ma adesso che siamo arrivati alla potenza di questi quattro cavalli le cose diventano decisive. Riandiamo al capitolo cinque, versetto nove.

5,9 «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, poiché tu sei stato sgozzato e con il tuo sangue hai riacquistato uomini per Dio da tutte le tribù, da tutte le lingue, da tutti i popoli e da tutte le nazioni».

Che cosa vuol dire? Che a “4” succede (questa è la cosa importante) che l’uomo viene tolto da tutti i popoli, da tutte le lingue, da tutte le nazioni ecc. Vuol dire che d’ora in poi ogni gruppo diventa anacronistico. E quegli spiriti che si dividono in senso positivo e negativo sono individui, non sono più popoli o nazioni o gruppi.

Abbiamo appena letto che l’impulso cristico – questo Agnello – permette all’uomo di compiere i passi dall’appartenenza al gruppo verso l’individualità; ora è in discussione l’individuo, per questa evoluzione si prende in considerazione l’individuo. Non abbiamo più a che fare con l’elemento “gruppale”, che si tratti di lingua, di popolo, di religione, di cultura, di nazione o di stato; l’elemento di gruppo diventa il fondamento, non viene ancora eliminato, ma non è più l’elemento portante, non è più l’elemento intrinseco.

“Tu hai riacquistato per Dio uomini individuali da tutte le tribù e da tutte le lingue e da tutti i popoli e da tutte le nazioni”, li hai tolti da questi, bisognerebbe aggiungere, così che essi si liberano dall’essere prigionieri e dal dissolversi nell’elemento “gruppale”. E adesso possono prendere posizione nei confronti dell’elemento di gruppo e considerarlo un fondamento per ciò che ad esso va aggiunto sotto forma di evoluzione individuale.

Gli uomini in questione che a “5” operano per le vesti bianche, per la spiritualizzazione dell’intelligenza, non sono uomini che vengono dalla Germania o dall’America ecc.; l’appartenenza a un gruppo qui non c’entra niente. Sono individui che in quanto tali possono provenire da tutti i popoli, da tutte le nazioni, da tutte le lingue, da tutte le religioni. Vuol dire che ad ogni individuo, indipendentemente dalle sue radici, adesso tocca prendere posizione a livello individuale. Se si aspetta che sia la sua appartenenza a un popolo, la sua nazione, la sua religione o il suo elemento di gruppo a dargli ciò che può essere conseguito solo individualmente, non ha capito niente. Volevo sottolineare ancora una volta questo versetto 5,9 perché con i sigilli, e in particolare col quinto, abbiamo a che fare con l’individuo.

Adesso non è possibile esaminare i singoli dettagli; se lo facessi vi lamentereste del fatto che non arriviamo in fondo all’Apocalisse, cosa che voglio fare oggi.

Vedete allora che a “4” sopraggiunge il mistero della morte, l’esperienza della morte, perché l’uomo si è unito completamente all’elemento materiale, alla caducità, si è identificato con il corpo al punto da sentirsi un tutt’uno con esso, per cui vive la morte come minaccia a tutto il suo essere. Questo deve sentire, perlomeno a livello psicologico: accidenti, se adesso vengo privato del corpo, cosa resterà di me? Un bel niente.

Allora a “4”, al cavallo pallido, dove ogni realtà dello spirituale è andata perduta ed è rimasta solo la bella apparenza ammaliante, sopraggiunge l’esperienza della morte. E in definitiva la caratteristica fondamentale della cultura greco-romana è stato il confronto con la morte. E il compito fondamentale della nostra quinta civiltà è il confronto con il male. In questo senso il Faust è assolutamente moderno e anticipatore, poiché rappresenta nell’umanità moderna la più bella fenomenologia della lotta con il male, anche dal punto di vista artistico.

Al “4” (Fig. 5,VIII), qui presso i Greci, c’è la bella apparenza. Qui all’ “1” c’è il contenuto spirituale (cavallo bianco), al “2” spirito e materia (cavallo rosso). Al “3” solo materia (cavallo nero) e al “4” , l’ho già detto, le belle apparenze (cavallo pallido). Le cose possono peggiorare ulteriormente? Sì, il peggio può essere l’astrazione. E l’astrazione è quando l’uomo astrae perfino dalle belle apparenze. Allora non ha davvero più niente, perché nelle belle apparenze ha almeno l’immagine. L’immagine è qualcosa o non è nulla? Come immagine è qualcosa, è un’immagine, e il bello dell’apparenza è che nel bello appare lo spirito, da cui “belle apparenze”. Ma nell’astrazione l’uomo non ha più niente.

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Fig. 5, VIII

Cioè, i Greci hanno fatto l’esperienza delle belle apparenze, ma le hanno chiamate belle perché sapevano ancora che si trattava della manifestazione nell’immagine allo specchio, e allora “si voltavano” e cercavano la realtà. I Greci erano ancora in grado di farlo poiché sapevano che si tratta di belle apparenze, della manifestazione di qualcosa di spirituale.

L’astrazione non lo sa più, non ha più niente. E un tratto fondamentale del pensiero caduto a “5” – dunque l’astrazione devo disegnarla qui (Fig. 5,VIII), va avanti verso il basso – è che il pensiero comincia a confrontarsi con il male, dato che l’astrazione è l’inizio del male nel pensiero. E la redenzione dell’astrazione è la spiritualizzazione dell’intelligenza. L’intelligenza astratta, che non ha più contenuti, viene riempita di contenuti spirituali dalla libertà, dalla libera creatività dell’individuo. È il mettere mano ad una scienza dello spirito, la spiritualizzazione dell’intelligenza. L’intelligenza spiritualizzata che proviene dalla libertà, dalla libertà del singolo, è la veste bianca.

Allora qui sotto l’astrazione il male dell’intelligenza, e qui la veste bianca, la spiritualizzazione dell’intelligenza. Sono naturalmente tutti spunti che si fanno interessanti solo se li si usa come strumenti per spiegare le cose da tutti i lati. È come se avessi un violino e un archetto: tutto dipendesse da come muovo l’archetto. Quindi prendete tutto questo – le vesti bianche, la spiritualizzazione dell’intelligenza – come archetto. Ma se avete in mano l’archetto e non entrate mai in relazione ragionevole con le corde, l’archetto non serve a niente.

Per questo ho detto che l’Apocalisse è piena di archetti e violini – ma se non prendo mai in mano l’archetto e non so come usare il violino, allora non mi servono né gli archetti né il violino –, strumenti che bisogna veramente avere in mano per poi poter suonare tutto il possibile.

E per questo sono sempre un po’ titubante a fornire delle interpretazioni così avventatamente suggestive, perché non portano a niente. Sono piccole seduzioni del pensiero per assopire il proprio pensiero, così da ottenerne un surrogato: Ah, ecco, adesso so di che cosa si tratta. Se so che questo è un archetto e questo è un violino, che cosa ne ricavo? L’archetto diventa archetto e il violino diventa violino solo se suonano insieme, o meglio, se l’uomo li suona insieme e fa l’esperienza della musica.

Se uso l’Apocalisse – l’Apocalisse sarebbe il violino, la mia testa sarebbe l’archetto – e comincio a suonarli insieme, allora succede qualcosa. Ma poi bisogna vedere che melodia viene fuori. L’Apocalisse è il violino e la mia testa l’archetto, ma adesso devo vedere come questo archetto si rapporta con il violino. E quelli che io eseguo qui sono modesti esercizi che vi mostrano come gestisco un po’ questo violino con il mio archetto. Così che possiate dire: sì, può essere interessante fare una cosa simile. Ma ognuno lo deve fare a modo suo.

E come si fa a sapere che un certo movimento dell’archetto sulla corda non va bene? Come faccio a saperlo? Lo sperimento se ho idea della musica. Ed essere uomo significa avere un’idea della musica, altrimenti saremmo animali e non uomini.

Questo ci porta alle fiere – perché è lì che volevo arrivare – che nell’Apocalisse hanno un ruolo molto importante. Siamo arrivati al capitolo 6 versetto 8, appena prima del quinto sigillo.

6,8 «E vidi, e vedo, un cavallo pallido. E colui che gli stava sopra aveva nome Morte e l’Inferno lo seguiva. E a loro venne data l’autorità su un quarto della Terra per uccidere con la spada, con la fame e con la peste e mediante le fiere della Terra.»

Si dice che una quarta parte degli uomini viene uccisa. Se prendiamo la quadruplicità dell’elemento fisico, di quello eterico, di quello astrale e di quello individuale, quale sarebbe il primo di questi quattro, quale sarebbe il primo quarto che può essere ucciso?

Intervento: Il corpo fisico.

Archiati: No, il fisico è già morto. Il primo che minaccia di essere ucciso è l’Io. Naturalmente potete anche sostenere che per uccidere l’Io si deve uccidere qualcosa nel fisico. Ma allora dovete diventare ancora dei virtuosi del violino, allora funziona, allora va bene. Se si vuole suonare un po’ più facilmente per i principianti, allora si dice: attento, la prima cosa che può sparire è l’Io perché è quello maggiormente in pericolo. E per un uomo che vive in libertà è innanzitutto più fruttuoso suonare in modo da dirsi: ah, ecco, ma sotto certi aspetti il primo quarto che muore è quello fisico. Perché se ci alimentiamo in modo che il nostro nutrimento sia morto invece di essere vivo, allora l’uomo non può esistere pienamente come spirito. Anche questo è valido. Solo che bisogna complicare ulteriormente le cose.

Per questo l’Apocalisse parla per immagini e non dice di quale quarto si tratta, perché sarebbe una totale semplificazione di qualcosa di molto complesso. Che cos’ho infatti sulla partitura, per rimanere nell’immagine della musica? Naturalmente ho certe indicazioni: piano, pianissimo, fortissimo, adagio, andante, staccato ecc., bene, sono indicazioni, non significa che adesso la partitura le esegue per me, sono io che le devo eseguire. E nel modo in cui due persone fanno uno staccato ci sono delle differenze. Ci sono delle differenze se non si procede da rozzi dilettanti, ma con arte e scienza e anche religione, così da fare anche l’esperienza del buono, non solo del bello e del vero.

«Per uccidere con spada, fame, peste e mediante le fiere». Le fiere. Più a fondo ci si occupa dell’Apocalisse, più forte sorge la domanda: che cosa sono questi animali? Il mistero della bestia, l’abisso della bestia, la bestia con due corna, la bestia con sette corna e dieci teste ecc. Un concetto fondamentale dell’Apocalisse è tîn qhriwn (ton theriòn), la fiera. Non un animale normale, non un animale domestico, che sarebbe q»r (ther), ma theriòn, fiera, cioè animale selvatico, non addomesticato, non domato. Che cosa rappresenta questa immagine? È molto semplice, solo che la cosa semplice è davvero molto complessa. Ma nel nocciolo rappresenta nell’uomo tutta astralità non addomesticata, tutto ciò che nell’anima non è purificato e ciò che si è omesso di purificare. Questo tanto per darvi un’indicazione.

Pensate a come è importante: se non si ha questa indicazione bisogna davvero capitolare di fronte all’Apocalisse. Allora bisogna guardare le differenze, quali diversi animali e fiere compaiono. Perché l’animale con due corna è completamente diverso da quello con sette corna e dieci teste ecc., ma resta sempre questa immagine: la fiera, l’astralità non purificata, non dominata, non controllata. L’uomo infatti diventa libero nella misura in cui ha il dominio sulla propria astralità, sulle emozioni della sua anima, nella misura in cui non le rimuove, non le reprime, ma le domina, le ha in mano. Le può usare, ci può giocare, come l’uomo col violino e l’archetto; le ha in mano, non sono loro ad avere in mano lui.

L’evoluzione nel senso del bene è lo spirito che diventa sempre più padrone delle forze animiche; mentre l’evoluzione nel senso del male sono le forze animiche che annegano sempre più lo spirito, poiché quest’ultimo non ha nessuna chance per via della mancanza di autocontrollo delle impurità, forze animiche selvagge, non addomesticate.

Come già detto, ecco di nuovo una chiave per decifrare molte cose, poiché questo elemento animale nell’uomo è molteplice. La fenomenologia è a sua volta molto vasta e complessa. Pertanto è cruciale avere in mano una chiave.

Nella già citata O.O. 346 si legge che nell’Apocalisse – e non è una contraddizione, è una prospettiva che va aggiunta – dove si parla della bestia, di animali, di fiere, si intende sempre riferirsi alle comete, al mistero delle comete. Bisogna capire che gli spiriti buoni (il genio del Sole, per esempio) agiscono attraverso i pianeti e attraverso le orbite ordinate, imbrigliate, dei pianeti. Però nel sistema solare, nel nostro mondo, ci sono anche orbite sfrenate, incontrollate, che non possono essere calcolate; sono le comete, cadono e non si sa da dove vengono.

Le comete sono l’elemento incontrollabile, non imbrigliato, caotico, sibillino del sistema solare. Queste forze, quindi le forze cometarie, i demoni delle comete, sono i demoni della Luna, del Sole ecc. L’astronomia odierna vi dice che nel nostro universo, intorno alla Terra frullano nello spazio migliaia di comete grandi e piccole (e poi ci sono naturalmente comete famose, come la cometa di Halley ecc., che sono molto più grandi): questo è l’elemento incalcolabile, incontrollato, non imbrigliato, non addomesticato nel sistema solare.

Più nel sigillo, nell’interiorità dell’uomo vince moralmente l’elemento incontrollato, non imbrigliato, disordinato delle emozioni, più questi demoni della Luna, del Sole ecc. acquisiscono forza per avvicinarsi sempre più alla Terra tramite le comete, per manifestarsi sempre più intensamente, così che la cometa resta integra più a lungo e non si frantuma prima – perché questo è il modo in cui le Entità buone ci salvano. Una cometa che rimanesse integra minaccerebbe di cadere sulla Terra e di strapparla alla sua orbita, e allora sarebbe la fine di tutto. Invece una cometa si frantuma: schegge di meteore, di enormi pezzi di ghiaccio, e poi la cometa scompare.

Se queste forze, forze morali del male, di ciò che non è imbrigliato, dell’antiumano, dell’egoismo, della magia nera potremmo aggiungere, se queste forze aumentano, è segno che sulla Terra le contropotenze stanno diventando più forti. E queste potenze aspettano ogni occasione, ogni opportunità per sconvolgere l’ordine, l’ordine solare per mezzo delle forze delle comete. Infatti sconvolgere l’ordine del sistema solare, le orbite ordinate, significa rendere impossibile ogni ulteriore evoluzione dell’uomo sulla Terra.

Abbiamo letto proprio la settimana scorsa a Monaco nel Faust[11] che perfino Goethe vi descrive questa fantasia tramite Anassagora, il filosofo del fuoco. Nella notte classica di Valpurga Talete e Anassagora sono i due filosofi che discutono. Talete costruisce tutto dall’acqua, l’acqua è preposta a tutta l’evoluzione, mentre per Anassagora è determinante il fuoco. E come esempio del fatto che il fuoco è determinante c’è questa fantasia: Anassagora prega la Luna di scendere. Allora la Luna viene giù e sulla Terra succede un patatrac: che cosa è accaduto? Una meteora, una siderite, è caduta sulla Terra. Non tutta la Luna, non una cometa intera.

Quindi nel Faust leggiamo queste cose. E di queste cose parla l’Apocalisse. Queste forze demoniache che sono in agguato, che si servono delle forze delle comete per far deragliare i geni, il genio del Sole o il genio della Luna e degli altri pianeti, sono contropotenze di Esseri divini. Quindi il demone del Sole è una controparte del genio del Sole.

L’altro stadio del male, abbiamo detto, sono Esseri demoniaci che possiedono l’uomo; si misurano con l’uomo. Il primo stadio del male è l’omissione dell’uomo: è quando l’uomo, invece di creare l’ordine nella propria anima mediante lo spirito, tiene in sé un enorme mucchio di forze impure che poi esercitano un’attrazione su questi Esseri antiumani.

Quindi primo stadio del male: l’omissione umana del bene. Secondo stadio del male: potenze antiumane che prendono possesso dell’uomo. Terzo stadio del male: Esseri sovrasensibili che agiscono contro Esseri sovrasensibili, non direttamente contro l’uomo.

Vedremo che il mistero della bestia con il numero “sei sei sei” non è più il fallimento umano, non è più l’uomo posseduto, ma si tratta di potenze sovrumane. In questo caso è il demone del Sole, il cui compito è quello di agire contro il genio del Sole.

Questo sulle fiere che sono qui al versetto 6,8. Come già detto, nel sigillo le fiere sono l’astralità non domata, e nell’asportazione del sigillo le fiere sono le comete, le meteoriti, tutte forze cosmiche che si manifestano come controforze rispetto a ciò che è ordinato. Le comete sono l’elemento caotico, sibillino, come controforza necessaria contro l’ordine delle orbite planetarie, fondamento per l’evoluzione dell’uomo.

Anche qui da un lato c’è il sigillo, ciò che l’uomo fa nella propria anima, o meglio, ciò che omette in quanto a purificazione, addomesticamento, controllo, e dall’altro lato ciò che diventa possibile nel momento della rimozione del sigillo – che queste forze vengono rese più potenti e si servono in modo del tutto reale delle forze delle meteore, delle forze delle comete.

Potete leggere in quest’ultimo volume di Rudolf Steiner, O.O. 346, che è come un’eredità spirituale, in che misura certe comete portano il bene e certe il male. Qui non possiamo spiegare tutto.

Leggiamo insieme il quinto sigillo.

6,9 «E quando aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la loro testimonianza»

6,10 «e gridavano ad alta voce: Signore, santo e vero, per quanto tempo non giudicherai e non vendicherai il nostro sangue su quelli che vivono sulla Terra?»

Adesso, a “5”, si guarda particolarmente chi si evolve nel senso del bene. E questo è l’uomo che si è evoluto nel senso del bene per il fatto di aver vissuto una lotta molto dura con le controforze che si presentano anche in certi uomini; è stato sfruttato, è stato danneggiato, è stato perseguitato ecc.: tutto questo fa parte del gioco. Infatti nessun uomo può evolvere nel senso del bene senza lotte sempre più intense con le controforze. Questi buoni degli inizi esprimono la preghiera: quanto tempo deve ancora passare affinché tu ci redima definitivamente dal male?

Faccio ancora un piccolo schizzo (Fig. 6,VIII): adesso siamo a “5”. Questi uomini dicono: noi vorremmo esser già alla fine, ma devono venire ancora il “6” e il “7”. Loro vorrebbero già essere alla fine, e questo mostra che hanno ancora qualcosa da fare, proprio perché non hanno coscienza di quello che li attende. E che cos’è che ancora gli manca, ma che è assolutamente centrale e rilevante? Che non si tratta di essere redenti dalle controforze, dalle forze malvagie che si presentano in certi uomini, in uomini assolutamente reali. Questo è il bene che non basta ancora, è il bene egoistico, che desidera essere redento dal male. Se il bene diventa ancora più forte, ancora più buono, ancora migliore allora lo diventa tramite la redenzione di tutti dal male.

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Fig. 6, VIII

A costoro va detto: no, ci vuole ancora del tempo. Il compito infatti è coinvolgere nella redenzione la maggior parte possibile delle forze che avete mandato via da voi. La vostra evoluzione infatti è stata possibile perché altri hanno offerto il sacrificio di assumere su di sé le controforze. Quindi dobbiamo capire questo: che si deve sempre la propria evoluzione a quelli che sembrano restare indietro.

In altre parole, a loro va detto che sono troppo impazienti. L’evoluzione è alla fine solo quando si è fatto tutto non solo per salvarsi, ma quando ognuno ha fatto tutto per salvare tutti. Non esiste una salvezza personale privata. O l’uomo ama tutti gli uomini e fa di tutto perché tutti vengano salvati, o non può salvare se stesso poiché è un membro dell’organismo spirituale dell’umanità. Proprio gridando “Per quanto tempo non giudicherai e non vendicherai il nostro sangue su quelli che vivono sulla Terra?”, dimostrano che devono ancora evolvere un bel po’, perché non si tratta di essere redenti e di vendicarsi sugli altri.

In altre parole, è possibile essere grato a chi mi ha ingannato? È possibile, solo che da “5” bisogna passare a “6”. E il passo da “5” a “6” lo compio se capisco che solo per il fatto che l’altro ha assunto la posizione dell’imbroglione io ho avuto il privilegio di essere l’imbrogliato. Cos’è infatti meglio, moralmente meglio, essere colui che imbroglia o colui che viene imbrogliato? La risposta è molto chiara, per l’evoluzione morale dell’uomo è molto meglio essere l’imbrogliato che l’imbroglione. Pensiamo a cosa significherebbe se nella mia evoluzione fossi in grado soltanto di entrare nel ruolo dell’ingannatore. L’ingannato può essere grato a chi lo inganna. È questo che devono imparare.

Detto in un altro modo: il Cristo può essere il Redentore solo perché altri uomini si sono messi in condizione di aver bisogno di redenzione. Che cosa è meglio, essere il Redentore o essere bisognosi di redenzione? È meglio essere il redentore, ma il suo essere Redentore lo deve al fatto che altri – tutti gli uomini –, hanno bisogno di redenzione. E questo Cristo lo dice anche nel Vangelo.

In altre parole, questi uomini con le vesti bianche devono ancora imparare che noi uomini siamo una cosa sola. Solo questo è cristianesimo, solo questa è umanità. Tutti gli uomini sono una cosa sola. E per questo, anche se a “7” tutto sembra separarsi, e completamente – sopra i buoni e i cattivi completamente in fondo (Fig. 6,VIII) – gli uomini continuano ad essere una cosa sola nel senso che grazie alla rinuncia, grazie alla gratitudine, grazie al turbamento di quelli che sono andati in alto, si deve dire: Non siamo stati ancora abbastanza buoni per portarli tutti con noi. Come possiamo infatti definirci abbastanza buoni se non siamo stati in grado di portarli con noi? Il fatto di essere ancora parte dello stesso organismo è il presupposto per l’inizio di un nuovo ciclo (il ciclo di Giove, Terra cinque), in cui il conflitto fra bene e male attraverserà l’intero ciclo; questa lotta sarà ancora centrale in Terra sei (Venere), e solo allora il contrasto fra bene e male diventerà definitivo.

Il buon Dio quindi non ha fatto le cose in maniera semplicistica, ma in modo molto profondo e appunto per questo così bello.

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In questo quinto sigillo abbiamo visto come per via del contrasto fra bene e male possa nascere un certo malumore, una certa impazienza, per cui si vorrebbero rapidamente delle condizioni chiare. Buon Dio, che cosa aspetti a farla finita con quelli che sono davvero cattivi e a rendere felici noi? Costoro devono imparare che l’evoluzione è un po’ più lunga, poiché nell’umanità nessun uomo può intraprendere un’evoluzione particolare, ma che ogni uomo è inserito nell’evoluzione non solo dell’umanità intera ma addirittura in quella di tutto il creato. Significa che nessun uomo può diventare buono senza fare tutto il possibile per contribuire alla risurrezione della carne.

La risurrezione della carne è la redenzione, l’umanazione, la liberazione di tutta la natura, poiché la carne rappresenta tutta la natura. Quindi portare con sé le pietre, le piante e gli animali richiede un certo periodo di tempo, e quelli con le vesti bianche lo devono capire.

Volevo fornirvi un esempio di come anche Rudolf Steiner diventa concreto nella spiegazione di queste cose. Vi leggo un passaggio dal volume 104a Aus der Bilderschrift der Apocalypse des Johannes, pag. 112-113 (è un volume supplementare all’O.O. 104), in cui parlando del quinto sigillo improvvisamente fa riferimento alle società per azioni – già a quei tempi! Queste conferenze fanno parte di un breve ciclo tenuto a Monaco nel 1907 e di un breve ciclo tenuto a Oslo nel 1909. E queste parole Steiner le ha dette a Oslo nel 1909.

“Ma coloro i quali già nei primi tempi del cristianesimo hanno accolto il principio cristico hanno dovuto soffrire fortemente” – è l’immagine dell’essere strangolati: nell’Apocalisse si usa perfino l’immagine dello strangolamento! – “per quanto riguarda il martirio fisico esteriore. Ma in questo quinto periodo le cose si inaspriscono molto”. – Questa è la nostra epoca. Precisamente a partire dal 1413 ha inizio il quinto periodo postatlantideo in cui resteremo fino al quarto millennio, fino al 3573. – “In questo quinto periodo le cose si inaspriscono molto tramite la corrente spirituale teosofica rosicruciana.” – a quei tempi parlava ai teosofi. Non bisogna farsi disturbare, bisogna solo avere il coraggio di cambiare la terminologia. Steiner parlava a esseri umani. – “Tramite la corrente cristiana” – è così che bisogna tradurre – “l’impulso cristico viene assorbito nel’Io sempre più altruista, e con comprensione viva i suoi seguaci evolveranno verso una vita spirituale sempre più alta”.

“Ma un’altra corrente” – che va verso il basso –“lavora come forte corrente opposta ad una certa cura dell’Io per spingere quest’Io sempre più profondamente nel materialismo, così che il materialismo consegua infine la vittoria sull’individualità”. – È l’economia che oggi divora completamente l’uomo. Questo è l’annullamento dell’uomo come individuo, come Io. “Tutta la vita pratica esteriore” – questo è stato detto nel 1909, quasi cent’anni fa, quando la borsa non aveva ancora sperimentato la follia a cui abbiamo assistito negli ultimi anni – “si separa dall’elemento individuale”.

Dove vanno gli eventi mondiali attraverso il potere automatizzato del denaro, separato massimamente da ogni possibilità dell’individuo di intervenire con la sua libertà? Nella borsa, nel modo in cui agiscono le azioni. Questo è assolutamente reale. E uno come Steiner, questo grande iniziato, diventa davvero molto concreto.

Tutta la vita pratica esteriore si separa dall’elemento individuale, diceva Steiner, e oggi vediamo nascere movimenti, riflessioni: pensate per esempio a George Soros che dice che tutta l’umanità deve chiedersi come può fare l’uomo a riprendere il controllo di questo elemento impersonale mediante delle regole, regole del gioco. Altrimenti la brama, l’avidità di denaro porterà davvero alla rovina l’umanità intera.

Concludo la lettura di questo brano di Steiner: “Tutta la vita pratica esteriore si separa dall’elemento individuale, si materializza, per esempio attraverso le misure del capitale delle società per azioni che si separa sempre più dall’individuo. L’uomo verrà sempre più lasciato da parte, superato nella sua abilità personale. L’azione in borsa è la via verso la materializzazione di questo ramo della partecipazione pratica umana”.

Se pensate che la scienza dello spirito di Rudolf Steiner sia solo qualcosa per le sacrestie vi sbagliate, è molto pratica. Solo che se si diventa così concreti si corre il rischio di avvicinarsi troppo agli esseri umani! E l’Apocalisse è scritta davvero in modo che l’uomo che ottiene la chiave per decifrarla debba veramente diventare del tutto concreto nella sua vita.

Tutte queste riflessioni sorgono soprattutto nel quinto sigillo (perché si tratta di noi, della nostra epoca) grazie alla libertà per cui ora l’individuo dispone di tutti gli strumenti da “1” a “4” per vivere davvero l’esperienza dello Spirito Santo, il Cristo interiorizzato e individualizzato. Siamo agli inizi, secondo Rudolf Steiner, agli inizi della formazione di due razze morali. Tutte le razze fisiche diventano anacronistiche, ma d’ora in poi sorgono due razze morali: in poche parole quella dei buoni e quella dei cattivi. E noi siamo dentro in pieno in questo processo.

L’individuo, ogni uomo, deve sapere che se vuole evolvere nel senso del bene deve soffrire un po’ e deve imparare ad avere la forza di affrontare volentieri il dolore, poiché se vuole evolvere nel senso del bene senza soffrire un po’, allora vive davvero un’illusione infantile.

Detto concretamente infatti, se adesso qualcuno capisce quello che viene detto dal commento di Steiner – cioè in che modo si svolge questo fenomeno impersonale del rapporto col denaro sotto forma di azioni che corrompe l’umanità – e supponiamo che abbia già delle azioni, allora le cose si fanno concrete se si dice: che cosa faccio adesso? Ma se pensa di poter evolvere nel senso del bene senza cambiare niente, allora mette in pratica solo una totale astrazione, e non si accorge di come queste forze lo inghiottono ancor più profondamente.

Come abbiamo detto, questi cenni vengono fatti solo in via eccezionale, perché prima di tutto queste riflessioni vengono lasciate al singolo individuo, così che lui possa riferirle alla sua vita, alla sua situazione concreta, e in secondo luogo perché ci si vuole risparmiare qualcosa che si provoca subito, specialmente oggi: il malumore delle persone. Per esempio, se in una conferenza pubblica divento un po’ più concreto ci sono subito persone che dicono: Ecco che diventa politico, ecco che si mette a fare politica... È come dire che una conferenza è buona solo se non ha niente a che fare con la vita concreta. Per molti è davvero così. Tanto meglio se si ha un testo come questo che diventa del tutto concreto. Solo che bisogna decifrarlo.

Allora: 6,10 «E gridavano ad alta voce: Signore, santo e vero, per quanto tempo non giudicherai e non vendicherai il nostro sangue su quelli che vivono sulla Terra?».

6,11 «E ad ognuno di loro venne data una veste bianca e fu loro detto che dovevano riposare ancora un po’, finché non fossero arrivati tutti i loro compagni e fratelli che ancora dovevano essere messi a morte come loro».

Vedete, si tratta di portare con sé gli altri. Ma veniamo al verbo qui tradotto con “riposare”. Cosa c’è in greco? Non può essere che debbano solo riposare.

Intervento: Qui c’è scritto di aver pazienza.

Archiati: Aver pazienza. Cioè, resistere, continuare a tener duro, non adagiarsi sugli allori. Vedete come attraverso la scelta di una parola una traduzione può semplicemente fuorviare. Come può infatti andare avanti un’evoluzione se io mi riposo?

E i cimiteri cristiani sono i cimiteri dello spirito per il fatto che quasi in ognuno di essi – perlomeno in Italia, ma anche in Germania – si trova la scritta R.I.P: requiescat in pace (riposi in pace), quando ancora si parlava il latino. Questi sono i cimiteri del cristianesimo. Non solo i cimiteri dei cristiani bensì i cimiteri del cristianesimo, dove lo spirito cristiano viene portato al cimitero. Lo spirito cristiano infatti non è là per riposare, ma per creare, per affrontare sempre qualcosa di nuovo.

6,12 «Ed io vidi: quando aprì il sesto sigillo si verificò un forte terremoto, e il Sole si oscurò come un sacco nero e la Luna diventò come sangue»

Vedete, nel passaggio da “5” a “6”, quello che a “5” viene più rappresentato dalla parte dell’anima, del sigillo, delle vesti bianche, dell’interiorità dell’uomo, adesso viene rappresentato dalla parte di ciò che avviene in natura, come asportazione del sigillo. Così che vediate che sigillatura e asportazione del sigillo sono contenuti anche nei sigilli, come prospettiva sempre presente nell’evoluzione.

Quindi a “6” macrocosmo e microcosmo devono avvicinarsi di uno stadio; o si scontrano oppure l’uomo si spiritualizza in modo da portare sulla Terra la spiritualità delle stelle. “Cielo e Terra periranno”. O resusciteranno nella loro spiritualità nello spirito dell’uomo o andranno in rovina con ciò che viene escluso, separato.

Si verificò un grande terremoto: quindi la Terra trema ed esulta in attesa di essere anch’essa redenta. Ma può anche succedere diversamente, in parte così, in parte cosà. E il Sole si oscurò come un sacco nero: il Sole sta già oscurandosi nel senso che l’Essere del Sole, l’Io del Sole, ha lasciato il Sole già duemila anni fa e ha fatto della Terra il proprio corpo. Ora la Terra sta diventando un sole e il Sole attuale, che vediamo, è già nel processo di riunificazione con la Terra, realmente. Quindi nel corso dei prossimi millenni Sole e Terra torneranno ad essere una cosa sola.

E questa immagine di Sole e Terra che tornano ad essere una cosa sola è come un cadere del Sole sulla Terra – il Sole si oscura. Allora potete tradurre direttamente tutte queste immagini nella idea che il futuro dell’evoluzione consista nel fatto che Sole e Terra (e con loro tutti i pianeti), tornino ad essere una cosa sola. Lo si può anche esprimere con la frase: “Cielo e Terra periranno”, periranno nella loro forma esteriore, poiché devono nascere un nuovo Cielo e una nuova Terra. La nuova Terra è allora Terra cinque, quella che l’Apocalisse chiama anche la Nuova Gerusalemme e quella che la scienza dello spirito di Rudolf Steiner chiama la Terra Giove.

6,13 «e le stelle del cielo caddero sulla Terra come un fico lascia cadere i suoi frutti quando viene scosso dal vento forte.»

È un’immagine meravigliosa! Questi fichi ÑlÚnqouj (olýnthus) non sono fichi normali, ma in greco indicano i ficchi di tardo autunno. Forse alcuni di voi li conoscono. Da ragazzo ho sempre osservato questo fenomeno. Ci sono i fichi normali che sono molto dolci e poi quelli di tardo autunno. Verso l’autunno e per tutto l’inverno, o per buona parte dell’inverno, quando gli altri fichi sono stati raccolti, compaiono sotto le foglie questi piccoli fichi che non maturano quasi mai. E quando sul finire dell’autunno o in inverno viene un temporale, i fichi cadono a terra. Sono frutti della terra che non sono mai giunti a maturazione. Un’immagine meravigliosa.

Quest’albero del paradiso – il fico è l’albero del paradiso – è sceso sulla Terra per produrre fichi, ma i fichi che non riescono a maturare vengono fatti cadere a terra. Vanno perduti con ciò che nelle forze della natura resta antiumano perché non viene redento. È un’immagine meravigliosa, ci si potrebbe meditare sopra all’infinito. Ma nella traduzione abbiamo semplicemente“fichi”, come se fossero esattamente come gli altri, ma questi sono fichi di tardo autunno.

6,14 «E il cielo si ritirò come un rotolo che si riavvolge, e tutte le montagne e tutte le isole furono rimosse dal loro posto.»

Questa è un’immagine del perire di tutto ciò che è terreno-materiale. “Cielo e Terra periranno”. È un’immagine meravigliosa, come di qualcosa che è visibile e poi svanisce. Il rotolo – a quei tempi non c’erano libri ma rotoli – è srotolato, lo si legge, e adesso che si è letto tutto ciò che c’era da leggere, il rotolo viene riavvolto e sparisce.

La Terra è un rotolo svolto, noi stiamo leggendo, scrivendo o quant’altro e il rotolo viene riavvolto, non c’è più. Che cosa rimane? Nella testa rimane ciò che è stato letto o scritto. Resta la parte spirituale, la parte animica e spirituale. Quindi un’immagine non solo logica, ma anche ricca di spunti. Come sono belle le immagini usate dall’Apocalisse!

«Tutte le montagne e tutte le isole furono rimosse dal loro posto»: questo è lo spostare le montagne di cui parlano anche i Vangeli. È un’immagine del modo in cui l’uomo comincia a fare l’esperienza del sovrasensibile. Rudolf Steiner lo descrive sempre dai lati più svariati. Quando l’uomo sale al grado immaginativo, al grado dei sigilli, abbandona il mondo delle lettere, il mondo fisico, e nel periodo in cui hanno le visioni il mondo terreno non c’è più, svanisce – questo naturalmente può essere confermato da tutti i visionari che hanno delle visioni. È possibile. È anzi un’esperienza che l’uomo farà sempre più nel corso della propria evoluzione: ogni uomo diventa sempre più un iniziato che si addentra a poco a poco nella reale esperienza del sovrasensibile e sperimenta sempre più la caducità, la nullità se volete, dell’elemento fisico.

Come è stato descritto in un’immagine il momento in cui viene detto: “Quando la vostra fede sarà abbastanza forte per cui direte a questa montagna: Spostati e gettati nel mare”? Nel Vangelo c’è scritto che non accadrà alla montagna, bensì all’uomo. È a lui che succederà, sarà così. In lui avverrà che dirà alla montagna: spostati e gettati nel mare.

Il mare rappresenta il mondo eterico, il più vicino mondo sovrasensibile in cui sono presenti tutte le forze della metamorfosi, della vita. Quando la forza della fede, cioè la forza della fiducia, la forza dell’Io, si è sviluppata a sufficienza nell’uomo al punto che egli accoglie sempre più nel proprio pensiero la realtà del sovrasensibile, dello spirituale, allora arriva al punto di poter percepire ciò che è immaginativo, sovrasensibile: E quando percepisce il sovrasensibile fa l’esperienza della sparizione del mondo fisico, quel mondo terreno così ben massiccio.

E a quei tempi che immagine si è presa per il mondo terreno che è così ben solido? L’immagine più bella e azzeccata per il mondo fisico è quella della montagna. Quindi la montagna rappresenta il mondo fisico. Quando l’uomo è così avanti nella sua evoluzione può dire a questa montagna, al mondo fisico: sparisci e gettati nel mare dell’eterico, e la cosa gli riuscirà. L’uomo riuscirà, farà l’esperienza della scomparsa del mondo fisico, poiché esso è irreale, è solo una manifestazione del mondo spirituale reale. L’uomo già comincia ad avere percezioni nel sovrasensibile – percezioni che Steiner chiama: immaginazioni. Lì la montagna si è davvero gettata nel mare dell’eterico, il mondo fisico è sparito.

È l’immagine biblica dello spostare le montagne che naturalmente viene affrontata anche qui, poiché fa parte degli archetipi dei passi compiuti dall’uomo sulla via dell’iniziazione. L’Apocalisse descrive l’intera evoluzione dell’uomo, e che cos’è l’evoluzione intera se non l’iniziazione che dall’esperienza fisica, dallo stato del peccato originale – dove viviamo la montagna come reale perché per noi è reale solo il mondo fisico – ci fa sperimentare sempre più la realtà dello spirito? Una realtà eterica, astrale, spirituale. Questo significa che la montagna scompare sempre più e si getta nel mare.

“Cielo e Terra periranno”, mostreranno la loro inconsistenza. “Le mie parole non periranno”, le parole del Logos – vale a dire, i contenuti spirituali della creazione, i pensieri divini eterni – non possono perire. Che cos’è la risurrezione della carne? La risurrezione della carne è l’uomo che grazie alla scomparsa dell’elemento illusorio della montagna, del mondo fisico, porta a risurrezione tutti i contenuti spirituali, tutti i pensieri divini della creazione. Le mie parole non periranno, saranno immortalate nello spirito, nell’anima dell’uomo che le pensa e le ama.

6,15 «E i re sulla Terra e i grandi e i capi e i ricchi e i potenti e ogni schiavo e libero si nascosero nei crepacci e nelle rocce delle montagne.»

Qualcuno mi ha chiesto come mai ieri ho preferito certe categorie, riferendomi a professori o presidenti o papi. Per il fatto che coloro che per via della loro carica occupano una certa posizione di potere hanno ovviamente possibilità del tutto diverse, esercitano influenza sugli altri, hanno un effetto maggiore, partecipano al potere che viene esercitato ovunque per opprimere l’individuo. E per questo anche qui l’Apocalisse li nomina. E ho fatto notare all’interessato che dove si tratta della puttana Babilonia vengono nominati quasi esclusivamente personaggi rispettabili o che ricoprono delle cariche. È importante, perché il fenomeno di una carica consiste nel fatto…lo voglio dire con più cautela: la carica, le aspettative, le necessità oggettive, ciò che ci si aspetta da un presidente, da un papa, da un professore ecc. – anche ciascuno di noi riveste una funzione di qualche tipo –, ha il senso di offrire all’individuo le controforze necessarie. Le controforze ci devono essere.

Che cosa vuol dire “carica”? Una carica è un modello, cioè ti devi comportare in base alle regole della carica; tu non vieni preso in considerazione come individuo, con le tue richieste, ma per via delle aspettative già stabilite nei confronti di questa carica. Cioè, le cariche esistono allo scopo di far sparire l’individuo. Se l’evoluzione procede nel senso del bene, riusciremo, si spera, a eliminare tutte le cariche. Le cariche infatti non sono necessarie laddove gli individui hanno la forza di individualizzare, di impossessarsi di tutto quello che altrimenti una carica è autorizzata ad eseguire. Di solito l’uomo brontola contro ciò che deve fare nella sua posizione ed è felice di avere la sua vita privata in cui può fungere da individuo. Ma allora si tratta davvero di un’esistenza schizofrenica.

Vado al lavoro e lì ho una funzione, ho un compito, e devo scomparire dietro le aspettative che vengono riposte in me per via di questo incarico. Ma non posso assolutamente manifestarmi come individuo con le mie proprie richieste. Voglio dirlo in maniera ancora più concreta: le persone che possono davvero essere se stesse nei luoghi in cui si guadagnano da vivere, cioè che agiscono in libertà, sono molto poche. Sono le persone che forse possono cominciare a mettersi le vesti bianche. Altrimenti bisogna davvero scomparire come essere umano, bisogna fare quello che gli altri si aspettano da noi, quello che dev’essere fatto. Ma questo equivale a uccidere l’uomo, davvero.

Non basta che io inveisca per il fatto che l’umanità è così, devo guardare che prezzo sono disposto a pagare per salvare la mia individualità. Perché un’evoluzione della libertà senza un prezzo da pagare è una pura illusione. Non mi sto riferendo al denaro, sto parlando di pagare qualcosa su tutti i fronti. Per dirla con le mie parole: come mai qui vengono nominati i re, i grandi, i capi, i ricchi, i potenti? Come mai vengono nominate queste categorie? E poi, di fronte a loro, gli schiavi e i liberi si nascosero nei crepacci e nelle rocce delle montagne.

Allora viene davvero nominata una duplice serie di categorie di esseri umani: quelli che occupano i posti di potere – dove è la carica ad agire e l’individuo sparisce – e gli schiavi che sono quelli che dipendono dai potenti. Infine, come categoria particolare, vengono citati tutti i liberi. Ma i liberi non sono ancora così evoluti da poter dire: con loro non vogliamo avere più niente a che fare; è un destino comune, c’è un karma dell’umanità.

6,16 «e dissero alle montagne e alle rocce: cadete su di noi e nascondeteci alla vista di colui che siede sul trono e all’ira dell’Agnello»

6,17 «perché è venuto il gran giorno della loro ira e chi può resistere?»

Qui viene introdotta l’ira. Qual è il senso dell’ira di Dio, tanto per anticipare quello che viene esposto e spiegato nelle coppe dell’ira? All’uomo che pensa in modo illusorio, l’amore divino appare come ira. La sofferenza, invece, viene donata all’uomo dall’amore divino, poiché è solo attraverso la sofferenza che l’uomo si accorge delle sue omissioni. In altre parole, una malattia che fa male è decisamente meglio di una malattia che passa inosservata perché non fa male. Se infatti una malattia fa male la si nota e si può fare qualcosa per contrastarla. Ma ci sono malattie che si svolgono senza dolore e in quel caso l’uomo è del tutto perso perché non ha nessun aiuto per rendersene conto.

La sofferenza, per quanto pesante, è sempre l’amore divino che aiuta l’uomo a rendersi conto di tutto ciò che ha già omesso. Se vede la sofferenza come punizione o si arrabbia perché pensa che sia un’ingiustizia, perché la vive come ingiustizia o punizione, allora è davvero perduto, poiché fraintende l’amore di Dio, come se fosse solo ira. Che motivo ha di adirarsi la divinità? La divinità consiste di amore allo stato puro.

Quindi è l’uomo che in maniera illusoria attribuisce a Dio un’ira che in realtà è solo una manifestazione d’amore, tramite la quale all’uomo viene fatto notare, con uno scossone, ciò che omette. Quindi parlare d’ira è l’ultima scusa per non accorgermi di tutto quello che ometto e che ho omesso. L’amore divino si manifesta all’uomo, e nella sfera dell’illusione umana viene percepito come ira. Se l’uomo imparasse a vedere l’ira come amore divino che scuote gli uomini affinché si rendano conto, affinché si sveglino, allora sarebbe grato che la sua attenzione venga richiamata sulle omissioni, così che possa smettere di omettere e possa invece evolvere ulteriormente nel senso del bene.

Vedete allora che la sofferenza non è affatto cattiva. E, infatti, come mai nessun uomo può dimostrare che la sofferenza è cattiva? come mai? La sofferenza diventerebbe superflua se gli uomini non omettessero mai nulla. Ma questo è impossibile. Come potrebbe infatti aver luogo un’evoluzione nella libertà senza che qualcosa venga omesso? Allora l’uomo sarebbe costretto ad afferrare tutto ciò che può, ecco allora che non sarebbe libero.

Fin dall’inizio è evidente che un’evoluzione nella libertà deve produrre una gran quantità di omissioni, quindi non solo una gran quantità di sofferenza. Ma l’uomo viene avvisato: non prendere la sofferenza per ira di Dio, ma per amore di Dio, come qualcosa che ha lo scopo di aiutarti a renderti conto di quello che saresti potuto diventare, e tu soffri di essere meno di quel che avresti potuto essere. È dunque bello poter soffrire per essere diventato molto meno di quel che si sarebbe potuto diventare. Come già detto, se non ne soffrissi raddoppierei, triplicherei l’omissione. E allora la mia rovina sarebbe ancora più grande.

Per questo è una buona madre quella che ricorre, o deve ricorrere a misure severe con il suo bambino. Questa misura severa per cui il bambino deve soffrire un po’ non è ira. Di solito è amore allo stato puro che deve far notare al bambino: attento, devi stare attento! Se non stai attento mi rimprovererai per non aver mostrato a sufficienza “la mia ira”, fra virgolette, nel senso di non averti fatto sperimentare la severità.

Amare infatti significa anche avere il coraggio di essere severi quando è necessario. Un amore senza la forza della severità, quando necessaria, non è amore. Questo è un pensiero centrale dell’Apocalisse. E quando l’uomo percepisce la severità di Dio come amore allora è salvo, allora va avanti. Fa parte infatti della rovina, dell’abisso dei nostri tempi, che la sofferenza venga quasi solo denigrata. È sorta la follia collettiva per cui si pensa che sarebbe meglio se non si dovesse mai soffrire. Questa è la più grande follia dell’umanità, poiché allora l’uomo ometterebbe ancora di più le cose che potrebbe intraprendere. Il confronto con la sofferenza è quello che maggiormente aiuta l’uomo a progredire, poiché è lì che tira fuori al massimo le forze positive della sua natura: per misurarsi con la sofferenza.

Domande dei partecipanti

Intervento: Con le omissioni si sottolinea sempre come non si possa più recuperare quanto si è omesso ad un certo punto. Poi c’è questa sofferenza che ha valore pedagogico solo se mi esorta al recupero, ad un lavoro evolutivo attivo. Quindi dev’esserci un contrappeso all’omissione.

Archiati: Sì. Il recupero è naturalmente qualcosa di complesso, come tutte le cose nell’evoluzione. E forse è più facile se evitiamo due estremi che non sono veri. Un estremo è costituito dalla possibilità di recupero totale, che non esiste. Un’assoluta possibilità di recupero significherebbe che c’è un’evoluzione che continua a ripetersi nello stesso modo. E l’altro estremo sarebbe: nessuna possibilità di recupero, ma anche questo non è vero. La realtà sta nel mezzo, e cioè nel fatto che viviamo in un’evoluzione in cui c’è una certa possibilità di recupero. Non si può recuperare tutto, ma non è neanche vero che non si può recuperare niente: qualcosa è recuperabile.

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Fig. 7, VIII

L’uomo è qui (Fig. 7,VIII), qui c’è il presente e lui ha omesso qualcosa nel passato. Ora, per quanto riguarda l’omissione, lei ha accennato solo al recupero del passato, ma c’è qualcos’altro di ancor più importante, a cui lei non ha fatto cenno, e cioè che la sofferenza esiste non tanto allo scopo di recuperare quel che è possibile (esiste anche allo scopo di recuperare il recuperabile), ma ha soprattutto un’altra funzione: quella di aiutarci a smettere di omettere, a cominciare d’ora in poi a omettere il meno possibile. Il recupero consiste nello smettere, ora, di omettere e allora diventa concreto, possibile e reale.

Cosa succede infatti se mi dico: accidenti, due anni fa ho agito in modo del tutto sbagliato, in modo egoista; che cosa succede se ho questi pensieri? Ometto il presente. La domanda è sempre: che cosa posso fare adesso? Perché due anni fa era due anni fa; ma io non sono fermo a due anni fa: sono qui e ora. Vuol dire che in definitiva la sofferenza è lo strumento migliore per aiutarci a vivere con presenza di spirito: a non dormicchiare ma ad essere vigili. Com’è la situazione qui, che cosa mi aspetta? Che contributo posso dare qui? Qual è il mio ruolo, che cosa devo fare? Questo è importante.

Intervento: Quell’esempio da lei portato sulle azioni di borsa potrebbe essere inteso così: vendi tutte le tue azioni, non aver niente a che fare con l’economia del denaro. Ma dobbiamo anche per così dire metterci nei panni del drago e percepire le potenzialità del presente per volgere al bene anche certe cose. Se infatti qualcuno realizza dei guadagni può anche impiegarli per qualcosa di buono.

(Mormorio del pubblico)

Archiati: Ha sentito il malumore del popolo? Questo malumore ha ragione di esserci. Solo che non sono cose ovvie, ma anche cose che ci riguardano così da vicino che dobbiamo usare una certa serenità conoscitiva. Diciamo così come prima interpretazione del suo pensiero (e non è quello che lei intendeva, ma si potrebbe interpretare così , oppure si potrebbero capovolgere o alterare le sue parole in modo da far sì che lei intendesse questo): ucciderò dieci persone perché poi potrò impossessarmi del loro denaro, e con questo denaro potrò far del bene all’umanità. Sarebbe una cosa buona?

Intervento: Non intendevo dire questo.

Archiati: Ma le sue parole potrebbero essere interpretate in questo senso. Chi realizza dei guadagni, come li realizza? Intascando da altri. E magari si tratta di persone che vivono della loro pensione o che adesso che sono vecchie non hanno più così tanti soldi, o che magari devono stare più attente quando vanno a fare la spesa. Cioè, in un certo senso ha ucciso altra gente per fare beneficenza con i suoi guadagni. No, così non va davvero. Cioè, non posso mai fare il bene usando il male come mezzo.

Intervento: Il fine non giustifica i mezzi.

Archiati: Proprio così. Solo che questa frase va sempre concretizzata – se vogliamo diventare concreti, dato che le cose generali possono subito essere fraintese – perché altrimenti resta troppo generica; per questo le ho detto come le sue riflessioni possono essere equivocate. Per diventare più concreti bisogna distinguere le cose. Per esempio, Steiner non parla delle banche, ma delle azioni, della borsa. E quel che succede in una borsa – adesso dobbiamo diventare concreti per procedere davvero onestamente con quello che lei ha detto – ,il modo in cui si gestisce il denaro in borsa è completamente diverso dal modo in cui lo si gestiva quando sono sorte le banche, e quando erano ancora vere e proprie banche. Oggi infatti le banche sono delle succursali della borsa. E tra l’altro in Germania le banche verranno a sapere nei prossimi mesi che cosa vuol dire operare con il patrimonio del popolo.

La banca dovrebbe operare maggiormente per ottenere una compensazione fra quelli che hanno un po’ più di soldi di quelli che gli servono – e che perciò desiderano prestare il denaro – e quelli che ne hanno di meno e perciò vorrebbero prenderne in prestito. Questa compensazione sarebbe la funzione buona della banca. Un’economia di denaro con delle aziende che hanno bisogno di capitale ecc. non se la cava senza banche. Ma le banche hanno smesso da un pezzo di essere veramente banche. Vogliono usare il loro denaro – che non è neppure loro, ma delle persone – per realizzare dei guadagni. I banchieri speculano in borsa, questa è una perversione del senso della banca, ed è quello che succede oggi.

Chi lo fa, chi ha ricavato così tanti milioni di euro, e quant’altro, sa di aver svuotato migliaia di tasche per riempire le proprie. Infatti non è così stupido, perché bisogna essere oltremodo stupidi per farlo senza sapere che cosa si sta facendo.

Se volete diventare ancora più concreti, studiatevi il mio libro Uomo e denaro[12]. L’ho scritto proprio per mostrare queste cose, per fare chiarezza. Sono stato invitato a Basilea da una banca per via di questo libro, e mi hanno detto che il libro è troppo radicale. Mi sono salvato rispondendo: sì, il Vangelo però è ancora più radicale.

9a Conferenza
giovedì, 14 novembre 2002, pomeriggio

Cari ascoltatori, sia nel sesto sigillo sia nella lettera alla comunità di Filadelfia abbiamo visto come venga preparata una certa definitività, nel senso che se c’è una serie di sette (Fig. 1,IX) – “1”, “2”, “3”, “4”, “5”, “6”, e “7” – la posizione“4” è per così dire il centro. Sul “5” abbiamo detto molte cose e sul “6” c’è da dire qualcosa di molto importante, proprio su che cosa sia il “6” (sesta lettera, sesto sigillo, sesta tromba, sesta coppa dell’ira): una caratteristica del “6” è che possiede una certa definitività. Poiché ogni lotta tra bene e male, tra forza e controforza, comincia a “2” e finisce a “6” sia nei cicli più lunghi (7 incarnazioni planetarie, 7 epoche) che nei più brevi (7 periodi di civiltà). Quindi, per quanto riguarda gli scontri, il “6” ha sempre un carattere definitivo. E la definitività di essere evolutivamente sotto o sopra viene poi vissuta \attraverso il settimo periodo: la definitività, ma non più una reale lotta tra forza e controforza.

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Fig. 1, IX

Vediamo ora il modo in cui da dodici si arriva a sette. Qui c’è dodici, il cerchio dello zodiaco. Se da questo dodici prendiamo sette (Fig. 2,IX) – scrivo “1”, “2”, “3”, “4” in mezzo, “5”, “6” e “7” – e se i cinque che rimangono sopra vengono intesi come qualcosa che funge da controforza, allora posso graficamente ribaltarli da sopra a sotto (linea tratteggiata) e posizionarli come controparte. Allora, a “2” abbiamo il primo scontro perché solo a “2” c’è una prima separazione e si fronteggiano la forza evolutiva “2” e la controforza “1” del tratteggio. A “3” si fronteggiano “3” e “2”, e così fino a “6”. A “4”la controforza è al massimo della grandezza, della profondità, perché è la controforza di mezzo, la “3” sul tratteggio. Poi la quarta controforza è a “5” e la quinta controforza è a “6”.

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Fig. 2, IX

Si capisce così? Si capisce? Ripeto: abbiamo dodici forze primigenie. Da un lato naturalmente permangono tutte lì, ma come si relazionano queste dodici forze primigenie all’evoluzione nel tempo? Devono dividersi ogni volta in una settuplicità e in una pentuplicità. Non si parla ancora di bene e male, solo di controforze. E le controforze non possono cominciare ad agire fin dall’inizio perché prima devono essere creati i presupposti per ogni tipo di antagonismo.

A “1” vengono creati i presupposti per la lotta che comincia a “2”. E allora l’evoluzione è al passo “2”, ma la controforza è al primo passo (Fig. 2,IX sul tratteggio). Poi l’evoluzione è al passo “3” e la controforza è al secondo. L’evoluzione è a “4” e la controforza è al terzo passo. L’evoluzione è a “5”, la controforza è alla quarta posizione e quando l’evoluzione è a “6”, l’ultima controforza è a “5”. In questo senso “5” è il numero del male, perché lì avviene la definitività, il taglio netto fra bene e male, fra forza e controforza.

Adesso vedremo (forse in questo contesto ve lo posso anticipare) che il numero della bestia nell’ultimo scontro – quindi il numero dell’abisso, dove l’uomo precipita definitivamente dell’animalità perché non ha prodotto niente di umano – è sei, sei, sei. (Lo trovate alla fine del 13° capitolo se sfogliate l’Apocalisse). Questo è il numero della bestia. E si dice che in questo numero c’è molta saggezza, che abbia molti significati. Vediamo se abbiamo tempo di vederne qualcuno.

Un significato è che nel settimo secolo (intorno all’anno 666), con l’arabismo, il maomettanesimo, è sorta una prima potente controforza. Nel 1332 (il doppio di 666) è sorta la controforza contro i Templari che li ha annientati; e 666 x 3 = 1998, è la controforza del nostro tempo e ci siamo dentro in pieno. La prima volta la controforza era soprattutto una controversia intellettuale, una questione di pensiero, come nell’arabismo, una faccenda relativa alla concezione del mondo. La seconda volta era una controforza per il pensiero e anche per il sentimento, perché le potenze anticristiche attaccavano l’animo. Adesso siamo in un periodo in cui le controforze sono triplici, vale a dire, catturano il pensare, il sentire e gli impulsi volitivi, le azioni degli uomini.

Quindi ci troviamo all’apice di questo 666.

Vediamo ora un altro significato. Stavolta i tre sei non vanno presi insieme, ma separatamente. Dunque, ho sempre parlato di sette manifestazioni planetarie della Terra, dalla Terra 1 alla Terra 7. Questi sono i cicli più ampi nel tempo e, a loro volta, si suddividono in diversi cicli minori. Prendiamo Terra 4, il grande ciclo nel quale ci troviamo: esso si suddivide in sette grandi epoche: l’epoca polare, l’epoca iperborea, l’epoca lemurica, l’epoca atlantica (da tempo nota), l’epoca postatlantica (in cui ci troviamo noi), e poi la “6” e la “7”, che ancora non hanno nome perché non sono ancora arrivate (Fig. 3,IX). Uso i numeri romani per indicare le epoche

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Fig.3, IX

Tornando al numero 6, dicevamo che il mistero è che a “6” la lotta giunge al termine, a “6” si chiude, cioè alla quinta ripetizione della controforza (Fig. 2,IX). Quando c’è un primo “6” c’è dunque la prima conclusione dello scontro fra bene e male. E il primo “6” (al nostro punto di evoluzione) è il sesto periodo culturale postatlantideo (vedi Fig. 3,IX). Quando arriverà il 6 successivo?

Facciamo un altro schema (Fig. 4,IX). Dunque, la nostra quinta epoca postatlantidea (V in numero romano nella figura) è suddivisa in sette periodi di civiltà (vedi freccia centrale della Fig. 4,IX): “1” è la civiltà indiana, “2” quella persiana, “3” quella egizio-caldea, “4” la greco-romana, “5” è la nostra (quindi qui scrivo “Noi”), e poi ecco il “6”, sesto periodo postatlantideo, ovvero la civiltà di Filadelfia (ci saremo fra più di 1.500 anni). In ambito esoterico, o nel linguaggio occulto, questo è detto il primo sei.

Quando poi nella sesta grande epoca (VI in numero romano e freccia alta) arriveremo al periodo di civiltà “6” – ci vuole ancora moltissimo tempo – allora avremo due volte sei: VI, 6. Saremo nel sesto periodo di civiltà della sesta grande epoca. Quindi, all’interno di tutta l’evoluzione di Terra 4, solo in quel momento evolutivo lì avremo 66, due volte sei.

Le cose sono un po’ complicate, ma una volta che sono state capite funzionano. Allora, dove troveremo l’ultimo culmine del male? Dov’è che troviamo tre volte sei? La faccenda diventa scottante.

Allora, (Fig. 4,IX): abbiamo in figura i sette cerchi di Terra1 (Saturno), Terra 2 (Sole), Terra 3 (Luna), Terra 4 (Terra propriamente detta, la nostra), Terra 5 (Giove), Terra 6 (Venere), Terra 7 (Vulcano). Alla Terra6, epoca 6, periodo 6, quindi verso la fine della Terra Venere, avremo tre volte sei. Lì avrà termine il conflitto fra bene e male, il male verrà sconfitto definitivamente.

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Fig. 4, IX

Intervento: Non capisco da dove prende questo secondo sei che va verso il basso.

Archiati: In ogni incarnazione della Terra ci sono una grande settuplicità (le sette grandi epoche) e sette piccole settuplicità (i sette periodi di civiltà in cui si suddivide ognuna delle sette epoche). Quindi il secondo 6 si riferisce alla sesta epoca di Terra 6.

Intervento: Ma quel “6” là sopra?

Archiati: Di questi tre 6 che ho scritto in verticale, quello nel cerchio è riferito a Terra 6, sesta incarnazione, o manifestazione, della Terra. È un “6” già per conto suo. Perciò, il primo 6 = sesta Terra; secondo 6 = sesta epoca (della sesta Terra); terzo 6 = sesto periodo (della sesta epoca della sesta Terra). 666.

Intervento: E la Terra 6, sesta epoca, sesto periodo, che fa? Scoppia?

Archiati: No, non è che scoppia. Devi stare attento, essere vigile, tenere a mente che hai tempo solo fino a quel momento, poi è finita. Devi stare all’erta: ricordarti che hai tempo solo fino a quel momento, poi è finita. E a quel punto, se avrai dormito, “il cattivo” avrà fatto tutto e tu non potrai fare più nulla contro. È così che va capito.

Vedete, solo nella misura in cui il singolo si occupa dei fondamenti della scienza dello spirito e diventa più concreto smetterà di trovare solo degli schemi nell’Apocalisse. Questi schemi portano qualcosa solo se li uso come strumenti per poi calarmi nella concretezza dell’evoluzione e perciò all’uno o all’altro queste sistematizzazioni sembreranno delle astrazioni: è inevitabile.

D’altra parte volersi misurare con l’Apocalisse senza orientamento è una fatica vana, poiché il testo presuppone questo orientamento. Adesso arriviamo alle trombe, perché al settimo sigillo cominciano le trombe. Le cose si intrecciano davvero, in un certo senso.

7,1 «Poi vidi quattro angeli in piedi ai quattro angoli della Terra»

Il 4 sempre per la quadruplicità degli elementi, per la quadruplicità dei temperamenti, per la quadruplicità di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io, per la quadruplicità semplicemente sorta mediante la Terra Saturno, la Terra Sole, la Terra Luna e la Terra-Terra (Terra propriamente detta, la nostra). Al centro dell’evoluzione, dove ci troviamo, il numero fondamentale è la quadruplicità, poiché nel mezzo dell’evoluzione si sono svolti quattro passi. E alla fine dell’evoluzione abbiamo il numero sette.

Questo per avere subito un orientamento quando si incontra una quadruplicità nell’Apocalisse. Poi si va a vedere che cosa viene aggiunto ancora. I quattro angoli della Terra, sono le quattro forze fondamentali della Terra (fuoco, aria, acqua, terra). È questo che si intende dire qui.

7,1 «che trattenevano i quattro venti della Terra affinché non soffiasse vento né sulla Terra, né sul mare né sopra nessun albero»

Trattenere i quattro venti è come un rendersi conto di ciò che è già stato conquistato.

7,2 «Ed io vidi alzarsi un altro angelo da dove sorge il Sole che aveva il sigillo del Dio vivente»

Sono ogni volta angeli diversi. Un altro angelo vuol dire un angelo più potente, per evidenziare che le gerarchie angeliche sono organizzate gerarchicamente, che gli angeli non sono tutti uguali. C’è un compito per questo angelo, e a quest’altro compito dev’essere per così dire preposto un altro angelo. Qui si tratta di un angelo collegato alla spiritualità del Sole che ha il sigillo del Dio vivente, cioè le forze che sono tipiche di coloro che sono diventati viventi nello spirito vivente della divinità. Questi sono i famosi centoquarantaquattromila eletti.

7,2 «e gridava a gran voce ai quattro angeli a cui era stato dato il potere di arrecare danno alla Terra e al mare.»

Ancora questa quadruplicità, questo bilancio provvisorio dell’evoluzione. “Arrecare danno” nel senso che lì si verifica un contrasto e una separazione fra bene e male.

7,3 «Non danneggiate la Terra, né il mare né gli alberi finché non avremo apposto i sigilli sulla fronte dei servi del nostro Dio.»

Qui viene detto che la Terra, il mare e gli alberi non devono essere mandati nella definitività dell’annientamento, nella definitività della morte. Terra, mare e alberi non devono perire, non arrecategli alcun danno finché non avrà avuto luogo l’intera evoluzione degli esseri umani. Poi qui abbiamo la descrizione del mistero dell’apposizione dei sigilli insieme a quella del mistero della rimozione dei sigilli. Dovete aspettare ad annientare il creato terreno finché gli uomini che hanno preso in mano l’evoluzione umana non porteranno in fronte – cioè nella fisicità esteriore, che allora sarà una fisicità di resurrezione –, cioè ben visibile all’esterno, ciò che sono diventati interiormente. Questo è il significato di “portare qualcosa in fronte”, vuol dire che si manifesta, che l’elemento morale conferisce la sua impronta alla fisionomia e ogni essere umano porta in fronte ciò che è diventato.

7,4 «E udii il numero di quelli a cui venivano apposti i sigilli: centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù di Israele,»

7,5 «dodicimila segnati della tribù di Giuda, dodicimila della tribù di Ruben, dodicimila della tribù di Gad» – ecc., ecc.

7,6 - 7,7 – 7,8 Elenca dodici volte dodicimila per ogni tribù.

7,9 «Dopo vidi, e vedo, una grande schiera che nessuno poteva contare, formata da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue; e stavano davanti al trono e davanti all’Agnello»

Davanti al trono del Padre divino eterno, e davanti all’Agnello, il Figlio, il Cristo, che ha intrapreso la redenzione dell’umanità e della Terra

7,9 – «avvolti in vesti bianche e con rami di palma nelle mani.»

Delle vesti bianche abbiamo già parlato, sono gli esseri umani che hanno compiuto l’evoluzione nel senso del bene, ma adesso c’è questo particolare della palma in più. Allora, le vesti bianche si riferiscono di più all’anima. Ma quest’anima è diventata bianca, si è purificata, per il fatto che si è prodotto sempre più il ramo di palma, cioè le forze dell’Io. La palma è l’albero del vincitore e il ramo è l’elemento individualizzato. In questa immagine del ramo di palma viene rappresentato l’Io vincitore e individualizzato. Questo ramo è “nelle mani”, come risultato globale delle azioni volitive degli uomini. Quindi la forza vittoriosa dell’Io nelle azioni, nelle azioni morali degli esseri umani: nelle loro mani. È un’immagine molto bella.

7,10 «E gridavano ad alta voce: la salvezza a colui che siede sul trono, al nostro Dio, e all’Agnello!»

7,11 «E tutti gli angeli stavano intorno al trono e ai vegliardi e alle quattro figure» – sono i quattro animali apocalittici – «e caddero davanti al trono con la faccia a terra e adorarono Dio»

7,12 «dicendo: Amen, la lode, la gloria, la sapienza, l’azione di grazia, l’onore, la potenza e la forza al nostro Dio per gli eoni degli eoni. Amen»

Ecco una settuplicità. La settuplicità delle forze planetarie, degli angeli, dei geni dei pianeti: genio del Sole, genio della Luna, genio di Mercurio, genio di Marte, di Giove, di Venere e di Saturno. Viene rappresentata con nomi greci, con qualità fondamentali greche. Come già detto, se avessimo più tempo si potrebbe essere più esaurienti. Ci sono diversi detti, anche di Rudolf Steiner, in cui a ogni pianeta viene attribuita una qualità fondamentale. Allora si entra un po’ di più nel contenuto.

Qui avete: lode, gloria, sapienza, azione di grazia, onore, potenza e forza, ma non è una settuplicità sempre uguale; talvolta viene cambiata semplicemente una parola. Allora qui una o due cose sono diverse rispetto ad altre settuplicità.

7,13 «E uno dei vegliardi cominciò a parlare e mi disse: chi sono questi che sono avvolti in vesti bianche e da dove sono venuti?»

7,14 «Ed io gli risposi: mio signore, tu lo sai. Ed egli mi disse: sono coloro che sono venuti dalla grande tribolazione,»

L’evoluzione terrena viene chiamata la grande tribolazione, la grande prova.

Intervento: Nella nostra versione c’è “difficoltà”.

Archiati: Tribolazione. Difficoltà è ancora meglio, perché esprime meglio la caratteristica della controforza. Tribolazione invece è più l’avversione, il lamento nei confronti della controforza. Le differenze fra una traduzione e l’altra sono importanti. Qui s’intende tutta l’evoluzione umana come conflitto con le controforze. Infatti è solo mediante questo conflitto con le controforze che l’uomo può diventare qualcosa. “Grande difficoltà”: grande perché agisce sulla Terra durante tutta l’evoluzione.

7,14 «e hanno lavato le loro vesti»

Si tratta della purificazione, del processo di purificazione nel senso che le vesti dell’uomo all’inizio sono imbevute delle forze naturali, istintive, non ancora libere. E la purificazione, la pulizia, la catarsi, consiste nel fatto che ovunque in un primo tempo vige l’elemento impulsivo, istintivo della natura; poi l’uomo inserisce sempre più la sua libera forza di volontà, così che tutto ciò che all’inizio era naturalmente istintivo viene dominato e preso in mano dalla libertà dell’uomo.

7,14 «fatte bianche nel sangue dell’Agnello.»

Vuol dire che è la forza dell’amore a purificare le forze animiche. “Sangue dell’Agnello” vuol dire la forza dell’amore, l’Essere dell’amore. E la cristificazione dell’uomo consiste nel fatto che egli si appropria sempre di più delle forze dell’amore e tramite queste forze purifica la parte istintiva. Proprio l’amore è l’esempio tipico; ho sempre richiamato l’attenzione su Platone, sul suo dialogo sull’amore: il Simposio, il Convito. In questo dialogo viene descritta tutta l’evoluzione dell’uomo servendosi dell’amore. Vi si dice che l’amore deve cominciare come amore sensuale, istintivo e che la sua purificazione consiste nel passare da istinto che spinge l’uomo ad un amore intenzionale, libero. Ecco che le vesti vengono rese bianche, cioè libere e creative, purificate; l’amore si purifica per mezzo dell’amore. L’amore sensuale viene purificato dall’amore spirituale. E l’amore spirituale è il sangue dell’Agnello. Il sangue del Cristo infatti è intriso delle forze pure dell’amore, in cui non c’è più niente di naturale, di soggetto alla natura e di istintivo.

7,15 «Per questo stanno davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte nel suo tempio; e colui che è assiso sul trono abiterà sopra di loro.»

7,16 «Essi non avranno mai più né fame né sete, né li colpirà più il sole o ardore alcuno»

In questo settimo capitolo non c’è una vera e propria anticipazione, ma una visione dello stato finale; una visione della conoscenza della meta di tutta l’evoluzione. L’uomo non è ancora così avanti nel suo cuore, nelle sue forze volitive, ed è la conoscenza che deve procedere. Questo settimo capitolo è come una visione, dove la conoscenza vede in che direzione sta andando l’evoluzione. Allora si tratta di trasformare realmente l’uomo, di modo che diventi quello che ha visto.

Per questo il settimo capitolo sembra così lieve, perché è davvero una visione conoscitiva dello stadio finale, per sapere che cosa c’è ancora da fare. Poiché qui viene rappresentata la purificazione complessiva, l’evoluzione complessiva nell’amore, che in definitiva non lascia più niente di non libero, di istintivo, di impulsivo, ma trasforma tutto nella forza di fuoco dell’amore spirituale.

7,17 «perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore»

Il Cristo mette a disposizione di ogni uomo le forze dell’amore e quelle della saggezza. Le forze della saggezza per le vesti bianche e le forze dell’amore per il ramo di palma della vittoria: è lo spirito a vincere sull’istinto, non il contrario.

7,17 «e li condurrà alle fonti delle acque della vita e Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi.»

Li condurrà a tutto ciò che è vivo. Pensate alla Samaritana nel quarto capitolo del Vangelo di Giovanni. Vuol dire che ogni sofferenza, ogni oppressione avrà fine. E per questo ho inteso dire che è una visione dello stato finale, una conoscenza della meta di tutta l’evoluzione.

Adesso arrivo al numero centoquarantaquattro, ai centoquarantaquattromila, perché sulla loro identità sono sempre state fatte così tante speculazioni. Ci sono persone che ritengono che alla fine dell’evoluzione arriveranno a salvarsi centoquarantaquattromila, né uno di più né uno di meno. E se in questa vita si è sgobbato abbastanza, allora non ci piove – dicono queste persone –, allora si fa parte di questi centoquarantaquattromila; e agli altri che non hanno sgobbato è andata male, loro non ne fanno parte.

Ora, come posso dire, di interpretazioni ingenue della Bibbia ce ne sono abbastanza. Ma è così perché manca una base scientifico-spirituale per affrontare questi testi, che non sono affatto così primitivi. In fin dei conti non c’è una spiegazione. La realtà di questo centoquarantaquattro, così convincente nella sua semplicità, basta averla pensata una volta perché non scompaia più. Allora bisogna sempre risalire agli archetipi: abbiamo la dodecuplicità delle forze primigenie dell’evoluzione, quindi lo zodiaco (Fig. 5,IX): sono dodici forze. Un’affermazione fondamentale sull’evoluzione è che ogni uomo è ancora in cammino, nel senso che comincia come un dodicesimo. Quindi un uomo Bilancia è un dodicesimo, un uomo Scorpione è un dodicesimo, un uomo Cancro è un dodicesimo...

Vuol dire che ciascuno riceve un’impronta. Ognuno di noi all’inizio della sua evoluzione è un uomo Acquario, o un uomo Ariete o un uomo Scorpione e via dicendo. Il compito dell’evoluzione, il compito libero, quello che l’uomo stesso può fare, è di acquisire tutte le altre undici impronte nel corso dell’evoluzione. Uno si è, e tutti gli altri undici li si può diventare.

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Fig. 5, IX

Qual è l’archetipo su cui i Greci, gli Egiziani ecc., tutte le mitologie hanno improntato i loro miti fondamentali? L’archetipo dell’evoluzione, l’archetipo della tensione verso la poliedricità è il Sole, perché il Sole – già lo sapete, dico cose estremamente ovvie – visita tutti i segni zodiacali uno dopo l’altro. Lo spiego anche nel mio libro Nati per diventare liberi[13]. Il mito di Ercole, a differenza di quello dei dodici Argonauti, è che i dodici Argonauti non sono niente in confronto a Ercole – lo dice Goethe nel Faust – perché loro devono essere in dodici per fare un intero. Ognuno di loro ha contribuito solo per un dodicesimo, e solo tutti e dodici insieme facevano un intero. Ercole, invece, era uno solo e da solo ha dovuto compiere tutte e dodici le fatiche. È di più.

Pensate al tredicesimo, il Sole è il tredicesimo che comprende tutti i dodici: il Cristo con i dodici apostoli durante l’ultima cena. Allora l’archetipo del Sole, il Sole sempre in movimento, è l’immagine del Sole in dodici parti: Sole in Ariete, Sole in Toro, ecc. (abbiamo visto il Sole in Leone, il leone della stirpe di Davide).Questa immagine del Sole è l’anelito umano verso la poliedricità. Il Sole, che visita uno dopo l’altro tutti i segni zodiacali, è l’anelito alla poliedricità (Fig. 6,IX).

La cosa più bella, il meglio della vita, è che l’uomo tende alla poliedricità, non può essere poliedrico fin dall’inizio, altrimenti non avrebbe niente da fare, non ci sarebbe divertimento. Quindi la situazione di partenza dev’essere tale per cui l’uomo è unilaterale, e i dodici aspetti li può acquisire se è fortunato, se si sbriga. In altre parole, se non ozierà potrà superare sempre più l’unilateralità.

Tutti gli sbagli, tutti gli errori degli uomini, dei pensatori per esempio, non sono in quello che dice un pensatore – perché se qualcosa può essere detto allora in qualche modo dev’essere vero, deve aver dentro qualcosa –, ma gli errori dipendono sempre da quello che manca.

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Fig. 6, IX

Se un pensatore – pensiamo alla storia della filosofia – presenta una concezione del mondo, così facendo assolutizza una parte in modo unilaterale, come se la parte fosse il tutto. Pensate al Vangelo di Giovanni, in cui ho preso in esame tutte le concezioni del mondo (Fig. 6,IX), qui il materialismo, qui lo spiritualismo, qui il realismo, qui l’idealismo ecc. Se uno è un realista ma esclude il materialismo, lo spiritualismo, l’idealismo, il dinamismo, il monadismo, il razionalismo, il matematismo ecc., allora il peccato originale è l’unilateralità.

Il peccato originale intellettuale consiste nel fatto che in partenza ogni uomo è unilaterale nel suo pensiero. Vede solo una parte, vede che sarebbe una fatica, una fatica evolutiva aggiungerne un’altra, poiché la realtà è inesauribile. Questa dodecuplicità rappresenta infatti il carattere inesauribile, poiché ciascuno dei dodici è a sua volta inesauribile. In questo senso evolvere significa tendere alla poliedricità.

Adesso abbiamo le dodici tribù di Israele, sono un’immagine – come i dodici apostoli, i dodici cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù e come molte altre dodecuplicità – perché l’apocalista scrive anche per gli Ebrei e nella sua cultura deve far riferimento al Vecchio Testamento, non a Ercole. Se fosse stato greco avrebbe parlato di Ercole. Non ha nessuna importanza, perché questi miti contengono sempre lo stesso messaggio.

Allora, dodici tribù, come i dodici segni zodiacali. Che cosa succede se ciascuno di questi uomini unilaterali, se ciascuna di queste impronte diventa poliedrica? Succede dodici per dodici, centoquarantaquattro. Mi dispiace. È centoquarantaquattro. Ogni uomo all’inizio della sua evoluzione è un dodicesimo, cioè è unilaterale, dev’essere una delle dodici impronte possibili che l’evoluzione usa per aggiungere le altre dodici; così che ciascuno, poi, ciascuno dei dodici, sia dodici dodicesimi.

Questo è il modo in cui da dodici si arriva a centoquarantaquattro. E “mille” sono le impronte, perché non si tratta solo dell’individuo, ma della specie umana. Ogni uomo deve acquisire queste impronte, queste qualità e deve farlo come individuo. Ma le qualità sono mille, perché non sono qualcosa di individuale, sono impronte universalmente valide.

In altre parole: il materialismo, qui (Fig. 7,IX), lo spiritualismo ecc., vengono chiamati “mille” nel senso che non si tratta di un individuo, ma di un’impronta universalmente valida, valida per tutti. Ogni uomo deve imparare a diventare materialista; deve imparare ad appropriarsi di tutti i punti di vista, dei mille punti di vista tramite i quali il mondo viene osservato a partire dalla materia. E ogni uomo deve acquisire tutti i punti di vista tramite i quali il mondo viene osservato da spiriti individualizzati (spiritualismo). E deve acquisire tutte le forze dell’idealismo, per cui gli ideali vivono negli spiriti.

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Fig. 7, IX

Quindi tutta l’evoluzione è data ad ogni uomo affinché impari, tra l’altro, anche ad appropriarsi di tutti i fenomeni della realtà dal punto di vista per cui questi possono diventare ideali degli uomini o degli spiriti: realismo. E così via. Sono dodici. Perché un tredicesimo non esiste, il tredicesimo è una ripetizione di uno di questi dodici.

Questo è il significato di “mille”, e perciò il dodici diventa dodicimila. E se questi dodicimila vengono moltiplicati per dodici abbiamo centoquarantaquattromila. È l’uomo che ha cercato di conseguire la poliedricità. Per questo è la perfezione dell’evoluzione.

E adesso pensate a che tristezza fa vedere uomini che vengono e dicono: Ah, ecco, il buon Dio ha deciso che numericamente saranno salvati solo in centoquarantaquattromila. Gli altri fuori. Ma non è possibile! A che serve la sfacchinata di creare così tanti miliardi di individui, se poi vuole che se ne salvino solo centoquarantaquattromila?

Questi numeri vanno quindi interpretati in maniera diversa, vanno capiti diversamente. Non vi consiglio di darvi da fare con un testimone di Geova, perché lì le cose si fanno difficili. Dovete avere a disposizione perlomeno tre o quattro ore, solo per cominciare a tirar fuori questa specie di spiegazione. Ci si può davvero disperare. Ma lì si vede la povertà, la povertà spirituale dell’umanità odierna.

Intervento: Da un punto di vista fisico questi centoquarantaquattro corrispondono perfettamente alle nostre vie nervose, 72 x 2 lungo la colonna vertebrale.

Archiati: Ah sì, bene, 144 è anche il doppio di 72. Adesso dovremmo spiegare il numero 72 che non appare nell’Apocalisse, ma è un numero importante nei Vangeli. Infatti c’è il gruppo dei dodici, ma c’è anche un gruppo di 72 discepoli, soprattutto nel Vangelo di Luca. Allora, se spiegassimo il Vangelo di Luca, dovremmo sviscerare a fondo il 72, che è il numero dei Greci che nella diaspora hanno tradotto la Torah. La Torah era così potente che per poterla tradurre in greco da tutti i lati ci sono voluti 72 uomini. Per questo la traduzione si chiama Septuaginta. Si è un po’ arrotondato, come se fossero stati 70.

Il significato è che ogni uomo ha la possibilità di far parte dei redenti solo trasformando un dodicesimo in dodici dodicesimi. Se ciascuna delle dodici impronte umane, se ciascuno dei dodici fa dodici dodicesimi del suo dodicesimo, che cosa abbiamo invece di dodici? Abbiamo l’uomo intero. Bisogna pensare al tutto da un’ottica qualitativa, perché finché lo fate da un’ottica quantitativa non funziona. Quindi non si tratta di individui, bensì di impronte umane universalmente valide. Dove ci si riferisce all’individuo si dice “1”, quando si parla di una specie umana si dice “mille”.

Intervento: Mille sta per “tipo”.

Archiati: Un tipo, tipi di uomini. Questa era la lingua di quei tempi. Nelle conferenze di Steiner sui Vangeli questa spiegazione è decisiva, altrimenti non si capisce come mai ci sia stata una moltiplicazione dei pani per i quattromila e una moltiplicazione dei pani per i cinquemila. E non si capisce perché nel Vecchio Testamento (quindi nella Torah), un giorno vengono fatti fuori tremila uomini. Gli Ebrei devono aver fatto qualcosa di male: tremila uomini. Viene interpretato materialisticamente, ma il significato è che il primo migliaio rappresenta la civiltà indiana, duemila la civiltà persiana, tremila quella egizia, quattromila la greco-romana, cinquemila la nostra e così via.

E come mai mille e non uno? Perché si tratta di un tipo, di una tipologia. Come Indiani mille uomini sono tutti uguali, come Persiani duemila uomini sono tutti uguali, ecc. Questi sono gli uomini del tipo mille; questi sono gli uomini del tipo duemila; questi sono gli uomini del tipo tremila...

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Nel Vecchio Testamento non si dice che tremila uomini sono stati semplicemente uccisi, sarebbe terribile. Si dice invece che mentre il compito e la vocazione del popolo ebraico erano quelli di creare la nuova spiritualità dei quattromila (cioè della futura quarta civiltà), la tentazione era invece quella di ricadere nell’antico spirito della civiltà egizia, dato che questa nuova spiritualità comportava una gran fatica. Volevano tornare a “tremila”: hanno adorato il vitello d’oro, il bue egizio, quando Mosè è sceso con rabbia e ha fatto a pezzi la tavola della legge.

Vuol dire che c’era la tentazione di ricadere nell’antico spirito degli Egiziani. E Jahvè interviene, purifica e abolisce questa spiritualità, così che essi trovino la forza, abbiano il coraggio di andare avanti e di preparare la spiritualità dei quattromila. Proprio come preparazione della venuta del Cristo che infatti è venuto nel quarto periodo culturale.

E vedete, l’Apocalisse presuppone che si conosca questa lingua, che si sappia che cos’è “mille”. Nei Vangeli, dove si parla della moltiplicazione dei pani, si dice: “fateli sedere a gruppi di cento”; e poi anche in Marco: “a gruppi di cinquanta”. E poi diventano dieci, e dei dieci uno va perduto. Sono tutte cifre che si riferiscono alla crescente individualizzazione dell’uomo. E dove sono in cento, le cento pecore, come si verifica lì l’individualizzazione? Grazie al fatto che le 99 restano insieme, ancora in gruppo, ma una singola si separa; ecco l’uno. E si dice che in cielo si faccia più festa per questa pecora che è diventata individuale, autonoma, che per le 99 che sono rimaste in gruppo, perché queste non hanno fatto niente per conto proprio.

In sintesi, il numero più grande indica gruppi più grandi e dove finisce il gruppo? A uno. Perché due è comunque un piccolo gruppo. Lo sa bene ogni coppia di coniugi: lì bisogna giungere a una gran quantità di compromessi perché è un piccolo gruppo. Ma solo l’individuo è individuale. E lì si ferma la riduzione. In latino “individuo” significa non ulteriormente divisibile: individuum. Ed è con l’individuo che comincia la libertà, poiché l’individuo dice: bene, se io lo decido come singolo individuo, non lo faccio perché il gruppo mi obbliga o perché sono costretto o c’è un comandamento ecc. ecc.

Il senso dell’evoluzione è la progressiva individualizzazione. Quando si parla di “mille”, non di cento ma di mille, si tratta di un gruppo. Il gruppo dei materialisti, il gruppo degli spiritualisti, il gruppo degli idealisti ecc., per questo “mille”: perché non si sta parlando di singoli individui. E ogni uomo è chiamato ad appropriarsi di tutte e dodici le visioni del mondo, di tutte e dodici le impronte originarie dell’umano, valide per tutti gli uomini, ad appropriarsele da solo, una dopo l’altra, come il Sole entra in tutti i segni zodiacali.

Questo come breve commento al numero centoquarantaquattro.

Intervento: Nel Vecchio Testamento c’erano già le dodici tribù come immagine di questa dodecuplicità. Poi entrano in scena altre due tribù, e non si chiamano tribù ma “stirpe”. Allora due dei dodici ambiti originari ricevono un altro nome, quindi un’altra modifica, un altro peso. Che cosa significa?

Archiati: Questo ci porterebbe ancora oltre.

Intervento: Si tratta di Levi e Giuseppe.

Archiati: Per questo ci sono delle differenze fra i manoscritti, alcuni hanno altri nomi al posto di questi due. Se adesso esaminiamo più a fondo questa domanda dobbiamo fare perlomeno un riassunto del Vecchio Testamento e di che cosa sono le dodici tribù. Non possiamo farlo, è impossibile. Ma questo forse possiamo dirlo: che cos’è una tribù rispetto a un popolo? Perché questo è in primo piano qui, qui si tratta delle dodici tribù e di quello che le dodici tribù rappresentano per l’umanità intera; addirittura per l’evoluzione intera, per l’evoluzione cristiana, secondo l’Apocalisse. Perché dodici tribù e non dodici popoli?

Intervento: In origine erano raggruppamenti di famiglie. Erano fratelli.

Archiati: Bene, allora adesso vi faccio una proposta, perché bisogna verificare queste cose e poi lavorarci. L’autore dell’Apocalisse scrive in riferimento alla cultura ebraica. Il Cristo è appena venuto nella spiritualità del popolo ebraico. E poiché fino ad oggi il popolo ebraico assolutizza l’elemento popolare, cioè la compattezza, l’identità del popolo – questa è sempre stata la grande tentazione del popolo ebraico, anche prima di Cristo, quella di assolutizzare così l’elemento popolare – è tanto più difficile far notare l’individualizzazione presso questo popolo, poiché la prima articolazione è la stirpe. Adesso vengono forniti i passi essenziali dell’articolazione, poiché articolazione significa differenziazione e individualizzazione.

Qui ci sarebbe il popolo come totalità con tutti gli uomini che gli appartengono (Fig. 8,IX) e la prima articolazione del popolo sono le tribù, dodici tribù.

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Fig. 8, IX

Come si articola ulteriormente? Attraverso la famiglia. E qual è l’ultima articolazione? L’individuo. Per il fatto che nell’Apocalisse non si tratta in qualche modo del popolo ebraico come archetipo ma dell’articolazione del popolo, si richiama l’attenzione sul mistero dell’individualizzazione in continuo progresso. Che cosa succede infatti nel momento in cui un uomo dice: Io non sono un ebreo, sono un uomo di Beniamino? Rende una tribù, la sua tribù, più importante dell’essere ebreo, più importante del popolo. È come se uno dicesse: io non sono tedesco, sono bavarese.

Può aiutare un po’? E non c’è dubbio che questa è la prospettiva quando in questo testo potente l’apocalista mette così in primo piano le tribù, dodici tribù. Vuol richiamare l’attenzione su questa articolazione come primo fondamento, come inizio dell’evoluzione, perché in sostanza il popolo viene considerato un’unità indistinta. L’evoluzione si fa seria e va avanti per mezzo di un’ulteriore articolazione, fino all’ultima riduzione, cioè l’individuo. Allora si può capire che si può anche litigare sull’identità delle dodici tribù perché anche loro devono essere superate ecc.

Arriviamo all’ottavo capitolo. Vediamo un po’ cosa succede all’apertura del settimo sigillo.

8,1 «E quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece nel cielo un silenzio di circa mezz’ora»

Nella settima posizione si tirano le somme, perché si va nel definitivo. In altre parole, nella settima posizione l’impeto della lotta è finito. Allora c’è questo silenzio “di circa mezz’ora”. Sarebbe come dire che c’è – uso le parole sanscrite proprie della tradizione esoterica dell’umanità – una settuplicità palese, chiamata Manvantara, che è quella di cui abbiamo parlato finora, Manvantara. Quando si arriva a “7” viene prospettato un altro mezzo ciclo che si svolge nel mondo spirituale (Fig. 9,IX).

Lo tratteggio. E poi torna giù e qui inizia il ciclo successivo.

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Fig. 9, IX

Questa permanenza nello spirituale è stata chiamata Pralaya. È di questo che parla qui l’Apocalisse: che i cicli si alternano fra un ciclo settuplice nel mondo visibile, sulla Terra, a cui si dà il nome di Manvantara, e uno invisibile, che si svolge nel mondo celeste, chiamato Pralaya. Il silenzio di mezz’ora è questa metà (v. Fig. 9,IX) e poi torna giù.

Ci sono sicuramente altri aspetti, altri significati che giocano un ruolo, perché adesso vi sto mostrando come si cerca di fare, balbettando, i primi tentativi di interpretazione. Se io prendessi solo quello di cui Steiner ha dato delle spiegazioni assolutamente chiare sarebbe facile, lo potreste fare da soli. Diventa più interessante dove si cerca di vedere che cosa si può ricavare dal testo, sulla base di tutto quel che si è letto nei 370 volumi dell’Opera Omnia, e soprattutto in base a quanto si è dimenticato. Perché in definitiva è questo che porta avanti. E siamo qui insieme per farci a vicenda il coraggio di non aspettare altri secoli o millenni per lavorare davvero con questi testi. Ci si può veramente stupire di quanto ci danno se non si ha paura della fatica.

8,2 «E vidi i sette angeli che stanno in piedi davanti a Dio, e furono date loro sette trombe.»

Le sette trombe sono l’evoluzione dal punto di vista morale che si manifesta sempre più di tromba in tromba. La settuplicità delle trombe sono i sette gradi attraverso i quali l’evoluzione si manifesta nella natura. Adesso la faccenda comincia a diventare davvero apocalittica. Con le prime quattro trombe va ancora, ma con la quinta, la sesta e la settima vedremo quali violenti eventi naturali vengono descritti come concentrazione dell’evoluzione morale dell’umanità. Da un lato è nel senso del bene e dall’altro nel senso del male. E nel senso del male ho sempre inteso dire, vi prego di capirmi, il male, che il male umano è l’omissione del bene. Perché ora, allo stadio “5” l’uomo non è ancora così progredito da poter volere il male. Questo è anche il concetto fondamentale dell’Apocalisse. Solo a “6” – per questo la messa in guardia dal 666, dalla bestia –, è solo a “6” che gli uomini cominciano ad avere la forza di volere il male. Adesso l’uomo può solo omettere il bene.

Rudolf Steiner aggiunge – forse vi ho già fatto cenno un paio di volte – che nei nostri tempi solo pochissimi uomini hanno la capacità, ma davvero pochi, di cominciare a volere il male, e questo è il concetto della magia nera. Un mago nero è un individuo che è già così minato dalle potenze avverse che può perfino già cominciare a volere consapevolmente il male. Ma per nostra consolazione si tratta di pochissime persone che non si manifestano di certo. Devono agire dietro le quinte, ma naturalmente esistono. E il pericolo, se l’uomo non sta attento e continua ad omettere, è che poi venga talmente catturato, posseduto dalle potenze mefistofeliche – il cui compito è volere il male –, che anche lui inizia a volere il male. E nella misura in cui l’uomo comincia a volere il male, la salvezza diventa sempre più difficile o quasi del tutto impossibile, poiché la divinità non vuole mai fare qualcosa contro la volontà dell’uomo. La libertà è il valore supremo dell’evoluzione dell’umanità.

Tra parentesi questo centrale dell’Apocalisse, cioè l’idea che fino a un certo punto, diciamo fino a “6”, l’uomo non sia ancora in grado di volere il male a tutti i livelli, è già stato espresso meravigliosamente da Platone nei suoi dialoghi: un uomo può volere qualcosa solo per il fatto che gli sembra un bene. Può volerlo solo dall’ottica di considerarlo un bene. Quindi non si tratta di sapere se sia realmente buono o no. Chi è che può dire, oggi, di possedere un’obiettività assoluta? Allora, in un primo tempo per la morale è sufficiente che io abbia la convinzione che si tratti di una cosa buona,: solo così posso volerla. Se invece sono convinto che qualcosa sia un male vuol dire che non la voglio.

Oggi se un uomo fa qualcosa e il suo agire produce un male, allora questo male, per quanto riguarda la sua volontà, è sempre un danno collaterale. L’Iraq dev’essere bombardato per il bene dell’umanità, altrimenti l’umanità finisce nell’abisso perché Saddam Hussein ha delle armi segrete ecc., ecc.; è un bene per la salvezza dell’umanità. Che cosa si vuole? Che volontà viene dichiarata? La salvezza dell’umanità. Sì, ma questo bene porta anche del male con sé! Sì, ti rispondono, è inevitabile: danni collaterali. Nessuno li vuole. Nessuno direbbe: la mia volontà è quella di uccidere della gente in Iraq. Nessuno lo direbbe, sarebbe stupido se lo dicesse.

Quindi l’uomo vuole il bene e si salva di fronte al male dicendo: sì, per ottenere questo bene non posso evitare questo male. Il concetto caduto del bene è che non si può avere il bene senza il male. Questa è l’intelligenza caduta, la coscienza caduta, perché il bene è buono solo se non produce nulla di male. Ma l’uomo ha ancora bisogno di una lunga evoluzione per volere un bene che non produca anche il male. Perché se produce anche un male non è un bene, è solo un bene apparente. Allora forse chi detiene il potere in occidente vuole solo avere il suo petrolio e quella della salvezza dell’umanità è solo una scusa. Perché se fosse davvero un bene, allora sarebbe buono, non ci sarebbe bisogno di produrre anche del male per ottenere questo bene apparente.

Quindi quando qualcuno si vanta di volere qualcosa di buono, può anche pensarlo onestamente, ma l’uomo deve esercitare la conoscenza, il pensiero, in modo da vedere che cosa viene obiettivamente prodotto. E si ha il bene solo quando non viene prodotto niente di male. Perché se produce anche qualcosa di male bisogna continuare a lottare per riuscire a fare qualcosa di buono che produca il bene, e non più il male come bene.

Oppure prendiamo l’altro archetipo: Pietro che vuole salvare dall’arresto il buono per antonomasia, il Cristo, estrae la spada e vorrebbe tagliare la testa a quelli che lo arrestano. Che cosa vuole Pietro? Vuole uccidere? No, vuole salvare il buono, e crede che non sia possibile senza far fuori qualcuno. E che cosa gli dice l’Essere che vuole e fa solo il bene? Pietro, non potrai mai ottenere il bene se usi il male come mezzo.

Questa era anche una riflessione di stamattina: che un uomo vorrebbe avere molti profitti per poi darli per esempio alla Chiesa. Solo una parte, ovviamente, altrimenti sarebbe uscito di senno, altrimenti tutto quello strapazzo non avrebbe alcun senso se poi desse via tutto.

Intervento: Mi rendo conto che esiste il problema dell’ambivalenza, e se adesso guardo le campagne militari di Alessandro Magno, che ha portato tutta la cultura in Asia, vedo che ha anche ucciso un mucchio di gente.

Archiati: Ha trafitto con la spada perfino Cleito, il suo miglior amico.

Intervento: Ecco perché…

Archiati: No, ciascuno deve essere abbastanza onesto con se stesso e dirsi – noi tutti, e io per primo – di non essere ancora perfetto. Allora il mondo è in ordine. Allora non dirò mai che va bene mettere in conto così tanto male. No, non va bene. È così per via della mia imperfezione.

In altre parole, forse alcuni di voi me l’hanno già sentito dire, una volta al Mahatma Gandhi è stato chiesto, dato che era proprio fermamente contrario ad ogni violenza: Signor Gandhi, supponga di essere qui – gli avevano costruito una trappola raffinata – e di avere una pistola accanto a sé e a cinquanta metri da lei c’è un bambino che dorme nell’erba, e lei vede avvicinarsi un cobra. E come indiano lei sa bene che il cobra ucciderà il bambino. Sparerà?.

Conoscete la risposta? Gandhi ha detto: Forse sparerò, ma non perché sparare sia una cosa buona. Forse sparerò perché sono così imperfetto come uomo che non ho ancora la forza d’amore di mandare al cobra delle correnti d’amore tali da fermarlo.

Mi piacerebbe che certi cristiani avessero così tanto cristianesimo da poter dare una risposta simile. Quindi Gandhi non ha detto che sparare sia la cosa giusta o buona, ha detto che forse avrebbe sparato perché era così imperfetto. Un alto grado di coscienza, perché questa risposta contiene tre quarti dell’Apocalisse. Che cosa significa infatti la convinzione che la moralità dell’uomo possa essere così reale da arrivare al punto che i pensieri intrisi d’amore di un uomo possano fermare un cobra? Questa è tutta l’Apocalisse, se volete. Perché adesso arrivano le trombe, ciò che succede in natura come diretta conseguenza dell’evoluzione morale dell’uomo.

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Vogliamo prepararci ai suoni delle trombe per la cena. Sono solo sette trombe, non di più. Solo che si ripetono… E suonano, possono continuare a suonare, ma il problema è che l’uomo non le sente abbastanza. La questione allora non è quando cominciano a suonare le trombe, ma quando comincio io a sentire questi suoni eterni e poderosi di tromba. Perché l’evoluzione è anche sempre sotto il registro delle trombe.

8,3 «E venne un altro angelo e si avvicinò all’altare e aveva un turibolo d’oro in mano e gli fu dato molto incenso affinché lo offrisse con le preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro davanti al trono»

Il turibolo rappresenta l’interiorità dell’amore, l’amore che dal basso fluisce verso l’alto. L’incenso accompagna le preghiere. O meglio: nella prima metà dell’evoluzione l’incenso accompagna le preghiere, mentre nella seconda metà accompagna sempre più i pensieri d’amore degli uomini. Quindi nella prima metà sono preghiere, poiché la grazia divina è decisiva come premessa, come base. Ma poi la preghiera deve anche produrre una svolta, e nella seconda metà dell’evoluzione ciò che sale non è tanto il dire alla divinità quel che deve fare –“ti prego, ti prego, ti prego fa’ questo, questo e questo”–, quanto piuttosto ciò che ora l’uomo aggiunge con la sua responsabilità. E questo lo si trova dopo. Quindi la responsabilità dell’uomo nella libertà sale, le opere della libertà e dell’amore salgono verso l’alto per incontrarsi con le opere divine. Questa interiorità degli uomini che si spiritualizza e va verso l’alto è rappresentata in modo meraviglioso dall’immagine del turibolo e dell’incenso, perché un turibolo senza incenso non è nulla.

8,4 «E il fumo degli aromi salì insieme alle preghiere degli angeli dalla mano dell’angelo fino a Dio.»

Questa adesso è la natura umana che si spiritualizza e sale sempre più nei regni dello spirito, sulle ali delle preghiere, cioè della richiesta di aiuto da parte della grazia divina. La libertà dell’uomo sarebbe infatti impossibile se la grazia divina non creasse incessantemente, fino alla fine dell’evoluzione, le condizioni (e in particolar modo le condizioni naturali), per il compito della libertà. E la condizione più importante è costituita dalle controforze, perché è nel conflitto con le controforze che la libertà può essere esercitata. La libertà può infatti essere vissuta solo nella lotta con le controforze. Se non ci fossero le controforze, se non ci fosse nessuno scontro con le controforze, allora non potrebbe esserci libertà.

8,5 «E l’angelo prese il turibolo e lo riempì di fuoco dell’altare e lo rovesciò sulla Terra e ci furono tuoni, voci, lampi e terremoti.»

È il fuoco divino che scende sulla Terra affinché gli uomini si approprino sempre di più del fuoco divino dell’amore. Di tuoni voci e lampi abbiamo già parlato.

8,6 «E i sette angeli con le sette trombe si prepararono a dar fiato alle trombe.»

8,7 «E il primo suonò la sua tromba; e prima vennero grandine e fuoco, misti a sangue, e caddero sulla Terra; e un terzo della Terra bruciò, e bruciò un terzo degli alberi, e tutta l’erba verde bruciò.»

8,8 «E il secondo angelo suonò la sua tromba, e qualcosa come una grande montagna ardente di fuoco precipitò in mare, e un terzo del mare divenne sangue,»

8,9 «e morì un terzo delle creature marine e un terzo delle navi fu distrutto.»

8,10 «E il terzo angelo suonò la sua tromba, e dal cielo cadde una grande stella che ardeva come una fiaccola e cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle sorgenti delle acque»

8,11 «E il nome della stella è assenzio. E la terza parte delle acque diventò assenzio e molti uomini morirono a causa di quelle acque poiché erano diventate amare.»

8,12 «E il quarto angelo suonò la sua tromba; e fu colpita la terza parte del Sole, la terza parte della Luna e la terza parte delle stelle, così che un loro terzo si oscurò e per un terzo del giorno non ci fu luce e lo stesso di notte.»

8,13 «E vidi e udii come un’aquila volava in mezzo al cielo e diceva a gran voce: guai, guai, guai a quelli che abitano sulla Terra a causa delle altre trombe dei tre angeli che ancora devono suonare!»

OÙaˆ oÙaˆ oÙaˆ (uài, uài, uài), guai, guai, guai: questi tre guai sono le trombe che devono ancora venire e suoneranno a “5”, “6”, “7”.

9,1 «E il quinto angelo suonò la sua tromba; ed io vidi una stella, caduta dal cielo sulla Terra; e a lui fu data la chiave del pozzo dell’abisso.»

9,2 «Ed egli aprì il pozzo dell’abisso e dal pozzo uscì un fumo come il fumo di una grande fornace, e il Sole e l’aria furono oscurati dal fumo del pozzo.»

9,3 «E dal fumo uscirono locuste sulla Terra e fu dato loro un potere come hanno gli scorpioni sulla Terra.»

Fermiamoci qui, senza entrare subito nei dettagli, dato che naturalmente non posso sapere esattamente che significa tutto questo. È sicuramente un’evoluzione molto lunga, anche per lo spirito.

Ma nel complesso notiamo che l’evento centrale è una moralizzazione della natura. Moralizzazione nel senso del bene e nel senso del male. Vuol dire che gli eventi naturali non sono più qualcosa che avviene parallelamente all’evoluzione morale dell’uomo, ma emerge sempre più che la natura si evolve come si evolve interiormente l’uomo. Cioè l’evoluzione della natura è un concentrato, un risultato diretto, un effetto diretto dell’evoluzione morale dell’uomo.

Le trombe da “1” a “4” sono i piccoli flagelli, mentre “5”, “6” e “7” sono i grandi flagelli. Se con le sette trombe si indica sempre che l’evoluzione morale decide come si evolve la natura, allora possiamo porci la domanda: e com’è adesso? Perché le trombe ci sono sempre. Adesso le piante con le loro forze, gli animali, le pietre, ma anche le stelle –, la Terra intera, insomma, tutta la costellazione della Terra – sono così come sono perché gli uomini si sono evoluti moralmente così e non in un altro modo.

La differenza fra una tromba e l’altra consiste nella velocità o nella lentezza del passaggio da causa ad effetto: questo è il pensiero centrale qui. Di tromba in tromba aumenta la forza per agire più in fretta e direttamente sulla natura. Per il fatto che questa possibilità del bene morale e del male morale diventa sempre più grande grazie alla crescente divinizzazione dell’uomo, allora col passare delle trombe l’uomo a “6” e a “7” diventa sempre più capace di trasportare all’esterno direttamente, vale a dire contemporaneamente, quello che succede in ambito morale.

Noi viviamo adesso la quinta tromba, poiché siamo a “5”, ma vedremo che sotto certi punti di vista siamo piuttosto fra la sesta e la settima tromba. Vi leggerò quello che dice Rudolf Steiner in proposito. Complessivamente siamo a “5”, cioè siamo ancora al punto in cui c’è un certo differimento fra evento morale, suggellato nell’interiorità, e avvenimento naturale, cioè, viviamo essenzialmente in una natura che è così com’erano moralmente gli uomini del passato. Ma sempre di più l’uomo vive in una natura che è così com’è lui nella sua moralità. Questa è l’intensificazione dell’evoluzione rappresentata qui dalle trombe.

La messa in guardia dalle ultime tre piaghe consiste in definitiva nel fatto che a “5”, “6” e “7” tutto ciò che l’uomo si porta dentro moralmente sotto forma di pensieri buoni o cattivi, di buone azioni, di verità o di errore, di illusione, di menzogna o di bontà, di egoismo e cattiveria, agisce direttamente sulla natura. E in questo senso quello che viene descritto qui è davvero potente.

Non abbiamo il tempo e, come vi ho già detto, dovrei ristudiarmi un paio di volte l’Opera Omnia: chissà se ce la farò in questa vita? Ma è anche bello sapere di avere davanti un bel po’ di evoluzione per ottenere questi orientamenti; l’Apocalisse non vuole a tutti i costi che capiamo subito tutto nei minimi dettagli, l’importante è cominciare a capire la serietà morale. Soprattutto nelle trombe il messaggio è: caro uomo, devi stare attento, la natura non è neutrale, la natura, quindi le piante, gli animali e le pietre, sono completamente in balia di ciò che diventa l’uomo.

Vuol dire che ogni essere umano ha la responsabilità morale dell’evoluzione, del bene o della rovina della natura. Basta limitarsi a pensare agli animali! E cosa fa oggi l’umanità con gli animali, senza sapere quello che fa! Allora si può già prendere l’Apocalisse come libro pedagogico, perché immagino che l’accesso all’Apocalisse non sia costituito dall’intelligenza, dall’intellettualità, ma ho l’impressione che essa si riveli all’individuo nella misura in cui questi porta nel proprio cuore la serietà morale dell’evoluzione. Più una persona diventa moralmente seria, e più cose dell’Apocalisse capisce. Non serve l’intelligenza, perché questi testi non sono scritti per l’intelligenza. Ci sono altri libri che si rivolgono molto di più all’intelligenza.

Ora desidero creare una base, proprio per quanto riguarda le trombe. Infatti avete visto come diventa difficile capire il senso dei vari terzi: il terzo delle acque e poi il terzo dei fiumi; quindi un terzo delle acque calme, poi un terzo delle acque correnti, poi un terzo della Terra, un terzo delle stelle, del Sole e della Luna. Il terzo nelle prime quattro trombe non è ovviamente un terzo di tipo quantitativo. Il primo orientamento è che noi esseri umani dobbiamo sforzarci di andare oltre il nostro materialismo: qui non si tratta di un terzo quantitativo, i tre terzi vanno intesi qualitativamente. E dove si tratta di tre, del ternario su tutti i piani – si tratti dell’uomo, della natura, degli spiriti – il primo terzo, un terzo è lo spirito; il secondo terzo è l’anima e il terzo terzo, è il corpo. E dato che qui si parla di diversi piani, quando si dice che un terzo viene ucciso o che viene messo fuori combattimento, ci si riferisce sempre allo spirito.

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Fig. 10, IX

Una domanda importante è: come mai l’Apocalisse descrive di più ciò che avviene nella confusione della materia invece di descrivere il positivo? Si ha infatti l’impressione che l’Apocalisse si concentri sulle sciagure che accadono quaggiù, su tutto ciò che viene distrutto, su tutto ciò che muore, che viene avvelenato ecc., per cui ci facciamo una prima idea di quello che stiamo combinando all’ambiente.

Mi sembra – e anche questa sarebbe una chiave potente per capire l’Apocalisse – che se l’Apocalisse si fissasse o volesse focalizzarsi sullo spirito, non sarebbe precisa, perché l’evoluzione in positivo è una questione dell’individuo.

Abbiamo detto che bisogna distinguere fra evoluzione individuale ed evoluzione di razza.

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Fig. 11, IX

L’evoluzione individuale va lasciata ad ogni singolo uomo, e l’Apocalisse non può descrivere com’è l’evoluzione individuale nel pensare, nel sentire e nel volere dell’individuo, poiché ogni individuo, ogni uomo, è un mondo intero, un mondo diverso. E non si può prevedere come sarà di sicuro, di necessità, perché l’individuo è libero.

Quello che invece si può prevedere, da cui si può mettere in guardia l’umanità, sono queste condizioni “di razza”. Qui in basso c’è la razza (Fig. 11,IX), cioè le condizioni a validità universale, in cui l’uomo si inserisce di necessità nella misura in cui omette lo spirituale. Questo è il grande avvertimento dell’Apocalisse.

E queste possibilità ci devono essere, perché se non ci fossero l’uomo sarebbe costretto a svilupparsi nel bene, nel senso del bene. L’Apocalisse descrive le condizioni “gruppali” inferiori in cui l’uomo può perdersi perché sono necessarie. Invece l’evoluzione individualizzata non è necessaria, per questo non la si può prevedere in senso stretto, e in secondo luogo è individualizzata, non si potrebbe generalizzare. È questo il motivo per cui l’Apocalisse indica di più questo livello inferiore, specialmente nel passaggio alle trombe e ancor più nelle coppe dell’ira. Queste condizioni ci saranno per forza, per così dire, per legge naturale. Infatti, pensare che nessun uomo ometterà di evolvere sarebbe di nuovo una negazione della libertà. Quindi le condizioni inferiori della libertà in cui l’uomo può perdersi, possono essere descritte adeguatamente e secondo natura.

L’evoluzione dello spirito, quella sopra a questa linea (Fig.11,IX), è libera e per di più è anche individualizzata. Questo mi sembra il motivo per cui l’apocalista si concentra sulle condizioni evolutive relative ai gruppi, ai popoli, per dire: Attento a non finire in questo stato. Attento a non andarti a cacciare in questa sciagura. E questo stato dev’essere possibile, altrimenti l’uomo non sarebbe libero. Questa sciagura si verificherà di sicuro se questo e quest’altro verrà omesso. Per questo in sostanza è anche giusto il concetto di apocalisse: apocalisse nel linguaggio comune significa catastrofico, ma solo perché si riferisce a questo livello basso.

Adesso volevo aggiungere ancora qualcosa come base per le trombe, e precisamente: come avviene in realtà l’evoluzione? Supponiamo che questa linea ondulata sia la linea di separazione fra spirito e materia (Fig. 12,IX). Naturalmente è solo uno schizzo. E noi siamo qui, diciamo a “5”, poi viene il “6” e poi il “7”, dove la faccenda si fa violenta.

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Fig. 12, IX

Adesso descrivo semplicemente così l’antagonismo fra spirito e materia: spirito e materia giocano fra loro. Ora, nel corso dell’evoluzione ci sono due possibilità fondamentali per l’individuo, per ogni uomo.

1. Se l’uomo omette la forza spirituale permette che il suo spirito diventi sempre più debole e venga sempre più tirato verso il basso, finisce sempre più quaggiù verso la Bestia. Uso il blu scuro per la materia. Lo spirito, che ancora a “5” aveva una certa forza, annega a “6” sempre più nella materia fino a dissolversi in essa. Resta solo un vago ricordo, un rimpianto: Avrei potuto diventare buono e adesso sono prigioniero dell’impulso, dell’istinto, della necessità di natura ecc. Questa è una possibilità. E queste sono le condizioni che l’Apocalisse descrive vivacemente; descrive come vanno le cose in questa direzione.

2. L’altra possibilità è che l’uomo, esercitando una forza spirituale sempre più grande (qui per quest’altra evoluzione prendo il gesso bianco,), giunga sempre più ad una spiritualizzazione della materia. Ma non è che la materia non ci sia, viene sollevata e spiritualizzata. Qui è lo spirito ad essere determinante (Fig. 12,IX), lo spirito è decisivo, e porta con sé anche la materia. È questa la risurrezione della carne: il fatto che l’elemento materiale venga anch’esso spiritualizzato nell’uomo.

Quindi qui in basso abbiamo le leggi della materia, con lo spirito umano che viene completamente assorbito e quasi scompare; e qui in alto abbiamo le leggi dello spirito con la materia che viene innalzata, spiritualizzata, umanizzata. Tutte le pietre, tutte le piante, tutti gli animali vengono sollevati nei pensieri degli uomini, nell’amore degli uomini. Non è che qui manchi la creazione materiale: è spiritualizzata, è dentro lo spirito dell’uomo, nell’amore dell’uomo, nell’azione dell’uomo.

Inoltre, quando si è qui, verso il “5”, dove infuria la lotta fra spirito e materia (sto facendo delle semplificazioni), quali sono le due grandi tentazioni, quando non c’è ancora questa definitività o della redenzione della materia o dell’uomo immerso nella materia? La definitività, per dirla con le parole della Apocalisse, dell’abisso della Bestia o dell’Angelo.

Faccio una breve digressione: immaginate di non essere solo alla fine della Terra quattro, ma di essere alla fine della Terra sette: qui l’uomo sale al grado dell’Angelo. Allora l’evoluzione dell’uomo è che l’uomo, la libertà dell’uomo, l’intera evoluzione nella libertà dell’uomo porta o a salire al grado superiore (e gli Angeli dal canto loro salgono al livello di Arcangeli), o a cadere nell’abisso della Bestia a causa dell’omissione della libertà. Ho già chiesto se vi sembra possibile che l’uomo compia tutta l’evoluzione fino all’estrema conseguenza in un’unica vita, ed è già risultato evidente che in una vita sola non è possibile. Che l’uomo precipiti davvero su tutti i fronti al livello della Bestia in una sola vita è del tutto impossibile. E tuttavia l’Apocalisse ne parla.

Questo sarebbe il modo di riconquistare in modo scientifico moderno, cioè convincente per il pensiero, l’idea orientale delle ripetute esistenze terrene, in senso moderno, in senso cristiano. Prima di Cristo infatti non si parlava di uno spirito umano che si incarna ripetutamente, ma si parlava di un’anima – perché l’uomo non era ancora spirito – che si congiungeva ripetute volte con un corpo. Si parlava di metempsicosi e la psiche è l’anima. Quindi non ancora un’incarnazione dello spirito: sono due cose diverse. E in senso cristiano si dovrebbe parlare solo di reincarnazione dello spirito, e non solo di una sostanza animica, come era per l’antica metempsicosi.

Quindi la metempsicosi, il termine italiano è trasmigrazione delle anime, era prima di Cristo, perché l’uomo era ancora solo anima. Ma adesso non abbiamo una trasmigrazione delle anime, abbiamo una trasmigrazione degli spiriti, cioè una reincarnazione dello spirito umano che diventa sempre più spirituale perché si individualizza sempre più.

Per questo era necessario che l’antica dottrina della trasmigrazione delle anime andasse perduta: perché se ce la fossimo trascinata dietro non avremmo capito che anch’essa deve compiere una svolta; che dopo Cristo l’evoluzione non è più un’evoluzione nella metempsicosi ma nella reincarnazione dello spirito, il che è una cosa del tutto diversa. Perché l’uomo è chiamato a diventare sempre più uno spirito e non a rimanere un’anima. Un bambino infatti è un’anima, ma un adulto è uno spirito in grado di pensare e volere autonomamente e che si può assumere la responsabilità delle sue azioni e dei suoi pensieri.

Allora, ero qui, in mezzo per così fra “4” e “5” e chiedevo: quali sono le due grandi tentazioni dell’uomo? Le due grandi tentazioni sono due unilateralità: dalla parte dello spirito lo spiritualismo e dalla parte della materia il materialismo. (Fig. 12,IX). Allora il male, il disumano, non è solo semplice nel nostro tempo, ma è duplice.

Un cristianesimo o una religione o anche un’interpretazione dell’uomo che presenta il bene e il male come opposti è assolutamente sbagliata, poiché il male non è mai il contrario del bene. Il bene può essere capito solo a livello trinitario, mai come dualità. In altre parole, il bene non ha polarità, non c’è nessuna controforza opposta al bene. Ci sono due possibilità di cader fuori dal bene, a destra e a sinistra. Due. Il bene dell’uomo è l’incontro reciproco, la lotta fra spirito e materia, e il duplice cader fuori dal bene è quando voglio solo lo spirito e disdegno la materia o quando voglio solo la materia e disdegno lo spirito. Questo è male, come mai? Perché il bene dell’uomo, la lotta, non c’è più e l’uomo non è più nel divenire.

Quindi lo spiritualismo unilaterale non è meno cattivo e disumano del materialismo unilaterale, perché l’uomo omette la propria evoluzione. E noi abbiamo una religione, una religione antiquata, che si comporta come se fosse vero che più l’uomo diventa spirituale e meglio è. Assurdo! Assurdo! Se l’uomo diventa così spirituale da disdegnare la materia, smette di essere uomo, e non è meglio! L’uomo non è un angelo. Il bene dell’uomo è la lotta, è esporsi alla lotta, perché solo attraverso il conflitto fra spirito e materia l’uomo può progredire. Se disdegna questo conflitto e se ne tira fuori, se disdegna la materia e vuole avere solo lo spirito, la sua umanità non c’è più, non può fare passi avanti, è perduto, perché i passi avanti vengono fatti solo nella lotta dove spirito e materia interagiscono.

Allora quello che viene sbrogliato e chiarito alla fine dell’evoluzione, solo alla fine dell’evoluzione, grazie a tutto ciò che si è vissuto durante l’evoluzione, è la grande tentazione per chi è a metà strada. E in che cosa consiste la tentazione? Nel voler essere già alla fine quando invece si è ancora a metà del percorso. Questa è la grande tentazione. A metà strada non si è ancora alla fine, a metà del percorso deve imperversare la lotta. E questo imperversare della lotta, dove l’uomo deve davvero combattere, questa lotta è l’evoluzione dell’uomo. Questo è il bene. “Noi possiamo redimere chi, sempre anelando, lotta!” canta il coro degli Angeli (Goethe, Faust v.11.936).

Abbiamo una religione così primitiva che fa passare per un bene ciò che è disumano. L’uomo esce dalla chiesa e non ha idea di come rapportarsi al mondo reale, poiché gli è stato predicato di uno spirito, di un mondo che vive nel paese dei sogni. Questa non è umanità, non è cristianesimo! Il cristianesimo è lo spirito dell’uomo incarnato. Cristo si è fatto uomo, ha abbandonato il mondo puramente spirituale proprio per vivere l’elemento terreno.

Questa tentazione Rudolf Steiner la chiama tentazione di Lucifero: lo spiritualismo; mentre la tentazione del materialismo la chiama tentazione di Arimane. Ha tenuto centinaia di conferenze su questo tema, ha descritto e spiegato tutta la fenomenologia da tutti i lati.

È buona, moralmente buona per l’uomo solo la lotta fra spirito e materia, tramite la quale lo spirito ama il mondo della materia come luogo del suo divenire al punto che lo spirito dell’uomo porta con sé il mondo della materia nella spiritualizzazione. L’uomo diventa uomo solo nell’amore dello spirito per la materia e nell’amore della materia per lo spirito, dove spirito e materia esistono l’uno per l’altra, si favoriscono a vicenda – un amore che nasce dalla lotta per non soccombere alla tentazione del solo spirito o della sola materia.

Sarebbe come se nell’uomo le passioni spirituali agissero con la forza di un istinto naturale. La natura diventa istinto spirituale e lo spirito diventa istinto naturale. Che bello, ma questo è un grande ideale dell’evoluzione. Significa che perfino nel cristianesimo tradizionale il concetto di bene e male non è giusto, perché si è dualizzato tutto invece di prendere sul serio la trinità. Nella trinità il bene è il centro, la forza del centro e della mediazione, della riconciliazione (Fig. 12,IX). Ho sempre detto: com’è bello che il genio della lingua tedesca veda la forza del Figlio al centro della Trinità! Fra lo Spirito Santo e Dio Padre nel mondo della materia c’è il Figlio. Che cosa fa il Figlio? Riconcilia (in tedesco “versöhnt”, che contiene la stessa radice di “Sohn”, figlio. n.d.r). Questa è la forza del Figlio, la riconciliazione.

E invece abbiamo uno pseudocristianesimo che dice: la destra è il bene e la sinistra il male. No, destra e sinistra sono il male e il bene è la riconciliazione. E questa riconciliazione è un’infinita armonizzazione, un continuo riportare in equilibrio ed è anche una lotta, poiché c’è sempre una faticosa ricerca di equilibrio fra spirito e materia. Questa è l’umanità, questo è il cristianesimo.

C’è qualche domanda a questo punto, prima che mi immerga nella concretezza delle trombe?

Intervento: Vorrei ancora un chiarimento sul fatto che il male non è l’opposto del bene.

Archiati: L’idea era che bene e male non si contrappongono, come se uno stesse da una parte, a sinistra tanto per dire, e l’altro a destra. Se così fosse, avremmo qui il bene e qui il male. Se fosse così, vorrebbe dire che più vado in questa direzione e meglio è, e più vado in questa direzione peggio è. Perché non è così? Perché bene e male non sono degli opposti? Perché il bene è la forza del centro. Qui nel mezzo c’è il bene, nel mezzo, nella mediazione fra gli estremi.

Se vogliamo capire i fenomeni umani, tutti i fenomeni umani, bisogna sempre aver presente due estremi. Tutti e due gli estremi sono negativi, proprio per il fatto di essere estremi. E qual è il male di un estremo? È che gli manca l’altro. Il male di una parte è che le manca l’altra. Il male di un’unilateralità, infatti, non è la parte che c’è, quella è il bene; il male di un’unilateralità è la parte mancante, perché il bene è la completezza. Prendere in considerazione col pensiero queste due unilateralità è uno dei compiti più importanti del pensiero. Perché se ho capito intellettualmente due unilateralità, se ho compreso due concetti, allora so qual è la mediazione, ed eviterò questo e quello.

L’Etica nicomachea di Aristotele è un testo fondamentale per l’evoluzione morale dell’umanità, poiché tutto è inteso in senso trinitario. Tommaso d’Aquino ha commentato con piacere questo testo, parola per parola. Prendiamo per esempio la virtù del coraggio, e con coraggio intendiamo qualcosa di buono. Ci sono due unilateralità che lo riguardano?

Intervento: Spavalderia.

P.A.: Spavalderia. Il termine tecnico è temerarietà. Temerario; è un bene essere temerari? No. Perché no?

Intervento: Perché è unilaterale.

Archiati: Bene, funziona molto in fretta. E l’altra unilateralità? Vigliaccheria, codardia.

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Fig. 13, IX

Ancora un esempio: fra i due estremi aggressività e depressione, il bene dell’uomo è l’equilibrio fra l’essere aggressivo e l’essere depresso, perché essere troppo aggressivo danneggerà me stesso e l’altro; e se sono depresso non combino niente. Come si fa a trovare l’equilibrio? Con una lotta continua.

Allora l’evoluzione delle razze, quindi il mondo materiale, è per così dire la tentazione all’unilateralità; le leggi che l’Apocalisse può descrivere perché sono necessarie, fanno in modo che io venga continuamente spinto fuori dall’equilibrio, anche di pochissimo.

Quindi la natura, il mondo, le situazioni, gli altri, provvedono a che io venga sempre tirato fuori, almeno un po’, dall’equilibrio: è il loro compito, è regolare, altrimenti io non avrei niente da fare. E che senso ha questo? Che io ristabilisca l’equilibrio. E se uno è diventato un po’ unilaterale dalla parte della vigliaccheria, si dirà: Accidenti, devo darmi una scossa, devo darmi una mossa per superare la mia vigliaccheria. E se lo fa davvero, diventerà inevitabilmente un po’ temerario. Allora tornerà indietro. In altre parole, l’equilibrio non può mai essere stabile. Cosa sarebbe un equilibrio stabile? Ho sempre fatto l’esempio del cimitero; un equilibrio stabile sarebbe un cimitero.

E tra l’altro l’Apocalisse è un testo fondamentale in cui vengono descritte le leggi dell’influsso del mondo sull’uomo. È compito dell’uomo riconoscere sempre meglio, comprendere in maniera sempre più articolata e gestire sempre meglio il fatto che questo mondo non esiste semplicemente per starci dentro, ma per portarlo con sé nella spiritualizzazione, nell’umanizzazione. Ma il mondo dev’esserci per offrire le controforze. E queste controforze seguono delle leggi che possono essere previste, che possono essere descritte. Sarà impossibile attraversare il sesto periodo senza che ti vengano offerte certe controforze, perché allora dovranno esserti rese possibili certe conquiste. Se le capisci, se ce la fai, è affar tuo. Per questo il positivo viene descritto di meno. Ma riconoscere queste leggi è molto gratificante, è determinante; ed è questo che l’Apocalisse descrive.

Come ho già detto, sono davvero molto triste: non capisco perché nell’umanità odierna uno come Aristotele, che è così attuale, non venga utilizzato. Tutte le virtù vengono organizzate in modo da poterle capire subito (Figg. 13,IX e 14,IX). C’è un centro, alla sua sinistra c’è un’unilateralità e a destra un’altra unilateralità. Negli anni scorsi, quando frequentavo di più le persone che conoscono a memoria l’Opera Omnia di Steiner e io non ero ancora così avanti, ho organizzato queste cose un po’ meglio. Ma sono esercizi validi per tutti.

Per esempio nel rapporto col corpo, con le forze del corpo: quali sarebbero le due unilateralità? Una è strapazzare il corpo, trattarlo male… l’ascesi, no, c’è una parola migliore in italiano: la macerazione. L’ascesi va bene?

Intervento: Sì.

Archiati: Mi è venuto un colpo. Chi dice che è un bene?

Intervento: La parola va bene!

Archiati: Purtroppo la parola è buona, e se la parola è diventata buona allora la Chiesa cattolica ha avuto grande successo. Se sia buona per l’umanità è un altro paio di maniche. Perché l’ascesi non è un bene. Ascesi significa mortificare il corpo. E il corpo esiste solo per prendersi dei cicchetti? No, questo non è cristiano, non è umano. Ecco allora che vediamo quali unilateralità ha prodotto un cristianesimo spiritualizzante, in fuga dal mondo. Un cristianesimo che forse è ancor più buddista che cristiano. Il cristianesimo non è la mortificazione del corpo: potete immaginarvi che Cristo maceri il corpo? No, è assolutamente impossibile.

Quindi la macerazione è una violenza, una temerarietà nei confronti del corpo, una violenza eccessiva. E l’altro estremo? La dissolutezza, il lasciarsi andare.

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Fig. 14, IX

A destra c’è lo scatenarsi contro il corpo e qui a sinistra puoi fare quello che vuoi. L’umano sta nel mezzo, nell’equilibrio. Qui scatenarsi contro il corpo e qui non fare niente; e fra il troppo e il troppo poco che cosa c’è?

Intervento: Il controllo.

Archiati: “Controllo” va già in direzione moraleggiante, per quanto riguarda il corpo beninteso. Perché il controllo in sé viene usato per le forze dell’anima che devono essere controllate.

Comunque, stavamo parlando di bene e male. E l’idea centrale era che il bene è sempre la via di mezzo fra due estremi. Ora la domanda sarebbe: qual è il bene per il corpo? Qual è il bene per l’anima? Qual è il bene per lo spirito? Le cose vanno spiegate ex novo di volta in volta. Non si può prendere una triade per gestirne un’altra. Perché la triade spirito, anima e corpo è una triade delle realtà spirito, anima e corpo. Ma adesso abbiamo parlato della triade nel bene e nel male.

Se adesso vogliamo mettere questa triade di bene (nel mezzo) e male (i due estremi) in relazione con corpo anima e spirito,dobbiamo reinterpretare la connessione logica. Perché tutti e tre sono buoni, come realtà non hanno a che fare con il buono e il cattivo. Lo spirito è buono, l’anima è buona e il corpo è buono. Com’è che lo spirito diventa cattivo? Com’è che l’anima diventa cattiva? Com’è che il corpo diventa cattivo?

Intervento: In queste unilateralità, in queste polarità dove deve aver luogo una mediazione. E ieri abbiamo parlato della polarità di pensare e volere, e lei l’ha designata con la lemniscata evidenziando il movimento dal pensare al volere e dal volere al pensare. Allora la mediazione è già nel pensiero stesso, perché io devo volere il pensare. Devo pensare, altrimenti sarebbe un processo naturale.

Archiati: Ma c’è anche un pensiero che è del tutto passivo. È possibile, c’è anche questo. Allora sarebbe unilaterale: un pensare senza volere, quindi unilaterale. E perché non sarebbe buono? Perché manca l’altra parte. Prendiamo questa polarità pensare-volere e vediamo come grazie alla mediazione, all’equilibrio, diventa un bene per l’uomo mentre attraverso l’unilateralità dei due stremi entrambi negativi diventa un male per l’uomo. Descriva il pensare senza volere.

Intervento: Anime in pena, c’è un andare e venire...

Archiati: Di che?

Intervento: Di pensieri.

Archiati: E dov’è l’unilateralità?

Intervento: Che non c’è il volere.

Intervento: Non c’è l’agire.

Archiati: Quando uno non fa mai niente. Uno che specula, specula e specula, riflette, riflette e riflette ma non succede mai niente. È un bene? Perché no? Perché manca un elemento fondamentale dell’uomo. Ma vi rendete conto di quanto sia umana questa fenomenologia? Solo che bisogna esercitarla. Se uno mi dice: descrivimi un uomo che pensa soltanto e non fa mai niente, io posso rispondere: gli manca il volere. Invece di cominciare a raccontare, a descrivere e parlare per mezz’ora, non faccio altro che ripetere slogan ad effetto. C’è tutta una fenomenologia di tipi simili che pensano, pensano e pensano, producono pensieri e non fanno mai niente? Sì, ma l’importante è descriverla concretamente, questa fenomenologia. Allora ho davanti l’immagine di un mostro che critica tutto, perché pensa di saperne di più su tutto, ma non è in grado di fare niente; trova brutti tutti i quadri ma non ha mai preso un pennello in mano…

E all’altro estremo c’è solo il volere, si fa, si fa, si fa e non si pensa.

Intervento: Il rivoluzionario.

Archiati: Sì, ma vada avanti ancora, ancora, non dica solo un termine ad effetto. Descriva la fenomenologia, come si comporta, che tipo è? Non solo una parola.

Intervento: Distrugge tutto senza pensare alle conseguenze.

Intervento: Un’anima di gruppo.

Intervento: Impulso incontrollato.

Archiati: Vedete, vengono fuori quasi solo slogan. Ma gli esercizi del pensiero consistono nello spiegare questi slogan. Allora sì che faccio esercizi nel pensiero, perché capisco più concretamente cercando di spiegare. Una frase e poi un’altra e poi un’altra ancora e poi ancora una spiegazione, e poi un aspetto e ancora un aspetto… alla fine ho una fenomenologia intera. Se l’Apocalisse usasse degli slogan avremmo terminato il testo già da un pezzo. Ma non l’abbiamo ancora finito perché l’Apocalisse non fornisce slogan ma fenomenologie; descrive, descrive, descrive, questo terzo e così e così, e poi è successo questo e quest’altro…

E in che cosa consiste la mediazione? L’equilibrio, il bene, che cos’è il bene? Allora, solo pensare è un male perché manca l’altra parte; solo volere è un male perché manca l’altra parte. (Fig. 15,IX). Male per l’uomo.

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Fig. 15, IX

In che cosa consiste il bene? Se mi dite che il bene consiste nel mezzo, vi dico grazie, lo sapevo già. Ma non mi dice niente. Ho davvero qualcosa se mi do la pena di descriverlo dal punto di vista fenomenologico negli aspetti concreti: che cosa si prova, che cosa si fa, come si comporta l’uomo ecc. ecc. Allora non si ottiene solo sugo, ma anche capo e coda. Di questo si tratta.

L’umanità odierna è così povera perché non vengono fatti questi esercizi mentali, per lo strapazzo di dover star dietro alle cose materiali: questa macchina dev’essere riparata, e ci dev’essere questo profitto, e lì ci vogliono soldi ecc. ecc. Non abbiamo tempo per il nostro spirito, questa è la povertà. E allora non c’è da meravigliarsi se davanti a un testo come questo siamo come il bue davanti alla montagna. Diventare concreti, descrivere, descrivere com’è, come ci si comporta ecc. Come si comporta l’uomo buono che tende sempre all’equilibrio fra pensare e volere? Come si comporta?

Intervento: Mettendo in azione il mio pensiero, per l’azione uso il pensiero mirato…

Archiati: E come si arriva al concreto?

Intervento: Nel momento in cui osservo che cosa deriva dal pensiero, se si concretizza da qualche parte… e anche osservandomi mentre compio l’azione, se ha senso.

Archiati: Vede, la cosa comincia ad assumere capo e coda. Vede, ma solo perché la descrive. Voglio solo dire che usiamo troppi slogan. Questa è l’astrazione, questo è davvero il materialismo, per quanto riguarda lo spirito conosciamo quasi solo frasi fatte. E proviamo troppo poco la gioia di rendere davvero succosi questi slogan mediante la descrizione. Quello che vi sto mostrando qui è proprio solo questo. Prendo qualcosa che oggi sarebbe uno slogan: che cos’è una tromba? Uno slogan. E qui ne abbiamo addirittura sette. Miei cari, sono sette trombe: una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette” e questo è. Prego.

Buon appetito.

10a Conferenza
giovedì, 14 novembre 2002, sera

Oggi ho già deciso come andare avanti con l’Apocalisse. Di solito chiedo consiglio o mi dico che in caso di dubbio decidiamo insieme. Ma questa volta sono assolutamente sicuro di aver avuto un’idea migliore, per questo vi dico come ho intenzione di procedere e chi vuole lo fa con me e chi non vuole no.

Oggi vogliamo goderci[14] le tre grandi piaghe oÙaˆ oÙaˆ oÙaˆ (uài, uài, uài), guai, guai, guai per così dire tutte insieme. Il senso delle piaghe, dei flagelli, dei guai, è che si prenda coscienza. Naturalmente l’Apocalisse è anche la serietà dell’evoluzione, ma la serietà dell’evoluzione non deve servire a farci assumere un atteggiamento pessimista, cupo, rassegnato; anzi, aiuta ad essere grati di riconoscere che cosa si può evitare e qual è lo scopo dell’evoluzione positiva. E succede anche che si provi gioia e gratitudine per il fatto che è possibile evitare queste piaghe. Tutto quello che mi posso risparmiare, questo è il lato buono e lo facciamo stasera.

Domani prenderò due o tre immagini, magari la Donna rivestita di Sole con le stelle e il drago che minaccia il bambino, e poi la Gerusalemme celeste, come due o tre punti focali per il resto dell’Apocalisse. Credo che la soluzione migliore sia davvero invitare di nuovo tutti quelli che hanno tempo e voglia di occuparsi dell’Apocalisse per il novembre dell’anno prossimo, così avremo un ciclo annuale. Credo che mi atterrò alla modalità usata in questi giorni perché, con tutta la buona volontà, non credo che un modo di procedere diverso sarebbe stato molto meglio. Allora l’anno prossimo, per quelli che ne avranno il tempo e la voglia (potete portare anche i vostri amici), farò l’opposto: riepilogherò rapidamente la prima parte, che stavolta abbiamo fatto in maniera più dettagliata, e poi mi concentrerò sulla seconda, per la quale in questi giorni abbiamo avuto meno tempo.

Ora cominciamo subito con la quinta tromba, perché le altre quattro le abbiamo lette insieme. Pensavo di commentare ancora questo terzo per poi passare alle grandi piaghe, le tre grandi piaghe che sono molto importanti. Vediamo come vengono introdotte. Riprendiamo dal capitolo 8,13.

8,13 «E vidi e sentii come un’aquila volava in mezzo al cielo e diceva a gran voce guai, guai, guai»

L’aquila sono le forze della coscienza, forze del pensiero, l’evoluzione conoscitiva dell’uomo. E per quanto riguarda queste piaghe, o sciagure, o flagelli, si tratta del modo in cui l’uomo – che nella sua libertà deve avere la possibilità di cadere verso il basso – minaccia di essere catturato dalla pesantezza delle forze naturali, dei determinismi di natura. Ma invece di far paura all’uomo, viene introdotta un’aquila che gli dice: caro uomo, proprio qui dove si tratta dei misteri dell’oscuramento della tua volontà che viene afferrata dagli impulsi, dagli istinti, è ancora più importante che tu te ne renda conto. Per questo abbiamo l’aquila. L’aquila richiama l’attenzione: “oÙaˆ oÙaˆ oÙaˆ” (uài, uài, uài), guai, guai, guai.

È paragonabile al canto del gallo: adesso bisogna svegliarsi, essere vigili. Infatti solo anticipando questi passi futuri nella conoscenza, riconoscendoli e prendendone coscienza, l’uomo sa che cosa c’è da fare per evitare queste sciagure. Vedete quindi che non gli si mette paura, ma gli si dice: caro uomo, svegliati, guarda l’aquila! E l’aquila rappresenta le forze del pensiero, questo volare sicuro. L’aquila è la forza della visione d’insieme intellettuale. L’aquila volteggia in alto: è un’immagine meravigliosa. E tra l’altro è così anche a livello fisiologico: nei volatili il sistema neurosensoriale è quello più formato. Per esempio, nell’uccello le zampe sono completamente atrofizzate e anche il sistema metabolico e ritmico. Guai, guai, guai

8,13 «a coloro che abitano sulla Terra a causa delle altre trombe dei tre angeli che ancora devono suonare!»

Quindi un grido di avvertimento per ridestare la coscienza. Che cos’è in fondo l’Apocalisse? È la voce dell’aquila. Per questo per l’uomo aquila Giovanni-Lazzaro, per il suo Vangelo, è stata presa l’immagine dell’aquila. Il suo è il Vangelo dell’aquila, dell’evoluzione della coscienza, del pensiero. Il Vangelo del risveglio nello spirito.

9,1 «E il quinto angelo suonò la sua tromba ed io vidi una stella caduta dal cielo e gli venne data la chiave del pozzo dell’abisso».

Adesso viene portato sulla Terra qualcosa di stellare. Vediamo di che si tratta. Dall’alto, con gli occhi dell’aquila, guardiamo verso il basso: cos’è che dalle stelle viene giù sulla Terra? La chiave del pozzo dell’abisso. Adesso vengono sciolte – finora erano bandite, legate – le forze che nell’uomo salgono dal basso verso l’alto e lo vogliono oscurare. Il pozzo dell’abisso è la fonte delle forze che servono da controforze all’uomo; cioè sono tutte le forze che vogliono portare l’uomo in quanto spirito nell’abisso. L’insieme delle controforze della natura: forze gravitazionali, del magnetismo, dell’elettricità, della radioattività ecc. Nella misura in cui l’uomo si vota ad esse, se dà loro addirittura il potere di dirigerlo e abdica al suo ruolo-guida a favore di queste forze della natura, allora si perde completamente, poiché esse hanno un effetto ammaliante, non solo potente ma anche ammaliante. Hanno un effetto abbagliante per via dell’affermarsi del potere che queste forze hanno. Una caratteristica dell’abisso dell’evoluzione è appunto che l’uomo si lascia abbagliare dal potere terreno. E allora dimentica, poiché non ha più quest’occhio d’aquila, che la forza spirituale vale mille volte di più di ogni potere terreno, dal più piccolo al più grande.

Per quelli che conoscono un po’ Rudolf Steiner, se vogliono studiare ulteriormente questo mistero del pozzo dell’abisso, fršatoj tÁj ¢bÚssou (frèatos tes abýssu), aggiungo che nella scienza dello spirito l’abisso è il concetto – ampiamente inteso – dell’ottava sfera. È tutto ciò che alla fine dell’evoluzione viene escluso, eliminato, perché ha agito da controforza. Quelli che mediante la lotta con la controforza si sono rafforzati come spiriti salgono, mentre quelli che nella lotta si sono lasciati vincere dalle controforze, e si sono indeboliti, vengono trascinati verso il basso dalle controforze.

Questo pozzo dell’abisso (Fig. 1,X) alla fine diventa l’ottava sfera, mentre qui in alto scrivo “5”, “6” e “7”, che sarebbero le tre ultime grandi piaghe. E quando tutto sarà finito, qui a “7”, nella settima sfera, abbiamo il compimento, mentre l’ottava sfera viene esclusa come una scoria. È ciò che stavolta il bene non è riuscito a redimere del tutto.

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Fig. 1, X

Stavolta, perché se il male, le controforze, fossero definitivi, se il combattimento fosse giunto alla fine, saremmo alla Terra sette, anziché alla nostra Terra quattro. E poiché la lotta deve continuare, qui, in Terra quattro, ci dev’essere un’ottava sfera, un pozzo dell’abisso, così che la lotta ricominci su un nuovo piano. Dentro questo pozzo dell’abisso ci saranno gli uomini che hanno annullato la loro umanità continuando ad omettere.

Abisso (¢bÚssou, abýssus), significa senza fondo. E che lì non ci sia fondo che immagine è? È un’immagine della nullità, che è qualcosa di diverso dalla nulla. Un’immagine enigmatica, perché rilascia enigmi su enigmi, così che l’uomo ne abbia sempre più da decifrare. Per questo queste immagini sono inesauribili nei loro significati.

9,2 «Ed egli aprì il pozzo dell’abisso».

Quindi la quinta tromba, la prima grande piaga, consiste nel fatto che finora – e si tratta in definitiva del nostro tempo – certe forze della natura più profonde erano sconosciute all’uomo; ora il pozzo dell’abisso viene aperto, il che significa nel contempo che l’uomo, tra l’altro, comincia a pretendere di conoscere certe forze naturali più profonde.

Pensiamo a cosa è stato scoperto nel secolo scorso sull’energia nucleare di cui prima non si sapeva niente, pensiamo a quello che viene scoperto adesso nell’ingegneria genetica. Vengono scoperte delle forze della natura: questa è l’apertura del pozzo dell’abisso, e la manipolazione di queste forze dà all’uomo per la prima volta la possibilità di precipitare davvero nell’abisso della disumanità, poiché non ha imparato con l’occhio dell’aquila a gestire queste forze in senso umano.

Quindi adesso l’evoluzione diventa in linea di principio evoluzione del bene e del male, perché l’uomo comincia ad avere la chiave per il pozzo dell’abisso. E allora l’evoluzione diventa o totalmente abissale, disumana, perché nell’uomo viene ucciso l’elemento umano, oppure, proprio vincendo queste forze in cui la tentazione è più grande, si ha il massimo sviluppo dell’umanità. Entrambe le possibilità sono aperte. E ci saranno uomini che diventeranno abissali cercando di penetrare le forze dell’abisso – le forze più profonde della materia – e uomini che, proprio soffrendo del fatto che si faccia di tutto per uccidere lo spirito anche in loro, salveranno lo spirito e saliranno tanto più in alto, distoglieranno lo spirito umano dall’abisso.

Qui le immagini diventano molto potenti. Ed è solo l’inizio, adesso arrivano le locuste. Il pozzo dell’abisso è in primo luogo extraumano – sono nel complesso forze della natura –, ma con l’immagine delle locuste si intendono uomini.

9,2 «Ed egli aprì il pozzo dell’abisso e dal pozzo salì un fumo come il fumo di una grande fornace, tanto che il Sole e l’aria furono oscurati.»

Quindi dal pozzo salgono delle forze che oscurano la luce e l’aria, forze dell’oscuramento della coscienza umana, perché l’uomo può finire nell’abisso solo se viene oscurato. L’inizio, il primo passo, è sempre nel pensiero, nella conoscenza, nella coscienza.

9,3 «E dal fumo uscirono locuste sulla Terra e fu dato loro un potere come hanno gli scorpioni sulla Terra»

Come prodotto di queste forze della natura cieche, fumose e oscuranti, come conseguenza dell’oscuramento nella coscienza, viene creata una prima specie di uomini che sono più animali che uomini. Per questo motivo viene usata l’immagine di un animale per indicarli, la locusta. E vedremo quali qualità entrano in discussione. Se vogliamo, dal punto di vista etnologico, geologico, a quei tempi in Palestina le locuste erano una delle piaghe più terribili. Venivano dal deserto e quando arrivavano deponevano le uova e si moltiplicavano e tutto ciò che c’era in quella zona veniva distrutto.

Questo per capire l’origine di questa immagine dell’apocalista. Adesso dobbiamo trasporla in ambito umano per capire che tratti ci sono in questi uomini che vengono rappresentati come locuste, che vengono paragonati a locuste e scorpioni. Agiscono come locuste, ma sembrano scorpioni, sono le due cose in una. Come locuste rappresentano un’ingordigia senza pari, mangiano tutto quello che trovano – allora è l’egoismo, l’egocentrismo, il voler arraffare tutto. Lo scorpione invece ha come caratteristica il pungiglione che va verso l’esterno e uccide l’altro. Quindi da una parte riempirsi, abbuffarsi (locusta); dall’altra uccidere con il pungiglione (scorpione). È di nuovo una bella polarità.

Se vogliamo, l’abbuffarsi in qualità di locusta sarebbe più l’elemento luciferico, mentre l’uccidere l’altro con il pungiglione rappresenta maggiormente il lato arimanico dell’attività di questi uomini posseduti dalle forze dell’abisso. Questo è infatti nel contempo l’inizio della possessione, e perciò non vengono più considerati uomini, ma posseduti da forze animali, dalle forze della locusta e dello scorpione.

9,4 «e fu ordinato loro di non danneggiare né l’erba della Terra, né alcunché di verde, né alcun albero, ma solo gli uomini che non hanno il sigillo di Dio sulla fronte.»

Significa che queste forze di scorpione e locusta non danneggiano la natura, ma trascinano l’uomo verso il basso, dal suo stadio umano a quello animale. Queste forze sono controforze solo per l’uomo, non per le piante, non sono veleni per le piante o per gli animali. Sono prevalentemente forze antiumane, danneggiano solo gli uomini che omettono di aver sulla fronte il sigillo di Dio. In altre parole, le locuste hanno le loro superfici d’attacco, i loro punti d’attacco, là dove l’uomo omette il bene, che consiste nel farsi apporre il sigillo, nel riempire la propria anima con il sigillo di Dio, con le forze della divinità, con le forze del divino. Gli uomini che omettono di sigillare, di inscrivere nella loro interiorità le forze del divino, offrono una superficie d’attacco per le locuste.

Intervento: Ma erano proprio quelli che erano progrediti ad avere in fronte questo segno.

Archiati: No, no, no. Non si tratta di un segno qualunque sulla fronte, quanto del fatto che ciò che si è divenuti interiormente si manifesta all’esterno. Può essere bene o male, a seconda dei casi. Quindi l’immagine è solo che ciò che in un primo tempo era nascosto, sigillato, viene dissigillato, diviene esteriormente visibile.

9,5 «E fu dato loro il potere di non ucciderli ma di tormentarli per cinque mesi»

Quindi non hanno il potere di uccidere gli uomini, perché sarebbe già una consolazione, visto che gli uomini desidereranno di essere uccisi, ma possono tormentarli per cinque cicli lunari. Questo ha a che fare con il mistero della Luna: diciamo che sono cinque gradi di coscienza, poiché il mistero della Luna è la luce solare riflessa. Ci sono sicuramente altri significati per questi cinque mesi. Significa “per un certo periodo di tempo”: una pentuplicità di passi, di periodi.

9,5 «E il loro tormento era come quello che dà lo scorpione quando punge un uomo.»

Quindi un avvelenamento, l’uomo assume in sé qualcosa di velenoso. Naturalmente tutto ciò non è in senso fisico; non va inteso in senso corporeo esteriore, bensì in senso animico-spirituale. Che cos’è il veleno dello scorpione per l’anima, per lo spirito dell’uomo? Cos’è che di più uccide l’uomo? Sono due le punture fondamentali di scorpione che uccidono l’uomo: una è l’egoismo interiore che uccide l’amore – l’amore è quanto di più umano vi sia –, e l’altra è la menzogna, l’inganno e l’errore, che uccide l’altro elemento propriamente umano, che è il cercare e il trovare la verità. Quindi da una parte il veleno dello scorpione è menzogna, inganno, errore, e dall’altra parte è l’egoismo interiore che mette gli uomini gli uni contro gli altri, perché l’estrema conseguenza dell’egoismo è l’uccidersi reciprocamente, la guerra di tutti contro tutti. Questo impulso di uccidersi a vicenda è naturalmente paragonabile al pungiglione dello scorpione che porta l’uomo alla morte.

9,6 «E in quei giorni gli uomini cercheranno la morte e non la troveranno, brameranno di morire e la morte fuggirà da loro.»

Vuol dire che nella misura in cui l’uomo si lascia andare e si rende da solo sempre più impotente nei confronti delle forze della natura, arriva al punto da dirsi: non ce la faccio più a vivere – perché ha sempre un’idea di quel che significa vivere da uomo. Altrimenti non sarebbe più un uomo. E poiché ha un’idea di cosa significhi non essere del tutto impotente di fronte alle forze della natura, degli impulsi, degli istinti, della manipolazione che oggi è molto visibile, questa impotenza per lui è peggiore della morte. Preferirebbe essere morto anziché essere doppiamente morto; perché se morisse sarebbe morto solo fisicamente, ma non nell’anima, che sarebbe via dal corpo. Questa è naturalmente un’illusione, ma il desiderio c’è. E dice a se stesso che se continua a vivere è doppiamente morto: una volta perché è diventato impotente nei confronti del suo corpo, e in secondo luogo perché vive ogni giorno l’impotenza nella sua anima – quindi la morte è preferibile a questo stato. Qui si parla in maniera molto concreta di un aumento, di un incremento non solo della depressione, ma anche dei pensieri suicidi nell’umanità.

Quelli fra voi che hanno letto il volume del settembre del 1924, queste conferenze che ho spesso ricordato di Steiner sull’Apocalisse Vorträge und Kurse über christlich-religiöses Wirken, V, O.O. 346, si ricorderanno con che violenza Steiner parla di questi uomini scorpione. E se non l’avete ancora letto, potete leggerlo perché è davvero sconvolgente. Rudolf Steiner dice – e l’ha detto solo quest’unica volta poco prima di morire – che in definitiva queste locuste, questi uomini che nella visione, nell’immaginazione dell’Apocalisse appaiono come locuste con pungiglioni di scorpione, sono uomini che si aggirano sulla Terra con sembianze umane. Rudolf Steiner dice: oggi quelli sono uomini in cui non c’è l’Io – già a quei tempi erano abbastanza numerosi e possiamo supporre che oggi lo siano ancor di più.

Ci sono molte possibilità di spiegazione: sono uomini che hanno un’anima inchiodata al materialismo (è già da un po’ che abbiamo il materialismo sulla Terra), anime che per esempio non sono adatte alla loro epoca perché sono scese sulla Terra due o tre secoli prima del tempo. Ci sono molti uomini, molte anime umane in cui c’è poco spirito, che tendono ad accorciare l’intervallo fra la morte e la rinascita perché sono così materialiste che la brama di tornare sulla Terra è fortissima e non sanno cosa fare nel mondo spirituale. E queste due cose producono un desiderio molto potente di tornare il più presto possibile sulla Terra.

Poi ci sono molti uomini che riducono di due o più secoli il tempo nel mondo spirituale e tornano giù in un’epoca che non è adatta a loro, con uomini che non devono essere loro contemporanei. In questo senso si è creata una gran confusione nel karma dell’umanità.

Se ci sono uomini senza Io, in condizioni culturali inadeguate a loro, allora questa è la presenza di uomini senza patria non in senso buono, ma nel senso che sono totalmente alla mercé di tutte le forze possibili che li circondano. Soggetti al potere, al potere delle aziende, dei governi ecc., soggetti al fattore istintivo della natura. E se si mettono insieme il modo in cui gli uomini sfruttano questi uomini deboli – e questo è l’anonimato che c’è dappertutto – e il modo in cui le forze della natura acquisiscono un potere sempre più grande sull’uomo, allora si ottiene già un certo numero di uomini che cominciano quasi solamente a vegetare. Che cos’è l’immagine delle locuste se non un’immagine spaventosa di uomini che smettono quasi di essere uomini e cominciano a vegetare come locuste?

Allora non possiamo davvero dire che questi siano ancora castelli in aria, perché con queste immagini l’Apocalisse può diventare un libro in cui noi cominciamo adesso, con il battito d’ali dell’aquila, a vedere e a studiare davvero il significato dei sigilli. E allora queste immagini possono fornirci la chiave per capire molte cose che succedono nella nostra epoca.

Per questo ho sottolineato che queste cose non sono dette per opprimerci ancora di più, per farci rassegnare ancora di più, ma per mostrarci che c’è qualcosa da fare e che dobbiamo trovare il coraggio di farlo. Se infatti non si fa il bene le controforze hanno via libera.

Le controforze devono esserci, il bene no. Quindi in questo senso c’è sempre uno squilibrio. Proprio perché può essere omesso, il bene non può mai essere automaticamente più forte del male. Il male dev’essere più potente perché deve esistere necessariamente. Il male, le controforze, non perdono mai un colpo, perché sono necessari per natura. Il bene può mancare tutti i colpi buoni.

Quindi nelle controforze l’omissione è impossibile: devono esserci, esistono per natura. Certo, adesso non si deve dare un’interpretazione pessimistica dicendo che è un’ingiustizia che le controforze si presentino sempre più potenti perché a loro non può mai mancare niente, mentre il bene è così a rischio perché gli può mancare tutto, visto che tutto è libero e non necessario. Va bene così. E la consolazione per questo squilibrio quantitativo è che un pizzico di bene, un bene prodotto spontaneamente, ha un peso morale maggiore rispetto a tutta la quantità di controforze dove non c’è nessuna libertà.

Allora tutte le volte che l’uomo diventa pessimista, o minaccia di diventarlo, è decisivo questo pensiero, un pensiero che dev’essere continuamente fatto e per cui è stata scritta l’Apocalisse: non importa che le controforze siano più potenti perché sono complete, perché non possono mancare, perché sono necessarie, e non importa che il bene sia così a rischio perché può sempre mancare, e può mancare del tutto se non viene conseguito. Non importa, perché l’Agnello da solo, uno di numero, ha nel cosmo un peso morale molto maggiore di tutte le controforze messe assieme. Il pensiero salvifico è che sul piatto della bilancia morale degli avvenimenti del mondo anche un solo pensiero, una sola azione, il più piccolo atto d’amore compiuto in libertà ha un peso morale superiore a tutto ciò che è necessario per natura nel mondo. Perché quello è successo in libertà e l’altro dev’esserci per forza, e non è libero.

9,7 «E le locuste sembravano destrieri preparati per la guerra e sulle loro teste c’era qualcosa come corone d’oro e i loro volti sembravano volti umani.»

Ecco un elemento guerresco, l’impulso di farsi la guerra a vicenda. Qui non c’è il cavallo nel senso delle forze del pensiero, ma il destriero su cui cavalca il cavaliere per fare la guerra contro gli altri. La testa sembra quella di un uomo, poiché sono uomini, avrebbero potuto essere uomini. Se li si osserva esteriormente si ha l’impressione che si tratti di un uomo, ma in realtà, nelle loro forze reali, manca lo specifico dell’umano, manca la corona. Quella che portano è solo una corona esteriore, una corona ingannevole, ma la vera corona, le forze dell’Io, manca. E per questo c’è anche l’elemento fallace. Al fatto che tutto venga mangiato dal veleno del pungiglione e dalle locuste si aggiunge la corona ingannevole: hanno l’aspetto umano senza essere tali, “sembrano”, uomini, ma non sono uomini È un inganno.

9,8 «E avevano capelli come quelli delle donne e denti come quelli dei leoni»

I capelli sono le forze astratte dell’anima Quindi forze vitali lussureggianti e denti leonini che, prosperando come forze vitali, non permettono il germogliare della coscienza. Forze vitali e forze della coscienza costituiscono infatti una polarità. Più forze vitali sono in movimento, per esempio dopo un pasto luculliano, meno si possono sviluppare contemporaneamente le forze coscienti, quindi la concentrazione intellettuale. Plenus venter non studet libenter, dicevano gli antichi: una pancia piena non studia volentieri.

Questa quindi è un’alternanza necessaria e per questo durante il giorno sviluppiamo la coscienza e consumiamo le forze vitali – come una candela che bruciando consuma la cera – e di notte dobbiamo disattivare la coscienza. Così, dato che la coscienza non consuma più le forze vitali, queste vengono ricostituite per essere usate di nuovo il giorno dopo.

Sviluppare la coscienza vuol dire consumo di forze vitali e costituire forze vitali significa oscuramento della coscienza. L’una cosa produce direttamente l’altra. Se qui viene detto che i loro denti sono denti di leone significa che sono esseri in cui prosperano le forze vitali e in cui la coscienza, la coscienza dell’aquila, non ha nessuna chance.

Il senso della costituzione delle forze vitali è che vengano consumate, non che vengano godute in quanto tali, perché questo è lo specifico della pianta. La pianta si gode le forze vitali perché in quanto pianta non è chiamata a sviluppare una coscienza. Quindi il vero godimento delle forze vitali consiste nell’usarle, nel consumarle. Nell’uso e nel consumo delle forze vitali si accende la coscienza, e lo sviluppo della coscienza è la vera felicità dell’uomo, perché è lì che l’uomo si vive come spirito.

Nel rigoglio delle forze vitali l’uomo si vive come pianta. Come può essere felice? La felicità dell’uomo è la coscienza, non la vita. La vita è la cera, sono le forze che vanno smantellate. E pensare significa sempre smantellare le forze vitali. Nelle vie nervose c’è la minor quantità di forza vitale perché lungo queste vie scorrono le forze intellettuali. E i pensieri possono balenare solo dove il rigoglio della vita viene ritirato. Per questo dev’essere costantemente ricostituito.

Abbiamo diverse caratteristiche delle locuste: i capelli, i denti. Adesso arriva la corazza.

9,9 «e la loro corazza era come di ferro»

Quindi invece del calore qui nel petto, nella regione cardiaca, abbiamo la corazza. Cosa vuol dire che la zona dove c’è il cuore – naturalmente non solo in senso fisiologico, ma sempre in senso animico – è di ferro? Le forze della volontà possono essere di ferro, in esse ci dev’essere la forza e la resistenza del ferro, implacabile. Ma che cosa vuol dire che un cuore diventa di ferro?

Vuol dire che manca la tenerezza, non è tenero, è un cuore pieno di durezza. Tra l’altro l’indurimento viene espresso in modo ancora più potente con il metallo che con la pietra, perché il metallo è più duro della pietra. La pietra è fragile, il metallo no, in questo senso è più duro. Direte: ma se metto il metallo nel fuoco allora è meno duro della pietra. Ma senza fuoco il metallo è più duro della pietra. Quindi un’immagine della durezza, della durezza di un cuore senza calore: il cuore viene usato come corazza per l’autodifesa e per l’attacco anziché come ponte per la comprensione. Invece di avere rapporti “cordiali” fra di loro, gli uomini si rapportano con una corazza, una corazza di ferro. Quindi l’immagine è già eloquente. Mancano completamente le forze del cuore, la cordialità. Un isolamento completo, una totale durezza, dove non si può arrivare e da cui non ci si può aspettare niente.

9,9 «e il rumore delle loro ali era come il rumore di carri trainati da molti destrieri che corrono alla guerra.»

Adesso le ali. Le ali sono gli impulsi ampliati delle braccia e delle mani, ciò che vive nelle braccia e nelle mani. Se le vediamo dal punto di vista fisico, allora sono mani e braccia, ma intorno a questo elemento fisico ce n’è uno eterico, uno astrale. A livello sovrasensibile è sempre un’ala, naturalmente. E per questo nell’euritmia il sovrasensibile viene reso visibile un po’ più lievemente per mezzo dei veli. Nell’euritmia vengo aiutato a vedere un po’ oltre alla pura fisicità. Ed è attraverso quello che vedo che vengo portato nella realtà dell’eterico e dell’astrale.

E che aspetto hanno queste ali, quali caratteristiche? Sono rumorose come carri da guerra. Di nuovo forze bellicose, forze per combattere, per distruggere, forze che hanno lo scopo di portare agli uomini un aspetto della morte. Quindi forze foriere di morte.

Il versetto 10 è ancora più importante:

9,10 «E avevano code come quelle degli scorpioni e avevano pungiglioni, e nelle code c’era il potere di nuocere agli uomini per cinque mesi»

Sfogliate un po’, senza perdere il segno, e prendete il versetto 19 di questo stesso capitolo 9. La seconda piaga, quindi la sesta tromba. 9,19 «La forza dei destrieri era nella loro bocca e nelle loro code». Allora, nelle locuste la forza dannosa è nella zona inferiore, nella zona delle forze riproduttive: le forze dello scorpione sono le forze riproduttive, lì c’è il pungiglione. Ciò significa che nelle locuste, nel primo grande flagello della quinta tromba, le controforze sono soprattutto nelle forze riproduttive, nelle forze sessuali che rendono l’uomo completamente istintivo. Lì viene portato a morte.

Nella piaga successiva le controforze sono ancora nelle forze metaboliche e negli arti (le code), ma in più c’è anche la polarità della bocca (che appartiene alla testa e qui rappresenta le forze neurosensoriali). Quindi la coda di questi destrieri è come il pungiglione dello scorpione, ha l’aspetto di una coda come nelle locuste – bisogna rapportarsi artisticamente a queste immagini, come nelle fiabe –, sembra una coda, ma in realtà è il pungiglione dello scorpione. Avevo già accennato a ciò che ha fatto sì che nello zodiaco lo Scorpione abbia preso il posto dell’Aquila. Per questo qui abbiamo nel cielo l’aquila che ci fa notare queste tre piaghe e sotto le locuste con il pungiglione dello scorpione. Gli uomini dell’epoca capivano immediatamente queste analogie, noi invece le dobbiamo conquistare faticosamente.

Come sono cadute le forze del pensiero, com’è caduta la coscienza? La coscienza dell’uomo che si muoveva nel contenuto spirituale del cosmo con le forze dell’aquila, è stata talmente afferrata dalle forze del corpo che ha cominciato a vivere con un piacere e intensità le forze della riproduzione. L’essere catturato dalle forze della riproduzione, dall’elemento istintivo delle forze sessuali, ha ucciso completamente il suo spirito, l’ha oscurato del tutto, e l’uomo è diventato istintivo. Questo è il mistero delle locuste: uomini diventati istintivi, massimamente istintivi per via dell’esuberanza delle forze sessuali. Questo è il pungiglione dello scorpione, ovviamente con tutto quello che comporta.

Voglio dire, se siamo un po’ onesti, quanto viene rappresentato in questa immagine oggi avrebbe bisogno di un’intera biblioteca sulla rivoluzione sessuale e sul modo in cui l’umanità odierna si rapporta alle forze sessuali. E se già Steiner a quei tempi sosteneva che ci siamo dentro in pieno, oggi evidentemente vale la stessa cosa in misura maggiore.

Il pungiglione dello scorpione è naturalmente un grande mistero dell’evoluzione, poiché le forze della riproduzione, forze riproduttive inferiori, danno nello stesso tempo la vita fisica quando servono a generare un bambino, e allora sulla Terra arriva un’altra individualità; ma nello stesso tempo generano il corpo, che poi dovrà morire. Per questo nessun’altra forza è così enigmatica come quella della vita e della morte, come la forza riproduttiva.

Nell’aquila che lassù indica queste tre piaghe vivono le forze riproduttive superiori, del generare nello spirituale, della conoscenza. E non mi stancherò mai di far notare la fortuna della lingua tedesca che usa la stessa parola, “Zeugung”, sia per il concepimento nella sfera inferiore, dove vita e morte sono così vicine, sia per il concepimento nella sfera superiore dello spirito; per il concepimento dello scorpione e per quello dell’aquila. Anche in italiano si dice: concepire un figlio e concepire un’idea, un progetto. Concepimento inferiore nell’ambito fisico e concepimento superiore nel pensiero: entrambi sono un generare e sono polarmente opposti.

Steiner spiega questo concetto in molte conferenze: le stesse forze quando agiscono nel corpo, nella materia del corpo, hanno un effetto riproduttivo; le stesse forze, quando agiscono slegate dal corpo, sono le forze del pensiero. Ma sono le medesime forze, che una volta agiscono nella materia del corpo e un’altra volta sono libere dal corpo.

Quand’è che il bambino comincia a poter pensare? Quando ha lavorato a sufficienza sul suo corpo, così che determinate forze formanti che hanno agito fino a quel momento nel corpo diventano superflue, e cominciano ad agire al di fuori della fisicità. Che cosa vuol dire “il bambino comincia a poter pensare”? Vuol dire che adesso ha a disposizione un po’ delle forze che fino a questo momento hanno costruito e plasmato il corpo, perché le forze plasmatrici e le forze della riproduzione sono le stesse. Le forze della crescita servono all’autoconservazione, quelle riproduttive per la riproduzione, ma la natura è la stessa. Con le forze della crescita l’uomo si conserva e con quelle riproduttive si riproduce.

Intorno ai sei, sette anni il bambino non ha bisogno che tutte le forze agiscano nel corpo come forze plasmatrici dato che gli organi e il corpo hanno raggiunto un certo stato definitivo, e si tratta solo di renderli più grandi. Le forze formanti hanno già agito. Le forze che emergono a questo punto e che cominciano ad agire come forze formanti indipendenti dal corpo, sono pensieri. Le forze della crescita sono le forze del pensiero che agiscono nel corpo del cosmo; le forze del pensiero sono forze vitali che agiscono indipendentemente dal corpo. Vedete, tutta la scienza dello spirito di Rudolf Steiner è davvero il miglior aiuto in assoluto per avere i fondamenti necessari ad orientarsi con testi come questo.

9,11 «Sopra di loro avevano un re, l’angelo dell’abisso; in ebraico il suo nome è Abaddon e in greco Apollion.»

La forza guida di questi uomini-pungiglione, di questi uomini-scorpioni, di questi uomini-locuste è l’angelo dell’abisso. Quest’angelo è la forza guida delle controforze che operano nella natura, controforze che esistono allo scopo di servire da ostacolo, così che l’uomo si rafforzi. Il senso della controforza è il rafforzamento della forza buona.

Una semplice immagine che può essere sempre usata è questa: se rafforzo la mia forza muscolare, se la voglio rafforzare ulteriormente, prendo una controforza, una molla. Qual è il senso della molla? È cattiva perché agisce contro i miei muscoli? No, il senso è che contrastandola aumento la mia forza. E più sono forte, più forte dev’essere la controforza. Per questo è fuorviante dire che queste controforze sono cattive. Solo il modo in cui l’uomo si rapporta ad esse, lotta con esse, può essere buono o cattivo. Per l’uomo è un bene se diventa ancora più forte grazie al contrasto con le controforze, è un male se si lascia fregare.

Quindi Mefistofele come controforza necessaria non è né buono né cattivo: è una controforza necessaria, dato che senza controforza non c’è evoluzione. Il modo in cui Faust si rapporta a Mefistofele è buono per lui, nel senso che Faust non si fa mai fregare e anzi, ribellandosi, diventa sempre più forte nel senso del bene. Allora, grazie al modo in cui l’uomo si rapporta ad essa, anche la controforza ha contribuito al bene.

Già questo pensiero che le controforze sono necessarie, che non sono cattive, e che è il modo di rapportarsi ad esse che può essere buono o cattivo, può ridurre il presunto aspetto terrorizzante dell’Apocalisse. Non si tratta infatti di terrorizzare gli esseri umani, ma di prendere coscienza: se l’uomo non è l’ultima schifezza della creazione, se ha qualche valore, allora anche le controforze devono valere qualcosa. Altrimenti l’uomo non varrebbe niente. Per l’uomo è già un complimento che queste controforze debbano essere mobilitate per tenergli testa.

Il nome di quest’angelo in ebraico è Abaddon: abar vuol dire “corrompere” in ebraico; e in greco Apollion, ‘ApollÚwn (Apollìon) e non è Apollo, è qualcos’altro: deriva da ¢pÒ lÚw (apò-lýo), apo vuol dire “via da” e lyo “sciogliere”. Sono le forze che dissolvono l’uomo, lo annullano. Questo è allora quel che viene escluso, eliminato. Nei nome è espressa l’essenza.

9,12 «Il primo guai è passato, ecco che ne vengono altri due.»

9,13 «E il sesto angelo suonò la sua tromba; ed io udii una voce dai quattro angoli dell’altare di Dio»

Non i quattro angoli della Terra ma i quattro angoli dell’altare. La cosa diventa ancor più centrale, ancor più essenziale. Prima si trattava ancora dell’umanità intera, di tutta la Terra, adesso viene attaccata direttamente la parte più sacra dell’uomo. L’altare è il luogo in cui avviene o viene omesso il rapporto con il divino. Direttamente il rapporto con il divino, dove l’uomo o diventa sacerdote o omette di diventare sacerdote, di diventare uno spirito che ha a che fare con gli spiriti.

9,14 «che diceva al sesto angelo che aveva la tromba: sciogli i quattro angeli legati sul gran fiume Eufrate.»

9,15 «E furono lasciati andare i quattro angeli che erano pronti per l’ora, il giorno, il mese e l’anno, per uccidere la terza parte degli uomini.»

Adesso viene uccisa la terza parte degli uomini, e precisamente la parte spirituale, il terzo spirituale degli uomini; il corpo non dev’essere ucciso dato che in esso non c’è vita spirituale. Ecco l’immagine dell’Eufrate. Rudolf Steiner descrive che nel mondo sovrasensibile, nel mondo astrale, l’elemento “gruppale” che abbiamo sulla Terra come gruppi di uomini, ciò che sulla Terra è il gregarismo, l’essere assorbiti in un gruppo, di qualunque genere esso sia (l’omissione dell’individualità in generale viene chiamata “gruppo” ) nel mondo astrale ha l’aspetto di fiumi. Il fatto che l’elemento di gruppo sia ancora presente al sesto stadio significa che sono state omesse un sacco di cose, poiché già a “5” l’individualizzazione deve entrare fortemente in azione.

L’Eufrate è come l’archetipo dei fiumi. Sono uomini che non sono individualizzati, che non sono diventati individuali, e vanno con il fiume, con il fiume astrale. È un fiume di sostanza animica, che non è spirito, ma appunto “gruppalità” animica. I contenuti di pensiero di questi uomini sono quelli del gruppo: di una qualsiasi religione o di una chiesa qualsiasi, o di uno stato o di un popolo. I contenuti di pensiero, le emozioni, sono quelle del gruppo. Gli impulsi volitivi, gli obiettivi, ciò che è stato perseguito con le azioni, apparteneva al gruppo, ma non c’era niente di individuale. È come se qui nel mondo astrale, soprattutto con le trombe, le immagini dei fiumi potessero parlare. Nella fantasia appaiono immagini di fiumi.

Il fatto che questi uomini abbiano omesso l’elemento individuale si manifesta con il loro essere uccisi nel terzo superiore del loro essere. Dato che durante l’evoluzione lo spirito non è stato prodotto, non è stato creato, dato che si è omesso di aggiungere l’elemento individuale, che cosa rimane? Lo spirito non c’è, è stato ucciso, non è stato generato, resta solo l’anima. E quella è il fiume. Ecco allora che è possibile conciliare fra loro queste immagini.

Qui si dice che i quattro angeli erano pronti: quindi questi angeli, queste controforze, sono destinati, hanno per così dire un compito, non possono decidere liberamente, altrimenti sarebbero forze buone, se avessero la facoltà di decidere liberamente cosa fare e quando intervenire, non sarebbero le controforze agli ordini degli spiriti buoni. Le controforze devono attenersi a quanto viene loro ordinato.

Mefistofele non è uno spirito che può decidere autonomamente quando intervenire e che cosa fare. Viene evocato dal basso dal buon Dio e ottiene un ruolo: “Caro Mefistofele, adesso tocca a te”. E lui deve attenersi al suo ruolo e al suo tempo. Se fosse uno spirito che può decidere autonomamente cosa fare e quando, non sarebbe una controforza ma una forza del bene.

Quindi, dato che le forze ostacolatrici vengono comandate e non possono impartire ordini, l’immagine dell’Apocalisse le descrive pronte per l’ora, il giorno, il mese e l’anno in cui gli viene detto: avanti adesso! Ma questo “avanti” deve essergli detto, non possono deciderlo liberamente. Il momento in cui intervenire viene deciso dalla saggezza dell’evoluzione dell’umanità, non arbitrariamente da loro. “E furono lasciati andare”: vedete, non sono partiti da soli, sono stati lasciati andare. L’Apocalisse è così precisa.

9,16 «E il numero dell’esercito a cavallo era molte migliaia di migliaia, ne intesi il numero».

Molte migliaia di migliaia è un numero incalcolabile, cioè un numero che non si può contare. Il concetto dell’incalcolabilità è un concetto esoterico che Steiner ha spiegato diverse volte. Dice: nella sfera superiore si trovano gli esseri elementari dell’aria e della luce che tendono a sfumare in un’unità. Invece gli esseri elementari dell’acqua e della terra – e qui sono quelli dell’abisso, cioè della materia, della materia profonda – sono innumerevoli. Gli gnomi, i coboldi, le ondine, se li si percepisce spiritualmente nell’immaginazione, si ha l’impressione di aver appena cominciato a contarli, si è arrivati a malapena a cinque, e quelli sono diventati perlomeno quindici o venti.

E che cos’è l’incalcolabilità, a cui il pensiero umano non riesce a star dietro? È il mistero dell’atomizzazione, della separazione di tutte le forze. E se tutte le forze si allontanano le une dalle altre, se vengono atomizzate, qual è il risultato finale? La polvere cosmica. Non resta più nessuna forza formante. I Greci chiamavano caos la polvere cosmica e la mitologia nordica la chiamava Ginnungagap, l’abisso profondo. E questa polvere cosmica, residuo di una precedente creazione, funge da substrato per una creazione successiva, poiché in questa polvere cosmica non ci sono forze formanti né forze animiche. Questo è il termine tecnico di “polvere cosmica”. Sono le forze dello abisso che vogliono distruggere tutto ciò che è organico. Vi chiedo: che cos’è l’energia nucleare? È questa. È questa in tutto e per tutto, l’ultima forza di dispersione, dove tutto ciò che esiste viene annientato, in modo addirittura irrevocabile. Questo è l’elemento perturbante del rapporto con l’energia nucleare. E siamo solo agli inizi.

A proposito: il fatto che l’uomo d’oggi, invece di avere un pensiero organico, voglia capire tutto come combinazione di parti indica che gli uomini sono già molto avanti nell’atomizzazione del loro pensiero, al punto che il pensiero è già bello che atomizzato. Goethe l’ha rappresentato in modo sconvolgente nel suo homunculus, con cui il personaggio Wagner disprezza quelli che pensano che l’uomo sorga attraverso l’organizzazione, cioè come unità organica. No, dice, l’uomo nasce mediante la cristallizzazione. E che cos’è la cristallizzazione? Una combinazione esteriore di pezzi dove manca il legame della vita. Manca l’elemento organico, manca la forza eterica, poiché l’uomo d’oggi non ne ha più idea. Quindi l’homunculus deve conoscere tutta la notte classica di Valpurga, tutto il mondo degli spiriti, tutte le forze dell’astrale per potersi confrontare con loro, per diventare, da omuncolo che non è ancora uomo, uomo a tutti gli effetti. E alla fine del secondo atto c’è l’incontro con Elena, che è un essere umano, non un omuncolo. In questo senso Goethe e il suo Faust sono davvero rivolti al futuro.

Nessuno può contare questi cavalieri perché il numero che l’apocalista sente è un numero che non può essere contato. Infatti non dice quante migliaia, ma: “molte migliaia di migliaia”. E in greco questa espressione significa che non li si può contare, che non si finisce mai di contarli.

Gli Io degli uomini sono numerabili, poiché sono contati: la divinità li ha contati. Non sono anonimi o incasinati, no, sono contati e per questo sono numerabili. L’evoluzione esiste affinché noi conosciamo sempre meglio il nostro organismo spirituale dell’umanità; affinché impariamo persino a contare tutti gli individui che ne fanno parte, perché ciascuno è importante. L’organismo dell’umanità non sarebbe al completo se mancasse anche un solo Io umano.

Quante volte nelle sue conferenze Rudolf Steiner descrive Arimane come il signore dei numeri, dell’atomizzazione, dell’incalcolabilità dove tutto si frantuma; il signore della distruzione, dello smembramento. Come Lucifero è il signore dell’unità indistinta, astratta, senza contenuto, dove regnano solo slogan, solo astrazioni. E l’umanità sta nel mezzo, fra l’atomizzazione distruttiva e l’unità astratta che rende indistinto lo spirito. Fra il materialismo e l’astrazione c’è lo spirito umano che si muove fra l’uno e l’altra, che sa gestire l’unità e la molteplicità, per il fatto che arricchisce l’unità con la molteplicità e non si lascia sfuggire la molteplicità dalle dita, riconducendola sempre ad un’unità.

Per questo i due movimenti fondamentali del pensiero sono l’analisi, cioè il coraggio della molteplicità, e la sintesi. Se si ha solo la sintesi si diventa astratti, se si ha solo l’analisi si va a finire nell’infinità, ci si perde nei dettagli. E il pensiero umano, il respiro del pensiero umano, è muoversi fra sintesi e analisi, e poi di nuovo sintesi e poi di nuovo analisi, come un respiro, come un espirare e un inspirare del pensiero.

9,17 «E così in questa visione vidi i destrieri e coloro che li cavalcavano: avevano corazze rosso fuoco, blu e giallo zolfo e le teste dei destrieri erano come teste di leone»

Abbiamo una triade (che si ripeterà nello stesso versetto) e l’elemento animale, gli impulsi animali – ovunque ci sono animali sono sempre “gruppalità” dell’anima, perché la differenza fondamentale fra animale e uomo è che ogni animale appartiene ad una specie. L’animale non ha niente di individuale. Certe persone continuano a commettere errori fatali nel pensiero, visto che trovo sempre qualcuno che dice: Naturalmente tutti i cani sono privi di Io, ma il mio cane è davvero un’eccezione... Questo io lo chiamo: oscuramento del pensiero per mezzo del desiderio. Si desidera che il proprio cane sia diverso dagli altri, e questo annebbia il pensiero.

Gli animali sono raggruppati in specie e tutti i leoni sono spinti dalle medesime forze istintive. E il fatto che questo leone, nella sua corsa, abbia dovuto evitare degli alberi completamente diversi da un altro leone non è affatto segno di individualizzazione, perché questa si oppone all’essere del leone. Le cose starebbero diversamente se un leone cominciasse a dire: io faccio in un altro modo.

L’affermazione fondamentale sull’uomo dai tempi di Aristotele, e poi di tutta la corrente cristiana, è che ogni uomo è una specie a sé. L’Apocalisse è piena di immagini di animali e ogni immagine di animale significa un impulso “gruppale” nell’uomo così come viene visto nell’immaginazione.

E beninteso l’elemento di gruppo dev’esserci nell’uomo, poiché l’essere umano è possibile solo se alla sua base c’è tutto quello che hanno anche le pietre. Abbiamo bisogno di una base minerale, che cosa saremmo, per esempio, senza l’elemento calcareo delle ossa? Allora, la base minerale fa parte della natura umana. Poi dobbiamo avere anche tutte le forze vitali che sono all’opera nelle piante. Questo non è un motivo per dire: ah, ecco, allora l’uomo è uguale alle piante. No, il fatto che anche l’uomo abbia tutto quello che hanno le piante non significa che debba ridursi a questo. E infine l’uomo deve anche avere tutto quello che c’è negli animali, e perfino in sintesi. Cioè deve avere in sé tutte le specie animali, tutte le loro qualità animiche: l’astuzia della volpe, la forza del leone, l’ingordigia dei roditori ecc., tutte queste qualità “gruppali”, che rappresentano le specie animali – perché ogni specie è un impulso animico preposto a dare quella particolare forma a quell’animale. Quindi la fisionomia di ogni specie animale è la manifestazione di una forza animica. E l’uomo deve compiere la sintesi, deve armonizzare nella propria anima tutte le forze animiche presenti negli animali.

Quindi tutte le nostre qualità animiche sono “gruppali”. L’elemento specificamente umano, veramente umano, comincia solo quando l’uomo aggiunge qualcos’altro e crea qualcosa che né le pietre, né le piante, né gli animali hanno. Solo questo può essere definito umano, perché il resto ce l’ha in comune con gli animali, con le piante e con le pietre.

L’abisso dell’evoluzione consiste nel fatto che l’uomo omette di produrre quanto è specificamente umano, vale a dire l’elemento individuale, diverso in ogni uomo. Questa è la sua creazione, dato che nessuno può dirgli chi è. E se la omette, nella misura in cui la omette si riduce, si accontenta di ciò che ha in comune con gli animali. Invece di diventare uno spirito, un Io spirituale, uno spirito individualizzato liberamente creatore, uno spirito creatore a modo suo, si riduce ad essere un’anima. E gli animali sono esseri animici. L’animale è l’essere animico per eccellenza.

L’uomo è chiamato ad aggiungere lo spirito, e questo è il senso dell’evoluzione umana. Nello spirito ogni uomo è una specie a sé; non ci sono due esseri umani paragonabili. Gli uomini non sono paragonabili fra loro. Sarebbe come paragonare un leone a un gatto: chi è meglio? È diverso. Un leone è un leone, e un gatto è un gatto. Come gatto è meglio essere un gatto e come leone è meglio essere un leone. Ma non sono paragonabili nel senso che il leone debba essere un gatto peggiore del gatto, o che il gatto debba essere un leone meno buono. No, no, il gatto va bene come gatto.

Così sono gli esseri umani, e noi siamo ancora agli inizi della creazione dell’individuale, cominciamo appena a renderci conto che gli esseri umani, nella misura in cui sono tali, non sono affatto paragonabili. Vuol dire che nessun uomo può essere l’unità di misura del comportamento di un altro. Ciò che è buono per uno non lo potrà mai essere allo stesso modo per un altro, poiché l’altro è completamente diverso.

Nella misura in cui, attraverso la seduzione, l’attrazione esercitata dalla comodità dell’elemento di gruppo, rimaniamo “gruppali” come pecore nel gregge, omettiamo l’elemento individuale e ci uniformiamo reciprocamente. E quand’è che gli esseri umani cominciano a uniformarsi a vicenda? Quando uno pensa di conoscere bene l’altro. Ma io conosco bene l’altro solo per quanto riguarda le cose che abbiamo in comune. Il giudizio cessa per quanto riguarda ciò in cui ognuno è unico nel suo genere. Per questo nel Vangelo Cristo pronuncia queste parole lapidarie: non giudicate! Io non ho idea di chi sia l’altro, perché non sono l’altro. Come posso sapere che cosa è buono e che cosa è cattivo per lui? E come posso avere idea di quello che sa fare e di quello che omette perché avrebbe potuto farlo nel senso del bene? Per saperlo dovrei infilarmi nei suoi panni, dovrei conoscere per filo e per segno tutte le possibilità di cui dispone.

È già una fortuna che un uomo possa fare un simile conto per sé, perché si tratta di qualcosa di molto difficile. Qual è infatti l’uomo che sa esattamente tutto quello che potrebbe fare in un giorno, nel suo pensiero, nel suo amore, nelle sue azioni? Per non parlare di quello che pretendo di scoprire a proposito dell’altro, di quello che avrebbe potuto fare e che ha omesso. Non giudicate! Basta, finito.

Questa è stata una digressione per dire che quando qui si parla di animali è sempre in primo piano il mistero dell’elemento “gruppale”: base e condizione necessaria per produrre e aggiungere ciò che è individuale. L’abisso dell’evoluzione è la Bestia nel senso che l’uomo non ha prodotto nulla di individuale ed è rimasto nell’anima del gruppo. Questo è davvero l’abisso dell’evoluzione, perché tutto il creato, tutta l’evoluzione esiste per creare i presupposti che rendano possibile ad ogni uomo di diventare a modo suo creatore e lui non lo fa! Se volessimo trasporre la nostra psicologia umana alle gerarchie spirituali, allora fra gli angeli, gli arcangeli, gli spiriti del tempo ecc. su su fino ai troni, ai cherubini e ai serafini, dovrebbe regnare una delusione senza pari, una tristezza senza pari, dato che hanno fatto di tutto insieme al Cristo, all’Agnello di Dio, al Figlio, per eoni ed eoni allo scopo di creare le condizioni, le basi per la libera creatività dell’uomo, e l’uomo non la mette in pratica.

Allora, “avevano corazze rosso fuoco, blu e giallo zolfo, e le teste dei destrieri erano come teste di leone

9,17 «e dalle loro bocche usciva fuoco fumo e zolfo.»

La bocca è la soglia da cui l’interiorità si manifesta all’esterno. È la soglia fra interno ed esterno. E qui c’è una bocca di animale. Cosa ne esce? L’elemento “gruppale”, che uccide l’individualità. E ciò che è “gruppale”, animale, la controforza all’elemento individuale, viene divisa in tre parti: quindi di nuovo una triade. E i diversi aspetti di questa triade vengono lasciati alla ricerca di ognuno. Ma le immagini sono molto belle: fuoco, fumo e zolfo.

Che triade è questa? Fuoco: non il fuoco dell’amore (altrimenti sarebbe individuale), ma fuoco per bruciare, per distruggere. Fuoco che brucia, non che accende. Il fumo è l’oscuramento dell’aria pura, l’oscuramento della luce. Quindi fuoco contrapposto al calore dell’amore, fumo contrapposto allo splendore della luce, alla chiarezza della luce. E lo zolfo? Sono le forze della volontà. Invece di bruciare sostanza vitale per compiere le azioni dell’amore si forma lo zolfo.

Il fumo è l’oscuramento della luce del pensiero; il fuoco è l’incenerimento del calore dell’amore e lo zolfo è la decomposizione degli impulsi volitivi. Sono i colpi di impotenza. Con che cosa si fa la povere da sparo? Con lo zolfo. Abbiamo qui fra noi degli scienziati che possono dirci che cos’è lo zolfo? Che cos’è lo zolfo, il solfuro? Che cos’è il solfuro, che elemento è? È pseudofuoco. È fuoco nella natura inferiore, sulla via verso la natura inferiore: ecco che cos’è lo zolfo! Invece dell’uso e del consolidamento delle forze della volontà abbiamo la decomposizione di queste forze.

9,18 «Da queste tre piaghe, dal fuoco, da fumo e dallo zolfo che usciva dalle loro bocche, fu uccisa la terza parte dell’umanità.»

Lo spirito individuale viene ucciso, mentre rimane l’elemento animico animale, di gruppo. Fuoco, fumo e zolfo come forze di ciò che hanno dentro e che fuoriesce all’esterno. Interiormente hanno le forze del fuoco (che brucia, che annienta), le forze del fumo e le forze dello zolfo, e queste vengono all’esterno come contenuto della loro interiorità.

9,19 «Perché la forza dei destrieri era nelle loro bocche e nelle loro code»

Prima, nelle locuste, c’erano solo le code (cioè l’elemento antiumano negli arti, nelle forze riproduttive); qui l’elemento antiumano è duplice: sotto nelle code e sopra nelle bocche. Quindi si moltiplica: le controforze si moltiplicano. La piaga raddoppia. Siamo alla seconda piaga.

9,19 «perché le loro code erano uguali a serpenti e avevano teste con cui facevano danni.»

Adesso entrambi i poli sono diventati antiumani. Il polo della coda, dove prima c’era solo il pungiglione dello scorpione, e adesso il polo della bocca. Perché prima – ricorderete – al versetto 10 era stato detto: “e nelle code c’era il potere di nuocere agli uomini per cinque mesi”. Qui si nuoce sopra (le bocche) e sotto (le code).

9,20: «Tuttavia il resto degli uomini che non furono uccisi da questi flagelli non si pentirono delle opere delle loro mani, né smisero di adorare gli spiriti malvagi e gli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, idoli che non possono né vedere, né udire, né camminare»

Questo è l’uomo che si dà a ciò che è materiale, che vede la realtà solo in ciò che è materiale, fisico esteriore. Ognuno vedrà nel dettaglio che cosa sono gli idoli d’oro, d’argento, di bronzo; sono i pianeti, quindi qui ci si riferisce ai demoni dei pianeti. Non il genio del Sole, ma l’idolo d’oro, che è il demone del Sole, l’idolo d’argento, che è il demone della Luna e così via…

9,21 «e non si sono pentiti neppure dei loro omicidi, né della loro magia, né della loro fornicazione, né dei loro furti.»

Nel Vangelo abbiamo visto che il dualismo di Lucifero, la tentazione dall’interno, e Arimane, la tentazione dall’esterno vengono rappresentati nelle due immagini del ladro e dell’assassino. Il ladro è l’uomo che si chiude egoisticamente in se stesso e che si sottrae pieno di ambizione, egoismo, egocentrismo. Invece di riversare le sue forze nell’organismo dell’umanità, fa tutto solo per sé. Questo è il ladro che, facendo tutto solo per se stesso, priva l’umanità dei propri talenti poiché non li restituisce all’organismo dell’umanità. Il brigante, invece, è colui che picchia.

Il ladro se la fila e si occupa solo di se stesso, mentre l’assassino è colui che esercita il potere. Vedete i due estremi. “Non do niente di me agli altri” è il ladro. “Do agli altri troppo di me” è il violento, il bandito, l’assassino. Abbiamo queste due immagini – ladrocinio e assassinio –, ed entrambe vengono doppiamente modificate: l’omicidio viene rafforzato dalla magia, perché la magia è un tipo di esercizio del potere, un manipolare le forze della natura per costringere l’altro a fare qualcosa, per togliergli la libertà; invece l’egocentrismo dell’egoista che si chiude nel proprio guscio, che se la svigna e vive solo con se stesso, viene raddoppiato con il concetto di fornicazione, che è la mancanza di autocontrollo dell’egoismo. Le forze animiche non vengono purificate e trasformate in forze d’amore, perché se lo venissero l’egoista si aprirebbe e non sarebbe più un ladro.

Nel Vangelo di Giovanni, nel 10° capitolo, vi ricorderete che si dice: “Tutti quelli che sono venuti prima di me erano ladri o briganti”. Tutte le forze evolutive che esistevano prima dell’Io, che venivano prima delle forze dell’Io, – “prima di me” significa prima dell’Io –, prima che venissero le forze del centro, della mediazione, della riconciliazione, la forza del Figlio, che cosa c’era prima? C’erano solo i due estremi: “ladrocinio” e “assassinio”. Per questo è dovuto venire l’Io, per trovare una mediazione, una riconciliazione.

E queste immagini – l’autore del Vangelo e quello dell’Apocalisse è lo stesso – qui vengono raddoppiate entrambe: l’assassino, il bandito, è nel contempo anche mago – e questo arricchisce enormemente il concetto, soprattutto se lo si approfondisce dal punto di vista scientifico-spirituale –, e il concetto di ladro viene arricchito dal termine specialistico di fornicazione, a cui ho già accennato.

11a Conferenza
venerdì, 15 novembre 2002, mattina

Cari ascoltatori, questa mattina, a conclusione di queste giornate sull’Apocalisse, volevo discutere con voi su alcune delle immagini più potenti di questo testo. Una è l’immaginazione, la visione spirituale in cui in cielo appare un essere femminile con dodici stelle intorno alla testa, con le forze solari nel cuore e con le forze terrestri e lunari negli arti. L’altra immagine, su cui forse rifletteremo un poco a conclusione del lavoro svolto, è l’immaginazione chiave dell’Apocalisse: una visione che Rudolf Steiner definisce un’invenzione colossale, colossale e geniale, se vogliamo, quindi un’invenzione realmente spirituale; poiché ciò che è realmente spirituale lo si deve per così dire tradurre in immagini. Non è un’impresa facile tradurre ciò che si percepisce a livello spirituale in una lingua, anche in una simbolicità, che sia comprensibile per coloro che non hanno ancora la percezione del sovrasensibile.

L’apocalista dev’essersi chiesto: come faccio a tradurre in questa cultura ebraica e cristiana in nuce la visione, l’immaginazione della meta finale dell’evoluzione? E allora è arrivato alla colossale immaginazione della Nuova Gerusalemme, e lì ogni ebreo e ogni cristiano di quei tempi ha rizzato le orecchie; Gerusalemme! Gerusalemme era il centro di tutta la Terra, il centro della Giudea, ma qui si tratta di una Gerusalemme che viene costruita dall’alto verso il basso. Gli Ebrei naturalmente conoscevano la Gerusalemme che viene costruita dal basso verso l’alto, dato che non è una città sospesa sulle nuvole. L’apocalista termina la sua opera con questa possente fantasia con cui l’umanità vivrà ancora per millenni, poiché questa altissima fantasia rappresenta il compimento, quindi la totalità della direzione dell’evoluzione in cui viviamo.

La Terra vecchia è la Terra terrena: è la base; quindi la Terra terrena, tutto ciò che è materiale deve essere autoctono. Noi conosciamo ciò che viene costruito dal basso verso l’alto. Un bambino si sviluppa dal basso verso l’alto, comincia gattonando e poi assume la posizione eretta, non il contrario. Non il contrario, se prendiamo in considerazione l’elemento fisico.

Tutto il mondo materiale nei suoi quattro aspetti – quello minerale è un mondo infinito, poi quello vegetale, di nuovo un mondo incommensurabile, quello animale e quello umano –, questo mondo quadruplice, materialmente visibile, percepibile, ma anche effimero, viene appunto costruito dal basso verso l’alto. E la grande domanda è: tutto questo sforzo, questa immensa evoluzione, dove una cosa viene costruita sull’altra… che scopo ha? Il tutto non è fine a se stesso, dice l’affermazione fondamentale dell’apocalista. Ciò che viene costruito dal basso verso l’alto può diventare il fondamento, o meglio la cera, per lo spirito che scende dall’alto verso il basso e vive nella lotta attraverso la consumazione, la consunzione e anche la spiritualizzazione, la trasformazione. Il senso è che lo spirito scende dall’alto verso il basso e trasforma questa fugacità materiale in qualcosa di spirituale ed eterno.

La Gerusalemme che viene costruita dall’alto verso il basso, la Nuova Gerusalemme è lo spirito che diventa creativo nella materia e per mezzo del mondo della materia. Lo spirito umano che mette in pratica la sua divinizzazione mediante la trasformazione della materia, così che tutta la materia si spiritualizza. Quindi la risurrezione della carne è ciò che dall’alto discende verso il basso.

Oggi viviamo in un’umanità che diventa apocalittica come mai prima d’ora, nel senso che l’umanità odierna – forse a parte poche eccezioni –, conosce quasi esclusivamente la vecchia Gerusalemme, quella che viene costruita dal basso verso l’alto, e non ha quasi idea che questa in realtà è solo uno strumento per realizzare la Nuova Gerusalemme, la Nuova Terra. La vecchia Terra deve scomparire, Cielo e Terra periranno, ma la nuova Terra, la Nuova Gerusalemme, la Terra Giove (Terra cinque) verrà costruita dall’alto verso il basso, nella potenza dello spirito. Questo è il senso dell’evoluzione.

Se lo si considera concretamente dal punto di vista storico, se si considera il fatto che intorno all’anno 70 il tempio di Gerusalemme, il tempio materiale, quello costruito dal basso verso l’alto, è stato distrutto, allora gli Ebrei di quei tempi hanno avuto l’idea che questo tempio non si lascia più costruire dal basso. E nei decenni in cui è stata scritta l’Apocalisse ci si è domandati: se perfino il tempio di Gerusalemme mostra la sua caducità come tempio fisico, qual è il senso di questo tempio? Dev’esserci qualcosa di spirituale che resta in eterno e che non può essere portato nella caducità.

Infine, se ci basterà il tempo, desidero dire qualcosa anche a proposito dell’altra immagine, dei tre tipi di espulsione, di ciò che viene espulso attraverso le coppe dell’ira. Si potrebbe dire così: le coppe dell’ira sono il modo in cui la divinità, l’operare divino, sospende infine le forze ostacolatrici. Quando hanno agito a sufficienza come controforze, così che la forza del bene ha effettuato tutti i passi evolutivi possibili sulla Terra, le controforze vengono eliminate nel senso che hanno terminato il loro compito. O, se si vuole, il superamento delle controforze è come un’espulsione.

Si potrebbe dire – e questa è un’immagine che viene usata anche da Rudolf Steiner – che nell’Apocalisse le coppe dell’ira, dove viene versato questo elemento antiumano per buttarlo via, sono come il sistema ghiandolare del cosmo. Come nel nostro corpo abbiamo bisogno di processi di secrezione, perché ciò che viene sintetizzato per mezzo dell’alimentazione dev’essere digerito e ciò che è in eccesso dev’essere eliminato, così anche nel cosmo c’è un processo di secrezione. Questo processo di secrezione, in cui quanto c’è di materiale o di esteriore sparisce o viene distrutto, è un processo di distruzione di qualcosa di materiale.

Ieri abbiamo parlato di energia nucleare ecc., dell’atomizzazione, e la domanda è se l’uomo impara a vivere in modo apocalittico, nel senso di rallegrarsi per le coppe dell’ira, di rallegrarsi per ciò che viene eliminato, escluso, lasciato indietro, poiché questo è appunto il segno che lo spirito può risorgere. Un’umanità materialista deve imparare addirittura a provare gratitudine e gioia quando qualcosa di costituito, qualcosa che è diventato antiumano per mezzo del potere sulla Terra, viene annullato per far posto alla forza dello spirito.

Forse lo leggiamo insieme, per ricavare una base direttamente dal testo. Nel 12° capitolo abbiamo un’immaginazione centrale dell’Apocalisse, la “Donna vestita di Sole”, qualcosa di paragonabile alla risurrezione di Lazzaro nel Vangelo di Giovanni. La risurrezione di Lazzaro è anche la parte centrale del Vangelo di Giovanni: è nell’11° capitolo e ci sono dieci capitoli prima e dieci dopo. E al centro dell’Apocalisse vedo questa immaginazione della “Donna vestita di Sole”, senz’altro estremamente decisiva e importante a livello spirituale.

12,1 «E nel cielo apparve un gran segno: una Donna vestita di Sole, con la Luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle»

Abbiamo subito i tre grandi ambiti in cui viviamo: la totalità dello zodiaco, la saggezza eterna dei dodici segni zodiacali; l’amore e il calore del sistema solare con al centro l’Essere dell’amore; e la volontà delle azioni, delle azioni volitive che devono essere compiute sulla Terra, per mezzo della Terra e delle forze lunari (dato che la Luna è un satellite della Terra), azioni che devono essere compiute per diventare solari nell’amore e sempre più saggi in collegamento con la dodecuplicità della saggezza divina.

Vedremo che in questa donna rivestita di Sole ci viene dato un archetipo dell’anima umana e dell’evoluzione globale che può ricorrere a quest’anima dell’uomo.

12,2 «Ed era incinta e gridava per le doglie e aveva un gran tormento nel parto.»

12,3 «E nel cielo apparve un altro segno, ed ecco un grande drago rosso con sette teste e dieci corna e sette corone sulle teste»

12,4 «e la sua coda spazzava via la terza parte delle stelle del cielo e le scagliava sulla Terra. E il drago si pose davanti alla donna che doveva partorire per divorarne il bambino una volta che fosse venuto al mondo.»

12,5 «E lei partorì un maschio che avrebbe dovuto pascolare tutti i popoli con una verga di ferro. E suo figlio fu rapito verso Dio e il suo trono»

12,6 «e la donna fuggì nel deserto, dove aveva un luogo preparato da Dio, per esservi nutrita per milleduecentosessanta giorni» Dovete invertire le cifre: 2.160 giorni.

12,7 «Allora scoppiò una battaglia nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. E il drago e i suoi angeli combattevano,»

12,8 «e non vinsero e nel cielo non ci fu più posto per loro.»

12,9 «Il grande drago fu buttato fuori, l’antico serpente» – del paradiso – «che si chiamava diavolo e Satana, che seduce il mondo intero, e fu gettato sulla Terra e i suoi angeli furono gettati con lui.»

12,10 «Ed io udii una gran voce nel cielo che diceva: ecco venuta finalmente la salvezza, la potenza, il regno del nostro Dio e la sovranità del suo Cristo; perché l’accusatore dei nostri fratelli è stato precipitato, colui che giorno e notte li accusava davanti al nostro Dio.»

12,11 «Ed essi l’hanno vinto in virtù del sangue dell’Agnello e con la parola della loro testimonianza e hanno disprezzato la loro vita fino al punto di accettare la morte.»

12,12 «Per questo rallegratevi, o cieli, e voi che in essi abitate! Ma guai alla Terra e al mare, perché il diavolo è sceso a voi con ira grande e sapendo di aver poco tempo.»

12,13 «E quando il drago si vide gettato sulla Terra perseguitò la donna che aveva partorito il bambino»

12,14 «e alla donna furono date le due ali della grande aquila, così che volasse nel deserto, nel suo luogo, dove dev’essere nutrita per un tempo, due tempi e metà di un tempo, lontano dalla faccia del serpente»

12,15 «Allora il serpente gettò fuori dalla gola come un fiume d’acqua dietro alla donna per annegarla»

12,16 «ma la Terra aiutò la donna, spalancò la sua bocca e ingoiò l’acqua che il drago aveva gettato come un fiume dalla sua gola.»

12,17 «E il drago si adirò con la donna e andò a combattere contro coloro che sono rimasti della progenie di lei, che osservano i comandamenti di Dio e si mantengono fedeli a Gesù.»

12,18 «E si appostò sulla spiaggia del mare.»

Forse la prossima volta avremo più tempo per scendere nei dettagli. Stamattina magari diciamo qualcosa di essenziale su questa immagine possente. Se pensiamo alla mitologia egizia abbiamo l’archetipo di Iside, che grazie a Osiride mette al mondo Horus. L’ immagine della donna celeste che partorisce un bambino. Ed è anche importante che l’essere partoriente sia una donna, un essere femminile, e che l’essere partorito sia un maschio, cioè attivo, creativo. L’anima umana, in quanto anima dev’essere ricettiva per tutte le capacità, per tutti i talenti che le dà la divinità; e la capacità globale dell’anima, ciò che riceve dalla divinità, è la facoltà di partorire un bambino maschio.

Si potrebbe quasi dire che la prima metà dell’evoluzione esiste affinché si diventi anima, cioè per ricevere dalla divinità tutto il possibile, tutto il necessario; e la somma di ciò che l’anima ha ricevuto consiste nel suo diventare sempre più attiva nella seconda metà dell’evoluzione, sempre più dotata di Io, sempre più spirito, sempre più creativa. Questo viene rappresentato nell’immagine di questo essere femminile che nella prima metà della sua evoluzione è ricettivo nei confronti della grazia divina: vive la somma della grazia in modo da rendere capace l’anima di partorire dal suo interno un essere attivo, maschile, creativo, corresponsabile.

Un’immagine dell’evoluzione globale che viene rappresentata in duplice modo. Il fondamento è femminile, e femminile significa la forza e anche la capacità, la gratitudine di poter ricevere; poiché nessun uomo può diventare qualcosa o dare qualcosa se non ce l’ha, e nessun uomo può avere qualcosa se non l’ha ricevuto. L’uomo infatti non si è creato da solo, l’uomo è una creatura della divinità. Questo dualismo dell’evoluzione viene rappresentato dall’apocalista in modo che questi due stadi dell’evoluzione non valgano solo per l’uomo, ma perfino per l’Essere solare, poiché questa donna è un Essere solare. Cioè, detto cristianamente: vale anche per il Cristo.

Cristo stesso, il Figlio del Padre divino – qui ognuno deve vedere quale terminologia preferisce e per questo attraverso le parole è importante guardare le realtà –, Cristo, quindi il Figlio di Dio, non potrebbe rendere possibile nell’umanità una prima metà evolutiva, in cui l’umanità è femminilmente ricettiva come anima, e poi una seconda metà, dove diventa spiritualmente creativa, senza aver imparato di persona come si attraversano queste due fasi.

Rudolf Steiner lo descrive, e questa è forse una delle cose più belle e più cristiane della sua scienza dello spirito, che è tutta assolutamente cristiana. Rudolf Steiner descrive l’Essere solare, quello che noi chiamiamo il Cristo, il Figlio, il Logos stesso: c’è stato un tempo, era ancora l’epoca atlantidea, in cui l’Essere solare non era ancora diventato creativo in senso attivo nei confronti della Terra, poiché per un intero periodo cosmico quello che chiamiamo Cristo, lo Spirito del Sole, si è vissuto come femminile rispetto al Padre cosmico. Poiché come figlio è ricettivo, è il Figlio del Padre. Cioè, prima di poter parlare come Logos era silenzioso – femminilmente silenzioso – e assumeva la dodecuplicità degli impulsi primigeni, degli impulsi paterni. Per il fatto di essere stato silenziosamente ricettivo per un intero periodo cosmico e di aver accolto in sé l’intero sistema solare, cioè la concentrazione mobile degli impulsi eterni del Padre, solo per questo il Cristo, l’Essere solare, ha potuto partorire dalla sua interiorità queste cose ricevute, rendendo possibile tutta l’evoluzione terrena.

Quindi Cristo è diventato il Logos, colui che parla ed è attivo, per il fatto di aver accolto per un’intera era cosmica – parliamo di eoni cosmici – con gratitudine e ricettività tutto ciò che nel decreto del Padreterno era stato pensato fin dall’inizio per l’evoluzione di tutta l’umanità.

Ci si può immaginare con vivacità che ci siano stati degli iniziati, ancora all’epoca in cui nel continente atlantico si è compiva ciò che era essenziale all’evoluzione sulla Terra, che hanno visto negli eventi del Sole come l’Essere solare fosse a livello sovrasensibile sul punto di dare alla luce l’elemento maschile, infantile, individuale e di portarlo giù sulla Terra. Per questo anche le controforze, il drago, sono dovute scendere sulla Terra: poiché questa evoluzione ha luogo sulla Terra.

Se qualcuno di voi desidera approfondire questa immagine, lo troverà nel volume che ho già citato diverse volte, il 346, nella dodicesima conferenza che è completamente dedicata ad essa. In italiano questa conferenza è pubblicata con il titolo L’eterno femminile..

È forse una delle conferenze più potenti che Steiner abbia mai tenuto, e lì descrive come nell’epoca atlantica, nel mezzo di quest’epoca, gli iniziati abbiano visto che l’Essere solare fino ad allora era stato femminile, ricettivo nella gratitudine; e non credo che sia un caso che oggi la lingua tedesca sia l’unica in cui il Sole è ancora femminile. In tutte le altre lingue il Sole è maschile, ma nella lingua tedesca c’è questo ricordo primigenio, per cui per diventare attivo creativamente quell’Essere ha dovuto prima essere ricettivo.

L’evoluzione procede sempre in modo che prima si è una creatura e solo per il fatto di essere una creatura della divinità si può diventare sempre più un creatore. Questo è il percorso di tutta l’evoluzione: il passare a poco a poco, ma davvero, gradualmente, da creatura a cocreatore. E questo vale anche per il Figlio, che è stato generato come creatura del Padre –…ah, queste immagini!… bisogna usarle in modo diverso, ma valgono come immagini –, che si è vissuto come Figlio del Padre, come creatura del Padre e ha ricevuto tutto ciò che era necessario per poi trasmetterlo agli uomini.

Il Figlio divino, che trasmette agli uomini tutto ciò che ha ricevuto dal Padre. E quegli iniziati hanno visto come appunto a metà dell’epoca atlantidea la qualità dell’Essere solare è passata da femminile a maschile. E hanno pronunciato questa era un frase, una frase centrale di tutti i misteri profondi: “Il Sole partorisce l’Io sulla Terra”. L’Essere solare porta giù sulla Terra tutte le forze necessarie per consentire ad ogni uomo di diventare sempre più un Io. Dà alla luce un Figlio della Terra. L’Essere solare che per un intero periodo cosmico è stato femminilmente ricettivo nella gratitudine verso il Padre cosmico, dà alla luce il Figlio terrestre sulla Terra. Questo parto non può aver luogo senza che le controforze vengano evocate e ciò lo vediamo rappresentato nell’immagine del drago.

Perché l’evoluzione del Figlio della Terra, dell’Io, delle forze dell’Io nell’uomo, non può aver luogo senza controforze? Semplicemente perché senza lo scontro con le forze ostacolatrici non può svilupparsi nessuna forza. Finché l’uomo è solo anima, finché l’uomo riceve solamente, non ha bisogno di controforze: gli basta aprirsi e ricevere. Ma se l’uomo deve cominciare a diventare attivo, creativo, vi chiedo: come si può fare qualcosa senza farla da qualche parte? Come si può brandire un martello e battere il ferro senza l’incudine? Fare qualcosa significa che se faccio un solo passo devo avere il terreno che fa resistenza sotto il mio piede e su cui compiere questo passo. Diventare attivi vuol dire sempre confrontarsi con le controforze.

Basta che applichiate questo pensiero a tutti i lati alla vita quotidiana. Altrimenti c’è sempre qualcuno che viene e dice: non sarebbe meglio se non ci fosse stato questo drago cattivo? No! Perché allora l’evoluzione non sarebbe affatto possibile. Il drago non è cattivo, è necessario. Allora le controforze necessarie vengono evocate, ci vogliono anche loro, e l’uomo deve imparare a capire il senso del drago. Il drago rappresenta la violenza, la furia delle forze della natura, soprattutto quelle che afferrano direttamente l’uomo: le forze della natura nel corpo umano. Lì l’uomo sperimenta davvero il drago che minaccia costantemente di divorarlo come uomo. L’essere umano sperimenta davvero ogni giorno che se capitola, se abdica, se omette di produrre quotidianamente la forza dello spirito, le forze della natura – soprattutto attraverso l’alimentazione ecc. –, possono diventare così violente da farlo vivere sempre più impotente nei confronti del suo stesso corpo.

In fondo il materialismo è un bel pezzo di impotenza dello spirito umano nei confronti della natura. Si vorrebbe, si vorrebbe, ma poi si dice: non posso, non ce la faccio, ci ho provato, ma sono troppo debole. Questa è appunto la controforza, il drago; nella mitologia greca erano più immagini di titani; in quella nordica c’erano i giganti, giganti di ghiaccio, della Terra o del calore ecc. Tutte immagini della violenza delle forze della natura che si ammassano nella fisicità dell’uomo. Ma questo drago è necessario per l’evoluzione, poiché solo nella lotta col drago l’uomo può rafforzarsi ulteriormente, o può anche omettere di farlo. È appunto in questo che consiste la libertà.

Abbiamo letto della lotta con il drago per la salvezza di questo bambino, per la salvezza di quello che nei Vangeli viene chiamato il neonato (l’Io è il neonato dell’evoluzione). Per questo gli esegeti si domandano: perché vengono chiamati bambini piccoli, se sono adulti? È un termine tecnico per il fatto che l’Io è davvero un bebè; siamo solo agli inizi, siamo agli inizi della seconda metà dell’evoluzione, agli inizi dell’evoluzione dell’Io, di questo Figlio dell’Essere solare che è in procinto di essere partorito dalla Donna solare sulla Terra, minacciato dal drago, e perciò arriva Michele. E l’Io è un bambino, un neonato (come dicono i Vangeli) proprio perché il fondamento fisico dell’uomo e del mondo è già stato posto a Terra uno; il fondamento eterico vitale, anche tutto ciò che è vegetale, a Terra due. Tutto ciò che è animale, tutto ciò che è sensibile, animico, tutto l’astrale è stato impostato già a Terra tre. Adesso siamo a Terra quattro ed è solo qui che nasce l’Io: per questo è “neonato”, per questo è “bambino”, perché è agli inizi della sua evoluzione.

Oggi molti uomini non sanno neppure di essere un Io. Ancora Fichte, l’imponente filosofo dell’Io, – un filosofo tipicamente tedesco possiamo dire, un filosofo dello spirito tedesco –, era così forte nella sua individualità che il tallone batteva sonoramente sul pavimento quando camminava. E per esempio voleva proibire che gli studenti bevessero birra o vino: per questo si rese abbastanza presto impossibile come rettore dell’università. Questo solo per inciso. Nelle sue lezioni una volta ha detto: la maggior parte degli uomini preferirebbe considerarsi un pezzo di lava sulla Luna che un Io. Vuol dire che capirebbero di più di essere un pezzo di lava sulla Luna che di essere un Io.

Questo solo per spiegare che l’umanità è davvero agli inizi dell’evoluzione dell’Io. E la scienza dello spirito di Rudolf Steiner costituisce tra l’altro davvero un aiuto da tutti i punti di vista per comprendere il concetto dell’Io. Rudolf Steiner spiega sempre questa quadruplicità: corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale – fin qui va tutto liscio, è la base –, ma è il quarto, l’Io, ad essere decisivo.

Con il drago compare Michele. E naturalmente non è l’esegeta, ma l’uomo moderno a doversi chiedere: cosa vuol dire con questo “Michele” l’apocalista? Perché proprio Michele adesso? Il Cristo non è abbastanza? Michele rappresenta – e l’apocalista naturalmente lo sa – le forze dell’intelligenza, le forze del pensiero, della coscienza. E l’affermazione è: l’uomo diventa un Io non solo per buona volontà o perché distribuisce l’amore che gli ha dato la natura. Molti uomini infatti si ritengono buoni cristiani perché danno semplicemente il loro amore spontaneo. Questo amore spontaneo appartiene all’anima; non è cattivo, solo che non ha ancora niente a che vedere con lo spirito. L’amore diventa spirituale solo quando non contiene unicamente ciò che dà la natura; l’amore diventa cristiano diventando attivo, creativo. E l’amore può aggiungere il fattore della libertà a ciò che viene fornito dalla natura solo imbevendosi di saggezza, conoscenza e pensiero.

L’attività consiste nel dirsi: posso amare davvero l’oggetto del mio amore solo non limitandomi a fargli quello che piace a me. Questo sarebbe l’amore spontaneo, l’amore animico, che diventa amore spirituale se mi sforzo di comprendere mediante il mio pensiero l’essenza oggettiva dell’amato. Solo allora saprò, nella conoscenza, nell’oggettività del pensiero, che cosa è importante per l’altro: che cosa gli serve, che cosa non gli serve, indipendentemente da quello che vorrei fare spontaneamente o che adesso mi piacerebbe fare. Perché non è di questo che si tratta nell’amore.

Il mistero di Michele indica che l’umanità – e noi viviamo adesso nei misteri di Michele –, non può progredire a meno che non venga dato inizio ad un’intelligenza micaelica, cioè a una spiritualizzazione dell’intelligenza. La scienza dello spirito di Rudolf Steiner è davvero questo: un cristianesimo micaelico, un cristianesimo conseguito a partire dalle forze creative e attive dell’Io, dell’individuo. Questa è una gran parte di salvezza del bambino, perché questo maschile infantile, questo elemento attivo viene salvato solo opponendo al drago della natura – e anche l’amore spontaneo in definitiva appartiene al drago – l’elemento più libero ed individuale che ci sia. Qual è l’elemento più libero ed individuale nell’uomo? Il pensiero. E Michele rappresenta il pensiero.

Quindi in futuro l’uomo o si salverà come Io spirituale creativo coltivando il pensare, cioè la responsabilità morale nei confronti del suo pensiero, oppure si oscurerà sempre più, vivendo perfino nel pensiero quello che la natura e le percezioni danno di sé a livello rappresentativo, senza gestire il suo pensiero in modo attivo, creativo, individuale e spirituale.

Michele ha il compito di proteggere questo bambino: è compito di Michele proteggere il bambino perché solo il pensiero può salvare l’Io nell’uomo. Michele di fronte al bambino è il compito di generare nell’umanità una coscienza del Cristo e non solo un cristianesimo del cuore, della spontaneità della fede – quella era una preparazione, una preparazione necessaria, se si vuole. L’uomo da bambino, da anima, diventa spirito… e noi stiamo veramente vivendo in questo periodo; gli uomini d’oggi sono fisicamente adulti, ma a livello di coscienza vivono davvero non nei secoli, ma vorrei quasi dire nei decenni in cui si verifica questo forte passaggio di coscienza da un cristianesimo della fede, del cuore, dell’anima a un cristianesimo dello spirito, della conoscenza, del pensiero, della coscienza, dell’Io.

Se si omette di compiere questo passaggio, dal punto di vista apocalittico è questa la più grave di tutte le omissioni. Allora sì che l’uomo viene davvero gettato nell’abisso se non coltiva le sue forze che gli danno la possibilità di prendere coscientemente, responsabilmente posizione nei confronti degli eventi del mondo.

Ma vi chiedo ancora: con che cosa l’uomo può prendere posizione attivamente, creativamente, in maniera individuale nei confronti degli avvenimenti del mondo e sapere a che punto è, qual è il suo compito, se non mediante il pensiero? Con che cosa lo dovrebbe fare? Nello stadio infantile gli veniva detto che cosa fare, e andava bene così, perché era anima. Doveva ricevere, ricevere i comandamenti: questo era il compito pedagogico della legge mosaica. Ma il senso di ogni pedagogia è che la guida dall’esterno venga vissuta così bene che l’uomo arrivi a dirsi: mi fa bene interiorizzare la guida che finora mi è arrivata dal di fuori. Adesso l’uomo si salva solo riconoscendo in autonomia il bene e volendolo in libertà e allora, da adulto, non si lascerà più sottomettere. Perché un adulto nella coscienza, che deve farsi dire dall’esterno quel che deve fare, ha dentro di sé una contraddizione. Oggi, per sapere che cosa c’è da fare, che cos’è storicamente necessario, bisogna davvero attivare la propria coscienza. Bisogna veramente dare la priorità alla lotta per la conoscenza e non a tutte le cose assurde possibili in cui l’uomo d’oggi consuma le sue forze, così che alla fine della giornata è ancora più finito della giornata stessa.

Già in epoca atlantidea si è verificato l’evento cosmico per cui l’Essere solare ha davvero portato sempre più sulla Terra le forze dell’Io. L’inizio dell’evoluzione dell’Io venne posto nell’epoca atlantidea. Il periodo postatlantideo ha lo scopo di favorire la presa di coscienza dell’Io. Quello che abbiamo fatto e facciamo nelle nostre civiltà: quella indiana, quella persiana, quella egizia, quella caldea, quella greco-romana e infine la nostra, sono gradi di presa di coscienza dell’Io, stadi di coscienza dell’Io. Perché l’Io spirituale di tutti gli uomini è stato creato divinamente all’inizio dell’evoluzione. Tutti gli Io sono, come ho sempre detto, intuizioni morali differenti della fantasia divina. E tutti gli Io umani sono creati fin dall’inizio.

Ma un Io umano che non è cosciente di se stesso è un Io a metà, per questo si tratta di prendere coscienza di sé. Io sono un Io spirituale e che cosa ha messo la divinità nella sostanza spirituale del mio Io? E mentre ne prendo coscienza capisco che il senso dell’evoluzione è diventare quello che sono stato pensato divinamente: diventa ciò che sei!

Naturalmente è un paradosso, ma l’evoluzione, se la comprendiamo più profondamente, è piena di paradossi. Infatti un uomo come potrebbe diventare qualcosa senza che questa possibilità del suo divenire sia pensata divinamente? Ogni uomo dev’essere stato creato da Dio come un insieme di capacità. Altrimenti non ci sarebbe nessuna evoluzione nella libertà. Ma la capacità globale di ciò che un uomo può diventare, se ce la fa, se si dà una mossa, è naturalmente stata pensata divinamente. È quanto la divinità si è immaginata nel creare quest’uomo, e quello e quell’altro.

In altre parole, quale capacità evolutiva, quale facoltà del divenire si è immaginata la divinità creando il mio Io? Prendendone coscienza prendo coscienza di me stesso. Divento liberamente e consapevolmente le potenzialità evolutive che la divinità ha creato in me. La divinità è già alla fine della mia evoluzione, poiché vive nell’eternità, per lei il futuro è presente. Ma questa evoluzione non viene imposta all’uomo: lui non la deve compiere, altrimenti non sarebbe libero. Quindi il mistero dell’uomo è stato pensato profondamente e per questo abbiamo bisogno di una lunga evoluzione per venirne a capo.

Adesso arriva forse una piccola complicazione. Vale a dire: l’uomo, – è solo un orientamento –ha tre tipi di corpo (Fig.1,XI): “1”, corpo fisico; “2”, corpo vitale (una parola comprensibile per tutti, no?); “3”, corpo animico o corpo astrale, come volete. Quindi “corpo”: corpo fisico, corpo vitale, corpo animico. Corpo animico può sembrare forse una contraddizione per alcuni: diciamo corpo senziente. Tre volte corpo.

Poi ci sono tre impronte, tre forze primigenie dell’anima: quindi qui scrivo “4”, “5” e “6”. Tre forze animiche. Tre forme corporee, tre forze animiche. Allora “4” è l’anima senziente; come il corpo senziente è il luogo della percezione, l’anima senziente è il luogo dove sento nell’anima ciò che ho percepito. Sono mondi molto diversi e anche le scienze naturali, se diventeranno ancora più scientifiche, dovranno imparare tutto il possibile dalla scienza dello spirito.

Dopo l’anima senziente c’è un’anima razionale: l’intelletto, “5”. Mentre l’anima senziente è il modo in cui la percezione viene vissuta nell’anima, l’intelletto è la formazione del concetto. Quindi percezione (corpo animico), percezione sentita (anima senziente) e formazione del concetto (anima razionale) quest’ultima è detta anche anima affettiva, ma non voglio complicare ulteriormente le cose.

Se a “5” c’è la presa di posizione intellettuale nei confronti del mondo, a “6” c’è la presa di posizione morale. Quindi scrivo: anima della coscienza. Lo faccio di proposito, così che qualche antroposofo esca dalla solita routine, perché si aspettava che adesso avrei scritto “anima cosciente”. Uno dice: Ah, so già che cosa viene adesso, e non ci si riflette più sopra.

Ecco le tre forze originarie dell’anima: in primo luogo io vivo il mondo a livello sensibile; secondariamente prendo posizione intellettuale e in terzo luogo prendo posizione in modo moralmente responsabile – quindi prima la presa di posizione nel pensiero e dopo la presa di posizione nell’azione.

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Fig. 1, XI

Quindi scrivo sensibilità, intellettualità e moralità, così che i tre passi si capiscano meglio. Ma non è questo l’importante, adesso. L’importante è il senso delle varie civiltà: perché la civiltà indiana è stata trainante per un certo periodo e poi è praticamente scomparsa)? E perché poi una nuova civiltà, quella persiana, è stata di spicco per tutta l’umanità? E come mai poi è scomparsa pure questa, così che dopo sono venuti gli Egizi e i Caldei? E come mai anche loro sono scomparsi, come civiltà trainante? Perché tutto sorge e scompare? Tutto deve sorgere e scomparire in questo modo perché ogni civiltà ha il compito culturale di produrre e coltivare una di queste forze complessive dell’uomo.

Senza complicare ulteriormente le cose, diciamo solo che ad evocare, per esempio, le forze dell’anima senziente in modo specialistico abbiamo avuto la civiltà egizio-caldea. Quindi questa civiltà è sorta per permettere l’acquisizione di queste forze e perciò l’ipotesi è che ogni uomo abbia vissuto perlomeno un’incarnazione in questa civiltà. Tutti noi un giorno o l’altro siamo vissuti come Egizi e Caldei, con tutti quei pensieri, con tutti quei calcoli astronomici dei Caldei, con tutte le misurazioni terrene degli Egizi ecc. Grazie all’aver attraversato queste impronte culturali (completamente diverse da quelle dell’India e della Persia), sono state coltivate le forze dell’anima senziente, così che oggi ogni uomo le ha pienamente dentro di sé.

Dopo che la civiltà egizio-caldea – e questa è la cosa decisiva – è stata sconfitta dal cavallo di Troia dei Greci, sono arrivati i Greci e i Romani. E questa civiltà, il senso di questi 2.160 anni (ogni civiltà dura 2.160 anni), era di sviluppare le forze dell’anima razionale. Questa civiltà va dal 747 a.C. fino al 1413 d.C. In tutto sono 2.160 anni.

Quindi non molto tempo fa – nel 1413 – è finito questo quarto periodo culturale greco-romano (dell’epoca postatlantica). Prendete ora due fenomeni centrali, uno prima di Cristo e uno dopo Cristo; prima di Cristo un fenomeno è la filosofia greca. Non era mai esistita una filosofia, prima. È il prorompere in tutta l’umanità dell’anima razionale. E come mai un Alessandro ha potuto andare fino al Gange, fino agli Indiani, buddisti o induisti, e ha convinto tutta la persianità? Non che per farlo abbia tagliato le teste agli uomini. No, perché allora era in linea coi tempi, era moderno, e tutti quei popoli hanno vissuto una specie di liberazione per il fatto che alle forze dell’anima senziente si aggiungessero quelle dell’anima razionale. Le campagne di Alessandro sono un regalo a tutta l’umanità di questa facoltà nuova; e le forze razionali, l’anima razionale nella filosofia greca è la preparazione indispensabile per l’incarnazione del Logos. Infatti che cosa avrebbero capito del Logos, del Verbo cosmico, gli uomini se prima non ci fosse stata la filosofia greca?

L’altro fenomeno rilevante dopo Cristo è la Scolastica medievale. Mai prima della Scolastica medievale e mai dopo di essa si è pensato in modo così rigorosamente e tecnicamente perfetto: quindi le forze dell’anima razionale, non ancora quelle dell’anima cosciente. Se non mi credete, leggete, studiate la Summa theologica di Tommaso d’Aquino. Ha solo tremila pagine, se è scritta fitta, nella traduzione tedesca sono 30, 40, 50 volumi. Non è ancora stata tradotta tutta.

Poi arriva l’anima morale, le forze morali dell’anima. Prima le forze senzienti dell’anima, poi le forze intellettuali dell’anima, poi le forze morali dell’anima. L’anima cosciente, l’anima della coscienza, è la forza di assumersi la responsabilità degli eventi del mondo, della propria evoluzione, degli avvenimenti mondiali. Questa responsabilità, questa morale può aver luogo solo sulla base dell’elemento micaelico, dell’elemento cosciente, pensante, che la precede.

Bene, adesso confrontiamo la Teosofia di Rudolf Steiner, un libretto (!), con quest’altro libretto che è l’Apocalisse – che è molto dolce in bocca ma poi difficile da digerire, secondo quel che è scritto nel capitolo 10,9; la prossima volta ci occuperemo anche di questo, adesso non ne abbiamo il tempo. Allora, questo libretto di Rudolf Steiner si chiama Teosofia, e lì si dice qualcosa di molto importante per capire l’Apocalisse: che finché l’uomo è impegnato a costituire le forze fisiche del corpo, le forze vitali del corpo e le forze senzienti del corpo, l’evoluzione è di tipo naturale, non si tratta ancora delle fatalità della libertà. Infatti l’evoluzione diventa pericolosa o addirittura fatale solo nel momento in cui inizia la libertà. Allora, arrivata l’anima senziente, la grande domanda è: dove comincia l’Io? Dov’è che l’uomo comincia a diventare un Io? Questa è una delle cose più importanti del libretto Teosofia di Rudolf Steiner: vi viene descritto che l’Io germoglia nell’anima razionale.

Perché fino a quando nell’uomo, anche nello sviluppo del bambino piccolo, c’è solo la sensazione, va ancora bene, tutto in fondo è più semplice; ma quando con l’intelletto l’essere umano comincia a pensare autonomamente (nell’adolescenza) le cose si fanno difficili. L’irruzione delle forze dell’Io nella biografia dell’uomo, ma anche in quella dell’umanità intera nel periodo greco-romano – e per questo l’Essere dell’Io ha dovuto incarnarsi in quel tempo – costituisce il più grande sconvolgimento possibile.

Ed è stato necessario prendere provvedimenti per l’arrivo delle forze dell’Io in quel periodo. Pensiamo infatti che prima della civiltà greco-romana l’uomo non si era mai vissuto come personalità a sé stante, ma solo come un ricettacolo di forze divine. Nel periodo greco-romano, invece, nasce il civis romanu che per mezzo del testamento vuole imporre la sua volontà addirittura oltre la morte: è uno sconvolgimento enorme nell’evoluzione dell’umanità. Come facciamo ad andare d’accordo fra di noi ora che ciascuno si mette in mente di voler raggiungere questa o quella cosa? Dov’è la metà di questo quarto periodo culturale postatlantideo?

Non confondetevi, ora vi mostro un’altra numerazione (Fig. 2,XI). La durata di ogni periodo di civiltà è di 2.160 anni: 1.080 è la metà. Poi 1.080 meno 747 = 333. Allora, il 333 d.C. è la parte centrale del periodo in cui fanno irruzione le forze dell’anima razionale, è la metà del periodo in cui l’Io fa il suo ingresso nell’umanità. Dato che si tratta di grandi periodi di tempo, per l’uomo d’oggi è difficile rendersi conto che questo sconvolgimento dell’umanità intera non è minimale, non è una cosa da poco. Per questo l’apocalista è così pieno di temperamento con il drago e con Michele ora che l’Io, l’Essere dell’Io, scende sulla Terra. L’Essere solare dà alla luce l’Io sulla Terra e allora anche il drago, la controforza, viene gettato sulla Terra.

Quindi è uno sconvolgimento; ma se studiamo la storia osservando solo i fatti esteriori, senza tener conto dell’evoluzione interiore degli uomini, allora è ovvio che non vediamo niente di questo terremoto. Ma se studiassimo la storia in modo che la sua essenza fosse la coscienza che l’essere umano ha di sé, quel che vive nella propria interiorità, allora vedremmo uno sconvolgimento intorno all’anno 333. Proprio in quel IV secolo dopo Cristo in cui il cristianesimo – udite e tremate – è diventato religione di stato, cioè in sostanza anticristianesimo. Tutto ciò fa parte dell’evoluzione. La prima fase dell’Io è l’egoismo, e solo la seconda può essere l’amore. Quindi bisognerebbe davvero studiare la storia in tutt’altro modo.

Allora, poiché le forze dell’Io in un primo tempo sono egoistiche, dato che ognuno si rinchiude in se stesso ed è contro gli altri, è stato necessario prendere provvedimenti. Perciò 333 anni prima, nell’anno zero, si è incarnato il Cristo per creare le condizioni, per creare le forze affinché lo sconvolgimento che si sarebbe verificato 333 anni dopo non portasse alla rovina l’umanità.

E perché non 400 anni prima? Perché non 500 anni prima? Per il fatto che si prevedeva che 333 anni dopo il punto centrale della civiltà greco-romana, e cioè nell’anno 666 d.C., si sarebbero sollevate le potenze contrarie, le forze del drago. In che modo sconvolgente l’apocalista, che tra l’altro qualifica questo numero 666 come il numero del drago, della Bestia, indica l’impulso dell’arabismo, dell’islamismo. E Cristo è venuto di tanto prima per mettere a disposizione le forze positive, come di tanto dopo è comparso questo elemento anticristico come controforza necessaria.

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Fig. 2, XI

Quindi abbiamo come runa dell’evoluzione l’anima razionale, che si sviluppa nel quarto periodo postatlantico, cioè dal 747 a.C. al 1413 d.C. La metà, il culmine di questo periodo è il 333 dopo Cristo, anno che a sua volta è la metà fra il 666, Maometto, e l’anno zero, anno dell’evento del Cristo. Intorno al 333 d.C. abbiamo concretamente, perché queste sono realtà, l’ingresso delle forze dell’Io nell’umanità intera, nella biografia dell’umanità; nell’anno zero, cioè 333 anni prima, c’è l’avvento di tutte le forze del bene come preparazione all’ingresso successivo delle forze dell’Io in tutta l’umanità; e 333 anni dopo, nel 666, abbiamo l’irruzione delle forze del drago.

Dal punto di vista culturale (lasciamo da parte l’individualizzazione del singolo perché questa è diversa in ognuno, e non la vogliamo giudicare) chiediamoci: che cosa è successo da allora? Adesso siamo nel 2002, e nel frattempo il 666 si è triplicato. Nel 1332 è raddoppiato, quando i Templari sono stati annientati, e nel 1998 si è triplicato. E ci chiediamo: che ne è stato dell’evoluzione? Quali di questi due impulsi ha vinto? Quello buono del Cristo o quello delle controforze del drago? Com’è la situazione oggi? La risposta dell’Apocalisse è: caro essere umano, qui devi fare distinzione fra evoluzione individuale e l’evoluzione di razza. L’evoluzione di razza appartiene all’universalmente valido, al “gruppale”, alla base; l’evoluzione di razza sono le controforze necessarie valide per tutti. L’altra evoluzione è il modo in cui l’individuo capisce o non capisce il tutto con il pensiero, prende posizione con le sue forze volitive e si assume la responsabilità della sua evoluzione morale.

In sostanza l’Apocalisse non parla dell’individuo, poiché questi è libero; ognuno ha la libertà di evolvere ogni giorno verso il bene anziché verso il male, oppure ognuno può essere afferrato ogni giorno di più dal male. Ma il compito dell’Apocalisse è quello di farci notare la cosiddetta “evoluzione di razza”, cioè, il modo in cui il drago deve agire, non liberamente ma per necessità. Il drago ci dev’essere anche oggi? Naturalmente dev’esserci.

Lasciamo quindi da parte il rapporto dell’individuo con il drago e occupiamoci del drago che dev’esserci per tutti. Questa è l’evoluzione di razza. Il grande drago, il più grande, il più potente drago che sia mai esistito è il fatto che nella civiltà occidentale non c’è quasi cristianesimo e che la civiltà occidentale è quasi solo musulmana perché tali sono le scienze naturali moderne. La scienza moderna, che ha relegato il cristianesimo nella sacrestia della vita così che non abbia più alcun ruolo nell’esistenza, questa scienza moderna è figlia dell’islamismo, del musulmanesimo, perché il principio fondamentale del Corano è: non c’è libertà. Allah è l’onnipotente e non ha figli.

Ripeto: le controforze sono necessarie, non sono cattive, sono necessarie. Ma in occidente le controforze sono diventate così potenti da aver dato la loro impronta alla vita occidentale. Il principio del drago è l’impotenza dell’uomo mentre il principio del Cristo è la forza individuale dell’uomo. E qual è il principio della scienza? Che se ti immagini di essere libero sei un illuso, sei un ingenuo. La libertà è un’illusione, la natura agisce con onnipotenza. I geni decidono che cosa succede nei pensieri dell’uomo, nelle sue emozioni. I geni decidono e chi s’immagina di essere libero lo fa solo perché è un dilettante e non ha la più pallida idea di come stiano le cose.

Che il principio di onnipotenza che agisce sull’uomo privandolo della libertà venga chiamato Allah o natura, non fa nessuna differenza. È solo una questione di terminologia, poiché entrambi hanno in comune l’affermazione: l’uomo è impotente. Questo è il grado più alto e più profondo dell’impulso anticristico; il grado più potente dell’efficacia del drago che dà la caccia a questo bambino, all’elemento individuale, creativo, per ucciderlo, per ucciderlo già al momento della nascita – e noi siamo solo agli inizi del periodo successivo alla nascita dell’Io.

Infatti nella Teosofia di Steiner si dice che l’Io germoglia nell’anima razionale e giunge a maturazione nell’anima cosciente. E noi siamo adesso nei primi secoli dell’anima cosciente, dell’anima della coscienza (quinto periodo postatlantico 1413-3573). La grande battaglia consiste nel fatto che certe forze lottano in tal senso per uccidere completamente le forze dell’Io nell’uomo, e di queste fa parte in primo luogo la scienza con il suo dogma, con la sua affermazione categorica in base alla quale l’uomo non è libero. È un dogma cieco, un’affermazione categorica senza pari. E dall’altra parte, appunto, c’è la possibilità, maggiore per l’uomo d’oggi se si rende conto delle forze dell’Io, di prendere in mano la sua libertà resa possibile dal Cristo, la sua creatività.

La guida spirituale dell’umanità sapeva che intorno al 333 si sarebbe verificato il più grande sconvolgimento animico nell’intera evoluzione dell’umanità, poiché per la prima volta le forze dell’Io sarebbero state messe a disposizione dell’umanità, cioè di tutti gli esseri umani, e che dopo 333 anni, nell’anno 666 del settimo secolo, sarebbe giunto il primo colpo del drago. Per questo l’Essere solare, l’Essere d’amore, l’Essere dell’Io ha deciso di incarnarsi, di venire sulla Terra 333 anni prima.

Si potrebbe dire che sono tre le manifestazioni della Donna rivestita di Sole, della Madonna Sistina di Raffaello, perché in lei è davvero rappresentata cristicamente l’immagine dell’Essere femminile rivestito di sole che dà alla luce il bambino, il bambino della Terra. E anche Goethe non sapeva bene cosa fare di fronte a quegli occhi tragici del bambino, non si capacitava che un bambino così piccolo potesse avere occhi così tragici. È il Cristo bambino, preoccupato per la sorte della libertà umana.

Si potrebbe dire che questa immaginazione, questa visione spirituale ha tre livelli: in epoca atlantica è stata vista di più nell’evento fisico, nel fatto che le forze solari hanno creato le premesse sulla Terra per l’evoluzione dell’Io dell’uomo. Nella successiva epoca postatlantica, nel periodo greco-romano dell’anima razionale, questa immaginazione veniva vissuta più a livello animico: nelle nuvole del cielo, (e la Madonna Sistina è piena di nuvole). Adesso viviamo nell’epoca in cui il compito dell’anima cosciente è di guardare questa immaginazione a livello puramente spirituale.

Rudolf Steiner la descrive meravigliosamente in questa dodicesima conferenza. È la visione reale del modo in cui l’Essere solare mette al mondo l’Io umano terreno, è l’inizio dell’esperienza del ritorno del Cristo, che adesso viene nell’umanità a livello spirituale. La scienza dello spirito di Rudolf Steiner è il presupposto per avere in mano gli strumenti spirituali necessari per capire questi misteri: in primo luogo tramite le forze di Michele, le forze del pensare, e poi per vederli direttamente in spirito. Il ritorno del Cristo nel nostro tempo viene infatti vissuto in una percezione reale, sovrasensibile, ma tutto dipende dal fatto che l’uomo abbia la capacità di interpretare correttamente ciò che vede a livello sovrasensibile, di sapere di che cosa si tratta. Non basta infatti dire di aver visto un Essere di luce. Questo può significare qualunque cosa.

Ma per capire questa immaginazione originaria dell’umanità, che ci accompagna dai tempi di Atlantide, con una nitidezza capace di interpretare dettagliatamente tutto ciò che ne fa parte – la triade dello zodiaco, del sistema solare e dei misteri della Terra; le controforze del drago che di essa fanno parte; il compito di Michele, indispensabile per sconfiggere queste controforze – per capire con chiarezza scientifica questa immaginazione primigenia è necessaria una scienza dello spirito.

Oggi ogni uomo vive nel proprio Io superiore la nostalgia fare l’esperienza spirituale della Donna rivestita di Sole, di come questa Donna dia alla luce in lui il bambino terreno, le forze terrene dell’Io, lo spirito umano, così che l’uomo cominci come essere spirituale ad orientarsi sempre meglio nel mondo in cui vive. Così che capisca in che cosa siamo spirituali, dove e come combattono le forze e le controforze nell’umanità odierna, così che possa diventare sempre più corresponsabile degli eventi mondiali, dell’evoluzione dell’umanità e della Terra.

Alla prossima volta, allora. Molte grazie.

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[1] In traduzione italiana abbiamo di quest’opera soltanto la 12a conferenza in Rudolf Steiner - L’eterno femminile - Archiati Edizioni 2007

[2] Goethe - Faust II - Atto II, verso 8172 e segg.

[3]La parola ‘IdoÝ (idù) viene solitamente tradotta con l’avverbio ecco. Qui, invece, viene tradotta come “guarda!” (che si scrive nello stesso modo, ‘IdoÝ), ed è l’imperativo di Ðr£w (orào) guardo, aoristo e don (èidon) (ndr).

[4] Si riferisce alla visione di Giovanni, commentata dal ver. 1,13 in poi: “Uno simile ad un Figlio d’uomo, vestito d’una veste lunga fino ai piedi e cinto d’una cintura d’oro all’altezza del petto…ecc.” (n.d.r)

[5] Nelle traduzioni italiane non si trova “fate penitenza”, ma un altro tipo di esortazione morale: “convertitevi”, tipica del cattolicesimo e della sua chiesa.

[6] Tetragramma: parola di quattro lettere. Per gli ebrei per antonomasia è il nome di Dio, scritto appunto con le quattro consonanti j h w h

[7] La triplice realtà dell’uomo – corpo, anima e spirito – fu ridotta a corpo e anima nel concilio di Costantinopoli dell’869 (ndr).

[8] Vedi nota 5.

[9]Segue un gioco di parole con il termine tedesco Wahrnehmung, percezione, che può essere scomposto in wahr (vero) e nehmen (prendere), per cui la percezione è un’assunzione del vero.

[10]Le sette grandi epoche (o ere) evolutive di Terra quattro sono: 1- polare; 2- iperborea; 3- lemurica; 4- atlantidea (o atlantica); 5- postatlantidea (la nostra attuale); 6- Sesta epoca; 7- Settima epoca. Ognuna di queste grandi ere è a sua volta suddivisa in sette periodi. Secondo il computo del tempo della nostra quinta era postatlantica, ogni nostro periodo (1- indiano; 2- persiano; 3- egizio-caldaico; 4- greco romano; 5- quinto postatlantico, l’attuale nostro; 6- sesto periodo; 7- settimo periodo) ha la durata di 2.160 anni. (n.d.r.)

[11] Goethe, Faust II, Atto II, verso 7900 e segg.

[12] Pietro Archiati: Uomo e denaro - Archiati Edizioni; sullo stesso argomento vedi anche Pietro Archiati Economia e Vita Archiati Edizioni (n.d.r).

[13]Archiati Edizioni

[14] Le traduzioni tedesche correnti usano il termine Wehe (guai) che in tedesco indica un evento attivo, esteso, che genera processi di trasformazione, così che dal vecchio nasce qualcosa di diverso, di nuovo.

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